XVI LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di mercoledì 14 settembre 2011

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 14 settembre 2011.

Albonetti, Alessandri, Berlusconi, Bindi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brugger, Brunetta, Caparini, Carfagna, Casero, Catone, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Della Vedova, Donadi, Fava, Fitto, Franceschini, Frattini, Gelmini, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Leone, Lo Monte, Lupi, Maroni, Martini, Melchiorre, Meloni, Miccichè, Migliavacca, Misiti, Moffa, Nucara, Leoluca Orlando, Polidori, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Romano, Rotondi, Saglia, Stefani, Stucchi, Tabacci, Tremonti, Vito, Zacchera.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

Albonetti, Alessandri, Berlusconi, Bindi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brugger, Brunetta, Caparini, Carfagna, Casero, Catone, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Cossiga, Crimi, Crosetto, D'Alema, Dal Lago, Della Vedova, Donadi, Fava, Fitto, Franceschini, Frattini, Gelmini, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Leone, Lo Monte, Lupi, Maroni, Martini, Melchiorre, Meloni, Miccichè, Migliavacca, Misiti, Moffa, Nucara, Leoluca Orlando, Polidori, Prestigiacomo, Ravetto, Reguzzoni, Roccella, Romani, Romano, Rotondi, Saglia, Stefani, Stucchi, Tabacci, Tremonti, Vito.

Adesione di deputati a proposte di legge.

La proposta di legge SBAI e CONTENTO: «Modifica all'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, concernente il divieto di indossare gli indumenti denominati burqa e niqab» (2422) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Rampelli.

La proposta di legge NOLA ed altri: «Modifica all'articolo 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, concernente il contenimento della nutria nel territorio nazionale, per la tutela delle opere idrauliche e delle infrastrutture agricole» (4414) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Luciano Rossi.

La proposta di legge CIRIELLI ed altri: «Modifiche all'articolo 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55, e all'articolo 59 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in materia di cause di decadenza e di sospensione da cariche presso le regioni, gli enti locali, le loro aziende e consorzi e le aziende sanitarie locali e ospedaliere» (4512) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Calabria e Narducci.

Trasmissione dal Comitato interministeriale per la programmazione economica.

La Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica, in data 13 settembre 2011, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, comma 4, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, le seguenti delibere CIPE, che sono trasmesse alla V Commissione (Bilancio), nonché alle Commissioni sottoindicate:
n. 10 del 2011 del 5 maggio 2011, concernente «Programma delle infrastrutture strategiche (legge n. 443 del 2001). Metrotranvia di Bologna - Tratta Fiera Michelino-stazione FS e Tratta stazione FS-Malvasia per le sole opere civili al grezzo. Rettifica delibera n. 74 del 2009» - alla IX Commissione (Trasporti);
n. 16 del 2011 del 5 maggio 2011, concernente «Piano nazionale per l'edilizia abitativa. Accordi di programma ex articolo 4 decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 16 luglio 2009» - alla VIII Commissione (Ambiente);
n. 18 del 2011 del 5 maggio 2011, concernente «Fondo sanitario nazionale 2008. Assegnazione alle regioni della quota vincolata per la prevenzione e cura della fibrosi cistica (legge n. 548 del 1993)» - alla XII Commissione (Affari sociali);
n. 19 del 2011 del 5 maggio 2011, concernente «Fondo sanitario nazionale 2008. Assegnazione alla regione Piemonte delle risorse accantonate per il finanziamento del progetto interregionale "Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari - 2010" (delibera CIPE n. 25 del 2009)» - alla XII Commissione (Affari sociali);
n. 24 del 2011 del 5 maggio 2011, concernente «Fondo sanitario nazionale 2009. Ripartizione tra le regioni delle risorse aggiuntive destinate al finanziamento dei maggiori oneri connessi alla regolarizzazione dei cittadini extracomunitari occupati in attività di assistenza alla persona e alle famiglie come lavoratori domestici» - alla XII Commissione (Affari sociali);
n. 32 del 2011 del 5 maggio 2011, concernente «Aggiornamento del contratto di programma tra il Ministero dello sviluppo economico e la società "Aerospaziale Mediterranea Scarl (SAM 2)"» - alla X Commissione (Attività produttive);
n. 34 del 2011 del 5 maggio 2011, concernente «Aggiornamento del contratto di programma tra il Ministero dello sviluppo economico e il "Consorzio per lo sviluppo integrato del sistema agroindustriale del Piemonte"» - alla XIII Commissione (Agricoltura);
n. 35 del 2011 del 5 maggio 2011, concernente «Contratto di programma tra il Ministero delle attività produttive (ora Ministero dello sviluppo economico) e il Consorzio "BSI Baronia sviluppo impresa Scpa". Aggiornamento e proroga del termine di ultimazione degli investimenti» - alla XIII Commissione (Agricoltura);
n. 36 del 2011 del 5 maggio 2011, concernente «Contratto di programma tra il Ministero delle attività produttive (ora Ministero dello sviluppo economico) e il "Consorzio Tirreno sviluppo Scarl". Aggiornamento e proroga del termine di ultimazione degli investimenti» - alla X Commissione (Attività produttive);
n. 37 del 2011 del 5 maggio 2011, concernente «Contratto di programma tra il Ministero delle attività produttive (ora Ministero dello sviluppo economico) e "All. Coop società cooperativa agricola". Proroga del termine di ultimazione degli investimenti» - alla XIII Commissione (Agricoltura);
n. 38 del 2011 del 5 maggio 2011, concernente «Contratto di programma tra il Ministero delle attività produttive (ora Ministero dello sviluppo economico) e il "Consorzio nautico polifunzionale campano Scarl". Proroga del termine di ultimazione degli investimenti» - alla IX Commissione (Trasporti).

Atti di controllo e di indirizzo.

Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell'Allegato B al resoconto della seduta odierna.

DISEGNO DI LEGGE: S. 2887 - CONVERSIONE IN LEGGE, CON MODIFICAZIONI, DEL DECRETO-LEGGE 13 AGOSTO 2011, N. 138, RECANTE ULTERIORI MISURE URGENTI PER LA STABILIZZAZIONE FINANZIARIA E PER LO SVILUPPO. DELEGA AL GOVERNO PER LA RIORGANIZZAZIONE DELLA DISTRIBUZIONE SUL TERRITORIO DEGLI UFFICI GIUDIZIARI (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 4612)

A.C. 4612 - Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

La Camera,
visto l'articolo 99 della Costituzione;
vista la legge 30 dicembre 1986, n. 936, e successive integrazioni e modificazioni;
visto l'articolo 17 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, modificativo della composizione del Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro (CNEL);
preso atto delle modifiche apportate dal Senato della Repubblica al medesimo articolo 17, in sede di prima lettura per la conversione parlamentare;
considerato che tali modificazioni, finché non saranno trasposte nell'ordinamento regolamentare interno dei CNEL, potrebbero astrattamente indurre interpretazioni controverse delle stesse disposizioni normative, con il conseguente rischio di conflittualità interne tali da non agevolare il buon funzionamento di un Organo di rilevanza costituzionale;
ritenuto che il chiaro tenore letterale delle disposizioni recate dal menzionato articolo 17, inserite in un contesto legislativo emergenziale proteso alla più drastica riduzione dei costi gravanti sulla finanza pubblica, non possa non incidere direttamente ed immediatamente su tutte le strutture collegiali, interne del CNEL, con la sola eccezione dell'Assemblea e della Commissione speciale di cui all'articolo 16 della menzionata legge n. 936 del 1986, determinando un assetto transeunte che, in attesa dell'insediamento della nuova consiliatura, può gestire soltanto le funzioni di cosiddetta «ordinaria amministrazione», cioè senza assumere iniziative che potrebbero rivelarsi vincolanti per il nuovo assetto del CNEL;
ritenuto che tale assetto transeunte debba essere limitato quanto più possibile nel tempo, anche per evitare un eccessivo rallentamento nello sviluppo del programma di attività del CNEL,

impegna il Governo

ad interpretare le disposizioni recate dall'articolo 17 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, nel testo modificato ed approvato dal Parlamento in sede di conversione in legge, nel senso che l'Assemblea del Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro, nella composizione già prevista dalla legge 30 dicembre 1986, n. 936, sussiste fino al termine previsto dalle stesse disposizioni al solo fine di adempiere, qualora richiesto, all'obbligo di legge previsto dall'articolo 11, comma 2, della legge 30 dicembre 1986, n. 936;
al fine di evitare ogni possibile soluzione di continuità nel funzionamento di un Organo di rilevanza costituzionale come il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro, a valutare l'opportunità di provvedere con estrema urgenza alla formalizzazione dei provvedimenti indicati nella norma legislativa de qua per la ricostituzione della nuova consiliatura, con la quale si potrà provvedere, in pari urgenza, alla nomina dei nuovi vicepresidenti ed alla conseguente ricostituzione dell'ufficio di presidenza e delle commissioni istruttorie.
9/4612/1. Bruno.

La Camera,
premesso che:
l'elaborazione giurisprudenziale nazionale e comunitaria successiva all'emanazione della legge 27 dicembre 2002 n. 289, espone i contribuenti che si avvalsero delle disposizioni recate dalla stessa aderendo al concordato fiscale in materia di imposta sul valore aggiunto, all'azione di accertamento per l'anno 2002 in quanto i relativi termini, in applicazione dei commi 24, 25, 26 dell'articolo 37 del decreto-legge n. 223 del 2006, andrebbero a scadere il 31 dicembre 2011;
appare conforme a giustizia e al principio della certezza del diritto che da parte dello Stato venga mantenuto fermo l'impegno allora assunto che, a fronte del pagamento delle somme dovute a titolo di concordato, escludeva dal possibile accertamento tra le annualità per le quali era possibile procedere al detto concordato l'anno 2002,

impegna il Governo

a valutare anche alla luce dei principi richiamati nel secondo capoverso delle premesse, gli effetti applicativi delle disposizioni di cui all'ultimo periodo del comma 5-ter dell'articolo 2, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a dichiarare non più accertabili le violazioni in materia di imposta sul valore aggiunto per l'anno 2002 per i contribuenti che si avvalsero delle disposizioni di cui alla legge 27 dicembre 2002, n. 289 e che abbiano integralmente corrisposto le somme dovute.
9/4612/2. Laboccetta.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 2, comma 3 del decreto-legge in esame prevede che l'AAMS - Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato del Ministero dell'economia e delle finanze con decreti del dirigente pro tempore emani entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del decreto stesso, tra l'altro, tutte le disposizioni in materia di giochi pubblici utili al fine di assicurare maggiori entrate da attribuire all'Erario dello Stato;
al suddetto dirigente pro tempore è attribuita la facoltà di introdurre nuovi giochi, adottare nuove modalità per quelli già esistenti, indire nuove lotterie nonché variare la misura del PREU-prelievo erariale unico, la percentuale del compenso per le attività di gestione e di quella dei punti vendita; la formulazione del testo, è stato autorevolmente evidenziato dal servizio studi del Senato, dalla Commissione bilancio di quel ramo del Parlamento e dalla Corte dei conti, si connota per la sua assoluta genericità laddove essa effettua un riferimento a tutte le disposizioni in materia di giochi utili per il conseguimento di nuove e maggiori entrate e per evidenti profili di incostituzionalità;
la norma poi rileva pienamente il suo carattere di approssimazione, quando elenca gli ambiti in cui il direttore pro tempore dell'AAMS potrà dettare disposizioni a mo' di esemplificazione, utilizzando l'espressione tra l'altro quando invece sarebbe necessario un elenco esaustivo;
il testo inoltre non individua alcun puntuale criterio per circoscrivere l'ambito dell'attività di normazione attribuito a quel pubblico impiegato;
l'attribuzione del potere di normazione, forse per una svista del legislatore, attiene anche alla possibilità che con proprio decreto il direttore pro tempore possa addirittura variare la misura di un'imposta quale è il PREU-prelievo erariale unico, della quale sono soggetti passivi i concessionari dello Stato per il gioco lecito, non essendo tale sua natura di imposta nemmeno in discussione;
la riserva di legge di cui all'articolo 23 della Costituzione non appare poter essere derogata in maniera tanto approssimativa ed in favore di un semplice impiegato pubblico, quantunque investito di funzioni dirigenziali che, per il principio di immedesimazione, lo facciano identificare con l'Ente presso il quale presta attività lavorativa;
la norma viola poi l'articolo 41 della Costituzione laddove conferisce al suddetto funzionario la facoltà di dettare disposizioni che possano comportare la variazione dei compensi per le attività di gestione e per quella dei punti vendita, compensi che sono determinati contrattualmente sulla base delle condizioni di mercato e dell'esplicarsi della libera concorrenza tra i concessionari dello Stato per il gioco lecito;
la precedente previsione potrebbe essere giustificata soltanto allorquando il compenso previsto per le attività della filiera del gioco lecito, concessionario-gestore-esercente, avesse la natura di aggio e non quella, pur essa non in discussione, di compenso per le attività condotte in regime di concessione,

impegna il Governo

ad attivarsi nell'immediato al fine di evitare di sottoporre all'approvazione del Parlamento norme che presentino caratteri di genericità e approssimazione tanto evidenti e che si appalesino sin dalla loro emanazione come in contrasto con il dettato costituzionale.
9/4612/3. Mazzocchi.

La Camera,
premesso che:
il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e lo sviluppo, sancisce che: fermo restando quanto previsto dalla legge 20 luglio 2004, n. 215, e successive modificazioni, le cariche di deputato e di senatore, nonché le cariche di governo di cui all'articolo 1, comma 2, della citata legge n. 215 del 2004, sono incompatibili con qualsiasi altra carica pubblica elettiva di natura monocratica relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali aventi, alla data di indizione delle elezioni o della nomina, popolazione superiore a 5.000 abitanti, fermo restando quanto previsto dall'articolo 62 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;
l'attuazione di tale norma costituirebbe un grave vulnus alla rappresentanza politica delle realtà locali che hanno attualmente la possibilità di essere rappresentate in modo diretto, attraverso i propri sindaci, in un Parlamento dove manca una camera che rappresenti espressamente le autonomie locali;
l'incompatibilità provocherebbe un aggravio di spesa per le casse dello Stato stimabile dagli 8 ai 12 milioni di euro in considerazione del fatto che l'articolo 83 del testo unico sugli enti locali del 2000 già sancisce il divieto di cumulo sia per le indennità che per i gettoni di presenza per coloro che ricoprono il doppio incarico di sindaco e parlamentare. Tale divieto è stato inoltre ribadito e precisato dal decreto-legge n. 78 del 2010 che lo estende a qualsiasi emolumento;
in caso di approvazione della norma sull'incompatibilità il costo dei sindaci di comuni oltre i 5.000 abitanti andrebbe a gravare sui bilanci comunali e quindi sulla spesa complessiva della pubblica amministrazione che versa in grave difficoltà;
pare irragionevole considerare suscettibili di provocare conflitti di interessi con il mandato parlamentare gli incarichi di sindaco nei piccoli e medi comuni, ovvero sotto i 20.000 abitanti come previsto dalla normativa vigente, le cui vicende politico-amministrative in nessun modo possono interferire o condizionare la vita politica nazionale;
l'eliminazione dell'incompatibilità è suggerita anche dalla necessità di mantenere una coerenza ordinamentale (essendo necessario mantenere un sostanziale parallelismo con le previsioni in materia di ineleggibilità, che invece continuano a fare riferimento ai sindaci di comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti) e di possibile illegittimità costituzionale di una norma che, in modo indiscriminato, assoggetterebbe all'obbligo di opzione amministratori locali di comuni con popolazione inferiore ai 20.000 abitanti eletti in un momento storico in cui (come dimostra la giurisprudenza delle Giunte delle elezioni di Camera e Senato inaugurata nel 2002 e ribadita di recente nella corrente legislatura) nessuna previsione di incompatibilità era prevista dall'ordinamento, tanto più che non è stato ancora previsto ed attuato il Senato delle autonomie,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni di cui all'articolo 13, comma 3, affinché in un prossimo provvedimento legislativo venga elevata ad almeno 20.000 abitanti la soglia di popolazione degli enti pubblici territoriali per i quali la carica relativa all'organo di governo monocratico elettivo è considerata incompatibile con le cariche di deputato e senatore, considerato che nell'ordinamento costituzionale non è prevista una camera in cui siano rappresentate le autonomie locali.
9/4612/4. Carlucci, Cera, Rubinato.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento contenuto all'articolo 1 del disegno di legge di conversione, relativo al riordino degli uffici giudiziari è non solo condivisibile ma addirittura indispensabile al fine di rendere più efficiente l'amministrazione della giustizia, e garantire la migliore allocazione delle risorse umane e strumentali delle sedi;
in considerazione della valutazione di impatto sul territorio e la presenza massiccia di un sistema criminale fortemente aggressivo e pervicace, alcuni uffici apparentemente periferici svolgono un notevole carico di lavoro;
la provincia di Messina costituita da 108 comuni raccoglie un vasto bacino di utenza e la fruizione di alcuni servizi, soprattutto per gli abitanti di piccoli comuni, è ostacolata sia dalla distanza geografica dalle sedi di erogazione del servizio stesso, sia delle specificità geografiche connesse al territorio;
attuare l'accorpamento della sede del tribunale del comune di Patti a quella di Barcellona Pozzo di Gotto, comporterebbe la fattispecie che una notevole fetta del territorio, purtroppo afflitta da frange importanti di criminalità sarebbe privata di un ufficio giudiziario di riferimento,

impegna il Governo

a riconsiderare, in sede di attuazione della delega di cui all'articolo 1 del disegno di legge di conversione, questo specifico accorpamento, estendendo la medesima valutazione anche ad altre sedi situate sul territorio nazionale, in considerazione di quanto previsto dalla lettera b) in materia di tasso d'impatto della criminalità organizzata.
9/4612/5. Germanà.

La Camera,
in sede di esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, concernente: Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari,
premesso che:
molteplici mozioni e ordini del giorno sono stati già approvati dal Parlamento e accolti dal Governo in relazione a diversi provvedimenti approvati nel corso di questa legislatura in cui si invitava a rivedere le regole del patto di stabilità per i comuni, con riferimento in particolare agli enti che presentano indici finanziari positivi, in quanto eccessivamente pesanti in termini finanziari e penalizzanti il versante degli investimenti e la crescita del Paese;
la situazione economico finanziaria dei comuni risulta insostenibile a causa delle cospicue riduzioni sul versante delle entrate, a cui si sommano gli obiettivi posti dal patto di stabilità;
il quadro finanziario e fiscale che dovrebbe regolare i rapporti e dettare i comportamenti delle autonomie territoriali, delineato dalla legge n. 42 del 2009 e i relativi decreti attuativi, risulta fortemente o definitivamente compromesso dalle manovre succedutesi negli ultimi due anni;
il quadro normativo risulta caratterizzato da disposizioni che eliminano l'autonomia organizzativa e gestionale dei comuni violando i principi costituzionali contenuti negli articoli 114, 117 e 119 della Costituzione;
la revisione dell'assetto istituzionale dei comuni si sta caratterizzando per il susseguirsi di modifiche ordinamentali disorganiche, confuse e contraddittorie che mettono a repentaglio il funzionamento ordinario degli stessi enti e la possibilità di continuare a erogare i servizi fondamentali ai cittadini;
le disposizioni contenute nel presente provvedimento richiedono una fase successiva di adattamento, attuazione con scadenze temporali non ravvicinate e presentano profili di eventuale incostituzionalità con il ruolo costituzionale assegnato ai comuni,

invita il Governo

a procedere entro 15 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto all'istituzione di una Commissione mista paritetica, composta dal Governo e dai rappresentanti delle regioni, delle province e dei comuni con il compito di fare una verifica della legislazione vigente in materia di patto di stabilità, costi di funzionamento degli organi e degli apparati della Repubblica, assetto istituzionale ed amministrativo con l'obiettivo di predisporre una proposta di riforma complessiva in senso federale entro 60 giorni secondo i principi di riduzione degli organi e dei costi, di soppressione delle duplicazioni, di semplificazione dei processi decisionali e di valorizzazione dell'autonomia dei territori e della responsabilità verso i cittadini.
9/4612/6. Osvaldo Napoli.

La Camera,
premesso che:
il sistema del trasporto pubblico locale, strategico per il Paese, è soggetto da anni ad un trend di risorse decrescenti che ne limitano lo sviluppo;
l'ultima legge di finanza pubblica aveva già operato una significativa riduzione delle risorse con le relative conseguenze in termini di servizio, tariffe e investimenti a favore della qualità dei servizi;
il provvedimento in esame prevede ulteriori interventi che si rifletteranno su una situazione del settore già sensibilmente deficitaria;
in tale quadro è indispensabile coniugare la necessaria certezza e stabilità delle risorse stanziate con un sistema di regole in grado di garantire un assetto concorrenziale idoneo allo sviluppo del TPL e di incentivare l'efficientamento del settore;
in tale ottica è necessario prevedere tanto una corretta e mirata applicazione dei principi concorrenziali introdotti nel settore dei servizi pubblici locali quanto un sistema trasparente di definizione degli obblighi di servizio imposti che tengano conto delle peculiarità dal mercato del TPL e dell'esigenza di garantire un'allocazione efficiente delle risorse;
è opportuno coordinare le previsioni di cui agli articoli 1 e 4 del decreto-legge 13 agosto, n. 138, con i principi introdotti dalla legge delega 5 maggio 2009, n. 42, in materia di federalismo fiscale, con riferimento all'introduzione del criterio dei costi standard per la quantificazione delle risorse attribuite alle regioni,

impegna il Governo

a modificare/integrare l'attuale quadro regolatorio del trasporto pubblico locale prevedendo che:
il trasporto pubblico locale sia soggetto unicamente alla concorrenza per il mercato;
sia attribuita alla struttura paritetica introdotta dall'articolo 1, comma 13, dal decreto-legge in esame il compito di definire in via prioritaria i criteri di determinazione dei costi standard associati alla fornitura dei servizi e, parallelamente, introdotto l'obbligo in sede di gara di definire le compensazioni per obblighi di servizio pubblico secondo il criterio dei costi standard, garantendo alle imprese un ragionevole margine di utile.
9/4612/7.Distaso.

La Camera,
premesso che:
un'efficiente, attuale ed economicamente utile riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari non si attua attraverso la immotivata soppressione di alcuni tribunali ma, piuttosto, attraverso un'ampia e complessiva disamina delle esigenze socio-economico-territoriali di tutti gli uffici in cui si amministra la giustizia;
le tematiche legate alla riorganizzazione degli uffici giudiziari, ai fini di un rapido, efficiente e paritetico funzionamento di essi, non possono essere trattate e decise sotto la spinta dell'emergenza e, soprattutto, con lo strumento della delega legislativa che di per sé esclude ogni forma di contraddittorio con le parti interessate da tali modifiche, né possono formare oggetto di soluzioni definitive senza un previo confronto tra gli operatori del settore,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di predisporre motivazioni e criteri, nel quadro del rientro economico e finanziario, validi a giustificare eventuali soppressioni di presidi giudiziari che si sono inseriti funzionalmente nei territori interessati amministrando in maniera efficace le istanze di giustizia, coinvolgendo nell'azione di riarticolazione territoriale il sistema delle autonomie locali per averne ausilio, sostegno ed indicazioni propositive, in modo da evitare discrasie e turbative di ordine socio-istituzionale che potrebbero mettere in forse l'azione riorganizzatrice delegata con questo provvedimento al Governo.
9/4612/8.Giorgio Merlo, Mario Pepe (PD), Lovelli.

La Camera,
premesso che:
i tagli di spesa agli enti locali previsti nel provvedimento in esame rischiano di mandare in default il loro sistema gestionale con un impatto ancora più devastante sui settori più delicati e sensibili, quali quelli del welfare familiare e sociale, provocando una grave e profonda disgregazione sociale;
la riduzione delle risorse destinate a far fronte ai bisogni crescenti dei cittadini rischia di incidere pesantemente sulla capacità delle comunità territoriali, soprattutto quelle socialmente più disagiate, di garantire livelli e prestazioni di servizi essenziali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di avviare una ricognizione analitica dei servizi erogati negli enti locali, anche in coerenza con la legge n. 42 del 2009 sul federalismo che garantiva livelli e prestazioni di servizi essenziali alle comunità, corrispondendo alle nuove istanze di socializzazione che provengono dalle autonomie territoriali, in modo da predisporre un piano organico ed adeguato di riorganizzazione dei servizi corrispondenti ai nuovi bisogni ed alle nuove domande del welfare familiare e sociale, tenendo in considerazione particolare le comunità territoriali socialmente più disagiate.
9/4612/9.Mario Pepe (PD).

La Camera,
preso atto che le norme in approvazione appesantiscono fortemente i conti degli enti locali chiamandoli ad una forte corresponsabilità nei sacrifici imposti a tutta la comunità;
che già nel recente passato sono stati imposti forti tagli alle amministrazioni locali tali da mettere in crisi i bilanci dei comuni;
rilevato che più volte il Governo ha sottolineato la necessità di riconoscere concrete agevolazioni ai comuni che hanno rispettato in questi anni il «Patto di stabilità»,

impegna il Governo

con riferimento anche ad altri ordini del giorno presentati in questa Assemblea a firma del sottoscritto ed approvati dal Governo:
ad emanare normative chiare sulle norme finanziarie da applicare, in tempi certi e tali da permettere ai comuni di avere il tempo di adeguarsi alla normativa;
di favorire concretamente l'operabilità finanziaria dei comuni in regola con i patti di stabilità e che hanno giacenze liquide di fondi affinché non si fermino i tempi di pagamento ai fornitori bloccando di fatto la macchina produttiva e con conseguenze molto negative per le imprese, soprattutto in questo momento difficile di crisi economica e occupazionale.
9/4612/10.Zacchera.

La Camera,
premesso che:
l'efficienza del sistema giudiziario nel nostro Paese presuppone necessariamente un'efficace distribuzione sul territorio nazionale degli uffici giudiziari e l'adeguatezza della loro struttura dimensionale;
la revisione della geografia giudiziaria da un lato e delle dimensioni degli uffici giudiziari dall'altro rappresentano una priorità da perseguire prevedendo l'individuazione di una rete omogenea di tribunali ordinari, secondo criteri obiettivi di prossimità di tipo socioeconomico e territoriale, con particolare attenzione alle zone di forte criminalità organizzata, a quelle con intensa densità abitativa e ove vi sia una rilevante domanda di giustizia,

impegna il Governo

a valutare la possibilità, prima di avviare la modifica delle circoscrizioni territoriali degli uffici giudiziari inquirenti e giudicanti, di disporre attraverso i propri uffici, senza maggiori oneri per la finanza pubblica e sentiti il CSM, il CNF, l'OUA, gli ordini professionali territoriali, l'ANCI e le amministrazioni locali interessate, uno studio basato:
a) sulla ricognizione dei costi e dei risparmi effettivi, anche in termini di bilancio sociale e di costi indiretti a carico dei cittadini utenti, derivanti dalle ipotesi di diversa articolazione territoriale rispetto a quella in essere;
b) sulla verifica dell'attuale tempestività nell'erogazione del servizio giustizia ai cittadini e sulle ipotesi previsionali di efficienza ed efficacia del servizio giustizia nelle ipotesi di riassetto territoriale programmato;
c) sul principio della sussidiarietà e prossimità del servizio giustizia;
d) sull'eventuale possibile partecipazione degli enti territoriali interessati ai costi del servizio giustizia;
e) sul principio dell'appartenenza dei magistrati e del personale al costituendo sistema distrettuale giudiziario e non alle singole sedi territoriali, con facoltà di mobilità integrale all'interno di tale sistema;
f) sul principio dell'assoluta separazione delle funzioni organizzative e di amministrazione, anche in riferimento alla celebrazione dei giudizi e delle procedure e funzioni giudicanti ed inquirenti, con divieto assoluto di cumolo fra tali funzioni e con assegnazione esclusiva a personale non giudicante ed inquirente delle funzioni di amministrazione ed organizzazione degli uffici, senza dipendenza o vincolo gerarchico con i titolari di funzioni direttive e semidirettive giudiziarie degli uffici giudiziari.
9/4612/11.Cavallaro.

La Camera,
premesso che:
con il Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2009, nonché in quello 2010 e in ultimo per l'anno 2011 alla Tabella 7 «stato di previsione del Ministero dell'istruzione» il capitolo di bilancio riguardo l'istituzione scolastica non statale veniva reintegrato attraverso emendamenti del Governo e grazie ad atti della maggioranza che chiedevano tale misura di reintegro;
con la mozione - Cicchitto, Cota ed altri - n. 1-00154 in materia di parità scolastica e approvata dalla Camera nella seduta di mercoledì 6 maggio 2009, si impegna il Governo, tra le altre cose, a realizzare le condizioni per un'effettiva libertà di scelta educativa fra scuole statali e paritarie incrementando, fin dal disegno di legge di bilancio per il 2010, le risorse destinate al sistema paritario;
confermando che la riduzione della spesa pubblica è elemento essenziale del risanamento economico del Paese, e confermando le priorità contenute nel Documento di programmazione economica e finanziaria e nel suo aggiornamento, risulta essenziale scongiurare un aumento della spesa delle famiglie che la riduzione del fondo per le scuole non statali renderebbe certo,

impegna il Governo

a reintegrare il fondo in bilancio previsionale 2012 «istituzioni scolastiche non statali» garantendo almeno lo stesso livello di finanziamento degli anni precedenti.
9/4612/12.Toccafondi, Rubinato.

La Camera,
premesso che:
la programmazione negoziata è strumento di attuazione di interventi di sviluppo e promozione di attività produttive all'interno di un territorio. Il fine è la creazione di percorsi amministrativi semplificati e il raccordo dei molteplici interessi che agiscono a livello territoriale attraverso la collaborazione interistituzionale e la concertazione economica e sociale; a decorrere dalla sua prima applicazione nel 1997, essa ha contribuito al rilancio produttivo ed economico di diverse aree del Paese, con particolare riguardo alle regioni meridionali;
con il comma 17-ter dell'articolo 2 del decreto-legge n. 225 del 2010 è stata disposta la proroga al 31 dicembre 2011 del termine entro il quale possono essere completate le iniziative agevolate finanziate a valere sugli strumenti della programmazione negoziata, non ancora completate alla data di scadenza delle proroghe concesse ai sensi della vigente normativa, qualora risultino realizzate in misura non inferiore al 40 per cento degli investimenti ammessi;
nell'ambito della portualità turistica diverse rilevanti iniziative; in tale ambito le normative succedutesi nel tempo hanno reso ammissibili taluni interventi inizialmente non finanziabili,

impegna il Governo

in favore dei contratti d'area in regolare corso di esecuzione, aventi ad oggetto interventi nel settore portuale turistico, a valutare la possibilità, in sede di rimodulazione delle risorse o di utilizzo delle risorse rinvenienti dai provvedimenti di revoca di iniziative, di ammettere al finanziamento i progetti e gli investimenti che risultino ammissibili in forza di una disciplina entrata in vigore anche successivamente all'approvazione del relativo contratto d'area.
9/4612/13.Gioacchino Alfano.

La Camera,
premesso che:
il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, accanto alle misure volte a garantire la stabilizzazione finanziaria e a correggere gli andamenti di finanza pubblica, reca disposizioni finalizzate al sostegno dell'economia e alla promozione della crescita;
nel quadro degli interventi che possono contribuire al rilancio del sistema produttivo particolare rilievo assume la facoltà riconosciuta a Cassa depositi e prestiti S.p.A. di assumere partecipazioni in «società di rilevante interesse nazionale in termini di strategicità del settore di operatività, di livelli occupazionali, di entità di fatturato ovvero di ricadute per il sistema economico-produttivo del Paese, e che risultino in una stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico e siano caratterizzate da adeguate prospettive di redditività»;
considerato che sono state individuate come strategiche le società operanti nei settori della difesa, della sicurezza, delle infrastrutture e dei pubblici servizi, dei trasporti, della comunicazione, dell'energia, delle assicurazioni e dell'intermediazione finanziaria, della ricerca e dell'alta tecnologia, nonché quelle che presentano alcune caratteristiche dimensionali;
richiamati gli impegni assunti dal Governo a seguito dell'approvazione, da parte della Commissione bilancio della Camera, della risoluzione 8-00138,

impegna il Governo

a riferire periodicamente al Parlamento in merito ai settori qualificati di interesse nazionale e alle misure che intende adottare per la tutela degli interessi nazionali;
ad adottare iniziative volte ad attribuire al ministro dell'economia e delle finanze un potere di opposizione successiva, da esercitarsi in relazione ad ogni operazione avente ad oggetto società operanti in settori strategici, in modo da assicurare il carattere indistintamente applicabile di tale misura;
a garantire, in particolare, la tutela degli interessi nazionali nel settore dell'energia, con particolare riguardo alle tecnologie applicate alla produzione di energia.
9/4612/14.Polledri.

La Camera,
premesso che:
il comma 6-ter dell'articolo 6, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, prevede che l'Agenzia del demanio, in attuazione di quanto previsto in tema di razionalizzazione della spesa delle pubbliche amministrazioni dall'articolo 12, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, proceda a operazioni di permuta di beni appartenenti allo Stato con immobili adeguati all'uso governativo, allo scopo di poter rilasciare gli immobili in locazione passiva, ovvero appartenenti al demanio e al patrimonio dello Stato ma ritenuti non più idonei ai fini istituzionali;
la medesima disposizione precisa in modo espresso che da tali procedure di permuta sono esclusi gli immobili appartenenti allo Stato assoggettati a una disciplina di carattere speciale e in particolare quelli:
a) compresi negli elenchi dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, di cui all'articolo 3, comma 3, del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, recante «Attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, in attuazione dell'articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42», ai fini del loro trasferimento ai vari livelli di governo territoriale;
b) destinati, ai sensi dell'articolo 2, comma 196-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, a essere alienati dall'Agenzia del demanio ai fini del reperimento delle risorse necessarie per ripianare l'anticipazione di tesoreria concessa in favore del comune di Roma;
il comma 12, dell'articolo 3, dello stesso decreto-legge n. 138 del 2011 interviene sulla disciplina che regola la ripartizione dei proventi derivanti dalle speciali procedure di valorizzazione e alienazione dei beni immobili di pertinenza del Ministero della difesa;
gli articoli 306, 307 e 314 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, recano una disciplina speciale in materia di permuta, valorizzazione e dismissione degli immobili militari finalizzata sia a dare soluzione alla problematica della carenza di alloggi di servizio, sia al reperimento di risorse aggiuntive per il Ministero della difesa, senza oneri per lo Stato, necessario per compensare i provvedimenti di contenimento della spesa pubblica succedutisi negli ultimi anni che hanno inciso in modo particolarmente penalizzante sul bilancio del Dicastero, nonché per avviare il processo di riorganizzazione delle Forze armate;
in sede applicativa del citato comma 6-bis dell'articolo 3 potrebbero sorgere dubbi interpretativi, nel caso in cui non fosse chiarito che dalla sua applicazione sono esclusi gli immobili militari assoggettati alla normativa di carattere speciale sopra richiamata,

impegna il Governo

a dare corretta interpretazione sistematica delle disposizioni di cui al citato comma 6-ter dell'articolo 6, nel senso che dal suo ambito di applicazione, sia con riguardo agli immobili oggetto delle permute da porre in essere da parte dell'Agenzia del demanio, nonché di quelli da rilasciare a fronte delle intervenute operazioni di permuta, sono da intendersi esclusi gli immobili militari la cui permuta, valorizzazione e dismissione è già disciplinata dagli articoli 306, 307 e 314 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66.
9/4612/15.De Angelis, Nola, Moles, Giulio Marini.

La Camera,
premesso che:
l'Italia, nonostante lo scenario di forte turbolenza nei mercati finanziari, aggravatosi nelle ultime settimane, sta affrontando la crisi economico-finanziaria di natura internazionale in condizioni comparativamente migliori, rispetto ad altri paesi dell'area euro, in ragione della forte patrimonializzazione delle famiglie e della consolidata tendenza di esse al risparmio nonché in ragione delle misure adottate dal Governo per il deciso rifinanziamento degli stabilizzatori automatici, segnatamente degli ammortizzatori sociali che hanno consentito, comunque, di fornire un sostegno a coloro che sono stati investiti dalla crisi in prima persona;
nel frattempo, la crisi greca e quella di paesi europei in difficoltà di finanziamento dei loro debiti sovrani hanno reso ancora più instabili i mercati finanziari e ciò ha determinato pesanti riflessi sulle remunerazioni richieste per il finanziamento di tutti i debiti sovrani. Gli attacchi speculativi, che non si manifestavano con questa gravità prima della crisi globale, oggi sono molto più difficili da controllare e se ne è avuta una prova molto evidente nelle passate settimane. I mercati finanziari valutano, pertanto, più che in passato, la sostenibilità dei debiti nazionali in base alla crescita economica dell'intero sistema e alla natura strutturale e virtuosa di lungo periodo delle misure messe in campo dai decisori politici;
considerato che:
la conversione del decreto-legge n. 138 del 13 agosto 2011 costituisce l'occasione per il Parlamento di intervenire per ridefinire il contenuto delle misure contenute nel provvedimento, fatti salvi i saldi e gli obiettivi di bilancio, e migliorare gli aspetti del rigore, responsabilità, coesione sociale ed equità, nonché per incrementare le potenzialità pro crescita della manovra e per riflettere sulle prospettive macroeconomiche dello sviluppo dei conti pubblici;
il Parlamento, nell'approvare e condividere gli interventi d'urgenza imposti dalla situazione innanzi tratteggiata contenuti nel decreto-legge in via di conversione, intende anche sostenere il Governo nel perseguimento degli ulteriori obiettivi di risanamento della finanza pubblica e di sostenibilità dei conti pubblici, unitamente all'adozione di misure per la crescita dell'economia dell'Italia;
le istituzioni comunitarie hanno raccomandato al Governo italiano di completare, dopo le importanti misure di carattere strutturale adottate nell'attuale legislatura, il processo di messa in sicurezza del welfare pensionistico del Paese con particolare riferimento alla sua equità intergenerazionale e di genere, nonché alla sua sostenibilità di lungo periodo:
una risposta concreta in tal senso, data la complessità della materia, può venire soltanto da una riforma organica del sistema pensionistico che migliori le condizioni di equilibrio, sostenibilità ed equità intergenerazionale;
a tal fine, lo strumento più utile e immediato è rappresentato dalla delega di riforma fiscale ed assistenziale approvata dal Governo nella seduta del Consiglio dei ministri del 30 giugno 2011, presentata alla Camera in data 29 luglio 2011 ed attualmente all'esame della VI Commissione (Finanze) della Camera dei deputati;
l'inserimento della materia previdenziale nella delega fiscale e assistenziale già presentata dal Governo contribuirebbe a rendere ancora più credibili e raggiungibili gli importanti obiettivi di miglioramento dei conti pubblici che lo stesso Governo ha affidato alla delega,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di integrare, con adeguate iniziative parlamentari, il disegno di legge delega sulla riforma fiscale ed assistenziale con misure ulteriori di delega per una riforma organica del sistema previdenziale secondo le seguenti linee di intervento:
completamento del processo di armonizzazione dei requisiti anagrafici e contributivi per il diritto al pensionamento di vecchiaia e di anzianità, al fine di conseguire a regime una sola tipologia pensionistica, con il collegamento automatico dell'età pensionabile alle attese di vita come già disposto dalla normativa vigente. In tal senso vanno riviste le regole del pensionamento di anzianità, sia nel sistema delle quote sia in quello dei 40 anni di contribuzione a prescindere dall'età anagrafica;
riordino della contribuzione figurativa al fine di una più adeguata tutela, senza maggiori oneri per la finanza pubblica, delle nuove tipologie e dei nuovi soggetti di lavoro, in un quadro complessivo di razionalizzazione e semplificazione;
completamento delle procedure e modifica dei requisiti e criteri per l'accesso alla totalizzazione di periodi contributivi versati ad enti diversi e revisione dei criteri per la ricongiunzione contributiva, con indicazione dei casi in cui le procedure sono onerose e quelli in cui sono gratuite;
revisione, sentite le rappresentanze delle categorie interessate, dell'ordinamento delle Casse privatizzate per la previdenza e l'assistenza dei liberi professionisti ai sensi del decreto legislativo n. 509 del 1994 e del decreto legislativo n. 103 del 1996, al fine di semplificare gli organi di amministrazione e di controllo;
completamento della riorganizzazione degli istituti ed enti previdenziali su tre poli: uno relativo alla previdenza privata, uno a quella del pubblico impiego ed uno sulla sicurezza e la tutela della salute dei lavoratori;
individuazione di misure atte a favorire la fusione, l'incorporazione e la soppressione di casse privatizzate, secondo criteri di consistenza organizzativa, numero degli iscritti, sostenibilità economica e finanziaria, nonché affinità professionale;
revisione della normativa riguardante il riconoscimento della pensione ai superstiti, introducendo per i futuri trattamenti e in mancanza di figli minori un requisito anagrafico per l'avente diritto per il riconoscimento nel caso di pensione indiretta e un riferimento alla attesa di vita nel caso di pensione di reversibilità.
9/4612/16.Cazzola, Mistrello Destro, Vincenzo Antonio Fontana, Antonino Foti, Pelino, Nizzi, Barani, Vignali, Golfo, Versace.

La Camera,
premesso che:
è sempre più necessario e non più rinviabile un intervento organico capace di portare a compimento la riforma del sistema previdenziale già avviata dal Governo al fine di consentire la costruzione di un sistema solido e che tenga conto anche delle mutate condizioni del mercato del lavoro, nel quale si cambia professione e, quindi, ente previdenziale o categoria più volte nella vita lavorativa;
in considerazione di quanto sopra, il 27 luglio 2011 è stata approvata all'unanimità dall'Aula della Camera la mozione 1-00690, sottoscritta e condivisa dai rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari, che ha impegnato il Governo «ad assumere le opportune iniziative normative per consentire la possibilità di cumulare ai fini del diritto a un unico trattamento pensionistico i periodi assicurativi non coincidenti, di qualsiasi durata, posseduti presso le diverse gestioni attraverso la determinazione pro quota del trattamento stesso senza penalizzazioni, ferma restando la facoltà di attivare - in alternativa - la ricongiunzione onerosa, al fine di ottenere un trattamento di miglior favore, valutando anche le modalità con le quali rimuovere il limite dei tre anni per quanto riguarda la possibilità di totalizzazione; ad assumere le iniziative di competenza, ove possibile anche in sede di interpretazione autentica, per chiarire ab initio i casi di effettiva applicabilità di quanto previsto, in materia di ricongiunzione onerosa, nel decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122»,

impegna il Governo

a dare rapida attuazione a quanto previsto nella mozione 1-00690 anche in considerazione della particolare congiuntura economica che sta attraversando il Paese.
9/4612/17.Versace, Vincenzo Antonio Fontana, Antonino Foti, Cazzola, Vignali.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame dispone all'articolo 8 importanti norme volte anche alla emersione del lavoro irregolare che, ancora oggi ed in maniera diffusa, rappresenta un grave problema nel Paese che, non solo è una palese violazione ai diritti Costituzionali in materia di diritti della persona e di diritto al lavoro ma anche un danno economico all'Erario derivante dal mancato versamento degli oneri contributivi e previdenziali da parte dei datori di lavoro;
in linea con quanto disposto all'articolo 8, al fine di rafforzare la lotta per l'emersione del lavoro irregolare, all'articolo 12 sono disposte nuove norme in materia di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, attraverso l'inserimento del nuovo articolo 603-bis al codice penale;
la norma citata rappresenta un valido mezzo di contrasto anche del cosiddetto «caporalato», fenomeno di intermediazione illecita e di sfruttamento del lavoro irregolare che colpisce le fasce più deboli di lavoratori, con particolare incidenza sulla popolazione di lavoratori stranieri immigrati, anche clandestinamente, nel nostro Paese, che spesso compiono quei lavori pesanti - ma fondamentali per la nostra economia - che vengono rifiutati dai lavoratori italiani;
la norma di contrasto, che è diretta a sanzionare chi commette il reato di intermediazione illecita e di sfruttamento del lavoro, andrebbe accompagnata da misure, anche incentivanti, dirette ai lavoratori irregolari o che si trovino in una delle condizioni previste dal nuovo articolo 603-bis del Codice Penale, volte a rompere le catene della schiavitù e per abbattere il muro dell'omertà che spesso nasconde l'incancrenirsi e il proliferare di tali violazioni e fenomeni quali il cosiddetto «caporalato»,

impegna il Governo

a valutare l'introduzione di provvedimenti normativi che possano agevolare, nel rispetto delle vigenti norme sull'immigrazione, la permanenza regolare dei lavoratori stranieri nel nostro Paese che, trovandosi nelle condizioni di cui al nuovo articolo 603-bis, come introdotto dall'articolo 12 del provvedimento in esame, consentano alle forze dell'ordine di intervenire con efficacia nelle azioni di lotta e repressione dei fenomeni di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
9/4612/18.Antonino Foti, Cazzola, Barani, Nizzi, Vignali.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 43-bis del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito con modificazioni dalla legge del 27 febbraio 2009, n. 14, ha stabilito la reimmissione in possesso agli Enti previdenziali pubblici degli immobili a suo tempo conferiti alla Società di cartolarizzazione degli Immobili Pubblici (SCIP);
con la suddetta disposizione legislativa sono state confermate le modalità di determinazione del prezzo, le tutele e le garanzie sociali vigenti per i conduttori, in particolare quelle previste dal comma 20 dell'articolo 3 della legge n. 410 del 23 novembre 2001;
la grave emergenza abitativa che investe le grandi aree urbane, dove sono massimamente collocati tali immobili, richiede interventi atti a promuovere l'accesso alla proprietà della prima casa e a garantire il diritto all'abitazione per i nuclei con redditi medio bassi;
attraverso la ripresa del processo di alienazione agli inquilini e la definizione delle posizioni irregolari pendenti si possono determinare entrate finanziarie cospicue,

impegna il Governo

intervenire presso gli Enti previdenziali pubblici e con tutti gli atti necessari:
affinché vengano adottati celermente tutte le procedure e gli atti necessari per la ripresa del processo di alienazione diretta agli inquilini degli immobili reimmessi nel possesso degli Enti Previdenziali Pubblici, con il prezzo, le tutele e le garanzie stabilite dalla legge, da avviare comunque entro il 31 dicembre 2011;
affinché venga aperto un tavolo negoziale con le organizzazioni sindacali degli inquilini per la regolarizzazione dei senza titolo o delle assegnazioni irregolari, al fine di evitare l'esplodere di gravi situazioni di disagio sociale;
a impartire precise disposizioni affinché, nelle more dei provvedimenti da assumere, venga differita l'esecuzione di sfratti o sgomberi pendenti, in particolare nelle grandi aree urbane e la sospensione delle aste riguardanti unità immobiliari ad uso residenziale che non risultino effettivamente libere.
9/4612/19.Morassut.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 18 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, al comma 1, prevede che «i Parlamentari, gli amministratori pubblici, i dipendenti delle amministrazioni dello Stato, centrali e periferiche, anche a ordinamento autonomo, gli amministratori, i dipendenti e i componenti degli enti e organismi pubblici, di aziende autonome e speciali, di aziende a totale partecipazione pubblica, di autorità amministrative indipendenti o di altri enti pubblici e i commissari straordinari che, per gli spostamenti e le missioni legate a ragioni di servizio all'interno dei Paesi appartenenti al Consiglio d'Europa utilizzano il mezzo di trasporto aereo, volano in classe economica. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 1, comma 216, della legge 23 dicembre 2005, n. 266»;
considerato che il comma 2 dell'articolo 1 del decreto legislativo 165 del 2001 detta la definizione di amministrazioni pubbliche. Intendendo per tali: tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni di cui al presente decreto continuano ad applicarsi anche al CONI;
stante quanto sopra, le norme che si riferiscono ad aziende tra l'altro specificando «a totale partecipazione pubblica», non potrebbero trovare applicazione alle società che non sono evidentemente, pur se l'azionariato è pubblico, amministrazioni dello Stato;
conseguentemente, l'articolo 18 citato, non troverebbe applicazione per le società pubbliche;
inoltre, de iure condendo, qualora si volesse artatamente ritenere applicabile la normativa de qua anche alle società non si ritiene possa estendersi, comunque, alle società non inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione ovvero a quelle market unit;
le società pubbliche non inserite nel bilancio consolidato della pubblica amministrazione, infatti, operano in mercati direttamente esposti alla concorrenza (stante la progressiva e definitiva liberalizzazione dei mercati di riferimento), sono soggette a specifiche discipline di settore che garantiscono, oltre alla trasparenza e alla correttezza dei rapporti con gli stakeholder, il regolare funzionamento dei meccanismi competitivi ed il perseguimento della massima efficienza - e qualità - del servizio prestato a beneficio degli utenti finali;
per tali imprese, dunque, la natura principale di soggetti sottoposti al mercato funge da diaframma rispetto alle regole pubblicistiche con conseguente applicazione della disciplina di diritto privato comune alle altre imprese anche quando vengono svolte attività aventi carattere non commerciale industriale;
per le descritte caratteristiche soggettive e per il fatto di operare secondo regole e modelli organizzativi di diritto privato e in regime di concorrenza, le suddette aziende pubbliche, pertanto, non possono essere equiparate alla pubblica amministrazione, con conseguente necessità di non estendere l'applicazione della disciplina di contenimento della spesa pubblica necessariamente afferente alle pubbliche amministrazioni alle società operanti sul mercato e pertanto non gravanti sul bilancio dello Stato;
tali società conseguendo ricavi da mercato sono conseguentemente esposte alle dinamiche della concorrenza, pertanto tale norma, qualora non interpretata come suddetto, appare discriminatoria rispetto ad altri operatori privati;
è necessario, pertanto, come è stato per norme in precedenza emanate e tutt'ora vigenti - tra cui l'articolo 2, comma 2, CAD (decreto legislativo 82 del 2005), l'articolo 61, comma 7, decreto-legge 112 del 2008, l'articolo 19 del decreto-legge 78 del 2009, l'articolo 9 comma 29 decreto-legge 78 del 2010 - riconoscere la diversità strutturale, oltre che funzionale, delle società pubbliche non inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione rispetto alle amministrazioni pubbliche, consentendo di evitare irragionevoli equiparazioni tra entità pubbliche in senso stretto e modelli di organizzazione ed attività di stampo prettamente civilistico, quali quelli delle società commerciali, per il solo fatto di essere l'azionariato in mano pubblica,

impegna il Governo

ad adottare ogni utile misura di natura applicativa o interpretativa, volta ad assicurare certezza applicativa all'articolo 18 comma 1 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 nel senso riportato in premessa, potendone confermare la condivisibilità anche nelle forme sopra descritte.
9/4612/20.Aracu.

La Camera,
considerato che:
il rilancio del settore strategico delle telecomunicazioni e l'innovazione e la modernizzazione della rete di telecomunicazioni italiana, infrastruttura di fondamentale importanza per l'Italia, sono potenti fattori di crescita della produttività e dello sviluppo dell'economia, ovvero strumento strategico di competitività dei Paese;
risulta fondamentale partecipare attivamente all'attuazione dell'Agenda digitale centrando gli obiettivi che prevedono per il 2013 la banda larga di base per tutti e al 2020 la banda larga veloce al fine di creare un mercato unico digitale;
il presidente dell'autorità per la garanzia nelle comunicazioni, lo scorso 5 settembre, in una segnalazione inviata al Governo e al Parlamento, in merito all'esame di conversione del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 nel sottolineare che gli investimenti nelle reti di nuova generazione fisse e mobili sono indispensabili per il progresso tecnologico ed economico del Paese osserva che nonostante il vincolo del pareggio di bilancio determini una limitazione dei possibili interventi ciò non li esclude totalmente, bensì li seleziona;
studiosi e organismi internazionali, attraverso stime accertate, sostengono che le tecnologie dell'informazione e della comunicazione (ITC) sono alla base del recupero di produttività per migliorare la concorrenza internazionale di un paese e per creare nuova occupazione;
attualmente nessun altro settore è in grado di accelerare in misura comparabile la crescita e lo sviluppo di un paese, in un momento in cui se ne avverte così fortemente la necessità. Ciò vale ancora di più per il nostro Paese, che versa in un evidente debito di crescita e, dove al contempo, non si investe ancora abbastanza in ICT;
l'asta in corso per l'assegnazione dei diritti d'uso delle frequenze per le telecomunicazioni a larga banda mobile rappresenta l'esempio più calzante del contributo che il settore può offrire al delicato momento economico, sia per quanto attiene al profilo delle entrate, sia per quanto attiene al potenziale di crescita per l'economia che la misura può innescare;
l'asta è attualmente in pieno svolgimento e, grazie anche alle regole poste dall'Autorità, sta determinando un incasso per lo Stato significativamente superiore all'obiettivo minimo dei 2,4 miliardi inserito nella legge di stabilità 2011;
come sottolinea infine l'autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nella nota sopra citata, l'ammontare, ad oggi vicino a 3 miliardi di euro, potrebbe consentire di assegnare le maggiori entrate accertate rispetto ai 2,4 miliardi di euro per misure di sostegno al settore delle comunicazioni,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa utile in ordine alla finalizzazione di una quota specifica degli introiti eccedenti i 2,4 miliardi di euro, derivanti dall'asta delle frequenze a misure di sostegno, nelle regioni del Mezzogiorno, per la banda larga e le reti di nuova generazione.
9/4612/21.Lo Monte, Commercio, Lombardo, Oliveri.

La Camera,
considerato che:
il provvedimento all'articolo 5-bis, comma 1, al fine di consentire lo sviluppo delle regioni meridionali e l'utilizzo delle risorse finanziarie comunitarie, ha stabilito che a decorrere dal 2011 la spesa regionale effettuata annualmente a valere sul fondo per lo sviluppo e la coesione sociale, sui cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari a finalità strutturale, nonché delle risorse individuate ai sensi di quanto previsto dall'articolo 6-sexies del decreto-legge 25 n. 112 del 2008, può eccedere i vincoli del patto di stabilità interno nei limiti stabiliti con decreto del ministro dell'economia e delle finanze;
lo stesso comma 1 del citato articolo 5-bis prevede che l'ambito applicativo del medesimo articolo sia circoscritto alle regioni dell'obiettivo convergenza e che i limiti di spesa che possono essere superati rilevanti ai fini del rispetto del patto di stabilità, siano soltanto quelli fissati per le regioni a statuto ordinario stabiliti dall'articolo 1, commi 126 e 127 della legge 3 dicembre 2010, n. 220 (legge di stabilità 2011);
in base alla programmazione 2007-2013 dei fondi strutturali comunitari nell'obiettivo Convergenza (aree in cui il PIL pro capite risulta inferiore al 75 per cento della media comunitaria), sono incluse, per l'Italia le regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Nell'ambito dello stesso obiettivo si aggiunge la regione Basilicata, che beneficia di un regime transitorio di sostegno (c.d. di phasing-out) per favorirne l'uscita dall'obiettivo;
mentre nell'obiettivo Convergenza sono considerate le regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, nonché la Basilicata in regime di phasing out, il richiamo all'interno del testo dell'A.C. 4612 dei commi 126 e 127, dell'articolo 1 della legge di stabilità 2011 potrebbe escludere la Sicilia, in quanto i predetti commi si riferiscono alle regioni a statuto ordinario, mentre per questa regione, come del resto per le altre regioni a statuto speciale (nella fattispecie la Sardegna), la medesima legge di stabilità rinvia al c.d. patto concordato e fissa specifici obiettivi di risparmio;
per le regioni a statuto speciale, la disciplina del patto di stabilità è dettata dalla stessa predetta legge di stabilità 2011, ma all'articolo 1 commi 131-134, 136-137 e 139. In particolare per ciò che attiene alla norma in esame, il comma 132 conferma la necessità della definizione dell'intesa tra ciascun ente e il Ministero - da raggiungere entro il 31 dicembre di ciascun anno precedente - per determinare il livello complessivo delle spese e dei pagamenti, anche se - contrariamente a quanto avveniva in passato - la misura del concorso agli obiettivi di finanza pubblica è già determinato. Il comma 131, infatti, determina la ripartizione tra gli enti delle somme complessive di contributo agli obiettivi di finanza pubblica stabiliti dall'articolo 14, comma 1 lettera b) del decreto-legge n. 78 del 2010, in 500 milioni di euro per l'anno 2011 e 1.000 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013;
la Tabella 1 allegata legge di stabilità (concordata con le regioni interessate) reca, per ciascuna regione speciale e Provincia autonoma, la quota di risparmio da realizzare per ciascuno degli anni 2011, 2012 e 2013. Ciascuna regione e Provincia autonoma dovrà ridurre il proprio tetto di spesa tendenziale della somma indicata in tabella. Il tetto di spesa tendenziale deve essere considerato come da osservanza del patto di stabilità degli esercizi precedenti. Per la Sicilia questa somma è pari a 198,5 milioni di euro per il 2011, e 397,1 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013;
pertanto sulla base di una interpretazione restrittiva delle disposizioni di cui al predetto articolo, le regioni Sicilia, Sardegna, Molise e Basilicata potrebbero risultare inevitabilmente escluse da benefici previsti dallo stesso,

impegna il Governo

a provvedere all'emanazione di una apposita circolare interpretativa al fine di chiarire che tutte le regioni coinvolte nel Piano per il Sud rientrano nell'ambito applicativo dell'articolo 5-bis.
9/4612/22.Commercio, Lo Monte, Lombardo, Oliveri, Gianni.

La Camera,
considerato che:
la razionalizzazione dell'allocazione degli uffici giudiziari prevista da una delega contenuta nel testo del suddetto decreto-legge, oltre che rispondere a esigenze di economicità non può che essere obiettivo condivisibile nell'ottica della rifunzionalizzazione della giurisdizione e della massima efficienza del sistema;
tuttavia il richiamo alla dimensione provinciale come primario criterio di permanenza dei presidi giudiziari non può e non deve essere l'unico riferimento previsto come tale. Invero, tanto potrebbe giustificarsi solamente se ciascuna delle province, contrariamente a quanto oggi accade, si caratterizzasse per omogeneità di dimensione geografica, di connotazioni orografiche, di consistenza demografica, oltre che domanda di giustizia e di sistemi di viabilità;
la necessità di assicurare, in nome della garanzia di un diritto per il cittadino a un servizio giustizia che sia efficiente, efficace, adeguato, giusto e accessibile, una corretta proporzionalità tra le strutture e i criteri di riferimento prima sommariamente accennati, impone di introdurre un oggettivo ed inderogabile correttivo al mero riferimento alla dimensione provinciale,

impegna il Governo

a prevedere che, nell'esercizio della delega in argomento, nell'ambito della realizzazione del nuovo disegno organizzativo - che non deve rinunciare in nulla agli obiettivi prefissati di razionalità economicità funzionalità, efficienza della struttura giurisdizionale - il criterio del mantenimento di presidi giudiziari nelle sedi provinciali tenga conto della necessità di una applicazione diversificata in relazione alla diversa dimensione delle province italiane, disponendo che per le province sede di area metropolitana o superiori a un milione di abitanti venga previsto il mantenimento di un ulteriore tribunale oltre quello della sede capoluogo.
9/4612/23.Oliveri, Lo Monte, Commercio, Lombardo.

La Camera,
considerato che:
la razionalizzazione dell'allocazione degli uffici giudiziari prevista da una delega contenuta nel testo del suddetto decreto-legge, oltre che rispondere a esigenze di economicità non può che essere obiettivo condivisibile nell'ottica della rifunzionalizzazione della giurisdizione e della massima efficienza del sistema;
tuttavia il richiamo alla dimensione provinciale come primario criterio di permanenza dei presidi giudiziari non può e non deve essere l'unico riferimento previsto come tale. Invero, tanto potrebbe giustificarsi solamente se ciascuna delle province, contrariamente a quanto oggi accade, si caratterizzasse per omogeneità di dimensione geografica, di connotazioni orografiche, di consistenza demografica, oltre che domanda di giustizia e di sistemi di viabilità;
la necessità di assicurare, in nome della garanzia di un diritto per il cittadino a un servizio giustizia che sia efficiente, efficace, adeguato, giusto e accessibile, una corretta proporzionalità tra le strutture e i criteri di riferimento prima sommariamente accennati, impone di introdurre un oggettivo ed inderogabile correttivo al mero riferimento alla dimensione provinciale,

impegna il Governo

a prevedere che, nell'esercizio della delega in argomento, nell'ambito della realizzazione del nuovo disegno organizzativo - che non deve rinunciare in nulla agli obiettivi prefissati di razionalità economicità funzionalità, efficienza della struttura giurisdizionale - il criterio del mantenimento di presidi giudiziari nelle sedi provinciali tenga conto della necessità di una applicazione diversificata in relazione alla diversa dimensione delle province italiane, valutando che per le province sede di area metropolitana o superiori a un milione di abitanti venga previsto il mantenimento di un ulteriore tribunale oltre quello della sede capoluogo.
9/4612/23.(Testo modificato nel corso della seduta) Oliveri, Lo Monte, Commercio, Lombardo.

La Camera,
considerato che:
il processo d'integrazione europea che ha registrato, da ultimo, un ulteriore passo in avanti con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, si fonda anche sulla realizzata unione doganale tra i paesi membri;
con la legge 15 marzo 1951, n. 191, tuttora vigente, è stato istituito il punto franco del porto di Messina comprendente un'area di 144.000 mq. delimitata secondo le coordinate indicate nella medesima legge istitutiva. Le aree comprese in detta delimitazione sono considerate fuori dalla linea doganale a norma dell'articolo 1 della legge doganale n. 1424 del 1940;
la suddetta legge istitutiva del punto franco recava una norma finale (articolo 14) con cui si prevedeva la costituzione ed il riconoscimento dell'ente incaricato dell'amministrazione e della gestione del punto franco;
detto ente è stato successivamente individuato con decreto del presidente della regione siciliana 10 marzo 1953, n. 270/A, nell'Ente autonomo portuale di Messina (E.A.P.M.), per l'amministrazione e la gestione del punto franco, sotto la vigilanza della Regione siciliana;
a seguito dell'istituzione dell'ente per la gestione del punto franco, con il citato decreto del presidente della regione la cui legittimità non risulta essere mai stata messa in discussione, la legge statale n. 191 del 1951 poteva ritenersi efficace, ai sensi dell'articolo 14 della stessa, ma non applicabile in assenza del decreto ministeriale che, in forza dell'articolo 2, accerti la sussistenza delle condizioni per l'applicazione del regime di punto franco, e del regolamento da emanare ai sensi dell'articolo 15 della stessa legge;
la sussistenza delle condizioni per l'applicazione del regime di punto franco, demandata a suddetto decreto del ministro delle finanze, non è mai venuta, sino ad oggi, a concretizzarsi, stante la mancata emanazione del decreto stesso;
il punto Franco di Messina rappresenterebbe per la città peloritana un moltiplicatore d'impresa, un'opportunità unica ed irripetibile, soprattutto in questo periodo di grave congiuntura economica, in quanto sarà l'unico (poiché, secondo la normativa europea, non se ne potranno realizzare altri in tutta Europa) punto franco al centro del Mediterraneo e quindi sarà il naturale punto di incontro dell'economia di tre continenti e sicuro riferimento dell'economia mondiale;
la città di Messina è da tempo destinataria di una chance che è giunto il momento di cogliere, in una fase storica, come quella attuale, la cui congiuntura economica non consente di tralasciare nessuna delle potenzialità di crescita e opportunità di sviluppo del territorio a vantaggio della comunità locale, certamente, ma anche dell'economia nazionale. Messina gode infatti di una posizione strategica nello scacchiere dei traffici nel Mediterraneo che, come è noto, sono in forte espansione e generano un livello di scambi di grandissima valenza economica che ha già destato l'attenzione di altre città e paesi rivieraschi, pronti ad accogliere le merci in transito con regimi di favore fiscali e doganali;
l'attuazione del punto franco nelle aree demaniali marittime oggi ricadenti nella circoscrizione dell'autorità portuale di Messina agevolerebbe uno sviluppo degli scambi commerciali tra i paesi dell'Unione che si affacciano sul mar Mediterraneo ed i paesi del Nord Africa, già associati in una zona di libero scambio;
il perdurante stato di mancata attuazione della legge n. 191 del 1951 comporta che le aree comprese nel punto franco non sono mai state effettivamente considerate fuori dalla linea doganale della Repubblica e, dunque, risultano parte del territorio doganale della comunità, di cui all'articolo 3 del regolamento (CE) n. 450/2008;
nella zona falcata del porto di Messina che ha ben altre vocazioni e potenzialità, insistono ormai da anni, sopraggiunti vincoli di natura ambientale e storico-culturale. Inoltre studi economici dimostrano che l'estensione dell'area della zona falcata pari a 144.000 mq, a fronte degli oltre 2 milioni di mq del porto di Trieste, è insufficiente per la realizzazione di un punto franco in quanto se le navi dovessero entrare nella zona falcata per uscirvi con le merci lavorate, il traffico nello stretto crescerebbe eccessivamente, incrementando la pericolosità della navigazione;
quanto sopra esposto giustificherebbe la collocazione della pur utile zona franca lontano dalla Falce, ad esempio in zona Giammoro;
risultano essersi succeduti numerosi incontri tra i vertici delle due società e le autorità territoriali nelle persone del presidente della regione Sicilia e del sindaco di Messina al fine di individuare un'area diversa dalla zona falcata,

impegna il Governo

ad emanare il decreto ministeriale di cui all'articolo 15 della legge n. 191 del 1951 al fine di dare piena attuazione al punto franco intercluso nel porto di Messina, la cui permanenza in vigore è stata ritenuta indispensabile dal comma 1 dell'articolo 1 del decreto legislativo 1o dicembre 2009;
ad autorizzare il trasferimento del punto franco del porto di Messina dalla zona falcata dello stesso ad altra area sempre ricadente nella circoscrizione territoriale dell'autorità portuale della città.
9/4612/24.Lombardo, Lo Monte, Commercio, Oliveri.

La Camera,
considerato che:
con l'articolo 5-bis del provvedimento in esame (Sviluppo delle regioni dell'obiettivo convergenza e realizzazione del Piano Sud) - introdotto dalla Commissione bilancio al Senato, si prevedono norme per garantire l'efficacia delle disposizioni finanziarie destinate allo sviluppo delle regioni dell'obiettivo Convergenza e per l'attuazione del cosiddetto «Piano Sud», approvato dal Consiglio dei ministri del 26 novembre 2010;
a decorrere dall'anno finanziario in corso, la spesa effettuata annualmente dalle regioni a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione sociale (decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88) sui cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari aventi finalità strutturale e sulle risorse indicate dall'articolo 6-sexies del decreto-legge n. 112 del 2008 (riprogrammazione fondi FAS), potrà eccedere i limiti indicati dalla legge di stabilità per il 2011 (articolo 1, commi 126 e 127, della legge 3 dicembre 2010, n. 220), nel rispetto (comma 2) di quanto stabilito dal MEF d'intesa con la Conferenza unificata;
in base alla programmazione 2007-2013 dei fondi strutturali comunitari nell'obiettivo Convergenza (aree in cui il PIL pro capite risulta inferiore al 75 per cento della media comunitaria), sono incluse, per l'Italia le regioni Calabria, Campania, Puglia, Basilicata e Sicilia;
in pratica, la disposizione consentirà alle regioni del Sud (con la sola eccezione della Sardegna) di escludere dal Patto, già per l'anno in corso, i finanziamenti a valere sul Fas (che il decreto legislativo n. 88 del 2011, adottato nel quadro del federalismo fiscale, ha ribattezzato come Fondo per lo sviluppo e la coesione sociale) e il cofinanziamento dei fondi strutturali europei, ivi comprese le risorse oggetto di riprogrammazione;
l'esclusione della Regione Sardegna assume carattere di particolare gravità se si considera che l'alleggerimento del Patto disposto a favore delle predette regioni dovrà essere compensato da un suo ulteriore irrigidimento a carico delle altre regioni;
nei giorni scorsi il Governo, per voce del ministro per i rapporti con le regioni, onorevole Fitto ha rassicurato circa l'applicazione della norma che riguarderà tutte le regioni meridionali, compresa la Sardegna; tuttavia la lettura della norma è univoca e si rende necessaria l'adozione di provvedimenti interpretativi o di indirizzo,

impegna il Governo

emanare disposizioni interpretative dell'articolo 5-bis in esame che deve ritenersi applicativo del Piano per il Sud e di conseguenza deve ricomprendere tutte le regioni meridionali nel suo ambito, senza distinguere tra regioni a statuto ordinario o a statuto speciale;
per l'anno 2012, a tenere conto della disposizione dell'articolo 5-bis nell'ambito delle intese con le regioni a statuto speciale previste dal comma 132 della legge di stabilità 2011.
9/4612/25.Cicu, Testoni, Fadda.

La Camera,
premesso che:
il contenimento della spesa pubblica è un obiettivo irrinunciabile e, che l'abolizione delle province appare in questa logica una misura indispensabile;
sempre nella stessa logica, appare ugualmente necessario il dimezzamento dei consiglieri per i consigli provinciali che verranno rinnovati prima dell'approvazione del disegno di legge costituzionale;
l'eliminazione delle province può precludere alla soppressione nei relativi territori degli uffici territoriali del Governo, a partire da prefettura e questura;
questo può non avere ripercussioni negative in realtà territoriali di piccola e media dimensione, ma produrrebbe un insostenibile deficit di sicurezza e di funzionalità nei rapporti fra territorio e Stato nelle ex province i cui comuni capoluogo siano città di grandi dimensioni,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di mantenere, anche dopo l'abolizione delle province, gli uffici periferici del Governo nei comuni già capoluogo di provincia che abbiano una popolazione superiore a 150 mila abitanti.
9/4612/26.Mazzoni.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 1, comma 12, ultimi tre periodi, stabilisce l'applicazione, a far data dalla conversione del decreto-legge 138 stesso, dell'Imposta provinciale di trascrizione (IPT) in misura esclusivamente proporzionale alle formalità di iscrizione e trascrizione sui veicoli nuovi ed usati presso il Pubblico registro automobilistico (PRA), con abolizione dell'imposta minima fissa per gli «atti soggetti ad IVA», superando l'esigenza di un decreto del ministro dell'economia e delle finanze previsto dal comma 6 dell'articolo 17 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 di prima revisione del tributo;
tale disposizione realizza notevoli incrementi del tributo medesimo, aumentando i costi di immatricolazione e di trasferimento di proprietà dei veicoli stessi;
detti incrementi tariffari sarebbero, quanto meno in prima istanza, applicabili, ai sensi del comma 5 del prima ricordato articolo 17 del decreto legislativo 68 del 2011, nonché ai sensi dell'articolo 19-bis introdotto in sede di conversione del decreto-legge 138 stesso, solamente alle province delle regioni a statuto ordinario, creando una incostituzionale grave disparità di trattamento a seconda della residenza o sede degli utenti, nonché la probabile migrazione di concessionari e commercianti di veicoli, società di noleggio e/o leasing automobilistico verso le province ubicate nelle Regioni a statuto speciale e nelle Province autonome e la praticamente certa apertura in queste ultime di sedi secondarie (fittizie) dei nominati soggetti, con, in aggiunta, rilevanti spostamenti di gettito della tassa automobilistica (regionale) verso dette «autonomie», naturalmente a detrimento delle regioni a statuto ordinario,

impegna il Governo

in ossequio a quanto disposto al comma 7 del richiamato articolo 17 del decreto legislativo n. 68 del 2011, che postula fa promozione da parte, appunto, del Governo stesso, del riordino dell'IPT attraverso il disegno di legge di stabilità o un disegno di legge ad essa collegato, a attuare detta promozione, con interventi ulteriormente migliorativi rispetto ai criteri base di riordino, nel tempo più breve possibile, per cercare di renderlo operativo già dal 2012, anche allo scopo di ovviare alle sperequazioni e problematiche sopra evidenziate.
9/4612/27.Fallica, Grimaldi, Iapicca, Pugliese, Stagno d'Alcontres, Terranova.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 1, comma 12, ultimi tre periodi, prevede l'applicazione, a far data dalla conversione del decreto-legge 138 stesso, dell'Imposta provinciale di trascrizione (IPT) in misura esclusivamente proporzionale alle formalità di iscrizione e trascrizione sui veicoli nuovi ed usati presso il Pubblico registro automobilistico (PRA), con abolizione dell'imposta minima fissa per gli «atti soggetti ad IVA»;
tale disposizione realizza forti incrementi del citato tributo, aumentando i costi di immatricolazione e di trasferimento di proprietà del veicoli stessi;
detti costi non possono, in attuazione dei principi del diritto tributario e, in particolare, dello statuto del contribuente, nonché di quelli costituzionali, colpire, in modo retroattivo, operazioni già effettuate e rapporti già chiusi al momento della entrata in vigore delle disposizioni,

impegna il Governo

a valutare l'impatto sui consumatori della disposizione indicata in premessa, al fine di adottare ulteriori iniziative volte a fare in modo che la tariffa proporzionale dell'IPT così introdotta si applichi esclusivamente alle immatricolazioni richieste e agli atti formati a partire dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge 138.
9/4612/28.Terranova, Fallica, Grimaldi, Iapicca, Pugliese, Stagno d'Alcontres.

La Camera,
premesso che:
il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante «Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo» non contiene alcuna misura a favore dei bisogni delle famiglie;
nella manovra manca qualunque riferimento a misure in grado di garantire un adeguato e strutturato sostegno ai giovani, per arginare i fenomeni endemici del precariato e della disoccupazione, presenti con punte di particolare allarme soprattutto, ma non solo, nel Mezzogiorno;
l'aumento del debito pubblico che, negli ultimi 5 anni, è passato da 1.512 miliardi di euro a 1.900, ha caricato sulle spalle delle giovani generazioni ulteriori 388 miliardi di euro;
la manovra, su quest'ultimo punto, non prevede alcun intervento strutturale di riduzione del debito e rinvia ancora una volta la risoluzione dei problemi, lasciando pagare il prezzo più alto ai giovani;
il mancato raggiungimento degli obiettivi del Consiglio europeo di Lisbona e Barcellona, per quanto riguarda la copertura del 33 per cento delle domande negli asili nidi, impedisce, di fatto, l'incentivo all'occupazione femminile, rendendo problematica la conciliazione tra il tempo da dedicare ai figli e alla famiglia con il tempo del lavoro,

impegna il Governo

ad adottare, al fine di sottoporle all'esame delle Camere, misure di sostegno in favore delle famiglie e dei giovani e di contrasto al precariato.
9/4612/29.Mosella.

La Camera,
premesso che oltre 27 milioni di cittadine e cittadini, nella circostanza della ultima occasione referendaria, hanno votato no ad ogni privatizzazione dell'acqua pubblica,

impegna il Governo

a rispettare e far rispettare lo spirito e la lettera del risultato referendario, che prevede la ripubblicizzazione delle aziende già privatizzate, escludendo in modo categorico che le aziende pubbliche del settore delle acque possano rientrare nelle previsioni di legge previste dagli articoli 4 e 5 della presente manovra.
9/4612/30.Giulietti.

La Camera,
premesso che oltre 27 milioni di cittadine e cittadini, nella circostanza della ultima occasione referendaria, hanno votato no ad ogni privatizzazione dell'acqua pubblica,

impegna il Governo

al rispetto del risultato referendario, che prevede la ripubblicizzazione delle aziende già privatizzate, escludendo in modo categorico che le aziende pubbliche del settore delle acque possano rientrare nelle previsioni di legge previste dagli articoli 4 e 5 della presente manovra.
9/4612/30.(Testo modificato nel corso della seduta) Giulietti, Borghesi.

La Camera,
premesso che l'enorme impatto del traffico di transito attraverso le Alpi è un problema cronico. Vista la conformazione territoriale gli effetti del rumore e degli inquinanti risultano particolarmente dannosi e si registra un continuo superamento dei limiti previsti dalla legge. Il forte aumento del traffico dei mezzi pesanti incide sulle popolazioni che vivono lungo i grandi assi transalpini come Tauri, Brennero, Gottardo o il Monte Bianco. In questa situazione la «Borsa dei transiti alpini» si rivela un'ottima strategia per controllare e gestire il traffico, basata su un meccanismo di limitazione del traffico su determinati assi, con la ripartizione per quanto possibile in parti uguali. La BTA ha tre obiettivi: creazione di un tetto massimo: i transiti autorizzati di mezzi pesanti attraverso le Alpi sono limitati con decisione delle autorità dell'Unione europea, il tetto può essere progressivamente abbassato al livello auspicato per il trasferimento del traffico su rotaia; suddivisione: i transiti autorizzati sono equamente ripartiti fra i vari passi alpini, i parametri secondo cui orientarsi sono la sicurezza e la salute della popolazione interessata; vendita all'asta: i transiti sono messi all'asta in anticipo all'interno di una borsa telematica. Ciò premesso,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di un piano strategico per trasferire nelle regioni sensibili, il trasporto merci verso modalità più rispettose dell'ambiente, che in modo particolare contenga riflessioni su misure da adottare per gestire le infrastrutture per il trasporto nelle regioni sensibili e cui si dovrà anche affrontare il tema dello scambio dei diritti di transito, affinché lo Stato italiano possa, su questa base, in futuro intraprendere un processo di discussione con la Commissione europea. Inoltre, valuti la possibilità di creare i presupposti affinché le regioni dell'Arge Alp ovvero gli stati che aderiscono alla Convenzione delle Alpi possano sviluppare il modello svizzero del sistema di scambio dei diritti di transito la cosiddetta borsa dei transiti alpini, di modo che possa trovare applicazione in tutto l'arco alpino.
9/4612/31.Ventucci.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 3 del disegno di legge A.C. 4612 di conversione in legge del decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138, recante ulteriori disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, prevede, nell'ambito di interventi per le liberalizzazioni, le privatizzazioni ed altre misure per favorire lo sviluppo, l'abrogazione delle indebite restrizioni all'accesso e all'esercizio delle professioni e delle attività economiche;
sarebbe opportuno nel contesto del settore assicurativo, proporre un intervento normativo, allo scopo di garantire una legittima collaborazione commerciale tra gli intermediari assicurativi, iscritti nella sezione A del Registro pubblico (RUI), quale segnale imprescindibile a favore dello sviluppo ed ottimizzazione del mercato assicurativo,

impegna il Governo

ad adottare ogni più adeguato intervento applicativo volto ad assicurare la completa coerenza dell'articolo 3, nella fase di attuazione, con quella che è l'effettiva volontà della disposizione normativa in esame, in maniera da eliminare ogni eventuale possibile dubbio interpretativo circa il fatto di rendere libera l'attività collaborativa tra gli intermediari assicurativi, iscritti nella sezione A del Registro pubblico (RUI), quale segnale imprescindibile a favore dello sviluppo ed ottimizzazione del mercato assicurativo, con modalità che dovranno essere stabilite dall'ISVAP.
9/4612/32.Barani.

La Camera,
premesso che:
nella fase di conversione del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, sono stati sostituiti gli originari commi 2 e 3 dell'articolo 6, che abrogavano, con decorrenza 13 agosto 2011, tutte le disposizioni normative ed amministrative riguardanti il sistema di controllo e tracciabilità dei rifiuti - SISTRI, con altre disposizioni che mantengono il predetto sistema e ne rinviano l'operatività al 9 febbraio 2012;
queste disposizioni, pur impegnando il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, attraverso il concessionario SISTRI, ad assicurare la verifica tecnica delle componenti software ed hardware già in uso alle imprese obbligate, anche ai fini dell'eventuale implementazione di tecnologie di utilizzo più semplice rispetto a quelle attualmente previste, non richiedono che lo stesso sistema SISTRI sia esteso a tutti i vettori esteri ammessi ad effettuare il trasporto dei rifiuti in Italia o con partenza o arrivo sul nostro territorio nazionale;
questa mancata estensione determina una forte, quanto ingiustificata discriminazione in danno alle imprese italiane di trasporto rifiuti, che si vedono costrette a sostenete i costi e gli oneri di implementazione e di utilizzo del SISTRI, mentre i loro concorrenti esteri non sottostanno ad una pari regolamentazione e che in tal modo non si realizza completamente il controllo voluto dallo stesso SISTRI;
tanto opportunamente premesso,

impegna il Governo

a prevedere nella normativa di attuazione del SISTRI che i vettori stranieri operanti nel trasporto dei rifiuti, possano proseguire l'attività solo aderendo al SISTRI e che il sistema entri per essi in vigore nello stesso momento in cui entra in vigore per le imprese italiane.
9/4612/33.Fontana.

La Camera,
premesso che:
da più parti viene la richiesta pressante di razionalizzazione e di contenimento delle spese amministrative in particolare dei piccoli comuni;
appare necessario per i comuni con popolazione pari o inferiore a mille abitanti procedere alla associazione con altri comuni delle funzioni amministrative esercitate al contempo è necessario fare salve le identità storico-culturali e politiche nei piccoli comuni in particolare per quelli con popolazione inferiore ai mille abitanti e ai cinquemila abitanti; pur mantenendo ognuno dei piccoli comuni la loro peculiarità storico, culturale e politica si dovrebbe procedere alla costituzione di unioni municipali di comuni contermini con popolazione pari o inferiore a cinquemila abitanti al fine dell'esercizio in forma associata di tutte le funzioni amministrative e dei servizi pubblici di spettanza comunale, ogni municipale dovrebbe essere composta da una popolazione pari o inferiore a cinquemila abitanti salvo diverso limite demografico individuato con delibera della giunta regionale,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di istituire unioni municipali di comuni, di una stessa provincia, con una popolazione residente pari o inferiore a cinque mila abitanti al fine di esercitare in forma associata tutte le funzioni amministrative e quelle relative ai servizi pubblici di spettanza comunale.
9/4612/34.Mottola, Moffa.

La Camera,
premesso che:
il patrimonio immobiliare delle amministrazioni locali, escluso il patrimonio di edilizia residenziale pubblica, ammonta a circa 300 miliardi di euro;
in particolare i comuni, possiedono immobili per circa 230 miliardi di euro, le regioni per circa 11 miliardi di euro, le province per circa 30 miliardi di euro, ai quali vanno aggiunti i circa 25 miliardi di valore degli immobili delle Asl;
se ci si limita a comuni, regioni e province e stimando prudenzialmente gli immobili inutilizzati, liberi o affittati a terzi, una quota del 3-5 per cento si ha valore di mercato tra i 20 e i 40 miliardi di euro;
la Cassa depositi e prestiti ha in essere mutui verso comuni, province e regioni per circa 110 miliardi di euro, questi rappresentano debito pubblico per circa 6 punti di prodotto interno lordo;
le regioni, i comuni e le province ove disponessero di patrimonio immobiliare non utilizzato per fini strettamente istituzionali o locato a terzi potrebbero utilizzarlo per estinguere in tutto o in parte i mutui contratti con la Cassa depositi e prestiti, in questo modo gli enti locali si priverebbero del peso di immobili inutilizzati e ridurrebbero contestualmente il proprio indebitamento;
nel caso in cui regioni, province e comuni non disponessero di patrimonio non utilizzato per fini istituzionali o locato a terzi ma dispongano di partecipazioni di controllo in società di capitali che gestiscono servizi di pubblica utilità, potrebbero utilizzare tali partecipazioni per estinguere in tutto o in parte i mutui già contratti con la Cassa depositi e prestiti,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di un intervento normativo al fine di consentire a regioni, province e comuni di estinguere in tutto o in parte i mutui già contratti con la Cassa depositi e prestiti attraverso l'utilizzo di patrimonio immobiliare non utilizzato a fini istituzionali o locato a terzi, ed attraverso l'utilizzo di partecipazioni di controllo in società di capitali che gestiscono servizi di pubblica utilità.
9/4612/35.Moffa.

La Camera,
premesso che:
in Italia le spese per i pensionati con età inferiore ai 50 anni è pari a 9,5 milioni di euro all'anno;
dei 9,5 milioni di euro spesi, ogni anno, per i pensionati con età inferiore ai 50 anni, 7,5 milioni di euro sono a carico dell'Inpdap e 2 milioni di euro sono a carico dell'Inps;
in un momento nel quale la crisi economica e finanziaria attanaglia il nostro Paese a tutti va richiesto di dare il proprio contributo;
si potrebbe prevedere l'introduzione di una contributo di solidarietà a carico delle cosiddette «baby pensioni» del 10 per cento sulla quota eccedente il minimo sulle pensioni di coloro con meno 50 anni di età e con un periodo contributivo al di sotto dei 25, fatte salve le pensioni di reversibilità e di invalidità,

impegna il Governo

a prevedere in via sperimentale per gli anni 2012 e 2013 l'istituzione di un contributo di solidarietà nella misura del 10 per cento da applicarsi sulla quota di pensione eccedente il trattamento minimo vigente a carico delle pensioni erogate a soggetti con età inferiore ai 50 anni e con anzianità contributiva inferiore a 25 anni, ad eccezione delle pensioni indirette o erogate in conseguenza del riconoscimento di condizione di invalidità o inabilità.
9/4612/36.Marmo, Moffa.

La Camera,
premesso che:
in Italia le spese per i pensionati con età inferiore ai 50 anni è pari a 9,5 milioni di euro all'anno;
dei 9,5 milioni di euro spesi, ogni anno, per i pensionati con età inferiore ai 50 anni, 7,5 milioni di euro sono a carico dell'Inpdap e 2 milioni di euro sono a carico dell'Inps;
in un momento nel quale la crisi economica e finanziaria attanaglia il nostro Paese a tutti va richiesto di dare il proprio contributo;
si potrebbe prevedere l'introduzione di una contributo di solidarietà a carico delle cosiddette «baby pensioni» del 10 per cento sulla quota eccedente il minimo sulle pensioni di coloro con meno 50 anni di età e con un periodo contributivo al di sotto dei 25, fatte salve le pensioni di reversibilità e di invalidità,

impegna il Governo

a valutare la previsione in via sperimentale per gli anni 2012 e 2013 di un contributo di solidarietà nella misura del 10 per cento da applicarsi sulla quota di pensione eccedente il trattamento minimo vigente a carico delle pensioni erogate a soggetti con età inferiore ai 50 anni e con anzianità contributiva inferiore a 25 anni, ad eccezione delle pensioni indirette o erogate in conseguenza del riconoscimento di condizione di invalidità o inabilità.
9/4612/36.(Testo modificato nel corso della seduta) Marmo, Moffa.

La Camera,
premesso che:
al fine di rispondere alla richiesta di maggiore sicurezza da parte dei cittadini e di maggiore incisività ed efficacia delle forze dell'ordine nel contrasto della grande e micro criminalità, è necessario disporre di risorse adeguate destinate alle citate finalità;
è possibile intervenendo sulle disposizioni in materia di giochi pubblici che possano prevedere maggiori entrate che siano destinate al rafforzamento dell'azione delle forze dell'ordine; il Ministero dell'economia e della finanze - Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, con propri decreti dirigenziali potrebbe emanare disposizioni in materia di giochi pubblici destinate a produrre maggiori entrate;
le nuove disposizioni dovrebbero variare l'assegnazione della percentuale della posta in gioco a montepremi, nonché la percentuale di compenso per le attività di gestione ovvero quelle per i punti vendita, con modifiche ai parametri di funzionamento delle news slot; in particolare si dovrebbe prevedere: a) l'attivazione anche attraverso banconote; b) che il costo della partita non superi i due euro; c) che le vincite non possano essere superiori a 200 euro erogate dalla macchina per un importo fino a 50 euro in moneta e se l'importo è superiore in banconota,

impegna il Governo

a emanare nuove disposizioni in materia di giochi pubblici destinate a produrre maggiori entrate da destinare al rafforzamento dell'azione delle forze dell'ordine per una maggiore incisività ed efficacia nel contrasto della grande e della micro criminalità;
in particolare le nuove disposizioni dovrebbero: variare l'assegnazione della percentuale della posta in gioco a montepremi, nonché la percentuale di compenso per le attività di gestione ovvero quelle per i punti vendita, con modifiche ai parametri di funzionamento delle news slot e prevedere: a) l'attivazione anche attraverso banconote; b) che il costo della partita non superi i due euro; c) che le vincite non possano essere superiori a 200 euro erogate dalla macchina per un importo fino a 50 euro in moneta e se l'importo è superiore in banconota.
9/4612/37.Gianni, Moffa.

La Camera,
premesso che:
al fine di rispondere alla richiesta di maggiore sicurezza da parte dei cittadini e di maggiore incisività ed efficacia delle forze dell'ordine nel contrasto della grande e micro criminalità, è necessario disporre di risorse adeguate destinate alle citate finalità;
è possibile intervenendo sulle disposizioni in materia di giochi pubblici che possano prevedere maggiori entrate che siano destinate al rafforzamento dell'azione delle forze dell'ordine; il Ministero dell'economia e della finanze - Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, con propri decreti dirigenziali potrebbe emanare disposizioni in materia di giochi pubblici destinate a produrre maggiori entrate;
le nuove disposizioni dovrebbero variare l'assegnazione della percentuale della posta in gioco a montepremi, nonché la percentuale di compenso per le attività di gestione ovvero quelle per i punti vendita, con modifiche ai parametri di funzionamento delle news slot; in particolare si dovrebbe prevedere: a) l'attivazione anche attraverso banconote; b) che il costo della partita non superi i due euro; c) che le vincite non possano essere superiori a 200 euro erogate dalla macchina per un importo fino a 50 euro in moneta e se l'importo è superiore in banconota,

impegna il Governo

a emanare nuove disposizioni in materia di giochi pubblici destinate a produrre maggiori entrate da destinare al rafforzamento dell'azione delle forze dell'ordine per una maggiore incisività ed efficacia nel contrasto della grande e della micro criminalità.
9/4612/37.(Testo modificato nel corso della seduta) Gianni, Moffa.

La Camera,
premesso che:
il decreto-legge 98 del 6 luglio 2011, convertito con modificazioni dalla legge 111 del 15 luglio 2011, all'articolo 17, comma 4, lettera e), modifica il comma 51 dell'articolo 1 della legge 13 dicembre 2010, n. 220 prorogando, al 31 dicembre 2012, il blocco delle azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi sanitari, sottoscritti ai sensi dell'articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, e commissariate;
tale disposizione non tiene conto, del grave stato di indebitamento dei fornitori degli enti del Servizio sanitario nazionale presso le regioni sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi sanitari, sottoscritti ai sensi dell'articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni;
il combinato disposto della norma non è risolutivo perché non consente agli enti del Servizio sanitario nazionale presso le regioni sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi sanitari e commissariate l'utilizzo delle somme già pignorate presso le tesorerie, il cui svincolo permetterebbe il regolare pagamento dei crediti, vantati da tutti i fornitori, fonte delle somme pignorate nonché degli ulteriori crediti e l'espletamento delle funzioni istituzionali,

impegna il Governo

ad adottare ulteriori iniziative, anche normative, al fine di:
ridurre il periodo di vigenza del blocco delle azioni esecutive;
garantire attraverso lo svincolo delle somme già pignorate presso le tesorerie degli enti del Servizio sanitario nazionale presso le regioni il regolare pagamento dei crediti, vantati da tutti i fornitori, fonte delle somme pignorate, nonché degli ulteriori crediti, così come previsto dal piano di ricognizione di cui all'articolo 11, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, anche per consentire l'espletamento delle funzioni istituzionali in situazioni di ripristinato equilibrio finanziario delle aziende, degli enti degli istituti pubblici dei servizi sanitari delle regioni.
9/4612/38.D'Anna, Moffa.

La Camera,
premesso che:
l'urgenza dettata dalla straordinarietà della situazione economica europea e mondiale, il quadro macroeconomico in cui è addirittura messa in forse la stabilità e la tenuta dell'euromoneta, giustifica il ricorso al tanto vituperato condono fiscale;
le nuove norme antievasioni che da qui a poco verranno introdotte con l'approvazione del decreto-legge n. 138 del 2011 come modificato nel corso dell'iter di approvazione, e per le quali si proporranno delle regole ancora di maggiore ed ulteriore efficacia, costituiscono una svolta epocale, e determineranno una nuova cultura fiscale;
è una riforma strutturale che deve però, attesa la eccezionalità dell'emergenza, essere anche accompagnata da una misura che consenta, nell'immediatezza, un recupero di risorse economiche;
la proposta di un condono fiscale appare, in questo caso, meno bieca ed accettabile e serve ad ottenere un gettito immediato che coadiuva l'obiettivo di fronteggiare la maggiore crisi economica del dopoguerra;
la proposta deve e non può che essere semplice, e deve essere anche accompagnata da una riforma strutturale del recupero dei crediti del fisco;
la somma da pagare a titolo di condono non può essere legata ai precedenti utili dichiarati dai contribuenti. Coloro che hanno presuntivamente evaso, sia pure parzialmente, il pagamento delle imposte, hanno, in massima percentuale, celato gli utili più che il volume d'affare: è per questo che il pagamento della somma a titolo di condono deve essere legato al fatturato o volume d'affari del contribuente;
le riforme strutturali sono, in ogni caso, una priorità; per questo si rende necessario dotare il fisco di maggiori poteri;
per il reperimento delle migliori ed immediate risorse sicure e certe, invece che influire sui risparmi dei cittadini attraverso una patrimoniale, può effettuarsi un ulteriore condono edilizio per i piccoli abusi per lo più destinati alla edilizia residenziale e difficilmente recuperabili per lo Stato sotto forma di confisca;
appare opportuno, alla luce di tali considerazioni, procedere ad un condono fiscale che preveda:
la possibilità per ogni contribuente di effettuare il condono tombale per ciascuno degli anni per cui non è ancora prescritta l'azione accertatrice del fisco (gli ultimi cinque anni), condono che estinguerà il contenzioso in atto e relativo agli ultimi cinque anni (2006-2010);
che ciascun contribuente possa versare a titolo di condono di tutte le imposte per ogni anno fiscale (2006-2010):
la somma di euro 1.500,00 per ciascun anno qualora abbia un fatturato fino a euro 40.000,00;
la somma di euro 3.500,00 per ciascun anno qualora abbia un fatturato che superi euro 40.000,00 e fino a euro 100.000,00;
la somma di euro 3.500,00 per ciascun anno qualora abbia un fatturato superiore a euro 100.000,00, oltre all'1 per cento sull'ulteriore fatturato di euro 100.000,00.
il condono potrà essere pagato, quanto al 20 per cento del totale, entro il 30 novembre 2011 ed il rimanente 80 per cento in 4 rate bimestrali con scadenza il 30 gennaio 2012; il 31 marzo 2012; il 31 maggio 2012 ed il 31 luglio 2012;
che i contenziosi in corso per gli anni 2006-2010 possano essere estinti con la esibizione della prova del pagamento dell'acconto con scadenza al 30 novembre 2011;
che i contenziosi già in atto per gli anni fiscali anteriori al 2006 possano essere estinti con il pagamento di una somma pari al 20 per cento delle imposte evase ed accertate dal fisco;
che il condono non possa essere richiesto ed applicato dal condannato con sentenza definitiva per il reato di cui all'articolo 416-bis e 648-bis e ter del codice penale;
allo scopo di rendere efficace il condono fiscale di cui sopra, occorre dare maggiori poteri al fisco ed in particolare prevedendo:
che il mancato pagamento delle sopradette rate ed, in ogni caso, qualunque debito non pagato, consenta al fisco di agire esecutivamente, anche con l'aiuto delle forze dell'ordine, mediante lo spossessamento di beni mobili e valori fino ad una somma stimata dallo stesso agente esecutore del fisco, immediatamente efficace e non appellabile, fino al triplo del valore del debito; la norma va applicata anche a beni mobili registrati a nome diverso del contribuente inadempiente ma in uso allo stesso contribuente, secondo quanto percepito direttamente e visivamente dall'agente del fisco;
che i beni mobili vengano messi all'asta dallo stesso fisco, salvo il pagamento del debito e le spese di procedura, oltre la maggiorazione dell'80 per cento sul debito esecutato, a partire dai 6 mesi successivi dall'avvenuto spossessamento ed entro un anno anche tramite aste private e con i mezzi più economici ed anche tramite aste bandite ogni 3 mesi negli uffici delle locali agenzie delle entrate;
che la somma ricavata dalla vendita e che residua, una volta detratti il debito esecutato, le spese di procedura e la maggiorazione dell'80 per cento sul debito esecutato, sia restituita al contribuente inadempiente, o trattenuta in acconto, sui crediti fiscali negli anni successivi, se già maturati;
che il fisco, per la riscossione del proprio credito, possa esecutare i beni immobili del contribuente inadempiente anche tramite le aste di cui sopra ed anche attraverso la vendita diretta tramite agenzie immobiliari private;
che l'immobile possa essere esecutato qualora il valore stimato, sempre a cura dell'agente delegato a tal uopo nella locale agenzia delle entrate - stima inappellabile - non superi del triplo il valore del debito. La residuata somma ricavata dalla vendita e detratto il valore del debito, la maggiorazione dell'80 per cento e le spese di procedura, sia restituita al contribuente inadempiente, o trattenuta in acconto sui crediti fiscali negli anni successivi, se maturati;
appare, altresì, opportuno procedere, allo scopo di reperire immediate e certe risorse, ad un condono edilizio per i piccoli abusi destinati all'edilizia residenziale, che preveda:
il condono edilizio per tutte le opere abusive realizzate entro il 31 dicembre 2010 in ampliamento di opere regolarmente assentite. Per ultimazione si intende l'opera completamente definita nella sua volumetria e nella sua sagoma visiva (in caso di abitazioni occorre il tetto ed i muri perimetrali completi di intonaco e pitturazione esterni) ed esternamente esteticamente completate (con intonaco e pitturazione);
che l'opera abusiva realizzata in ampliamento non debba essere superiore al 25 per cento della volumetria originaria o, in alternativa, e non deve costituire un ampliamento superiore a 400 metri cubi (circa 130 metri quadri);
che l'ampliamento si considera tale anche se questo non è costruito in aderenza alla costruzione originaria, purché sia tutto realizzato entro la distanza di metri 75 dalla costruzione originaria regolarmente assentita,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare i provvedimenti illustrati nelle premesse.
9/4612/39.Scilipoti.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, in seguito ad alcune pronunce giurisprudenziali e alte iniziative unilaterali di alcuni comuni, ha recentemente dato vita ad un corposo contenzioso relativo alla assoggettabilità all'ICI dei fabbricati rurali strumentali all'azienda agricola;
che tale situazione di incertezza crea forte disagio in tutto il comparto agricolo che si vedrebbe penalizzato da una interpretazione sfavorevole di una norma che, invece, chiaramente esenta gli immobili rurali da un simile trattamento fiscale;
che sono sempre più i comuni che, per evidenti esigenze di bilancio, aderiscono alla interpretazione più penalizzante richiedendo l'imposizione dell'ICI ai suddetti immobili rurali;
che il disegno di legge n. 2566, Disposizioni in favore dei territori di montagna, approvato dalla Camera dei deputati in prima lettura il 16 febbraio 2011, con il consenso di tutti i gruppi, contiene la seguente norma interpretativa:
Art. 11. (Interpretazione autentica dell'articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504). - 1. All'articolo 23 del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, il comma 1-bis è sostituito dal seguente:
«1-bis. Ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l'articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, si interpreta nel senso che non si considerano fabbricati le unità immobiliari, anche iscritte o iscrivibili nel catasto fabbricati, indipendentemente dalla categoria catastale, per le quali ricorrono i requisiti di ruralità di cui all'articolo 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni. Resta fermo quanto previsto dal comma 3, lettera e), dell'articolo 9 del citato decreto-legge n. 557 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 1994, e successive modificazioni»;
che non risulta che il Senato abbia catendarizzato nel breve periodo il disegno di legge sopra citato, mentre proseguono i contenziosi in atto e gli atti esecutivi dei comuni coinvolti,

impegna il Governo

alla luce dell'urgenza sopra evidenziata e onde non pregiudicare ulteriormente la situazione di difficoltà delle aziende agricole, ad inserire la norma di interpretazione autentica nel primo atto di decretazione urgente al fine di assicurare la più tempestiva applicazione della norma stessa.
9/4612/40.Nola, Marmo, Moffa, Zucchi.

La Camera,
premesso che:
l'elaborazione giurisprudenziale nazionale e comunitaria successiva all'emanazione della legge 27 dicembre 2002 n. 289, espone i contribuenti che si avvalsero delle disposizioni recate dalla stessa aderendo al condono fiscale in materia di imposta sul valore aggiunto, all'azione di accertamento per l'anno 2002 in quanto i relativi termini, in applicazione dei commi 24, 25, 26 dell'articolo 37 del decreto-legge n. 223 del 2006, andrebbero a scadere il 31 dicembre 2011;
appare conforme a giustizia e al principio della certezza del diritto che da parte dello Stato venga mantenuto fermo l'impegno allora assunto che, a fronte del pagamento delle somme dovute a titolo di concordato, escludeva dal possibile accertamento tra le annualità per le quali era possibile procedere al detto condono l'anno 2002,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disposizione di cui all'ultimo periodo del comma 5-ter dell'articolo 2, al fine di adottare le misure opportune alla risoluzione della descritta problematica, ponendo al riparo dall'accertamento, per intervenuta decadenza dei termini di tributari all'atto dell'adesione al condono, delle violazioni in materia di imposta sul valore aggiunto per l'anno 2002 per i contribuenti che si avvalsero delle disposizioni di cui alla legge 27 dicembre 2002 n. 289 e che abbiano integralmente corrisposto le somme dovute.
9/4612/41.Milo, Moffa.

La Camera,
premesso che:
è necessario avviare una decisa azione di contenimento dei costi sostenuti da enti pubblici e dalla pubblica amministrazione che in particolare in una fase acuta di crisi finanziaria e di richiesta di pesanti sacrifici richiesti ai cittadini deve vedere rapporto e lo sforzo di tutti;
gli emolumenti, indennità e gettoni di presenza di presidenti, amministratori delegati, componenti di consigli di amministrazione, direttori generali di enti e imprese pubbliche o a partecipazione statale, appaiono, spesso, agli occhi dei cittadini come insostenibili ed eccessivi;
le stesse consulenze esterne utilizzate da enti e amministrazioni pubbliche a tutti i livelli, spesso non sono rispondenti ad effettive necessità, quando all'interno delle amministrazioni pubbliche vi sono professionalità e risorse che se utilizzate al meglio potrebbero evitare il ricorso a consulenze esterne,

impegna il Governo

a intraprendere tutte le iniziative di propria competenza affinché gli emolumenti di presidenti, amministratori delegati, componenti di consigli di amministrazione, direttori generali di enti e imprese pubbliche o a partecipazione statale, non possano essere superiori all'80 per cento delle indennità percepite dai parlamentari e che i costi relativi alle consulenze per tutti gli enti e le amministrazioni pubbliche non possano superare l'80 per cento del costo del dirigente di settore di riferimento per cui la consulenza viene affidata;
ad adoperarsi, nell'ambito delle proprie competenze, affinché anche da parte di regioni, comuni e province, anche negli enti di loro competenza e nell'ambito delle consulenze, siano attuate azioni che portino gli emolumenti percepiti a non superare l'80 per cento dell'indennità percepita dai parlamentari.
9/4612/42.Grassano.

La Camera,
premesso che:
è necessario avviare una decisa azione di contenimento dei costi sostenuti da enti pubblici e dalla pubblica amministrazione che in particolare in una fase acuta di crisi finanziaria e di richiesta di pesanti sacrifici richiesti ai cittadini deve vedere rapporto e lo sforzo di tutti;
gli emolumenti, indennità e gettoni di presenza di presidenti, amministratori delegati, componenti di consigli di amministrazione, direttori generali di enti e imprese pubbliche o a partecipazione statale, appaiono, spesso, agli occhi dei cittadini come insostenibili ed eccessivi;
le stesse consulenze esterne utilizzate da enti e amministrazioni pubbliche a tutti i livelli, spesso non sono rispondenti ad effettive necessità, quando all'interno delle amministrazioni pubbliche vi sono professionalità e risorse che se utilizzate al meglio potrebbero evitare il ricorso a consulenze esterne,

impegna il Governo

a valutare iniziative di propria competenza affinché gli emolumenti di presidenti, amministratori delegati, componenti di consigli di amministrazione, direttori generali di enti e imprese pubbliche o a partecipazione statale, non possano essere superiori all'80 per cento delle indennità percepite dai parlamentari e che i costi relativi alle consulenze per tutti gli enti e le amministrazioni pubbliche non possano superare l'80 per cento del costo del dirigente di settore di riferimento per cui la consulenza viene affidata;
ad adoperarsi, nell'ambito delle proprie competenze, affinché anche da parte di regioni, comuni e province, anche negli enti di loro competenza e nell'ambito delle consulenze, siano attuate azioni che portino gli emolumenti percepiti a non superare l'80 per cento dell'indennità percepita dai parlamentari.
9/4612/42.(Testo modificato nel corso della seduta) Grassano.

La Camera,
premesso che:
il Commissario europeo per la concorrenza ha dichiarato che il Consiglio ha già autorizzato l'Italia ad applicare aliquote d'accisa ridotte o esenzioni sugli oli minerali e che spetta alle autorità italiane decidere se richiedere tali proroghe;
è improcrastinabile procedere alla compensazione del danno ambientale per i territori individuati come siti contaminati di interesse nazionale di cui all'articolo 14 del decreto legislativo n. 22 del 1997 e dell'articolo 15 del decreto del Ministero dell'ambiente n. 471 del 1999, riducendo le accise al 10 per cento dell'importo vigente per la generalità del territorio al momento dell'immissione al consumo per l'impiego nei territori individuati come siti contaminati di interesse nazionale;
la riduzione delle accise al 10 per cento per il consumo nei territori individuati come siti contaminati di interesse nazionale sarebbe compatibile a livello europeo in quanto dovrebbe essere limitata nel tempo, contribuirebbe allo sviluppo regionale, sarebbe proporzionale agli svantaggi che intende compensare ed, infine, economicamente sostenibile;
l'onere derivante dalla riduzione al 10 per cento delle accise potrebbe essere compensato sperimentando nei territori individuati come siti contaminati, la lotta all'evasione fiscale consentendo in quei territori la deducibilità dal reddito sia delle persone fisiche che giuridiche di qualsiasi onere documentato ed identificabile con codice fiscale o partita iva,

impegna il Governo

a compensare il danno ambientale nei siti contaminati d'interesse nazionale attraverso la riduzione al 10 per cento dell'importo vigente per la generalità del territorio, al momento dell'immissione al consumo per l'impiego nei territori individuati come siti contaminati di interesse nazionale;
a richiedere in tempi brevi alla Commissione europea la possibilità della deroga all'importo delle accise al fine di compensare del danno ambientale i territori individuati come siti contaminati di interesse nazionale.
9/4612/43.Lehner, Moffa.

La Camera,
premesso che:
il Commissario europeo per la concorrenza ha dichiarato che il Consiglio ha già autorizzato l'Italia ad applicare aliquote d'accisa ridotte o esenzioni sugli oli minerali e che spetta alle autorità italiane decidere se richiedere tali proroghe;
è improcrastinabile procedere alla compensazione del danno ambientale per i territori individuati come siti contaminati di interesse nazionale di cui all'articolo 14 del decreto legislativo n. 22 del 1997 e dell'articolo 15 del decreto del Ministero dell'ambiente n. 471 del 1999, riducendo le accise al 10 per cento dell'importo vigente per la generalità del territorio al momento dell'immissione al consumo per l'impiego nei territori individuati come siti contaminati di interesse nazionale;
la riduzione delle accise al 10 per cento per il consumo nei territori individuati come siti contaminati di interesse nazionale sarebbe compatibile a livello europeo in quanto dovrebbe essere limitata nel tempo, contribuirebbe allo sviluppo regionale, sarebbe proporzionale agli svantaggi che intende compensare ed, infine, economicamente sostenibile;
l'onere derivante dalla riduzione al 10 per cento delle accise potrebbe essere compensato sperimentando nei territori individuati come siti contaminati, la lotta all'evasione fiscale consentendo in quei territori la deducibilità dal reddito sia delle persone fisiche che giuridiche di qualsiasi onere documentato ed identificabile con codice fiscale o partita iva,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di compensare il danno ambientale nei siti contaminati d'interesse nazionale attraverso la riduzione al 10 per cento dell'importo vigente per la generalità del territorio, al momento dell'immissione al consumo per l'impiego nei territori individuati come siti contaminati di interesse nazionale e di richiedere in tempi brevi alla Commissione europea la possibilità della deroga all'importo delle accise al fine di compensare del danno ambientale i territori individuati come siti contaminati di interesse nazionale.
9/4612/43.(Testo modificato nel corso della seduta) Lehner, Moffa.

La Camera,
premesso che:
il Governo ha stabilito con il patto di stabilità i parametri per il mantenimento in equilibrio dei conti pubblici;
la crisi economica è sentita a tutti i livelli ed in particolar modo a livello locale perché i comuni hanno bloccato i pagamenti per il rispetto del patto di stabilità interno. A farne le spese sono le imprese, piccole e medie che rischiano di fallire in quanto i comuni non possono pagare le proprie prestazioni;
questo è insostenibile in una situazione di crisi economica internazionale nella quale gli investimenti pubblici anche locali sono considerati, in tutti i paesi, un importante volano di sostegno all'economia e di sviluppo del territorio e del paese;
i comuni possono indebitarsi se rispettano il limite della capacità di indebitamento stabilita dalle norme, ma le entrate incassate con mutuo non rientrano tra i parametri del patto per cui gli investimenti corrispondenti non possono essere liquidati;
occorre quindi una modifica sostanziale al patto perché non si può autorizzare i comuni a richiedere mutai e non dare la possibilità di pagare i debiti assunti, perché a farne le spese saranno solo le imprese;
molti comuni hanno a disposizione risorse economiche proprie per finanziare opere immediatamente cantierabili che darebbero un po' di respiro alle imprese e rilancerebbero l'economia ma l'applicazione dell'avanzo non rientra tra le entrate utili ai fini del rispetto del patto di stabilità;
il patto di stabilità così come è congegnato non frena o riduce il debito ma blocca solo i pagamenti,

impegna il Governo

ad adottare misure e azioni finalizzate a far ripartire l'economia e soprattutto gli investimenti a livello locale, anche attraverso la modifica delle regole del patto di stabilità con l'inserimento nel calcolo dei saldi delle entrate dei mutui assunti per investimenti e di quota parte dell'avanzo di amministrazione applicato dagli enti.
9/4612/44.Pisacane, Gianni, Moffa.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 1, comma 12, ultimi tre periodi, stabilisce l'applicazione, a far data dalla conversione del decreto-legge 138 stesso, dell'Imposta provinciale di trascrizione (IPT) in misura esclusivamente proporzionale alle formalità di iscrizione e trascrizione sui veicoli nuovi ed usati presso il Pubblico registro automobilistico (PRA), con abolizione dell'imposta minima fissa per gli «atti soggetti ad IVA», superando l'esigenza di un decreto del ministro dell'economia e delle finanze previsto dal comma 6 dell'articolo 17 dei decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 di prima revisione del tributo tale disposizione realizza notevoli incrementi del tributo medesimo, aumentando i costi di immatricolazione e di trasferimento di proprietà dei veicoli stessi;
detti incrementi tariffari sarebbero, quanto meno in prima istanza, applicabili, ai sensi del comma 5 del prima ricordato articolo 17 del decreto legislativo n. 68 del 2011, nonché ai sensi dell'articolo 19-bis introdotto in sede di conversione del decreto-legge 138 stesso, solamente alle province delle regioni a statuto ordinario, creando una incostituzionale grave disparità di trattamento a seconda della residenza o sede degli utenti, nonché la probabile migrazione di concessionari e commercianti di veicoli, società di noleggio e/o leasing automobilistico verso le province ubicate nelle regioni a statuto speciale e nelle Province autonome e la praticamente certa apertura in queste ultime di sedi secondarie (fittizie) dei nominati soggetti, con, in aggiunta, rilevanti spostamenti di gettito della tassa automobilistica (regionale) verso dette «autonomie», naturalmente a detrimento delle regioni a statuto ordinario,

impegna il Governo

a quanto disposto al comma 7 del richiamato articolo 17 del decreto legislativo n. 68 del 2011, che postula la promozione da parte, appunto, del Governo stesso, del riordino dell'IPT attraverso il disegno di legge di stabilità o un disegno di legge ad essa collegato, a attuare detta promozione, con interventi ulteriormente migliorativi rispetto ai criteri base di riordino, nel tempo più breve possibile, per cercare di renderlo operativo già dal 2012, anche allo scopo di ovviare alle sperequazioni e problematiche sopra evidenziate.
9/4612/45.Sardelli, Moffa.

La Camera,
premesso che:
in Italia le farmacie sono circa 17.500 di queste circa 16.000 sono private, ovvero di proprietà di farmacisti, e circa 1500 sono farmacie comunali;
in passato alcuni provvedimenti hanno previsto la liberalizzazione dei farmaci e la legge 4 agosto 2006 , n 248, ha introdotto la possibilità per soci farmacisti costituiti in società di essere titolari di non più di quattro farmacie;
alla prova dei fatti questi accenni di liberalizzazione non hanno prodotto gli effetti auspicati ed è necessario dare maggiore impulso alla liberalizzazione delle farmacie;
oggi le farmacie rappresentano una sorta di casta visto che nei fatti queste passano di padre in figlio senza consentire gli effetti benefici di un reale liberalizzazione;
in tutti i paesi europei le farmacie sono state liberalizzate attraverso l'approvazione di apposite e adeguate normative che hanno promosso una efficace liberalizzazione delle farmacie,

impegna il Governo

a procedere alla effettiva liberalizzazione delle farmacie private come avvenuto in tutti i paesi europei superando così la parzialità di provvedimenti già vigenti ma che non hanno prodotto gli effetti desiderati.
9/4612/46.Ruvolo, Moffa.

La Camera,
premesso che:
le relazioni dello SVIMEZ nel corso degli ultimi anni hanno documentato l'impoverimento delle regioni meridionali, che hanno subito in particolare, più grave rispetto alle altre aree la crisi economica e finanziaria;
emerge la necessità di promuovere politiche efficaci per fronteggiare la condizione di impoverimento di un terzo del territorio nazionale;
le relazioni annuali dello SVIMEZ hanno denunciato una forte contrazione dell'occupazione, aggravatasi ulteriormente con la crisi economica, al punto che ogni anno 300 mila persone, in particolari giovani hanno abbandonato il meridione, di questi 120 mila decidono di non tornare nei luoghi di origine;
il Mezzogiorno vive un profondo malessere per la mancanza di prospettive occupazionali durature e che rappresentino risposte concrete;
è ormai improcrastinabile fronteggiare gli effetti della crisi economica con un fondo che promuova l'occupazione giovanile nelle regioni meridionali attraverso l'elaborazione di un piano che indichi priorità e azioni chiave che siano da volano alla ripresa,

impegna il Governo

a creare un fondo nazionale, dotato di adeguate risorse, per sostenere un piano integrato strategico destinato a promuovere l'occupazione giovanile nelle regioni meridionali che contrasti il precariato e il ricorso al lavoro nero e dia prospettive concrete ai giovani, alle donne esprimendo in questo modo la scelta strategica del governo di contrastare la crisi economica dando una priorità allo sviluppo del sud.
9/4612/47.Iannaccone, Porfidia.

La Camera,
premesso che:
il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 138 del 2011, reca la delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari;
sembrerebbe che tale riorganizzazione riguarderebbe il taglio o 1' accorpamento di 681 uffici del giudice di pace, 220 sezioni distaccate di tribunali, 63 piccoli tribunali che occupano meno di 15 giudici e 58 mini procure;
soggetti al rischio di taglio o accorpamento, quindi, anche i tribunali che hanno assicurato nel tempo servizi di eccellenza e professionalità nonostante la carenza di strutture e gli organici ridotti al lumicino;
i piccoli tribunali spesso rappresentano veri presidi di legalità e che esprimono concretamente la presenza dello stato proprio laddove è necessario anche una visibilità territoriale della legalità,

impegna il Governo

ad esercitare la delega alla riorganizzazione della distribuzione sul territorio di uffici giudiziari non solo dal punto di vista dei risparmi ma tenendo conto del valore della presenza di tribunali ancorché piccoli ma che rappresentano indispensabili prèsidi di legalità con professionalità e servizi di eccellenza che al contrario dovrebbero essere sostenuti con maggiori mezzi e strumenti per rendere sempre più efficace ed efficiente il contrasto alla criminalità piccola e grande.
9/4612/48.Porfidia, Iannaccone.

La Camera,
premesso che:
l'aumento dell'Iva rappresenta una misura molto delicata in un contesto di crescita lenta e con una domanda interna fortemente condizionata dai bassi salari;
l'esigenza di giungere ad una razionalizzazione del sistema di applicazione dell'IVA è una priorità per tutti i Paesi dell'Unione europea, anche perché incide fortemente sul tema dell'evasione;
la razionalizzazione e il riordino complessivo dell'Iva diventa cruciale anche per aiutare le imprese nella loro delicatissima situazione finanziaria;
la direttiva 2010/45/UE del 13 luglio 2010, consente a tutti i Paesi membri di introdurre un «regime IVA di cassa» in grado di velocizzare i pagamenti nelle transazioni commerciali tra imprese;
gli Stati membri sono invitati al recepimento della predetta direttiva entro il 31 dicembre 2012. Il mancato recepimento comporterà l'avvio di una procedura di infrazione;
suddetta introduzione aiuterebbe di molto le imprese in questo momento di congiuntura sfavorevole;
l'IVA di cassa con il recepimento della direttiva si rivolgerebbe a tutte le imprese con volume di affari fino a 500 mila euro, innalzabili a 2 milioni di euro previa consultazione del Comitato IVA; richiesta non dovuta se il limite di 500 mila euro viene superato entro il 31 dicembre 2012. Tale regime si renderebbe applicabile con la possibilità di detrarre l'imposta pagata sugli acquisti a seguito del pagamento del corrispettivo al proprio fornitore, a prescindere dal regime di esigibilità da questi adottato,

impegna il Governo

a recepire la direttiva 2010/45/UE del 13 luglio 2010 entro la fine dell'anno in corso aiutando il sistema imprenditoriale italiano ad avere una maggiore liquidità.
9/4612/49.Burtone.

La Camera,
premesso che:
l'aumento dell'Iva rappresenta una misura molto delicata in un contesto di crescita lenta e con una domanda interna fortemente condizionata dai bassi salari;
l'esigenza di giungere ad una razionalizzazione del sistema di applicazione dell'IVA è una priorità per tutti i Paesi dell'Unione europea, anche perché incide fortemente sul tema dell'evasione;
la razionalizzazione e il riordino complessivo dell'Iva diventa cruciale anche per aiutare le imprese nella loro delicatissima situazione finanziaria;
la direttiva 2010/45/UE del 13 luglio 2010, consente a tutti i Paesi membri di introdurre un «regime IVA di cassa» in grado di velocizzare i pagamenti nelle transazioni commerciali tra imprese;
gli Stati membri sono invitati al recepimento della predetta direttiva entro il 31 dicembre 2012. Il mancato recepimento comporterà l'avvio di una procedura di infrazione;
suddetta introduzione aiuterebbe di molto le imprese in questo momento di congiuntura sfavorevole;
l'IVA di cassa con il recepimento della direttiva si rivolgerebbe a tutte le imprese con volume di affari fino a 500 mila euro, innalzabili a 2 milioni di euro previa consultazione del Comitato IVA; richiesta non dovuta se il limite di 500 mila euro viene superato entro il 31 dicembre 2012. Tale regime si renderebbe applicabile con la possibilità di detrarre l'imposta pagata sugli acquisti a seguito del pagamento del corrispettivo al proprio fornitore, a prescindere dal regime di esigibilità da questi adottato,

impegna il Governo

ad accelerare il recepimento della direttiva 2010/45/UE del 13 luglio 2010 entro la fine dell'anno in corso aiutando il sistema imprenditoriale italiano ad avere una maggiore liquidità.
9/4612/49.(Testo modificato nel corso della seduta) Burtone.

La Camera,
premesso che:
in virtù dell'originale modello societario della struttura democratica e partecipativa e delle finalità mutualistiche e sociali, anche nel corso dell'ultimo triennio le cooperative hanno rappresentato, in tutti i settori dell'economia, un valido argine di contenimento degli effetti della crisi sull'occupazione e sulla coesione sociale;
in questo difficile momento , pur in presenza di una situazione di stallo dei fatturati, le cooperative hanno aumentato del 5 per cento l'occupazione complessiva, raggiungendo il totale di un milione e duecentomila addetti, contribuendo alla continuità di funzionamento dei servizi di assistenza, al contenimento dei prezzi nella distribuzione commerciale, al mantenimento dei flussi di credito per le piccole e medie imprese;
le nuove regole fiscali per le società cooperative, previste all'articolo 2, dal comma 36-bis al comma 36-quater, colpiscono un settore virtuoso dell'economia che si è positivamente contraddistinto e rischiano di indebolire il ruolo che le stesse cooperative stanno svolgendo per la ripresa dell'economia e per la tenuta dell'occupazione,

impegna il Governo

a ripristinare alle società cooperative, attraverso l'adozione di specifiche disposizioni normative, una volta superata l'attuale fase di emergenza, il preesistente livello di imposizione fiscale.
9/4612/50.Marchignoli, Miglioli, Velo, Lulli, Albonetti, Marchi, Lenzi, Rampi, Realacci, Mariani, Tullo.

La Camera,
premesso che:
in virtù dell'originale modello societario della struttura democratica e partecipativa e delle finalità mutualistiche e sociali, anche nel corso dell'ultimo triennio le cooperative hanno rappresentato, in tutti i settori dell'economia, un valido argine di contenimento degli effetti della crisi sull'occupazione e sulla coesione sociale;
in questo difficile momento , pur in presenza di una situazione di stallo dei fatturati, le cooperative hanno aumentato del 5 per cento l'occupazione complessiva, raggiungendo il totale di un milione e duecentomila addetti, contribuendo alla continuità di funzionamento dei servizi di assistenza, al contenimento dei prezzi nella distribuzione commerciale, al mantenimento dei flussi di credito per le piccole e medie imprese;
le nuove regole fiscali per le società cooperative, previste all'articolo 2, dal comma 36-bis al comma 36-quater, colpiscono un settore virtuoso dell'economia che si è positivamente contraddistinto e rischiano di indebolire il ruolo che le stesse cooperative stanno svolgendo per la ripresa dell'economia e per la tenuta dell'occupazione,

impegna il Governo

compatibilmente con il rispetto dell'equilibrio delle finanze pubbliche, a ripristinare alle società cooperative, attraverso l'adozione di specifiche disposizioni normative, una volta superata l'attuale fase di emergenza, il preesistente livello di imposizione fiscale.
9/4612/50.(Testo modificato nel corso della seduta) Marchignoli, Miglioli, Velo, Lulli, Albonetti, Marchi, Lenzi, Rampi, Realacci, Mariani, Tullo.

La Camera,
premesso che:
la razionalizzazione della allocazione degli uffici giudiziari non può che essere obiettivo condivisibile, nell'ottica della efficienza della giurisdizione e delle esigenze di economicità;
il richiamo alla dimensione provinciale come primario criterio di permanenza dei presidi giudiziari potrebbe essere pacifico solo nel caso in cui ciascuna delle attuali province italiane si caratterizzasse per omogeneità di dimensione geografica, di connotazioni orografiche, di consistenza demografica, di domanda di giustizia, di sistemi di viabilità, di edifici già esistenti e destinati alla giurisdizione;
ulteriori problematiche potrebbero sorgere con la soppressione delle province, approvata dal Consiglio dei ministri, in luogo delle quali saranno costituiti consorzi di comuni o distretti turistici o agricoli o industriali, aventi comuni radici e prospettive, spesso superando gli ambiti provinciali;
la necessità di assicurare - in nome del diritto del cittadino a un servizio giustizia che sia efficace, adeguato, giusto e accessibile - una corretta proporzionalità nella distribuzione delle risorse umane e delle strutture,

impegna il Governo

nell'ambito della ristrutturazione degli uffici giudiziari prevista dall'articolo 1 del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 138 del 13 agosto 2011, a tenere conto della necessità di una applicazione diversificata, in relazione alla diversa dimensione delle province italiane, disponendo che nei distretti sede di aree metropolitane o superiori a un milione di abitanti venga previsto il mantenimento di più tribunali, ridefinendo i confini tra i circondari, anche oltre l'ambito provinciale;
a tener conto, in sede di definizione dei confini circondariali, dei prioritari obiettivi di razionalità, economicità, funzionalità, efficienza e contrasto alla criminalità organizzata.
9/4612/51.Marinello, Gioacchino Alfano.

La Camera,
in sede di discussione del disegno di legge A.C. 4612 di conversione in legge del decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138, recante ulteriori disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo,
premesso che:
l'articolo 1, comma 12, ultimi tre periodi, prevede l'applicazione, a far data dalla conversione del decreto-legge 138 stesso, dell'Imposta provinciale di trascrizione (IPT) in misura esclusivamente proporzionale alle formalità di iscrizione e trascrizione sui veicoli nuovi ed usati presso il Pubblico Registro Automobilistico (PRA), con abolizione dell'imposta minima fissa per gli «atti soggetti ad IVA»;
tale disposizione realizza forti incrementi del citato tributo, aumentando i costi di immatricolazione e di trasferimento di proprietà dei veicoli stessi;
detti costi non possono, in attuazione dei principi del diritto tributario e, in particolare, dello statuto del contribuente, nonché di quelli costituzionali, colpire, in modo retroattivo, operazioni già effettuate e rapporti già chiusi al momento della entrata in vigore della disposizione,

impegna il Governo

a valutare l'impatto sui consumatori della disposizione indicata in premessa, al fine di adottare ulteriori iniziative volte a fare in modo che la tariffa proporzionale dell'IPT così introdotta si applichi esclusivamente alle immatricolazioni richieste e agli atti formati a partire dalla data entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge 138.
9/4612/52.Romele, Marinello.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 5-bis del provvedimento in esame (Sviluppo delle regioni dell'obiettivo convergenza e realizzazione del Piano Sud) - introdotto dalla Commissione Bilancio al Senato prevede disposizioni destinate allo sviluppo delle regioni dell'Obiettivo convergenza e per l'attuazione del cosiddetto «Piano Sud»;
a decorrere dall'anno finanziario in corso, la spesa effettuata annualmente dalle regioni a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione sociale (decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88) sui cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari aventi finalità strutturale e sulle risorse indicate dall'articolo 6-sexies del disegno di legge n. 112 del 2008 (riprogrammazione fondi FAS), potrà eccedere i limiti indicati dalla legge di stabilità per il 2011 (articolo 1, commi 126 e 127, della legge 3 dicembre 2010, n. 220), nel rispetto (comma 2) di quanto stabilito dal MEF d'intesa con la Conferenza unificata;
la disposizione consente alle regioni meridionali interessate di escludere dal Patto, già per l'anno in corso, i finanziamenti a valere sul Fondo per lo sviluppo e la coesione sociale (nuova denominazione del FAS); l'alleggerimento del Patto disposto a favore delle predette regioni dovrà essere compensato da un suo ulteriore irrigidimento a carico delle altre regioni;
la programmazione 2007-2013 dei fondi strutturali comunitari di cui all'obiettivo convergenza include le aree in cui il PIL pro capite risulta inferiore al 75 per cento della media comunitaria; tuttavia a seconda delle varie interpretazioni della norma, è possibile che la norma: 1) escluda le regioni a statuto speciale, in quanto rivolta a quelle a statuto ordinario; 2) oltre ad esse escluda la regione Basilicata, in quanto aggiunta in deroga all'Obiettivo convergenza;
negli scorsi giorni il ministro per i rapporti con le regioni, onorevole Fitto ha rassicurato circa l'applicazione della norma a tutte le regioni meridionali, in quanto applicativa del Piano SUD approvato dal Consiglio dei ministri del 26 novembre 2010,

impegna il Governo

ad emanare disposizioni interpretative dell'articolo 5-bis in esame chiarendo che esso riguarda tutte le regioni coinvolte nel Piano per il Sud, coordinando la sua applicazione per l'anno 2012 nell'ambito delle intese con le regioni a statuto speciale previste dal comma 132 della legge di stabilità 2011.
9/4612/53.Garofalo, Marinello, Gioacchino Alfano, Germanà, Minardo, Vincenzo Antonio Fontana, Gibiino.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 1, comma 12, ultimi tre periodi, prevede l'applicazione, a far data dalla conversione del decreto-legge 138 stesso, dell'Imposta provinciale di trascrizione (IPT) in misura esclusivamente proporzionale alle formalità di iscrizione e trascrizione sui veicoli nuovi ed usati presso il Pubblico Registro Automobilistico (PRA), con abolizione dell'imposta minima fissa per gli «atti soggetti ad IVA»;
tale disposizione realizza forti incrementi del citato tributo, aumentando i costi di immatricolazione e di trasferimento di proprietà dei veicoli stessi;
detti incrementi tariffari sarebbero, quanto meno in prima istanza, applicabili, ai sensi del comma 5 dell'articolo 17 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, nonché ai sensi dell'articolo 19-bis introdotto in sede di conversione del decreto-legge 138 stesso, solamente alle province delle regioni a statuto ordinario, creando una incostituzionale grave disparità di trattamento a seconda della residenza o sede degli utenti, nonché la probabile migrazione di concessionari e commercianti di veicoli, società di noleggio e/o leasing automobilistico verso le province ubicate nelle regioni a statuto speciale e nelle Province autonome e la praticamente certa apertura in queste ultime di sedi secondarie (fittizie) dei nominati soggetti,

impegna il Governo

ad assicurare, attraverso ulteriori iniziative normative, l'omogenea e contemporanea attuazione del nuovo calcolo dell'IPT su tutto il territorio nazionale, ossia in tutte le province senza eccezioni né distinguo basati sulla tipologia o autonomia statutaria regionale o provinciale.
9/4612/54.Mazzuca, Marinello.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 1, comma 12, ultimi tre periodi, stabilisce l'applicazione, a far data dalla conversione del decreto-legge 138 stesso, dell'Imposta provinciale di trascrizione (IPT) in misura esclusivamente proporzionale alle formalità di iscrizione e trascrizione sui veicoli nuovi ed usati presso il Pubblico Registro Automobilistico (PRA), con abolizione dell'imposta minima fissa per gli «atti soggetti ad IVA», superando l'esigenza di un decreto del ministro dell'economia e delle finanze previsto dal comma 6 dell'articolo 17 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 di prima revisione del tributo tale disposizione realizza notevoli incrementi del tributo medesimo, aumentando i costi di immatricolazione e di trasferimento di proprietà dei veicoli stessi;
detti incrementi tariffari sarebbero, quanto meno in prima istanza, applicabili, ai sensi del comma 5 del prima ricordato articolo 17 del decreto legislativo 68 del 2011, nonché ai sensi dell'articolo 19-bis introdotto in sede di conversione del decreto-legge 138 stesso, solamente alle province delle regioni a statuto ordinario, creando una incostituzionale grave disparità di trattamento a seconda della residenza o sede degli utenti, nonché la probabile migrazione di concessionari e commercianti di veicoli, società di noleggio e/o leasing automobilistico verso le province ubicate nelle regioni a statuto speciale e nelle Province autonome e la praticamente certa apertura in queste ultime di sedi secondarie (fittizie) dei nominati soggetti,

impegna il Governo

in ossequio a quanto disposto al comma 7 del richiamato articolo 17 del decreto legislativo n. 68 del 2011, che postula la promozione da parte, appunto, del Governo stesso, del riordino dell'IPT attraverso il disegno di legge di stabilità o un disegno di legge ad essa collegato, a attuare detta promozione, con interventi ulteriormente migliorativi rispetto ai criteri base di riordino, nel tempo più breve possibile, per cercare di renderlo operativo già dal 2012, anche allo scopo di ovviare alle sperequazioni e problematiche sopra evidenziate.
9/4612/55.Minardo, Marinello.

La Camera,
premesso che:
il decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, come convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, all'articolo 40, commi 1-ter e 1-quater, ha previsto la riduzione di una lunga lista di agevolazioni fiscali a decorrere dal 2013, qualora non sia stata adottata la riforma fiscale ed assistenziale;
tali riduzioni, con l'attuale manovra correttiva di cui al decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, sono state anticipate al 2012. Inoltre, al fine di garantire gli effetti finanziari, è stata inserita al comma 1-ter una clausola di salvaguardia che prevede la possibilità, in alternativa anche parziale alle riduzioni citate, di rimodulare le aliquote delle imposte indirette, inclusa l'accisa. Tali riduzioni, pari al 5 per cento dal 30 settembre 2012 e al 20 per cento a decorrere dal 2013, riguardano anche le agevolazioni del 36 per cento delle spese sostenute per le ristrutturazioni edilizie, nei limiti complessivi di 48.000 euro per unità immobiliare, e le agevolazioni del 55 per cento delle spese sostenute per interventi di riqualificazione energetica su edifici esistenti di qualsiasi categoria catastale;
è indispensabile che la suddetta riduzione si applichi, in relazione alle detrazioni fiscali del 36 per cento e del 55 per cento, solo alle richieste effettuate dopo il 30 settembre 2012, altrimenti la norma si tradurrebbe in una gravissima lesione dei diritti già acquisiti dai cittadini che hanno effettuato gli interventi di ristrutturazione e di riqualificazione energetica degli edifici confidando nella possibilità di usufruire delle detrazioni piene per i successivi 5 o 10 anni,

impegna il Governo

ad applicare le riduzioni previste dall'allegato C-bis all'articolo 40, comma 1-quater, punti 2 e 6, qualora non si faccia la riforma fiscale ed assistenziale e qualora non si ritenga opportuno scegliere di rimodulare le aliquote delle imposte indirette, solo alle richieste pervenute dopo il 30 settembre 2012, precludendo in tal modo l'applicazione della riduzione alle detrazioni fiscali del 36 per cento e del 55 per cento attualmente già in corso.
9/4612/56.Brugger, Zeller.

La Camera,
premesso che:
i principi ispiratori dello statuto di autonomia della regione autonoma Friuli Venezia Giulia trovano oggi più che mai la propria giustificazione nella presenza storica sul proprio territorio regionale della minoranza linguistica e nazionale slovena;
la minoranza slovena del Friuli Venezia Giulia trova il fondamento della propria tutela negli accordi internazionali, prima di tutto nell'Accordo di Osimo, e nelle specifiche leggi di tutela nazionali (n. 482 del 1999 e n. 38 del 2001) e regionali (n. 26 del 2007) che si ispirano ai dettami della nostra Costituzione, alla Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali ed a analoghe convenzioni multilaterali in materia;
la tutela degli interessi linguistici, culturali e nazionali della minoranza slovena del Friuli Venezia Giulia è intrinsecamente legata al diritto della minoranza slovena di partecipare attivamente con propri rappresentanti eletti alla gestione del territorio di insediamento;
è compito del legislatore, nazionale e regionale, prevedere misure idonee che garantiscano la possibilità di elezione dei rappresentanti della comunità slovena nelle amministrazioni pubbliche nel territorio di insediamento della stessa, come disciplinato dell'articolo 21 della legge 38 del 2001;
tale principio va rispettato anche nell'eventuale riprogrammazione del disegno costituzionale delle autonomie locali;
è da ritenersi diritto inalienabile della minoranza slovena del Friuli Venezia Giulia mantenere quantomeno il livello di partecipazione alla gestione del territorio ad oggi acquisito, attraverso la presenza negli organi elettivi della regione, delle province, dei comuni e di altre forme di amministrazione pubblica decentrata,

impegna il Governo

ad adeguare ogni misura di contenimento della spesa pubblica al principio di non riduzione del livello di tutela della minoranza linguistica e nazionale del Friuli Venezia Giulia cosi come prevista dagli accordi internazionali, dalle fonti normative internazionali e dalla legislazione nazionale e regionale.
9/4612/57. Nicco, Brugger, Zeller.

La Camera,
premesso che:
i principi ispiratori dello statuto di autonomia della regione autonoma Friuli Venezia Giulia trovano oggi più che mai la propria giustificazione nella presenza storica sul proprio territorio regionale della minoranza linguistica e nazionale slovena;
la minoranza slovena del Friuli Venezia Giulia trova il fondamento della propria tutela negli accordi internazionali, prima di tutto nell'Accordo di Osimo, e nelle specifiche leggi di tutela nazionali (n. 482 del 1999 e n. 38 del 2001) e regionali (n. 26 del 2007) che si ispirano ai dettami della nostra Costituzione, alla Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali ed a analoghe convenzioni multilaterali in materia;
la tutela degli interessi linguistici, culturali e nazionali della minoranza slovena del Friuli Venezia Giulia è intrinsecamente legata al diritto della minoranza slovena di partecipare attivamente con propri rappresentanti eletti alla gestione del territorio di insediamento;
è compito del legislatore, nazionale e regionale, prevedere misure idonee che garantiscano la possibilità di elezione dei rappresentanti della comunità slovena nelle amministrazioni pubbliche nel territorio di insediamento della stessa, come disciplinato dell'articolo 21 della legge 38 del 2001;
tale principio va rispettato anche nell'eventuale riprogrammazione del disegno costituzionale delle autonomie locali;
è da ritenersi diritto inalienabile della minoranza slovena del Friuli Venezia Giulia mantenere quantomeno il livello di partecipazione alla gestione del territorio ad oggi acquisito, attraverso la presenza negli organi elettivi della regione, delle province, dei comuni e di altre forme di amministrazione pubblica decentrata,

impegna il Governo

a valutare l'adeguamento di ogni misura di contenimento della spesa pubblica al principio di non riduzione del livello di tutela della minoranza linguistica e nazionale del Friuli Venezia Giulia cosi come prevista dagli accordi internazionali, dalle fonti normative internazionali e dalla legislazione nazionale e regionale.
9/4612/57.(Testo modificato nel corso della seduta) Nicco, Brugger, Zeller.

La Camera,
premesso che:
le feste patronali con i loro programmi laici e religiosi rappresentano un momento importante per ciascuna comunità;
una tradizione che riannoda il filo storico di una memoria e di una identità che si tramanda;
soprattutto nel Mezzogiorno il santo patrono rappresenta una occasione per il rientro di tanti concittadini emigranti quale unico e vero legame con la propria terra, le proprie origini;
San Vito ad Eboli, San Matteo a Salerno, San Gennaro a Napoli, San Rocco in oltre 80 comuni della Basilicata, tra cui Tolve, Pisticci, Ferrandina, la Madonna della Bruna a Matera, San Gerardo a Potenza, San Nicola a Bari, San Giorgio a Reggio Calabria, non sono sicuramente meno importanti di San Pietro e Paolo per la città di Roma, unica festività salvata;
la loro soppressione non è neppure quantificabile in termini di Pil guadagnato mentre è sicuramente una mortificazione storica, culturale e religiosa nonché una secca perdita per le economie locali,

impegna il Governo

ad adottare ulteriori iniziative normative volte a ripristinare entro la fine dell'anno la ricorrenza delle feste patronali senza discriminare cittadini e fedeli in ogni comune d'Italia.
9/4612/58.Cuomo.

La Camera,
premesso che:
le feste patronali con i loro programmi laici e religiosi rappresentano un momento importante per ciascuna comunità;
una tradizione che riannoda il filo storico di una memoria e di una identità che si tramanda;
soprattutto nel Mezzogiorno il santo patrono rappresenta una occasione per il rientro di tanti concittadini emigranti quale unico e vero legame con la propria terra, le proprie origini;
San Vito ad Eboli, San Matteo a Salerno, San Gennaro a Napoli, San Rocco in oltre 80 comuni della Basilicata, tra cui Tolve, Pisticci, Ferrandina, la Madonna della Bruna a Matera, San Gerardo a Potenza, San Nicola a Bari, San Giorgio a Reggio Calabria, non sono sicuramente meno importanti di San Pietro e Paolo per la città di Roma, unica festività salvata;
la loro soppressione non è neppure quantificabile in termini di Pil guadagnato mentre è sicuramente una mortificazione storica, culturale e religiosa nonché una secca perdita per le economie locali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative volte a ripristinare entro la fine dell'anno la ricorrenza delle feste patronali senza discriminare cittadini e fedeli in ogni comune d'Italia.
9/4612/58.(Testo modificato nel corso della seduta) Cuomo.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame non prevede misure concrete volte a garantire il pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese, attuando in modo sostanziale nel nostro ordinamento le indicazioni comunitarie sancite sul punto. Al riguardo si rammenta la recente approvazione della direttiva europea del 23 febbraio 2011 (direttiva 2011/7/UE) del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 febbraio in materia di ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, entrata in vigore il 16 marzo 2013, nell'ambito della quale si prevede che il ritardo nel pagamento può essere al massimo di 30 giorni a meno che non sia indicato diversamente dal contratto. Si può arrivare fino a 60 giorni in caso di accordo tra le due imprese e ancora oltre se espressamente previsto dal contratto, a condizione che non costituisca un'evidente ingiustizia verso la parte più debole. Per quanto riguarda invece i pagamenti dal settore pubblico verso un'impresa: il limite per i pagamenti è di 30 giorni. Ogni ritardo deve essere giustificato con motivazioni oggettive, che deve essere concordato e non potrà mai andare oltre i 60 giorni;
presso la Commissione Bilancio (V) al Senato era stato approvato un emendamento sostenuto dal tutta l'opposizione, ma poi espunto nel testo del maxi-emendamento presentato in Assemblea, recate disposizioni in materia di «Ritardati pagamenti della pubblica amministrazione» (e segnatamente l'emendamento 1.0.8. presentato in sede di discussione dell'A.S. 2887);
suscita perplessità la ritrosia che l'attuale Esecutivo si ostina a dimostrare nell'affrontare in modo definitivo il tema dei ritardi di pagamento delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese,

impegna il Governo

a dare definitiva attuazione nel nostro ordinamento ai principi sanciti a livello comunitario in materia di lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, con particolare riguardo alle pubbliche amministrazioni, valutando altresì la possibilità di assumere iniziative volte a istituire presso la Cassa depositi e prestiti un fondo rotativo che anticipi i pagamenti ai fornitori delle pubbliche amministrazioni stesse;
ad adottare le opportune iniziative normative volte a consentire che alcune categorie di creditori della pubblica amministrazione (quali i soggetti titolari di partita IVA, le imprese artigiane e infine le aziende che presentano i requisiti della piccola impresa ai sensi dell'articolo 1 del decreto del ministro dell'industria 18 settembre 1997, recante «Adeguamento alla disciplina comunitaria dei criteri di individuazione di piccole e medie imprese») possano richiedere alle amministrazioni debitrici la certificazione delle somme dovute e conseguentemente cedere il relativo credito ad un istituto di credito che ne assume la piena titolarità, previo pagamento dell'intero ammontare del credito.
9/4612/59. Di Giuseppe, Cambursano, Borghesi, Cimadoro.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame non prevede misure concrete volte a garantire il pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese, attuando in modo sostanziale nel nostro ordinamento le indicazioni comunitarie sancite sul punto. Al riguardo si rammenta la recente approvazione della direttiva europea del 23 febbraio 2011 (direttiva 2011/7/UE) del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 febbraio in materia di ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, entrata in vigore il 16 marzo 2013, nell'ambito della quale si prevede che il ritardo nel pagamento può essere al massimo di 30 giorni a meno che non sia indicato diversamente dal contratto. Si può arrivare fino a 60 giorni in caso di accordo tra le due imprese e ancora oltre se espressamente previsto dal contratto, a condizione che non costituisca un'evidente ingiustizia verso la parte più debole. Per quanto riguarda invece i pagamenti dal settore pubblico verso un'impresa: il limite per i pagamenti è di 30 giorni. Ogni ritardo deve essere giustificato con motivazioni oggettive, che deve essere concordato e non potrà mai andare oltre i 60 giorni;
presso la Commissione Bilancio (V) al Senato era stato approvato un emendamento sostenuto dal tutta l'opposizione, ma poi espunto nel testo del maxi-emendamento presentato in Assemblea, recate disposizioni in materia di «Ritardati pagamenti della pubblica amministrazione» (e segnatamente l'emendamento 1.0.8. presentato in sede di discussione dell'A.S. 2887);
suscita perplessità la ritrosia che l'attuale Esecutivo si ostina a dimostrare nell'affrontare in modo definitivo il tema dei ritardi di pagamento delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese,

impegna il Governo

a dare definitiva attuazione, compatibilmente con la salvaguardia degli equilibri di finanza pubblica, nel nostro ordinamento ai principi sanciti a livello comunitario in materia di lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, con particolare riguardo alle pubbliche amministrazioni, valutando altresì la possibilità di assumere iniziative volte a istituire presso la Cassa depositi e prestiti un fondo rotativo che anticipi i pagamenti ai fornitori delle pubbliche amministrazioni stesse;
a valutare l'adozione di opportune iniziative normative volte a consentire che alcune categorie di creditori della pubblica amministrazione (quali i soggetti titolari di partita IVA, le imprese artigiane e infine le aziende che presentano i requisiti della piccola impresa ai sensi dell'articolo 1 del decreto del ministro dell'industria 18 settembre 1997, recante «Adeguamento alla disciplina comunitaria dei criteri di individuazione di piccole e medie imprese») possano richiedere alle amministrazioni debitrici la certificazione delle somme dovute e conseguentemente cedere il relativo credito ad un istituto di credito che ne assume la piena titolarità, previo pagamento dell'intero ammontare del credito.
9/4612/59. (Testo modificato nel corso della seduta) Di Giuseppe, Cambursano, Borghesi, Cimadoro.

La Camera,
premesso che:
le disposizioni introdotte nel tempo dall'attuale esecutivo stanziano 1,3 miliardi di euro per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina e 470 milioni di euro per il solo anno 2012 quale contributo ad ANAS S.p.A. per la sottoscrizione e l'esecuzione - a partire dal 2012 - di aumenti di capitale della Stretto di Messina S.p.A.;
al riguardo si rammenta come il comma 4-quater dell'articolo 4 della legge n. 102 del 2009 preveda espressamente l'assegnazione alla società Stretto di Messina Spa di un contributo in conto impianti pari a 1.300 milioni di euro, mentre l'articolo 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191, disponga invece un'autorizzazione di spesa di 470 milioni di euro per l'anno 2012 quale contributo ad ANAS S.p.A. per la sottoscrizione e l'esecuzione - a partire dal 2012 - di aumenti di capitale della Stretto di Messina S.p.A.;
sul tema del Ponte sullo Stretto di Messina la Corte dei Conti - sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato - ha approvato nell'adunanza del secondo collegio, in data 15 dicembre 2009, una relazione concernente gli «Esiti dei finanziamenti per il ponte sullo Stretto di Messina»; la spesa per il Ponte sullo Stretto di Messina, «risultante dall'importo previsto nel progetto preliminare approvato nel 2003 - si legge nella nota della Corte dei conti - ammonterebbe a 4,68 miliardi di euro, ma nell'allegato infrastrutture al DPEF 2009/2013, l'importo per il ponte sullo Stretto di Messina, compreso tra gli interventi della legge obiettivo da cantierare nel prossimo triennio, è indicato in 6,1 miliardi di euro»; lo stesso importo «è indicato nell'allegato infrastrutture al DPEF 2010/2013». Al dicembre 2009 - secondo la suprema magistratura contabile - l'onere complessivo dell'investimento è indicato in euro 6.349.802.000, cui far fronte per la quota di 2,5 miliardi di euro (pari al 40 per cento del costo totale dell'investimento) con risorse pubbliche, in parte proprie della società Stretto di Messina s.p.a. (per 1,2 miliardi di euro), e con contributi in conto impianti assegnati dalla legge n. 102 del 2009 (1,3 miliardi di euro) e, per la parte rimanente del 60 per cento, mediante finanziamenti da reperire sui mercati internazionali,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative normative volte a finanziare il trasporto pubblico locale e di massa completamente azzerate dall'attuale Governo anche attraverso l'impiego di tutte le risorse attualmente previste per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina.
9/4612/60. Piffari, Monai, Borghesi, Cimadoro.

La Camera,
premesso che:
le disposizioni introdotte nel tempo dall'attuale esecutivo stanziano 1,3 miliardi di euro per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina e 470 milioni di euro per il solo anno 2012 quale contributo ad ANAS S.p.A. per la sottoscrizione e l'esecuzione - a partire dal 2012 - di aumenti di capitale della Stretto di Messina S.p.A.;
al riguardo si rammenta come il comma 4-quater dell'articolo 4 della legge n. 102 del 2009 preveda espressamente l'assegnazione alla società Stretto di Messina Spa di un contributo in conto impianti pari a 1.300 milioni di euro, mentre l'articolo 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191, disponga invece un'autorizzazione di spesa di 470 milioni di euro per l'anno 2012 quale contributo ad ANAS S.p.A. per la sottoscrizione e l'esecuzione - a partire dal 2012 - di aumenti di capitale della Stretto di Messina S.p.A.;
sul tema del Ponte sullo Stretto di Messina la Corte dei Conti - sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato - ha approvato nell'adunanza del secondo collegio, in data 15 dicembre 2009, una relazione concernente gli «Esiti dei finanziamenti per il ponte sullo Stretto di Messina»; la spesa per il Ponte sullo Stretto di Messina, «risultante dall'importo previsto nel progetto preliminare approvato nel 2003 - si legge nella nota della Corte dei conti - ammonterebbe a 4,68 miliardi di euro, ma nell'allegato infrastrutture al DPEF 2009/2013, l'importo per il ponte sullo Stretto di Messina, compreso tra gli interventi della legge obiettivo da cantierare nel prossimo triennio, è indicato in 6,1 miliardi di euro»; lo stesso importo «è indicato nell'allegato infrastrutture al DPEF 2010/2013». Al dicembre 2009 - secondo la suprema magistratura contabile - l'onere complessivo dell'investimento è indicato in euro 6.349.802.000, cui far fronte per la quota di 2,5 miliardi di euro (pari al 40 per cento del costo totale dell'investimento) con risorse pubbliche, in parte proprie della società Stretto di Messina s.p.a. (per 1,2 miliardi di euro), e con contributi in conto impianti assegnati dalla legge n. 102 del 2009 (1,3 miliardi di euro) e, per la parte rimanente del 60 per cento, mediante finanziamenti da reperire sui mercati internazionali,

impegna il Governo

a valutare le opportune iniziative normative volte a finanziare il trasporto pubblico locale e di massa anche utilizzando parte delle risorse stanziate per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina.
9/4612/60. (Testo modificato nel corso della seduta) Piffari, Monai, Borghesi, Cimadoro.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame contiene un insieme di disposizioni che, nella loro eterogeneità, dovrebbero perseguire il duplice obiettivo economico-finanziario di:
stabilizzazione finanziaria;
definizione di misure per favorire lo sviluppo e l'occupazione;
sotto tale profilo appare quanto mai urgente intervenire sull'assegnazione tramite gara delle frequenze destinate alla radiodiffusione televisiva in ambito nazionale. Particolarmente criticabile risulta, infatti, come attraverso una procedura diversa dall'asta pubblica e segnatamente un bando in modalità beauty contest, sei frequenze verranno con assoluta probabilità, di fatto, assegnate a costo zero sia a Rai che a Mediaset;
lo scorso martedì 6 settembre 2011 è scaduto il termine per la presentazione delle domande di partecipazione alla procedura per l'assegnazione dei diritti d'uso di 6 frequenze televisive in digitale terrestre (5 in DVB-T e 1 in DVB -H), di cui alla delibera n. 497/10/CONS dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni;
l'applicazione dell'asta pubblica per l'assegnazione delle predette 6 frequenze potrebbe invece produrre un introito stimato da 1 a 2 miliardi di euro, qualora le condizioni di gara mirino ad assicurare la massima valorizzazione economica delle frequenze da assegnare,

impegna il Governo

ad adottare nell'ambito delle proprie competenze le opportune iniziative volte a revocare il citato bando in modalità beauty contest attraverso il quale sei frequenze verranno con assoluta probabilità assegnate a costo zero alla Rai e a Mediaset;
ad adottare nell'ambito delle proprie competenze le opportune iniziative affinché l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni stabilisca le condizioni economiche di assegnazione tramite gara delle frequenze per la radiodiffusione televisiva in ambito nazionale;
ad adottare gli opportuni provvedimenti affinché venga definita una volta per tutte la quota del canone Rai che annualmente deve essere riconosciuta alle emittenti locali ai sensi della legge n. 422 del 1993 al fine di favorire l'azione trainante l'emittenza locale esercita nel nostro Paese.
9/4612/61. Di Pietro, Borghesi, Donadi, Evangelisti.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 7-bis del provvedimento in esame interviene in materia di autotrasporto, prevedendo che i costi minimi di esercizio relativi ai contratti stipulati in forma scritta, individuati sulla base di accordi di settore fra organizzazioni di vettori rappresentati nella Consulta generale per l'autotrasporto e per la logistica e organizzazioni associative dei committenti, debbano essere previamente sottoposti al parere della Consulta stessa e pubblicati con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; inoltre anche in caso di mancata determinazione dei costi minimi da parte dell'Osservatorio sulle attività di autotrasporto, e di conseguente applicazione delle norme sui contratti non stipulati in forma scritta, resta ferma la possibilità di derogare a tali norme sulla base dei predetti accordi di settore;
sul tema dei costi minimi di esercizio nel settore dell'autotrasporto è, come noto intervenuto il presidente dell'Autorità Garante per la concorrenza e per il mercato che in una sua segnalazione inviata al Parlamento aveva evidenziato come l'individuazione di costi minimi di esercizio per l'attività di autotrasporto non costituisca uno strumento idoneo per garantire il soddisfacimento di standard qualitativi e di sicurezza del servizio ma piuttosto uno strumento per assicurare condizioni di redditività anche a coloro che offrono un servizio inefficiente e di bassa qualità;
secondo l'Autorità Garante, infatti, l'esercizio dei poteri di controllo e sanzionatori che la legge attribuisce alle amministrazioni pubbliche competenti, eventualmente rafforzato, consente di rispettare gli standard qualitativi minimi e l'osservanza della normativa in materia di lavoro e di previdenza, senza la necessità di introdurre restrizioni concorrenziali finalizzate unicamente alla protezione dei livelli di reddito dei vettori,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa tesa a realizzare la definitiva liberalizzazione del mercato dell'autotrasporto attraverso il superamento del meccanismo basato sui cosiddetti «costi minimi di esercizio», come del resto auspicato dal presidente dell'Autorità Garante per la concorrenza e per il mercato, nel quadro di una riforma organica della disciplina del settore che sia conforme ai principi della concorrenza, della trasparenza, della tutela della sicurezza stradale e della sicurezza sui luoghi di lavoro.
9/4612/62. Monai, Borghesi, Cambursano, Cimadoro.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 7-bis del provvedimento in esame interviene in materia di autotrasporto, prevedendo che i costi minimi di esercizio relativi ai contratti stipulati in forma scritta, individuati sulla base di accordi di settore fra organizzazioni di vettori rappresentati nella Consulta generale per l'autotrasporto e per la logistica e organizzazioni associative dei committenti, debbano essere previamente sottoposti al parere della Consulta stessa e pubblicati con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; inoltre anche in caso di mancata determinazione dei costi minimi da parte dell'Osservatorio sulle attività di autotrasporto, e di conseguente applicazione delle norme sui contratti non stipulati in forma scritta, resta ferma la possibilità di derogare a tali norme sulla base dei predetti accordi di settore;
sul tema dei costi minimi di esercizio nel settore dell'autotrasporto è, come noto intervenuto il presidente dell'Autorità Garante per la concorrenza e per il mercato che in una sua segnalazione inviata al Parlamento aveva evidenziato come l'individuazione di costi minimi di esercizio per l'attività di autotrasporto non costituisca uno strumento idoneo per garantire il soddisfacimento di standard qualitativi e di sicurezza del servizio ma piuttosto uno strumento per assicurare condizioni di redditività anche a coloro che offrono un servizio inefficiente e di bassa qualità;
secondo l'Autorità Garante, infatti, l'esercizio dei poteri di controllo e sanzionatori che la legge attribuisce alle amministrazioni pubbliche competenti, eventualmente rafforzato, consente di rispettare gli standard qualitativi minimi e l'osservanza della normativa in materia di lavoro e di previdenza, senza la necessità di introdurre restrizioni concorrenziali finalizzate unicamente alla protezione dei livelli di reddito dei vettori,

impegna il Governo

a valutare l'adozione di ogni iniziativa tesa a realizzare la definitiva liberalizzazione del mercato dell'autotrasporto attraverso il superamento del meccanismo basato sui cosiddetti «costi minimi di esercizio», come del resto auspicato dal presidente dell'Autorità Garante per la concorrenza e per il mercato, nel quadro di una riforma organica della disciplina del settore che sia conforme ai principi della concorrenza, della trasparenza, della tutela della sicurezza stradale e della sicurezza sui luoghi di lavoro.
9/4612/62. (Testo modificato nel corso della seduta) Monai, Borghesi, Cambursano, Cimadoro.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame, a seguito delle modifiche approvate durante l'esame presso il Senato della Repubblica (con l'introduzione di otto nuovi articoli e numerosi commi) si compone di 26 articoli, raggruppati in cinque titoli. Il Titolo II, ed in particolare l'articolo 3, contiene disposizioni in materia di liberalizzazioni;
proprio sul tema delle liberalizzazioni, tuttavia, il provvedimento in esame non contiene alcun intervento veramente significativo, nonostante le liberalizzazioni stesse siano necessarie ed urgenti per il nostro Paese perché servono a rendere più agili i singoli mercati di riferimento, come del resto sottolineato nella relazione annuale trasmessa il 30 marzo scorso dall'Autorità Garante per la concorrenza ed il mercato;
il rilancio del processo delle liberalizzazioni, è infatti, secondo l'Autorità Garante per la concorrenza ed il mercato, un tassello cruciale di una vigorosa politica per la crescita perché bisogna aumentare la produttività ed il modo migliore, perché duraturo, per garantire il raggiungimento di tale obiettivo è consentire ai meccanismi di mercato di operare pienamente, adottando quegli interventi di riforma degli assetti regolatori la cui urgenza, in tempi normali, non viene avvertita con la necessaria intensità;
secondo quanto si legge nella citata relazione annuale nel 2010 ci sono state quasi 130 milioni di sanzioni, tra intese, pratiche commerciali scorrette e abusi di posizione dominante. L'anno scorso, in applicazione della normativa a tutela della concorrenza, sono state valutate 502 operazioni di concentrazione, 11 intese, 13 possibili abusi di posizione dominante. I procedimenti per pratiche commerciali scorrette sono stati invece 272,

impegna il Governo

ad adottare interventi realmente incisivi in materia di liberalizzazione del settore delle professioni regolamentate e non regolamentate, ma anche nel settore postale, dei trasporti, delle gestioni autostradali e nel settore della distribuzione dei carburanti;
ad adottare un generale processo di riforma della regolazione in senso pro-concorrenziale che consenta una rigorosa applicazione della disciplina antitrust e un'altrettanto incisiva azione a tutela del consumatore;
a presentare e ad adoperarsi per avviare in tempi celeri la discussione della legge annuale per il mercato e la concorrenza, la cui emanazione è prevista dall'articolo 47 della legge n. 99 del 2009.
9/4612/63. Cimadoro, Borghesi, Cambursano, Barbato.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame, a seguito delle modifiche approvate durante l'esame presso il Senato della Repubblica (con l'introduzione di otto nuovi articoli e numerosi commi) si compone di 26 articoli, raggruppati in cinque titoli. Il Titolo II, ed in particolare l'articolo 3, contiene disposizioni in materia di liberalizzazioni;
proprio sul tema delle liberalizzazioni, tuttavia, il provvedimento in esame non contiene alcun intervento veramente significativo, nonostante le liberalizzazioni stesse siano necessarie ed urgenti per il nostro Paese perché servono a rendere più agili i singoli mercati di riferimento, come del resto sottolineato nella relazione annuale trasmessa il 30 marzo scorso dall'Autorità Garante per la concorrenza ed il mercato;
il rilancio del processo delle liberalizzazioni, è infatti, secondo l'Autorità Garante per la concorrenza ed il mercato, un tassello cruciale di una vigorosa politica per la crescita perché bisogna aumentare la produttività ed il modo migliore, perché duraturo, per garantire il raggiungimento di tale obiettivo è consentire ai meccanismi di mercato di operare pienamente, adottando quegli interventi di riforma degli assetti regolatori la cui urgenza, in tempi normali, non viene avvertita con la necessaria intensità;
secondo quanto si legge nella citata relazione annuale nel 2010 ci sono state quasi 130 milioni di sanzioni, tra intese, pratiche commerciali scorrette e abusi di posizione dominante. L'anno scorso, in applicazione della normativa a tutela della concorrenza, sono state valutate 502 operazioni di concentrazione, 11 intese, 13 possibili abusi di posizione dominante. I procedimenti per pratiche commerciali scorrette sono stati invece 272,

impegna il Governo

a valutare l'adozione di interventi realmente incisivi in materia di liberalizzazione del settore delle professioni regolamentate e non regolamentate, ma anche nel settore postale, dei trasporti, delle gestioni autostradali e nel settore della distribuzione dei carburanti;
ad adottare un generale processo di riforma della regolazione in senso pro-concorrenziale che consenta una rigorosa applicazione della disciplina antitrust e un'altrettanto incisiva azione a tutela del consumatore;
a presentare e ad adoperarsi per avviare in tempi celeri la discussione della legge annuale per il mercato e la concorrenza, la cui emanazione è prevista dall'articolo 47 della legge n. 99 del 2009.
9/4612/63. (Testo modificato nel corso della seduta) Cimadoro, Borghesi, Cambursano, Barbato.

La Camera,
premesso che:
nel provvedimento al nostro esame sono contenute diverse misure di contrasto all'evasione fiscale che sembrano di dubbia efficacia mentre vengono quantificati ex-ante i saldi da raggiungere con queste stesse disposizioni;
alcune delle quali sono nel frattempo sparite o sono state sensibilmente modificate in maniera tale da rendere ulteriormente dubbio il raggiungimento del maggior gettito previsto: il ministro Tremonti - ad esempio - aveva elogiato gli effetti benefici dell'obbligo di dichiarazione da parte dei contribuenti, dei loro intermediari bancari e finanziari, che doveva produrre (ed era stato inserito nella relazione tecnica come entrata) 145 milioni di euro, e poi all'improvviso questa norma è scomparsa;
la norma cosiddetta «manette agli evasori», rispetto alla versione originaria che prevedeva che «qualora l'imposta evasa non versata sia superiore a tre milioni di euro non trova applicazione l'istituto della sospensione condizionale della pena». Successivamente, però, con la presentazione del maxiemendamento, la norma è stata così modificata: «per i delitti previsti (...) l'istituto della sospensione condizionata della pena non trova applicazione nei casi in cui ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a) l'ammontare dell'imposta evasa sia superiore al trenta per cento del volume d'affari; b) l'ammontare dell'imposta evasa sia superiore a tre milioni di euro». Ossia, è stato aggiunto il trenta per cento del volume di affari;
la modifica introdotta rappresenta un mero flatus vocis, in quanto incide assai debolmente sulla realtà dei grandi possessori di patrimoni e di percettori di grandi redditi, tanto da costituire un apporto di minimo peso alla manovra complessiva. Inoltre, essa favorisce facili elusioni della norma stessa, finendo di fatto per premiare i grandi evasori. Infine né questa disposizione, né la manovra nel suo complesso incidono sullo spaventoso fenomeno dell'evasione, che rappresenta la vera piaga contro la quale questa maggioranza nulla vuol fare;
altre più efficaci misure di contrasto all'evasione fiscale sono possibili e praticate da altri paesi europei;
risale a pochi giorni fa l'annuncio di un nuovo accordo bilaterale tra Germania e Svizzera in materia di lotta all'evasione fiscale. In futuro i redditi di cittadini tedeschi titolari di patrimoni illegalmente esportati in Svizzera saranno assoggettati a un'imposta anonima liberatoria del 26,375 per cento, pari all'aliquota in vigore in Germania (25 per cento), più il contributo di solidarietà tedesco;
per il passato si procederà in via forfetaria con un'aliquota tra il 19 e il 34 del valore dei patrimoni, in funzione del numero degli anni e dal variare dei depositi: la media è stata calcolata nel 25 per cento. Per quest'ultimo motivo le banche svizzere anticiperanno immediatamente alla Germania una somma di circa 2 miliardi di euro. I capitali potranno restare anonimi (ma potranno anche essere autodenunciati dagli interessati al fisco tedesco) e le richieste di informazioni in futuro dovranno essere documentate in modo specifico. A breve un accordo simile sarà siglato con il Regno Unito e poi con la Francia;
una riunione del G20 di qualche anno fa aveva individuato come obiettivo primario dei Paesi più industrializzati la lotta all'evasione fiscale nei confronti dei «paradisi fiscali». Nella cosiddetta «lista nera» vi erano allora, tra gli altri, il Principato di Monaco, il Liechtenstein, il Lussemburgo, Andorra, le Bermuda, Cipro, Malta e San Marino e molti altri. Ma non erano esenti alcuni Paesi dove con la scusa del segreto bancario si coprivano da sempre gli evasori, come la Svizzera e l'Austria. Alcuni di questi Paesi decisero, in seguito ai provvedimenti del G20, di mettersi in regola per passare alla «lista bianca», ed entrarono nella cosiddetta «lista grigia», con l'impegno a stipulare 12 accordi bilaterali e internazionali con i Paesi dell'OSCE per poter essere a posto. Gli accordi dovevano prevedere la collaborazione contro l'evasione fiscale e obblighi di informazione su tutti coloro che detengono conti bancari;
mentre altri Paesi, come Stati Uniti, Germania, Francia e Regno Unito iniziarono a stipulare accordi nulla si muoveva in Italia. E quando in occasione di un audizione del ministro Tremonti l'IdV gli fece presente questo fatto, la sua risposta fu davvero sorprendente e lapidaria: «nessun Paese serio fa trattati con i paradisi fiscali»;
la Banca d'Italia ha recentemente pubblicato una ricerca dal titolo emblematico «Alla ricerca dei capitali perduti: una stima delle attività all'estero non dichiarate dagli italiani», dal quale emerge che i capitali italiani illegalmente esportati all'estero ammontano attualmente tra 124 e 194 miliardi di euro;
a seguito del cd. «scudo fiscale» del duo Berlusconi-Tremonti due terzi dei rimpatri sono arrivati proprio dalla Svizzera. Accogliamo per un momento che tale proporzione valga anche per i capitali stimati ancora all'estero: in Svizzera ve ne sarebbero tra 82 e 130. Immaginando solo per un attimo un accordo dell'Italia con la Svizzera come quello fatto dalla Germania, se ne sarebbero ricavati (pur sulla base dell'attuale aliquota del 12,5 per cento) qualche cosa come tra 10,2 e 16,2 miliardi di euro;
ad oggi l'Italia non ha stipulato alcun accordo bilaterale con alcun paradiso fiscale, neppure con S. Marino, con il risultato che mentre sono obbligati a rispondere in modo adeguato agli altri Paesi, con noi possono essere molto evasivi,

impegna il Governo

a avviare trattative ed a sottoscrivere a accordi bilaterali sul modello del citato accordo tra Germania e Svizzera, con quest'ultimo Paese e gli altri «paradisi fiscali».
9/4612/64. Messina, Borghesi, Cambursano, Barbato.

La Camera,
premesso che:
la manovra correttiva al nostro esame non affronta in maniera strutturale le cause che sottostanno alla crisi della finanza pubblica nel nostro Paese, non prevede reali misure di rilancio dell'economia e dell'occupazione, intacca seriamente i diritti dei lavoratori, è particolarmente iniqua in quanto fa pagare i tagli ai servizi e gli aumenti delle entrate tributarie alla classe media ed ai ceti meno abbienti, ed in particolare alle donne. Il maggior difetto di questa manovra risiede nella scarsità di interventi a favore della crescita;
manca a questo provvedimento l'ambizione e il coraggio di trasformare un intervento correttivo d'emergenza in un provvedimento in grado di dare fiducia a una crescita economica che per l'Italia continua a restare un sogno irrealizzabile;
non ci vorrebbe molto a comprendere perché una manovra finanziaria non accompagnata da interventi in grado di aumentare il tasso di crescita della produttività abbia respiro corto e sia destinata a veder rapidamente azzerati i suoi eventuali effetti benefici sui mercati. Parlare della crescita significa dunque parlare della capacità di un'economia di generare reddito futuro;
i tassi di interesse richiesti dai creditori dipendono, infatti, (anche) dalle capacità del debitore di produrre risparmio, non solo nel presente anche in futuro. Senza un elevato tasso di crescita del reddito pro-capite sarà difficile convincere gli investitori che il nostro Paese potrà esprimere quelle capacità, tanto più a seguito di una manovra finanziaria che colpisce duramente il potere d'acquisto al netto delle imposte;
si sono previsti altri interventi strutturali per ottenere risparmi come i tagli ai costi della politica. Le somme così recuperate potrebbero azzerare il nostro deficit e anche ridurre i carichi fiscali che pesano sulle imprese e sulle famiglie. Si potrebbe in particolare, in un'ottica di stimolo alla produzione, ridurre la pressione fiscale sulle imprese eliminando anche gradualmente dall'imponibile Irap il costo del lavoro;
questa misura potrebbe incoraggiare gli investimenti delle imprese ed eviterà che l'Irap costituisca una sorta di «tassa sull'occupazione»;
su un gettito totale di circa 37 miliardi di euro, la quota dell'IRAP derivante dalla tassazione del costo del lavoro è stimata intorno a circa 12,5 miliardi (di cui 3-4 miliardi quella derivante dalla tassazione degli oneri contributivi);
il gettito dell'Irap finanzia circa il 40 per cento della spesa sanitaria italiana. Il gettito dell'IRAP nel 2009 è stato di circa 36,8 miliardi di euro a fronte di 440 miliardi di euro di entrate tributarie previste dalla manovra di bilancio dello Stato per il 2010. L'IRAP è un tributo proprio regionale che, fino a quest'anno, è incassato dallo Stato e poi trasferito alle regioni per finanziare la spesa sanitaria regionale.;
il 33,7 per cento della spesa per la sanità nelle regioni, che per l'anno 2009 ammonta, ad oltre 109,3 miliardi di euro, è finanziata dal gettito dell'IRAP. I restanti 72,5 miliardi di euro di spesa per la sanità sono, quindi, a carico della fiscalità generale sia nazionale, che regionale;
la riduzione del gettito dell'imposta metterebbe a rischio la tenuta del sistema sanitario pubblico.
L'IRAP, dati alla mano, rappresenta una voce importante per le casse delle regioni in quanto, da sola, rappresenta il 17 per cento del totale delle entrate delle stesse (216 miliardi di euro) e il 72,3 per cento del gettito derivante dai tributi. Secondo i dati raccolti dai Bollettini statistici del dipartimento finanze del Ministero dell'economia, nel 2007 il gettito dell'IRAP è stato pari a 40,9 miliardi, poi a seguito della crisi nel 2008 è stato pari a 38,1 miliardi;
il taglio dell'IRAP con la detrazione da tasse «nazionali» come IVA, IRPEF e IRE, non modificherebbe le condizioni finanziarie delle regioni che con la tassa alimentano la sanità,

impegna il Governo

a prendere le opportune iniziative anche legislative, ferme restando le prerogative del Parlamento, al fine di consentire la detrazione della quota di IRAP dovuta al costo del lavoro prevedendo un credito d'imposta detraibile da tributi erariali quali l' IVA, l'IRPEF e l'IRES.
9/4612/65. Paladini, Messina, Barbato.

La Camera,
premesso che:
la manovra correttiva al nostro esame non affronta in maniera strutturale le cause che sottostanno alla crisi della finanza pubblica nel nostro Paese, non prevede reali misure di rilancio dell'economia e dell'occupazione, intacca seriamente i diritti dei lavoratori, è particolarmente iniqua in quanto fa pagare i tagli ai servizi e gli aumenti delle entrate tributarie alla classe media ed ai ceti meno abbienti, ed in particolare alle donne. Il maggior difetto di questa manovra risiede nella scarsità di interventi a favore della crescita;
manca a questo provvedimento l'ambizione e il coraggio di trasformare un intervento correttivo d'emergenza in un provvedimento in grado di dare fiducia a una crescita economica che per l'Italia continua a restare un sogno irrealizzabile;
non ci vorrebbe molto a comprendere perché una manovra finanziaria non accompagnata da interventi in grado di aumentare il tasso di crescita della produttività abbia respiro corto e sia destinata a veder rapidamente azzerati i suoi eventuali effetti benefici sui mercati. Parlare della crescita significa dunque parlare della capacità di un'economia di generare reddito futuro;
i tassi di interesse richiesti dai creditori dipendono, infatti, (anche) dalle capacità del debitore di produrre risparmio, non solo nel presente anche in futuro. Senza un elevato tasso di crescita del reddito pro-capite sarà difficile convincere gli investitori che il nostro Paese potrà esprimere quelle capacità, tanto più a seguito di una manovra finanziaria che colpisce duramente il potere d'acquisto al netto delle imposte;
si sono previsti altri interventi strutturali per ottenere risparmi come i tagli ai costi della politica. Le somme così recuperate potrebbero azzerare il nostro deficit e anche ridurre i carichi fiscali che pesano sulle imprese e sulle famiglie. Si potrebbe in particolare, in un'ottica di stimolo alla produzione, ridurre la pressione fiscale sulle imprese eliminando anche gradualmente dall'imponibile Irap il costo del lavoro;
questa misura potrebbe incoraggiare gli investimenti delle imprese ed eviterà che l'Irap costituisca una sorta di «tassa sull'occupazione»;
su un gettito totale di circa 37 miliardi di euro, la quota dell'IRAP derivante dalla tassazione del costo del lavoro è stimata intorno a circa 12,5 miliardi (di cui 3-4 miliardi quella derivante dalla tassazione degli oneri contributivi);
il gettito dell'Irap finanzia circa il 40 per cento della spesa sanitaria italiana. Il gettito dell'IRAP nel 2009 è stato di circa 36,8 miliardi di euro a fronte di 440 miliardi di euro di entrate tributarie previste dalla manovra di bilancio dello Stato per il 2010. L'IRAP è un tributo proprio regionale che, fino a quest'anno, è incassato dallo Stato e poi trasferito alle regioni per finanziare la spesa sanitaria regionale.;
il 33,7 per cento della spesa per la sanità nelle regioni, che per l'anno 2009 ammonta, ad oltre 109,3 miliardi di euro, è finanziata dal gettito dell'IRAP. I restanti 72,5 miliardi di euro di spesa per la sanità sono, quindi, a carico della fiscalità generale sia nazionale, che regionale;
la riduzione del gettito dell'imposta metterebbe a rischio la tenuta del sistema sanitario pubblico.
L'IRAP, dati alla mano, rappresenta una voce importante per le casse delle regioni in quanto, da sola, rappresenta il 17 per cento del totale delle entrate delle stesse (216 miliardi di euro) e il 72,3 per cento del gettito derivante dai tributi. Secondo i dati raccolti dai Bollettini statistici del dipartimento finanze del Ministero dell'economia, nel 2007 il gettito dell'IRAP è stato pari a 40,9 miliardi, poi a seguito della crisi nel 2008 è stato pari a 38,1 miliardi;
il taglio dell'IRAP con la detrazione da tasse «nazionali» come IVA, IRPEF e IRE, non modificherebbe le condizioni finanziarie delle regioni che con la tassa alimentano la sanità,

impegna il Governo

a valutare opportune iniziative anche legislative, ferme restando le prerogative del Parlamento, al fine di consentire la detrazione della quota di IRAP dovuta al costo del lavoro prevedendo un credito d'imposta detraibile da tributi erariali quali l' IVA, l'IRPEF e l'IRES.
9/4612/65. (Testo modificato nel corso della seduta) Paladini, Messina, Barbato.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento al nostro esame contiene una serie di disposizioni che aumentano le imposte direttamente ed indirettamente, come l'aumento dell'aliquota ordinaria dell'IVA dal 20 al 21 per cento, la conferma del contributo di solidarietà per i dipendenti pubblici, il contributo di solidarietà a carico dei contribuenti con redditi superiori a 300.000 euro, la delega per l'aumento del PREU, l'aumento al 20 per cento dell'aliquote per le imposte sostitutive relative alle rendite, l'introduzione di un'imposta di bollo sui trasferimenti di denaro all'estero; la riduzione delle agevolazioni fiscali a favore delle cooperative e relative alle somme destinate a riserve indivisibili, la maggiorazione di 10,5 punti percentuali sull'imposta sul reddito delle società per le cosiddette società di comodo;
a queste misure - di cui poche sono condivisibili - si devono aggiungere i pesanti tagli ai trasferimenti erariali alle regioni ed agli enti locali, riduzioni che provocheranno tagli ai servizi ai cittadini ed anche aumenti delle imposte e delle tariffe locali;
non sono, viceversa, previste misure efficaci per colpire l'evasione fiscale, ed è stata scartata una misura proposta anche da ambienti della maggioranza per fare pagare un contributo di solidarietà ai contribuenti che avevano usufruito della sanatoria dei capitali trasferiti illegalmente all'estero, i cosiddetti «patrimoni scudati»;
l'argomento utilizzato per escludere tale eventualità è quello del rispetto del patto tra Stato e contribuenti di cui all'articolo 13-bis del decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, e successive modificazioni;
in realtà, in considerazione della straordinaria necessità ed urgenza di concorrere alla stabilizzazione finanziaria e al rilancio della competitività economica del Paese, chiedere un contributo di solidarietà sul patrimonio agli evasori che hanno usufruito di notevoli vantaggi fiscali è del tutto legittimo e equo;
non possiamo non rilevare come tale scrupolo di rispetto dei patti tra Stato e contribuenti, non ci sia stato in occasione della proposta di non computare ai fini delle pensioni di anzianità i periodi del servizio militare e dell'università, patto pur convalidato dai versamenti dei lavoratori interessati,

impegna il Governo

a prendere le opportune misure anche legislative, ferme restando le prerogative del Parlamento, al fine di istituire un contributo di solidarietà a carico di coloro che hanno usufruito dei vantaggi fiscali disposti in relazione al rimpatrio e alla regolarizzazione delle attività finanziarie e patrimoniali detenute all'estero, ai sensi dell'articolo 13-bis del decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78.
9/4612/66. Formisano, Messina, Cambursano, Borghesi, Barbato.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento al nostro esame contiene una serie di disposizioni che aumentano le imposte direttamente ed indirettamente, come l'aumento dell'aliquota ordinaria dell'IVA dal 20 al 21 per cento, la conferma del contributo di solidarietà per i dipendenti pubblici, il contributo di solidarietà a carico dei contribuenti con redditi superiori a 300.000 euro, la delega per l'aumento del PREU, l'aumento al 20 per cento dell'aliquote per le imposte sostitutive relative alle rendite, l'introduzione di un'imposta di bollo sui trasferimenti di denaro all'estero; la riduzione delle agevolazioni fiscali a favore delle cooperative e relative alle somme destinate a riserve indivisibili, la maggiorazione di 10,5 punti percentuali sull'imposta sul reddito delle società per le cosiddette società di comodo;
a queste misure - di cui poche sono condivisibili - si devono aggiungere i pesanti tagli ai trasferimenti erariali alle regioni ed agli enti locali, riduzioni che provocheranno tagli ai servizi ai cittadini ed anche aumenti delle imposte e delle tariffe locali;
non sono, viceversa, previste misure efficaci per colpire l'evasione fiscale, ed è stata scartata una misura proposta anche da ambienti della maggioranza per fare pagare un contributo di solidarietà ai contribuenti che avevano usufruito della sanatoria dei capitali trasferiti illegalmente all'estero, i cosiddetti «patrimoni scudati»;
l'argomento utilizzato per escludere tale eventualità è quello del rispetto del patto tra Stato e contribuenti di cui all'articolo 13-bis del decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, e successive modificazioni;
in realtà, in considerazione della straordinaria necessità ed urgenza di concorrere alla stabilizzazione finanziaria e al rilancio della competitività economica del Paese, chiedere un contributo di solidarietà sul patrimonio agli evasori che hanno usufruito di notevoli vantaggi fiscali è del tutto legittimo e equo;
non possiamo non rilevare come tale scrupolo di rispetto dei patti tra Stato e contribuenti, non ci sia stato in occasione della proposta di non computare ai fini delle pensioni di anzianità i periodi del servizio militare e dell'università, patto pur convalidato dai versamenti dei lavoratori interessati,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di varare misure anche legislative, ferme restando le prerogative del Parlamento, al fine di istituire un contributo di solidarietà a carico di coloro che hanno usufruito dei vantaggi fiscali disposti in relazione al rimpatrio e alla regolarizzazione delle attività finanziarie e patrimoniali detenute all'estero, ai sensi dell'articolo 13-bis del decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78.
9/4612/66. (Testo modificato nel corso della seduta) Formisano, Messina, Cambursano, Borghesi, Barbato.

La Camera,
premesso che:
secondo uno studio di contribuenti.it, elaborato su dati provvisori del Ministero delle finanze che fa riferimento alle dichiarazioni fiscali presentate nel 2009, è emerso che la metà degli italiani dichiara non oltre 15.000 euro annui e circa due terzi non più di 20.000 euro; di contro, solo l'1 per cento che dichiara oltre 100 mila euro e lo 0,2 per cento più di 200 mila euro. Nello stesso periodo in Italia, venivano immatricolate 206 mila automobili di lusso dal prezzo medio di 103 mila euro (comprese 620 Ferrari e 151 Lamborghini). E invece, solo 76 mila italiani (lo 0,18 per cento dei 41.066.588 contribuenti) hanno dichiarato al fisco un reddito di importo simile;
nel provvedimento al nostro esame sono contenute diverse misure di contrasto all'evasione fiscale che sembrano di dubbia efficacia mentre vengono quantificati ex-ante i saldi da raggiungere con queste stesse disposizioni;
alcune delle misure previste sono nel frattempo sparite o sono state sensibilmente modificate in maniera tale da rendere ulteriormente dubbio il raggiungimento del maggior gettito previsto;
esiste da anni - ad esempio - la possibilità per l'amministrazione finanziaria di ricorrere al redditometro. La norma che ammette l'uso di questo strumento è l'articolo 38, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, che prevede disposizioni sulle rettifiche delle dichiarazioni delle persone fisiche;
l'attuale redditometro ha però esclusivamente effetto di controllo a posteriori ed essendo applicato parzialmente, di fatto ha avuto scarso utilizzo e scarsa efficacia anche perché i vari condoni fiscali che si sono succeduti lo hanno reso pressoché inutile. Ciononostante nel 2009 ha permesso all'Agenzia delle entrate di scovare circa 20 mila falsi poveri e accertato maggiori imposte per circa 300 milioni di euro;
anche il cosiddetto «spesometro» introdotto con l'articolo 21 del decreto-legge n. 78 del 2010, pur costituendo un passo in avanti, non sembra avere grandi prospettive di successo;
si tratta di un nuovo modo per controllare e monitorare l'evasione fiscale verificando gli acquisti sostenuti dai cittadini e confrontandoli con il reddito dichiarato:
tutti i soggetti Iva dovranno comunicare in via telematica all'Agenzia delle entrate le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate e ricevute, di importo pari o superiore a 3.000 euro (al netto dell'Iva). Cambia, in sostanza, il modo di «fare la spesa», poiché i venditori saranno obbligati a richiedere il codice fiscale ad ogni cliente la cui spesa complessiva sia superiore all'importo specificato;
sono obbligati ad effettuare la comunicazione tutti i soggetti passivi ai fini IVA (imprese/lavoratori autonomi) che effettuano operazioni:
per le quali hanno emesso fattura nei confronti dei clienti;
ricevute da soggetti titolari di partita Iva (acquisti da fornitori);
per le quali non hanno emesso fattura (consumatori finali, compresi imprenditori e professionisti per gli acquisti di beni e servizi non rientranti nell'attività d'impresa o di lavoro autonomo).
Sono esonerati, dagli adempimenti i contribuenti «minimi»;
il redditometro può, viceversa, se utilizzato correttamente ex-ante, diventare cruciale per fornire indizi importanti sulla «coerenza» dei redditi personali dichiarati a valle da questi e altri contribuenti, visto che non mira a individuare l'origine delle loro entrate (come fanno invece gli studi di settore), ma piuttosto a pesare i guadagni ufficiali con le «manifestazioni di ricchezza», che in genere non vengono nascoste;
la piena funzionalità del redditometro si può ottenere a patto che esso determini una presunzione legale, che comporti l'onere della prova contraria in capo al contribuente, ma che consenta fin da subito l'iscrizione a ruolo e la conseguente riscossione delle maggiori imposte così accertate;
rispetto agli attuali indicatori (possesso di automobili, immobili, barche, e così via) devono entrare nella partita «valori» nuovi, come le scuole private per i figli, le vacanze in località di lusso, la frequentazione di centri benessere e così via, elementi di cui si va arricchendo la banca dati dell'Agenzia delle entrate;
esiste un grande numero di società che dichiarano redditi negativi o molto bassi: in molti casi sono in possesso di beni di lusso come automobili di grande cilindrata, ville, immobili. Il redditometro va esteso anche a queste società imponendo loro di pagare le stesse tasse richieste alle persone fisiche,

impegna il Governo

a prendere le opportune iniziative, anche legislative, ferme restando le prerogative del Parlamento, al fine di:
introdurre una determinazione sintetica preventiva del reddito complessivo netto delle persone fisiche in relazione al contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva sulla base dei dati in possesso delle pubbliche amministrazioni, anche utilizzando al riguardo l'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE);
ed analogamente per determinare l'imponibile dell'imposta sul reddito delle società (IRES) anche sulla base del possesso da parte di una società di uno o più autoveicoli di lusso, di aerei per il trasporto di persone, di natanti di lusso o di immobili ad uso residenziale, qualora non costituenti oggetto principale dell'attività della società stessa.
9/4612/67. Porcino, Borghesi, Messina, Barbato.

La Camera,
premesso che:
secondo uno studio di contribuenti.it, elaborato su dati provvisori del Ministero delle finanze che fa riferimento alle dichiarazioni fiscali presentate nel 2009, è emerso che la metà degli italiani dichiara non oltre 15.000 euro annui e circa due terzi non più di 20.000 euro; di contro, solo l'1 per cento che dichiara oltre 100 mila euro e lo 0,2 per cento più di 200 mila euro. Nello stesso periodo in Italia, venivano immatricolate 206 mila automobili di lusso dal prezzo medio di 103 mila euro (comprese 620 Ferrari e 151 Lamborghini). E invece, solo 76 mila italiani (lo 0,18 per cento dei 41.066.588 contribuenti) hanno dichiarato al fisco un reddito di importo simile;
nel provvedimento al nostro esame sono contenute diverse misure di contrasto all'evasione fiscale che sembrano di dubbia efficacia mentre vengono quantificati ex-ante i saldi da raggiungere con queste stesse disposizioni;
alcune delle misure previste sono nel frattempo sparite o sono state sensibilmente modificate in maniera tale da rendere ulteriormente dubbio il raggiungimento del maggior gettito previsto;
esiste da anni - ad esempio - la possibilità per l'amministrazione finanziaria di ricorrere al redditometro. La norma che ammette l'uso di questo strumento è l'articolo 38, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, che prevede disposizioni sulle rettifiche delle dichiarazioni delle persone fisiche;
l'attuale redditometro ha però esclusivamente effetto di controllo a posteriori ed essendo applicato parzialmente, di fatto ha avuto scarso utilizzo e scarsa efficacia anche perché i vari condoni fiscali che si sono succeduti lo hanno reso pressoché inutile. Ciononostante nel 2009 ha permesso all'Agenzia delle entrate di scovare circa 20 mila falsi poveri e accertato maggiori imposte per circa 300 milioni di euro;
anche il cosiddetto «spesometro» introdotto con l'articolo 21 del decreto-legge n. 78 del 2010, pur costituendo un passo in avanti, non sembra avere grandi prospettive di successo;
si tratta di un nuovo modo per controllare e monitorare l'evasione fiscale verificando gli acquisti sostenuti dai cittadini e confrontandoli con il reddito dichiarato:
tutti i soggetti Iva dovranno comunicare in via telematica all'Agenzia delle entrate le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate e ricevute, di importo pari o superiore a 3.000 euro (al netto dell'Iva). Cambia, in sostanza, il modo di «fare la spesa», poiché i venditori saranno obbligati a richiedere il codice fiscale ad ogni cliente la cui spesa complessiva sia superiore all'importo specificato;
sono obbligati ad effettuare la comunicazione tutti i soggetti passivi ai fini IVA (imprese/lavoratori autonomi) che effettuano operazioni:
per le quali hanno emesso fattura nei confronti dei clienti;
ricevute da soggetti titolari di partita Iva (acquisti da fornitori);
per le quali non hanno emesso fattura (consumatori finali, compresi imprenditori e professionisti per gli acquisti di beni e servizi non rientranti nell'attività d'impresa o di lavoro autonomo).
Sono esonerati, dagli adempimenti i contribuenti «minimi»;
il redditometro può, viceversa, se utilizzato correttamente ex-ante, diventare cruciale per fornire indizi importanti sulla «coerenza» dei redditi personali dichiarati a valle da questi e altri contribuenti, visto che non mira a individuare l'origine delle loro entrate (come fanno invece gli studi di settore), ma piuttosto a pesare i guadagni ufficiali con le «manifestazioni di ricchezza», che in genere non vengono nascoste;
la piena funzionalità del redditometro si può ottenere a patto che esso determini una presunzione legale, che comporti l'onere della prova contraria in capo al contribuente, ma che consenta fin da subito l'iscrizione a ruolo e la conseguente riscossione delle maggiori imposte così accertate;
rispetto agli attuali indicatori (possesso di automobili, immobili, barche, e così via) devono entrare nella partita «valori» nuovi, come le scuole private per i figli, le vacanze in località di lusso, la frequentazione di centri benessere e così via, elementi di cui si va arricchendo la banca dati dell'Agenzia delle entrate;
esiste un grande numero di società che dichiarano redditi negativi o molto bassi: in molti casi sono in possesso di beni di lusso come automobili di grande cilindrata, ville, immobili. Il redditometro va esteso anche a queste società imponendo loro di pagare le stesse tasse richieste alle persone fisiche,

impegna il Governo

a valutare le opportune iniziative, anche legislative, ferme restando le prerogative del Parlamento, al fine di:
introdurre una determinazione sintetica preventiva del reddito complessivo netto delle persone fisiche in relazione al contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva sulla base dei dati in possesso delle pubbliche amministrazioni, anche utilizzando al riguardo l'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE);
ed analogamente per determinare l'imponibile dell'imposta sul reddito delle società (IRES) anche sulla base del possesso da parte di una società di uno o più autoveicoli di lusso, di aerei per il trasporto di persone, di natanti di lusso o di immobili ad uso residenziale, qualora non costituenti oggetto principale dell'attività della società stessa.
9/4612/67. (Testo modificato nel corso della seduta) Porcino, Borghesi, Messina, Barbato.

La Camera,
premesso che:
il comma 3 dell'articolo 2 del provvedimento al nostro esame attribuisce all'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato - AAMS - un'ampia potestà nell'emanazione di disposizioni in materia di giochi pubblici dirette ad assicurare maggiori entrate; viene altresì attribuito al direttore generale dell'AAMS il potere di proporre al ministro dell'economia e delle finanze l'aumento dell'aliquota di base dell'accisa sui tabacchi;
il primo periodo del comma citato prevede che, entro il 12 ottobre 2011 (60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto), l'AAMS possa, con propri decreti dirigenziali, emanare tutte le disposizioni in materia di giochi pubblici utili al fine di assicurare maggiori entrate;
a titolo esemplificativo, e non esaustivo, la norma elenca una serie di ambiti in cui con i decreti emanati dall'AAMS sarà possibile dettare disposizioni, ossia:
l'introduzione di nuovi giochi;
l'indizione di nuove lotterie, anche ad estrazione istantanea;
l'adozione di nuove modalità di gioco del Lotto;
l'adozione di nuove modalità dei giochi numerici a totalizzazione nazionale;
la variazione dell'assegnazione della percentuale della posta di gioco a montepremi ovvero a vincite in denaro;
la variazione della percentuale del compenso per le attività di gestione ovvero per quella dei punti vendita;
la variazione della misura del prelievo erariale unico (PREU);
tale ultima previsione suscita dubbi di costituzionalità, in quanto rimette ad una fonte secondaria emanata da un'autorità amministrativa (decreto dirigenziale) la determinazione dell'entità di una prestazione di natura patrimoniale. Sarebbe opportuno che, nel pieno rispetto della riserva di legge prevista all'articolo 23 della Costituzione, la fonte di rango primario - in questo caso, lo stesso decreto-legge - quanto meno circoscriva puntualmente l'ambito dell'attività normativa rimessa all'autorità amministrativa;
le liti in cui sono parti i concessionari dei giochi e l'amministrazione finanziaria dello Stato, aventi ad oggetto violazioni degli obblighi inerenti alle concessioni e pendenti alla data odierna davanti alla Corte dei conti hanno ad oggetto importi rilevantissimi pari complessivamente a circa 90 miliardi di euro;
un'indagine condotta nel 2007 sul settore dei giochi pubblici da una commissione ministeriale guidata dall'allora sottosegretario per l'economia e le finanze Alfiero Grandi e dal generale della Guardia di finanza Castore Palmerini aveva evidenziato un'enorme truffa ai danni dello Stato, per una cifra ammontante a 88 miliardi di euro;
nel luglio 2006, la Corte dei conti aveva delegato le attività investigative in merito al nucleo speciale frodi telematiche della Guardia di finanza di Roma;
oltre al danno erariale, durante l'indagine è emersa la possibile infiltrazione di soggetti appartenenti alla criminalità organizzata in seno ad una delle società concessionarie, mentre risultano pendenti in proposito alcuni procedimenti di carattere penale affidati a diversi pubblici ministeri;
inoltre, la procura della Corte dei conti ha citato in giudizio dieci concessionari ed i controllori inadempienti dell'amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS), contestando violazioni degli obblighi del concessionario, che non aveva provveduto a collegare gli apparecchi per il gioco d'azzardo per permetterne il controllo in tempo reale, come previsto dalla legge e che non aveva versato all'erario ingenti somme relative al prelievo erariale dovuto sui proventi dei citati apparecchi di gioco;
la mancata connessione delle slot machine ha determinato, infatti, oltre al venir meno delle garanzie del dichiarato «gioco legale», a causa del consistente volume di «giocate» sfuggite al computo delle imposte, un ingente danno erariale;
in particolare l'erario non incamerava il prelievo erariale unico (PREU), il cui pagamento sarebbe stato evaso, o eluso con modalità di pagamento forfettarie, da parte delle società concessionarie;
l'articolo 39, comma 13, del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003, prevede, infatti, che agli apparecchi di gioco, collegati in rete, si applichi un prelievo erariale unico;
nel caso in cui gli apparecchi non trasmettano i dati del contatore di gioco viene applicato un PREU forfettario: tale PREU forfettario non è peraltro previsto da alcuna norma, e la determinazione della base imponibile presenta alcuni elementi di criticità, in ragione del fatto che essa viene calcolata sulla media delle giocate degli apparecchi in rete;
il settore dei giochi e delle scommesse ha realizzato un fatturato di circa 61 miliardi di euro nel 2010 è stato, fatturato che potrebbe raggiungere, nel 2011, i 70 miliardi di euro;
tale andamento del gettito riflette evidentemente la disperazione e la paura dei cittadini del nostro Paese, mentre è preoccupante l'aggravamento del fenomeno delle ludopatie;
diventa urgente un intervento organico in materia di giochi che consentirebbe di acquisire risorse da chi può e deve metterle a disposizione,

impegna il Governo

a prendere le opportune iniziative, anche legislative, fatte salve le prerogative del Parlamento, volte a:
consentire una definizione dei contenziosi esistenti in materia di concessioni attualmente in corso, definizione che potrebbe consentire il reperimento di nuove risorse non gravando sui cittadini;
inserire il mancato collegamento degli apparecchi di gioco alla rete telematica tra i casi di evasione tributaria per i quali l'articolo 5 del decreto legislativo n. 74 del 2000 prevede la pena della reclusione da uno a tre anni;
inibire la possibilità di concorrere all'assegnazione o al rinnovo delle concessioni in materia di giochi e scommesse alle società che abbiano in corso un contenzioso per inadempienze contrattuali nei confronti di amministrazioni pubbliche, ovvero nei cui confronti sussistano iscrizioni a ruolo, relative a tributi o contributi, definitive scadute e non versate.
9/4612/68. Barbato, Messina, Cambursano, Borghesi.

La Camera,
premesso che:
nel nostro Paese, l'evasione fiscale è in crescita, come ha certificato l'Istat che ha stimato che nel 2008 sarebbero più di 250 miliardi di redditi non dichiarati e le imposte evase ammonterebbero a 100 miliardi. Nel frattempo però queste cifre sono salite rispettivamente a quota 270 e 120;
l'Agenzia delle entrate e la Guardia di finanza negli ultimi anni hanno affinato la loro sinergia: hanno una trentina di banche dati a disposizione, le operazioni di controllo vengono pianificate insieme all'inizio di ogni anno. Tuttavia, secondo la Dbgeo, una banca dati dell'Agenzia delle entrate, a livello nazionale ci sarebbe una differenza del 38,41 per cento fra il reddito dichiarato e il reddito presunto degli italiani che non sono lavoratori dipendenti o pensionati;
uno degli strumenti maggiormente utilizzati, soprattutto per i detentori di beni di grande valore o patrimoni di centinaia di migliaia di euro, per eludere e/o evadere le imposte è quello della costituzione di «società di comodo» e il ricorso ai «trust»;
il provvedimento al nostro esame all'articolo 2, commi 36-quinquies-36-duodecies, reca norme in materia di società di comodo disponendo, da una parte, una maggiorazione di 10,5 punti percentuali sull'imposta sul reddito delle società (IRES) e, dall'altra, estendendo l'applicazione della maggiorazione alle società che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per tre periodi d'imposta consecutivi;
tali disposizioni avrebbero dovuto porre fine alle società di comodo ed invece si sono limitate ad intervenire su quelle che abbiano denunciato perdite persistenti;
in realtà, norme per colpire le società di comodo esistono già (vedi i commi 128 e 129, articolo 1, della legge n. 244 del 2007 - Finanziaria 2008): per esempio, chi intesta la propria barca a una società controllata da se stesso o dai propri familiari potrà recuperare l'Iva versata ai fornitori solo se paga un noleggio superiore a soglie prefissate;
questa forma di elusione fiscale è diffusissima. Sarebbero oltre 4 mila le società che hanno come attività il «noleggio di imbarcazioni da diporto senza equipaggio». E gran parte di queste affittano la barca ai propri soci;
i controlli hanno però fin qui dato risultati scarsi. Poche decine di contestazioni per un valore complessivo nell'ordine dei milioni di euro;
all'articolo 1 , della legge n. 244 del 2007 (Finanziaria 2008), il comma 128, lettera d), amplia i casi di esenzione dalla normativa antielusiva di contrasto delle società di comodo. Si prevede, infatti, che essa non si applichi, tra gli altri casi, a quello delle società che risultino congrue e coerenti ai fini degli studi di settore;
tale esclusione, di fatto, invita molti contribuenti disonesti a falsificare le dichiarazioni dei redditi al fine di eludere le norme di contrasto all'utilizzo delle società di comodo. Su circa 900 mila posizioni di soggetti non congrui e non adeguati, meno del 5 per cento dei contribuenti può concretamente rischiare di essere invitato al contraddittorio. Ad esempio, nel corso dell'anno 2007, gli accertamenti sugli studi di settore sono stati appena 40.388 (dati Confartigianato) per un importo mediamente accertato pari a 3.519 euro;
ancora più difficile appare la caccia al trust, una formula giuridica anglosassone, che consente di schermare il reale proprietario di un bene designando un intestatario giuridico e un beneficiario economico;
tra gli strumenti che facilitano l'elusione delle imposte il trust conosce un grosso successo. Ne fa uso chi vuole proteggere i propri beni dalle pretese dei creditori o, in caso di separazione, dalle richieste della ex moglie. Ma il trust, a quanto pare, funziona benissimo anche per mettersi al riparo dal fisco. Non si contano i beni di lusso (ville, barche, auto) intestati, per esempio, a strutture fiduciarie con sede nelle isole britanniche del Canale. Anche in questo caso negli ultimi anni le norme e i controlli si sono fatti più stringenti, ma la stessa moltiplicazione dei professionisti del trust appare una implicita conferma che gran parte degli evasori è più che convinta di farla franca;
se davvero si vuole combattere il fenomeno delle società «filtro» , basterebbe obbligare tutte le società a rilevare l'identità dei dominus, delle persone fisiche che le controllano. Sarebbe una svolta nella lotta all'evasione fiscale e anche per la repressione della criminalità organizzata,

impegna il Governo

a prendere le opportune iniziative anche legislative, ferme restando le prerogative del Parlamento, al fine di:
eliminare la congruità agli studi di settore dalle fattispecie per le quali una società non viene classificata come società di comodo;
rendere trasparenti i veri proprietari di beni intestati a società di comodo prevedendo che i beni, le cui indicazioni vengano omesse o formulate con riferimento a persone fisiche i cui redditi risultino palesemente squilibrati rispetto al valore dei medesimi, siano sottoposti a confisca.
9/4612/69. Cambursano, Borghesi.

La Camera,
premesso che:
esiste l'esigenza di ridurre la spesa pubblica e sussistono ragioni per una migliore organizzazione del servizio di giustizia;
nel corso degli ultimi anni il sistema giudiziario è entrato in una rilevantissima crisi produttiva, numericamente valutabile anno dopo anno dalle impietose statistiche di durata media dei procedimenti;
si rendono quindi necessari degli interventi anche alla luce del pregiudizio per la finanza pubblica conseguente all'incremento degli esborsi subiti per la violazione del principio costituzionale di ragionevole durata del processo e delle connesse infrazioni degli obblighi assunti in sede comunitaria;
la situazione di crisi in cui versa il sistema giudiziario non può protrarsi ulteriormente nel tempo, visto che lo stallo della giustizia civile contribuisce in modo determinante ad impedire la crescita economica del Paese;
va osservato che secondo gli ultimi dati della Cepej la produttività dei singoli giudici italiani è la più alta rispetto alla media europea; eppure, la durata dei processi ordinari in primo grado supera i mille giorni, collocando l'Italia al 157esimo posto su 183 paesi nelle graduatorie della Banca Mondiale;
molteplici e concomitanti possono essere considerate le cause della crisi della giustizia: farraginosità del sistema procedurale, insufficienza delle risorse soggettive e materiali, non da ultimo il sistema delle notifiche degli atti del procedimento;
appaiono quindi necessarie misure urgenti, in attesa di una più razionale ed organica riforma del processo civile, fondata sulla semplificazione del procedimento;
quindi, in vista di una indifferibile complessiva e strutturale riforma della giustizia è opportuno avviare, quanto prima, una seria informatizzazione, oggi ancora in fase di sperimentazione, e un cambiamento della geografia giudiziaria, ormai anacronistica in quanto non più rispondente alle attuali esigenze economiche e sociali del Paese;
una più efficiente gestione del processo produrrebbe una conseguente ricaduta positiva sui tempi e sui costi della giustizia,

impegna il Governo

a garantire una maggiore efficienza della giustizia, anche mediante l'istituzione negli uffici giudiziari di ogni ordine e grado di strutture organizzative denominate «ufficio per il processo» (unità operativa in grado di svolgere tutti i compiti, e di fornire quindi un valido supporto all'attività giurisdizionale per moltiplicare qualità e produttività), mediante la riorganizzazione delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie, con la finalità di rendere effettivi le garanzie e i diritti riconosciuti ai cittadini, nonché la ragionevole durata del processo;
in sede di riorganizzazione degli uffici giudiziari sul territorio, a tenere in debita considerazione la specificità di ciascuna realtà territoriale sia in considerazione della densità criminale comune e organizzata che della morfologia del territorio, con particolare attenzione alla fruibilità e accessibilità del servizio giustizia nelle isole minori.
9/4612/70. Leoluca Orlando, Palomba.

La Camera,
premesso che:
esiste l'esigenza di ridurre la spesa pubblica e sussistono ragioni per una migliore organizzazione del servizio di giustizia;
nel corso degli ultimi anni il sistema giudiziario è entrato in una rilevantissima crisi produttiva, numericamente valutabile anno dopo anno dalle impietose statistiche di durata media dei procedimenti;
si rendono quindi necessari degli interventi anche alla luce del pregiudizio per la finanza pubblica conseguente all'incremento degli esborsi subiti per la violazione del principio costituzionale di ragionevole durata del processo e delle connesse infrazioni degli obblighi assunti in sede comunitaria;
la situazione di crisi in cui versa il sistema giudiziario non può protrarsi ulteriormente nel tempo, visto che lo stallo della giustizia civile contribuisce in modo determinante ad impedire la crescita economica del Paese;
va osservato che secondo gli ultimi dati della Cepej la produttività dei singoli giudici italiani è la più alta rispetto alla media europea; eppure, la durata dei processi ordinari in primo grado supera i mille giorni, collocando l'Italia al 157esimo posto su 183 paesi nelle graduatorie della Banca Mondiale;
molteplici e concomitanti possono essere considerate le cause della crisi della giustizia: farraginosità del sistema procedurale, insufficienza delle risorse soggettive e materiali, non da ultimo il sistema delle notifiche degli atti del procedimento;
appaiono quindi necessarie misure urgenti, in attesa di una più razionale ed organica riforma del processo civile, fondata sulla semplificazione del procedimento;
quindi, in vista di una indifferibile complessiva e strutturale riforma della giustizia è opportuno avviare, quanto prima, una seria informatizzazione, oggi ancora in fase di sperimentazione, e un cambiamento della geografia giudiziaria, ormai anacronistica in quanto non più rispondente alle attuali esigenze economiche e sociali del Paese;
una più efficiente gestione del processo produrrebbe una conseguente ricaduta positiva sui tempi e sui costi della giustizia,

impegna il Governo

a garantire una maggiore efficienza della giustizia, valutando anche l'eventuale istituzione negli uffici giudiziari di ogni ordine e grado di strutture organizzative denominate «ufficio per il processo» (unità operativa in grado di svolgere tutti i compiti, e di fornire quindi un valido supporto all'attività giurisdizionale per moltiplicare qualità e produttività), mediante la riorganizzazione delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie, con la finalità di rendere effettivi le garanzie e i diritti riconosciuti ai cittadini, nonché la ragionevole durata del processo;
in sede di riorganizzazione degli uffici giudiziari sul territorio, a tenere in debita considerazione la specificità di ciascuna realtà territoriale sia in considerazione della densità criminale comune e organizzata che della morfologia del territorio, con particolare attenzione alla fruibilità e accessibilità del servizio giustizia nelle isole minori.
9/4612/70. (Testo modificato nel corso della seduta) Leoluca Orlando, Palomba.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento al nostro esame, all'articolo 1 del disegno di legge di conversione, prevede una delega al Governo (12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge) per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza;
nella succitata disposizione, al comma 2 lettera c), nell'ambito dei princìpi e criteri direttivi da osservare, è prevista la possibilità di accorpare più uffici di procura indipendentemente dall'eventuale accorpamento dei rispettivi tribunali, prevedendo, in tali casi, che l'ufficio di procura accorpante possa svolgere le funzioni requirenti in più tribunali;
nella disposizione non è indicato nessun criterio oggettivo di riferimento per la realizzazione di tali accorpamenti;
gli uffici di procura sono cosiddetti bifasici, ossia hanno una fase inquirente ed una fase requirente: la fase inquirente è quella dell'acquisizione della notizia di reato e delle indagini; la fase requirente è quella in cui, dalla raccolta delle indagini, si formano le proposte per il giudice, si richiede il processo e così via; pertanto, gli accorpamenti di procure per più tribunali diminuirà il controllo di legalità sul territorio, cioè quella possibilità di acquisire notizie di reato da parte del procuratore della Repubblica, degli uffici di procura a livello circondariale, e quell'indispensabile rapporto stretto con la polizia giudiziaria;
inoltre, la contrazione del numero delle procure rispetto al numero dei tribunali oltre ad incidere sulla funzionalità delle stesse, renderà meno democratica la gestione degli uffici giudiziari;
l'efficienza degli uffici di procura è lo strumento principale attraverso il quale si attua il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale previsto dall'articolo 112 della Costituzione, pertanto tale disposizione, incidendo negativamente su tale esercizio, appare improntata alla ormai acclarata volontà del Governo e della maggioranza che lo sostiene di realizzare il massimo possibile controllo sull'attività giudiziaria,

impegna il Governo

nell'esercizio della delega, prevista all'articolo 1, comma 2, per la riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, ad astenersi dall'effettuare l'accorpamento delle sole procure indipendentemente dall'eventuale accorpamento dei rispettivi tribunali.
9/4612/71. Rota, Palomba.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento al nostro esame, all'articolo 1 del disegno di legge di conversione, prevede una delega al Governo (12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge) per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza;
nella succitata disposizione, al comma 2 lettera c), nell'ambito dei princìpi e criteri direttivi da osservare, è prevista la possibilità di accorpare più uffici di procura indipendentemente dall'eventuale accorpamento dei rispettivi tribunali, prevedendo, in tali casi, che l'ufficio di procura accorpante possa svolgere le funzioni requirenti in più tribunali;
nella disposizione non è indicato nessun criterio oggettivo di riferimento per la realizzazione di tali accorpamenti;
gli uffici di procura sono cosiddetti bifasici, ossia hanno una fase inquirente ed una fase requirente: la fase inquirente è quella dell'acquisizione della notizia di reato e delle indagini; la fase requirente è quella in cui, dalla raccolta delle indagini, si formano le proposte per il giudice, si richiede il processo e così via; pertanto, gli accorpamenti di procure per più tribunali diminuirà il controllo di legalità sul territorio, cioè quella possibilità di acquisire notizie di reato da parte del procuratore della Repubblica, degli uffici di procura a livello circondariale, e quell'indispensabile rapporto stretto con la polizia giudiziaria;
inoltre, la contrazione del numero delle procure rispetto al numero dei tribunali oltre ad incidere sulla funzionalità delle stesse, renderà meno democratica la gestione degli uffici giudiziari;
l'efficienza degli uffici di procura è lo strumento principale attraverso il quale si attua il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale previsto dall'articolo 112 della Costituzione, pertanto tale disposizione, incidendo negativamente su tale esercizio, appare improntata alla ormai acclarata volontà del Governo e della maggioranza che lo sostiene di realizzare il massimo possibile controllo sull'attività giudiziaria,

impegna il Governo

nell'esercizio della delega, prevista all'articolo 1, comma 2, dove è possibile riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, prevedendo l'accorpamento delle sole procure indipendentemente dall'eventuale accorpamento dei rispettivi tribunali.
9/4612/71. (Testo modificato nel corso della seduta) Rota, Palomba.

La Camera,
premesso che:
il comma 2-bis dell'articolo 7 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, come sostituito dall'articolo 39 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, ha modificato le disposizioni in materia di esenzione dall'imposta comunale sugli immobili per tutte le attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché per le attività di religione o culto cattolico;
fino all'introduzione del predetto comma 2-bis, l'esenzione era stabilita dall'articolo 7, comma 1, lettera i) del decreto legislativo 30-12-1992 n. 504, per gli enti pubblici e privati, diversi dalle società, che non avevano per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali;
inoltre l'esenzione era attribuita solo a condizione che gli immobili fossero destinati esclusivamente per lo svolgimento delle attività indicate;
il comma 2-bis citato ha modificato radicalmente la materia, stabilendo che l'esenzione è dovuta anche quando le attività condotte negli immobili dei predetti enti «non hanno per oggetto esclusivo l'esercizio di attività commerciali»;
ciò ha consentito, soprattutto agli enti ed organizzazioni che fanno capo alla Chiesa cattolica, di sottrarre al pagamento dell'ICI molti immobili destinati ad attività commerciali, con la semplice destinazione di uno o più ambienti dell'immobile ad attività non commerciali, così da escludere «l'esercizio esclusivo di attività commerciale». Ad esempio in molte strutture alberghiere è bastato allestire o mantenere una cappella così da poter godere del privilegio dell'esenzione dall'imposta;
il mancato introito per le casse pubbliche è stato cospicuo e non ha ragione d'essere, in considerazione del fatto che laddove l'attività commerciale condotta è prevalente, anche se non esclusiva, non si è dinanzi ad un'attività di rilevante valore sociale, meritevole di godere dell'esenzione dall'imposta in questione;
non va inoltre sottovalutato che l'esenzione come viene applicata dal 2005 è in grado di avere effetti distorsivi sul mercato e sulla libera concorrenza tra imprese;
nell'attuale momento di profonda crisi economica e di crescita incontrollata del debito pubblico italiano, appare iniquo continuare a far godere dell'esenzione dall'imposta comunale sugli immobili ad attività che in nulla differiscono da quelle commerciali;
è da tenere presente, inoltre, che la modifica della disciplina introdotta dal comma 2-bis, non inciderebbe sull'esenzione dall'ICI goduta dai fabbricati destinati esclusivamente all'esercizio del culto, dalle loro pertinenze, nonché dai fabbricati di proprietà della Santa Sede indicati nel Trattato lateranense, che ha fondamento in una diversa disposizione di legge che è l'articolo 7, comma 1, lettere d) ed e), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504,

impegna il Governo

a proporre la soppressione del comma 2-bis dell'articolo 7 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, come sostituito dall'articolo 39 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, e a restaurare la disciplina precedente, chiarendo che le attività esenti dall'imposta comunale sugli immobili sono solo quelle non commerciali.
9/4612/72. Borghesi.

La Camera,
premesso che:
il comma 2-bis dell'articolo 7 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, come sostituito dall'articolo 39 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, ha modificato le disposizioni in materia di esenzione dall'imposta comunale sugli immobili per tutte le attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché per le attività di religione o culto cattolico;
fino all'introduzione del predetto comma 2-bis, l'esenzione era stabilita dall'articolo 7, comma 1, lettera i) del decreto legislativo 30-12-1992 n. 504, per gli enti pubblici e privati, diversi dalle società, che non avevano per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali;
inoltre l'esenzione era attribuita solo a condizione che gli immobili fossero destinati esclusivamente per lo svolgimento delle attività indicate;
il comma 2-bis citato ha modificato radicalmente la materia, stabilendo che l'esenzione è dovuta anche quando le attività condotte negli immobili dei predetti enti «non hanno per oggetto esclusivo l'esercizio di attività commerciali»;
ciò ha consentito, soprattutto agli enti ed organizzazioni che fanno capo alla Chiesa cattolica, di sottrarre al pagamento dell'ICI molti immobili destinati ad attività commerciali, con la semplice destinazione di uno o più ambienti dell'immobile ad attività non commerciali, così da escludere «l'esercizio esclusivo di attività commerciale». Ad esempio in molte strutture alberghiere è bastato allestire o mantenere una cappella così da poter godere del privilegio dell'esenzione dall'imposta;
il mancato introito per le casse pubbliche è stato cospicuo e non ha ragione d'essere, in considerazione del fatto che laddove l'attività commerciale condotta è prevalente, anche se non esclusiva, non si è dinanzi ad un'attività di rilevante valore sociale, meritevole di godere dell'esenzione dall'imposta in questione;
non va inoltre sottovalutato che l'esenzione come viene applicata dal 2005 è in grado di avere effetti distorsivi sul mercato e sulla libera concorrenza tra imprese;
nell'attuale momento di profonda crisi economica e di crescita incontrollata del debito pubblico italiano, appare iniquo continuare a far godere dell'esenzione dall'imposta comunale sugli immobili ad attività che in nulla differiscono da quelle commerciali;
è da tenere presente, inoltre, che la modifica della disciplina introdotta dal comma 2-bis, non inciderebbe sull'esenzione dall'ICI goduta dai fabbricati destinati esclusivamente all'esercizio del culto, dalle loro pertinenze, nonché dai fabbricati di proprietà della Santa Sede indicati nel Trattato lateranense, che ha fondamento in una diversa disposizione di legge che è l'articolo 7, comma 1, lettere d) ed e), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504,

impegna il Governo

a valutare l'eventuale soppressione, compatibilmente con l'equilibrio della finanza pubblica, del comma 2-bis dell'articolo 7 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, come sostituito dall'articolo 39 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, e a restaurare la disciplina precedente, chiarendo che le attività esenti dall'imposta comunale sugli immobili sono solo quelle non commerciali.
9/4612/72. (Testo modificato nel corso della seduta) Borghesi, Giulietti.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 535 del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e lo statuto della società «Difesa servizi Spa», di cui il decreto del ministro della difesa del 10 febbraio 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 39 del 17 febbraio 2011, sono stati abrogati;
nell'ambito degli interventi correttivi finalizzati al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica e al fine di salvaguardare la funzionalità e l'efficienza operativa delle Forze armate, appare necessario e urgente che il ministro della difesa e il ministro dello sviluppo economico, ciascuno per la parte di propria competenza, individuino, anche in relazione agli impegni assunti in ambito internazionale, le misure di ottimizzazione della spesa per il recupero di risorse attraverso una rimodulazione delle spese per i sistemi d'arma, condotta sulla base di un riesame delle più immediate esigenze operative e delle prioritarie esigenze di sicurezza dei contingenti impegnati fuori area;
per gli anni 2012 e 2013 il finanziamento previsto per gli interventi a sostegno dei processi di pace, di stabilizzazione e delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia non dovrà superare lo stanziamento per tale voce previsto per l'anno 2011 diminuito del 20 per cento; le riduzioni appena citate non si applicheranno agli interventi di cooperazione allo sviluppo;
occorre che al più presto venga avviato il processo per la costituzione dell'esercito europeo e che per ciò stesso il ministro della difesa e il ministro dell'economia e finanze debbano adottare misure per l'adozione di un piano di riordino delle Forze armate mirante alla riduzione sia degli effettivi sia delle spese correnti,

impegna il Governo

ad adottare un piano di riordino delle Forze armate volto alla riduzione degli effettivi e delle spese correnti, per ottenere un risparmio annuo non inferiore a 400 milioni di euro a decorrere dall'anno 2012;
ad adottare misure di ottimizzazione della spesa pubblica per il recupero di risorse attraverso una rimodulazione delle spese per i sistemi d'arma, condotta sulla base di un riesame delle più immediate esigenze operative e delle prioritarie esigenze di sicurezza dei contingenti impegnati fuori area.
9/4612/73. Di Stanislao.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 5-bis introdotto al testo del decreto-legge, dispone una serie di misure al fine di consentire lo «Sviluppo delle regioni dell'obiettivo convergenza e la realizzazione del Piano Sud»: si prevede, in particolare, che le spese sostenute dalle predette regioni - a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione, sui cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari a finalità strutturale, nonché sulle risorse determinatesi dalla ricognizione delle risorse della programmazione unitaria di cui all'articolo 6-sexies, del decreto-legge n. 112 del 2008 - siano svincolate dal patto di stabilità interno, nei limiti stabiliti dal ministero dell'economia;
al contempo, si evince che l'ambito applicativo delle disposizioni sia circoscritto alle regioni dell'obiettivo convergenza e che lo svincolo dal patto di stabilità riguardi esclusivamente le regioni a statuto ordinario, dal che si ricaverebbe l'immotivata discriminazione perpetrata nei confronti della regione Sardegna,

impegna il Governo

ad adottare tempestivamente le opportune iniziative, anche legislative, atte a chiarire l'ambito applicativo e ad introdurre la regione Sardegna tra quelle beneficiarie delle suddette disposizioni.
9/4612/74. Palomba, Schirru, Marrocu.

La Camera,
premesso che:
la Basilicata e le Marche sono state colpite da eventi alluvionali, rispettivamente, nel febbraio e nel marzo scorsi;
con provvedimento del 10 marzo scorso il Presidente del Consiglio ha decretato lo stato di emergenza nelle due regioni;
il decreto specifica «che detta situazione di emergenza per intensità ed estensione non è fronteggiabile con mezzi e poteri ordinari», sicché è di tutta evidenza la rilevanza nazionale dell'evento meteorologico;
nel luglio scorso l'aula della Camera dei deputati ha approvato una mozione che individuava un percorso comune per tutte le calamità, per il ripristino delle infrastrutture e gli indennizzi ai cittadini ed alle imprese;
l'entità dei danni accertati dalla regione Marche ammontano a 500 milioni di euro sulle attività ordinarie ed altrettanti nel comparto agricolo - cinque volte di più rispetto a quelli subìti dalla regione Basilicata;
subito dopo l'alluvione, gli amministratori marchigiani si sono mossi per ripristinare tutte le situazioni compromesse dalla calamità, destinandovi circa 70/100 milioni di euro per le opere di somma urgenza, distogliendoli da altre finalità già preventivate;
la regione Marche ha subìto, in conseguenza dei provvedimenti governativi dell'ultimo anno, un taglio dei trasferimenti ordinari pari al 67 per cento, conto che non include i tagli aggiuntivi perpetrati dal provvedimento in esame, che rischia di portarli all'80 per cento;
il comma 1-bis, dell'articolo 5, introdotto al Senato, assegna 7 milioni di euro per l'anno in corso alla sola regione Basilicata;
nell'ultimo decreto «mille proroghe» sono stati stanziati 100 milioni di euro per alcune zone del Paese colpite da calamità ed avversità meteorologiche;
al di là della immotivata parzialità, l'autorizzazione di spesa introdotta nel provvedimento in esame disattende la volontà del Parlamento,

impegna il Governo

a provvedere tempestivamente, in favore della regione Marche, a stanziare cifre congrue almeno pari a quanto anticipato dalla regione stessa e dagli enti locali, così rispettando la volontà della Camera dei deputati manifestata nella mozione approvata nel luglio scorso.
9/4612/75. Favia, Ceroni.

La Camera,
premesso che:
la Basilicata e le Marche sono state colpite da eventi alluvionali, rispettivamente, nel febbraio e nel marzo scorsi;
con provvedimento del 10 marzo scorso il Presidente del Consiglio ha decretato lo stato di emergenza nelle due regioni;
il decreto specifica «che detta situazione di emergenza per intensità ed estensione non è fronteggiabile con mezzi e poteri ordinari», sicché è di tutta evidenza la rilevanza nazionale dell'evento meteorologico;
nel luglio scorso l'aula della Camera dei deputati ha approvato una mozione che individuava un percorso comune per tutte le calamità, per il ripristino delle infrastrutture e gli indennizzi ai cittadini ed alle imprese;
l'entità dei danni accertati dalla regione Marche ammontano a 500 milioni di euro sulle attività ordinarie ed altrettanti nel comparto agricolo - cinque volte di più rispetto a quelli subìti dalla regione Basilicata;
subito dopo l'alluvione, gli amministratori marchigiani si sono mossi per ripristinare tutte le situazioni compromesse dalla calamità, destinandovi circa 70/100 milioni di euro per le opere di somma urgenza, distogliendoli da altre finalità già preventivate;
la regione Marche ha subìto, in conseguenza dei provvedimenti governativi dell'ultimo anno, un taglio dei trasferimenti ordinari pari al 67 per cento, conto che non include i tagli aggiuntivi perpetrati dal provvedimento in esame, che rischia di portarli all'80 per cento;
il comma 1-bis, dell'articolo 5, introdotto al Senato, assegna 7 milioni di euro per l'anno in corso alla sola regione Basilicata;
nell'ultimo decreto «mille proroghe» sono stati stanziati 100 milioni di euro per alcune zone del Paese colpite da calamità ed avversità meteorologiche;
al di là della immotivata parzialità, l'autorizzazione di spesa introdotta nel provvedimento in esame disattende la volontà del Parlamento,

impegna il Governo

a provvedere, compatibilmente con gli equilibri di finanza pubblica, in favore della regione Marche, a stanziare cifre congrue almeno pari a quanto anticipato dalla regione stessa e dagli enti locali, così rispettando la volontà della Camera dei deputati manifestata nella mozione approvata nel luglio scorso.
9/4612/75. (Testo modificato nel corso della seduta) Favia, Ceroni.

La Camera,
premesso che:
la perdurante grave condizione della nostra spesa pubblica impone scelte rigorose per l'eliminazione delle spese inutili, al fine di concentrare le risorse pubbliche nei settori più produttivi e negli organi più rilevanti;
il nostro Paese è affetto da decenni da ipertrofia istituzionale: la crescita eccessiva di enti decentrati, territoriali e locali costituisce uno degli aspetti più polemici sui costi amministrativi e della politica, analizzati crudamente ed esposti nella loro realtà da inchieste di stampa e dunque, ormai, di larga diffusione e conoscenza;
tale proliferazione, al di là dello sperpero e della duplicazione di funzioni e ruoli, incide fortemente quale fattore di aggravio di spesa e aumento della pressione fiscale complessiva;
particolarmente grave risulta il fatto che, spesso, le risorse di queste strutture sono dedicate per la metà alle spese di funzionamento e, dunque, solo una parte minima viene redistribuita ai cittadini in forma di attività e servizi;
dai dati ufficiali più recenti (2009) sappiamo che ci sono oltre 130 enti parco regionali, 63 bacini imbriferi montani - continuamente scampati anche alle più recenti iniziative governative di sfoltimento - e 600 enti strumentali regionali,

impegna il Governo

ad adottare tempestivamente le opportune iniziative legislative, nel rispetto delle competenze istituzionali e delle procedure ordinamentali, al fine di procedere ad una ricognizione a fini soppressivi o liquidatori degli enti strumentali e di quelli dotati di indirizzo politico presenti nei territori regionali e, al contempo, a ripristinare le disposizioni espunte dal testo del decreto- legge in esame sulla soppressione degli enti pubblici non economici e degli altri enti cosiddetti «inutili».
9/4612/76. Zazzera, Messina, Cambursano.

La Camera,
premesso che:
la perdurante grave condizione della nostra spesa pubblica impone scelte rigorose per l'eliminazione delle spese inutili, al fine di concentrare le risorse pubbliche nei settori più produttivi e negli organi più rilevanti;
il nostro Paese è affetto da decenni da ipertrofia istituzionale: la crescita eccessiva di enti decentrati, territoriali e locali costituisce uno degli aspetti più polemici sui costi amministrativi e della politica, analizzati crudamente ed esposti nella loro realtà da inchieste di stampa e dunque, ormai, di larga diffusione e conoscenza;
tale proliferazione, al di là dello sperpero e della duplicazione di funzioni e ruoli, incide fortemente quale fattore di aggravio di spesa e aumento della pressione fiscale complessiva;
particolarmente grave risulta il fatto che, spesso, le risorse di queste strutture sono dedicate per la metà alle spese di funzionamento e, dunque, solo una parte minima viene redistribuita ai cittadini in forma di attività e servizi;
dai dati ufficiali più recenti (2009) sappiamo che ci sono oltre 130 enti parco regionali, 63 bacini imbriferi montani - continuamente scampati anche alle più recenti iniziative governative di sfoltimento - e 600 enti strumentali regionali,

impegna il Governo

a valutare l'adozione di tempestive iniziative nel rispetto delle competenze istituzionali e delle procedure ordinamentali, al fine di procedere ad una ricognizione a fini soppressivi o liquidatori degli enti strumentali e di quelli dotati di indirizzo politico presenti nei territori regionali e, al contempo, a ripristinare le disposizioni espunte dal testo del decreto- legge in esame sulla soppressione degli enti pubblici non economici e degli altri enti cosiddetti «inutili».
9/4612/76. (Testo modificato nel corso della seduta) Zazzera, Messina, Cambursano.

La Camera,
premesso che:
a fronte di quanto continua ad essere disposto per i dipendenti pubblici ed i pensionati ai sensi del comma 1, dell'articolo 2 - ripristino, rispettivamente, delle disposizioni di cui all'articolo 9, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2010 e dell'articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge n. 98 del 2011 - il comma 2 del medesimo articolo 2, introdotto nel corso dell'esame del provvedimento al Senato, determina una situazione sperequata tra il contributo richiesto ai dipendenti pubblici e ai pensionati a confronto di quello riguardante tutti i cittadini,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa, anche legislativa, atta ad alleviare, rendendolo equo, il peso del contributo dei dipendenti pubblici e dei pensionati alla manovra.
9/4612/77. Palagiano, Paladini, Formisano.

La Camera,
premesso che:
a fronte di quanto continua ad essere disposto per i dipendenti pubblici ed i pensionati ai sensi del comma 1, dell'articolo 2 - ripristino, rispettivamente, delle disposizioni di cui all'articolo 9, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2010 e dell'articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge n. 98 del 2011 - il comma 2 del medesimo articolo 2, introdotto nel corso dell'esame del provvedimento al Senato, determina una situazione sperequata tra il contributo richiesto ai dipendenti pubblici e ai pensionati a confronto di quello riguardante tutti i cittadini,

impegna il Governo

a valutare nuove iniziative atte a rendere più equo, il peso del contributo dei dipendenti pubblici e dei pensionati alla manovra.
9/4612/77. (Testo modificato nel corso della seduta) Palagiano, Paladini, Formisano.

La Camera,
premesso che:
i tagli epocali annunciati dal Governo in ordine alla riduzione dei costi della rappresentanza politica si sono ridotti a lievi graffi per i parlamentari, la «ferita» dei quali si rimarginerà in tre anni, in quanto il sacrificio loro richiesto - il taglio dell'indennità quale contributo di solidarietà - ha una precisa scadenza, come introdotto ex novo dal «maxiemendamento» presentato dal Governo al Senato, e verrà applicato per gli ultimi due mesi dell'anno in corso e per i successivi due anni, 2012 e 2013 - diversamente da quanto riservato ai dipendenti pubblici ed ai pensionati, ad esempio, verso i quali il ministro Tremonti, all'occorrenza, potrà autorizzare il prolungamento del prelievo straordinario nella necessità di raggiungere il pareggio di bilancio;
taglia e ricuci, nel susseguirsi delle modifiche, il maxiemendamento ha ridotto anche il taglio alle indennità dei parlamentari che traggono redditi - uguali o superiori del 15 per cento dell'indennità medesima - da altra attività lavorativa: inizialmente, la riduzione dell'indennità dei parlamentari-lavoratori era pari al 50 per cento, ora il nuovo taglio è stato ridotto al 20 per cento per le indennità annue superiori ai 90.000 euro e fino a 150.000, al 40 per cento sulla parte che eccede i 150.000 euro;
la riduzione opera soltanto sull'indennità, pari a circa 5.400 euro mensili lordi, che è solo una parte dell'intero emolumento del parlamentare (che comprende diaria, rimborsi vari, compensi per i collaboratori - anche se non ne ha) i calcoli sono presto fatti: l'indennità di un deputato è pari a circa 134.000 euro annui lordi - per cui la riduzione del 20 per cento si traduce in una «perdita» di circa 8.000 euro annui (corrispondente al 20 per cento dei 44.000 euro che sforano il tetto dei 90.000 euro - oltretutto, l'entità dell'indennità lascia credere che il taglio del 40 per cento sia destinato a rimanere sulla carta); la riduzione del 50 per cento dell'indennità, come previsto originariamente dal testo, avrebbe comportato una riduzione pari a circa 67.000;
l'acceso dibattito suscitato dai costi del nostro Parlamento, sul quale l'opinione pubblica ha espresso con chiarezza un orientamento preciso e che ha identificato in molti aspetti quale privilegio, nulla ha a che vedere con l'emergenza finanziaria che ha originato il provvedimento in esame e poco con la grave crisi finanziaria ed economica del nostro Paese, trattandosi, a ben vedere, di un peculiare momento di rottura del rapporto di fiducia tra elettori ed esponenti delle istituzioni rappresentative, vieppiù deterioratosi negli ultimi due anni, tanto da qualificarci, da gran parte dell'opinione pubblica, alla stregua di una «casta» che, evidentemente, continua ad essere preservata anche quando sembra essere colpita,

impegna il Governo

ad adottare gli opportuni ulteriori provvedimenti, nel rispetto delle competenze istituzionali, finalizzati all'applicazione della riduzione del 50 per cento dell'indennità ai parlamentari il cui reddito proveniente da altra attività lavorativa sia pari o superiore del 15 per cento alla indennità medesima, come indicato dal testo originario del decreto-legge in esame.
9/4612/78. Donadi, Favia, Borghesi.

La Camera,
premesso che:
i tagli epocali annunciati dal Governo in ordine alla riduzione dei costi della rappresentanza politica si sono ridotti a lievi graffi per i parlamentari, la «ferita» dei quali si rimarginerà in tre anni, in quanto il sacrificio loro richiesto - il taglio dell'indennità quale contributo di solidarietà - ha una precisa scadenza, come introdotto ex novo dal «maxiemendamento» presentato dal Governo al Senato, e verrà applicato per gli ultimi due mesi dell'anno in corso e per i successivi due anni, 2012 e 2013 - diversamente da quanto riservato ai dipendenti pubblici ed ai pensionati, ad esempio, verso i quali il ministro Tremonti, all'occorrenza, potrà autorizzare il prolungamento del prelievo straordinario nella necessità di raggiungere il pareggio di bilancio;
taglia e ricuci, nel susseguirsi delle modifiche, il maxiemendamento ha ridotto anche il taglio alle indennità dei parlamentari che traggono redditi - uguali o superiori del 15 per cento dell'indennità medesima - da altra attività lavorativa: inizialmente, la riduzione dell'indennità dei parlamentari-lavoratori era pari al 50 per cento, ora il nuovo taglio è stato ridotto al 20 per cento per le indennità annue superiori ai 90.000 euro e fino a 150.000, al 40 per cento sulla parte che eccede i 150.000 euro;
la riduzione opera soltanto sull'indennità, pari a circa 5.400 euro mensili lordi, che è solo una parte dell'intero emolumento del parlamentare (che comprende diaria, rimborsi vari, compensi per i collaboratori - anche se non ne ha) i calcoli sono presto fatti: l'indennità di un deputato è pari a circa 134.000 euro annui lordi - per cui la riduzione del 20 per cento si traduce in una «perdita» di circa 8.000 euro annui (corrispondente al 20 per cento dei 44.000 euro che sforano il tetto dei 90.000 euro - oltretutto, l'entità dell'indennità lascia credere che il taglio del 40 per cento sia destinato a rimanere sulla carta); la riduzione del 50 per cento dell'indennità, come previsto originariamente dal testo, avrebbe comportato una riduzione pari a circa 67.000;
l'acceso dibattito suscitato dai costi del nostro Parlamento, sul quale l'opinione pubblica ha espresso con chiarezza un orientamento preciso e che ha identificato in molti aspetti quale privilegio, nulla ha a che vedere con l'emergenza finanziaria che ha originato il provvedimento in esame e poco con la grave crisi finanziaria ed economica del nostro Paese, trattandosi, a ben vedere, di un peculiare momento di rottura del rapporto di fiducia tra elettori ed esponenti delle istituzioni rappresentative, vieppiù deterioratosi negli ultimi due anni, tanto da qualificarci, da gran parte dell'opinione pubblica, alla stregua di una «casta» che, evidentemente, continua ad essere preservata anche quando sembra essere colpita,

impegna il Governo

ad adottare ulteriori provvedimenti, nel rispetto delle competenze istituzionali, finalizzati all'applicazione della riduzione del 50 per cento dell'indennità ai parlamentari il cui reddito proveniente da altra attività lavorativa sia pari o superiore del 15 per cento alla indennità medesima, come indicato dal testo originario del decreto-legge in esame.
9/4612/78. (Testo modificato nel corso della seduta) Donadi, Favia, Borghesi.

La Camera,
premesso che:
i tagli epocali annunciati dal Governo in ordine alla riduzione dei costi della rappresentanza politica si sono ridotti a lievi graffi per i parlamentari, la «ferita» dei quali si rimarginerà in tre anni, in quanto il sacrificio loro richiesto - il taglio dell'indennità quale contributo di solidarietà - ha una precisa scadenza, come introdotto ex novo dal «maxiemendamento» presentato dal Governo al Senato, e verrà applicato per gli ultimi due mesi dell'anno in corso e per i successivi due anni, 2012 e 2013;
l'acceso dibattito suscitato dai costi del nostro Parlamento, sul quale l'opinione pubblica ha espresso con chiarezza un orientamento preciso e che ha identificato in molti aspetti quale privilegio, nulla ha a che vedere con l'emergenza finanziaria che ha originato il provvedimento in esame e poco con la grave crisi finanziaria ed economica del nostro Paese, trattandosi, a ben vedere, di un peculiare momento di rottura del rapporto di fiducia tra elettori ed esponenti delle istituzioni rappresentative, vieppiù deterioratosi negli ultimi due anni;
non è condivisibile la volontà, che emerge dalla norma introdotta, di considerare la riduzione della indennità dei parlamentari - che, tra l'altro, rappresenta solo una delle voci che compongono l'emolumento percepito - un esempio di condivisione della crisi da parte della «casta», termine che negli ultimi anni ha accompagnato le aspre polemiche verso determinati privilegi;
dalle dichiarazioni dei suoi rappresentanti che si sono susseguite negli ultimi mesi, era emersa la chiara volontà del Governo di procedere nel senso di una riduzione dei costi della politica di carattere immediato e permanente, come del resto era indicato nel testo originario del decreto-legge,

impegna il Governo

ad adottare gli opportuni ulteriori provvedimenti, nel rispetto delle competenze istituzionali, finalizzati alla soppressione del limite temporale dell'applicazione del contributo di solidarietà sulle indennità dei parlamentari.
9/4612/79. Mura, Donadi, Favia.

La Camera,
premesso che:
i tagli epocali annunciati dal Governo in ordine alla riduzione dei costi della rappresentanza politica si sono ridotti a lievi graffi per i parlamentari, la «ferita» dei quali si rimarginerà in tre anni, in quanto il sacrificio loro richiesto - il taglio dell'indennità quale contributo di solidarietà - ha una precisa scadenza, come introdotto ex novo dal «maxiemendamento» presentato dal Governo al Senato, e verrà applicato per gli ultimi due mesi dell'anno in corso e per i successivi due anni, 2012 e 2013;
l'acceso dibattito suscitato dai costi del nostro Parlamento, sul quale l'opinione pubblica ha espresso con chiarezza un orientamento preciso e che ha identificato in molti aspetti quale privilegio, nulla ha a che vedere con l'emergenza finanziaria che ha originato il provvedimento in esame e poco con la grave crisi finanziaria ed economica del nostro Paese, trattandosi, a ben vedere, di un peculiare momento di rottura del rapporto di fiducia tra elettori ed esponenti delle istituzioni rappresentative, vieppiù deterioratosi negli ultimi due anni;
non è condivisibile la volontà, che emerge dalla norma introdotta, di considerare la riduzione della indennità dei parlamentari - che, tra l'altro, rappresenta solo una delle voci che compongono l'emolumento percepito - un esempio di condivisione della crisi da parte della «casta», termine che negli ultimi anni ha accompagnato le aspre polemiche verso determinati privilegi;
dalle dichiarazioni dei suoi rappresentanti che si sono susseguite negli ultimi mesi, era emersa la chiara volontà del Governo di procedere nel senso di una riduzione dei costi della politica di carattere immediato e permanente, come del resto era indicato nel testo originario del decreto-legge,

impegna il Governo

a valutare l'adozione di ulteriori provvedimenti, nel rispetto delle competenze istituzionali, finalizzati alla soppressione del limite temporale dell'applicazione del contributo di solidarietà sulle indennità dei parlamentari.
9/4612/79. (Testo modificato nel corso della seduta) Mura, Donadi, Favia.

La Camera,
premesso che:
il decreto-legge in conversione rappresenta l'ultimo provvedimento del Governo in materia di stabilizzazione finanziaria, reso necessario dalle forti turbolenze sui mercati finanziari internazionali e dalla perdurante e strutturale debolezza del Paese, che il Governo non ha saputo affrontare nonostante i richiami e le sollecitazioni più volte avanzate dalla Commissione europea e dai Consigli europei dei ministri;
per l'effettivo rilancio del Paese e il superamento della difficile congiuntura in cui esso si trova sarebbero, quindi, necessari interventi di largo respiro, in grado di superare le strutturali debolezze del sistema italiano procedendo verso una riforma di quegli istituti che rallentano o rendono difficoltosa la ripresa;
uno degli elementi che possono favorirla è senza dubbio il buon funzionamento del sistema giudiziario che, oltre ad essere la risposta primaria alla domanda di giustizia dei cittadini, costituisce indispensabile condizione di promozione e garanzia del funzionamento del sistema economico e sociale nel suo complesso. La scarsa efficienza della giustizia civile impedisce lo sviluppo dei mercati finanziari, distorce il mercato del credito e dei prodotti, inibisce la nascita di imprese o ne compromette la crescita, rende poco attrattivi gli investimenti esteri. Più in generale l'inefficienza della giustizia civile, indebolendo la minaccia dell'applicazione di sanzioni tempestive, costituisce un incentivo a porre in essere comportamenti opportunistici da parte dei debitori, e finisce per influenzare la qualità del credito in termini di rigidità nei prodotti bancari, aumento dei costi di intermediazione, minore redditività degli intermediari finanziari, richiesta di maggiori garanzie ai debitori;
il decreto-legge in esame, nonostante rappresentasse una utile occasione, così come appare altresì dai richiami della Banca d'Italia sulla necessità di definire un sistema giustizia efficiente (tanto più che i ritardi della giustizia civile frenano l'economia, facendo perdere al Paese fino a un punto di Pil all'anno), non prevede misure specifiche per l'amministrazione della giustizia. Manca una proposta, seppure parziale, che faccia intravedere ai cittadini così come al personale del comparto giustizia che il Governo ha un concreto indirizzo politico per la risoluzione delle gravi inefficienze che ancora caratterizzano l'amministrazione della giustizia nel nostro Paese,

impegna il Governo

a predisporre i necessari interventi volti a:
colmare le carenze strutturali e di risorse umane del settore, anche in considerazione della drammatica riduzione degli organici del personale giustizia, in particolare attraverso un piano straordinario di copertura degli organici del personale dei ruoli delle cancellerie e segreterie giudiziarie, anche attivando un sistema di mobilità;
a procedere, a compensazione dei drastici tagli subiti dal comparto giustizia negli ultimi tre anni e come promesso dal Governo in più sedi, all'incremento e alla finalizzazione delle risorse che confluiscono nel Fondo unico giustizia (FUG) per assicurare il funzionamento e il potenziamento degli uffici giudiziari;
a determinare nel seguente modo le quote delle risorse intestate «Fondo unico giustizia» da riassegnare:
a) in misura pari al 49 per cento al Ministero dell'interno per la tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico, fatta salva l'alimentazione del fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive di cui all'articolo 18, comma 1, lettera c), della legge 23 febbraio 1999, n. 44, e del Fondo di rotazione per la solidarietà delle vittime dei reati di tipo mafioso di cui all'articolo 1 della legge 22 dicembre 1999, n. 512;
b) in misura pari al 49 per cento da devolvere al Ministero della giustizia per assicurare il funzionamento ed il potenziamento degli uffici giudiziari e degli altri servizi istituzionali;
c) in misura pari al 2 per cento all'entrata del bilancio dello Stato.
9/4612/80. Evangelisti, Di Pietro, Palomba.

La Camera,
premesso che:
il decreto-legge in conversione rappresenta l'ultimo provvedimento del Governo in materia di stabilizzazione finanziaria, reso necessario dalle forti turbolenze sui mercati finanziari internazionali e dalla perdurante e strutturale debolezza del Paese, che il Governo non ha saputo affrontare nonostante i richiami e le sollecitazioni più volte avanzate dalla Commissione europea e dai Consigli europei dei ministri;
per l'effettivo rilancio del Paese e il superamento della difficile congiuntura in cui esso si trova sarebbero, quindi, necessari interventi di largo respiro, in grado di superare le strutturali debolezze del sistema italiano procedendo verso una riforma di quegli istituti che rallentano o rendono difficoltosa la ripresa;
uno degli elementi che possono favorirla è senza dubbio il buon funzionamento del sistema giudiziario che, oltre ad essere la risposta primaria alla domanda di giustizia dei cittadini, costituisce indispensabile condizione di promozione e garanzia del funzionamento del sistema economico e sociale nel suo complesso. La scarsa efficienza della giustizia civile impedisce lo sviluppo dei mercati finanziari, distorce il mercato del credito e dei prodotti, inibisce la nascita di imprese o ne compromette la crescita, rende poco attrattivi gli investimenti esteri. Più in generale l'inefficienza della giustizia civile, indebolendo la minaccia dell'applicazione di sanzioni tempestive, costituisce un incentivo a porre in essere comportamenti opportunistici da parte dei debitori, e finisce per influenzare la qualità del credito in termini di rigidità nei prodotti bancari, aumento dei costi di intermediazione, minore redditività degli intermediari finanziari, richiesta di maggiori garanzie ai debitori;
il decreto-legge in esame, nonostante rappresentasse una utile occasione, così come appare altresì dai richiami della Banca d'Italia sulla necessità di definire un sistema giustizia efficiente (tanto più che i ritardi della giustizia civile frenano l'economia, facendo perdere al Paese fino a un punto di Pil all'anno), non prevede misure specifiche per l'amministrazione della giustizia. Manca una proposta, seppure parziale, che faccia intravedere ai cittadini così come al personale del comparto giustizia che il Governo ha un concreto indirizzo politico per la risoluzione delle gravi inefficienze che ancora caratterizzano l'amministrazione della giustizia nel nostro Paese,

impegna il Governo

a predisporre i necessari interventi volti a:
colmare le carenze strutturali e di risorse umane del settore, anche in considerazione della drammatica riduzione degli organici del personale giustizia, in particolare attraverso un piano straordinario di copertura degli organici del personale dei ruoli delle cancellerie e segreterie giudiziarie, anche attivando un sistema di mobilità;
a procedere, a compensazione dei drastici tagli subiti dal comparto giustizia negli ultimi tre anni e come promesso dal Governo in più sedi, all'incremento e alla finalizzazione delle risorse che confluiscono nel Fondo unico giustizia (FUG) per assicurare il funzionamento e il potenziamento degli uffici giudiziari;
a valutare la destinazione di quote delle risorse intestate «Fondo unico giustizia» da riassegnare:
a) in misura pari al 49 per cento al Ministero dell'interno per la tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico, fatta salva l'alimentazione del fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive di cui all'articolo 18, comma 1, lettera c), della legge 23 febbraio 1999, n. 44, e del Fondo di rotazione per la solidarietà delle vittime dei reati di tipo mafioso di cui all'articolo 1 della legge 22 dicembre 1999, n. 512;
b) in misura pari al 49 per cento da devolvere al Ministero della giustizia per assicurare il funzionamento ed il potenziamento degli uffici giudiziari e degli altri servizi istituzionali;
c) in misura pari al 2 per cento all'entrata del bilancio dello Stato.
9/4612/80. (Testo modificato nel corso della seduta) Evangelisti, Di Pietro, Palomba.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 1 del provvedimento in esame «Conversione in legge, con modificazioni, dei decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari» prevede all'articolo 1, comma 2 l'emanazione da parte del Governo di «decreti legislativi per riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari»;
il provvedimento in esame, pur non prevedendo misure specifiche per promuovere l'efficienza dell'amministrazione della giustizia, ha come obiettivo la riduzione dei finanziamenti e pubblici e la modifica della geografia giudiziaria;
i tagli relativi al Ministero della giustizia si sommano a quelli già operati dal decreto-legge n. 98 del 6 luglio 2011. Queste ulteriori riduzioni determineranno inevitabilmente un ulteriore forte decremento dello standard qualitativo dell'amministrazione della giustizia, rischiando di provocarne addirittura la paralisi;
il buon funzionamento del sistema giudiziario, oltre ad essere la risposta primaria alla domanda di giustizia dei cittadini, costituisce indispensabile condizione di promozione e garanzia del funzionamento del sistema economico e sociale nel suo complesso;
la delega al Governo per riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari prevede la scelta di ancorare il permanere delle sedi giudiziarie alle attuali realtà provinciali, prescindendo dalle caratteristiche dei tribunali presenti (soprattutto in realtà di recente istituzione) e di garantire comunque la presenza di tre sedi in ogni distretto, compresi i distretti piccolissimi, nonché la scelta di delegare al Governo la possibilità di abbandonare la corrispondenza fra procure della Repubblica e tribunali, con la creazione di inediti uffici di procura che servirebbero più uffici giudicanti: una soluzione, quest'ultima, che è assolutamente poco sensata una volta che si riduca il numero dei tribunali, poco chiara nelle sue giustificazioni, priva di criteri direttivi e tale da attribuire al Governo una discrezionalità inaccettabile in materia di ordinamenti giudiziari;
tali indicazioni presenti nella delega al Governo non sono state adeguatamente dibattute a livello parlamentare e concertate con le categorie professionali e gli enti territoriali coinvolti;
sarebbe necessario, al contrario, prevedere un piano straordinario di programmazione del lavoro giudiziario per la gestione del contenzioso civile: il perseguimento di tale finalità presuppone necessariamente, in primo luogo, l'adozione di un nuovo metodo di organizzazione del lavoro del personale dell'amministrazione giudiziaria, tale da introdurre modelli orientati all'efficienza del servizio e da valorizzare la professionalità degli operatori, favorendo il ricorso a strumenti che consentano una migliore programmazione e una più razionale gestione dell'attività degli uffici giudiziari. Dovrebbe essere inoltre configurata una «road map», che partendo dall'estensione a tutta Italia del decreto ingiuntivo telematico e dalla diffusione delle notifiche telematiche in tutti gli uffici, arrivi in breve tempo all'obbligatorietà del passaggio al processo telematico,

impegna il Governo

a prevedere un complessivo e necessario progetto di revisione degli uffici giudiziari, anche sotto il profilo della definizione delle circoscrizioni giudiziarie, previa consultazione delle categorie professionali e degli enti territoriali coinvolti, che appare necessario per una effettiva razionalizzazione del sistema giudiziario, stanziando le risorse adeguate per la piena realizzazione del processo telematico, quale strumento indispensabile ai fini della riduzione dei tempi del processo e del complessivo miglioramento della qualità dell'amministrazione della giustizia, non solo in sede civile ma anche in sede penale.
9/4612/81.Trappolino, Cenni.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 1 del provvedimento in esame «Conversione in legge, con modificazioni, dei decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari» prevede all'articolo 1, comma 2 l'emanazione da parte del Governo di «decreti legislativi per riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari»;
il provvedimento in esame, pur non prevedendo misure specifiche per promuovere l'efficienza dell'amministrazione della giustizia, ha come obiettivo la riduzione dei finanziamenti e pubblici e la modifica della geografia giudiziaria;
i tagli relativi al Ministero della giustizia si sommano a quelli già operati dal decreto-legge n. 98 del 6 luglio 2011. Queste ulteriori riduzioni determineranno inevitabilmente un ulteriore forte decremento dello standard qualitativo dell'amministrazione della giustizia, rischiando di provocarne addirittura la paralisi;
il buon funzionamento del sistema giudiziario, oltre ad essere la risposta primaria alla domanda di giustizia dei cittadini, costituisce indispensabile condizione di promozione e garanzia del funzionamento del sistema economico e sociale nel suo complesso;
la delega al Governo per riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari prevede la scelta di ancorare il permanere delle sedi giudiziarie alle attuali realtà provinciali, prescindendo dalle caratteristiche dei tribunali presenti (soprattutto in realtà di recente istituzione) e di garantire comunque la presenza di tre sedi in ogni distretto, compresi i distretti piccolissimi, nonché la scelta di delegare al Governo la possibilità di abbandonare la corrispondenza fra procure della Repubblica e tribunali, con la creazione di inediti uffici di procura che servirebbero più uffici giudicanti: una soluzione, quest'ultima, che è assolutamente poco sensata una volta che si riduca il numero dei tribunali, poco chiara nelle sue giustificazioni, priva di criteri direttivi e tale da attribuire al Governo una discrezionalità inaccettabile in materia di ordinamenti giudiziari;
tali indicazioni presenti nella delega al governo non sono state adeguatamente dibattute a livello parlamentare e concertate con le categorie professionali e gli enti territoriali coinvolti;
sarebbe necessario, al contrario, prevedere un piano straordinario di programmazione del lavoro giudiziario per la gestione del contenzioso civile: il perseguimento di tale finalità presuppone necessariamente, in primo luogo, l'adozione di un nuovo metodo di organizzazione del lavoro del personale dell'amministrazione giudiziaria, tale da introdurre modelli orientati all'efficienza del servizio e da valorizzare la professionalità degli operatori, favorendo il ricorso a strumenti che consentano una migliore programmazione e una più razionale gestione dell'attività degli uffici giudiziari. Dovrebbe essere inoltre configurata una «road map», che partendo dall'estensione a tutta Italia del decreto ingiuntivo telematico e dalla diffusione delle notifiche telematiche in tutti gli uffici, arrivi in breve tempo all'obbligatorietà del passaggio al processo telematico,

impegna il Governo

a valutare ulteriori progetti di revisione degli uffici giudiziari, anche sotto il profilo della definizione delle circoscrizioni giudiziarie, previa consultazione delle categorie professionali e degli enti territoriali coinvolti, che appare necessario per una effettiva razionalizzazione del sistema giudiziario, stanziando le risorse adeguate per la piena realizzazione del processo telematico, quale strumento indispensabile ai fini della riduzione dei tempi del processo e del complessivo miglioramento della qualità dell'amministrazione della giustizia, non solo in sede civile ma anche in sede penale.
9/4612/81.(Testo modificato nel corso della seduta) Trappolino, Cenni.

La Camera,
premesso che:
molteplici mozioni e ordini del giorno sono stati già approvati dal Parlamento e accolti dal Governo in relazione a diversi provvedimenti approvati nel corso di questa legislatura in cui si invitava a rivedere le regole del patto di stabilità per i comuni, con riferimento in particolare agli enti che presentano indici finanziati positivi, in quanto eccessivamente pesanti in termini finanziari e penalizzanti il versante degli investimenti e la crescita del Paese;
la situazione economico-finanziaria dei comuni risulta insostenibile a causa delle cospicue riduzioni sul versante delle entrate, a cui si sommano gli obiettivi posti dal patto di stabilità;
il quadro finanziario e fiscale che dovrebbe regolare i rapporti e dettare i comportamenti delle autonomie territoriali, delineato dalla legge n. 42 del 2009 e i relativi decreti attuativi, risulta fortemente o definitivamente compromesso dalle manovre succedutesi negli ultimi due anni;
il quadro normativo risulta caratterizzato da disposizioni che eliminano l'autonomia organizzativa e gestionale dei comuni violando i princìpi costituzionali contenuti nell'articolo 114, 117 e 119 della Costituzione;
la revisione dell'assetto istituzionale dei comuni si sta caratterizzando per il susseguirsi di modifiche ordinamentali disorganiche, confuse e contraddittorie che mettono a repentaglio il funzionamento ordinario degli stessi enti e la possibilità di continuare a erogare i servizi fondamentali ai cittadini;
le disposizioni contenute nel presente provvedimento richiedono una fase successiva di adattamento, attuazione con scadenze temporali non ravvicinate e presentano profili di eventuale incostituzionalità con il ruolo costituzionale assegnato ai comuni,

impegna il Governo

a procedere entro 15 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto all'istituzione di una Commissione mista paritetica, composta dal Governo e dai rappresentanti delle regioni, delle province e dei comuni con il compito di fare una verifica della legislazione vigente in materia di patto di stabilità, costi di funzionamento degli organi e degli apparati della Repubblica, assetto istituzionale ed amministrativo con l'obiettivo di predisporre una proposta di riforma complessiva in senso federale entro 60 giorni secondo i principi di riduzione degli organi e dei costi, di soppressione delle duplicazioni, di semplificazione dei processi decisionali e di valorizzazione dell'autonomia dei territori e della responsabilità verso i cittadini.
9/4612/82.Graziano.

La Camera,
premesso che:
molteplici mozioni e ordini del giorno sono stati già approvati dal Parlamento e accolti dal Governo in relazione a diversi provvedimenti approvati nel corso di questa legislatura in cui si invitava a rivedere le regole del patto di stabilità per i comuni, con riferimento in particolare agli enti che presentano indici finanziati positivi, in quanto eccessivamente pesanti in termini finanziari e penalizzanti il versante degli investimenti e la crescita del Paese;
la situazione economico-finanziaria dei comuni risulta insostenibile a causa delle cospicue riduzioni sul versante delle entrate, a cui si sommano gli obiettivi posti dal patto di stabilità;
il quadro finanziario e fiscale che dovrebbe regolare i rapporti e dettare i comportamenti delle autonomie territoriali, delineato dalla legge n. 42 del 2009 e i relativi decreti attuativi, risulta fortemente o definitivamente compromesso dalle manovre succedutesi negli ultimi due anni;
il quadro normativo risulta caratterizzato da disposizioni che eliminano l'autonomia organizzativa e gestionale dei comuni violando i princìpi costituzionali contenuti nell'articolo 114, 117 e 119 della Costituzione;
la revisione dell'assetto istituzionale dei comuni si sta caratterizzando per il susseguirsi di modifiche ordinamentali disorganiche, confuse e contraddittorie che mettono a repentaglio il funzionamento ordinario degli stessi enti e la possibilità di continuare a erogare i servizi fondamentali ai cittadini;
le disposizioni contenute nel presente provvedimento richiedono una fase successiva di adattamento, attuazione con scadenze temporali non ravvicinate e presentano profili di eventuale incostituzionalità con il ruolo costituzionale assegnato ai comuni,

impegna il Governo

a procedere entro 30 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto all'istituzione di una Commissione mista paritetica, composta dal Governo e dai rappresentanti delle regioni, delle province e dei comuni con il compito di fare una verifica della legislazione vigente in materia di patto di stabilità, costi di funzionamento degli organi e degli apparati della Repubblica, assetto istituzionale ed amministrativo con l'obiettivo di predisporre una proposta di riforma complessiva in senso federale entro 60 giorni secondo i principi di riduzione degli organi e dei costi, di soppressione delle duplicazioni, di semplificazione dei processi decisionali e di valorizzazione dell'autonomia dei territori e della responsabilità verso i cittadini.
9/4612/82.(Testo modificato nel corso della seduta) Graziano.

La Camera,
premesso che:
a seguito degli eventi calamitosi dell'ottobre 2002 avvenuti nella provincia di Catania furono disposte agevolazioni e riduzione sui versamenti dei tributi dovuti dai residenti in alcuni comuni della provincia stessa;
il 2o comma dell'articolo 36-bis del decreto-legge 248 del 31 dicembre 2007 convertito con legge 28 febbraio 2008 n. 31 alla lettera b) prevedeva l'attualizzazione del debito per tutti i soggetti che versino gli importi sospesi dovuti residui rinunciando alla facoltà di rateizzarli. Sebbene vi siano molti contribuenti che intendono avvalersi della suddetta norma, l'amministrazione finanziaria, non ha ancora chiarito quale dovrà essere il tasso e il metodo di attualizzazione e così, non avendo chiarito quale importo decurtare a titolo di attualizzazione, non ha messo in condizione il contribuente di effettuare il versamento chiudendo definitivamente il debito,

impegna il Governo

ad adottare quei provvedimenti affinché l'amministrazione finanziaria si adoperi al più presto per definire le modalità e il tasso di attualizzazione delle rate non ancora scadute.
9/4612/83.Basilio Catanoso.

La Camera,
premesso che;
il comma 5, lettera c), dell'articolo 3, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, prevede che il professionista è tenuto a stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale, a tutela del cliente. Il professionista deve rendere noti al cliente, al momento dell'assunzione dell'incarico, gli estremi della polizza stipulata per la responsabilità professionale e il relativo massimale. Le condizioni generali delle polizze assicurative di cui al presente comma possono essere negoziate, in convenzione con i propri iscritti, dai consigli nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti;
in sede applicativa del citato comma 5, lettera e), dell'articolo 3, potrebbero sorgere conseguenze molto negative per alcune categorie di professionisti, in particolare come i giovani medici, con specializzazioni più rischiose, dal punto di vista della responsabilità professionale, come la chirurgia, la ginecologia, l'ostetricia, l'ortopedia, l'anestesia ecc. e di conseguenza sui pazienti e sugli utenti del Servizio sanitario nazionale;
è noto il problema della copertura assicurativa del medico, emerso da tempo, a causa delle alte polizze assicurative, basate sul calcolo del rischio elevato per la crescita dei casi di malasanità e di denunce nei confronti del personale medico e sanitario, oltre che delle strutture sanitarie;
ad essere colpiti e danneggiati maggiormente dall'obbligo di polizza assicurativa per la responsabilità medica, saranno gli 8 mila medici precari che in gran parte lavorano nel sistema emergenza-urgenza senza garanzie e con redditi più bassi e tutti i giovani medici che se pur non precari, non riuscirebbero a coprire i costi della polizza con lo stipendio percepito,

impegna il Governo

a dare corretta attuazione delle disposizioni di cui al citato comma 5, lettera e), dell'articolo 3, nel senso che vengano individuati urgentemente dei meccanismi di tutela nei confronti del personale medico e sanitario, per ciò che concerne la copertura dei costi delle polizze assicurative richieste, affinché il funzionamento del Sistema sanitario nazionale, e il rapporto medico/paziente vengano preservati dalle criticità segnalate.
9/4612/84.Fucci.

La Camera,
premesso che:
le città sono i sistemi propulsivi del Paese, nelle quali si coagulano popolazione, attività, strutture formative, università e centri di ricerca, e dove si concentrano le sfide dell'esclusione sociale, dell'immigrazione, delle discriminazioni di genere, della disoccupazione, dell'ambiente e dell'innovazione;
esse costituiscono un forte potenziale del tutto inutilizzato per lo sviluppo qualitativo e la crescita economica dell'Italia, a differenza di quanto avviene in altri paesi europei;
investire sulle città è necessario proprio in questo momento di drammatica crisi finanziaria, se si vuole puntare con decisione sullo sviluppo e sul recupero di competitività del Paese, anche al fine di rendere efficace il risanamento dei conti pubblici per conseguire il fondamentale obiettivo della riduzione strutturale del debito;
le città e le loro comunità vanno coinvolte a pieno titolo nell'impegno collettivo per uscire dalla crisi, mentre oggi sono del tutto escluse dalle grandi scelte nazionali e ne subiscono tutti gli effetti;
per evitare una ricaduta ulteriormente recessiva sull'economia e gravi ripercussioni sul welfare è necessaria un'inversione di tendenza rispetto alle diverse manovre di finanza pubblica che hanno penalizzato regioni ed enti locali, producendo una forte riduzione degli investimenti e della spesa sociale;
dalla crisi si può uscire solo rafforzando l'unità politica europea, dotando l'Unione di istituzioni in grado di sostenere la moneta unica;
la strategia Europa 2020, per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, prevede il raggiungimento di obiettivi occupazionali, ambientali, di contrasto alla povertà, di formazione e di sviluppo della ricerca che richiedono un ruolo attivo delle città;
la quinta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale della Commissione europea del novembre 2010 propone di sviluppare, per il prossimo periodo 2013-2020, una «ambiziosa agenda urbana» che permetta alle amministrazioni cittadine di essere direttamente coinvolte nell'elaborazione delle strategie di sviluppo;
quasi tutti i paesi europei hanno politiche urbane nazionali e specifiche strutture di governo ad esse dedicate, mentre in Italia non vi è alcuna politica specifica per le città ed esiste una grande frammentazione delle iniziative pubbliche;
la dimensione urbana nella programmazione dei Fondi strutturali 2007-2013 fa perno sul ruolo delle regioni, mentre a livello centrale vi sono diverse strutture ministeriali (Presidenza del Consiglio dei ministri, CIPE, Ministero dell'economia e delle finanze, Ministero dell'interno. Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Ministero dello sviluppo economico, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Conferenza Stato-città e autonomie locali e Conferenza unificata, solo per citare i principali) che hanno competenze relative alle città senza alcun coordinamento tra di loro;
ai fini di dotare anche il nostro Paese di una politica nazionale per le città,

impegna il Governo

a predisporre un'agenda urbana nazionale, in coerenza con quella proposta dalla Commissione europea per la politica di coesione 2013-2020, aggiornata periodicamente nel suo stato di attuazione attraverso gli strumenti annuali della programmazione e del bilancio (Documento di economia e finanza, Programma nazionale di riforma, Legge di stabilità);
costituire un comitato interministeriale per le politiche urbane, affidando una delega specifica ad un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri;
favorire e promuovere l'adozione di specifici provvedimenti normativi e programmi di azione specificatamente rivolti alle città nei seguenti campi: istituzioni e democrazia urbana; autonomia finanziaria locale; politiche per l'eguaglianza di genere; lavoro e sviluppo locale; welfare, immigrazione e sicurezza urbana; governo del territorio; economia verde; infrastrutture e mobilità; sviluppo digitale ed economia della conoscenza; cultura.
9/4612/85.Tabacci, Ciccanti, Conte Giorgio, Cambursano, Lanzillotta, Mosella, Pisicchio, Vernetti.

La Camera,
premesso che:
con alcune modifiche apportate dal Senato al decreto-legge n. 138 del 2011 si è inteso appesantire fortemente l'intervento contro le cosiddette «Società di comodo», allo scopo di penalizzare e scoraggiare l'utilizzo di tali società a scopo elusivo per la gestione di patrimoni mobiliari ed immobiliari in uso a cittadini italiani;
le misure previste aumentano l'aliquota IRES per le società di comodo e impongono una tassazione extra ai soci se godono dei beni della società ad un valore inferiore a quello di mercato, inoltre statuisce la presunzione di elusività per quelle società che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per tre periodi di imposta consecutivi;
la formulazione della norma contenuta nel decreto in esame rischia tuttavia di non ottenere i risultati sperati, perché non incide sulle società non residenti che tuttavia possono avere in gestione patrimoni di cittadini italiani ed anzi sono più soventemente usate per i patrimoni più significativi; ciò vale per le società di comodo domiciliate nei cosiddetti «paradisi fiscali», che sfuggono alla maggiorazione dell'IRES prevista nel decreto in esame, ma ancora più per le società stabilite in paesi non-black list e pertanto poste al di fuori di ogni disposizione antielusiva,

impegna il Governo

a prevedere attraverso i provvedimenti attuativi e interpretativi dei dispositivi previsti dal decreto n. 138 del 2011 che i meccanismi antielusivi comprendano tutte le società che gestiscono patrimoni di cittadini italiani, indipendentemente dalla sede delle società stesse.
9/4612/86.Nicola Molteni, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
il decreto n. 138 del 2011, a seguito delle modifiche approvate al Senato, comporterà un progressivo elevamento del requisito anagrafico delle lavoratrici del settore privato per le pensioni di vecchiaia; l'obiettivo è equiparare progressivamente la soglia di età anagrafica per andare in pensione a quella prevista per i lavoratori;
nel caso delle lavoratrici tuttavia occorre tenere presente che contemporaneamente all'attività lavorativa la gestione della famiglia ed in particolare la maternità comportano un impegno personale, fisico ed emotivo particolarmente gravoso del quale è necessario tenere conto ai fini della maturazione del diritto alla pensione,

impegna il Governo

ad adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere, parallelamente all'innalzamento del requisito di vecchiaia, una riduzione del requisito di anzianità pari ad almeno un anno per ciascun figlio naturale per tutte le lavoratrici dei settori privato e pubblico.
9/4612/87.Pini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
il decreto n. 138 del 2011, a seguito delle modifiche approvate al Senato, comporterà un progressivo elevamento del requisito anagrafico delle lavoratrici del settore privato per le pensioni di vecchiaia; l'obiettivo è equiparare progressivamente la soglia di età anagrafica per andare in pensione a quella prevista per i lavoratori;
nel caso delle lavoratrici tuttavia occorre tenere presente che contemporaneamente all'attività lavorativa la gestione della famiglia ed in particolare la maternità comportano un impegno personale, fisico ed emotivo particolarmente gravoso del quale è necessario tenere conto ai fini della maturazione del diritto alla pensione,

impegna il Governo

a valutare la previsione di ulteriori iniziative normative volte a prevedere, parallelamente all'innalzamento del requisito di vecchiaia, una riduzione del requisito di anzianità pari ad almeno un anno per ciascun figlio naturale per tutte le lavoratrici dei settori privato e pubblico.
9/4612/87.(Testo modificato nel corso della seduta) Pini.

La Camera,
premesso che:
con l'articolo 1, comma 8, la misura del concorso dei comuni alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per gli anni 2012 e successivi, imposto dall'articolo 20, comma 5, del decreto-legge n. 98 del 2011, è pari a 1.700 milioni di euro per il 2012 e a 2.000 milioni a decorrere dal 2013;
rispetto alla misura introdotta dall'articolo 20, comma 5, del decreto-legge n. 98 del 2011 - pari a complessivi 1.000 milioni di euro per il 2013 e 2.000 milioni di euro a decorrere dal 2014 - il comma 8 dispone di un aumento del concorso dei comuni alla manovra per complessivi 1.700 milioni di euro per l'anno 2012 e 1.000 milioni di euro per l'anno 2013;
nonostante il comma 12 dell'articolo 1 preveda la possibilità che l'importo della manovra possa essere complessivamente ridotto nel 2012 attraverso l'utilizzo delle maggiori entrate derivanti dalle modifiche alla disciplina dell'addizionale IRES per i soggetti operanti nel settore energetico (cosiddetta Robin TAX) alle autonomie locali è stato comunque richiesto un ulteriore onere economico;
resterebbero esenti dall'ICI tutti gli immobili adibiti ad attività di religione o di culto , cioè quelli diretti all'esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, alla educazione cristiana ed alle attività di assistenza, beneficienza, culturali ed educative,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di assumere iniziative volte a rivedere la normativa di cui al comma 2-bis dell'articolo 7 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, come sostituito dall'articolo 39 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 in tema di esenzioni ICI in favore di edifici ecclesiastici adibiti ad attività non legate a pratiche di culto.
9/4612/88.Giammanco.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 3 comma 5 del provvedimento in esame, fatto salvo l'esame di stato prescritto dal quinto comma dell'articolo 33 della Costituzione per l'accesso alle professioni regolamentate, prevede un riordino degli ordinamenti professionali;
tale disposizione stabilisce che gli ordinamenti professionali devono essere riformati entro dodici mesi dall'entrata in vigore del decreto-legge ai fine di garantire che l'esercizio dell'attività risponda ai principi di libera concorrenza, alla presenza diffusa dei professionisti su tutto il territorio nazionale, nonché alla differenziazione e pluralità di offerta che garantisca l'effettiva possibilità di scelta degli utenti nell'ambito della più ampia informazione relativamente ai servizi offerti;
la tendenza ad una maggiore liberalizzazione delle libere professioni rischia di generare, se operata in mancanza di valutazioni ben ponderate, una pericolosa equiparazione tra attività professionale e attività d'impresa;
atteso il tipo di attività e l'interesse pubblico che riveste la professione forense, inerente la difesa dei diritti fondamentali della persona, nonché la sua secolare tradizione all'interno dell'ordinamento dello Stato, è necessario che la professione forense conservi la sua indipendenza, la sua autonomia ed il suo decoro per garantire la difesa dei diritti di ogni individuo, in qualsiasi contesto politico e in qualsiasi vicenda in cui tali diritti siano lesi, compromessi e conculcati,

impegna il Governo

a garantire il conseguimento degli obiettivi economici rivolti alla stabilità del mercato e alla ripresa economica salvaguardando i principi, anche costituzionalmente garantiti, sui quali si fonda la professione forense e l'antica tradizione giuridica nazionale preservandone, al contempo, il decoro, l'autonomia e l'indipendenza.
9/4612/89.Paola Frassinetti.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame introduce una serie di misure finalizzate allo sviluppo e alla stabilizzazione finanziaria anche attraverso l'introduzione di disposizioni volte al sostegno dell'occupazione e della formazione;
nell'ambito della formazione dei soggetti che hanno già assolto l'obbligo scolastico ai sensi della legge 31 dicembre 1962, n. 1859, i tirocini ricoprono un importante ruolo come momento di approfondimento formativo e introduzione al mondo del lavoro;
l'articolo 18 della legge 24 giugno 1997, n. 196 riconosce il ruolo fondamentale dei tirocini nell'agevolare le scelte professionali mediante una conoscenza diretta e qualificata del mondo del lavoro;
l'articolo 11, comma 1, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 istituisce misure di tutela essenziali per l'attivazione dei tirocini, stabilendone soggetti promotori ed eventuali limiti nella durata temporale;
esistono, allo stato attuale, numerose disparità nell'effettiva possibilità di accesso ai tirocini, segnatamente in capo a categorie giovanili più svantaggiate, in termini di reddito e di residenza, in quanto nella maggior parte dei casi i tirocini sono di natura non retribuita;
la criticità evidenziata rende il momento del tirocinio non sempre fruibile da parte di tutti i soggetti potenzialmente interessati, pur rappresentando una grande opportunità formativa,

impegna il Governo

a predisporre la possibilità in capo ai soggetti promotori di tirocini formativi, nei limiti delle risorse disponibili, di erogare adeguati contributi economici ai tirocinanti, sulla base delle condizioni economiche, sociali e lavorative, nonché della residenza in aree svantaggiate e di eventuali oneri sostenuti a seguito di trasferimento di residenza o domicilio in altra regione da parte di un lavoratore o praticante.
9/4612/90.Di Biagio.

La Camera,
premesso che:
il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, coordinato con la legge di conversione 30 luglio 2010, n. 122, prevede, all'articolo 31, comma 1-bis, che «Al decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 602, dopo l'articolo 28-ter è inserito il seguente: "Art. 28-quater (Compensazioni di crediti con somme dovute a seguito ruolo). - 1. A partire dal 1o gennaio 2011, i crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, maturati nei confronti delle regioni, degli enti locali e del Servizio sanitario nazionale per somministrazioni, forniture ed appalti, possono essere compensati con le somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo. A tal fine il creditore acquisisce la certificazione prevista dall'articolo 9, comma 3-bis, del decreto-legge 29 novembre 2008 n. 185, convertito, con modificazione, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e la utilizza per il pagamento, totale o parziale delle somme dovute a seguito dell'iscrizione a ruolo. L'estinzione del debito a ruolo è condizionata alla verifica dell'esistenza e validità della certificazione. Qualora la regione, l'ente locale o l'ente del Servizio sanitario nazionale non versi all'agente della riscossione l'importo oggetto della certificazione entro sessanta giorni dal termine nella stessa indicato, l'agente della riscossione procede, sulla base del ruolo emesso dal creditore, alla riscossione coattiva nei confronti della regione, dell'ente locale o dell'ente del Servizio sanitario nazionale secondo le disposizioni di cui al titolo secondo del presente decreto. Le modalità di attuazione del presente articolo sono stabilite con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze anche al fine di garantire il rispetto degli equilibri programmati di finanza pubblica".»;
tale meccanismo di compensazione diretta fra gli obblighi tributari e i crediti non tributari dei fornitori della pubblica amministrazione - fortemente sollecitato ed avvertito come primaria necessità dalle piccole e medie imprese - in teoria realizzabile dal primo gennaio 2011, risulta, allo stato attuale, non operativo, in quanto il decreto attuativo è ancora in fase istruttoria, per la complessa riorganizzazione amministrativa nonché per i presunti problemi di copertura che lo «scambio» fra le cartelle esattoriali e i crediti per somministrazioni, forniture ed appalti comporta;
il provvedimento in esame - recante misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo - non introduce, purtroppo, alcuna misura a sostegno del sistema produttivo nazionale;
oggi è quanto mai opportuno ed urgente agevolare l'attivazione di meccanismi in grado di ridare ossigeno all'economia reale del Paese,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire tempestivamente con misure volte a rilanciare e rendere più competitivo il sistema produttivo nazionale, soprattutto introducendo strumenti che permettano di superare le difficoltà connesse ai ritardati pagamenti delle pubbliche amministrazioni e adottando i provvedimenti necessari a dare piena attuazione alla norma sopra citata.
9/4612/91.Paglia, Muro.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame introduce una serie di misure finalizzate allo sviluppo e alla stabilizzazione finanziaria anche attraverso l'introduzione di disposizioni per la riduzione della spesa pubblica e in materia di entrate;
l'articolo 2, comma 627, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Legge finanziaria per il 2008), le cui previsioni sono ora costituite nell'articolo 297, comma 1, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, ha stabilito che il Ministero della difesa predisponesse con criteri di semplificazione, di razionalizzazione e di contenimento della spesa, un programma pluriennale per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio;
il suindicato piano prevede la realizzazione o acquisizione di circa 51.000 alloggi per un costo approssimativo di 5,7 miliardi di euro;
all'articolo 306, comma 3, del citato decreto legislativo n. 66 del 2010 previsto che «al fine della realizzazione del programma pluriennale di cui all'articolo 297, il Ministero della difesa provvede all'alienazione della proprietà, dell'usufrutto o della nuda proprietà di alloggi non più ritenuti utili nel quadro delle esigenze dell'amministrazione, in numero non inferiore a tremila»;
l'individuazione definitiva da parte del Ministero della difesa è stata già parzialmente operata, giusto decreto direttoriale n. 14/2/2010 22 novembre 2010 della Direzione generale dei Lavori del Genio del Ministero della difesa;
la mozione n. 1-00559 concernente iniziative in materia di concessione degli alloggi di servizio del Ministero della difesa, sottoscritta dai rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari, discussa nell'Aula di Montecitorio ed accolta dal Governo in data 8 febbraio 2011, stabilisce che «in ogni caso, non si procederà al recupero degli alloggi nelle aree ove non sussistano impellenti esigenze non altrimenti risolvibili», lasciando emergere un preciso orientamento amministrativo finalizzato al recupero degli alloggi in relazione alla loro localizzazione e definita la procedura di «alienazione della proprietà, dell'usufrutto o della nuda proprietà di alloggi non più ritenuti utili nel quadro delle esigenze dell'amministrazione» ai sensi del citato decreto legislativo;
nell'ambito di approvazione del cosiddetto decreto mille proroghe, in data 25 febbraio scorso, il Governo si è impegnato a non avviare azioni di recupero forzoso nei confronti degli utenti cosiddetti sine titulo, fermi restando i canoni allora vigenti;
a dispetto di quanto evidenziato e dei citati impegni del Governo, recuperi forzosi nei confronti degli alloggi di cui in premessa, non inclusi fra quelli di prevista alienazione, sono già stati avviati da qualche ramo del Ministero della difesa su tutto il territorio nazionale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di sospendere le azioni di recupero forzoso, confermando per tutta la durata della sospensione i canoni di locazione applicati prima dell'entrata in vigore del decreto del Ministero della difesa n. 122 del 16 marzo 2011, nei confronti dei conduttori sine titulo in godimento di unità abitative in atto non incluse fra quelle di prevista alienazione, fino alla completa ed effettiva alienazione della proprietà, dell'usufrutto o della nuda proprietà di alloggi non più ritenuti utili alle esigenze dell'Amministrazione, in ottemperanza a quanto sancito dall'articolo 306, comma 3, del decreto legislativo n. 66 del 2010, dando priorità all'alienazione di tutti gli alloggi per i quali gli utenti hanno già presentato istanza di acquisto al Ministero della difesa in forza della legge n. 326 del 2003.
9/4612/92.Muro, Di Biagio.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame introduce una serie di misure finalizzate allo sviluppo e alla stabilizzazione finanziaria anche attraverso l'introduzione di disposizioni per la riduzione della spesa pubblica e in materia di entrate;
l'articolo 1, comma 6, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 prevede l'anticipo di un anno per la prevista riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale di cui all'allegato C-bis, collegato all'articolo 40, comma 1-ter del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito con legge n. 111 del 2011 (cosiddetta «manovra di luglio»);
la riduzione prevista nel suindicato articolo 40, per i predetti regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale indicati nell'allegato C-bis, è pari al 5 per cento per l'anno 2013 e al 20 per cento dal 2014 (considerando che il punto 93 del menzionato articolo 40 prevede la tassazione sul 50 per cento dei redditi percepiti per i servizi prestati all'estero);
le modalità di tale riduzione, qualora questa non fosse immediatamente applicabile all'agevolazione, saranno stabilite con decreto ministeriale;
il medesimo articolo 40 ha dunque determinato l'aumento della base imponibile, e conseguentemente del prelievo fiscale, per gli stipendi dei personale a contratto del Ministero degli affari esteri, in una misura aggiuntiva del 25 per cento;
è opportuno ricordare che, a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 314 del 1997 e di un parere emesso ad hoc dal MEF sulla tassazione delle retribuzioni del personale a contratto, gli stipendi di questi dipendenti vengono da sempre sottoposti al fisco nella misura del 50 per cento;
l'entrata in vigore di quanto disposto con la cosiddetta manovra di luglio e confermato con l'attuale decreto-legge n. 138, che prevede una revisione del trattamento fiscale del personale a contratto, con il passaggio ad un'imponibile pari al 75 per cento, rischia inoltre di determinare un aumento dell'aliquota applicata, con la conseguenza che per ogni addetto il prelievo fiscale crescerebbe in misura tendenzialmente superiore all'aumento dell'imponibile, determinando una situazione di evidente criticità per i soggetti interessati dal provvedimento;
inoltre i riflessi di tale revisione sarebbero drammatici anche sotto il profilo fiscale nel Paese di residenza: il reddito italiano concorre infatti alla formazione del reddito familiare nel Paese di residenza e quindi alla determinazione dell'aliquota fiscale da applicarsi sullo stipendio del coniuge, che conseguentemente subirebbe un aumento;
tale revisione andrà ancora una volta ad intaccare le disponibilità e le garanzie già ridotte dei connazionali, lavoratori a contratto del MAE, mentre lascerà quasi inalterato ed indenne il prelievo fiscale delle indennità di sede (I.S.E.) corrisposte al personale di ruolo trasferito all'estero dallo stesso Ministero nonché ai diplomatici;
dal punto di vista pratico l'accresciuta imposizione - essendo improbabile una troppo accentuata decurtazione del reddito reale del personale a contratto - potrebbe comportare un aumento degli importi contrattuali e dunque degli oneri a carico del MAE,

impegna il Governo

a rivedere le disposizioni introdotte nella cosiddetta manovra di luglio, citata in premessa, e a sopprimere il punto 93 dell'Allegato C-bis, elenco delle disposizioni vigenti recanti esenzioni e riduzioni del prelievo obbligatorio, relativo all'articolo 40, comma 1-ter del citato decreto-legge n. 98 del 2011 convertito con legge n. 111 del 2011.
9/4612/93.Tremaglia, Di Biagio.

La Camera,
premesso che:
in Castellaneta (Taranto), località «Le Grotte», si stanno effettuando i lavori per la realizzazione del Metanodotto Massafra (Taranto)-Biccari (Foggia), per conto della Snam-rete gas;
durante l'esecuzione dei predetti lavori di scavo sono venuti alla luce insediamenti archeologici che, considerando la vastità dell'area interessata, i rilievi, la natura e la ricchezza del materiale ritrovato (monete di bronzo e di argento, vasellame di pregevole fattura, monili e altro), fanno verosimilmente pensare ad una delle aree archeologicamente più interessanti del Meridione scoperte negli ultimi tempi;
tali scoperte stanno restituendo informazioni importantissime circa la presenza di un centro rurale databile tra l'età arcaica e quella romana, con il rinvenimento di una porzione di una necropoli infantile, di sepolture relative a nuclei familiari, di una tomba ad incinerazione, di ambienti abitativi ed importanti tracce legate alla produzione agricola;
le ricerche condotte negli ultimi decenni nella chora della colonia greca di Taranto hanno consentito di documentare segni evidenti di coltivazione della vite, inquadrabili tra l'età classica ed ellenistica, che troverebbero puntuali conferme e confronti in località «Le Grotte», dove sono perfettamente conservate numerosissime canalette rettangolari, parzialmente intersecate da solchi regolari continui praticati nel terreno limo-argilloso e nel banco calcarenitico, funzionali ad impianti di vigneti e resti di strutture insediative a carattere rurale, associate probabilmente ad un intenso sfruttamento agricolo dell'area. Nella parte settentrionale dell'insediamento, in una zona precedentemente utilizzata come necropoli, sono stati individuati i resti di un edificio di grandi dimensioni, con più fasi di vita, di cui sono chiaramente visibili un vano quadrangolare e parte di un impianto produttivo, connesso probabilmente alla produzione del vino;
grande interesse è stato mostrato per il sito archeologico da parte di docenti di università straniere (Grecia e USA) che hanno dichiarato di essere disposti a continuare gli scavi;
tali scoperte rappresentano, altresì, una grande opportunità per il turismo che, oltre al mare stupendo, alle gravine, ai centri storici con le loro chiese e i loro edifici, può offrire un'altra risorsa per la stagione estiva e un interessante programma di destagionalizzazione per tutti gli operatori del settore;
nonostante l'estensione dei rinvenimenti e la loro importanza sotto il profilo archeologico, culturale e turistico, la Soprintendenza per i beni archeologici della Puglia, preposta all'alta sorveglianza delle attività di ricerca e catalogazione dei reperti, ha comunicato ai proprietari del fondo interessato dalle straordinarie scoperte, l'imminente interruzione delle attività di scavo ed, anzi, la prossima ricopertura del sito con il terreno nel frattempo asportato, per mancanza di risorse economiche;
la regione Puglia beneficia di un contributo europeo di 25 milioni di euro l'anno per la tutela e la salvaguardia della sua storia emersa e da fare emergere (proprio come per il caso in questione). Il comune di Castellaneta, tuttavia, non rientra tra gli interventi del Programma operativo interregionale attrattori culturali, naturali e turismo 2007/2013 (POIN), poiché non ricompreso all'interno degli ambiti geografici di intervento individuati dalla regione Puglia nel polo del Gargano e nel polo del Salento;
se tali ultime decisioni dovessero essere definitive, oltre ad impedire la prosecuzione delle attività di scavo, esse escluderebbero la fruibilità ai fini culturali, archeologici, turistici e di valorizzazione del territorio di un sito dalle straordinarie potenzialità;
l'abbandono di ogni interesse al sito da parte della Soprintendenza renderebbe «indifeso» rispetto ai probabili illeciti «interessamenti» dei «tombaroli», il tesoro che in esso si cela, provocando danni irreparabili sul piano culturale e mortificando tante iniziative imprenditoriali che, in una zona in cui il livello occupazionale è molto basso, potrebbero rappresentare concrete possibilità di lavoro e di sviluppo economico, specialmente per i giovani. Ciò, soprattutto alla luce delle allarmanti notizie pubblicate dalla stampa, relativa all'assurdo traffico di reperti archeologici che da tempo interessa tutta l'Italia, come dimostrato dai circa 2000 reperti, in gran parte provenienti da quella zona, recuperati dai Carabinieri tra la fine di giugno e i primi di luglio;
il Governo, in risposta ad un'interpellanza da me presentata in data 5 luglio 2011 (n. 2-01141), ha, tra l'altro, dichiarato: «Per quanto attiene alle iniziative da adottare, con la dovuta urgenza, per la valorizzazione di tale importante sito archeologico, la prefettura di Taranto, parimenti interessata dall'interpellanza, ha comunicato che potrà essere costituito presso la stessa prefettura, un tavolo di concertazione con la partecipazione della Snam, di tutti i soggetti istituzionali competenti e degli enti locali per esaminare tutte le possibili soluzioni. Al tavolo di concertazione parteciperà ovviamente, con un ruolo decisivo, la Soprintendenza per i beni archeologici della Puglia, che valuterà, nell'ambito delle proprie competenze istituzionali le soluzioni che verranno prospettate»,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa affinché la prefettura di Taranto, con il dovuto sostegno dei ministri dei beni culturali, dello sviluppo economico e dell'interno, per quanto di loro competenza, abbia gli strumenti per organizzare quanto prima un tavolo di concertazione con tutti i soggetti istituzionali e privati interessati e con gli enti locali (provincia e comune di Castellaneta), per impedire che venga interrotta l'attività di ricerca in corso e ordinata la chiusura del sito con tutti i danni che una tale insensata decisione comporterebbe sul piano culturale, sociale ed economico.
9/4612/94.Patarino, Consolo.

La Camera,
premesso che:
in data 7 febbraio 1985 crollava un edificio di sette piani per civili abitazioni nel comune di Castellaneta (Taranto), causando la morte di 34 persone;
nella seduta di mercoledì 26 luglio 2006, veniva presentata interpellanza urgente 2-00085 dal firmatario del presente ordine del giorno e da altri trenta cofirmatari, con la quale si chiedeva all'allora ministro dell'interno di intervenire con le più opportune iniziative per dare le risposte da tanti anni legittimamente attese dai familiari delle vittime;
in data 2 agosto 2006, tenutasi la discussione della predetta interpellanza urgente, dopo l'illustrazione dell'interpellante, il professore Alessandro Pajno, sottosegretario di Stato per l'interno rispondeva avanzando l'ipotesi di un intervento legislativo mirato, che, «viste le ristrettezze di natura economica, consenta allo Stato di adottare misure finanziarie che rendano possibili, anche eventualmente, il conseguimento del ristoro da parte degli interessati»;
in data 25 settembre 2007, trascorsi infruttuosamente 13 mesi, con una nota del firmatario del presente ordine del giorno si invitava il sottosegretario Pajno a dare seguito a quanto dichiarato nella seduta del 2 agosto 2006;
il sottosegretario Pajno faceva pervenire copia dell'atto n. 39-7/a 115 Uff. V, inviato dal direttore dell'ufficio affari legislativi e relazioni parlamentari, dottor Magliozzi, al ministro dell'economia e delle finanze;
in data 15 dicembre 2007, in occasione della discussione sul disegno di legge finanziaria per il 2008, e nuovamente in data 19 novembre 2010, in occasione della discussione sul disegno di legge finanziaria per il 2011, venivano accolti con parere favorevole del Governo, due distinti ordini del giorno del firmatario del presente ordine del giorno con i quali si impegnava il Governo a «rendersi promotore di un intervento legislativo mirato, che (...) consenta allo Stato di adottare misure finanziarie che rendano possibile il conseguimento del ristoro da parte degli interessati»;
con sentenza n. 248 del 2005, della Corte di Appello di Lecce in Taranto veniva chiamato in causa anche il Ministero dell'interno, come da richiesta del comune di Castellaneta;
in data 11 gennaio 2008, con sentenza n. 127, il dottor Cavallone accoglieva l'eccezione dell'Avvocatura dello Stato dichiarando la controversia di competenza del tribunale di Lecce;
riassunta dalle parti interessate la controversia dinanzi ai tribunale di Lecce, ex articolo 50 del codice di procedura civile veniva fissata l'udienza per il 19 novembre 2009;
in quella data, però, i numerosi difensori delle parti avevano la sgradita sorpresa di constatare il già avvenuto rinvio d'ufficio, stabilito dal giudice istruttore, alla nuova udienza del 13 maggio 2010 in quanto, a dire di detto magistrato, «l'ingente carico del proprio ruolo imponeva di differire le cause iscritte a ruolo in epoca più recente», quindi anche la n. 3494/2008 relativa al crollo di Castellaneta, non accorgendosi che tale controversia 3494/2008 riguardava la riassunzione di contenzioso per eventi risalenti al 7 febbraio 1985;
a seguito della citazione in giudizio del Ministero dell'interno, la questione risarcimento danni potrebbe trovare favorevole soluzione, atteso che adesso, oltre al comune di Castellaneta, lo Stato è parte in causa e, quindi, dovrebbe esserci maggiore interesse alla definizione della controversia per il concorso di tre fattori positivi:
a) il comune non è più solo a sostenere l'enorme peso economico della vicenda (che determinerebbe automaticamente il dissesto del comune con conseguenze per tutti, anche per lo Stato);
b) il Ministero dell'interno per i più elementari principi di equità e di giustizia, non può ritenere di difendersi come un comune privato convenuto a giudizio, trincerandosi dietro cavilli processuali;
c) i familiari delle vittime del crollo hanno dichiarato di voler «conciliare» la controversia prendendo a base le somme riconosciute nella sentenza n. 428 del 2003,

impegna il Governo

a dare corso a quanto già deciso con l'approvazione dei citati ordini del giorno n. 9/3256/201 del 15 dicembre 2007 e n. 9/03778-A/149 del 19 novembre 2010, predisponendo gli strumenti più appropriati per soddisfare i diritti dei superstiti e dei familiari delle vittime che attendono da 25 anni che quella dolorosissima vicenda si concluda nella maniera più equa, nonché per evitare che il citato Ministero venga trascinato in una lunga stagione di processi contro cittadini incolpevoli.
9/4612/95.Consolo, Patarino.

La Camera,
premesso che:
molteplici mozioni e ordini del giorno sono stati già approvati dal Parlamento e accolti dal Governo in relazione a diversi provvedimenti approvati nel corso di questa legislatura, con l'invito a rivedere le regole del patto di stabilità per i comuni, in particolare per quelli che presentano indici finanziari positivi, per evitare che a essere disincentivati e penalizzati siano anche quegli investimenti ampiamente sostenibili sotto il profilo finanziario e necessari per la competitività e la crescita del Paese;
la situazione economico-finanziaria dei comuni risulta sempre più insostenibile a causa delle cospicue riduzioni sul versante delle entrate, a cui si sommano gli obiettivi posti dal patto di stabilità;
il quadro finanziario e fiscale che dovrebbe regolare i rapporti e dettare i comportamenti delle autonomie territoriali, delineato dalla legge n. 42 del 2009 e dai relativi decreti attuativi, risulta fortemente o definitivamente compromesso dalle manovre succedutesi negli ultimi due anni;
il quadro normativo risulta caratterizzato da disposizioni che eliminano l'autonomia organizzativa e gestionale dei comuni violando i principi costituzionali di cui agli articoli 114, 117 e 119 della Costituzione;
la revisione dell'assetto istituzionale dei comuni si sta caratterizzando per il susseguirsi di modifiche ordinamentali disorganiche, confuse, contraddittorie e surrettizie che mettono a repentaglio il funzionamento ordinario degli stessi enti e la possibilità di continuare a erogare i servizi fondamentali ai cittadini;
le disposizioni contenute nel presente provvedimento, di cui potrebbero essere presto esaminati anche i potenziali profili di incostituzionalità sollevati dagli enti locali, richiedono comunque un successivo adattamento e non potranno credibilmente trovare - visto il quadro istituzionale in cui si inseriscono - una immediata attuazione,

invita il Governo

a procedere, entro 15 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto all'istituzione di una Commissione mista paritetica, composta dal Governo e dai rappresentanti delle regioni, delle province e dei comuni con il compito di fare una verifica della legislazione vigente in materia di patto di stabilità, costi di funzionamento degli organi e degli apparati della Repubblica, assetto istituzionale ed amministrativo con l'obiettivo di predisporre una proposta di riforma complessiva in senso federale entro 60 giorni secondo i principi di riduzione degli organi e dei costi, di soppressione delle duplicazioni, di semplificazione dei processi decisionali e di valorizzazione dell'autonomia dei territori e della responsabilità verso i cittadini.
9/4612/96. Conte, Proietti Cosimi.

La Camera,
premesso che:
molteplici mozioni e ordini del giorno sono stati già approvati dal Parlamento e accolti dal Governo in relazione a diversi provvedimenti approvati nel corso di questa legislatura, con l'invito a rivedere le regole del patto di stabilità per i comuni, in particolare per quelli che presentano indici finanziari positivi, per evitare che a essere disincentivati e penalizzati siano anche quegli investimenti ampiamente sostenibili sotto il profilo finanziario e necessari per la competitività e la crescita del Paese;
la situazione economico-finanziaria dei comuni risulta sempre più insostenibile a causa delle cospicue riduzioni sul versante delle entrate, a cui si sommano gli obiettivi posti dal patto di stabilità;
il quadro finanziario e fiscale che dovrebbe regolare i rapporti e dettare i comportamenti delle autonomie territoriali, delineato dalla legge n. 42 del 2009 e dai relativi decreti attuativi, risulta fortemente o definitivamente compromesso dalle manovre succedutesi negli ultimi due anni;
il quadro normativo risulta caratterizzato da disposizioni che eliminano l'autonomia organizzativa e gestionale dei comuni violando i principi costituzionali di cui agli articoli 114, 117 e 119 della Costituzione;
la revisione dell'assetto istituzionale dei comuni si sta caratterizzando per il susseguirsi di modifiche ordinamentali disorganiche, confuse, contraddittorie e surrettizie che mettono a repentaglio il funzionamento ordinario degli stessi enti e la possibilità di continuare a erogare i servizi fondamentali ai cittadini;
le disposizioni contenute nel presente provvedimento, di cui potrebbero essere presto esaminati anche i potenziali profili di incostituzionalità sollevati dagli enti locali, richiedono comunque un successivo adattamento e non potranno credibilmente trovare - visto il quadro istituzionale in cui si inseriscono - una immediata attuazione,

invita il Governo

a procedere, entro 30 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto all'istituzione di una Commissione mista paritetica, composta dal Governo e dai rappresentanti delle regioni, delle province e dei comuni con il compito di fare una verifica della legislazione vigente in materia di patto di stabilità, costi di funzionamento degli organi e degli apparati della Repubblica, assetto istituzionale ed amministrativo con l'obiettivo di predisporre una proposta di riforma complessiva in senso federale entro 60 giorni secondo i principi di riduzione degli organi e dei costi, di soppressione delle duplicazioni, di semplificazione dei processi decisionali e di valorizzazione dell'autonomia dei territori e della responsabilità verso i cittadini.
9/4612/96. (Testo modificato nel corso della seduta) Conte, Proietti Cosimi.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 4 del provvedimento in esame interviene nella materia della disciplina dei servizi pubblici locali, con l'obiettivo di adeguare il quadro normativo all'esito del referendum popolare del 12 e 13 giugno 2011 ed alla normativa dell'Unione europea;
a seguito dell'esito referendario erano state modificate sia la disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica sia la determinazione della tariffa idrica; il primo quesito ha abrogato l'articolo 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 che prevedeva la regola generale di affidamento tramite gara dei servizi locali di rilevanza economica e il limitato ricorso all'affidamento «in house»; il secondo quesito ha modificato il comma 1 dell'articolo 154 del decreto legislativo n. 152 del 2006, in modo tale da determinare la tariffa idrica senza tenere conto del parametro della remunerazione del capitale investito dall'ente gestore;
in sostanza il quadro normativo delineato dopo il referendum aveva portato, come confermato dalla sentenza n. 24 del 2011 della Corte costituzionale, alla diretta applicazione della meno restrittiva normativa comunitaria in merito alle gare ad evidenza pubblica per l'affidamento della gestione di servizi pubblici locali di rilevanza economica;
con le disposizioni dell'articolo 4 viene proposto un nuovo quadro normativo che impone agli enti locali di distinguere tra servizi pubblici per i quali si prevede la liberalizzazione e quelli da concedere in esclusiva, con esplicita esclusione del servizio idrico integrato; gli enti locali dovranno verificare, entro il 13 agosto 2012, la realizzabilità di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici, nonché definire gli obblighi di servizio pubblico, prevedendo eventuali compensazioni economiche alle aziende esercenti i servizi stessi;
l'affidamento della gestione del servizio pubblico locale potrà avvenire tramite procedure competitive ad evidenza pubblica, tramite procedure competitive ad evidenza pubblica a società mista pubblico-privata, il cui socio privato dovrà avere una quota non inferiore al 40 per cento, oppure direttamente a società che possiedono i requisiti per la gestione «in house», nel caso in cui il valore del servizio non superi i 900mila euro all'anno e nel rispetto del patto di stabilità interno;
le nuove regole sull'affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica non si applicano al servizio idrico integrato, al servizio di distribuzione del gas naturale, al servizio di distribuzione dell'energia elettrica, al servizio di trasporto ferroviario regionale ed alla gestione delle farmacie comunali;
appare discutibile il ricorso alla decretazione d'urgenza per disciplinare un settore complesso e delicato come quello dei servizi pubblici locali, anche alla luce dell'esito positivo dei referendum dello scorso giugno, mentre sarebbe stato auspicabile un iter legislativo che consentisse un più ponderato esame delle proposte;
va sottolineato che la Commissione Affari costituzionali del Senato, nel parere espresso il 24 agosto scorso sul provvedimento in esame, ha posto la condizione della riformulazione dell'articolo 4, poiché «appare necessaria, al fine di evitare possibili censure di incostituzionalità e perché sia assicurato il pieno rispetto della volontà popolare, un'attenta verifica della compatibilità di tale nuova disciplina con gli effetti abrogativi prodotti da due dei quattro referendum popolari del 12 e 13 giugno 2011 relativi, rispettivamente, alle modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica e alla determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all'adeguata remunerazione del capitale investito»,

impegna il Governo

ad avviare in Parlamento un costruttivo dibattito sul quadro normativo che disciplina l'intera materia dei servizi pubblici locali, ivi compreso il servizio idrico integrato, in modo da dare vita ad un esame approfondito ed allargato delle numerose problematiche connesse alla gestione di servizi fondamentali, nel pieno rispetto del chiaro pronunciamento espresso dai cittadini ai referendum del 12 e 13 giugno 2011.
9/4612/97. Bratti, Mariani, Braga, Benamati, Bocci, Esposito, Ginoble, Iannuzzi, Marantelli, Margiotta, Morassut, Motta, Realacci, Viola, Codurelli, Rubinato.

La Camera,
premesso che:
la comprensibile attenzione alla difficile situazione economico-finanziaria in cui versa il Paese rischia di mettere in secondo piano importanti priorità come la tutela e la messa in sicurezza del territorio, la cui fragilità, in assenza di interventi di prevenzione, rischia di provocare gravi perdite di vite umane, danneggiamento di infrastrutture e abitazioni e danni economici di gran lunga superiore ai costi della prevenzione;
il territorio italiano è particolarmente delicato per quanto riguarda i fenomeni di dissesto idrogeologico: circa il 10 per cento del territorio nazionale è classificato ad elevato rischio per alluvioni, frane e valanghe; i 2/3 delle aree esposte a rischio interessano centri urbani, infrastrutture e aree produttive; il rischio di frane e alluvioni, seppur con diversa intensità, riguarda praticamente tutto il territorio nazionale: i comuni a rischio idrogeologico sono oltre l'80 per cento del totale, mentre quasi sei milioni di italiani convivono con il pericolo che la propria vita venga stravolta da eventi calamitosi;
l'assenza di una cultura della pianificazione territoriale responsabile, motivazioni politiche ed esigenze di cassa unite a forti vincoli di bilancio, ostacolano anche a livello territoriale razionali strategie di prevenzione;
il costo complessivo dei danni provocati dagli eventi franosi ed alluvionali dal 1951 al 2009, rivalutato in base agli indici ISTAT, risulta superiore a 52 miliardi di euro;
solo negli ultimi 10 anni si sono verificati una media di 7 eventi all'anno con danni ingenti e che hanno richiesto la dichiarazione dello stato di emergenza;
negli ultimi 20 anni si sono spesi 22 miliardi di euro per riparare i danni causati da frane ed alluvioni, a fronte di richieste per oltre 60 miliardi;
negli ultimi 20 anni lo Stato ha stanziato risorse pari in media a 400 milioni di euro all'anno per interventi preventivi, 1/3 di quanto ha speso per la riparazione parziale dei danni, circa 1/8 dei danni provocati dagli eventi ogni anno;
il fabbisogno stimato dal Ministero dell'ambiente per la messa in sicurezza complessiva del territorio italiano dal rischio idrogeologico ammonta a 44 miliardi di euro: 27 per il centro Nord, 13 per il Sud e 4 per il territorio costiero;
la Commissione ambiente della Camera ha già affermato - sia con l'approvazione di atti di indirizzo, sia nella relazione finale dell'indagine conoscitiva sulle politiche per la tutela del territorio, la difesa del suolo e il contrasto agli incendi boschivi - la necessità improcrastinabile di un adeguato impegno finanziario del Governo al fine di avviare un programma pluriennale di interventi indispensabili per la difesa del suolo e il contrasto al dissesto idrogeologico nel nostro Paese; allo stesso tempo, la Commissione ha ribadito la necessità di promuovere un programma straordinario di prevenzione e di manutenzione del territorio da parte dei singoli comuni;
con riferimento alle attività di prevenzione, la Commissione ambiente ha anche sollecitato la prosecuzione del Piano straordinario di telerilevamento, già previsto dall'articolo 27 della legge 31 luglio 2002, n. 179, al fine di renderlo un punto di riferimento e di accesso per le cartografie e le informazioni ambientali di altre amministrazioni centrali e periferiche;
il comma 240 dell'articolo 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (legge finanziaria per il 2010) ha destinato ai piani straordinari per rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico in tutto il territorio nazionale, le risorse - pari a 1 miliardo di euro, poi ridotte a 900 milioni - assegnate dalla delibera CIPE 6 novembre 2009 per interventi di risanamento ambientale a valere sulle disponibilità del Fondo infrastrutture e del Fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale;
la finanziaria 2010, al fine di coordinare e indirizzare tutte le risorse disponibili - statali e regionali - in un unico piano coordinato, ha previsto il ricorso all'accordo di programma sottoscritto dalla regione interessata e dal Ministero dell'ambiente, nell'ambito del quale è definita la quota di cofinanziamento regionale ed imposto commissari rendendo più lenta l'applicazione della normativa;
ad oggi risulterebbero siglati molti accordi di programma con le regioni, i cui benefici - anche se a più di un anno dallo stanziamento delle risorse per la difesa del suolo e dalla definizione della normativa sugli accordi di programma - non sono ancora definibili poiché solo una minima parte delle risorse è stata stanziata; la decurtazione introdotta con il provvedimento in esame potrebbe mettere a repentaglio tutti gli interventi programmati e inseriti negli accordi di programma Stato e regioni e nei Piani d'interventi triennali per la difesa del suolo, rendendo impossibile ogni attività di programmazione e accentuando la crisi del tessuto produttivo dei territori e delle istituzioni territoriali;
in questi ultimi anni, tuttavia, le risorse stanziate per sostenere questa irrinunciabile opera di prevenzione e difesa del suolo sono del tutto incongrue rispetto al fabbisogno, e in molti casi risultano gravemente insufficienti anche per fronteggiare l'emergenza;
il comma 2 dell'articolo 1 del provvedimento in esame reca disposizioni finalizzate alla riduzione dei fondi per le aree sottoutilizzate, che per quanto riguarda il dicastero dell'ambiente sono finalizzati prevalentemente al finanziamento degli interventi per la difesa del suolo;
conseguentemente la norma comporterà una proporzionale compressione delle risorse destinate agli interventi in materia di messa in sicurezza del territorio e prevenzione del rischio idrogeologico, agendo anche su accordi di programma già definiti con le regioni, i cui effetti negativi potrebbero essere di gran lunga più onerosi - e non solo in termini economici - dei risparmi che si intendono conseguire;
durante l'esame del provvedimento, la 13a Commissione del Senato ha ritenuto opportuno chiedere l'esclusione dalle riduzioni di spesa del Ministero dell'ambiente, i fondi «indispensabili per le misure di prima urgenza connesse al rischio idrogeologico»,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di escludere attraverso ulteriori iniziative normative i finanziamenti per gli interventi di messa in sicurezza del territorio e per la prevenzione del rischio idrogeologico dai tagli previsti dal provvedimento in esame, individuando misure di risparmio e di contenimento della spesa pubblica che non mettano a repentaglio il territorio e i cittadini e salvaguardino gli impegni già assunti mediante gli accordi di programma siglati con le regioni.
9/4612/98. Braga, Bratti, Mariani, Benamati, Bocci, Esposito, Ginoble, Iannuzzi, Marantelli, Margiotta, Morassut, Motta, Realacci, Viola, Codurelli, Bossa.

La Camera,
in occasione dell'esame del disegno di legge di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo e delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari (A.C. 4612);
premesso che:
la presente manovra per la stabilizzazione finanziaria, oltre ad essere fortemente iniqua sul piano sociale, è inadeguata e poco credibile rispetto alla sfida che il Paese ha di fronte: il riavvio dello sviluppo, la promozione del lavoro, l'abbattimento del debito pubblico;
l'articolo 7 del disegno di legge in esame, in particolare, aumenta l'addizionale IRES per le imprese operanti nel settore petrolifero e in quello dell'energia elettrica (cosiddetta Robin Hood Tax) estendendo la platea delle imprese soggette all'imposta e includendovi quelle operanti nel campo delle infrastrutture energetiche e delle energie rinnovabili, queste ultime, pertanto, non subiranno, come le altre precedentemente assoggettate all'imposta, un maggior onere del 4 per cento, ma dovranno farsi carico dell'intera addizionale pari al 10,5 per cento;
tale innovazione, unitamente alla recente modifica del meccanismo di incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, rischia di deprimere uno dei pochi settori industriali in forte crescita nel Paese. L'Italia nel 2011, infatti, secondo le stime del GSE, potrebbe risultare il primo Paese per potenza connessa in rete, con una produzione solare che coprirà quest'anno il 3 per cento dei consumi elettrici totali. Non a caso l'Autorità per l'energia elettrica e il gas nella segnalazione inviata a Governo e Parlamento il 26 agosto scorso, in merito agli effetti che la norma in esame potrebbe comportare nei settori dalla medesima regolati, fa presente che il principale effetto di un aumento dell'IRES sarebbe quello di ridurre la propensione all'investimento nell'attività colpita dall'aumento stesso. Effetto che sarebbe particolarmente sentito con riferimento alle fonti rinnovabili, considerato un settore fondamentale per la gestione delle problematiche ambientali e la crescita sostenibile dell'economia,

impegna il Governo

a considerare gli effetti dell'applicazione della norma in esame con riferimento allo sviluppo del settore della produzione di energia da fonti rinnovabili, prevedendo attraverso ulteriori iniziative normative meccanismi di mitigazione di tali effetti già in sede di revisione degli incentivi alla produzione, e comunque, non essendo venute meno le circostanze che avevano portato in passato ad escludere dall'addizionale la produzione di energia da fonti rinnovabili, a valutare la possibilità di interventi diretti ad applicare al settore in questione un'addizionale del 4 per cento, pari all'aumento subito dalle altre imprese precedentemente assoggettate all'imposta.
9/4612/99. Margiotta, Mariani, Braga, Bratti, Benamati, Bocci, Esposito, Ginoble, Iannuzzi, Marantelli, Morassut, Motta, Realacci, Viola, Codurelli.

La Camera,
in occasione dell'esame del disegno di legge di conversione, con modificazioni, del decreto-legge l3 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo e delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari (A.C. 4612);
premesso che:
a dieci anni dall'approvazione della legge n. 443 del 2001 (legge obiettivo) il settore delle opere pubbliche si trova in una gravissima crisi determinata principalmente dalla riduzione delle risorse pubbliche destinate alle infrastrutture. Secondo uno studio dell'ANCE, in quattro anni, dal 2008 al 2011, la riduzione complessiva degli investimenti nel settore delle costruzioni potrebbe raggiungere il 17,8 per cento, circa 29 miliardi di euro in valore assoluto, con ricadute gravissime sull'occupazione;
più in generale, per i lavori pubblici la flessione è in atto dal 2005 e nell'arco di sette anni (dal 2004 al 2011), in totale, la contrazione degli investimenti potrebbe raggiungere il 31,8 per cento. Si tratta di dati allarmanti aggravati dal fenomeno dei ritardi nei tempi di pagamento, che mette a rischio la sopravvivenza stessa delle imprese e rende, di fatto, molto difficile programmare le attività e avviare nuovi investimenti;
la crisi economica e i forti vincoli finanziari e di bilancio richiedono di selezionare obiettivi e priorità e di concentrare le scarse risorse disponibili su infrastrutture strategiche, in particolare nelle aree deboli, secondo un coerente disegno complessivo di programmazione a livello centrale e decentrato;
nel disegno di legge in esame, in particolare negli articoli 5 e 6, invece, sono contenute alcune disposizioni per il potenziamento delle infrastrutture, prevalentemente di interesse locale, che risultano particolarmente inadeguate rispetto all'obiettivo più volte annunciato dal Governo di rilanciare il settore economico delle grandi e piccole infrastrutture;
nel corso della presente legislatura il gruppo democratico ha ripetutamente presentato proposte per un rilancio effettivo del settore: proposte di legge, emendamenti, risoluzioni e ordini del giorno contenenti iniziative praticabili e compatibili con l'esigenza di salvaguardare i conti pubblici senza penalizzare la crescita;
anche in occasione della discussione del disegno di legge di cui trattasi il gruppo democratico ha presentato proposte mirate e realizzabili, in grado, quantomeno, di avviare un'inversione di tendenza che consentirebbe alle imprese del settore di tirare il fiato ed agli enti territoriali di rispondere alle legittime attese dei cittadini. Ci si riferisce, in particolare, alla necessità che siano garantiti i pagamenti per i lavori già eseguiti e siano favoriti gli investimenti degli enti in regola con il patto di stabilità, che siano destinate risorse adeguate al finanziamento dei progetti di innovazione tecnologica ed alla ricerca industriale, che si rendano disponibili risorse certe per il sostegno del trasporto pubblico locale e per il miglioramento e il potenziamento della dotazione infrastrutturale di porti, aeroporti e ferrovie in termini di reti e nodi, di plurimodalità e di logistica, per opere ed interventi di manutenzione straordinaria della rete stradale, per la realizzazione e il completamento dei corridoi ferroviari,

impegna il Governo

a considerare la necessità, già in sede di predisposizione di nuove misure per la crescita, di intervenire in modo efficace per il rilancio delle infrastrutture, attraverso interventi nei settori indicati in premessa e comunque privilegiando la certezza dei pagamenti e delle procedure da parte della pubblica amministrazione e la realizzazione di opere ad alto impatto sociale ed immediatamente cantierabili.
9/4612/100. Mariani, Braga, Bratti, Benamati, Bocci, Esposito, Ginoble, Iannuzzi, Marantelli, Margiotta, Morassut, Motta, Realacci, Viola, Codurelli.

La Camera,
considerato che:
le misure contenute nella manovra economica penalizzano quasi esclusivamente i dipendenti pubblici, non colpiscono in alcun modo i possessori di grandi ricchezze e gli evasori fiscali, non intervengono in maniera organica e razionale sulle numerose fonti di spreco del denaro pubblico;
il Governo non propone una politica vera ed efficace contro l'evasione fiscale, che costa all'Italia ogni anno circa 300 miliardi di euro di imponibile sottratti all'erario, così come nessun intervento è adottato per realizzare una effettiva lotta alla dilagante corruzione nel settore pubblico e privato, causa principale degli sprechi nella pubblica amministrazione e della proliferazione di patrimoni illeciti;
le forti riduzioni di spesa previste al Ministero della giustizia, unitamente all'aggravio dei costi (aumento del contributo unificato, sanzioni pecuniarie a carico della parte che non partecipa al tentativo di conciliazione obbligatoria), ostacoleranno in misura significativa la piena attuazione delle politiche per la sicurezza e il contrasto alla criminalità, impedendo il celere ed effettivo accertamento dei reati e l'identificazione dei colpevoli, nonché la prevenzione dei delitti, in palese contraddizione con quanto asserito dagli esponenti del Governo e della stessa maggioranza non solo in sede parlamentare o in contesti istituzionali, ma anche nell'ambito di dichiarazioni rese alla stampa;
inoltre la scelta dello strumento della legge delega inserita con un emendamento all'interno della manovra finanziaria, senza un dibattito e un confronto, in materia di revisione delle circoscrizioni giudiziarie appare paradossale; se si considera che dall'inizio di questa legislatura il gruppo del Partito democratico ha presentato e chiesto la calendarizzazione di proposte di legge di respiro più ampio, che potevano e dovevano essere discusse in Parlamento e che invece sono state bloccate sistematicamente dal Governo;
è indubbio che il sistema giudiziario italiano abbia urgente necessità di interventi idonei a ridurre la durata dei processi civili e penali e, a tal fine, è necessario individuare strumenti moderni, soluzioni adeguate ed effettivamente praticabili per rispondere ai bisogni di sicurezza, per ripristinare un efficace servizio della giustizia nel rispetto dei principi costituzionali e per garantire l'effettività dei diritti di tutti i cittadini e la competitività del nostro sistema economico e produttivo;
tra questi strumenti sicuramente appare indispensabile, per recuperare efficienza e razionalità al sistema giustizia, una riorganizzazione della geografia giudiziaria;
non appare razionale, ad esempio, escludere dalla possibilità di accorpamento i tribunali aventi sede nei comuni capoluogo di provincia alla data del 30 giugno 2011 e, dunque, senza un coordinamento con la contemporanea scelta di soppressione di alcune province e senza tenere in considerazione le caratteristiche dei tribunali presenti e dell'area economico sociale di riferimento;
allo stesso modo è irrazionale la previsione diretta a garantire comunque la presenza di tre tribunali in ogni distretto, a prescindere dalle dimensioni del distretto e dei tribunali;
è incongruo inoltre prevedere da un lato la soppressione delle sezioni degli uffici dei giudici di pace non funzionali, dall'altro imporre una sorta di ricatto agli enti territoriali, che se intendono mantenere in sede l'ufficio del giudice di pace devono procurare risorse e mezzi (anche del personale), oltre che l'indennità del giudice di pace, così come fuori dal sistema appare (e volta a creare gravi disfunzioni sul piano organizzativo) la previsione di poter dar corso alla ridefinizione dell'assetto territoriale degli uffici requirenti anche mediante ricorso ad accorpamento in un unico ufficio di procura della competenza allo svolgimento di funzioni requirenti in più tribunali senza la menzione di criteri specifici, ma solo con un generico riferimento a razionalizzazione di mezzi e risorse,

impegna il Governo

ad intervenire, nell'ambito delle sue proprie prerogative, con adeguati strumenti normativi al fine di restituire efficienza al sistema della giustizia e per garantire al contempo la tutela dei diritti dei cittadini, prevedendo una serie di interventi diversi e concorrenti, previa interlocuzione con il CSM, con gli organismi forensi e con le rappresentanze sindacali, basati su un monitoraggio concreto e attento delle criticità relative all'organico degli uffici giudiziari, al fine di ottenere una ricaduta positiva in termini di efficienza del sistema, garantendo strutture di maggiori dimensioni e meccanismi organizzativi maggiormente flessibili, e un'equa distribuzione dei carichi di lavoro nonché la possibilità di ottenere maggiore specializzazione dei magistrati e valorizzazione della professionalità del personale giudiziario.
9/4612/101. Ferranti, Samperi.

La Camera,
premesso che:
molteplici mozioni e ordini del giorno sono stati già approvati dal Parlamento e accolti dal Governo in relazione a diversi provvedimenti approvati nel corso di questa legislatura in cui si invitava a rivedere le regole del patto di stabilità per i comuni, con riferimento in particolare agli enti che presentano indici finanziari positivi, in quanto eccessivamente pesanti in termini finanziari e penalizzanti il versante degli investimenti e la crescita del Paese;
la situazione economico finanziaria dei comuni risulta insostenibile a causa delle cospicue riduzioni sul versante delle entrate, a cui si sommano gli obiettivi posti dal patto di stabilità;
il quadro finanziario e fiscale che dovrebbe regolare i rapporti e dettare i comportamenti delle autonomie territoriali, delineato dalla legge n. 42 del 2009 e i relativi decreti attuativi, risulta fortemente o definitivamente compromesso dalle manovre succedutesi negli ultimi due anni;
il quadro normativo risulta caratterizzato da disposizioni che eliminano l'autonomia organizzativa e gestionale dei comuni violando i principi costituzionali contenuti nell'articolo 114, 117 e 119 della Costituzione;
la revisione dell'assetto istituzionale dei comuni si sta caratterizzando per il susseguirsi di modifiche ordinamentali disorganiche, confuse e contraddittorie che mettono a repentaglio il funzionamento ordinario degli stessi enti e la possibilità di continuare a erogare i servizi fondamentali ai cittadini;
le disposizioni contenute nel presente provvedimento richiedono una fase successiva di adattamento, attuazione con scadenze temporali non ravvicinate e presentano profili di eventuale incostituzionalità con il ruolo costituzionale assegnato ai comuni,

impegna il Governo

a procedere entro un termine molto ravvicinato dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto all'istituzione di una Commissione mista paritetica, composta dal Governo e dai rappresentanti delle regioni, delle province e dei comuni con il compito di fare una verifica della legislazione vigente in materia di patto di stabilità, costi di funzionamento degli organi e degli apparati della Repubblica, assetto istituzionale ed amministrativo con l'obiettivo di predisporre una proposta di riforma complessiva in senso federale entro 60 giorni secondo i principi di riduzione degli organi e dei costi, di soppressione delle duplicazioni, di semplificazione dei processi decisionali e di valorizzazione dell'autonomia dei territori e della responsabilità verso i cittadini.
9/4612/102.Boccuzzi, Fiorio, Lovelli.

La Camera,
premesso che:
dopo aver a lungo sottovalutato gli effetti della crisi, l'esecutivo, con il presente decreto, ha predisposto un intervento largamente insufficiente, spinto soprattutto dalle pressioni istituzionali europee, e incorrendo in continue contraddizioni anche dettate da una fragile coesione della maggioranza al suo interno;
la manovra, seppur necessaria sul piano del risanamento dei conti pubblici, è fortemente iniqua dal punto di vista sociale e «depressiva» sul piano economico perché concentrata sui ceti medio-bassi attraverso l'adozione di misure fortemente penalizzanti nei confronti di famiglie e lavoratori;
le disposizioni del presente decreto, non sembrano in grado di attivare adeguati processi di sviluppo, non contenendo misure a favore dell'innovazione e della ricerca, né programmando iniziative sul fronte delle politiche industriali, che appaiono ormai essenziali in un contesto economico globalizzato. Tutto ciò non può che ripercuotersi negativamente sul mondo del lavoro chiamato, nell'imminente autunno, ad affrontare una fase delicata, attesa la scadenza di numerosi trattamenti di integrazione salariale, che condurrà inevitabilmente ad un aumento vertiginoso dei problemi occupazionali;
considerato che:
in questo contesto, le disposizioni dell'articolo 8 rappresentano un improprio intervento del Governo sui temi del modello contrattuale e della rappresentatività sindacale, materie che dovrebbero essere rimesse alle parti sociali, che non hanno alcun carattere di necessità ed urgenza e che non hanno motivo di essere trattate in un provvedimento di natura finanziaria come quello in esame;
la norma sembra essere esclusivamente mirata a dividere il fronte sindacale, mettendo in discussione l'accordo unitario raggiunto lo scorso 28 giugno tra CGIL, CISL e UIL e Confindustria, sia sul tema della democrazia nei luoghi di lavoro e quindi della partecipazione delle RSU e dei lavoratori alle decisioni che riguardano gli accordi aziendali, sia sul tema della rappresentatività delle organizzazioni sindacali che stipulano i medesimi accordi. L'introduzione del concetto di rappresentatività territoriale del sindacato apre la strada a sindacati di comodo non nazionalmente rappresentativi e, di conseguenza, a logiche di dumping sociale. Estremamente grave, l'introduzione del principio della derogabilità di leggi e contratti collettivi nazionali da parte dei contratti aziendali, soprattutto laddove siano in gioco importanti e sostanziali diritti dei lavoratori, compresi quelli connessi al reintegro nel posto di lavoro;
l'articolo 8 introduce nella disciplina del lavoro, dunque, pericolose novità. Il «sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità», come previsto dal provvedimento, introduce la possibilità di siglare accordi aziendali o territoriali in deroga ai contratti collettivi nazionali, estende l'efficacia erga omnes degli accordi siglati prima del 28 giugno 2011, con riferimento esclusivo agli accordi stipulati negli stabilimenti FIAT. Inoltre, i contratti di prossimità potranno disciplinare «la trasformazione e conversione dei contratti di lavoro» e «le conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro», mettendo in discussione l'efficacia dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori,

impegna il Governo

a valutare attentamente gli effetti applicativi dell'articolo 8, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a rivedere quanto prima, le disposizioni, coinvolgendo le parti sociali al fine di redigere una norma integralmente conforme agli indirizzi, ai contenuti e alle finalità dell'accordo del 28 giugno 2011.
9/4612/103.Damiano, Bellanova, Berretta, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Gnecchi, Letta, Madia, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata, Schirru.

La Camera,
premesso che:
il comma 20 dell'articolo 1 interviene sulla disciplina relativa al progressivo elevamento del requisito anagrafico delle lavoratrici del settore privato per la pensione di vecchiaia e per il trattamento pensionistico liquidato esclusivamente con il sistema contributivo prevedendo che l'innalzamento progressivo inizi dal 2014, (anziché dal 2020), con l'entrata a regime della disciplina il 1o gennaio 2026 (anziché il 1o gennaio 2032);
la disciplina a regime viene raggiunta attraverso l'innalzamento di un mese a decorrere dal 2014, di ulteriori 2 mesi dal 2015, di 3 mesi dal 2016, di 4 mesi dal 2017, di 5 mesi dal 2018, di 6 mesi dal 2019 per ogni anno fino al 2025 e di ulteriori 3 mesi a decorrere dal 2026, anno, in cui la disciplina entra a regime con il raggiungimento di 65 anni ai fini del diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia;
con particolare riferimento alle lavoratrici dipendenti del pubblico impiego, l'articolo 12, comma l2-sexies, del decreto-legge n. 78 del 2010, ha modificato la disciplina del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia e per il trattamento pensionistico liquidato esclusivamente con il sistema contributivo. Tale comma ha disposto l'elevamento del requisito da 61 a 65 anni con decorrenza dal 1o gennaio 2012, restando fermo il diritto al trattamento per le lavoratrici che maturino, entro il 31 dicembre 2011, i requisiti anagrafici e contributivi vigenti alla suddetta data;
considerato che:
il medesimo articolo 12, comma 12-sexies, modificando il comma 3 dell'articolo 22-ter del decreto-legge n. 78 del 2009, stabilisce che le economie derivanti dall'attuazione del comma 1 confluiscano nel Fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di cui all'articolo 18, comma 1, lettera b-bis), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e successive modificazioni, per interventi dedicati a politiche sociali e familiari con particolare attenzione alla non autosufficienza e all'esigenza di conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare delle lavoratrici;
la Legge finanziaria 2010 (Articolo 2, comma 129, secondo periodo, legge n. 191 del 2009) ha previsto che le disponibilità del Fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale «sono ridotte di 120 milioni di euro per l'anno 2010» - riduzione pari all'intero ammontare per il 2010 delle economie derivanti dall'innalzamento dell'età pensionabile delle lavoratrici della pubblica amministrazione - a copertura (dei maggiori oneri derivanti da provvedimenti nel settore sanitario, per il rimborso ai comuni del minor gettito derivante dall'abolizione dell'ICI sull'abitazione principale e per il finanziamento del Fondo per la non autosufficienza;
la legge di stabilità 2011 (Articolo 1, comma 53, legge n. 720 del 2010) ha previsto che la dotazione del citato Fondo strategico siano ridotte di 242 milioni di euro anche per il 2011 - riduzione pari all'intero ammontare per il 2011 delle economie derivanti dall'innalzamento dell'età pensionabile delle lavoratrici della pubblica amministrazione - a coperture di numerosi interventi fra i quali non sono previste misure di conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare delle lavoratrici,

impegna il Governo

a prevedere la piena applicazione delle misure di cui all'articolo 12, comma 12 sexies, del decreto-legge n. 78 del 2010, al fine di programmare in tempi brevi le misure ivi previste di conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare delle lavoratrici anche al fine di pervenire quanto prima ad una piena parità delle donne nei luoghi di lavoro, sia per quanto riguarda la carriera professionale che il livello remunerativo rispetto agli uomini.
9/4612/104.Codurelli, Damiano, Bellanova, Berretta, Bobba, Boccuzzi, Gatti, Gnecchi, Letta, Madia, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata, Schirru, Bossa.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 11 nel disporre i livelli essenziali di tutela nella promozione e realizzazione dei tirocini formativi e d'orientamento stabilisce che i tirocini formativi e di orientamento non curriculari non possono avere una durata superiore a sei mesi, proroghe comprese, e possono essere promossi unicamente a favore di neo-diplomati o neo-laureati entro e non oltre dodici mesi dal conseguimento dei relativo titolo di studio; nell'articolo vengono specificate alcune categorie protette (disabili, invalidi etc.);
la direzione generale per le politiche dei servizi e la direzione generale per l'attività ispettiva ha emanato, in data 12 settembre 2011, la circolare n. 24 concernente: «articolo 11 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, livelli essenziali in materia di tirocini formativi: primi chiarimenti»;
la circolare oltre a ribadire la competenza esclusiva delle regioni nella regolamentazione dei tirocini - stabilita dalla sentenza della Corte costituzionale n. 50 del 2005 - amplia il campo di esclusione dell'articolo 11 specificando che non rientrano nella nuova normativa: «i tirocini di cosiddetto reinserimento/inserimento al lavoro svolti principalmente a favore dei disoccupati, compresi i lavoratori in mobilità, e altre esperienze a favore degli inoccupati la cui regolamentazione rimane integralmente affidata alle regioni fermo restando, per quanto attiene la durata massima, il disposto di cui all'articolo 7, comma 1, lettera B)» del decreto ministeriale 25 marzo 1998 n. 142,

impegna il Governo

promuovere un'intesa complessiva con le regioni in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano per l'individuazione dei livelli essenziali di tutela in materia dei tirocini formativi e di orientamento, secondo criteri che valorizzino il percorso formativo e di orientamento al lavoro del tirocinante, e impediscano un uso distorto e abusivo dello strumento dei tirocini;
a promuovere, ferma restando la piena autonomia regionale in materia, la diffusione di buone pratiche adottate da alcune legislazioni regionali per l'adozione di tirocini che: creino un contatto diretto tra una persona in cerca di lavoro ed un'azienda allo scopo sia di permettere al tirocinante di acquisire un'esperienza per arricchire il curriculum sia di favorire una possibile costituzione di un rapporto di lavoro con l'azienda ospitante; abbiano un contenuto formativo evidente e non siano utilizzati per funzioni meramente esecutive; non vengano attivati dalle aziende per sostituire i contratti a termine nei periodi di picco delle attività e non possono essere utilizzati per sostituire il personale dell'azienda nei periodi di malattia, maternità o ferie né per ricoprire ruoli necessari all'organizzazione aziendale; siano realizzati da aziende in regola con la normativa sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, e che non abbiano effettuato licenziamenti, fatti salvi quelli per giusta causa e fatti salvi specifici accordi sindacali con le organizzazioni provinciali più rappresentative nei 24 mesi precedenti l'attivazione del tirocinio e/o non avere procedure di CIG straordinaria o in deroga in corso per attività equivalenti a quelle del tirocinio.
9/4612/105.Madia, Damiano, Bellanova, Berretta, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Gnecchi, Letta, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata, Schirru.

La Camera,
in sede di discussione del disegno di legge A.C. 4612 di conversione in legge del decreto- legge 13 agosto 2011 n, 138, recante «ulteriori disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari»
premesso che:
all'articolo 11 del decreto sui livelli di tutela essenziali per l'attivazione dei tirocini prevede, al primo comma, che siano esclusi dal campo d'applicazione della normativa i disabili, gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti e i condannati ammessi a misure alternative di detenzione;
l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) ha segnalato, con preoccupazione, l'omissione tra le categorie escluse dall'applicazione della nuova normativa gli stranieri richiedenti asilo oppure titolari di protezione internazionale;
secondo l'UNHCR i tirocini formativi e d'orientamento sono uno strumento importante per l'inserimento lavorativo sia dei richiedenti asilo, sia dei titolari di protezione internazionale. I richiedenti asilo nei sei mesi successivi alla presentazione della domanda di asilo non possono svolgere attività lavorativa ma solo beneficiare di programmi di formazione, anche professionale, ai sensi dell'articolo 11, primo comma, del decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140 «Attuazione della direttiva 2003/9/CE che stabilisce norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri»;
i titolari di status di rifugiato o di protezione sussidiaria, sono equiparati ai cittadini italiani nel diritto al lavoro ed alla formazione professionale, ai sensi dell'articolo 25, primo comma, del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251 «Attuazione della direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta»;
i tirocini svolti da richiedenti asilo e titolari di protezione sono solitamente realizzati nel contesto di particolari programmi di assistenza e sostegno all'integrazione, e sono quindi di norma seguiti da enti ed associazione qualificati che contribuiscono a garantirne un corretto svolgimento;
la circolare applicativa dell'articolo 11 emanata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali il 12 settembre 2011 stabilisce, a differenza del testo della legge, che richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale siano esclusi dall'applicazione del decreto,

impegna il Governo

ad assumere iniziative legislative per l'armonizzazione dell'articolo 11 con la circolare di applicazione del Ministero includendo espressamente gli stranieri richiedenti asilo o titolari di protezione internazionale.
9/4612/106.Gatti, Damiano, Bellanova, Berretta, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gnecchi, Letta, Madia, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata, Schirru, Bossa.

La Camera,
premesso che:
il comma 16 dell'articolo 1 del decreto in oggetto, proroga per il triennio 2012-2014 l'applicazione dell'istituto della risoluzione del rapporto di lavoro nelle pubbliche amministrazioni, introdotto dall'articolo 72, comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, con il quale si consente a queste ultime di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro con i dipendenti che abbiano compiuto l'anzianità massima contributiva di 40 anni;
tale norma, già contrastata dal gruppo del Partito democratico, nel corso della conversione in legge del decreto n. 112 del 2008, ha nei fatti, dato la possibilità di realizzare nelle pubbliche amministrazioni, un vero e proprio spoil system allontanando il personale ed i dirigenti non graditi all'amministrazione;
tale disposizione, inoltre, si pone in netto contrasto con la tendenza da parte dell'esecutivo a prolungare la permanenza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, dato che non vi è stata negli ultimi anni alcuna «manovra economica» che non abbia interessato il settore della previdenza e il differimento dell'uscita previdenziale del personale sia nel settore pubblico che nel privato,

impegna il Governo

a riferire annualmente alle Camere, in relazione all'articolo 72, comma 11 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, quanti sono i dipendenti cui è stata applicata la norma, in quali settori della pubblica amministrazione è stato individuato tale personale e se i lavoratori, con particolare riferimento ai dirigenti, sono stati sostituiti.
9/4612/107.Mattesini, Damiano, Bellanova, Berretta, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Gnecchi, Letta, Madia, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata, Schirru.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 9 interviene sulla disciplina del collocamento obbligatorio, di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68, sostituendo interamente il comma 8 dell'articolo 5 ed introducendo allo stesso articolo 3 nuovi commi dall'8-bis all'8-quater;
il comma 8 reca la disciplina inerente alla possibilità, per i datori di lavoro, di modulare tra le diverse unità produttive ed amministrative le quote obbligatorie di assunzione di categorie protette;
la nuova disciplina sopprime la procedura di richiesta motivata e di autorizzazione ai fini della compensazione territoriale, prevedendo - per il caso in cui il datore si avvalga della possibilità di compensazione - una comunicazione (in via telematica) a ciascuno dei servizi provinciali competenti; ed inoltre si consente che la compensazione operi anche tra diverse imprese, a condizione che esse abbiano sede in Italia e facciano parte di uno stesso gruppo d'impresa;
osservato che:
il contenuto dell'articolo in oggetto che, peraltro, non ha alcun carattere di necessità ed urgenza e che non ha motivo di essere trattato in un provvedimento di natura finanziaria come quello in esame, rischia di rappresentare una misura meramente punitiva nei confronti delle categorie protette, in quanto orientata ad un completo scavalcamento degli obblighi della legge n. 68 del 1999;
tale disposizione potrebbe esporre al pericolo di creare pesanti discriminazioni tra diverse realtà territoriali (poiché la quota di riserva in favore di soggetti disabili può essere raggiunta da un medesimo gruppo imprenditoriale a livello nazionale) non che la sua applicazione rischia - nella parte in cui si riferisce a «gruppi di unità produttive» - di creare veri e propri «ghetti» in cui confinare i lavoratori con disabilità,

impegna il Governo

a monitorare l'applicazione di tale disposizione, coinvolgendo a tal fine le parti sociali, le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale e le regioni, inserendo i dati relativi nella relazione annuale al Parlamento sullo stato di applicazione della legge 12 marzo 1999, n. 68.
9/4612/108.Schirru, Damiano, Bellanova, Berretta, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Gnecchi, Letta, Madia, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata.

La Camera,
premesso che:
è stata approvata all'unanimità il 27 luglio 2011, nella seduta n.508 la mozione 1-00690 in cui si riconosce sia necessario intervenire in modo organico per la costruzione di un sistema solido e che tenga conto delle mutate condizioni del mercato del lavoro, nel quale si cambia professione e, quindi, ente previdenziale o categoria più volte nella vita lavorativa;
si prende atto che le disposizioni previste dai commi da 12-sexies a 12-undecies dell'articolo 12 del decreto-legge n. 78 del 2010 hanno abrogato tutte le norme che prevedevano il trasferimento della contribuzione all'Inps gratuitamente: legge 2 aprile 1958, n. 322 (ricongiunzione delle posizioni previdenziali ai fini dell'accertamento del diritto e della determinazione del trattamento di previdenza e di quiescenza); articolo 3, comma 14, del decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 562 (fondo di previdenza per gli elettrici); articolo 28 della legge 4 dicembre 1956, n. 1450 (fondo di previdenza per i telefonici); articolo 40 della legge 22 novembre 1962, n. 1646 (personale dipendente dalle amministrazioni statali, anche con ordinamento autonomo, personale iscritto agli istituti di previdenza ora Inpdap, personale iscritto all'Istituto postelegrafonici (Ipost); articolo 124 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (dipendenti civili e militari in servizio permanente e continuativo); articolo 21, comma 4, e articolo 40, comma 3, della legge 24 dicembre 1986, n. 958 (carabinieri, graduati e militari di truppa, sergenti di complemento);
per poter cumulare, in modo non oneroso, i contributi ai fini del diritto ad un'unica pensione, attualmente è necessario avere almeno tre anni di contribuzione versata in ogni singola gestione o fondo, altrimenti non è possibile effettuare la totalizzazione e comunque non esiste una reale reciprocità tra gli enti, tra i fondi sostitutivi, i fondi professionali e il calcolo della prestazione avviene solo con il sistema contributivo (per di più secondo un criterio specifico) e, quindi, in modo penalizzante per chi avrebbe avuto il diritto al calcolo retributivo se gli stessi contributi fossero stati in un unico fondo;
in assenza, pertanto, di un completamento dell'istituto della totalizzazione, lavoratrici e lavoratori non possono avvalersi di tale procedimento e sono costretti a pagare la ricongiunzione con oneri divenuti rilevanti al fine di poter utilizzare i contributi che, comunque, hanno già versato; in caso contrario, tali lavoratori e lavoratrici sono costretti dai costi a rinunciare alla valorizzazione di parte della propria contribuzione ai fini pensionistici;
inoltre, non bisogna trascurare che la vita lavorativa variegata, che induce la maggior parte dei lavoratori a passare dal lavoro dipendente al lavoro autonomo e a progetto e viceversa, potrebbe portare ad accumulare contributi versati in diverse gestioni previdenziali, con difficoltà nel raggiungimento dei requisiti che permettano di andare in pensione ed avere perlomeno quello che si è versato,

impegna il Governo

a mantenere l'impegno assunto con la mozione citata in premessa per realizzare le iniziative di competenza, ove possibile anche in sede di interpretazione autentica, per chiarire ab initio i casi di effettiva applicabilità di quanto previsto, in materia di ricongiunzione onerosa, nel decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.
9/4612/109.Gnecchi, Damiano, Bellanova, Berretta, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Letta, Madia, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata, Schirru.

La Camera,
premesso che:
il disegno di legge in esame reca la conversione in legge del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo;
il Parlamento da svariato tempo ha all'esame numerose proposte di legge riguardanti il sostegno ai piccoli comuni ed alle zone rurali, con particolare riferimento, a quelle ubicate in zone di montagna;
è stata di recente approvata, dalla maggioranza e dall'opposizione, in prima lettura alla Camera dei deputati una proposta di legge volta a promuovere le attività economiche, sociali, ambientali e culturali svolte nell'ambito territoriale dei piccoli comuni per quel che riguarda la promozione e sostegno delle attività economiche, sociali, ambientali e culturali; il mantenimento dell'equilibrio demografico, contrastando i fenomeni di spopolamento; la tutela e valorizzazione del loro patrimonio naturale, rurale, storico-culturale e architettonico; l'adozione di misure a vantaggio sia dei cittadini che vi risiedono, sia delle attività produttive, con riferimento, in particolare, al sistema di servizi territoriali, con l'obiettivo di stimolare e incrementare anche il movimento turistico;
l'Unione europea considera la promozione e il rilancio sociale ed economico dei territori montani una delle misure prioritarie per lo sviluppo, l'uso sostenibile e la tutela del territorio;
la politica di coesione europea, come disciplinata dagli articoli 174-178 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, modificati ed integrati dal Trattato di Lisbona, rivolge un'attenzione particolare alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna;
nell'ordinamento nazionale la specificità delle zone montane e l'esigenza di riservare ad esse un trattamento «di favore» rispetto al restante territorio della penisola è ben presente tanto nel dettato costituzionale che prevede all'articolo 44, comma 2 che «la legge dispone provvedimenti a favore della zone montane» quanto in una apposita legislazione per la montagna;
la manovra in esame contiene delle disposizioni che incidono profondamente sulle realtà urbane e rurali delle zone montane già fortemente penalizzate dagli alti costi dei servizi che ne determinano la carenza e provocano, nel tempo, lo spopolamento di quei territori cosi difficili da abitare;
in particolare se da un lato si consente che le riduzioni di spesa - finalizzate al raggiungimento degli obiettivi programmatici di indebitamento netto che le amministrazioni centrali dello Stato sono tenute ad assicurare a decorrere dall'anno 2012 - possano incidere il Fondo delle aree sottoutilizzate, dall'altro lato si precisa che le proposte di riduzione finalizzate al raggiungimento degli obiettivi programmati indicati nel citato Allegato C, che sono avanzate dai ministri competenti in sede di predisposizione del disegno di legge di stabilità 2012-2014, non possano comunque riguardare le risorse destinate alla programmazione regionale nell'ambito del Fondo delle aree sottoutilizzate;
inoltre la manovra con l'articolo 16 rende obbligatorio per i comuni con popolazione pari o interiore a 1.000 abitanti, il ricorso all'unione già prevista dall'articolo 32 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (TUEL) per l'esercizio non solo delle funzioni amministrative, ma anche di tutti i servizi pubblici spettanti a legislazione vigente; la decadenza, con specifica decorrenza, delle giunte in carica, restando organi di governo il sindaco ed il consiglio comunale, le cui funzioni e la cui composizione sono modificate;
le suddette disposizioni non delineano una strategia di sviluppo per i territori montani che, al contrario, possono contribuire in maniera decisiva allo sviluppo sociale ed economico di intere zone comprese nelle aree dell'obiettivo convergenza e al rilancio della crescita nelle aree dell'obiettivo competitività e dell'intero Paese, pur contribuendo al risanamento finanziario consentendo risparmi di spesa,

impegna il Governo

a destinare le risorse esistenti nell'ambito della politica di programmazione nazionale per le aree svantaggiate a favore delle piccole realtà urbane, rurali ed economiche ubicate nei territori di montagna al fine di consentire la valorizzazione di questi territori favorendo politiche di sostegno per i cittadini che intendono vivere nei territori montani e nelle aree interne.
9/4612/110.Oliverio, Laratta.

La Camera,
premesso che:
il settore agroalimentare, riflettendo la situazione economica generale italiana, ma a differenza di quanto si sta verificando nelle principali economie dell'Unione europea, non riesce ad uscire dalla fase di crisi che lo ha investito, e che dura da oltre due anni;
nell'ultimo anno, a fronte di una crescita media nell'Unione europea dei redditi reali per unità di addetto nel settore agricolo del 12,5 per cento (con punte del 32 per cento in Francia, del 23 per cento in Germania e del 7 per cento in Spagna), l'Italia ha invece visto prodursi una contrazione del 3,3 per cento rispetto al 2009, anno in cui lo stesso indice aveva fatto registrare un calo del 25,5 per cento;
la fase di emergenza dei mercati agricoli e la conseguente diffusa volatilità dei prezzi che ha caratterizzato il settore negli ultimi tre anni continua inesorabilmente a manifestare i propri segnali;
l'indice dei prezzi agricoli ha ripreso a salire, dopo una fase di forte contrazione del 2009, ma ad un ritmo inferiore se paragonato all'incremento dei costi produttivi aziendali;
le misure previste nelle ultime manovre economiche del Governo risultano inequivocabilmente insufficienti, anche in considerazione dello scenario socio-economico delineato in premessa e della necessità di realizzare i necessari interventi a favore della crescita, come necessario e come richiesto al nostro Paese dalle maggiori istituzioni europee;
il decreto-legge in esame non presenta alcun intervento finalizzato al rilancio e alla crescita competitiva del settore agroalimentare, al contrario contiene diverse misure che in maniera indiretta penalizzano ulteriormente il settore agricolo,

impegna il Governo

ad adottare, per il prossimo triennio, compatibilmente con il vincolo di bilancio, un piano di rilancio competitivo per il settore agro-alimentare e, in particolare, misure a sostegno dell'aggregazione dell'offerta agricola e dello sviluppo dell'agricoltura contrattualizzata mediante il rafforzamento del ruolo, delle attività e della crescita dimensionale delle organizzazioni di produttori e dell'interprofessionalità, nonché attraverso la razionalizzazione e il rafforzamento dell'efficacia degli strumenti esistenti nel quadro normativo nazionale quali intese di filiera e contratti quadro.
9/4612/111.Brandolini, Oliverio, Zucchi, Agostini, Marco Carra, Cenni, Cuomo, Dal Moro, Fiorio, Marrocu, Mario Pepe (PD), Sani, Servodio, Trappolino.

La Camera,
premesso che:
il settore agroalimentare, riflettendo la situazione economica generale italiana, ma a differenza di quanto si sta verificando nelle principali economie dell'Unione europea, non riesce ad uscire dalla fase di crisi che lo ha investito, e che dura da oltre due anni;
nell'ultimo anno, a fronte di una crescita media nell'Unione europea dei redditi reali per unità di addetto nel settore agricolo del 12,5 per cento (con punte del 32 per cento in Francia, del 23 per cento in Germania e del 7 per cento in Spagna), l'Italia ha invece visto prodursi una contrazione del 3,3 per cento rispetto al 2009, anno in cui lo stesso indice aveva fatto registrare un calo del 25,5 per cento;
la fase di emergenza dei mercati agricoli e la conseguente diffusa volatilità dei prezzi che ha caratterizzato il settore negli ultimi tre anni continua inesorabilmente a manifestare i propri segnali;
l'indice dei prezzi agricoli ha ripreso a salire, dopo una fase di forte contrazione del 2009, ma ad un ritmo inferiore se paragonato all'incremento dei costi produttivi aziendali;
le misure previste nelle ultime manovre economiche del Governo risultano inequivocabilmente insufficienti, anche in considerazione dello scenario socio-economico delineato in premessa e della necessità di realizzare i necessari interventi a favore della crescita, come necessario e come richiesto al nostro Paese dalle maggiori istituzioni europee;
il decreto-legge in esame non presenta alcun intervento finalizzato al rilancio e alla crescita competitiva del settore agroalimentare, al contrario contiene diverse misure che in maniera indiretta penalizzano ulteriormente il settore agricolo,

impegna il Governo

a valutare l'adozione, per il prossimo triennio, compatibilmente con il vincolo di bilancio, di un piano di rilancio competitivo per il settore agro-alimentare e, in particolare, misure a sostegno dell'aggregazione dell'offerta agricola e dello sviluppo dell'agricoltura contrattualizzata mediante il rafforzamento del ruolo, delle attività e della crescita dimensionale delle organizzazioni di produttori e dell'interprofessionalità, nonché attraverso la razionalizzazione e il rafforzamento dell'efficacia degli strumenti esistenti nel quadro normativo nazionale quali intese di filiera e contratti quadro.
9/4612/111.(Testo modificato nel corso della seduta) Brandolini, Oliverio, Zucchi, Agostini, Marco Carra, Cenni, Cuomo, Dal Moro, Fiorio, Marrocu, Mario Pepe (PD), Sani, Servodio, Trappolino.

La Camera,
premesso che:
il settore agroalimentare, riflettendo la situazione economica generale italiana, ma a differenza di quanto si sta verificando nelle principali economie dell'Unione europea, non riesce ad uscire dalla fase di crisi che lo ha investito, e che dura da oltre due anni;
nell'ultimo anno, a fronte di una crescita media nell'Unione europea dei redditi reali per unità di addetto nel settore agricolo del 12,5 per cento (con punte del 32 per cento in Francia, del 23 per cento in Germania e del 7 per cento in Spagna), l'Italia ha invece visto prodursi una contrazione del 3,3 per cento rispetto al 2009, anno in cui lo stesso indice aveva fatto registrare un calo del 25,5 per cento;
la fase di emergenza dei mercati agricoli e la conseguente diffusa volatilità dei prezzi che ha caratterizzato il settore negli ultimi tre anni continua inesorabilmente a manifestare i propri segnali;
l'indice dei prezzi agricoli ha ripreso a salire, dopo una fase di forte contrazione del 2009, ma ad un ritmo inferiore se paragonato all'incremento dei costi produttivi aziendali;
le misure previste nelle ultime manovre economiche del Governo risultano inequivocabilmente insufficienti, anche in considerazione dello scenario socio-economico delineato in premessa e della necessità di realizzare i necessari interventi a favore della crescita, come necessario e come richiesto al nostro Paese dalle maggiori istituzioni europee;
il decreto-legge in esame non presenta alcun intervento finalizzato al rilancio e alla crescita competitiva del settore agroalimentare, al contrario contiene diverse misure che in maniera indiretta penalizzano ulteriormente il settore agricolo,

impegna il Governo

ad adottare, per il prossimo triennio, compatibilmente con il vincolo di bilancio, un piano di rilancio competitivo per il settore agro-alimentare e, in particolare, misure di difesa del reddito e gestione dei rischi di mercato e azioni che favoriscano l'accesso al credito, in grado di assicurare maggiore certezza nel prossimo futuro alle imprese agricole, agroalimentari e della pesca e orientate a contrastare i rischi collegati all'instabilità dei mercati e al fenomeno della volatilità dei prezzi agricoli.
9/4612/112.Servodio, Oliverio, Zucchi, Agostini, Brandolini, Marco Carra, Cenni, Cuomo, Dal Moro, Fiorio, Marrocu, Mario Pepe (PD), Sani, Trappolino.

La Camera,
premesso che:
il settore agroalimentare, riflettendo la situazione economica generale italiana, ma a differenza di quanto si sta verificando nelle principali economie dell'Unione europea, non riesce ad uscire dalla fase di crisi che lo ha investito, e che dura da oltre due anni;
nell'ultimo anno, a fronte di una crescita media nell'Unione europea dei redditi reali per unità di addetto nel settore agricolo del 12,5 per cento (con punte del 32 per cento in Francia, del 23 per cento in Germania e del 7 per cento in Spagna), l'Italia ha invece visto prodursi una contrazione del 3,3 per cento rispetto al 2009, anno in cui lo stesso indice aveva fatto registrare un calo del 25,5 per cento;
la fase di emergenza dei mercati agricoli e la conseguente diffusa volatilità dei prezzi che ha caratterizzato il settore negli ultimi tre anni continua inesorabilmente a manifestare i propri segnali;
l'indice dei prezzi agricoli ha ripreso a salire, dopo una fase di forte contrazione del 2009, ma ad un ritmo inferiore se paragonato all'incremento dei costi produttivi aziendali;
le misure previste nelle ultime manovre economiche del Governo risultano inequivocabilmente insufficienti, anche in considerazione dello scenario socio-economico delineato in premessa e della necessità di realizzare i necessari interventi a favore della crescita, come necessario e come richiesto al nostro Paese dalle maggiori istituzioni europee;
il decreto-legge in esame non presenta alcun intervento finalizzato al rilancio e alla crescita competitiva del settore agroalimentare, al contrario contiene diverse misure che in maniera indiretta penalizzano ulteriormente il settore agricolo,

impegna il Governo

a valutare l'adozione, per il prossimo triennio, compatibilmente con il vincolo di bilancio, di un piano di rilancio competitivo per il settore agro-alimentare e, in particolare, misure di difesa del reddito e gestione dei rischi di mercato e azioni che favoriscano l'accesso al credito, in grado di assicurare maggiore certezza nel prossimo futuro alle imprese agricole, agroalimentari e della pesca e orientate a contrastare i rischi collegati all'instabilità dei mercati e al fenomeno della volatilità dei prezzi agricoli.
9/4612/112.(Testo modificato nel corso della seduta) Servodio, Oliverio, Zucchi, Agostini, Brandolini, Marco Carra, Cenni, Cuomo, Dal Moro, Fiorio, Marrocu, Mario Pepe (PD), Sani, Trappolino.

La Camera,
premesso che:
le aziende agricole italiane, in molti casi veri e propri esempi di eccellenza, con produzioni di qualità riconosciuta, sono esposte ad una forte competizione internazionale, e al fine di una competizione equa sul mercato devono potersi confrontare a parità di condizioni con le imprese estere, senza pesi burocratici ingiustificati che ne stressano pesantemente le performance;
il comparto agricolo nazionale, per fare sistema, necessita di una profonda azione di snellimento e razionalizzazione della legislazione statale che fissa obblighi e oneri a carico delle imprese; anche la macchina amministrativa spesso rappresenta il vero collo di bottiglia che ostacola lo sviluppo delle imprese agricole. L'Istat evidenzia che l'onere del rapporto azienda-macchina pubblica pesa per il 30 per cento sul costo complessivo del lavoro per i piccoli e medi imprenditori,

impegna il Governo

a procedere ad una efficace ricognizione della legislazione vigente in materia di agricoltura, provvedendo a raccogliere in un apposito testo unico la normativa esistente al fine di procedere al riordino e alla semplificazione della stessa;
a prevedere la razionalizzazione della legislazione statale che fissi obblighi e oneri a carico delle imprese agricole, finalizzandola allo snellimento delle procedure, con particolare attenzione a ché il modello di comunicazione unica per la nascita dell'impresa sia ispirato a criteri di massima semplificazione; lo stesso principio dovrebbe ispirare le comunicazioni relative alle assunzioni a carico delle imprese agricole;
a semplificare le procedure relative al conferimento dei rifiuti per le aziende agricole nonché a promuovere la stipula di accordi e convenzioni tese a favorire il riutilizzo, il recupero dei rifiuti;
ad assicurare l'esercizio unitario dell'attività ispettiva;
a procedere alla revisione dei decreti ministeriali che interessano la concreta attività delle imprese agricole, anche sulla base dell'evoluzione subita dalla normativa europea.
9/4612/113.Zucchi, Oliverio, Agostini, Brandolini, Marco Carra, Cenni, Cuomo, Dal Moro, Fiorio, Marrocu, Mario Pepe (PD), Sani, Servodio, Trappolino.

La Camera,
premesso che:
l'orientamento dell'Unione europea in materia agricola è volto a sostenere e rafforzare il modello basato sulla multi funzionalità, la compatibilità ambientale, la sostenibilità economica e la sicurezza alimentare: un modello culturale prima che tecnico, economico e sociale;
i fenomeni di esodo e abbandono del settore in vaste aree dell'Unione europea sono, spesso, causa di degrado delle aree rurali e dell'ambiente naturale;
la Pac prevede da decenni misure specifiche di sostegno volte ad incentivare la costituzione di nuove aziende e l'avvicendamento generazionale a favore dei giovani aspiranti agricoltori;
la presenza in Italia degli ultra-sessantenni attivi nel settore primario è tra le più alte dell'area europea (oltre il 20 per cento analogamente solo a Portogallo, Romania, Bulgaria);
muovendo da tali considerazioni nel 2007 è stato istituito un apposito Fondo per lo sviluppo dell'imprenditoria giovanile in agricoltura con una dotazione di 50 milioni di euro per il quinquennio 2007-2011;
tale dotazione rappresentava, nelle intenzioni del legislatore, un primo passo per porre come centrale la questione dell'imprenditorialità giovanile in agricoltura;
per il 2009 e il 2010, la dotazione del Fondo è stata dimezzata passando dai previsti 10 milioni di euro a 5 milioni di euro per ciascun anno;
il capitolo di riferimento del Fondo presenta dei rilevanti residui e una ancor più ampia disponibilità di cassa e questo indurrebbe ad ipotizzare che in questi anni non sono stati emanati i bandi per l'assegnazione delle risorse,

impegna il Governo

a porre in essere interventi efficaci che siano finalizzati a favorire sia l'insediamento che la permanenza dei giovani in agricoltura, predisponendo una serie di norme volte ad intervenire a sostegno delle imprese, facilitare l'accesso al credito e l'acquisto dei terreni, ridurre i costi sostenuti dalle aziende, tutte coerenti rispetto alle linee guida della nuova politica di sviluppo rurale e, compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, ad emanare i bandi per l'assegnazione delle risorse del Fondo per lo sviluppo dell'imprenditoria giovanile in agricoltura e nella pesca per l'anno 2012 e a reintegrare le risorse del Fondo per l'imprenditoria giovanile in agricoltura al fine di rendere operativo uno strumento fondamentale per il ricambio generazionale del comparto agroalimentare.
9/4612/114.Sani, Oliverio, Zucchi, Agostini, Brandolini, Marco Carra, Cenni, Cuomo, Dal Moro, Fiorio, Marrocu, Mario Pepe (PD), Servodio, Trappolino, Bossa.

La Camera,
premesso che:
il settore agroalimentare, riflettendo la situazione economica generale italiana, ma a differenza di quanto si sta verificando nelle principali economie dell'Unione europea, non riesce ad uscire dalla fase di crisi che lo ha investito, e che dura da oltre due anni;
nell'ultimo anno, a fronte di una crescita media nell'Unione europea dei redditi reali per unità di addetto nel settore agricolo del 12,5 per cento (con punte del 32 per cento in Francia, del 23 per cento in Germania e del 7 per cento in Spagna), l'Italia ha invece visto prodursi una contrazione del 3,3 per cento rispetto al 2009, anno in cui lo stesso indice aveva fatto registrare un calo del 25,5 per cento;
la fase di emergenza dei mercati agricoli e la conseguente diffusa volatilità dei prezzi che ha caratterizzato il settore negli ultimi tre anni continua inesorabilmente a manifestare i propri segnali;
l'indice dei prezzi agricoli ha ripreso a salire, dopo una fase di forte contrazione del 2009, ma ad un ritmo inferiore se paragonato all'incremento dei costi produttivi aziendali;
le misure previste nelle ultime manovre economiche del Governo risultano inequivocabilmente insufficienti, anche in considerazione dello scenario socio-economico delineato in premessa e della necessità di realizzare i necessari interventi a favore della crescita, come necessario e come richiesto al nostro Paese dalle maggiori istituzioni europee;
il decreto-legge in esame non presenta alcun intervento finalizzato al rilancio e alla crescita competitiva del settore agroalimentare, al contrario contiene diverse misure che in maniera indiretta penalizzano ulteriormente il settore agricolo,

impegna il Governo

ad adottare, per il prossimo triennio, compatibilmente con il vincolo di bilancio, un piano di rilancio competitivo per il settore agro-alimentare e della pesca, che ne valorizzi le enormi potenzialità produttive e che faccia dell'agricoltura un fattore di opportunità ed un elemento di sviluppo dell'economia rurale e, più in generale, del sistema economico nazionale.
9/4612/115.Agostini, Oliverio, Zucchi, Brandolini, Marco Carra, Cenni, Cuomo, Dal Moro, Fiorio, Marrocu, Mario Pepe (PD), Sani, Servodio, Trappolino, Bossa.

La Camera,
premesso che:
il decreto-legge all'esame, per esplicita ammissione del Governo, si inserisce nel solco delle manovre varate nell'ultimo anno, nel tentativo della riduzione dell'indebitamento anche mediante il contenimento della spesa pubblica, concentrando larga parte delle misure di riduzione della spesa sul comparto delle amministrazioni territoriali, con particolare riferimento al costo del personale;
in particolare, l'articolo 14, comma 9, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n.122 ha cambiato le disposizioni finalizzate al contenimento di costi del personale per gli enti locali e le camere di commercio, attraverso la sostituzione del comma 7 dell'articolo 76 del decreto-legge n. 112 del 2008;
rispetto al testo previgente, esso diminuisce dal 50 per cento al 40 per cento la percentuale delle spese di personale, rapportate a quelle correnti, oltre la quale scatta il divieto di procedere ad assunzioni di personale. Inoltre, si consente ai «restanti enti», che non eccedono il parametro di spesa per il personale, di procedere ad assunzioni di personale solo nel limite del 20 per cento della spesa corrispondente alle cessazioni dell'anno precedente. Infine, si prevede l'applicazione della disposizione a decorrere dal 1o gennaio 2011, con riferimento alle cessazioni verificatesi nell'anno 2010;
con l'articolo 20, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111 sono aggiunti due periodi al comma 7 dell'articolo 76 del decreto-legge n. 112 del 2008 tesi ad includere nella disciplina di contenimento delle assunzioni degli enti anche le spese sostenute da alcuni tipi di società locali;
in particolare si stabilisce che, ai fini del computo della percentuale dette spese per il personale in relazione al totale delle spese correnti, sono incluse anche le spese sostenute dalle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che abbiano le seguenti caratteristiche: siano titolari di affidamento diretto di servizi pubblici locali senza gara; svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale né commerciale oppure svolgano attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica;
la rigidità di questa disposizione sta già producendo effetti distorsivi sia per i lavoratori sia per le imprese. I primi, soprattutto quelli precari, indipendentemente dalla situazione dei bilanci della propria società, perdono il posto di lavoro mentre le aziende non riescono più a soddisfare le eventuali variazioni anche stagionali di richiesta di manodopera. Tutto ciò a danno del servizio erogato,

impegna il Governo

a rivedere le suddette posizioni al fine di escludere dall'applicazione dei vincoli relativi al «blocco assunzioni» le società pubbliche in equilibrio finanziario, indipendentemente dalla situazione dell'ente locale-azionista, e di limitare il blocco alle sole assunzioni a tempo indeterminato, consentendo invece quelle a tempo determinato nel caso di servizi pubblici essenziali ovvero per alcune causali come picchi stagionali e sostituzioni per malattia e maternità.
9/4612/116.Tullo, Enrico Letta, Garofani, Melandri, Andrea Orlando, Rossa, Zunino, Bossa.

La Camera,
premesso che:
il decreto-legge n. 138 del 13 agosto 2011, al comma 1, dell'articolo 2, conferma l'applicabilità del cosiddetto «contributo di solidarietà» sugli emolumenti dei dipendenti pubblici previsto dall'articolo 2, comma 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 e sui trattamenti pensionistici dall'articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge n. 98 del 2011;
mentre la versione del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 approvato dal Consiglio dei ministri correggeva la disomogeneità di trattamento riguardante il contributo di solidarietà per i dipendenti pubblici e privati applicando il contributo solo sull'ammontare di reddito senza differenziazioni di categoria di percettori di reddito, con il maxiemendamento introdotto al Senato la soglia dei redditi per il contributo di solidarietà è stata alzata per tutti a 300.000 euro con il 3 per cento di taglio ma è stato ripristinato il prelievo sugli stipendi per i dipendenti pubblici a 90.000 euro, tornando alla discriminazione per la quale il contributo di solidarietà del 5 cento sulle retribuzioni oltre i 90.000 euro e del 10 cento sopra i 150.000 viene pagato, anche a parità di stipendio, solo da chi lavora nel settore pubblico, mentre il prelievo sui redditi valido per tutti scatta oltre i 300.000 euro e nella misura del 3 cento;
si tratta di una norma a serio rischio di incostituzionalità perché tassa diversamente redditi di identico ammontare,

impegna il Governo

ad adottare ulteriori iniziative normative volte a rivedere la norma al fine di equiparare il trattamento fiscale del contributo di solidarietà dei dipendenti pubblici e privati anche al fine di evitare l'aumento del contenzioso con possibili rilievi di costituzionalità.
9/4612/117.Baretta.

La Camera,
premesso che:
i commi da 36-bis a 36-quater dell'articolo 2 del provvedimento in esame recano norme in materia di società cooperative disponendo, in anticipazione della riforma del sistema fiscale, la riduzione dei benefici fiscali a loro vantaggio relativamente alle somme destinate a riserve indivisibili;
nel dettaglio, il comma 36-bis dispone, per le società cooperative (e loro consorzi) diverse da quelle agricole e da quelle della piccola pesca, l'aumento dal 30 al 40 per cento degli utili netti annuali destinati alla riserva minima obbligatoria che sono sottratti al regime di esenzione previsto dall'articolo 12 della legge n. 904 del 1977 mentre per le società cooperative di consumo e per i loro consorzi lo stesso comma 36-bis prevede un incremento dal 55 al 65 per cento della quota di utili netti annuali destinati alla riserva minima obbligatoria;
il comma 36-ter riduce del 10 per cento l'attuale totale esclusione dalla formazione del reddito imponibile dell'ammontare degli utili netti annuali destinati alla riserva minima obbligatoria per le società cooperative e per i loro consorzi;
la relazione tecnica attribuisce al provvedimento un maggior gettito complessivo IRES di competenza annua pari a 61,7 milioni di euro;
al di là delle stime riportate nella relazione tecnica, qualunque taglio finirà per incidere su un settore che già da tempo si scontra con problemi crescenti legati ai ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione, alla riduzione delle commesse e alla corsa al ribasso nelle retribuzioni;
in Italia il mondo cooperativo è costituito da non meno di 80 mila entità, oltre un milione di lavoratori, e una produzione complessiva capace di compensare oltre il 7 per cento del Pil;
all'articolo 45 della Costituzione la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata e - sempre secondo l'articolo 45 della Costituzione - «la legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità» da cui emerge la necessità di una normativa di favore che sviluppi il settore;
la norma prevista rischia di gravare pesantemente sul mondo cooperativo e creerebbe serie difficoltà ad un settore già colpito ed in crisi,

impegna il Governo

a riconsiderare la normativa fiscale riguardante il settore delle cooperative al fine di evitare ingiuste penalizzazioni del settore.
9/4612/118.De Biasi, Marchignoli, Baretta, Di Biagio, Realacci, Mariani.

La Camera,
premesso che:
le città sono i sistemi propulsivi del Paese, nelle quali si coagulano popolazione, attività, strutture formative, università e centri di ricerca, e dove si concentrano le sfide dell'esclusione sociale, dell'immigrazione, delle discriminazioni di genere, della disoccupazione, dell'ambiente e dell'innovazione;
esse costituiscono un forte potenziale del tutto inutilizzato per lo sviluppo qualitativo e la crescita economica dell'Italia, a differenza di quanto avviene in altri paesi europei;
investire sulle città è necessario proprio in questo momento di drammatica crisi finanziaria, se si vuole puntare con decisione sullo sviluppo e sul recupero di competitività del Paese, anche al fine di rendere efficace il risanamento dei conti pubblici per conseguire il fondamentale obiettivo della riduzione strutturale del debito;
le città e le loro comunità vanno coinvolte a pieno titolo nell'impegno collettivo per uscire dalla crisi, mentre oggi sono del tutto escluse dalle grandi scelte nazionali e ne subiscono tutti gli effetti;
per evitare una ricaduta ulteriormente recessiva sull'economia e gravi ripercussioni sul welfare è necessaria un'inversione di tendenza rispetto alle diverse manovre di finanza pubblica che hanno penalizzato regioni ed enti locali, producendo una forte riduzione degli investimenti e della spesa sociale;
dalla crisi si può uscire solo rafforzando l'unità politica europea, dotando l'Unione di istituzioni in grado di sostenere la moneta unica;
la strategia Europa 2020, per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, prevede il raggiungimento di obiettivi occupazionali, ambientali, di contrasto alla povertà, di formazione e di sviluppo della ricerca che richiedono un ruolo attivo delle città;
la Quinta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale della Commissione europea del novembre 2010 propone di sviluppare, per il prossimo periodo 2013-2020, una «ambiziosa agenda urbana» che permetta alle amministrazioni cittadine di essere direttamente coinvolte nell'elaborazione delle strategie di sviluppo;
quasi tutti i paesi europei hanno politiche urbane nazionali e specifiche strutture di governo ad esse dedicate, mentre in Italia non vi è alcuna politica specifica per le città ed esiste una grande frammentazione delle iniziative pubbliche;
la dimensione urbana nella programmazione dei Fondi strutturali 2007-2013 fa perno sul ruolo delle regioni, mentre a livello centrale vi sono diverse strutture ministeriali (Presidenza del Consiglio dei ministri, CIPE, Ministero dell'economia e delle finanze, Ministero dell'interno, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ministero dello sviluppo economico, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Conferenza Stato-città e autonomie locali e Conferenza unificata, solo per citare i principali) che hanno competenze relative alle città senza alcun coordinamento tra di loro;
tutto ciò premesso, ai fini di dotare anche il nostro Paese di una politica nazionale per le città,

impegna il Governo

1. predisporre un'agenda urbana nazionale, in coerenza con quella proposta dalla Commissione europea per la politica di coesione 2013-2020, aggiornata periodicamente nel suo stato di attuazione attraverso gli strumenti annuali della programmazione e del bilancio (Documento di economia e finanza, Programma nazionale di riforma, Legge di stabilità);
2. costituire un comitato interministeriale per le politiche urbane, affidando una delega specifica ad un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri;
3. favorire e promuovere l'adozione di specifici provvedimenti normativi e programmi di azione specificatamente rivolti alle città nei seguenti campi: istituzioni e democrazia urbana; autonomia finanziaria locale; politiche per l'eguaglianza di genere; lavoro e sviluppo locale; welfare, immigrazione e sicurezza urbana; governo del territorio; economia verde; infrastrutture e mobilità; sviluppo digitale ed economia della conoscenza; cultura.
9/4612/119.Causi, Vassallo.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 3 interviene in materia di vendita degli immobili militari non più utili alla Difesa, modificando una legislazione che aveva trovato la sua conferma definitiva con l'inserimento nel codice dell'ordinamento militare;
considerato che
le varianti introdotte:
definiscono le quote di ripartizione dei proventi monetari derivanti dalla dismissione degli immobili in uso al Ministero della difesa;
introducono un vincolo nell'uso delle somme riassegnate al Ministero della difesa che potranno essere finalizzate esclusivamente a spese di investimento;
tenuto conto che:
la normativa sulla vendita degli immobili della difesa ha sempre previsto che i proventi spettanti al Ministero della difesa fossero destinati al soddisfacimento dell'esigenze funzionali del Ministero della difesa;
le maggiori criticità nel bilancio della difesa riguardano proprio le spese per l'esercizio;
l'indagine conoscitiva sulle spese per i sistemi d'arma, condotta dalla Commissione difesa della Camera, si è conclusa affermando la necessità di rivedere le priorità sui sistemi da finanziare in base ad un progetto organico coerente con il modello di Difesa che dovremmo adottare,

impegna il Governo

all'atto dell'applicazione della norma sopracitata, ad acquisire i pareri delle Commissioni parlamentari competenti, prima di impegnare i proventi derivanti dalla dismissione degli immobili militari nel settore degli investimenti;
a garantire comunque priorità a quegli investimenti direttamente collegati con la sicurezza dei contingenti militari impegnati nelle missioni fuori area.
9/4612/120.Rugghia, Garofani, Villecco Calipari, Giacomelli, Gianni Farina, Fioroni, La Forgia, Laganà Fortugno, Letta, Migliavacca, Mogherini, Recchia, Rosato, Rigoni, Vico.

La Camera,
premesso che:
nella crisi economica grave e prolungata che stiamo vivendo gli investimenti in edilizia di qualità, in risparmio energetico, fonti rinnovabili, innovazione, ricerca e in generale nella «green economy» rappresentano un importante volano per a ripresa dell'economia e rendono al tempo stesso l'Italia più rispettosa dell'ambiente, più competitiva e più vicina alle esigenze delle persone, delle comunità, dei territori;
il contenimento delle emissioni di anidride carbonica per ridurre il rischio di mutamenti climatici e una delle più grandi sfide che l'umanità ha davanti;
l'Italia ha già assunto in sede internazionale e in particolare a livello comunitario importanti e vincolanti impegni di riduzione delle emissioni di CO2 nell'ambito del programma detto «20-20-20»;
in questo contesto il sistema di agevolazione fiscale del 55 per cento ha fino ad oggi riscosso un enorme successo, come dimostrano i dati di un'indagine Cresme - Enea sull'«Analisi del sistema di detrazione fiscale del 55 per cento per gli interventi di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio nazionale». Il volume complessivo di interventi al dicembre del 2010 è stato di 11,1 miliardi di euro per un totale di 843.000 interventi. Ad oggi, secondo fonti Enea, si è superato il milione di interventi. Sono stati attivati ogni anno oltre 50.000 mila posti di lavoro nei settori coinvolti, soprattutto piccole e medie imprese nell'edilizia e nell'indotto: dalle fonti rinnovabili alla domotica, dagli infissi ai materiali avanzati. Si è favorita un'importante innovazione e una spinta di tutto il comparto verso la qualità;
il credito d'imposta del 55 per cento è uno dei successi più significativi della «green economy» nel nostro Paese ed ha al tempo stesso garantito importanti risparmi nelle emissioni di CO2 contribuendo ad alleggerire la bolletta energetica delle famiglie. Inoltre grazie alle misure stanziate negli anni passati l'Italia sta recuperando, con successo, il ritardo accumulato rispetto ad altri paesi europei nel campo delle fonti rinnovabili attivando anche un importante comparto economico;
si tratta pertanto di una delle misure anticicliche di gran lunga più importanti che sono state attivate negli ultimi anni. Secondo la sopraccitata indagine Cresme-Enea gli effetti complessivi sul bilancio del nostro Paese sono stati positivi;
come è stato poi più volte ribadito dai massimi esperti in materia, inclusi i tecnici del dipartimento della Protezione civile, gran parte del patrimonio edilizio italiano è di qualità scadente e lontano dagli standard antisismici indispensabili nel nostro Paese;
avviando immediatamente un piano straordinario di consolidamento e miglioramento sismico degli edifici pubblici e privati, non solo si potrebbe mettere in sicurezza gran parte della popolazione, ma si potrebbe rilanciare un'economia legata all'edilizia di qualità, attivare il sistema delle piccole e medie imprese e produrre anche un rilevante effetto sul terreno occupazionale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di dare stabilità al credito d'imposta del 55 per cento previsto per il miglioramento energetico degli edifici, anche per sostenere un importante settore della nostra economia, e ad estendere le agevolazioni fiscali già previste per gli interventi di efficientamento energetico degli edifici anche agli interventi di consolidamento antisismico del patrimonio edilizio esistente.
9/4612/121.Realacci, Mariani, Braga, Margiotta, Iannuzzi, Benamati, Bocci, Bratti, Esposito, Ginoble, Marantelli, Morassut, Motta, Viola, Rampi, Bossa.

La Camera,
premesso che:
all'articolo 01 dell'Allegato contenente modificazioni apportate in sede di conversione al decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, contenente revisione integrale della spesa pubblica, tra le misure da adottare si prevede anche la riorganizzazione della rete consolare, con l'intento di procedere all'accorpamento delle strutture in vista di ulteriori contenimenti di spesa;
negli ultimi tre anni la rete diplomatico consolare è stata già oggetto di un consistente piano di razionalizzazione che, attraverso ripetuti interventi, ha interessato tra scomparse e declassamenti oltre venti strutture decentrate del MAE operanti in diversi continenti e paesi, con ripercussioni critiche sui livelli di servizio per le nostre comunità, sulla situazione di lavoro degli operatori e sulla possibilità di interlocuzione della nostra amministrazione con le autorità delle realtà sulle quali i tagli sono ricaduti;
anche per il concorso della ridotta presenza di personale e per la drastica riduzione del finanziamento ai consolati di seconda categoria, l'erogazione dei servizi amministrativi ai cittadini italiani all'estero da tempo si svolge con comprensibile difficoltà anche rispetto alle essenziali funzioni più elementari; considerato, inoltre, che la rete diplomatico-consolare, rappresenta un essenziale sostegno alla proiezione su molteplici piani dei nostri interessi nazionali in ambito globale,

impegna il Governo

a escludere, nell'ambito dei successivi interventi in materia di finanza pubblica, ulteriori penalizzazioni a carico della rete diplomatico consolare, tenendo conto che la sua riorganizzazione è già largamente avvenuta negli ultimi anni e che, per le prospettive di internazionalizzazione del Paese e per i compiti di servizio nei confronti degli oltre quattro milioni di cittadini italiani residenti all'estero, è dannoso proseguire sulla strada della chiusura di ulteriori strutture e di limitazione di una rete che ha da tempo toccato i livelli di guardia.
9/4612/122.Porta, Garavini, Bucchino, Fedi, Gianni Farina, Narducci.

La Camera,
premesso che:
all'articolo 1 - 01 e 02 - dell'Allegato contenente modificazioni apportate in sede di conversione al decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, si prevedono i criteri che il Governo è impegnato a seguire per dare attuazione all'articolo 11 del 4 luglio 2011 contenente disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, con l'intento di razionalizzare i processi di approvvigionamento di beni e servizi per la pubblica amministrazione;
opportunamente da queste misure sono stati esclusi i settori della scuola e della ricerca, in ragione del valore strategico di tali interventi per lo sviluppo del Paese e dell'ulteriore incomprimibilità delle risorse destinate ai suddetti comparti;
la lingua e la cultura italiana nel mondo assolvono ad una imprescindibile funzione di proiezione dell'immagine e degli interessi nazionali in ambito globale, in continuità con lo sviluppo della formazione e della ricerca in ambito nazionale;
il sostegno pubblico all'insegnamento della lingua e cultura italiana nel mondo ha subito dal 2008 al 2011 una drastica riduzione, valutabile in misura superiore al 50 per cento, passando solo per il finanziamento dei corsi di lingua e cultura italiana dai 34 milioni di euro del 2008 ai 16 milioni circa di oggi, con la conseguenza di mettere in discussione, in diversi casi, le convenzioni con le autorità scolastiche locali che hanno adottato programmi di integrazione in qualificati istituti formativi,

impegna il Governo

a escludere, in occasione dell'attività di riorganizzazione della spesa della pubblica amministrazione, e in coerenza con quanto disposto per la scuola e la ricerca, ulteriori riduzioni nell'impegno di sostegno delle attività di insegnamento della lingua e cultura italiane all'estero.
9/4612/123.Gianni Farina, Bucchino, Fedi, Garavini, Narducci, Porta.

La Camera,
premesso che:
al comma 35-octies dell'articolo 2 è istituita un'imposta di bollo sui trasferimenti di denaro all'estero attraverso gli istituti bancari, le agenzie «money transfer» ed altri agenti in attività finanziaria;
l'imposta è dovuta in misura pari al 2 per cento dell'importo trasferito con ogni singola operazione, con un minimo di prelievo pari a 3 euro;
l'imposta non è dovuta per i trasferimenti effettuati dai cittadini dell'Unione europea nonché per quelli effettuati verso i paesi dell'Unione europea e che sono esentati i trasferimenti effettuati da soggetti muniti di matricola INPS e codice fiscale;
si tratta di una norma che non risponde ad alcun obiettivo di finanza pubblica (tanto che il Governo non ha fornito nella relazione tecnica del provvedimento alcuna quantificazione di maggiore gettito per l'erario, tale da giustificare e sostanziare gli effetti finanziari derivanti dalla suddetta disposizione) e che penalizza le fasce sociali più deboli della nostra società, i migranti, e che rischia di colpire anche i cittadini italiani residenti all'estero e, più in generale, tutti quelli che hanno rapporti economici con il nostro Paese, imprenditori, liberi professionisti, lavoratori autonomi;
la norma, contraddicendo ogni visione del libero scambio e del libero movimento delle persone, (per questa ragione sono esclusi i trasferimenti effettuati da cittadini dell'Unione europea e i trasferimenti verso i paesi dell'Unione) risulta particolarmente discriminatoria verso paesi extra-Unione europea che hanno significativi rapporti economici e commerciali con l'Italia,

impegna il Governo

a valutare l'impatto della disposizione al fine medesimo di presentare con urgenza alle Camere un provvedimento di modifica della disposizioni allo scopo di escludere gli effetti iniqui e discriminatori derivanti dall'imposta straordinaria in oggetto.
9/4612/124.Fedi, Bucchino, Gianni Farina, Garavini, Narducci, Porta.

La Camera,
premesso che:
in seguito alle campagne reddituali dal 2002 al 2009 effettuate dall'INPS nei confronti dei pensionati residenti all'estero allo scopo di verificare la sussistenza del diritto a prestazioni legate al reddito e di aggiornare eventualmente i relativi importi pensionistici, sono state rilevate decine di migliaia di situazioni debitorie;
l'INPS non ha ancora approntato un sistema di verifica reddituale annuale per i pensionati residenti all'estero e le campagne reddituali non vengono quindi effettuate annualmente come in Italia ma cumulativamente;
gli indebiti che si sono costituiti variano da poche centinaia a migliaia di euro, sono stati determinati di norma dalla sporadicità delle campagne reddituali effettuate dall'INPS all'estero e dai ritardi e dalla farraginosità del sistema adottato dall'istituto previdenziale per la gestione della rilevazione e del recupero degli indebiti formatisi sulle pensioni erogate all'estero;
gli indebiti in genere gravano su pensionati italiani emigrati i quali sono titolari di prestazioni legate al reddito e che si trovano quindi in uno stato di disagio economico;
per le considerazioni suesposte si può escludere la presenza di dolo da parte dei pensionati interessati nella formazione degli indebiti,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare i provvedimenti necessari volti a sanare la situazione degli indebiti pensionistici a carico di pensionati residenti all'estero in assenza di dolo e in presenza di determinati limiti reddituali.
9/4612/125.Bucchino, Gianni Farina, Fedi, Garavini, Narducci, Porta.

La Camera,
premesso che:
il 24 agosto scorso i negoziatori della Svizzera e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord hanno concluso a Zurigo le trattative concernenti questioni fiscali pendenti e hanno parafato una convenzione fiscale che, per le persone residenti nel Regno Unito, prevede il pagamento a posteriori di un'imposta sulle loro attuali relazioni bancarie in Svizzera. Al riguardo esse possono effettuare un pagamento unico d'imposta oppure dichiarare i loro conti. I futuri redditi e utili dei capitali di clienti bancari britannici in Svizzera saranno assoggettati a un'imposta liberatoria, il cui provento sarà trasferito dalla Svizzera alle autorità britanniche. La convenzione dovrebbe essere firmata nelle prossime settimane da entrambi i governi e potrebbe entrare in vigore all'inizio del 2013;
la Svizzera e il Regno Unito hanno quindi deciso di adottare un approccio comune per ottenere, in primo luogo, che le pretese fiscali britanniche siano soddisfatte in occasione di future relazioni bancarie intrattenute in Svizzera da contribuenti del Regno Unito e, secondariamente, che una regolarizzazione accettabile per tutte le parti interessate sia proposta per il passato attraverso il pagamento a posteriori di un'imposta forfettaria. La soluzione negoziata unisce due elementi, ovvero, la tutela della sfera privata dei clienti bancari, da una parte, e la garanzia della riscossione di pretese fiscali giustificate, dall'altra;
pochi giorni prima Svizzera e Germania hanno sottoscritto un accordo preliminare ad una nuova convenzione che i due stati, dovrebbero siglare entro settembre, che dovrebbe portare nelle casse tedesche un incasso pari a diversi miliardi ogni 100 finora non dichiarati al fisco e toccati da questo accordo. L'incasso corrisponde a quanto la Germania otterrebbe in caso di denuncia spontanea secondo le normative tedesche di tutti i patrimoni finora non dichiarati e presenti negli istituti bancari svizzeri. In aggiunta, le banche elvetiche anticiperanno allo Stato tedesco 2 miliardi di franchi svizzeri entro 30 giorni dall'entrata in vigore della convenzione - circa 1,5 miliardi di euro - per garantire un gettito minimo a titolo di recupero d'imposta e soprattutto dare corpo alla volontà di attuare la convenzione;
l'offerta svizzera, si basa su due elementi: da un lato le banche elvetiche conservano il segreto bancario e quindi continuano a garantire l'anonimato ai clienti che lo richiedono; in cambio sono disposte a diventare sostituti d'imposta perché si impegnano ad applicare sui patrimoni una sorta di maxi-ritenuta, salvo nei casi in cui il cliente dimostri di aver pagato le tasse in casa propria;
la Germania a questo proposito ha previsto un ventaglio di aliquote da applicare come liberatoria per sanare il passato, dal 19 per cento al 34 per cento, perché intende tener conto del tempo di detenzione del patrimonio in Svizzera e del reddito accumulato negli anni durante i quali non sono state pagate le imposte. Dopo la liberatoria, scatta il regime per il futuro. Il 10 gennaio 2013, i cittadini tedeschi con patrimoni accumulati clandestinamente in Svizzera si troveranno di fronte a un bivio: dichiarare i capitali e pagare le tasse in Germania oppure mantenere l'anonimato accettando il prelievo alla fonte effettuato automaticamente dalle banche svizzere. Le banche elvetiche gestiranno patrimoni solo per conto di clienti che pagano le tasse. La clientela che non accetta queste condizioni sarà costretta a trasferire conti presso altre banche non elvetiche entro il primo gennaio 2013;
se anche l'Italia siglasse con la Svizzera un accordo come quello che il Regno Unito e la Germania si apprestano a siglare, potrebbe risolvere infine l'annosa disputa con la Svizzera sullo scambio d'informazioni adottando una soluzione pragmatica ed efficiente parificabile allo scambio di informazioni automatico,

impegna il Governo

a intraprendere i necessari passi diplomatici per riallacciare il dialogo con il governo svizzero nell'intento di promuovere e tutelare gli interessi dell'Italia su questi temi;
a convocare un tavolo di concertazione con il governo svizzero per definire al più presto un percorso negoziale per giungere entro il 31 marzo 2012 alla stesura di un accordo sul modello di quello che si sta concretizzando tra la Svizzera e la Germania e che preveda per il passato una liberatoria attraverso il pagamento a posteriori di un'imposta forfettaria.
9/4612/126.Narducci, Baretta.

La Camera,
premesso che:
il costo dell'illegalità nel nostro Paese - un ampio fenomeno che ricomprende attività mafiose con utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio, corruzione, evasione fiscale ed economia sommersa - incide pesantemente sulla nostra economia, rendendo necessaria la predisposizione di interventi volti a rafforzare l'azione di controllo e recupero delle risorse sottratte illegalmente alla collettività, per contrastare la crisi e contribuire al risanamento e allo sviluppo del nostro Paese;
se si sommano i dati forniti dal Ministero dell'economia sull'evasione fiscale (120 miliardi di euro all'anno), con quelli recenti dalla Corte dei conti sulla corruzione (circa 60 miliardi di euro), con quelli dello studio presentato dall'Istat sull'economia sommersa e l'imponibile sconosciuto al fisco (valore tra un minimo di 255 miliardi di euro e un massimo di 275 miliardi di euro), con quelli, infine, forniti dalla Commissione parlamentare Antimafia (che stima il giro d'affari annuo della criminalità organizzata in circa 150 miliardi di euro), si evince che il fenomeno dell'illegalità sottrae agli italiani e alle imprese oneste circa 330 miliardi di euro all'anno;
la manovra economica in esame, che nel suo complesso risulta iniqua, con poche misure strutturali e assente di misura per la crescita, contiene alcune disposizioni che vanno nella direzione di un recupero di maggiori entrate all'erario (abbassamento della soglia di imposta evasa a partire dalla quale scatta l'applicazione delle sanzioni penali, ricognizione dei contribuenti che si sono avvalsi dei condoni e delle sanatorie nel 2002, con misure più stringenti per un recupero integrale delle somme dovute, maggiore tracciabilità dei pagamenti in contante, ecc.); tuttavia, gli strumenti per rafforzare l'azione contro il fenomeno della grande evasione fiscale e per prevenire e contrastare le attività illegali e a scopo di riciclaggio, si presentano ancora come un timido segnale, troppo debole e insufficiente;
le organizzazioni criminali, sempre più mafie di affari, e sempre più aggressive nell' acquisire spazi di potere economico per alterare il mercato e inquinare il sistema finanziario, evidenziano l'urgenza di intervenire più efficacemente per contrastare il riciclaggio e soprattutto il fenomeno del cosiddetto «autoriciclaggio», uno dei più importanti canali di utilizzazione dei proventi dei delitti posti in essere dal crimine organizzato;
la mancata introduzione nel nostro ordinamento della fattispecie criminale specifica dell'«autoriciclaggio», ci priva di uno strumento importante di prevenzione e repressione di una modalità cui ricorrono sempre più spesso le associazioni criminali di stampo mafioso, che occultano la provenienza illecita delle loro risorse, traendo da ingenti patrimoni le risorse per la loro attività illegale. In base alle previsioni penali vigenti, l'autore o il complice del reato presupposto non è punibile per il reato di riciclaggio, mentre lo è il terzo estraneo al reato presupposto che cooperi con il reo;
è necessario prevedere che le attuali disposizioni sul riciclaggio si applichino anche nei confronti della persona che ha concorso nel reato presupposto, ad eccezione degli atti di godimento che non eccedano l'uso dei beni secondo la naturale destinazione, ovvero in caso di utilizzo del denaro dei beni o delle altre utilità provento del reato presupposto per finalità non speculative, imprenditoriali o commerciali,

impegna il Governo

a predisporre con urgenza interventi legislativi, nell'ambito dei poteri normativi in capo all'esecutivo, volti alla revisione della normativa in materia di riciclaggio, anche mediante l'introduzione di un'autonoma fattispecie di reato concernente «autoriciclaggio», al fine di colmare una grave lacuna del nostro ordinamento, di potenziare gli strumenti per contrastare un fenomeno, sempre più complesso, del riciclaggio di ingenti patrimoni e flussi finanziari mafiosi, e di assicurare un recupero di somme di denaro in favore della collettività.
9/4612/127.Garavini, Bossa.

La Camera,
considerato che:
il sistema giudiziario italiano ha sicuramente urgente bisogno di interventi idonei a ridurre la durata dei processi civili e penali e, a tal fine, è necessario individuare strumenti moderni, soluzioni adeguate ed effettivamente praticabili per rispondere ai bisogni di sicurezza, per ripristinare un efficace servizio della giustizia nel rispetto dei principi costituzionali e per garantire l'effettività dei diritti di tutti i cittadini e la competitività del nostro sistema economico e produttivo;
tra questi strumenti sicuramente appare indispensabile, per recuperare efficienza e razionalità al sistema giustizia, una riorganizzazione della geografia giudiziaria;
è assolutamente necessario, ed indifferibile, portare avanti attraverso un serio confronto, un effettivo percorso di razionalizzazione e semplificazione dell'attività processuale capace di far fronte tanto allo smaltimento dell'arretrato quanto ai nuovi flussi di contenzioso, rifuggendo però da logiche emergenziali e di «rottamazione» e affrontando, finalmente, una vera riforma di sistema capace di assicurare la ragionevole durata dei processi, con la garanzia però della speditezza, concentrazione e accuratezza nella trattazione di tutte le cause, volta a mettere in campo vere e proprie politiche di innovazione, ad oggi strategiche per la giustizia;
attraverso delle analisi compiute si è accertato che quando le dimensioni degli uffici giudiziari divengono troppe elevate si riscontra una perdita di efficienza legata al sovra-dimensionamento;
al contrario, però, la delega prevista dal Governo è estremamente vaga, e l'unico criterio fissato è quello della permanenza dei tribunali nelle città capoluogo di provincia con il risultato preoccupante di un eccessivo sovradimensionamento dei tribunali che insistono su aree estese,

impegna il Governo

nell'ambito delle sue proprie competenze ad ampliare la competenza territoriale e la riorganizzazione delle circoscrizioni giudiziarie con trasferimento di porzioni di territorio dai tribunali di più grandi dimensioni a quelli più piccoli, sul modello seguito per la costituzione dei tribunali metropolitani.
9/4612/128.Samperi, Burtone, Torrisi, Porta.

La Camera,
rilevato come già il decreto-legge n. 98 del 2011 avesse introdotto, all'articolo 1, l'obbligo per i trattamenti economici di titolari di cariche elettive e vertici di enti ed istituzioni di non superare la media, ponderata rispetto al PIL, degli analoghi trattamenti economici percepiti dai titolari di omologhe cariche negli altri sei principali Stati dell'area euro;
rilevato, altresì, che la disposizione rinviava all'allegato «A» per quanto concerne gli enti cui la medesima avrebbe trovato applicazione;
visto l'articolo 1 del provvedimento oggetto di conversione, il quale, estendendo l'operatività della norma ai vertici delle «amministrazioni centrali» dello Stato, ha suscitato alcune perplessità interpretative ben evidenziate dal parere della I Commissione;
visto, inoltre, l'articolo 13 del decreto-legge all'esame il quale interviene in tema di trattamento economico dei componenti degli organi costituzionali, «fatta eccezione per il Presidente della Repubblica e i componenti della Corte costituzionale», la quale ultima risultava ricompresa nell'elenco di cui all'allegato «A» del precedente decreto-legge n. 98 del 2011;
ritenuto indispensabile estendere il principio di trasparenza circa il trattamento economico corrisposto a chiunque da parte di tutti gli enti e le istituzioni, ivi compresi gli organi costituzionali e le autorità indipendenti, senza esclusione alcuna,

impegna il Governo

ad adottare, nel più breve tempo possibile, nel rispetto, ove del caso, dell'autonomia costituzionale dei soggetti interessati, idonee disposizioni per estendere il principio di trasparenza a tutti gli enti e le istituzioni, ivi compresi gli organi costituzionali e le autorità indipendenti, senza esclusione alcuna.
9/4612/129.Contento, Cimadoro.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 1 del decreto-legge in esame prevede, al comma 28, che la commissione istituita ai sensi dell'articolo 1 comma 3 del decreto-legge 6 luglio 2011 n. 98 convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011 n. 111, al fine di provvedere alla ricognizione e all'individuazione della media dei trattamenti economici degli analoghi trattamenti economici percepiti annualmente dai titolari di omologhe cariche e incarichi negli altri sei principali stati dell'area euro, sia integrata da un esperto designato dal ministro dell'economia e delle finanze;
il comma 33 dell'articolo 1 del presente decreto-legge, modificando l'articolo 1 comma 2 del decreto-legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011 n. 111, prevede l'applicazione della disposizione relativa al livellamento remunerativo dei trattamenti economici Italia-Europa, oltre che per le cariche e gli incarichi negli organismi, enti e istituzioni anche collegiali di cui all'allegato A del medesimo comma 1, anche per i segretari generali, i capi dei dipartimenti, i dirigenti di prima fascia i direttore generali degli enti e i titolari degli uffici a questi equiparati delle amministrazioni centrali dello Stato;
le citate disposizioni di cui all'articolo 1 del decreto-legge 6 luglio 2011 n. 98 convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011 n. 111, ed in particolare quelle di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 1 della medesima legge, relativi al trattamento economico onnicomprensivo, vanno interpretate nel senso che esse si applicano al trattamento economico onnicomprensivo effettivamente a carico delle finanze pubbliche e quindi, nell'ipotesi in cui le disponibilità finanziarie a tal fine rilevanti siano a carico solo in parte delle finanze pubbliche, gravando per il resto su contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, per la parte percentuale (calcolata sulla base dell'incidenza nel bilancio complessivo dell'amministrazione/ente interessati della contribuzione a carico delle finanze pubbliche) corrispondente all'incidenza della contribuzione in realtà a carico delle finanze pubbliche. Ciò al fine di assicurare rigorosa corrispondenza con la volontà della legge;
tale intervento interpretativo è di assoluto rilievo al fine di consentire il corretto svolgimento dell'azione di ogni amministrazione/ente cui si applicano le disposizioni sopra richiamate di cui all'articolo 1 del decreto-legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011 n. 111, le quali, in considerazione del fatto che possono contare anche su finanziamenti che non gravano interamente a carico delle finanze pubbliche, in quanto oggetto di contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, vedrebbero diversamente penalizzato il loro impegno istituzionale per effetto di una legge che andrebbe a comprimere, qualora diversamente applicata, anche i compensi retributivi la cui erogazione non grava a carico delle finanze pubbliche ovvero vi grava in misura del tutto marginale. Di tal che sarebbe del tutto iniquo un assoggettamento indiscriminato alla disposizione relativa al livellamento europeo delle remunerazioni, senza che venga preso in considerazione quanto effettivamente il trattamento economico da corrispondere incide, in misura percentuale, sul bilancio dello Stato,

impegna il Governo

ad adottare ogni più adeguato intervento applicativo volto ad assicurare la coerenza nella fase di attuazione con quella che è l'effettiva volontà della disposizione normativa come riconosciuta da questo stesso corpo legislativo, in maniera da eliminare ogni eventuale possibile dubbio interpretativo circa il fatto che le disposizioni di cui all'articolo 1, commi 1 e 2, del decreto-legge 6 luglio 2011 n. 98 convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011 n. 111, vanno interpretate nel senso che esse si applicano al trattamento economico onnicomprensivo effettivamente a carico delle finanze pubbliche e quindi, nell'ipotesi in cui le disponibilità finanziarie a tal fine rilevanti siano a carico solo in parte delle finanze pubbliche, gravando per il resto su contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, per la parte percentuale (calcolata sulla base dell'incidenza nel bilancio complessivo dell'amministrazione/ente interessati della contribuzione a carico delle finanze pubbliche) corrispondente all'incidenza della contribuzione in realtà a carico delle finanze pubbliche. Ciò al fine di assicurare la rigorosa corrispondenza con la volontà della legge.
9/4612/130.Berardi.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 2 del decreto-legge in esame prevede disposizioni in materia di entrate;
il comma 3 del citato articolo 2 stabilisce che l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, possa, tra l'altro, variare la percentuale del compenso per le attività di gestione ovvero per quella dei punti vendita;
un qualsiasi intervento operato sulla base di quanto previsto dal comma 3 del citato articolo 2, in quanto incidente su concessioni conseguite a seguito della partecipazione a procedura concorsuale, non può evidentemente modificare le condizioni del relativo bando ed in particolare le condizioni afferenti al quadro finanziario della concessione medesima;
ove si volesse incidere sulle condizioni relative al quadro finanziario relativamente agli affidamenti conseguiti a seguito di procedure di gara già bandita ed espletata, è necessario, onde tutelare l'attività economica, prevedere apposite misure compensative, tra le quali il corrispondente adeguamento della durata della concessione medesima al fine di ammortizzare gli effetti negativi di carattere economico derivanti dalla eventuale variazione operata ai sensi dell'articolo 2 comma 3 del decreto-legge in esame,

impegna il Governo

ad adottare ogni più adeguato intervento applicativo volto ad assicurare la coerenza nella fase di attuazione con quella che è l'effettiva volontà della disposizione normativa in esame, in maniera da eliminare ogni eventuale possibile dubbio interpretativo circa il fatto che l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato non può procedere, ai sensi dell'articolo 2 comma 3, a variare la percentuale del compenso per le attività di gestione ovvero per quella dei punti vendita relativamente agli affidamenti conseguiti a seguito di procedure di gara già bandita ed espletata e, qualora l'amministrazione intenda variare anche le condizioni del quadro finanziario relative alle predette concessioni, la stessa amministrazione dovrà prevedere, in ogni caso, concrete misure compensative che consentano di non alterare il quadro finanziario della relativa concessione stabilendo, in particolare, un corrispondente adeguamento della durata temporale della stessa concessione che permetta di ammortizzare i conseguenti effetti negativi sotto il profilo economico.
9/4612/131.Pizzolante.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 3 comma 12 del decreto-legge in esame, reca modifiche al codice dell'ordinamento militare con riguardo agli immobili della difesa oggetto di alienazione prevedendo, tra l'altro, che le procedure di valorizzazione dei medesimi beni debbano essere concluse entro il termine perentorio di 180 giorni;
l'articolo 8 comma 2 bis del decreto-legge 12 luglio 2011, n. 107 convertito, con modificazioni, in legge 2 agosto 2011, n. 130, prevede che il parere di congruità per pervenire alla successiva vendita dei beni ivi indicati debba essere reso entro il 31 ottobre 2011,

impegna il Governo

ad adottare ogni più adeguato intervento applicativo volto ad assicurare la piena coerenza nella fase di attuazione tra la disposizione di cui all'articolo 3 comma 12 del decreto-legge in esame e quella di cui all'articolo 8 comma 2-bis del decreto-legge 12 luglio 2011, n. 107 convertito, con modificazioni, in legge 2 agosto 2011, n. 130, nel senso che deve intendersi che resta comunque fermo il termine di cui all'articolo 8 comma 2-bis, ultimo periodo, del decreto-legge 12 luglio 2011, n. 107, convertito, con modificazioni, in legge 2 agosto 2011, n. 130, per i beni ivi previsti, per i quali l'intera procedura di alienazione con il trasferimento agli acquirenti, deve essere conclusa entro i successivi 60 giorni dall'adozione del parere di congruità richiesto alla commissione di cui all'articolo 307, comma 10, lettera b), del codice di cui in premessa.
9/4612/132.Del Tenno.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 1 comma 1 del decreto-legge in esame incrementa l'importo delle riduzioni che sono operate nei confronti delle dotazioni finanziarie dei singoli Ministeri;
il citato articolo 1, comma 1, del decreto-legge in esame stabilisce che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri si provvederà alla ripartizione delle riduzioni con la determinazione del corrispondente importo,

impegna il Governo

in fase di adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 1 comma 1 del decreto-legge in esame, qualora dovessero essere escluse dalla riduzione ivi stabilita le dotazioni finanziarie delle Forze dell'ordine e/o delle Forze di polizia, a prevedere anche l'esclusione dalle relative riduzioni per le complessive dotazioni finanziarie del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia costiera.
9/4612/133.Misuraca.

La Camera,
considerato che:
il comma 24 dell'articolo 1 dispone la fissazione dal 2012 con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri delle date in cui ricorrono le festività introdotte con legge dello Stato non conseguenti ad accordi con la Santa Sede, le celebrazioni nazionali e le festività dei santi patroni, in modo che cadano il venerdì precedente o il lunedì seguente la prima domenica successiva o coincidano con tale data;
con una modifica introdotta dal Senato sono state espressamente escluse dall'applicazione della disposizione le festività del 25 aprile, del 1o maggio e del 2 giugno;
a fronte di questa ricorrenza si osserva che la vera data istitutiva della democrazia italiana che unifica di fatto il nostro popolo è il 18 aprile 1948;
ciascun comune necessita di mantenere la propria identità storica e religiosa celebrando i propri Santi patroni,

impegna il Governo

ad adottare ulteriori iniziative normative volte ad includere nuovamente il 25 aprile tra le festività su cui può intervenire il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri citato in premessa e ad escludere viceversa dall'applicazione del decreto le festività dei Santi patroni.
9/4612/134.Garagnani.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame contiene norme in materia di trasporto ferroviario regionale e di contratti di lavoro per le imprese che espletano sull'infrastruttura ferroviaria nazionale servizi di trasporto di merci e di persone;
considerato che:
con precedenti ordini del giorno e con le proposte di legge incardinate in IX Commissione Trasporti, si è da tempo posta all'attenzione del Parlamento e del Governo la necessità di riordinare in modo organico la materia della regolazione dell'accesso e dell'utilizzo dell'infrastruttura ferroviaria e dei servizi connessi, oltre che dell'intero comparto dei trasporti, superando la parcellizzazione delle competenze e degli enti attualmente operanti;
rilevato che:
la stessa Commissione europea, nella lettera di messa in mora inviata al Governo italiano il 26 giugno 2008, nell'ambito della procedura d'infrazione 2008/2097 avente ad oggetto alcune norme del decreto legislativo n. 188 del 2003, aveva in particolare rilevato la violazione del principio dell'indipendenza delle funzioni essenziali fissato dalle direttive 91/440/CEE e 2001/14/CE inteso a garantire un accesso equo e non discriminatorio alle infrastrutture ferroviarie per tutte le imprese e a promuovere un mercato europeo dei trasporti competitivo;
visto che:
nel Piano Nazionale della Logistica attualmente in discussione è elencata, fra le azioni utili a rendere più competitivo il sistema logistico nazionale, l'istituzione di una Autorità amministrativa indipendente per la regolazione dei servizi e dell'uso delle infrastrutture di trasporto che abbia una competenza estesa anche ai settori aereo, marittimo e autostradale;
ritenuto:
pertanto necessario un intervento complessivo di riordino della materia, anche alla luce della stessa direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 luglio 2009 con cui sono state disciplinate le modalità di utilizzo degli impianti e degli scali merci di RFI, e della prossima entrata in attività di società ferroviarie private sulla rete Alta Velocità, oltre a quelle già operanti nel settore merci,

impegna il Governo

ad adottare apposite iniziative normative, al fine di adeguare in modo più puntuale la normativa nazionale all'ordinamento comunitario in materia di accesso all'infrastruttura ferroviaria e di apertura del mercato dei trasporti, promuovendo l'istituzione di una Autorità amministrativa indipendente per la regolazione e l'uso di tutte le infrastrutture di trasporto.
9/4612/135.Lovelli.

La Camera,
premesso che:
le spese di trasporto pubblico locale sono prestazioni sociali «essenziali» a norma dell'articolo 117; secondo comma, lettera m) della Costituzione: nel rispetto della Costituzione occorre pertanto garantire la maggiore possibile copertura finanziaria della spesa, anche mediante un'integrazione straordinaria delle risorse finanziarie destinate a tale servizio;
all'articolo 1, comma 13, sono stabilite le modalità di ripartizione, a partire dal 2012, del fondo per il finanziamento del trasporto pubblico locale - anche ferroviario (di cui all'articolo 21, comma 3, del decreto-legge 98 del 2011) che destina 400 milioni di euro all'anno alle regioni a statuto ordinario;
dall'anno 2012 tale fondo sarà ripartito, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, sulla base di criteri premiali individuati da un'apposita struttura paritetica che dovrà svolgere compiti di monitoraggio sulle spese e sull'organizzazione del trasporto pubblico locale; il 50 per cento delle risorse del Fondo è attribuito, in particolare, a favore degli enti collocati nella classe degli enti più virtuosi; tra i criteri di premialità è, in particolare, previsto che l'attribuzione della gestione dei servizi di trasporto avvenga con procedura ad evidenza pubblica;
l'articolo 14 del citato decreto legislativo 98 del 2011 che stanzia le risorse del Fondo prevede espressamente che le spese di trasporto pubblico raggiungano i livelli essenziali delle prestazioni sociali «garantite» di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione;
il Fondo di cui la manovra detta i criteri di ripartizione è del tutto insufficiente a compensare il taglio operato con il decreto-legge 78 del 2010 e la finanziaria 2011 ma è anche di molto inferiore al fabbisogno del trasporto pubblico locale registrato negli ultimi anni;
considerato che:
i contratti stipulati con le aziende di trasporto, che sono contratti pluriennali, impegnano, in media, risorse per 1,9 miliardi di euro, essenziali per lo svolgimento del servizio secondo gli standard attuali, senza considerare i fondi necessari allo sviluppo del trasporto per far fronte alle esigenze emergenti dei cittadini e delle imprese;
nella manovra, per l'anno 2012, figurano solo 400 milioni per finanziare il trasporto pubblico locale; mancano dunque 1,5 miliardi di risorse necessarie al trasporto su ferro e su gomma;
i trasferimenti per il trasporto su ferro e su gomma in molte regioni subiscono un taglio compreso tra il 70 e l'80 per cento delle risorse prima disponibili; i fondi per la viabilità provinciale sono, di fatto, «azzerati» dalla manovra;
le regioni segnalano che senza tali fondi, dal 2012, e per gli anni successivi, non sarà possibile far circolare autobus e treni locali;
sottolineato che:
la stabilizzazione finanziaria richiede misure urgenti per il risanamento dei conti pubblici che incidano in modo permanente sugli sprechi e sulla spesa improduttiva e misure del pari urgenti e necessarie a sostegno dello sviluppo: i tagli non possono colpire diritti fondamentali dei cittadini, come il diritto alla mobilità e funzioni essenziali per la produttività e l'efficienza del sistema economico e produttivo, come il trasporto;
la manovra sul trasporto pubblico locale si ripercuote, in particolare, sulle fasce sociali più deboli e accresce il divario territoriale, sottraendo risorse essenziali in particolare alle regioni del Mezzogiorno e alle politiche di coesione,

impegna il Governo

a garantire al trasporto pubblico locale risorse sufficienti alla fornitura di un livello adeguato del servizio su tutto il territorio nazionale;
a prevedere che i trasferimenti statali diretti al finanziamento delle spese delle funzioni essenziali attribuite alle regioni e, in particolare, del trasporto pubblico locale, comprendano anche gli stanziamenti di spesa necessari a coprire i costi del personale e di funzionamento;
a sostituire tali trasferimenti solo dopo aver assicurato, a regime, adeguate e congrue fonti autonome di finanziamento sufficienti alla copertura delle spese di parte corrente e in conto capitale del servizio di trasporto pubblico, e in grado di assicurare al complesso delle regioni un ammontare di risorse tali da compensare i trasferimenti soppressi e da garantire fondi addizionali per lo sviluppo del servizio e per colmare il divario territoriale nei livelli essenziali di servizi;
a dare attuazione alle disposizioni di cui agli articoli 20 e 21 della legge 42 sul federalismo fiscale affinché nella fase transitoria si provveda al recupero del deficit infrastrutturale per i servizi essenziali, e in particolare di quello relativo al trasporto pubblico locale e ai collegamenti con le isole, disponendo risorse adeguate e interventi finalizzati agli obiettivi di sviluppo, coesione e solidarietà sociale, tenendo conto «anche» della virtuosità degli enti nell'adeguamento al processo di convergenza ai costi o al fabbisogno standard, nel pieno rispetto dell'articolo 119, quinto comma, della Costituzione.
9/4612/136.Meta, Lovelli, Boccuzzi.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 1, comma 12, ultimi tre periodi, stabilisce l'applicazione, a far data dalla conversione del decreto-legge 138 stesso, dell'Imposta provinciale di trascrizione (IPT) in misura esclusivamente proporzionale alle formalità di iscrizione e trascrizione sui veicoli nuovi ed usati presso il Pubblico registro automobilistico (PRA), con abolizione dell'imposta minima fissa per gli «atti soggetti ad IVA», superando l'esigenza di un decreto del ministro dell'economia e delle finanze previsto dal comma 6 dell'articolo 17 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 per una prima revisione del tributo;
tale disposizione realizza notevoli incrementi del tributo medesimo, aumentando i costi di immatricolazione e di trasferimento di proprietà dei veicoli stessi;
detti incrementi sarebbero, quanto meno in prima istanza, applicabili, ai sensi del comma 5 del prima ricordato articolo 17 del decreto legislativo 68 del 2011, nonché ai sensi dell'articolo 19-bis introdotto in sede di conversione del decreto-legge 138 stesso, solamente alle province delle regioni a statuto ordinario, creando una incostituzionale grave disparità di trattamento a seconda della residenza o sede degli acquirenti dei veicoli, nonché la probabile migrazione di concessionari e commercianti di veicoli, società di noleggio e/o leasing automobilistico verso le province ubicate nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome e la praticamente certa apertura in queste ultime di sedi secondarie (fittizie) dei nominati soggetti, con, in aggiunta, rilevanti spostamenti di gettito della tassa automobilistica (regionale) verso dette «autonomie», naturalmente a detrimento delle regioni a statuto ordinario;
considerato che:
in sede di esame del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, concernente Semestre europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia (A.C. 4357-A) il Governo ha accolto l'ordine del giorno dell'onorevole Biasotti n. 9/4357-A/96, che impegnava il Governo a sopprimere la disposizione di cui al comma 6 dell'articolo 17 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, che disponeva l'incremento dell'imposta provinciale di trascrizione (IPT) dei veicoli in misura proporzionale al numero di kilowatt del motore,

impegna il Governo

in ossequio a quanto disposto al comma 7 del richiamato articolo 17 del decreto legislativo 68 del 2011, che postula la promozione da parte, appunto, del Governo stesso, del riordino dell'IPT attraverso il disegno di legge di stabilità o un disegno di legge ad essa collegato, ad attuare detta promozione con interventi ulteriormente migliorativi rispetto ai criteri base di riordino, nel tempo più breve possibile, per cercare di renderlo operativo già dal 2012, anche allo scopo di ovviare alle sperequazioni e problematiche sopra evidenziate.
9/4612/137.Velo, Lovelli.

La Camera,
premesso che:
il settore agroalimentare, riflettendo la situazione economica generale italiana, ma a differenza di quanto si sta verificando nelle principali economie dell'Unione europea, non riesce ad uscire dalla fase di crisi che lo ha investito, e che dura da oltre due anni;
nell'ultimo anno, a fronte di una crescita media Unione europea dei redditi reali per unità di addetto nel settore agricolo del 12,5 per cento (con punte del 32 per cento in Francia, del 23 per cento in Germania e del 7 per cento in Spagna), l'Italia ha invece visto prodursi una contrazione del 3,3 per cento rispetto al 2009, anno in cui lo stesso indice aveva fatto registrare un calo del 25,5 per cento;
la fase di emergenza dei mercati agricoli e la conseguente diffusa volatilità dei prezzi che ha caratterizzato il settore negli ultimi tre anni continua inesorabilmente a manifestare i propri segnali;
l'indice dei prezzi agricoli ha ripreso a salire, dopo una fase di forte contrazione del 2009, ma ad un ritmo inferiore se paragonato all'incremento dei costi produttivi aziendali;
le misure previste nelle ultime manovre economiche del Governo risultano inequivocabilmente insufficienti, anche in considerazione dello scenario socio-economico delineato in premessa e della necessità di realizzare i necessari interventi a favore della crescita, come necessario e come richiesto al nostro Paese dalle maggiori istituzioni europee;
il decreto-legge in esame non presenta alcun intervento finalizzato al rilancio e alla crescita competitiva del settore agroalimentare, al contrario contiene diverse misure che in maniera indiretta penalizzano ulteriormente il settore agricolo,

impegna il Governo

ad adottare, per il prossimo triennio, compatibilmente con il vincolo di bilancio, un piano di rilancio competitivo per il settore agro alimentare e, in particolare, azioni per lo sviluppo e la competitività delle imprese agricole, agroalimentari e della pesca orientate ad incentivare e sostenere investimenti innovativi; a favorire la crescita occupazionale e dimensionale, anche mediante l'incentivo del credito d'imposta, a rafforzare il ruolo delle giovani generazioni e a sviluppare e a consolidare i processi d'internazionalizzazione.
9/4612/138.Fiorio, Oliverio, Zucchi, Agostini, Brandolini, Marco Carra, Cenni, Cuomo, Dal Moro, Marrocu, Pepe, Sani, Servodio, Trappolino.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 1, commi da 2 a 5, del disegno di legge di conversione - a seguito di un emendamento governativo presentato e approvato nel corso dell'esame in Commissione al Senato e poi confluito nel testo del maxiemendamento fatto oggetto di voto di fiducia in entrambi i rami del Parlamento - contiene alcune disposizioni di carattere «sostanziale», volte a conferire al Governo una delega per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari;
il Comitato per la legislazione, nel parere reso lo scorso 8 settembre, ha invitato il legislatore a sopprimere le citate disposizioni di cui ai commi da 2 a 5, in quanto, secondo la costante giurisprudenza di tale organo, non appare corrispondente ad un corretto utilizzo dello specifico strumento normativo rappresentato dal disegno di legge di conversione di un decreto-legge l'inserimento al suo interno di una disposizione di carattere sostanziale, in particolare se recante disposizioni di delega, integrandosi in tal caso una violazione del limite di contenuto posto dall'articolo 15, comma 2, lettera a), della legge n. 400 del 1988;
alla Camera è prassi consolidata che la Presidenza dichiari inammissibili le proposte emendative presentate nel corso del procedimento di conversione e concernenti deleghe, anche quando siano riferite al disegno di legge di conversione;
al Senato, ove la prassi applicativa del regime di ammissibilità di tale tipo di emendamenti è stata diversa, si erano da ultimo registrati segnali favorevoli in direzione di una prassi comune per entrambi i rami del Parlamento, allorquando, il 1o febbraio 2011, nel corso dell'esame nelle Commissioni riunite prima e quinta del decreto-legge recante proroga di termini, sulla base di un vaglio rigoroso, condotto anche alla luce dei moniti pervenuti dal Presidente della Repubblica, sono stati esclusi dal novero degli emendamenti ammissibili quelli relativi a proroghe di termini di delega legislativa, inclusi quelli del relatore riferiti al disegno di legge di conversione, in quanto incidenti su uno dei suoi elementi essenziali, individuati dall'articolo 76 della Costituzione;
l'inserimento in un disegno di legge di conversione di una delega legislativa, che produrrà effetti normativi concreti a distanza di tempo, non appare giustificabile nemmeno sulla base di ragioni politiche contingenti, anche se gravi, stante il contrasto che viene a determinarsi con le norme ordinamentali che presiedono al legittimo esercizio delle competenze normative e all'utilizzo delle conseguenti fonti, le quali, a loro volta, riflettono gli equilibri tra i poteri normativi imposti a livello costituzionale;
già in passato, lo strumento dell'ordine del giorno è stato adottato al fine di far valere le sollecitazioni del Comitato per la legislazione nei rapporti con il Governo,

impegna il Governo

ad avviare ogni occorrente attività volta alla predefinizione dei contenuti dei futuri decreti legislativi di riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari e a predisporre, al contempo, un autonomo disegno di legge delega, da presentare alle Camere per la loro approvazione, secondo le procedure urgenti previste dai loro regolamenti, in termini tali da consentire l'adozione, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame, dei decreti legislativi nel frattempo in linea di massima già predefiniti.
9/4612/139.Zaccaria, Duilio.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento, all'articolo 1, comma 02, all'articolo 2, comma 2, ultimo periodo, e all'articolo 3, comma 11, demanda, rispettivamente, a un decreto ministeriale, a un decreto del Presidente della Repubblica e a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la possibilità di incidere su disposizioni di rango primario;
all'articolo 1, comma 02, si prevede infatti che, limitatamente al quinquennio 2012-2016, con decreto del ministro dell'economia e delle finanze, su proposta del ministro competente, sottoposto al parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili di carattere finanziario, da esprimere nel termine di 15 giorni, siano rimodulate le dotazioni finanziarie di ciascuno stato di previsione del bilancio dello Stato, con possibilità di modificare, conseguentemente, anche autorizzazioni di spesa legislativamente previste;
analogamente, all'articolo 2, comma 2, che introduce per un triennio il così detto contributo di solidarietà sui redditi più alti, si dispone che «con decreto del Presidente della Repubblica (...) l'efficacia delle disposizioni di cui al presente comma può essere prorogata anche per gli anni successivi al 2013, fino al raggiungimento del pareggio di bilancio», demandandosi così ad un atto a contenuto politico il compito di modificare il termine di vigenza di una normativa oggetto di fonte primaria del diritto, secondo una procedura che si discosta da quella prevista dall'articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988 per i regolamenti di delegificazione, senza offrire quindi le medesime garanzie individuate da tale procedura e della quale andrebbe, altresì, valutata la compatibilità con la riserva di legge prevista dall'articolo 23 della Costituzione in materia tributaria;
parimenti, anche all'articolo 3, comma 11, laddove si dispone che singole attività economiche possano essere escluse dall'abrogazione (innominata) delle restrizioni all'accesso e all'esercizio delle medesime prevista dal combinato disposto dei commi 8 e 9, ad opera di un «decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro competente di concerto con il ministro dell'economia e delle finanze, sentita l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto», viene delineato un procedimento di delegificazione che si discosta anch'esso da quello disciplinato dall'articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988;
il Comitato per la legislazione, nel parere reso lo scorso 8 settembre, ha invitato il legislatore a valutare la congruità degli strumenti normativi in questione rispetto al sistema delle fonti normative primarie, la cui individuazione, come ricordato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 311 del 2010, in considerazione della particolare efficacia delle fonti legislative, delle rilevanti materie ad esse riservate, della loro incidenza su molteplici situazioni soggettive, nonché del loro raccordo con il sistema rappresentativo, può essere disposta solo da fonti di livello costituzionale,

impegna il Governo

ad aver cura, sia in sede di iniziativa legislativa, sia nell'ambito delle procedure emendative parlamentari, di non assegnare a fonti atipiche compiti di tipo normativo primario che l'ordinamento riserva alle sole fonti del diritto previste a livello costituzionale e ad attenersi al modello di delegificazione disciplinato dall'articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988.
9/4612/140.Duilio, Zaccaria.

La Camera,
premesso che:
gli impegni a raggiungere nel 2020 valori minimi di penetrazione di fonti rinnovabili, riduzione delle emissioni-serra ed efficienza energetica richiedono crescente supporto ma già oggi gravano sulle bollette energetiche in modo pesante pur senza disincentivare in modo specifico i consumi energetici meno sostenibili;
un'alternativa almeno parziale ai sussidi alle fonti energetiche sostenibili sono forme di tassazione di natura ambientale. Le quali possono fornire disincentivi ai consumi energetici meno sostenibili (per esempio non rinnovabili o con maggiori emissioni-serra o con maggiore produzione di rifiuti) avvantaggiando di conseguenza le filiere rinnovabili o a minor impatto ambientale;
nel nostro Paese, i settori esclusi dall'Ets emettono 330 milioni e 450 mila tonnellate di CO2, il 50 per cento in più rispetto ai settori soggetti all'Emission Trading Scheme (220 milioni e 300 mila tonnellate) secondo una stima della società di consulenza Althesys;
il 13 aprile 2011 la Commissione UE ha emanato una proposta (COM2011 - 169) di revisione della direttiva 96/03/CE che attualmente regola l'ammontare minimo delle accise sui prodotti energetici. Tale proposta reca da un lato norme per l'omogeneizzazione dell'ammontare minimo di accisa basandolo sull'effettivo contenuto energetico, dall'altro introduce una nuova componente legata alle emissioni convenzionali di CO2, parametrata su un valore di 20 euro/T. La relazione introduttiva della Commissione, in linea con la proposta radicale, auspica che il maggior gettito delle accise sia utilizzato per ridurre i contributi sociali sul lavoro a carico delle imprese, al fine di aumentare il potenziale di crescita economica delle nuove misure;
il gettito di una simile imposta supererebbe i 3 miliardi annui iniziali e se, crescendo progressivamente nel tempo, raggiungesse i livelli della Svezia, potrebbe rendere allo Stato 35 miliardi di euro annui (stime Althesys);
inoltre le agevolazioni sulle accise, in gran parte relative al consumo di combustibili fossili, gravano per oltre 3,5 miliardi di euro, violando i principi del libero mercato e contribuendo a sostenere settori che inquinano;
le politiche fiscali continuano a trascurare le grandi potenzialità fiscali che ha l'ambiente,

impegna il Governo

a tenere anche in considerazione gli effetti ambientali delle nuove norme in materia fiscale;
prevedere una componente aggiuntiva delle accise sui prodotti energetici che valorizzi l'impatto in termini di emissioni-serra del consumo di combustibili non rinnovabili e non già gravati dall'emission trading system;
assicurare l'utilizzo del maggior gettito della misura di cui al punto precedente per finanziare l'alleggerimento degli oneri fiscali sui redditi da lavoro, in modo da implicare, almeno per consumatori di reddito basso e medio, la possibilità di aumentare il proprio reddito disponibile attraverso una rimodulazione dei consumi energetici;
a valutare l'introduzione di altre tasse sull'emissione di sostanze inquinanti (SO2, NOX eccetera);
rivedere, per abolirle, le agevolazioni sulle accise a partire da quelle sui combustibili.
9/4612/141.Zamparutti, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Maurizio Turco.

La Camera,
premesso che:
la crescente crisi economica che ha determinato un radicale taglio delle risorse destinate alla sicurezza del Paese impone al Parlamento di adottare scelte coraggiose, logiche e razionali che consentano alla popolazione di ritrovare nelle istituzioni gli indispensabili riferimenti capaci di offrire concretamente quella sicurezza che allontani i timori e riaffermi lo Stato di diritto su cui poggia una democrazia compiuta;
se si vuole garantire l'efficienza delle istituzioni e quindi riportare a livelli accettabili il senso della sicurezza percepito dalla popolazione è indispensabile e prioritario ridurre la duplicazione delle spese che necessariamente si hanno quando sul territorio operano contemporaneamente le Forze di polizia a ordinamento civile e quelle a ordinamento militare;
al fine di assicurare l'economicità, l'efficienza e la rispondenza al pubblico interesse delle attività istituzionali e conseguentemente ottenere considerevoli risparmi economici valutabili in 4 miliardi di euro/anno da versare interamente al bilancio dello Stato,

impegna il Governo

ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante «ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari», uno o più decreti legislativi per adeguare l'ordinamento e i compiti dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, ivi comprese le attribuzioni funzionali dei rispettivi Comandanti generali, in conformità ai seguenti principi e criteri direttivi:
a) collocazione dell'Arma dei carabinieri nell'ambito del Ministero dell'interno - Dipartimento della pubblica sicurezza, con dipendenza del comandante generale dal Capo della polizia - Direttore generale della pubblica sicurezza, per l'assolvimento dei compiti d'istituto, in conformità a quanto disposto dalla legge 1o aprile 1981, n. 121;
b) collocazione dei Corpo della Guardia di finanza nell'ambito del Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento delle finanze, con dipendenza del comandante generale dal direttore generale delle finanze, per l'assolvimento dei compiti d'istituto, in conformità a quanto disposto dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 gennaio 2008, n. 43 e, ai fini della tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, dalla legge 1o aprile 1981, n. 121;
c) consentire, a domanda e previa intesa tra le amministrazioni interessate, il trasferimento dei dipendenti appartenenti all'Arma dei carabinieri e al Corpo della Guardia di finanza nelle altre amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, nei limiti dei posti disponibili per le medesime qualifiche possedute nelle rispettive piante organiche, nel rispetto delle disposizioni dell'articolo 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, e dell'articolo 30 del citato decreto legislativo n. 165 del 2001, e successive modificazioni. Qualora il trattamento economico dell'amministrazione di destinazione sia inferiore a quello percepito nell'amministrazione di provenienza, il dipendente trasferito percepisce, fino al suo riassorbimento, un assegno ad personam di importo corrispondente alla differenza di trattamento.
9/4612/142.Maurizio Turco, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Zamparutti, Ciccanti.

La Camera,
premesso che:
articolo 53 della Costituzione impone a tutti di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva; l'articolo 81 del Trattato sull'Unione europea e del Trattato che istituisce la Comunità europea stabilisce il divieto di aiuti di Stato alle imprese, sotto qualsiasi forma, che favorendone talune falsino o minaccino di falsare la concorrenza;
una consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia UE, ad esempio la sentenza n. 102 del 1987 e la sentenza 298 del 2000, in particolare il punto 49 della stessa, chiarisce che la normativa in materia di aiuti di Stato si applica a qualsiasi soggetto che eserciti un'attività commerciale, indipendentemente dalla natura no-profit o meno di tale soggetto, avallando con ciò l'orientamento consolidato della Commissione dell'Unione europea nell'esercizio dei poteri di controllo sugli aiuti di Stato che le sono attribuiti dall'articolo 88 del Trattato sull'Unione europea e del Trattato che istituisce la Comunità europea;
il requisito per il ripristino di condizioni minime di equità e parità di trattamento è la netta esclusione di qualsiasi beneficio o privilegio fiscale per le attività che abbiano natura commerciale, anche se non in via esclusiva, e qualsiasi sia il settore in cui operano, ripristinando cosi il criterio di rilievo costituzionale di corretta relazione tra articolazione dei prelievo e capacità contributiva,

impegna il Governo

ad abrogare ogni norma che preveda esenzioni o riduzioni fiscali e tributarie a favore di qualsiasi soggetto svolgente un'attività commerciale, ancorché il fine di lucro non connoti in modo principale l'attività della persona giuridica beneficiaria dell'esenzione o della riduzione stessa. In particolare ad abrogare la normativa che consente l'esenzione ICI, la riduzione dell'IRES, dell'IRAP e di qualsiasi fiscalità in genere.
9/4612/143.Farina Coscioni, Maurizio Turco, Beltrandi, Bernardini, Mecacci, Zamparutti.

La Camera,
premesso che:
il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano intervenendo il 28 luglio scorso al convegno «Giustizia! In nome della legge e del popolo sovrano» convocato dal Presidente del Senato Renato Schifani, in relazione alla situazione della giustizia e delle carceri in Italia ha affermato, fra l'altro, che si tratta di «Una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile» aggiungendo che «(...) è fondamentalmente dalla politica che debbono venire le risposte. (...) non escludendo pregiudizialmente nessuna ipotesi che possa rendersi necessaria. Sappiamo che la politica, quale si esprime nel confronto pubblico e nella vita istituzionale, appare debole e irrimediabilmente divisa, incapace di produrre scelte coraggiose, coerenti e condivise. Ma non sono proprio scelte di questa natura che ogni giorno di più si impongono, dinanzi alla gravità dei problemi e delle sfide che ci incalzano (...)? Non dovremmo tutti essere capaci di un simile scatto, di una simile svolta, non foss'altro per istinto di sopravvivenza nazionale?»;
le disfunzionalità del sistema giustizia rappresentano un grave ostacolo allo sviluppo del Paese ed un pesante costo per i cittadini, le famiglie e le imprese. Il buon funzionamento della giustizia è una condizione imprescindibile per lo sviluppo economico italiano, perché è elemento di garanzia della sua competitività e della capacità di attrarre investimenti internazionali;
i tagli prospettati nella manovra, che si aggiungono a quelli già operati con il decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, colpiranno indiscriminatamente tutti i Ministeri. Particolarmente gravi appaiono quelli relativi al Ministero della giustizia, perché operanti su una spesa complessiva già fortemente ridotta dalla manovra economica del dicembre 2010. Le riduzioni sono significative, e suscettibili di determinare un ulteriore forte decremento dello standard qualitativo dell'amministrazione della giustizia, rischiando di provocarne addirittura la paralisi ove si consideri che a tale missione sono ricondotti quattro «programmi» cruciali per la funzionalità della giustizia - e quindi anche per la sicurezza e la tutela dei diritti dei cittadini - come quelli dell'amministrazione penitenziaria, della giustizia civile e penale, della giustizia minorile e dell'edilizia giudiziaria, penitenziaria e minorile,

considerato che:
nel gennaio 2010 il ministro della giustizia aveva comunicato all'Assemblea della Camera che per affrontare la drammatica situazione del nostro sistema carcerario il Consiglio dei ministri aveva disposto la dichiarazione dello stato di emergenza per tutto il 2010;
nonostante ciò, non si è ancora proceduto alle 1.600 assunzioni di nuovi agenti di polizia penitenziaria che avrebbero dovuto costituire il terzo pilastro del cosiddetto «Piano carceri»: l'articolo 4 della legge 26 novembre 2010, n. 199, che avrebbe dovuto permetterle, non ha ancora una copertura finanziaria così come riscontrato dalla ragioneria dello Stato e l'amministrazione non può dunque procedere;
con lettera circolare GDAP-0068960-2011 ad oggetto «Direttive per l'applicazione della legge n. 193 del 2000 (Smuraglia) - Agevolazioni contributive», il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha rilevato, all'esito dell'esame del monitoraggio relativo all'anno 2009, l'avvenuto superamento dei limiti di budget previsti dal decreto n. 87 del 25 febbraio 2002 («Regolamento recante sgravi fiscali alle imprese che assumono lavoratori detenuti»), attuativo della legge n. 193 del 2000 (Smuraglia). In conseguenza di ciò, l'amministrazione ha ritenuto quindi indispensabile procedere ad una consistente riduzione del budget che dovrà essere considerato a disposizione di ogni provveditorato regionale per le attività lavorative dei detenuti (sia per quelli ristretti in carcere, sia per quelli ammessi ad una qualche misura alternativa alla detenzione);
insufficienti risultano essere anche le risorse finanziarie necessarie a far fronte alla manutenzione ordinaria degli edifici penitenziari e finanche al reperimento del vitto e all'acquisto dei prodotti igienici, al punto che, secondo quanto riportato da Evangelista Sagnelli, presidente della Società italiana di malattie infettive e tropicali, quattro detenuti su 10 in Italia soffrirebbero di malattie infettive. E il 35 per cento di loro è colpito dall'epatite C, la principale patologia che colpisce i carcerati nel nostro Paese;
si continua ad assistere ad una continua riduzione anche dei fondi destinati al programma relativo al mantenimento, all'assistenza e alla rieducazione dei detenuti; attività che invece sarebbe necessario rafforzare e promuovere, in quanto particolarmente rilevante ai fini della efficacia specialpreventiva della pena e quindi della riduzione delle probabilità di recidiva;
la condizione di vita delle persone detenute e costrette a subire gli effetti di un sovraffollamento mai visto nella storia d'Italia non è migliorata ed è sempre più intollerabile. Anche nell'ultimo anno si è registrato un numero significativo di morti in carcere. Ne sono certamente causa le condizioni di estremo degrado delle strutture e la assoluta carenza di percorsi rieducativi e di reinserimento sociale;
non sembrano del resto in alcun modo sufficienti le risorse stanziate in questi ultimi anni in favore del reinserimento lavorativo dei detenuti, che potrebbe efficacemente promuovere il reinserimento anche sociale del condannato all'uscita dal carcere, così da scongiurare rischi di recidiva;
nelle regole penitenziarie europee approvate nel 2006 dal comitato dei ministri degli stati del Consiglio d'Europa è scritto che la mancanza di risorse non può giustificare condizioni di detenzione che violino i diritti umani delle persone recluse negli istituti di pena,

impegna il Governo

a privilegiare, nell'ambito delle risorse disponibili per la «missione giustizia», le spese necessarie all'effettivo reinserimento sociale dei detenuti attraverso l'implementazione e la valorizzazione dei percorsi trattamentali che, già in carcere, contribuiscono in misura significativa alla responsabilizzazione del detenuto, realizzando un più graduale passaggio dalla realtà penitenziaria a quella extramuraria, riducendo altresì i rischi di recidiva.
9/4612/144.Bernardini, Beltrandi, Farina Coscioni, Mecacci, Maurizio Turco. Zamparutti

La Camera,
premesso che:
la prassi del ritardo nei pagamenti incide sulla liquidità delle imprese e ne complica la gestione finanziaria. I ritardi di pagamento pregiudicano la competitività e la redditività delle imprese, soprattutto delle piccole e medie imprese (Pmi);
il peso della crisi economica rende ciò particolarmente oneroso per quei piccoli imprenditori che affrontano la crisi con il fardello ulteriore, ingiusto ed ingiustificato, causato da illegittimi ritardi nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione e delle grandi imprese, senza poter godere di alcuna tutela sociale e quindi senza poter tutelare in nessun modo i propri dipendenti;
in Italia ciò produce un effetto singolare: le Pmi divengono, in pratica, gli istituti di credito più «generosi ed affidabili» nei confronti dello Stato e delle grandi imprese loro debitrici. Questa apparente provocazione è, purtroppo, assai verosimile, se non proprio vera. Ciò è desumibile dalla lettura dei dati relativi ai tempi che le piccole imprese devono attendere per ottenere il pagamento di beni o servizi forniti, già lunghissimi nel caso di transazioni tra privati, ma che raggiungono l'apice, traducendosi in attese anche di 600 giorni, nel caso di un recupero dei crediti vantati nei confronti degli enti pubblici;
in sostanza le Pmi, anticipando il lavoro e subendo un pagamento molto ritardato, sono utilizzate anche alla stregua di banche nei confronti dello Stato (e delle grandi aziende), che a loro volta godono, da parte degli istituti di credito, di un trattamento decisamente più vantaggioso rispetto a quello riservato ai piccoli e medi imprenditori, i quali finiscono per essere doppiamente danneggiati;
gli eccessivi ritardi nell'adempimento delle obbligazioni pecuniarie nelle transazioni commerciali determinano spesso, soprattutto per le Pmi, rilevanti oneri finanziari con conseguenti ripercussioni sui livelli occupazionali, causando oltretutto dei gravi problemi di solvibilità;
tale stato di cose sta creando numerose difficoltà all'imprenditoria in generale e, lo si ripete, in particolare per la Pmi che, notoriamente, ha i maggiori problemi di liquidità. Nel caso di ritardi nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione, un esempio emblematico è quello relativo ai rimborsi dell'imposta sul valore aggiunto (IVA), per i quali tuttora esiste un rilevante arretrato. Altri casi sono relativi al saldo di fatture per prestazioni di servizi a pubbliche amministrazioni o ad enti del Servizio sanitario nazionale, su cui si registrano i ritardi e le inadempienze più pesanti;
per arginare tale stato di cose, la Commissione europea ha emanato una nuova direttiva (Direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 febbraio 2011 relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali) in sostituzione della Direttiva n. 2000/35/CE del 29 giugno 2000 (recepita ed attuata nel nostro ordinamento col decreto legislativo n. 231 del 2002). Con la nuova direttiva si prospetta una rifusione della precedente direttiva relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Con ciò si realizzeranno gli impegni previsti nell'Agenda di Lisbona per la crescita e l'occupazione, contribuendo all'attuazione dello «Smail Business Act» della Commissione, del 25 giugno 2003, nel quale è individuata una serie di principi volti a creare eque condizioni di concorrenza per le Pmi e a migliorare il contesto giuridico e amministrativo ad esse applicabile nell'intera Unione europea; essa si inserisce nell'ambito delle misure prospettate dal piano europeo di ripresa economica (COM(2008)800 della Commissione, del 26 novembre 2008) che, tra l'altro, invita gli Stati membri e l'Unione europea a garantire che le amministrazioni pubbliche paghino le fatture relative alle forniture di beni e alle prestazioni di servizi entro un mese,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di recepire con urgenza le norme contenute nella direttiva comunitaria citata in premessa, eventualmente a partire dalla proposta di legge su questo argomento presentata da tempo e sottoscritta da numerosissimi deputati, colleghi particolarmente preoccupati per la costante violazione delle norme giuridiche, norme che dovrebbero garantire la prevedibilità dei comportamenti e quindi la ragionevole aspettativa che si riceva il pagamento pattuito nei tempi stabiliti in cambio dei beni o servizi già offerti. Si avverte con forza la necessità di ricostruire un effettivo rapporto di fiducia tra stato e cittadini, vero fondamento essenziale del contratto sociale, necessaria per garantire dall'incertezza ogni cittadino. E questo è il compito di uno Stato del quale i cittadini possano fidarsi. Sono ancora oggi valide le osservazioni di Luigi Einaudi, il quale ammoniva che: «Una società socialmente stabile deve tendere a dare sicurezza di vita alla grandissima maggioranza degli uomini, i quali non amano e non sono in grado di sopportare l'incertezza». A valutare quindi l'opportunità di dare effettiva vigenza al principio dello Stato di diritto da troppo tempo, in questo ambito, non rispettato dallo Stato e dalle altre pubbliche amministrazioni e, per questo motivo, divenuto precetto meramente astratto.
9/4612/145.Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Maurizio Turco, Zamparutti.

La Camera,
premesso che:
molteplici mozioni e ordini del giorno sono stati già approvati dal Parlamento e accolti dal Governo in relazione a diversi provvedimenti approvati nel corso di questa legislatura in cui si invitava a rivedere le regole del patto di stabilità per i comuni, con riferimento in particolare agli enti che presentano indici finanziari positivi, in quanto eccessivamente pesanti in termini finanziari e penalizzanti il versante degli investimenti e la crescita del Paese;
la situazione economico finanziaria dei comuni risulta difficile a causa delle cospicue riduzioni sul versante delle entrate, a cui si sommano gli obiettivi posti dal patto di stabilità;
il quadro finanziario e fiscale che dovrebbe regolare i rapporti e dettare i comportamenti delle autonomie territoriali, delineato dalla legge n. 42 del 2009 e i relativi decreti attuativi, risulta fortemente complicato dalle manovre succedutesi negli ultimi due anni;
il quadro normativa risulta caratterizzato da disposizioni che riducono l'autonomia organizzativa e gestionale dei comuni mettendo in questione i principi costituzionali contenuti nell'articolo 114, 117 e 119 della Costituzione;
la revisione dell'assetto istituzionale dei comuni si sta caratterizzando per il susseguirsi di modifiche ordinamentali disorganiche, che mettono in discussione il funzionamento ordinario degli stessi enti e la possibilità di continuare a erogare allo stesso livello i servizi fondamentali ai cittadini;
le disposizioni contenute nel presente provvedimento richiedono una fase successiva di adattamento, attuazione con scadenze temporali non ravvicinate e presentano profili di eventuale incostituzionalità con il ruolo costituzionale assegnato ai comuni,

invita il Governo

a procedere entro 30 giorni senza alcun onere per lo Stato dall'entrata in vigore della presente legge all'istituzione di una Commissione mista paritetica, composta dal Governo e dai rappresentanti delle regioni, delle province e dei comuni con il compito di fare una verifica della legislazione vigente in materia di patto di stabilità, costi di funzionamento degli organi e degli apparati della Repubblica, assetto istituzionale ed amministrativo con l'obiettivo di predisporre una proposta di riforma complessiva in senso federale entro 90 giorni secondo i principi di riduzione degli organi e dei costi, di soppressione delle duplicazioni, di semplificazione dei processi decisionali e di valorizzazione dell'autonomia dei territori e della responsabilità verso i cittadini.
9/4612/146.Saltamartini, Valducci, Luciano Dussin, Montagnoli, Pastore, Calearo Ciman, Laura Molteni, Reguzzoni.

La Camera,
premesso che:
con il decreto-legge n. 70 del 2011, convertito, con modificazioni dalla legge n. 106 del 2011 è stata innalzata a 40.000 euro il limite per il conferimento fiduciario degli incarichi professionali nell'ambito dei lavori pubblici;
tuttavia, nonostante l'intenzione chiara del legislatore di innalzare la soglia per tutti i conferimenti fiduciari degli incarichi professionali, compresi gli incarichi di progettazione, direzione lavori e incarichi similari, sembra che manchi un coordinamento tra le norme regolamentari;
infatti, allo stato attuale l'articolo 267 del decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010, recante regolamento dei contratti pubblici, si presenta, nella sua seconda parte, con la soglia di 40.000 euro, mentre la prima parte conserva ancora il limite di 20.000,00 euro;
tale discrasia crea problemi alle pubbliche amministrazioni che, volendo applicare il nuovo limite fiduciario, riscontrano tale incongruenza,

impegna il Governo

ad interpretare le norme regolamentari esplicitando che l'innalzamento della soglia dei conferimenti fiduciari degli incarichi professionali, riguarda tutti gli incarichi professionali, compresi gli incarichi di progettazione, di coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, di direzione dei lavori, di coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione e di collaudo.
9/4612/147.Guido Dussin, Reguzzoni, Gidoni, Montagnoli, Lanzarin, Togni, Alessandri, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
il decreto-legge 3 maggio 2011, n. 70, recante semestre europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia, all'articolo 5, comma 2, conteneva modifiche alla disciplina delle cosiddette opere a scomputo prevedendo che, nell'ambito degli strumenti attuativi dei piani urbanistici e degli atti equivalenti comunque denominati, l'esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria, purché funzionali all'intervento di trasformazione urbanistica del territorio, sia a carico del titolare del permesso di costruire;
tale disposizione è stata soppressa durante l'esame parlamentare del decreto-legge e ciò ha prodotto una grave perdita di una importante norma di semplificazione;
la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria è un onere connaturato alla trasformazione urbanistica del territorio e pertanto risulta indispensabile che essa sia posta in essere direttamente dallo stesso soggetto che da attuazione agli interventi di nuova edificazione;
l'esecuzione di tali opere pone problemi di interferenze con la realizzazione degli edifici previsti all'interno dell'ambito territoriale oggetto della trasformazione, per cui occorre non solo una progettazione unitaria delle opere di urbanizzazione primaria, ma anche una loro esecuzione contestuale e coordinata con gli interventi principali,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative dirette a ripristinare, nel primo provvedimento utile, la norma che, nell'ambito degli strumenti attuativi e degli atti equivalenti comunque denominati nonché degli interventi in diretta attuazione dello strumento urbanistico generale, pone a carico del titolare del permesso di costruire l'esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria, di importo inferiore alla soglia comunitaria, funzionali all'intervento di trasformazione urbanistica del territorio.
9/4612/148.Lanzarin, Guido Dussin, Montagnoli, Togni, Alessandri, Laura Molteni.

La Camera,
preso atto che l'articolo 5, comma 1-bis, autorizza una spesa di 7 milioni di euro per l'anno 2011 al fine di ripristinare e mettere in sicurezza le infrastrutture colpite dagli eventi calamitosi verificatisi dal 18 febbraio al 1o marzo 2011 nei territori della regione Basilicata e per i quali è stato dichiarato, fino al 31 marzo 2012, lo stato di emergenza con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 marzo 2011;
premesso che:
lo scorso 5 agosto 2011 un violento nubifragio ha colpito i territori dei comuni di Brenta, Casalzuigno, Cittiglio, Cuveglio, Cuvio, Duno, Laveno Mombello e Rancio Valcuvia;
sui territori dei citati comuni si sono verificati eventi alluvionali diffusi che hanno interessato la rete viaria e ferroviaria, i reticoli fognari e i reticoli di scolo idrico dei versanti pedemontani, creando danni a infrastrutture pubbliche e a numerose proprietà private;
i comuni stanno procedendo alla quantificazione dei danni subiti; il solo comune di Laveno ha finora stimato in circa 1,5 milioni di euro i danni subiti alle opere pubbliche e ai privati;
le ferrovie nord hanno stimato in 800 mila euro i danni sull'infrastruttura ferroviaria causati da una frana,

impegna il Governo

a procedere alla dichiarazione dello stato di emergenza, ai sensi dell'articolo 5, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 e ad assegnare, compatibilmente ai vincoli di finanza pubblica, le risorse finanziarie occorrenti per far fronte al risarcimento dei danni subiti alle infrastrutture pubbliche e alle proprietà private.
9/4612/149.Giancarlo Giorgetti, Reguzzoni, Guido Dussin, Lanzarin, Togni, Alessandri, Marantelli, Laura Molteni.

La Camera,
preso atto che:
i commi 2, 3 e 3-bis, introdotti dal maxiemendamento presentato dal Governo approvato dal Senato, attraverso la sostituzione degli originari commi 2 e 3, del decreto-legge, introducono norme volte ad agevolare la progressiva entrata in operatività del SISTRI eliminando, di fatto, le originarie disposizioni che ne disponevano, invece, l'abrogazione;
in particolare, il comma 3-bis introduce alcune modalità operative semplificate prevedendo che gli operatori che producono esclusivamente rifiuti soggetti a ritiro obbligatorio da parte di sistemi di gestione regolati per legge, possono delegare i propri adempimenti relativi al SISTRI ai consorzi di recupero, secondo le modalità già previste per le associazioni di categoria,
premesso che:
l'istituzione del sistema SISTRI costituisce una misura in linea con i più recenti indirizzi normativi comunitari, ed ha l'obiettivo di combattere i fenomeni di illegalità sulla movimentazione dei rifiuti, in modo da consentire un rigoroso controllo della gestione dei rifiuti da parte delle autorità di controllo;
l'entrata in vigore del nuovo sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti ha registrato diverse proroghe e ciò è dipeso sia dall'innovazione normativa intervenuta, sia dalla complessità del sistema e sia dall'ampiezza dei soggetti interessati che presentano dimensioni differenti ed appartengono a settori produttivi diversi, con diverso grado di propensione all'innovazione tecnologica e con una molteplicità di situazioni specifiche da disciplinare,

impegna il Governo

a valutare la necessità di prevedere, con i prossimi decreti relativi all'applicazione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, norme di semplificazione del sistema, attraverso regole minime e facili da applicare da tutti gli operatori, con particolare riferimento:
a) alla possibilità di delegare gli adempimenti di iscrizione, movimentazione, registrazione da parte di tutti i produttori di rifiuti, specialmente da parte di quelli di minori dimensioni, agli operatori professionali, come trasportatori, soggetti che effettuano lo smaltimento o il recupero, commercianti e intermediari non detentori, associazioni di categoria;
b) alla possibilità di semplificare gli adempimenti di carattere elettronico, trasportando in digitale il collaudato sistema cartaceo vigente, in particolare consentendo ai trasportatori professionali, che nel corso del trasporto sono gli effettivi detentori del rifiuto, di emettere le schede Sistri per conto dei produttori e di interagire in tempo reale con il sistema al fine di fornire le necessarie informative;
c) alla possibilità di sostituire il sistema dei bip della chiavetta elettronica con un sistema migliore che garantisce all'operatore l'accettazione o meno dei dati inseriti nel SISTRI;
d) alla possibilità di tenere conto della buona fede degli operatori introducendo per talune fattispecie l'istituto del ravvedimento operoso di modo che il soggetto in buona fede che sbaglia abbia la possibilità di denunciare senza timore l'errore agli organi competenti, in questo modo liberando altresì risorse umane e materiali per l'accertamento delle violazioni di maggiore gravità.
9/4612/150.Togni, Reguzzoni, Lanzarin, Guido Dussin, Montagnoli, Laura Molteni.

La Camera,
esaminato il provvedimento in titolo;
valutate positivamente tutte le disposizioni in esso contenute a favore della lotta contro l'evasione e l'elusione fiscale;
considerato che i dati suddivisi per regione sull'evasione dell'imposta regionale sulle attività produttive mettono in evidenza una profonda differenza tra regione e regione: se, infatti, consideriamo il rapporto base imponibile evasa su base imponibile dichiarata, emerge che in Calabria per ogni euro di IRAP dichiarata ne vengono evasi 93 centesimi, in Sicilia 65 ed in Campania 60, mentre in Lombardia i centesimi evasi sono 13;
considerato che gli obiettivi in termini di verifiche e di controlli da parte della Guardia di finanza e da parte dell'Agenzia delle entrate devono essere coordinati e mirati non solo nelle zone del Paese dove in valore assoluto potrebbe essere maggiore la base imponibile evasa, ma anche nelle zone dove l'attitudine a pagare è bassa e i dati citati in premessa forniti dall'Agenzia delle entrate sono significativi,

impegna il Governo

a programmare, nell'ambito della più ampia strategia di contrasto all'evasione fiscale, le verifiche ed i controlli della Guardia di finanza e dell'Agenzia dell'entrate in maniera uniforme sull'intero territorio nazionale, in modo da sottoporre a controlli anche le aree del Paese dove la cosiddetta «compliance fiscale» è palesemente bassa, come i dati sull'evasione dell'imposta regionale sulle attività produttive dimostrano chiaramente.
9/4612/151.Comaroli, Reguzzoni, Laura Molteni.

La Camera,
esaminato il provvedimento in titolo;
valutato positivamente lo sforzo del Governo sia sul versante della riduzione delle spese, sia sul versante dell'aumento delle entrate, per garantire il rispetto degli impegni presi in sede europea;
preso atto dell'ormai dimostrata correlazione tra uso di tabacco e tumori ai polmoni e dei dati pubblicati dall'Istituto superiore di sanità in occasione dell'ultima giornata mondiale contro il tabacco, per cui nelle comuni sigarette sarebbe presente una forte concentrazione di polonio radioattivo;
considerato che un forte aumento del prezzo finale al consumatore delle sigarette causerebbe una diminuzione del consumo di tabacco, con indubbi vantaggi per la salute pubblica;
valutati i forti volumi di vendita in Italia di tabacco, che si aggirerebbero per il 2010 intorno ai 5 milioni di pacchetti di sigarette l'anno e le ingenti maggiori entrate che un aumento delle accise sui tabacchi lavorati genererebbe, corrispondente a circa 5 milioni per ogni euro di aumento, considerando altresì l'anelasticità del consumo di tabacco,

impegna il Governo

a prendere in considerazione un importante aumento delle accise sui tabacchi lavorati, in modo da garantire un significativo aumento di gettito per l'erario, da destinarsi per intero al sostegno dell'assistenza sanitaria regionale e da innescare un'auspicabile diminuzione del consumo di tabacco.
9/4612/152.Reguzzoni, Montagnoli, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
la città di Brescia sta realizzando la prima tratta funzionale «Prealpino - S. Eufemia» di una linea di metropolitana leggera automatica innovativa «tipo driverless» di 13 km, con 17 stazioni, che collega i punti di maggiore attrazione e generazione di traffico della città;
alcune stazioni sono dotate di parcheggi di interscambio per drenare la mobilità privata ai terminali in modo da ridurre il traffico verso il centro cittadino. La linea è in gran parte interrata e parte in viadotto;
l'intervento fu inserito dal Governo fra le opere strategiche di interesse nazionale ai sensi della legge 443 del 2001 ed è finanziato dallo Stato sia con la legge 211 del 1992 (delibera CIPE 29 novembre 2002) sia con la legge Obiettivo (delibera CIPE del 23 novembre 2007 n. 126) per complessivi 284 milioni di euro); il costo ammesso a finanziamento era pari a circa 601 milioni di euro. Il costo finale oggi previsto per l'opera è di circa 888 milioni di euro ivi compresi tutta una serie di costi accessori che per l'entità dell'opera si rivelano, essere assai considerevoli;
la città di Brescia, per completare e realizzare quest'opera si è impegnata, in parte, con risorse proprie, che hanno largamente inciso sulla propria stabilità economica, ed in parte considerevole accedendo a mutui sul mercato dei capitali (tra tutti, il più considerevole, un mutuo di 220 milioni di euro del 2007 con Cassa depositi e prestiti ma debbono essere assunti ulteriori finanziamenti per circa 180 milioni di euro);
il CIPE, con delibera n. 104 del 29 settembre 2006, assegnava un contributo di 3,576 milioni di euro per 15 anni da imputare sui fondi legge 266 del 2005. L'attualizzazione del contributo annuale corrisponde, ai tassi correnti, all'investimento di 40 milioni di euro richiesto;
nonostante la Corte dei conti abbia provveduto alla registrazione del successivo decreto interministeriale n. 1009 del 17 dicembre 2010 col quale viene autorizzato il contributo pluriennale, ad oggi la pratica di erogazione del contributo medesimo non è ancora conclusa e nulla è ancora stato versato a Brescia. Le opere in questi oltre quattro anni sono state via via realizzate ma non ancora pagate;
con nota del 22 settembre 2009 il sindaco di Brescia ed il presidente di Brescia mobilità, quale soggetto attuatore dell'intervento, hanno richiesto ulteriore finanziamento di 80 milioni di euro a copertura di opere di completamento attinenti l'adeguamento a nuove norme, l'adozione di interventi atti ad incrementare la sicurezza, la risoluzione di problematiche imprevedibili;
il complesso degli interventi è stato approvato, in linea tecnica, con voto n. 438/211 BS del 28 luglio 2010, dalla Commissione interministeriale 1042/69 ma non ancora approvato in linea economica, e finanziato dal CIPE. Da allora l'argomento è stato posto più volte all'ordine del giorno del CIPE ma non è mai stato discusso e approvato, pertanto, ancora oggi, Brescia è in attesa del finanziamento nonostante gran parte degli interventi siano stati ormai realizzati con aggravio diretto e ormai insostenibile sul bilancio dell'amministrazione;
il carico finanziario, per il comune di Brescia, per la realizzazione dell'opera può far comprendere come sia fondamentale la precisione e la «certezza» nella gestione dei flussi finanziari in entrata (finanziamenti) ed in uscita (imprese) da parte del sistema Brescia (comune e società controllata),

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di erogare in tempi brevi lo stanziamento relativo alla delibera CIPE 104 del 29 settembre 2006 e al decreto interministeriale 1009 del 17 dicembre 2010 nonché ad approvare in via definitiva dal CIPE l'ulteriore finanziamento già approvato in sede tecnica con voto 438/211 BS del 28 luglio 2010.
9/4612/153.Volpi, Reguzzoni, Caparini, Molgora, Paroli, Romele, Laura Molteni, Beccalossi.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame, all'articolo 25, reca modifiche alla disciplina per la fornitura di servizi di comunicazione elettronica in larga banda con l'utilizzo della banda 790-862 MHz ed in particolare, al comma 1, lettera d) affronta il tema di contenzioso giurisdizionale derivante dalla gara per la banda larga e della tempistica di acquisizione dei proventi (stimati in 2.400 milioni di euro) demandando alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e alla competenza funzionale del TAR del Lazio i giudizi sulla gara e sulle procedure;
nel suddetto comma viene inoltre escluso che l'annullamento di atti e provvedimenti adottati nell'ambito delle procedure di liberazione delle frequenze possa comportare la reintegrazione in forma specifica, andando contro ogni basilare norma del diritto che prevede che all'annullamento di un atto corrisponda il ripristino della situazione preesistente;
inoltre, viene disposto che l'eventuale risarcimento del danno eventualmente dovuto avvenga solo per equivalente e questo, nei fatti, priverebbe le emittenti televisive locali dalla possibilità di accedere ad altre frequenze eventualmente disponibili come indennizzo, privando così l'intero Paese del ruolo fondamentale che le emittenti televisive locali svolgono per la garanzia del pluralismo informativo, sociale e culturale;
viene anche previsto che la tutela cautelare sia limitata al pagamento di una provvisionale, senza specificare alcun criterio direttivo, per cui anche un'emittente che prima del procedimento di assegnazione dei diritti d'uso delle frequenze avesse un largo bacino di utenza e offrisse quindi un servizio pubblico gratuito al territorio, potrebbe avere diritto ad una provvisionale minima, che ne decreterebbe l'inevitabile fine dell'attività,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di definire un congruo compenso per la cessione delle risorse frequenziali.
9/4612/154.Caparini, Crosio, Consiglio, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
la figura del prefetto, organo di rappresentanza del Governo nella provincia, ha inizialmente trovato il suo fondamento normativo negli articoli 18 e 19 dell'ormai abrogato testo unico della legge comunale e provinciale, di cui al regio decreto 3 marzo 1934, n. 383, e, attualmente, nel testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni;
il prefetto si caratterizza come organo di competenza generale del Governo, sebbene dipendente gerarchicamente dal Ministero dell'interno. In quanto tale, il prefetto non può essere considerato come organo decentrato di un settore dell'amministrazione statale, quale è, ad esempio, il dirigente dell'ufficio scolastico regionale nei confronti del ministro della pubblica istruzione;
al prefetto nel corso degli anni sono stati attribuiti una miriade di compiti, funzioni ed interventi, di micro e macro competenze disorganiche e disomogenee con l'unico comune denominatore di riassumere in un'unica, figura istituzionale funzioni e compiti tra loro profondamente diversi;
le competenze amministrative che le varie leggi hanno attribuito al prefetto sono state in buona parte assorbite dai decreti legislativi che hanno trasferito funzioni già dello Stato alle regioni ed alle autonomie locali;
la figura del prefetto ha un suo ruolo in una società in cui non si è compiuto o raggiunto un decentramento della pubblica amministrazione che definisca chiaramente la linea di demarcazione tra compiti e funzioni dell'amministrazione statale e compiti e funzioni dell'amministrazione locale;
il prefetto è in netta contrapposizione con le esigenze di decentramento dello Stato e con la sua evoluzione in Repubblica federale ciò nondimeno non ha perso le funzioni di longa manus del potere politico e amministrativo centrale essendo individuato come il referente supervisore dell'amministrazione centrale dello Stato nella singola provincia;
al fine di raggiungere la completa autonomia amministrativa e per diminuire i costi della macchina pubblica è doveroso attribuire alle amministrazioni locali la pertinenza delle scelte strategiche tecniche e politiche di rilevanza locale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, in un'ottica di riforma dello Stato in senso federale, ovvero di distinzione tra le attribuzioni in capo allo Stato, alle regioni e agli altri enti locali, di attribuire un ruolo più attivo e responsabile alle autonomie locali nella realizzazione degli interessi diffusi delle rispettive comunità con il conseguente ridimensionamento del numero dei prefetti.
9/4612/155.Consiglio, Reguzzoni, Caparini, Volpi, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
il pagamento del canone di abbonamento, istituito con il regio decreto n. 246 del 1938 quando ancora non esisteva la TV, è dovuto per la semplice detenzione di uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle diffusioni televisive, indipendentemente dai programmi ricevuti, a seguito di una sentenza della Corte costituzionale del 2002 che ha riconosciuto la sua natura sostanziale d'imposta per cui la legittimità dell'imposizione è fondata sul presupposto della capacità contributiva e non sulla possibilità dell'utente di usufruire del servizio pubblico radiotelevisivo al cui finanziamento il canone è destinato;
si tratta di una imposta antiquata e iniqua, che non ha alcun motivo di esistere anche in virtù del maggiore pluralismo indotto dall'ingresso sul mercato di nuovi editori e dall'apporto delle nuove tecnologie (DTT, DDT, DVbh, TV satellitare, ADSL, WI-FI, cavo e analogico);
il canone è un'imposta ingiusta, territorialmente e socialmente. Territorialmente, in quanto mentre nel Nord del Paese il mancato pagamento si attesta al 5 per cento, nel meridione oscilla tra il 30 e il 50 per cento. E un'imposta socialmente iniqua in quanto colpisce tutte le fasce di reddito, comprese le più deboli nonostante che il comma 132, articolo 1, della legge finanziaria 2008 come modificato dal decreto-legge 31 dicembre 2007 n. 248 preveda, a decorrere dall'anno 2008, per i soggetti di età pari o superiore a 75 anni e con un reddito proprio e del coniuge non superiore complessivamente a euro 516,46 per tredici mensilità, senza conviventi, l'abolizione del pagamento del canone RAI esclusivamente per l'apparecchio televisivo ubicato nel luogo di residenza,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di abolire il canone di abbonamento alla televisione nonché la relativa tassa di concessione governativa definendo una forma alternativa di finanziamento del servizio pubblico radiotelevisivo secondo criteri di equità, efficacia ed appropriatezza.
9/4612/156.Crosio, Reguzzoni, Caparini, Rainieri, Consiglio, Laura Molteni.

La Camera,
esaminato l'A.C. 4612, recante Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante: Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari,
premesso che:
il provvedimento in esame si inserisce nell'ambito di un piano di misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo dell'Italia, prevedendo anche disposizioni per la riduzione della spesa pubblica;
la Rai è una società per azioni che esercita un'attività di servizio pubblico, interamente partecipata dallo Stato, le cui quote appartengono per il 99,56 per cento al Ministero dell'economia e delle finanze e per lo 0,44 alla Siae;
la Rai è caratterizzata da un modello di finanziamento cosiddetto «misto» che vede la compresenza di risorse pubbliche, costituite dal canone pagato dai cittadini sul possesso di un apparecchio televisivo, e commerciali, costituite dalla pubblicità e tale modello è riconducibile alla duplice attività svolta di concessionaria di un servizio pubblico e di impresa radiotelevisiva all'interno del mercato;
l'emittente pubblica si avvale dei proventi derivanti dal canone, pari a circa 1,6 miliardi di euro l'anno, per coprire i costi derivanti dall'esecuzione degli obblighi ad essa imposti per legge, ai quali va aggiunto un ulteriore miliardo di euro derivante dalla pubblicità, i cui proventi, per legge, assumono il valore di fonte accessoria;
risorse pubbliche e risorse commerciali non sono cresciute nel tempo con la medesima velocità: in particolare, negli ultimi tre decenni, il notevole sviluppo delle risorse derivanti dalla vendita di spazi pubblicitari, ha portato la concessionaria del servizio pubblico ad orientare la propria programmazione soprattutto in funzione del principale concorrente nel mercato, rendendo il prodotto Rai sempre più commerciale e sempre meno «pubblico», ma lasciando invariate le fonti di finanziamento;
seppure la Rai opera in concorrenza con l'altra tv generalista per scelte di programmazione, audience e vendita di contenuti, alcuni dati riportati nei bilanci delle due emittenti televisive, risultano particolarmente discordanti soprattutto in relazione ai costi del personale;
secondo i dati del bilancio consolidato 2010, il costo del lavoro della Rai ammonta a circa i miliardo di euro, a fronte del costo del personale di Mediaset che è inferiore ai 500 milioni di euro;
il personale in organico della Rai al 31 dicembre 2010 (comprensivo di 63 contratti di inserimento e di apprendistato) risulta composto da 11.402 unità, senza considerare i 43 mila contratti di collaborazione (fra cui quelli di giornalisti importanti a quelli dell'ultimo figurante), a fronte dei 4.700 dipendenti (di cui 4.622 a tempo indeterminato) delle società italiane di Mediaset;
gli emolumenti, le indennità di carica, i gettoni di presenza e i rimborsi spese corrisposti dalla Rai agli amministratori sono di 2 milioni 177 mila euro e ai sindaci di 195 mila euro, a fronte dei compensi di Mediaset verso gli amministratori per 834 migliaia di euro e verso i sindaci per 271 migliaia di euro;
il presidente della Rai, nel corso del suo intervento in Commissione vigilanza Rai, ha ribadito l'impegno dell'azienda a lavorare sul fronte del contenimento dei costi, ritenendo necessaria e quanto mai urgente una pianificazione delle attività aziendali che consenta alla Rai di operare sulla base delle sue quote di mercato, del suo profilo patrimoniale e di una situazione economica competitiva,

impegna il Governo

nell'ambito di un piano di interventi volti a diminuire la spesa pubblica, ad intervenire, anche attraverso l'autorità per le garanzie delle comunicazioni e la Commissione per la vigilanza della Rai sugli organi amministrativi dell'azienda concessionaria del servizio pubblico per far sì che le scelte aziendali siano orientate ad un ridimensionamento dei costi, in linea con i competitors presenti sul mercato.
9/4612/157.Dal Lago, Reguzzoni, Caparini, Consiglio, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
all'interno delle disposizioni legislative contenute nel A.C. 4612, così come approvato dal Senato della Repubblica, all'articolo 16, comma 25, viene previsto come, a decorrere dal primo rinnovo dell'organo di revisione successivo alla data di entrata in vigore del decreto, i revisori dei conti degli enti locali siano scelti tramite estrazione da un elenco e come l'individuazione dei criteri per l'inserimento degli interessati nell'elenco medesimo venga attribuita ad apposito decreto ministeriale e nel rispetto di principi quali il rapporto proporzionale tra anzianità di iscrizione negli albi e registri di cui al presente comma e popolazione di ciascun comune, la previsione della necessità di aver in precedenza avanzato richiesta di svolgere la funzione nell'organo di revisione degli enti locali ed infine il possesso di specifica qualificazione professionale in materia di contabilità pubblica e gestione economica e finanziaria degli enti pubblici territoriali;
i princìpi che regoleranno l'elenco regionale si basano su criteri, quali l'anzianità di iscrizione, che non ha un rapporto diretto con la specifica competenza richiesta, e il possesso di specifica qualificazione professionale, difficilmente valutabile non esistendo al momento un titolo in grado di garantire tale «specifica qualificazione», non sembrano in grado di attenuare la accidentalità derivante dall'estrazione casuale altresì prevista dalla norma;
la formulazione attuale della norma potrebbe concorrere al rischio di portare i revisori in possesso di una anzianità maggiore nei comuni di maggiore dimensione, creando così una distorsione con i comuni di entità minori, tanto più che nei comuni fino a 15.000 abitanti, il 90 per cento dei comuni italiani, il collegio dei revisori non esiste e che la funzione di controllo viene svolta da un revisore unico,

impegna il Governo

ad assumere iniziative volte a rivedere la disciplina relativa alla nomina dei componenti del collegio dei revisori degli enti locali in modo da assicurare il soddisfacimento di criteri di competenza e qualificazione di detti organi.
9/4612/158.Forcolin, Reguzzoni, Montagnoli, Bitonci, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
numerose imprese italiane, a causa della grave situazione di instabilità e della crisi politico-istituzionale che ha colpito diversi paesi del Nord-Africa e, in particolare, l'Egitto, la Libia e la Tunisia, hanno evidenti difficoltà nella riscossione dei crediti maturati con riferimento a forniture di beni e servizi effettuate in tali paesi, anche in ragione del fatto che tali crediti, già iscritti, in adempimento agli obblighi civilistici e fiscali, a bilancio, risultano attualmente inesigibili;
la difficoltà di riscossione dei crediti medesimi, aggravata anche dalla contingente situazione economico-finanziaria, determina una condizione di grave difficoltà per le imprese interessate, specie se di piccole e medie dimensioni, anche alla luce del rischio per le stesse di subire un duplice danno consistente, per un verso, nella mancata acquisizione dei crediti maturati e, per altro verso, nella perdita di liquidità che si determinerebbe in conseguenza dell'adempimento degli obblighi tributari;
il legislatore ha disciplinato fattispecie quali quella in oggetto con le disposizioni di cui all'articolo 9 della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente, consentendo con tale norma la rimessione dei termini per gli adempimenti fiscali in presenza di situazioni che impediscano, a causa di forza maggiore, il tempestivo adempimento di obblighi tributari in ragione del fatto che, l'impossibilità di adempiere agli obblighi tributari non sarebbe sotto alcun profilo ascrivibile a responsabilità delle imprese in questione ma anzi alla mancata corresponsione dei debiti contratti, per lo più da amministrazioni pubbliche, in relazione all'instabilità dei paesi interessati;
nell'aprile del 2011 la III Commissione (Affari esteri e comunitari) ha approvato una risoluzione, che riguarda i problemi delle imprese che operavano nei Paesi del Mediterraneo in crisi, successivamente l'onorevole Gidoni ha presentato una proposta di legge in favore delle imprese o società italiane coinvolte nella crisi socio-politica sviluppatasi in Libia, Tunisia ed Egitto e che sullo stesso tema il Governo, nella data del 2 agosto 2011, ha accolto l'ordine del giorno n. 9/04551/001 con cui si chiedeva all'esecutivo di avvalersi della facoltà prevista dal citato articolo 9 della legge n. 212 del 2000, stabilendo inoltre una posticipazione delle prossime scadenze ad una data successiva e comunque entro l'anno in corso così da evitare che le imprese interessate subiscano, dalla perdita di liquidità che ne deriverebbe, danni gravi e irreversibili anche per la continuità della loro attività,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di concedere indennizzi, per la quota non riconosciuta da coperture assicurative, a favore delle imprese italiane, sia persone fisiche sia persone giuridiche, che dimostrino, mediante idonea documentazione, di essere state operanti in Libia alla data del 17 febbraio 2011 e di aver interrotto successivamente a tale data le proprie attività con abbandono dei siti produttivi e degli impianti e rientro in Italia del personale dipendente, nonché a favore delle imprese operanti in Italia in qualità di loro subappaltatori, con esclusione delle società quotate in mercati regolamentati, a copertura:
a) dei danni subiti a cantieri, attrezzature, macchinari e stabilimenti situati in Libia, di proprietà dei medesimi soggetti, per effetto degli eventi bellici successivi al 17 febbraio 2011;
b) dei crediti maturati e non riscossi, per effetto dei medesimi eventi, nei confronti di soggetti pubblici libici, relativi a contratti stipulati o ad attività avviate in data anteriore al 17 febbraio 2011;
c) delle perdite dovute alla mancata esecuzione, alla risoluzione o rescissione, per effetto dei medesimi eventi, di contratti stipulati in data anteriore al 17 febbraio 2011;
d) delle spese di funzionamento, ivi comprese le spese per il personale dipendente, sostenute nel periodo successivo al 17 febbraio 2011 e fino alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, per assicurare la continuità e la ripresa delle attività di cui al comma 1.
9/4612/159.Gidoni, Reguzzoni, Bitonci, Chiappori, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
il rispetto dei vincoli imposti dal Patto di stabilità diventa sempre più di difficile attuazione per gli enti locali, sia per una oggettiva difficoltà dovuta alla grave situazione economico-finanziaria, sia per il fatto che la modalità con la quale si chiede agli enti periferici di concorrere al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica non appare di facile attuazione;
il Governo è intervenuto in numerose occasioni sulla questione del Patto di stabilità e sul rispetto dello stesso da parte degli enti periferici, introducendo, all'interno del contesto di riforma federalista dello Stato, il principio di virtuosità, il quale, rispondendo alla logica secondo la quale gli enti più virtuosi debbano concorrere in modo inferiore al concorso al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica rispetto agli enti meno efficienti;
il principio di virtuosità trova la sua espressione all'interno prima dell'articolo 20 del decreto-legge n. 98 del 2011, laddove viene previsto come, sulla base di determinati parametri di efficienza, i comuni vengano classificati e suddivisi in categorie, così che gli enti che rientrano all'interno della prima classe non concorrano al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, e successivamente all'interno del decreto-legge n. 138 del 2011, ove viene anticipato di un anno l'applicazione del criterio di virtuosità stesso e così come previsto dallo stesso decreto-legge n. 98 del 2011;
l'applicazione del criterio di virtuosità alla sola prima categoria non consentirebbe di dare completa attuazione a quel processo di meritocrazia che invece sottende al criterio stesso e che risponde pienamente al principio di miglioramento dell'efficienza nel settore della pubblica amministrazione presso gli enti periferici e che risiede nella ratio della riforma federalista,

impegna il Governo

ad assumere iniziative volte ad estendere, già dal 2012, l'esclusione dal concorso del raggiungimento dei vincoli di finanza pubblica anche ai comuni che vengano inseriti all'interno della classe immediatamente successiva alla classe più virtuosa.
9/4612/160.Bitonci, Montagnoli, Polledri, Simonetti, Fugatti, Comaroli, Togni, D'Amico, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
all'interno del decreto-legge n. 138 del 2011, e più precisamente all'articolo 2, comma 35, si è provveduto, in fase di analisi del testo durante i lavori presso la Commissione Bilancio al Senato, ad introdurre una novella in base alla quale viene introdotta una imposta di bollo sui trasferimenti di denaro all'estero attraverso gli istituti bancari, e agenzie «money transfer» ed altri agenti in attività finanziaria pari al 2 per cento dell'importo trasferito con ogni singola operazione, con un minimo di prelievo pari e tremila euro;
la legge n. 94 del 2009 prevede che le agenzie di «money transfer» debbano richiedere al soggetto interessato a operazioni di trasferimento di denaro, copia del titolo di soggiorno, qualora questi sia cittadino extra-comunitario, e che in mancanza di tale titolo, le agenzie debbano comunicare entro dodici ore apposita segnalazione all'autorità locale di pubblica sicurezza, trasmettendo i dati identificativi del soggetto,

impegna il Governo

ad adottare ulteriori iniziative normative, volte a rivedere la norma di cui all'articolo 2, comma 35 e relativa ai money transfer al fine di estendere la attuale disposizione anche ai soggetti muniti di matricola INPS e codice fiscale.
9/4612/161. Montagnoli, Reguzzoni, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
i commi 8 e 9 dell'articolo 1 recano modifiche all'articolo 20 del recente decreto-legge n. 98 del 2011 - con il quale è stato ridisegnato il Patto di stabilità interno con l'introduzione di criteri di virtuosità che garantiscono una minore incidenza finanziaria dei vincoli del patto per gli enti virtuosi - ridefinendo e anticipando la decorrenza di alcune misure;
il comma 8, infatti, prevede per gli enti sottoposti al Patto di stabilità interno, l'anticipazione all'anno 2012 delle misure già previste per gli anni 2013 e 2014 dall'articolo 20 comma 5, lettere a) e b) del decreto-legge n. 98 del 2011, e una ridefinizione degli importi previsti. Per le regioni ordinarie 1.600 milioni a decorrere dal 2012 (invece di 800 milioni per il 2013 e 1.600 dal 2014) e per le regioni a statuto speciale e per le Province autonome di Trento e Bolzano: 2.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2012 (invece di 1.000 milioni per l'anno 2013 e 2.000 a decorrere dall'anno 2014);
in sostanza, rispetto al decreto-legge n. 98 del 2011, il comma 8 del testo al nostro esame dispone un aumento del concorso delle autonomie territoriali alla manovra di finanza pubblica per complessivi 6.000 milioni di euro per l'anno 2012;
in sede di conversione del decreto-legge n. 138 è stato approvato un emendamento, attualmente articolo 19-bis, che introduce un'apposita clausola di salvaguardia nei confronti delle autonomie speciali che garantisca che l'attuazione del decreto avvenga in conformità ai rispettivi statuti di autonomia, alle relative norme di attuazione e all'articolo 27 della legge 42 del 2009;
è necessario ribadire che le Province autonome di Trento e di Bolzano sono state le prime a ridefinire con il ministro dell'economia e delle finanze gli impegni da assumere per il Patto di stabilità in attuazione del federalismo fiscale, con l'accordo di Milano del 30 novembre 2009, che si è tradotto nell'articolo 2, commi da 107 a 125, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Legge finanziaria 2010) e hanno conseguentemente modificato il proprio statuto di autonomia, ridisegnando in tal modo la loro autonomia finanziaria;
il nuovo articolo 79 dello statuto speciale del Trentino-Alto Adige, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, come da ultimo modificato dall'articolo 2, comma 107, lettera h), della legge 23 dicembre 2009, n. 191, al comma 3 stabilisce che, nella definizione del concorso agli obiettivi del Patto di stabilità, per le Province autonome di Trento e di Bolzano si deve tenere conto anche degli effetti positivi in termini di indebitamento netto derivanti dall'applicazione delle disposizioni contenute nello stesso articolo 79;
anche la regione autonoma Valle d'Aosta ha sottoscritto l'accordo finanziario con il Governo al fine di concorrere al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà, nonché all'assolvimento degli obblighi di carattere finanziario posti dall'ordinamento dell'Unione europea e delle altre misure di coordinamento della finanza pubblica che si è tradotto nell'articolo 1, commi da 160 a 164, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Legge finanziaria 2011),

impegna il Governo

a definire l'ammontare del concorso delle Province autonome di Trento e di Bolzano e della regione autonoma Valle d'Aosta, agli obiettivi di finanza pubblica, in sede di Legge di stabilità per il 2012, tenendo anche nel dovuto conto quanto previsto, per le Province di Trento e di Bolzano, dall'articolo 79 dello statuto speciale del Trentino-Alto Adige, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, come da ultimo modificato dall'articolo 2, comma 107, lettera h), della legge 23 dicembre 2009, n. 191 e per la regione autonoma Valle d'Aosta dell'articolo 1, commi da 160 a 164, della legge 13 dicembre 2010, n. 220.
9/4612/162. Zeller, Brugger, Nicco.

La Camera,
premesso che:
all'articolo 5, comma 1-bis del provvedimento in esame sono previsti finanziamenti a favore della regione Basilicata per mettere in sicurezza e ripristinare le infrastrutture danneggiate dagli eventi calamitosi del febbraio-marzo 2011;
il presupposto normativo di tale scelta, richiamato nella disposizione, è la dichiarazione dello stato di emergenza avvenuta con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 marzo 2011;
nella stessa data del 10 marzo con separati decreti del Presidente del Consiglio dei ministri era stato dichiarato lo stato di emergenza per la regione Marche e la provincia di Teramo oltre che per la regione Basilicata;
la successiva stima dei danni ha calcolato per la regione Marche un ammontare di circa 500 milioni di euro ampiamente superiore alle altre emergenze dichiarate il 10 marzo 2011;
non si comprende perché sia stato assunto l'impegno per la sola regione Basilicata;
non sono ad oggi stati assunti impegni di spesa per la emergenza riferita alla regione Marche ed alla provincia di Teramo;
la Camera dei deputati ha approvato alla unanimità la mozione 1-00693 nella seduta 502 del 15 luglio 2011 che impegnava il Governo ad emettere la ordinanza di protezione civile a seguito dello stato di emergenza per far fronte a indennizzi a imprese e famiglie danneggiate (comprese le tre vittime subite) e agli interventi di messa in sicurezza e ripristino infrastrutture;
la suddetta mozione prevedeva inoltre la revisione delle modifiche apportate alla legge n. 225 del 24 febbraio 1992, per meglio definire il rapporto Stato-regioni, con specifico riferimento alla possibilità di fronte a stati di emergenza di autorizzare deroghe, a favore degli enti colpiti da calamità, al Patto di stabilità, per gli interventi di immediata e somma urgenza;
sindaci e presidenti di provincia, che hanno dovuto far fronte alle emergenze, chiamando imprese esterne, hanno già contenziosi aperti non potendo onorare finanziariamente gli impegni e paradossalmente rischiano provvedimenti a loro carico essendo intervenuti per rimuovere pericoli e salvaguardare l'incolumità dei cittadini,

impegna il Governo

a rispettare ed attuare i contenuti della mozione 1-00693 approvata dalla Camera assumendo gli impegni necessari per tutti gli stati di emergenza dichiarati non solo per la Basilicata ma anche per la regione Marche e la provincia di Teramo nonché per le emergenze che sono seguite.
9/4612/163.Vannucci, Ciccanti, Agostini, Cavallaro, Merloni, Giovanelli, Ginoble, Lolli, Braga, Mariani.

La Camera,
premesso che:
le novità introdotte dalla cosiddetta Robin Hood Tax penalizzano fortemente il settore elettrico ed energetico;
l'addizionale IRES è estesa alle imprese di trasmissione, di spacciamento e di distribuzione di energia elettrica, a quelle del trasporto e distribuzione del gas naturale, nonché alle imprese che producono energia elettrica tramite fonti rinnovabili (fotovoltaiche, biomasse e fotovoltaiche);
tale imposta ha effetto retroattivo a partire dal gennaio 2011, così compromettendo parte di utili già destinati agli investimenti o ai dividendi da riconoscere a soci e risparmiatori, oltre che allo Stato ove risultasse in quota azionista delle imprese interessate;
il divieto di traslazione dell'imposta sui clienti finali, impedisce di fatto alla autorità di regolazione di determinare le tariffe in modo tale da riconoscere alle imprese le imposte pagate allo Stato (come da sempre previsto dalla regolazione), assicurando loro così una remunerazione corretta, l'equilibrio economico finanziario e la capacità di effettuare gli investimenti pianificati;
il provvedimento per altro ha già ricevuto circostanziate critiche da parte dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas e della Corte dei conti;
l'aumento dell'IRES ridurrebbe le risorse destinate ad accrescere la capacità di operare in sicurezza nel medio periodo da parte del sistema elettrico;
il rischio di una conseguente minore propensione all'investimento nelle fonti rinnovabili potrebbe derivare dalla riduzione dei margini che l'aumento del prelievo fiscale previsto dalla norma indurrebbe;
non è stata resa disponibile dal Governo una accurata valutazione dell'impatto sul Pil della riduzione degli investimenti nel settore energetico derivante dalla richiamata norma nei prossimi anni, (probabilmente all'ordine di 3-4 miliardi di euro), con ciò mettendo a rischio la disponibilità di risorse per effettuare investimenti in un settore che rappresenta uno dei pochi volani per lo sviluppo e la competitività del Paese;
la norma richiamata potrebbe comportare una significativa riduzione dell'indispensabile sviluppo delle infrastrutture energetiche del Paese, condizione irrinunciabile per contenere e ridurre i costi dell'energia e rendere competitivo il sistema energetico italiano;
per quanto sopra esposto sarebbe probabilmente più vantaggioso per lo Stato, e gli utenti (famiglie e imprese) soprassedere all'applicazione delle norme in questione;
si potrebbero in subordine considerare alcune opzioni alternative tra le quali quella dell'eliminazione dell'aliquota IRES del 10,5 per cento per le imprese regolate che dimostrano di aumentare i propri investimenti nel Paese nel prossimo triennio, ovvero della eliminazione del divieto di traslazione dei maggiori oneri sui consumatori, per consentire alle autorità di regolamentazione di garantire una adeguata remunerazione delle attività regolate e per evitare elusioni massicce del divieto medesimo che ricadrebbero comunque sui prezzi dell'energia pagati dalle famiglie e dalle piccole e medie imprese,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di introdurre in un prossimo provvedimento una norma che contenga disposizioni attraverso le quali non si applichino nei confronti dei soggetti che, negli anni 2012, 2013 e 2014 effettuano investimenti superiori del 10 per cento alla media degli investimenti realizzati nel biennio 2009 e 2010 le misure previste all'articolo 7, commi da 1 a 4, del provvedimento in esame.
9/4612/164.Quartiani.

La Camera,
premesso che:
l'Autostrada A 4 che collega Trieste a Torino rappresenta una infrastruttura fondamentale nel sistema dei traffici e dei collegamenti nel Nord-Italia;
l'A4 è anche l'arteria principale che collega il Nord-est con i Paesi del Centro e dell'Est Europa e con quelli dell'Area Balcanica;
anche gli ultimi dati sul traffico segnalano che, in particolare nel tratto Trieste-Venezia vi è stato recentemente un notevolissimo aumento di passaggi di veicoli leggeri e pesanti, per il trasporto di persone e di merci;
la Società Autovie Venete, partecipata quasi totalmente da enti pubblici, con circa l'86 per cento di azioni possedute dalla sola regione autonoma Friuli Venezia Giulia tramite la Finanziaria Friulia Spa, è impegnata nella realizzazione della Terza Corsia, opera indispensabile per adeguare a maggiori livelli di sicurezza e di qualità l'ampio utilizzo del tratto Trieste-Venezia;
il costo dell'opera, che supera i due miliardi di euro, è a totale carico di Autovie Venete pur considerando che l'infrastruttura riveste interesse non solo regionale ma, soprattutto, nazionale ed europeo;
le difficoltà riscontrate da Autovie Venete per il reperimento delle risorse finanziarie necessarie alla realizzazione dell'opera derivano anche dalla incertezza sul prosieguo della concessione che scade nel 2017;
si rende pertanto necessario un intervento anche da parte dello Stato per sostenere la costruzione di questa indispensabile infrastruttura utile allo sviluppo del Nord-Est e dell'intero Paese,

impegna il Governo

a prorogare la durata dell'attuale concessione almeno fino alla scadenza dei mutui che Autovie Venete deve contrarre per la copertura dei costi dell'opera o in alternativa, a stanziare un congruo finanziamento per la realizzazione dell'opera che consenta di diminuire le necessità di indebitamento da parte della società Autovie Venete.
9/4612/165.Strizzolo, Rubinato.

La Camera,
premesso che:
il 1o marzo 2011, nella zona sud della città di Messina ed esattamente nelle frazioni di Mili e San Filippo, si è verificato un evento alluvionale della stessa importanza di quello avvenuto nell'ottobre del 2009 a Giampilieri, Itala e Scaletta Zanclea dove perirono 38 persone. Solo per caso non ci sono state vittime, ma ingenti danni materiali;
il territorio ha subito uno stravolgimento, per cui quello che più preoccupa è il dissesto idrogeologico che in atto permane, che con la ripresa delle piogge autunnali può determinare gravissimi danni anche alle persone con il rischio di dover assistere nuovamente ad una seconda Giampilieri;
la Presidenza del Consiglio dei ministri nello scorso giugno, su istanza della regione Sicilia ha riconosciuto lo stato di calamità naturale, ma a ciò non è seguito nessun atto che stanziasse le risorse necessarie, peraltro tempestivamente definite dalla Protezione Civile (Euro 46.000.000), per mettere in sicurezza il territorio,

impegna il Governo

a erogare in tempi brevi le risorse necessarie per procedere celermente alla messa in sicurezza del territorio colpito dagli eventi alluvionali del 1o marzo 2011 che si sono verificati a Mili e S. Filippo (Messina).
9/4612/166.Stagno d'Alcontres, Fallica, Grimaldi, Terranova, Iapicca, Pugliese.

La Camera,
premesso che:
l'Inail chiude ogni anno il suo bilancio in attivo; le disponibilità liquide vengono depositate sui conti infruttiferi della Tesoreria centrale dello Stato. Al 30 giugno di quest'anno la cifra messa da parte nel corso degli anni dall'istituto ammontava a 18 miliardi e 994 milioni dei quali 1,3 miliardi di attivo del solo 2010;
con la determina 98 del 13 ottobre 2010, l'Inail ha deliberato 2 miliardi di investimenti, dei quali la metà, cioè un miliardo, per la ricostruzione delle aree dell'Abruzzo colpite dal terremoto del 6 aprile 2009, con particolare riguardo all'Aquila dove sono ancora danneggiati l'ospedale e l'università;
secondo la determina, gli interventi in Abruzzo dovrebbero interessare 5 aree: 1) La ricostruzione del tessuto urbano; 2) Il settore sociale, ovvero la realizzazione di campus universitari e piani di edilizia pubblica a canone calmierato; 3) il settore turistico ricettivo, con il recupero e la riqualificazione di alcuni centri storici danneggiati dal sisma; 4) Il recupero di strutture sanitarie; 5) La cultura con interventi su strutture danneggiate o da ricostruire;
a circa un anno dalla deliberazione, le lunghe procedure e i tanti passaggi richiesti dalla normativa attuale, che impone all'Inail di effettuare gli investimenti in Abruzzo in forma indiretta, rappresentano un ostacolo alla rapida realizzazione degli interventi;
il procedimento di «evidenza pubblica» fissato dalla legge, richiede numerosi passaggi (bando, manifestazioni di interesse, selezione valutazione dei progetti da parte di un advisor, via libera dei ministeri vigilanti dopo un'analisi di compatibilità con i saldi di finanza pubblica), ha di fatto bloccato gli investimenti,

impegna il Governo

introdurre, nel previsto provvedimento urgente di sostegno e di rilancio dell'economia, la previsione di un sollecito sblocco delle risorse destinate dall'Inail con determina n. 98 del 13 ottobre 2010 alla ricostruzione delle aree dell'Abruzzo colpite dal terremoto del 6 aprile 2009, anche adottando procedure in deroga che consentano il rapido utilizzo delle risorse ai fini del rilancio economico della regione medesima.
9/4612/167.Pelino.

La Camera,
premesso che:
secondo i più recenti dati disponibili, elaborati da Bankitalia nel 2010, a fine 2009 la ricchezza netta delle famiglie italiane è stimabile in circa 8600 miliardi. Le attività reali rappresentano il 62,3 per cento della ricchezza, le attività finanziarie il 37,7 per cento e nell'ambito di queste circa il 10 per cento del totale è detenuta in forma liquida o immediatamente liquidabile: si tratta di oltre 850 miliardi di euro;
nel confronto internazionale le famiglie italiane risultano relativamente poco indebitate; l'ammontare dei debiti è pari al 78 per cento del reddito disponibile lordo (in Germania e in Francia esso è circa del 100 per cento, mentre negli Stati Uniti e in Giappone è del 130 per cento);
patrimonio e il risparmio delle famiglie italiane, dopo essere stati utilizzati in ambito internazionale per sostenere l'affidabilità del Paese, sono ora sotto l'attacco di un fronte trasversale che intende introdurre un'imposizione sul patrimonio; peraltro le varie ipotesi di tassazione vertono tutte sul reperimento di risorse per ridurre lo stock del debito pubblico, mentre invece è necessario incrementare il PIL, la cui crescita significativa di per sé riduce il rapporto e, in via derivata, crea le risorse per ridurre tale stock;
nel corso dell'estate dal fronte cattolico è intervenuta una proposta che evita odiose imposizioni o espropri, ma tuttavia può distribuire lo sforzo economico che il Paese dovrà sostenere per uscire dalla crisi confidando in altri due fattori di eccellenza del sistema Italia: una rete efficiente di medie imprese e banche fortemente radicate sul territorio;
la proposta consiste in una sorta di maxi prestito forzoso pari al 10 per cento della ricchezza liquida delle famiglie (pari quindi ad oltre 80 miliardi di euro) da convogliare attraverso obbligazioni convertibili in 10 anni, collocate con un tasso che copra l'inflazione tramite le banche (soprattutto locali) in direzione del sistema delle piccole e medie imprese, in base a proposte fatte dalle locali associazioni degli industriali;
tale strategia garantirebbe nuove risorse per gli investimenti, oggi erogati dalle banche col contagocce, produrrebbe aggressivi piani di crescita, rafforzerebbe l'occupazione e potrebbe fornire la base per raccogliere capitali di rischio anche dall'estero,

impegna il Governo

a valutare la proposta presentata in premessa nell'ambito degli interventi di rilancio dell'economia in corso di definizione.
9/4612/168.Pagano.

La Camera,
premesso che:
la politica per la famiglia è sempre stata al centro della proposta politica del Popolo della Libertà; l'introduzione del «Quoziente familiare», o della sua versione più recente ed evoluta definita «Fattore famiglia», appare ormai non più procrastinabile ove si considerino i benefici effetti sui consumi, sulla necessità di un ricambio demografico della popolazione, sul lavoro e sinanco sulla struttura morale del Paese; i costi del «Fattore Famiglia» sono valutati tra i 15 e i 20 miliardi di euro annui;
tuttavia in Italia, solo il 3,8 per cento della spesa sociale è destinato alla famiglia, contro una media europea dell'8,2 e del 10 per cento nei Paesi del Nord Europa; in termini di prodotto interno lordo la spesa media dell'Unione europea a sostegno delle politiche per la famiglia è pari al 2 per cento, mentre l'Italia solo nell'ultimo biennio è stata in grado di superare la soglia dell'1 per cento;
peraltro il welfare, che assorbe quasi il 20 per cento del PIL è concentrato essenzialmente sugli anziani e sul disagio sociale; esso opera per la gran parte tramite erogazione diretta di denaro e nel suo ambito sono segnalate ampie sacche di spreco, di erogazione di prestazioni non dovute e di situazioni di vero e proprio abuso di diritto,

impegna il Governo

ad introdurre nell'ambito della riforma fiscale in corso di discussione il «Quoziente o Fattore Familiare», concentrato esclusivamente sui figli, individuando le risorse necessarie nella riforma del welfare, nella eliminazione degli assegni familiari, nell'estensione alle prestazioni assistenziali non dovute del principio dell'abuso di diritto.
9/4612/169.Vincenzo Fontana, Pagano, Torrisi.

La Camera,
premesso che:
in sede di approvazione del federalismo fiscale e delle varie manovre, che nei mesi si sono succedute, sono stati assunti dal Governo e dal Parlamento impegni atti a rivedere il Patto di stabilità in termini premiali per comuni capaci di rispettare l'equilibrio finanziario in modo da dar loro l'opportunità di erogare servizi e prestazioni in linea con le esigenze del territorio;
rilevato che:
la complessa e insostenibile situazione in cui versano gli enti locali per effetto dei tagli e dei vincoli del Patto di stabilità, sta compromettendo la loro autonomia e li rende incapaci di far fronte alle legittime aspettative dei propri cittadini che vedono erodersi sempre più servizi ed infrastrutture,

impegna il Governo

a prevedere una modifica al Patto di stabilità per i comuni per la parte inerente alle spese di investimento.
9/4612/170.Laganà Fortugno, Rampi.

La Camera,
premesso che:
la correzione dei conti pubblici realizzata con il decreto-legge n. 138 del 2011, ha sollevato un acceso dibattito pubblico sulla necessità di eliminare alcuni dei privilegi fiscali riconosciuti alla Chiesa cattolica e, più in generale, alle confessioni religiose relativamente agli immobili di proprietà;
l'esenzione da qualunque tributo ordinario o straordinario riconosciuta ai fabbricati di proprietà della Santa Sede elencati negli articoli da 13 a 16 del Trattato del Laterano dell'11 febbraio 1929, è garantita dagli articoli 7 e 10 della Costituzione ed è modificabile solo attraverso una specifica revisione degli stessi patti lateranensi;
la ratio dell'esenzione prevista dall'articolo 7 numero 1 lettera d) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, relativa ai fabbricati destinati esclusivamente ai luoghi di culto e alle loro pertinenze - e cioè sostenere la libertà religiosa - è comunemente accettata e riconosciuta come meritevole da buona parte della società italiana, sebbene la determinazione di «pertinenza» sia piuttosto incerta, rientrando eventualmente nella stessa anche l'abitazione del ministro di culto ed alcuni fabbricati accessori;
è consolidata e diffusa la convinzione che l'esenzione prevista dall'articolo 7 numero 1 lettera i) del suddetto decreto legislativo per gli immobili - di proprietà di enti pubblici e privati diversi dalle società, inclusi gli enti ecclesiastici - destinati allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricreative, ricettive e sportive abbia un'applicazione troppo ampia, grazie alla quale si finisce per includere nel regime di esenzione attività eminentemente commerciali, determinando in questo modo un'alterazione della concorrenza nei settori interessati;
in virtù dell'articolo 39 del decreto-legge n. 223 del 2006, infatti, l'esenzione di cui sopra è riconosciuta alle attività che «non abbiano esclusivamente natura commerciale», di fatto estendendo l'agevolazione ben oltre le finalità per le quali essa è stata istituita;
il doveroso contrasto dell'evasione e dell'elusione fiscale, che ha ad esempio portato l'Italia ad intervenire presso la Repubblica di San Marino perché gli istituti bancari ivi residenti adottassero misure e procedure di trasparenza, in linea con la normativa comunitaria, impone l'apertura di un tavolo di discussione con la Santa Sede, con particolare riferimento alla governance e alle procedure adottate dallo IOR,

impegna il Governo

ad intervenire per via legislativa o regolamentare per una interpretazione precisa del concetto di «pertinenza», al fine di restringere il campo di applicazione ai fabbricati direttamente connessi all'attività di culto;
a escludere dalle esenzioni fiscali sugli immobili le attività commerciali, anche se esercitate non in via esclusiva, facendo salve solo quelle accessorie fino ad un fatturato massimo di diecimila euro annui;
ad attivarsi in via diplomatica presso la Santa Sede per la piena adesione dello IOR alle norme in materia di evasione ed elusione fiscale, riciclaggio e frodi vigenti nell'Unione europea.
9/4612/171.Raisi.

La Camera,
premesso che:
una delle leve della manovra è rappresentata dal rafforzamento delle misure volte a contrastare l'evasione fiscale che ha raggiunto in Italia la ragguardevole seppur prudenziale cifra di 120 miliardi di euro di mancati introiti per lo Stato;
lo scorso agosto è stato siglato tra Svizzera e Germania un accordo che pone fine alle «questioni fiscali in sospeso»; in particolare, in base a tale accordo dal gennaio 2013 le plusvalenze che i residenti tedeschi realizzeranno sui conti svizzeri verranno tassate alla fonte con una aliquota del 26,375 per cento. Saranno poi le banche a versare i proventi della tassazione al fisco tedesco ed il regime di tassazione risulta uguale a quello applicato in terra tedesca con il vantaggio che la Svizzera tutela ancora l'anonimato;
risulterebbe in via di perfezionamento un analogo accordo tra la Svizzera ed il Regno Unito ma con una ritenuta ancora più alta;
in base a tali accordi, per quanto riguarda i capitali in nero depositati negli anni passati, sarebbe prevista una regolarizzazione una tantum con ritenuta variabile a seconda della durata del conto e dell'ammontare depositato;
la definizione di un analogo accordo da parte dell'Italia, oltre a recuperare i rapporti tra i due paesi, costituirebbe una entrata certa e continua per le casse dello Stato ed eliminerebbe una quota consistente di evasione fiscale,

impegna il Governo

ad adoperarsi affinché vengano riallacciati i rapporti con la Svizzera finalizzati alla chiusura di un accordo sulla tassazione dei depositi di coloro che non hanno aderito allo scudo fiscale, sulla scia delle intese già concluse o in via di conclusione realizzate con Germania e Regno Unito.
9/4612/172.Ciccanti, Rubinato.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 01 - aggiunto nel corso dell'esame al Senato - prevede oltre alla predisposizione di un programma per la riorganizzazione della spesa pubblica diretto anche individuare, attraverso la sistematica comparazione di costi e risultati a livello nazionale ed europeo, eventuali criticità nella produzione ed erogazione dei servizi pubblici, anche l'avvio di un ciclo di «spending review», mirato alla definizione dei costi standard dei programmi di spesa delle amministrazioni centrali dello Stato;
il comma 1 dell'articolo in esame attribuisce al ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con i Ministeri interessati, il compito di presentare al Parlamento entro il 30 novembre 2011 un programma per la riorganizzazione della spesa pubblica;
si prevede, infine , l'avvio, a partire dall'anno 2012, da parte del Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, d'intesa con i Ministeri interessati, di un ciclo di «spending review» mirata alla definizione dei costi standard dei programmi di spesa delle amministrazioni centrali dello Stato,

impegna il Governo

a predisporre ed introdurre nel prossimo disegno di legge di stabilità il programma per la riorganizzazione della spesa pubblica e ad avviare contestualmente nella medesima sede il ciclo di «spending review», mirato alla definizione dei costi standard dei programmi di spesa delle amministrazioni centrali dello Stato.
9/4612/173.Occhiuto.

La Camera,
premesso che:
l'Italia è oggi il fanalino di coda in Europa e nel mondo per numero di ricercatori rispetto alla popolazione pur essendo i ricercatori italiani tra i primi per la loro produttività individuale;
il decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (decreto legislativo Brunetta) stabilisce che i comparti di contrattazione sono solo 4: le università quindi, come peraltro gli Enti di ricerca e l'AFAM (conservatori musicali, accademie ecc.) dovranno essere accorpati con la scuola o con i ministeri, enti pubblici non economici, agenzie fiscali ecc. perdendo qualsiasi specificità ma soprattutto espropriando i rettori e i presidenti degli enti del Governo dei propri dipendenti visto che a decidere le linee contrattuali non sarà il Governo e nemmeno il ministro dell'istruzione e dell'università e della ricerca ma il ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione qualora questi comparti fossero messi insieme ai ministeri;
la perimetrazione per via contrattuale di un'area importante della cultura è fondamentale ai fini della identificazione di settori che, in prospettiva, dovranno essere salvaguardati da ulteriori tagli alla spesa per essere oggetto di provvedimenti specifici finalizzati allo sviluppo del Paese;
è opportuno salvaguardare la specificità dei ricercatori e tecnologi in primis ma anche di tutte le professionalità che operano in questi settori che altrimenti sarebbero confusi (vista la esiguità degli addetti) o nel calderone dei dipendenti della scuola (quasi 20 volte più numerosi della somma dei tre comparti) o delle altre amministrazioni (quasi 10 volte più numerosi),

impegna il Governo

a prevedere la possibilità di poter costituire, in materia di personale, un comparto di contrattazione aggiuntivo a quelli previsti dal decreto legislativo n. 150 del 2009 riservato al personale delle Università, degli enti di ricerca e dell'AFAM con un Comitato di settore composto da rettori, presidenti degli enti di ricerca e direttori dell'AFAM in modo proporzionale al numero degli addetti al fine di gestire in maniera appropriata le specificità per il personale a tempo determinato che come è noto ha norme specifiche e peculiari nel settore dell'Università e della ricerca.
9/4612/174.Binetti.

La Camera,
premesso che:
le indagini sugli andamenti economici dell'economia italiana testimoniamo in modo inequivocabile il grave disagio economico e sociale in cui versa il nostro Paese;
le difficoltà dell'economia italiana sono maggiormente evidenti nelle aree meridionali del Paese, dato dimostrato dal paper «Nord e Sud: insieme nella crisi, divergenti nella ripresa», il quale evidenzia che in termini di PIL nel 2010 l'Italia cresce meno della media europea (Italia 1,3 - UE 1,8) e che, in questo periodo, il Mezzogiorno ha segnato un modesto +0,2 per cento contro un +1,7 per cento del Centro-Nord e quindi che la ripresa nel 2010 è stata molto più sostenuta nel Centro-Nord rispetto al Mezzogiorno;
tra i dati particolarmente allarmanti riportati nel paper in termini di consumi, occupazione e disoccupazione, vanno segnalati innanzitutto i dati riguardanti gli investimenti, che nel 2010 hanno fatto registrare un +2,5 per cento a livello nazionale, ma al Centro-Nord sono tre volte superiori al Sud (+3,1 per cento contro il +0,9 per cento) e, in secondo luogo, il tasso di occupazione giovanile (15-34 anni) che nel 2010 si è attestato ad appena il 31,7 per cento contro il 56,5 per cento del Nord, segnando un divario di 25 punti;
in questo quadro di per sé grave, si inserisce una manovra economica che, concentrandosi quasi esclusivamente sugli equilibri di bilancio, non contiene misure strutturali volte ad affrontare e risolvere le reali emergenze del Paese, anzi rischia di penalizzare ulteriormente il Sud, risultandone socialmente insostenibile;
per favorire il concreto sviluppo dell'economia italiana occorrerebbe adottare misure di incentivazione delle iniziative imprenditoriali, soprattutto per i giovani e le donne, favorire la crescita dimensionale delle imprese e potenziare gli strumenti per agevolare l'accesso al credito;
è quindi necessario intervenire per interrompere questo perdurante processo di declino attraverso la ridefinizione di una specifica politica di sviluppo per il Sud che veda soprattutto le giovani generazioni come attori e protagonisti principali della rinascita meridionale,

impegna il Governo:

a rivisitare complessivamente la materia degli incentivi finalizzati all'autoimprenditorialità ed all'autoimpiego, attualmente disciplinata dai titoli I (autoimprenditorialità) e II (autoimpiego) del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185, al fine di consentire un più agevole accesso al credito, di favorire l'orientamento dell'impresa alla specializzazione e all'internazionalizzazione, nonché di riordinare il mercato del lavoro e del capitale in relazione ai fabbisogni dei territori;
ad adottare specifici interventi riguardanti le tipologie di investimento ammissibili, la rimodulazione dei tetti di investimento e dei settori merceologici agevolabili, l'articolazione del programma di investimento, l'innalzamento della quota del mutuo agevolato a fronte del contributo a fondo perduto, la definizione di un nuovo sistema agevolativo relativo alle spese di funzionamento e di gestione, la collaborazione ed il coinvolgimento di altre imprese nello start-up dell'iniziativa nonché in attività in grado di accrescere la capacità innovativa e la competitività sul mercato, la determinazione di un quadro procedurale ed amministrativo flessibile ed operativo, la partecipazione finanziaria del sistema bancario, il coinvolgimento attivo delle strutture formative, del sistema universitario e del mondo della ricerca.
9/4612/175.Ria.

La Camera,
premesso che:
molteplici mozioni e ordini del giorno sono stati già approvati dal Parlamento e accolti dal Governo in relazione a diversi provvedimenti approvati nel corso di questa legislatura in cui si invitava a rivedere le regole del patto di stabilità per i comuni, con riferimento in particolare agli enti che presentano indici finanziari positivi, in quanto eccessivamente pesanti in termini finanziari e penalizzanti il versante degli investimenti e la crescita del Paese;
la situazione economico finanziaria dei comuni risulta insostenibile a causa delle cospicue riduzioni sul versante delle entrate, a cui si sommano gli obiettivi posti dal patto di stabilità;
il quadro finanziario e fiscale che dovrebbe regolare i rapporti e dettare i comportamenti delle autonomie territoriali, delineato dalla legge n. 42 del 2009 e i relativi decreti attuativi, risulta fortemente o definitivamente compromesso dalle manovre succedutesi negli ultimi due anni;
il quadro normativo risulta caratterizzato da disposizioni che eliminano l'autonomia organizzativa e gestionale dei comuni violando i principi costituzionali contenuti negli articoli 114, 117 e 119 della Costituzione;
la revisione dell'assetto istituzionale dei comuni si sta caratterizzando per il susseguirsi di modifiche ordinamentali disorganiche, confuse e contraddittorie che mettono a repentaglio il funzionamento ordinario degli stessi enti e la possibilità di continuare a erogare i servizi fondamentali ai cittadini;
le disposizioni contenute nel presente provvedimento richiedono una fase successiva di adattamento, attuazione con scadenze temporali non ravvicinate e presentano profili di eventuale incostituzionalità con il ruolo costituzionale assegnato ai comuni,

impegna il Governo

a procedere in tempi rapidi all'istituzione di una Commissione mista paritetica, composta dal Governo e dai rappresentanti delle regioni, delle province e dei comuni con il compito di fare una verifica della legislazione vigente in materia di patto di stabilità, costi di funzionamento degli organi e degli apparati della Repubblica, assetto istituzionale ed amministrativo con l'obiettivo di predisporre una proposta di riforma complessiva in senso federale entro 90 giorni secondo i principi di riduzione degli organi e dei costi, di soppressione delle duplicazioni, di semplificazione dei processi decisionali e di valorizzazione dell'autonomia dei territori e della responsabilità verso i cittadini.
9/4612/176.Libè, Bosi, Delfino.

La Camera,
premesso che:
nel corso degli ultimi anni il sistema giudiziario ha registrato una rilevantissima crisi produttiva, evidenziata dalle impietose statistiche annuali sulla durata media dei procedimenti;
si rendono quindi necessari degli interventi anche alla luce del pregiudizio per la finanza pubblica conseguente all'incremento degli esborsi subiti per la violazione del principio costituzionale di ragionevole durata del processo e delle connesse infrazioni degli obblighi assunti in sede comunitaria;
la situazione di crisi in cui versa il sistema giudiziario non può protrarsi ulteriormente nel tempo, visto che lo stallo della giustizia civile contribuisce in modo determinante ad impedire la crescita economica del Paese;
una giustizia civile lenta e poco affidabile concorre infatti alla mancata crescita delle aziende italiane;
l'efficienza del sistema giustizia è essenziale infatti per lo sviluppo della nazione, atteso che, attualmente, esso rappresenta un costo come l'1 per cento del PIL e che l'ex Governatore della Banca d'Italia, nella sua ultima relazione, individua l'efficientamento della giustizia tra le otto priorità per favorire la ripresa economica in Italia;
va osservato che secondo gli ultimi dati della Cepej la produttività dei singoli giudici italiani è la più alta rispetto alla media europea; eppure, la durata dei processi ordinari in primo grado supera i mille giorni, collocando l'Italia al 157esimo posto su 183 paesi nelle graduatorie della Banca mondiale;
molteplici e concomitanti possono essere considerate le cause della crisi della giustizia: farraginosità del sistema procedurale, insufficienza delle risorse soggettive e materiali, non da ultimo il sistema delle notifiche degli atti del procedimento. Infatti, la pratica giudiziaria insegna come lunghissimi tempi siano impegnati, tanto nelle indagini quanto nella fase processuale vera e propria, nel tentativo di notificare la sequenza di atti prevista dal codice di rito, in ossequio ad esigenze di garanzia processuale e di rispetto di tutte le parti del procedimento che rendono necessario che tutti i passaggi e le fasi del procedimento siano di volta in volta portati a conoscenza, con elevato grado di certezza, di tutte le parti che ne abbiano interesse;
appaiono quindi necessarie misure urgenti, in attesa di una più razionale ed organica riforma del processo civile, fondata sulla semplificazione del procedimento;
quindi, in vista di una indifferibile complessiva e strutturale riforma della giustizia è opportuno avviare, quanto prima, una seria informatizzazione, oggi ancora in fase di sperimentazione, e un cambiamento della geografia giudiziaria, ormai anacronistica in quanto non più rispondente alle attuali esigenze economiche e sociali del Paese;
una più efficiente gestione del processo produrrebbe una conseguente ricaduta positiva sui tempi e sui costi della giustizia;
l'esecutivo, anche su iniziativa dei gruppi parlamentari di opposizione, ha assunto consapevolezza della gravità della situazione e dimostrato di voler affrontare la problematica in seno alle misure resesi necessarie per contenere gli effetti della crisi economica e promuovere lo sviluppo del Paese,

impegna il Governo

a prevedere una riforma del codice di procedura civile e penale che promuova, con preferenza rispetto ad altre forme, il sistema garantito e protetto della posta elettronica certificata ai fini delle notifiche, prevedendo in particolare che la notifica con tale sistema sia adottata quando è previsto un sistema di pubblica o privata certificazione che ne consenta l'adozione, istituzionalizzando tale modalità nei rapporti con l'avvocatura; ciò comportando un enorme risparmio in termini di spesa corrente e di impiego di mezzi e personale.
9/4612/177.Rao.

La Camera,
premesso che:
nella sua attuale formulazione, l'articolo 11, al comma 1, limita la possibilità di accesso ai tirocini formativi unicamente ai neo-diplomati o neo-laureati entro un anno dal conseguimento del relativo titolo di studio, facendo eccezione solo per alcuni soggetti vulnerabili espressamente indicati nello stesso articolo;
ne resterebbe, dunque, di fatto esclusa, tra le altre categorie di soggetti, la quasi totalità dei richiedenti asilo e dei titolari di protezione internazionale o umanitaria;
è opportuno sottolineare che il tirocinio formativo rappresenta uno strumento importante per l'inserimento lavorativo sia dei richiedenti asilo (i quali nei sei mesi successivi alla presentazione della domanda di asilo non possono svolgere attività lavorativa ma solo beneficiare di programmi di formazione, anche professionale, ai sensi dell'articolo 11, comma 1 del decreto legislativo n. 140 del 2005) sia dei titolari di protezione internazionale;
a tal proposito, i titolari di status di rifugiato o di protezione sussidiaria, sono equiparati ai cittadini italiani nel diritto al lavoro ed alla formazione professionale, ai sensi dell'articolo 25, comma 1 del decreto legislativo n. 251 del 2007;
è, inoltre, opportuno sottolineare che i tirocini svolti da richiedenti asilo e titolari di protezione sono solitamente realizzati nel contesto di particolari programmi di assistenza e sostegno all'integrazione, e sono quindi di norma seguiti da enti ed associazione qualificati che contribuiscono a garantirne un corretto svolgimento,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di procedere con provvedimenti successivi a riformulazione complessiva della norma che, pur preservando l'obiettivo di contrastare gli abusi di questo strumento, non ne limiti l'accesso ai soli neolaureati/neodiplomati ad un anno dal conseguimento del titolo, salvaguardando, in ogni caso, per i richiedenti asilo e per i titolari di protezione internazionale, la possibilità di accedere allo strumento dei tirocini formativi e di orientamento.
9/4612/178. Pezzotta, Bossa.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 1, comma 12, ultimi tre periodi, prevede l'applicazione, a far data dalla conversione del decreto-legge n. 138 stesso, dell'Imposta provinciale di trascrizione (IPT) in misura esclusivamente proporzionale alle formalità di iscrizione e trascrizione sui veicoli nuovi ed usati presso il Pubblico registro automobilistico (PRA), con abolizione dell'imposta minima fissa per gli «atti soggetti ad IVA»;
tale disposizione realizza forti incrementi del citato tributo, aumentando i costi di immatricolazione e di trasferimento di proprietà dei veicoli stessi;
detti incrementi tariffari sarebbero, quanto meno in prima istanza, applicabili, ai sensi del comma 5 dell'articolo 17, del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, nonché ai sensi dell'articolo 19-bis introdotto in sede di conversione del decreto-legge n. 138 stesso, solamente alle province delle regioni a statuto ordinario, creando una incostituzionale grave disparità di trattamento a seconda della residenza o sede degli utenti, nonché la probabile migrazione di concessionari e commercianti di veicoli, società di noleggio e/o leasing automobilistico verso le province ubicate nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome e la praticamente certa apertura in queste ultime di sedi secondarie (fittizie) dei nominati soggetti, con, in aggiunta, rilevanti spostamenti di gettito della tassa automobilistica (regionale) verso dette «autonomie», naturalmente a detrimento delle regioni a statuto ordinario,

impegna il Governo:

in ossequio a quanto disposto al comma 7 del richiamato articolo 17 del decreto legislativo n. 68 del 2011, che postula la promozione del riordino dell'IPT attraverso il disegno di legge di stabilità o un disegno di legge ad essa collegato, ad attuare detta promozione con interventi ulteriormente migliorativi rispetto ai criteri base di riordino, nel tempo più breve possibile, per cercare di renderlo operativo già dal 2012, anche allo scopo di ovviare alle sperequazioni e problematiche sopra evidenziate;
ad assicurare l'omogenea e contemporanea attuazione del nuovo calcolo dell'IPT su tutto il territorio nazionale, ossia in tutte le province senza eccezioni né distinguo basati sulla tipologia o autonomia statutaria regionale o provinciale.
9/4612/179. Scanderebech.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 1 del disegno di legge di conversione del decreto-legge contiene una delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari;
tra i criteri individuati viene prevista la possibilità di unificare più uffici di procura indipendentemente dall'eventuale accorpamento dei rispettivi tribunali, prevedendo, in tali casi, che l'ufficio di procura accorpante possa svolgere le funzioni requirenti in più tribunali,

impegna il Governo:

nella predisposizione dei provvedimenti delegati, a considerare tale possibilità a carattere di sussidiarietà e trovi applicazione laddove non sia possibile invece assicurare una uniformità e un allineamento tra tribunali e uffici di procura, che dovrebbero essere salvaguardate quando emergano particolari esigenze legate alle peculiarità territoriali e alla densità criminale;
a tenere in debita considerazione la specificità di ciascuna realtà territoriale sia in considerazione della densità criminale comune e organizzata che della morfologia del territorio, con particolare attenzione alla fruibilità e accessibilità del servizio giustizia nelle isole minori. Più in generale a valutare l'accessibilità in termini infrastrutturali, avendo riguardo, quindi, alla distanza chilometrica tra le sedi interessate, considerando le infrastrutture esistenti e il complessivo sistema di trasporto e di mobilità pubblica e privata.
9/4612/180. Mantini.

La Camera,
premesso che:
i Programmi integrati ex articolo 18 della legge n. 203 del 1991 comprendono la realizzazione di edilizia da destinare alla locazione a canone concordato per le Forze dell'ordine impegnate nella lotta alla criminalità organizzata e ad edilizia sociale (edilizia residenziale finalizzata alla locazione per soggetti disagiati, asili, scuole materne, elementari, infrastrutture, parchi, spazio per tempo libero, centri sociali, tali opere sono da realizzare su richiesta delle amministrazioni comunali);
alcuni Programmi integrati hanno completato l'iter amministrativo previsto dall'articolo 11 della legge n. 136 del 1999 (per questi interventi è stato stipulato e ratificato l'Accordo di programma il 31 dicembre 2007, data di scadenza delle proroghe concesse dal legislatore) mentre per altri sono sorte difficoltà attuative che di fatto impediscono la realizzabilità nella localizzazione proposta;
questi programmi sono già stati ammessi al finanziamento, come risulta dalla comunicazione che il Ministero delle infrastrutture e trasporti ha inviato ai soggetti attuatori;
al fine di ottimizzare le risorse che questi programmi generano, le amministrazioni regionali e comunali stanno verificando nuove localizzazioni differenti dalle originarie;
è opportuno evidenziare che la proposta di rilocalizzazione non comporta oneri aggiuntivi, giacché si tratta di finanziamenti pubblici già impegnati ed accantonati dal Ministero delle infrastrutture e trasporti per la realizzazione di tali stessi programmi;
le associazioni di categoria dei dipendenti pubblici (sindacati, Cocer, ecc.), impegnati nella lotta alla criminalità organizzata, costantemente sollecitano la realizzazione di interventi ex articolo 18 della legge n. 203 del 1991, in quanto, con gli stessi si contribuisce a fronteggiare la particolare gravità della situazione italiana sul piano della logistica di supporto alla mobilità delle Forze dell'ordine che vengono attualmente alloggiate in strutture private (alberghi), i cui costi sono a totale carico della finanza pubblica, mentre sarà possibile ottenere un notevole risparmio realizzando unità immobiliari da concedere in locazione a canone convenzionato;
con la rilocalizzazione si potrebbe raggiungere un duplice obiettivo, assegnare alle Forze dell'ordine alloggi di servizio a canone calmierato e, quindi favorire la mobilità del personale di servizio alle istituzioni, e dare una boccata di ossigeno alle imprese edili che hanno la possibilità di sfruttare in breve tempo le risorse disponibili e di fatto, allo stato attuale, non utilizzabili,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere una proroga del termine ultimo di cui all'articolo 4, comma 150, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, per la ratifica degli Accordi di programma di cui all'articolo 34 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 che consentirebbe la realizzazione di circa 3700 alloggi su tutto il territorio nazionale da cedere in locazione alle Forze dell'ordine a canone convenzionato/agevolato.
9/4612/181. Tassone.

La Camera,
premesso che:
la manovra oggi all'esame del Parlamento ignora completamente l'agricoltura salvo coinvolgerla nei tagli lineari agli incentivi per garantire comunque la tenuta dei saldi finanziari;
anche in questa occasione il Governo si è mostrato del tutto insensibile ai problemi del settore, ignorando che oggi 3 imprese su 5 hanno bilanci in «rosso»;
oltre 350 mila aziende, rischiano di rimanere fuori dal mercato alle prese con costi sempre più proibitivi, con redditi falcidiati dalla crisi e con prezzi sui campi sempre meno remunerativi;
la legge 15 luglio 2011, n. 111, di stabilizzazione finanziaria, consente l'esdebitazione anche delle imprese agricole che potranno fruire di specifica procedura concorsuale per far fronte alla gestione dell'insolvenza;
il ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali nello scorso mese di luglio aveva dichiarato, con molta enfasi, che con tale norma si sarebbero sistemati i problemi di ristrutturazione del debito agricolo di oltre 980.000 aziende di cui ben 700.000 nel Mezzogiorno, dove l'esposizione finanziaria è particolarmente grave;
tale norma, dovrebbe essere risolutiva dei problemi finanziari che gravano da tempo sulle imprese, e rappresentativa di una nuova sensibilità e attenzione verso il settore agricolo da tempo privo di una reale considerazione soprattutto per le aziende maggiormente in difficoltà,

impegna il Governo

a dare urgente attuazione a tale normativa per dare certezze e prospettive ad un milione e mezzo di aziende a conduzione familiare che operano in agricoltura svolgendo una insostituibile funzione di tutela ambientale e di produzione di derrate alimentari di qualità.
9/4612/182.Naro, Delfino.

La Camera,
premesso che:
la speranza di vita degli italiani è passata da circa 74 anni per gli uomini e 80 per le donne nei primi anni 90 agli attuali 78,4 per gli uomini e 84 anni per le donne, secondo la relazione sullo stato sanitario del Paese presentata pochi mesi fa dal ministro della salute;
i cambiamenti intervenuti nelle aspettative di vita influiscono sui regimi previdenziali adottati dagli Stati che infatti stanno anticipando le rispettive soglie della pensione; gli inglesi andranno in pensione a 67 anni già nel prossimo decennio invece che nel 2030; in Germania l'età pensionabile sta gradualmente salendo a 67, ma ce già l'ipotesi di alzare l'età a 69 anni; in Francia già dallo scorso anno si è passati da 60 a 62 e da 65 a 67 anni per l'età pensionabile;
secondo l'OCSE gli italiani sono quelli che hanno la vita «pensionistica» più lunga: 27,3 anni per le donne e 22,7 per gli uomini (solo la Grecia è superiore) contro i 20,7 delle tedesche e i 17 anni dei tedeschi;
l'età media dell'uscita dal mondo del lavoro è di 61,1 anni degli italiani e 58,7 delle donne contro una media OCSE di 63,9 per gli uomini e 62,4 delle donne;
queste stime evidenziano l'anomalia del sistema previdenziale italiano che si traduce in uno sbilanciamento generazionale che alla lunga mina la sostenibilità del sistema stesso;
sono urgenti le riforme strutturali richieste al nostro Paese da parte delle istituzioni europee per la tenuta dei conti pubblici ed il rispetto dei vincoli di bilancio europei,

impegna il Governo

ad adottare in tempi rapidi ogni provvedimento utile a garantire la sostenibilità del sistema previdenziale italiano realizzando quelle riforme strutturali richieste dalle istituzioni europee e già attuate in gran parte degli Stati membri dell'Unione europea.
9/4612/183.Poli, Ruggeri.

La Camera,
premesso che:
nonostante il costo del greggio sia ancora molto lontano dal record del luglio 2008 (la differenza è di 61 dollari al barile), in questi giorni il prezzo industriale della benzina verde ha toccato il livello di 1,625 euro al litro (poco lontano dal record di 1,67 euro al litro fissato ad agosto) contro 1,56 euro al litro registrato nel 2008;
il prezzo industriale dei carburanti praticato dalle compagnie petrolifere è ormai fuori controllo e non trova alcuna giustificazione, tenuto conto altresì del rafforzamento dell'euro rispetto al dollaro;
al fine di finanziare gli oneri per lo stato di emergenza determinato dall'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti a paesi del Nord Africa e per finanziare gli oneri conseguenti all'aumento delle risorse del FUS - Fondo unico dello spettacolo, con due successivi provvedimenti legislativi (decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, e decreto-legge 12 luglio 2011, n. 107) il Governo stabiliva un aumento di 4 centesimi delle accise;
l'aumento di un punto percentuale dell'IVA introdotto dal comma 2-bis dell'articolo 2 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo avrà evidenti ripercussioni indirette sulla spesa delle famiglie ed i bilanci delle imprese (specie quelle medio-piccole), già vessati da una incontrollata ascesa dei prezzi dei carburanti,

impegna il Governo

a favorire un più attento monitoraggio dei prezzi dei prodotti energetici praticati dalle compagnie petrolifere d'intesa con il Garante per la sorveglianza dei prezzi, onde evitare odiosi fenomeni speculativi che possano ulteriormente danneggiare i consumatori italiani nonché a procedere al taglio delle accise coerentemente a quanto si era già impegnato a fare.
9/4612/184.Compagnon.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 5-bis, introdotto al Senato, reca una deroga in favore delle regioni ricomprese nell'Obiettivo convergenza ai limiti di spesa, introdotti dalla disciplina del Patto di stabilità interno, per le regioni a statuto ordinario relativamente alla spesa in termini di competenza e di cassa effettuata annualmente da ciascuna regione a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione sociale, sui cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari a finalità strutturale, nonché sulle risorse del Fondo infrastrutture;
tale deroga è finalizzata a garantire l'efficacia delle misure finanziarie per lo sviluppo delle regioni dell'Obiettivo convergenza e l'attuazione delle finalità del Piano per il Sud;
i maggiori oneri derivanti dalla deroga ai tetti di spesa fissati dalla legge per il Patto di stabilità interno in favore delle regioni dell'Obiettivo convergenza, dovranno essere compensati attraverso l'attribuzione allo Stato ed alle restanti regioni dei relativi maggiori oneri da stabilire con decreto del ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale;
secondo la relazione tecnica la norma non determinerebbe effetti finanziari negativi, in quanto la deroga «è operata solo a fronte di cessione facoltativa di spazi finanziari da parte dello Stato e/o delle regioni e per un importo agli eventuali spazi finanziari ceduti»;
le regioni hanno avanzato alcuni dubbi interpretativi circa la cessione facoltativa degli spazi finanziari citati dalla relazione tecnica a copertura degli oneri connessi alla deroga da parte delle altre regioni,

impegna il Governo

ad adottare ulteriori iniziative normative volte a precisare la portata della norma nel senso di escludere ogni possibile attribuzione automatica alle regioni deroganti delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione sociale, dei cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari a finalità strutturale, nonché delle risorse del Fondo infrastrutture da parte delle altre regioni in generale e della Sardegna in particolare essendo quella sarda una regione a statuto speciale e solo recentemente esclusa dal novero delle regioni dell'Obiettivo convergenza.
9/4612/185.Mereu, Schirru, Marrocu.

La Camera,
premesso che:
il Comitato contro le speculazioni e per il risparmio (Casper) che riunisce le associazioni Adoc, Codacons, Movimento difesa del cittadino e Unione nazionale consumatori ha calcolato che dall'avvento dell'euro, dopo dieci anni, gli aumenti medi dei prezzi sono stati del 53,7 per cento e che questo ha ridotto il potere d'acquisto delle famiglie di quasi il 40 per cento;
il dossier del Casper riguarda un paniere di beni fortemente rappresentativo dei consumi quotidiani dei cittadini;
l'ondata dei rincari potrebbe non terminare qui, a seguito dell'aumento dell'aliquota IVA dal 20 al 21 per cento che si affianca al complesso delle misure varate dalla manovra economica che produrranno un consistente aumento del prelievo fiscale;
dal combinato disposto non potranno non derivare ricadute negative sull'intera economia con una ulteriore contrazione dei consumi e quindi della produzione,

impegna il Governo

al fine di contrastare possibili effetti recessivi derivanti dalle misure della manovra a predisporre in tempi rapidi misure idonee a sostenere il potere di acquisto delle famiglie italiane intervenendo soprattutto sulle fasce di reddito più basse in quanto maggiormente penalizzate da tale situazione.
9/4612/186.Calgaro.

La Camera,
premesso che:
le università che hanno superato il limite del 90 per cento del rapporto tra le spese fisse e la misura del FFO e che si trovano nell'impossibilità di procedere alle assunzioni programmate stanno evidenziando notevoli problemi didattici anche in ragione dell'incremento dei pensionamenti anticipati;
il divieto di assunzione, inoltre, espone gli atenei a ingenti pretese risarcitorie cui sicuramente hanno diritto gli idonei già chiamati dalle facoltà che però non hanno ancora preso servizio;
le aspettative di carriera di questi ultimi e il diritto alla assunzione nella fascia di docenza dove sono risultati vincitori, infatti, viene a tutt'oggi gravemente leso determinando pregiudizi di vario ordine e natura assolutamente irrimediabili;
molti di questi vincitori di concorso sono cosiddetti interni, la cui assunzione, in ragione dell'anzianità di servizio è, per così dire, a costo zero dal momento che agli stessi spesso deve essere erogato un assegno integrativo ad personam per mantenere, anche nella fascia di docenza superiore la stessa retribuzione;
le università in questione hanno sostenuto oneri economici anche ingenti per la costituzione delle relative commissioni e l'espletamento dei relativi concorsi e quindi la impossibilità di ricoprire i ruoli di docenza programmati, banditi ed espletati, si traduce in una perdita economica secca per i medesimi che, peraltro, non possono avvalersi di una prestazione di livello superiore anche in relazione ai requisiti di qualità richiesti dal Miur,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere per le università che hanno bandito nell'anno 2008 procedure di valutazione comparativa di prima e di seconda fascia, già espletate, la non applicazione del divieto di assunzioni di cui all'articolo 1 del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, convertito, con modificazioni, nella legge 9 gennaio 2009, n. 1, nei confronti dei vincitori dichiarati idonei che sono già in servizio presso il medesimo ateneo e la cui presa di servizio nella fascia di docenza superiore non comporta alcun aggravio di spesa.
9/4612/187.Capitanio Santolini.

La Camera,
premesso che:
il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante «Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari», approvato con modificazioni dal Senato prevede una revisione integrale della spesa pubblica attraverso la definizione dei costi standard dei programmi di spesa delle amministrazioni centrali dello Stato sulla base del superamento del criterio della spesa storica e di un ciclo di «spending review»;
è necessario e condivisibile procedere nella direzione di una riduzione della spesa corrente primaria delle amministrazioni centrali in rapporto al PIL nel corso degli anni 2012 e 2013;
il Ministero degli esteri partecipa al programma per la riorganizzazione della spesa pubblica, di cui all'articolo 01 del decreto-legge in esame, che contiene, tra l'altro, le linee guida per la riorganizzazione della rete diplomatico-consolare; tale riorganizzazione non deve tuttavia minare l'operatività del Ministero degli affari esteri, soprattutto in relazione alle vicende politico-militari che hanno interessato i paesi del Nord-Africa negli ultimi mesi,

impegna il Governo

a realizzare tale programma di riorganizzazione avendo cura di mantenere inalterati i livelli delle prestazioni della nostra rete diplomatico-consolare per cittadini ed imprese, per l'attività di promozione del sistema Paese e della diffusione della lingua e cultura italiana nel mondo, ottimizzando le risorse attinenti la gestione del personale e del patrimonio immobiliare all'estero.
9/4612/188.Ruggeri.

La Camera,
premesso che:
dato atto che in sede di esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, concernente «Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria per lo sviluppo» non è stato possibile un approfondito esame della normativa afferente le profonde modifiche per i Comuni inferiori a mille abitanti;
premesso che tale tematica rientra nel più ampio dibattito da anni in corso su una riforma complessiva degli enti locali sia sotto il profilo dell'assetto istituzionale che finanziario;
rilevato che già in sede costituente una particolare forma di tutela venne riservata alle comunità locali, con particolare riferimento alle aree montane e disagiate nel nostro Paese;
considerate che negli anni numerosissime sono state le proposte di legge e gli atti ispettivi discussi dal Parlamento con molteplici mozioni ed ordini del giorno approvati dal Parlamento e accolti dai vari Governi nei quali è stato sempre riconosciuto il valore dei comuni per la coesione sociale delle variegate realtà territoriali;
considerato che la revisione dell'assetto istituzionale dei comuni dovrebbe essere realizzato con un profondo e adeguato confronto con le associazioni rappresentative - ANCI-ANPCI e UNCEM - per definire un progetto che, fondato sulla autonomia istituzionale economica e finanziaria, modernizzi il nostro ordinamento rafforzandone la qualità della loro presenza e funzione nel rispetto della loro storia e identità;
dato atto che a livello comunale si realizza nel modo più concreto e positivo il rapporto democratico tra cittadini e istituzioni, dove migliaia di amministratori comunali, a titolo largamente volontario e gratuito, servono le nostre piccole comunità locali;
rilevato che le norme relative all'assetto istituzionale e finanziario dei piccoli comuni contenute nel provvedimento in esame richiedono ulteriori interventi normativi, nei quali potrebbe essere realizzato quell'indispensabile confronto con tutte le realtà associative e rappresentative degli enti locali per apportare modifiche coerenti con il ruolo costituzionalmente riconosciuto ai comuni,

impegna il Governo

a promuovere al più presto, nelle modalità ritenute più valide, un confronto con le associazioni degli enti locali interessate, utilizzando la Conferenza delle autonomie locali o istituendo una specifica commissione paritetica al fine di definire insieme una proposta di riassetto dei comuni che persegua gli obiettivi di qualificazione della gestione associata dei servizi e salvaguardi il valore e il ruolo di tutte le comunità locali.
9/4612/189.Delfino, Fiorio, Lovelli.

La Camera,
premesso che:
il comma 12 dell'articolo 1 della legge n. 243 del 23 agosto 2004 prevedeva, per il periodo 2004-2007, incentivi economici - cosiddetto «Bonus» - per coloro che decidevano di continuare l'attività lavorativa anche se in possesso dei requisiti assicurativi e anagrafici per il diritto alla pensione di anzianità;
il «Bonus» consisteva, quindi, in un aumento dello stipendio, corrispondente ai contributi dovuti mensilmente ai fini pensionistici all'ente previdenziale di appartenenza;
il comma 16 dell'articolo 1 del decreto proroga per il triennio 2012-2014 l'applicazione dell'istituto della risoluzione del rapporto di lavoro nelle pubbliche amministrazioni, introdotto dall'articolo 72, comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, con il quale si consente a queste ultime di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro con i dipendenti che abbiano compiuto l'anzianità massima contributiva di 40 anni;
la norma penalizza il lavoratore che si trova pertanto in una situazione di passiva accettazione della propria posizione lavorativa senza che possa decidere volontariamente l'uscita dal lavoro, fermo restando la sussistenza dei requisiti contributivi previsti dalla legge,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di ripristinare la misura del bonus e di prevedere forme di permanenza volontaria per coloro abbiano conseguito l'anzianità massima contributiva di 40 anni previo consenso del datore di lavoro.
9/4612/190.Mondello, Ciccanti.

La Camera,
con il comma 6 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 138 del 2011 vengono anticipati di un anno gli effetti previsti dall'articolo 40, comma 1-ter e quater del decreto-legge n. 98 del 2011 che ha disposto la riduzione del 5 per cento nel 2013 e del 20 per cento nel 2014 dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale vigenti;
l'elenco delle agevolazioni il cui importo complessivo ammonta a 161 miliardi di euro, riguarda per ben 103 miliardi agevolazioni a favore di persone fisiche e fra queste ben 77 miliardi di euro riguardano agevolazioni per la famiglia e spese per la produzione del reddito sul lavoro dipendente o sulle pensioni;
la riduzione di tali agevolazioni produce un aumento delle tasse e colpisce cittadini già penalizzati da altre numerose misure contenute nel decreto in particolare l'aumento dell'IVA;
in particolare le misure che tendono a diminuire le detrazioni per carichi familiari sono dirette a «fare cassa» sulla famiglia, già penalizzata nel nostro Paese a causa dei ritardi nel riconoscimento del fattore famiglia nelle politiche fiscali ed impoverita dal gravissimo taglio sui fondi destinati alle politiche sociali e dall'azzeramento dei fondi destinati al piano per gli asili nido,

impegna il Governo

a reperire le risorse indicate per la riduzione del ricorso all'indebitamento per 4 miliardi di euro per l'anno 2012 mediante fonti diverse dalle agevolazioni ora previste per la famiglia e per la produzione del reddito da lavoro dipendente e dalle pensioni.
9/4612/191.Miotto, Bossa.

La Camera,
considerato che:
nonostante gli accordi internazionali e l'inasprimento della lotta alla illecita circolazione dei capitali sui mercati mondiali, i cosiddetti «paradisi fiscali» o i Paesi con fiscalità favorevole riguardo alle attività finanziarie, rappresentano ancora un pericolo per la finanza pubblica, in termini di ricchezza prodotta e non tassata; nella sola Svizzera sono ancora detenuti 300 miliardi di euro italiani;
peraltro la Svizzera ha compiuto passi in avanti straordinari in materia di riduzione della copertura del segreto bancario e di lotta al riciclaggio;
nell'agosto 2011 Germania e Svizzera hanno siglato un accordo in base al quale la Svizzera, si è comprata il segreto bancario in cambio di una imposta del 26 per cento sugli utili da capitale dei tedeschi in giacenza nei caveau elvetici; per il pregresso le banche svizzere pagheranno un anticipo di 2 miliardi di franchi; il calcolo è fatto su una stima patrimoniale di 150 miliardi di euro,

impegna il Governo

ad avviare le opportune trattative per siglare un accordo finanziario e fiscale con la Svizzera analogo a quello descritto in premessa.
9/4612/192.Mario Pepe (Misto-R-A), Marmo.

La Camera,
premesso che:
l'attuale crisi economica mondiale ha imposto a molti governi interventi straordinari, sia al fine di dare risposte certe alle nuove esigenze venutesi a creare, sia per rispettare determinati parametri che gli accordi internazionali hanno sancito negli ultimi tempi;
le misure adottate dai governi per il rispetto dei parametri anzidetti sono spesso sollecitate, se non addirittura imposte, sulla base di calcoli che tendono a misurare diversi indicatori economici quali ad esempio il PIL o l'indebitamento netto;
è del tutto evidente quindi come l'esattezza di questi calcoli sia fondamentale, per evitare che misure non strettamente necessarie siano richieste a paesi che ne potrebbero fare a meno o che, al contrario, le stesse non vengano richieste a chi invece dovrebbe adottarle;
a tal proposito è doveroso sottolineare come l'Italia, a causa dell'enorme sommerso che storicamente ha, vede ridimensionate le proprie reali capacità economiche che, se palesi, le consentirebbero certamente di avere parametri diversi da quelli certificati e quindi ufficiali, e ne darebbero una diversa (e migliore) immagine sul piano internazionale;
allo stesso modo è giusto ricordare come invece, in misura diametralmente opposta a quanto avviene in Italia, in diversi paesi vengono mascherate se non addirittura taciute le notevoli spese che gli stessi sopportano (o dovrebbero sopportare) per il mantenimento a regime, ovvero lo smaltimento, della filiera dell'energia nucleare;
il cosiddetto «debito atomico», così ribattezzato dal ministro Tremonti che ha sollevato la questione a livello europeo, rappresenta un costo che i paesi a vocazione nucleare non possono continuare ad omettere nella certificazione del proprio PIL, visto che le spese connesse alla produzione di tale energia non sono opzionali ma una certezza;
gli stress test che molti paesi dovranno eseguire per garantire la sicurezza degli impianti nucleari, al di là della quantificazione ancora incerta, rappresentano un costo ineludibile, così come il cosiddetto decommissioning, ossia la cessazione del ciclo di un impianto nucleare; al pari di questi, sono costi la messa in sicurezza e lo smaltimento delle scorie, così come l'eventuale riconversione degli impianti, laddove (Germania ad esempio) si decida di abbandonare tale politica energetica per seguire strade alternative;
tali costi non devono essere sopportati dall'Italia, o per lo meno incidono in maniera del tutto marginale sul nostro PIL, soprattutto se messi a confronto di quelli di paesi a prevalente vocazione nucleare (ad esempio la Francia), dai quali tra l'altro importiamo energia, con conseguente sbilanciamento della bilancia commerciale e abbattimento del PIL;
non è più possibile continuare a considerare la produzione di energia nucleare solo come un elemento di ricavo, senza tenere conto degli altissimi costi ad essa connessi, soprattutto in un sistema internazionale che fa degli indicatori economici un fattore quasi imprescindibile nei rapporti politico-economici tra i diversi stati,

impegna il Governo:

a intraprendere le necessarie iniziative, in sede europea, affinché vengano quanto prima effettuati gli stress test sulle centrali nucleari esistenti e vengano prese le necessarie misure di sicurezza dagli stessi richieste, certificando quindi i costi del cosiddetto «debito atomico» così come nelle premesse evidenziato, al fine di rendere più veritieri i bilanci dei singoli paesi;
a valutare l'ipotesi di rilanciare, in sede europea, l'istituzione di un tavolo comune finalizzato alla revisione dei parametri finora utilizzati per stabilire i requisiti di solvibilità e solidità economica dei diversi paesi.
9/4612/193.Marsilio, Rampelli.

La Camera,
premesso che:
le recenti misure varate dal Governo e approvate o in fase di approvazione dalle Camere consentiranno, a breve, il raggiungimento del pareggio di bilancio, evento storico per l'Italia ed elemento strategico imprescindibile per la nostra economia;
l'importanza del pareggio di bilancio è stata resa ancora più solenne e vincolante con l'approvazione in Consiglio dei ministri del disegno di legge che introduce in Costituzione il vincolo di bilancio, dalla cui entrata in vigore ogni misura legislativa potenzialmente produttiva di deficit potrà essere annullata dalla Corte costituzionale;
tale fondamentale risultato, seppur foriero di benefici effetti per il nostro sistema, non sarà comunque sufficiente a farci uscire dalla crisi e a rilanciare la nostra economia, pesantemente gravata da quello che è al momento il terzo debito pubblico del mondo;
questo enorme debito pubblico, stimato intorno ai 1900 miliardi di euro, che ci costringe al pagamento di interessi per circa 80 miliardi l'anno, è la vera zavorra dell'Italia, e solamente un abbattimento dello stesso potrebbe consentire a qualsivoglia misura di dispiegare appieno i propri effetti sull'economia del Paese;
in un quadro mondiale in cui anche nazioni con economie più forti della nostra (e sui cui parametri di misurazione bisognerebbe fare serie riflessioni per evitare che indici «fasulli» incidano in maniera eccessiva sui destini delle nazioni) rischiano quasi la bancarotta, con una recessione che in molti casi è alle porte, è impensabile che l'Italia possa da sola fare miracoli, in assenza di una politica comune europea e con l'enorme peso del nostro debito pubblico a gravare in primis sulle future generazioni;
in tale situazione, il rischio di dover procedere a ulteriori manovre economiche è particolarmente concreto, con l'unico effetto di depauperare ulteriormente la ricchezza del Paese, sottraendo risorse per la crescita e lo sviluppo economico, senza risolvere la questione fondamentale che è appunto il peso del debito pubblico;
qualsiasi misura non strutturale avrebbe come conseguenza il dispiegamento di effetti limitati nel tempo, caratterizzandosi per affrontare solo le esigenze del momento, senza incidere in maniera veramente efficace;
in questa situazione, è necessario e viene chiesto uno sforzo a tutti gli italiani, e in particolare, per motivi di equità, a coloro che detengono gran parte della ricchezza nazionale,

impegna il Governo

a presentare nei prossimi mesi un piano straordinario di riduzione del debito pubblico, che consenta all'Italia di scendere sotto il 100 per cento nel rapporto tra debito e PIL, al fine di liberare le energie necessarie alla crescita e allo sviluppo economico.
9/4612/194.Rampelli, Marsilio.

La Camera,
considerato che:
Alenia-Aeronautica in Campania è fortemente a rischio così come lo sono i lavoratori dei suoi stabilimenti. La fusione con Alenia-Aermacchi, un'azienda più piccola per dimensioni e dalla incerta stabilità finanziaria, produrrà dal 1o gennaio 2012 lo spostamento al nord della sede legale e ciò determinerà un inesorabile svuotamento delle nostre capacità produttive e decisionali così da favorire l'economia padana,

impegna il Governo

a mettere in atto tutte le iniziative volte a non consentire l'ennesimo episodio di colonizzazione economica del nord ai danni del sud e che un altro centro decisionale importante finisca lontano dalla Campania.
9/4612/195.Iapicca, Fallica, Terranova, Grimaldi, Stagno d'Alcontres, Pugliese.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 1, comma 12, ultimi tre periodi, prevede l'applicazione, a far data dalla conversione del decreto-legge 138 stesso, dell'Imposta provinciale di trascrizione (IPT) in misura esclusivamente proporzionale alle formalità di iscrizione e trascrizione sui veicoli nuovi ed usati presso il Pubblico Registro Automobilistico (PRA), con abolizione dell'imposta minima fissa per gli «atti soggetti ad IVA»;
tale disposizione realizza forti incrementi del citato tributo, aumentando i costi di immatricolazione e di trasferimento di proprietà dei veicoli stessi;
detti costi non possono, in attuazione dei principi del diritto tributario e, in particolare, dello statuto del contribuente, nonché di quelli costituzionali, colpire, in modo retroattivo, operazioni già effettuate e rapporti già chiusi al momento della conversione medesima,

impegna il Governo

a fare in modo che la tariffa proporzionale dell'IPT così introdotta si applichi esclusivamente alle immatricolazioni richieste e agli atti formati a partire dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 138.
9/4612/196.Corsaro.

La Camera,
premesso che:
molteplici mozioni e ordini del giorno sono stati già approvati dal Parlamento e accolti dal Governo in relazione a diversi provvedimenti approvati nel corso di questa legislatura in cui si invitava a rivedere le regole del patto di stabilità per i comuni, con riferimento in particolare agli enti che presentano indici finanziari positivi, in quanto eccessivamente pesanti in termini finanziari e penalizzanti il versante degli investimenti e la crescita del Paese;
la situazione economico finanziaria dei comuni risulta difficile a causa delle cospicue riduzioni sul versante delle entrate, a cui si sommano gli obiettivi posti dal patto di stabilità;
il quadro finanziario e fiscale che dovrebbe regolare i rapporti e dettare i comportamenti delle autonomie territoriali, delineato dalla legge n. 42 del 2009 e i relativi decreti attuativi, risulta fortemente complicato dalle manovre succedutesi negli ultimi due anni;
il quadro normativo risulta caratterizzato da disposizioni che riducono l'autonomia organizzativa e gestionale dei comuni mettendo in questione i principi costituzionali contenuti nell'articolo 114, 117 e 119 della Costituzione;
la revisione dell'assetto istituzionale dei comuni si sta caratterizzando per il susseguirsi di modifiche ordinamentali disorganiche, che mettono in discussione il funzionamento ordinario degli stessi enti e la possibilità di continuare a erogare allo stesso livello i servizi fondamentali ai cittadini;
le disposizioni contenute nel presente provvedimento richiedono una fase successiva di adattamento, attuazione con scadenze temporali non ravvicinate e presentano profili di eventuale incostituzionalità con il ruolo costituzionale assegnato ai comuni,

invita il Governo

a procedere entro 30 giorni senza alcun onere per lo Stato dall'entrata in vigore della presente legge all'istituzione di una Commissione mista paritetica, composta dal Governo e dai rappresentanti delle regioni, delle province e dei comuni con il compito di fare una verifica della legislazione vigente in materia di patto di stabilità, costi di funzionamento degli organi e degli apparati della Repubblica, assetto istituzionale ed amministrativo con l'obiettivo di predisporre una proposta di riforma complessiva in senso federale entro 90 giorni secondo i principi di riduzione degli organi e dei costi, di soppressione delle duplicazioni, di semplificazione dei processi decisionali e di valorizzazione dell'autonomia dei territori e della responsabilità verso i cittadini.
9/4612/197.Valducci.

La Camera,
premesso che:
molteplici mozioni e ordini del giorno sono stati già approvati dal Parlamento e accolti dal Governo in relazione a diversi provvedimenti approvati nel corso di questa legislatura in cui si invitava a rivedere le regole del patto di stabilità per i comuni, con riferimento in particolare agli enti che presentano indici finanziari positivi, in quanto eccessivamente pesanti in termini finanziari e penalizzanti il versante degli investimenti e la crescita del Paese;
la situazione economico finanziaria dei comuni risulta difficile a causa delle cospicue riduzioni sul versante delle entrate, a cui si sommano gli obiettivi posti dal patto di stabilità;
il quadro finanziario e fiscale che dovrebbe regolare i rapporti e dettare i comportamenti delle autonomie territoriali, delineato dalla legge n. 42 del 2009 e i relativi decreti attuativi, risulta fortemente complicato dalle manovre succedutesi negli ultimi due anni;
il quadro normativo risulta caratterizzato da disposizioni che riducono l'autonomia organizzativa e gestionale dei comuni mettendo in questione i principi costituzionali contenuti nell'articolo 114, 117 e 119 della Costituzione;
la revisione dell'assetto istituzionale dei comuni si sta caratterizzando per il susseguirsi di modifiche ordinamentali disorganiche, che mettono in discussione il funzionamento ordinario degli stessi enti e la possibilità di continuare a erogare allo stesso livello i servizi fondamentali ai cittadini;
le disposizioni contenute nel presente provvedimento richiedono una fase successiva di adattamento, attuazione con scadenze temporali non ravvicinate e presentano profili di eventuale incostituzionalità con il ruolo costituzionale assegnato ai comuni,

invita il Governo

a procedere entro 30 giorni senza alcun onere per lo Stato dall'entrata in vigore della presente legge all'istituzione di una Commissione mista paritetica, composta dal Governo e dai rappresentanti delle regioni, delle province e dei comuni con il compito di fare una verifica della legislazione vigente in materia di patto di stabilità, costi di funzionamento degli organi e degli apparati della Repubblica, assetto istituzionale ed amministrativo con l'obiettivo di predisporre una proposta di riforma complessiva in senso federale entro 60 giorni secondo i principi di riduzione degli organi e dei costi, di soppressione delle duplicazioni, di semplificazione dei processi decisionali e di valorizzazione dell'autonomia dei territori e della responsabilità verso i cittadini.
9/4612/197.(Testo modificato nel corso della seduta) Valducci.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 11, che reca disposizioni in materia di «livelli di tutela essenziali per l'attivazione dei tirocini», prevede che, fatta eccezione per i disabili, gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti e i condannati ammessi a misure alternative di detenzione, i tirocini formativi e di orientamento non curriculari non possano avere una durata superiore a sei mesi, proroghe comprese, e possano essere promossi unicamente a favore di neo-diplomati o neo-laureati entro e non oltre dodici mesi dal conseguimento del relativo titolo di studio;
pur riconoscendo l'opportunità di rivedere, trascorsi ormai oltre dieci anni di applicazione, alcuni termini dell'istituto, al fine di evitarne abusi nell'utilizzo quotidiano, si evidenzia che il tirocinio rappresenta uno strumento flessibile ed efficace per favorire il raccordo tra il mondo della formazione/istruzione e l'avviamento dei giovani al lavoro;
inoltre molti master e corsi di specializzazione di alto livello, svolti anche diversi anni dopo il termine del percorso di laurea, richiedono tirocini formativi che con la normativa prevista dal decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138 non sarebbero più praticabili,

impegna il Governo

a monitorare l'attuazione della disposizione in premessa, prevedendo, se necessario, con ulteriori disposizioni legislative, la possibilità per corsi di specializzazione e master di offrire tirocini agli studenti anche se svolti in periodi successivi a 12 mesi dal conseguimento della laurea o del diploma.
9/4612/198.Fedriga, Reguzzoni, Laura Molteni, Bitonci.

La Camera,
presa in esame la conversione in legge del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recanti ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione e per lo sviluppo (DDL 2887);
premesso che:
al fine di consentire lo sviluppo delle regioni meridionali e la spendita delle risorse comunitarie, l'articolo 5-bis approvato dal Senato della Repubblica in data 7 settembre ha stabilito a decorrere dal 2011 la spesa regionale effettuata annualmente a valere sul fondo per lo sviluppo e la coesione sociale, sui cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari a finalità strutturale, nonché delle risorse individuate ai sensi di quanto previsto dall'articolo 6-sexies del decreto-legge n. 112 del 2008, può eccedere i vincoli del patto di stabilità interno nei limiti stabiliti con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze;
al comma 1 del citato articolo 5-bis si prevede che l'ambito applicativo del medesimo articolo sia circoscritto alle regioni dell'obiettivo convergenza e che i limiti di spesa rilevanti ai fini del rispetto del patto di stabilità che possono essere superati siano soltanto quelli fissati per le regioni a statuto ordinario;
le regioni Sardegna, Sicilia, Molise e Basilicata, sulla base di una interpretazione restrittiva delle disposizioni di cui al predetto articolo, potrebbero risultare immotivatamente escluse dai benefìci previsti dallo stesso,

impegna il Governo

a provvedere all'emanazione di un'apposita circolare interpretativa al fine di chiarire che tutte le regioni coinvolte nel Piano per il Sud rientrano nell'ambito applicativo dell'articolo 5-bis.
9/4612/199.Nizzi, Pili, Porcu, Vella.

La Camera,
presa in esame la conversione in legge del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recanti ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione e per lo sviluppo (DDL 2887);
premesso che:
al fine di consentire lo sviluppo delle regioni meridionali e la spendita delle risorse comunitarie, l'articolo 5-bis approvato dal Senato della Repubblica in data 7 settembre ha stabilito a decorrere dal 2011 la spesa regionale effettuata annualmente a valere sul fondo per lo sviluppo e la coesione sociale, sui cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari a finalità strutturale, nonché delle risorse individuate ai sensi di quanto previsto dall'articolo 6-sexies del decreto-legge n. 112 del 2008, può eccedere i vincoli del patto di stabilità interno nei limiti stabiliti con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze;
al comma 1 del citato articolo 5-bis si prevede che l'ambito applicativo del medesimo articolo sia circoscritto alle regioni dell'obiettivo convergenza e che i limiti di spesa rilevanti ai fini del rispetto del patto di stabilità che possono essere superati siano soltanto quelli fissati per le regioni a statuto ordinario;
le regioni Sardegna, Sicilia, Molise e Basilicata, sulla base di una interpretazione restrittiva delle disposizioni di cui al predetto articolo, potrebbero risultare immotivatamente escluse dai benefìci previsti dallo stesso,

impegna il Governo

a provvedere al chiarimento che tutte le regioni coinvolte nel Piano per il Sud possano rientrare nell'ambito applicativo dell'articolo 5-bis.
9/4612/199.(Testo modificato nel corso della seduta) Nizzi, Pili, Porcu, Vella.