XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di giovedì 17 novembre 2011

TESTO AGGIORNATO ALL'11 GENNAIO 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:

La Camera,
premesso che:
il 20 giugno 2011 la Commissione europea ha pubblicato la proposta di abrogare il regolamento n. 41 del 2009, relativo alla composizione e all'etichettatura dei prodotti alimentari adatti alle persone intolleranti al glutine;
tale proposta si inserisce in un più ampio dibattito che coinvolge i principali organi dell'Unione Europea, ovvero Commissione, Consiglio e Parlamento, riguardante il futuro della legislazione inerente all'etichettatura alimentare, che si vuole modificare per ottenere una maggiore chiarezza e tutela del consumatore;
in questo senso la Commissione europea, sempre il 20 giugno 2011, ha adottato la proposta COM 353, finalizzata alla revisione delle disposizioni in materia di prodotti alimentari destinati ad un'alimentazione particolare. Tale proposta prevede, tra l'altro, all'articolo 17, paragrafo 2, l'abrogazione del regolamento (CE) n. 41 del 2009, relativo alla composizione e all'etichettatura dei prodotti alimentari adatti alle persone intolleranti al glutine, la cui applicazione è prevista a decorrere dal 1o gennaio 2012. Per gli alimenti senza glutine, così come per i prodotti per sportivi e quelli destinati a diete ipocaloriche, ci si dovrebbe accontentare delle regole generali (regolamento (CE) n. 1924 del 2006, nutrition & health claims);
la proposta COM 353 cancellerebbe, di fatto, dalle etichette dei prodotti alimentari la definizione di «prodotto dietetico» e ridurrebbe la dicitura «senza glutine» ad un'etichetta generica;
in effetti, gli alimenti destinati a regimi dietetici speciali e quelli rivolti a lattanti e bambini con meno di 36 mesi sono stati sottoposti a una rigorosa disciplina europea a partire dal 1977; si tratta di regole consolidate in 35 anni di applicazione a tutela delle categorie più vulnerabili di consumatori;
i celiaci rappresentano una delle categorie «sensibili» di consumatori perché necessitano di una «dieta sanitaria e salva vita». L'assunzione di glutine espone infatti i celiaci a gravissime complicanze, anche irreversibili. Attualmente i prodotti senza glutine (con glutine inferiore a 20ppm) sono considerati prodotti «dietetici» e godono di una specifica normativa che ne garantisce la sicurezza per il consumatore celiaco in termini di assenza di glutine;
la celiachia, è una patologia che richiede, come unica terapia, l'adesione ad una dieta che escluda completamente il glutine per tutta la vita. Attualmente in Italia sono stati diagnosticati oltre 110.000 celiaci;
l'intervento della Commissione europea, seppur inteso a semplificare la vita al consumatore generico, rischia invece di complicarla notevolmente ad alcune categorie vulnerabili di cittadini europei, come quella dei celiaci, riducendo le garanzie di sicurezza dei prodotti dietetici senza glutine che, attualmente, sono sottoposti al regime di notifica in tutto il territorio europeo. Sono i seguenti i controlli cui, in Italia, sono sottoposti gli alimenti dietetici senza glutine: autorizzazione dei singoli prodotti; piano annuale di campionamento e analisi, come esplicitamente previsto dall'articolo 8 del decreto legislativo n. 111 del 1992;
tra gli effetti della proposta della Commissione di abrogare tutta la legislazione sugli alimenti dietetici (salvaguardando i suoi alimenti a fini speciali e gli alimenti per l'infanzia) ci sarà l'abrogazione del registro nazionale dei prodotti dietetici senza glutine, che rappresenta un sostegno fondamentale ai celiaci in quanto raccoglie i prodotti erogabili dal sistema sanitario nazionale;

le Commissioni permanenti 14a (Politiche dell'Unione europea) e 12a (Igiene e sanità) del Senato, esaminando lo schema di atto comunitario n. 353, hanno formulato, per quanto di loro competenza, parere contrario sostenendo la violazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, nonché specificando che la richiesta di abrogazione del regolamento (CE) n. 41 del 2009 porterebbe all'equiparazione dei prodotti senza glutine ad alimenti di uso corrente comportando l'impossibilità del rimborso di questi prodotti a carico del SSN, e determinando di conseguenza la necessità di rivisitare tutta la normativa di maggior tutela per le persone affette da celiachia; l'abrogazione del regolamento comporterebbe infine un arretramento sostanziale nella tutela delle persone affette da celiachia, tale da eccedere lo scopo di armonizzazione che la proposta intende perseguire ai sensi dell'articolo 114 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea,


impegna il Governo:


ad intervenire, nelle competenti, sedi comunitarie:
a) per manifestare piena opposizione agli intendimenti della Commissione, espressi nei documenti pubblicati dal 20 giugno 2011;
b) per esprimere il proprio parere negativo in relazione all'abolizione della normativa citata in premessa, concernente gli alimenti destinati ad una alimentazione particolare, cioè i prodotti dietetici, con specifico riferimento alla celiachia, alla dieta senza glutine ed ai prodotti dietetici senza glutine;
c) per precisare, nel rispetto delle finalità di «coerenza, semplificazione, armonizzazione e garanzia delle imprese» della Commissione, la necessità, nel contempo, di tutelare categorie di cittadini sensibili, come quella dei celiaci che rischiano di essere gravemente danneggiati da una proposta come quella avanzata.
(1-00761)
«Laffranco, Bianconi, Beccalossi, Antonino Foti, De Corato, Holzmann, Ghiglia, Porcu, Mancuso, Traversa, Luciano Rossi».

NUOVA FORMULAZIONE

La Camera,
premesso che:
in data 20 giugno 2011 la Commissione europea ha adottato la proposta di regolamento COM(2011)353, finalizzata alla revisione delle disposizioni in materia di prodotti alimentari desinati a un'alimentazione particolare; tale proposta prevede, tra l'altro, all'articolo 17, paragrafo 2, l'abrogazione del regolamento (CE) n. 41/2009 relativo alla composizione e all'etichettatura dei prodotti alimentari adatti alle persone intolleranti al glutine, la cui applicazione è prevista a decorrere dal 1o gennaio 2012;
la proposta di regolamento della Commissione europea prospetta «per ragioni di semplificazione» l'inclusione della disciplina dei prodotti senza glutine e con contenuto di glutine molto basso nel campo di azione del regolamento (CE) n. 1924/2006, avente ad oggetto l'armonizzazione delle disposizioni nazionali concernenti le indicazioni (nutrizionali e sulla salute) figuranti in comunicazioni commerciali, etichettature, presentazioni e pubblicità di prodotti alimentari ad uso corrente;
il regolamento (CE) n. 41/2009, adottato sulla base della direttiva n. 89/398/CEE relativa all'allineamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti i prodotti alimentari destinati ad un'alimentazione particolare, è una normativa specifica finalizzata a soddisfare le esigenze nutrizionali di quelle categorie di persone il cui processo di assimilazione, o il cui metabolismo, è perturbato ovvero che versano in condizioni fisiologiche particolari e possono ricevere un beneficio dall'ingestione controllata di talune sostanze alimentari;
a livello comunitario vengono individuate due categorie di prodotti dietetici: i prodotti definiti «senza glutine» - con un tenore residuo di glutine non superiore a 20 milligrammi per chilogrammo (20 ppm), a base di ingredienti privi di glutine all'origine o con uno o più ingredienti depurati di glutine, e i prodotti definiti «con contenuto di glutine molto basso» - con un tenore residuo di glutine non superiore a 100 milligrammi per chilogrammo (100 ppm), a base di ingredienti depurati di glutine;
attualmente i prodotti senza glutine (con glutine inferiore a 20 milligrammi per chilogrammo), sostitutivi di quelli che normalmente contengono glutine tra i propri ingredienti (pane, pasta, prodotti da forno, pizza e altri), sono, infatti, considerati «prodotti dietetici» e godono, quindi, di una specifica normativa che ne garantisce la sicurezza per il consumatore celiaco in termini di assenza di glutine;
la proposta di regolamento COM(2011)353 cancellerebbe, di fatto, dalle etichette dei prodotti alimentari la definizione di «prodotto dietetico» e ridurrebbe la dicitura «senza glutine» ad una etichetta generica;
gli alimenti destinati a regimi dietetici speciali e quelli rivolti a lattanti e bambini con meno di 36 mesi sono stati sottoposti a una rigorosa disciplina europea a partire dal 1977; si tratta di regole consolidate in 35 anni di applicazione a tutela delle categorie più vulnerabili di consumatori;
la celiachia è «un'intolleranza permanente al glutine ed è riconosciuta come malattia sociale» (articolo 1 della legge n. 123 del 2005), a cui consegue la necessità di eliminazione totale del glutine dalla dieta di chi ne è affetto;
il glutine è un processo proteico contenuto in grano tenero, grano duro, farro, segale, kamut, orzo ed altri cereali minori;
la completa esclusione del glutine dalla dieta non è facile da realizzare, in quanto i cereali non permessi ai celiaci si ritrovano in moltissimi prodotti alimentari ed il rischio di contaminazione appare elevato. Per poter avere dei prodotti idonei al consumo dei celiaci è necessario che le aziende produttrici applichino un corretto piano di controllo delle materie prime e del prodotto finito; inoltre, occorre monitorare costantemente il processo produttivo, gli ambienti di lavoro, le attrezzature, gli impianti e gli operatori ed il rischio di contaminazione accidentale da glutine è spesso presente nei processi di lavorazione dell'industria alimentare;
in Italia la prevalenza della celiachia, sia nei bambini che negli adulti, è attualmente stimata intorno all'1-1,5 per cento, quindi ne risulta affetta una persona su cento;
secondo alcune stime, i potenziali celiaci sarebbero circa 600.000, quelli diagnosticati circa 60.000 e, ogni anno, sono circa 2.800 i nuovi casi diagnosticati;
la distribuzione della malattia celiaca è considerata omogenea a livello mondiale, sebbene presenti una più elevata incidenza in Europa e nei Paesi con popolazione di origine europea. È possibile affermare che la celiachia è la più frequente intolleranza alimentare presente a livello mondiale;
allo stato attuale, i prodotti per celiaci, sostitutivi degli alimenti con glutine (pane, pasta, prodotti da forno, pizza, dolci e altro), sono considerati prodotti dietetici e garantiscono la totale sicurezza per il consumatore celiaco;
in Italia, i prodotti senza glutine sono elencati nel registro nazionale dei prodotti dietetici senza glutine (ai sensi del decreto legislativo n. 111 del 1992) e sono erogati gratuitamente a carico del servizio sanitario nazionale in forza della legge n. 123 del 2005;
la proposta della Commissione europea, in un'ottica di armonizzazione e semplificazione, non tiene sufficientemente in considerazione la necessità di tutelare alcune categorie sensibili e vulnerabili di consumatori, come quella dei celiaci, fino ad oggi garantiti da una disciplina normativa stringente, sia in punto di requisiti nutrizionali specifici, sia in punto di controlli;
la proposta di regolamento della Commissione europea n. 353 del 20 giugno 2011, ove accolta dalle competenti istituzioni comunitarie, può comportare, di fatto, un indebolimento della tutela oggi riconosciuta nel nostro ordinamento, posto che la legislazione italiana, oltre a riconoscere la celiachia come malattia sociale, tutela i bambini e gli adulti come categoria di consumatori vulnerabili,


impegna il Governo:


ad esprimere il proprio parere negativo in relazione all'abrogazione regolamento (CE) n. 41/2009, che renderebbe molto più difficile la vita dei pazienti celiaci, sia per la maggiore difficoltà a riconoscere da una generica etichettatura i prodotti essenziali per loro nei comuni centri commerciali, sia per le oggettive difficoltà ad ottenere gratuitamente quanto per loro è equivalente ad un farmaco salva-vita;
ad intervenire nelle competenti sedi comunitarie al fine di modificare la proposta di regolamento COM(2011)353, nel senso di inserire i prodotti adatti alle persone intolleranti al glutine nella categoria degli alimenti a fini medici speciali;
ad adottare, presso le sedi istituzionali competenti, tutte le iniziative necessarie a tutelare la salute dei soggetti celiaci a fronte dei possibili rischi che possono derivare dalla proposta della Commissione europea COM(2011)353 e dall'abrogazione del regolamento (CE) n. 41/2009, anche alla luce della risoluzione approvata dalla XII Commissione permanente (Igiene e sanità) del Senato in data 2 agosto 2011 e delle osservazioni formulate dalla XIV Commissione permanente (Politiche dell'Unione europea) del Senato in data 27 luglio 2011;
a garantire, al fine di dare maggiori informazioni e garanzie ai cittadini, che la percentuale relativa al contenuto di glutine presente nella farina o nel seme di cereale sia inserita in etichetta, in quanto di fondamentale importanza per tutti quei prodotti che l'attuale normativa indica come prodotti dietetici, all'interno della categoria degli alimenti destinati ad alimentazione particolare;
ad adottare, nel rispetto delle finalità di «coerenza, semplificazione, armonizzazione e garanzia delle imprese» della Commissione europea, le iniziative volte a tutelare categorie di cittadini sensibili, come quella dei celiaci che rischiano di essere gravemente danneggiati da una proposta come quella avanzata.
(1-00761)
(Nuova formulazione) «Laffranco, Pedoto, Binetti, Mosella, Fogliato, Bianconi, Beccalossi, Antonino Foti, De Corato, Holzmann, Ghiglia, Porcu, Mancuso, Traversa, Luciano Rossi, Ceroni, Grassi, Verini, Picierno, Froner, De Torre, D'Incecco, Schirru, Oliverio, Lenzi, Rosato, Mosca, Pes, Ghizzoni, Mattesini, Lo Moro, Servodio, Trappolino, Rossomando, Miotto, Codurelli, Nunzio Francesco Testa, Anna Teresa Formisano, De Poli, Calgaro, Mondello, Delfino, Compagnon, Naro, Ciccanti, Volontè, Lanzillotta, Pisicchio, Tabacci, Brugger, Callegari, Laura Molteni, Martini, Rondini, Fava, Negro, Montagnoli, Polledri, Maggioni, Torazzi, Polledri, Bitonci».

La Camera,
premesso che:
gli obiettivi di sviluppo del millennio, sottoscritti nel settembre 2000 dai 191 membri delle Nazioni Unite, tra cui l'Italia, sono 8 obiettivi che l'intera comunità internazionale si è impegnata a raggiungere entro l'anno 2015;
in particolare, gli obiettivi n. 4, 5 e 6 prevedono: la riduzione di due terzi della mortalità dei bambini al di sotto dei cinque anni, la riduzione di tre quarti del tasso di mortalità materna, l'accesso universale ai servizi per la salute riproduttiva, l'accesso universale alle cure contro l'Hiv/Aids a tutti coloro che ne abbiano bisogno, il blocco della propagazione dell'Hiv/Aids e dell'incidenza della malaria e di altre malattie importanti;
i 3 obiettivi di sviluppo del millennio per la salute sono tra quelli che registrano un maggiore ritardo rispetto ai traguardi prefissati;
secondo i dati forniti dall'Organizzazione mondiale della sanità, ogni giorno circa 21 mila bambini muoiono prima di aver raggiunto il quinto anno di età; 1.000 donne al giorno muoiono per cause collegate alla gravidanza e al parto, ogni anno 4 milioni di persone sono destinate a morire di Hiv/Aids, tubercolosi e malaria;
a differenza dei dati negativi in campo sanitario che si registrano nei Paesi in via di sviluppo, in quasi tutta l'Europa la probabilità che un bambino muoia prima di aver compiuto cinque anni è minore dell'1 per cento le morti per cause collegate alla gravidanza e al parto, per tubercolosi, malaria e, ad eccezione dell'Europa dell'Est, anche per l'AIDS sono molto rare;

secondo le statistiche fornite dall'Unicef e dall'Organizzazione mondiale della sanità, nonostante il tasso di mortalità sotto i 5 anni sia diminuito di oltre un terzo tra il 1990 e il 2010, questo progresso è ancora insufficiente a raggiungere il quarto obiettivo di sviluppo del millennio; ancora oggi, in Africa sub-sahariana, 1 bambino su 8 muore prima dei cinque anni - un evento 17 volte più frequente rispetto alla media delle regioni sviluppate (1 su 143) - e in Asia meridionale, 1 bambino su 15 muore prima dei 5 anni. In realtà, la maggior parte dei bambini sotto i 5 anni che muoiono ogni anno potrebbe essere salvata con misure semplici e molto spesso poco costose, come soluzioni reidratanti, vaccini, antibiotici e zanzariere;
nonostante recenti progressi, tra tutti gli obiettivi di sviluppo del millennio, quello più lontano dai traguardi individuati nel 2000 resta quello relativo al miglioramento della salute materna. Come evidenziato da UNFPA, il fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, per ogni donna che muore almeno altre 20 sono vittime di infermità. Secondo una ricerca congiunta dell'Organizzazione mondiale della sanità, Unicef e UNFPA, in Africa sub-sahariana, il tasso di mortalità materna ha registrato parziali progressi negli ultimi 2 decenni e, in alcune aree, è addirittura aumentato. In Africa la probabilità che una ragazza di 15 anni muoia per cause legate alla maternità è oggi di una su 31, contro 1 su 120 in Asia e solo 1 su 4.300 nei Paesi più industrializzati. Quanto all'accesso ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva, solo il 60 per cento delle donne incinte nei Paesi in via di sviluppo ha accesso all'assistenza di personale qualificato durante il parto e solo 1 donna su 4 nell'Africa subsahariana ha accesso alla contraccezione;
nonostante alcuni passi avanti compiuti negli anni nella lotta contro la malaria, nei Paesi in via di sviluppo a causa di questa malattia muore ancora 1 bambino ogni 30 secondi. Nonostante i recenti progressi contro la tubercolosi, nel 2010, sono stati registrati 8,2 milioni di nuovi casi segnalati;
nel frattempo, l'obiettivo di garantire entro il 2010 l'accesso universale alle cure contro l'Hiv/Aids è stato palesemente disatteso: solo 6,6 milioni dei 15 milioni di persone che ne hanno bisogno hanno accesso alla terapia antiretrovirale. La pandemia sta sopravanzando gli sforzi fatti per la prevenzione: per ogni persona che inizia la cura antiretrovirale ve ne sono due che contraggono il virus dell'HIV; ogni giorno si registrano 7.000 nuovi casi di infezione (di cui il 97 per cento avviene nei Paesi a reddito medio e basso);
la crisi del personale sanitario nei Paesi in via di sviluppo, sprovvisti di medici, infermieri, personale sanitario di comunità, aggrava le disuguaglianze in salute e priva un miliardo di persone dell'accesso all'assistenza sanitaria;
il segretario generale dell'ONU Ban Ki-moon nella prefazione al rapporto del 2009 sugli obiettivi di sviluppo del millennio ha scritto: «Non possiamo permettere che un clima economico sfavorevole ci ostacoli nella realizzazione degli impegni assunti nel 2000. Al contrario, i nostri sforzi volti a far ripartire la crescita economica devono essere considerati come un'opportunità per prendere alcune delle difficili decisioni necessarie alla creazione di un futuro più equo e sostenibile»;
secondo previsioni fornite dall'UNESCO, nell'Africa subsahariana il rallentamento della crescita economica causato dalla crisi finanziaria globale costerà ai 390 milioni di persone che già vivono in condizione di estrema povertà 18 miliardi di dollari, pari a una riduzione del 20 per cento del reddito di ogni singolo individuo. Questa flessione sta avendo un impatto diretto sugli sforzi per raggiungere gli obiettivi di sviluppo del millennio: secondo l'UNAIDS, le organizzazioni non governative (ONG) che forniscono assistenza sanitaria a orfani e bambini vulnerabili, vedranno ridursi il volume dei loro finanziamenti

e saranno costrette a un drastico ridimensionamento delle loro attività e della loro copertura;
nell'attuale congiuntura economica sfavorevole prodotta dalla crisi finanziaria globale degli ultimi anni, investire negli obiettivi di sviluppo del millennio può rappresentare un incentivo utile alla ripresa economica globale dell'intera comunità internazionale, e non solo una misura di sostegno ai Paesi più poveri;
a sostegno di tale opinione, un'analisi svolta dall'Organizzazione mondiale della sanità sui costi della scarsa o pessima qualità della salute materna e infantile ha messo in luce, come diretta conseguenza di tale stato di cose, una perdita annua di produttività pari a 95 milioni di dollari in Etiopia e a circa 85 milioni di dollari in Uganda. L'Aids, da solo, è responsabile di una flessione annua nella crescita economica del 0,5 per cento-1,2 per cento del prodotto interno lordo (PIL) di metà degli Stati dell'Africa sub sahariana;
la commissione su macroeconomia e salute dell'Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato che «maggiori investimenti nel campo della salute - che costerebbero ai paesi donatori approssimativamente un decimo dell'1 per cento del loro reddito - verrebbero ripagati ampiamente in termini di milioni di vite salvate ogni anno, di crescita economica e di rafforzamento della sicurezza globale,


impegna il Governo:


a contribuire a migliorare la salute infantile, la salute riproduttiva e materna e a rafforzare la lotta contro Hiv/Aids, tubercolosi e malaria, promuovendo a livello internazionale servizi integrati per la prevenzione dell'Hiv/Aids e fornendo accesso universale ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva, alle cure ostetriche, neonatali e infantili;
a rispettare gli impegni economici già assunti in sede europea e internazionale in materia di risorse pubbliche da destinare all'aiuto allo sviluppo e al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio delle Nazioni Unite, in particolare, con riferimento al fondo globale per la lotta contro l'AIDS, la tubercolosi e la malaria (GFATM), versando al più presto i contributi per gli anni 2009 e 2010 e rinnovando un impegno finanziario preciso e verificabile per il triennio 2011-2013;
a sostenere in sede europea e internazionale l'applicazione di una tassa sulle transazioni finanziarie, al fine di destinare la metà del gettito al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio, inclusi quelli sulla salute globale;
a sostenere i Paesi in via di sviluppo nella realizzazione di servizi sanitari primari, strutturati in maniera efficiente e in grado di rispondere ai bisogni dell'intera popolazione, contrastando la carenza di personale medico, infermieristico e ostetrico, anche con una regolamentazione dei flussi migratori di operatori sanitari dai Paesi poveri verso quelli più ricchi volta ad incentivare la permanenza di figure professionali qualificate nelle regioni più bisognose;
a sviluppare nelle sedi multilaterali competenti un piano d'azione globale per la salute materno-infantile per garantire l'accesso universale ai servizi sanitari di base, inclusi i servizi per la salute sessuale e riproduttiva, per madri e figli nei Paesi in via di sviluppo;
a promuovere, in seno al Fondo monetario internazionale, politiche di espansione dello spazio fiscale che permettano ai Paesi in via di sviluppo di aumentare la spesa sanitaria;
a sostenere gli Stati che intendono abolire i ticket sanitari, soprattutto quelli che gravano sui più poveri e i più vulnerabili, promuovendo l'accesso gratuito ai servizi sanitari in particolare per la salute materno-infantile e per le popolazioni vulnerabili, le partnership tra pubblico e privato sociale (non profit organization, NPO) e la partecipazione della società civile;

a garantire il coinvolgimento delle organizzazioni della società civile, e in particolare delle organizzazioni di donne, nelle decisioni che interessano la vita delle loro comunità, coinvolgendo i rappresentanti della società civile nell'identificazione dei settori prioritari sui quali agire e per i quali fornire servizi, attraverso la comunicazione dettagliata degli impegni specifici e del ritmo e volume dei fondi che verranno destinati a tali progetti;
a migliorare l'efficacia degli aiuti per assicurare il diritto alla salute delle donne, delle madri e bambini, in vista del Forum sull'efficacia di Busan (Corea del sud) a novembre 2011;
ad assumere iniziative per finanziare i piani nazionali di formazione per il personale sanitario con funzioni apicali, per il personale di livello intermedio e per gli operatori sanitari di comunità con investimenti sufficienti, prevedibili e di lungo periodo, legati ad obiettivi concreti e a indicatori di progresso misurabili, che prevedano anche la crescita delle istituzioni di formazione locali;
ad applicare il codice di condotta per le migrazioni internazionali di personale sanitario dell'Organizzazione mondiale della sanità attraverso un adeguato finanziamento del personale sanitario operante nei sistemi sanitari locali, riducendo la dipendenza di questi ultimi da personale sanitario migrante;
ad assicurare comunicazioni periodiche al Parlamento in materia di aiuto pubblico allo sviluppo, attraverso una definizione degli indirizzi strategici e delle priorità di azione, una programmazione pluriennale degli investimenti, un puntuale rendiconto delle risorse stanziate e dei risultati operativi conseguiti, così da garantire una valutazione della coerenza e dell'efficacia delle politiche in materia di cooperazione allo sviluppo e, più in generale, di promozione degli obiettivi di sviluppo del millennio.
(1-00762)
«Mogherini Rebesani, Zampa, Livia Turco, Bucchino, Cardinale, Cenni, Codurelli, Coscia, D'Antona, Froner, Gatti, Ghizzoni, Gnecchi, Lenzi, Marchi, Mattesini, Melandri, Muro, Pedoto, Rigoni, Rosato, Rubinato, Schirru, Siragusa».

Risoluzione in Commissione:

La XII Commissione,
premesso che:
la ginecologia oncologica, ai sensi del decreto ministeriale del 29 gennaio 1992, è inserita nell'«elenco delle alte specialità mediche»;
in virtù di tali premesse la ginecologia medica fa riferimento (al fianco di altri importantissimi e delicati settori come quelli della cardiologia medico-chirurgica, dei trapianti d'organo e delle malattie vascolari) a una serie di criteri e standard organizzativi e gestionali del massimo livello;
premessa al citato decreto ministeriale è la legge n. 595 del 1985 tuttora in vigore che definisce all'articolo 5 le cosiddette «alte specialità» come: «Le attività di diagnosi, cura e riabilitazione che richiedono particolare impegno di qualificazione, mezzi, attrezzature e personale specificatamente formato». Questa definizione è tanto breve quanto pregnante nell'evidenziare la delicatezza e l'importanza della ginecologia oncologica;
a fronte dell'apparato di norme sopra ricordate, nella realtà pratica oggi in Italia non esiste un percorso definito per la formazione del ginecologo oncologico. Né, a differenza di quanto avviene per esempio negli Stati Uniti o in altri Paesi europei, esiste uno specifico percorso formativo successivo alla specializzazione al cui termine il medico ottenga una vera e autentica certificazione in relazione alla ginecologia oncologica;

il risultato è che molti giovani medici appassionati di questa importante e delicata branca della medicina si impegnano nel seguire percorsi individuali ad esempio iscrivendosi a corsi privati certamente di qualità e autorevolezza scientifica. Tuttavia questi percorsi individuali non possono essere la sola forma obbligata di formazione a causa della sostanziale mancanza di alternative, nell'ambito della formazione universitaria istituzionalizzata, in una parte consistente del Paese;
oltretutto, aspetto nella pratica non secondario, il seguire questi percorsi individuali comporta spesso un esborso economico personale che può essere non indifferente vista la soglia ormai sempre più elevata di ingresso nella professione dopo il compimento della specializzazione (ormai si parla stabilmente di una forbice tra 30 e a volte perfino 35 anni) e vista l'impossibilità di avere un reddito adeguato essendo oggi vietato esercitare la professione già durante la specializzazione,


impegna il Governo:


ad effettuare un attento monitoraggio sull'effettiva applicazione, sull'intero territorio nazionale, di quei criteri di eccellenza che in teoria, in base alle norme richiamate in premessa, dovrebbero contraddistinguere la formazione e l'esercizio della professione nella specialità medica della ginecologia oncologica;
con specifico riferimento al tema della formazione e a quello ad esso collegata della ricerca, ad attuare tutte le iniziative di competenza per garantire, come già avviene da tempo negli Stati Uniti e in altri Paesi europei, percorsi formativi istituzionalizzati per gli specialisti in ginecologia oncologica.
(7-00727)
«Fucci, Barani, Binetti, D'Incecco, Grassi, Scalera, Stagno D'Alcontres».

...

ATTI DI CONTROLLO

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:

DI STANISLAO. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
Rete disarmo (di cui fanno parte oltre trenta organismi impegnati sui temi del controllo degli armamenti) chiede da tempo ormai di aumentare gli standard di controllo dei trasferimenti di armamenti, partendo dall'esperienza e dal buon impianto della legislazione esistente adeguandola alle normative internazionali;
con la già approvata legge delega di riforma della legge n. 185 del 1990 si rischia fortemente di diminuire la trasparenza e la chiarezza in materia di export militare;
ora con la legge di stabilità si abroga il Catalogo nazionale delle armi comuni da sparo;
Rete disarmo denuncia come ciò avviene proprio mentre a livello di Nazioni Unite sono ormai in dirittura d'arrivo per il 2012 i lavori di stesura di un Trattato internazionale sui trasferimenti di armi (ATT) vincolante per tutto il mondo;
l'Italia continua a mantenere la differenza tra armi leggere ad uso civile e armi leggere ad uso militare, che permette le nostre esportazioni in diversi Paesi problematici con l'aggravante che non è obbligatoria nemmeno la comunicazione dei dati in sede europea;
secondo la Rete italiana per il disarmo questa rimane, insieme alla mancata ratifica della posizione comune dell'Unione europea obbligatoria sui trafficanti, una grave lacuna del nostro ordinamento ed un pericolo per l'intera comunità internazionale;
si denuncia altresì che la decisione di eliminare il catalogo in questione venga proprio dalla lobby armiera, come confermato

da un comunicato del 1o luglio presidente dell'ANPAM (Associazione nazionale produttori armi e munizioni), nel quale si legge che in relazione al catalogo nazionale, si pensa che l'attenzione dedicata ai requisiti di catalogazione dovrebbe essere spostata verso l'aderenza al criterio unico di accesso alle armi comuni da parte dei cittadini europei riservando a forze e corpi armati dello Stato solo la categoria (armi da fuoco proibite), e considerando tutte le altre come armi consentite;
in una recente intervista il coordinatore scientifico dell'Osservatorio permanente armi leggere (Opal) afferma che «abolire il Catalogo rappresenterebbe un'importante vittoria politica per la lobby degli armieri italiani, che da decenni punta a una deregolamentazione totale di questo mercato, sul modello degli Stati Uniti dove, come sappiamo, qualunque squilibrato può comprare armi da guerra su Internet o al supermarket»;
afferma, altresì, che «l'abrogazione del Catalogo previsto dalla legge 110 consentirebbe all'industria armiera un forte incremento delle vendite soprattutto sul mercato interno, in crisi a causa del declino della caccia. Una crisi che verrebbe compensata con la libera vendita di armi da guerra a scopo di sicurezza personale ai cittadini opportunamente allarmati dalla propaganda politica»;
è evidente pertanto che un settore altamente delicato come questo necessita di una discussione parlamentare ampia e che riguardi un complessivo riordino della materia -:
quale siano le ragioni sottese alla scelta di abolire il Catalogo nazionale delle armi comuni da sparo e se non ritenga di dover assumere iniziative per rivedere tale norma viste le possibili gravi conseguenze che comporterà;
come il Governo intenda gestire il complesso settore dell'export militare e la vendita nel mercato interno delle armi in linea con gli altri Paesi nel mondo.
(4-13908)

...

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
a ridosso dei comuni di Maddaloni (Caserta) e Caserta è localizzata la Cava Vittoria con annesso cementificio di proprietà della Cementir spa del gruppo Caltagirone;
il suddetto cementificio, attivo dal 1975, ha estratto in maniera massiccia cemento dai monti Tifatini, nei pressi di centri abitati e in area soggetta a vincoli paesaggistici senza aver mai provveduto alla bonifica dell'area sfruttata, nonostante ciò sia previsto da due leggi regionali della Campania (la legge regionale 13 dicembre 1985, n. 54, coltivazione di cave e torbiere, e la legge regionale n. 17 del 13 aprile 1995 «Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 13 dicembre 1985, n. 54, concernente la disciplina della coltivazione delle cave e delle torbiere nella regione Campania»);
il cementificio Cementir spa del gruppo Caltagirone ha richiesto e ottenuto da parte della regione Campania con decreto dirigenziale numero 74 del 7 ottobre 2011 del genio civile di Caserta, l'ampliamento di «coltivazione cementizia» in località Lureto-Pintime, nei pressi del Monte San Michele, ai confini tra il comune di Maddaloni e Valle di Maddaloni, dove è già attivo il cementificio Moccia;
l'area soggetta all'ampliamento del cementificio Cementir spa - gruppo Caltagirone, non risulta idonea alla «coltivazione cementizia» per la presenza dell'acquedotto

Carolino, bene protetto dall'UNESCO; per i lavori in corso relativi alla realizzazione del policlinico della Sun (Seconda università di Napoli) ed infine perché soggetta ai seguenti vincoli:
a) vincolo paesistico ex legge n. 1497 del 1939;
b) vincolo di rimboschimento ex legge regionale n. 11 del 1996;
c) vincolo idrogeologico ex regio decreto n. 3267 del 1923;
d) vincolo delle aree percorse da incedi boschivi ex legge n. 353 del 1990;
e) sito a rischio frana in R1; R2; R3; piano stralcio per l'assetto idrologico dell'Autorità di bacino -:
se quanto riferito in premessa corrisponda al vero;
quali iniziative di competenza si intendano intraprendere per il rispetto dei vincoli riferiti in premessa e perché sia realizzata la bonifica dell'area sfruttata dalla estrazione di cemento dal 1975.
(4-13927)

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DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:

DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
all'interrogante risulta che al sottosegretario alla difesa Onorevole Crosetto, siano arrivati circa 4.000 fax da parte degli utenti degli alloggi della difesa;
in loro rappresentanza Casadiritto, il Comitato nazionale utenza e valorizzazione demanio militare di abitazione, da anni si batte per la tutela dei loro diritti;
l'ultima denuncia e la forte preoccupazione riguarda i canoni di concessione che sono stati applicati con regolamenti che hanno determinato l'effetto inconcepibile di pretendere canoni altissimi da famiglie con redditi medio-bassi;
Casadiritto denuncia come i canoni applicati ora dai Comandi a seguito del regolamento del 16 marzo 2011 risultano essere gonfiati in maniera evidente almeno della stessa quantità corrispondente alle imposte o tasse a cui sono sottoposti analoghi importi derivati dall'OMI ed adottati da privati contribuenti o da società immobiliari, perché, come Difesa, sono esenti da tasse;
in pratica, sostiene, su un canone mensile medio di 1.000 euro nelle grandi città, quello stesso canone dovrebbe essere parametrato a 500-600 euro al mese;
da mesi Casadiritto chiede un incontro per sollevare le questioni che attanagliano migliaia di utenti degli alloggi della Difesa;
sono state approvate mozioni a tal riguardo i cui impegni assunti dal Governo sono rimasti esclusivamente su carta -:
come il Governo intenda risolvere definitivamente e concretamente il problema dei canoni applicati agli alloggi della Difesa al fine di tutelare, così come si è impegnato a fare, gli utenti, fissando, altresì, un incontro nel breve tempo con Casadiritto.
(4-13906)

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ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:

Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere - premesso che:
si fa riferimento alle nuove modalità, ampiamente pubblicizzate nei telegiornali del 16 novembre 2011, che l'Agenzia delle entrate adotterà per frenare l'evasione e alla collocazione, a parere dell'interpellante ingiusta, nell'ambito delle situazioni meritevoli di controlli fiscali di quella riferita all'iscrizione dei figli a scuole private;
si tratta, ad avviso dell'interpellante, dell'ennesima concezione statalistica e

prevaricatrice nei confronti del pluralismo educativo; al riguardo, si ricorda che esiste la legge n. 62 del 2000 promossa dal Ministro Berlinguer che ha riconosciuto un sistema scolastico pubblico integrato formato da scuole statali e non è basato sulla compresenza di modelli formativi diversi;
la decisione delle famiglie di iscrivere i propri figli alle scuole paritarie non costituisce un privilegio per ricchi ma, ad avviso dell'interpellante, corrisponde alla libertà di scelta, da parte delle famiglie, delle scuole da far frequentare ai figli più confacenti alla loro impostazione ideale, decisione che determina alle medesime famiglie notevoli sacrifici economici che in molti casi non sono indice di ricchezza;
le scuole paritarie e ci si riferisce specifico ad istituti e scuole presenti nelle nostre regioni, le quali rappresentano un elemento fondamentale della cultura italiana, basti pensare a quelle gestite da ordini religiosi, sono investite da una grave crisi determinata dalla perdurante incertezza sulla definizione ed assegnazione delle necessarie risorse economiche da parte dello Stato; dopo l'annuncio dell'Agenzia delle entrate esse rischiano di subire un drastico calo di iscritti e conseguentemente di sparire, privando i cittadini italiani di un servizio pubblico essenziale che spesso e soprattutto per quanto concerne le scuole materne e primarie si sostituisce allo Stato che in determinate realtà territoriali è completamente assente -:
se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere affinché l'Agenzia delle entrate modifichi le proprie linee d'azioni per quanto riguarda le scuole paritarie, ingiustamente chiamate private, le quali svolgono una funzione pubblica.
(2-01270) «Garagnani».

Interrogazioni a risposta scritta:

DI STANISLAO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
le associazioni dei consumatori presenti nel Consiglio nazionale consumatori e utenti (Cncu) hanno denunciato che il Ministro dell'economia e delle finanze Tremonti ha stornato i fondi destinati ai consumatori, assegnandoli altrove. Si tratta di una somma di oltre 24 miliardi di euro;
ciò comporterà, affermano le associazioni, l'impossibilità di realizzare i programmi di informazione e assistenza ai consumatori che vengono finanziati con i proventi delle multe antitrust;
denunciano altresì che sul tavolo del Ministro dell'economia giaceva il decreto ministeriale di riassegnazione degli oltre 29 milioni di multe antitrust del 2010, a cui si aggiungono 70 milioni di euro delle multe antitrust e 4 dell'autorità per l'energia elettrica e il gas per il 2011, senza che si procedesse ad un atto dovuto, nonostante i ripetuti solleciti del presidente della Conferenza delle regioni e dello stesso Ministro dello sviluppo economico;
secondo il Cncu, infine, non è la prima volta che il Ministro dell'economia e delle finanze destina i fondi antitrust a tutt'altre destinazioni. E si parla di svariate decine di milioni di euro che invece sono dei cittadini-consumatori e non fanno parte del bilancio dello Stato;
le multe antitrust ci sono anche grazie alle denunce delle associazioni e in questo modo si vuole impedire ai consumatori di avere associazioni in grado di competere coi grandi poteri economici che sono i maggiori responsabili della crisi -:
come il Governo intenda giustificare la sottrazione dei proventi dalle multe irrogate dall'autorità garante della concorrenza e del mercato e dall'autorità per l'energia elettrica e il gas, che dovrebbero essere destinati al Consiglio nazionale consumatori

e utenti e usati nei programmi di informazione e assistenza;
se, ed in che modo, intenda provvedere al fine di tutelare e sostenere le associazioni dei consumatori e dare risposte concrete alle loro richieste.
(4-13910)

ROSATO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, all'articolo 49, comma 12, poneva un importo limite per il saldo dei libretti di deposito bancari o postali al portatore disponendo, al successivo comma 13 del medesimo articolo, che i libretti di deposito bancari con saldo superiore a quello fissato dalla legge dovessero venire estinti o il loro saldo dovesse venire ridotto nella misura necessaria al rispetto del limite posto;
il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, ha modificato l'importo previsto dal decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, di cui sopra, inizialmente ammontante a euro 5.000, e ridefinito in euro 2.500;
il medesimo decreto-legge ha modificato il termine entro il quale fosse possibile estinguere i libretti di deposito bancari con saldo eccedente quello imposto come limite dalla legge o ridurne l'importo al fine di rispettarne il limite imposto dalla legge, normando che lo stesso fosse fissato al 30 settembre 2011;
le modificazioni introdotte al decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, con decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, con legge 14 settembre 2011, n. 148, hanno lasciato invariato al comma 13 dell'articolo 49, il secondo periodo dove si disciplina l'obbligo in capo alle banche e a Poste italiane spa di dare «ampia diffusione ed informazione a tale disposizione»;
in caso di violazione della norma recante il saldo massimo consentito sui libretti di deposito bancari al portatore, il decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, all'articolo 51, comma 1, dispone che la banca deve riferire al Ministero dell'economia e delle finanze per la contestazione al trasgressore e alla persona che sia obbligata in solido al pagamento della somma dovuta per la violazione;
la stessa si appalesa essere costituita da sanzione amministrativa del valore compreso tra il 20 per cento e il 40 per cento del saldo del libretto di deposito bancario, anche se il comma 7-bis dell'articolo 58 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231 sancisce che «la sanzione amministrativa pecuniaria non può comunque essere inferiore nel minimo all'importo di tremila euro»;
all'interrogante sono giunte segnalazioni circa l'inadempimento di alcune banche all'obbligo di diffusione e informazione della disposizione ai propri clienti interessati dalla modifica normativa;
è accaduto, quindi, che alcune famiglie - accortesi in ritardo del fatto che il libretto di deposito bancario, spesso istituito per il figlio con i risparmi dei genitori, eccedesse rispetto al saldo massimo consentito con le modifiche apportate dal decreto-legge sopra citato - sono intervenute di loro spontanea iniziativa per ridurre l'ammontare del libretto;
risulta, però, che nei casi segnalati le banche abbiano anticipato alle famiglie il loro obbligo di procedere alla segnalazione al Ministero dell'economia e delle finanze dei nominativi dei portatori dei libretti di deposito bancari che avessero violato, temporaneamente, la disposizione dell'articolo 49, comma 12, del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, come modificato;
si precisa dell'esistenza presso numerosi istituti bancari, di libretti di deposito bancari, con diverse denominazioni, appositamente istituiti per raccogliere i risparmi delle famiglie destinati ai figli riportanti sui frontespizi dei libretti il nome del minorenne al quale è destinato e il nome del genitore responsabile;

conseguentemente all'istituzione di questi libretti di deposito bancari specifici per i bambini, è solito, alle famiglie italiane, finanziare gli stessi con i risparmi e con altre somme modeste nelle occasioni particolari per i bambini, senza seguire attentamente l'ammontare del saldo del libretto in quanto destinato al bambino una volta che diverrà maggiorenne;
è emerso, dalle segnalazioni pervenute all'interrogante, che il saldo di questi libretti di deposito bancari, fosse correttamente al di sotto del limite di euro 5.000 come imposto dal decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, prima delle modificazioni dell'agosto 2011, ma che fossero al di sopra del limite di euro 2.500 come introdotto con il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, con legge 14 settembre 2011, n. 148;
la sanzione amministrativa prevista appare essere sproporzionata perché potrebbe essere superiore al saldo stesso del libretto di deposito bancario, in caso di violazione minima del limite di legge;
anche una sanzione ammontante tra il 20 per cento e il 40 per cento del saldo del libretto di deposito bancario rappresenterebbe un eccesso considerato che si applica a modesti importi e che la tenuta degli stessi è stata fatta in buona fede;
si ritiene che la vicinanza tra la data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, e il termine ultimo per intervenire sui libretti di deposito bancari senza rischiare di incorrere in violazione della legge - che ricordo era il giorno 30 del mese immediatamente successivo - ha reso difficile una capillare informazione dell'intervenuta modifica al limite massimo consentito dalla legge;
si ricorda che in sede di conversione in legge del decreto-legge sopra citato sono state apportate numerose modifiche che hanno reso ancora più difficile la conoscenza del reale contenuto del testo convertito anche agli addetti ai lavori rappresentando un caso di «ignoranza inevitabile» come formulata ed accolta nella sentenza n. 364 del 24 marzo 1988 della Corte costituzionale;
va sottolineato che la conversione è avvenuta a due settimane dal termine ultimo per intervenire sui libretti di deposito bancari senza il rischio di incorrere in violazione della legge;
nel periodo in questione anche i mezzi di informazione, quali giornali, riviste, emittenti radiofoniche e televisive, non hanno prestato la dovuta attenzione al termine del 30 settembre 2011 e alla modifica del limite massimo consentito sui libretti di deposito bancari;
lungi dal pensare che il Governo intenda «fare cassa» ai danni dei piccoli risparmiatori e ai danni delle famiglie che hanno accantonato qualche modesta somma sui libretti di deposito bancari dedicati ai bambini, in ultimo, non certo per importanza, si richiama l'articolo 47 Costituzione, comma 1, «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito» -:
fermo restando la condivisione delle norme che limitano la circolazione del denaro contante e che combattono in questo modo anche l'evasione fiscale e le attività criminali, se e quali iniziativa il Governo, alla luce di quanto esposto in premessa circa la particolarità di alcuni libretti di deposito bancari istituiti per bambini e circa la vicinanza del termine posto rispetto alla data di pubblicazione della legge di conversione del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, intenda assumere in modo da poter tutelare le famiglie italiane dal rischio di una sanzione che pare ingiusta e penalizzante;
se il Governo non ritenga, in considerazione dell'abbassamento del limite del saldo massimo consentito a euro 2.500, di assumere iniziative normative per ridurre l'irragionevole e sproporzionata sanzione amministrativa di euro 3.000 prevista in caso di violazione del saldo massimo consentito;

se al Governo risulti che le banche e Poste italiane SpA abbiano provveduto, come previsto a norma dell'articolo 49, comma 13, del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, a dare ampia diffusione e informazione ai consumatori del termine del 30 settembre 2011 per adeguarsi alla normativa sull'abbassamento del limite del saldo consentito sui libretti di deposito bancari o postali.
(4-13922)

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GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:

MOTTA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la stampa locale di Parma ha raccolto il grido d'allarme lanciato dal procuratore capo Gerardo Laguardia in considerazione delle criticità di organico che la procura di Parma si troverà ad affrontare nei prossimi mesi in ragione del trasferimento dei sostituti procuratori dottoressa Licci e dottor Picciotti e dell'imminente pensionamento del dottor Giliotti;
presso la procura di Parma resterebbero in servizio solo quattro sostituti rispetto agli otto previsti in organico, stante la già attuale vacanza di un posto per il quale era già stato bandito un concorso andato poi deserto;
la situazione risulta essere pertanto particolarmente problematica anche in virtù dell'enorme carico di lavoro di cui è gravata la procura di Parma ancora impegnata su diversi filoni del crack Parmalat;
il procuratore Laguardia ha dichiarato di aver inoltrato al Consiglio superiore della magistratura la richiesta di assegnazione di almeno tre uditori per la procura della Repubblica di Parma al fine di ovviare, almeno parzialmente, alla carenza di sostituti;
il dottor Laguardia ha inoltre anticipato che nei prossimi giorni si attiverà anche per chiedere ulteriori aiuti anche per la Guardia di finanza, attualmente impegnata in attività di indagine particolarmente gravose -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione di carenza di organico della magistratura inquirente presso la procura della Repubblica di Parma;
se il Ministro interrogato non ritenga di assumere le iniziative di competenza perché si dia seguito alla richiesta di assegnazione di personale presso la procura della Repubblica di Parma.
(5-05708)

Interrogazioni a risposta scritta:

PALAGIANO. - Al Ministro della giustizia. - per sapere - premesso che:
dalle pagine di diversi organi di stampa del 15 novembre 2011, si apprende della morte di Cristian De Cupis, avvenuta nel reparto protetto dell'ospedale Belcolle di Viterbo;
l'uomo, un romano di 37 anni, già noto alle autorità per precedenti episodi legati al possesso di sostanze stupefacenti, era stato arrestato il 9 novembre per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale dalla polizia della stazione Termini di Roma. Immediatamente dopo aveva denunciato l'aggressione da parte dei poliziotti ai medici del pronto soccorso dell'ospedale Santo Spirito, nel quale era arrivato con diverse escoriazioni e in stato di evidente agitazione;
il 10 novembre 2011, De Cupis è stato trasferito in ambulanza nell'ospedale Belcolle di Viterbo, che è dotato di un reparto per i detenuti collegato al carcere «Mammagialla», dove sarebbe stato sottoposto a una serie di accertamenti clinici, compresa una tac. Il 12 novembre, l'uomo è deceduto;
il Garante dei detenuti, Angiolo Marroni, ha immediatamente ipotizzato la possibilità un nuovo caso Cucchi;

il 14 novembre 2011 è stata eseguita l'autopsia sul corpo dell'uomo, ma al momento non si hanno ancora risultati;
anche sulle modalità di svolgimento dell'esame autoptico ci sono dei lati oscuri, messi in evidenza proprio dal garante Marroni, secondo il quale l'autopsia sul corpo di De Cupis sarebbe stata eseguita con il solo medico nominato dal pubblico ministero, e i suoi familiari sarebbero stati avvertiti solo dopo la sua morte;
questo episodio rimanda, inevitabilmente - oltre al già citato caso Cucchi - ad altri episodi simili che sempre più spesso si ripetono nella carceri italiane e restano spesso privi di un chiarimento definitivo. In particolare, al caso Bianzino, sul quale l'interrogante ha depositato un'interrogazione parlamentare (4-03723) il 24 luglio 2009, ancora in attesa di risposta -:
se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopraelencati, e se e quando intenda disporre le verifiche del caso per accertare le eventuali responsabilità sul piano amministrativo e disciplinare e fare piena luce sull'accaduto.
(4-13914)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto asserito dal comitato per la prevenzione della tortura (CPT) nel suo rapporto annuale pubblicato l'11 novembre la pratica italiana di punire con l'isolamento i carcerati condannati a più di cinque anni di detenzione, come previsto dall'articolo 72 del codice penale, è inaccettabile;
ad asserirlo è il Comitato per la prevenzione della tortura, che nel rapporto annuale pubblicato oggi detta le regole che gli Stati devono adottare quando infliggono l'isolamento ai carcerati;
secondo il presidente dell'organismo di monitoraggio del Consiglio d'Europa, l'azero Letif Huseynov, gli unici Paesi a ricorrere alla pratica dell'isolamento come parte della pena da scontare sono l'Italia e la Russia;
il Comitato per la prevenzione della tortura ritiene che l'isolamento non debba mai essere imposto come parte della pena. Secondo i dati raccolti dal Comitato per la prevenzione della tortura isolamento è una pratica potenzialmente pericolosi che può avere effetti estremamente dannosi sulla salute mentale di coloro che vi sono sottoposti. Per questo, l'organismo chiede agli Stati membri del Consiglio d'Europa di ridurre al minimo indispensabile il ricorso a questa pratica, anche come misura disciplinare per proteggere il singolo carcerato;
nel citato rapporto il Comitato per la prevenzione della tortura delinea tutti i principi che gli Stati membri devono applicare affinché le loro pratiche inerenti all'isolamento rispettino gli standard stabiliti al livello europeo e non rischino di trasformarsi in maltrattamento -:
quali iniziative urgenti anche normative, intenda adottare e/o promuovere, al fine di adeguare il nostro sistema giuridico alle indicazioni contenute nel rapporto annuale del Comitato per la prevenzione della tortura richiamato in premessa;
in che tempi intenda dare seguito all'ordine del giorno (n. 9/1439-A/2) della delegazione radicale all'interno del gruppo del PD, presentato e accolto l'8 giugno 2011, che impegna il Governo: predisporre con la massima urgenza un disegno di legge volto ad introdurre il reato di tortura nel codice penale italiano.
(4-13916)

SIRAGUSA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
con legge 14 settembre 2011, n. 148, di conversione del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, è stato attribuito al Governo il compito di adottare un piano per la riorganizzazione

della distribuzione sul territorio nazionale degli uffici giudiziari;
l'efficienza del sistema giudiziario nel nostro Paese presuppone necessariamente un'efficace distribuzione sul territorio nazionale degli uffici giudiziari e l'adeguatezza della loro struttura dimensionale;
tale riorganizzazione deve, con particolare attenzione, tenere conto delle zone con forte presenza di criminalità organizzata dove è rilevante la domanda di giustizia;
il Ministro della giustizia, onorevole Nitto Palma, ha già incaricato un gruppo di lavoro specificatamente dedicato all'attuazione della riforma;
il Governo, in sede di revisione delle circoscrizioni giudiziarie, qualora non tenesse in giusta considerazione la collocazione geografica e la densità criminale del territorio interessato, finirebbe per perpetrare un atto di grave penalizzazione ai danni delle popolazioni di questo territorio;
con provvedimento N. 88 del 4 ottobre 2011, il presidente del tribunale di Marsala, ha decretato il trasferimento di tutte le attività giurisdizionali dalla sezione distaccata di Partanna a quella di Castelvetrano;
tale provvedimento, emanato a seguito dell'entrata in vigore dall'articolo 37, legge n. 111 del 15 luglio 2011, che impone ai dirigenti degli uffici giudiziari la redazione di un piano annuale per la massima accelerazione della trattazione e della definizione dei procedimenti civili pendenti, di fatto svuota di ogni funzione la sezione distaccata di Partanna;
per tutta la Valle del Belice questo sito giudiziario rappresenta un presidio di legalità, ma ancora di più rappresenta la presenza dello Stato in un contesto sociale e geografico caratterizzato da molti deficit strutturali ed economici ed ad alta densità criminale;
il Governo, in sede di revisione delle circoscrizioni giudiziarie, qualora non tenesse in giusta considerazione la collocazione geografica e la densità criminale del territorio interessato, finirebbe per perpetrare un atto di grave penalizzazione ai danni delle popolazioni di questo territorio;
un territorio che comprende i comuni di Santa Ninfa, Salaparuta, Poggioreale e Gibellina oltre che di Partanna;
a Partanna viene espletata una consistente mole di lavoro, tanto che nel corso del 2010 le sole notifiche effettuate dall'ufficiale giudiziario ammontano a circa quattro mila e che il contenzioso ha superato i seicento procedimenti oltre a tutta l'altra attività giudiziaria quale la volontaria giurisdizione e altro;
l'eventuale soppressione di un ufficio giudiziario non può avvenire «di fatto» a seguito di un provvedimento amministrativo del dirigente dell'ufficio giudiziario, ma, casomai, con apposito provvedimento legislativo delegato -:
se il Ministro interrogato non ritenga, in sede di esercizio della delega per la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, di dover tenere in considerazione la densità criminale e la conformazione geografica del territorio interessato, così salvaguardando la permanenza del tribunale di Partanna a tutela dei cittadini e del loro diritto alla legalità e alla sicurezza.
(4-13917)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
lo scorso 14 novembre, il segretario generale del Sindacato autonomo della polizia penitenziaria (Sappe) ha diramato il seguente comunicato: «Il Sappe vuole porre l'attenzione dei vertici dell'Amministrazione penitenziaria sulle precarie condizioni strutturali in cui versa la Casa Circondariale di Potenza, la cui attivazione è risalente agli anni 50. Da tempo, infatti, si registrano numerose anomalie strutturali

che destano forti preoccupazioni sotto il profilo della sicurezza. Da circa un mese, dopo che i tecnici preposti ne hanno dichiarato il rischio di crollo, è stato chiuso il Reparto penale, poiché, a causa di abbondanti infiltrazioni di acqua, è stata compromessa la consistenza strutturale di una parte del padiglione. Tale stato di fatto ha comportato l'immediata evacuazione del reparto in questione con il trasferimento di tutti i detenuti presso il Reparto giudiziario, il quale, anche quest'ultimo, non versa in condizioni del tutto ottimali. Al momento l'unico intervento, a parte l'immediata evacuazione del Reparto penale, è stato quello del Provveditorato Regionale di trasferire solo 5 detenuti in altro Istituto del distretto; nel frattempo l'Istituto di Potenza è stato destinatario di altri numerosi detenuti provenienti da altri istituti trasferiti per "sfollamento". Lo stato attuale detentivo dell'Istituto potentino sta divenendo assai preoccupante in quanto i reclusi sono ristretti tutti presso il Reparto giudiziario, "stipati" in stanze anguste e assolutamente non adeguate a quello che prevede il decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, con negative ripercussioni sulla sicurezza del personale di Polizia Penitenziaria, costretto a escogitare quotidianamente soluzioni per "tamponare" le colossali inadeguatezze, A tal riguardo abbiamo chiesto urgentemente di attivare gli Uffici competenti affinché vengano posti in essere ulteriori idonei provvedimenti, anche di tipo deflattivo, nei confronti dei detenuti, finalizzati a riportare un regolare stato di vivibilità detentiva all'interno della struttura penitenziaria, al fine di evitare che la situazione possa determinare episodi di criticità a danno dell'Amministrazione e del personale che, allo stato, risulta essere assolutamente sotto organico e pertanto numericamente inidoneo a fronteggiare situazioni di notevole gravità. Oltre alla predetta situazione si è verificato, infatti, il continuo "scollamento" di pesanti lastre di marmo che rivestono il muro di cinta, ed anche se la parte interessata è stata parzialmente interdetta al passaggio di pedoni le barriere poste in essere per transennare la zona appaiono assolutamente inidonee e prive di sicurezza. Numerose infiltrazioni di acqua piovana provengono dai solai posti nelle due caserme (femminile e maschile) e nella porta carraia, soprattutto causate dal deterioramento degli impianti di canalizzazione dell'acqua, tanto da creare forti getti di acqua all'interno dei predetti locali, ponendo fondati dubbi sulla idoneità delle condizioni igienico sanitarie. Sarebbe più corretto porre tempestivi interventi di ripristino, evitando un disastroso deterioramento delle strutture, con l'aggravio di costi per le riparazioni. Per ultimo, e non per minore importanza, la parziale funzionalità dell'impianto termico, che determina ulteriori precarie condizioni di vivibilità sia per i detenuti che per il personale di Polizia Penitenziaria, quest'ultimo costretto a lavorare con temperature inidonee, in particolar modo nelle ore notturne e ancor di più se si pensi alle particolari condizioni climatiche della Regione» -:
quali iniziative il Ministro intenda porre in essere per far fronte ed eliminare le criticità denunciate dal SAPPE;
quali motivi abbiano fino ad ora impedito di procedere in tal senso.
(4-13919)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riferito dal Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe) nel carcere di Monza sarebbe imminente lo sfollamento di 400 detenuti verso altri istituti penitenziari della Lombardia, atteso che i danni provocati dalle recenti e frequenti piogge è stato tale da avere reso inagibile parte delle celle e delle sezioni detentive;
da giorni sulla città di Monza si ripetono pesanti acquazzoni che hanno reso inagibile la struttura penitenziaria, in particolar modo le sezioni ad alta sicurezza,

dove vi è una capienza regolamentare di 100 detenuti su 50 camere, mentre attualmente, nelle due sezioni, sono presenti circa 120 detenuti, il che fa registrare un notevole stato di sovraffollamento. Fino a ieri le camere inagibili erano solo due, ma con il passar del giorni è divenuta inagibile più di mezza sezione;
oltre alle infiltrazioni d'acqua piovana si sta verificando che alcune plafoniere risultano piene d'acqua al punto che nell'istituto di pena lombardo spesso viene a mancare l'energia elettrica, il che aggrava ancor di più la sicurezza sia del personale che dei reclusi;
risulta inoltre che, sempre a causa delle piogge, sia saltato anche l'impianto di riscaldamento dell'intero istituto -:
se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
con quali mezzi si intendano tradurre i circa 400 detenuti negli altri istituti di pena lombardi, visto che il reparto di polizia di Monza risulta non averne a sufficienza;
se e quali urgenti interventi di manutenzione siano stati predisposti sul carcere di Monza, considerato che l'istituto di pena in questione - seppur parzialmente - rimarrà comunque funzionate, con diverse centinaia di poliziotti penitenziari e circa 500 detenuti.
(4-13920)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
sul quotidiano Il Tirreno dello scorso 14 novembre è apparso un articolo intitolato: «Carcere di Via Saffi, l'igiene è un disastro»;
la casa circondariale di Grosseto accoglie attualmente 25 detenuti, di cui il 60 per cento stranieri, ed altrettanti operatori delle forze dell'ordine. I carcerati provengono da qualunque tipologia di reato e passano dalla libertà alla detenzione in questa struttura in attesa di essere tradotti altrove;
le celle del carcere di Via Saffi ospitano sino a cinque detenuti ognuna ed i servizi sanitari sono precari, atteso che, secondo quanto dichiarato dalla stessa direttrice dell'istituto di pena, la dottoressa Cristina Morrone, «nell'istituto di pena vi sono tre sciacquoni rotti da diverso tempo e non ci sono i soldi per aggiustarli. La carta igienica ed i detersivi poi, spesso, ci vengono donati dalla Caritas» -:
se intenda dotare l'istituto penitenziario di Grosseto delle risorse economiche necessarie e sufficienti per far fronte quanto meno alla sua manutenzione e gestione ordinarla.
(4-13921)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
su La Gazzetta del Mezzogiorno del 17 ottobre 2011 è apparso un articolo di G.L. intitolato «I genitori cercano un accordo - Bimbe contese: l'uomo aveva inscenato una protesta davanti al Tribunale per i minorenni», nel quale viene raccontata la drammatica vicenda di S.S. 33 anni, al quale sono state tolte le figlie e che proprio per questo da diversi mesi sta portando avanti una pacifica e civile protesta davanti al tribunale per i minori di Bari. La stessa notizia è stata ripresa dal Quotidiano di Bari e Provincia lo scorso primo novembre 2011 in un articolo scritto da Francesco De Martino e intitolato «Porterò la mia croce davanti a istituzioni e tribunali baresi - Continua la protesta, davanti al Tribunale per i minori di Bari, del commerciante all'ingrosso di Trinitapoli che rivuole le sue figliole»;
la vicenda narrata negli articoli sopra citati può essere riassunta nel modo che segue: a seguito di una nota trasmessa dai servizi sociali di Trinitapoli, con la quale si

denunciava la condizione di presunto pregiudizio in cui vivrebbero le minori A e F. S., è stato promosso dalla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni di Bari un procedimento sulla potestà, attesa l'incapacità della madre di prendersi cura delle figlie, e stante la presunta elevata conflittualità della donna con il padre delle due minori;
il tribunale per i minorenni di Bari, con provvedimento del 24 novembre 2010, disponeva quindi l'affido delle medesime minori, di appena due anni e mezzo, ai servizi sociali di Trinitapoli e le collocava, unitamente alla madre signora L.C. presso una struttura comunitaria idonea alla realizzazione di interventi volti al recupero psicofisico della madre (a causa di un gesto autolesionistico compiuto dalla medesima), stabilendo altresì che gli incontri delle minori con il padre dovessero avvenire in forma protetta a scopo di cautela;
dopo una serie di accertamenti, il tribunale per i minorenni di Bari, con provvedimento del 9 febbraio 2011, dopo aver affermato (testuale) che «Le minori hanno un ottimo rapporto con il padre e su questo non vi è dubbio», disponeva solo un percorso di deistituzionalizzazione della madre e delle bambine, prevedendo il loro graduale rientro a Trinitapoli da attuarsi entro e non oltre il mese di maggio 2011;
successivamente, e del tutto incomprensibilmente, lo stesso tribunale per i minorenni, con provvedimento del 20 aprile 2011, nonostante avesse precedentemente accertato l'ottimo rapporto delle minori con il padre, disponeva (testuale): «la sospensione dei rientri delle minori nella città di Trinitapoli»;
tale repentino cambiamento di indirizzo da parte del tribunale per i minorenni di Bari e, quindi, la decisione di sospendere il rientro delle minori a casa, veniva motivato dall'autorità giudiziaria sulla base di una richiesta della madre di anticipare il rientro a casa delle minori ed anche, incredibile a dirsi, sulla base di una civilissima e pacifica protesta attuata, davanti alla sede del tribunale, dal padre delle due minori al fine di rivendicare il proprio diritto alla genitorialità. Ed invero nel citato provvedimento del 20 aprile 2011 adottato dal tribunale per i minorenni di Bari è dato leggere quanto segue: «(...) considerato che il successivo giorno 4 aprile la Sig.ra C.L. ...inviava un fax al tribunale nel quale chiedeva di poter anticipare il rientro a casa... e considerato che nella stessa giornata S.S. inscenava innanzi al Tribunale per i Minorenni una manifestazione di protesta consistente nell'esposizione di un tabellone appeso alla recinzione apposta di fronte al Tribunale, nelle esposizione di due cartelli da lui indossati e nella distribuzione ai passanti di volantini, oltre che nella spiegazione ai passanti dei fatti, a mezzo megafono, lamentando l'allontanamento delle figlie da Trinitapoli e il loro collocamento in comunità (...)»;
inoltre, con successivo provvedimento del 1o giugno 2011, il tribunale per i minorenni di Bari ordinava addirittura l'immediata sospensione degli incontri del padre con le minori (provvedimento poi tempestivamente impugnato dagli avvocati dell'interessato);
in considerazione della gravità di quanto stava accadendo e, soprattutto, nell'interesse delle due minori, i legali di fiducia del padre e della madre delle bambine depositavano congiuntamente, in data 10 ottobre 2011, una istanza di affido condiviso rendendo sostanzialmente vano l'argomento del presunto - e mai provato - stato di litigiosità fra i genitori delle piccole A. e F. utilizzato dalle istituzioni per addivenire ai provvedimenti innanzi richiamati;
il tribunale per i minorenni di Bari respingeva l'istanza di affido condiviso rinviando ogni decisione in merito all'esito del deposito dell'elaborato peritale;
con successiva istanza d'urgenza del 20 ottobre 2011, sempre a firma congiunta dei legali del padre e della madre delle minori, le richieste di affido condiviso delle bambine venivano reiterate atteso lo stato

di salute delle piccole A. e F. e stante il fatto che ormai le minori non potevano essere ulteriormente collocate presso la struttura che le ospita unitamente alla loro madre;
il tribunale per i minorenni di Bari, rigettava nuovamente l'istanza rinviando ogni decisione in merito all'esito del deposito dell'elaborato peritale;
nella presente vicenda non vi è mai stato alcun provvedimento di decadenza della potestà genitoriale nei confronti dei due genitori e tanto meno del signor S.S. il quale si è sempre preso cura delle minori ed è economicamente in grado di sostenere le stesse, essendo titolare di una azienda agricola e disponendo di una abitazione in grado di ospitare entrambe le figlie;
l'articolo 1 della legge n. 184 del 1983 dà priorità all'esigenza del minore di crescere all'interno della famiglia naturale, così valorizzando il legame naturale del figlio con la famiglia d'origine. Il rilievo del legame di sangue è tanto forte da importare che la crescita del minore in seno alla famiglia naturale può essere sacrificata solo a fronte di una oggettiva situazione di mancanza di cure materiali e morali da parte dei genitori e dei prossimi congiunti, che possa gravemente pregiudicare lo sviluppo e l'equilibrio psico-fisico del minore (Corte di Cassazione Sezione I civile, 14 aprile 2006, n. 8877);
in nessuno dei decreti emessi dal tribunale dei minori di Bari si ravvisa tale «oggettiva situazione di mancanza di cure materiali e morali da parte dei genitori delle minori»; il che fa sorgere il fondato sospetto che i provvedimenti finora assunti dall'autorità giudiziaria siano stati in qualche misura indotti o comunque condizionati dalla protesta pacifica del signor S.S.;
ad avviso degli interroganti, tutto ciò rappresenta un danno per le due bambine che, anche in caso di separazione dei genitori, hanno tutto il diritto di mantenere, se non la famiglia, almeno relazioni positive con ciascun genitore, onde prevenire sofferenze psicologiche e danni allo sviluppo della loro personalità;
peraltro il mantenimento delle due minori in comunità, ancorché immotivato, costituisce un aggravio di costi per gli enti pubblici locali, stimabile in almeno 8.000,00 euro mensili;
sarebbe opportuno appurare:
a) se siano stati garantiti nei confronti delle due minori citate la tutela dell'incolumità fisica e psicologica e l'ascolto delle loro ragioni, ed in generale i diritti garantiti dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, e se ci siano eventuali ragioni amministrative che impediscano la loro permanenza nel contesto familiare in cui sono cresciute;
b) se le minori siano state adeguatamente tutelate nel loro diritto di continuare a godere dell'affetto di entrambi i loro genitori che rappresentavano il loro unico punto di riferimento -:
se il Ministro della giustizia non ritenga opportuno assumere, nell'ambito delle proprie competenze, iniziative, con riferimento a quanto descritto in premessa, al fine di verificare l'eventuale sussistenza di presupposti idonei a promuovere un'azione disciplinare;
se il Governo non ritenga necessario verificare quanti siano all'anno i collocamenti in casa famiglia o in comunità disposti dal tribunale dei minori di Bari nei casi in cui esista un genitore idoneo che abbia un forte legame affettivo con il figlio e se disponga di elementi in ordine all'importo annuale delle spese relative ai collocamenti in comunità o case famiglia disposti dal tribunale dei minori di Bari, considerando che il costo per lo Stato in media varia dai 70 ai 300 euro al giorno per ciascun minore.
(4-13931)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:

CENNI, MATTESINI, TRAPPOLINO e NANNICINI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
la tratta ferroviaria ad alta velocità Roma-Firenze rappresenta una infrastruttura strategica e fondamentale per l'intero centro Italia: un volano imprescindibile per la crescita e lo sviluppo sociale, occupazionale, produttivo ed economico dei territori interessati. Ogni giorno, soprattutto le stazioni di Orvieto, Chiusi e Arezzo, vengono utilizzate da migliaia di passeggeri (in prevalenza pendolari che si spostano per motivi di studio e lavoro) in un bacino di utenza vasto e diversificato che, tra l'altro, raccoglie intere province come quelle di Arezzo, Siena, Terni, senza dimenticare Grosseto o Viterbo;
nonostante non esista, in gran parte dei territori sopracitati, una rete infrastrutturale alternativa, la tratta Roma-Firenze ha registrato negli ultimi anni, soprattutto nelle stazioni di Orvieto, Chiusi e Arezzo, una notevole riduzione dell'offerta dei treni Intercity ed Eurostar. Limitazioni che hanno provocato inevitabilmente gravi disagi ai viaggiatori ed una sensibile riduzione del diritto alla mobilità;
dall'anno 2009 è entrato infatti a regime un modello duale di trasporto ferroviario: l'alta velocità per i treni Eurostar e quella bassa, che ha riguardato la tipologia di convogli utilizzati prevalentemente dai «pendolari» che (come riportano indagini di settore) rappresentano il 90 per cento dell'utenza di chi utilizza frequentemente il treno come mezzo di trasporto;
la riduzione dell'offerta è testimoniata dalla attuale minima frequenza di Eurostar (denominati «Frecciarossa») nelle stazioni di Orvieto, Chiusi e Arezzo lungo la direttrice Roma-Firenze: ad oggi solamente un treno veloce al giorno parte dalla capitale (alle ore 20.15) e fa sosta nelle stazioni di Orvieto (ore 21), Chiusi (ore 21.20) ed Arezzo (ore 21,49);
secondo quanto denunciato, in questi giorni, dalle associazioni e dai comitati dei pendolari e rilanciato da organi di stampa locale, nel prossimo orario invernale, in vigore dal mese di dicembre 2011, Trenitalia avrebbe deciso di sopprimere anche questo treno veloce. Interi territori e centinaia di migliaia di cittadini, in fasce orarie strategiche e di punta, sarebbero quindi privati totalmente di un trasporto pubblico su rotaia efficace; nonostante l'infrastrutturale viaria in oggetto sia di proprietà dello Stato, sovvenzionata da tutti i contribuenti e dovrebbe quindi rappresentare uno strumento per promuovere il diritto alla mobilità ed il cosiddetto servizio universale;
il sito stesso di Trenitalia, nella sezione relativa alle informazioni sugli orari, sembrerebbe confermare ad oggi tale soppressione di treni veloci;
le stazioni ferroviarie sopracitate e conseguentemente i cittadini residenti nei territori interessati hanno già subito nei mesi scorsi, sulla tratta Roma-Firenze, una sensibile riduzione del servizio che ha riguardato alcune tipologie di treni utilizzati soprattutto dai pendolari;
il 24 febbraio 2009 è stata approvata dalla Commissione IX (Trasporti, Poste e Telecomunicazioni) della Camera dei deputati, una risoluzione, presentata a prima firma Meta-Ceccuzzi (8-00033) che impegna, tra l'altro, il Governo:
ad intraprendere tutte le iniziative che assicurino, per gli anni 2010 e 2011, l'attuale frequenza e gli stessi tempi di percorrenza del servizio Intercity tra Firenze e Roma, garantendone il passaggio sulla tratta strategica direttissima Firenze-Roma, fino a quando non verrà effettuato l'ammodernamento ed il quadruplicamento della linea ferroviaria; tale garanzia dovrà esplicarsi anche mediante accordi

con Trenitalia che assicurino che la stessa Trenitalia non possa retrocedere tali treni sulla linea lenta, e prevedendo, quando ciò accada, cospicue penali da rifondere allo Stato ed ai passeggeri;
ad intraprendere tutte le iniziative atte a confermare le attuali fermate del servizio Eurostar ed Intercity presso le stazioni di Arezzo, di Chiusi e di Orvieto;
a non operare ulteriori tagli di risorse per scongiurare il rischio di marginalità di alcuni territori e a tutelare il diritto alla mobilità dei milioni di pendolari nel nostro Paese -:
se le indiscrezioni emerse citate in premessa (relative alla soppressione dell'unico Eurostar nelle stazioni di Orvieto, Chiusi ed Arezzo introdotte con il nuovo orario invernale di Trenitalia) corrispondano al vero;
qualora l'Eurostar in oggetto fosse soppresso, quali iniziative urgenti intenda intraprendere il Ministro per rispettare gli impegni assunti dal Governo (riguardo ai contenuti della risoluzione 8-00033 del 2009) e per contrastare le notevoli ripercussioni negative che causerebbe tale riduzione dell'offerta rispetto al vasto ed articolato bacino demografico di riferimento e allo sviluppo sociale, economico, produttivo ed occupazionale dei territori interessati.
(5-05709)

BELLANOVA. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
le infrastrutture ed il trasporto pubblico costituiscono uno dei fondamentali motori dello sviluppo economico e sociale di un Paese;
il Mezzogiorno d'Italia da sempre è considerata una terra strategica per la sua posizione geografica che ne fa il crocevia dei flussi commerciali tra il Mediterraneo e l'Europa. Inoltre, negli ultimi anni ha avuto un vero e proprio exploit nel panorama turistico nazionale ed internazionale;
poter contare, dunque, su un efficiente sistema di infrastrutture per il Sud Italia ha una importanza strategica vitale. I sistemi di trasporto, se resi efficienti, consentono, innanzitutto, di ridurre la perifericità delle terre meridionali rispetto al settentrione d'Italia ed all'Europa ed in più tale presupposto può costituire un leitmotiv per una ripresa economico-sociale del Sud Italia che oggi soffre gli effetti della crisi devastante che lo ha investito;
dalle notizie emerse sulla stampa locale si apprende che sarà cospicuo il taglio compiuto da Trenitalia ai collegamenti ferroviari che vanno da Sud a Nord e viceversa. Il Quotidiano di Puglia, sabato 12 novembre, reca testualmente «dal prossimo 12 dicembre, in Puglia saranno tagliati il treno ES City 9816 Lecce-Milano delle ore 7, gli Intercity notturni per Venezia, i treni 1576 e 1579, i treni per Milano 1616 e 1617, quelli con servizio di auto al seguito 1657 e 1660 che arrivano a Milano San Cristoforo; saranno soppressi i treni Espresso 951 e 956 Lecce-Roma via Taranto che il mese scorso erano già stati trasformati da giornalieri a periodici, non sarà più giornaliero l'Intercity notte 788/789 Lecce-Roma che, dalla capitale, funzionerà solo il venerdì sera e ripartirà dal Salento la domenica; soppressi il Freccia Argento Es 9352 e 9359 Lecce-Roma e i Freccia Bianca periodici Bari-Milano 9828 e Milano-Bari 9817»;
a queste soppressioni ci sarebbe da aggiungere quelle dei treni regionali conseguenti al taglio di risorse stabilito con la recente finanziaria;
oltre alla evidente riduzione del servizio a favore dei cittadini, insieme ai treni si potrebbe configurare una diminuzione dei lavoratori operanti in questo comparto e questo comporterebbe, certamente, una duplice penalizzazione del territorio meridionale già ampiamente martoriato per ciò che riguarda il settore dell'occupazione;
il settore dei trasporti è di vitale importanza per un territorio, quale il

Mezzogiorno, che oggi gode di una indiscussa vocazione turistica. In breve tempo si sono strutturate piccole e medie imprese che valorizzando le bellezze paesaggistiche e culturali delle città Meridionali hanno investito in tale ambito. Molte persone italiane e non che hanno voglia di vedere le bellezze artistiche, paesaggistiche e culturali del Sud Italia, infatti, utilizzano proprio il sistema ferroviario per gli spostamenti di breve o medio-lungo termine -:
in che modo il Ministro interrogato, in virtù di quanto sopra esposto, intenda intervenire per evitare che il meridione d'Italia risulti completamente isolato e penalizzato dal punto di vista delle infrastrutture ed anche occupazionale;
se, alla luce di quanto citato in premessa, non si ritenga opportuno convocare un tavolo interistituzionale per individuare una soluzione rapida e concreta che non danneggi i cittadini e le piccole e medie imprese del meridione.
(5-05711)

Interrogazioni a risposta scritta:

LO MORO, TRAVERSA, ANGELA NAPOLI e TASSONE. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
negli ultimi anni si è registrata in Calabria una progressiva riduzione, da parte di Trenitalia spa, controllata al 100 per cento da Ferrovie dello Stato italiane, di servizi e treni, giustificati dall'azienda e dallo stesso Governo con ragioni di bilancio anche se, in realtà, sono stati smantellati persino servizi in attivo come il servizio «auto a seguito» per il quale peraltro erano stati effettuati in alcuni scali calabresi consistenti investimenti;
nessun seguito ha avuto, inoltre, l'accordo di programma stipulato nel settembre 2010, con riferimento al porto di Gioia Tauro, tra la regione Calabria, l'autorità portuale e i Ministeri dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti, con il quale venivano, in particolare, concessi 261 milioni di euro a RFI spa (Rete ferroviaria italiana spa), dello stesso gruppo Ferrovie dello Stato, per il potenziamento della rete ferroviaria a servizio dell'infrastruttura portuale calabrese, mentre la stessa RFI spa sta investendo 200 milioni di euro nella piattaforma logistica di Trieste in fase di realizzazione in partnership con la Maersk e con Unicredit;
in questo quadro ad avviso degli interroganti, è facile cogliere una scelta del gruppo Ferrovie dello Stato in danno della Calabria e del Meridione con una progressiva emarginazione rispetto al sistema Paese e con un'offerta e una qualità dei trasporti che accentua il divario tra il Nord e il Sud;
secondo notizie di stampa di questi ultimi giorni, la nuova ipotesi di programmazione dei servizi ferroviari prevista da Trenitalia, in occasione dell'entrata in vigore dell'orario 2011/2012, relativamente al servizio minimo che ha l'obbligo di erogare per le relazioni Reggio Calabria/Torino, Reggio Calabria/Milano e Reggio Calabria/Venezia, garantirebbe dei collegamenti da e per la Calabria solo su Roma; il successivo proseguimento sulle destinazioni succitate dovrebbe essere effettuato con l'utilizzazione dei convogli alta velocità «Freccia Rossa»;
tale previsione, se mantenuta nei termini suesposti, andrebbe a penalizzare gravemente i cittadini calabresi che sarebbero costretti a utilizzare una tipologia di servizi che non prevede l'offerta notte (cuccette e vagoni letto), con l'aggravante che sarebbero obbligati ad una soluzione, imposta senza alcuna alternativa, che, oltre ad essere scomoda e a provocare disagi, anche fisici, risulta svantaggiosa dal punto di vista economico, in quanto ricade in un segmento con tariffe elevate;
in tale situazione, si impone un tempestivo e serio approfondimento circa le direttive che il Governo ha emanato sull'erogazione dei servizi pubblici, allo scopo di evitare che Trenitalia in maniera unilaterale possa procedere alla soppressione di servizi ferroviari notturni, limitando gravemente

il diritto alla mobilità dei cittadini calabresi sulle tratte di lunga percorrenza;
sempre secondo notizie di stampa, la riduzione dei finanziamenti dello Stato riguarderebbe anche il trasporto regionale, con conseguenze negative su un servizio che in Calabria è già parziale e precario -:
quali direttive si intendano emanare per garantire, oltre al rispetto del patto di stabilità, il diritto alla mobilità dei calabresi in termini compatibili con lo standard nazionale;
come si intenda affrontare il problema delle tratte di lunga percorrenza e quali e quanti treni a completo carico dello Stato saranno garantiti da Trenitalia spa;
quale sia l'entità del finanziamento previsto per il sistema ferroviario regionale e come si intenda contribuire, in un'ottica di sistema e per quanto di competenza, al mantenimento e al potenziamento del servizio regionale calabrese;
se si intenda procedere ad un intervento urgente per velocizzare la predisposizione dei progetti necessari per l'impiego dei fondi destinati a RFI spa con l'accordo di programma richiamato in premessa;
se non si ritenga necessaria una verifica delle direttive in passato emanate dal Governo al gruppo Ferrovie dello Stato ed un'inversione di tendenza per evitare ulteriori penalizzazioni della Calabria e del Meridione.
(4-13912)

CATANOSO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'aeroporto di Catania è una struttura di vitale importanza per lo sviluppo civile ed economico della Sicilia orientale;
abbraccia un bacino d'utenza di ben sette province e assorbe buona parte dei flussi turistici dell'isola;
sebbene quest'ultimo anno sia stato funestato dalla grave crisi economica, esso ha registrato un incremento di traffico aereo (+6,5) superando i 6 milioni di passeggeri nel 2010 tanto da riconfermarsi tra i primi cinque scali italiani;
le più accreditate analisi di mercato ipotizzano una crescita cumulata del volume dei passeggeri, pari a circa il 60 per cento rispetto ai valori attuali, e pari a circa il 40 per cento del numero attuale di movimenti;
la recente decisione dell'Unione europea di relegare l'aeroporto di Fontanarossa tra gli aeroporti «comprensive network» (secondo livello) e non tra quelli «core network» (primo livello) inficerà, se non immediatamente modificata, lo sviluppo della struttura;
è di vitale importanza che le infrastrutture del cosiddetto «corridoio 5» (Helsinki-Malta), che comprende la tratta ferroviaria della Sicilia orientale, l'aeroporto di Catania e i porti di Augusta e Pozzallo, siano comprese tra i «core network»;
quali iniziative di competenza intendano adottare i Ministri interrogati presso le istituzioni europee al fine di far rientrare l'aeroporto di Catania e il «corridoio 5» (Helsinki-Malta) nel «core network» europeo.
(4-13924)

GIORGIO MERLO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
la razionalizzazione della spesa decisa da Trenitalia rischia di creare enormi disagi per i pendolari aggravando i problemi già esistenti;
è il caso della soppressione, a partire dal prossimo 12 dicembre 2011, del treno feriale delle 6,59 da Pinerolo a Milano e delle 18,45 dal capoluogo lombardo a Pinerolo della durata di 2 ore e 27 minuti. Un servizio iniziato nel dicembre del 2002

a vantaggio dei pendolari che ha sempre registrato un alta percentuale di viaggiatori;
nel progetto delle Ferrovie sarà sostituito da un regionale con capolinea a Torino Stura percorrendo, di conseguenza, tutto il nuovo passante ma con la moltiplicazione delle fermate e quindi con un forte allungamento dei tempi. E chi vorrà proseguire per Milano troverà coincidenza a Porta Susa;
insomma con il nuovo taglio ad uscirne penalizzato sarà solo e soltanto il pinerolese che già paga un collegamento con Torino lento e con cronici ritardi -:
se il Ministro interrogato intenda attivarsi presso le Ferrovie affinché questo ennesimo taglio non marginalizzi ulteriormente un territorio già particolarmente penalizzato nel settore del trasporto ferroviario.
(4-13926)

...

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:

MOTTA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
i sindacati di polizia denunciano da diverse settimane la condizione di grave difficoltà in cui si trovano ad operare gli agenti della questura di Parma, in considerazione degli effetti provocati dai consistenti tagli (2,5 miliardi di euro a livello nazionale) al comparto sicurezza;
in particolare nel mese di ottobre 2011 si è rischiato il «black out» dell'attività di pattuglia delle volanti a causa della consistente riduzione delle riserve di carburante;
la situazione di criticità è rientrata solo il 13 ottobre 2011, dopo la denuncia dei sindacati ripresa dagli organi locali di stampa, con l'arrivo di un rifornimento di quattromila litri di gasolio;
il 5 novembre 2011 la stampa locale ha riferito la notizia che anche le dotazioni di carta della questura sarebbero in via d'esaurimento;
ai forti disagi connessi a queste situazioni si aggiunge la precaria condizione dei parco macchine che vede in dotazione autovetture vetuste e usurate e che sempre più spesso necessitano di essere fermate per interventi di riparazione -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle difficoltà in cui versa la questura di Parma in conseguenza dei forti tagli operati dalle ultime manovre economiche;
quali azioni il Ministro interrogato intenda intraprendere al fine di scongiurare il blocco delle attività di istituto della Polizia di Stato di Parma per indisponibilità dei mezzi e delle dotazioni necessarie.
(5-05705)

CONTENTO, BIANCONI e MARTINELLI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in occasione del voto, al Senato prima e alla Camera poi, sulla legge di stabilità si sono svolte in Roma delle vere e proprie manifestazioni che hanno visto la presenza di alcune centinaia di persone sia di fronte alle sedi del Parlamento sia in altre zone della città;
in particolare, il giorno 12 novembre 2011, prima davanti alla Camera dei deputati, poi presso palazzo Grazioli e, quindi, di fronte alla Presidenza della Repubblica, diversi manifestanti si sono concentrati urlando slogan contro esponenti politici della maggioranza, proferendo insulti nei confronti dei partecipanti all'ufficio di Presidenza del Popolo delle Libertà e, in tale occasione, lanciando monete e colpendo anche le vetture su cui si trovavano i partecipanti medesimi;
davanti alla Presidenza della Repubblica, poi, in concomitanza con il previsto incontro tra il Capo dello Stato ed il Presidente del Consiglio, diversi manifestanti

hanno inveito contro quest'ultimo, il quale sostanzialmente è stato costretto a lasciare i luoghi da un'uscita secondaria;
indipendentemente dal diritto di ciascuno di manifestare, diritto costituzionalmente garantito, risulterebbe agli interroganti che tali manifestazioni non fossero state preannunciate né, tanto meno, autorizzate;
altrettanto pacifica risulterebbe la partecipazione di esponenti politici di primo piano -:
se dette manifestazioni risultassero preannunciate o, comunque, autorizzate ed, in caso di risposta affermativa, da chi e quando;
quali provvedimenti siano stati impartiti alle forze di polizia allo scopo di scongiurare eventuali disordini e di garantire la sicura partecipazione degli aventi diritto alle iniziative ricordate;
se risulti conforme al vero la partecipazione di esponenti politici di primo piano alle ricordate manifestazioni;
quali iniziative di competenza intenda assumere per accertare eventuali responsabilità sul piano amministrativo e disciplinare nei confronti delle persone a cui competeva assicurare l'ordine pubblico.
(5-05712)

Interrogazioni a risposta scritta:

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il 14 novembre 2011 è apparso sul sito online di Repubblica.it un articolo intitolato: «Detenuto muore, aveva denunciato pestaggio. Il Garante: non sia un altro caso Cucchi». Sottotitolo: «L'uomo, residente alla Garbatella e arrestato a Termini, disse al Pronto Soccorso del Santo Spirito di essere stato picchiato dagli agenti della Polfer. Trasferito nella struttura protetta "Belcolle" di Viterbo, è deceduto il 12 novembre»;
il nuovo caso di morte sospetta nelle carceri è stato denunciato in una nota dal Garante dei detenuti del Lazio, avvocato Angiolo Marroni, il quale sulla vicenda ha diramato il seguente comunicato stampa: «Invito la magistratura a fare al più presto chiarezza sulle circostanze che hanno portato a questo decesso, anche per sgomberare al più presto ogni nube e per evitare l'atroce sensazione di trovarsi davanti a un nuovo caso Cucchi. La vittima si chiama Cristian De Cupis, romano di 36 anni, residente nel quartiere Garbatella. Secondo le informazioni in possesso del Garante l'uomo - affetto da diverse problematiche di carattere sanitario - viene arrestato il 9 novembre alla Stazione Termini per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale. Condotto al Pronto Soccorso del Santo Spirito l'uomo, che aveva delle escoriazioni alla fronte, avrebbe riferito ai medici di essere stato percosso dagli agenti che lo hanno arrestato e, per questo, avrebbe anche sporto denuncia. Il 10 novembre, De Cupis viene trasferito - in ambulanza e scortato dalla polizia - nella struttura protetta dell'ospedale Belcolle di Viterbo, dove viene sottoposto a tutti gli esami di rito, compresa una TAC. Il giorno seguente sarebbe stato anche convalidato l'arresto e disposti gli arresti domiciliari non appena finito il ricovero. La mattina del 12 novembre, però, De Cupis muore. I familiari sarebbero stati avvertiti dell'arresto solo dopo l'avvenuto decesso. A chi lo ha incontrato nei giorni del ricovero l'uomo era parso a tratti agitato e a tratti lucido, comunque non in condizioni che potessero far immaginare una morte repentina. A conferma di ciò, la circostanza che l'uomo, solo due giorni prima dell'arresto, si era rivolto ad una struttura di orientamento per detenuti per cercare un lavoro. La salma è stata posta a disposizione dell'autorità giudiziaria e questa mattina si è svolta l'autopsia. Questa vicenda presenta dei lati non ancora chiariti, che necessitano di un approfondimento e, soprattutto, di chiarezza. Quella chiarezza

che meritano i famigliari di quest'uomo e le centinaia di operatori della sicurezza che svolgono con correttezza e abnegazione il proprio lavoro» -:
quali siano le cause esatte del decesso dell'uomo;
se l'uomo presentasse lesioni e da che cosa queste siano state prodotte, se da traumi o da percosse;
se la morte della persona arrestata sia stata provocata da lesioni interne non correttamente diagnosticate tra mercoledì sera (momento dell'arresto) e sabato (momento del decesso);
se sia noto se e quali fossero le gravi problematiche di carattere sanitario di cui soffriva l'uomo prima dell'arresto;
quali urgenti iniziative, anche di carattere ispettivo, intendano assumere, negli ambiti di rispettiva competenza, al fine di fare piena luce sulle dinamiche che hanno portato al decesso di Christian De Cupis.
(4-13915)

CATANOSO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il 6 novembre 2011 la squadra di calcio dell'Acireale è stata impegnata presso il campo sportivo di Campagna (SA) per disputare l'incontro Battipagliese - Acireale valevole per il campionato di serie D girone I;
la squadra dell'Acireale calcio è stata seguita da un centinaio di tifosi giunti a Campagna con mezzi propri e pullman messi a disposizione dalla dirigenza dell'Acireale;
secondo quanto riportano le testimonianze dei tifosi, guidati tra gli altri dal Presidente della SSD Acireale calcio 1946 avvocato Rosario Pennisi e dal consigliere provinciale di Catania Gianluca Cannavò, la struttura del campo sportivo della Battipagliese è risultata precaria ed inidonea sia dal punto di vista dell'agibilità sportiva che dell'ordine pubblico;
il fenomeno del tifo violento non riguarda solamente le partite della massima serie, ma diventa ancora più pericoloso nei piccoli ed indifesi campi sportivi della provincia e delle serie minori;
in quei contesti, innanzitutto, rischiano la propria incolumità quei pochi ed eroici rappresentanti delle forze dell'ordine chiamati a tutelare l'ordine pubblico da scalmanati che sono soliti aggredire verbalmente e fisicamente il «nemico/avversario calcistico»;
nel caso di specie, secondo quanto riportano l'avvocato Pennisi e il consigliere Cannavò, i tifosi dell'Acireale calcio sono stati coinvolti in gravi episodi di violenza gratuita e ingiustificata da parte dei tifosi locali;
all'avvenimento sportivo erano presenti solo i carabinieri, guidati dal tenente Manna a cui vanno incondizionata solidarietà ed i complimenti dell'interrogante per aver evitato peggiori guai;
i carabinieri poco hanno potuto contro la violenza dei tifosi locali i quali al termine dell'incontro si sono riversati all'esterno dell'impianto sportivo, compiendo una vera e propria aggressione ai danni dei tifosi dell'Acireale (tra cui vi erano anche donne);
anche quanto accaduto a Campagna dimostra cosa rischiano le persone per bene e le forze dell'ordine che assistono ad eventi calcistici -:
quali iniziative di competenza intenda assumere o adottare il Ministro interrogato al fine di evitare il ripetersi di tali incresciosi avvenimenti.
(4-13923)

BERTOLINI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in Italia i casi di violenza da parte di stranieri, soprattutto di religione islamica, nei confronti delle mogli e dei figli, compiuti in nome del fondamentalismo e dell'oscurantismo religioso, sono sempre più numerosi;

un'ennesima tragedia si è consumata nel trevigiano, come riporta un giornale locale del 3 novembre 2011, a danno di una donna marocchina che è stata picchiata, perseguitata e persino violentata dal marito di stessa nazionalità e responsabile di un centro di preghiera;
l'imam di 32 anni era venuto in Italia da solo e, dopo aver trovato un buon posto come operaio specializzato nel trevigiano, aveva fatto arrivare la moglie dal Marocco;
la donna, madre di due bambini uno di 6 e l'altro di 3 anni, laureata in giurisprudenza nel suo Paese, una volta arrivata in Italia, ha cercato di inserirsi socialmente, senza però abbandonare la religione e la cultura di origine;
le violenze sono iniziate quando la donna ha iniziato a chiedere al marito di concederle quelle nuove libertà che le permettevano di vivere la sua nuova vita nel nostro Paese: guidare la macchina per accompagnare i figli a scuola, imparare l'italiano per comunicare con i genitori degli altri bambini, non indossare il velo integrale perché non lo sentiva più suo;
percosse e litigi hanno costretto la donna ad andarsene di casa con i figli, a trovarsi un lavoro come cameriera e a lasciare il marito, a causa delle continue persecuzioni;
l'uomo è accusato di maltrattamenti in famiglia, di violenza sessuale e di stalking a seguito della denuncia della donna, presentata ai carabinieri e successivamente ritirata per paura di ritorsioni da parte del marito;
violenza fisica e imposizione del burqa sono solo alcune delle vessazioni a cui sono sottoposte ancora troppe donne di religione islamica in Italia;
i tanti episodi di violenza compiuti nei confronti delle donne musulmane, oltre a suscitare indignazione e ferma condanna, devono anche far riflettere sul fatto che la maggior parte di essi sono compiuti da componenti dei loro nuclei famigliari e da persone del loro stesso credo religioso -:
se il Ministro sia a conoscenza di tale episodio e quali siano i suoi intendimenti al riguardo;
di quali eventuali altri elementi sia a conoscenza in merito a tale vicenda;
se sia in grado di fornire dati relativi a vicende che vedono coinvolte donne islamiche vittime di violenze e soprusi all'interno dei propri nuclei famigliari, avvenuti nel nostro Paese negli ultimi cinque anni;
se non ritenga necessario avviare, con la collaborazione degli enti locali, una indagine approfondita per verificare quante situazioni analoghe, non denunciate, ci siano nel nostro Paese e per verificare la reale situazione delle donne straniere che vivono in Italia;
se risulti che l'attività svolta dal marocchino nel trevigiano fosse conforme alla normativa vigente con particolare riferimento alle modalità secondo le quali svolgeva la sua attività di guida religiosa.
(4-13929)

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ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:

DE PASQUALE. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
facendo riferimento all'interrogazione n. 5-05222 a prima firma dell'onorevole Bachelet alla quale il Governo non ha dato risposte soddisfacenti così come risulta dalla replica pronunciata dall'onorevole Bachelet stesso, occorre ritornare sull'argomento al fine di ottenere più precise risposte;
infatti fino all'anno accademico 2007/08 il canale per consentire la formazione

e l'abilitazione dei nuovi insegnanti era costituito dalle Scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario;
con l'articolo 64, comma 4-ter, del decreto-legge n. 112 del 2008 s'è stabilita la sospensione delle stesse. Per effetto di questo provvedimento si è determinato un vuoto legislativo che ha privato, e tuttora priva a quasi quattro anni di distanza, gli interessati, prevalentemente i neolaureati, di qualsiasi canale di formazione iniziale del personale docente;
contemporaneamente, il ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca aveva istituito una commissione, presieduta da Giorgio Israel composta da docenti universitari e da funzionari del Ministero (nessun dirigente scolastico, nessun insegnante), con il compito di definire i requisiti e le modalità della formazione iniziale. I lavori della commissione sono iniziati il 5 settembre 2008 e tre mesi dopo, 24 dicembre 2008, hanno prodotto un progetto di regolamento che prevedeva l'istituzione dei TFA (tirocini formativi attivi). Quella bozza ha trovato una versione legislativa già alla fine del gennaio 2009, quando è iniziato un processo di consultazione con i sindacati e le associazioni professionali. La bozza è rimasta ferma ben due anni. Il 10 settembre 2010 viene emanato il decreto ministeriale con il regolamento concernente la formazione iniziale degli insegnanti che uscirà in Gazzetta Ufficiale il 31 gennaio 2011. Il decreto attuativo è dell'aprile successivo;
nel frattempo, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si premura di stilare una lista del fabbisogno di nuovi insegnanti su base regionale: il numero dei posti a disposizione è ancor oggi oggetto di discussione. Essa prevede in un primo tempo numeri estremamente bassi, nulli in moltissimi casi, e provoca la reazione dei nuovi laureati; successivamente viene pubblicato nel sito del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca un prospetto con numeri più alti. Questi peraltro vengono indicati solo complessivamente, per livello scolastico, senza la ripartizione sulle diverse abilitazioni e senza che tuttora a tutto ciò sia stata data ufficialità;
il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca chiede agli atenei di inviare entro il 7 ottobre 2011 l'offerta didattica relativa ai tirocini formativi attivi di prossima attivazione. La richiesta viene accolta: le università hanno spedito la loro programmazione;
dal 7 ottobre 2011 è passato un mese. Gli atenei sono ancora in attesa del decreto attuativo per poter attivare i tirocini. Dal momento in cui giungerà questo provvedimento, le università avranno 40 giorni di tempo per pubblicare il bando e poi altri 30 giorni per preparare la logistica della selezione;
da più parti, anche autorevolmente coinvolte in questo percorso, si esprime la forte preoccupazione che i tirocini formativi attivi non partano nemmeno per l'anno scolastico in corso 2011-2012, rimandando nei fatti la loro attivazione a ottobre 2012 o, peggio, a una data ancora da stabilirsi e che potrebbe essere successiva alla riformulazione delle classi di concorso relativa alla secondaria di II grado, più volte annunciata. In questo modo, salirebbero a cinque o forse più gli anni di vuoto legislativo in materia di reclutamento degli insegnanti. Mentre dal Ministero si continua a promettere l'attivazione dei tirocini per l'anno in corso, quando nei fatti si è iniziata una tardiva corsa contro il tempo che rischia di creare pasticci se non slittamenti;
la mancata attivazione di un percorso abilitante sostitutivo della SSIS ha creato una condizione di svantaggio per i laureati post 2007, ai quali non è stato concessa la possibilità di poter scegliere la strada dell'insegnamento anche e soprattutto a causa dei draconiani tagli lineari inferti dal Governo agli organici del personale docente;
la vicenda dei tirocini formativi attivi conferma che la politica del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca

degli ultimi 3 anni è fedele specchio della politica del Governo Berlusconi IV: comunicati per annunciare provvedimenti messi a punto rapidamente e poi mesi di stagnazione per rendere gli stessi provvedimenti operativi. Più che la politica del fare, la politica del sembrare. Inoltre, la politica dei tagli, annunciata però come la politica delle riforme;
un caso a parte, ma particolarmente emblematico dei disagi prodotti dalla mancata attivazione dei tirocini formativi attivi, è costituito dai «congelati» SSIS, studenti che hanno superato la selezione d'accesso per seguire la SSIS prima del 2008 ma che hanno dovuto sospendere la frequenza per diversi motivi che vale la pena ricordare: incompatibilità con il corso di dottorato, malattia o maternità;
i cosiddetti vincitori di un concorso pubblico, sono stati in alcuni casi inseriti con riserva nelle GAE ma, giustamente, non hanno potuto ricevere per quattro anni gli incarichi annuali assegnati dall'ufficio scolastico provinciale o dalle scuole paritarie perché sono, giustamente, riservisti senza abilitazione;
i cosiddetti «congelati» hanno vinto un ricorso al TAR che ha riconosciuto loro il diritto a completare il percorso abilitante quando esso fosse stato messo a punto dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Il decreto ministeriale di settembre 2010, articolo 15, comma 17, stabilisce che tale categoria possa accedere ai tirocini formativi attivi senza previo superamento della selezione iniziale. Il ritardo nell'attuazione del detto decreto ministeriale penalizza gravemente le categorie che il Governo dovrebbe tutelare il merito (p.e. i dottori di ricerca) e le pari opportunità (p.e. le donne in gravidanza) -:
quale sia la tempistica di attivazione dei TFA;
entro quale data saranno pubblicati i decreti attuativi attesi dagli atenei per far partire i tirocini per l'anno scolastico in corso, 2011-2012;
quali intenzioni vi siano circa l'assegnazione dei «tutors coordinatori» ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 249 del 2010 che - in analogia ai passati supervisori delle SSIS - dovranno, a tempo parziale, oberare presso le università per curare la progettazione dei tirocini e il rapporto università-scuola posto che senza di loro non si può costituire il consiglio di tirocinio che deve progettare il TFA in tutti i suoi aspetti, non scindibili tra «teoria e pratica» e che al riguardo, manca attualmente qualsivoglia notizia perfino del fatto che un provvedimento sia in esame;
visto il ritardo di attivazione di cui si sono ripercorsi i passaggi più importanti, al fine di non far slittare di un altro anno la partenza dei tirocini e per facilitare la logistica, se all'interno dell'atteso decreto attuativo sia stata prevista la possibilità di sganciare l'attività di didattica da quella del tirocinio nei tirocini formativi attivi e se sarà possibile cioè svolgere le due attività separatamente, per esempio una in primavera 2012, l'altra in autunno 2012;
quali siano esattamente i numeri previsti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca quale quota ammissibile alla frequenza dei tirocini formativi attivi, distinta per ordine e grado di ordinamento scolastico, considerate alcune notizie ufficiose, poco confortanti, riportate su alcuni organi di informazione, relativamente alla esigua consistenza numerica dei posti disponibili.
(5-05703)

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LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

GINEFRA e VICO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
nel mese di febbraio 2011 il primo firmatario del presente atto ha presentato un'interrogazione

parlamentare (rif. 5-04160) riguardante la notizia del licenziamento di 45 dipendenti della Servirail Italia, società che gestisce in appalto da Trenitalia il servizio di accoglienza, accompagnamento ed assistenza della clientela sulle vetture dei treni notturni;
il 15 marzo è stata data risposta alla citata interrogazione dal Governo e, a quanto dichiarato, dagli accertamenti effettuati dai competenti uffici provinciali del lavoro è emerso che nei mesi di agosto e settembre 2010 le sedi della Servirail Italia di Milano, Torino, Bari e Roma non sono state interessate dalla riduzione dell'orario di lavoro;
pare che successivamente, in conseguenza del ridimensionamento effettuato da Trenitalia del servizio di accompagnamento, la Servirail srl avrebbe dato avvio nel mese di dicembre dello scorso anno ad una procedura di mobilità, dichiarando un esubero complessivo di 163 lavoratori, su un organico aziendale di 489 unità lavorative;
sempre a quanto riferito dal Ministro interrogato, sono state date ulteriori informazioni a tale riguardo, aggiungendo che la predetta procedura si è conclusa lo scorso 9 marzo con la sottoscrizione, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del verbale di mancato accordo tra la società e le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori e dei datori di lavoro, rispetto a ciò è stata confermata la piena disponibilità dei Ministeri competenti all'apertura di un «tavolo di confronto» volto ad individuare gli interventi più idonei ad assicurare adeguato sostegno ai lavoratori di Servirail Italia e alle loro famiglie;
rispetto a tali dichiarazioni, non risulterebbe che risponda al vero quanto riferito dal Ministero competente circa le vicende che hanno riguardato la sede di Bari dell'azienda in questione, che invece sarebbe stata interessata dalla riduzione dell'orario di lavoro in regime di solidarietà;
a questo si aggiungono ulteriori disagi: a partire dal 20 luglio 2011, infatti, i vagoni letto non sono più prenotabili a causa, secondo Trenitalia, di uno sciopero che avrebbe coinvolto la ditta Servirail Italia, e a distanza di un mese dalla soppressione fattuale del servizio, Trenitalia collocava sul proprio sito il seguente comunicato: «Roma, 25 agosto 2011. Prosegue lo stato di agitazione del personale della ditta RSI (esterna ai Gruppo FS) che si occupa della manutenzione delle vetture letto. Lo sciopero, riducendo la disponibilità di vetture, costringe Trenitalia a modificare la consueta composizione dei "treni notte" e a diminuire il numero dei posti in vendita, che risultano per le prossime settimane già esauriti. Pertanto, al momento, non è possibile prenotare viaggi in WL né sui treni nazionali e né sui collegamenti Artesia, tra Roma e Parigi e tra Venezia e Parigi. Chi ha prenotato con largo anticipo il proprio viaggio può andare ancora incontro, in questi giorni, in qualche disagio, causato dall'indisponibilità della relativa vettura. Trenitalia è impegnata a contenere tali disagi, anche individuando soluzioni di viaggio alternative»;
nello scorso mese di settembre, da quanto si apprende dagli stessi viaggiatori, nella stazione di Barletta (Bari) le carrozze con vagone letto, pur non essendo prenotabili né accessibile ai viaggiatori al binario, viaggiavano regolarmente con relativo personale di bordo per un unico viaggiatore che, con ogni probabilità, aveva prenotato prima del 20 luglio; è stato inoltre possibile constatare che anche la sera del 28 settembre alla stazione di Torino le carrozze letto viaggiavano comunque pressoché prive di viaggiatori e con personale di bordo della compagnia vagon-lits;
a questo punto rimane da capire come è possibile se la ditta che svolge la manutenzione è in sciopero, garantire comunque la manutenzione delle vetture che continuavano comunque a viaggiare;
successivamente ai fatti descritti, Trenitalia ha inviato alle agenzie di viaggio la

notizia che su alcune tratte il servizio vagoni letto era ripreso, così da spingere gi utenti a prenotare, per poi rendersi conto una volta sui treni che le carrozze letto non erano state allestite e venendo invitati a prendere posto su vagoni con cuccette con la promessa e di un rimborso della differenza di prezzo;
il servizio vagoni letto fa parte della carta dei servizi che lo Stato ogni anno stipula con Trenitalia e che la stessa Trenitalia inserisce con grande enfasi sul proprio sito e dal quale si evince che sono garantiti 58 treni notte con elevati standard di comfort per gli utenti;
lo sciopero della Servirail Italia che cura la manutenzione delle carrozze vagoni letto sembra dovuto non ad una agitazione sindacale, ma dal fatto che Trenitalia ha interrotto i pagamenti a tale ditta e, a quanto si apprenderebbe dalle dichiarazioni di alcuni addetti ai vagoni letto che al momento preferiscono mantenere l'anonimato, ma che hanno già effettuato forme di protesta sindacale nell'ottobre scorso, la compagnia di vagon-lits avrebbe spedito lettere di licenziamento con decorrenza a partire dal 5 dicembre 2011;
tutto ciò farebbe ritenere che Trenitalia avrebbe deciso di sopprimere il servizio, anche se nulla di ufficiale è ancora emerso, abbandonando progressivamente il servizio notturno, circostanza che troverebbe supporto nel fatto già nei mesi scorsi risulta pressoché impossibile effettuare prenotazioni on line, si è verificata la soppressione dei premi vagoni letto nella promozione carta viaggio;
tale scelta da un lato parrebbe guidata dalla volontà di eliminare un potenziale concorrente all'alta velocità, dall'altro, tuttavia, penalizza quelle regioni meridionali (ad esempio Puglia e Sicilia) che non sono servite dall'alta velocità e per le quali l'unica alternativa all'aereo restano i viaggi in treno;
da notizie giornalistiche (La Stampa 4 novembre 2011), inoltre, si apprende che sull'intera vicenda avrebbe aperto un'inchiesta la procura della Repubblica di Torino, a conferma della poca trasparenza mostrata da organismi che, per la natura del servizio svolto, dovrebbero avere massima cura nel rendere edotto il pubblico delle proprie strategie aziendale -:
se la disponibilità manifestata dal rappresentante del Governo nella parte finale della propria risposta possa tradursi in fatti concreti, affinché la problematica in questione possa risolversi quanto prima, nel rispetto dei lavoratori coinvolti e assicurando una sollecita accelerazione dei pagamenti previsti;
se ciò che sta accadendo con la Servirail Italia e Trenitalia in questo periodo non meriti un ulteriore approfondimento per monitorare la situazione e permettere, così, un monitoraggio del servizio e una maggiore funzionalità di questo a vantaggio dei cittadini che usufruiscono dei treni per spostarsi su tutto il territorio nazionale;
se le disfunzioni sopraelencate preludano ad una definitiva soppressione del servizio vagoni letto da parte di Trenitalia, come recenti servizi giornalistici farebbero pensare (si veda Repubblica del 3 novembre 2011) e se tale (eventuale) scelta sia ammissibile in presenza di una domanda di tale servizio da parte di una cospicua quota di cittadini che non gradiscono viaggiare in aereo o sobbarcare interminabili viaggi diurni.
(5-05707)

TESTO AGGIORNATO AL 18 NOVEMBRE 2011

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SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:

BELLANOVA. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
in data odierna la Gazzetta del Mezzogiorno riporta la notizia secondo la quale gli esami ematochimici di routine, vale a dire quelli maggiormente richiesti dai pazienti, nella regione Puglia sembrerebbero costare meno se fatti a pagamento piuttosto

che prescritti sul ricettario del Servizio sanitario nazionale per effetto delle prescrizioni datate 17 luglio 2011, vale a dire da quando il Governo ha introdotto i 10 euro fissi per ricetta a carico delle regioni cosiddette poco virtuose, tra le quali la regione Puglia;
dall'articolo di stampa si legge che «eseguire esami clinici presso un laboratorio analisi di una struttura Asl non sempre costa di meno se il medico li ha prescritti sulla ricetta rosa, quella del Servizio Sanitario Nazionale, e quindi col versamento di un ticket che nel caso della Regione Puglia è pari a 46,15 euro, anziché sulla classica ricetta bianca per prestazioni a totale carico del richiedente»;
potrebbe, dunque, accadere che la prescrizione di esami di routine, suddivisi su due ricette, otto prestazioni per ognuna, costino complessivamente 62,30 euro contro un importo complessivo di 42,71 euro se prescritti, invece, su una ricetta bianca. Stesso discorso vale per alcuni esami di diagnostica che, se fatti a pagamento, risultano costare meno;
il cittadino, non essendo informato, si ritrova, in questo modo, a pagare costi superiori rispetto a quelli che potrebbe sostenere se si rivolgesse alle strutture private;
il servizio di informazione certamente non può essere in capo al medico di famiglia che pur stabilendo un rapporto fiduciario col paziente non potrebbe, per questione di professionalità ed etica, fare sistematicamente i conti delle prescrizioni apportate. C'è da sottolineare, inoltre, che in questo caso sarebbe finanche opportuno che l'informazione non fosse data dal medico, anche per un'ipotesi di conflitto di interesse, vale a dire che nella fattispecie la successiva domanda alla quale il professionista sarebbe sottoposto, da parte del paziente, potrebbe essere in quale struttura svolgere le prestazioni;
sarebbe di buon senso che le Asl di competenza strutturassero, invece, una campagna informativa capillare, come già si fa per le vaccinazioni o per la diagnostica di prevenzione, o che la diffusione di questa informazione fosse in capo alle strutture pubbliche e private, deputate a svolgere le analisi ematochimiche o di diagnostica strumentale, con la conseguente possibilità di scelta da parte del cittadino;
il Servizio sanitario nazionale nella sua funzione deve garantire l'assistenza sanitaria a tutti i cittadini; attraverso lo stesso viene data attuazione all'articolo 32 della Costituzione italiana che sancisce il diritto alla salute di tutti gli individui. Il meccanismo descritto dalla stampa mette a repentaglio il sistema pubblico sanitario, poiché si rischia, in questo modo di svuotarlo a vantaggio di quello privato -:
come il Ministro interrogato, in virtù di quanto sopra esposto, ritenga opportuno intervenire, con ogni iniziativa di competenza, per impedire il depotenziamento del sistema sanitario pubblico che nella sua funzione deve tutelare il cittadino.
(5-05704)

TULLO e ROSSA. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
l'istituto Giannina Gaslini, fondato nel 1938, è ad oggi il più grande ospedale pediatrico del nord Italia, si estende per 73.000 metri quadri, occupa più di 2.000 persone, ed è sede di numerose cattedre universitarie di eccellenza tra le quali pediatria, chirurgia pediatrica, psicologia clinica e neuropsichiatria infantile;
i ricoveri medi annui si aggirano attorno alle 50.000 unità, il 45 per cento dei quali proviene da fuori regione ed il 5 per cento è la quota di piccoli pazienti di nazionalità straniera; più di 40.000 sono gli accessi al pronto soccorso;
nei mesi precedenti il Ministro della salute aveva annunciato l'arrivo di un finanziamento di circa 50 milioni di euro per sostenere interventi di riqualificazione e allestimento di nuove strutture al fine di valorizzare al meglio questo riconosciuto polo

di eccellenza internazionale nel campo dell'assistenza pediatrica sanitaria;
in relazione alle misure contenute nella cosiddetta «legge Mancia» sono stati prima annunciati, tramite il sottosegretario Belsito, stanziamenti per 35 milioni di euro a favore dell'istituto e poi azzerati;
risulta incomprensibile come una struttura di tale rilievo ed importanza sia stata ripetutamente esclusa da finanziamenti pubblici;
le motivazioni che hanno portato all'esclusione dell'ospedale Giannina Gaslini di Genova dai recenti stanziamenti che hanno pur interessato centri di riconosciuta eccellenza nel campo pediatrico -:
quali iniziative si preveda di assumere per assicurare adeguato sostegno all'istituto Gaslini di Genova per quanto riguarda gli stanziamenti da effettuare nel 2012.
(5-05710)

Interrogazioni a risposta scritta:

MANCUSO, CICCIOLI, GIRLANDA e GHIGLIA. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo i dati di più recente aggiornamento, la spesa netta del Servizio sanitario nazionale per i farmaci distribuiti in farmacia continua a calare, mentre il numero delle confezioni dispensate aumenta;
nei primi 6 mesi del 2011, la spesa è diminuita del 6,3 per cento, mentre il numero delle ricette è cresciuto dell'1,3 per cento;
quanto sopra è dovuto al fatto che si allarga la gamma dei farmaci a brevetto scaduto di prezzo via via più basso e che regioni e ASL, rincorrendo un risparmio più teorico che reale, fanno ricorso alla distribuzione di medicinali, soprattutto quelli più costosi, direttamente da parte delle strutture pubbliche;
nel 2010 la spesa farmaceutica territoriale ha, secondo l'Agenzia del farmaco, sforato di 100 milioni di euro il tetto del 13,3 per cento nonostante la farmaceutica convenzionata sia diminuita dello 0,7 per cento;
l'intero sforamento va quindi attribuito alla distribuzione diretta;
la posta di spesa relativa alla somministrazione ospedaliera arriverà, nel 2011, al 5,1 per cento del Fondo sanitario nazionale, a fronte di un tetto del 2,4 per cento, con un disavanzo stimato dalle regioni in circa 2,6 miliardi di euro;
entro giugno 2012 l'AIFA prevede di tagliare il tetto della spesa farmaceutica dal 13,3 per cento al 12,5 per cento;
il Thalidomide, fra gli anni '50 e '60, veniva somministrato alle puerpere per lenire i sintomi della nausea tipica della gestazione;
al Thalidomide è stata poi associata la nascita di bambini focomelici e portatori di handicap e il farmaco è stato quindi ritirato dal mercato;
successivamente i legami chimici del Thalidomide sono stati ricostituiti e ristudiati, formulando un farmaco di nuova composizione, somministrato con successo ai malati oncologici in contrasto agli effetti collaterali emetici della chemioterapia;
il Lenalidomide viene fornito direttamente dalle strutture ospedaliere;
il prezzo di 21 capsule di Lenalidomide da 15 milligrammi è di euro 8.758,25;
il peso di ogni capsula è di 15 milligrammi (principio attivo) che moltiplicato per 21 (il contenuto di un blister) fornisce il contenuto globale che è di soli 0,31 grammi;
il resto della capsula è composto di amido, materiale a costo zero;
il costo della materia prima del Lenalidomide al grammo risulta quindi di euro 27.768,00;
il prezzo massimo di materia prima medicinale sul mercato è all'incirca di 1.000,00 euro al chilo

e la stragrande maggioranza si posiziona al di sotto dei 500,00 euro al chilo;
il prezzo della materia prima del Lenalidomide è assolutamente fuori quota;
nessuna motivazione giustifica un sovrapprezzo di questa portata;
esistono farmaci analoghi, come il Thalidomide Celgene, che costano euro 571,38 (28 capsule da 50 milligrammi) -:
se il Governo intenda effettuare gli approfondimenti del caso sulle reali motivazioni del costo immotivatamente esorbitante del farmaco Lenalidomide, al fine di ricondurlo a un costo accettabile per il Servizio sanitario nazionale.
(4-13907)

MANCUSO, CICCIOLI, GIRLANDA e GHIGLIA. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
l'artrite reumatoide è una malattia infiammatoria cronica che, in Italia, colpisce oltre 500.000 persone;
le colpite di sesso femminile sono tre volte più degli uomini;
il 75 per cento delle malate di artrite reumatoide si trova nella fascia d'età tra i 35 e i 40 anni;
l'artrite reumatoide è una malattia sistemica, ovvero può colpire l'intero organismo fra cui occhi, polmone, cuore e reni;
il professor Giovanni Lapadula, direttore dell'unità operativa di reumatologia del policlinico dell'università di Bari ha lanciato il programma Real Life, un registro europeo che consentirà ai medici di condividere e analizzare i dati provenienti dalle cartelle cliniche di migliaia di pazienti affetti da malattie reumatiche autoimmuni;
Real Life permette di ottenere importanti comparazioni mediche tra grandi numeri di pazienti, al fine di costruire una casistica statistica preventiva sulle malattie reumatiche autoimmuni -:
se il Governo intenda valutare la possibilità di attuare un piano che promuova procedure diagnostiche di massa, al fine di addivenire alla diagnosi più tempestiva e precoce possibile.
(4-13909)

MARCHIONI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo la prassi vigente, nella prescrizione dei farmaci, salvo quelli per i quali si devono osservare norme particolari (stupefacenti, barbiturici e altri), il medico indica: nome del farmaco, dosaggio (se ne esiste più di uno), forma farmaceutica (cpr, cps, fiale e altro), numero di unità posologiche per confezione, numero di confezioni totali, cognome e nome dell'assistito, codice fiscale, eventuali esenzioni (diversamente deve contrassegnare la lettera N), data, sigla della provincia, codice ASL. Infine appone il proprio timbro e la firma. Non necessariamente indica per quanti giorni il medicinale deve essere assunto, indicazione che il medico dà di solito al paziente a voce;
il farmacista consegna quindi all'assistito il numero di confezioni prescritte, anche se risultano in eccesso, rispetto al consumo previsto;
a giudizio dell'interrogante questa modalità di prescrizione presenta due aspetti negativi: da un lato lo spreco (si butta il medicinale non usato), dall'altro può favorire un uso improprio, spesso eccessivo a danno della salute;
il decreto-legge 27 maggio 2005, n. 87, convertito dalla legge n. 149 del 2005, recante «Disposizioni urgenti per il prezzo dei farmaci non rimborsabili dal Servizio sanitario nazionale nonché in materia di confezioni di prodotti farmaceutici e di attività libero-professionale intramuraria», e successive modifiche, ha previsto l'individuazione, con decreto ministeriale da emanarsi, entro 90 giorni, delle specialità farmaceutiche, per le quali devono essere previste anche confezioni monodose

o confezioni contenenti una singola unità posologica, ad esclusione dei farmaci di automedicazione;
il decreto non è mai stato emanato -:
se ritenga di valutare l'opportunità di adottare iniziative urgenti per rendere obbligatoria nelle prescrizioni l'indicazione del numero di giorni e, conseguentemente, del numero di dosi di assunzione del farmaco;
se ritenga di intraprendere le iniziative di competenza per individuare le specialità farmaceutiche per le quali devono essere previste le confezioni monodose.
(4-13913)

FUGATTI e BITONCI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo le stime fornite dalle associazioni di settore, in Italia, le persone affette da sindrome di Sjögren sarebbero 16.211;
come altre malattie autoimmuni, la sindrome può danneggiare organi vitali e presentare una sintomatologia tipica caratterizzata da livelli di intensità variabile: alcuni pazienti possono avere dei sintomi molto lievi di xerostomia e xeroftalmia, mentre altri possono alternare periodi di ottima salute seguiti da periodi di acuzie (tumefazioni parotidea, artralgie, febbre);
in base ai dati epidemiologici sulla sindrome di Sjögren in Italia, il mancato inserimento di questa patologia nel registro nazionale delle malattie rare, appare ingiustificata anche nei confronti di altre malattie rare presenti nel registro e determina un'ulteriore iniquità nei confronti di coloro che stanno usufruendo arbitrariamente di certificazione di malattia rara dal 2001 con le diagnosi alternative di sindrome di Sjögren-Larsson e di connettivite indifferenziata;
l'Istituto superiore di sanità (ISS) ha inviato al Ministero una relazione tecnica sulla sindrome di Sjögren. Dall'accurata revisione condotta dal Ministero della letteratura esistente a livello nazionale ed internazionale le stime di prevalenza variano da un minimo di 9 casi per 10.000 abitanti nel Nord Ovest della Grecia nel 2006, ad un massimo di 200 casi per 10.000 abitanti nella popolazione di Nagasaki, sopravvissuta alle radiazioni della bomba atomica;
seppure i dati citati riportano valori di prevalenza al di sopra della soglia che permette di determinare la rarità della patologia, occorre rilevare che ad oggi non esiste uno studio sulla prevalenza della sindrome di Sjögren in Italia -:
se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative per avviare le indagini epidemiologiche necessarie per il riconoscimento ufficiale della sindrome di Sjögren come malattia rara al fine di garantire ai soggetti affetti da questa grave sindrome una più estesa tutela che consentirebbe loro di ovviare ad alcune delle difficoltà che quotidianamente condizionano la loro esistenza.
(4-13925)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA del 12 novembre 2011, un uomo di 40 anni, internato nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia, si sarebbe impiccato nella sua stanza dopo il colloquio con i familiari;
la vicenda è stata resa nota dal sindacato della polizia penitenziaria Sappe, in particolare dal suo segretario aggiunto, Giovanni Battista Durante, il quale ha riferito che l'uomo morto suicida era ristretto in uno dei cinque reparti gestiti esclusivamente da personale medico e paramedico, dove si svolge la sperimentazione sulla sanitarizzazione degli ospedali psichiatrici, cioè la gestione affidata al

solo personale medico e paramedico, senza la presenza del personale di polizia penitenziaria;
l'uomo si chiamava Omar Bianchera, aveva 45 anni e prima di essere arrestato faceva l'autotrasportatore. Il 25 aprile 2010 aveva ucciso nel mantovano - con due pistole e un fucile a pompa - l'ex moglie, una vicina di casa e un conoscente con cui in passato aveva avuto rapporti di affari. Appena due settimane fa, il 28 ottobre, Bianchera era stato condannato a vent'anni di carcere più cinque di cura in ospedale psichiatrico. La sentenza era stata pronunciata a porte chiuse dal gup di Mantova, Gianfranco Villani; il pubblico ministero aveva chiesto l'ergastolo. Sulla sentenza ha pesato la perizia psichiatrica che aveva dichiarato l'imputato seminfermo di mente -:
se il Governo non ritenga necessario assumere iniziative urgenti, se del caso normativo, per definire tempi certi per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, fornendo allo stesso tempo garanzie sul reinserimento e il sostegno agli internati nel loro percorso di recupero.
(4-13930)

...

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:

VELO, CENNI, GATTI, LULLI, MARIANI, MATTESINI, NANNICINI, SANI, SCARPETTI e VENTURA. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
a partire dal 4 novembre 2011 era previsto il passaggio al sistema televisivo digitale terrestre (switch off) nella regione Toscana;
fino al 27 ottobre il Ministero dello sviluppo economico non aveva ancora reso nota la graduatoria per l'assegnazione delle frequenze televisive alle emittenti locali in vista del passaggio al digitale terrestre, creando disagio e malcontento all'interno di imprese consolidate messe a rischio dalla futura assegnazione;
a seguito di una rilevazione sul territorio effettuata dall'UNCEM (Unione dei comuni montani) sono risultati circa 36 i comuni a rischio black-out televisivo dopo il passaggio alla tecnologia digitale;
per tali comuni non sarebbe possibile intervenire prima del passaggio al digitale, ma soltanto dopo lo switch-off, con il rischio di interrompere la ricezione televisiva per 500 mila persone;
il presidente della regione Toscana Enrico Rossi e il presidente dell'UNCEM Toscana, Oreste Giurlani, hanno ripetutamente chiesto al Ministro dello sviluppo economico una proroga del termine dello switch-off volta a risolvere preventivamente i problemi tecnici e comunque ad effettuare il passaggio al digitale durante la stagione estiva, quando le condizioni meteorologiche permettono di effettuare con maggiore facilità eventuali interventi sulle antenne e sui ripetitori;
in ragione della terribile alluvione dei giorni scorsi il Ministero dello sviluppo economico ha concesso uno slittamento della data dello switch-off nei territori colpiti dall'emergenza per evitare che, in una situazione che permane difficile, i cittadini potessero essere privati di notizie e informazioni in molti casi indispensabili proprio per fronteggiare l'emergenza stessa;
il Ministero ha fatto sapere che le operazioni per lo switch-off riprenderanno però già a partire già dai prossimi giorni, senza alcuna considerazione delle richieste effettuate dagli amministratori locali in vista dei possibili disagi che colpirebbero gran parte della popolazione e che impedirebbero la ricezione del segnale, soprattutto per gli anziani e i bambini, e in particolare, nel periodo natalizio;
la mancata ricezione del segnale televisivo che si verrebbe a determinare se il passaggio al digitale avvenisse nei tempi

definiti dal Ministero costituirebbe una grave limitazione del diritto di informazione dei cittadini -:
quali iniziative di propria competenza intenda assumere per evitare il rischio che lo switch-off determini l'interruzione del segnale televisivo in molti comuni della Toscana;
se intenda accogliere le istanze presentate dagli amministratori locali e assumere iniziative volte ad adottare un'ulteriore proroga per lo switch-off in Toscana, al fine di individuare un'idonea soluzione del problema.
(5-05706)

Interrogazioni a risposta scritta:

MURGIA. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
con interrogazione 4-13794 - del 3 novembre 2011 - si faceva presente che l'accordo di programma per la stabilizzazione dei servizi industriali di Ottana, Bolotana e Noragugume, firmato il 26 luglio 2006 dal Ministero dello sviluppo economico, regione Sardegna, provincia di Nuoro e Consorzio Asi, prevedeva tutta una serie di interventi per lo sviluppo dei servizi nelle suddette aree;
per la sua attuazione, la finanziaria 2006, aveva stanziato ben dieci milioni di euro (ai sensi dell'articolo 1, comma 30 della legge n. 266 del 2005);
in particolare l'accordo di programma prevedeva l'acquisizione di beni ed opere dei servizi industriali nell'area di Ottana, già in capo alla Nuoro Servizi (società in liquidazione) a favore del consorzio Asi;
in virtù di tale accordo di programma, 30 lavoratori della Nuoro Servizi accettarono di essere collocati in mobilità dal 1o gennaio 2007 con la promessa che, il loro sacrificio, sarebbe stato compensato da un incentivo adeguato da corrispondere loro non appena il Ministero avesse provveduto ad erogare i dieci milioni di euro per la realizzazione dell'accordo;
il passaggio di gestione all'ente consortile, con la contemporanea liquidazione della Nuoro Servizi, avrebbe dovuto difatti rilanciare l'appetibilità dell'area con la diminuzione dei costi, anche attraverso il taglio degli organici;
a tale taglio avrebbe sopperito l'incentivo promesso che avrebbe dato sicurezza economica ai lavoratori sino al conseguimento della pensione;
ad oggi l'accordo in questione è rimasto inattuato, i dieci milioni di euro non sono stati mai erogati e i 30 lavoratori non hanno avuto né l'incentivo né il trattamento di fine rapporto -:
se il Ministro interrogato non ritenga necessario predisporre iniziative tese a rilanciare l'accordo di programma posto che il ritardo nell'attuare il suddetto accordo rischia di minare la sopravvivenza di quei 30 lavoratori che da 5 anni attendono il loro incentivo.
(4-13911)

MURGIA. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
l'azienda IL.DO.CAT s.p.a, ubicata nella zona di Bolotona, opera nel settore dei profilati di alluminio ed è inserita nel contratto d'area;
per la sua attività ha ottenuto circa 8,500 milioni di euro a fronte di uno stanziamento ammesso di circa 14,500 milioni di euro;
l'occupazione a regime ammontava a circa 105 unità lavorative;
ad oggi le persone occupate risultano essere 11 e non percepiscono nessuno stipendio da circa 17 mesi;
essendo lavoratori ancora in forza all'azienda non possono usufruire di nessun tipo di ammortizzatori sociali;
l'imprenditore Marco Pacelli per mesi è rimasto irreperibile -:
se il Governo non ritenga opportuno, per quanto di competenza, fare una indagine approfondita sullo sperpero di denaro

pubblico a valere dal fallimentare contratto d'area di Ottana posto che il comportamento dell'IL.DO.CAT s.p.a appare all'interrogante contrario alla normativa vigente;
se il Governo non ritenga necessario trovare una qualche forma di garanzia a tutela dei lavoratori della IL.DO.CAT s.p.a.
(4-13918)

BERTOLINI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
la riorganizzazione del servizio postale nell'Alto Appennino modenese, un territorio vasto che comprende i comuni di Montefiorino, Palagano, Prignano e Frassinoro, ha comportato l'accentramento del servizio di smistamento della corrispondenza in un unico Comune, quello di Montefiorino, con conseguente trasferimento del personale preposto a detto servizio;
gli spazi nell'ufficio postale di Montefiorino per ospitare il centro unificato di smistamento della corrispondenza sono insufficienti e mancano i parcheggi per i mezzi;
la direzione regionale di Poste italiane dell'Emilia Romagna avrebbe varato la riorganizzazione in questione, senza alcun confronto preventivo con le Istituzioni locali, nonostante la rilevanza del servizio, con il rischio di penalizzare ulteriormente i cittadini di un territorio già ingravato dalla debolezza dei servizi pubblici;
già da diversi mesi, nella suddetta zona, si sono registrate inefficienze nel servizio postale, a causa del ridimensionamento degli addetti, con conseguenti disagi per le imprese e per i residenti;
è necessario garantire un servizio postale efficiente in tutto il territorio della provincia di Modena, avendo particolare riguardo per quelle zone già oggettivamente disagiate come appunto quelle montane -:
se sia a conoscenza delle scelte della direzione regionale di Poste italiane dell'Emilia-Romagna di procedere alla riorganizzazione nel territorio sopraindicato e quali interventi urgenti, di concerto con la direzione nazionale di Poste italiane, con gli enti locali e le istituzioni interessate, intenda assumere per ripristinare il corretto funzionamento del servizio di smistamento della corrispondenza ed altri servizi postali, in questa zona montana del modenese, dove i residenti, soprattutto nel periodo invernale, subiscono maggiori disagi.
(4-13928)

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA

BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
fonti di stampa hanno informato che ad Udine il comune abbia spostato i seggi elettorali dalla scuola Nievo di via Gorizia, classica sede delle consultazioni elettorali, al liceo classico Stellini di piazza Primo maggio e all'istituto Sello di via Diaz, senza aver avvertito preventivamente i 7 mila elettori che sono rimasti senza parole, salvo poi tirarle fuori per urlare «è una vergogna», quando si sono trovati di fronte agli avvisi appesi sulla recinzione;
le sezioni 82, 83 e 84 sono state trasferite in via Diaz, 85 e 86 in piazza Primo maggio. Giovani e anziani si sono letteralmente imbufaliti per quell'avviso che avrebbero voluto ricevere e che invece non è mai arrivato nelle loro case. Tant'è che nel pomeriggio sono arrivate le scuse dell'assessore, Paolo Coppola: «Abbiamo sottovalutato il problema, dovevamo inviare 7 mila lettere. Quando ci hanno segnalato il problema abbiamo fatto il possibile per ridurre i disagi». Certo è che quella mancata comunicazione è stata una sorta di autogol per l'amministrazione di centro-sinistra che non ha mancato di invitare la gente ad andare a votare. In effetti, diversi anziani arrivati a piedi in via Gorizia hanno rinunciato al voto. E qualcuno ha anche detto: «Questo da Honsell non me lo aspettavo». Altri invece si sono organizzati con mezzi propri. E c'è chi come Martina Pozzi, dopo aver accompagnato una signora nel seggio giusto, ha realizzato ed esposto una piantina con indicate le vie da percorrere per arrivare in via Diaz e in piazza Primo maggio. «Quando ho letto gli avvisi è stato come se avessi ricevuto uno schiaffo» racconta Denise De Luca, 85 anni, una nonna di Udine che da quando le donne hanno conquistato il voto non ha mai disertato le urne. «Per fortuna - continua - che un'anziana come me è andata a prendere l'auto e assieme siamo andate allo Stellini dove però non è stato facile salire la gradinata. Basti pensare che all'uscita ci ha aiutate un carabiniere». Ma non basta perché le due signore hanno denunciato, con tanto di verbale firmato, la situazione al presidente di seggio. Come loro altri elettori hanno seguito questa linea. Alle 13, al seggio 85 allestito allo Stellini, dove la percentuale dei votanti aveva raggiunto il 29 per cento il presidente contava una ventina di esposti;
per ironia della sorte, in via Gorizia sono stati colti di sorpresa pure il presidente del consiglio, Daniele Cortolezzis, che ha contribuito per circa un'ora a calmare la gente, l'assessore alla cultura,

Luigi Reitani, secondo il quale «una comunicazione andava fatta perché - ha ammesso - come tutti i cittadini mi sono arrabbiato», il dirigente del comune, Filippo Toscano, ma soprattutto la responsabile dell'anagrafe, Daniela Contessi, rimasta per diverse ore davanti ai cancelli chiusi per indirizzare la gente, mentre l'assessore Coppola cercava di inviare un agente della polizia municipale sul posto. Ma, non trattandosi di problemi di ordine pubblico, la polizia municipale ha declinato l'invito. E così è arrivato un messo comunale con tanto di auto di servizio per accompagnare ai seggi gli anziani in difficoltà. Tra malumori e arrabbiature non sono mancate le sottolineature nei confronti del consiglio d'istituto del liceo scientifico Copernico che, a differenza del preside, Andrea Carletti, ha negato al comune le aule per allestire i 5 seggi in via Planis. Da qui il commento: «Se potevamo indirizzare la gente in via Planis tutto questo caos non sarebbe venuto fuori» -:
se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative di competenza intenda assumere per evitare, nel futuro, che tali situazioni abbiano a ripetersi.
(4-12350)

Risposta. - In merito alla lamentata mancanza di un'adeguata comunicazione dello spostamento dei seggi elettorali ubicati nella scuola «I. Nievo» di Udine, si forniscono le seguenti informazioni acquisite tramite la competente prefettura.
La scuola primaria «I. Nievo» è sede di cinque sezioni elettorali - la n. 82, la n. 83, la n. 84, la n. 85 e la n. 86 - per un totale di 4.025 elettori.
In data 13 agosto 2010 l'ufficio elettorale è venuto a conoscenza della ristrutturazione del predetto istituto che ne avrebbe comportato l'inagibilità a partire dal settembre del 2010 e per circa due anni scolastici.
Nonostante la scadenza naturale delle elezioni per il rinnovo del Senato della Repubblica, della Camera dei deputati e dei consigli regionale, provinciale e comunale sia prevista per la primavera del 2013, il competente ufficio elettorale ha attivato da subito la procedura per individuare una sede alternativa idonea a ospitare i seggi che solitamente sono costituiti nella scuola Nievo, da utilizzare per eventuali elezioni anticipate o tornate referendarie.
Pertanto, tenuto conto dei precisi vincoli strutturali stabiliti dalla normativa che disciplina l'organizzazione delle sezioni elettorali (articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 1967, n. 223), in occasione della scorsa tornata referendaria, i predetti seggi sono stati trasferiti presso la sede di Via Diaz del liceo artistico Sello (in particolare, la n. 82, la n. 83 e la n. 84), già sede di 2 sezioni e presso il liceo classico Stellini di Piazza I Maggio (in particolare, la n. 85 e la n. 86), già sede di 2 sezioni.
In particolare, il 27 maggio 2011 la commissione elettorale circondariale di Udine ha approvato la proposta di trasferimento temporaneo e ha deliberato di invitare il sindaco a rendere nota la nuova ubicazione al pubblico mediante apposito manifesto da affiggere nei luoghi interessati e all'albo pretorio del comune due giorni antecedenti le consultazioni elettorali, come indicato dall'articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica n. 223 del 1967.
L'ufficio elettorale ha predisposto, di conseguenza, gli avvisi di tutte le variazioni dei seggi.
Dal giorno 10 al giorno 13 giugno 2011, gli avvisi sono stati pubblicati sull'albo
on line del comune, così come disposto dall'articolo 32 della legge n. 69 del 2009, nonché visibilmente affissi sulle porte di accesso delle Scuole interessate dai trasferimenti, come documentato anche dal servizio di polizia municipale.
Inoltre, al fine di limitare possibili disagi agli elettori e assicurare una maggiore diffusione della notizia, l'ufficio elettorale ha ritenuto opportuno utilizzare altri canali «non ufficiali», richiedendo la pubblicazione degli avvisi, tra l'11 e il 13 giugno, sui quotidiani locali e sul sito del comune.
Presso la scuola Nievo, inoltre, è stato assicurato un presidio continuativo di due dipendenti comunali che, nelle giornate di votazione, hanno fornito puntuali indicazioni ai cittadini circa la nuova ubicazione dei seggi e offerto disponibilità al trasporto delle persone anziane.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la mediazione familiare in Europa si sviluppa negli anni '70; il primo Paese europeo dove si è applicata la mediazione ai conflitti familiari è stato il Regno Unito; gli Stati che prevedono la mediazione familiare sono attualmente l'Inghilterra, il Galles, la Scozia, l'Irlanda del Nord, la Francia, la Germania, la Spagna, l'Austria, il Portogallo, la Finlandia, la Svezia e da ultimo l'Italia; progressivamente anche in altri Stati si sta legiferando in materia;
in Italia la mediazione familiare di fatto esiste dalla fine degli anni '80 ma, a differenza di quanto previsto negli altri Paesi, non è obbligatoria; la riforma del diritto di famiglia, con l'articolo 1 della legge n. 54 del 2006 che ha modificato, fra gli altri, l'articolo 155-sexies del codice civile, ha infatti disposto che il giudice possa, all'esito del tentativo di conciliazione, solo informare le parti circa la possibilità di intraprendere un percorso di mediazione familiare per trovare accordi per la tutela dell'interesse morale e materiale dei figli, per la salvaguardia dell'inviolabile diritto dei figli al mantenimento delle proprie indispensabili relazioni familiari;
la raccomandazione n. 98 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, su «Mediazione familiare metodo appropriato di risoluzione conflitti familiari», raccomanda agli Stati di applicare la mediazione alle dispute familiari, essendo queste delle «dispute particolari, poiché coinvolgono persone che avranno rapporti interdipendenti e continui. Dal momento che la separazione e il divorzio hanno un impatto su tutti i membri della famiglia specialmente sui bambini, il mediatore avrà più a cuore l'interesse superiore del fanciullo e dovrà incoraggiare i genitori a concentrarsi sui bisogni del fanciullo ricordando la loro responsabilità primordiale trattandosi del benessere dei loro figli e della necessità che essi hanno di informarli e consultarli» -:
se, con riferimento ai procedimenti di separazione, divorzio e affidamento dei figli, non intenda assumere le opportune iniziative normative dirette a introdurre un passaggio preliminare presso un centro accreditato, privato o pubblico, come tappa obbligatoria sotto il profilo dell'informazione, ma libera sotto quello dell'esecuzione del percorso, per tutte le coppie che non siano riuscite a costruire un accordo con le proprie risorse.
(4-13049)

Risposta. - Con l'interrogazione in esame, l'interrogante chiede al Ministro della giustizia se, con riferimento ai casi di divorzio, separazione personale tra coniugi e affidamento dei figli, non intenda assumere iniziative dirette ad introdurre un passaggio preliminare presso un centro accreditato, privato o pubblico, come tappa obbligatoria sotto il profilo dell'informazione, ma libera sotto quello dell'esecuzione del percorso, per tutte le coppie che non siano riuscite a trovare un accordo autonomamente.
Al riguardo si comunica che, attualmente, una forma di mediazione familiare è prevista dall'articolo 155-
sexies, secondo comma, del codice civile, introdotto dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54.
In forza di tale disposizione il giudice, qualora ne ravvisi l'opportunità, prima di emettere i provvedimenti di cui all'articolo 155 del codice civile (relativi ai figli), può, con il consenso delle parti, sospendere l'adozione di tali provvedimenti per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo «con particolare riferimento alla tutela dell'interesse morale e materiale dei figli».
Allo stato, pertanto, il ricorso all'ausilio di esperti che possano aiutare la coppia nella composizione dei conflitti è rimessa alla volontà dei coniugi (essendo necessario il loro consenso), su suggerimento del giudice (il quale, peraltro, non è obbligato a dare tale suggerimento, ma lo farà solo ove lo ritenga opportuno) e con particolare riguardo alla tutela dei figli.


Con specifico riferimento al quesito posto dall'interrogante, si rileva che, nel corso della presente legislatura, sono stati presentati tre disegni di legge aventi ad oggetto la mediazione familiare (Atto Camera n. 2615 deputato Lenzi - Atto Camera n. 2503 deputato Savino Pezzotta - Atto Senato n. 2759 senatore Adriana Poli Bortone), ma per nessuno di essi risulta iniziato il relativo
iter parlamentare.
Si precisa, infine, che, attualmente, non sono allo studio di questo Ministero iniziative normative sull'argomento.

Il Ministro della giustizia: Nitto Francesco Palma.

BINETTI, NUNZIO FRANCESCO TESTA e DE POLI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - Premesso che:
dal 1° febbraio 2011 sono scattate le sanzioni a carico dei medici previste per
la mancata trasmissione per via telematica dei certificati di malattia dei pubblici dipendenti, come disposto dall'articolo 55-septies del decreto legislativo n. 165 del 2001, così come modificato dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, recante la cosiddetta riforma Brunetta, sull'invio telematico dei certificati medici;
nelle ipotesi di violazione dell'obbligo di trasmissione telematica, scatterà un illecito disciplinare che, in caso di reiterazione, «comporta l'applicazione della sanzione del licenziamento o, per i medici convenzionati la decadenza dalla convenzione»;
il rischio di sanzioni pesanti (fino alla revoca della convenzione per i medici di famiglia o alla sospensione dal servizio), se i medici non sono in condizione di rispondere ai cittadini, è, ad avviso degli interroganti, eccessivo anche in considerazione delle differenti criticità rilevate, a partire dalla piattaforma, che spesso si blocca, fino al call center che non funziona;
inoltre, oggi l'impiegato o qualsiasi dipendente che avesse bisogno di certificare l'indisponibilità a recarsi in ufficio per motivi di salute potrebbe subire disagi non indifferenti perché, secondo quanto dichiarato da diverse categorie di settore, vi sono difficoltà evidenti, anche per chi nel proprio studio si è organizzato per rispondere ai pazienti in modo moderno, nel contattare il call center centrale o perché si perde tempo a causa del fatto che la rete va spesso in tilt;
i medici e i sindacati di categoria lamentano disagi dovuti ad un sistema di grandi proporzioni, con situazioni estremamente variabili (dall'ambulatorio al pronto soccorso), che ha necessità di un ulteriore periodo di verifica, collaudo e adattamento alle varie realtà -:
se non ritenga necessario intervenire con urgenza con iniziative atte ad impedire che le regole messe in atto per i medici, tenuti ad attestare la patologia dei lavoratori via internet, si trasformino in forte disagio per il malato prima ancora che in sanzioni per il medico.
(4-13673)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante chiede al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione alcuni chiarimenti in merito al sistema di trasmissione telematica dei certificati medici, si rappresenta quanto segue.
Com'è noto, con decreto del Ministro della salute del 26 febbraio 2010 - recante «Definizione delle modalità tecniche per la predisposizione e l'invio telematico dei dati delle certificazioni di malattia al SAC» -, emanato di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro dell'economia e delle finanze, si è concluso un lungo percorso normativo mediante il quale il legislatore, ispirandosi ai princìpi di sviluppo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nell'azione amministrativa ha disposto il collegamento in rete

dei medici curanti nonché la trasmissione telematica delle certificazioni di malattia all'Inps, per i lavoratori del settore privato.
Peraltro, già con il comma 149 dell'articolo 1 della legge n. 311 del 2004 (finanziaria per il 2005) è stata prevista la trasmissione telematica del certificato di malattia, da parte del medico curante, all'Inps.
Successivamente, con la legge finanziaria per il 2007 (articolo 1, comma 810, della legge n. 296 del 2006) si è aggiunto il comma 5-
bis, all'articolo 50 del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito con modificazioni nella legge n. 326 del 2003, che ha reso disponibile, a partire dal 1o luglio 2007, il collegamento in rete dei medici del Sistema sanitario nazionale, secondo le regole tecniche del Sistema pubblico di connettività (articoli 72 e seguenti del Codice dell'amministrazione digitale) al fine di portare avanti, tra l'altro, il processo di «telematizzazione» dei certificati.
In particolare, con l'articolo 8 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 26 marzo 2008, sono stati definiti i princìpi generali per la trasmissione telematica dei dati delle certificazioni di malattia al sistema tecnologico fornito dal Ministero dell'economia e delle finanze e denominato SAC (sistema di accoglienza centrale) nonché le caratteristiche tecniche di acquisizione e trasmissione dei dati.
Parallelamente all'evoluzione legislativa sopra delineata, relativa ai certificati medici del settore privato, sono state emanate, con l'articolo 55-
septies del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, introdotto dall'articolo 69 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (cosiddetta «legge Brunetta»), disposizioni per la trasmissione telematica all'Inps dei certificati di malattia dei lavoratori del settore pubblico.
In dettaglio, il suddetto articolo 55-
septies, al comma 2, prevede che «In tutti i casi di assenza per malattia la certificazione medica è inviata per via telematica, direttamente dal medico o dalla struttura sanitaria che la rilascia, all'Istituto nazionale della previdenza sociale, secondo le modalità stabilite per la trasmissione telematica dei certificati medici nel settore privato dalla normativa vigente, (...) e dal predetto Istituto è immediatamente inoltrata, con le medesime modalità, all'amministrazione interessata».
A tal riguardo, il Dipartimento della funzione pubblica e il Dipartimento della digitalizzazione della pubblica amministrazione e dell'innovazione tecnologica, prima con la circolare n. 1 dell'11 marzo 2010 e successivamente con la circolare n. 2 del 28 settembre 2010, hanno fornito istruzioni operative e chiarimenti per l'applicazione della nuova procedura.
In sintesi:
il certificato di malattia è inviato per via telematica direttamente dal medico o dalla struttura sanitaria pubblica che lo rilascia all'Inps;
l'Inps invia immediatamente il certificato, sempre per via telematica, all'amministrazione di appartenenza del lavoratore;
l'inosservanza degli obblighi di trasmissione telematica da parte dei medici costituisce illecito disciplinare e, in caso di reiterazione, comporta il licenziamento o, per i medici convenzionali, la decadenza dalla convenzione;
per il lavoratore del settore pubblico - che comunque deve segnalare tempestivamente all'amministrazione al fine dei controlli medico fiscali, la propria assenza e l'indirizzo di reperibilità - l'invio telematico soddisfa l'obbligo di recapitare l'attestazione di malattia ovvero di trasmetterla tramite raccomandata avviso di ricevimento alla propria amministrazione entro 2 giorni lavorativi successivi all'inizio della malattia.

Il servizio di trasmissione telematica dei certificati di malattia consente, così, di automatizzare e digitalizzare completamente l'intero processo organizzativo-gestionale che si origina con la produzione dei certificati di malattia e degli attestati di malattia (intendendosi con quest'ultima espressione il certificato che non contiene l'esplicitazione della diagnosi, in osservanza della normativa in materia di protezione dei dati personali) da parte del medico e si conclude con

la trasmissione dei certificati all'Inps e degli attestati ai rispettivi datori di lavoro.
Tramite il Sistema di accoglienza centrale (SAC), messo a disposizione dal Ministero dell'economia e delle finanze ai sensi di quanto previsto dal summenzionato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 26 marzo 2008 oppure mediante i Sistemi di accoglienza regionali (SAR), ove disponibili, i medici del Servizio sanitario nazionale effettuano le operazioni di predisposizione ed invio telematico dei certificati di malattia all'INPS, di annullamento e rettifica dei certificati già inviati, nonché la stampa della copia cartacea dei certificati e dei relativi attestati.
Al fine di garantire l'effettivo adempimento della trasmissione per via telematica dei certificati, considerati i notevoli vantaggi che derivano dall'applicazione del sistema in termini di economicità ed efficienza, sono state introdotte, come sopra detto, specifiche disposizioni a carattere sanzionatorio. Per assicurare, altresì, un'attuazione omogenea della normativa, il Dipartimento della funzione pubblica e il Dipartimento della digitalizzazione della pubblica amministrazione e dell'innovazione tecnologica, con le sopra citate circolari, hanno precisato i tempi e le modalità di applicazione del nuovo sistema, tenuto conto dell'esigenza di una sua introduzione graduale ed uniforme sul territorio nazionale.
In tal senso, con l'entrata in vigore del sopra citato decreto del Ministero della salute del 26 febbraio 2010, è cominciato a decorrere, per il medico curante, l'obbligo di procedere in via telematica alle operazioni di predisposizione e di invio dei certificati di malattia, secondo le modalità sopra precisate.
In via transitoria, nei tre mesi successivi alla pubblicazione del decreto interministeriale, è stata comunque riconosciuta ancora la possibilità per il medico di procedere al rilascio dei certificati in formato cartaceo.
Al fine di verificare la corretta funzionalità del sistema ed eventualmente operare interventi di messa a punto dello stesso, allo scadere del periodo transitorio, per la durata di un mese, è stato effettuato un collaudo generale del sistema stesso; al tal fine è stata costituita un'apposita commissione i cui componenti sono stati scelti tra le amministrazioni e i soggetti coinvolti dall'applicazione dei nuovo sistema. I lavori della commissione si sono svolti nel periodo luglio-settembre 2010. Allo scadere del primo mese successivo al periodo transitoria, la commissione ha riscontrato l'esistenza di «
a) ritardi registrati nella procedura di messa a disposizione dei medici delle credenziali di accesso al sistema; b) la non disponibilità del canale telefonico per l'invio da parte del medico dei certificati; c) necessità di messa a punto delle prestazioni del sistema in relazione al progressivo aumento degli utenti». Pertanto, la commissione ha ritenuto di non poter «considerare positivamente l'esito del collaudo» e di dover proseguire nell'esame dell'operatività del sistema generale.
La seconda fase del collaudo si è conclusa il 15 settembre 2011, all'esito della quale, in considerazione delle criticità organizzative emerse soprattutto per alcuni settori ed aree territoriali, si è ritenuto opportuno effettuare un monitoraggio del sistema per una durata complessiva di circa quattro mesi.
In questa fase, ovvero sino al 31 gennaio 2011 - in cui tali criticità hanno reso problematica l'emersione e l'accertamento di eventuali responsabilità per la violazione della normativa e, quindi, lo svolgimento dei procedimenti per l'irrogazione delle conseguenti sanzioni - il Dipartimento della funzione pubblica, con la sopra citata circolare n. 2 del 2010 ha invitato le amministrazioni competenti ad astenersi dalla contestazione degli addebiti specificamente riferiti all'adempimento.
Per questo motivo, al fine di completare il quadro normativo di riferimento, si è resa necessaria l'emanazione della circolare n. 1 DFP/DDI del 23 febbraio 2011 e, infine, l'emanazione della circolare n. 4 del 18 marzo 2011.
Nel dettaglio.
La terza circolare DFP/DDI (n. 1 del 23 febbraio 2011) conferma il contenuto delle due precedenti circolari e fornisce ulteriori indicazioni operative e precisazioni sulle eventuali sanzioni a carico dei medici inadempienti,

valorizzando la competenza organizzativa delle regioni che, anche sentendo le rappresentanze dei medici, potranno adottare gli opportuni provvedimenti per regolamentare aspetti procedurali e di dettaglio in materia di trasmissione per via telematica dei certificati di malattia. In particolare, l'ipotesi di illecito disciplinare sussiste solo se ricorre l'elemento del dolo o della colpa: sono esclusi casi di malfunzionamento del sistema generale, ma anche malfunzionamenti del sistema utilizzato dal medico. Per quanto attiene l'onere della prova a carico del datore di lavoro, la contestazione dell'addebito nei confronti del medico dovrà essere effettuata soltanto se dagli elementi acquisiti in fase istruttoria risulti che non si siano verificate anomalie di funzionamento. Inoltre, l'applicazione delle sanzioni deve avvenire in base ai criteri di gradualità e proporzionalità secondo quanto previsto dagli accordi e contratti collettivi di riferimento.
La circolare n. 4 del 18 marzo 2011, a firma del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al fine di agevolare l'attuazione delle nuove disposizioni, fornisce ulteriori indicazioni operative per lavoratori dipendenti e datori di lavoro evidenziando le uniformità tra settore pubblico e privato, informando i lavoratori dipendenti (pubblici e privati) circa oneri e vantaggi della nuova procedura e, infine, indicando gli adempimenti a carico dei datori di lavori per una corretta ricezione delle attestazioni di malattia trasmesse in via telematica dall'Inps.
In particolare, il certificato di malattia deve essere sempre inviato
on-line: viene meno la possibilità da parte del datore di lavoro di richiedere al dipendente il certificato cartaceo.
Durante la visita medica, il lavoratore comunica al medico il proprio codice fiscale e l'indirizzo di reperibilità se diverso da quello di residenza e richiede al medico il numero di protocollo del certificato inviato
on-line.
Grazie alla digitalizzazione dei certificati di malattia, si stima un risparmio diretto complessivamente pari a 590 milioni di euro derivante, per l'Inps dall'eliminazione del processo di
data entry dei certificati di malattia cartacei; per le imprese, da un monitoraggio più efficace dell'assenteismo; per i lavoratori dipendenti, dall'abolizione dell'invio con raccomanda con avviso di ricevimento del certificato di malattia all'Inps e al datore di lavoro.
A regime, l'operazione porterà importanti incrementi di produttività e di efficienza derivanti dall'abbattimento dei costi legati alla gestione del «ciclo del certificato», dai miglioramenti organizzativi generati dall'informatizzazione delle procedure riguardanti la gestione del personale e dall'eliminazione di distorsioni ed errori del sistema (ciò in virtù della disponibilità di informazioni e di comunicazioni in tempo reale, di strumenti di verifica e controllo e del nuovo sistema di visite fiscali).
Infine, si rappresenta che i medici dispongono anche di un servizio che consente di risolvere eventuali situazioni di
digital divide, quali l'indisponibilità di banda larga in alcune aree territoriali oppure l'impossibilità temporanea di usare un computer. L'Inps ha infatti messo a disposizione dei medici un numero verde tramite il quale, previa identificazione e con assistenza di un operatore, è possibile trasmettere con una semplice telefonata il certificato medico.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione: Renato Brunetta.

BORDO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
la direzione regionale della sede INAIL Puglia, in data 26 novembre 2010, ha conferito incarichi di «posizioni funzionali fisse» relativamente all'ufficio attività strumentali della medesima direzione regionale ed alle sedi di Lecce e Barletta;
quest'ultima è stata affidata alla direzione di un funzionario appartenente alla sede di Bari e non, com'è prassi consolidata presso lo stesso istituto, anche per

evitare problemi di pianta organica, ad uno tra i funzionari in forza a Barletta ed in possesso dei requisiti previsti dalla normativa interna;
nello specifico, il responsabile del settore processo lavoratori, una delle due aree istituzionali dell'INAIL, ha partecipato all'interpello potendo contare, oltre che sui titoli formali, su livelli di produttività ed efficienza superiori alla media regionale e migliorativi degli indici formalizzati all'interno della carta dei servizi dell'istituto;
al contrario, il neo vicario del dirigente della sede INAIL di Barletta era stato, nel giugno 2010, ritenuto inidoneo a rivestire il medesimo incarico presso la sede di Bari, sua sede di impiego;
la gestione della direzione regionale è gravemente deficitaria a causa della pressoché costante assenza del dirigente regionale, da cui consegue la pratica impossibilità di assicurare le attività direttive con la dovuta costanza ed efficacia, mentre presso la sede di Barletta sono stati registrati, anche dalla stampa locale, fatti di cronaca giudiziaria e vertenze sindacali tali da compromettere gravemente l'immagine pubblica dell'istituto -:
se e come il Governo intenda intervenire, direttamente o per il tramite della direzione generale INAIL, per accertare eventuali violazioni delle norme di comparto e del regolamento interno all'istituto da parte del dirigente regionale di Puglia e del dirigente della sede di Barletta.
(4-10679)

Risposta. - L'interrogazione in esame concerne il conferimento da parte dell'INAIL di incarichi di posizioni funzionali fisse relativamente all'ufficio attività strumentali della direzione regionale Puglia e alle sedi di Lecce e Barletta, con particolare riferimento a quest'ultima.
In proposito, l'INAIL ha fatto sapere che l'attribuzione di incarichi di posizioni funzionali fisse è disciplinata dagli articoli 15, 16 e 17 del Contratto collettivo integrativo di ente per il periodo 2006-2009, che ne stabilisce la procedura, i requisiti di partecipazione, i criteri di valutazione, la durata e le funzioni.
In ordine all'incarico di posizione funzionale di vicario del dirigente della sede di Barletta, il conferimento è avvenuto a seguito di interpello, indetto in data 29 ottobre 2010, inoltrato in pari data a tutti i dirigenti ai fini della notifica al personale in possesso dei requisiti di partecipazione, con invito a far pervenire le domande compilate secondo lo schema all'uopo predisposto, riportante anche gli indicatori e gli ulteriori elementi di valutazione.
Con riferimento alla sede di Barletta, l'Istituto ha comunicato che sono pervenute 12 domande, il cui elenco, corredato dei requisiti essenziali (anzianità minima nella qualifica) e degli altri elementi valutativi (anzianità, titoli di studio, ulteriori esperienze professionali, eccetera) è stato trasmesso al dirigente di sede.
Il dirigente, nel rispetto della disciplina pattizia, ha espresso il proprio parere con proposta motivata, recepita dal direttore regionale, sulla scorta della valutazione dei titoli e dell'esperienza professionale dei candidati e fermo restando l'elemento fiduciario del rapporto.
L'Istituto ha, inoltre, chiarito che appare priva di fondamento la circostanza riportata dall'interrogante secondo cui il funzionario individuato dal dirigente della sede di Barletta era stato ritenuto inidoneo nel precedente interpello svolto nel mese di giugno 2010 per il medesimo incarico presso la sede di Bari, in quanto l'inidoneità presuppone la mancanza di uno dei requisiti essenziali per la stessa partecipazione all'interpello.
L'INAIL ha, poi, precisato che la disciplina applicabile, di cui al contratto integrativo 2006/2009, non prevede che l'incarico di cui si tratta debba essere attribuito ad uno dei funzionari presenti all'interno della medesima sede.
In ordine alla presunta gestione gravemente deficitaria della direzione regionale, l'Istituto ha rappresentato che al contrario i risultati ottenuti con riferimento agli obiettivi di produzione e di qualità di tutte le sedi della regione, tra cui si annovera anche

la sede di Barletta, sono stati positivi. Ne consegue, pertanto, che la funzione dirigenziale ha garantito con la dovuta costanza ed efficacia le attività di indirizzo e coordinamento sul territorio di competenza.
Riguardo, infine, ai fatti di cronaca giudiziaria evidenziati, l'INAIL ha riferito che gli stessi si riferiscono ai comportamenti di un solo dipendente, non più in servizio per raggiunti limiti di età, non riconducibili alle attività istituzionali, per cui l'Istituto non ha ravvisato alcun nesso tra le attribuzioni delle posizioni funzionali fisse e i menzionati eventi giudiziari.
In conclusione, sulla base degli elementi forniti dall'Istituto assicurativo non si sono riscontrate violazioni della disciplina contrattuale di comparto né alcuna irregolarità o carenza nell'operato della direzione regionale della Puglia.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

BORGHESI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il comune di Treviso giustificando la cosa con non meglio precisate «difficoltà economiche» - non spedisce a casa le tessere elettorali e invita tutti i cittadini elettori a presentarsi presso un unico punto a Treviso per la sostituzione con quelle in loro possesso. Trattasi di circa 60.000 tessere complessivamente;
di fronte a questa situazione, ci saranno persone non in grado di esercitare il loro diritto di voto il 15/16 maggio (elezioni amministrative provinciali) e il 12/13 giugno eventuale ballottaggio e (referendum). Ad esempio coloro che, per motivi tecnici e logistici (pendolari) sono impossibilitati a presentarsi per il ritiro e che non possono delegare alcuno al ritiro. Senza contare comunque al disagio di ogni cittadino che deve affrontare tale situazione visto anche (come riportato dai giornali locali) le code costanti davanti allo sportello;
le istituzioni non possono fingere di non vedere; si è di fronte, ad avviso dell'interrogante, ad una dimostrazione di incapacità organizzativa. I rischi sono il caos ai seggi ed il disincentivo a partecipare alle provinciali e referendum, diritto sancito dalla Costituzione -:
se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra riportati;
se non intenda intervenire presso il comune di Treviso affinché provveda ad una distribuzione meno caotica e più sicura e nei termini, per dare a tutti la possibilità di poter esercitare il diritto di voto.
(4-11825)

Risposta. - Le modalità di rilascio, aggiornamento e rinnovo della tessera elettorale personale a carattere permanente sono disciplinate dal decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 2000, n. 299 e successive modificazioni. In particolare, l'articolo 3 prevede che la «consegna della tessera elettorale è eseguita, in plico chiuso, a cura del comune di iscrizione elettorale, all'indirizzo del titolare».
Il successivo articolo 4, comma 2, stabilisce che le variazioni dei dati o delle indicazioni contenute nella tessera, conseguenti alle revisioni delle liste elettorali, previste dal decreto del Presidente della Repubblica n. 223 del 1967, vengono effettuate dall'ufficio elettorale comunale, che provvede a trasmettere per posta, all'indirizzo del titolare, un tagliando di convalida adesivo contenente i relativi aggiornamenti, che il titolare stesso incolla nell'apposito spazio all'interno della tessera elettorale.
Analogamente si procede in caso di variazione dei dati relativi al collegio o circoscrizione amministrativa nei quali l'elettore può esprimere il voto.
In seguito alla rideterminazione delle circoscrizioni dei collegi uninominali spettanti alle province di Vercelli, Mantova, Pavia, Treviso, Ravenna, Lucca, Macerata, Campobasso e Reggio Calabria, conseguente alla riduzione del venti per cento del numero dei consiglieri (disposta ai sensi dell'articolo 1 del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla

legge 26 marzo 2010, n. 42), il Ministero dell'interno, con circolare n. 46 del 22 dicembre 2010, ha richiamato l'attenzione di tutte le amministrazioni comunali, affinché, nel caso in cui la suddetta revisione avesse determinato la variazione del collegio provinciale di iscrizione del singolo elettore in vista delle consultazioni elettorali provinciali, fossero tempestivamente predisposti e, successivamente trasmessi per posta agli interessati, i tagliandi di convalida adesivi con i relativi aggiornamenti, da incollare negli appositi spazi all'interno delle tessere elettorali personali.
Con le successive circolari n. 7 del 14 marzo 2011 e n. 32 del 3 maggio 2011, in vista delle imminenti consultazioni amministrative e referendarie, è stata evidenziata la necessità che ciascun comune procedesse, con la massima tempestività, alla consegna delle tessere elettorali a tutti gli elettori che ne risultavano sprovvisti o le cui tessere risultassero deteriorate e/o inutilizzabili nonché all'invio, per posta, degli appositi tagliandi di convalida adesivi in tutti i casi di cambiamento del numero o dell'indirizzo della sezione, nonché di variazioni dei dati inerenti ai collegi o alle circoscrizioni.
Nel caso del comune di Treviso la competente prefettura, avendo appreso da notizie stampa e da contatti informali avuti con le amministrazioni comunali che alcune municipalità non ritenevano di dover provvedere all'invio dei tagliandi adesivi né alla consegna delle tessere elettorali, con circolare del 1o aprile 2011, provvedeva ad invitare i comuni ad adempiere alle suddette formalità, prospettando, in caso di inerzia, la nomina di un commissario - ai sensi dell'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 299 del 2000 - nella persona del segretario o del vice segretario di ciascuna amministrazione.
Già dalla metà del mese di aprile 2011, tuttavia, dal monitoraggio disposto dalla prefettura, emergeva un quadro di riferimento provinciale del tutto positivo. Anche il comune di Treviso, che in un primo momento aveva invitato gli elettori residenti a recarsi presso gli uffici comunali per la consegna della tessera elettorale, provocando lunghe code e malumori tra la popolazione, a seguito dell'intervento prefettizio abbandonava tali modalità operative per procedere alla consegna porta a porta delle nuove tessere.
Pertanto, anche nel comune di Treviso le operazioni elettorali si sono concluse tempestivamente e senza dare luogo ad alcuna irregolarità.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

BOSSA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il 15 luglio 2011, il consigliere regionale del Pdl Alberico Gambino, eletto nel maggio 2007 sindaco del comune di Pagani, provincia di Salerno, poi dimessosi per incompatibilità con la carica regionale, è stato arrestato, insieme ad altre sei persone, dai carabinieri del comando provinciale di Salerno, nel corso di un'operazione coordinata dalla procura della Repubblica, con le accuse di concussione ed associazione per delinquere finalizzata allo scambio elettorale politico-mafioso;
insieme con Gambino sono stati arrestati, tra gli altri, un consigliere comunale del Pdl (Giuseppe Santini), un architetto dell'ufficio tecnico del comune di Pagani (Giovanni De Palma), il dirigente del consorzio di bacino Salerno 1 (Michele Petrosino D'Auria, figlio del boss di camorra detenuto Gioacchino Petrosino D'Auria);
Gambino e gli altri, secondo l'accusa, avrebbero creato un sistema che, con la complicità di politici locali e di livello regionale, gli consentiva di gestire la pubblica amministrazione per controllare le principali attività economiche e imprenditoriali della zona ottenendo finanziamenti alla campagna elettorale, assunzioni pilotate, affidamento di appalti a ditte di fiducia e sponsorizzazioni alla squadra di calcio;
incastrare Gambino e gli altri sarebbero state le rivelazioni di alcuni imprenditori, stretti nella morsa di continui ricatti

e intimidazioni che il gip di Salerno Gaetano Sgroia non ha esitato a definire, nella sua ordinanza, di estrema gravità e pericolosità;
a Pagani, scrive il giudice Sgroia, «il dissenso praticamente non esiste più, compresso dalle intimidazioni e dalle minacce che un cartello camorristico è riuscito a portare ad ogni livello della vita pubblica e imprenditoriale»;
Gambino, è emerso dalle indagini, avrebbe preso parte anche alla cena organizzata da un pregiudicato per festeggiare l'assoluzione ottenuta dall'accusa di estorsione aggravata dalla finalità mafiosa. Episodio che secondo il giudice appare «indicativo del grado di connessione esistente tra camorra e politica» nel territorio di Pagani;
negli atti si fa inoltre riferimento alla vicenda di un immobile lasciato da una famiglia al comune di Pagani al fine di istituirvi una borsa di studio, ma di fatto occupato dai fratelli D'Auria Petrosino, risultati inadempienti da anni nel pagamento dei relativi tributi; sentito agli inizi di luglio un dipendente dell'amministrazione ha spiegato di aver attivato la procedura per chiedere i pagamenti; «Il sindaco mi chiese conto di tale attività - ha dichiarato il teste secondo quanto scritto nell'ordinanza - e senza mezzi termini mi fece comprendere che non avrei dovuto proseguire in quanto per i fratelli D'Auria era lui che rispondeva di persona. Mi spiegò che erano "cosa sua" e che di tale questione assumeva lui in prima persona tutte le responsabilità di legge»;
Gambino è considerato l'uomo forte del Pdl a Pagani e in parte della provincia di Salerno. È stato eletto primo cittadino di Pagani nel maggio 2002, poi consigliere provinciale di Salerno nel giugno 2004, poi di nuovo sindaco di Pagani, con un larghissimo consenso (più di 17mila voti), nel 2007, infine consigliere regionale nel 2010;
nel 2005 finì al centro di un'indagine avviata dalla procura di Nocera Inferiore per far luce su spese comunali non rispondenti a ragioni d'ufficio. Gambino fu indagato per il reato di peculato, accusato di aver fatto un uso improprio della carta di credito comunale in relazione a una somma complessiva di oltre ventimila euro, tra cene, feste e spostamenti vari. In primo grado, in sede di giudizio abbreviato, fu condannato a un anno e sei mesi con pena sospesa. La sentenza fu confermata in secondo grado. In seguito a tale condanna Gambino è stato sospeso per diciotto mesi dalla carica di sindaco di Pagani; analoga sospensione è intercorsa per la carica di consigliere regionale; di recente, però, la condanna è stata annullata con rinvio dalla Corte di cassazione e Gambino è rientrato tra i banchi del consiglio regionale mentre ha lasciato, per incompatibilità, la carica di sindaco di Pagani -:
se non ritenga urgente e indispensabile, alla luce di quanto sopra esposto, disporre l'accesso, con le modalità previste dalla normativa vigente, presso il comune di Pagani (Salerno) per acquisire dati, documenti e notizie in merito ai fatti sopra riferiti e per accertare se nell'ambito dell'apparato politico-amministrativo, emergano elementi su collegamenti, diretti e indiretti, con la criminalità organizzata ovvero sussistano forme di condizionamento degli amministratori che possano compromettere la libera determinazione degli organi elettivi ed il buon andamento dell'amministrazione comunale.
(4-12745)

Risposta. - In data 15 luglio 2011 il consigliere regionale della Campania ed ex-sindaco di Pagani, Alberico Gambino, è stato tratto in arresto da militari dell'Arma dei Carabinieri in esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Salerno, su richiesta della locale Procura distrettuale antimafia, perché indagato dei reati di concussione e di associazione di tipo mafioso finalizzata al voto di scambio.
In concorso con il consigliere regionale sono stati, altresì, tratti in arresto, per associazione di tipo mafioso due elementi di spicco

di un clan operante nell'area dell'agro nocerino-sarnese.
I Carabinieri hanno, inoltre, eseguito ulteriori ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di un assessore comunale di Pagani, del direttore di un noto centro commerciale, di un pregiudicato e di un imprenditore.
Con provvedimenti del 6 e del 9 agosto 2011, il Tribunale del riesame di Salerno ha disposto la modifica delle misure cautelari adottate nei confronti degli indagati: tra costoro, il Gambino ha ottenuto la concessione degli arresti domiciliari.
Il 27 luglio 2011, il Prefetto di Salerno ha disposto l'accesso agli atti amministrativi del comune di Pagani, ai sensi dell'articolo 59, comma 7, del Testo unico enti locali ed ha affidato i relativi accertamenti ad un'apposita Commissione per verificare che non ricorrano pericoli di infiltrazioni di stampo mafioso.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

BOSSA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
nella notte tra il 23 e il 24 luglio scorsi una nave mercantile italiana di Torre del Greco (Napoli), l'«Anema e core» della Rdb armatori, è stata sequestrata nelle acque del Benin, nel golfo della Guinea;
a bordo, come componenti dell'equipaggio, ci sono venti filippini, un rumeno (il comandante) e due italiani (primo ufficiale e allievo ufficiale, uno pugliese, l'altro ligure);
la nave mercantile trasportava gasolio per autotrazione, ed è stata sequestrata mentre navigava a 23 miglia a sud di Cotonou. L'allarme, ricevuto alle 2.40 del 24 luglio dal comando generale della guardia costiera, è stato lanciato attraverso il sistema automatico di allarme (Sas) ed è stato confermato dall'ufficiale addetto alla sicurezza della compagnia armatrice;
la capitaneria di porto di Torre del Greco ha provato più volte a mettersi in contatto con l'equipaggio del mercantile, senza successo; analoghi tentativi sono stati fatti dai familiari, che dal momento del sequestro non sono più riusciti a parlare con i loro cari e vivono, chiaramente, ore di profonda angoscia;
ancora nessun contatto tra i pirati e la società armatrice; il comandante della marina del Benin ha riferito che sono in corso pattugliamenti per ricercare la nave;
quello arrivato nella notte tra il 23 e 24 luglio 2011 è il terzo attacco dei pirati alla marineria campana, dopo il sequestro della «Savina Caylyn» (petroliera di un armatore napoletano sequestrata l'8 febbraio scorso a 880 miglia dalla Somalia con i 22 membri di equipaggio, tra cui cinque italiani) e della «Rosalia D'Amato» (assaltata il 21 aprile scorso al largo dell'Oman e trasferita a nord di Mogadiscio, con a bordo 22 uomini tra cui sei italiani). Queste due sono ancora nelle mani dei banditi con sequestri che si trascinano ormai da mesi e tengono le famiglie dei marittimi in condizioni di angosciante attesa -:
se e come e con quali risultati il Ministro degli affari esteri abbia attivato i canali diplomatici a sua disposizione per intervenire sul caso in questione e quali siano le notizie disponibili sulle condizioni dei due italiani sequestrati; quali siano, allo stato, compatibilmente con le esigenze di riservatezza legate al caso, le iniziative che si intendano assumere per la soluzione della delicata vicenda; se e come ci si stia attivando per la soluzione dei precedenti sequestri di navi mercantili italiane di cui non si ha più notizia.
(4-12834)

Risposta. - L'ambasciata d'Italia ad Abuja nella Repubblica federale di Nigeria, competente anche per la Repubblica del Benin, ha seguito sin dal primo momento la vicenda del sequestro da parte di pirati della nave italiana «Anema e Core», dell'armatore Rizzo Darlini Bottiglieri, avvenuto domenica 24 luglio 2011 a largo delle coste beninesi.

La rappresentanza italiana si è mantenuta altresì in stretto contatto con l'unità di crisi della Farnesina e ha informato tempestivamente le competenti autorità della Repubblica del Benin, tramite il Consolato onorario a Cotonou e l'ambasciata del Benin in Abuja.
Si è richiesto alle suddette autorità di prestare soccorso alla nave italiana, che trasportava combustibile ed un equipaggio composto da italiani, un romeno e venti filippini, ed in particolare l'ambasciata italiana ha sottolineato la necessità di adottare ogni misura idonea a garantire, innanzitutto, l'incolumità e la sicurezza dell'equipaggio.
Come in precedenti casi occorsi nel golfo di Guinea, l'attacco pirata sembrava mirato a trasbordare il combustibile su altre imbarcazioni per poi essere smerciato nei mercati locali.
L'ambasciata d'Italia ad Abuja ha informato altresì le autorità nigeriane competenti, sollecitando lo stesso tipo di cautela da adottare verso l'equipaggio, perché la nave «Anema e Core» avrebbe potuto spostarsi nelle acque territoriali della Nigeria molto prossime a quelle beninesi.
Il 29 luglio 2011 la Centrale operativa del comando generale del Corpo delle capitanerie di porto, del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ha appreso che i pirati avevano abbandonato la nave alle ore 22.59 locali del 28 luglio 2011.
Lo stesso giorno l'ambasciata d'Italia ad Abuja confermava l'arrivo della «Anema e Core» nel porto di Cotonou con l'equipaggio al completo e che le autorità beninesi avevano esperito gli accertamenti del caso a bordo della nave.
Per quanto attiene a precedenti sequestri di navi mercantili italiane, occorre specificare che la Farnesina continua a mettere in campo tutte le risorse disponibili per giungere, nel più breve termine possibile, alla liberazione dei marittimi sequestrati.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Enzo Scotti.

BUCCHINO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
con regolamento del 2007 per la concessione di mutui ipotecari (articolo 1, comma 245, della legge n. 662 del 1996; decreto ministeriale 27 luglio 1998, n. 463) l'Inpdap (Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica) ha previsto la concessione di mutui ipotecari destinati all'acquisto di unità abitative da adibire a prima casa, site sul territorio nazionale a favore degli iscritti alla propria gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali;
i mutui possono essere richiesti dagli iscritti alla gestione su indicata che soddisfino determinati requisiti e per l'acquisto di immobili privi delle caratteristiche delle abitazioni di lusso;
le domande di mutuo sono definite nell'ambito delle disponibilità finanziarie assegnate a ciascun compartimento ed a ciascuna sede del territorio di riferimento in rapporto al bacino di utenza;
il mutuo per acquisto di un'unità immobiliare è erogabile per l'importo massimo di euro 300.000,00 con riferimento a ciascun nucleo familiare, l'importo erogabile non può superare il 90 per cento del valore di perizia dell'immobile e l'importo delle rate da pagare annualmente non può superare la metà del reddito netto annuo del nucleo familiare dichiarato ai fini IRPEF;
i tassi di interesse dei mutui ipotecari sono stabiliti con delibera del Consiglio di amministrazione dell'Inpdap;
per le domande pervenute a decorrere dal 19 aprile 2007, e fino ad oggi il tasso fisso è stato stabilito al 4,15 per cento; per i mutui a tasso variabile, di durata di 10/15/20/25/30 anni, il tasso è fissato al 3,75 per cento per il primo anno e, con decorrenza dalla terza rata, tasso variabile pari all'euribor a 6 mesi, calcolato su 360 giorni, maggiorato di 100 punti base, rilevato il 30 giugno o il 31

dicembre del semestre precedente la delibera ed applicato sul debito residuo a tale data;
l'ultima delibera del Consiglio di amministrazione dell'Inpdap relativa ai tassi sui mutui ipotecari si riferisce all'anno 2007;
per l'anno in corso il Consiglio di amministrazione dell'Inpdap non ha ancora provveduto ad emanare la delibera in questione;
dal 2007 ad oggi i tassi di interesse sui mutui ipotecari si sono notevolmente ridotti grazie alla costante discesa dell'euribor;
un aggiornamento dei mutui ipotecari dell'Inpdap in conformità agli attuali tassi di interesse regolati dalla Banca
centrale europea beneficerebbe migliaia di lavoratori e pensionati -:
quali misure il Ministero interrogato intenda adottare:
a) per verificare i motivi per i quali il Consiglio di amministrazione dell'Inpdap non abbia ancora emanato il regolamento 2009 per la concessione dei mutui ipotecari agli iscritti alla propria gestione creditizia;
b) per sollecitarne l'emanazione;
c) per accertarsi che la nuova delibera tenga debitamente conto dell'evoluzione dei tassi di interesse dei mutui ipotecari per garantire un trattamento equo e corretto ai lavoratori dipendenti ed ai pensionati iscritti alla gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali dell'Inpdap.
(4-02541)

Risposta. - L'interrogazione in esame concerne l'emanazione da parte dell'Inpdap del nuovo regolamento per la concessione dei mutui ipotecari ai propri iscritti, con particolare riferimento alla revisione dei tassi di interesse.
Al riguardo l'Inpdap ha fatto sapere che con delibera n. 155 del 2 febbraio 2010, successivamente modificata dalla delibera n. 166 del 10 marzo 2010, il Commissario straordinario dell'Istituto ha approvato il nuovo regolamento per l'erogazione dei mutui ipotecari destinati all'acquisto di unità abitative da adibire a prima casa in favore degli iscritti alla gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali.
Il regolamento è stato pubblicato sulla
Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana n. 85 del 13 aprile 2010 ed è entrato in vigore a decorrere dal 1o luglio 2010.
Le finalità che le nuove regole tendono a perseguire sono la razionalizzazione della materia nel suo complesso - considerate anche le recenti modifiche legislative (legge n. 222 del 2007) che hanno consentito anche ai pensionati di aderire alla gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali - e la garanzia del finanziamento alle fasce più bisognose, tenuto conto che da qualche anno, a causa dell'elevato numero delle domande di credito da parte degli iscritti, le risorse economiche destinate all'erogazione di prestiti e mutui si sono rivelate non sempre sufficienti a soddisfare tutte le richieste.
Le novità di maggior rilievo riguardano l'introduzione del meccanismo della graduatoria, quale criterio per determinare la priorità, l'abolizione della prestazione di mutui ipotecari alle cooperative di iscritti, in quanto gli iscritti possono autonomamente accedere alla prestazione, l'esclusione della possibilità di concedere il finanziamento a coloro che siano già proprietari di immobili nel territorio nazionale e le precisazioni circa la portabilità del mutuo.
Inoltre, i tassi di interesse praticati per la concessione dei mutui sono stati ritoccati in linea con l'andamento di quelli di mercato e risultano i seguenti: mutui a tasso fisso di durata 10/15/20/25/30 anni, 3,75 per cento per l'intera durata del mutuo; mutui a tasso variabile di durata 10/15/20/25/30 anni, 3,50 per cento per il primo anno e, con decorrenza dalla terza rata, tasso variabile pari all'Euribor a 6 mesi, calcolato su 360 giorni, maggiorato di 90 punti base, rilevato il 30 giugno del semestre precedente ed applicato sul debito residuo a tale data.
In conclusione, in seguito all'emanazione del nuovo regolamento per l'erogazione di mutui ipotecari le esigenze prospettate dall'interrogante possono dirsi soddisfatte.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

CALABRIA. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per le pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
Muratella è una nuova area di sviluppo del comune di Roma e si trova nel quadrante sud-ovest della città nel territorio del Municipio XV; è collegata, grazie alla linea ferroviaria FR1, sia con altre zone di Roma che con l'aeroporto di Fiumicino, con Fara Sabina, Orte, Poggio Mirteto;
la stazione FR1 di Muratella vive una situazione di gravissimo degrado, denunciato ripetutamente sia dagli abitanti della zona, sia dai pendolari che quotidianamente lamentano l'insicurezza per quanti - soprattutto nelle ore serali e notturne - transitano nei sottopassaggi scarsamente illuminati, privi di videocamere di sicurezza ed anche estremamente sporchi;
particolarmente critica risulta poi l'accessibilità ai treni per i passeggeri disabili o per donne con bambini nei passeggini o per gli anziani i quali non possono raggiungere il secondo binario poiché il sottopassaggio è servito soltanto da rampe di scale ed è privo di ascensore di collegamento;
il regolamento (CE) n. 1371/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, relativo ai diritti e agli obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario, stabilisce una specifica tutela delle persone disabili e con mobilità ridotta prevedendo, all'articolo 21, che le imprese ferroviarie e i gestori delle stazioni garantiscano, per le persone a mobilità ridotta, l'accessibilità alle stazioni, alle banchine e agli altri servizi;
il medesimo regolamento prevede, all'articolo 24, che in caso di partenza, transito o arrivo di una persona con disabilità o una persona a mobilità ridotta in una stazione ferroviaria dotata di personale, il gestore della stazione sia tenuto a fornire gratuitamente l'assistenza necessaria all'interessato per salire o scendere dal treno per cui ha acquistato il biglietto;
nella summenzionata stazione della Muratella non solo non è presente alcun servizio di biglietteria - nemmeno automatica - ma neppure nelle ore di massima frequentazione della stazione è presente il personale ferroviario -:
se si intenda assumere iniziative per porre termine alle gravi inadempienze e carenze descritte in premessa.
(4-07248)

Risposta. - Mi riferisco all'interrogazione in esame, concernente le problematiche connesse all'utilizzo della stazione ferroviaria di Muratella a Roma.
Secondo quanto riferito dalle Ferrovie dello Stato, direzione centrale affari istituzionali e della concorrenza, interpellate a riguardo dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la Rete ferroviaria italiana ha avviato da tempo un consistente programma di riqualificazione di tutte le stazioni e fermate della rete.
In tale quadro, una particolare attenzione è stata rivolta a realtà analoghe a quella della fermata di Muratella, a servizio di tratte di interesse metropolitano, caratterizzate da un crescente indice di frequentazione dei viaggiatori.
Compatibilmente con le risorse economiche disponibili, RFI ha in programma un vasto progetto per l'abbattimento delle barriere architettoniche, volto a semplificare la fruibilità degli impianti ferroviari da parte delle persone a ridotta mobilità.
In questo contesto, RFI starebbe valutando la possibilità di realizzare degli ascensori per l'accesso ai marciapiedi anche presso la fermata in questione, garantendo altresì la propria disponibilità a ricercare soluzioni più efficaci per un concreto miglioramento dei servizi offerti alla clientela.


Allo stato attuale, secondo quanto riferito da Ferrovie dello Stato, nella stazione di Muratella l'accesso ai treni è consentito mediante una pedana mobile (indicata da un apposito pittogramma) manovrata, su richiesta, dal personale di bordo; per la clientela non vedente la presenza di un segnalatore acustico facilita l'individuazione delle porte di accesso al treno.
Per l'acquisto dei titoli di viaggio ferroviari regionali, la clientela in partenza dalla stazione di Roma Muratella, disporrebbe di quattro punti vendita convenzionati, ubicati ad una distanza compresa tra i 300 e i 700 metri, dei quali, il più vicino, aperto dalle 6.00 alle 18.00.
Peraltro, poiché la stazione di Roma Muratella è situata sulla linea F1, ricade nell'ambito dell'area urbana di Roma (zona A del metrobus Roma), i viaggiatori diretti verso una qualsiasi stazione dell'area possono utilizzare quale titolo di viaggio il biglietto integrato a tempo, acquistabile nell'ampia rete di distribuzione cittadina.
Si rappresenta infine che i biglietti ferroviari possono essere acquistati anche attraverso il sito
web di Trenitalia e che i biglietti del servizio regionale del tipo cosiddetto a «fasce chilometriche», non hanno né scadenza né sono vincolati a specifiche stazioni di partenza o destinazione e, pertanto, possono essere acquistati con largo anticipo.
Il Ministro per le pari opportunità: Mara Carfagna.

CALLEGARI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
il decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 128, di attuazione della direttiva 2003/30/CE relativa alla promozione dell'uso dei biocarburanti o di altri carburanti rinnovabili nei trasporti ha incluso l'olio vegetale puro tra i prodotti classificati come biocarburanti e, a tale titolo, riportati nell'Allegato I di cui all'articolo 2, comma 2 del suddetto decreto legislativo n. 128 del 2005;
successivamente, il decreto legislativo 2 febbraio 2007, n. 26, di attuazione della direttiva 2003/96/CE che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità, ha previsto, tra l'altro l'equiparazione dell'olio vegetale puro al gasolio agricolo, introducendo la possibilità di esenzione dall'accisa per diverse forme di impiego di tale prodotto;
in specie, il suddetto decreto legislativo n. 26 del 2007 prevede l'esenzione dall'accisa per l'olio vegetale puro immesso nei motori agricoli, per quello utilizzato nel riscaldamento delle serre, nonché per quello impiegato negli impianti che producono energia elettrica;
l'efficacia delle disposizioni che prevedono le suddette agevolazioni, per quanto disposto dallo stesso decreto legislativo n. 26 del 2007, è subordinata alla preventiva approvazione da parte della Commissione europea ai sensi delle vigenti norme comunitarie in materia di aiuti di Stato (articolo 88, paragrafo 3, del Trattato istitutivo della Comunità europea);
il relativo provvedimento risulta essere stato regolarmente notificato (n. 529 del 2008) alla Commissione europea che non ha, però, provveduto all'approvazione, a causa di una divergente interpretazione, rispetto a quella data dalle competenti autorità italiane, riguardo alla base giuridica comunitaria, in riferimento alla quale consentire l'esenzione di cui trattasi;
il decreto legislativo n. 26 del 2007 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 68 del 22 marzo 2007, e l'evidente ed enorme ritardo che, ancora oggi, si sta scontando è da ritenere particolarmente grave, nonché particolarmente penalizzante per gli agricoltori interessati, tenuto anche conto che, in altri Paesi dell'Unione europea, primi fra tutti Austria e Germania, le stesse pratiche di esenzione risultano essere, da tempo, perfezionate e, di conseguenza, l'olio vegetale puro è regolarmente utilizzato come biocarburante in regime di esenzione di accisa;

il grave ritardo accumulato ai fini dell'attuazione delle agevolazioni previste dal decreto legislativo n. 26 del 2007, oltre ai problemi di cui sopra, rischia di far, definitivamente, perdere interesse nei confronti di scelte produttive di assoluto interesse strategico, quali, indubbiamente sono, quelle legate alla produzione di bio-carburanti -:
se e quali iniziative si intendano intraprendere al fine di risolvere i problemi connessi all'autorizzazione da parte della Commissione europea e di giungere ad una sollecita soluzione positiva del problema dell'esenzione dall'accisa per gli oli vegetali puri.
(4-06189)

Risposta. - Con il documento in esame l'interrogante ha chiesto di conoscere le iniziative che si intendono intraprendere al fine di risolvere i problemi connessi all'autorizzazione da parte della Commissione europea del regime di esenzione dall'accisa per gli oli vegetali non modificati chimicamente di cui all'articolo 1, comma 1, lettera cc), punto 2) del decreto legislativo 2 febbraio 2007, n. 26, che ha modificato il punto 5 della tabella A allegata al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, testo unico delle accise).
Al riguardo, si fa presente che il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha comunicato a questo Dicastero che la Commissione europea, con la decisione C (2011) 6466 del 12 settembre 2011, ha ritenuto compatibile con il mercato comune l'aiuto N. 529/2008 che prevede l'esenzione dell'accisa per gli oli vegetali chimicamente non modificati.
La misura in questione ha lo scopo di promuovere l'uso di carburanti di origine agricola, quali gli oli vegetali puri non miscelati, con l'obiettivo di rendere i biocarburanti più competitivi rispetto ai carburanti di origine fossile che, per gli usi agricoli, godono già di una riduzione dell'accisa al 22 per cento.

Il Sottosegretario di Stato per l'economia e per le finanze: Alberto Giorgetti.

CATANOSO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
con la pubblicazione della relativa graduatoria, il 27 ottobre 2010, si è concluso il concorso a 30 posti C3 profilo informatico presso l'Inps: i vincitori e gli idonei di tale concorso si sono riuniti nel Comitato COFII. In questa veste si sono rivolti alle organizzazioni sindacali ed ai parlamentari al fine di rendere nota la loro situazione;
secondo quanto risulta all'interrogante risulterebbero state autorizzate, per il 2010, le assunzioni di soltanto i primi 10 dei 30 vincitori. Sollecitato telefonicamente, l'Inps avrebbe risposto ai giovani vincitori di concorso che i restanti 20 dovrebbero aspettare il conferimento delle autorizzazioni per il 2011;
la situazione venutasi a creare è tale per cui sorge una evidente disparità tra due sottoinsiemi dei 30 legittimi vincitori, che a questo punto verranno ammessi in servizio in due distinti scaglioni, pur avendo maturato il medesimo diritto all'assunzione;
i vincitori posizionati dall'11° al 30° posto si vedranno penalizzati rispetto ai primi 10, specialmente per quel che riguarda la maturazione dell'anzianità di servizio;
diventa, però, più problematica la situazione se si rivolge uno sguardo anche agli idonei che stante l'attuale e certificata carenza di organico dell'Istituto ne rende incerto il futuro percorso professionale -:
se il Ministro del lavoro e delle politiche sociali intenda far sì che l'istituto possa assumere tutti i vincitori senza ulteriore indugio e quali siano i propri propositi nei confronti degli idonei;
se i Ministri interrogati abbiano intenzione di promuovere la stipula di accordi o convenzioni con altri enti per l'assunzione degli idonei della graduatoria C3 informatici, simili a quello stipulato

con l'Agenzia del territorio per l'assunzione degli idonei della graduatoria C1, ispettori di vigilanza sempre dell'Inps;
quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati per risolvere le problematiche esposte in premessa.
(4-10708)

Risposta. - L'interrogazione in esame concerne l'assunzione dei vincitori del concorso pubblico a 30 posti nei ruoli del personale dell'Inps, area funzionale C, posizione economica C3 - profilo informatico.
Preliminarmente, si evidenzia che, ai sensi dell'articolo 3, comma 102, della legge n. 244 del 2007, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 523, della legge n. 296 del 2006, ad eccezione dei Corpi di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, per il quadriennio 2010-2013, possono procedere, per ciascun anno, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 20 per cento di quella relativa al personale cessato nell'anno precedente. In ogni caso, il numero delle unità di personale da assumere non può eccedere, per ciascun anno, il 20 per cento delle unità cessate nell'anno precedente.
Tali assunzioni devono essere autorizzate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro della pubblica amministrazione e dell'innovazione e del Ministro dell'economia e delle finanze.
Con particolare riferimento al concorso richiamato dall'interrogante, l'Inps ha fatto sapere di aver proceduto all'assunzione dei primi 10 vincitori, in seguito all'emanazione del relativo decreto di autorizzazione, con decorrenza dal 12 novembre 2010.
In seguito, l'Istituto, in data 15 novembre 2010, nell'ambito della richiesta di autorizzazione alle assunzioni relative all'anno 2010 ed in ossequio a quanto disposto dalla circolare del Dipartimento della funzione pubblica n. 46078 del 2010, ha provveduto a richiedere l'autorizzazione ad assumere le ulteriori 20 unità di personale con profilo informatico di cui si tratta.
Successivamente, in data 23 maggio 2011, è stato pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 10 marzo 2011, registrato dalla Corte dei conti il 4 maggio 2011, recante autorizzazione ad assumere e a trattenere in servizio unità di personale per le esigenze di varie amministrazioni dello Stato.
In virtù di tale decreto, l'Inps il 1o settembre 2011 ha assunto con contratto a tempo indeterminato i restanti 20 vincitori del concorso in argomento.
In conclusione, sulla base degli elementi forniti dall'Istituto previdenziale, si può ritenere espletato il procedimento di assunzione dei 30 vincitori del concorso pubblico, per l'area funzionale C, posizione economica C3 - profilo informatico, nel rispetto delle vigenti disposizioni che disciplinano i limiti alle assunzioni di personale a tempo indeterminato, che, come noto, sono volte alla riduzione della spesa pubblica.
Da ultimo, vale la pena mettere in evidenza che il decreto-legge n. 98 del 2011, convertito dalla legge n. 111 del 2011, all'articolo 16, comma 1, lettera
a) autorizza il Governo a prorogare di un anno l'efficacia delle vigenti limitazioni del turn over nelle amministrazioni dello Stato, nelle agenzie fiscali, negli enti pubblici non economici e negli altri enti indicati all'articolo 70, comma 4, del decreto legislativo n. 165 del 2001, con esclusione dei Corpi di polizia e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
La successiva lettera
e) prevede la possibilità che l'ambito applicativo delle disposizioni di cui alla lettera a) venga differenziato in ragione dell'esigenza di valorizzare ed incentivare l'efficienza di determinati settori.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

CIOCCHETTI. - Al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
la Fondazione Enasarco si accinge a vendere agli inquilini circa 15 mila appartamenti

di sua proprietà in Roma e in altre importanti città;
negli stabili dell'Enasarco prestano la propria attività per la pulizia ed il portierato circa 350 persone;
questi lavoratori e le loro famiglie temono, in assenza di patti chiari che ne preservino il futuro, di perdere sia il lavoro che la casa, non essendo per lo più in grado di acquistare gli immobili messi in vendita;
il presidente Brunetto Boco avrebbe fornito al riguardo assicurazioni assolutamente generiche e non avrebbe comunicato alle associazioni dei dipendenti portieri e pulitori con quali modalità la Fondazione intenderebbe confrontarsi con i sindacati degli inquilini e/o i fondi immobiliari per vincolarli al mantenimento dello status quo;
tutti i sindacati dei lavoratori hanno proclamato lo stato di agitazione chiedendo l'intervento delle istituzioni per la soluzione di un problema drammatico che riguarda il futuro di diverse centinaia di persone -:
se sia a conoscenza della questione sopra esposta e quali urgenti iniziative in suo potere intenda intraprendere per garantire la tutela dei lavoratori.
(4-04673)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame con cui si chiedono notizie in merito alla salvaguardia dei livelli occupazionali dei lavoratori con compiti di pulizia e custodia dipendenti dall'Enasarco a seguito della dismissione del patrimonio immobiliare, si rappresenta quanto segue.
Preliminarmente, si ritiene opportuno evidenziare che, in linea generale, le casse privatizzate in materia di gestione e disposizione del proprio patrimonio immobiliare, nel quadro legislativo delineato dai decreti legislativi 30 giugno 1994, n. 509 e 10 febbraio 1996, n. 103, hanno piena autonomia gestionale da esercitarsi al fine del raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario e del contenimento del rischio della gestione del proprio attivo, in un'ottica di tutela degli interessi previdenziali ed assistenziali degli iscritti alle casse stesse e, quindi, del perseguimento della funzione pubblica ad esse affidata dall'articolo 38 della Costituzione.
Con riferimento all'interrogazione in esame con cui si chiede quali siano le iniziative avviate per far fronte alla salvaguardia dei livelli occupazionali del personale dipendente dall'Enasarco una volta dismesso il suo patrimonio immobiliare, si rappresenta che, con delibera n. 8 del 14 febbraio 2008, il consiglio di amministrazione della fondazione aveva stabilito di adottare la strategia di dismissione del patrimonio immobiliare finalizzata, da un lato, al miglioramento dell'
Asset allocation strategica e, dall'altro, al raggiungimento dell'obiettivo di stabilità del bilancio tecnico ultratrentennale richiesto dalla legislazione vigente, conferendo altresì mandato alla Direzione generale della Fondazione di predisporre un piano di fattibilità per la vendita diretta del patrimonio immobiliare all'inquilinato, fermo restando l'impegno della stessa alla salvaguardia dei livelli occupazionali dei lavoratori.
In data 18 settembre 2008 il consiglio di amministrazione, con delibera n. 74, ha approvato il piano per la dismissione del patrimonio immobiliare denominato «Progetto Mercurio» che, alla parte terza, - capitolo 12 «rapporti di lavoro» -, tratta, distintamente, le problematiche connesse ai rapporti di lavoro degli «impiegati amministrativi e tecnici» (
sub 12.1) e degli «addetti alla custodia e pulizia degli stabili» (sub 12.2).
In osservanza a quanto previsto nel suddetto piano, nel corso del 2008 e del 2009 si sono tenuti diversi incontri con le organizzazioni sindacali sia degli inquilini che dei lavoratori. Dopo un'ampia e articolata trattativa, nel corso della quale la Fondazione e le organizzazioni sindacali hanno vagliato tutte le ipotesi percorribili nell'interesse dei lavoratori e della salvaguardia della loro occupazione, in data 13 settembre 2011 è stato raggiunto un accordo tra le organizzazioni sindacali Cisl, Uil ed Ugl e la Fondazione medesima.


Tale accordo prevede, per tutto il personale addetto alla pulizia e alla custodia degli stabili oggetto di dismissione, la possibilità di optare per l'assunzione alle dipendenze dei condomini che verranno costituiti a seguito della vendita o, in alternativa, la corresponsione di un riconoscimento economico nel caso di cessazione del rapporto di lavoro. I lavoratori che opteranno per la prima soluzione verranno assunti alla dipendenze del condominio con contratto a tempo indeterminato, per un periodo minimo di 5 anni, alle medesime condizioni retributive in atto al momento della risoluzione del rapporto di lavoro con la fondazione. Ai dipendenti che invece non opteranno per l'assunzione alle dipendenze dei condomini, la fondazione garantirà la corresponsione di un incentivo nella misura massima di 50.000 euro allo scopo di offrire un sostegno economico all'atto della cessazione del rapporto di lavoro. L'importo dell'incentivo sarà calcolato tenuto conto dell'anzianità di servizio, dell'età anagrafica e dei carichi di famiglia.
Conclusivamente, si osserva che la questione segnalata dall'interrogante ha già trovato una soluzione di tipo procedurale che possa contemperare sia le esigenze del personale addetto agli stabili dismessi che quelle della fondazione.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

DE POLI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
in appena due anni scolastici (dal 2008/2009 al 2010/2011), nonostante il numero di alunni si sia incrementato di 33 mila unità, la scuola media è stata colpita da un taglio di quasi 14 mila cattedre. Fonti autorevoli sostengono che i tagli della riforma Gelmini incideranno profondamente sul sistema scolastico danneggiando fortemente la qualità della scuola. Nella scuola secondaria di primo grado si prevede un taglio di circa 1.300 posti, pur non prevedendosi una diminuzione del numero degli alunni; ne conseguirà una riduzione del numero delle classi e un sovraffollamento delle medesime. Il tutto, in violazione delle norme sul tetto stabilito di alunni per classe e di quelle sulla sicurezza e sull'edilizia scolastica;
è dimostrato che, il sovraffollamento delle aule, oltre a disattendere la normativa sulla Sicurezza, influisce sulla qualità della didattica. I limiti massimi di legge sono, a prescindere dall'ampiezza delle aule a disposizione degli alunni, decisamente anti-didattici: per la scuola secondaria di primo grado 27 alunni (elevabili in casi eccezionali a 30);
il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sostiene che, le classi con un numero di alunni pari o superiore a 30 sono appena lo 0,4 per cento del totale e che, il sovraffollamento riguarda prevalentemente la scuola secondaria di II grado e si lega soprattutto alle scelte e alle preferenze delle famiglie per alcuni istituti e sezioni;
in molti lamentano il fatto che, i dati sul fenomeno del sovraffollamento delle classi sono quelli resi noti dal Ministero e non c'è modo di verificarne la loro attendibilità. Inoltre, analizzando il dato del Ministero (lo 0,4 per cento delle classi corrisponde a 1.500 classi per un totale di 45.000 studenti circa) lanciano le loro considerazioni allarmanti in quanto anche se il numero delle classi in sovrannumero non fosse maggiore di quanto dichiarato dal Ministero competente, rimane grave il fatto che 45.000 ragazzi debbano frequentare aule non a norma per la prevenzione degli incendi, invivibili e inadatte a garantire le condizioni minime di apprendimento;
sono molti gli istituti scolastici (da Nord a Sud) che denunciano con grande preoccupazione la drammatica situazione del sovraffollamento delle classi che si trovano ad affrontare e che cercano risposte dagli organi competenti. Molti istituti scolastici del nostro Paese, da Nord a Sud, come l'I.C.S. «Luca Belludi» di Piazzola sul Brenta (PD) ma anche tanti altri istituti

nel padovano e in tutto il Veneto interrogano il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca sulle difficoltà che si trovano a dover affrontare dati i tagli messi in atto sul sistema scolastico e denunciano l'evidente scarso livello qualitativo che una situazione del genere comporta nel trasferimento delle conoscenze e nel raggiungimento degli obiettivi didattici ed educativi che una scuola moderna ed al passo con i tempi deve avere, la gestione stessa della classe diventa un lavoro difficile ed estenuante e il pericolo che tutti gli alunni non possano essere seguiti con la dovuta attenzione diventa molto reale -:
quali provvedimenti intenda adottare il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per sostenere ed aiutare gli istituti scolastici che si trovano ad affrontare il problema del sovraffollamento delle classi nel Veneto e nel resto del paese.
(4-12295)

DE POLI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
in questi giorni si è appreso che per l'anno prossimo non vi saranno incrementi a beneficio degli organici regionali del personale docente della scuola media;
fonti autorevoli dimostrino che nella regione Veneto è stato registrato un aumento considerevole di studenti rispetto allo scorso anno;
dalla stampa locale e dai mass media in generale si apprende il disagio nel quale si vengono a trovare in questo momento le famiglie degli studenti veneti. Appare a molti evidente il futuro sovraffollamento delle classi, che comporterà una penalizzazione dal punto di vista dell'offerta formativa che gli istituti scolastici stenteranno a garantire. Inoltre appare chiaro a molti che verrà a mancare la concessione del tempo prolungato se non addirittura la revoca del tempo prolungato;
pare ovvio che le famiglie a seguito di questa riduzione del personale docente dovranno dall'inizio dell'anno prossimo sostenere il peso di tale carenza di organico nelle scuole ed organizzarsi con enormi sacrifici per far fronte alle evidenti difficoltà nelle quali si verranno certamente a trovare. Ad essere penalizzati ancora una volta risultano essere coloro che andrebbero maggiormente tutelati e cioè gli studenti, i giovani ossia il futuro del Paese;
le amministrazioni comunali, gli istituti scolastici chiedono con forza un incremento del corpo docente assegnato alla scuola media del Veneto per garantire i diritti della popolazione residente -:
in che modo il Ministro interrogato intenda garantire e tutelare il diritto allo studio degli studenti in generale e di quelli veneti in particolare viste le riduzioni del personale docente delle scuole medie e tenuto conto del crescente numero della popolazione giovanile veneta.
(4-12670)

Risposta. - Si risponde alle interrogazioni in esame, con le quali l'interrogante, con riferimento alla realtà scolastica della regione Veneto, segnala le difficoltà che scaturiscono dal sovraffollamento delle aule e dalle riduzioni di organico dei docenti, e chiede quali iniziative si intendano adottare per garantire e tutelare il diritto allo studio.
Al riguardo, si ricorda anzitutto che l'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito con modificazioni nella legge n. 133 del 2008, ha previsto per il triennio 2009/2012 una rimodulazione dell'organico del personale della scuola, in funzione dell'esigenza di razionalizzare l'organizzazione del sistema scolastico e al fine di contenerne la spesa.
Le tre azioni del piano programmatico attuativo del sopra citato articolo 64 hanno comportato nel triennio in corso una riduzione del personale docente, a livello nazionale, di 87.400 posti, di cui 20.000 erano stati programmati dal precedente Governo. Tali riduzioni sono state attuate secondo i criteri previsti dal citato Piano programmatico e dai relativi regolamenti attuativi, e vengono completate nel corrente anno

scolastico 2011/2012 con un impatto di 19.700 posti, numero inferiore rispetto ai due precedenti anni scolastici.
Le modalità con cui si è proceduto alla razionalizzazione delle piante organiche sono state individuate grazie ad un confronto non soltanto all'interno del Ministero e degli uffici scolastici regionali, ma anche tra l'amministrazione e la struttura tecnica della Conferenza unificata, al fine di pervenire alla definizione di criteri condivisi di riparto dell'organico tra le regioni. Tale struttura tecnica ha proposto nuovi criteri di riparto che sono oggetto di valutazione e la cui efficacia potrà decorrere dall'anno scolastico 2012/2013.
È anche opportuno ricordare che, in base alle vigenti disposizioni, le dotazioni organiche complessive sono definite annualmente a livello nazionale, e ripartite poi a livello regionale, sulla base di vari elementi quali l'entità e la composizione della popolazione scolastica, il grado di densità demografica delle varie realtà territoriali, le caratteristiche geomorfologiche dei territori interessati, l'articolazione dell'offerta formativa, la distribuzione degli alunni nelle classi e nei plessi sulla base del rapporto medio previsto dalle norme ed anche sulla base delle caratteristiche dell'edilizia scolastica.
Con circolare ministeriale n. 21 del 14 marzo 2011 sono state diramate le istruzioni per la formazione dell'organico di diritto del personale docente per il corrente anno scolastico 2011/2012; alla circolare era allegato lo schema di decreto interministeriale, da emanare di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze. Sulla base della successiva circolare ministeriale n. 63 del 13 luglio 2011, gli uffici periferici hanno poi definito l'adeguamento degli organici di diritto alla situazione di fatto.
Ciò detto, per quanto riguarda la scuola dell'infanzia, pur nella considerazione che la stessa non ha carattere di obbligatorietà ai sensi delle vigenti disposizioni, sono state messe in atto le misure idonee a limitare al massimo il contenimento dei posti, in considerazione della forte valenza educativa e sociale che la stessa riveste. Pertanto, sono stati confermati in organico di diritto per l'anno 2011/2012 i posti attivati in organico di fatto dell'anno precedente.
Con riferimento al tempo pieno nella scuola primaria, si precisa che esso può essere assegnato se la disponibilità di organico lo consente ed a condizione che sussistano le necessarie strutture idonee (ad iniziare dalla mensa) per il suo funzionamento. Pur non essendo stato possibile soddisfare integralmente le richieste delle famiglie, da sempre superiori alle effettive disponibilità di organico, gli alunni frequentanti le relative classi, a livello nazionale, sono aumentati rispetto all'anno scolastico 2003/2004 di oltre 170.000 unità con un incremento di circa 7.000 classi, di cui 3.803 nell'ultimo triennio.
Venendo al caso specifico delle scuole del Veneto, il direttore del competente ufficio scolastico regionale, sentito al riguardo, ha precisato che la terza e ultima
tranche delle riduzioni delle piante organiche in applicazione del citato articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito nella legge n. 133 del 2008, ha previsto per il Veneto, con riferimento all'anno scolastico 2011/2012, la diminuzione di 1.398 posti di personale docente rispetto all'anno precedente, dei quali 143 da disporre nell'ambito della scuola secondaria di primo grado.
Mentre per la scuola dell'infanzia, per le considerazioni generali sopra esposte, sono state attivate, a livello regionale, ulteriori 17 sezioni in organico di diritto rispetto a quelle funzionanti nell'anno scolastico 2010/2011, per la scuola secondaria di primo grado si è reso necessario, sempre in sede di definizione dell'organico di diritto per il corrente anno scolastico, prevedere alcune classi con numero medio di alunni leggermente superiore al limite massimo previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 81 del 2009 (per le classi prime: 28 alunni), in modo da rispettare e non superare il contingente provinciale assegnato dall'Ufficio scolastico regionale ad ogni singola provincia.
In altri casi non è stato possibile concedere le classi a tempo prolungato in quanto

esse richiedono un organico maggiore rispetto a quello delle classi a tempo ordinario.
Successivamente, in occasione dell'adeguamento dell'organico di diritto alla situazione di fatto, il Ministero, riscontrando la richiesta inoltrata dalla Direzione scolastica regionale finalizzata all'incremento della dotazione organica, ha autorizzato 150 posti in più rispetto all'obiettivo precedentemente assegnato.
Detti posti sono stati ripartiti dal predetto ufficio alle diverse province, in misura proporzionale alle esigenze evidenziate dai dirigenti dei diversi ambiti territoriali. In particolare, sono state sanate le situazioni relative alle classi di ogni ordine e grado costituite, in organico di diritto, oltre i limiti previsti dal sopra citato decreto del Presidente della Repubblica n. 81 del 2009, in modo da assicurare il rispetto delle norme relative alla sicurezza degli alunni e garantire la funzionalità del servizio scolastico.
Per quanto riguarda la situazione specifica dell'Istituto comprensivo «Belludi» di Piazzola sul Brenta (Padova), il direttore scolastico regionale ha confermato che, a fronte di n. 5 classi richieste, ne erano state inizialmente autorizzate solo 4 in fase previsionale, in quanto l'ulteriore classe non poteva essere concessa in conseguenza del numero troppo ridotto di alunni.
Successivamente, a seguito dell'incremento del numero degli alunni (+ 9) riferito alle reiscrizioni di quelli ripetenti, in data 23 luglio 2011 l'ufficio territoriale di Padova ha potuto procedere all'autorizzazione dell'ulteriore classe prima, riportando di fatto l'istituto ad una situazione media di 24 alunni per classe.
Il direttore regionale ha, altresì, assicurato che sarà posta ogni cura affinché, previa attenta verifica delle singole situazioni segnalate dai dirigenti degli ambiti territoriali e dai dirigenti scolastici, non si determinino classi costituite in violazione delle norme relative alla sicurezza.

Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Mariastella Gelmini.

DI BIAGIO. - Al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'Ufficio Europeo Brevetti (UEB) annovera tra i suoi dipendenti quasi 500 funzionari italiani, una parte dei quali ha maturato una posizione contributiva presso l'INPS o, in casi isolati, un ente previdenziale equivalente, in precedenti rapporti di lavoro dipendente in Italia, tuttavia per un numero di anni ben inferiore al minimo necessario per poter ottenere una pensione in Italia al raggiungimento dell'età pensionabile;
fino ad oggi lo Stato italiano non ha concesso la possibilità di trasferimento dei contributi previdenziali al fondo pensioni dell'UEB, al contrario della maggior parte dei 34 Stati aderenti all'Organizzazione Europea dei Brevetti, per cui tali contributi risultano totalmente persi per i funzionari che si trovano in questa situazione, poiché il codice legale dell'UEB prevede, ai fini della salvaguardia dei periodi contributivi precedenti per la corresponsione del proprio trattamento pensionistico, solamente il trasferimento al fondo pensioni dell'UEB dei contributi previdenziali versati ad altri enti prima dell'inizio dell'attività lavorativa all'UEB ed in nessun modo un riconoscimento degli anni lavorativi precedenti;
le proposte fatte dall'Italia all'UEB negli ultimi anni sono sempre state basate sul principio della totalizzazione (o pro-rata); tuttavia recentemente il dipartimento legale dell'UEB è giunto alla conclusione che un accordo basato sulla totalizzazione non è fattibile, perché sancirebbe una disparità di trattamento dei funzionari italiani nei confronti dei funzionari UEB di altre nazionalità che godono della possibilità di trasferimento;
l'Italia permette già da tempo il trasferimento dei contributi previdenziali per i funzionari italiani di altri organismi internazionali, come per esempio la Commissione Europea, la Banca Centrale Europea, l'Istituto Universitario Europeo, l'EFDA;

recentemente alcune pronunce della Corte di Giustizia Europea in Lussemburgo, sono andate orientandosi verso una maggiore portabilità dei contributi previdenziali all'interno dell'Unione Europea, al fine di una maggiore tutela della libertà di movimento dei lavoratori;
la concessione del trasferimento dei contributi previdenziali dall'Italia all'UEB, se da un lato comporterebbe, secondo una stima fatta dall'Associazione dei Funzionari Italiani (AFI) dell'UEB, un versamento una tantum da parte dell'INPS di circa 5,5-6 milioni di euro, comunque ben inferiore a 10 milioni di euro, somma già rivalutata al 2008 secondo gli interessi in vigore, dall'altro consentirebbe all'INPS di cancellare le posizioni contributive dei funzionari interessati e quindi di eliminare ogni obbligo futuro nei loro confronti;
il trasferimento dei contributi previdenziali dall'Italia all'UEB verrebbe recuperato in futuro attraverso un ritorno di maggiori capitali verso l'Italia, grazie alla maggiorazione delle pensioni erogate dall'UEB ai funzionari interessati al raggiungimento dell'età pensionabile, ottenuta tramite i contributi trasferiti, poiché quasi tutti i funzionari italiani dell'UEB, in attività o in quiescenza, mantengono dei forti interessi in Italia;
il trasferimento dei contributi previdenziali dall'Italia all'UEB renderebbe più attraente l'assunzione di incarichi manageriali di alto livello presso l'UEB da parte dirigenti italiani del settore privato o della Pubblica Amministrazione, consentendo all'Italia di accrescere e valorizzare il proprio peso all'interno della struttura organizzativa europea;
sia il dipartimento legale dell'UEB sia l'AFI hanno espresso la loro disponibilità ad accettare un trasferimento dei contributi dilazionato in più anni, per esempio secondo classi di età, al fine di diluire su più anni il versamento da parte dell'INPS -:
quali provvedimenti intenda intraprendere al fine di colmare la suddetta situazione di vuoto legislativo che penalizza fortemente i funzionari italiani dell'UEB e di consentire il trasferimento dei contributi previdenziali dall'Italia verso l'UEB, se necessario attraverso una soluzione dilazionata in più anni.
(4-01149)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame con cui si chiede quali provvedimenti si intendano intraprendere per consentire il trasferimento dei contributi previdenziali dall'Italia verso l'ufficio europeo dei brevetti (Ueb) dei funzionari italiani dipendenti dall'Ueb, si rappresenta quanto segue.
Relativamente al trasferimento della posizione contributiva dei funzionari italiani in servizio presso l'Ueb, quest'ultimo ha rappresentato a questo Ministero la volontà di avviare un negoziato con le autorità italiane sulla regolamentazione del trasferimento dei diritti pensionistici a favore dei propri dipendenti.
Successivamente, consultati sull'argomento per le materie di rispettiva competenza il Ministero dell'economia e delle finanze e l'Inps, si è accertata l'impossibilità di poter seguire la strada del trasferimento dei contributi per insostenibilità degli oneri finanziari ravvisando che l'unico
iter percorribile per individuare una soluzione sarebbe invece un accordo tra le parti che preveda la totalizzazione. Il 31 gennaio 2008, nel corso di un incontro tenutosi presso questo Ministero con una delegazione Ueb e con i rappresentanti del Ministero dell'economia e delle finanze, dell'Inps e dell'Inpdap, è stato proposto un accordo per la salvaguardia dei diritti pensionistici tramite l'istituto della totalizzazione che attualmente è prevista solo per i funzionari dell'Unione europea. Tale istituto rappresenta lo strumento fondamentale per il mantenimento dei diritti pensionistici previsto, in linea generale, sia dai Regolamenti comunitari, sia dalle Convenzioni bilaterali di sicurezza sociale che dalla legislazione italiana. Per poter utilizzare l'istituto della totalizzazione, a legislazione vigente, occorre non essere titolare di pensione a carico di una delle gestioni tra le quali è possibile cumulare i periodi assicurativi

e la contribuzione maturata in ogni singolo fondo non deve essere inferiore a tre anni.
Tuttavia, al fine di agevolare il cumulo dei periodi contributivi, questa amministrazione ha provveduto, attraverso l'istituzione di un apposito tavolo tecnico, ad individuare correttivi volti ad una generale rivisitazione della materia nel senso di estendere l'istituto della totalizzazione attraverso l'abolizione del vincolo che impedisce la riunione dei periodi contributivi non coincidenti maturati in diverse gestioni previdenziali che presentino una durata inferiore ai tre anni (tavolo tecnico - al quale hanno partecipato rappresentanti degli enti previdenziali e del Ministero economia e finanze).
Nella fattispecie rappresentata dall'interrogante, il Ministero economia e finanze ha evidenziato che in ogni caso la proposta dell'Ueb richiede una specifica iniziativa legislativa per la quale deve essere individuata idonea copertura finanziaria e che un'eventuale soluzione basata sul principio della totalizzazione - che comunque assicurerebbe il pieno riconoscimento dei diritti previdenziali dei funzionari interessati - comporterebbe l'esigenza di individuare le risorse finanziarie per la copertura dei relativi oneri di entità sensibilmente inferiore rispetto all'ipotesi del trasferimento dei contributi.
Si segnala infine che il 27 luglio 2011, è stata approvata, all'unanimità, la mozione 1-00690 (primo firmatario: Giuliano Cazzola) con cui si impegna il Governo «ad assumere le opportune iniziative normative per consentire la possibilità di cumulare, ai fini del diritto a un unico trattamento pensionistico, i periodi assicurativi non coincidenti, di qualsiasi durata, posseduti presso le diverse gestioni attraverso la determinazione
pro quota del trattamento stesso senza penalizzazioni, ferma restando la facoltà di attivare - in alternativa - la ricongiunzione onerosa, al fine di ottenere un trattamento di miglior favore, valutando anche le modalità con le quali rimuovere il limite dei tre anni per quanto riguarda la possibilità di totalizzazione».
Conclusivamente, si osserva che il Governo ha già manifestato interesse per la questione segnalata dall'interrogante, la quale ha già costituito oggetto dell'impegno sopra descritto.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

DI BIAGIO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
la circolare del Ministero dell'interno, recante «Istruzioni per la presentazione e l'ammissione delle candidature» in materia di «accettazione della candidatura» richiama la decisione del Consiglio di Stato 17 maggio 1996, n. 574, la quale dispone che «la mancanza della dichiarazione antimafia comporta l'immediato, e non sanabile, depennamento del candidato dalla lista»;
in data 17 aprile 2011 la commissione elettorale del comune di Torino avrebbe inteso - su decisione della prefettura del capoluogo piemontese - decretare una proroga di 48 ore per la sottoposizione delle liste elettorali per le amministrative;
stando alle informazioni a disposizione dell'interrogante, la suindicata proroga sarebbe stata motivata dall'anomalia in capo alla sottoposizione delle liste elettorali dei partiti PdL e Lega che rischierebbero di essere estromesse dall'agone elettorale in virtù di un vizio sostanziale in capo alla configurazione delle stesse liste;
nella fattispecie, le suindicate liste sarebbero state presentate utilizzando una modulistica obsoleta, antecedente a quella in vigore dal 2009, anno a partire dal quale vige l'obbligo di inserimento della dichiarazione antimafia;
di fatto le liste PdL e Lega sono prive di dichiarazione antimafia dei candidati e pertanto suscettibili di estromissione ai sensi della citata circolare ministeriale;

la suindicata decisione della commissione elettorale non risulta all'interrogante essere stata legittimata da provvedimento speciale di natura ministeriale recante ragionevoli motivazioni della deroga della normativa vigente in materia di ammissione delle liste -:
se sia a conoscenza delle criticità evidenziate in premessa;
se la normativa vigente consenta una dilazione temporale della presentazione delle liste in casi come quello di cui in premessa.
(4-11667)

Risposta. - Con l'interrogazione in oggetto l'interrogante chiede informazioni circa la proroga di 48 ore che la Commissione elettorale circondariale di Torino ha concesso ad alcune liste di candidati alle ultime elezioni amministrative per la integrazione della relativa documentazione, priva della certificazione antimafia.
Al riguardo, si osserva che la Commissione elettorale circondariale, nominata dal presidente della Corte d'appello, è composta da due membri di designazione prefettizia e da tre di designazione del Consiglio provinciale. Ad essa compete l'esame della regolarità delle liste dei candidati per le elezioni comunali, in piena autonomia e senza vincolo di subordinazione gerarchica nei confronti del prefetto e del Ministero dell'interno.
Le decisioni della Commissione possono essere autonomamente impugnate in via giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo.
Nel caso specifico, i candidati di alcune liste non avevano inserito, nella rispettiva dichiarazione di accettazione della candidatura, l'esplicita dichiarazione di non trovarsi in alcuna delle condizioni di cui all'articolo 58 del decreto legislativo del 18 agosto 2000, n. 267.
Le sottocommissioni elettorali circondariali hanno ritenuto sanabile l'irregolarità sia perché la volontà di candidarsi era già stata espressa nei suoi elementi essenziali e con le modalità previste, sia per un principio generale di
favor nei confronti della partecipazione elettorale, che informa tutta la normativa.
Inoltre, la circostanza della omissione generalizzata ha ragionevolmente indotto la Commissione a ritenere che si trattasse, con ogni probabilità, di un errore scusabile, dovuto all'utilizzo di una modulistica non aggiornata.
Sulla base di tali considerazioni, la Commissione ha concesso alle due liste una proroga di 48 ore al fine di integrare la documentazione relativa alla presentazione delle liste, ai sensi dell'articolo 33 del decreto del Presidente della Repubblica n. 570 del 1960.
Il provvedimento di proroga non può, dunque, imputarsi al mero arbitrio della commissione elettorale, ma piuttosto all'esercizio di una facoltà ad essa riconosciuta dalla legge, facoltà di cui, peraltro, la stessa commissione risulta si sia avvalsa con riferimento alle liste presentate da diverse forze politiche.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

DI PIETRO e PALAGIANO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il 4 marzo 2011 la sezione penale del tribunale di Nola ha condannato in primo grado a 4 anni di reclusione il dottor Angelo Antonio Romano, sindaco del comune di Brusciano;
lo stesso tribunale, con la medesima sentenza, ha condannato a 3 anni di reclusione Salvatore Papaccio, consigliere di maggioranza dello stesso comune napoletano;
per entrambi, la sentenza prevede, tra l'altro, l'interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni;
i due uomini sono stati accusati - e, quindi ritenuti colpevoli - di aver più volte chiesto, nel 2004, una tangente di 500 mila euro ad un noto imprenditore del luogo, per concedergli una licenza edilizia che gli avrebbe consentito di costruire circa 70 appartamenti in una lottizzazione a Brusciano. Il costruttore, però, decise di

non sottostare ai ricatti dei due politici e denunciò tutto ai carabinieri;
a due mesi da tale severa sentenza, il dottor Angelo Antonio Romano, ricopre ancora l'incarico di primo cittadino del comune di Brusciano;
anzi, a pochi giorni di distanza dalla condanna del Tribunale di Nola, esattamente l'11 marzo 2011, lo stesso sindaco ha convocato un consiglio comunale per discutere di materie urbanistiche, quali la recente approvazione del piano regionale casa, che consente nuovi volumi da edificare e cambi di destinazione produttiva, e, il 5 maggio scorso, è stato persino approvato un atto importantissimo come il bilancio comunale;
non bisogna dimenticare che in provincia di Napoli c'è il record di comuni sciolti per infiltrazione camorristica (più di 70, sino ad oggi) e lo stesso comune di Brusciano fu sciolto nel febbraio del 2006 con decreto dell'allora Ministro dell'interno Pisanu -:
se sia a conoscenza dei fatti suesposti e se - considerando la mancanza di uno spontaneo atto di responsabilità, quale le dimissioni, da parte del sindaco di Brusciano - non intenda, la Prefettura di Napoli prendere al più presto dei seri provvedimenti, come la rimozione del sindaco ai sensi dell'articolo 142 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e il contestuale scioglimento dello stesso comune, al fine di tutelare i cittadini da un sistema politico nel quale è sempre più spesso difficile individuare il confine tra legalità ed illegalità.
(4-11962)

Risposta. - Con l'interrogazione in oggetto, l'interrogante chiede di conoscere quali siano i provvedimenti che la prefettura di Napoli intenda adottare nei confronti del sindaco di Brusciano, condannato in primo grado dal tribunale di Nola alla pena di quattro anni di reclusione e di un consigliere comunale condannato, con la medesima sentenza, a tre anni di reclusione.
Al riguardo si fa presente che la condanna riportata dai citati amministratori comunali non integra alcuna delle condizioni di sospensione di diritto dalla carica di cui all'articolo 59 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, in quanto, nel caso in esame, la condanna è stata pronunciata per tentata concussione e, trattandosi di una fattispecie di delitto tentato, non rientra nella suddetta previsione normativa.
La Corte di cassazione - con la sentenza n. 1990 del 2003 - ha, infatti, chiarito che il tentativo di concussione, in quanto reato autonomo, non può essere assimilato al corrispondente delitto consumato, sola causa di sospensione dell'eletto prevista dall'articolo 59 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.
Il giudice di legittimità ha specificato, in particolare, che la sospensione automatica dalle cariche elettive conseguente alla commissione di delitti da parte di pubblici ufficiali, non può essere disposta dall'autorità competente quando l'eletto sia risultato autore di un delitto tentato in quanto - alla luce del quadro normativo vigente, che ha svincolato l'istituto della sospensione dalla carica elettiva dalle ipotesi delittuose residuali stabilite dall'articolo 15, lettera
c) della legge n. 55 del 1990 - tale tipo di illecito penale rileva, ormai, soltanto ai fini della decadenza dell'eletto e non già anche ai fini della sospensione cautelare dalla carica elettiva.
Similmente, non costituisce causa impeditiva delle funzioni sindacali la condanna alla pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici, parimenti disposta dal collegio giudicante, in quanto tale pena accessoria non è, allo stato, applicabile poiché la sentenza non è ancora definitiva.
Né è applicabile ai citati amministratori la fattispecie prevista dall'articolo 59, comma 1, lettera
b) del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, che riguarda la sospensione di diritto conseguente a una condanna a una pena superiore a 2 anni, in quanto la sentenza in argomento non è stata ancora confermata in appello.
Pertanto, sulla base della normativa vigente, nei confronti del sindaco di Brusciano e del consigliere comunale non possono

ritenersi verificati i presupposti dell'interdizione temporanea dalla carica elettiva.
La situazione locale viene seguita con costante attenzione dalla prefettura per acquisire tutti gli elementi che potranno essere valutati per ogni eventuale iniziativa di competenza.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

DI PIETRO e PALAGIANO. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
l'8 febbraio 2011 la petroliera Savina Caylyn, battente bandiera italiana, è stata sequestrata da pirati somali a 880 miglia dalle coste della Somalia e a 500 miglia dall'India con a bordo ventidue uomini di equipaggio, 17 dei quali indiani e 5 italiani;
i cinque italiani sequestrati sono: il terzo ufficiale di coperta Crescenzo Guardascione, 40 anni di Procida, il comandante Lubrano Lavadera, anch'egli procidano; il direttore di macchina Antonio Verrecchia, 62 anni, di Gaeta; l'allievo di coperta Gianmaria Cesaro, sorrentino, del 1985 e il triestino Eugenio Bon, 30 anni, primo ufficiale di coperta;
il 9 giugno 2011 i sequestratori somali - molti dei quali poco più che quindicenni - hanno fatto recapitare ai familiari delle vittime alcune foto che ritraggono i marinai italiani della petroliera Savina Caylyn tenuti sotto tiro dalle mitragliatrici Rpg dei sequestratori;
i pirati della Savina Caylyn hanno fatto sapere a più riprese che non rilasceranno né la nave né l'equipaggio se non saranno pagati 14 milioni di dollari;
la Somalia è una delle nazioni più disastrate del pianeta, in continua emergenza umanitaria e civile, oltre che in un perenne stato di carestia, siccità e malattie. Il territorio somalo, inoltre, è tuttora privo di un governo e resta sotto il controllo dei miliziani di Al-Shabaab. È facile comprendere per quale motivo le prigioni somale siano considerate tra le peggiori al mondo;
molti sono stati gli appelli dei familiari delle vittime in questi, ormai, quasi otto mesi di prigionia e molte le manifestazioni di solidarietà. Le più toccanti si sono tenute proprio a Procida - 13 e il 20 agosto 2011 -, dove Vincenzo Capezzuto, primo cittadino procidano, dopo l'incontro coi familiari dei marinai, ha indetto una manifestazione «tesa a sensibilizzare il più possibile il Governo e la Farnesina affinché questa dolorosa vicenda finisca e i nostri concittadini ritornino a casa»;
il 5 settembre 2011, a Piano di Sorrento, si è svolta una fiaccolata di solidarietà alla famiglia Cesaro, alla quale hanno partecipato migliaia di cittadini, compreso il primo cittadino Giovanni Ruggiero;
il 25 agosto 2011, il Ministero degli affari esteri in un comunicato ha fatto sapere che «il Governo italiano non può contemplare la possibilità di una trattativa diretta con i pirati e tanto meno di pagare riscatti per la liberazione degli ostaggi, lo vieta la legge - a cominciare da quella riflessa nelle risoluzioni Onu - che esclude qualsiasi forma di favoreggiamento delle attività di pirateria da parte degli Stati»;
il 7 settembre 2011 è stata organizzata a Roma, in piazza Montecitorio, dal coordinamento spontaneo di cittadini «Liberi Subito», una manifestazione nazionale di protesta alla quale hanno partecipato migliaia di persone provenienti da Procida, Piano di Sorrento, Gaeta e Trieste per chiedere l'intervento dello Stato per l'immediata liberazione dei marittimi prigionieri in Somalia;
gli ultimi contatti telefonici con i rapiti risalgono alla seconda settimana di settembre. Dalle telefonate è emersa una condizione drammatica e preoccupante: legati, picchiati a sangue, senza più acqua, logorati dalla stanchezza, angustiati dall'isolamento che li travaglia da oltre sette mesi;

il 26 settembre 2011, il Ministro interrogato ha dichiarato: «in passato siamo riusciti a liberare altre navi con la tecnica della pazienza e del lavoro sotterraneo... L'intelligence è mobilitata e siamo in contatto con le autorità del Puntland»;
un paio di mesi fa, dopo che la società armatrice Fratelli D'Amato - proprietario della Savina Caylyn -, per tramite del suo intermediario inglese, ha offerto una cifra per il riscatto ai sequestratori molto più bassa della loro richiesta (7,5 milioni di dollari), la trattativa si è interrotta;
la situazione sembra, quindi, impantanata e le condizioni delle detenzioni, stando appunto alle ultime telefonate ricevute dai familiari, peggiorano di giorno in giorno. Il rischio per la salute e per la vita dei nostri connazionali appare molto alto;
non va dimenticato che nelle mani dei pirati somali ci sono al momento 11 italiani, cinque a bordo della Savina Caylyn e sei a bordo della motonave Rosalia D'Amato, un'altra nave sequestrata il 21 aprile 2011;
complessivamente i pirati somali trattengono, allo stato attuale, 89 navi. L'anno scorso si calcola che abbiano incassato 80 milioni di dollari -:
di quali ulteriori informazioni disponga il Governo in merito alle condizioni dei cittadini italiani sequestrati dai pirati somali sulle navi Savina Caylyn e Rosalia D'Amato;
quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per la soluzione della delicata vicenda, per la salvaguardia della salute e della vita degli ostaggi e per l'immediata liberazione degli stessi.
(4-13413)

Risposta. - La sorte degli ostaggi della Savina Caylin e della Rosalia D'Amato costituisce una preoccupazione costante del Governo italiano sin dalle prime ore dei due sequestri. Abbiamo subito avviato un'azione ad amplissimo raggio per restituire gli 11 italiani e 32 stranieri a bordo delle due navi alle loro famiglie.
La primaria preoccupazione del Governo è sempre stata quella di evitare di mettere a repentaglio la loro vita. L'azione di forza per liberare gli ostaggi è stata peraltro esclusa, con il consenso delle famiglie, perché rischierebbe di avere un costo in vite umane insostenibile.
Il Governo ha quindi da subito sviluppato un'azione diplomatica e d'
intelligence ad amplissimo raggio che ha dovuto tenere conto sia del complesso quadro internazionale che dell'ampiezza del fenomeno della pirateria. È opportuno ricordare come allo stato attuale vi siano 89 navi nelle mani dei pirati e che il fenomeno ha fruttato loro nel 2010 oltre 80 milioni di dollari. Com'è noto l'ONU ha adottato una risoluzione che obbliga i suoi Stati membri - senza esclusioni - a non alimentare con il pagamento di riscatti questa grave forma di crimine internazionale.
Si sono pertanto svolte in luglio su incarico del Ministro degli affari esteri le missioni dell'onorevole Boniver (suo inviato speciale per le emergenze umanitarie) in Tanzania ed a Gibuti e quella in Somalia del Sottosegretario Mantica, che ha incontrato sia il Presidente Sheikh Sharif Sheikh Ahmed che quello del Puntland. Facendo anche leva sul forte impegno italiano contro la carestia nel Corno d'Africa e per la stabilizzazione della Somalia, le più alte cariche dei Paesi della regione sono state sollecitate nel corso di queste missioni ad attivare tutti i canali possibili per favorire la liberazione degli ostaggi e ad evitare iniziative che possano mettere in pericolo la loro sicurezza.
A fine settembre 2011 il Ministro Frattini ha ulteriormente alzato il livello della nostra azione promuovendo presso le Nazioni unite a New York una riunione sulla Somalia, dove sono state decise delle importanti azioni contro la pirateria.
Particolarmente significativo inoltre l'incontro che il Ministro Frattini ha avuto, sempre a New York, con il Premier somalo il quale ha assicurato che favorirà l'apertura di un canale di dialogo con i rapitori e non risparmierà alcuno sforzo per ottenere

la liberazione degli ostaggi. Il Premier ha anche tenuto ad inviare un messaggio alle famiglie degli ostaggi ribadendo che la loro liberazione viene considerata un obiettivo della massima importanza.
Ed è proprio partendo da quest'importante impegno del Primo Ministro somalo che il Governo sta continuando a sviluppare la sua energica azione diplomatica e d'
intelligence. Un'azione che il Governo continuerà ad esercitare con la necessaria discrezione, sempre nell'interesse dell'incolumità dei marittimi sequestrati ed in vista di una loro pronta liberazione.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Enzo Scotti.

DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
è stato costituito il Comitato per la tutela dei diritti dei dipendenti civili e militari della difesa presso EuroItalia diritti nell'ambito della Federazione sindacale CONFEDIRSTAT;
lo scopo dei Comitato è principalmente quello di adoperarsi per la salvaguardia dei diritti e degli interessi dei dipendenti civili e militari della Difesa in situazione di disagio, vessazione, sopruso, prevaricazione, mobbing e/o ingiustizia di qualsivoglia natura;
il Comitato afferma che l'attuale struttura del Ministero della difesa non consente una gestione trasparente e democratica nello stesso Ministero, ivi compresa la gestione del personale sia militare che civile;
il Comitato denuncia, altresì, abusi, frodi, ingiustizie nei confronti dei dipendenti civili e militari della Difesa coinvolti in procedure non chiare e trasparenti e si prefigge di combattere la mancanza di democrazia e la faciloneria con cui agiscono le istituzioni -:
se il Governo sia a conoscenza di tale Comitato e se non ritenga di dover esaminare le denunce e le problematiche che evidenzia ed avviare eventualmente una collaborazione al fine di tutelare nel miglior modo possibile i diritti di dipendenti civili e militari della difesa.
(4-12415)

Risposta. - A premessa della risposta evidenzio che il Comitato per la tutela dei diritti dei dipendenti civili e militari della Difesa è un organo di un ente denominato Euroitalia-associazione utenti della pubblica amministrazione, avente natura associativa, che opera nell'ambito di una confederazione sindacale che accomuna diverse sigle rappresentative del personale direttivo e dirigente dei diversi settori del pubblico impiego (Confedirstat).
Ciò premesso, il carattere dei fenomeni denunciati, di cui al momento non si ha alcuna contezza, è estremamente generico.
Peraltro, la Difesa, nell'esercizio delle proprie competenze, procede a valutare con rigore ogni comportamento qualificabile come illecito, del quale si abbia notizia in modo circostanziato, anche attraverso iniziative legittimamente assunte da organizzazioni sindacali come il predetto comitato che, tuttavia, si ritiene non abbia alcun titolo per assurgere ad interlocutore privilegiato dell'amministrazione militare.
Per quanto riguarda, invece, l'analisi delle questioni afferenti il personale militare, ricordo che le organizzazioni sindacali non possono rappresentare, in alcun modo, gli interessi del personale militare.
Infatti, al militare è fatto divieto di «...partecipare a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni, anche sindacali... nonché di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, sindacati...», come previsto dall'articolo 1483, comma 2, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, recante il Codice dell'Ordinamento militare.
Per completezza d'informazione rappresento, infine, che ai sensi della legge n. 183 del 2010 è stato costituito presso il Ministero della difesa, con decreto del Segretario generale datato 29 luglio 2011, il «Comitato Unico di Garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni» che, nell'espletare compiti propositivi, consultivi e di verifica,

costituirà un referente istituzionale per l'Amministrazione difesa nella rappresentazione delle problematiche di interesse.
Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
un articolo pubblicato da peacereporter.it riporta le dichiarazioni di uno storico giornalista investigativo americano Gareth Porter, in passato corrispondente durante la guerra in Vietnam e ora da anni all'agenzia Inter Press Service (Ips);
nell'articolo emerge che grazie a documenti militari declassificati, documenti della task force 435, di cui è entrato in possesso, il giornalista afferma che «allo scopo di far credere all'opinione pubblica mondiale che la strategia militare americana in Afganistan è efficace e vincente, il generale David Petraeus e i comandi Usa hanno deliberatamente mentito alla stampa, lasciando credere che i contestati blitz notturni delle forze speciali abbiano portato alla cattura di migliaia di talebani, quando invece oltre il 90 per cento dei detenuti sono civili innocenti»;
dei 4.100 talebani che il generale Petraeus ha dichiarato catturati nella seconda metà del 2010, risulta che 3.410 di questi erano stati rilasciati pochi giorni dopo la cattura in quanto civili, e altri 345 erano stati successivamente scarcerati dalla prigione militare di Bagram per mancanza di qualsiasi prova di «militanza» a loro carico;
l'articolo pone altresì una questione importante e che tocca e coinvolge tutta l'opinione pubblica, ovvero come realmente siano stati trattati tutti i civili innocenti arbitrariamente sottoposti a settimane di prigionia e duri interrogatori e quanti dei talebani uccisi nei raid delle forze speciali siano in realtà completamente estranei alle guerriglie -:
se il Governo sia a conoscenza di tali informazioni e se abbia notizie approfondite sulle migliaia di raid notturni ad opera delle forze Isaf, nei quali, a detta dello stesso generale Petraeus, per oltre il 90 per cento vittime sono civili innocenti.
(4-12523)

Risposta. - Premetto, in primo luogo, che l'interrogazione in esame pur riferendosi ad eventi accaduti in Afghanistan, dove è in corso una missione internazionale della NATO nel cui ambito opera un contingente delle nostre Forze Armate, pone quesiti riguardanti presunti eventi verificatisi nell'ambito di operazioni condotte da forze di un altro paese, operanti sotto comando e controllo nazionale, in zone al di fuori dell'area di responsabilità del comandante italiano e che non vedono in nessun modo il coinvolgimento di nostri militari.
Per tale motivo, il Dicastero non è in possesso dei necessari elementi di informazione, atti a fornire riscontro a quanto richiesto.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
purtroppo aumentano le preoccupazioni di Contramianto e Altri Rischi Onlus sul numero dei tumori causati dall'amianto in Marina militare;
gli ultimi operai del Ministero della difesa deceduti hanno lavorato all'interno dell'arsenale di Taranto in officina e a bordo delle navi con mansioni diverse ma accomunati dalla medesima esposizione alle fibre cancerogene di amianto;
in Marina militare e nello stesso arsenale di Taranto Contramianto ha registrato 37 casi di mesotelioma, su di un totale di 71 tumori per amianto, complessivamente oltre 200 le patologie amianto correlate di cui si ha conoscenza. Si tratta di lavoratori ammalati per essere stati esposti all'amianto e per i quali in alcuni casi la procura di Taranto ha già condotto

e chiuso indagini accertando responsabilità e violazioni;
Contramianto ha ricostruito decine di storie lavorative delle vittime dell'amianto in Marina militare, acquisendo atti e documentazione che raccontano quello che accadeva nelle officine dell'arsenale di Taranto e nelle lavorazioni svolte a bordo del naviglio militare a diretto contatto con la mortale fibra cancerogena di cui nessuno parlava e sapeva;
nel 1968 la Marina militare commissionò una indagine epidemiologica all'Istituto di medicina del lavoro dell'università di Bari sui lavoratori del Ministero della difesa impiegati presso l'arsenale di Taranto nel quale si rilevò sicuramente la presenza di neoplasie polmonari in molti lavoratori esposti ad amianto. Non vi fu mai, però, informazione sui rischi dell'esposizione ad amianto a bordo nave e negli arsenali e stabilimenti della Marina militare sia da parte del Capo di Stato Maggiore della difesa del periodo e dei responsabili gerarchicamente dipendenti sia dell'ispettorato di sanità della Marina militare. Ancor prima nel 1950 il problema della pericolosità dell'amianto per la salute dei militari era già noto e studiato dalle strutture sanitarie della Marina militare ed in ambito Nato l'esposizione all'amianto fu oggetto di apposito studio pubblicato dalla US Navy nel 1961 sui rischi lavorativi alla salute legati all'esposizione all'amianto nella Marina militare;
secondo i dati nazionali che emergono 731 sono i morti di amianto tra personale civile e militare che la stessa Marina militare ritiene parziali e sottostimati, di questi 370 sono i casi di mesotelioma in militari della Marina su un totale di 530 casi di patologie asbesto-correlate -:
se sia vero che i lavoratori abbiano svolto il proprio dovere completamente ignari dei rischi a cui erano esposti;
se il Governo intenda dare tutte le informazioni in suo possesso sulla presenza e sui pericoli dell'amianto in Marina militare e sulle adeguate precauzioni adottate finora per la tutela di tutti militari ed operai che lavorano negli arsenali della Marina militare.
(4-12610)

Risposta. - Il mesotelioma, una delle più gravi patologie asbesto-correlate, impiega un periodo che oscilla tra i 15 e i 35 anni per sviluppare una massa tumorale di entità tale da consentirne l'individuazione.
Considerato, dunque, che l'amianto è stato utilizzato in diversi settori dell'industria - compresa la cantieristica navale civile e militare - almeno fino alla metà degli anni ottanta, i casi di neoformazioni ad oggi registrati sono riconducibili al periodo antecedente la conoscenza della pericolosità di tale minerale, il cui utilizzo è stato vietato solo con la legge n. 257 del 1992, dopo esserne stata accertata la nocività per la salute dell'uomo.
Prima di quella data, il suo impiego era addirittura prescritto obbligatoriamente, anche da varie convenzioni internazionali, come le Ilo (
International Labour Organization), in materia di tutela dei lavoratori e la Solas 74 (Safety Of Life At Sea), in materia di sicurezza della navigazione, le quali prevedevano l'utilizzo dell'amianto per i vestiti degli operatori delle squadre antincendio o per la coibentazione dei quadri elettrici.
Dopo l'entrata in vigore della citata legge, la Marina Militare - che aveva, comunque, intrapreso azioni per il contenimento dell'utilizzo del minerale in questione già quando, nel 1986, l'allora Ministero della Sanità emanò la prima circolare che vietava l'utilizzo dell'amianto nelle scuole e negli ospedali - non ha più impiegato materiali contenenti amianto.
Quelli tutt'ora a bordo delle unità navali sono opportunamente mappati e incapsulati/confinati in modo che non si disperdano nell'ambiente fibre nocive per l'uomo e vengono rimossi in relazione alle tempistiche tecniche e alle disponibilità di bilancio.
Ciascuna unità navale è dotata, inoltre, di una mappatura amianto effettuata dal Registro italiano navale e sono state impartite disposizioni sulle procedure da adottare in caso di avarie eccezionali in mare.


In merito all'indagine epidemiologica del 1968 - cui è fatto cenno nell'atto in esame - l'interrogante si riferisce, probabilmente, ad una convenzione stipulata nel 1970 tra Marinarsen Taranto e l'università degli Studi di Bari, non direttamente collegata allo studio di eventuali patologie asbesto-correlate, prevedendo un'analisi generale di tutte le lavorazioni nocive effettuate presso l'arsenale (silice, amianto, carbone, ferro, eccetera) e, sebbene fossero stati individuati casi di neoplasie polmonari, questi non furono ricondotti assolutamente all'esposizione all'amianto.
Con specifico riferimento all'aspetto conoscitivo, da parte dei lavoratori, circa i «rischi a cui erano esposti», faccio presente che già nel 1970 l'arsenale di Taranto prescriveva, in materia di lavorazioni pericolose, l'informazione del personale, l'effettuazione di mirate analisi cliniche e la distribuzione di dispositivi di protezione individuale, sebbene non fosse stato ancora ben individuato un rischio «amianto».
Successivamente, dal 1986 - come già precisato - la Marina Militare impartì ordini per la cessazione dell'utilizzo dell'amianto blu (quello con maggiore potere cancerogeno), cui seguirono, poi, ulteriori disposizioni.
In ogni caso, è stata sempre rispettata la normativa vigente in materia, con l'adozione di tutte le precauzioni previste per i lavoratori eventualmente esposti.
A tutela, inoltre, della salute del personale civile e militare, tutte le attività di bonifica vengono effettuate, unicamente, a cura di ditte specializzate per lo smaltimento di amianto/rifiuti pericolosi.
Relativamente ai casi di mesotelioma riscontrati, premesso che sono tutti riferibili a periodi di esposizione antecedenti la messa al bando del minerale, è in atto una capillare opera di divulgazione e assistenza all'eventuale personale militare e civile che abbia contratto patologie asbesto-correlate, affinché venga riconosciuto il trattamento indennitario di «vittima del dovere».
Mi preme, tuttavia, sottolineare che la natura dell'indennizzo implica, esclusivamente, il riconoscimento del diritto all'applicazione dei benefici previsti dalla legge n. 266 del 2005 (articolo 1, comma 564), ma non il riconoscimento di eventuali responsabilità civili o penali in capo a personale militare o civile dell'amministrazione difesa; ad oggi, tra l'altro, non vi è stata alcuna sentenza che abbia accertato responsabilità a carico della Marina Militare o, più in generale, della difesa.
Vorrei ancora aggiungere, in conclusione, che se da un lato è indubbio che nel passato gli addetti ai lavori di manutenzione/approntamento delle unità navali abbiano lavorato, in linea con la normativa allora vigente, a contatto con l'amianto, è altrettanto vero, dall'altro, che una generica esposizione all'amianto non sia di per sé sufficiente a determinare effetti patologici: per valutare la gravità del rischio da esposizione all'amianto, occorre, infatti, analizzare ogni singolo caso, in relazione alla tipologia di mansione svolta e al tempo di presumibile esposizione.
A tal riguardo, l'Istituto nazionale per l'assistenza contro gli infortuni sul lavoro (Inail) ha elaborato un particolare programma - per la concessione dei benefìci previdenziali previsti dalla legge - che determina, per ciascun lavoratore, se lo stesso sia stato soggetto ad un rischio generico di esposizione, come, peraltro, tutta la popolazione che ha vissuto in contesti industrializzati, oppure ad uno specifico rischio.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
è in corso il progetto pilota «Dematerializzazione della documentazione cartacea presente nelle caserme della Difesa». Lo scopo è quello di liberare infrastrutture oggi destinate ad archivio - si parla finora di 32 mila metri quadrati, soprattutto in caserme situate in zone abitative - così da rendere gli spazi disponibili o valorizzabili in altro modo e da ridurre «in modo drastico» il personale utilizzato a questo scopo;

il progetto complessivo prevede di «de-materializzare» ben 97 chilometri di faldoni, con un netto atteso pari a 409,5 milioni di euro;
in primo luogo, si prevede il ritiro dei documenti dagli archivi e la loro raccolta in un unico sito, individuato nello stabilimento grafico militare di Gaeta, gestito dall'AID (Agenzie industrie difesa). Questa enorme mole di materiale verrà poi sottoposta ad un processo di cernita, con la digitalizzazione delle informazioni di interesse e la distruzione dei fascicoli non più rilevanti -:
se il Governo intenda esporre i dettagli del progetto sopra citato, esplicitando i costi, le modalità di riutilizzo delle infrastrutture che saranno liberate e nello specifico il piano di reimpiego del personale in eccedenza, che dovrebbe essere risolto con il riallocamento presso altre unità della Difesa.
(4-12612)

Risposta. - Il progetto di digitalizzazione degli archivi della Difesa è inserito nel quadro delle azioni proposte dall'Agenzia industrie difesa (Aid), finalizzate alla valorizzazione e all'efficientamento delle dipendenti unità produttive, allo scopo di raggiungere l'obiettivo istituzionale del raggiungimento dell'economica gestione (affrancamento dal contributo dello Stato), condizione necessaria per il mantenimento in servizio delle strutture industriali affidate alla sua gestione e, quindi, per la conservazione dei posti di lavoro.
Tale operazione è in linea con il programma di Governo, ed è ritenuta di grande utilità per la Difesa in termini di efficienza del servizio di conservazione sostitutiva a norma reso all'utenza che potrà richiedere in futuro la documentazione di interesse, direttamente per via telematica.
L'operazione presenta il triplice vantaggio di:
assicurare il mantenimento del posto di lavoro alle 145 unità in servizio presso lo stabilimento grafico militare di Gaeta, area caratterizzata da notevoli problemi di carattere occupazionale;
rendere disponibili, o altrimenti valorizzabili, in ossequio alle disposizioni di legge vigenti in materia, le infrastrutture attualmente utilizzate come archivio;
razionalizzare e modernizzare il settore documentale, sulla base delle disposizioni del decreto legislativo n. 235 del 2010, concernente il Codice dell'amministrazione digitale, ottenendo, altresì, prevedibili risparmi in termini di costo/efficacia nel medio-lungo termine.

Quanto sopra premesso, ho formalmente incaricato lo Stato Maggiore difesa (Smd) di intraprendere formali contatti con l'Aid, autore di uno studio preliminare di fattibilità relativo alla realizzazione di un Centro unico di conservazione sostitutiva (Cucs) presso lo stabilimento grafico militare di Gaeta, allo scopo di approfondire le tematiche di interesse e di valutarne la concreta applicazione in ambito militare, nonché le possibili sinergie di finanziamento nell'ambito del Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione (Cnipa), attivando un apposito programma di investimento.
Nel corso di tali approfondimenti, sono stati presi in esame gli archivi di nove Centri documentali dell'esercito (Cedoc), che conservano i fascicoli personali del personale militare di leva.
Preciso, al riguardo, che i Cedoc dell'Esercito sono, in totale, 25 e contengono circa 36.300.000 fascicoli del personale di leva (circa 220 chilometri di faldoni).
Lo studio (Smd-Aid) è stato concluso con la decisione di iniziare la fase operativa con un progetto pilota, riguardante:
la realizzazione del Cucs di Gaeta, in grado di dematerializzare tutti i fascicoli conservati nei Cedoc;
lo svuotamento del Cedoc di Roma, sito presso la Caserma Manara (circa 19 chilometri di faldoni), in relazione all'ampiezza del progetto globale.

Il progetto pilota, ormai pervenuto alla fase esecutiva, ha la durata di 36 mesi e comporta in onere di euro 8.300.000, comprensivo

dell'investimento «una tantum» per la realizzazione del Cucs pari a euro 4.480.000.
Al progetto pilota seguirà la fase di dematerializzazione degli altri otto Cedoc, visitati in via preventiva, ubicati nelle seguenti caserme:
«Ferrucci» di Firenze, «De Cristoforis» di Como, «Sirtori» di Caserta, «Santangelo Fulci» di Catania, «Garibaldi» di Palermo, «Piave» di Padova, «Goito-San Gaetano» di Brescia, «Pico» di Lecce, per un totale (compresa la predetta caserma «Manara» di Roma) di circa 100 chilometri di faldoni ed una valorizzazione degli immobili pari a circa 500 milioni di euro.
Per quanto riguarda il personale coinvolto nel progetto, assicuro l'attenzione dell'Amministrazione a tutela delle posizioni lavorative.
In ogni caso, segnalo che tutto il personale civile in servizio nello stabilimento di Gaeta trova utile impiego nel progetto di digitalizzazione degli archivi, che assicura il mantenimento in servizio della struttura a tempo indeterminato, mentre la permanenza nel settore della grafica avrebbe inesorabilmente portato alla sua chiusura.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
in un nuovo rapporto diffuso il 20 luglio scorso da Amnesty International si denuncia l'estensione dei crimini di guerra di cui sono vittime le bambine e i bambini in Somalia, tra cui il sistematico arruolamento di soldati di età inferiore a 15 anni da parte dei gruppi armati islamisti.
«Sulla linea del fuoco. Bambine e bambini sotto attacco in Somalia» rivela l'impatto complessivo del conflitto armato in corso nel Paese. Il rapporto di Amnesty International denuncia, oltre agli arruolamenti forzati, anche il diniego dell'accesso all'istruzione e le uccisioni e i ferimenti nel corso degli attacchi indiscriminati contro aree densamente popolate;
Michelle Kagari, vicedirettore per l'Africa di Amnesty International ha dichiarato che «Se sei un bambino in Somalia rischi la vita in ogni momento: puoi essere ucciso, reclutato e spedito al fronte, punito da al-Shabab perché ti hanno trovato mentre ascoltavi musica o indossavi "vestiti sbagliati", costretto ad arrangiarti da solo perché hai perso i genitori o puoi morire perché non hai accesso a cure mediche adeguate, sottolineando che "la crisi umanitaria che ha colpito le bambine e i bambini in Somalia è anche la conseguenza del fatto che negli ultimi due anni al Shabab ha impedito l'accesso agli aiuti«";
il rapporto analizza oltre 200 testimonianze di rifugiati somali, bambini e adulti, che si trovano attualmente in Kenya e a Gibuti. Molti hanno affermato di essere stati costretti a fuggire dalle regioni centromeridionali per evitare l'arruolamento da parte dei gruppi armati;
Il Governo federale di transizione della Somalia è a sua volta accusato dalle Nazioni Unite di aver reclutato, impiegato, ucciso e ferito i bambini nel conflitto armato. Sebbene si sia impegnato a rispettare i diritti dei minori, non ha ancora preso alcuna misura concreta per porre fine all'uso dei bambini nei ranghi delle forze che combattono dalla sua parte;
Al-Shabab, il principale gruppo armato che si oppone al Governo, ha imposto severe limitazioni al diritto all'istruzione, impedendo ad alcune alunne di frequentare la scuola, vietando l'insegnamento di alcune materie o usando le scuole per indottrinare i bambini e farli partecipare ai combattimenti. Al-Shabab sta ricorrendo sempre di più a metodi minacciosi per reclutare i bambini, offrendo loro telefonini o danaro o compiendo raid e rapimenti nelle scuole o in luoghi pubblici;
il rapporto evidenzia altresì come bambine e bambini sono stati vittime di frustate

e hanno assistito a violenze terrificanti, tra cui amputazioni, lapidazioni e uccisioni compiute in pubblico dai gruppi armati islamisti. I bambini hanno anche assistito all'uccisione e alla tortura di parenti e amici -:
se il Governo sia a conoscenza del contenuto del rapporto di Amnesty International e se non ritenga di dover farsi carico all'interno della comunità internazionale della richiesta di maggiori misure di protezione riguardanti il crescente numero di bambini somali separati dalle loro famiglie e accrescere il sostegno psicosociale e i programmi d'istruzione.
(4-12853)

Risposta. - La lotta al fenomeno del reclutamento dei bambini e la difesa dei loro diritti nelle situazioni di conflitto armato hanno ricevuto, negli ultimi anni, una crescente attenzione in ambito Nazioni unite e Unione europea, anche grazie al ruolo attivo dell'Italia.
Nell'ambito ONU, esiste fin dal 1996 un «Rappresentante speciale del Segretario generale per i bambini nei conflitti armati» e nel 2005 è stato istituito un gruppo di lavoro
ad hoc del Consiglio di Sicurezza, al quale l'Italia ha attivamente partecipato durante il suo ultimo biennio di presenza nel Consiglio (2007-8). Fra le iniziative italiane più recenti, si ricorda la firma degli «Impegni di Parigi» sottoscritti in occasione della Conferenza «Liberiamo i bambini dalla guerra», organizzata dalla Francia e dall'UNICEF nel febbraio 2007, sulla lotta contro il reclutamento e l'utilizzo dei bambini, e dei «Principi di Parigi» ove sono state decise delle linee guida volte ad individuare le migliori strategie di prevenzione e gestione del fenomeno. Una riunione a livello ministeriale sui seguiti degli impegni di Parigi, si è tenuta nel settembre del 2010, a margine dei lavori dell'Assemblea generale. Durante l'evento è stata annunciata l'adesione di 11 nuovi Paesi, che porta a 95 i Paesi firmatari di tali due documenti, e sono stati discussi i progressi realizzati nel settore, come, ad esempio, la liberazione di ventimila bambini e di cinquemila bambine dalle forze armate e il loro successivo reinserimento nelle società di appartenenza.
In occasione della Giornata universale del fanciullo nel 2008, l'Italia ha organizzato, insieme all'UNICEF ed al Segretariato, una serie di eventi dedicati al tema e si è realizzata la nascita del «
Network of chil-dren formerly affected by war».
All'atto della presentazione della propria candidatura al Consiglio dei Diritti Umani, il nostro Paese si è impegnato a favore della protezione dei diritti dei minori, soprattutto di quelli coinvolti nei conflitti armati, confermando il profilo attivo assunto su tale dossier, anche attraverso programmi di cooperazione specifici ed il finanziamento alle principali agenzie specializzate delle Nazioni unite, in particolare all'UNICEF.
Si è organizzata nel 2009 una mostra fotografica dal titolo «
Children of war: broken childhood» allestita dall'Ufficio del rappresentante speciale del Segretario - generale ONU per i bambini ed i conflitti armati, signora Coomaraswamy, ed esposta presso il Palazzo di vetro e successivamente in Campidoglio, in occasione della conferenza internazionale organizzata al riguardo a Roma.
Nel febbraio 2011 inoltre la nostra rappresentanza permanente presso le Nazioni unite ha organizzato, d'intesa con il dipartimento per le operazioni di
peacekeeping delle Nazioni unite, un incontro per presentare un nuovo progetto, finanziato dall'Italia, per la creazione di uno specifico modulo formativo uniforme per mediatori di pace attinente la protezione dei bambini coinvolti nei conflitti armati, destinato sia al personale militare sia a quello civile partecipante alle missioni internazionali.
L'Italia sostiene altresì la campagna lanciata nel maggio 2010 dal Rappresentante speciale dell'ONU per la ratifica universale entro il 2012 del protocollo facoltativo sul coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati.
In ambito comunitario sin dal 2003, su iniziativa dell'allora Presidenza italiana, il Consiglio Affari Generali ha adottato le «Linee guida dell'Unione in materia di bambini nei conflitti armati», che definiscono la strategia generale di contrasto al fenomeno.

Tali linee comprendono: il monitoraggio e la documentazione delle violazioni, abusi, reclutamento ed utilizzo dei bambini in guerra, assassinii e mutilazioni, attacchi contro scuole ed ospedali, ostruzione degli accessi umanitari, violenze sessuali e rapimenti di minori; le azioni all'interno degli organismi internazionali; le azioni in collaborazione con Stati terzi, in particolare attraverso il dialogo politico; la cooperazione multilaterale con il finanziamento di progetti per il disarmo, la smobilitazione, la reintegrazione e la riabilitazione; la gestione delle crisi e della ricostruzione con gli accordi di pace, i negoziati, la ricostruzione post-conflitto; la formazione alla protezione dei bambini.
Anche nell'ambito della cooperazione italiana si riconosce da tempo la tutela e la promozione dei diritti fondamentali dei bambini, degli adolescenti e dei giovani come obiettivo prioritario la cui testimonianza è la redazione di Linee guida sulle tematiche minorili già nel 1998. Tali Linee guida sono state successivamente riviste nel 2004 e una nuova versione, per la quale si è proceduto ad un'ampia consultazione con le ONG specializzate in materia, è in via di ultimazione. Esse individuano tra i settori prioritari d'intervento, tra l'altro, «la prevenzione e il contrasto di fenomeni aberranti quali la tratta dei bambini e delle bambine, gli stupri etnici, il commercio degli organi, la selezione prenatale del nascituro e l'infanticidio, l'utilizzo dei bambini-soldato» e «la protezione dei diritti umani e civili delle persone minori di età in situazioni di conflitto e post-conflitto, con particolare riguardo ai bambini soli, agli orfani, ai bambini reduci e portatori di
handicap, ai bambini appartenenti alle minoranze etniche e alle popolazioni sconfitte».
La priorità della tematica minorile e della tutela dei bambini nelle situazioni di conflitto e post-conflitto è riconosciuta altresì nelle Linee guida della cooperazione per il triennio 2011-2013, il documento di programmazione strategica della cooperazione italiana. In particolare, la tutela dei minori è considerata, in tale documento, una priorità trasversale - che riguarda tutte le iniziative di cooperazione - ed è specificamente prevista altresì la realizzazione di attività a tutela dei bambini e degli adolescenti soldato e vittime dei conflitti armati.
La cooperazione italiana promuove da tempo iniziative volte al recupero fisico-psichico e al reinserimento sociale dei minori ex combattenti e vittime dei conflitti, investendo settori quali la sanità, l'istruzione, l'educazione di base con metodologie di pedagogia speciale, il rientro assistito in famiglia e nelle comunità di appartenenza, la formazione professionale accompagnata da forme di sostegno psicologico per superare i traumi e sviluppare l'autostima al fine di un possibile reinserimento nella società ed un sistema di giustizia minorile volto al recupero dei minori soldato criminalizzati. Ad esse si aggiungono inoltre azioni volte a sensibilizzare le istituzioni e le popolazioni locali coinvolte nelle iniziative, nella convinzione che solo un approccio integrato - sia a livello operativo che livello istituzionale - possa assicurare la massima sostenibilità e il maggior impatto degli interventi.
La «Cooperazione italiana presta, inoltre, particolare attenzione all'opera di sensibilizzazione dell'opinione pubblica al fine di promuovere una maggiore coscienza ed un accresciuto sostegno e partecipazione all'azione italiana a favore dell'infanzia nel mondo. In tale ambito si cita a titolo esemplificativo la Conferenza internazionale sul tema «La cooperazione italiana e i bambini e giovani colpiti dai conflitti armati», realizzata il 23 giugno 2009 dal Ministero degli esteri insieme alla Rappresentanza d'Italia a New York, l'UNICEF e la ONG
Save the children international.
La conferenza, ospitata dal sindaco di Roma in Campidoglio, ha visto la partecipazione del Ministro degli esteri Frattini e del Rappresentante speciale del Segretario generale dell'ONU per i bambini nei conflitti armati, ed ha consentito di focalizzare le azioni volte a fronteggiare l'arruolamento dei bambini e rafforzare la volontà politica necessaria a contrastarlo.
Per quanto riguarda in particolare la Somalia, il Paese, e più in generale l'intera area

del Corno d'Africa, costituisce tradizionalmente una delle aree di intervento prioritario della Cooperazione italiana, come confermato anche dalle Linee guida 2011-2013. Gli interventi nel Paese, realizzati prevalentemente per il tramite delle più importanti Agenzie delle Nazioni Unite e con il concorso di varie ONG, hanno un carattere multisettoriale con un particolare focus sulla tutela delle comunità più vulnerabili, investendo settori quali la sicurezza alimentare, la sanità, l'accesso all'acqua, l'educazione, tutte tematiche che investono la protezione dei minori.
Particolare attenzione viene infine prestata alle popolazioni sfollate interne ed ai profughi somali presenti nei centri di accoglienza di Dadaab, in Kenya, attraverso iniziative volte non solo a migliorare le condizioni igienico-sanitarie ma anche e soprattutto a fornire educazione e formazione, al fine di favorire la scolarizzazione, la cui mancanza è ritenuta essere una delle cause principali che alimentano il fenomeno dell'arruolamento illegale dei bambini.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Enzo Scotti.

DI STANISLAO. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
tra le mani dei «signori della guerra» afgani passano i miliardi di dollari che l'Occidente riversa da 10 anni a questa parte del Paese per la cosiddetta ricostruzione. In realtà, secondo l'organizzazione Rawa (Associazione delle donne afgane rivoluzionarie), si tratta di vere e proprie mafie, quella gestita dalle organizzazioni non governative afgane e internazionali, paragonabile alla mafia del traffico di droga, con cui si arricchiscono anche i contingenti stranieri, e quella dei latifondi, che vede capi clan afferenti a uno dei gruppi di potere impadronirsi di ettari e ettari di terra per poi sfruttarli con speculazioni di edilizia privata;
tra il 40 e il 60 per cento dei fondi torna in tasca ai Paesi donatori, tra stipendi e profitto d'impresa. Un'altra percentuale è intascata dal Ministro a cui viene affidato il progetto di ricostruzione. Il tessuto istituzionale afgano, dalle sue più alte cariche giù fino all'ultimo dei dipendenti, è corrotto: l'Afghanistan è diventato dopo l'occupazione occidentale il secondo Paese corrotto al mondo dopo la Somalia;
in un contesto di insicurezza, ingiustizia, in assenza di democrazia, le donne continuano ad essere vittime. La questione della donna è una tematica politica che si inquadra all'interno del contesto generale afgano. Le donne sono state vittime dei crimini perpetrati in questi anni di guerra e continuano ad esserlo. Bambine di 12 anni, e anche più giovani, subiscono stupri, alcune volte anche di gruppo, da parte di uomini legati ai «signori della guerra» o a governatori di province e distretti, che per questo non incorreranno nella macchina giudiziaria, anch'essa corrotta e controllata. D'altra parte, negli ultimi anni il Governo Karzai ha varato leggi volte a colpire i diritti delle donne -:
quali siano le informazioni in possesso del Governo relative alla gestione delle risorse destinate alla ricostruzione in Afghanistan e sul monitoraggio dei livelli di corruzione a partire dalle più alte cariche istituzionali afgane.
(4-12945)

Risposta. - I meccanismi e le procedure volte a ridurre i rischi legati a fenomeni di corruzione, conflitti di interessi e moltiplicazione dei costi nella gestione dei programmi di sviluppo in Afghanistan - tra i quali si annoverano l'unità anticorruzione attiva presso la procura generale afgana, l'agenzia di audit nazionale e le «Special Inspector General for Afghanistan Reconstruction (SIGAR)» - operano per garantire trasparenza e correttezza amministrativa in un contesto particolarmente complesso.
Nell'affidare i fondi italiani in parte direttamente al Governo afgano in parte ad organismi internazionali, il nostro Paese vigila - anche con l'ausilio di tali meccanismi -

affinché tali finanziamenti siano effettivamente erogati per finalità di sviluppo.
In tal senso, sul canale multilaterale, l'Italia finanzia tutte quelle Agenzie internazionali presenti in Afghanistan che siano dotate di normativa anticorruzione nonché di stringenti procedure di controllo. Tale modalità di finanziamento prevede del resto una serie di «passaggi obbligati», tra cui anzitutto quello di definire congiuntamente con l'organismo le attività da condurre nonché quello di indirizzare i fondi italiani verso aree geografiche (nel caso afgano la regione ovest) e settori di intervento di interesse (per esempio perché ritenuti prioritari dall'amministrazione locale e dalla popolazione locale).
Trasparenza, efficienza amministrativa e efficacia dell'azione di sviluppo sono i princìpi che guidano poi le attività di monitoraggio, compiute sia analizzando i periodici rapporti di attività degli organismi internazionali, sia svolgendo visite
in loco, che talvolta includono anche personale italiano, quando questo è reso possibile dalle condizioni di sicurezza. Inoltre, vengono costantemente controllate le spese strutturali e di gestione in modo tale che rimangano contenute secondo un principio di efficienza e consentano l'utilizzo della maggior parte dei fondi (almeno il 70 per cento per progetti di piccolo importo e cifre percentuali superiori per progetti di maggiore rilevanza) per le attività di sviluppo vere e proprie.
Le procedure in vigore, forti anche dell'obbligo di pubblicità sui giornali afgani di massima tiratura e sui siti degli organismi internazionali coinvolti nell'esecuzione dei programmi, assicurano altresì la trasparenza nella selezione del personale addetto e nelle gare per l'acquisto di beni o servizi o per opere infrastrutturali.
Tali procedure sono peraltro disciplinate dalle modalità d'intervento (
procurement guidelines) delle agenzie internazionali, approvate a livello internazionale. Sono queste, dunque, le modalità che regolano i finanziamenti a programmi operati da organismi internazionali quali Agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati (UNHCR) (per il rientro dei rifugiati), Organizzazione internazionale per i migranti (IOM) (per gli sfollati e i migranti espulsi dall'Iran), UNOPS (per la messa in opera di strade), Organizzazione mondiale della sanità (OMS) (per la lotta alla tubercolosi), Croce rossa internazionale e Agenzia delle Nazioni unite per l'azione contro le mine (UNMAS) (per le attività di sminamento).
Nel caso dei finanziamenti specifici all'«
Afghanistan Reconstruction Trust Fund» (ARTF), che - come noto - costituisce il maggiore strumento di finanziamento del bilancio nazionale (accanto ai fondi propri del Governo) ed è gestito dalla Banca mondiale, spetta a tale istituzione finanziaria internazionale vigilare su tutti i pagamenti e realizzare le necessarie verifiche. L'Italia, che fa parte del Comitato dei donatori, monitora attraverso l'accesso a tutta la documentazione prodotta dalla banca e dal Governo afgano relativa alle diverse iniziative la corretta e trasparente gestione dei fondi erogati.
Infine, i contributi italiani affidati sul piano bilaterale al Governo afgano, per lo più erogati sulla base di accordi con il Ministero delle finanze, vengono concessi in linea con i princìpi di efficacia dell'aiuto allo sviluppo fissati a Roma (2003), Parigi (2005) ed Accra (2008) e seguono in gran parte le summenzionate procedure di controllo adottate dalla Banca mondiale e dalla Commissione europea.
Le rimanenti attività realizzate al di fuori del bilancio afgano sono quelle direttamente gestite dall'ambasciata d'Italia a Kabul e dall'ufficio locale di cooperazione (UTL), secondo la normativa italiana a garanzia della correttezza delle procedure di assegnazione e gestione dei fondi e della effettiva realizzazione delle iniziative.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Stefania Gabriella Anastasia Craxi.

DI STANISLAO. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
l'Afghanistan è il Paese in cui la mortalità legata alla maternità e le aspettative

di vita sono le peggiori del mondo. La relazione del 2011 sulla condizione delle madri nel mondo, pubblicata il 24 giugno dalla organizzazione non governativa Save the Children, afferma che ogni giorno in Afghanistan circa 50 donne muoiono di parto. Una donna su tre subisce violenze fisiche o sessuali e l'aspettativa media della vita femminile è di 44 anni. Inoltre, più dell'85 per cento delle donne afgane è analfabeta, mentre il 70 per cento delle ragazze in età scolare di fatto non frequenta la scuola per vari motivi: genitori con mentalità conservatrice, mancanza di sicurezza o paura per la propria vita. «Se consideriamo tutti questi fattori, l'Afghanistan è il luogo peggiore in cui essere madre» conclude questa relazione, che ha esaminato 164 Paesi;
anche i bambini afgani, insieme a quelli dell'Africa sub-sahariana, sono sottoposti al rischio di morte più elevato del mondo. Un bambino su cinque muore prima di raggiungere i cinque anni. Esiste anche una diffusa mancanza di consapevolezza all'interno delle comunità in merito alle cure e all'assistenza alla maternità, in particolare nelle zone rurali. Inoltre, nelle aree più remote del Paese mancano le strutture mediche e i mezzi di trasporto e di comunicazione;
l'Afghanistan è una terra montuosa e in alcuni luoghi ci vuole un giorno di viaggio a piedi, o in sella d'asino, per spostarsi da un luogo all'altro. Secondo Save the Children, solo il 14 per cento delle nascite riceve un'adeguata assistenza medica. Molte donne partoriscono a casa senza nessun aiuto oppure muoiono lungo la strada prima di raggiungere un centro medico -:
quali interventi il Governo abbia messo in atto e quali intenda adottare per tutelare la salute di donne e bambini in Afghanistan costretti ancora a vivere in condizioni pessime e a rischio della vita a dieci anni dalla presenza Isaf.
(4-12952)

Risposta. - L'azione della cooperazione italiana allo sviluppo in Afghanistan a tutela della salute delle donne e dei bambini vede nel settore socio-sanitario uno dei tradizionali ambiti del nostro intervento nel Paese. In questo settore, che include anche attività quali la lotta contro la violenza sulle donne, sono stati impegnati dal 2001 ad oggi 73,7 milioni di euro, di cui 68,7 già erogati.
Con tali fondi, l'Italia ha anzitutto realizzato un importante progetto finalizzato alla riabilitazione e alla riorganizzazione dell'ospedale Esteqlal di Kabul, dove sono stati rafforzati tutti i servizi, compresi quelli di pediatria e di ostetricia-ginecologia nonché al sostegno di tre cliniche specializzate. Inoltre, è stato costituito il primo - e per ora unico - «reparto ustionati» di Kabul, al quale accedono molte donne vittime di violenza.
Importante altresì l'azione che la cooperazione italiana ha svolto nel medesimo settore, a partire dal 2009, nella provincia di Herat a sostegno del Dipartimento provinciale di sanità pubblica e dell'ospedale regionale, contribuendo - oltre che alla riorganizzazione del blocco operatorio - alla creazione di un ospedale pediatrico, ancora in fase di sviluppo ma già operativo, visto che già adesso accoglie centinaia di bambini afgani. A ciò si aggiunga che per l'ospedale regionale e per il suo reparto pediatrico sono stati disegnati alcuni progetti di sviluppo che indicano le modalità di massima per l'organizzazione dei servizi. Tali progetti sono stati discussi con le Autorità locali e fatti propri dal dipartimento provinciale afgano che gestisce la struttura.
Ulteriori azioni a sostegno del settore socio-sanitario sono quelle tese a facilitare l'accesso ai centri ospedalieri: a tale fine si è infatti provveduto a rafforzare la collaborazione con la rete delle cliniche sul territorio, sostenute dall'Agenzia USA di cooperazione allo sviluppo (USAID), e si è dato avvio all'innovativo progetto per un servizio di ambulanze di Herat, attualmente in fase di creazione con il supporto del «
Provincial Reconstruction Team» italiano.
A seguito dell'avvenuta ratifica dell'Accordo intergovernativo tra il nostro Paese e l'Afghanistan,

comunicata da parte afgana l'8 agosto 2011, sarà possibile sbloccare finanziamenti per ulteriori 3 milioni di euro in favore del Ministero della Sanità Pubblica afgano. Si tratta per lo più di fondi finalizzati al miglioramento dei servizi socio-sanitari summenzionati, cui si affiancano finanziamenti d'emergenza grazie ai quali, a seguito della stipula di accordi in loco con ONG italiane (Gruppo volontari cristiani - GVC e Associazione italiana per la solidarietà fra i popoli - AISPO), sarà possibile mobilitare dall'Italia personale specializzato nel settore della formazione e del rafforzamento dell'organizzazione materna delle istituzioni locali.
L'azione italiana per la tutela della salute delle donne e dei bambini in Afghanistan non si limita però a soli interventi nel settore socio-sanitario. Iniziative sono, infatti, state intraprese anche nel settore socio-economico al fine di migliorare la mobilità e l'accessibilità rurale di questa fetta della popolazione nonché agevolarne l'inclusione sociale.
In tale ambito, la cooperazione italiana ha partecipato alla costruzione della strada di collegamento tra Kabul e Bamyan (per circa 136 chilometri, tra le zone remote ed isolate del Paese, ed ha sostenuto il «
National Rural Access Program», un progetto realizzato congiuntamente da Banca Mondiale e Governo afgano per la creazione di 10 mila chilometri di strade. È generalmente riconosciuto come tali interventi abbiano migliorato l'accesso ai servizi - compresi quelli sanitari - da parte di tutta la popolazione (incluse donne e bambini).
Questi importanti risultati nella tutela delle donne e dei bambini appaiono ancora più incoraggianti se confrontati con la situazione del 2001, anno della caduta del regime dei talebani, quando dagli scarsissimi servizi sanitari in Afghanistan erano escluse le donne e quando la mancanza di collegamenti nel Paese - complice la dispersione della popolazione afgana in piccoli villaggi rurali - impediva efficaci interventi di assistenza alla popolazione.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Stefania Gabriella Anastasia Craxi.

DI STANISLAO. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
l'Afghanistan secondo un recente rapporto del Dipartimento di Stato USA è una zona di transito e di destinazione per uomini, donne e bambini sottoposti a lavoro forzato e vittime della tratta sessuale;
la maggior parte sono state ragazze costrette al matrimonio prima di raggiungere l'età legale. Circa l'81 per cento si è sposato prima dei 18 anni, dei quali circa il 50 per cento sotto i 15 anni. Circa il 29 per cento è stato costretto a sposarsi dopo essere stata violentata, rapita, molestata o esposta alla violenza. Il rapporto ha identificato 1.889 casi di traffico di donne e bambini. Sia le Nazioni Unite sia le Organizzazioni non governative locali hanno riportato casi di abusi sessuali sui ragazzi dai membri della Afghan National Security Forces (CANSF);
le condizioni di vita negli orfanotrofi gestiti dal Governo sono estremamente povere e alcuni funzionari corrotti potrebbero avere abusato sessualmente di bambini costringendoli a prostituirsi;
il Governo afgano non ha fatto alcuno sforzo per indagare e fronteggiare tali crimini e proteggere donne e bambini dai pericoli del traffico umano;
raccomandazioni per l'Afghanistan sono aumentare le attività e i controlli di applicazione della legge contro il traffico di esseri umani, compreso perseguire sospetti trafficanti e condannare e imprigionare trafficanti per gli atti di traffico sessuale e lavoro forzato, inclusa schiavitù; assicurare che le vittime della tratta non vengano puniti per illeciti atti commessi come diretta conseguenza di essere vittime del traffico, come la prostituzione o adulterio; collaborare con le Organizzazioni non governative per garantire che tutti i bambini, compresi i ragazzi di età superiore ai 11 vittime di tratta sessuale ricevano tutta la protezione necessaria; rafforzare la capacità dell'unità anti-trafficking/smuggling, anche

aumentando il numero dei funzionari dedicata alla lotta contro la tratta, distinguendo tra il contrabbando e il traffico; avviare una serie di iniziative al fine di prevenire il traffico, come l'avvio di una campagna di sensibilizzazione per avvertire le popolazioni a rischio dei pericoli del problema -:
se il Governo sia a conoscenza delle informazioni citate in premessa e se stia collaborando, o intenda farlo, con le forze di polizia locale e le Organizzazioni non governative impegnate in Afghanistan al fine di tutelare in particolare tutti i bambini ed impedire che il fenomeno della tratta di esseri umani dilaghi ulteriormente con l'impegno di mettere in campo ogni iniziativa possibile per arrestarlo definitivamente.
(4-13175)

Risposta. - Il nostro Paese ha dimostrato, negli ultimi anni, un impegno sempre maggiore nella lotta al tragico fenomeno della tratta di esseri umani. Si consideri che, per la sua posizione geografica, l'Afghanistan è luogo di transito preferenziale per questo traffico illecito.
L'Italia ha ratificato i più recenti trattati internazionali che definiscono e disciplinano il fenomeno, quali: il protocollo addizionale alla Convenzione delle Nazioni unite contro la criminalità organizzata per prevenire, reprimere, e punire la tratta di persone, in particolare di donne e bambini (Protocollo di Palermo), firmato il 15 dicembre del 2000 e ratificato con legge n. 146 del 16 marzo 2006; la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani, firmata a Varsavia il 16 maggio 2005 e ratificata con la legge n. 108 del 2 luglio 2010.
La normativa italiana contro la tratta, e nella fattispecie la legge n. 228 dell'11 agosto 2003 «Misure contro la tratta di persone», è in linea con i dettami del Protocollo, e il paradigma assistenzialista italiano per la tutela delle vittime della tratta è considerato da più parti un modello da seguire.
Le nostre forze di polizia, e in particolare la Direzione Nazionale Antimafia, hanno intrapreso azioni efficaci per contrastare il fenomeno della tratta - che coinvolge anche i profughi afgani - nel nostro Paese. Durante un recente incontro tra il Sottosegretario all'interno Sonia Viale e il Ministro afgano per i rifugiati e i rimpatri Jamahrer Anwari, avvenuto a Roma il 13 settembre 2011, il sottosegretario Viale ha ricordato alcune delle numerose operazioni di polizia tra cui quella intrapresa dalla DIA in tutta Italia il 6 luglio 2011, che ha portato all'arresto di decine di persone, tra cui alcuni afgani.
Da parte italiana vi è dunque il massimo impegno per arginare il fenomeno della tratta al momento dell'arrivo delle vittime sul territorio italiano: non soltanto mediante l'arresto e la condanna dei responsabili, ma anche e soprattutto attraverso la tutela dei rifugiati, cui sono concessi i medesimi diritti dei cittadini italiani in materia di assistenza sanitaria e sociale, di accesso all'istruzione, al lavoro e all'alloggio.
A questo impegno sul fronte europeo si affianca, inoltre, quello intrapreso nello stesso Afghanistan a scopo preventivo. Nel medesimo incontro del 13 settembre 2011 sopra citato, l'Italia si è dichiarata favorevole a una possibile cooperazione per arginare il flusso irregolare che proviene dall'Afghanistan e per rafforzare la lotta alle organizzazioni criminali che sfruttano il traffico di migranti.
Vale sottolineare quindi come l'Italia sia da tempo impegnata in prima linea a fianco delle autorità afgane allo scopo di prevenire e combattere il fenomeno della tratta degli esseri umani. Il nostro contributo in tale settore si inquadra nella più generale azione di sostegno del processo di transizione in Afghanistan, iniziato nel luglio 2011 in sette aree del Paese, tra cui la città di Herat, che dovrà portare entro il 2014 al trasferimento agli afgani della piena responsabilità della gestione della sicurezza, della
governance e dello sviluppo. A tale proposito, l'Italia non sta lesinando sforzi nel settore chiave dell'addestramento delle forze di sicurezza afgane, che sono chiamate anche a combattere il fenomeno della tratta, nel quadro più generale della partecipazione

all'apposita missione NATO; un'attività questa che coinvolge le nostre Forze armate, l'Arma dei carabinieri e la Guardia di finanza, e che abbiamo deciso di rafforzare.
L'impegno italiano volto ad impedire il fenomeno della tratta di esseri umani si sviluppa inoltre in numerosi altri settori qualificanti, come la giustizia e lo stato di diritto, attraverso la creazione di una scuola di magistratura e la stesura di un codice di procedura penale; o ancora, nella realizzazione di moderne strutture detentive.
Abbiamo inoltre promosso iniziative nel settore della giustizia minorile, del rafforzamento del patrocinio gratuito, senza dimenticare l'assistenza prestata alle autorità afgane nella redazione del piano nazionale per la giustizia
(National justice program) e il sostegno assicurato all'ordine forense afgano e alle donne magistrato.
Inoltre, ben cosciente della necessità di intervenire a favore delle fasce deboli della popolazione (inclusi donne e bambini), la cooperazione italiana allo sviluppo sta realizzando complesse attività al centro delle quali si trovano le iniziative sanitarie e le attività per il miglioramento dell'accessibilità ai servizi di base: in un Paese dove, è bene ricordarlo, al momento della caduta del regime dei talebani, i servizi sanitari erano quasi inesistenti, e a donne e bambini era precluso l'uso di strutture, per la maggior parte chiuse o adibite alla cura di soli uomini. Un Paese in cui, a fronte di una superficie superiore al doppio dell'Italia, con condizioni caratterizzate da catene montuose e da deserti, sono presenti solo 50 mila chilometri di strade. Nel settore sanitario sono stati impegnati dal 2001 a oggi 73,7 milioni di euro di cui 68,7 sono stati erogati.
A seguito dell'avvenuta ratifica dell'accordo intergovernativo con il nostro Paese, comunicata da parte afgana lo scorso 8 agosto 2011, sarà inoltre possibile sbloccare finanziamenti per 3 milioni di euro al Ministero della sanità pubblica. Questi fondi saranno finalizzati al miglioramento dell'ospedale regionale di Herat e alla costruzione di un ospedale pediatrico, ancora in fase di sviluppo ma che già adesso accoglie centinaia di bambini afgani, oltre che al rafforzamento delle strutture dell'ospedale Esteqlal di Kabul.
Attraverso i fondi d'emergenza è stato possibile stipulare degli accordi
in loco con ONG italiane (Gruppo volontari cristiani - GVC e Associazione italiana per la solidarietà fra i popoli - AISPO) e quindi mobilitare personale specializzato dall'Italia da impiegare nel settore della formazione e del rafforzamento dell'organizzazione interna delle istituzioni sanitarie locali.
Tali interventi, seppure circoscritti rispetto alle grandi necessità del Paese, assumono grande rilevanza per la nostra cooperazione allo sviluppo sia in termini di impegno finanziario (circa 130 milioni di euro), che di risultati. È generalmente riconosciuto infatti come essi abbiano migliorato l'accesso ai servizi di base da parte della popolazione che ne era prima di fatto esclusa, con particolare riguardo ai minori.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Stefania Gabriella Anastasia Craxi.

DI VIZIA. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
per sopperire alla carenza di ufficiali medici militari odontoiatri, le Forze armate italiane hanno reclutato un certo numero di odontoiatri attraverso concorsi a nomina diretta;
gli ufficiali medici odontoiatri vincitori dei concorsi a nomina diretta vengono impiegati esattamente come i loro colleghi medici militari delle altre specialità, anche sui teatri operativi all'estero;
mentre gli ufficiali medici militari usciti dall'Accademia di sanità interforze (prima della sua soppressione, avvenuta nel 1997) o dalle Accademie delle singole Forze armate (dopo il 1997) sono immessi nel ruolo normale, i medici militari odontoiatri reclutati con concorso a nomina diretta sono relegati al ruolo speciale, che implica più limitate possibilità di sviluppo di carriera;

non esiste attualmente un meccanismo che gli odontoiatri militari possano utilizzare ad un dato momento della loro carriera per transitare dal ruolo speciale al ruolo normale -:
quali iniziative il Governo intenda assumere per valorizzare ulteriormente la professionalità degli ufficiali medici odontoiatri ed eventualmente prevedere per loro dei meccanismi ad hoc di transito dal ruolo speciale, cui essi attualmente appartengono, al ruolo normale.
(4-12780)

Risposta. - Il transito degli ufficiali dai ruoli speciali a quelli normali è disciplinato dall'articolo 831 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (codice dell'ordinamento militare) che ha interamente recepito la previgente normativa.
Tale disposizione generale, non prevedendo distinzioni di ruolo al fine della partecipazione ai concorsi per titoli ed esami per il transito nei ruoli normali, è applicabile anche agli ufficiali del ruolo speciale del corpo sanitario, qualora gli interessati siano in possesso delle lauree specialistiche e delle specializzazioni previste per i corrispondenti ruoli normali.
Chiarito questo aspetto, ritengo opportune alcune precisazioni.
La figura professionale dell'odontoiatra contempla un percorso formativo diverso da quello del medico: per esercitare le rispettive professioni, è previsto, infatti, che il medico debba conseguire la laurea in «Medicina e Chirurgia», frequentando un corso magistrale della durata di sei anni, mentre l'odontoiatra quella in «Odontoiatria e Protesi dentaria», che richiede un corso di cinque anni.
Faccio presente, nel merito, che le disposizioni riguardanti i corpi sanitari delle Forze armate consentono, come in ambito civile, di distinguere lo
status dei medici, che sono inseriti nel ruolo normale, da quello degli ufficiali in possesso dei restanti titoli di istruzione sanitaria che sono ricondotti, invece, nel ruolo speciale.
Il codice dell'ordinamento militare - sul quale è stato acquisito il formale nulla osta di merito da parte dell'allora Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali - ha suddiviso, in linea con le normative nazionali e comunitarie, la categoria del personale addetto alla sanità militare in personale medico (articoli 208-210) e personale non medico (articoli 211-213), coerentemente con quanto stabilito dal Ministero della salute, che ha distinto tra professioni mediche e non mediche o ausiliarie della prima, tra le quali quella di odontoiatri.
Peraltro, gli odontoiatri impiegati nelle Forze armate (fatta eccezione per l'arma dei carabinieri che, allo stato, si avvale di convenzioni esterne, ma, nel caso in cui dovessero essere arruolati, andrebbero a confluire nel ruolo tecnico logistico) appartengono ai ruoli speciali, in quanto la norma consente di bandire concorsi - cui gli interessati aderiscono volontariamente e in modo consapevole - proprio per reclutare professionalità tali da poter ricoprire particolari posizioni organiche, complementari alla principale funzione medica.
Il reclutamento degli odontoiatri nei ruoli speciali sanitari delle Forze armate risponde, quindi, ad una precisa previsione di legge, ai sensi dell'articolo 658 del codice dell'ordinamento militare, oltre a risultare coerente con le esigenze funzionali della difesa e rispondente all'opportunità di mantenere la distinzione tra personale medico e specialità ausiliarie della professione medica, anche in relazione alle capacità di assolvere alle
job description degli incarichi previsti per i ruoli normali.
Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

DI VIZIA. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
secondo indiscrezioni veicolate dalle loro famiglie, i militari italiani in servizio in Afghanistan ovvierebbero di propria iniziativa, con le loro risorse, ad alcune insufficienze del proprio equipaggiamento;
in particolare, sarebbero costretti a modificare in proprio i supporti della Browning installata sulla «ralla» dei VTML LINCE, onde

evitare l'entrata dell'arma in risonanza con il mezzo ed il suo conseguente inceppamento;
numerosi membri del contingente italiano, inoltre, opererebbero la manutenzione e la riparazione di armi, macchinari ed edifici servendosi di strumentazione acquistata in proprio, a causa dell'insufficienza delle dotazioni individuali e di reparto;
pur ricevendo con un anticipo medio di 15-20 giorni i bauli destinati a contenere i propri equipaggiamenti individuali, i soldati italiani otterrebbero il corrispondente contenuto dopo oltre un mese dal loro arrivo sul teatro d'operazioni, almeno nel caso del personale assegnato nelle basi situate nella Provincia di Farah;
i militari comunicherebbero con le famiglie ed in generale con la madrepatria grazie a collegamenti e strutture Wi-Fi allestite solo grazie alle loro esclusive capacità organizzative, raccogliendo le adesioni ed i fondi necessari prima di stipulare appositi contratti con i provider prescelti;
ai militari verrebbero inviati generi alimentari incongrui rispetto alla missione, inclusi spumanti di marca ed altre vettovaglie (come le aragoste descritte nel volume di Bob Woodward The Obama's War, pubblicato negli Stati Uniti lo scorso anno) -:
se le circostanze di cui in premessa rispondano al vero e quali misure il Governo intenda assumere per garantire ai militari del contingente impegnato in Afghanistan i migliori equipaggiamenti, vettovagliamenti congrui alla loro missione ed i servizi necessari a garantire la capacità di comunicare periodicamente con le rispettive famiglie.
(4-12997)

Risposta. - In premessa alle questioni sollevate con l'interrogazione in esame, si reputa necessario confermare, ancora una volta, che l'azione del Dicastero è costantemente diretta, attraverso una stretta sinergia tra gli organi dell'area tecnico-operativa e quelli dell'area tecnico-amministrativa, al tempestivo aggiornamento dei mezzi e degli equipaggiamenti impiegati in teatro, mediante lo studio e la realizzazione delle soluzioni tecniche più avanzate atte, in primis, a tutelare la sicurezza del personale, in termini di prevenzione e di contrasto delle minacce attualmente esistenti e di quelle ragionevolmente ipotizzabili e, in secondo luogo, ad operare nelle condizioni più adeguate possibili in contesti difficili come quelli dei teatri operativi.
Ciò premesso, in merito alle presunte iniziative personali dei militari italiani per ovviare ad alcune inefficienze del proprio equipaggiamento si richiamano opportunamente le indicazioni del competente organo tecnico operativo militare.
In merito alle modifiche effettuate in proprio sui «supporti della Browning sulla ralla dei VTML lince», si evidenzia che gli organi tecnici competenti hanno individuato la relativa soluzione tecnica, peraltro, di imminente attuazione.
Il nuovo supporto dell'arma, infatti è attualmente in fase di omologazione e sarà immesso in teatro presumibilmente nel corrente mese di ottobre 2011.
Relativamente alle presunte operazioni di «manutenzione e riparazione di armi, macchinari ed edifici» effettuate dal personale con strumentazioni acquistate in proprio, si rappresenta che non risultano lamentele da parte del personale o criticità per quanto concerne le dotazioni di Reparto, peraltro, ripianate in fase di approntamento dalle unità attualmente rischierate.
Per quanto riguarda i ritardi nella ricezione dei bauli inviati in teatro operativo, si premette che le disposizioni in vigore consentono ai militari contingentati di portare con sé un bagaglio individuale fino a 60 chilogrammi procapite, di cui possono disporre subito fin dal momento dell'immissione in teatro.
Tuttavia, in caso di necessità di trasporto di ulteriori effetti oltre il suddetto limite, è stata data la possibilità di imbarcare sui mezzi logistici
(container) anche alcuni bauli il cui contenuto è lasciato alle valutazioni dei singoli. Tali ulteriori colli

vengono inviati con nave con la seguente tempistica:
18 giorni per il trasporto dall'Italia agli Emirati Arabi;
5 giorni per il disbrigo delle pratiche doganali;
ulteriori 20 giorni circa per il ponte aereo dagli Emirati Arabi alla base dislocata in teatro.

Tali bagagli «extra», spediti con 30 giorni di anticipo rispetto alla data di immissione del personale in teatro operativo, sono pertanto consegnati ai militari mediamente 10 giorni circa dopo il loro arrivo in Afghanistan.
Eventuali ritardi potrebbero essere dipesi da particolari ed eccezionali situazioni.
Riguardo, invece, alle ipotizzate soluzioni attuate dai militari in teatro per ovviare all'inadeguatezza dei sistemi di comunicazione con le famiglie, si fa osservare che presso tutte le basi italiane presenti in territorio afgano, vi sono postazioni
internet gratuite (da 6 a 10) a disposizione del personale militare italiano per finalità private.
Inoltre è anche possibile acquistare il servizio di connessione ad
Internet sempre per esigenze personali, rivolgendosi a providers locali che assicurano il servizio, via cavo e/o wireless, sulla base delle specifiche richieste dell'utente.
Infine, in merito alla incongruità dei generi alimentari (spumanti di marca e vettovaglie) forniti al personale in Teatro operativo, si evidenzia che la fornitura delle derrate alimentari e la loro distribuzione presso le basi italiane in Afghanistan avviene sulla base del contratto e del relativo «Capitolato Tecnico per la fornitura di generi alimentari e bevande al Contingente italiano in Herat, Farah, Shindand».
In particolare nell'ambito di tale atto negoziale è prevista, tuttavia, la possibilità di approvvigionare i richiamati generi alimentari che, evidentemente, sono consumati in sporadiche occasioni.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

DONADI, PALADINI, PIFFARI e SCILIPOTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'Enpaia (ente nazionale di previdenza per gli addetti e per gli impiegati in Agricoltura), già ente di diritto pubblico ai sensi della legge n. 29 del 1962, è stato privatizzato in applicazione delle disposizioni di cui al decreto legislativo del 30 giugno 1994, n. 509;
tale privatizzazione l'ha trasformata in «Fondazione Enpaia», con personalità giuridica di diritto privato con le seguenti caratteristiche:
a) non avere scopo di lucro (articolo 2);
b) l'essere soggetta alla vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di quello dell'economia e delle finanze e degli altri ministeri rispettivamente competenti (articolo 3, comma 1), nonché della Corte dei conti (articolo 3, comma 5);
sono stati inoltre privatizzati anche altri gestori di forme di previdenza, alcuni dei quali - come l'Enpaia - possessori di patrimoni immobiliari: la Cassa nazionale di previdenza e assistenza geometri, la cassa nazionale del notariato, la cassa di previdenza e assistenza ragionieri e periti commerciali, l'Enasarco, l'Enpam, l'Enpaf, l'Inpgi;
l'Enpaia ed i suddetti enti sembrano agire come un cartello applicando tutti le stesse percentuali di aumento dei canoni di affitto negli immobili di loro proprietà. Detta percentuale oscilla, per i contratti in scadenza nel 2008, tra il 60 e l'80 per cento;
questi aumenti sono stati approvati del comune di Roma e da sigle sindacali che non risultano abbiano proceduto ad alcuna consultazione degli inquilini e che hanno tenuto all'oscuro i soggetti interessati;
detti aumenti incidono in maniera particolarmente gravosa sui rispettivi inquilini,

tra i quali rilevante è la percentuale di persone anziane, pensionati, famiglie monoreddito, disabili ed altre categorie disagiate;
nel caso dell'Enpaia si può anche adombrare l'ipotesi che con tali aumenti la dirigenza dell'ente voglia recuperare, a spese dell'inquilinato, le perdite di avventati investimenti passati, in particolare l'acquisto di obbligazioni della Lehman Brothers per un valore complessivo di 45 milioni di euro, per le quali, nel bilancio 2008 dell'ente si sono dovuti iscrivere 36 milioni di perdite -:
se il Ministro non ritenga, anche in considerazione della crisi economica in atto e delle difficoltà di reperire un alloggio a buon mercato nella città di Roma, di dovere prendere le dovute iniziative per fare sì che gli enti citati sospendano gli aumenti dei canoni d'affitto, ricontrattino l'adeguamento dei canoni direttamente con i rappresentanti dei comitati inquilini, tenendo conto anche della situazione delle categorie di inquilini più deboli;
se non ritenga di dovere intervenire per fare sì che la vendita degli immobili di proprietà di questi enti avvenga senza intermediari tenendo conto della percentuale di riduzione per gli alloggi occupati (meno 30 per cento) e delle categorie catastali, estendendo anche agli inquilini degli enti privatizzati le agevolazioni previste per l'acquisto da parte dei locatori dei beni immobili degli enti pubblici.
(4-06578)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame con cui si chiede quali siano le iniziative avviate per far fronte all'aumento dei canoni d'affitto degli immobili della fondazione Enpaia (Ente nazionale di previdenza per gli addetti e per gli impiegati in agricoltura), si rappresenta quanto segue.
In applicazione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 («Attuazione della delega conferita dall'articolo 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza»), l'Enpaia è stato privatizzato trasformandosi in fondazione con personalità giuridica di diritto privato. Ciò ha determinato la necessità, come previsto dal decreto sopra citato e sulla base di quanto contenuto nella determinazione assunta dalla Corte dei conti nell'adunanza plenaria del 26 settembre 1995, di «assicurare l'equilibrio di bilancio sia attraverso la leva contributiva, sia attraverso un'oculata gestione delle risorse». Nella stessa determinazione la Corte osservava che «le pur rilevanti finalità sociali che ispirano tali norme non possono essere messe a carico di organismi che, attraverso gli investimenti immobiliari, devono costituirsi le riserve tecniche indispensabili per assicurare il pieno soddisfacimento del diritto degli iscritti all'assistenza ed alla previdenza sociale, la cui tutela è garantita dall'articolo 38 della Costituzione».
Alla luce di ciò, la fondazione Enpaia sostiene di aver sempre contemperato dette esigenze con quelle degli inquilini stipulando contratti di locazione derivanti dall'applicazione degli Accordi sindacali previsti dalla legge 9 dicembre 1998, n. 431 («Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo») e sottoscritti nel 2000, nel 2004 e, di recente (1o febbraio 2010) con le organizzazioni sindacali degli inquilini maggiormente rappresentative a livello nazionale che avevano già sottoscritto gli accordi territoriali per il comune di Roma. Così si è provveduto a rinnovare con i conduttori circa 1100 contratti di locazione a canoni mediamente inferiori del 30 per cento ai canoni correnti di mercato. A decorrere da marzo 2010 si è provveduto ad inviare le convocazioni per il rinnovo dei contratti di locazione interessati, dando seguito anche all'invio delle seconde convocazioni agli inquilini impossibilitati a presentarsi alla data prevista nella prima convocazione nel rispetto della tempistica di cui alla legge n. 431 del 1998. Ad oggi sono stati rinnovati 240 contratti di locazione, di cui 83 sono riconosciuti quali «casi sociali» con l'applicazione delle ulteriori agevolazioni previste dall'ultimo accordo e

sono state scadenzate le rimanenti convocazioni per i prossimi mesi del 2011.
La fondazione sottolinea che le trattative fra gli enti e le organizzazioni sindacali vengono condotte prendendo a base i valori minimi e massimi per zona a metri quadrati/mese stabiliti dalle stesse Organizzazioni sindacali con il comune di Roma e sottoscritti negli Accordi locali per il territorio del comune di Roma.
La Fondazione peraltro si è attenuta alla procedura per l'attivazione del «canale agevolato» per i rinnovi dei contratti di locazione stabilita dalla legge n. 431 del 1998 attraverso la contrattazione esclusivamente con le «Organizzazioni degli inquilini maggiormente rappresentative a livello nazionale che abbiano precedentemente sottoscritto gli Accordi territoriali con il Comune di Roma».
Conclusivamente, si osserva che la fondazione n. 431 del 1998 cui, nell'
iter delle procedure adottate per la stipula e il rinnovo dei contratti di locazione, risulta essersi attenuta alle pertinenti disposizioni di legge (n. 431 del 1998).
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

DONADI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
nei giorni scorsi si è appreso da organi di stampa e dalla pubblicazione di intercettazioni di una telefonata tra Valter Lavitola, attualmente latitante in un Paese del Centramerica, e la segretaria del Ministro interrogato, avvenuta nel novembre 2009, allo scopo di favorire un incontro con il vice premier albanese Meta;
il Ministro ha sempre negato di aver favorito incontri istituzionali tra il Lavitola e il viceministro albanese ma un servizio della tv albanese Tch ha smentito questa versione dei fatti mostrando una foto dell'incontro del 21 ottobre 2009 in cui l'ex direttore dell'Avanti appare in compagnia del Ministro e del vice premier e omologo albanese, Ilir Meta;
il Ministro ha successivamente affermato l'incontro di cui alla foto citata si è svolto in occasioni diverse da quelle istituzionali, come se questo non fosse altrettanto significativo di contatti esistenti con un personaggio che a giudizio dell'interrogante, riveste un ruolo non chiaro nella politica del Governo e per ciò stesso a dir poco inquietante -:
quali siano i suoi reali rapporti con il direttore dell'Avanti;
a quali altri incontri il citato Lavitola abbia partecipato e in che veste;
per quale ragione il Ministro abbia negato i fatti smentiti grazie alla pubblicazione della foto.
(4-13689)

Risposta. - Come ribadito pubblicamente dalla Farnesina, il signor Lavitola non ha mai, in alcun caso o modo, partecipato a incontri istituzionali o riservati del Ministro degli affari esteri italiano, ivi compreso quello con il Vice Primo Ministro albanese Meta avvenuto il 21 ottobre 2009, né ha mai fatto parte di delegazioni ufficiali al seguito del titolare della Farnesina.
Ciò è confermato chiaramente anche dalle intercettazioni pubblicate a mezzo stampa, da cui si evince in maniera inequivocabile come la segreteria del Ministro degli affari esteri abbia chiaramente escluso la possibilità della presenza del signor Lavitola ai colloqui ufficiali con l'esponente del governo albanese.
Ha pertanto destato viva sorpresa il tentativo di voler forzatamente costruire una notizia intorno ad una fotografia pubblicata sul
web, da cui in nessun modo si può trarre la conclusione che vi sia stato un incontro istituzionale né tantomeno «riservato» tra il Ministro Frattini, il Vice Primo Ministro albanese Meta, ed il signor Lavitola. La fotografia nella quale compare il signor Lavitola è stata, infatti, scattata nella sala dove si è svolta la conferenza stampa dei due Ministri alla quale si erano accreditati giornalisti italiani, albanesi ed internazionali. Lo conferma la stessa immagine che ritrae il microfono posizionato al centro della sala proprio per la conferenza stampa.

Lo ha confermato altresì l'ex Ministro degli esteri albanese, Meta, in dichiarazioni pubbliche da lui rese dopo la distorta diffusione della notizia.
È evidente che il signor Lavitola, del quale all'epoca non vi era peraltro alcuna notizia circa indagini per presunte attività illecite, aveva pieno titolo ad essere presente alla conferenza stampa in qualità di direttore del quotidiano
L'Avanti.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Enzo Scotti.

EVANGELISTI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
l'8 febbraio 2011 la petroliera italiana Savina Caylyn - 226 metri di lunghezza e 103 mila tonnellate di stazza - con a bordo 5 italiani e 17 indiani, proveniente dal porto di Bashayer in Sudan e diretta a Pasir Gudang in Malaysia, è stata assaltata e sequestrata da 5 pirati a bordo di una piccola imbarcazione;
a distanza di quasi quattro mesi dal sequestro della Savina Caylyn, è stato rivolto alle autorità italiane, da parte del comandante della nave, un ulteriore e disperato appello telefonico nel quale lo stesso comandante, Giuseppe Lubrano Lavadera, ha denunciato le condizioni di precarietà ed estremo disagio in cui sono costretti a vivere;
a seguito delle interruzioni delle trattative, l'azione dei rapitori è divenuta sempre più violenta, come del resto si desume dal fatto che tre uomini dell'equipaggio, il primo ufficiale Bon, il terzo ufficiale Guardascione e l'allievo di coperta Cesaro, sono stati trasferiti a terra e condotti nel deserto dove per sopravvivere sono costretti, prosegue il comandante, «a scavare buche nella sabbia per recuperare un po' di acqua»;
il 9 giugno 2011 una foto, inviata a mezzo fax, è stata inviata dai baby sequestratori somali (pare abbian poco più che 15 anni) ai familiari delle vittime. In essa si osservano i rapitori che tengono sotto tiro coi mitra alcuni marinai italiani della petroliera Savina Caylyn;
in tutto sono cinque le foto trasmesse dai sequestratori: in esse i prigionieri appaiono spaventati sotto la minaccia di mitragliatrici Rpg puntate contro di loro da pirati che sembra siano nella maggioranza dei casi minorenni e che hanno il volto coperto dalle kefiah e le cartucciere con le munizioni al collo;
Nunzia Nappa, moglie del capitano procidano Giuseppe Lubrano Lavadera, ha lanciato un accorato appello alle istituzioni per risolvere positivamente la vicenda e porre fine allo stillicidio -:
se sia a conoscenza delle problematiche esposte in premessa;
se esistano e siano in corso trattative con i sequestratori della petroliera italiana Savina Caylyn;
quali siano le iniziative e le misure adottate, o che il Governo intende adottare, per ottenere, nel minor tempo possibile, il rilascio di tutti i passeggeri della petroliera italiana.
(4-13002)

Risposta. - La sorte degli ostaggi della Savina Caylin e della Rosalia D'Amato costituisce una preoccupazione costante del Governo italiano sin dalle prime ore dei due sequestri. Abbiamo subito avviato un'azione ad amplissimo raggio per restituire gli 11 italiani e 32 stranieri a bordo delle due navi alle loro famiglie.
La primaria preoccupazione del Governo è sempre stata quella di evitare di mettere a repentaglio la loro vita. L'azione di forza per liberare gli ostaggi è stata peraltro esclusa, con il consenso delle famiglie, perché rischierebbe di avere un costo in vite umane insostenibile.
Il Governo ha quindi da subito sviluppato un'azione diplomatica e d'
intelligence ad amplissimo raggio che ha dovuto tenere conto sia del complesso quadro internazionale che dell'ampiezza del fenomeno della pirateria. È opportuno ricordare come allo stato attuale vi siano 89 navi nelle mani dei pirati e che il fenomeno ha fruttato loro nel 2010 oltre 80 milioni di dollari.

Com'è noto l'ONU ha adottato una risoluzione che obbliga i suoi Stati membri - senza esclusioni - a non alimentare con il pagamento di riscatti questa grave forma di crimine internazionale.
Si sono pertanto svolte in luglio su incarico del Ministro degli esteri le missioni dell'onorevole Boniver (suo inviato speciale per le emergenze umanitarie) in Tanzania ed a Gibuti e quella in Somalia del Sottosegretario Mantica, che ha incontrato sia il Presidente Sheikh Sharif Sheikh Ahmed che quello del Puntland. Facendo anche leva sul forte impegno italiano contro la carestia nel Corno d'Africa e per la stabilizzazione della Somalia, le più alte cariche dei Paesi della regione sono state sollecitate nel corso di queste missioni ad attivare tutti i canali possibili per favorire la liberazione degli ostaggi e ad evitare iniziative che possano mettere in pericolo la loro sicurezza.
A fine settembre il Ministro Frattini ha ulteriormente alzato il livello della nostra azione promuovendo presso le Nazioni unite a New York una riunione sulla Somalia, dove sono state decise delle importanti azioni contro la pirateria.
Particolarmente significativo inoltre l'incontro che il Ministro Frattini ha avuto, sempre a New York, con il Premier somalo il quale ha assicurato che favorirà l'apertura di un canale di dialogo con i rapitori e non risparmierà alcuno sforzo per ottenere la liberazione degli ostaggi. Il Premier ha anche tenuto ad inviare un messaggio alle famiglie degli ostaggi ribadendo che la loro liberazione viene considerata un obiettivo della massima importanza.
Ed è proprio partendo da quest'importante impegno del Primo Ministro somalo che il Governo sta continuando a sviluppare la sua energica azione diplomatica e d'
intelligence. Un'azione che il Governo continuerà ad esercitare con la necessaria discrezione, sempre nell'interesse dell'incolumità dei marittimi sequestrati ed in vista di una loro pronta liberazione.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Enzo Scotti.

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere:
quanti siano i dipendenti dell'Istituto nazionale di beneficenza Vittorio Emanuele III;
a quanto ammontino nell'anno 2009 le spese e le relative voci, sostenute dall'Istituto nazionale di beneficenza Vittorio Emanuele III.
(4-06983)

Risposta. - In via preliminare è necessario evidenziare che con il decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2010, n. 261, recante «Regolamento di riordino dell'Istituto nazionale di beneficenza Vittorio Emanuele III, a norma dell'articolo 26, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133», l'Istituto nazionale di beneficenza Vittorio Emanuele III è stato trasformato in fondazione di diritto privato, la cui vigilanza è stata attribuita al ministero della difesa.
L'Istituto nel corso degli anni non si è avvalso di dipendenti, militari o civili, in servizio attivo, né di personale assunto direttamente con contratto di diritto privato.
I componenti il Consiglio di amministrazione, ex ufficiali, hanno svolto il loro mandato a titolo gratuito, con rimborso delle spese di viaggio durante le riunioni consiliari, mentre, per l'ordinaria amministrazione, l'Istituto si è avvalso di quattro ex ufficiali in posizione di quiescenza, ad ognuno dei quali è stata corrisposta una spettanza minimale mensile, ad esclusione del generale segretario, che ha rinunciato a tale spettanza dall'ottobre 2009.
Dal conto finanziario dell'Istituto, relativo all'esercizio 2009, risulta che le uscite complessive sono pari a euro 92.877,20, delle quali: euro 18.787,00 per spese funzionamento Istituto, euro 68.100,00 per sussidi e contributi ad ufficiali e vedove di ufficiali, euro 2.480,80 per spese ordinarie di gestione, euro 3.509,40 per partite di giro.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il quotidiano La Repubblica nella sua edizione del 21 maggio 2010 ha pubblicato un articolo del giornalista Alberto Custodero, significativamente intitolato: «Sanità, così si sprecano due miliardi all'anno. Ospedali pagano i prodotti il 30 per cento in più; i pacemaker variano da 1.250 euro in Toscana a 1.559 in Piemonte fino a 2.324 in Emilia Romagna, senza che ci sia una ragione apparente. Il ministro della Salute non esclude l'insidia delle "mazzette";
pare pertanto che lo stesso modello di protesi sanitaria, dalle valvole cardiache ai pacemaker, dai defibrillatori agli attrezzi chirurgici ha un prezzo che varia parecchio a seconda dell'Asl che lo acquista;
nessuno sembra sapere con precisione le ragioni di questo trend altalenante che sembra non risparmiare nessuna regione d'Italia, che interessa il settentrione come il meridione, e si verifica in modo bipartisan in amministrazioni di entrambi gli schieramenti politici;
a quanto si apprende, lo stesso Ministero non esclude che dietro quelle inspiegabili oscillazioni da elettrocardiogramma dei prezzi allignino fenomeni corruttivi;
si registrano casi clamorosi di divario dei prezzi a parità di prodotto come per esempio nei capoluoghi del Trentino-Alto Adige: il defibrillatore bicamerale della Boston scientific (modello teligen 100 Dr F110) costa, a Trento, 13.500 euro; ad appena 50 chilometri di distanza, a Bolzano, 16.100. Duemilaseicento euro di differenza non si sa giustificati da cosa; ma simili episodi si registrano ovunque, in Italia;
sono ampiamente utilizzati in cardiologia piccolissimi tubi, gli stent, che si infilano nelle coronarie ostruite, e servono a disostruire le arterie cardiache. Per evitare che quei tubicini vengano ostruiti dal colesterolo, vengono ricoperti al loro interno da sostanze particolari e prendono il nome di «stent medicati»; lo «stent medicato» a rilascio di farmaco Xience V costa a Terni 594 euro, ma a Genova il prezzo misteriosamente raddoppia balzando a 1.250 euro. Per un altro modello, il Taxus Liberte-Promus Elemento, avviene inspiegabilmente il contrario: il prezzo più alto è a Terni (1.486 euro), dove costa più del doppio di quello del centro acquisti Estav-Sudest della Regione Toscana (670 euro);
analogo discorso si può fare per cardiochirurgia: una valvola aortica cardiaca percutanea ha un prezzo di 19mila euro all'Azienda ospedaliera Niguarda di Milano, di 20mila alle Molinette e di 21mila all'Estav-Sudest Toscana. Le stesse valvole meccaniche mitraliche all'Estav-Sudest della regione Toscana costano 2.380 euro, 2.500 all'ospedale di Alessandria e 3.400 all'azienda messinese Papardo Piemonte. I prezzi delle valvole cardiache aortiche e mitraliche biologiche oscillano dai 2.150 euro dell'Estav-Centro Toscana ai 2.500 di Molinette, Alessandria e Niguarda. Dai 2.600 euro dell'ospedale di Terni ai 3.200 del Papardo Piemonte di Messina;
per quanto riguarda alcuni prodotti in uso in chirurgia, risulta che i trocar - tubi che si piantano nell'addome attraverso cui si introducono fibre ottiche e strumenti chirurgici, pinze e forbici - hanno prezzi che variano all'interno della stessa regione da un minimo di 80 euro a un massimo di 102;
l'oscillazione dei prezzi dei dispositivi medici a parità di modello riguarda quasi tutte le specialità: gli stessi pacemaker monocamerali con sensore della Medtronic Inc costano in Toscana 1.250 euro, in Piemonte 1.559, in Emilia Romagna 2.324 euro. Lo stesso avviene anche per le medicazioni in alginato (fibre derivate dalle alghe marine), indicate per ferite particolarmente sanguinanti. L'oscillazione all'interno della stessa regione può variare in Italia da 1,22 a 1,84 euro;

osserva il giornalista, «nel mercato delle protesi sanitarie nessuno denuncia queste gravi anomalie che vanno contro la legge della domanda e dell'offerta. Anzi, nonostante tutti ne siano a conoscenza da anni, dal ministero della Salute ad Assobiomedica, dalle Asl alle associazioni scientifiche, dagli informatori sanitari ai medici, tutti tacciono. Ottenere i prezzi di acquisto delle varie Asl è praticamente impossibile. Nessuno li fornisce. Ogni azienda sanitaria se li tiene per sé e rifiuta di renderli pubblici addirittura alle altre Asl. I dati sono taciuti al ministro della Salute - quando li richiede - dalle stesse Regioni. E il caso della Sicilia che non ha mai inviato alle direzioni ministeriali che si occupano del monitoraggio-prezzi i dati dei loro costi di acquisto delle Asl... È un mercato dal fatturato miliardario: esclusa la farmaceutica, l'importo complessivo è di 7 miliardi all'anno»;
il giornale, per questo stato di cose, adombra alcune ipotesi: «Si tratta di pessima gestione amministrativa delle forniture biomedicali... una forma di degenerazione del federalismo sanitario: ogni regione, essendo autonoma nella gestione del proprio bilancio sanitario, fa come crede. Ma lo scenario più inquietante è che l'altalena dei prezzi nasconda, invece, episodi di corruzione e tangenti. Come ad esempio avvenne otto anni fa a Torino, quando la magistratura contrastò un vasto, quanto diffuso e addirittura decennale sistema di corruzione sulla fornitura di valvole cardiache che interessava tutto il Nord: dal Piemonte (all'ospedale Molinette), alla Lombardia fino al Veneto. In quella vicenda la tangente concordata tra fornitori e cardiochirurghi all'insaputa delle commissioni aggiudicatrici dell'appalto faceva lievitare il prezzo delle protesi (acquistate dalle Asl coi soldi del contribuente), di circa 600 euro. Allora, la spiegazione del variare dei prezzi da Asl ad Asl era dunque la presenza o meno di tangenti sulle forniture»;
sempre La Repubblica, nella citata inchiesta, riporta, virgolettate, alcune affermazioni attribuite al ministro della Salute Ferruccio Fazio: «È chiaro ed evidente che una quota definibile malaffare o corruzione non è assolutamente da escludersi. In parte può essere anche scarsa competenza, ma ben sappiamo che in sanità esistono abusi e spazi di interventi che sono contro la legge. Lo sappiamo e non ci sfugge» -:
se quanto riferito dal quotidiano La Repubblica corrisponda al vero;
in caso affermativo quali iniziative, nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà, si intendano promuovere o adottare in relazione alla gravissima situazione che emerge dall'inchiesta di Repubblica;
se il Ministro confermi o smentisca le affermazioni circa possibili episodi di corruzione e tangenti;
nel caso dette affermazioni siano confermate, su quali elementi si basino;
quali iniziative, eventualmente di concerto con altri Ministeri, si intendano adottare, promuovere, sollecitare;
se, in ogni caso, non si ritenga di informare di quanto adombrato circa possibili corruzioni e tangenti le procure della Repubblica, affinché intervengano, e se comunque non ritenga di dover riferire all'autorità giudiziaria di quanto sia venuto a conoscenza qualora sussistano specifiche fattispecie di reato.
(4-07307)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono di seguito, per gli aspetti di competenza istituzionale, esclusivamente gli elementi di risposta riferiti alla problematica relativa al divario dei prezzi di acquisto dei dispositivi medici a parità di prodotto e alle iniziative avviate a tale fine, tenuto conto che non rientrano nelle competenze istituzionali di questo Ministero gli aspetti correlati a potenziali episodi di corruzione e tangenti, e che comunque la legge prevede che un pubblico ufficiale che venga a conoscenza di azioni illegali ne riferisca alla magistratura. Ciò premesso, a carattere generale, si precisa che numerose sono le variabili che incidono sulla

determinazione del prezzo di un dispositivo medico.
Prodotti, servizi, assistenza tecnica, formazione del personale sanitario, tempi di consegna, diverse procedure di acquisizione, sono solo alcuni dei fattori che determinano la differenza di prezzo di un dispositivo acquistato da enti diversi, quali una singola azienda sanitaria locale o un'area vasta regionale.
La conoscenza dei costi sostenuti per l'acquisizione dei dispositivi medici e delle relative procedure di acquisto costituisce, pertanto, un elemento fondamentale per pervenire ad una piena conoscenza del settore da parte degli operatori responsabili dell'acquisizione dei dispositivi ed è, inoltre, uno strumento per operare confronti e valutazioni che possano contribuire a migliorarne i risultati.
Al riguardo, la legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), all'articolo 1, comma 409, ha disposto la definizione, con decreto del Ministro della salute, previo accordo con le regioni e le province autonome in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, delle modalità con le quali le aziende sanitarie devono inviare al Ministero della salute, per il monitoraggio nazionale dei consumi dei dispositivi medici, le informazioni previste dall'articolo 57, comma 5, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003).
Già in precedenza, infatti, la legge n. 289 del 2002, all'articolo 57, comma 5, al fine di consentire un confronto tra i «costi unitari» dei dispositivi medici acquistati dalle aziende sanitarie ospedaliere e territoriali, aveva obbligato le aziende stesse a rendere pubblici tali dati semestralmente, attraverso siti
internet.
L'analisi dei siti
internet esistenti ha evidenziato che, se da una parte molte aziende non hanno ottemperato all'obbligo, anche quelle che si sono dimostrate in linea con il dettato normativo, lo hanno fatto con modalità di presentazione diverse da caso a caso, rendendo molto difficili i confronti.
La costituzione della banca dati dei dispositivi medici ha rappresentato un passaggio indispensabile per l'attuazione del monitoraggio dei consumi dei dispositivi medici in modo omogeneo nel territorio nazionale, dal momento che le informazioni devono essere rilevate per ciascun dispositivo medico e con frequenza tale da consentire un monitoraggio tempestivo dei consumi e dei costi sostenuti dalle strutture del Servizio sanitario nazionale (Ssn).
È stato inoltre adottato il decreto del Ministero della salute dell'11 giugno 2010 finalizzato alla «Istituzione del flusso informativo per il monitoraggio dei consumi dei dispositivi medici direttamente acquistati dal Servizio sanitario nazionale».
Sono oggetto di rilevazione, a partire dall'ultimo trimestre 2010, i dati relativi alle distribuzioni di dispositivi medici da parte delle strutture sanitarie direttamente gestite dal Ssn. Le informazioni devono essere rilevate per ciascun dispositivo medico iscritto nella banca dati dei dispositivi medici e con frequenza mensile, al fine di consentire un monitoraggio tempestivo dei costi e dei consumi dei dispositivi medici.
La rilevazione riguarda i dispositivi medici acquistati dalle strutture di ricovero e distribuiti internamente alle unità operative e i relativi resi; i dispositivi medici acquistati dalle aziende sanitarie locali o enti equiparati e destinati alle strutture del proprio territorio e i relativi resi: prendendo in entrambi i casi in considerazione, con due tracciati distinti, i dati di consumo e di spesa relativi ai dispositivi medici e quelli relativi ai contratti.
Per completezza, si segnala che, con decreto del Ministro della salute del 10 dicembre 2009, è stato istituito un gruppo di lavoro sulla valutazione e principi di programmazione e gestione delle grandi apparecchiature biomedicali diagnostiche e terapeutiche, con l'incarico, tra l'altro, di proporre metodologie per la definizione di principi di programmazione e gestione delle grandi apparecchiature, attraverso l'elaborazione di linee guida di riferimento per le strutture regionali che, a vario titolo, intervengono nell'acquisto e nella gestione di tali apparecchiature.
Per il raggiungimento di questi obiettivi, il gruppo di lavoro ha proposto la realizzazione di un'indagine conoscitiva presso le strutture

pubbliche del Ssn, al fine di poter disporre di elementi in merito alle caratteristiche delle tecnologie acquisite ed alle modalità di acquisizione, valutazione e gestione delle stesse apparecchiature, i cui risultati saranno oggetto di un'apposita pubblicazione nel sito internet del Ministero della salute.
Allo stato attuale, l'indagine conoscitiva è in corso di svolgimento.
Nel merito del quesito riferito alle iniziative normative, si comunica che l'articolo 17, comma 1, lettera
c), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, recante «Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria», convertito in legge, con modificazioni (legge 15 luglio 2011, n. 111), va nella direzione di quanto auspicato con l'interrogazione in esame, poiché reca una disposizione finalizzata al controllo e alla razionalizzazione delle spese sostenute direttamente dal Ssn per l'acquisto di dispositivi medici, in attesa della determinazione dei costi standardizzati.
In particolare, dal 1o gennaio 2013 la spesa sostenuta dal Ssn per l'acquisto di detti dispositivi è fissata entro un tetto a livello nazionale e a livello di ogni singola regione, riferito rispettivamente al fabbisogno sanitario nazionale
standard e al fabbisogno sanitario regionale standard, di cui agli articoli 26 e 27 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68.
Inoltre, il valore assoluto dell'onere a carico del Ssn per l'acquisto di dispositivi medici sarà annualmente definito dal Ministero della salute e dal Ministero dell'economia e delle finanze.

Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
l'agenzia «Ansa» il 16 ottobre 2010 ha diffuso in «rete» la notizia «Dopo ricovero in coma per tre settimane, muore a Gela»;
nella corrispondenza da Gela, si riferiva che «dopo 25 giorni di coma è morto nel reparto di rianimazione dell'ospedale «Vittorio Emanuele» di Gela il signor Giuseppe Donzella, 45 anni; l'uomo era stato ricoverato nella clinica «Regina Pacis» di San Cataldo, per una banale operazione di correzione del setto nasale»;
Donzella, forse a causa di un'allergia, prima dell'intervento è entrato in coma; trasferito nell'ospedale di Gela, unico centro che aveva la disponibilità di un posto in rianimazione, vi è rimasto per 25 giorni, fino al decesso -:
se il Ministro non intenda acquisire elementi al fine di accertare quanto riportato in premessa, che appare l'ennesimo caso di malasanità.
(4-09063)

Risposta. - Si risponde all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi trasmessi dalla prefettura - ufficio territoriale del Governo di Caltanissetta.
Il presidio ospedaliero «Vittorio Emanuele» di Gela (Caltanissetta), interessato dalla prefettura citata al riguardo della vicenda segnalata, ha fatto presente quanto segue.
Il paziente proveniva dalla clinica «Regina Pacis» di San Cataldo (Caltanissetta), con diagnosi di ingresso «coma
post anossico, insorto in seguito a difficoltà all'intubazione, nel corso di una narcosi indotta per un intervento di ORL. Al secondo tentativo, l'intubazione è stata effettuata con un tubo oro-tracheale 5,5 di diametro, e contemporanea insorgenza di arresto cardiocircolatorio, che veniva immediatamente trattato con idonee manovre di rianimazione cardiopolmonare».
L'arresto cardiaco è durato circa tre-quattro minuti, con ripresa dell'attività elettrica e della funzionalità miocardica, con valori pressori che sono rientrati progressivamente nella normalità.
All'ingresso, le condizioni cliniche del paziente sono apparse «gravissime per compromissione neurologica marcata», a cui ha fatto seguito un progressivo e costante peggioramento clinico, che ha portato il paziente all'
exitus alle ore 00,30 del 16 ottobre 2010.


In conclusione, la prefettura ha informato che la casa di cura «Regina Pacis» ha comunicato che la cartella clinica originale, relativa al ricovero del paziente, è stata acquisita agli atti del procedimento penale istituito dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta l'11 ottobre 2010.
Alla luce delle notizie acquisite e tenuto conto del procedimento penale in corso per accertare le cause del decesso e le eventuali responsabilità, allo stato non si ritiene di dover intraprendere ulteriori iniziative.

Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il 1° febbraio del 2011 si è verificato a Lignano Sabbiadoro un grave infortunio sul lavoro ai danni di un operaio edile, il signor Ferdinando Maurutto, impiegato presso una ditta di costruzioni di La tisana;
in particolare, sembra che nello scaricare del materiale dal cassone di un autocarro il signor Maurutto sia caduto battendo violentemente il dorso a terra;
quale sia l'esatta dinamica dell'incidente,
se risulti che le misure di sicurezza previste dalla normativa vigente siano state osservate;
quali iniziative, nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà, intenda intraprendere a fronte di un fenomeno, quello degli incidenti sul lavoro, spesso mortali, che ogni anno assume una dimensione che non è esagerato definire una strage.
(4-10698)

Risposta. - In merito all'infortunio sul lavoro richiamato nell'interrogazione in esame, occorso al signor Ferdinando Maurutto, sulla base degli elementi informativi acquisiti dalla Direzione provinciale del lavoro di Udine e dall'Inail, si rappresenta quanto segue.
Il lavoratore, dipendente della ditta costruzioni Scodellaro srl di Latisana (Udine), assunto con contratto a tempo determinato con la qualifica di operaio specializzato (muratore), il giorno 1o febbraio 2011, alle ore 9.00, si trovava a Lignano Sabbiadoro (Udine), in via Pastrengo, per sistemare un bancale di ponteggi sul camion di cui era autista. Mentre era sul pianale del camion per sistemare il carico, spostandosi all'indietro, cadeva a terra. A seguito della caduta, il signor Maurutto, soccorso dai sanitari del 118, ha riportato un trauma cranico con frattura della vertebra dorsale.
Il sopralluogo per evincere la dinamica dell'infortunio è stato effettuato dai Carabinieri di Lignano Sabbiadoro, nonché da un ufficiale di Polizia giudiziaria del Dipartimento di prevenzione (Spisal) dell'azienda sanitaria n. 5 «Bassa Friulana» di Palmanova, incaricato di redigere rapporto giudiziario alla Procura della Repubblica di Udine.
L'istruttoria relativa all'erogazione delle prestazioni di legge è stata condotta dalla sede Inail di San Donà di Piave (Venezia), che ha definito il caso con 120 giorni di prognosi ed ha erogato la prevista indennità di temporanea. La stessa sede provvederà all'accertamento degli eventuali postumi invalidanti ai fini dell'erogazione dell'indennizzo in capitale per danno biologico o della rendita diretta.
Per i profili inerenti alle violazioni delle misure di prevenzione sul lavoro e per le conseguenze che le stesse comportano anche sul piano assicurativo (tra tutte, l'eventuale azione di rivalsa nei confronti del datore dei lavoro o di terzi responsabili), l'Inail dovrà attendere gli sviluppi degli accertamenti ispettivi e dei procedimenti avviati dagli organismi coinvolti (Asl, competente Dpl, Vigili del fuoco, autorità giudiziaria), aventi specifica competenza ai sensi della normativa vigente.
Tutto ciò premesso, si precisa che il tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali costituisce

obiettivo strategico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'Inail, nell'ottica del tendenziale azzeramento del fenomeno infortunistico e tecnopatico.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali intende perseguire, infatti, la promozione di comportamenti rispettosi delle norme di legge applicabili in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed efficaci in funzione prevenzionistica, sia completando l'attuazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modifiche e integrazioni (Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro), sia favorendo ogni iniziativa promozionale idonea a determinare un accrescimento delle conoscenze in materia di salute e sicurezza da parte delle aziende, dei lavoratori e degli studenti, con particolare attenzione all'aspetto della formazione.
In relazione allo specifico e gravissimo problema degli infortuni sul lavoro si rende necessario intervenire sulla formazione-informazione dei lavoratori e delle imprese, nonché sulla prevenzione e sul rafforzamento dei controlli da parte degli enti preposti, al fine di promuovere una consapevolezza sempre più ampia sulle esigenze della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è attivamente impegnato su tali fronti, nell'intento precipuo di favorire il dialogo e la collaborazione fra tutti i soggetti interessati, istituzionali e sociali, al fine di ridurre gli incidenti e le malattie professionali e la diffusione di sempre più elevati
standards di sicurezza nei luoghi di lavoro. L'esistenza in concreto di una efficace strategia di contrasto al fenomeno infortunistico non passa solo attraverso il completamento, mediante le fonti di rango secondario previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008, del quadro giuridico di riferimento, ma anche attraverso la realizzazione di una serie di azioni pubbliche e private dirette a migliorare la prevenzione e i livelli di tutela in tutti gli ambienti di lavoro.
Per tale ragione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta attivando ogni possibile sinergia con soggetti pubblici e privati, al fine di migliorare «l'impatto» delle rispettive attività in termini di efficacia.
In tale ottica, si colloca, ad esempio, la definizione, con accordo in Conferenza Stato-regioni del 20 novembre 2008, dei criteri di impiego e l'attivazione delle somme (pari a 50 milioni di euro) di cui all'articolo 11, comma 7, del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, da destinare in favore di attività promozionali della salute e sicurezza, tra le quali una campagna di comunicazione (per complessivi 20 milioni di euro) sulla salute e sicurezza sul lavoro ed attività di formazione su base regionale (per complessivi 30 milioni di euro).
Con il decreto correttivo n. 106 del 2009 si è poi consentito il superamento delle difficoltà operative da più parti evidenziate nel corso dei primi mesi di applicazione del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, perfezionando in tal modo il quadro normativo e rendendolo, oltre che pienamente coerente con le normative internazionali e comunitarie in materia, idoneo a costituire il fondamento giuridico della strategia di contrasto al fenomeno infortunistico.
L'imprescindibile finalità delle misure varate resta quella di rendere maggiormente effettiva la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro secondo linee di azione consistenti, tra l'altro, nel miglioramento dell'efficacia dell'apparato sanzionatorio al fine precipuo di assicurare una migliore corrispondenza tra infrazioni e sanzioni.
A tale scopo si tiene conto dei compiti effettivamente svolti da ciascun attore della sicurezza, favorendo l'utilizzo di procedure di estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi mediante regolarizzazione da parte del soggetto inadempiente. La sanzione penale è riservata ai soli casi di violazione delle disposizioni sostanziali e non di quelle meramente formali (come, ad esempio, la trasmissione di documentazione, notifiche, eccetera).
Tutti gli interventi proposti garantiscono, in ogni caso, il rispetto dei livelli di tutela oggi assicurati ai lavoratori e alle loro rappresentanze in qualsiasi ambiente di

lavoro e in tutto il territorio nazionale, nonché, l'equilibrio delle competenze tra lo Stato e le regioni in materia.
Il risultato finale dell'intervento legislativo di riforma potrà, comunque, compiutamente apprezzarsi una volta che verrà completata l'emanazione di provvedimenti attuativi del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, di grande rilevanza e impatto sulle aziende e sui lavoratori.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali persegue l'obiettivo della riduzione del fenomeno infortunistico anche rafforzando l'efficacia delle attività di vigilanza sui luoghi di lavoro di propria competenza. In tali ambiti, ed in primo luogo nell'edilizia, è stata da tempo fornita alle strutture amministrative di riferimento l'indicazione di realizzare innanzitutto le attività dirette a perseguire le violazioni in materia di salute e sicurezza più gravi, in quanto in grado di mettere in pericolo le vite dei lavoratori. Tale impostazione ha consentito di raggiungere risultati molto soddisfacenti.
Molte delle iniziative dirette alla attuazione delle disposizioni del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro sono devolute dal legislatore alla Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro (articolo 6 del decreto legislativo n. 81 del 2008), composta in maniera paritaria e tripartita da rappresentanti delle amministrazioni pubbliche centrali competenti in materia, delle regioni, dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro. Ricostituita con decreto ministeriale del 3 dicembre 2008, la Commissione ha costituito al suo interno nove gruppi «tecnici» di lavoro, nei quali è garantita la presenza paritetica di rappresentanti delle amministrazioni pubbliche (comprese le regioni) e delle parti sociali, per affrontare, in tali sedi, gli argomenti attribuiti dalla legge alla Commissione (ad esempio, l'elaborazione di linee metodologiche per la valutazione dello stress lavoro-correlato, l'individuazione delle regole di funzionamento della cosiddetta «patente a punti» per gli edili) e per i quali si prevedono attività finalizzate alla attuazione del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Tutti su citati gruppi si sono regolarmente insediati e svolgono con continuità le attività loro devolute. All'esito delle attività istruttorie compiute in tali consessi, sono stati elaborati documenti di notevole importanza per gli operatori della salute e sicurezza sul lavoro e altri sono di prossima emanazione.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta altresì completando talune ulteriori attività previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008, tra le quali:
la predisposizione, in data 17 novembre 2010, delle indicazioni per la valutazione dello stress lavoro-correlato (articolo 28, comma 1-
bis, del «Testo unico») da parte della Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro;
la predisposizione del decreto, ai sensi dell'articolo 3, comma 3-
bis, del Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, che individua la normativa di salute e di sicurezza che consideri «le peculiari esigenze» di determinati settori ed attività;
la pubblicazione del decreto per l'individuazione delle modalità per l'espletamento delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro e dei criteri per l'abilitazione dei soggetti pubblici o privati legittimati alla realizzazione delle stesse (articolo 71, comma 13, decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni;
la pubblicazione, del decreto, ai sensi dell'articolo 82, comma 2, relativo alle autorizzazioni per i lavori «sotto tensione»;
l'istituzione del Comitato consultivo per l'aggiornamento dei valori limite dell'esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici (articolo 232, comma 1, decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni).

È inoltre in corso, la predisposizione del decreto interministeriale per la costituzione e la regolamentazione del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (Sinp), redatto con il costante coinvolgimento del soggetto

gestore del trattamento dei relativi dati (Inail) e con quello delle regioni.
Occorre, da ultimo, segnalare che il regolamento recante «Norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati», a norma dell'articolo 6, comma 8, lettera
g) del decreto legislativo n. 81 del 2008, proposto dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, ha ottenuto il parere favorevole della Conferenza Stato-Regioni (nella seduta del 20 aprile 2011) e della sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato (nella seduta del 23 luglio 2011). Il provvedimento, approvato in Consiglio dei ministri, è stato firmato dal Capo dello Stato, ed è attualmente in corso di pubblicazione.
Il decreto è frutto di un lavoro che ha coinvolto Stato, Regioni e parti sociali nell'intento, da tutti condiviso, di predisporre misure innovative ed efficaci a contrasto al fenomeno degli infortuni, gravissimi per numero e drammatici per modalità, verificatisi, negli ultimi anni, nei lavori in ambienti cosiddetti «confinati», quali
silos, cisterne e simili.
Infine, va ricordato come il Ministero del lavoro e delle politiche sociali abbia predisposto e messo a disposizione dell'utenza una sezione del sito
internet specificamente dedicata alla diffusione di notizie e pubblicazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Tutto quanto sin qui esposto consente di affermare come la riforma delle regole volte a tutelare la salute e sicurezza sul lavoro abbia fornito l'Italia di un sistema di regole moderno e sistematicamente coeso, suscitando un interesse finalmente non più solo specialistico sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, a sua volta importante punto di partenza per l'abbattimento del numero e della gravità degli infortuni e, quindi, delle sofferenze umane e dei danni sociali che simili eventi determinano.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
come riferiscono agenzie di stampa, siti internet e quotidiani, un lavoratore bengalese impiegato allo stabilimento Fincantieri è deceduto dopo essere precipitato per una ventina di metri;
sembra che l'uomo, dipendente di una ditta esterna al cantiere, sia precipitato da un ponteggio, morendo a causa del violentissimo impatto con il suolo -:
di quali elementi disponga il Ministro in merito alla dinamica dell'incidente;
se risulti che le misure di sicurezza previste dalla normativa vigente siano state osservate;
quali iniziative, nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà, intenda intraprendere a fronte di un fenomeno, quello degli incidenti sul lavoro, spesso mortali, che ogni anno assume una dimensione che non è esagerato definire una strage.
(4-11009)

Risposta. - In merito all'infortunio sul lavoro richiamato nell'interrogazione in esame, occorso ad un operaio bengalese, sulla base degli elementi informativi acquisiti dalla Direzione provinciale del lavoro di Gorizia e dall'Inail, si rappresenta quanto segue.
Il signor Mia Ismail, nato a Kishoregoni (Bangladesh) in data 11 luglio 1988, dal 18 gennaio 2011 era dipendente a tempo determinato della Tecno impianti
services srl, avente sede legale in Monfalcone e svolgeva attività lavorativa con la qualifica di tubista presso il cantiere navale Fincantieri di Monfalcone.
Il giorno 21 febbraio 2011, il lavoratore è stato coinvolto in un incidente mortale determinato da una caduta all'interno della condotta di aerazione forzata di una nave in costruzione ormeggiata in banchina, la Carnival Magic.
Da una ricostruzione dell'accaduto effettuata dagli agenti del commissariato di polizia di Monfalcone, intervenuti sul posto, risulta

che il lavoratore al momento dell'infortunio stava praticando, con alcuni colleghi, dei fori sulle paratie interne della costruzione, dai quali si doveva far passare un tubo.
Nello svolgimento di tale mansione, due colleghi del signor Mila si erano introdotti attraverso un passo d'uomo all'interno del condotto d'aria. Presumibilmente per aiutare i colleghi, anche il signor Mila è entrato nel condotto d'aria, quando inavvertitamente è precipitato nell'apertura verticale situata alla fine del breve corridoio in piano del condotto.
Da quanto riferito dal capocantiere della Tecno impianti
Service srl, il signor Angelo Cozzolino, pare che, per motivi di sicurezza, ai lavoratori fosse stato inibito di entrare nel locale di ventilazione fino alla messa in sicurezza della zona. Nonostante il divieto, i lavoratori accedevano al locale e il signor Mila, forse nel tentativo di raccogliere un utensile caduto di mano ad uno dei colleghi, cadeva nell'apertura verticale.
Inoltre, dalle testimonianze raccolte dagli agenti del commissariato è emerso che all'interno della condotta in cui gli operai stavano lavorando e nella quale si trovava la pericolosa apertura, non vi era illuminazione artificiale, ma solo la poca luce proveniente dall'apertura di accesso, i lavoratori disponevano solo di alcuni utensili di lavoro (trapano e punte) e di una scala e non erano provvisti di dispositivi di protezione individuali né di torce di illuminazione.
Le cause dell'incidente e l'accertamento delle eventuali responsabilità sono ancora al vaglio della magistratura inquirente presso il tribunale di Gorizia.
L'Inail ha poi comunicato che in esito all'istruttoria compiuta dalla sede competente, è stata costituita la rendita in favore dei genitori del lavoratore residenti in Bangladesh, ai quali è stata altresì erogata la prestazione a carico del fondo di sostegno ai famigliari delle vittime di gravi infortuni ed è stato corrisposto l'assegno funerario.
Tutto ciò premesso, si precisa che il tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali costituisce obiettivo strategico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'Inali, nell'ottica del tendenziale azzeramento del fenomeno infortunistico e tecnopatico.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali intende perseguire, infatti, la promozione di comportamenti rispettosi delle norme di legge applicabili in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed efficaci in funzione prevenzionistica, sia completando l'attuazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modifiche e integrazioni. (Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro), sia favorendo ogni iniziativa promozionale idonea a determinare un accrescimento delle conoscenze in materia di salute e sicurezza da parte delle aziende, dei lavoratori e degli studenti, con particolare attenzione all'aspetto della formazione.
In relazione allo specifico e gravissimo problema degli infortuni sul lavoro si rende necessario intervenire sulla formazione-informazione dei lavoratori e delle imprese, nonché sulla prevenzione e sul rafforzamento dei controlli da parte degli enti preposti, al fine di promuovere una consapevolezza sempre più ampia sulle esigenze della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è attivamente impegnato su tali fronti, nell'intento precipuo di favorire il dialogo e la collaborazione fra tutti i soggetti interessati, istituzionali e sociali, al fine di ridurre gli incidenti e le malattie professionali e la diffusione di sempre più elevati
standards di sicurezza nei luoghi di lavoro. L'esistenza in concreto di una efficace strategia di contrasto al fenomeno infortunistico non passa solo attraverso il completamento, mediante le fonti di rango secondario previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008, del quadro giuridico di riferimento, ma anche attraverso la realizzazione di una serie di azioni pubbliche e private dirette a migliorare la prevenzione e i livelli di tutela in tutti gli ambienti di lavoro.
Per tale ragione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta attivando ogni possibile sinergia con soggetti pubblici e privati,

al fine di migliorare «l'impatto» delle rispettive attività in termini di efficacia.
In tale ottica, si colloca, ad esempio, la definizione, con accordo in Conferenza Stato-regioni del 20 novembre 2008, dei criteri di impiego e l'attivazione delle somme (pari a 50 milioni di euro) di cui all'articolo 11, comma 7, del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, da destinare in favore di attività promozionali della salute e sicurezza, tra le quali una campagna di comunicazione (per complessivi 20 milioni di euro) sulla salute e sicurezza sul lavoro ed attività di formazione su base regionale (per complessivi 30 milioni di euro).
Con il decreto correttivo n. 106 del 2009 si è poi consentito il superamento delle difficoltà operative da più parti evidenziate nel corso dei primi mesi di applicazione del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, perfezionando in tal modo il quadro normativo e rendendolo, oltre che pienamente coerente con le normative internazionali e comunitarie in materia, idoneo a costituire il fondamento giuridico della strategia di contrasto al fenomeno infortunistico.
L'imprescindibile finalità delle misure varate resta quella di rendere maggiormente effettiva la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro secondo linee di azione consistenti, tra l'altro, nel miglioramento dell'efficacia dell'apparato sanzionatorio al fine precipuo di assicurare una migliore corrispondenza tra infrazioni e sanzioni.
A tale scopo si tiene conto dei compiti effettivamente svolti da ciascun attore della sicurezza, favorendo l'utilizzo di procedure di estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi mediante regolarizzazione da parte del soggetto inadempiente. La sanzione penale è riservata ai soli casi di violazione delle disposizioni sostanziali e non di quelle meramente formali (come, ad esempio, la trasmissione di documentazione, notifiche, eccetera).
Tutti gli interventi proposti garantiscono, in ogni caso, il rispetto dei livelli di tutela oggi assicurati ai lavoratori e alle loro rappresentanze in qualsiasi ambiente di lavoro e in tutto il territorio nazionale, nonché, l'equilibrio delle competenze tra lo Stato e le regioni in materia.
Il risultato finale dell'intervento legislativo di riforma potrà, comunque, compiutamente apprezzarsi una volta che verrà completata l'emanazione di provvedimenti attuativi del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, di grande rilevanza e impatto sulle aziende e sui lavoratori.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali persegue l'obiettivo della riduzione del fenomeno infortunistico anche rafforzando l'efficacia delle attività di vigilanza sui luoghi di lavoro di propria competenza. In tali ambiti, ed in primo luogo nell'edilizia, è stata da tempo fornita alle strutture amministrative di riferimento l'indicazione di realizzare innanzitutto le attività dirette a perseguire le violazioni in materia di salute e sicurezza più gravi, in quanto in grado di mettere in pericolo le vite dei lavoratori. Tale impostazione ha consentito di raggiungere risultati molto soddisfacenti.
Molte delle iniziative dirette alla attuazione delle disposizioni del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro sono devolute dal legislatore alla commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro (articolo 6 del decreto legislativo n. 81 del 2008), composta in maniera paritaria e tripartita da rappresentanti delle amministrazioni pubbliche centrali competenti in materia, delle regioni, dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro. Ricostituita con decreto ministeriale del 3 dicembre 2008, la commissione ha costituito al suo interno nove gruppi «tecnici» di lavoro, nei quali è garantita la presenza paritetica di rappresentanti delle amministrazioni pubbliche (comprese le regioni) e delle parti sociali, per affrontare, in tali sedi, gli argomenti attribuiti dalla legge alla commissione (ad esempio, l'elaborazione di linee metodologiche per la valutazione dello stress lavoro-correlato, l'individuazione delle regole di funzionamento della cosiddetta «patente a punti» per gli edili) e per i quali si prevedono attività finalizzate alla attuazione del Testo unico in materia di tutela della

salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Tutti su citati gruppi si sono regolarmente insediati e svolgono con continuità le attività loro devolute. All'esito delle attività istruttorie compiute in tali consessi, sono stati elaborati documenti di notevole importanza per gli operatori della salute e sicurezza sul lavoro e altri sono di prossima emanazione.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta altresì completando talune ulteriori attività previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008, tra le quali:
la predisposizione, in data 17 novembre 2010, delle indicazioni per la valutazione dello
stress lavoro-correlato (articolo 28, comma 1-bis, del «Testo unico») da parte della Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro;
la predisposizione del decreto, ai sensi dell'articolo 3, comma 3-
bis, del testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, che individua la normativa di salute e di sicurezza che consideri «le peculiari esigenze» di determinati settori ed attività;
la pubblicazione del decreto per l'individuazione delle modalità per l'espletamento delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro e dei criteri per l'abilitazione dei soggetti pubblici o privati legittimati alla realizzazione delle stesse (articolo 71, comma 13, decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modifiche e integrazioni);
la pubblicazione, del decreto, ai sensi dell'articolo 82, comma 2, relativo alle autorizzazioni per i lavori «sotto tensione»;
l'istituzione del Comitato consultivo per l'aggiornamento dei valori limite dell'esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici (articolo 232, comma 1, decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modifiche e integrazioni).

È inoltre in corso, la predisposizione del decreto interministeriale per la costituzione e la regolamentazione del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (Sinp), redatto con il costante coinvolgimento del soggetto gestore del trattamento dei relativi dati (Inail) e con quello delle regioni.
Occorre, da ultimo, segnalare che il Regolamento recante «Norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati», a norma dell'articolo 6, comma 8, lettera
g) del decreto legislativo n. 81 del 2008, proposto dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, ha ottenuto il parere favorevole della Conferenza Stato-regioni (nella seduta del 20 aprile 2011) e della sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato (nella seduta del 23 luglio 2011). Il provvedimento, approvato in Consiglio dei ministri, è stato firmato dal Capo dello Stato, ed è attualmente in corso di pubblicazione.
Il decreto è frutto di un lavoro che ha coinvolto Stato, regioni e parti sociali nell'intento, da tutti condiviso, di predisporre misure innovative ed efficaci a contrasto al fenomeno degli infortuni, gravissimi per numero e drammatici per modalità, verificatisi, negli ultimi anni, nei lavori in ambienti cosiddetti «confinati», quali
silos, cisterne e simili.
Infine, va ricordato come il Ministero del lavoro e delle politiche sociali abbia predisposto e messo a disposizione dell'utenza una sezione del sito internet specificamente dedicata alla diffusione di notizie e pubblicazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Tutto quanto sin qui esposto consente di affermare come la riforma delle regole volte a tutelare la salute e sicurezza sul lavoro abbia fornito l'Italia di un sistema di regole moderno e sistematicamente coeso, suscitando un interesse finalmente non più solo specialistico sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, a sua volta importante punto di partenza per l'abbattimento del numero e della gravità degli infortuni e, quindi, delle sofferenze umane e dei danni sociali che simili eventi determinano.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il 22 marzo del 2011 un operaio di Rieti è rimasto seriamente ferito mentre lavorava in un cantiere alla periferia di Frascati;
come riferisce l'agenzia «ANSA» l'uomo sarebbe rimasto schiacciato dal braccio di una gru, mentre scaricava ponteggi -:
di quali elementi disponga il Ministro in merito alla dinamica dell'incidente;
se risulti che le misure di sicurezza previste dalla normativa vigente siano state osservate;
quali iniziative, nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà, intenda intraprendere a fronte di un fenomeno, quello degli incidenti sul lavoro, spesso mortali, che ogni anno assume una dimensione che non è esagerato definire una strage.
(4-11339)

Risposta. - In merito all'infortunio sul lavoro, richiamato nell'interrogazione in esame, occorso al signor Manuel Pisanu, sulla base degli elementi informativi acquisiti presso i competenti uffici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché di quelli forniti dall'Inail, si rappresenta quanto segue.
Il signor Manuel Pisanu lavorava, dal dicembre 2006, con la qualifica di operaio di IV livello, alle dipendenze dell'impresa Mach Edil srl, operante nel settore del commercio e noleggio di macchine ed attrezzature per l'edilizia. Tale attività viene espletata dall'azienda presso la sede legale, sita in Rieti, e presso quella secondaria, sita in Frascati, utilizzata anche come deposito e come rimessa per i mezzi pesanti aziendali.
Come anche accertato nel corso delle verifiche effettuate dalla competente Direzione regionale Inail, l'unità di Frascati era spesso soggetta al furto di merci stoccate e di gasolio dai mezzi aziendali parcheggiati. Per tale motivo, l'amministratore della ditta era solito impartire disposizioni al personale affinché i camion venissero posizionati in modo da ridurre al minimo il rischio di furto.
Il giorno 21 marzo 2011, al termine del proprio turno di lavoro, il signor Pisanu procedeva, in conformità alle istruzioni ricevute, al parcheggio del camion aziendale e, successivamente, allo sbloccaggio delle sicure.
Tuttavia, in quella specifica circostanza, a causa della scarsa illuminazione e del limitato spazio di manovra, il Pisanu impiegava un tempo maggiore rispetto a quello normalmente necessario per eseguire lo sbloccaggio.
In siffatto contesto, un collega, convinto che il Pisanu avesse ultimato tale operazione, procedeva, attraverso un'apposita consolle di comando, al posizionamento di uno degli stabilizzatori atti a mettere in sicurezza i mezzi durante la fase di stazionamento, accorgendosi, di lì a poco, che il Pisanu era rimasto incastrato tra lo stabilizzatore e il camion parcheggiato a fianco.
Il collega si adoperava subito per liberare l'infortunato, prestando soccorso e assistenza, fino all'arrivo dell'ambulanza. L'infortunato veniva trasportato presso il pronto soccorso del policlinico Tor Vergata di Roma dove veniva ricoverato con prognosi riservata.
Sul luogo dell'incidente sono intervenuti, su richiesta del comando dei carabinieri di Frascati, i funzionari del servizio di prevenzione dell'azienda sanitaria locale di Roma, che, nel corso degli accertamenti, hanno redatto un verbale di contravvenzione per violazioni al Testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, a carico del datore di lavoro e del legale rappresentante della ditta.
La procura della Repubblica di Velletri ha delegato il medesimo ufficio all'espletamento delle indagini, tutt'ora in corso, inerenti il sinistro.
Tutto ciò premesso, si precisa che il tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali costituisce obiettivo strategico del Ministero del lavoro

e delle politiche sociali e dell'Inail, nell'ottica del tendenziale azzeramento del fenomeno infortunistico e tecnopatico.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali intende perseguire infatti la promozione di comportamenti rispettosi delle norme di legge applicabili in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed efficaci in funzione prevenzionistica, sia completando l'attuazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni e integrazioni (Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro), sia favorendo ogni iniziativa promozionale idonea a determinare un accrescimento delle conoscenze in materia di salute e sicurezza nelle aziende, nei lavoratori e negli studenti, con particolare attenzione all'aspetto della formazione.
In relazione allo specifico e gravissimo problema degli infortuni sul lavoro si rende necessario intervenire sulla formazione - informazione dei lavoratori e delle imprese, nonché sulla prevenzione e sul rafforzamento dei controlli da parte degli enti preposti, al fine di promuovere una consapevolezza sempre più ampia sulle esigenze della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è attivamente impegnato su tali fronti, nell'intento precipuo di favorire il dialogo e la collaborazione fra tutti i soggetti interessati, istituzionali e sociali, al fine di ridurre gli incidenti e le malattie professionali e la diffusione di sempre più elevati standards di sicurezza nei luoghi di lavoro. L'esistenza in concreto di una efficace strategia di contrasto al fenomeno infortunistico non passa solo attraverso il completamento, mediante le fonti di rango secondario previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008, del quadro giuridico di riferimento ma anche attraverso la realizzazione di una serie di azioni pubbliche e private dirette a migliorare la prevenzione e i livelli di tutela in tutti gli ambienti di lavoro.
Per tale ragione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta attivando ogni possibile sinergia con soggetti pubblici e privati, al fine di migliorare «l'impatto» delle rispettive attività in termini di efficacia.
In tale ottica si colloca, ad esempio, la definizione, con accordo in Conferenza Stato-regioni del 20 novembre 2008, dei criteri di impiego e l'attivazione delle somme (pari a 50 milioni di euro) di cui all'articolo 11, comma 7, del Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, da destinare in favore di attività promozionali della salute e sicurezza, tra le quali una campagna di comunicazione (per complessivi 20 milioni di euro) sulla salute e sicurezza sul lavoro ed attività di formazione su base regionale (per complessivi 30 milioni di euro).
Con il decreto correttivo n. 106 del 2009 si è poi consentito il superamento delle difficoltà operative da più parti evidenziate nel corso dei primi mesi di applicazione del Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, perfezionando in tal modo il quadro normativo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e rendendolo, oltre che pienamente coerente con le normative internazionali e comunitarie in materia, idoneo a costituire il fondamento giuridico della strategia di contrasto al fenomeno infortunistico.
L'imprescindibile finalità delle misure varate resta quella di rendere maggiormente effettiva la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro secondo linee di azione consistenti, tra l'altro, nel miglioramento dell'efficacia dell'apparato sanzionatorio al fine precipuo di assicurare una migliore corrispondenza tra infrazioni e sanzioni.
A tale scopo si tiene conto dei compiti effettivamente svolti da ciascun attore della sicurezza, favorendo l'utilizzo di procedure di estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi mediante regolarizzazione da parte del soggetto inadempiente. La sanzione penale è riservata ai soli casi di violazione delle disposizioni sostanziali e non di quelle meramente formali (come, ad esempio, la trasmissione di documentazione, notifiche, eccetera).
Tutti gli interventi proposti garantiscono, in ogni caso, il rispetto dei livelli di tutela oggi assicurati ai lavoratori e alle loro rappresentanze in qualsiasi ambiente di

lavoro e in tutto il territorio nazionale, nonché, l'equilibrio delle competenze tra lo Stato e le regioni in materia.
Il risultato finale dell'intervento legislativo di riforma potrà, comunque, compiutamente apprezzarsi una volta che verrà completata l'emanazione di provvedimenti attuativi del Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro di grande rilevanza e impatto sulle aziende sui lavoratori.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali persegue l'obiettivo della riduzione del fenomeno infortunistico anche perseguendo la massima efficacia delle attività di vigilanza sui luoghi di lavoro di propria competenza. In tali ambiti, ed in primo luogo nell'edilizia, è stata da tempo fornita alle strutture amministrative di riferimento l'indicazione di realizzare innanzitutto le attività dirette a perseguire le violazioni in materia di salute e sicurezza più gravi, in quanto in grado di mettere in pericolo le vite dei lavoratori. Tale impostazione ha consentito di raggiungere risultati molto soddisfacenti.
Molte delle iniziative dirette alla attuazione delle disposizioni del Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro sono devolute dal legislatore alla Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro (articolo 6 del decreto legislativo n. 81 del 2008), composta in maniera paritaria e tripartita da rappresentanti delle amministrazioni pubbliche centrali competenti in materia, delle regioni, dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro. Ricostituita con decreto ministeriale del 3 dicembre 2008, la commissione ha costituito al suo interno nove gruppi «tecnici» di lavoro, nei quali è garantita la presenza paritetica di rappresentanti delle amministrazioni pubbliche (comprese le regioni) e delle parti sociali, per affrontare, in tali sedi, gli argomenti attribuiti dalla legge alla commissione (ad esempio, l'elaborazione di linee metodologiche per la valutazione dello stress lavoro-correlato, l'individuazione delle regole di funzionamento della cosiddetta «patente a punti» per gli edili) e per i quali si prevedono attività finalizzate alla attuazione del Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro. Tutti i su citati gruppi si sono regolarmente insediati e svolgono con continuità le attività loro devolute. All'esito delle attività istruttorie compiute in tali consessi, sono stati elaborati documenti di notevole importanza per gli operatori della salute e sicurezza sul lavoro e altri
sono di prossima emanazione.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta altresì completando talune ulteriori attività, previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008, tra le quali:
la predisposizione, in data 17 novembre 2010, delle indicazioni per la valutazione dello stress lavoro-correlato (articolo 28, comma 1-bis del «Testo unico») da parte della Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro;
la predisposizione del decreto, ai sensi dell'articolo 3, comma 3-bis, del Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, che individua la normativa di salute e di sicurezza che consideri «le peculiari esigenze» di determinati settori ed attività;
la pubblicazione del decreto per l'individuazione delle modalità per l'espletamento delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro e dei criteri per l'abilitazione dei soggetti pubblici o privati legittimati alla realizzazione delle stesse (articolo 71, comma 13, decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni);
la pubblicazione, del decreto, ai sensi dell'articolo 82, comma 2, relativo alle autorizzazioni per i lavori «sotto tensione»;
l'istituzione del Comitato consultivo per l'aggiornamento dei valori limite dell'esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici (articolo 232, comma 1, decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni).

È inoltre incorso l'iter di approvazione del decreto interministeriale per la costituzione e la regolamentazione del Sistema informativo

nazionale per la prevenzione (Sinp), redatto con il costante coinvolgimento del soggetto gestore del trattamento dei relativi dati (Inail) e con quello delle regioni.
Occorre, da ultimo, segnalare che il decreto per la qualificazione delle imprese operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, proposto dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, ha ottenuto parere favorevole della Conferenza Stato-regioni (nella seduta del 20 aprile 2011) e della sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato (nella seduta del 23 luglio 2011). In data 3 agosto 2011, il provvedimento è stato approvato in Consiglio dei ministri.
Il decreto è frutto di un lavoro che ha coinvolto Stato, regioni e parti sociali nell'intento, da tutti condiviso, di predisporre misure innovative ed efficaci a contrasto al fenomeno degli infortuni, gravissimi per numero e drammatici per modalità, verificatisi, negli ultimi anni, nei lavori in ambienti cosiddetti «confinati», quali silos, cisterne e simili.
Infine, va ricordato come il Ministero del lavoro e delle politiche sociali abbia predisposto e messo a disposizione dell'utenza una sezione del sito internet specificamente dedicata alla diffusione di notizie e pubblicazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Tutto quanto sin qui esposto consente di affermare come la riforma delle regole volte a tutelare la salute e sicurezza sul lavoro abbia fornito l'Italia di un sistema di regole moderno e sistematicamente coeso, suscitando un interesse finalmente non più solo specialistico sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, a sua volta importante punto di partenza per l'abbattimento del numero e della gravità degli infortuni e, quindi, delle sofferenze umane e dei danni sociali che simili eventi determinano.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'agenzia «ANSA» il 22 marzo 2011 ha riferito di ben quattro incidenti mortali sul lavoro; la prima vittima, Dante Clementi, era un operaio di Fermo, che impegnato in lavori di scavo è rimasto travolto dal cedimento di un terrapieno che ha trasformato in una tomba la buca di 4-5 metri in cui era sceso;
la seconda vittima, Gennaro Franchini, è morto dopo essere scivolato da una scala, precipitando da un balcone al secondo piano di un edificio mentre montava una tenda da sole in un'abitazione privata a Paolo Del Colle;
la terza vittima, Raffaele Bianchi, era titolare di una piccola impresa di Cesena; era salito su un ponteggio di una casa in ristrutturazione, perdendo l'equilibrio e precipitando dall'impalcatura; la quarta vittima, Pietro Alaimo, era un piccolo imprenditore di un'azienda commerciale di Cerreto Guidi; era salito sul tetto del capannone del maglificio della moglie con un artigiano per verificare lo stato del lucernaio posto a 6-7 metri di altezza, ma è scivolato su una lastra di plastica che ha ceduto sotto il suo peso;
nel bolognese, infine, un operaio è rimasto ustionato da una fuoriuscita di vapore ad alta temperatura, accidentalmente fuoriuscito da una conduttura alla ex Ciba di Pontecchio Marconi, un'azienda chimica della multinazionale BASF; l'uomo, dipendente di una ditta esterna, ha riportato gravi bruciature all'addome e alle braccia; infine un uomo è caduto dal tetto su cui stava facendo lavori di manutenzione da un capannone della ditta di autotrasporti di cui era dipendente a Terni -:
di quali elementi disponga il Ministro in merito alla dinamica degli incidenti; se risulti che le misure di sicurezza previste dalla normativa vigente siano state osservate;

quali iniziative, nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà, intenda intraprendere a fronte di un fenomeno, quello degli incidenti sul lavoro, spesso mortali, che ogni anno assume una dimensione che non è esagerato definire una strage.
(4-11361)

Risposta. - In merito agli infortuni sul lavoro richiamati nell'interrogazione in esame, sulla base degli elementi informativi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
Il signor Dante Clementi era dipendente della ditta Costruttori italiani s.r.l. di Fermo dal 14 gennaio 2011, in qualità di autista-operatore di mezzi meccanici. L'azienda, che opera nel settore dell'industria ed esegue attività di lavori stradali e di movimento terra, è nata dalla cessione di un ramo d'azienda della GECO s.r.l., presso cui il signor Clementi aveva lavorato dal 14 luglio 2008 al 13 gennaio 2011, con la qualifica di operaio.
Per quanto attiene alla dinamica dei fatti, è emerso che la società Rifer Gomme s.r.l. aveva commissionato alla GECO s.r.l. lavori di riparazione di un impianto fognario nel proprio stabilimento sito in località Fermo, via Campiglione 21, danneggiato dall'alluvione del marzo 2011 e dall'esondazione del fiume Ete.
La Costruttori italiani s.r.l. doveva affiancare la GECO s.r.l. nell'esecuzione dei lavori di scavo e di movimento terra.
Il 22 marzo 2011, il signor Clementi, alle ore 7.40, stava eseguendo i lavori di scavo con un escavatore meccanico, coadiuvato dal collega, signor Pasquale Rischioni, dipendente della GECO s.r.l., che doveva provvedere con un autocarro al trasporto della terra movimentata fino al deposito della GECO, sito nella medesima area dello stabilimento in cui venivano effettuati i lavori.
Alle ore 9.45, ultimato lo scavo, i due lavoratori stavano provvedendo a posizionare alcuni tubi fognari sul fondo; il signor Rischioni, sceso all'interno dello scavo, li guidava a mano, mentre il signor Clementi, con l'escavatore, li spingeva per infilarli all'interno di un pozzetto.
Terminato tale lavoro, per consentire ad un autobetoniera di entrare nel cantiere per il getto del calcestruzzo, i due lavoratori si apprestavano a spostare i mezzi. Sceso dall'autocarro, il signor Rischioni avvertiva un rumore alle sue spalle e, improvvisamente, notava il crollo del terriccio all'interno dello scavo. Dopo essersi attivato per cercare il signor Clementi, non vedendolo, iniziava a scavare con le mani, rinvenendo il collega ormai esanime.
Sul luogo dell'incidente sono intervenuti i sanitari dell'Asur - Azienda sanitaria unica regionale di Fermo, che, incaricata di svolgere le relative indagini, provvede a riferire direttamente alla magistratura, i cui atti sono coperti da segreto istruttorio.
Per quanto attiene, invece, all'erogazione delle prestazioni economiche di competenza dell'Inail dovute ai superstiti del lavoratore deceduto, si rende noto che la sede Inail competente ha provveduto ad attivare l'istruttoria, avviando in parallelo un'attività di sostegno attraverso funzionari socio-educativi (assistenti sociali).
In esito all'istruttoria, è stata costituita la rendita a favore del coniuge superstite ed erogato l'assegno funerario. È stata, inoltre, attivata la procedura per la corresponsione della prestazione economica a carico del Fondo di sostegno per i famigliari delle vittime di gravi infortuni sul lavoro.
Per quanto riguarda l'incidente occorso al signor Gennaro Franchini, si rende noto che il 22 marzo 2011, alle ore 8.30 circa, in Palo del Colle, il signor Franchini, pensionato, mentre stava montando una tenda da sole presso l'abitazione di una coppia di coniugi, sita al secondo piano di una palazzina, è precipitato dalla scala a pioli su cui era salito, decedendo sul colpo. Sul posto sono intervenuti i carabinieri di Palo del Colle.
Allo stato risulta pendente un procedimento penale presso la procura della Repubblica del tribunale di Bari.
Circa il signor Raffaele Bianchi, dalle prime informazioni raccolte è risultato che lo stesso, in data 23 marzo 2011, è caduto da un'impalcatura mentre svolgeva lavori di ristrutturazione presso la propria abitazione, sita

nel comune di Borghi (FC) in via Comacchiara n. 25.
Successivamente, è emerso che il signor Raffaele Bianchi era coadiutore famigliare dell'impresa individuale Bianchi Francis, cessata con decorrenza 19 aprile 2011, di cui era titolare il fratello della vittima, firmatario anche della denuncia di infortunio.
Le indagini sono state svolte dall'Asl di Cesena - Servizio di prevenzione e sicurezza nel luoghi di lavoro, dalla quale si è appreso che l'infortunio è avvenuto in assenza di testimoni. La ricostruzione dell'accaduto, effettuata sulla base del tipo di lavorazioni effettuate e della posizione del cadavere al momento del ritrovamento, ha portato a configurare un'errata movimentazione dei carichi e ad ipotizzare profili di responsabilità a carico del fratello del lavoratore deceduto.
La competente Asl ha provveduto quindi a trasmettere il proprio rapporto informativo alla procura della Repubblica di Forlì.
Con riferimento al signor Pietro Rosario Alaimo, è risultato che lo stesso lavorava come collaboratore famigliare presso il maglificio della moglie, con mansioni di maglierista.
L'impresa individuale è proprietaria di una porzione di un capannone industriale sito in Cerreto Guidi (FI), in via Ponte Cerretano n. 21, ove operano diverse ditte.
Dalle indagini ispettive effettuate dalla sede Inail di Empoli, è emerso che il 22 marzo 2011, dovevano essere eseguiti lavori di riparazione di un lucernaio in plastica sito sul tetto del capannone, per eliminare infiltrazioni di acqua piovana. I lavori erano stati commissionati al signor Valerio Pucci, titolare artigiano dell'omonima ditta.
Intorno alle ore 9.00, per poter salire sul tetto del capannone, il signor Pucci utilizzava una scala a pioli, appoggiandola alla facciata dell'edificio. Salito sul tetto e verificato che il lavoro non poteva essere eseguito subito, nello scendere notava che il signor Alaimo era salito sul tetto e si chinava per controllare i punti di rottura del lucernaio.
Nel rialzarsi, il signor Alaimo appoggiava il piede su una parte del lucernaio danneggiata, che cedendo ne provocava la caduta da un'altezza di 6 metri circa, con esito mortale.
Sul luogo dell'incidente sono intervenuti i sanitari del 118, i funzionari dell'Asl 11 - area empolese e i carabinieri della stazione di Vinci (Firenze).
Al fine di accertare la dinamica dell'incidente e le eventuali responsabilità penali, è stato aperto un procedimento penale presso la procura della Repubblica di Firenze.
L'Inail ha provveduto a costituire la rendita a favore del coniuge superstite ed ha aperto l'istruttoria per l'erogazione della prestazione a carico del Fondo di sostegno per i famigliari delle vittime di gravi infortuni sul lavoro.
Con riguardo al signor Guandalini Umberto, lo stesso è dipendente a tempo indeterminato della C.M.G. Costruzioni Meccaniche generali s.r.l. di Ferrara, con la qualifica di operaio termoidraulico tubista.
Il giorno 22 marzo 2011, alle ore 14.30 circa, il signor Guandalini stava lavorando presso un'area coperta della Basf Italia s.p.a. in località Pontecchio Marconi (Bologna) per installare una nuova linea di un impianto di raffreddamento.
Nell'eseguire il lavoro, l'operaio provvedeva inizialmente allo smontaggio delle vecchie tubazioni e, mentre attendeva lo spurgo dell'impianto, a tubazioni aperte, veniva investito da un getto di acqua calda e vapore.
Il lavoratore è stato subito soccorso da alcuni colleghi che provvedevano altresì a contattare i sanitari del 118; sul posto sono intervenuti anche i Carabinieri e gli operatori dell'Asl di Bologna - area Casalecchio di Reno che hanno attivato la relativa inchiesta, i cui esiti sono stati trasmessi alla procura della Repubblica di Bologna.
Al momento dell'infortunio il lavoratore indossava i seguenti dispositivi di protezione individuale: casco, cintura di sicurezza, occhiali, tuta, scarpe di sicurezza.
Dopo il ricovero all'ospedale Maggiore di Bologna, l'infortunato è stato trasferito all'ospedale Bufalini di Cesena - centro ustionati, dove gli sono state diagnosticate ustioni agli arti e all'addome di 1o e 2o grado,

con prognosi riconosciuta dall'Inail fino al 30 maggio 2011.
Per quanto concerne, infine, il signor Matteo Egizi, si rappresenta che lo stesso era titolare di una impresa individuale artigiana senza dipendenti né collaboratori famigliari.

Il giorno 13 febbraio 2011, intorno alle 10.00, il signor Egizi stava effettuando dei lavori di sostituzione di una parte della copertura di un capannone industriale sito in località Narri, Strada Maratta chilometro 7.800, commissionati dalla ditta Eurofin s.r.l. di Avigliano Umbro.
L'artigiano, utilizzando una piattaforma, era salito sul tetto del capannone realizzato in lamiera, allo scopo di riparare una parte del lucernaio in plexiglass, tramite l'applicazione di una lamiera a copertura di un buco di circa un metro quadrato, dal quale penetrava acqua piovana.
Il lavoratore nel compiere tale operazione, cadeva all'interno del buco precipitando da un'altezza di circa 10 metri su alcuni macchinari situati all'interno del capannone.
Dalle indagini effettuate è emerso che il signor Egizi non indossava alcun dispositivo di protezione individuale.
Sul luogo dell'incidente sono intervenuti i sanitari del 118, i carabinieri di Narni Scalo e l'Asl di Terni.
Per quanto riguarda le prestazioni di competenza dell'Inail, è risultato che il lavoratore deceduto era celibe, senza figli e viveva con il padre e due fratelli. Dai primi accertamenti effettuati dalla sede Inail di Terni non sembrano sussistere i presupposti per il riconoscimento della rendita ai superstiti ai sensi dell'articolo 85 del Testo unico 1125/1965.
Tutto ciò premesso, si precisa che il tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali costituisce obiettivo strategico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'Inail, nell'ottica del tendenziale azzeramento del fenomeno infortunistico e tecnopatico.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali intende perseguire, infatti, la promozione di comportamenti rispettosi delle norme di legge applicabili in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed efficaci in funzione prevenzionistica, sia completando l'attuazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni e integrazioni (Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro), sia favorendo ogni iniziativa promozionale idonea a determinare un accrescimento delle conoscenze in materia di salute e sicurezza da parte delle aziende, dei lavoratori e degli studenti, con particolare attenzione all'aspetto della formazione.
In relazione allo specifico e gravissimo problema degli infortuni sul lavoro si rende necessario intervenire sulla formazione-informazione dei lavoratori e delle imprese, nonché sulla prevenzione e sul rafforzamento dei controlli da parte degli enti preposti, al fine di promuovere una consapevolezza sempre più ampia sulle esigenze della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è attivamente impegnato su tali fronti, nell'intento precipuo di favorire il dialogo e la collaborazione fra tutti i soggetti interessati, istituzionali e sociali, al fine di ridurre gli incidenti e le malattie professionali e la diffusione di sempre più elevati standards di sicurezza nei luoghi di lavoro. L'esistenza in concreto di una efficace strategia di contrasto al fenomeno infortunistico non passa solo attraverso il completamento, mediante le fonti di rango secondario previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008, del quadro giuridico di riferimento, ma anche attraverso la realizzazione di una serie di azioni pubbliche e private dirette a migliorare la prevenzione e i livelli di tutela in tutti gli ambienti di lavoro.
Per tale ragione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta attivando ogni possibile sinergia con soggetti pubblici e privati, al fine di migliorare «l'impatto» delle rispettive attività in termini di efficacia.
In tale ottica, si colloca, ad esempio, la definizione, con accordo in Conferenza Stato-regioni del 20 novembre 2008, dei criteri di impiego e l'attivazione delle somme (pari a 50 milioni di euro) di cui all'articolo 11, comma 7,

del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, da destinare in favore di attività promozionali della salute e sicurezza, tra le quali una campagna di comunicazione (per complessivi 20 milioni di euro) sulla salute e sicurezza sul lavoro ed attività di formazione su base regionale (per complessivi 30 milioni di euro).
Con il decreto correttivo n. 106 del 2009 si è poi consentito il superamento delle difficoltà operative da più parti evidenziate nel corso dei primi mesi di applicazione del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, perfezionando in tal modo il quadro normativo e rendendolo, oltre che pienamente coerente con le normative internazionali e comunitarie in materia, idoneo a costituire il fondamento giuridico della strategia di contrasto al fenomeno infortunistico.
L'imprescindibile finalità delle misure varate resta quella di rendere maggiormente effettiva la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro secondo linee di azione consistenti, tra l'altro, nel miglioramento dell'efficacia dell'apparato sanzionatorio al fine precipuo di assicurare una migliore corrispondenza tra infrazioni e sanzioni.
A tale scopo si tiene conto dei compiti effettivamente svolti da ciascun attore della sicurezza, favorendo l'utilizzo di procedure di estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi mediante regolarizzazione da parte del soggetto inadempiente. La sanzione penale è riservata ai soli casi di violazione delle disposizioni sostanziali e non di quelle meramente formali (come, ad esempio, la trasmissione di documentazione, notifiche, eccetera).
Tutti gli interventi proposti garantiscono, in ogni caso, il rispetto dei livelli di tutela oggi assicurati ai lavoratori e alle loro rappresentanze in qualsiasi ambiente di lavoro e in tutto il territorio nazionale, nonché, l'equilibrio delle competenze tra lo Stato e le legioni in materia.
Il risultato finale dell'intervento legislativo di riforma potrà, comunque, compiutamente apprezzarsi una volta che verrà completata l'emanazione di provvedimenti attuativi del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, di grande rilevanza e impatto sulle aziende e sui lavoratori.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali persegue l'obiettivo della riduzione del fenomeno infortunistico anche rafforzando l'efficacia delle attività di vigilanza sui luoghi di lavoro di propria competenza. In tali ambiti, ed in primo luogo nell'edilizia, è stata da tempo fornita alle strutture amministrative di riferimento l'indicazione di realizzare innanzitutto le attività dirette a perseguire le violazioni in materia di salute e sicurezza più gravi, in quanto in grado di mettere in pericolo le vite dei lavoratori. Tale impostazione ha consentito di raggiungere risultati molto soddisfacenti.
Molte delle iniziative dirette alla attuazione delle disposizioni del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro sono devolute dal legislatore alla commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro (articolo 6 del decreto legislativo n. 81 del 2008), composta in maniera paritaria e tripartita da rappresentanti delle amministrazioni pubbliche centrali competenti in materia, delle regioni, dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro. Ricostituita con decreto ministeriale del 3 dicembre 2008, la Commissione ha costituito al suo interno nove gruppi «tecnici» di lavoro, nei quali è garantita la presenza paritetica di rappresentanti delle amministrazioni pubbliche (comprese le regioni) e delle parti sociali, per affrontare, in tali sedi, gli argomenti attribuiti dalla legge alla commissione (ad esempio, l'elaborazione di linee metodologiche per la valutazione dello stress lavoro-correlato, l'individuazione delle regole di funzionamento della cosiddetta «patente a punti» per gli edili) e per i quali si prevedono attività finalizzate alla attuazione del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Tutti su citati gruppi si sono regolarmente insediati e svolgono con continuità le attività loro devolute. All'esito delle attività istruttorie compiute in tali consessi, sono stati elaborati documenti di notevole importanza per gli operatori della salute e sicurezza sul lavoro e altri sono di prossima emanazione.

Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta altresì completando talune ulteriori attività previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008, tra le quali:
la predisposizione, in data 17 novembre 2010, delle indicazioni per la valutazione dello stress lavoro-correlato (articolo 28, comma 1-bis, del «Testo unico») da parte della commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro;
la predisposizione del decreto, ai sensi dell'articolo 3, comma 3-bis, del Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, che individua la normativa di salute e di sicurezza che consideri «le peculiari esigenze» di determinati settori ed attività;
la pubblicazione del decreto per l'individuazione delle modalità per l'espletamento delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro e dei criteri per l'abilitazione dei soggetti pubblici o privati legittimati alla realizzazione delle stesse (articolo 71, comma 13, decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni);
la pubblicazione, del decreto, ai sensi dell'articolo 82, comma 2, relativo alle autorizzazioni per i lavori «sotto tensione»;
l'istituzione del Comitato consultivo per l'aggiornamento dei valori limite dell'esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici (articolo 232, comma 1, decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni).

È inoltre in corso, la predisposizione del decreto interministeriale per la costituzione e la regolamentazione del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (Sinp), redatto con il costante coinvolgimento del soggetto gestore del trattamento dei relativi dati (Inail) e con quello delle regioni.
Occorre, da ultimo, segnalare che il regolamento recante «Norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati», a norma dell'articolo 6, comma 8, lettera g) del decreto legislativo n. 81 del 2008, proposto dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, ha ottenuto il parere favorevole della Conferenza Stato-regioni (nella seduta del 20 aprile 2011) e della sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato (nella seduta del 23 luglio 2011). Il provvedimento, approvato in Consiglio dei ministri, è stato firmato dal Capo dello Stato, ed è attualmente in corso di pubblicazione.
Il decreto è frutto di un lavoro che ha coinvolto Stato, regioni e parti sociali nell'intento, da tutti condiviso, di predisporre misure innovative ed efficaci a contrasto al fenomeno degli infortuni, gravissimi per numero e drammatici per modalità, verificatisi, negli ultimi anni, nei lavori in ambienti cosiddetti «confinati», quali silos, cisterne e simili.
Infine, va ricordato come il Ministero del lavoro e delle politiche sociali abbia predisposto e messo a disposizione dell'utenza una sezione del sito internet specificamente dedicata alla diffusione di notizie e pubblicazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Tutto quanto sin qui esposto consente di affermare come la riforma delle regole volte a tutelare la salute e sicurezza sul lavoro abbia fornito l'Italia di un sistema di regole moderno e sistematicamente corso, suscitando un interesse finalmente non più solo specialistico sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, a sua volta importante punto di partenza per l'abbattimento del numero e della gravità degli infortuni e, quindi, delle sofferenze umane e dei danni sociali che simili eventi determinano.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riferito dalle agenzie di stampa e dai notiziari radio-televisivi del 12 aprile 2011 un incidente nella

raffineria della Saras a Sarroch, in Sardegna, ha causato la morte di un operaio, Pierpaolo Pulvirenti, originario della Sicilia, dipendente della ditta appaltatrice, mentre altri due sono in gravi condizioni;
il gravissimo incidente è avvenuto all'interno di un impianto chiamato Dea, utilizzato per il lavaggio dell'ossido di zolfo;
soccorso dopo esser stato investito da idrogeno solforato mentre effettuava alcuni lavori di manutenzione e pulizia, Pulvirenti ha accusato oltre all'intossicazione anche un arresto cardiaco;
un secondo operaio è in prognosi riservata a causa dell'intossicazione, mentre un terzo si è ferito cadendo da una scala mentre cercava di aiutare i compagni;
il gravissimo incidente che si è consumato nella raffineria Saras a Sarroch è una tragedia che si ripete: già nel 2009 tre operai vi morirono intossicati;
il ripetersi di questi incidenti, dall'inizio dell'anno sono oltre cento le persone che hanno perso la vita in incidenti sul lavoro - una vera e propria strage silente in relazione alla quale l'interrogante ha presentato in moltissimi casi interrogazioni che attendono da tempo risposta -, rivela drammaticamente i gravi ritardi sul versante delle azioni da adottare e intraprendere sul fronte della prevenzione;
che secondo le prime notizie disponibili, sembrerebbe che il lavoratore stesse effettuando un'operazione di pulitura in un sito che pare non fosse stato bonificato;
il tragico ripetersi di questi incidenti mette in evidenza i gravissimi e intollerabili ritardi sul versante delle azioni da compiere per la prevenzione e per il controllo degli appalti -:
di quali elementi disponga il Ministro in merito alla dinamica dell'incidente;
se risulti che le misure di sicurezza previste dalla normativa vigente siano state osservate;
quali iniziative, nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà, intenda intraprendere a fronte di un fenomeno, quello degli incidenti sul lavoro spesso mortali, che ogni assume una dimensione che non è esagerato definire una strage;
con particolare riferimento a quanto accaduto alla raffineria Saras di Sarroch, se non si ritenga di dover assumere le iniziative normative urgenti, sui siti confinati, le cui linee sono già state condivise e concordate nella Commissione consultiva su salute e sicurezza.
(4-11586)

Risposta. - In merito agli infortuni sul lavoro richiamati nell'interrogazione in esame, sulla base degli elementi informativi acquisiti presso i competenti uffici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché di quelli forniti dall'Inail, si rappresenta quanto segue.
I signori Pulvirenti Pierpaolo, Serranò Gabriele e Catania Luigi lavoravano, con la qualifica di operai specializzati, alle dipendenze dell'impresa Star service srl, esercente attività di pulizia e di manutenzione di impianti industriali.
Il 12 aprile 2011, i tre operai si trovavano presso uno degli impianti (Dea3) presenti all'interno della raffineria di proprietà della società Saras spa, in Sarroch (Cagliari), per effettuare, un intervento di manutenzione straordinaria. Tale intervento, in particolare, si sostanziava nella bonifica di una colonna di desolforazione del H2S (idrogeno solforato) mediante lavaggio interno con vapore e acqua demineralizzata.
L'incidente è avvenuto mentre i tre lavoratori stavano effettuando le operazioni di smontaggio delle coperture dei cosiddetti «passi d'uomo» (grandi «tappi circolari» di metallo imbullonati alla struttura), collocati nella colonna, su tre livelli. Successivamente i tre avrebbero dovuto procedere alla rimozione dei piatti di distillazione (disposti orizzontalmente all'interno della colonna) e alla pulizia idrodinamica delle

pareti interne della colonna.
Intorno alle ore 18:45, mentre si trovavano sulla passerella in corrispondenza del «passo d'uomo» intermedio, i signori Serranò e Pulvirenti venivano investiti da un flusso di gas velenosi (probabilmente una miscela tossica di idrogeno solforato) sviluppatosi all'apertura dello stesso.
Il signor Catania, che in quel momento si trovava sulla passerella inferiore, nel tentativo di prestare soccorso ai colleghi, iniziava a salire la scala verticale che conduceva alla passerella superiore ma, improvvisamente, cadeva dalla stessa, riportando gravi ferite.
I soccorritori, intervenuti sul posto, hanno trovato il Pulvirenti e il Serranò privi di sensi. Il primo è stato trasportato presso il policlinico di Monserrato di Cagliari, dove è deceduto durante le prime ore del mattino del giorno successivo; il Serranò è stato invece ricoverato nel reparto di rianimazione dell'ospedale Brotzu di Cagliari mentre il Catania è stato trasportato presso l'ospedale Marino di Cagliari, dove è stato medicato.
Con riferimento alla osservanza della vigente normativa antinfortunistica, la competente Asl, in qualità di organo di polizia giudiziaria, ha reso noto di non avere adottato, allo stato, alcun provvedimento prescrizionale nei confronti della società committente e di quella appaltatrice, in quanto gli accertamenti sono ancora in corso.
Tutto ciò premesso, si precisa che il tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali costituisce obiettivo strategico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'Inail, nell'ottica del tendenziale azzeramento del fenomeno infortunistico e tecnopatico.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali intende perseguire infatti la promozione di comportamenti rispettosi delle norme di legge applicabili in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed efficaci in funzione prevenzionistica, sia completando l'attuazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni e integrazioni (Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro), sia favorendo ogni iniziativa promozionale idonea a determinare un accrescimento delle conoscenze in materia di salute e sicurezza nelle aziende, nei lavoratori e negli studenti, con particolare attenzione all'aspetto della formazione.
In relazione allo specifico e gravissimo problema degli infortuni sul lavoro si rende necessario intervenire sulla formazione-informazione dei lavoratori e delle imprese, nonché sulla prevenzione e sul rafforzamento dei controlli da parte degli enti preposti, al fine di promuovere una consapevolezza sempre più ampia sulle esigenze della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è attivamente impegnato su tali fronti, nell'intento precipuo di favorire il dialogo e la collaborazione fra tutti i soggetti interessati, istituzionali e sociali, al fine di ridurre gli incidenti e le malattie professionali e la diffusione di sempre più elevati standards di sicurezza nei luoghi di lavoro. L'esistenza in concreto di una efficace strategia di contrasto al fenomeno infortunistico non passa solo attraverso il completamento, mediante le fonti di rango secondario previste da decreto legislativo n. 81 del 2008, del quadro giuridico di riferimento ma anche attraverso la realizzazione di una serre di azioni pubbliche e private dirette a migliorare la prevenzione e i livelli di tutela in tutti gli ambienti di lavoro.
Per tale ragione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta attivando ogni possibile sinergia con soggetti pubblici e privati, al fine di migliorare «l'impatto» delle rispettive attività in termini di efficacia.
In tale ottica si colloca, ad esempio, la definizione, con accordo in Conferenza Stato-regioni del 20 novembre 2008, dei criteri di impiego e l'attivazione delle somme (pari a 50 milioni di euro) di cui all'articolo 11, comma 7, del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, da destinare in favore di attività promozionali della salute e sicurezza, tra le quali una campagna di comunicazione (per complessivi 20 milioni di euro)

sulla salute e sicurezza sul lavoro ed attività di formazione su base regionale (per complessivi 30 milioni di euro).
Con il decreto correttivo n. 106 del 2009 si è poi consentito il superamento delle difficoltà operative da più parti evidenziate nel corso dei primi mesi di applicazione del Testo Unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, perfezionando in tal modo il quadro normativo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e rendendolo, oltre che pienamente coerente con le normative internazionali e comunitarie in materia, idoneo a costituire il fondamento giuridico della strategia di contrasto al fenomeno infortunistico.
L'imprescindibile finalità delle misure varate resta quella di rendere maggiormente effettiva la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro secondo linee di azione consistenti, tra l'altro, nel miglioramento dell'efficacia dell'apparato sanzionatorio al fine precipuo di assicurare una migliore corrispondenza tra infrazioni e sanzioni.
A tale scopo si tiene conto dei compiti effettivamente svolti da ciascun attore della sicurezza, favorendo l'utilizzo di procedure di estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi mediante regolarizzazione da parte del soggetto inadempiente. La sanzione penale è riservata ai soli casi di violazione delle disposizioni sostanziali e non di quelle meramente formali (come, ad esempio, la trasmissione di documentazione, notifiche, eccetera).
Tutti gli interventi proposti garantiscono, in ogni caso, il rispetto dei livelli di tutela oggi assicurati ai lavoratori e alle loro rappresentanze in qualsiasi ambiente di lavoro e in tutto il territorio nazionale, nonché, l'equilibrio delle competenze tra lo Stato e le regioni in materia.
Il risultato finale dell'intervento legislativo di riforma potrà, comunque, compiutamente apprezzarsi una volta che verrà completata l'emanazione di provvedimenti attuativi del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, di grande rilevanza e impatto sulle aziende e sui lavoratori.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali persegue l'obiettivo della riduzione del fenomeno infortunistico anche perseguendo la massima efficacia delle attività di vigilanza sui luoghi di lavoro di propria competenza. In tali ambiti, ed in primo luogo nell'edilizia, è stata da tempo fornita alle strutture amministrative di riferimento l'indicazione di realizzare innanzitutto le attività dirette a perseguire le violazioni in materia di salute e sicurezza più gravi, in quanto in grado di mettere in pericolo le vite dei lavoratori. Tale impostazione ha consentito di raggiungere risultati molto soddisfacenti.
Molte delle iniziative dirette alla attuazione delle disposizioni del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro sono devolute dal legislatore alla Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro (articolo 6 del decreto legislativo n. 81 del 2008), composta in maniera paritaria e tripartita da rappresentanti delle amministrazioni pubbliche centrali competenti in materia, delle regioni, dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro. Ricostituita con decreto ministeriale del 3 dicembre 2008, la Commissione ha costituito al suo interno nove gruppi «tecnici» di lavoro, nei quali è garantita la presenza paritetica di rappresentanti delle amministrazioni pubbliche (comprese le regioni) e delle parti sociali, per affrontare, in tali sedi, gli argomenti attribuiti dalla legge alla Commissione (ad esempio, l'elaborazione di linee metodologiche per la valutazione dello stress lavoro-correlato, l'individuazione delle regole di funzionamento della cosiddetta «patente a punti» per gli edili) e per i quali si prevedono attività finalizzate alla attuazione del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Tutti su citati gruppi si sono regolarmente insediati e svolgono con continuità le attività loro devolute.
All'esito delle attività istruttorie compiute in tali consessi, sono stati elaborati documenti di notevole importanza per gli operatori della salute e sicurezza sul lavoro e altri sono di prossima emanazione.

Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta altresì completando talune ulteriori attività previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008, tra le quali:
la predisposizione, in data 17 novembre 2010, delle indicazioni per la valutazione dello stress lavoro-correlato (articolo 28, comma 1-bis, del «Testo unico») da parte della Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro;
la predisposizione del decreto, ai sensi dell'articolo 3, comma 3-bis, del Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, che individua la normativa di salute e di sicurezza che consideri «le peculiari esigenze» di determinati settori ed attività;
la pubblicazione del decreto per l'individuazione delle modalità per l'espletamento delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro e dei criteri per l'abilitazione dei soggetti pubblici o privati legittimati alla realizzazione delle stesse (articolo 71, comma 13, decreto legislativo, n. 81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni);
la pubblicazione, del decreto, ai sensi dell'articolo 82, comma 2, relativo alle autorizzazioni per i lavori «sotto tensione»;
l'istituzione del Comitato consultivo per l'aggiornamento dei valori limite dell'esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici (articolo 332, comma 1, decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni).

È inoltre in corso, la predisposizione del decreto interministeriale per la costituzione e la regolamentazione del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (Sinp), redatto con il costante coinvolgimento del soggetto gestore del trattamento dei relativi dati (Inail) e con quello delle regioni.
Infine, va ricordato come il Ministero del lavoro e delle politiche sociali abbia predisposto e messo a disposizione dell'utenza una sezione del sito internet specificamente dedicata alla diffusione di notizie e pubblicazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Con specifico riferimento a quanto rilevato dall'interrogante in ordine alle iniziative in materia di lavorazioni in «ambienti confinati», si evidenzia che - in data 3 agosto 2011 - il Consiglio dei ministri ha approvato il regolamento recante: Norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, a norma dell'articolo 6, comma 8, lettera g) del decreto legislativo n. 81 del 2008.
Il provvedimento, fortemente voluto dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, stato condiviso da regioni e parti sociali quale misura necessaria per scongiurare il ripetersi di incidenti - troppo frequenti negli ultimi anni (si pensi, ad esempio alle stragi sul lavoro di Mineo e Molfetta, nell'anno 2008, di Sarroch, nell'anno 2009, e di Capua, nell'anno 2010) - con connotati di particolare drammaticità e prevede che in tali contesti possano operare unicamente imprese e lavoratori in possesso di competenze professionali, formazione, informazione e addestramento adeguati al rischio delle attività da realizzare, oltre che a conoscenza delle procedure di sicurezza da applicare e in possesso di informazioni complete sui luoghi di lavoro.
Più nel dettaglio, il decreto in oggetto, che ha già ottenuto la firma del Capo dello Stato ed è attualmente in corso di pubblicazione, prevede le seguenti misure:
imposizione alle imprese e ai lavoratori autonomi, in aggiunta agli obblighi già su di essi gravanti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, dell'obbligo di procedere a specifica informazione, formazione e addestramento - oggetto di verifica di apprendimento e aggiornamento - relativamente ai rischi che sono propri degli «ambienti confinati» e alle peculiari procedure di sicurezza ed emergenza che in tali contesti debbono applicarsi; ciò con riferimento a tutto il personale impiegato, compreso il datore di lavoro;
imposizione ai datori di lavoro delle imprese e ai lavoratori autonomi dell'obbligo di possedere dispositivi di protezione individuale (esempio maschere protettive, imbracature di sicurezza eccetera), strumentazione

e attrezzature di lavoro (esempio rilevatori di gas, respiratori, eccetera), idonei a punire i rischi propri delle attività lavorative in parola e di aver effettuato, sempre in relazione a tutto il personale impiegato, attività di addestramento all'uso corretto di tali dispositivi;
obbligo di presenza di personale esperto, in percentuale non inferiore al 30 per cento della forza lavoro, con esperienza almeno triennale in attività in «ambienti confinati», assunta con contratto di lavoro subordinato o con altri contratti (in questo secondo caso, necessariamente certificati ai sensi del Titolo VIII, capo I, del decreto legislativo n. 276 del 2003) con la necessità che il preposto, che sovrintende sul gruppo di lavoro, abbia in ogni caso tale esperienza (in modo che alla formazione e addestramento il «capo-gruppo» affianchi l'esperienza maturata in concreto);
integrale rispetto degli obblighi in materia di documento unico di regolarità contributiva (Durc) e relativi alla parte economica e normativa della contrattazione di settore, compreso il versamento dell'eventuale contributo all'ente bilaterale di riferimento;
applicazione delle regole della qualificazione non solo nei riguardi dell'impresa appaltatrice ma nei confronti di qualunque soggetto della «filiera», incluse le eventuali imprese subappaltatrici. Peraltro, il subappalto è consentito solo a condizione che sia espressamente autorizzato dal datore di lavoro committente (il quale dovrà, quindi, verificare il possesso da parte dell'impresa subappaltatrice dei requisiti di qualificazione) e che venga certificato, ai sensi del Titolo VIII, capo I, del decreto legislativo n. 276 del 2003.

Inoltre, fatti salvi i requisiti appena riassunti, il provvedimento in parola impone che quando i lavori siano svolti attraverso lo strumento dell'appalto, debba essere garantito che:
prima dell'accesso nei luoghi di lavoro, tutti i lavoratori che verranno impiegati nelle attività (compreso, eventualmente, il datore di lavoro) siano puntualmente e dettagliatamente informati dal datore di lavoro committente di tutti i rischi che possano essere presenti nell'area di lavoro (compresi quelli legati ai precedenti utilizzi). È previsto che tale attività debba essere svolta per un periodo sufficiente e adeguato allo scopo della medesima e, comunque, non inferiore ad un giorno;
il datore di lavoro committente individui un proprio rappresentante, adeguatamente formato, addestrato ed edotto di tutti i rischi dell'ambiente in cui debba svolgersi l'attività dell'impresa appaltatrice o dei lavoratori autonomi, che vigili sulle attività che in tali contesti si realizzino;
durante tutte le fasi delle lavorazioni in ambienti sospetti di inquinamento o «confinati» sia adottata, ed efficacemente attuata, una procedura di lavoro specificamente diretta a eliminare o ridurre al minimo i rischi propri di tali attività. Tali procedure potranno anche essere le buone prassi, in corso di approvazione da parte della Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro.

Tutto quanto sin qui esposto consente di affermare come la riforma delle regole volte a tutelare la salute e sicurezza sul lavoro abbia fornito l'Italia di un sistema di regole moderno e sistematicamente coeso, suscitando un interesse finalmente non più solo specialistico sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, a sua volta importante punto di partenza per l'abbattimento del numero e della gravità degli infortuni e, quindi, delle sofferenze umane e dei danni sociali che simili eventi determinano.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
come riferisce l'agenzia «ANSA» in un suo dispaccio da Marsala il 9 maggio

2011 il signor Angelo Vitello, 37 anni, geometra, componente di un'equipe tecnica di un'impresa privata a cui la direzione dell'ospedale «Borsellino» di Marsala aveva affidato l'incarico di manutenzione dell'impianto elettrico, è deceduto dopo essere precipitato da un terrazzo del settimo piano il signor Vitello, secondo quanto avrebbe riferito un compagno di lavoro, stava ispezionando l'impianto dell'ascensore, quando improvvisamente è stato scaraventato nel vuoto, probabilmente da una folata di vento -:
di quali elementi disponga il Ministro in merito alla dinamica degli incidenti;
se risulti che le misure di sicurezza previste dalla normativa vigente siano state osservate;
quali iniziative nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà, intenda intraprendere a fronte di un fenomeno, quello degli incidenti sul lavoro, spesso mortali, che ogni anno assume una dimensione che non e esagerato definire una strage.
(4-11917)

Risposta. - In merito all'infortunio mortale sul lavoro richiamato nella presente interrogazione, occorso al lavoratore Angelo Vitello, si rappresenta quanto segue.
Dall'accertamento ispettivo effettuato dalla sede INAIL di Trapani è risultato che il lavoratore Angelo Vitello era dipendente della Manutenzioni ospedaliere s.c.a.r.l. di Catania con la qualifica di ingegnere e lavorava da oltre un anno presso l'ospedale «Paolo Borsellino» di Marsala come coordinatore della manutenzione.
Il giorno 9 maggio 2011 alle ore 10 il signor Vitello, insieme ad un collega, doveva effettuare un controllo dei vasi d'espansione dell'impianto termico posti su un solaio di copertura dell'edificio dell'ospedale.
I due lavoratori, pertanto, salivano sul solaio di copertura per effettuare il sopralluogo. Al termine dell'operazione, dopo essere sceso dal solaio, il collega non ritrovava il signor Vitello e si attivava alla sua ricerca. Di lì a poco, affacciandosi dal settimo piano dell'edificio, constatava che il collega era riverso al suolo.
In base alle testimonianze acquisite e alle informazioni rilasciate dagli organi ispettivi della Azienda sanitaria provinciale di Trapani e dalle Forze dell'ordine intervenute sul luogo dell'incidente, sembrerebbe trattarsi di un caso di suicidio. Tale è anche l'ipotesi formulata dal sostituto procuratore della Repubblica di Marsala, coordinatore delle indagini, a seguito del ritrovamento di un biglietto in cui il signor Vitello manifestava la volontà di togliersi la vita.
Il caso è stato trattato dalla sede INAIL di Trapani che, sulla scorta degli elementi d'informazione sopra evidenziati, ha provveduto in data 16 maggio 2011 alla definizione negativa dello stesso in considerazione del rilevato «difetto dell'occasione di lavoro».
Vale la pena, comunque, ricordare che il tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali costituisce obiettivo strategico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'INAIL, nell'ottica del tendenziale azzeramento del fenomeno infortunistico e tecnopatico.
Il Ministero intende perseguire la promozione di comportamenti rispettosi delle norme di legge applicabili in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed efficaci in funzione prevenzionistica sia completando l'attuazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e successive modifiche e integrazioni, il Testo unico di salute e sicurezza sul lavoro, sia favorendo ogni iniziativa promozionale idonea a determinare un accrescimento delle conoscenze in materia di salute e sicurezza nelle aziende, nei lavoratori e negli studenti, con particolare attenzione alla formazione.
In relazione allo specifico e gravissimo problema degli infortuni sul lavoro si rende necessario intervenire sulla formazione-informazione dei lavoratori e delle imprese, nonché sulla prevenzione e sul rafforzamento dei controlli da parte degli enti preposti, al fine di promuovere una consapevolezza sempre più ampia sulle esigenze della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro.

Il Ministero è attivamente impegnato su tali fronti, nell'intento precipuo di favorire il dialogo e la collaborazione fra tutti i soggetti interessati, istituzionali e sociali, al fine di ridurre gli incidenti e le malattie professionali e la diffusione di sempre più elevati standard di sicurezza nei luoghi di lavoro. L'esistenza in concreto di una efficace strategia di contrasto al fenomeno infortunistico non passa solo attraverso il completamento - mediante le fonti di rango secondario previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008 - del quadro giuridico di riferimento ma anche per mezzo della realizzazione di una serie di azioni pubbliche e private dirette a migliorare la prevenzione e i livelli di tutela in tutti gli ambienti di lavoro.
Per tale ragione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta attivando ogni possibile sinergia con soggetti pubblici e privati, per migliorare «l'impatto» delle rispettive attività in termini di efficacia.
In tale ottica si colloca, ad esempio, la definizione, con Accordo in conferenza Stato regioni del 20 novembre 2008, dei criteri di impiego e l'attivazione delle somme (pari a 50 milioni di euro) di cui all'articolo 11, comma 7, del Testo unico, da destinare per attività promozionali della salute e sicurezza, tra le quali una campagna di comunicazione (per l'importo complessivo di 20 milioni di euro) sulla salute e sicurezza sul lavoro ed attività di formazione su base regionale (per complessivi 30 milioni di euro).
Attraverso il decreto correttivo n. 106 del 2009 si è, poi, consentito il superamento delle difficoltà operative da più parti evidenziate nel corso dei primi mesi di applicazione del Testo unico, perfezionando in tal modo il quadro normativo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro rendendolo - oltre che pienamente coerente con le normative internazionali e comunitarie in materia - idoneo a costituire il fondamento giuridico della strategia di contrasto al fenomeno infortunistico.
L'imprescindibile finalità delle misure varate resta quella di rendere maggiormente effettiva la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro secondo linee di azione consistenti, tra l'altro, nel miglioramento dell'efficacia dell'apparato sanzionatorio al fine precipuo di assicurare una migliore corrispondenza tra infrazioni e sanzioni.
A tale scopo si tiene conto dei compiti effettivamente svolti da ciascun attore della sicurezza, favorendo l'utilizzo di procedure di estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi mediante regolarizzazione da parte del soggetto inadempiente. La sanzione penale è riservata ai soli casi di violazione delle disposizioni sostanziali e non di quelle meramente formali (come, ad esempio, la trasmissione di documentazione, notifiche, eccetera).
Tutti gli interventi proposti garantiscono in ogni caso il rispetto dei livelli di tutela oggi assicurati ai lavoratori e alle loro rappresentanze in qualsiasi ambiente di lavoro e in tutto il territorio nazionale, nonché, l'equilibrio delle competenze tra lo Stato e le regioni in materia. Il risultato finale dell'intervento legislativo di riforma potrà, comunque, compiutamente apprezzarsi una volta che verrà completata l'emanazione di provvedimenti attuativi del Testo unico di grande rilevanza e impatto sulle aziende e sui lavoratori.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali persegue l'obiettivo della riduzione del fenomeno infortunistico anche perseguendo la massima efficacia delle attività di vigilanza sui luoghi di lavoro di propria competenza. In tali ambiti, ed in primo luogo nell'edilizia, è stata da tempo fornita alle strutture amministrative di riferimento l'indicazione di realizzare innanzitutto le attività dirette a perseguire le violazioni in materia di salute e sicurezza più gravi, in quanto in grado di mettere in pericolo le vite dei lavoratori. Tale impostazione ha consentito di raggiungere risultati molto soddisfacenti.
Molte delle iniziative dirette alla attuazione delle disposizioni del Testo unico di salute e sicurezza sul lavoro sono devolute dal legislatore alla commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro (articolo 6 del Testo unico), composta in maniera paritaria e tripartita da rappresentanti delle amministrazioni pubbliche centrali competenti in materia, delle regioni, dei sindacati e

delle organizzazioni dei datori di lavoro. Ricostituita con decreto ministeriale del 3 dicembre 2008, la commissione ha costituito al suo interno nove gruppi «tecnici» di lavoro, nei quali è garantita la presenza paritetica di rappresentanti delle amministrazioni pubbliche (comprese le regioni) e delle parti sociali, per affrontare in tali sedi gli argomenti attribuiti dalla legge alla commissione (ad esempio, l'elaborazione di linee metodologiche per la valutazione dello stress lavoro-correlato, l'individuazione delle regole di funzionamento della cosiddetta «patente a punti» per gli edili) e per i quali si prevedono attività finalizzate alla attuazione del Testo unico di salute e sicurezza sul lavoro.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta, altresì, completando talune ulteriori attività, previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008, tra le quali la predisposizione, in data 17 novembre 2010, delle indicazioni per la valutazione dello stress lavoro-correlato (articolo 28, comma 1-bis, del «testo unico») da parte della commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro. In tal modo, la commissione consultiva ha provveduto a fornire agli operatori indicazioni metodologiche necessarie a un corretto adempimento dell'obbligo di valutare il rischio da stress lavoro-correlato in tutti i luoghi di lavoro, pubblici e privati. Al documento, molto atteso dagli operatori della sicurezza, è stata data la massima divulgazione sia tramite lettera circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 18 novembre 2010 che a mezzo pubblicazione sul sito ufficiale del medesimo Ministero e, infine, tramite comunicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 304 dello scorso 30 dicembre 2010.
Inoltre, si sta provvedendo alla predisposizione di uno schema di decreto interministeriale per la costituzione e la regolamentazione del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (cosiddetta SINP), redatto con il costante coinvolgimento del soggetto gestore del trattamento dei relativi dati (INAIL) e con quello delle regioni.
Occorre, da ultimo, segnalare che il decreto per la qualificazione delle imprese operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, proposto dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, è stato definitivamente approvato dal Consiglio dei ministri nella seduta del 3 agosto 2011. Il provvedimento è frutto di un lavoro che ha coinvolto Stato, regioni e parti sociali nell'intento, da tutti condiviso, di predisporre misure innovative ed efficaci a contrasto degli infortuni, gravissimi per numero e drammatici per modalità, verificatisi negli ultimi anni nei lavori in ambienti cosiddetti «confinati», quali silos, cisterne e simili.
Infine, sempre allo scopo di promuovere la diffusione di informazioni in materia, va rimarcato come il Ministero abbia predisposto e messo a disposizione dell'utenza una sezione del sito internet specificamente dedicata alla diffusione di notizie e pubblicazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Tutto quanto sin qui esposto consente di affermare come la riforma delle regole volte a tutelare la salute e sicurezza sul lavoro abbia fornito l'Italia di un sistema di regole moderno e sistematicamente coeso, suscitando un interesse finalmente non più solo specialistico sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, a sua volta importante punto di partenza per l'abbattimento del numero e della gravità degli infortuni e, quindi, delle sofferenze umane e dei danni sociali che simili eventi determinano.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
come riferisce l'agenzia «DIRE» del 6 giugno 2011, un operaio romeno di 25 anni è precipitato dal tetto di un capannone industriale morendo sul colpo; il giovane a quanto risulta stava effettuando lavori

di ristrutturazione per una ditta al solaio di alcuni uffici -:
di quali elementi disponga il Ministro in merito alla dinamica dell'incidente;
se risulti che le misure di sicurezza previste dalla normativa vigente siano state osservate;
quali iniziative, nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà, intenda intraprendere a fronte di un fenomeno, quello degli incidenti sul lavoro, spesso mortali, che ogni anno assume una dimensione che non è esagerato definire una strage.
(4-12197)

Risposta. - In merito all'infortunio mortale sul lavoro, richiamato nell'interrogazione in esame, sulla base degli elementi informativi acquisiti presso i competenti uffici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché di quelli forniti dall'Inail, si rappresenta quanto segue.
Il signor Mihalache Ionut, di nazionalità rumena, era stato assunto, a decorre dal maggio 2011, con mansioni di muratore, alle dipendenze della ditta individuale Pirvu Vasile.
Il 6 giugno 2011, i signori Ionut e Vasile si trovavano in località Borgo Isonzo, (Latina) per eseguire un lavoro di impermeabilizzazione del tetto di un capannone industriale, di proprietà della società De Massimi srl, con la quale la predetta ditta aveva stipulato un contratto di fornitura di servizio.
A tal proposito, si precisa che sono tutt'ora in corso gli accertamenti per verificare se, nell'ambito del predetto contratto di fornitura di servizio, siano state rispettate le misure di sicurezza previste dalla vigente normativa; in ogni caso, dalle informazioni acquisite, sembrerebbe che, al momento dell'infortunio, i signori Ionut e Vasile non indossavano alcun dispositivo di sicurezza.
Con particolare riguardo alla dinamica dell'incidente, nel corso delle indagini effettuate dalla competente Asl, è emerso che i due stavano posizionando un rotolo di guaina bituminosa sopra un cordolo alto circa 50 centimetri. Nel corso di tale operazione, in particolare, il signor Ionut, intento ad effettuare un taglio longitudinale sulla guaina, si trovava ad indietreggiare, precipitando in tal modo dal capannone, da un'altezza di circa 7 metri.
Tutto ciò premesso, si precisa che il tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali costituisce obiettivo strategico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'Inail, nell'ottica del tendenziale azzeramento del fenomeno infortunistico e tecnopatico.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali intende perseguire infatti la promozione di comportamenti rispettosi delle norme di legge applicabili in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed efficaci in funzione prevenzionistica, sia completando l'attuazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni e integrazioni (Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro), sia favorendo ogni iniziativa promozionale idonea a determinare un accrescimento delle conoscenze in materia di salute e sicurezza nelle aziende, nei lavoratori e negli studenti, con particolare attenzione all'aspetto della formazione.
In relazione allo specifico e gravissimo problema degli infortuni sul lavoro si rende necessario intervenire sulla formazione-informazione dei lavoratori e delle imprese, nonché sulla prevenzione e sul rafforzamento dei controlli da parte degli enti preposti, al fine di promuovere una consapevolezza sempre più ampia sulle esigenze della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è attivamente impegnato su tali fronti, nell'intento precipuo di favorire il dialogo e la collaborazione fra tutti i soggetti interessati, istituzionali e sociali, al fine di ridurre gli incidenti e le malattie professionali e la diffusione di sempre più elevati standards di sicurezza nei luoghi di lavoro. L'esistenza in concreto di una efficace strategia di contrasto al fenomeno infortunistico non passa solo attraverso il completamento, mediante le fonti di rango secondario previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008, del

quadro giuridico di riferimento ma anche attraverso la realizzazione di una serie di azioni pubbliche e private dirette a migliorare la prevenzione e i livelli di tutela in tutti gli ambienti di lavoro.
Per tale ragione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta attivando ogni possibile sinergia con soggetti pubblici e privati, al fine di migliorare «l'impatto» delle rispettive attività in termini di efficacia.
In tale ottica si colloca, ad esempio, la definizione, con accordo in Conferenza Stato-regioni del 20 novembre 2008, dei criteri di impiego e l'attivazione delle somme (pari a 50 milioni di euro) di cui all'articolo 11, comma 7, del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, da destinare in favore di attività promozionali della salute e sicurezza, tra le quali una campagna di comunicazione (per complessivi 20 milioni di euro) sulla salute e sicurezza sul lavoro ed attività di formazione su base regionale (per complessivi 30 milioni di euro).
Con il decreto correttivo n. 106 del 2009 si è poi consentito il superamento delle difficoltà operative da più parti evidenziate nel corso dei primi mesi di applicazione del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, perfezionando in tal modo il quadro normativo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e rendendolo, oltre che pienamente coerente con le normative internazionali e comunitarie in materia, idoneo a costituire il fondamento giuridico della strategia di contrasto al fenomeno infortunistico.
L'imprescindibile finalità delle misure varate resta quella di rendere maggiormente effettiva la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro secondo linee di azione consistenti, tra l'altro, nel miglioramento dell'efficacia dell'apparato sanzionatorio al fine precipuo di assicurare una migliore corrispondenza tra infrazioni e sanzioni.
A tale scopo si tiene conto dei compiti effettivamente svolti da ciascun attore della sicurezza, favorendo l'utilizzo di procedure di estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi mediante regolarizzazione da parte del soggetto inadempiente. La sanzione penale è riservata ai soli casi di violazione delle disposizioni sostanziali e non di quelle meramente formali (come, ad esempio, la trasmissione di documentazione, notifiche, eccetera).
Tutti gli interventi proposti garantiscono, in ogni caso, il rispetto dei livelli di tutela oggi assicurati ai lavoratori e alle loro rappresentanze in qualsiasi ambiente di lavoro e in tutto il territorio nazionale, nonché, l'equilibrio delle competenze tra lo Stato e le regioni in materia.
Il risultato finale dell'intervento legislativo di riforma potrà, comunque, compiutamente apprezzarsi una volta che verrà completata l'emanazione di provvedimenti attuativi del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, di grande rilevanza e impatto sulle aziende e sui lavoratori.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali persegue l'obiettivo della riduzione del fenomeno infortunistico anche perseguendo la massima efficacia delle attività di vigilanza sui luoghi di lavoro di propria competenza. In tali ambiti, ed in primo luogo nell'edilizia, è stata da tempo fornita alle strutture amministrative di riferimento l'indicazione di realizzare innanzitutto le attività dirette a perseguire le violazioni in materia di salute e sicurezza più gravi, in quanto in grado di mettere in pericolo le vite dei lavoratori. Tale impostazione ha consentito di raggiungere risultati molto soddisfacenti.
Molte delle iniziative dirette alla attuazione delle disposizioni del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro sono devolute dal legislatore alla Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro (articolo 6 del decreto legislativo n. 81 del 2008), composta in maniera paritaria e tripartita da rappresentanti delle amministrazioni pubbliche centrali competenti in materia, delle regioni, dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro. Ricostituita con decreto ministeriale del 3 dicembre 2008, la Commissione ha costituito al suo interno nove gruppi «tecnici» di lavoro, nei quali è garantita la presenza paritetica di rappresentanti

delle amministrazioni pubbliche (comprese le regioni) e delle parti sociali, per affrontare, in tali sedi, gli argomenti attribuiti dalla legge alla Commissione (ad esempio, l'elaborazione di linee metodologiche per la valutazione dello stress lavoro-correlato, l'individuazione delle regole di funzionamento della cosiddetta «patente a punti» per gli edili) e per i quali si prevedono attività finalizzate alla attuazione del Testo Unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Tutti su citati gruppi si sono regolarmente insediati e svolgono con continuità le attività loro devolute. All'esito delle attività istruttorie compiute in tali consessi, sono stati elaborati documenti di notevole importanza per gli operatori della salute e sicurezza sul lavoro e altri sono di prossima emanazione.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta altresì completando talune ulteriori attività previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008, tra le quali:
la predisposizione, in data 17 novembre 2010, delle indicazioni per la valutazione dello stress lavoro-correlato (articolo 28, comma 1-bis, del «Testo unico») da parte della Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro;
la predisposizione del decreto, ai sensi dell'articolo 3, comma 3-bis, del Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, che individua la normativa di salute e di sicurezza che consideri «le peculiari esigenze» di determinati settori ed attività;
la pubblicazione del decreto per l'individuazione delle modalità per l'espletamento delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro e dei criteri per l'abilitazione dei soggetti pubblici o privati legittimati alla realizzazione delle stesse (articolo 71, comma 13, decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni);
la pubblicazione, del decreto, ai sensi dell'articolo 82, comma 2, relativo alle autorizzazioni per i lavori «sotto tensione»;
l'istituzione del Comitato consultivo per l'aggiornamento dei valori limite dell'esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici (articolo 232, comma del decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni).

È inoltre in corso, la predisposizione del decreto interministeriale per la costituzione e la regolamentazione del sistema informativo nazionale per la prevenzione (Sinp), redatto con il costante coinvolgimento del soggetto gestore del trattamento dei relativi dati (Inail) e con quello delle regioni.
Occorre, da ultimo, segnalare che il regolamento recante: Norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, a norma dell'articolo 6, comma 8, lettera g) del decreto legislativo n. 81 del 2008, proposto dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, ha ottenuto il parere favorevole della Conferenza Stato-regioni (nella seduta del 20 aprile 2011) e della sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato (nella seduta del 23 luglio 2011). Il provvedimento, approvato in Consiglio dei ministri, è stato firmato dal Capo dello Stato, ed è attualmente in corso di pubblicazione.
Il decreto è frutto di un lavoro che ha coinvolto Stato, regioni e parti sociali nell'intento, da tutti condiviso, di predisporre misure innovative ed efficaci a contrasto al fenomeno degli infortuni, gravissimi per numero e drammatici per modalità, verificatisi, negli ultimi anni, nei lavori in ambienti cosiddetti «confinati», quali silos, cisterne e simili.
Infine, va ricordato come il Ministero del lavoro e delle politiche sociali abbia predisposto e messo a disposizione dell'utenza una sezione del sito internet specificamente dedicata alla diffusione di notizie e pubblicazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Tutto quanto sin qui esposto consente di affermare come la riforma delle regole volte a tutelare la salute e sicurezza sul lavoro abbia fornito l'Italia di un sistema di regole moderno e sistematicamente coeso, suscitando un interesse finalmente non più solo specialistico sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, a sua volta importante punto

di partenza per l'abbattimento del numero e della gravità degli infortuni e, quindi, delle sofferenze umane e dei danni sociali che simili eventi determinano.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Per sapere - premesso che:
come riferisce l'agenzia «ANSA» del 6 giugno 2011, due operai sono rimasti uccisi in un incidente sul lavoro a Vipiteno. Le vittime, una di 33 anni, l'altra di 46, lavoravano per un'impresa di manutenzione dei pozzi neri -:
di quali elementi disponga il Ministro in merito alla dinamica dell'incidente;
se risulti che le misure di sicurezza previste dalla normativa vigente siano state osservate;
quali iniziative, nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà, intenda intraprendere a fronte di un fenomeno, quello degli incidenti sul lavoro, spesso mortali, che ogni anno assume una dimensione che non è esagerato definire una strage.
(4-12198)

Risposta. - In merito all'infortunio sul lavoro, richiamato nell'interrogazione in esame, occorso al signor Martin Geiser e al signor Thomas Steger, sulla base degli elementi informativi acquisiti presso i competenti uffici della Provincia autonoma di Bolzano nonché di quelli forniti dall'Inail, si rappresenta quanto segue.
Il signor Geiser, operaio di Merano, e il signor Steger, operaio di nazionalità svizzera, erano entrambi dipendenti a tempo determinato e pieno della Euro Alpe s.r.l. di Bolzano, con le mansioni di fognaioli.
Come riscontrato nel corso delle verifiche effettuate dalla competente Direzione regionale, Inail, si è accertato che il 6 giugno 2011 il signor Geiser, assunto lo stesso giorno, e il suo collega signor Steger, dovevano effettuare un'operazione di spurgo di una fossa biologica condominiale in località Vipiteno.
In particolare, i due lavoratori dovevano provvedere allo svuotamento di quattro vasche di raccolta delle acque nere mediante aspirazione con un tubo collegato ad una autocisterna.
L'operazione doveva essere svolta all'esterno delle cisterne, ma, per cause ancora in corso di accertamento, nel corso della bonifica dell'ultima vasca, il signor Geiger è sceso all'interno della vasca dove, presumibilmente a causa della mancanza di ossigeno oppure per la presenza di idrogeno solforato, è deceduto. L'altro operaio, verosimilmente per soccorrere il collega, è sceso a sua volta nella vasca, decedendo anch'egli.
Nel corso degli accertamenti, è emerso che sul posto non erano presenti le attrezzature ed i dispositivi individuali di sicurezza per svolgere il lavoro all'interno della cisterna (autorespiratori, apparecchi per la ventilazione forzata, dispositivo a tre piedi con argano di soccorso, eccetera). Tuttavia, la tipologia del lavoro svolto non richiedeva che gli operai entrassero nella cisterna, per cui allo stato attuale delle indagini non risulta ancora chiarito il motivo per il quale gli operai sono entrati nella vasca. È, inoltre, risultato che il gli operai avevano completato il lavoro.
Sul luogo dell'incidente sono intervenuti i carabinieri, i vigili del fuoco e gli ispettori del lavoro dell'ufficio sicurezza della provincia autonoma di Bolzano. Si evidenzia che sulle cause e sulle circostanze dell'evento è stata avviata, ed è ancora in corso, l'indagine giudiziaria.
Per quanto riguarda, l'erogazione delle prestazioni spettanti ai superstiti dei lavoratori deceduti, la sede Inail di Merano ha costituito la rendita a favore dei superstiti del signor Geiser, coniuge e due figli, ha erogato l'assegno funerario ed avviato l'istruttoria per il beneficio a carico del fondo di sostegno per i famigliari delle vittime di gravi infortuni sul lavoro, per quanto

riguarda l'altro lavoratore è incorso l'istruttoria per l'erogazione delle prestazioni spettanti.
Tutto ciò premesso, si precisa che il tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali costituisce obiettivo strategico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'Inail, nell'ottica del tendenziale azzeramento del fenomeno infortunistico e tecnopatico.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali intende perseguire, infatti, la promozione di comportamenti rispettosi delle norme di legge applicabili in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed efficaci in funzione prevenzionistica, sia completando l'attuazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni e integrazioni (Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro), sia favorendo ogni iniziativa promozionale idonea a determinare un accrescimento delle conoscenze in materia di salute e sicurezza da parte delle aziende, dei lavoratori e degli studenti, con particolare attenzione all'aspetto della formazione.
In relazione allo specifico e gravissimo problema degli infortuni sul lavoro si rende necessario intervenire sulla formazione-informazione dei lavoratori e delle imprese, nonché sulla prevenzione e sul rafforzamento dei controlli da parte degli enti preposti, al fine di promuovere una consapevolezza sempre più ampia sulle esigenze della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è attivamente impegnato su tali fronti, nell'intento precipuo di favorire il dialogo e la collaborazione fra tutti i soggetti interessati, istituzionali e sociali, al fine di ridurre gli incidenti e le malattie professionali e la diffusione di sempre più elevati standards di sicurezza nei luoghi di lavoro. L'esistenza in concreto di una efficace strategia di contrasto al fenomeno infortunistico non passa solo attraverso il completamento, mediante le fonti di rango secondario previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008, del quadro giuridico di riferimento, ma anche attraverso la realizzazione di una serie di azioni pubbliche e private dirette a migliorare la prevenzione e i livelli di tutela in tutti gli ambienti di lavoro.
Per tale ragione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta attivando ogni possibile sinergia con soggetti pubblici e privati, al fine di migliorare «l'impatto» delle rispettive attività in termini di efficacia.
In tale ottica, si colloca, ad esempio, la definizione, con accordo in Conferenza Stato-regioni del 20 novembre 2008, dei criteri di impiego e l'attivazione delle somme (pari a 50 milioni di euro) di cui all'articolo 11, comma 7, del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, da destinare in favore di attività promozionali della salute e sicurezza, tra le quali una campagna di comunicazione (per complessivi 20 milioni di euro) sulla salute e sicurezza sul lavoro ed attività di formazione su base regionale (per complessivi 30 milioni di euro).
Con il decreto correttivo n. 106 del 2009 si è poi consentito il superamento delle difficoltà operative da più parti evidenziate nel corso dei primi mesi di applicazione del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, perfezionando in tal modo il quadro normativo e rendendolo, oltre che pienamente coerente con le normative internazionali e comunitarie in materia, idoneo a costituire il fondamento giuridico della strategia di contrasto al fenomeno infortunistico.
L'imprescindibile finalità delle misure varate resta quella di rendere maggiormente effettiva la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro secondo linee di azione consistenti, tra l'altro, nel miglioramento dell'efficacia dell'apparato sanzionatorio al fine precipuo di assicurare una migliore corrispondenza tra infrazioni e sanzioni.
A tale scopo si tiene conto dei compiti effettivamente svolti da ciascun attore della sicurezza, favorendo l'utilizzo di procedure di estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi mediante regolarizzazione da parte del soggetto inadempiente. La sanzione penale è riservata ai soli casi di violazione delle disposizioni sostanziali e non di quelle meramente formali (come, ad esempio,

la trasmissione di documentazione, notifiche, eccetera).
Tutti gli interventi proposti garantiscono, in ogni caso, il rispetto dei livelli di tutela oggi assicurati ai lavoratori e alle loro rappresentanze in qualsiasi ambiente di lavoro e in tutto il territorio nazionale, nonché, l'equilibrio delle competenze tra lo Stato e le regioni in materia.
Il risultato finale dell'intervento legislativo di riforma potrà, comunque, compiutamente apprezzarsi una volta che verrà completata l'emanazione di provvedimenti attuativi del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, di grande rilevanza e impatto sulle aziende e sui lavoratori.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali persegue l'obiettivo della riduzione del fenomeno infortunistico anche rafforzando l'efficacia delle attività di vigilanza sui luoghi di lavoro di propria competenza. In tali ambiti, ed in primo luogo nell'edilizia, è stata da tempo fornita alle strutture amministrative di riferimento l'indicazione di realizzare innanzitutto le attività dirette a perseguire le violazioni in materia di salute e sicurezza più gravi, in quanto in grado di mettere in pericolo le vite dei lavoratori. Tale impostazione ha consentito di raggiungere risultati molto soddisfacenti.
Molte delle iniziative dirette alla attuazione delle disposizioni del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro sono devolute dal legislatore alla Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro (articolo 6 del decreto legislativo n. 81 del 2008), composta in maniera paritaria e tripartita da rappresentanti delle amministrazioni pubbliche centrali competenti in materia, delle regioni, dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro. Ricostituita con decreto ministeriale del 3 dicembre 2008, la Commissione ha costituito al suo interno nove gruppi «tecnici» di lavoro, nei quali è garantita la presenza paritetica di rappresentanti delle amministrazioni pubbliche (comprese le regioni) e delle parti sociali, per affrontare, in tali sedi, gli argomenti attribuiti dalla legge alla Commissione (ad esempio, l'elaborazione di linee metodologiche per la valutazione dello stress lavoro-correlato, l'individuazione delle regole di funzionamento della cosiddetta «patente a punti» per gli edili) e per i quali si prevedono attività finalizzate alla attuazione del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Tutti su citati gruppi si sono regolarmente insediati e svolgono con continuità le attività loro devolute. All'esito delle attività istruttorie compiute in tali consessi, sono stati elaborati documenti di notevole importanza per gli operatori della salute e sicurezza sul lavoro e altri sono di prossima emanazione.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta altresì completando talune ulteriori attività previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008, tra le quali:
la predisposizione, in data 17 novembre 2010, delle indicazioni per la valutazione dello stress lavoro-correlato (articolo 28, comma 1-bis, del «Testo unico») da parte della Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro;
la predisposizione del decreto, ai sensi dell'articolo 3, comma 3-bis, del Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, che individua la normativa di salute e di sicurezza che consideri «le peculiari esigenze» di determinati settori ed attività;
la pubblicazione del decreto per l'individuazione delle modalità per l'espletamento delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro e dei criteri per l'abilitazione dei soggetti pubblici o privati legittimati alla realizzazione delle stesse (articolo 71, comma 13, decreto legislativo, n. 81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni);
la pubblicazione, del decreto, ai sensi dell'articolo 82, comma 2, relativo alle autorizzazioni per i lavori «sotto tensione»;
l'istituzione del Comitato consultivo per l'aggiornamento dei valori limite dell'esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici (articolo 232, comma 1, decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni).

È inoltre in corso, la predisposizione del decreto interministeriale per la costituzione e la regolamentazione del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (Sinp), redatto con il costante coinvolgimento del soggetto gestore del trattamento dei relativi dati (Inail) e con quello delle regioni.
Occorre, da ultimo, segnalare che il regolamento recante: Norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, a norma dell'articolo 6, comma 8, lettera g) del decreto legislativo n. 81 del 2008, proposto dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, ha ottenuto il parere favorevole della Conferenza Stato-regioni (nella seduta del 20 aprile 2011) e della sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato (nella seduta del 23 luglio 2011). Il provvedimento, approvato in Consiglio dei Ministri, è stato firmato dal Capo dello Stato, ed è attualmente in corso di pubblicazione.
Il decreto è frutto di un lavoro che ha coinvolto Stato, regioni e parti sociali nell'intento, da tutti condiviso, di predisporre misure innovative ed efficaci a contrasto al fenomeno degli infortuni, gravissimi per numero e drammatici per modalità, verificatisi, negli ultimi anni, nei lavori in ambienti cosiddetti «confinati», quali silos, cisterne e simili.
Infine, va ricordato come il Ministero del lavoro e delle politiche sociali abbia predisposto e messo a disposizione dell'utenza una sezione del sito internet specificamente dedicata alla diffusione di notizie e pubblicazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Tutto quanto sin qui esposto consente di affermare come la riforma delle regole volte a tutelare la salute e sicurezza sul lavoro abbia fornito l'Italia di un sistema di regole moderno e sistematicamente coeso, suscitando un interesse finalmente non più solo specialistico sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, a sua volta importante punto di partenza per l'abbattimento del numero e della gravità degli infortuni e, quindi, delle sofferenze umane e dei danni sociali che simili eventi determinano.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
un operaio di nazionalità polacca la mattina del 30 giugno 2011 è deceduto vittima dell'ennesimo incidente sul lavoro, questa volta a Pognano, in provincia di Bergamo;
secondo quanto riferito dall'agenzia «Ansa», l'uomo sarebbe stato travolto da una pesante lastra, forse di cemento, mentre lavorava in un'azienda lungo la strada provinciale nella zona industriale del paese -:
di quali elementi disponga in relazione alla dinamica dell'incidente;
se siano state rispettate le normative sulla sicurezza del lavoro;
quali iniziative si intendano promuovere o adottare in relazione a vicende come quella sopra segnalata, che per dimensioni - dall'inizio dell'anno risultano essere decedute almeno 259 persone per incidenti sul lavoro, 439.834 sono stati gli infortuni, 1.039 gli invalidi - assume i connotati di quella che non è esagerato definire una strage.
(4-12547)

Risposta. - In merito all'infortunio, mortale sul lavoro occorso al signor Jan Tomasz Wisniowski, richiamato nell'interrogazione in esame, sulla base degli elementi informativi acquisiti presso i competenti uffici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché di quelli forniti dall'Inail, si rappresenta quanto segue.
Il signor Jan Tomasz Wisniowski, nato in Polonia il 5 aprile 1986 e residente in Covo (Bergamo), lavorava alle dipendenze della società Isocell Precompressi spa, con sede

legale in Pognano (Bergamo), operante nel settore della produzione di calcestruzzo e manufatti prefabbricati per l'edilizia.
Il lavoratore era regolarmente assunto dalla società con la qualifica di operaio di livello E e mansioni di addetto alla movimentazione di pannelli prefabbricati.
Il 30 giugno 2011, intorno alle ore 7,45, il Wisniowski si trovava nel reparto «stoccaggio pannelli» della ditta, per effettuare la movimentazione di un pannello di cemento, del peso di circa 1,80 tonnellate, tramite l'utilizzo di un carroponte dallo stesso manovrato a mezzo di un telecomando.
Secondo una prima ricostruzione effettuata dai tecnici Asl di Treviglio (Bergamo), prontamente intervenuti sul luogo dell'infortunio, l'operaio, al termine della manovra, avrebbe appoggiato il pannello in bilico su una traversa del carroponte, provvedendo successivamente a sganciare manualmente le apposite chiusure di sicurezza. Conseguentemente, il pannello, svincolato dal carroponte, non essendo più in equilibrio sulla base d'appoggio, si capovolgeva travolgendo il lavoratore e causandone il decesso sul colpo.
Nel corso degli accertamenti non sono emerse carenze né violazioni relative all'attrezzatura in uso al momento dell'infortunio. La ditta risulta aver predisposto idonee procedure e relative istruzioni operative con definizione delle regole sul sollevamento e la movimentazione dei carichi.
L'operaio coinvolto nell'infortunio è risultato essere persona adeguatamente formata e addestrata all'utilizzo del carroponte, con esperienza specifica in relazione alla mansione svolta.
Sono tutt'ora in corso ulteriori indagini, da parte del competente organo di polizia giudiziaria, volte ad accertare l'esatta dinamica dell'incidente.
Tutto ciò premesso, si precisa che il tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali costituisce obiettivo strategico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'Inail, nell'ottica del tendenziale azzeramento del fenomeno infortunistico e tecnopatico.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali intende perseguire infatti la promozione di comportamenti rispettosi delle norme di legge applicabili in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed efficaci in funzione prevenzionistica, sia completando l'attuazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni e integrazioni (Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro), sia favorendo ogni iniziativa promozionale idonea a determinare un accrescimento delle conoscenze in materia di salute e sicurezza nelle aziende, nei lavoratori e negli studenti, con particolare attenzione all'aspetto della formazione.
In relazione allo specifico e gravissimo problema degli infortuni sul lavoro si rende necessario intervenire sulla formazione-informazione dei lavoratori e delle imprese, nonché sulla prevenzione e sul rafforzamento dei controlli da parte degli enti preposti, al fine di promuovere una consapevolezza sempre più ampia sulle esigenze della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è attivamente impegnato su tali fronti, nell'intento precipuo di favorire il dialogo e la collaborazione fra tutti i soggetti interessati, istituzionali e sociali, al fine di ridurre gli incidenti e le malattie professionali e la diffusione di sempre più elevati
standards di sicurezza nei luoghi di lavoro. L'esistenza in concreto di una efficace strategia di contrasto al fenomeno infortunistico non passa solo attraverso il completamento, mediante le fonti di rango secondario previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008, del quadro giuridico di riferimento ma anche attraverso la realizzazione di una serie di azioni pubbliche e private dirette a migliorare la prevenzione e i livelli di tutela in tutti gli ambienti di lavoro.
Per tale ragione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta attivando ogni possibile sinergia con soggetti pubblici e privati, al fine di migliorare «l'impatto» delle rispettive attività in termini di efficacia.


In tale ottica si colloca, ad esempio, la definizione, con Accordo in Conferenza Stato-regioni del 20 novembre 2008, dei criteri di impiego e l'attivazione delle somme (pari a 50 milioni di euro) di cui all'articolo 11, comma 7, del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, da destinare in favore di attività promozionali della salute e sicurezza, tra le quali una campagna di comunicazione (per complessivi 20 milioni di euro) sulla salute e sicurezza sul lavoro ed attività di formazione su base regionale (per complessivi 30 milioni di euro).
Con il decreto correttivo n. 106 del 2009 si è poi consentito il superamento delle difficoltà operative da più parti evidenziate nel corso dei primi mesi di applicazione del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, perfezionando in tal modo il quadro normativo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e rendendolo, oltre che pienamente coerente con le normative internazionali e comunitarie in materia, idoneo a costituire il fondamento giuridico della strategia di contrasto al fenomeno infortunistico.
L'imprescindibile finalità delle misure varate resta quella di rendere maggiormente effettiva la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro secondo linee di azione consistenti, tra l'altro, nel miglioramento dell'efficacia dell'apparato sanzionatorio al fine precipuo di assicurare una migliore corrispondenza tra infrazioni e sanzioni.
A tale scopo si tiene conto dei compiti effettivamente svolti da ciascun attore della sicurezza, favorendo l'utilizzo di procedure di estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi mediante regolarizzazione da parte del soggetto inadempiente. La sanzione penale è riservata ai soli casi di violazione delle disposizioni sostanziali e non di quelle meramente formali (come, ad esempio, la trasmissione di documentazione, notifiche, eccetera).
Tutti gli interventi proposti garantiscono, in ogni caso, il rispetto dei livelli di tutela oggi assicurati ai lavoratori e alle loro rappresentanze in qualsiasi ambiente di lavoro e in tutto il territorio nazionale, nonché, l'equilibrio delle competenze tra lo Stato e le Regioni in materia.
Il risultato finale dell'intervento legislativo di riforma potrà, comunque, compiutamente apprezzarsi una volta che verrà completata l'emanazione di provvedimenti attuativi del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, di grande rilevanza e impatto sulle aziende e sui lavoratori.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali persegue l'obiettivo della riduzione del fenomeno infortunistico anche perseguendo la massima efficacia delle attività di vigilanza sui luoghi di lavoro di propria competenza. In tali ambiti, ed in primo luogo nell'edilizia, è stata da tempo fornita alle strutture amministrative di riferimento l'indicazione di realizzare innanzitutto le attività dirette a perseguire le violazioni in materia di salute e sicurezza più gravi, in quanto in grado di mettere in pericolo le vite dei lavoratori. Tale impostazione ha consentito di raggiungere risultati molto soddisfacenti.
Molte delle iniziative dirette alla attuazione delle disposizioni del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro sono devolute dal legislatore alla Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro (articolo 6 del decreto legislativo n. 81 del 2008), composta in maniera paritaria e tripartita da rappresentanti delle amministrazioni pubbliche centrali competenti in materia, delle regioni, dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro. Ricostituita con decreto ministeriale del 3 dicembre 2008, la Commissione ha costituito al suo interno nove gruppi «tecnici» di lavoro, nei quali è garantita la presenza paritetica di rappresentanti delle amministrazioni pubbliche (comprese le regioni) e delle parti sociali, per affrontare, in tali sedi, gli argomenti attribuiti dalla legge alla Commissione (ad esempio, l'elaborazione di linee metodologiche per la valutazione dello
stress lavoro-correlato, l'individuazione delle regole di funzionamento della cosiddetta «patente a punti» per gli edili) e per i quali si prevedono attività finalizzate alla attuazione del Testo unico in materia di tutela della salute

e sicurezza nei luoghi di lavoro. Tutti su citati gruppi si sono regolarmente insediati e svolgono con continuità le attività loro devolute. All'esito delle attività istruttorie compiute in tali consessi, sono stati elaborati documenti di notevole importanza per gli operatori della salute e sicurezza sul lavoro e altri sono di prossima emanazione.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta altresì completando talune ulteriori attività previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008, tra le quali:
la predisposizione, in data 17 novembre 2010, delle indicazioni per la valutazione dello
stress lavoro-correlato (articolo 28, comma 1-bis, del «Testo unico») da parte della Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro;
la predisposizione del decreto, ai sensi dell'articolo 3, comma 3-
bis, del Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, che individua la normativa di salute e di sicurezza che consideri «le peculiari esigenze» di determinati settori ed attività;
la pubblicazione del decreto per l'individuazione delle modalità per l'espletamento delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro e dei criteri per l'abilitazione dei soggetti pubblici o privati legittimati alla realizzazione delle stesse (articolo 71, comma 13, decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni);
la pubblicazione, del decreto, ai sensi dell'articolo 82, comma 2, relativo alle autorizzazioni per i lavori «sotto tensione»;
l'istituzione del Comitato consultivo per l'aggiornamento dei valori limite dell'esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici (articolo 232, comma 1, decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni).

È inoltre in corso, la predisposizione del decreto interministeriale per la costituzione e la regolamentazione del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (Sinp), redatto con il costante coinvolgimento del soggetto gestore del trattamento dei relativi dati (Inail) e con quello delle regioni.
Occorre, da ultimo, segnalare che il Regolamento recante: Norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, a norma dell'articolo 6, comma 8, lettera
g) del decreto legislativo n. 81 del 2008, proposto dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, ha ottenuto il parere favorevole della conferenza Stato-regioni (nella seduta del 20 aprile 2011) e della sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato (nella seduta del 23 luglio 2011). Il provvedimento, approvato in Consiglio dei Ministri, è stato firmato dal Capo dello Stato, ed è in corso di pubblicazione.
Il decreto è frutto di un lavoro che ha coinvolto Stato, regioni e parti sociali nell'intento, da tutti condiviso, di predisporre misure innovative ed efficaci a contrasto al fenomeno degli infortuni, gravissimi per numero e drammatici per modalità, verificatisi, negli ultimi anni, nei lavori in ambienti cosiddetti «confinati», quali
silos, cisterne e simili.
Infine, va ricordato come il Ministero del lavoro e delle politiche sociali abbia predisposto e messo a disposizione dell'utenza una sezione del sito
internet specificamente dedicata alla diffusione di notizie e pubblicazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Tutto quanto sin qui esposto consente di affermare come la riforma delle regole volte a tutelare la salute e sicurezza sul lavoro abbia fornito l'Italia di un sistema di regole moderno e sistematicamente coeso, suscitando un interesse finalmente non più solo specialistico sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, a sua volta importante punto di partenza per l'abbattimento del numero e della gravità degli infortuni e, quindi, delle sofferenze umane e dei danni sociali che simili eventi determinano.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
un operaio di nazionalità polacca la mattina del 30 giugno 2011 è deceduto vittima dell'ennesimo incidente sul lavoro, questa volta a Pognano, in provincia di Bergamo;
secondo quanto riferito dall'agenzia Ansa, l'uomo sarebbe stato travolto da una pesante lastra, forse di cemento, mentre lavorava in un'azienda lungo la strada provinciale nella zona industriale del paese;
quale sia stata l'esatta dinamica dell'incidente;
se fossero state rispettate le normative previste sulla sicurezza del lavoro -:
quali iniziative si intendano promuovere, sollecitare, adottare in relazione a vicende come quella sopra segnalata, che per dimensioni - dall'inizio dell'anno risultano essere decedute almeno 270 persone per incidenti sul lavoro; 457.260 sono stati gli infortuni, 1.080 gli invalidi - assume i connotati di quella che non è esagerato definire una strage.
(4-12624)

Risposta. - In merito all'infortunio, mortale sul lavoro occorso al signor Jan Tomasz Wisniowski, richiamato nell'interrogazione in esame, sulla base degli elementi informativi acquisiti presso i competenti uffici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché di quelli forniti dall'Inail, si rappresenta quanto segue.
Il signor Jan Tomasz Wisniowski, nato in Polonia il 5 aprile 1986 e residente in Covo (Bergamo), lavorava alle dipendenze della società Isocell Precompressi spa, con sede legale in Pognano (Bergamo), operante nel settore della produzione di calcestruzzo e manufatti prefabbricati per l'edilizia.
Il lavoratore era regolarmente assunto dalla società con la qualifica di operaio di livello E e mansioni di addetto alla movimentazione di pannelli prefabbricati.
Il 30 giugno 2011, intorno alle ore 7,45, il Wisniowski si trovava nel reparto «stoccaggio pannelli» della ditta, per effettuare la movimentazione di un pannello di cemento, del peso di circa 1,80 tonnellate, tramite l'utilizzo di un carroponte dallo stesso manovrato a mezzo di un telecomando.
Secondo una prima ricostruzione effettuata dai tecnici Asl di Treviglio (Bergamo), prontamente intervenuti sul luogo dell'infortunio, l'operaio, al termine della manovra, avrebbe appoggiato il pannello in bilico su una traversa del carroponte, provvedendo successivamente a sganciare manualmente le apposite chiusure di sicurezza. Conseguentemente, il pannello, svincolato dal carroponte, non essendo più in equilibrio sulla base d'appoggio, si capovolgeva travolgendo il lavoratore e causandone il decesso sul colpo.
Da una prima valutazione non sono emerse carenze né violazioni relative all'attrezzatura in uso al momento dell'infortunio. La ditta risulta aver predisposto idonee procedure e relative istruzioni operative con definizione delle regole sul sollevamento e la movimentazione dei carichi.
L'operaio coinvolto nell'infortunio è risultato essere persona adeguatamente formata e addestrata all'utilizzo del carroponte, con esperienza specifica in relazione alla mansione svolta.
Sono tuttavia ancora in corso ulteriori indagini, da parte del competente organo di polizia giudiziaria, volte ad accertare l'esatta dinamica dell'incidente.
Tutto ciò premesso, si precisa che il tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali costituisce obiettivo strategico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'Inail, nell'ottica del tendenziale azzeramento del fenomeno infortunistico e tecnopatico.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali intende perseguire infatti la promozione di comportamenti rispettosi delle norme di legge applicabili in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed efficaci in funzione prevenzionistica, sia completando l'attuazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni e

integrazioni (Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro), sia favorendo ogni iniziativa promozionale idonea a determinare un accrescimento delle conoscenze in materia di salute e sicurezza nelle aziende, nei lavoratori e negli studenti, con particolare attenzione all'aspetto della formazione.
In relazione allo specifico e gravissimo problema degli infortuni sul lavoro si rende necessario intervenire sulla formazione-informazione dei lavoratori e delle imprese, nonché sulla prevenzione e sul rafforzamento dei controlli da parte degli enti preposti, al fine di promuovere una consapevolezza sempre più ampia sulle esigenze della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è attivamente impegnato su tali fronti, nell'intento precipuo di favorire il dialogo e la collaborazione fra tutti i soggetti interessati, istituzionali e sociali, al fine di ridurre gli incidenti e le malattie professionali e la diffusione di sempre più elevati
standards di sicurezza nei luoghi di lavoro. L'esistenza in concreto di una efficace strategia di contrasto al fenomeno infortunistico non passa solo attraverso il completamento, mediante le fonti di rango secondario previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008, del quadro giuridico di riferimento ma anche attraverso la realizzazione di una serie di azioni pubbliche e private dirette a migliorare la prevenzione e i livelli di tutela in tutti gli ambienti di lavoro.
Per tale ragione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta attivando ogni possibile sinergia con soggetti pubblici e privati, al fine di migliorare «l'impatto» delle rispettive attività in termini di efficacia.
In tale ottica si colloca, ad esempio, la definizione, con Accordo in Conferenza Stato-regioni del 20 novembre 2008, dei criteri di impiego e l'attivazione delle somme (pari a 50 milioni di euro) di cui all'articolo 11, comma 7, del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, da destinare in favore di attività promozionali della salute e sicurezza, tra le quali una campagna di comunicazione (per complessivi 20 milioni di euro) sulla salute e sicurezza sul lavoro ed attività di formazione su base regionale (per complessivi 30 milioni di euro).
Con il decreto correttivo n. 106 del 2009 si è poi consentito il superamento delle difficoltà operative da più parti evidenziate nel corso dei primi mesi di applicazione del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, perfezionando in tal modo il quadro normativo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e rendendolo, oltre che pienamente coerente con le normative internazionali e comunitarie in materia, idoneo a costituire il fondamento giuridico della strategia di contrasto al fenomeno infortunistico.
L'imprescindibile finalità delle misure varate resta quella di rendere maggiormente effettiva la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro secondo linee di azione consistenti, tra l'altro, nel miglioramento dell'efficacia dell'apparato sanzionatorio al fine precipuo di assicurare una migliore corrispondenza tra infrazioni e sanzioni.
A tale scopo si tiene conto dei compiti effettivamente svolti da ciascun attore della sicurezza, favorendo l'utilizzo di procedure di estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi mediante regolarizzazione da parte del soggetto inadempiente. La sanzione penale è riservata ai soli casi di violazione delle disposizioni sostanziali e non di quelle meramente formali (come, ad esempio, la trasmissione di documentazione, notifiche, eccetera).
Tutti gli interventi proposti garantiscono, in ogni caso, il rispetto dei livelli di tutela oggi assicurati ai lavoratori e alle loro rappresentanze in qualsiasi ambiente di lavoro e in tutto il territorio nazionale, nonché, l'equilibrio delle competenze tra lo Stato e le Regioni in materia.
Il risultato finale dell'intervento legislativo di riforma potrà, comunque, compiutamente apprezzarsi una volta che verrà completata l'emanazione di provvedimenti attuativi del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, di grande rilevanza e impatto sulle aziende e sui lavoratori.


Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali persegue l'obiettivo della riduzione del fenomeno infortunistico anche perseguendo la massima efficacia delle attività di vigilanza sui luoghi di lavoro di propria competenza. In tali ambiti, ed in primo luogo nell'edilizia, è stata da tempo fornita alle strutture amministrative di riferimento l'indicazione di realizzare innanzitutto le attività dirette a perseguire le violazioni in materia di salute e sicurezza più gravi, in quanto in grado di mettere in pericolo le vite dei lavoratori. Tale impostazione ha consentito di raggiungere risultati molto soddisfacenti.
Molte delle iniziative dirette alla attuazione delle disposizioni del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro sono devolute dal legislatore alla Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro (articolo 6 del decreto legislativo n. 81 del 2008), composta in maniera paritaria e tripartita da rappresentanti delle amministrazioni pubbliche centrali competenti in materia, delle regioni, dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro. Ricostituita con decreto ministeriale del 3 dicembre 2008, la Commissione ha costituito al suo interno nove gruppi «tecnici» di lavoro, nei quali è garantita la presenza paritetica di rappresentanti delle amministrazioni pubbliche (comprese le regioni) e delle parti sociali, per affrontare, in tali sedi, gli argomenti attribuiti dalla legge alla Commissione (ad esempio, l'elaborazione di linee metodologiche per la valutazione dello
stress lavoro-correlato, l'individuazione delle regole di funzionamento della cosiddetta «patente a punti» per gli edili) e per i quali si prevedono attività finalizzate alla attuazione del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Tutti su citati gruppi si sono regolarmente insediati e svolgono con continuità le attività loro devolute. All'esito delle attività istruttorie compiute in tali consessi, sono stati elaborati documenti di notevole importanza per gli operatori della salute e sicurezza sul lavoro e altri sono di prossima emanazione.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta altresì completando talune ulteriori attività previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008, tra le quali:
la predisposizione, in data 17 novembre 2010, delle indicazioni per la valutazione dello
stress lavoro-correlato (articolo 28, comma 1-bis, del «Testo unico») da parte della Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro;
la predisposizione del decreto, ai sensi dell'articolo 3, comma 3-
bis, del Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, che individua la normativa di salute e di sicurezza che consideri «le peculiari esigenze» di determinati settori ed attività;
la pubblicazione del decreto per l'individuazione delle modalità per l'espletamento delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro e dei criteri per l'abilitazione dei soggetti pubblici o privati legittimati alla realizzazione delle stesse (articolo 71, comma 13, decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni);
la pubblicazione, del decreto, ai sensi dell'articolo 82, comma 2, relativo alle autorizzazioni per i lavori «sotto tensione»;
l'istituzione del Comitato consultivo per l'aggiornamento dei valori limite dell'esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici (articolo 232, comma 1, decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni).

È inoltre in corso, la predisposizione del decreto interministeriale per la costituzione e la regolamentazione del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (Sinp), redatto con il costante coinvolgimento del soggetto gestore del trattamento dei relativi dati (Inail) e con quello delle regioni.
Occorre, da ultimo, segnalare che il Regolamento recante: Norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, a norma dell'articolo 6, comma 8, lettera
g) del decreto legislativo n. 81 del 2008, proposto dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali,

ha ottenuto il parere favorevole della conferenza Stato-regioni (nella seduta del 20 aprile 2011) e della sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato (nella seduta del 23 luglio 2011). Il provvedimento, approvato in Consiglio dei Ministri, è stato firmato dal Capo dello Stato, ed è in corso di pubblicazione.
Il decreto è frutto di un lavoro che ha coinvolto Stato, regioni e parti sociali nell'intento, da tutti condiviso, di predisporre misure innovative ed efficaci a contrasto al fenomeno degli infortuni, gravissimi per numero e drammatici per modalità, verificatisi, negli ultimi anni, nei lavori in ambienti cosiddetti «confinati», quali
silos, cisterne e simili.
Infine, va ricordato come il Ministero del lavoro e delle politiche sociali abbia predisposto e messo a disposizione dell'utenza una sezione del sito
internet specificamente dedicata alla diffusione di notizie e pubblicazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Tutto quanto sin qui esposto consente di affermare come la riforma delle regole volte a tutelare la salute e sicurezza sul lavoro abbia fornito l'Italia di un sistema di regole moderno e sistematicamente coeso, suscitando un interesse finalmente non più solo specialistico sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, a sua volta importante punto di partenza per l'abbattimento del numero e della gravità degli infortuni e, quindi, delle sofferenze umane e dei danni sociali che simili eventi determinano.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

FEDI, GIANNI FARINA, GARAVINI, NARDUCCI e PORTA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il consolato di Brisbane, come altri in Australia e nel resto del mondo, è coinvolto in un'articolata opera di razionalizzazione di risorse umane e materiali;
i cittadini italiani attualmente iscritti all'AIRE per la circoscrizione di Brisbane sono 14.419;
nell'anno 2008, l'ufficio era diretto da un funzionario della carriera diplomatica che poteva disporre di 12 impiegati, ivi incluso un vicario appartenente alla III Area F3;
da allora, oltre al console, quattro elementi hanno lasciato l'ufficio senza essere stati avvicendati, ed altri tre, ivi incluso l'attuale reggente, cesseranno da questa sede entro la fine dell'anno;
l'attuale reggente è in via di trasferimento a Canberra presso l'ambasciata e il contabile è stato richiamato in Italia dal mese di agosto senza una opportuna sostituzione. La posizione di contabile, peraltro, è già rimasta vacante sull'ultima lista ordinaria e, a fine agosto, risultava ancora in fase di pubblicizzazione;
in vista di questi ultimi trasferimenti si prospetta un periodo durante il quale l'ufficio del consolato di Brisbane si troverà nell'impossibilità di provvedere correttamente alla gestione contabile e a tutti gli adempimenti amministrativi;
con un organico ridotto ai minimi termini potranno crearsi situazioni di estrema criticità e la paralisi di alcuni settori vitali del servizio al pubblico -:
se questa situazione sia determinata dalla decisione di chiudere la sede di Brisbane;
se, invece, la decisione, come sembra, non è stata ancora presa, in conformità a quali disposizioni non si procede alla destinazione presso questa sede di un capo missione e di un contabile;
quali interventi si intendano garantire per assicurare al consolato di Brisbane una operatività sia pur minima ed evitare ricadute disastrose sul servizio al pubblico e sull'immagine del nostro Paese per i disservizi che, inevitabilmente, verranno a crearsi.
(4-13417)

Risposta. - Preme innanzitutto sottolineare che i provvedimenti riguardanti la sede consolare di Brisbane fanno parte del generale esercizio volto a riorganizzare la rete

consolare italiana, in assoluto una delle più estese al mondo. Difatti, il Consolato di Brisbane risulta compreso nel piano di razionalizzazione della rete menzionato dall'interrogante e presentato in più occasioni, a partire dal maggio 2009, alle Commissioni Affari esteri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, al Cgie e alle organizzazioni sindacali.
Tale piano di razionalizzazione - che inizialmente prevedeva scadenze più ravvicinate per l'attuazione dei provvedimenti di chiusura e già
ab origine contemplava la ripartizione delle competenze di Brisbane tra il consolato generale di Sydney e il consolato di Perth - è stato costantemente oggetto di ponderata riflessione, in funzione degli approfondimenti svolti dall'Amministrazione in merito ai singoli aspetti di problematicità relativi alle sedi interessate nel processo, nonché sulla scorta dell'attenta e doverosa considerazione delle istanze manifestate - a più livelli - dagli interlocutori interessati dall'operazione.
Nel quadro di questi approfondimenti, tuttora in corso, prosegue l'impegno della Farnesina nella realizzazione di innovative piattaforme informatiche, progetto cui è stato attribuito particolare rilievo sotto il duplice profilo dei tempi di realizzazione e delle risorse dedicate, nel perseguimento dell'obiettivo di garantire sia la promozione degli interessi nazionali, sia l'assistenza alle collettività italiane residenti all'estero.
In linea generale, poi, si conferma l'impegno del Governo nell'ambito del piano di razionalizzazione a rafforzare le sedi che riceveranno le competenze dagli uffici in chiusura, permettendo il mantenimento di alti livelli qualitativi nell'erogazione dei servizi ai cittadini e riducendo al minimo qualsiasi disagio possa scaturire dalle chiusure. Priorità dell'Amministrazione è, infatti, che le risorse umane e finanziarie ottenute attraverso il piano di razionalizzazione vengano reinvestite nella rete stessa, al fine di garantirne la sostenibilità nel suo insieme.
In tale contesto è intervenuta, come noto, la moratoria di un anno sul processo di razionalizzazione approvata nel mese di maggio 2011. Pertanto - nelle more dell'efficacia di tale atto parlamentare - questa Amministrazione non ha ritenuto opportuno rafforzare, sotto il profilo dell'impiego delle risorse umane, le sedi comprese nel piano di razionalizzazione, onde evitare che la futura attuazione di determinazioni riguardanti tali sedi generi sia disagi per il personale avviato presso altra sede assieme alle famiglie, sia maggiori oneri correlati a carico dell'erario.
Con riguardo infine alla situazione del personale a Brisbane, si osserva quanto segue:

i) la sede è priva dell'unità contabile solo dal 5 settembre 2011, allorché la precedente titolare del posto-funzione è decaduta per ragioni di salute;
ii) tale posto, pubblicato nelle ultime due liste di pubblicità, è rimasto vacante ma - a riprova dell'impegno della Farnesina al riguardo - verrà ripubblicato in una prossima lista straordinaria quale posto di urgente copertura;
iii) ad ogni buon fine e compatibilmente con le disponibilità finanziarie, si valuterà l'opportunità di inviare missioni di supporto alle attività della sede.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.

FLUVI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
al fine del contenimento della spesa per il pubblico impiego, l'articolo 64 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, individua una serie di misure volte alla riorganizzazione del servizio scolastico, che prevedono, tra le altre, alcune modifiche all'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico da effettuarsi con un piano programmatico, predisposto dal Governo d'intesa con la Conferenza unificata e previo parere parlamentare, nonché di successivi regolamenti di delegificazione;

in particolare la citata disposizione, al fine di contenere la spesa pubblica, fissa come obiettivo a regime entro l'anno scolastico 2011/2012 l'aumento di un punto (da 8,9 a 9,9) del rapporto alunni/docente e determina la riduzione del 17 per cento del personale non docente della scuola;
tra i criteri per i citati regolamenti è prevista, tra l'altro, la revisione dei norme vigenti in materia di formazione delle classi;
conseguentemente la disciplina della formazione delle classi è stabilita dal decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 81, il quale prevede, in particolare all'articolo 11, che le classi prime delle scuole secondarie di I grado e delle relative sezioni staccate siano costituite, di norma, con non meno di 18 e non più di 27 alunni, elevabili fino a 28 qualora residuino eventuali resti e che si procede alla formazione di un'unica prima classe quando il numero degli alunni iscritti non supera le 30 unità;
l'organico di diritto della scuola secondaria di 1° grado di Montaione (Firenze) presso l'Istituto statale «G. Gonnelli», prevede per il prossimo anno scolastico 2011/2012 la costituzione di un sola classe prima con ben 34 alunni iscritti;
il comune di Montaione ha più volte segnalato (con nota n. 5269 in data 20 giugno 2011 e con nota n. 5943 in data 12 luglio 2011) all'ufficio scolastico provinciale, unendosi alla richiesta già inoltrata dal dirigente scolastico (con nota n. 1227 in data 9 maggio 2011) e alle sollecitazioni da parte delle famiglie degli alunni iscritti, la grave situazione di disagio in cui verrebbero a trovarsi gli alunni e i docenti se venisse formata per il prossimo anno scolastico una unica classe prima ed ha chiesto al competente ufficio organici dell'ufficio scolastico provinciale una revisione dell'organico assegnato con la conseguente formazione di due classi prime nel rispetto dei parametri previsti dalla normativa vigente;
l'edificio scolastico in riferimento non ha, secondo quanto riferito dal comune di Montaione, aule che possono contenere un numero così alto di alunni e la costituzione di una classe così numerosa costringerebbe gli alunni a seguire lezioni in condizioni disagiate con pregiudizio anche per la qualità dell'apprendimento;
si prevede che il numero degli alunni sia destinato ad aumentare nel corso dell'anno scolastico come spesso accade -:
come il Ministro intenda intervenire, anche in termini di ampliamento di organico, affinché sia ripristinata la giusta proporzione di alunni per classe.
(4-12964)

Risposta. - L'interrogante, con l'interrogazione in esame, rappresenta la situazione della scuola secondaria di primo grado «G. Gonnelli» di Montaione (Firenze) presso la quale è stata costituita, in organico di diritto, una sola classe prima a fronte di 34 alunni iscritti.
Al riguardo, si comunica che la questione segnalata si è risolta positivamente; infatti, il Direttore scolastico regionale per la Toscana, con nota del 21 settembre 2011, ha comunicato che in sede di adeguamento dell'organico di diritto alla situazione di fatto, presso il predetto istituto sono state autorizzate due classi prime con un totale di 32 alunni.

Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Mariastella Gelmini.

TOMMASO FOTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
l'8 settembre 2006 ad Herat (Afghanistan) il capo di 1° classe P.S. (nato a Premosello Chiovenda - (VB) - il 23 gennaio 1973, matricola 74GE105TR) veniva investito dall'esplosione di un IED radiocomandato;
in ragione delle lesioni riportate, il 3 aprile 2008, la 1° commissione medica ospedaliera di La Spezia dichiarava il P.S. permanentemente non idoneo al servizio a decorrere dal 3 aprile 2008;

seguito dalla competente direzione generale (Premivil) quale «vittima del terrorismo», il P.S. veniva mandato a visita per il riconoscimento del danno patito e gli veniva riconosciuta dalla predetta 1° commissione medica ospedaliera di La Spezia, con verbale modello BL7G - n. 3017/M.M. del 10 febbraio 2009, una percentuale d'invalidità pari al 67 per cento;
con decreto del 23 novembre 2009, a firma del capo del II reparto della direzione generale per il personale militare del Ministero della difesa, il capo di 1° classe P.S. veniva promosso al grado di primo maresciallo con decorrenza 2 aprile 2008 -:
quali siano i motivi per i quali a tutt'oggi il suddetto P.S. sia in attesa della pensione definitiva e della liquidazione dei 10 anni figurativi prevista ex lege;
se sia possibile disporre, previa effettuazione degli accertamenti relativi, la revisione della percentuale di invalidità riconosciuta al capo di 1° classe P.S.
(4-10361)

Risposta. - Con riferimento alla mancata attribuzione, in favore del Sottufficiale indicato nell'atto in esame, del trattamento pensionistico al medesimo spettante quale «vittima di terrorismo», faccio presente che con decreto ministeriale n. 1 del 2 febbraio 2011 si è provveduto al conferimento della pensione, in misura pari all'ultima retribuzione integralmente percepita dal Sottufficiale all'atto della cessazione e rideterminata incrementandola di una quota del 7,5 per cento, come previsto dall'articolo 4, comma 2, della legge 3 agosto 2004, n. 206.
La pensione, con successivo provvedimento, sarà riliquidata sulla base dei benefici economici stabiliti dal decreto del Presidente della Repubblica 1o ottobre 2010, n. 185.
Quanto, invece, alla richiesta della concessione della maggiorazione figurativa, vorrei evidenziare che il trattamento pensionistico attribuito nella misura del 100 per cento degli emolumenti percepiti nel grado di 1o Maresciallo, rende del tutto ininfluente, ai fini della misura, l'aumento figurativo di dieci anni.
Al contrario, tale incremento figurativo ha incidenza, ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 206 del 2004, sulla quantificazione dell'indennità di buonuscita.
In tal senso, è stata interessata la competente direzione di commissariato della Marina Militare che ha già provveduto ad inviare all'Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica (INPDAP) il nuovo prospetto di riliquidazione.
Per quanto concerne la richiesta di revisione della percentuale di invalidità precedentemente determinata nella misura del 67 per cento, il dipartimento di medicina legale - commissione medica ospedaliera di La Spezia, essendo stato disposto il riesame di tale percentuale, vi ha provveduto con processo verbale del 3 marzo 2011, attribuendo una percentuale d'invalidità pari all'81 per cento, secondo i criteri e le modalità di cui all'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 181 del 2009.
È stata conferita, pertanto, con decreto ministeriale 8 aprile 2011, la speciale elargizione per l'importo corrispondente alla differenza (pari al 14 per cento) tra la nuova percentuale e quella precedente; non è stato ancora possibile, tuttavia, liquidare tale beneficio per indisponibilità dei fondi sul pertinente capitolo.
Posso, comunque, assicurare che non appena saranno accreditati i dovuti importi sul relativo capitolo di bilancio, si provvederà tempestivamente a liquidare la somma spettante.
Per completezza di informazione, rappresento, ancora, che al Sottufficiale sono stati concessi, con decreto ministeriale 28 maggio 2009, l'assegno vitalizio pari a 500,00 euro mensili, nonché lo speciale assegno vitalizio pari a 1.033,00 euro mensili, soggetti a perequazione automatica, ai sensi dell'articolo 11 del decreto legislativo n. 503 del 1992, a decorrere dall'8 settembre 2006.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

FRONER, GHIZZONI e GNECCHI. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per le pari opportunità. - Per sapere - permesso che:
la legge del 4 novembre 2010, n. 183, recante «Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 262 del 9 novembre 2010 (supplemento ordinario) ha origine da un disegno di legge d'iniziativa dei Ministri Tremonti, Scajola, Brunetta, Sacconi, Calderoli e Alfano, che ha visto un iter abbastanza tormentato, compresa la richiesta da parte del Presidente della Repubblica di una nuova deliberazione ai sensi dell'articolo n. 74, primo comma, della Costituzione;
all'articolo 21 della suddetta legge - che non ha visto né fra i promotori dell'iniziativa né fra i Ministri che ne hanno seguito iter parlamentare il Ministro per le pari opportunità, - si prevede che le pubbliche amministrazioni entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, ossia il 9 marzo 2011, costituiscano il «Comitato unico di garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni»: un organismo che raccoglie le competenze precedentemente attribuite in forma distinta ai comitati per le pari opportunità ed ai comitati paritetici sul fenomeno del mobbing;
inoltre, il suddetto articolo 21 dispone, ai commi 4 e 5, rispettivamente che «Le modalità di funzionamento dei Comitati unici di garanzia sono disciplinate da linee guida contenute in una direttiva emanata di concerto dal Dipartimento della funzione pubblica e dal Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione» e che «la mancata costituzione del Comitato unico di garanzia comporta responsabilità dei dirigenti incaricati della gestione del personale, da valutare anche al fine del raggiungimento degli obiettivi»;
probabilmente anche a causa della mancata partecipazione del Ministro per le pari opportunità all'iter che ha portato alla proposta e all'approvazione della legge n. 183, non è stata sufficientemente approfondita, a giudizio degli interroganti, la portata dell'innovazione prevista dall'articolo 21, che peraltro ha subito forti critiche anche nel corso dell'esame parlamentare;
a tutt'oggi le citate linee guida non risultano ancora emanate, nonostante sia scaduto sin dal 9 febbraio 2011 il termine per la loro emanazione -:
se i Ministri interrogati non ritengano di promuovere una proroga del termine per l'istituzione dei Comitati unici di garanzia a trenta giorni dalla data in cui le linee guida risulteranno emanate;
se non ritengano di prendere in considerazione l'opportunità di assumere iniziative volte ad escludere dalle norme in questione i comitati di pari opportunità all'interno delle università, che si presentano attualmente come organismi statutari in genere misti, cioè sia di natura elettiva che di nomina del rettore, e rappresentano tutte le componenti che studiano e lavorano nelle università posto che molti atenei hanno adottato statuti che prevedono i comitati unici di garanzia come organi, e regolamenti, che comportano per l'appunto una più ampia partecipazione, e tale composizione, dunque, appare difficilmente compatibile con il nuovo modello disegnato dal legislatore per tutte le pubbliche amministrazioni.
(4-11056)

Risposta. - Mi riferisco all'interrogazione in esame concernente la costituzione dei Comitati unici di garanzia per le pari opportunità,

la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni di cui all'articolo 21, comma 4, della legge 4 novembre 2010, n. 183 (cosiddetto collegato lavoro).
In primo luogo, mi preme sottolineare che le linee guida volte a disciplinare le modalità di funzionamento dei suddetti Comitati unici di garanzia sono state da me adottate di concerto con il Ministro della funzione pubblica il 4 marzo 2011.
Tale termine risulta peraltro di poco successivo a quello stabilito dall'articolo citato, in base al quale la direttiva contenente le suddette linee guida doveva essere adottata nel termine di 90 giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione considerata. Il termine, stante il periodo di
vacatio legis, risulta scaduto il 24 febbraio 2011, ma la necessità di sottoporre il testo della direttiva al parere della Conferenza unificata, le cui sedute si svolgono secondo un calendario prestabilito, ha imposto un leggero slittamento dell'adozione rispetto al termine di legge.
In merito alla richiesta di esclusione dei Comitati pari opportunità delle università dall'ambito di applicazione dell'articolo 21 in quanto poco compatibili con il nuovo modello disegnato dal legislatore, pur riconoscendo il prezioso contributo di tali Comitati, evidenzio che la norma richiamata non impedisce ai costituendi Comitati unici di garanzia di continuare a svolgere i peculiari compiti fino ad ora svolti dai Comitati pari opportunità in ambito accademico. Anzi, appare auspicabile che vi sia continuità di funzioni, tra i vecchi e i nuovi organi, nel rispetto delle specificità proprie di ogni amministrazione.
Quanto alla difficoltà di conciliare le nuove disposizioni con l'attuale composizione dei Comitati unici di garanzia in ambito accademico, premesso che l'articolo 57 del decreto legislativo n. 165 del 2001, come novellato dall'articolo 21 della legge n. 183 del 2010, ha come destinatari le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, tra le quali sono comprese «le istituzioni universitarie», vorrei sottolineare che l'autonomia universitaria permette di modellare i nuovi organismi tenendo conto delle specificità degli atenei.
Proprio a tal fine, nel corso dei lavori per l'adozione della direttiva recante le linee guida sulle modalità di funzionamento dei Comitati unici di garanzia, è stata organizzata presso il mio ufficio legislativo una riunione informale alla quale ha partecipato la Presidente della Conferenza nazionale dei Comitati pari opportunità delle università Italiane insieme con le Presidenti dei Comitati pari opportunità di alcuni atenei, alla presenza della consigliera nazionale di parità e di rappresentanti dei Dipartimenti per le pari opportunità e della funzione pubblica.
All'esito del proficuo incontro, svoltosi in ottica costruttiva, è stata inserita nella direttiva la seguente frase: «Le Università, nell'ambito dell'autonomia e delle specificità loro riconosciute, disciplinano nei rispettivi Statuti le modalità di costituzione e di funzionamento dei CUG, ai sensi dell'articolo 57 del decreto legislativo n. 165 del 2001, come novellato dall'articolo 21 della legge n. 183 del 2010.» (punto 3.1.1.). Pertanto, gli Statuti delle università potranno modulare la struttura organizzativa dei costituendi Comitati unici di garanzia in considerazione delle specifiche esigenze e delle peculiarità del contesto universitario.
A tale proposito rappresento che dopo l'adozione della legge n. 183 del 2010, è stata approvata la legge n. 240 del 2010 (cosiddetta «Legge Gelmini»), in base alla quale, entro il termine del 29 luglio 2011, le università dovranno elaborare i nuovi statuti.
Per tale motivo, non si è ritenuto necessario prendere in considerazione un'eventuale proroga dei termini previsti dalla legge per la costituzione dei Cug, in quanto per le università il termine per la creazione dei nuovi organismi è differito all'adozione degli Statuti.
Alla luce di queste considerazioni, fino al momento dell'effettiva costituzione dei suddetti Comitati unici di garanzia, «i Comitati per le pari opportunità e i Comitati per il contrasto al fenomeno del
mobbing esistenti negli enti rimarranno in carica fino alla costituzione del nuovo organismo»,

come affermato dal gruppo di lavoro per il monitoraggio ed il supporto alla costituzione e sperimentazione dei Comitati unici di garanzia costituito ai sensi del punto 6 delle linee guida.
In relazione alla possibile difficoltà di conciliare le nuove norme con l'attuale struttura dei comitati pari opportunità degli atenei nei quali è rappresentato il personale sia docente sia tecnico amministrativo, oltre alla rappresentanza studentesca, segnalo che sul punto si è espresso il già citato gruppo di lavoro, secondo il quale le regole dettate per la costituzione dei nuovi Cug, ed in particolare la composizione paritetica, fanno ritenere che la nuova norma sia vincolante solo con riferimento al personale contrattualizzato.
Quanto al personale non contrattualizzato il gruppo di lavoro ha proposto due opzioni: la prima prevede la creazione di due organismi: un Cug costituito ai sensi del nuovo articolo 57 del decreto legislativo n. 165 del 2001, ed un diverso organismo del quale faccia parte il personale non contrattualizzato; la seconda prevede la creazione di un Cug unico, che rispettando quanto disposto dalla norma citata, abbia al suo interno sia il personale contrattualizzato sia quello non contrattualizzato. In quanto alla componente studentesca propria di alcuni Cpo universitari, la costituzione dei Cug unici, secondo quanto riferito dal gruppo di lavoro, non sembra di ostacolo a tale partecipazione, anche se, gli scopi del Cug fissati nella norma primaria di garantire, tra l'altro, le pari opportunità ed il benessere lavorativo nell'ambiente di lavoro, paiono impedire la partecipazione diretta degli studenti alle deliberazioni inerenti tali aspetti, in quanto ciò altererebbe la composizione paritetica sindacati/amministrazione.
Alla luce delle considerazioni sopra esposte e della lunga e prestigiosa esperienza dei Comitati pari opportunità universitari, ritengo che gli atenei saranno in grado di organizzare i nuovi comitati coniugando continuità ed innovazione, nello spirito proprio dell'istituzione universitaria.

Il Ministro per le pari opportunità: Mara Carfagna.

FUCCI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'ISTAT ha pubblicato, lo scorso 15 luglio, un report dal titolo: «La povertà in Italia», nel quale emerge che, l'anno scorso, sono state 2 milioni 734 mila le famiglie in condizione di povertà relativa (l'11 per cento delle famiglie residenti), per un totale di 8 milioni 272 mila individui poveri (il 13,8 per cento dell'intera popolazione);
l'indice è particolarmente accentuato nell'ambito della famiglie numerose e, a livello territoriale, indica una forte incidenza nel Mezzogiorno, il che deve farci riflettere anche sui danni che ciò causa in direzione di un'inversione di tendenza nel saldo demografico italiano da tempo negativo;
le politiche a favore della famiglia, che sono un argomento di grande attualità, devono certamente andare nel senso di porre argine al fenomeno messo in evidenza dalle statistiche attraverso politiche organiche e complessive di carattere socio-assistenziale in grado di intervenire nelle situazioni di maggiore disagio sociale -:
quali iniziative, per quanto di competenza del Governo, siano in corso di attuazione o siano di imminente avvio in merito a quanto esposto in premessa.
(4-12835)

Risposta. - Con riferimento alla interrogazione in esame, concernente le azioni economiche rivolte ad aiutare nuclei familiari in condizione di particolare bisogno, si rappresenta quanto segue.
Il programma «Carta acquisti», istituito dall'articolo 81, commi 32 e seguenti, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge n. 133 del 2008, è stato introdotto per offrire un sostegno alle persone meno abbienti negli acquisti di generi alimentari, prodotti farmaceutici

e parafarmaceutici e per il pagamento delle bollette domestiche di luce e gas.
La «Carta acquisti» è, quindi, una normale carta di pagamento elettronico, simile a quelle già in circolazione nel nostro Paese, le cui spese vengono addebitate, entro i limiti stabiliti dal programma, non al titolare della carta, ma direttamente allo Stato, alle regioni e agli enti territoriali che hanno erogato specifici contributi tramite il programma. Al programma, infatti, possono aderire gli enti locali e i soggetti privati incrementando i fondi messi a disposizione dallo Stato.
La «Carta acquisti» ha un valore di 40 euro mensili ed è caricata ogni due mesi con 80 euro sulla base degli stanziamenti disponibili. È concessa agli anziani di età superiore o uguale ai 65 anni e ai bambini di età inferiore ai tre anni - in tal caso il titolare della Carta è il genitore - che siano in possesso dei requisiti previsti.
Inoltre, al fine di favorire la diffusione della Carta acquisti tra le fasce di popolazione in condizione di maggiore bisogno, è stata introdotta, dall'articolo 2, commi 46 e seguenti del decreto legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito con modificazioni dalla legge n. 10 del 2011, la sperimentazione di una nuova Carta acquisti, che sarà distribuita attraverso enti
no profit attivi nel contrasto alla povertà estrema, soprattutto alimentare.
La sperimentazione, la cui attuazione è affidata al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, avverrà in 12 città con più di 250 mila abitanti - Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli, Palermo, Catania e Verona -, individuate dall'emanando decreto attuativo.
Il funzionamento puntuale del programma «
Social card sperimentale» sarà delineato dal decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali adottato di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, attualmente in corso di perfezionamento.
L'emanando decreto attuativo stabilisce che il beneficio venga differenziato sulla base della numerosità familiare e della ripartizione geografica e che non possa essere assegnata più di una carta per famiglia.
La «
Social card sperimentale» dovrebbe rappresentare, per le persone in condizione di maggior bisogno, incluse quelle senza dimora delle grandi città, l'occasione per la presa in carico da parte degli enti no profit e dei servizi sociali del comune. È previsto, infatti, che gli enti predispongano, per ciascun nucleo familiare destinatario della carta, un progetto finalizzato al superamento della condizione di povertà, emarginazione ed esclusione sociale.
La «
social card sperimentale», quindi, non sostituirà ma si affiancherà al programma «Carta acquisti».
In conclusione, si ritiene che tali misure possano efficacemente sostenere le persone e le famiglie in condizioni di maggior bisogno, rafforzando così il sistema del
welfare italiano.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Nello Musumeci.

GARAVINI, PELUFFO, BORDO, BOSSA, BURTONE, GENOVESE, MARCHI, ANDREA ORLANDO, PICCOLO e VELTRONI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nel 2006 è stata sciolta la ASL, di Locri, dopo che la Commissione d'accesso inviata dal Ministero dell'interno aveva rilevato rapporti tra le strutture amministrative e società ed esponenti della 'ndrangheta, senza che prima dell'invio delle commissione ci fosse stato l'arresto di uno degli esponenti di vertice della struttura amministrativa; la commissione d'accesso ha poi individuato forniture e servizi assegnati a ditte vicine alla 'ndrangheta senza procedure regolari, dipendenti considerati in servizio anche durante la carcerazione, parenti di boss mafiosi di notevole livello impiegati nella struttura con procedure non trasparenti, utilizzo del personale per la raccolta di consenso in occasione delle elezioni;

numerosi comuni della Calabria sono stati prima sottoposti ad accertamenti con le commissioni d'accesso disposte dalle prefetture e, successivamente, sciolti per infiltrazioni mafiose a seguito dell'accertamento di rapporti con la criminalità organizzata, senza che prima vi fossero provvedimenti giudiziari contro uno dei componenti dell'amministrazione. Il caso più recente è il comune di Condofuri, in provincia di Reggio Calabria, sciolto dal Consiglio dei ministri il 7 ottobre 2010;
per quale motivo non sia stata inviata una commissione d'accesso alla ASL di Pavia, dopo l'arresto del direttore sanitario di quella struttura, Carlo Chiriaco, considerato dagli inquirenti in rapporto diretto con i capi della 'ndrangheta in Lombardia, al fine di accertare se in quella struttura siano state effettuate scelte che possano aver favorito uomini ed aziende legate alle cosche, considerato anche che lo stesso Chiriaco si è attivato per raccogliere voti alle ultime elezioni regionali ed amministrative a favore di diversi uomini politici;
per quale motivo non sia stata inviata una commissione d'accesso presso i comuni di Cologno Monzese, Pavia, Desio, Vigevano, Voghera, Trezzano sul Naviglio, tutti comuni nei quali, in base a quanto riportato da numerosi organi di stampa dopo l'inchiesta «Crimine» portata a termine dalla DDA di Milano, risultano esserci candidati in rapporto con persone legate ai clan della 'ndrangheta nel nord Italia.
(4-09150)

Risposta. - In relazione alle richieste formulate dall'interrogante, va premesso che l'attività investigativa condotta dalle Forze di polizia ha accertato l'esistenza di gruppi malavitosi di origine calabrese da tempo presenti nell'Italia settentrionale.
Le operazioni di polizia hanno mostrato che la 'ndrangheta è composta da una struttura sovraordinata, denominata a volte «Crimine» altre volte «Provincia»; da tre strutture calabresi (una jonica, una tirrenica ed una per la città di Reggio Calabria); altre strutture regionali (come ad esempio quella denominata «La Lombardia»); le cosiddette «locali», presenti a livello provinciale e/o comunale.
In particolare, per la Lombardia l'attività investigativa ha verificato la presenza delle «locali» denominate «Milano», «Pavia», «Bollate», «Cormano», «Corsico», «Bresso», «Limbiate», «Solaro», «Mariano Comense», «Pioltello», «Rho», «Legnano», «Giussano», «Seregno», «Erba», «Canzo», «Desio», i cui componenti provengono, per la maggior parte, dalla provincia di Reggio Calabria.
Tutte queste compagini criminali sono coordinate dall'organizzazione «La Lombardia», che compare già in alcune inchieste giudiziarie condotte negli anni Novanta.
Il 13 luglio 2010, nel contesto dell'operazione di polizia giudiziaria denominata «Il Crimine» la Direzione investigativa antimafia e le forze di polizia hanno eseguito, in Lombardia, a Genova e in Calabria, un'ordinanza di applicazione di misure coercitive nei confronti di 304 persone ritenute affiliate ai predetti gruppi malavitosi.
Nell'ambito di questa operazione, con ordinanza del 5 luglio 2010, eseguita il successivo 13 luglio, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano ha applicato, tra gli altri, al dottor Carlo Chiriaco, direttore sanitario dell'azienda sanitaria locale di Pavia, la misura della custodia cautelare in carcere, in quanto indiziato del delitto di cui all'articolo 416-
bis, commi I, II, III e IV del codice penale, «per aver fatto parte dell'associazione mafiosa denominata 'ndrangheta operante da anni sul territorio di Milano e province limitrofe».
Acquisite le necessarie informazioni presso l'autorità giudiziaria procedente, il prefetto di Pavia, in data 12 agosto 2010, ha avviato la procedura per l'istituzione della commissione di cui all'articolo 143, 2o comma, del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, nominata con decreto prefettizio del successivo 17 settembre 2010.
A conclusione dell'accesso svolto dalla commissione d'indagine, il prefetto ha redatto una relazione, in data 27 aprile 2011, con la quale, sentito il comitato provinciale per

l'ordine e la sicurezza pubblica integrato con la partecipazione del procuratore della Repubblica competente per territorio, ha ritenuto che, nonostante le illegittimità riscontrate, non sono emersi elementi concreti, univoci e rilevanti su forme di condizionamento degli organi elettivi dell' azienda sanitaria locale di Pavia da parte della criminalità organizzata, come richiesto dall'articolo 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
Pertanto, come prescritto dal comma 7 del predetto articolo 143, il 21 giugno 2011, è stato emanato il decreto ministeriale di conclusione del procedimento.
Per quanto concerne i comuni di Pavia, Vigevano e Voghera, la prefettura di Pavia ha comunicato che, dalle informazioni acquisite, non sono emersi, ad oggi, collegamenti o condizionamenti dei relativi organi tali da legittimare l'esercizio dell'eccezionale potere previsto dalla norma citata.
L'ordinanza del giudice per le indagini preliminari ipotizza in effetti l'interessamento di personaggi legati alla 'ndrangheta al fine di favorire l'elezione di alcuni candidati alle consultazioni amministrative per il rinnovo dei consigli comunali di Pavia e Vigevano, tenutesi rispettivamente nel 2009 e nel 2010; unico indagato, per il reato di cui all'articolo 86 del decreto del Presidente della Repubblica n. 570 del 1960 e articolo 7 del decreto-legge n. 152 del 1991 in concorso, risulta essere un amministratore comunale di Pavia, dimessosi a seguito dell'avviso di garanzia.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

GARAVINI, BENAMATI, GIANNI FARINA, FEDI, FIANO, MARIANI, PORTA e TOUADI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
a partire dalla metà degli anni novanta, dopo la scoperta del cosiddetto «armadio della vergogna», dove furono occultati 695 fascicoli d'indagine, la procura militare di La Spezia, e successivamente le procure militari di Roma e di Verona, attivarono una serie di procedimenti contro i responsabili di alcuni dei peggiori eccidi compiuti nel corso della seconda guerra mondiale;
una squadra di polizia giudiziaria di madre lingua tedesca venne costituita al fine di risalire, con un lunghissimo lavoro di ricerca negli archivi tedeschi, agli imputati; la proficua collaborazione con le autorità tedesche, ha consentito in quindici anni di sviluppare indagini per centinaia di procedimenti;
sono una trentina le inchieste sugli eccidi compiuti nel nostro territorio dai militari tedeschi ancora aperte e attualmente all'esame delle procure militari di Roma e di Verona:
ad oggi sono otto i criminali tedeschi condannati in via definitiva all'ergastolo per la strage di Sant'Anna di Stazzema (560 vittime) che sono ancora in vita e non scontano la pena; tre quelli per Marzabotto (770 vittime ); uno per gli eccidi di Civitella Val di Chiana, Cornia e San Pancrazio (244 vittime); uno per Branzolino e San Tomè (10 vittime), uno per la Certosa di Farneta (oltre 60 vittime) e uno per Falzano di Cortona (16 vittime);
per i condannati definitivi la magistratura militare ha emesso i relativi mandati d'arresto europeo, che la Germania ha tuttavia respinto in ragione di alcune disposizioni d'ordinamento interno che negano l'estradizione dei cittadini tedeschi condannati, a meno che gli stessi diano il loro espresso consenso;
di fronte ai rifiuti da parte dei tribunali tedeschi di consegnare i condannati, i nostri uffici giudiziari hanno inoltrato al Ministero della giustizia la richiesta di esecuzione della pena in Germania; ad oggi non hanno ricevuto alcuna risposta, lasciando adito al dubbio se siano le autorità tedesche a doversi ancora pronunciare, o se sia il Governo italiano a non avere mai inoltrato le istanze in Germania;
la reclusione in Germania del condannato per la strage di Falzano di Cortona, Josef Scheungraber, è il risultato di

un secondo procedimento attivato successivamente dal tribunale di Monaco e conclusosi con una condanna definitiva tedesca;
la procura di Stoccarda, diversamente da quanto accaduto alla procura di Monaco, ha fermamente rifiutato l'avvio di un procedimento contro alcuni tra i responsabili della strage di Sant'Anna di Stazzema;
dopo che con una sentenza del 2008 la Corte di cassazione ha condannato la Germania a risarcire i parenti delle vittime della strage di Civitella, Cornia e San Pancrazio, un portavoce del Ministero degli esteri tedesco ha dichiarato che «non è possibile» un risarcimento a «singole persone», come espresso nella decisione della Cassazione, in quanto nella circostanza in questione vige «il principio internazionale dell'immunità degli Stati»; la Germania ha successivamente aperto un contenzioso davanti alla Corte internazionale di Giustizia dell'Aja;
durante il vertice bilaterale italo-tedesco che si è svolto a Trieste il 18 novembre 2008, la Germania ha riconosciuto pienamente «le sofferenze indicibili inflitte a uomini e donne italiane» durante la Seconda Guerra Mondiale, l'Italia, a sua volta, ha dichiarato di «rispettare la decisione della Germania di rivolgersi alla Corte internazionale di Giustizia per ottenere una decisione sul principio di immunità dello Stato»;
le autorità tedesche hanno costantemente dimostrato di considerare il tema della memoria come una priorità etica e civile della Repubblica federale tedesca -:
se il Ministro della giustizia abbia inoltrato alle autorità tedesche le richieste di esecuzione della pena in Germania per i condannati in via definitiva in Italia e, in caso contrario, per quale ragione non abbia ritenuto di procedere in tale senso;
quale azione diplomatica intenda esercitare il Ministro degli affari esteri nei confronti del Governo della Repubblica Federale di Germania affinché, nel quadro della tradizionale amicizia e intesa che caratterizza i rapporti italo-tedeschi, si giunga a una definitiva soluzione delle controversie, con il comune obiettivo di soddisfare l'esigenza di giustizia e di perpetuare la memoria degli eccidi di civili commessi in Italia;
quali ulteriori azioni intenda compiere il Governo per mantenere e sviluppare la memoria delle efferate stragi perpetrate in Italia e per soddisfare le legittime esigenze di giustizia dei familiari delle vittime.
(4-13077)

Risposta. - L'azione del ministero degli affari esteri volta a risolvere con la Germania le controversie collegate alle stragi naziste e al biennio 1943-45 si è sviluppata negli ultimi anni su un duplice binario, politico-diplomatico e giuridico.
Sul piano politico-diplomatico, la nostra azione ha inteso, da un lato, «sensibilizzare» la Germania sulle aspettative di giustizia dei familiari di coloro che furono vittime di stragi, deportazioni e internamenti, e, dall'altro, perpetuare la memoria del tragico biennio 1943-45, nel solco degli ideali di riconciliazione, solidarietà e integrazione che sono alla base del processo di costruzione dell'Europa.
In tale ambito, a fronte di una indisponibilità del Governo tedesco a riaprire verso l'Italia programmi di risarcimenti/indennizzi ad personam e non potendo d'altra parte ignorare il cammino percorso da Italia e Germania nella costruzione di una nuova Europa, l'azione del Ministero degli affari esteri si è orientata verso la ricerca di una «giustizia storica» e forme di «riparazione morale», ovvero di un'intesa con Berlino su «gesti di peso politico e morale», intesi a rafforzare una prospettiva di riconciliazione tra i nostri Paesi, segnatamente al livello di società civile.
In questa direzione, i risultati sin qui ottenuti appaiono meritevoli di essere sottolineati. Il vertice intergovernativo italo-tedesco, tenutosi a Trieste il 18 novembre 2008, ha segnato in proposito una tappa fondamentale. In tale contesto si svolse infatti la visita alla risiera di San Sabba - luogo di transito

di molti militari e civili che furono deportati in Germania - dell'allora Vice cancelliere e Ministro degli esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier. Di questa visita a San Sabba venne fatto stato anche nella «Dichiarazione congiunta» a chiusura del Vertice, ove si sottolineava che «la Germania riconosce pienamente le gravissime sofferenze inferte agli italiani in particolare nelle stragi e agli ex-internati militari italiani e ne conserva la memoria».
Nella stessa cornice del vertice di Trieste, i Ministri degli affari esteri Frattini e Steinmeier lanciarono inoltre le seguenti due iniziative:
a) l'istituzione di una commissione di storici italiani e tedeschi con il mandato di un approfondimento comune sul passato di guerra italo-tedesco, come contributo alla costruzione di «una comune cultura della memoria»; la commissione ha lavorato proficuamente e ha contribuito all'avvio e/o allo sviluppo di nuove direttrici di ricerca storiografica, che coinvolgono anche giovani ricercatori; inoltre, a margine delle riunioni della Commissione (dal 2009, due all'anno, alternativamente in Italia e Germania), si sono svolti convegni e incontri aperti al pubblico sulle problematiche del periodo storico in questione; come da programma, la Commissione dovrebbe presentare il suo rapporto finale nella primavera del 2012;
b) l'istituzione di una piattaforma internet dedicata allo sviluppo di scambi giovanili tra Italia e Germania: anche questo progetto è stato portato a realizzazione, con un portale («Ciao-Tschau») ed una pagina su Facebook e Twitter, che sono già in contatto con l'utenza italiana e tedesca.

Il 26 marzo 2010, nell'auditorium del Goethe Institut di Roma, alla presenza di una delegazione della Provincia di Lucca e di una nutrita rappresentanza della popolazione di Sant'Anna a Stazzema, l'incaricato d'affari dell'Ambasciata di Germania ha insignito della Medaglia dell'Ordine al merito della Repubblica federale di Germania, per il loro instancabile e attivo lavoro a favore della pace e della riconciliazione italo-tedesca, i signori Enrico Pieri presidente dell'Associazione Martiri di Sant'Anna) ed Ennio Mancini (fondatore ed ex-direttore del Museo storico della Resistenza di Sant'Anna), all'epoca dei fatti bambini, sopravvissuti, con un piccolo gruppo di altri paesani, alla strage nazista del 12 agosto 1944, grazie ad un atto di misericordia del giovane militare tedesco che avrebbe dovuto ucciderli.
Il 30 agosto 2010, la fondazione tedesca «Topographie des Terrors», alla presenza del nostro Ambasciatore a Berlino, ha promosso una cerimonia di commemorazione delle vittime dell'internamento presso l'ex campo di lavoro forzato di Berlino-Schoeneweide, durante la quale è stata aperta al pubblico una delle baracche allestite nel lager, ove tra il 1943 e il 1945 furono detenuti oltre quattrocento nostri connazionali. Nello stesso luogo è stato istituito, a seguito di una decisione assunta dal Parlamento della città-stato di Berlino nel 2004, un centro di documentazione sul lavoro forzato durante il nazionalsocialismo.
Nella serie dei «gesti di peso politico e morale» si colloca anche l'impegno della Germania nella ricostruzione della Chiesa di San Pietro Apostolo ad Onna, uno dei paesi abruzzesi distrutti dal terremoto, teatro nel 1944 di una strage di civili da parte di truppe tedesche.
Sul piano giuridico, nell'ambito del contenzioso aperto dalla Germania davanti alla Corte internazionale di giustizia per asserita violazione da parte dell'Italia dell'immunità giurisdizionale dello Stato tedesco, in una linea di coerenza con la giurisprudenza della nostra suprema Corte di cassazione, la difesa italiana ha debitamente argomentato la situazione di eccezionalità che ha portato la stessa Corte a derogare al principio dell'immunità giurisdizionale degli Stati per gli atti jure imperii, stante la mancata ottemperanza da parte della Germania dell'obbligo inderogabile di riparazione in presenza di gravi violazioni del diritto umanitario internazionale.

La sentenza della Corte internazionale di giustizia è attesa per la fine del corrente anno (ovvero inizi dell'anno prossimo).
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.

GIANNI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
un articolo del Sole 24 ore, pagina 26, del 15 maggio 2010, si riportavano i dati della relazione della Corte dei conti in relazione al disavanzo dell'Inpdap;
in tale articolo si rendeva noto che nel 2008 l'Inpdap aveva registrato un disavanzo di 5,3 miliardi di euro e si prevedeva che nel 2010 il conto economico si sarebbe chiuso con un disavanzo di 8,1 miliardi;
nella relazione della Corte dei conti si afferma che il passivo è determinato in gran parte da fattori esogeni e che di conseguenza i margini di manovra dell'Inpdap per riportare i conti in ordine sono di minima entità;
l'86 per cento dello sbilancio è dovuto alla differenza tra entrate contributive e uscite per prestazioni, un problema strutturale stretto tra il blocco del turn over essenziale per evitare l'aumento delle uscite ha l'effetto collaterale di prosciugare progressivamente le entrate dell'istituto di previdenza -:
quali iniziative intenda intraprendere per affrontare il rilevante disavanzo dell'Inpdap che nel 2010 dovrebbe avere raggiunto la cifra enorme di 8,1 miliardi di euro;
quali siano le voci di uscita che determinano il rilevante disavanzo, a quanto ammontino le entrate e da quali voci queste siano costituite.
(4-11946)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame con cui si chiede quali siano i motivi per cui i pensionati Cpdel (Cassa pensioni dipendenti enti locali attualmente Inpdap) riassunti in servizio presso la stessa amministrazione, debbano restituire tutte le rate di pensione percepite, nell'ipotesi in cui venga chiesta la ricongiunzione dei servizi pregressi, si rappresenta quanto segue.
L'Istituto di previdenza ha rappresentato che la fattispecie oggetto della interrogazione è tuttora regolata dall'articolo 63, comma 2, del Regio decreto luogotenenziale 3 marzo 1938, n. 680 («Ordinamento della Cassa di previdenza per le pensioni agli impiegati degli enti locali») che dispone, qualora venga richiesta la liquidazione di un trattamento di quiescenza in ragione del servizio utile complessivamente reso, la rifusione di tutte le rate di pensione riscosse. Quanto alla vigenza della previsione di cui all'articolo 63 citato, si evidenzia che la disposizione in questione non è stata abrogata in modo espresso dall'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 1965, n. 758, il quale non menzionava testualmente il richiamato articolo 63. Si osserva, inoltre che il decreto del Presidente della Repubblica n. 758 del 1965 è stato a sua volta abrogato dall'articolo 2268, comma 1, n. 522, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66.
Ad ogni modo, il richiamato articolo 63 non contrasta peraltro con quanto disposto dall'articolo 134 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 («Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato») che, al comma 3, consente al dipendente riassunto di chiedere un trattamento pensionistico calcolato sulla totalità dei servizi resi, ovvero trattamenti separati: uno per il servizio reso con iscrizione e un altro, di pensione aggiuntiva, per quello reso con continuazione di iscrizione. La suddetta norma, infatti, intende evidenziare che anche nell'ipotesi in cui non venga chiesta la ricongiunzione dei servizi, la pensione corrisposta viene, comunque, sospesa dalla data di riassunzione. Ne consegue che l'articolo 134 sopra citato non modifica la disciplina in materia di rifusione propria delle specifiche norme dell'Ordinamento delle casse degli ex II.PP., la cui vigenza peraltro è confermata dall'articolo 131, ultimo comma, del già citato decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

GIRLANDA. - Al Ministro per le pari opportunità, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il recente rapporto dell'Osservatorio sul diversity management dimostra in maniera eloquente quanto in Italia per le donne fare figli rappresenti un handicap in ambito lavorativo;
un numero sempre maggiore di donne si trova costretta a scegliere tra la famiglia e il lavoro;
il 25 per cento delle donne, in maniera volontaria o indotta, perde il proprio posto di lavoro dopo la nascita di un figlio;
è importante mettere in atto politiche atte a favorire la centralità della famiglia, l'innalzamento del tasso di natalità e la solidarietà alle donne;
l'età media delle donne italiane che diventano madri sta salendo verso la fascia d'età dei 35 anni;
le spese relative alle necessità dei neonati nei primi 36 mesi di vita costituiscono un costo non indifferente per le donne e l'intera famiglia, fattore che comporta la necessità del mantenimento della propria fonte di reddito;
le capacità lavorative delle donne, relativamente a passione, preparazione ed efficienza non muta dopo la gravidanza, per quanto intervenga senza dubbio una diversa gestione del tempo che va compresa e supportata;
la maternità è una ricchezza tanto in ambito familiare quanto in quello civile e statuale;
strutture come gli asili nido aziendali, maggiore flessibilità nell'orario di lavoro, fondi a sostegno delle aziende che tutelano la maternità, sono alcune delle soluzioni che hanno dato i migliori risultati in relazione al supporto delle necessità delle donne con neonati -:
quali siano le iniziative previste per intervenire su questo genere di dinamiche in favore della tutela del lavoro femminile dopo la nascita di un figlio.
(4-06471)

Risposta. - Mi riferisco all'interrogazione in esame concernente le iniziative per incentivare il lavoro femminile.
In ordine a tali iniziative, vorrei far presente che, fin dall'inizio del mio mandato, ho ritenuto di fondamentale importanza lo studio e la predisposizione di azioni concrete volte non solo a favorire un incremento diretto del tasso di occupazione femminile, ma anche la conciliazione fra i tempi di vita e i tempi di lavoro.
In tale direzione si collocano, pertanto, il piano recante il «Sistema di interventi per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro» ed il «Programma di azioni per l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro» elaborato d'intesa con il Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, attraverso il quale si è inteso potenziare i servizi di assistenza per la prima infanzia e rivedere i criteri e le modalità per la concessione di contributi ad aziende per progetti che favoriscano la conciliazione, specie attraverso l'uso di modalità di lavoro flessibile, quali il part-time o il lavoro a domicilio.
Il piano di interventi per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro ha investito 40 milioni di euro del fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità in finanziamenti per le tagesmutter, per il telelavoro, per la formazione volta a sostenere il rientro nel lavoro dopo un periodo di congedo per maternità.
In proposito segnalo che sono state sottoscritte le convenzioni con le regioni che, allo stato attuale, hanno presentato i programmi attuativi del citato accordo. Grazie a tali sottoscrizioni gli interventi previsti dai programmi attuativi regionali sorto già partiti a livello territoriale.

Per quanto concerne l'incremento dei servizi per la prima infanzia segnalo, ad esempio, che la regione Toscana, attraverso i finanziamenti derivanti dalla sottoscrizione della citata intesa, intende emanare un bando regionale destinato ai comuni (singoli o associati), alle comunità montane e ad altri soggetti pubblici e privati accreditati, finalizzato a promuovere l'apertura di nuovi servizi educativi sul territorio regionale o al potenziamento di servizi già esibenti, mentre la Campania, sempre attraverso i fondi erogati dal Dipartimento per le pari opportunità, intende sperimentare a livello comunale le figure della educatrice familiare o domiciliare e della mamma accogliente, al fine di soddisfare la crescente richiesta di servizi integrativi per la prima infanzia.
Per quanto concerne invece il sostegno a modalità di lavoro e tipologie contrattuali facilitanti, ricordo che la regione Piemonte, attraverso i fondi erogati dal Dipartimento per le pari opportunità, finanzierà progetti volti alla realizzazione di formule organizzative di lavoro decentrato per introdurre e/o rafforzare modelli flessibili di telelavoro (esempio domiciliare); all'attivazione dell'utilizzo del part-time con modalità flessibili e reversibili. Allo stesso modo la Regione Lazio intende sperimentare un'azione pilota per la realizzazione di un centro telematico (tele-centro), condiviso da più lavoratrici, per l'incentivazione del telelavoro in aree decentrate, nelle quali il fenomeno del pendolarismo rende particolarmente difficile la conciliazione.
La regione Lombardia, attraverso i finanziamenti provenienti dal Dipartimento per le pari opportunità, ha invece avviato in via sperimentale in alcuni territori un progetto volto ad attribuire un voucher premiante alle imprese che assumano madri escluse dal mercato del lavoro o in condizioni di precarietà lavorativa, mentre la regione Emilia-Romagna ha di recente approvato il bando per la presentazione di attività di orientamento professionale per le donne uscite dal mercato del lavoro per esigenze di conciliazione.
La regione Puglia intende, invece, utilizzare parte dei finanziamenti ad essa attribuiti, per integrare la dotazione finanziaria regionale prevista per i cosiddetti patti sociali di genere, ovvero accordi territoriali tra province, comuni, organizzazioni sindacali e imprenditoriali, sistema scolastico, aziende sanitarie locali e consultori per favorire azioni a sostegno della genitorialità e per sperimentare formule di organizzazione dell'orario di lavoro nelle pubbliche amministrazioni e nelle imprese private che favoriscano la conciliazione e promuovano un'equa distribuzione dei carichi familiari.
Ad ulteriore conferma dell'impegno profuso dal Governo per lo studio di soluzioni volte a incoraggiare l'utilizzo di forme di flessibilità lavorativa che garantirebbero un netto incremento dell'occupazione femminile segnalo la sottoscrizione, d'intesa con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e con il Sottosegretario per le politiche per la famiglia di una circolare, attualmente in attesa di registrazione presso la Corte dei conti che fornisce alle amministrazioni i criteri da seguire nella valutazione delle domande di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale e nella rivalutazione dei part time già concessi, ponendo particolare attenzione nei confronti di quei lavoratori che godono di un diritto o di un titolo di precedenza nella trasformazione del rapporto di lavoro.
Assumono, infine, rilevanza tra le misure volte ad incrementare l'occupazione femminile, le azioni positive di cui al «Regolamento recante criteri e modalità per la concessione dei contributi di cui all'articolo 9 della legge 8 marzo 2000, n. 33» recante «Disposizioni per il sostegno della maternità e paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città» (Gazzetta Ufficiale maggio 2011), che disciplina l'erogazione di contributi finanziari a favore dei datori di lavoro privati esercenti o no attività d'impresa, iscritti in pubblici registri, le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere e le aziende ospedaliere universitarie, che si vincolino, mediante accordi contrattuali, all'adozione di azioni positive volte non solo a consentire alle lavoratrici e ai lavoratori con figli minori ovvero con a carico persone

disabili o non autosufficienti, di usufruire di particolari forme di flessibilità degli orari e dell'organizzazione del lavoro, ma anche al reinserimento lavorativo degli stessi.
Il Ministro per le pari opportunità: Mara Carfagna.

GNECCHI, RAMPI, GATTI, CODURELLI e SCHIRRU. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
dal periodico dell'INPDAP - Il Giornale INPDAP n. 28 - maggio 2011 - pagina 14 - l'istituto comunica le informazioni per i pensionati che chiedono l'assistenza fiscale direttamente all'INPDAP e da ciò si desume che l'istituto, in quanto naturale sostituto d'imposta, continua a fornire assistenza fiscale ai pensionati per la dichiarazione dei redditi con modello 730;
l'INPS invece da quest'anno, sia per i pensionati sia per i dipendenti non presta più assistenza fiscale, adducendo la motivazione dalla mancanza di personale per cui l'istituto non sarebbe in grado di garantire al meglio tale servizio e pertanto gli interessati si devono rivolgere ai CAF per la presentazione della dichiarazione dei redditi con modello 730;
atto di sindacato ispettivo 5-04414, tuttora in corso, si è denunciato al Ministro interrogato il comportamento dell'INPS, che penalizza fortemente i pensionati;
appare quindi davvero inspiegabile che l'INPDAP continui giustamente, in quanto sostituto d'imposta a fornire assistenza fiscale ai propri pensionati, mentre l'INPS ha deciso unilateralmente di non offrire più il suddetto servizio di assistenza;
suddetta difformità di comportamento degli enti previdenziali è oltremodo incomprensibile e rischia di suddividere i pensionati in categorie differenziate, quasi a riproporre la divisione esistente fra lavoratori del settore pubblico e lavoratori del settore privato -:
se non ritenga il Ministro interrogato di intervenire urgentemente per ripristinare comportamenti uniformi da parte degli enti previdenziali, in quanto naturali sostituti d'imposta, rispetto all'erogazione del servizio di assistenza fiscale ai pensionati per la dichiarazione dei redditi con modello 730.
(4-11970)

Risposta. - Con riferimento alla interrogazione in esame, concernente l'attività di assistenza fiscale per la dichiarazione dei redditi con modello 730, sulla base delle informazioni acquisite presso i competenti uffici dell'Inps rappresenta quanto segue.
Nell'esercizio della facoltà attribuita dall'articolo 37 del decreto legislativo 241 del 1997, l'Inps ha ritenuto di non prestare assistenza fiscale nei confronti dei propri sostituiti, per l'anno 2011. L'Istituto, al riguardo, ha fatto sapere che negli anni passati si è registrato un sempre minore ricorso all'assistenza fiscale, da parte soprattutto dei pensionati, nonostante il rilevante sforzo organizzativo posto in essere dall'istituto in termini di risorse umane e strumentali (allestimento degli sportelli, ricezione pubblico, consulenza e compilazione dei moduli, trasmissioni e rettifiche). La seguente tabella illustra la serie storica dal 2004 ad oggi:

2010 2009 2008 2007 2006 2005 2004
Altri soggetti 585 585 459 566 753 1.025 1.133
Dipendenti 14.214 14.953 15.866 16.273 17.636 18.357 18.580
Pensionati 161.722 167.506 174.195 181.979 189.592 200.049 210.823
TOTALI 176.521 183.044 190.520 198.818 207.981 219.431 230.536

La circostanza che gli utenti si rivolgono sempre più spesso al Centro assistenza fiscale o al professionista abilitato probabilmente è dovuta alla circostanza che questi, a differenza del sostituto d'imposta, sono obbligati a verificare - pur in presenza di un modello precompilato - la congruità dei dati e documenti presentati ai fini della determinazione degli oneri detraibili e/o deducibili: tale accertamento garantisce il contribuente in caso di successive verifiche da parte dell'Agenzia delle entrate.
Conclusivamente, pur dandosi atto della rilevanza della questione prospettata dall'interrogante, non appare agevole allo stato attuale della normativa aderire alla soluzione prospettata, in quanto, come anzidetto, la norma attribuisce all'istituto una mera facoltà di assistenza fiscale.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

GNECCHI, MATTESINI, BELLANOVA, BOCCUZZI, BOBBA, CODURELLI, GATTI, MADIA, MOSCA, DAMIANO, GIOVANELLI, RAMPI, SCHIRRU, SANTAGATA e MIGLIOLI. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 72 (commi da 1 a 6) del decreto-legge n. 112 del 2008, relativo alle nuove norme per chi è prossimo alla pensione, ha introdotti il nuovo istituto dell'esonero dal servizio che ha come obiettivi il risparmio e una spinta alla progressiva riduzione del numero dei dipendenti pubblici, visto che non ne viene prevista la sostituzione;
l'esonero consiste nella sospensione dal servizio per un periodo massimo di 5 anni e possono chiederlo coloro che hanno maturato almeno 35 anni di contributi, indipendentemente dalla età anagrafica dei richiedenti. La procedura di utilizzo dell'esonero era valida solo fino al 2011. Con l'entrata in vigore del cosiddetto decreto-legge mille-proroghe, la possibilità per i dipendenti pubblici che stanno maturando i 40 anni di contributi di richiedere la sospensione dal servizio nei 5 anni antecedenti la maturazione del requisito viene prorogata al triennio 2012-2014;
con l'articolo 12 del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, novità sostanziale in materia di pensionamento dei dipendenti pubblici è data dalla cosiddetta finestra mobile a partire dall'anno in corso e cioè l'accesso al pensionamento di vecchiaia e di anzianità è previsto decorsi 12 mesi (18 mesi per i trattamenti pensionistici in regime di totalizzazione) dalla maturazione dei requisiti. Verrà, comunque, garantita la continuità tra stipendio e pensione, mantenendo in servizio i dipendenti fino alla data di decorrenza del trattamento della pensione. La nuova disposizione non si applica nei confronti di coloro che hanno maturato i requisiti prescritti (contributivi ed anagrafici) alla data del 31 dicembre 2010 e che possono accedere al trattamento pensionistico con le cosiddette 4 finestre in relazione al trimestre di maturazione dei requisiti;
ciò costringe anche chi ha richiesto e avuto l'autorizzazione all'esonero, con relativo decreto ante approvazione della legge n. 122 del 2010 a dover restare un anno in più in regime di esonero, quindi con il 50 per cento o il 70 per cento di retribuzione, senza alcuna possibilità, stante le mutate condizioni definite da questo Governo, di poter rientrare in servizio;
questo modo di procedere è, ad avviso degli interroganti, a dir poco singolare, oltre che molto contraddittorio, mina fortemente la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni e crea nuovo contenzioso nei confronti della pubblica amministrazione; le persone dispongono di un decreto che verrà «automaticamente» prorogato di un anno, con relativo ritardo anche per il trattamento fine rapporto di lavoro e tutte le inevitabili e nocive conseguenze -:
se non ritenga il Governo di promuovere una modifica della norma al fine di

consentire a coloro che hanno richiesto l'esonero, o lo richiedono in questa fase sperimentale prorogata, di poter ottenere la pensione come da decreto di accoglimento dell'esonero o rientrare in servizio su loro espressa richiesta e se il Ministro non ritenga necessario avviare una riflessione sulle regole per coloro che facciano richiesta da oggi.
(4-13674)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame con il quale l'interrogante chiede alcuni chiarimenti in merito all'istituto dell'esonero dal servizio, si rappresenta quanto segue.
L'articolo 72 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni nella legge 6 agosto 2008, n. 133, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, prevede, per gli anni 2009, 2010, 2011, 2012, 2013 e 2014 che il personale in servizio presso le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le Agenzie fiscali, la Presidenza del Consiglio dei ministri, gli enti pubblici non economici, le università, le istituzioni ed enti di ricerca, possa chiedere di essere esonerato dal servizio nel corso del quinquennio antecedente la data di maturazione della anzianità massima contributiva di 40 anni.
La richiesta di esonero dal servizio deve essere presentata dai soggetti interessati, improrogabilmente, entro il 1o marzo di ciascun anno, a condizione che entro l'anno solare raggiungano il requisito minimo di anzianità contributivo richiesto. Durante il periodo di esonero dal servizio, ai sensi del comma 3 dello stesso articolo, al dipendente spetta un trattamento temporaneo pari al cinquanta per cento di quello complessivamente goduto, per competenze fisse ed accessorie, al momento del collocamento nella nuova posizione. Ove durante tale periodo il dipendente svolga in modo continuativo ed esclusivo attività di volontariato, opportunamente documentata e certificata, presso organizzazioni non lucrative di utilità sociale, associazioni di promozione sociale, organizzazioni non governative che operano nel campo della cooperazione con i Paesi in via di sviluppo, la misura del predetto trattamento economico temporaneo è elevata dal cinquanta al settanta per cento.
Così delineato il quadro normativo, si evidenzia che la
ratio della disciplina introdotta dal sopracitato articolo 72 è quella di favorire l'accesso al pensionamento dei dipendenti a cui mancano solo cinque anni al raggiungimento della massima anzianità contributiva, creando così un risparmio di spesa pubblica in un momento di grave congiuntura economica; difatti, durante il periodo di esonero, come poc'anzi anticipato, il dipendente è retribuito al 50 per cento o, al massimo, al 70 per cento.
Per quanto riguarda, poi, il rapporto tra la normativa di base dell'istituto in parola, che stabilisce una durata massima dell'esonero pari a cinque anni, ed il nuovo regime della «finestra mobile» introdotto dalla manovra finanziaria di cui decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito nella legge 30 luglio 2010, n. 122, in base al quale è posticipata la decorrenza del diritto al trattamento pensionistico per talune categorie di dipendenti, occorre precisare che il nuovo regime trova applicazione per le pensioni di vecchiaia e di anzianità solo nei confronti dei dipendenti che maturano il diritto all'accesso alle rispettive forme di pensionamento a decorrere dall'anno 2011.
Pertanto, nulla è cambiato in ordine alla decorrenza del trattamento pensionistico per i dipendenti che hanno maturato i requisiti entro il 31 dicembre dell'anno 2010.
Per i dipendenti interessati all'applicazione del nuovo regime delle «finestre», occorre distinguere a seconda che l'esonero sia già in corso all'entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2010 o debba essere ancora concesso o attivato.
Se l'esonero era già in corso, l'entrata in vigore del nuovo regime della «finestra mobile» porterà come conseguenza l'allungamento del periodo dell'esonero retribuito superando il limite del quinquennio. Ciò, in analogia a quanto avviene per i dipendenti che sono in servizio nell'amministrazione, per i quali prosegue il rapporto di lavoro sino

al momento in cui possono conseguire il trattamento pensionistico.
Se l'esonero non è stato ancora concesso o attivato, la decorrenza dello stesso sarà fissata tenendo presente la «finestra mobile», mantenendo la durata al massimo quinquennale del periodo di esonero.
Ovviamente, deve ritenersi marginale e transitoria la disciplina relativa alle fattispecie in cui l'esonero sia stato autorizzato senza tener conto nella nuova «finestra unica» di cui all'articolo 12 del citato decreto-legge n. 78 del 2010, in quanto è evidente che solo eccezionalmente l'esonero viene prorogato di un anno, anche oltre i cinque anni previsti dal legislatore, dal momento che trattasi di una fattispecie che non può valere a regime.
La regola è, invece, che nelle ipotesi in cui si debba applicare la nuova finestra di dodici mesi, l'esonero sia autorizzato dalla rispettiva amministrazione con decorrenza iniziale differita di un anno e, precisamente, ad esempio, non al compimento dei trentacinque anni di contribuzione ma dei trentasei; questo in osservanza del principio per cui non può sussistere soluzione di continuità tra reddito e pensione. Ne consegue che, in tutte le fattispecie di esonero, la data di cessazione del rapporto di lavoro dovrà avvenire al termine del quarantunesimo anno di contribuzione e non più del quarantesimo.
In particolare, l'interrogante chiede se il Governo non ritenga di dover promuovere una modifica alla vigente normativa, al fine di consentire a coloro che sono già in regime di esonero, o che lo richiederanno entro la conclusione del periodo di applicazione (fino al 2014), di accedere al pensionamento nella data prevista al momento dell'accoglimento della domanda di esonero, ovvero di rientrare in servizio su espressa richiesta.
A tal riguardo - su concorde avviso della Ragioneria generale dello Stato - si fa presente che l'articolo 12 del decreto-legge n. 78 del 2010 ha stabilito in modo tassativo, ai commi 4 e 5, le deroghe al nuovo regime delle decorrenze e che, conseguentemente, qualsiasi iniziativa legislativa diretta all'ampliamento delle eccezioni all'applicazione delle nuove «finestre», ovvero alla possibilità di rientro in servizio, determinerebbe maggiori oneri rispetto alla normativa vigente, per i quali dovrebbe essere individuata idonea copertura finanziaria.

Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione: Renato Brunetta.

GOISIS. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
nell'anno scolastico 2010-2011 è stato istituito presso il liceo Einstein di Piove di Sacco l'indirizzo del liceo classico, con una classe articolata classico/linguistico;
alla fine dell'anno scolastico la suddetta classe è stata giudicata positiva dagli studenti e dalle famiglie sia per la qualità dell'insegnamento che per l'evidente risparmio di risorse in termini di tempo e di costi rispetto ad una scelta di pendolarismo verso il capoluogo;
per l'anno 2011-12 le iscrizioni al classico di Piove di Sacco sono 18, con la possibilità di aumentare nell'immediato in considerazione del fatto che a Chioggia, tradizionale bacino di utenza per alcuni indirizzi scolastici del Piovese, le iscrizioni al Classico, già presente da anni, sarebbero insufficienti per creare una nuova prima;
pur con lo stesso numero di iscritti, gli uffici competenti avrebbero rifiutato per l'anno scolastico 2011/12 l'attivazione della «classe articolata» in parola, rischiando di creare i seguenti disagi agli studenti che hanno optato per questa particolare esperienza didattica: in primis, i neo iscritti dovranno trovare altra collocazione presso istituti fuori del loro territorio; in secundis, la classe seconda già esistente costituirebbe una esperienza isolata e andrebbe quindi inevitabilmente ad estinguersi, implicando un problematico inserimento nei licei classici di Padova;
il polo scolastico del Piovese, dopo aver faticosamente conquistato l'indirizzo del liceo classico, si troverebbe ancora una volta

immeritatamente penalizzato rispetto agli altri poli scolastici della provincia di Padova che possono vantarne l'esistenza;
non si può ignorare d'altra parte che come ogni nuovo indirizzo anche il liceo classico piovese ha bisogno di almeno un paio di anni di «rodaggio» per radicarsi definitivamente nel territorio (ciò è avvenuto a suo tempo per l'indirizzo linguistico e per il liceo delle scienze umane, oggi ambedue stabilizzati con ben due sezioni di 24/25 alunni ciascuna) -:
quali iniziative intenda intraprendere per confermare l'istituzione della classe articolata in continuità con l'esperienza dello scorso anno scolastico, tenuto conto che la predetta articolazione (cioè lo sdoppiamento della classe) comporterebbe solo nove ore di docenza diversificata (latino e greco) e quindi il costo aggiuntivo sarebbe notevolmente basso e comunque irrisorio rispetto ai benefici che possono essere conseguiti.
(4-12965)

Risposta. - In relazione a quanto rappresentato nell'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante segnala il disagio della comunità di Piove di Sacco (Padova), per la paventata chiusura, presso il liceo Einstein, di una classe articolata classico/linguistico, attivata per l'anno scolastico 2010/2011, la direzione generale dell'ufficio scolastico regionale per il Veneto ha comunicato che la classe in questione è stata autorizzata, in data 27 luglio 2011, anche per l'anno scolastico 2011/2012.
Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Mariastella Gelmini.

HOLZMANN. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
con sentenza del 29 maggio 2006 il tribunale di giustizia amministrativa, sezione di Bolzano, ha accolto il ricorso presentato dal collegio provinciale di Bolzano degli infermieri contro la provincia autonoma di Bolzano per l'annullamento della deliberazione della giunta provinciale n. 3775 del 18 ottobre 2004, avente per oggetto l'approvazione della formazione di livello C per autisti e soccorritori;
la deliberazione di cui sopra sarebbe in contrasto con l'articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione che stabilisce la competenza legislativa dello Stato in materia di determinazione dei livelli assistenziali delle prestazioni che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale e violerebbe la legge 26 febbraio 1999, n. 42, «Disposizioni in materia di professioni sanitarie» -:
se intenda assumere iniziative normative volte a regolamentare l'istituzione di figure professionali a cui affidare compiti che si presentano contigui o complementari a quelli della professione infermieristica, in particolare sulle ambulanze di livello A, posto che nell'attuale quadro costituzionale tale disciplina dovrebbe essere riservata alla legislazione statale.
(4-10379)

Risposta. - A seguito della modifica del titolo V della Costituzione, avvenuta con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, rientra nella potestà legislativa statale l'individuazione di nuovi profili professionali sanitari, mentre è riservata alla potestà legislativa regionale solo l'individuazione di profili professionali inerenti ad attività aventi carattere servente ed ausiliario rispetto a quelle pertinenti alle professioni sanitarie.
Per costante giurisprudenza costituzionale, inoltre, le regioni e le province autonome non possono utilizzare le competenze loro riconosciute in materia di formazione per giungere, surrettiziamente e di fatto, all'individuazione di nuove professioni sanitarie, essendo questa una competenza esclusiva dello Stato (cfr. tra le altre, le sentenze nn. 93 del 2008, n. 300 del 2007, nn. 153, 423, 424, 449 del 2006 e n. 335 del 2005).
Premesso quanto sopra, si fa presente che, in ordine alla problematica prospettata nell'interrogazione parlamentare in esame, è stata formalizzata dal Ministero della salute, con una

nota del 1o marzo 2011, diretta al coordinamento interregionale sanità, la proposta dell'istituzione del profilo professionale di autista soccorritore.
Tale proposta è stata condivisa dalle associazioni rappresentative della categoria.
Al momento, si è in attesa di ricevere il parere del menzionato coordinamento per proseguire l'
iter in vista dell'istituzione di tale nuova figura professionale.
Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.

HOLZMANN. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 72 (commi da 1 a 6) del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, relativo alle nuove norme per chi è prossimo alla pensione, ha introdotto l'istituto dell'esonero dal servizio che ha come obiettivo il risparmio e la riduzione dei dipendenti pubblici;
l'esonero consente la sospensione dal servizio per un periodo massimo di cinque anni e possono chiederlo coloro che hanno maturato almeno 35 anni di contributi. La possibilità di chiedere l'esonero era valida fino al 2011; con l'entrata in vigore del decreto-legge mille-proroghe, l'opportunità per coloro che stanno maturando i quarant'anni di contributi di richiedere la sospensione dal servizio nei cinque anni antecedenti la maturazione del requisito viene prorogata al triennio 2012-2014;
con l'approvazioni del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, è stato introdotto l'accesso al pensionamento di vecchiaia e di anzianità è previsto decorsi 12 mesi (18 mesi per i trattamenti pensionistici in regime di totalizzazione) dalla maturazione dei requisiti; ciò costringe anche chi ha richiesto e avuto l'autorizzazione all'esonero, con relativo decreto prima dell'approvazione del decreto-legge n. 78 del 2010 della legge n. 122 del 2010, a dover restare un anno in più in regime di esonero, quindi con il 50 per cento o il 70 per cento di retribuzione, senza alcuna possibilità, stante le mutate condizioni definite dal Governo, di poter rientrare in servizio; questo modo di procedere costringe i lavoratori interessati e le relative famiglie a rivedere i propri obiettivi, procrastinare i propri bisogni non potendo disporre nel periodo a suo tempo determinato per la fine dell'esonero, sia del trattamento di fine servizio che del reddito da pensione -:
se non ritenga il Governo di assumere iniziative, anche normative, per consentire a coloro che hanno richiesto l'esonero di poter ottenere la pensione come da decreto di accoglimento dell'esonero o rientrare in servizio a richiesta.
(4-13626)

Risposta. - In riferimento all'atto di sindacato ispettivo in oggetto indicato, con il quale l'interrogante chiede alcuni chiarimenti in merito all'istituto dell'esonero dal servizio, si rappresenta quanto segue.
L'articolo 72 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni nella legge 6 agosto 2008, n. 133, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, prevede, per gli anni 2009, 2010, 2011, 2012, 2013 e 2014 che il personale in servizio presso le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie fiscali, la Presidenza del Consiglio dei ministri, gli enti pubblici non economici, le università, le istituzioni ed enti di ricerca, possa chiedere di essere esonerato dal servizio nel corso del quinquennio antecedente la data di maturazione della anzianità massima contributiva di 40 anni.
La richiesta di esonero dal servizio deve essere presentata dai soggetti interessati, improrogabilmente, entro il 1o marzo di ciascun anno, a condizione che entro l'anno solare raggiungano il requisito minimo di anzianità contributivo richiesto. Durante il periodo di esonero dal servizio, ai sensi del comma 3 dello stesso articolo, al dipendente spetta un trattamento temporaneo pari al cinquanta

per cento di quello complessivamente goduto, per competenze fisse ed accessorie, al momento del collocamento nella nuova posizione. Ove durante tale periodo il dipendente svolga in modo continuativo ed esclusivo attività di volontariato, opportunamente documentata e certificata, presso organizzazioni non lucrative di utilità sociale, associazioni di promozione sociale, organizzazioni non governative che operano nel campo della cooperazione con i paesi in via di sviluppo, la misura del predetto trattamento economico temporaneo è elevata dal cinquanta al settanta per cento.
Così delineato il quadro normativo, si evidenzia che la
ratio della disciplina introdotta dal sopracitato articolo 72 è quella di favorire l'accesso al pensionamento dei dipendenti a cui mancano solo cinque anni al raggiungimento della massima anzianità contributiva, creando così un risparmio di spesa pubblica in un momento di grave congiuntura economica; difatti, durante il periodo di esonero, come poc'anzi anticipato, il dipendente è retribuito al 50 per cento o, al massimo, al 70 per cento.
Per quanto riguarda, poi, il rapporto tra la normativa di base dell'istituto in parola, che stabilisce una durata massima dell'esonero pari a cinque anni, ed il nuovo regime della «finestra mobile» introdotto dalla manovra finanziaria di cui al decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, in base al quale è posticipata la decorrenza del diritto al trattamento pensionistico per talune categorie di dipendenti, occorre precisare che il nuovo regime trova applicazione per le pensioni di vecchiaia e di anzianità solo nei confronti dei dipendenti che maturano il diritto all'accesso alle rispettive forme di pensionamento a decorrere dall'anno 2011.
Pertanto, nulla è cambiato in ordine alla decorrenza del trattamento pensionistico per i dipendenti che hanno maturato i requisiti entro il 31 dicembre dell'anno 2010.
Per i dipendenti interessati all'applicazione del nuovo regime delle «finestre», occorre distinguere a seconda che l'esonero sia già in corso all'entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2010 o debba essere ancora concesso o attivato.
Se l'esonero era già in corso, l'entrata in vigore del nuovo regime della «finestra mobile» porterà come conseguenza l'allungamento del periodo dell'esonero retribuito superando il limite del quinquennio. Ciò, in analogia a quanto avviene per i dipendenti che sono in servizio nell'amministrazione, per i quali prosegue il rapporto di lavoro sino al momento in cui possono conseguire il trattamento pensionistico.
Se l'esonero non è stato ancora concesso o attivato, la decorrenza dello stesso sarà fissata tenendo presente la «finestra mobile», mantenendo la durata al massimo quinquennale del periodo di esonero.
Ovviamente, deve ritenersi marginale e transitoria la disciplina relativa alle fattispecie in cui l'esonero sia stato autorizzato senza tener conto nella nuova «finestra unica» di cui all'articolo 12 del citato decreto-legge n. 78 del 2010, in quanto è evidente che solo eccezionalmente l'esonero viene prorogato di un anno, anche oltre i cinque anni previsti dal legislatore, dal momento che trattasi di una fattispecie che non può valere a regime.
La regola è, invece, che nelle ipotesi in cui si debba applicare la nuova finestra di dodici mesi, l'esonero sia autorizzato dalla rispettiva amministrazione con decorrenza iniziale differita di un anno e, precisamente, ad esempio, non al compimento dei trentacinque anni di contribuzione ma dei trentasei; questo in osservanza del principio per cui non può sussistere soluzione di continuità tra reddito e pensione. Ne consegue che, in tutte le fattispecie di esonero, la data di cessazione del rapporto di lavoro dovrà avvenire al termine del quarantunesimo anno di contribuzione e non più del quarantesimo.
In particolare, l'onorevole Holzmann chiede se il Governo non ritenga di dover promuovere una modifica alla vigente normativa, al fine di consentire a coloro che sono già in regime di esonero, o che lo richiederanno entro la conclusione del periodo di applicazione (fino al 2014), di accedere al pensionamento nella data prevista

al momento dell'accoglimento della domanda di esonero, ovvero di rientrare in servizio su espressa richiesta.
A tal riguardo - su concorde avviso della ragioneria generale dello Stato - si fa presente che l'articolo 12 del decreto-legge n. 78 del 2010 ha stabilito in modo tassativo, ai commi 4 e 5, le deroghe al nuovo regime delle decorrenze e che, conseguentemente, qualsiasi iniziativa legislativa diretta all'ampliamento delle eccezioni all'applicazione delle nuove «finestre», ovvero alla possibilità di rientro in servizio, determinerebbe maggiori oneri rispetto alla normativa vigente, per i quali dovrebbe essere individuata idonea copertura finanziaria.

Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione: Renato Brunetta.

JANNONE. - Al Ministro per le pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
a confronto con gli altri Paesi, l'Italia registra il maggior divario tra il tasso di disoccupazione femminile e quello maschile. Ma è soprattutto il tasso di occupazione, oggi distante di quasi 15 punti percentuali dagli obiettivi fissati a Lisbona per il 2010, a destare allarme. Meno di una donna su due in età di lavoro ha un'occupazione regolare. La disparità rispetto agli altri Paesi si concentra prevalentemente nel Mezzogiorno, dove ben tre donne su quattro in età di lavoro sono senza lavoro. In queste aree del Paese, il problema non è tanto quello dell'offerta di lavoro femminile, quanto la scarsa domanda di lavoro e la mancanza di reali opportunità di impiego nella economia regolare;
il principio di parità di trattamento retributivo tra uomo e donna, sancito dal Trattato istitutivo della Comunità europea, trova spiegazione nel timore di forme di «dumping sociale» legate a un più basso costo del lavoro femminile. Lo stesso legislatore italiano, con riferimento al contratto di inserimento al lavoro delle donne, si è recentemente mosso con particolare cautela, riservando una riduzione differenziata per genere dell'aliquota contributiva alle sole aree del Mezzogiorno, conformemente al regolamento comunitario vigente in materia di aiuti di Stato;
il problema dell'occupazione femminile riguarda anche ambiti di intervento a sostegno della famiglia, attuati da politiche che danno un maggior accesso all'istruzione e alla formazione professionale, una maggiore sicurezza previdenziale e lavorativa, nonché un migliore coordinamento tra i tempi di vita e i tempi di lavoro. In questi ambiti particolare rilievo può assumere l'evoluzione della contrattazione collettiva e della prassi aziendale con riferimento alla flessibile modulazione dell'orario di lavoro oggi consentita dal cambiamento dei tradizionali modelli produttivi seriali e dalla trasformazione terziaria;
piccoli ma significativi aggiustamenti nel rigido orario di lavoro possono consentire a molti la conciliazione tra tempi di lavoro e di famiglia senza compromissione delle possibilità di carriera. La stessa contrattazione può utilmente definire il quadro di riferimento entro il quale consentire anche accordi individuali tarati sulle specifiche esigenze delle parti del rapporto di lavoro -:
quali iniziative il Ministro intenda adottare per colmare il divario fra lavoro femminile e maschile, con particolare riguardo per il Mezzogiorno d'Italia.
(4-04207)

Risposta. - Mi riferisco all'interrogazione in esame concernente le iniziative per incentivare il lavoro femminile.
In ordine a tali iniziative, vorrei in primo luogo far presente che, considerata la crescente attenzione verso le problematiche connesse all'occupazione femminile, nonché alle difficoltà che le donne incontrano nel conciliare la vita familiare con la vita professionale, ho ritenuto di fondamentale importanza la predisposizione di azioni concrete volte non solo a favorire un incremento diretto del tasso di occupazione femminile, ma anche la conciliazione.


In tale direzione si collocano il piano recante il «Sistema di interventi per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro» ed il «programma di azioni per l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro» elaborato d'intesa con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
Il piano di interventi per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro ha investito 40 milioni di euro del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità in finanziamenti per le
tagesmutter, per il telelavoro, per la formazione volta a sostenere il rientro nel lavoro dopo un periodo di congedo per maternità.
In proposito segnalo che sono state sottoscritte le convenzioni con le regioni che, allo stato attuale, hanno presentato i programmi attuativi del citato accordo. Grazie a tali sottoscrizioni gli interventi previsti dai programmi attuativi regionali sono già partiti a livello territoriale.
Allo stesso modo, attraverso il «Programma di azioni per l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro», si è inteso potenziare i servizi di assistenza per la prima infanzia e rivedere i criteri e le modalità per la concessione di contributi ad aziende per progetti che favoriscano la conciliazione, specie attraverso l'uso di modalità di lavoro flessibile, quali il
part time o il lavoro a domicilio.
A questo proposito ricordo che il 7 marzo 2011 è stato siglato presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con l'accordo di tutte le parti sociali, un avviso comune sulle misure a sostegno delle politiche di conciliazione tra famiglia e lavoro, con l'obiettivo primario di sostenere l'occupazione femminile.
Ad ulteriore conferma dell'impegno profuso dal Governo per lo studio di soluzioni volte a incoraggiare l'utilizzo di forme di flessibilità lavorativa che garantirebbero un netto incremento dell'occupazione femminile segnalo la sottoscrizione, d'intesa con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e con il Sottosegretario per le politiche per la famiglia di una circolare, attualmente in attesa di registrazione presso la Corte dei conti, che fornisce alle amministrazioni i criteri da seguire nella valutazione delle domande di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale e nella rivalutazione dei
part time già concessi, ponendo particolare attenzione nei confronti di quei lavoratori che godono di un diritto o di un titolo di precedenza nella trasformazione del rapporto di lavoro.
In merito al rilancio di misure volte a sostenere l'imprenditoria femminile, specie nelle regioni del mezzogiorno, vorrei segnalare le azioni positive poste in essere dall'ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali - dipartimento per le pari opportunità, dirette a promuovere lo sviluppo di microimprese e di imprese gestite da donne immigrate. È stato infatti predisposto dall'UNAR, nell'ottobre 2009, un avviso pubblico per la promozione dell'adozione di azioni positive dirette ad evitare o compensare situazioni di svantaggio connesse alla razza o all'origine etnica. Nell'ambito specifico dello sviluppo di microimprese e di imprese gestite da donne immigrate, si segnala che sono stati 8 i progetti finanziati, per un importo totale di 315.943 euro.
Sempre al fine di sostenere l'imprenditoria femminile, il 24 febbraio 2009, presso il dipartimento per le pari opportunità, si è insediato il comitato per l'imprenditoria femminile, da me presieduto e composto dalle rappresentanti di associazioni di categoria, il cui compito è proprio quello di definire indirizzi di programma innovativi per lo sviluppo dell'imprenditoria femminile e di fornire un valido supporto alle donne imprenditrici.
Inoltre, il 17 maggio 2011 si è insediata la commissione per le pari opportunità tra uomo e donna - dipartimento per le pari opportunità, cui spetta, tra gli altri, il compito di fornire consulenza e supporto tecnico-scientifico nell'elaborazione e nell'attuazione delle politiche di genere sui provvedimenti di competenza dello Stato e di controllare sistematicamente gli sviluppi delle politiche delle pari opportunità tra uomini e donne in ambito sopranazionale e comunitario.
Assumono, altresì, rilevanza tra le misure volte ad incrementare l'occupazione femminile, le azioni positive di cui al «Regolamento recante criteri e modalità per la concessione

dei contributi di cui all'articolo 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53 recante "Disposizioni per il sostegno della maternità e paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città"» (Gazzetta Ufficiale 3 maggio 2011), che disciplina l'erogazione di contributi finanziari a favore dei datori di lavoro privati esercenti o no attività d'impresa, iscritti in pubblici registri, le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere e le aziende ospedaliere universitarie, che si vincolino, mediante accordi contrattuali, all'adozione di azioni positive volte non solo a consentire alle lavoratrici e ai lavoratori con figli minori ovvero con a carico persone disabili o non autosufficienti, di usufruire di particolari forme di flessibilità degli orari e dell'organizzazione del lavoro, ma anche al reinserimento lavorativo degli stessi.
Vorrei, infine, segnalare l'approvazione, il 7 luglio 2011, del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 70 del 2011 concernente «Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia» all'interno del quale sono stati inseriti strumenti specifici ai fini della promozione della produttività e dell'occupazione, sia maschile che femminile, nelle regioni del mezzogiorno.

Il Ministro per le pari opportunità: Mara Carfagna.

JANNONE. - Al Ministro per le pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
secondo i dati forniti dall'associazione «Aiuto donna» (che aderisce alla rete costituita dai centri antiviolenza di tutta Italia), a Bergamo sono state oltre 200 le donne che, nel 2009, si sono rivolte al centro antiviolenza cittadino;
si tratta soprattutto di donne italiane (118 casi sui 212 complessivi), benché nel 2009 si contino 81 segnalazioni provenienti da cittadine extracomunitarie. Secondo Sara Modora, responsabile di «Aiuto donna», l'aumento delle denunce da parte di straniere è segnale di una maggiore apertura acquisita da queste donne, che consente loro finalmente di riuscire ad esternare i propri problemi;
le donne si rivolgono al centro alla ricerca di aiuto, assistenza legale, ascolto e consiglio da parte di psicologi, in quanto vittime di violenze, abusi e minacce;
nella maggior parte dei casi i maltrattamenti si consumano entro le mura domestiche, ad opera di mariti, fidanzati, od ex partner che non accettano di essere lasciati: dati Istat rivelano infatti che la violenza all'interno della famiglia rappresenta il 90 per cento dei casi, mentre solo il 10 per cento è costituito da aggressioni da parte di sconosciuti;
proprio il rapporto di conoscenza e vicinanza con i propri aggressori agisce come freno inibitore alla denuncia, facendo sì che spesso il dolore della violenza resti taciuto e nascosto. Nella maggior parte dei casi infatti gli abusi subiti si protraggono da diversi anni, segno della difficoltà che le donne incontrano a vincere la paura e chiedere finalmente aiuto;
sempre secondo dati Istat, in Italia soltanto il 10 per cento delle donne effettivamente maltrattate trova il coraggio di denunciare: pertanto, se ad «Aiuto donna» nel 2009 si sono rivolte 212 donne, è tuttavia probabile che, in provincia, il numero di coloro che hanno subito violenze si avvicini in realtà a duemila;
i dati relativi al 2009 non si discostano molto da quelli registrati nel 2008 (quando i casi trattati furono 208). Si osserva, invece, un sensibile incremento delle richieste d'aiuto tra il 2007 (in cui se ne contarono 149) ed il 2008: secondo Marcella Micheletti (che presta consulenza legale presso «Aiuto donna») questo non significherebbe necessariamente che la violenza nelle famiglie della Bergamasca sia aumentata, bensì andrebbe interpretato come manifestazione di una accresciuta capacità delle donne di vincere la paura e denunciare la propria situazione;
negli ultimi mesi l'associazione «Aiuto donna» si è impegnata affinché sia

approvata una legge regionale in tema di violenza contro le donne: la Lombardia e la Basilicata infatti sono le uniche regioni italiane a non avere una legge in materia. Secondo le responsabili dell'associazione «L'obiettivo è tutelare le donne, anche stanziando i finanziamenti necessari per il mantenimento e la crescita dei Centri antiviolenza»: essi infatti ottengono risorse solo dal comune, dove però non esiste un'apposita voce di bilancio, con la conseguenza che soltanto di anno in anno sia possibile sapere quanto denaro potranno ricevere -:
quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di predisporre efficaci strumenti a sostegno delle donne vittime di violenze, in grado di offrire loro il necessario supporto legale, emotivo e psicologico;
quali iniziative intenda intraprendere a tutela e protezione dei diritti delle donne, anche attraverso progetti di informazione, sensibilizzazione ed educazione dell'opinione pubblica, affinché venga sanata quella che, secondo l'associazione «Aiuto donna», rappresenta una vera e propria emergenza culturale.
(4-06891)

Risposta. - Mi riferisco all'interrogazione in esame, concernente le azioni poste in essere al fine di contrastare il fenomeno della violenza perpetrata nei confronti delle donne.
A tale proposito segnalo in primo luogo che, nella consapevolezza che per contrastare efficacemente il fenomeno della violenza contro le donne sia necessario integrare gli interventi repressivi con politiche ed azioni puntuali e coordinate in ambito sociale, informativo, educativo e normativo, anche con la proficua collaborazione con il mondo dell'associazionismo e delle rappresentanti dei centri anti-violenza, è stato elaborato il primo «Piano nazionale contro la violenza di genere e lo
stalking», strumento indispensabile per lo sviluppo di una strategia nazionale di prevenzione e contrasto della violenza, nonché dell'azione di protezione, tutela, inserimento e reinserimento delle vittime.
Il Piano, approvato l'11 novembre 2010, mira a raggiungere i seguenti obiettivi: assicurare un livello di informazione adeguato, diffuso ed efficace sul fenomeno della violenza di genere e lo
stalking; garantire e implementare una rete di centri antiviolenza e le altre strutture pubbliche e private ed i territori in modo tale da assicurare - in una logica di integrazione e di collaborazione - adeguata assistenza alle vittime su tutto il territorio nazionale; assicurare lo sviluppo di tutte le professionalità che entrano in contatto con le tematiche della violenza di genere, al fine di diffondere sempre più la cultura dei diritti della persona e del rispetto tra i generi; prevedere una raccolta strutturata su dati e informazioni del fenomeno per comprenderlo meglio e seguirne l'evoluzione; potenziare le forme di assistenza e sostegno delle vittime di violenza ed ai loro figli.
Le iniziative previste dal Piano risultano, peraltro, complementari ai numerosi interventi posti in essere dal Dipartimento per le pari opportunità.
Mi riferisco, ad esempio, al numero di pubblica utilità 1522, istituito nel 2006, che fornisce, 24 ore su 24, alle vittime di violenza un sostegno psicologico e legale, indirizzandole verso le competenti strutture pubbliche e private presenti sul territorio.
Nato e pensato come servizio pubblico nell'intento esclusivo di fornire ascolto e sostegno alle donne vittime di violenza, il 1522, con l'entrata in vigore della legge n. 38 del 2009, che ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico il reato di «atti persecutori» (articolo 612-
bis del codice penale), ha iniziato un'azione di sostegno anche nei confronti delle vittime di stalking.
Nell'arco di questi anni, il 1522 ha fornito assistenza a circa 80.000 donne vittime di qualsiasi forma di violenza, il 10 per cento delle quali di nazionalità straniera.
Sempre nell'ambito delle azioni poste in essere dal Dipartimento per le pari opportunità, segnalo che il 14 febbraio 2011 il Dipartimento per le pari opportunità ha sottoscritto 24 Protocolli d'intesa con le amministrazioni provinciali o comunali facenti

parte della rete nazionale antiviolenza, finalizzati ad assicurare un raccordo diretto con il 1522 ed a implementare, sui rispettivi territori, progetti di sensibilizzazione sul tema della violenza e messa in rete dei servizi di orientamento ed assistenza offerti alle vittime.
Il 13 agosto 2011 è stato, invece, pubblicato un avviso per progetti finalizzati a rafforzare le azioni di prevenzione e contrasto alla violenza di genere, che andrà a sostenere i migliori presentati dai comuni in partenariato con enti pubblici ed organizzazioni del terzo settore, per un importo massimo di euro 140.000 per ciascun progetto. Al finanziamento delle attività progettuali sono destinati 3.000.000 euro.
Entro la fine del 2011 verrà, inoltre, pubblicato un avviso finalizzato al sostegno dei centri antiviolenza, nell'ambito di quanto previsto dal Piano citato in precedenza.
Vorrei altresì ricordare, in ordine alle attività di contrasto al fenomeno dello
stalking, la firma di un Protocollo d'intesa con il Ministero dell'interno, il 3 luglio 2009, il cui scopo è stato quello di migliorare il raccordo con le forze dell'ordine. Nel quadro delineato da tale Protocollo, il Dipartimento per le pari opportunità ha provveduto alla stipula di tre convenzioni riguardanti: - la prima - il raccordo tra le Forze dell'ordine ed il servizio di accoglienza 1522 al fine di ottimizzare il servizio di pubblica utilità; - la seconda - la realizzazione presso la Direzione centrale della polizia criminale - servizio analisi criminale del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno di una banca dati per la raccolta e la condivisione dei dati quantitativi e qualitativi sul fenomeno della violenza sessuale e di genere; - la terza - finalizzata alla formazione di tutto il personale delle Forze dell'ordine che presta soccorso alle vittime di violenza.
Ricordo, altresì, che il 15 gennaio 2009 è stata istituita attraverso la firma di un protocollo d'intesa con il Ministero della difesa, la sezione atti persecutori, una
task force composta da 11 carabinieri, la cui attività si sostanzia, principalmente, in un monitoraggio geografico dei fenomeni di stalking in base alle denunce raccolte dalle varie questure e in una «mappatura» comportamentale per tracciare i diversi profili degli stalkers.
Nell'ambito delle strategie di prevenzione contro la violenza perpetrata ai danni delle donne sono state inoltre realizzate dal Dipartimento per le pari opportunità tre campagne di informazione e sensibilizzazione: «
Stalking: quando le attenzioni diventano persecuzione»; «1522 - È l'ora di agire» che promuove il servizio di accoglienza telefonica e sostegno per le donne vittime di violenza e la campagna di comunicazione Respect women respect world promossa in occasione della Conferenza internazionale sulla violenza contro le donne (Roma 9-10 settembre 2009).
Infine, attraverso la firma di un Protocollo d'intesa con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il 3 luglio 2009, è stata istituita la «Settimana contro la violenza», dal 12 al 18 ottobre, giunta alla sua terza edizione, il cui scopo è quello di creare un momento di riflessione sui temi del rispetto delle differenze, dell'accoglienza e della legalità, che coinvolga studenti, genitori e docenti.

Il Ministro per le pari opportunità: Mara Carfagna.

JANNONE. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
lo stesso modello di protesi sanitaria dalle valvole cardiache ai pacemaker, dai defibrillatori agli attrezzi chirurgici ha, in Italia, un prezzo che varia parecchio a seconda dell'Asl che lo acquista. La Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori sanitari e sul disavanzo regionale ha annunciato l'apertura di un'inchiesta per porre fine a questo spreco enorme di denaro pubblico, una delle cause del disavanzo di bilancio di dieci regioni di Italia oltreché dell'enorme crescita della spesa sanitaria nazionale;
sono ancora sconosciute le cause di questo trend altalenante che non risparmia nessuna regione italiana, che interessa il nord

quanto il sud, e che si verifica in modo bipartisan in amministrazioni di entrambi gli schieramenti politici. Non è da escludere che dietro quelle inspiegabili oscillazioni da elettrocardiogramma dei prezzi alligni la corruzione, per questo lo stesso Ministro interrogato ha espresso l'intenzione di centralizzare a livello regionale gli acquisti dei dispositivi medici, contando di risparmiare fino a due miliardi di euro all'anno. Si tratta di una cifra da capogiro se si considera che rappresenta lo 0,15 per cento del Pil;
il caso forse più clamoroso di divario dei prezzi a parità di prodotto si registra, a sorpresa, nel Nord est, nei capoluoghi del Trentino Alto Adige: il defibrillatore bicamerale della Boston scientific (modello teligen 100 Dr F110) costa, a Trento, 13.500 euro, ad appena 50 chilometri di distanza, a Bolzano, 16.100. Episodi analoghi si registrano ovunque in Italia. E il settore forse più critico è quello del cuore. I cardiologi infilano nelle coronarie ostruite dei piccolissimi tubicini, gli stent, che servono ad disostruire le arterie cardiache. È una tecnologia relativamente recente che ha rivoluzionato la terapia dell'infarto e che ha ridotto vertiginosamente il ricorso al tradizionale by-pass chirurgico. Lo «stent medicato» a rilascio di farmaco Xience V costa a Terni 594 euro, ma a Genova il prezzo misteriosamente raddoppia balzando a 1.250 euro;
stesso discorso vale in cardiochirurgia. Una valvola aortica cardiaca percutanea ha un prezzo di 19 mila euro all'Azienda ospedaliera Niguarda di Milano, di 20 mila alle Molinette e di 21 mila all'Estav-Sudest Toscana. Le stesse valvole meccaniche mitraliche all'Estav-Sudest della Regione Toscana costano 2.380 euro, 2.500 all'ospedale di Alessandria e 3.400 all'Azienda messinese Papardo Piemonte. Anche la chirurgia non è esente dal fenomeno dell'altalena dei prezzi a parità di prodotto. I trocar - tubi che si piantano nell'addome attraverso cui si introducono fibre ottiche e strumenti chirurgici, pinze e forbici - hanno prezzi che variano all'interno della stessa regione da un minimo di 80 euro a un massimo di 102. Se qualunque altro prodotto presentasse oscillazioni dei prezzi di tali percentuali, dal 50 al 100 e perfino al 200 per cento, si direbbe che il mercato è in mano agli speculatori. Le associazioni dei consumatori insorgerebbero. Interverrebbe il Garante per la sorveglianza dei prezzi. Gli imprenditori scorretti verrebbero perseguiti dalla Guardia di finanza. E i centri acquisti della pubblica amministrazione sarebbero indagati dalla Corte dei Conti;
nel mercato delle protesi sanitarie, invece, nessuno denuncia queste gravi anomalie, che vanno contro la legge della domanda e dell'offerta. Anzi, nonostante tutti ne siano a conoscenza da anni, dal Ministero della salute ad Assobiomedica, dalle Asl alle associazioni scientifiche, dagli informatori sanitari ai medici, tutti tacciono. Ottenere i prezzi di acquisto delle varie Asl è praticamente impossibile. Nessuno li fornisce. Ogni azienda sanitaria se li tiene per sé e rifiuta di renderli pubblici addirittura alle altre Asl. I dati sono taciuti al Ministro della salute dalle stesse regioni. È un mercato dal fatturato miliardario: esclusa la farmaceutica, l'importo complessivo è di 7 miliardi all'anno;
le ipotesi sono più di una: per alcuni si tratta di pessima gestione amministrativa delle forniture biomedicali. Per altri è una forma di degenerazione del federalismo sanitario: ogni regione, essendo autonoma nella gestione del proprio bilancio sanitario, fa come crede. Ma lo scenario più inquietante è che l'altalena dei prezzi nasconda, invece, episodi di corruzione e tangenti. Come ad esempio avvenne otto anni fa a Torino, quando la magistratura contrastò un vasto, quanto diffuso e addirittura decennale sistema di corruzione sulla fornitura di valvole cardiache che interessava tutto il Nord: dal Piemonte, alla Lombardia, fino al Veneto. In quella vicenda la tangente concordata tra fornitori e cardiochirurghi all'insaputa delle commissioni aggiudicatrici dell'appalto faceva lievitare il prezzo delle protesi di circa 600 euro.

Oggi, ad otto anni di distanza da quello scandalo, il rischio tangenti è tutt'altro che scongiurato;
l'oscillazione dei prezzi dei dispositivi medici a parità di modello riguarda quasi tutte le specialità. Secondo Assobiomedica, l'associazione che riunisce 300 aziende di tecnologie biomedicali e diagnostica, le Asl non pagano. O pagano in ritardo. Angelo Fracassi, presidente di Assobiomedica, ha detto che l'80 per cento delle imprese del settore ha fatto partire azioni di pignoramento contro le Asl per recuperare i propri crediti insoluti, circa 5 miliardi di euro;
ogni anno in ciascun ospedale si spendono in media 110 milioni di euro per l'acquisto di dispositivi medici soprattutto nell'ambito della cardiologia interventistica, contro 90 milioni di euro per i farmaci. Mentre per i farmaci c'è una governance, l'Aifa (agenzia italiana sui farmaci), un organo di controllo simile manca per i dispositivi. Col risultato che in questo settore il prezzo è libero, con gare che si svolgono ospedale per ospedale, con un'eterogeneità di prezzi enorme che possono raddoppiare o triplicare da zona a zona d'Italia -:
quali iniziative, anche normative, il Ministro intenda porre in essere al fine di contrastare le problematiche che ruotano attorno all'acquisto di apparati biomedicali da parte delle Asl italiane.
(4-07545)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, si forniscono di seguito, per gli aspetti di competenza istituzionale, gli elementi di risposta riferiti alla problematica relativa al divario dei prezzi di acquisto dei dispositivi medici a parità di prodotto.
A carattere generale, si precisa che numerose sono le variabili che incidono sulla determinazione del prezzo di un dispositivo medico.
Prodotti, servizi, assistenza tecnica, formazione del personale sanitario, tempi di consegna, diverse procedure di acquisizione, sono solo alcuni dei fattori che determinano la differenza di prezzo di un dispositivo acquistato da enti diversi, quali una singola azienda sanitaria locale o un'area vasta regionale.
La conoscenza dei costi sostenuti per l'acquisizione dei dispositivi medici e delle relative procedure di acquisto costituisce, pertanto, un elemento fondamentale per pervenire ad una piena conoscenza del settore da parte degli operatori responsabili dell'acquisizione dei dispositivi ed è, inoltre, uno strumento per operare confronti e valutazioni che possano contribuire a migliorarne i risultati.
A tale specifico riguardo, la legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), all'articolo 1, comma 409, ha disposto la definizione, con decreto del Ministro della salute, previo accordo con le regioni e le province autonome in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, delle modalità con le quali le aziende sanitarie devono inviare al Ministero della salute, per il monitoraggio nazionale dei consumi dei dispositivi medici, le informazioni previste dall'articolo 57, comma 5, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003).
Già in precedenza, infatti, la legge n. 289 del 2002, all'articolo 57, comma 5, al fine di consentire un confronto tra i «costi unitari» dei dispositivi medici acquistati dalle aziende sanitarie ospedaliere e territoriali, aveva obbligato le aziende stesse a rendere pubblici tali dati semestralmente, attraverso siti
internet.
L'analisi dei siti
internet esistenti ha evidenziato che, se da una parte molte aziende non hanno ottemperato all'obbligo, anche quelle che si sono dimostrate in linea con il dettato normativo, lo hanno fatto con modalità di presentazione diverse da caso a caso, rendendo molto difficili i confronti.
La costituzione della banca dati dei dispositivi medici ha rappresentato un passaggio indispensabile per l'attuazione del monitoraggio dei consumi dei dispositivi medici in modo omogeneo nel territorio nazionale, dal momento che le informazioni devono essere rilevate per ciascun dispositivo medico e con frequenza tale da consentire

un monitoraggio tempestivo dei consumi e dei costi sostenuti dalle strutture del Servizio sanitario nazionale (Ssn).
È stato inoltre adottato il decreto del Ministero della salute dell'11 giugno 2010 finalizzato alla «Istituzione del flusso informativo per il monitoraggio dei consumi dei dispositivi medici direttamente acquistati dal Servizio sanitario nazionale».
Sono oggetto di rilevazione, a partire dall'ultimo trimestre 2010, i dati relativi alle distribuzioni di dispositivi medici da parte delle strutture sanitarie direttamente gestite dal Servizio sanitario nazionale. Le informazioni devono essere rilevate per ciascun dispositivo medico iscritto nella banca dati dei dispositivi medici e con frequenza mensile, al fine di consentire un monitoraggio tempestivo dei costi e dei consumi dei dispositivi medici.
La rilevazione riguarda i dispositivi medici acquistati dalle strutture di ricovero e distribuiti internamente alle unità operative e i relativi resi; i dispositivi medici acquistati dalle aziende sanitarie locali o enti equiparati e destinati alle strutture del proprio territorio e i relativi resi: prendendo in entrambi i casi in considerazione, con due tracciati distinti, i dati di consumo e di spesa relativi ai dispositivi medici e quelli relativi ai contratti.
Per completezza, si segnala che, con decreto del Ministro della salute del 10 dicembre 2009, è stato istituito un gruppo di lavoro sulla valutazione e principi di programmazione e gestione delle grandi apparecchiature biomedicali diagnostiche e terapeutiche, con l'incarico, tra l'altro, di proporre metodologie per la definizione di principi di programmazione e gestione delle grandi apparecchiature, attraverso l'elaborazione di linee guida di riferimento per le strutture regionali che, a vario titolo, intervengono nell'acquisto e nella gestione di tali apparecchiature.
Per il raggiungimento di questi obiettivi, il gruppo di lavoro ha proposto la realizzazione di un'indagine conoscitiva presso le strutture pubbliche del Servizio sanitario nazionale, al fine di poter disporre di elementi in merito alle caratteristiche delle tecnologie acquisite ed alle modalità di acquisizione, valutazione e gestione delle stesse apparecchiature, i cui risultati saranno oggetto di un'apposita pubblicazione nel sito
internet del Ministero della salute.
Allo stato attuale, l'indagine conoscitiva è in corso di svolgimento.
Nel merito del quesito riferito alle iniziative normative, si comunica che l'articolo 17, comma 1, lettera
c), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, recante «Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria», convertito in legge, con modificazioni (legge 15 luglio 2011, n. 111), va nella direzione di quanto auspicato con la presente interrogazione parlamentare, poiché reca una disposizione finalizzata al controllo e alla razionalizzazione delle spese sostenute direttamente dal Servizio sanitario nazionale per l'acquisto di dispositivi medici, in attesa della determinazione dei costi standardizzati.
In particolare, dal 1o gennaio 2013 la spesa sostenuta dal Servizio sanitario nazionale per l'acquisto di detti dispositivi è fissata entro un tetto a livello nazionale e a livello di ogni singola regione, riferito rispettivamente al fabbisogno sanitario nazionale standard e al fabbisogno sanitario regionale standard, di cui agli articoli 26 e 27 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68.
Inoltre, il valore assoluto dell'onere a carico del Servizio sanitario nazionale per l'acquisto di dispositivi medici sarà annualmente definito dal Ministero della salute e dal Ministero dell'economia e delle finanze.

Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.

JANNONE. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nonostante il 2009 sia stato un anno fondamentale per la giustizia internazionale, le lacune esistenti nella giustizia globale sono state acuite dal potere della politica. È quanto affermato da Amnesty International, che ha presentato il rapporto annuale 2010. Nella sua analisi sulla situazione dei diritti umani nel mondo nel

periodo gennaio-dicembre 2009, Amnesty International segnala violazioni in 159 Paesi. «La repressione e l'ingiustizia prosperano nelle lacune della giustizia globale, condannando milioni di persone a una vita di violazioni, oppressione e violenza», ha dichiarato Christine Weise, presidente della sezione italiana di Amnesty International, nel corso della presentazione del rapporto annuale. «I governi devono assicurare che nessuno si ponga al di sopra della legge e che ogni persona abbia accesso alla giustizia, per tutte le violazioni dei diritti umani subite. Fino a quando i governi non smetteranno di subordinare la giustizia agli interessi politici, la libertà dalla paura e dal bisogno rimarrà fuori dalla portata della maggior parte dell'umanità», ha affermato Weise. L'organizzazione per i diritti umani ha pertanto rinnovato la richiesta ai Governi di garantire che renderanno conto del loro operato, di dare piena adesione alla Corte penale internazionale e di assicurare che i crimini di diritto internazionale saranno sottoposti a procedimenti giudiziari ovunque nel mondo. Agli Stati che rivendicano una leadership globale, tra cui quelli del G20, compete la responsabilità specifica di dare l'esempio;
il mandato di cattura emesso nel 2009 dalla Corte penale internazionale nei confronti del presidente del Sudan, Omar Hassan Al Bashir, per crimini di guerra e contro l'umanità, è stato un evento epocale. Tuttavia, il rifiuto da parte dell'Unione africana di cooperare, nonostante la terribile violenza che ha colpito centinaia di migliaia di persone nel Darfur, è stato un crudo esempio di come i Governi antepongano la politica alla giustizia. Le raccomandazioni del rapporto Goldstone per accertare le responsabilità di quanto accaduto nel conflitto di Gaza attendono ancora di essere tenute in conto da parte di Israele e Hamas. A livello mondiale, le lacune della giustizia hanno rafforzato un pernicioso reticolo di repressione. Le ricerche di Amnesty International hanno documentato torture e altri maltrattamenti in almeno 111 Paesi, processi iniqui in almeno 55 Paesi, restrizioni alla libertà di parola in almeno 96 Paesi e detenzioni di prigionieri di coscienza in almeno 48 Paesi. Gli organismi per i diritti umani e le attiviste e gli attivisti che li difendono sono finiti sotto attacco in molti Paesi, i cui Governi hanno impedito di lavorare od omesso di fornire protezione. Nelle regioni del Medio Oriente e dell'Africa del Nord, l'intolleranza dei Governi nei confronti delle critiche è stata sistematica in Arabia Saudita, Siria e Tunisia e la repressione è aumentata in Iran. Secondo il rapporto, migliaia di persone, a causa della forte repressione e delle difficoltà economiche, hanno lasciato la Corea del Nord e il Myanmar. Lo spazio per le voci indipendenti e per la società civile si è ridotto in alcune parti della regione Europa e Asia centrale: inique limitazioni alla libertà di espressione hanno avuto luogo in Azerbaigian, Bielorussia, Russia, Turchia, Turkmenistan e Uzbekistan. Il continente americano è stato tormentato da centinaia di omicidi illegali commessi dalle forze di sicurezza in vari Paesi tra cui Brasile, Colombia, Giamaica e Messico. Governi africani, come quelli di Guinea e Madagascar, hanno affrontato il dissenso con un uso eccessivo della forza e omicidi illegali, mentre le voci critiche sono state oggetto di repressione, tra gli altri in Etiopia e Uganda;
un impietoso disprezzo per le popolazioni civili ha caratterizzato i conflitti. Gruppi armati e forze governative hanno violato il diritto internazionale nella Repubblica Democratica del Congo, nello Sri Lanka e nello Yemen, Nel conflitto di Gaza e del sud di Israele, le forze israeliane e i gruppi armati palestinesi hanno ucciso e ferito illegalmente i civili. Migliaia di persone hanno subito le conseguenze dell'escalation di violenza da parte dei talebani in Afghanistan e Pakistan, così come degli scontri in Iraq e Somalia. Nella maggior parte dei conflitti, le donne e le bambine sono state stuprate o sottoposte ad altre forme di violenza da parte delle forze governative e dei gruppi armati. La dimensione globale di milioni di persone spinte nella povertà dalle crisi alimentare, energetica e finanziaria ha dimostrato l'urgente

bisogno di contrastare gli abusi che determinano la povertà. «I governi devono essere chiamati a rispondere per le violazioni dei diritti umani che causano e aumentano la povertà. La Conferenza Onu di revisione degli Obiettivi di sviluppo del millennio, costituirà un'opportunità per i leader del mondo per passare dalle promesse a impegni vincolanti», ha proseguito Weise;
sulle donne, in particolare quelle povere, si abbatte il peso dell'incapacità dei Governi di realizzare questi obiettivi. Si stima che le complicazioni legate alle gravidanza siano costate la vita a circa 350.000 donne. La mortalità materna è spesso la conseguenza diretta della discriminazione di genere, della violazione dei diritti sessuali e riproduttivi e della negazione del diritto alle cure sanitarie. «Se vogliono fare passi avanti negli obiettivi di sviluppo del millennio, i governi devono promuovere l'uguaglianza di genere e contrastare la discriminazione contro le donne», ha sottolineato Weise. Amnesty International ha chiesto agli Stati del G20 ancora inadempienti di ratificare lo statuto della Corte penale internazionale. Nonostante i gravi insuccessi registrati nel 2009 nei tentativi di assicurare giustizia, molti avvenimenti hanno fatto segnare dei progressi. In America Latina sono state riaperte inchieste su crimini coperti da leggi di amnistia, come dimostrano le epocali sentenze riguardanti l'ex presidente del Perù, Alberto Fujimori, condannato per crimini contro l'umanità, e l'ultimo presidente militare dell'Argentina Reynaldo Bignone, condannato per sequestri e torture. Tutti i processi celebrati dalla Corte speciale per la Sierra Leone, si sono conclusi salvo quello, ancora in corso, contro l'ex presidente della Liberia, Charles Taylor. «Il bisogno di giustizia globale è una lezione fondamentale da trarre dallo scorso anno. La giustizia porta equità e verità alle vittime, è un deterrente nei confronti delle violazioni dei diritti umani e, in definitiva, conduce verso un mondo più stabile e sicuro», ha concluso Weise -:
quali iniziative il Governo intenda adottare, al fine di promuovere la ratifica dello statuto della Corte penale internazionale, così come richiesto da Amnesty International agli Stati membri del G20.
(4-10520)

Risposta. - La Corte penale internazionale, unico tribunale penale internazionale permanente, svolge un ruolo centrale nella lotta contro l'impunità per i più gravi crimini internazionali. L'universalità della Corte costituisce un obiettivo condiviso da gran parte della Comunità internazionale. L'Italia aderisce a tale obiettivo e promuove energicamente, assieme ai partners dell'Unione europea, la progressiva adesione internazionale allo Statuto di Roma, istituente la Corte (vi sono ad oggi 118 Stati parte che hanno ratificato lo Statuto).
L'Italia è sempre stata all'avanguardia nel processo di affermazione dei principi di diritto, e di rifiuto dell'impunità per i crimini internazionali. Ha infatti dato e continua a dare ai Tribunali penali internazionali, ed in particolare alla Corte nata dallo Statuto di Roma, tutto il proprio sostegno e la propria cooperazione.
L'Italia intende assicurare l'efficace svolgimento delle funzioni della Corte e sostenere ogni iniziativa volta ad accrescere la cooperazione da parte degli Stati e delle organizzazioni internazionali.
Il nostro Paese è dunque impegnato a consolidare il quadro giuridico in cui si svolge l'azione della Corte. A tale proposito, è prossima l'adozione della normativa interna di esecuzione dello Statuto di Roma con riferimento alla cooperazione giudiziaria, già approvata dalla Camera dei deputati ed ora all'esame del Senato della Repubblica (disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati l'8 giugno 2011, recante Norme per l'adeguamento alle disposizioni dello statuto istitutivo della Corte penale internazionale). Sempre nel quadro della cooperazione con la Corte, il nostro Paese sta portando a termine le procedure per la conclusione di accordi con essa stessa relativi alla protezione
(re-location) dei testimoni, all'esecuzione delle condanne, ed all'attuazione dei provvedimenti in cosiddetti interim release.


L'Italia, inoltre, contribuisce all'attuazione del più recente Piano di azione relativo alla Corte penale internazionale elaborato nell'ambito dell'Unione europea che definisce le misure concrete di sostegno all'azione della Corte.
Nel 2010, nel corso della Conferenza di revisione di Kampala, l'Italia ha assunto tre impegni pubblici
(pledges), cui sta dando attuazione: la creazione presso il Ministero di giustizia di un ufficio per l'esecuzione dei mandati di arresto e la cooperazione giudiziaria con la Corte internazionale; un punto permanente di contatto con essa presso il Ministero degli affari esteri e la diffusione della conoscenza del diritto internazionale penale e della stessa Corte mediante convegni, conferenze e seminari.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Enzo Scotti.

JANNONE. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
«le aspettative delle imprese indicano che l'emorragia occupazionale è in esaurimento. La domanda di lavoro sta tornando ad aumentare: è in ripresa l'occupazione a tempo determinato (più 5,1 per cento annuo nel 4° trimestre 2010)». È quanto si legge nell'ultima analisi del centro studi di Confindustria. «La forza lavoro inutilizzata rimane, però, ampia nei settori dove la produzione è ancora molto al di sotto dei livelli pre-crisi - prosegue il Csc -. La Cig autorizzata ha ripreso a salire in misura significativa in marzo (più 45,1 per cento su febbraio), ben al di là di quanto giustificato da fattori stagionali»;
in Italia i dati sul mercato del lavoro contengono qualche segnale positivo, ma non si delinea ancora un'inversione di tendenza. La contrazione dell'occupazione nel primo bimestre 2011 (meno 0,2 febbraio a febbraio su dicembre) si contrappone all'aumento nel quarto trimestre 2010 (più 0,2 per cento sui tre mesi precedenti). Intanto, il ritmo della ripresa mondiale è in rallentamento dopo i livelli sostenuti registrati nel primo trimestre 2011. Lo sottolinea ancora il centro studi di Confindustria aggiungendo che l'Italia «è in ritardo. Restano molto ampi - si legge, a questo proposito, nel rapporto - i divari di dinamismo con alcune economie molto vivaci e altre in ritardo. L'Italia appartiene a queste ultime. Da qualche mese la produzione industriale oscilla senza direzione, l'occupazione è stabile e la cassa integrazione torna a salire, l'export mantiene un buon passo ma inferiore a quello dei mercati di riferimento (tra i quali sono importanti il Nord Africa e il Medio Oriente, ora in subbuglio)»;
per gli analisti di viale dell'Astronomia, infine, «l'accelerazione dei prezzi al consumo rispecchia il rincaro delle bollette energetiche e alimentari e trasferisce potere d'acquisto dai consumatori dei Paesi importatori a quelli dei mercati esportatori di input primari. E così si riduce il volume delle esportazioni italiane a febbraio (meno 5,6 per cento su gennaio). Il calo compensa il balzo di gennaio (più 7 per cento) e ripristina il trend precedente. Nel primo bimestre 2011 l'export è aumentato del 5,2 per cento sul bimestre precedente. Le prospettive risultano essere meno favorevoli: peggiorano i giudizi sugli ordini esteri in marzo». Intanto, nell'indagine trimestrale «Banca d'Italia-Il Sole 24 Ore» il 70 per cento delle imprese giudica stabili le condizioni economiche per il secondo trimestre dell'anno -:
quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di creare misure di sostegno all'occupazione, con particolare riguardo per quella giovanile e femminile.
(4-11783)

Risposta. - In merito all'interrogazione in esame, in materia di occupazione femminile e giovanile, sulla base degli elementi informativi acquisiti presso i competenti uffici del Ministero del lavoro e delle politiche sociale nonché di quelli forniti dal

Ministero dello sviluppo economico e dal Ministro della gioventù, si rappresenta quanto segue.
Con riferimento agli interventi a sostegno dell'occupazione femminile, occorre rilevare che il Governo, consapevole della crescente difficoltà che le donne incontrano nel conciliare la vita familiare con l'impegno lavorativo, ha promosso, in questi ultimi anni, specifici interventi volti ad accrescere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
Il Piano recante il sistema di interventi per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, in particolare, ha investito 40 milioni di euro del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità in finanziamenti per le
tagesmutter, per il telelavoro e per la formazione volta a sostenere il rientro nel lavoro dopo un periodo di congedo per maternità.
Il Piano d'azione per l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro (cosiddetto «Piano donne Italia 2020»), sottoscritto dai Ministri Sacconi e Carfagna prevede 40 milioni di euro per favorire l'occupazione femminile attraverso la diffusione dei nidi familiari, il potenziamento dei servizi di cura, la creazione di albi di badanti e di
babysitter appositamente formate, il sostegno economico a chi lavora da casa tramite telelavoro e gli sgravi fiscali sul lavoro delle donne del Mezzogiorno.
Si ricorda, inoltre, che l'articolo 53 del decreto-legge n. 78 del 2010 (intitolato Contratto di produttività), convertito dalla legge n. 122 del 2010, ha potenziato ed ampliato, attraverso la esplicita previsione degli accordi territoriali o aziendali di secondo livello, il ruolo della contrattazione collettiva che, come affermato dall'accordo quadro del 22 gennaio 2009, costituisce il terreno fertile per lo sviluppo e la promozione di forme di conciliazione tra vita familiare e lavorativa e di
welfare aziendale integrato.
Con l'avviso comune sulle misure a sostegno delle politiche di conciliazione tra famiglia e lavoro del 7 marzo 2011 il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e le parti sociali si sono impegnati a valorizzare le buone pratiche di flessibilità
family-friendly e di conciliazioni esistenti, provvedendo a tal fine ad attivare un tavolo tecnico per la verifica delle buoni prassi nonché delle relative azioni di monitoraggio effettuate dalla cabina di pilotaggio istituita nell'ambito del Piano Italia 2020.
Nell'intesa si sottolinea, in particolare, l'importanza di una modulazione flessibile dei tempi di lavoro tanto nell'interesse dei lavoratori che dell'impresa, nella consapevolezza che la migliore conciliazione tra esigenze produttive e quelle delle persone possa essere realizzata anche attraverso il ricorso alla contrattazione collettiva di secondo livello.
Nell'ambito delle misure volte a favorire la conciliazione tra famiglia e lavoro, assume altresì particolare rilievo il regolamento adottato, ai sensi dell'articolo 9, comma 4, della legge n. 53 del 2000, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 277 del 2010, recante i criteri e le modalità per la concessione dei contributi in favore di aziende che applichino accordi contrattuali che prevedono progetti volti a consentire particolari forme di flessibilità degli orari e dell'organizzazione del lavoro. Si rende noto in proposito che il 20 maggio 2011 è stato pubblicato il relativo avviso di finanziamento che, per l'anno 2011, ha previsto uno stanziamento di 15 milioni di euro, a valere sul Fondo per le politiche della famiglia.
Si ricorda inoltre che, nel luglio 2010, il Consiglio dei ministri ha approvato il Piano triennale per il lavoro «Liberare il lavoro per liberare i lavoratori», elaborato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, che individua nelle politiche di conciliazione, che si realizzano attraverso la rimodulazione dell'orario di lavoro e la promozione dei servizi di cura all'infanzia, le azioni in favore dell'occupazione femminile.
Più di recente, con il decreto-legge n. 70 del 2011 (decreto sviluppo 2011), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, è stata prevista la semplificazione delle regole per l'assunzione di donne di qualsiasi età, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi, che siano residenti in un'area geografica il cui il tasso di occupazione femminile sia inferiore

almeno del 20 per cento di quello maschile o in un'area per la quale il tasso di disoccupazione femminile superi del 10 per cento quello maschile.
In data 2 agosto 2011, è stato inoltre pubblicato il Programma obiettivo per l'incremento e la qualificazione dell'occupazione femminile, per il superamento delle disparità salariali e nei percorsi di carriera, per la creazione, lo sviluppo e il consolidamento di imprese femminili e per la creazione di progetti integrati di rete.
Da ultimo, si rende noto che il Consiglio dei ministri, in attuazione della delega prevista dall'articolo 23 della legge n. 183 del 2010, ha recentemente approvato, in via definitiva, il decreto legislativo 18 luglio 2011, n. 111, recante delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi.
Tale provvedimento, in particolare, reca al suo interno importanti disposizioni volte a conciliare gli impegni di lavoro con i carichi familiari. L'articolo 46, comma 1, della su citata norma ha inoltre previsto, in considerazione della particolare complessità e delicatezza della materia, il differimento di 24 mesi del termine per l'esercizio della delega in materia di occupazione femminile, di cui alla legge n. 247 del 2007, al fine di consentire al Governo di procedere al riordino del quadro normativo vigente.
Con riferimento ai più recenti interventi normativi, si segnala l'articolo 29 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111) che, aumentando il panorama degli operatori autorizzati allo svolgimento delle attività di intermediazione, mira a creare le condizioni per un mercato del lavoro più inclusivo e più aperto anche per le donne.
Riguardo agli interventi futuri, si rende noto che nei prossimi mesi sarà all'esame del Parlamento il disegno di legge Atto Camera 4566 (recante: Delega Governo per la riforma fiscale ed assistenziale) allo scopo di offrire ai soggetti in condizioni di non autosufficienza risposte appropriate e di consentire, anche rispetto a questo rilevante impegno familiare, adeguate possibilità di conciliazione tali da non escludere la donna dal mercato del lavoro.
Con riferimento alle misure di sostegno dell'occupazione giovanile, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nel corso della programmazione fondo sociale europeo 2007-2013, per il biennio 2009-2010, ha finanziato, con il supporto tecnico di Italia Lavoro e di Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, diversi progetti finalizzati al miglioramento delle condizioni dei soggetti svantaggiati, tra i quali, i giovani inoccupati e disoccupati. Tra le azioni finanziate rientrano i seguenti progetti:
1. - Progetto monitoraggio dell'occupazione, che prevede uno specifico intervento finalizzato alla valutazione delle possibili misure da adottare per contenere il fenomeno della cosiddetta «fuga dei cervelli»
(brain drain);
2. - Progetto monitoraggio e analisi qualitative dei modelli di organizzazione ed erogazione dei servizi per il lavoro, nell'ambito del quale, l'attività «Analisi e approfondimenti sulla domanda e l'offerta dei servizi per il lavoro dedicati al
target giovanile» si propone di raccogliere ed analizzare i dispositivi messi in atto dai servizi per il lavoro locali, al fine di favorire rinserimento lavorativo dei giovani;
3. - Progetto sviluppo delle prestazioni occasionali di tipo accessorio i beneficiari di sostegno al reddito, i giovani, i pensionati e per ridurre il rischio «sommerso», affidato ad Italia Lavoro, che prevede interventi finalizzati a promuovere e rafforzare le prestazioni occasionali di tipo accessorio e l'utilizzo dei
voucher in funzione di contrasto del lavoro non dichiarato nonché in favore delle persone che godono di misure di sostegno al reddito e dei giovani.

In particolare, una delle linee del suindicato progetto prevede interventi rivolti alle università al fine di implementare l'offerta di tipo informativo e consulenziale sull'utilizzo dell'istituto del lavoro accessorio anche in favore degli studenti.


Inoltre, nell'ambito del progetto valutazioni politiche del lavoro, l'Isfol ha realizzato, nel corso dell'anno 2010, l'attività microcredito come fattore di stabilizzazione e come strumento di nuove opportunità che prevede il monitoraggio e la valutazione di tutte le iniziative di microcredito, attivate in ambito nazionale, al fine di sostenere l'occupazione e favorire l'integrazione sociale dei soggetti esclusi dall'accesso al credito. Tale attività verrà realizzata in stretto collegamento con quanto previsto dal Comitato nazionale permanete per il microcredito.
Con il programma Fixo, inizialmente articolato in otto azioni, si è inoltre provveduto alla realizzazione di modelli di
placement universitario orientati a fornire servizi ai laureati e alle imprese e alla creazione di reti per la domanda e l'offerta di lavoro.
In particolare, le azioni 3 e 4 configurano due interventi con i quali si è inteso realizzare un vero e proprio tessuto connettivo tra sistema della ricerca e sistema delle imprese. La rimodulazione del programma ha previsto l'articolazione di ulteriori linee di intervento (la cui conclusione è stata fissata per il 31 dicembre 2011) che mirano a favorire l'occupazione e l'occupabilità dei laureati, dei dottorandi e dottori di ricerca, erogando (in raccordo con i servizi regionali per il lavoro) servizi di orientamento e
placement, promuovendo (in cooperazione con altri soggetti pubblici e privati) programmi di tirocinio e contratti di alto apprendistato e valorizzando le esperienze maturate a vantaggio dell'innovazione e del trasferimento tecnologico nelle imprese.
Il contributo complessivo assegnato al programma è di euro 63.500.000,00, integrate, a seguito della intervenuta rimodulazione, di un importo pari a euro 2.600.000,00.
Il progetto, in particolare, ha coinvolto 73 università, pubbliche e private, collocate su tutto il territorio nazionale. Di recente è stato inoltre approvato un nuovo progetto denominato Fixo - Scuola&Università, finalizzato a ridurre i tempi di transizione dei giovani diplomati, laureati e dottori di ricerca dal sistema formativo a quello del lavoro, attraverso la creazione e l'implementazione di servizi di orientamento e
placement scolastici e universitari, in rete con gli attori, pubblici e privati, del mercato del lavoro.
L'intervento proposto, che sarà attivato sia nelle regioni Obiettivo competitività regionale e occupazione (Abruzzo, Molise e Sardegna) che in quelle Obiettivo convergenza (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia) nonché in tutte le regioni del centro nord, si prefigge di contribuire all'attuazione della riforma Biagi in merito alle attività di intermediazione svolte dagli istituti di scuola secondaria di secondo grado e dalle università. Per la realizzazione del progetto, avente durata triennale, è stato previsto un impegno finanziario pari a euro 48.050.000,00.
Il Ministro della gioventù ha reso noto di aver adottato, per la parte di competenza, una serie di misure, denominate Diritto al futuro, rivolte alle nuove generazioni, sui temi del lavoro, della casa, della formazione e dell'autoimpiego. Trattasi, in particolare, di un pacchetto composto da cinque azioni principali:
1. - Fondo genitori precari (istituito con decreto ministeriale 19 novembre 2010), il cui ammontare è pari a 51 milioni di euro, riconosce ai giovani genitori disoccupati o precari, con meno di 35 anni, una dote trasferibile (pari a 5 mila euro) ai datori di lavoro che li assumono alle proprie dipendenze con contratto a tempo indeterminato, anche a tempo parziale.
2. - Fondo diamogli futuro (istituito con decreto ministeriale novembre 2010), il cui ammontare è pari a 19 milioni di euro, consente ai giovani meritevoli ma privi dei mezzi finanziari sufficienti di intraprendere un percorso di studi o completare la propria formazione grazie a un prestito garantito dallo Stato.
3. - Fondo per la casa (istituito con decreto ministeriale 17 dicembre 2010, n. 256), il cui ammontare è pari a 50 milioni di euro, prevede un mutuo per le giovani coppie (
under 35) con contratti di lavoro atipici.
4. - Fondo mecenati (istituito con decreto ministeriale 12 novembre 2010), il cui

ammontare è pari a 40 milioni di euro, è volto a cofinanziare progetti (proposti e realizzati da persone giuridiche private sia singole che associate) con l'obiettivo di promuovere, sostenere e sviluppare l'imprenditoria giovanile nonché promuovere e sostenere il talento, l'innovatività e la creatività dei giovani di età inferiore ai 35 anni.

Inoltre, tra gli interventi recentemente varati dal Governo per far fronte alle ripercussioni sul piano occupazionale derivanti dall'attuale crisi economica, occorre ricordare il decreto-legge n. 70 del 2011 (recante: Disposizioni urgenti per l'economia), convertito dalla legge n. 106 del 2011, e il decreto-legge n. 98 del 2011 (recate Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito dalla legge n. 111 del 2011.
Con riferimento al primo provvedimento si segnala, in particolare: l'articolo 2, che introduce il Credito d'imposta per il nuovo lavoro stabile nel Mezzogiorno (la cui attuazione è demandata ad un provvedimento del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale e con il Ministro della gioventù, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome); l'articolo 2-
bis, che disciplina il credito d'imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno (la cui attuazione è demandata a diversi provvedimenti del Ministero dell'economia e delle finanze e dell'Agenzia delle entrate) e l'articolo 8, che contiene diverse misure in favore delle imprese, anche medie e piccole.
Con riferimento al secondo provvedimento, il titolo II
disposizioni per lo sviluppo, all'articolo 27, introduce un regime fiscale di vantaggio al fine di promuovere la nascita e il consolidamento di nuove imprese gestite, in particolare, da giovani o da coloro che hanno perso il lavoro.
In sintesi, la misura prevede che i giovani che intendano aprire una nuova impresa o attività, ovvero che lo abbiano fatto dopo l'anno 2008, potranno fruire di un regime fiscale «super agevolato» (riduzione al 5 per cento dell'aliquota dell'imposta sostitutiva dei redditi) fino al compimento del 35o anno di età. Anche gli
over 35 potranno godere di tale regime, ma solo per i primi 5 anni di attività.
Da ultimo, si rende noto che, nel corso della seduta del 28 luglio 2011, in attuazione della delega conferita al Governo dalla legge in materia di previdenza, lavoro e competitività per favorire la crescita (legge n. 247 del 2007), il Consiglio dei ministri ha approvato, in via definitiva, la nuova disciplina sull'apprendistato che, attraverso le semplificazioni inserite, la razionalizzazione delle tipologie e la valorizzazione della formazione in azienda, può essere considerata un'ulteriore opportunità per un'occupazione giovanile di qualità.
Il nuovo Testo unico, in particolare, persegue l'obiettivo di fornire ai giovani un canale tipico di ingresso al mondo del lavoro e si propone di garantire ai lavoratori e alle imprese una maggiore agibilità dello strumento attraverso la semplificazione della materia e la sua omogeneizzazione sull'intero territorio nazionale.
Conclusivamente, le misure intraprese in questi ultimi anni dimostrano l'interesse del Governo per le complesse e delicate tematiche dell'occupazione femminile e giovanile in Italia, fermo restando che ogni ulteriore intervento in tali ambiti, non può prescindere da una valutazione circa la sua compatibilità sotto il profilo economico- finanziario.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

JANNONE. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
nel 2010, per la prima volta, il numero dei morti sul lavoro è stato inferiore a mille. Lo rende noto l'Inail nel rapporto annuale presentato alla Camera. Lo scorso anno i decessi sono stati 980, con un calo del 6,9 per cento rispetto ai 1.053 del 2009, nuovo minimo storico dal dopoguerra (riferimento per le statistiche). In diminuzione anche gli infortuni nel complesso: nel 2010 sono stati 775 mila (775.374 per la precisione)

in calo dell'1,9 per cento rispetto ai 790.112 del 2009. Ma l'istituto evidenzia anche un altro fenomeno: il calo degli infortuni e dei decessi riguarda solo la popolazione di sesso maschile, mentre tra le donne i casi sono in aumento. Per il presidente dell'Inail, Marco Fabio Sartori, il fatto che il numero delle vittime del lavoro sia sceso sotto la soglia dei mille è di «straordinaria rilevanza». «Dopo il calo record di infortuni del 2009 - afferma - in parte dovuto agli effetti della difficile congiuntura economica, il 2010 ha registrato un'ulteriore contrazione di 15.000 denunce (per un totale di 775.000 complessive) a conferma del miglioramento ormai strutturale dell'andamento infortunistico in Italia. Solo dieci anni fa gli infortuni erano oltre 1 milione (1.030.000) e ben 1.452 i casi mortali»;
l'altro aspetto positivo, secondo Sartori, è la nascita del «Polo della salute e della sicurezza», grazie all'approvazione della legge 30 luglio 2010, n. 122, con la conseguente incorporazione dell'Ispesl (Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro) e dell'Ipsema (Istituto di previdenza per il settore marittimo). Passaggio che ha permesso «il concreto sviluppo di quel piano industriale, da noi fortemente voluto e condiviso con Governo e Parlamento, il cui obiettivo finale è la realizzazione effettiva della tutela integrata e globale del lavoratore». Oggi, aggiunge, «siamo nel pieno di un percorso, ambizioso e concesso». Tra la popolazione attiva maschile, lo scorso anno si è registrato un calo complessivo degli infortuni pari al 2,9 per cento (da oltre 545 mila a 529 mila) rispetto al 2009 e dell'8,2 per cento per i casi mortali (da 981 a 901). In leggera crescita invece gli infortuni per le donne: un migliaio in più quelli in complesso (+0,4 per cento rispetto al 2009, da 244 mila a 245 mila) e sette lavoratrici morte in più (da 72 a 79), con un incremento percentuale, sempre sul 2009, del 9,7 per cento. Va comunque tenuto conto - sottolinea il rapporto - che le donne rappresentano circa il 40 per cento degli occupati, che la quota di infortuni femminili rispetto al totale è del 32 per cento e dell'8 per cento per i casi mortali: «Si deduce che il lavoro femminile è sicuramente meno rischioso»;
a fronte della sostanziale stabilità del numero di lavoratori stranieri assicurati all'Inail, il 2010 è stato un anno peggiore del precedente (dai 119.240 infortuni del ai 120.135 del 2010, +0,8 per cento). All'incremento ha contribuito in maniera significativa la componente femminile (+6,8 per cento gli incidenti contro il -1,2 per cento dei maschi), circostanza - viene evidenziato - legata alla progressiva e continua crescita numerica di colf e badanti straniere che lavorano nel nostro Paese. Migliore la situazione per i casi mortali, che nel complesso tra gli stranieri continuano a diminuire (dai 144 del 2009 ai 138 del 2010, -4,2 per cento). Ma ancora con una differenza di genere, che pure va rapportata ai numeri in assoluto: -9,7 per cento i decessi tra gli uomini (da 134 a 121), +70 per cento (da 10 a 17) per le donne. Meno incidenti nel percorso casa-lavoro. Gli infortuni «in itinere» - verificatisi al di fuori del luogo di lavoro, nel percorso casa-lavoro-casa e causati principalmente, ma non esclusivamente, dalla circolazione stradale - hanno visto nel 2010 la riduzione maggiore (-4,7 per cento). Contenuta invece (-1,5 per cento) la riduzione degli infortuni «in occasione di lavoro» - ovvero nel luogo di lavoro, nell'esercizio effettivo dell'attività - che rappresentano circa il 90 per cento del complesso delle denunce. Da segnalare la crescita (+5,3 per cento) degli infortuni occorsi ai lavoratori per i quali la strada rappresenta l'ambiente di lavoro ordinario (autotrasportatori, rappresentanti di commercio, addetti alla manutenzione stradale): i casi sono passati dai 50.969 del 2009 ai 53.679 del 2010, il valore più alto dal 2005, primo anno di rilevazione strutturale e completa del dato. L'analisi settoriale sugli infortuni mostra che è l'agricoltura a conseguire il risultato migliore (-4,8 per cento), seguita dall'industria (-4,7 per cento) e dai servizi, in controtendenza,

con un lieve aumento (pari allo 0,4 per cento) -:
quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di salvaguardare la sicurezza sul luogo di lavoro, nonché di intensificare i controlli relativi alle aree a rischio.
(4-12594)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente la sicurezza sui luoghi di lavoro, si rappresenta quanto segue.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al fine di ridurre il numero e la gravità degli infortuni sul lavoro, sta accelerando ogni attività di propria competenza che utile sia a completare il quadro giuridico delineato dalla recente riforma delle regole della salute e sicurezza che a favorire l'innalzamento dei livelli di tutela in ogni ambiente di lavoro pubblico e privato.
Innanzitutto, si evidenzia che le attività della Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro - organismo ricostituito con decreto ministeriale 3 dicembre 2008 e insediatosi in data 17 marzo 2009 - procedono senza soluzione di continuità. La Commissione ha svolto ventisei riunioni, l'ultima delle quali in data 6 luglio 2011, con prossima convocazione prevista per il 21 settembre 2011. Inoltre, continuano ininterrottamente - con riunioni, in media, almeno una volta al mese - le attività dei nove gruppi «tecnici» di lavoro, nei quali è garantita la presenza paritetica di rappresentanti delle amministrazioni pubbliche, regioni comprese, e delle parti sociali, per affrontare in tali sedi gli argomenti attribuiti dalla legge alla Commissione (si pensi, ad esempio, alla elaborazione di linee metodologiche per la valutazione dello
stress lavoro-correlato o alla individuazione delle regole della «patente a punti» per gli edili) e per i quali si prevedono attività finalizzate alla attuazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni ed integrazioni, cosiddetto Testo unico di salute e sicurezza sul lavoro. Grazie alle attività istruttorie compiute in tali consessi, sono stati elaborati documenti di notevole importanza per gli operatori della salute e sicurezza sul lavoro e altri sono di prossima approvazione da parte della Commissione consultiva.
A titolo esemplificativo si citano:
le indicazioni per la valutazione dello
stress lavoro-correlato (ai sensi dell'articolo 28, comma 1-bis, del Testo unico) con cui la Commissione consultiva ha fornito indicazioni metodologiche necessarie a un corretto adempimento dell'obbligo di valutare il rischio da stress lavoro-correlato in tutti i luoghi di lavoro, pubblici e privati;
il modello per la presentazione delle «buone prassi» alla Commissione consultiva per la loro validazione (ai sensi degli articoli 2 e 6 del Testo unico);
il documento per l'identificazione degli orientamenti pratici per le determinazioni delle cosiddette Esedi (Esposizioni sporadiche di debole intensità) in materia di amianto, ai sensi dei commi 2 e 4 dell'articolo 249 del Testo unico;
il documento che definisce le modalità di armonizzazione dei regolamenti
Registration evalutation and authorization of chemicals e Classification labbeling packing in relazione a quanto già previsto dal Testo unico in materia di valutazione dei rischi e protezione da agenti chimici, cancerogeni e mutageni;
il documento recante indicazioni procedurali ai fini della corretta fornitura di calcestruzzo preconfezionato in cantiere;
il documento che individua indirizzi pratici per gli operatori in relazione alle condizioni di «eccezionalità» che consentono l'utilizzo «in sicurezza» di attrezzature di lavoro non progettate a tale scopo per il sollevamento di persone;
il documento che individua, ai sensi dell'articolo 30, comma 5, del Testo unico, le mancate corrispondenze tra i modelli di organizzazione e gestione della salute e sicurezza elaborati secondo le linee guida Uni-Inail o Bs 18001 e gli elementi indicati dall'articolo 30 del Testo unico;
un documento recante indicazioni operative in ordine alla recenti modifiche del Regolamento (CE) n. 1907/2006 (Reach)

e alla loro incidenza sulle disposizioni del titolo IX del Testo unico;
la «validazione» di una banca dati, elaborata dalla Compagnia trasporti pubblici di Torino utile ai sensi dell'articolo 190, comma 5-
bis, del Testo unico, relativamente alla valutazione del rumore.

Si rappresenta, inoltre, che uno dei gruppi di lavoro della citata Commissione consultiva ha il compito di dare attuazione al cosiddetto «sistema di qualificazione delle imprese», volto ad individuare, in determinati settori, le imprese possano operare e a quali condizioni, con riferimento a elementi relativi alla salute e sicurezza sul lavoro. Tale sistema, che si realizzerà per mezzo del decreto del Presidente della Repubblica di cui agli articoli 6 e 27 del Testo unico, verrà attuato nel settore edile per mezzo della attivazione della cosiddetta «patente a punti», mentre ulteriori settori debbono essere ancora individuati dalla Commissione consultiva.
Nel corso delle relative riunioni, in ragione del drammatico ripetersi di gravissimi infortuni negli ambienti limitati, è stata condivisa la opportunità, su proposta del Ministero del lavoro, di inserire tra le attività per le quali dovrà operare il sistema di qualificazione delle imprese quelle lavorazioni che si svolgano in ambienti confinati. Il Ministero ha quindi inviato - in data 10 settembre 2010 (quindi, il giorno antecedente il fatto luttuoso di Capua) - a tutti i componenti (regioni e parti sociali) del Comitato un documento nel quale tale settore è identificato come settore nel quale dovrà operare il futuro sistema di qualificazione. Tale scelta potrebbe essere il presupposto perché siano imposte alle imprese che svolgano attività che possono implicare operazioni in ambienti limitati e/o confinati condizioni imprescindibili in termini di sicurezza, quali una specifica formazione del personale sugli effetti degli agenti nocivi e sulle procedure «salvavita» per lavorare in ambienti confinati e il possesso da parte dell'impresa dei necessari dispositivi di protezione individuale, in modo che sia vietato ai committenti rivolgersi a imprese prive di tali elementi e agli appaltatori o ai lavoratori autonomi di poter svolgere queste attività in difetto di tali misure di prevenzione. In tal modo si realizzerebbe, dal punto di vista della stessa legittima esistenza delle imprese, il risultato di impedire
ex lege che possano operare aziende che non dimostrino di aver rispettato il livello di sicurezza che operazioni particolarmente rischiose impongono.
Al fine di condividere sia la strategia di interventi prevenzionistici che le modalità di tali interventi, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha convocato nell'ambito della
convention dedicata alla salute e sicurezza di Modena - il 7 ottobre 2010 una riunione con regioni e parti sociali. In tale riunione il Ministero ha altresì proposto alle parti sociali una serie di soluzioni operative obbligatoriamente applicabili ai lavori di manutenzione che possano implicare attività in ambienti confinati, quali:
a) la previsione di una attività di informazione specifica - a carico delle imprese committenti - in ordine alle caratteristiche dei siti nei quali le attività «a rischio» debbano essere svolte, di durata di un giorno e precedente all'inizio dei lavori appaltati; ciò al fine di impedire che le imprese appaltatrici possano entrare in ambienti di lavoro connotati da elevata pericolosità senza che, in ordine ad essi, sia stata effettuata una attenta e completa informativa «sul campo» da parte dell'azienda committente, come purtroppo accaduto troppo spesso negli ultimi, drammatici, episodi;
b) il divieto di subappalto in materia, se non a determinate condizioni;
c) la presenza obbligatoria di un rappresentante dell'impresa committente alle lavorazioni effettuate dall'impresa appaltatrice, in funzione di controllo e indirizzo - a fini prevenzionistici - delle attività dei lavoratori dell'appaltatrice e della interferenza di esse con le attività dei lavoratori della impresa committente.

Successivamente alla riunione del 7 ottobre 2010 il gruppo di lavoro ha continuato

ad operare chiedendo, in particolare, alle parti sociali del settore edile un «Avviso comune» sulle regole e sui criteri di funzionamento della «patente a punti», anche essa parte integrante e determinante del decreto del Presidente della Repubblica sulla qualificazione delle imprese, in preparazione.
Tanto premesso, il Ministero del lavoro ha chiesto alla Commissione consultiva di anticipare i tempi di redazione del decreto del Presidente della Repubblica di riferimento (elaborato nell'ambito della procedura di cui agli articoli 6 e 27 del Testo unico) e dei principi applicabili in materia si è ampiamente discusso nelle riunioni del 16 marzo e del 7 aprile 2011 (quest'ultima convocata in via straordinaria), nelle quali è emersa una ampia condivisione dei componenti della Commissione relativamente alla necessità di procedere, con i contenuti sopra indicati, alla regolamentazione delle attività in ambienti sospetti di inquinamento o «confinati, ai sensi degli articoli 66 e 121 e dell'allegato IV, punto 3, del Testo unico». Di conseguenza, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha elaborato uno schema di decreto del Presidente della Repubblica che è stato approvato in Consiglio dei ministri in data 3 agosto 2011 ed è attualmente in corso di pubblicazione.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta altresì completando talune ulteriori attività, previste dal Testo unico, al di fuori dei compiti della Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro.
Tra di esse si segnalano:
la predisposizione dello schema di decreto interministeriale per la costituzione e la regolamentazione del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (cosiddetto Sinp). Gli uffici del Ministero hanno definitivamente operato il confronto «tecnico» con le altre amministrazioni pubbliche concertanti redigendo un testo consolidato. Il testo così condiviso è stato inoltrato al Garante per la protezione dei dati personali che ha reso parere favorevole con osservazioni in data 7 luglio 2011. Il Ministero ha, di conseguenza, elaborato una nuova versione del provvedimento e dei relativi allegati trasmettendola alle amministrazioni concertanti ai fini di una rapida conclusione dell'
iter di legge;
la predisposizione del decreto,
ex articolo 3, comma 3-bis del Testo unico che individua la normativa di salute e sicurezza che consideri le «peculiari esigenze» per le società cooperative e per alcuna categorie di volontari (della protezione civile, della Croce rossa eccetera);
il decreto per l'individuazione delle modalità per la effettuazione delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro e dei criteri per l'abilitazione dei soggetti pubblici o privati legittimati a realizzare tali verifiche (articolo 71, comma 13, del Testo unico), la cui entrata in vigore è stata prorogata a gennaio 2012;
il decreto,
ex articolo 82, comma 2, del Testo unico, relativo alle autorizzazioni per i lavori sotto tensione, all'esito di una serie di riunioni tenutesi nel corso dell'anno 2010 tra i rappresentanti dei Ministeri del lavoro e delle politiche sociali, della salute e dello sviluppo economico, i rappresentanti delle regioni e quelli dell'ex Ispesl;
il regolamento sulle modalità di applicazione in ambito ferroviario del decreto 15 luglio 2003, n. 388, ai sensi dell'articolo 45, comma 3, del Testo unico (cosiddetto primo soccorso in ambito ferroviario);
la redazione di bozze di accordo in Conferenza Stato-regioni - redatte in collaborazione con le amministrazioni pubbliche «centrali» competenti in materia (
in primis Inail), con le regioni e le parti sociali - sui contenuti e le modalità della formazione del datore di lavoro che intenda svolgere «in proprio» i compiti del Servizio di prevenzione e protezione (articolo 34 del Testo unico) e dei contenuti e delle modalità della formazione dei dirigenti, preposti e lavoratori (articolo 37 del Testo unico). Tali bozze, ormai definitivamente condivise tra Stato e regioni e sulle quali è stata effettuata la prevista consultazione delle parti sociali, sono state inoltrate alla Conferenza Stato-regioni per la definitiva approvazione;


l'istituzione del Comitato consultivo per l'aggiornamento dei valori limite dell'esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici (articolo 232, comma 1, del Testo unico), la cui riunione di insediamento si è svolta il 20 luglio 2011;
la prosecuzione dei confronti, iniziati in data 9 settembre 2010, con i rappresentati del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e le parti sociali del settore trasporti relativi all'attuazione dell'articolo 161, comma 2-
bis, del Testo unico, il quale prevede la adozione di un decreto interministeriale dedicato alla segnaletica stradale per i cantieri in presenza di traffico veicolare. All'esito dei confronti in atto, verrà elaborata la bozza del decreto previsto dalla norma di legge;
la prosecuzione - dopo le riunioni nei mesi di settembre, ottobre, novembre e dicembre 2010 e gennaio 2011 - del confronto tra i Ministeri del lavoro e delle politiche sociali e della salute, dei rappresentanti delle regioni e quelli delle parti sociali del settore edile in materia di realizzazione della campagna nazionale per la prevenzione in edilizia, già iniziata grazie anche al sostegno dell'Inail, previo coinvolgimento delle parti sociali. Tale campagna si fonda sulla condivisione tra Asl e direzione provinciale del lavoro di procedure ispettive e prevede, al contempo, una campagna informativa e di divulgazione di procedure operative a livello nazionale e territoriale. Tale campagna è stata anche discussa nell'ambito del Comitato per le politiche attive in materia di prevenzione e salute e sicurezza sul lavoro (articolo 5 del Testo unico), convocata su iniziativa del Ministro della salute; della campagna fa parte integrante una attività di comunicazione, realizzata con modalità multimediali (documentazione via
internet, manifesti, spot...) e già in corso, specificamente mirata alla sensibilizzazione delle imprese e dei lavoratori del settore edile e coordinata dall'Inail, d'intesa con il coordinamento delle regioni.

Si ritiene opportuno rammentare, inoltre, che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in attesa della entrata in vigore della normativa di qualificazione diretta alla prevenzione degli infortuni negli ambienti confinati, ha diffuso le circolari n. 42 del 9 dicembre 2010 e n. 13 del 19 aprile 2011 relative agli appalti aventi ad oggetto attività manutentive e di pulizia che espongono i lavoratori al rischio di asfissia o di intossicazione dovuta ad esalazione di sostanze tossiche o nocive, nelle quali, tra l'altro, si chiede agli organi di vigilanza una particolare attenzione alla realizzazione di efficaci attività di controllo in simili contesti. Inoltre, in relazione al delicato settore degli appalti, al fine di fornire utili elementi di orientamento agli operatori del settore e agli organi di vigilanza, il Ministero del lavoro ha emanato la circolare n. 5 dell'11 febbraio 2011, nella quale si individuano soluzioni interpretative e chiarimenti in merito alla corretta gestione degli appalti e dei subappalti.
Infine, si rappresenta che con la programmazione dell'anno 2011 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha voluto concentrare la vigilanza sul miglioramento dei risultati qualitativi dell'attività ispettiva, da realizzarsi mediante una più mirata selezione delle realtà aziendali da sottoporre a controllo, nonché indirizzare l'attività di vigilanza esclusivamente al contrasto delle irregolarità di natura sostanziale che costituiscono una lesione dei livelli di tutela delle condizioni di lavoro in una logica di conseguimento dei risultati qualitativi piuttosto che sul piano meramente quantitativo.
Quanto sin qui esposto evidenzia l'incondizionata e costante volontà del Governo di procedere al definitivo completamento del quadro normativo in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in modo che sia favorita l'applicazione delle regole a tutela dei lavoratori in ogni impresa, pubblica e privata, e garantita ovunque l'effettività delle medesime regole.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

JANNONE. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
gli anziani italiani da un lato si sentono più soli di qualche anno fa, tanto da sfiorare l'emarginazione; dall'altro vorrebbero avere un ruolo maggiore, maggiori relazioni e sentirsi più integrati nella società. È il ritratto che emerge dal IV rapporto nazionale Auser-Filo d'argento, presentato a Roma e frutto di un anno di contatti diretti e testimonianze raccolte dai volontari attraverso il numero verde (800-995988). Sono stati 443 mila gli anziani che si sono rivolti all'Auser (+0,8 per cento rispetto al 2009) che ha fornito quasi 2 milioni e mezzo di prestazioni spostando così da 4,7 a 5,1 il rapporto tra servizi erogati e utenti. La domanda di sostegno nel 2010 è cresciuta soprattutto in Liguria, Lombardia e Piemonte al Nord e in Calabria al Sud. L'indagine conferma che la terza età è più difficile nelle regioni del Nord dove molto più spesso al Sud viene a mancare il ruolo di contesto della famiglia. Se il 76,4 per cento degli anziani vive da solo (a fronte di un 23,6 per cento che vive in famiglia), questa percentuale balza al 93,4 per cento in Piemonte, mentre è quasi dimezzata in Puglia e Calabria;
a rivolgersi ai servizi Auser sono soprattutto le donne (70 per cento dato medio nazionale) sopra i 65 anni, vedove o comunque sole, in precarie condizioni di salute ed economiche, con pensioni basse, nella gran parte dei casi (88 per cento) residenti al Nord. Il 65 per cento degli utenti ha superato i 75 anni, mentre un buon 20 per cento è ultra 85enne. In calo invece, la richiesta d'aiuto che viene dagli uomini: -3 per cento nel 2010 con punte che toccano -8 per cento in Emilia Romagna e -4 per cento in Veneto. Ma anche qui conta il fattore geografico e la domanda maschile cresce del 3 per cento nelle regioni del centro Italia. La crisi economica invece incide nell'aumento degli utenti «giovani», fra i 50 e i 55 anni, passati al 16 per cento dal 13,7 per cento nel 2008. «A parte la tradizionale domanda sociale data nelle città dai "grandi vecchi" e dall'"emergenza donne sole e malate", si intravedono cambiamenti importanti, trainati dai nuovi stili di vita - sottolinea Francesco Montemurro, direttore Ires "Lucia Morosini" di Torino, responsabile dell'indagine Filo d'argento; oggi gli anziani vogliono vivere al di là della malattia e andare oltre lo stereotipo della "riparazione del bisogno"; vorrebbero avere nuove opportunità di sostegno che includono l'integrazione, l'aggregazione, il divertimento, il contatto diretto con l'ambiente in cui vivono». Sempre meno, infatti, a quanto risulta dal rapporto, chiedono la consegna a casa di farmaci o della spesa o la compagnia a domicilio. Hanno più voglia di uscire, di spostarsi facilmente, magari con una macchina attrezzata, per sbrigare semplici pratiche, andare dal medico, al mercato o al cinema, incontrare gli amici. Quello che emerge, in sostanza, è il rifiuto dell'emarginazione e l'aspirazione a un benessere affettivo che passa attraverso un maggiore coinvolgimento sociale, civile, «attivo» nel proprio contesto di appartenenza;
queste aspirazioni si traducono in uno spostamento qualitativo della domanda di servizi rispetto a quella dell'assistenza tradizionale: mobilità, trasporto sociale, compagnia. Quasi il 47 per cento degli utenti richiede l'accompagnamento con trasporto in auto attrezzate (+21 per cento nel 2010). Si chiede più compagnia ma solo per uscire (anche per andare alle poste o dal medico) e per socializzare, mentre la domanda cala per quella a domicilio (-15 per cento) come per la consegna di farmaci (-58 per cento) a casa. In crescita è anche la richiesta di compagnia telefonica (+18,5 per cento). Secondo l'indagine Auser, il 90 per cento delle persone che chiede aiuto al Filo d'Argento non è inserito in modo continuativo in un piano di assistenza pubblica né da enti privati, solo il 6,4 per cento degli anziani è seguito da

servizi socio-assistenziali e il 3,6 per cento da cooperative e privati. Quello che sorprende è che il 34,2 per cento delle richieste di informazione ed aiuto pervenute ai volontari Auser arrivino proprio dalle Asl, dai servizi sociali e comunali e di altri enti pubblici. Le altre richieste arrivano dai diretti interessati nel 48 per cento dei casi, dai familiari nell'11 per cento e da partner di Auser nel restante 7 per cento. Un capitolo del rapporto riguarda il gradimento rispetto ai servizi prestati dall'Auser e conosciuti attraverso amici, passaparola, familiari e pubblicità. In generale il 72,2 per cento si dichiara molto soddisfatto degli aiuti ricevuti e un 23,6 per cento abbastanza contento -:
quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di promuovere un quadro generale di percorsi ed attività degli anziani, all'interno delle diverse realtà istituzionali.
(4-12722)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame specificata con cui si chiede di sapere quali iniziative si intendano adottare al fine di promuovere un quadro generale di percorsi ed attività a favore degli anziani all'interno delle diverse realtà istituzionali, si rappresenta quanto segue.
Nell'ambito delle politiche di contrasto alla marginalità estrema delle fasce sociali più svantaggiate, fra cui le persone anziane in stato di bisogno, si sta avviando una sperimentazione in attuazione del principio di sussidiarietà cosiddetto «in senso orizzontale», che, come stabilito dall'ultimo comma dell'articolo 118 della Costituzione, impegna Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni a favorire «l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale».
Infatti, a seguito della conversione in legge del decreto «Milleproroghe» (legge n. 10 del 2011, articolo 2, commi 46-48), «per favorire la diffusione della carta acquisti tra le fasce di popolazione in condizione di maggiore bisogno» è introdotta «la sperimentazione di una nuova carta acquisti che sarà distribuita attraverso enti
non profit attivi nel contrasto della povertà estrema».
La sperimentazione avverrà in 12 città con più di 250 mila abitanti, secondo lo schema delle aree metropolitane, individuate dall'emanando decreto attuativo nei seguenti comuni: Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli, Palermo, Catania e Verona.
La
social card sperimentale sarà distribuita ai beneficiari attraverso enti non profit attivi nel contrasto alla povertà alimentare. Il funzionamento puntuale del programma «social card sperimentale» sarà delineata dal decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali attualmente in corso di perfezionamento a cui il richiamato decreto-legge milleproroghe ha affidato l'attuazione dell'intervento.
L'obiettivo della nuova sperimentazione è raggiungere le persone in condizione di maggiore bisogno, inclusi gli anziani, e le persone senza dimora delle grandi città. La
social card sperimentale dovrebbe rappresentare, per queste persone, l'occasione per la presa in carico da parte degli enti non profit e dei servizi sociali del comune, e l'infrastruttura attraverso cui potranno passare anche altri servizi. E previsto infatti che gli enti predispongano, per ciascun nucleo familiare destinatario della carta, un progetto finalizzato al superamento della condizione di povertà, emarginazione ed esclusione sociale.
Si tratta di una scelta ispirata ai valori che trovano espressione nel libro bianco sul futuro del modello sociale predisposto da questo Ministero nel maggio del 2009, della centralità della persona e dell'importanza delle sue proiezioni relazionali: la famiglia, quale luogo delle relazioni affettive; il lavoro, quale espressione di un progetto di vita; la comunità e il territorio, quali ambiti di relazioni solidali.
La centralità della persona conduce a una politica pubblica di prossimità e di sussidiarietà accentuando valori che discendono dalla tesi di un
Welfare delle opportunità e delle responsabilità, che si rivolge alla persona nella sua integralità,

destinato progressivamente a sostituire il modello attuale di tipo prevalentemente risarcitorio.
Come espresso nel libro bianco, un modello sociale così definito si realizza non solo attraverso le funzioni pubbliche, ma anche riconoscendo, in sussidiarietà, il valore della famiglia, della impresa profittevole e non, come di tutti i corpi intermedi che concorrono a fare comunità. Tale modello viene ritenuto maggiormente idoneo a intervenire su situazioni di solitudine ed emarginazione, con particolare attenzione alle persone più anziane.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Nello Musumeci.

LAFFRANCO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il 14 maggio 2011 il comitato di indirizzo della Fondazione Opera nazionale assistenza agli orfani sanitari italiani, Onaosi, appena insediatosi, ha proceduto all'elezione del nuovo consiglio di amministrazione della fondazione Onaosi;
l'articolo 12 dello statuto della Fondazione Onaosi, approvato con decreto interministeriale del 9 febbraio 2009, dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministro dell'economia e delle finanze, stabilisce espressamente che il Consiglio di amministrazione deve essere composto da 9 sanitari eletti dal comitato di indirizzo, tra questi 1 medico veterinario pubblico dipendente, 1 farmacista pubblico dipendente, 1 odontoiatra contribuente volontario e 6 medici chirurghi, di cui 5 pubblici dipendenti e uno contribuente volontario;
il decreto interministeriale del 9 febbraio 2009 con il quale è stato approvato il nuovo statuto dell'Opera nazionale assistenza agli orfani sanitari italiani, Onaosi, è stato affidato ai sensi dell'articolo 3, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, secondo cui la vigilanza sulle associazioni o fondazioni definite nel medesimo decreto, tra cui l'Onaosi, è esercitata dal Ministero del lavoro e politiche sociali e dal Ministero dell'economia e delle finanze;
il comitato di indirizzo, contravvenendo a quanto stabilito nello statuto della Fondazione all'articolo 12, ha eletto quali consiglieri di amministrazione, oltre a quattro medici pubblici dipendenti, due medici chirurghi, che non possono essere ricondotti alla categoria di dipendenti pubblici;
appare dunque violata una norma statutaria approvata attraverso un decreto ministeriale ai sensi di quanto disposto dall'articolo 3, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509:
secondo quanto disposto sempre dall'articolo 3, comma 3, del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 50 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di intesa con gli altri Ministeri interessati, può formulare motivati rilievi su: i bilanci preventivi e i conti consuntivi; le note di variazione al bilancio di previsione; i criteri di individuazione e di ripartizione del rischio nella scelta degli investimenti così come sono indicati in ogni bilancio preventivo; le delibere contenenti criteri direttivi generali. Nel formulare tali rilievi il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, d'intesa con i Ministeri interessati, rinvia gli atti al nuovo esame da parte degli organi di amministrazione per riceverne una motivata decisione definitiva. I suddetti rilievi devono essere formulati entro sessanta giorni dalla data di ricezione per i bilanci consuntivi ed entro trenta giorni dalla data di ricezione, per tutti gli altri atti. Trascorsi detti termini ogni atto relativo diventa esecutivo -:
se siano a conoscenza di quanto accaduto e quali iniziative di competenza intendano assumere affinché si ristabilisca al più presto il pieno rispetto di quanto previsto dallo statuto della Fondazione Onaosi.
(4-11994)

Risposta. - L'interrogazione in esame concerne la conformità allo Statuto della composizione del nuovo Consiglio di amministrazione dell'opera nazionale per l'assistenza agli orfani dei sanitari italiani (ONAOSI).
In via preliminare, si precisa che l'ente in questione, il cui scopo primario è il sostegno, l'istruzione e la formazione degli orfani di medici chirurghi, odontoiatri, medici veterinari e farmacisti, è una fondazione con personalità giuridica diritto privato, a seguito della trasformazione disposta dall'articolo 1 del decreto legislativo n. 509 del 1994 e gode di autonomia gestionale, organizzativa e contabile.
A fronte di tale autonomia, l'articolo 3 del citato decreto legislativo ha previsto un sistema di vigilanza articolato in un controllo di natura amministrativo-contabile da parte dei Ministeri co-vigilanti, che si traduce nell'approvazione degli atti fondamentali dell'ente, quali Statuto e regolamenti, nella presenza di rappresentanti ministeriali nel collegio sindacale e nella facoltà di formulare motivati rilievi, in particolare su bilanci e conti consuntivi, ad esito dei quali gli atti vengono rinviati agli organi di amministrazione dell'ente per un nuovo esame e una motivata decisione definitiva.
Con specifico riferimento all'elezione del Consiglio di amministrazione dell'ONAOSI, lo Statuto dell'ente, approvato con decreto interministeriale del 9 febbraio 2010, all'articolo 12, prevede che il comitato di indirizzo, rispettando il principio di rappresentatività proporzionale delle categorie professionali soggette a contribuzione obbligatoria e volontaria e garantendo ad ognuna almeno un rappresentante, elegga 9 componenti, fra cui: 6 medici chirurghi, di cui 5 pubblici dipendenti e 1 contribuente volontario; 1 odontoiatra contribuente volontario; 1 medico veterinario pubblico dipendente e 1 farmacista pubblico dipendente.
In relazione ai due medici cui fa riferimento l'interrogante, l'ente assistenziale ha fatto sapere che entrambi sono dipendenti pubblici in quiescenza, che, al momento della cessazione dal servizio per raggiunti limiti di età, hanno optato per la prosecuzione della contribuzione vitalizia.
L'ente ha, inoltre, chiarito che uno dei due medici, alla data di formazione degli elenchi degli aventi diritto al voto (27 ottobre 2010) era ancora sanitario pubblico dipendente, essendo cessato dal servizio ed avendo volontariamente scelto di proseguire la contribuzione in forma vitalizia nel dicembre 2010.
Al riguardo, il Ministero dell'economia e delle finanze ha rappresentato che l'elezione di tali medici quali componenti del consiglio di amministrazione non si pone in contrasto con le previsioni statutarie in materia.
Infatti, l'articolo 5 dello Statuto prevede solo due categorie di contribuenti: quelli obbligatori ossia i sanitari dipendenti pubblici iscritti ai rispettivi ordini professionali e quelli volontari, considerando come tali tutti gli altri sanitari non appartenenti alla tipologia dei contribuenti obbligatori ed ammessi a richiesta.
Lo Statuto non contempla un'autonoma categoria di contribuenti formata da iscritti vitalizi, i quali continuano a far parte della categoria contributiva alla quale appartenevano al momento dell'esercizio dell'opzione per la contribuzione vitalizia, nel caso di specie alla categorie dei contribuenti obbligatori.
In base ad una interpretazione sistematica delle previsioni statutarie, in particolare degli articoli 5, 6 e 10, il contribuente obbligatorio, originariamente tale perché pubblico dipendente, può mantenere la contribuzione a titolo vitalizio anche dopo la cessazione dal servizio e conservare lo
status di contribuente obbligatorio precedentemente rivestito, in conformità alla condizione professionale che aveva dato luogo alla sua iscrizione.
Il contribuente obbligatorio iscritto vitalizio va, pertanto, equiparato ad ogni effetto, e quindi anche ai fini elettorali, al contribuente «ordinario» pubblico dipendente.
Conclusivamente, si reputa che l'elezione dei due medici in questione non comporti, in linea di principio, una violazione delle disposizioni statutarie in materia,

potendo ben ritenersi che un medico pubblico dipendente in quiescenza che opti per la prosecuzione della contribuzione in forma vitalizia non perda, per il solo fatto di non essere più in servizio, l'appartenenza all'originaria categoria di provenienza dei contribuenti obbligatori della quale continua a far parte anche ai fini dell'elezione e della composizione degli organi della fondazione.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

LO PRESTI e DI BIAGIO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
in data 3 febbraio 2009 lo Stato maggiore dell'Esercito diramava una circolare con la quale comunicava a tutti gli enti subordinati che, a causa delle scarse risorse a disposizione e non sussistendo particolari preclusioni giuridiche all'impiego del personale volontario in incarichi di natura logistica, sarebbe stato possibile destinare il detto personale ad attività quali il confezionamento di viveri, manovalanza e pulizie; i destinatari della suddetta circolare sono i militari della categoria graduati e truppa che, a differenza di quanto avveniva negli anni in cui era in vigore il servizio di leva, oggi sono veri e propri professionisti per lo più reduci dalle zone di combattimento nei vari teatri esteri e dunque muniti di una professionalità, non certamente paragonabile alle mansioni alle quali la circolare di cui trattasi vuole relegarli;
infatti, a seguito di ciò, già dal 15 maggio 2009 il Comando delle forze di difesa - divisione «Acqui» ha disposto che tutti i venerdì il personale della categoria graduati dovrà dedicarsi ai servizi di pulizia interna delle caserme;
il Co.Ce.R ha anche deliberato diverse volte su tale questione senza ottenere alcun riscontro; la Corte costituzionale con diverse pronunce (sentenze 449/1999; 332/2000; 445/2002), ha solennemente e definitivamente sentenziato che i diritti fondamentali del cittadino militare non recedono di fronte alle esigenze della struttura militare;
agli articoli 627 e successivi del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 «Codice dell'ordinamento militare» stabilisce la composizione organica delle Forze Armate in quattro categorie ufficiali, sottufficiali, graduati e truppa, sancendo la nascita di una nuova categoria quella dei graduati che si differenzia dalla truppa per professionalità maturata e per essere in servizio permanente;
purtroppo, nonostante il quadro normativo, gli Stati maggiori dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica a tutt'oggi non hanno apportato nessuna modifica alle circolari interne per legittimare l'esistenza del nuovo ruolo graduati, ed in particolare alla circolare del 15 dicembre 2010 dello Stato maggiore Esercito con la quale è stato regolamentato l'impiego nelle suddette dequalificanti mansioni del personale graduato;
nonostante la categoria graduati delle Forze armate sia legislativamente parificata ai graduati delle Forze di polizia sia ad ordinamento militare che civile (carabinieri, finanzieri, poliziotti), quest'ultimi non vengono distolti dagli incarichi istituzionali e in nessun caso i comandi generali hanno diramato circolari che destinassero il proprio personale ad attività diverse e meno qualificate -:
quali iniziative intenda assumere per tutelare la dignità dei graduati delle Forze armate al fine di parificare definitivamente quest'ultimi ai parigrado delle forze di polizia nel rispetto delle mansioni a loro attribuite.
(4-10981)

Risposta. - La questione dell'impiego del personale volontario anche in attività di natura non operativa si deve inserire nel più ampio quadro concernente le esigenze di contenimento della spesa pubblica imposte dall'attuale complessa congiuntura economica.
Occorre premettere, infatti, che in relazione alla diminuzione dei fondi allocati al bilancio

della Difesa, che si è registrata negli ultimi anni, il Dicastero ha inteso operare procedendo in accordo con le priorità politiche fissate e con i correlati obiettivi strategici, al fine di perseguire il sinergico bilanciamento delle tre dimensioni quantitativa, qualitativa e capacitiva dello strumento militare.
L'azione del Ministero mira, infatti, ad un complesso di iniziative volte a dare una risposta efficace alle complesse problematiche delle Forze armate, individuando priorità, come doverosa e indispensabile scelta di indirizzo politico, senza peraltro trascurare alcuno degli aspetti fondamentali.
In tale quadro, la predetta riduzione dei fondi ha conseguentemente diminuito drasticamente la possibilità di ricorrere all'esternalizzazione dei servizi (cosiddetti
outsourcing), rendendo talvolta inevitabile l'impiego del personale volontario in attività di natura non operativa, al fine di garantire allo stesso personale le condizioni minime di igiene e sicurezza sanitaria.
Peraltro, la direttiva «linee di indirizzo e criteri per l'impiego delle risorse finanziarie - settore dell'esercizio - esercizio finanziario 2011» emanata dallo stato maggiore della difesa, prevede che la pulizia degli alloggi truppa sia a cura degli utenti, considerato che per il settore delle pulizie bisogna prevedere una riduzione delle spese di almeno il 30 per cento rispetto al 2010.
Il vigente ordinamento giuridico, comunque, non impedisce, pur se entro certi limiti, l'impiego del personale in questione in attività non operative.
Infatti, dall'analisi del codice dell'ordinamento militare (decreto legislativo n. 66/2010) si evince chiaramente come, a fronte dell'introduzione della categoria dei graduati (articolo 627), nulla è mutato con riferimento ai compiti del personale militare cui, a partire dal ruolo sergenti sino a quello dei volontari in ferma (articoli 840, 841 e 842), sono attribuite mansioni esecutive, che si traducono non solo nello svolgimento di compiti operativi e addestrativi, ma anche di quelli a carattere logistico-amministrativo e tecnico-manuale.
Inoltre, l'articolo 843 del codice fa salva comunque la prerogativa del capo di stato maggiore di Forza armata di determinare gli incarichi del personale militare (sottufficiali, graduati e truppa) in relazione alle esigenze di servizio, come è avvenuto nel caso della citata direttiva emanata dallo stato maggiore dell'Esercito.
Con riguardo all'orientamento della Corte costituzionale, si reputa opportuno evidenziare che le pronunce giurisprudenziali citate dall'interrogante (sentenze numero 449/1999, 332/2000 e 445/2002) non si attagliano alla problematica
de qua, atteso che, nell'esprimere il principio secondo cui i diritti fondamentali non recedono di fronte alle esigenze della «struttura militare», non hanno però specificato che tra tali diritti (diritto alla vita, libertà di pensiero, libertà religiosa, libertà di circolazione, eccetera) vi sia anche quello, seppur meritevole di tutela, a svolgere determinate mansioni in ambito lavorativo.
Anzi hanno ribadito il principio contrario secondo cui l'articolo 52 della Costituzione, usando l'espressione «ordinamento» delle Forze armate e pur nel rispetto delle libertà fondamentali dell'uomo, ha inteso «mettere in luce le esigenze funzionali e la peculiarità dell'ordinamento militare» (sentenza n. 449/1999), con ciò rigettando un ricorso con cui si riteneva incostituzionale il divieto di costituire associazioni professionali a carattere sindacale all'interno delle strutture militari.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

MANCUSO, BARANI, DE LUCA e GIRLANDA. - Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 20 del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, recante provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 2010, tutta la documentazione relativa alle «domande volte ad ottenere i benefici in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, complete della certificazione

medica attestante la natura delle infermità invalidanti, siano presentate all'INPS secondo modalità stabilite dall'Ente medesimo» e quindi in via telematica;
lo stesso INPS, nel suo sito, dedica una pagina alle novità introdotte dal decreto, ai fini del riconoscimento dell'inabilità in tempi più rapidi e modalità più chiare;
il messaggio n. 7567 del 16 marzo 2010 dell'INPS chiarisce che «si considera esaurita la fase transitoria di presentazione delle (domande di invalidità) in modalità diversa da quella elettronica»;
nel messaggio l'INPS raccomanda a tutti i direttori delle strutture territoriali di porre in essere tutte le iniziative interne ed esterne mirate ad agevolare la presentazione in via telematica delle istanze volte al riconoscimento dei benefici in questione;
la commissione ASL per i ciechi civili di Salerno ha sottoposto a visita, in data 25 maggio 2010, cittadini richiedenti l'assegno legato al riconoscimento di cecità civile;
la Commissione ha spedito i relativi verbali in forma cartacea alla sede romana dell'INPS, provocando un allungamento inconcepibile delle tempistiche di risposta da parte dell'Istituto;
inspiegabilmente i verbali di altre visite effettuate nello stesso periodo sono stati correttamente inviati in via telematica e gli interessati hanno, in effetti, già ottenuto quanto spettante -:
quali iniziative si intendano assumere per favorire l'invio dei verbali in formato elettronico come previsto ormai in via definitiva dall'Inps.
(4-10926)

Risposta. - L'interrogazione in esame concerne il procedimento di riconoscimento dell'invalidità civile adottato ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito dalla legge n. 102 del 2009.
Il nuovo procedimento prevede che il riconoscimento dei benefici in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile,
handicap e disabilità avvenga con il diretto coinvolgimento dell'Inps, attraverso l'integrazione della Commissione medica delle aziende sanitarie locali (Asl) con un medico dell'Istituto, al fine di realizzare una gestione coordinata delle fasi sanitaria ed amministrativa, nella prospettiva di garantire ai cittadini maggiore trasparenza e celerità. All'Inps spetta, in ogni caso, il compito di accertare in via definitiva la sussistenza dei requisiti che possono dare luogo ai benefici di legge.
Per gestire il nuovo flusso procedurale, l'Inps ha sviluppato un'apposita applicazione informatica idonea a gestire in via telematica l'intero
iter che, a partire dal 1o gennaio 2010, è stata messa a disposizione di tutti i soggetti coinvolti (cittadini, patronati, associazioni di categoria, medici certificatori, Asl, personale sanitario e amministrativo dell'Istituto).
La procedura informatica consente la trasmissione telematica all'Istituto della domanda di accertamento dell'invalidità civile direttamente da parte dell'interessato oppure per il tramite dei patronati o delle associazioni di categoria dei disabili. A tale domanda viene abbinato, sempre in via informatica, il certificato medico che attesta le infermità invalidanti, compilato e trasmesso telematicamente dal medico abilitato.
L'Istituto ha fatto sapere che con riguardo a questa prima fase non si sono verificate particolari criticità. Infatti, dopo un breve periodo transitorio, a partire dal mese di aprile 2010, il flusso di presentazione delle istanze viene effettuato quasi esclusivamente in via telematica su tutto il territorio nazionale.
Dai dati raccolti dall'Istituto previdenziale è emerso che a fronte di 1.092.588 domande presentate nel 2010, la percentuale di trasmissione telematica si è attestata intorno al 93 per cento.
Come sottolineato anche dall'interrogante, le maggiori criticità sono connesse all'informatizzazione della fase di compilazione

e trasmissione dei verbali di accertamento medico legale da parte delle Asl.
Al riguardo, l'Inps ha rilevato che l'utilizzo dell'applicazione informatica o in alternativa la realizzazione di cooperazioni applicative con i sistemi utilizzati dalle varie Asl è stata parziale e ha presentato forti disomogeneità territoriali.
Infatti, la maggior parte dei verbali di accertamento vengono trasmessi dalle Asl in forma cartacea, tanto che nei primi sei mesi del 2011 la percentuale di informatizzazione dei verbali è stata di circa il 25 per cento facendo comunque segnare un incremento rispetto al 2010.
Lo scarso utilizzo della procedura informatica da parte delle Commissioni mediche dell'Asl ha comportato evidenti ripercussioni sui tempi di svolgimento delle visite e in generale sui tempi di definizione delle istanze.
Per porre rimedio a tale situazione, l'Istituto si è trovato nella necessità di operare una implementazione della procedura informatica al fine di acquisire i verbali cartacei e recuperare in forma telematica le informazioni ivi contenute. Tenuto conto dell'elevato numero di verbali da acquisire e del notevole impegno di risorse necessario, l'Inps ha dovuto affidare tale servizio alla società Postel spa.
Fermo restando che la normativa in questione non pone a carico delle Asl un obbligo di utilizzare la procedure di verbalizzazione elettronica messa a disposizione dell'Inps, l'Istituto ha rappresentato di aver realizzato nei confronti delle Aziende sanitarie numerose iniziative di sensibilizzazione, di coinvolgimento e di supporto tecnico-informatico, anche mediante l'avvio di progetti di cooperazione applicativa, intesi a consentire comuni piattaforme informatiche con le aziende sanitarie, già dotate di propri applicativi.
L'Istituto previdenziale ha, inoltre, comunicato di aver speso e di continuare a spendere il massimo impegno affinché sia effettivamente realizzata una contrazione dei tempi procedurali e la progressiva estensione della procedura telematizzata. In particolare, il Direttore generale dell'Inps, con i messaggi n. 2036 del 28 gennaio 2011 e n. 2886 del 4 febbraio 2011, ha introdotto alcune innovazioni tese a snellire il procedimento senza impoverire i controlli. L'Istituto ha riferito che tali innovazioni hanno già prodotto i primi risultati.
Da ultimo, vale la pena evidenziare che l'articolo 18, comma 22, del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito dalla legge n. 111 del 2011, con l'obiettivo di assicurare maggiore omogeneità e snellezza a tutto il procedimento, ha introdotto la possibilità per le regioni di stipulare, anche in deroga alla normativa vigente, specifiche convenzioni con l'Inps per l'affidamento all'istituto delle funzioni relative all'accertamento dei requisiti sanitari.
In conclusione, fermo restando che in qualità di autorità vigilante il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha agito e agirà nei confronti dell'Inps per migliorare le
performance del sistema informativo, molte delle difficoltà operative lamentate discendono dalla disomogeneità dei sistemi informativi delle Asl e delle autonomie locali, sui cui assetti organizzativi il Governo non può esercitare alcun potere di intervento, bensì una mera moral suasion, nell'ottica della leale collaborazione istituzionale.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Nello Musumeci.

MANCUSO, CICCIOLI, DE LUCA, GIRLANDA e BARANI. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro per le pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
ogni anno, in Pakistan, vengono rapite e violentate e convertite forzatamente all'islam e poi sposate a uomini musulmani circa 700 ragazze e donne cristiane;
includendo anche le donne indù e di altri gruppi religiosi minoritari, le donne rapite e poi fatte convertire forzatamente all'islam ogni anno sono più di 1.000;
le forze dell'ordine pakistane non sono in grado o non intendono contrastare il fenomeno;

i rapitori presentano spesso alle forze dell'ordine o ai giudici dichiarazioni scritte dalle ragazze che attestano una conversione regolare e tali dichiarazioni vengono considerate valide e le indagini chiuse;
il 2 marzo 2011 il Ministro, cattolico, per le minoranze del Pakistan, Shahbaz Bhatti è stato assassinato;
il dicastero retto da Bhatti è stato abolito e le sue competenze assorbite dai Ministeri provinciali, con conseguente abbandono delle misure di tutela delle minoranze a livello nazionale -:
quali azioni intenda mettere in atto il Governo, sul territorio nazionale e presso gli organismi internazionali, per interrompere l'indegna tratta delle donne pakistane cristiane e appartenenti ad altre minoranze religiose.
(4-12968)

Risposta. - Gli episodi di violenza ai danni delle donne pakistane costituiscono un fenomeno che non riguarda solo ragazze appartenenti a minoranze religiose, nello specifico a quella cristiana, ma che si inserisce in un quadro più generale di abusi contro le donne, specialmente se appartenenti alle classi sociali più svantaggiate.
Anche il sequestro di donne a scopo di matrimonio forzato - cui si riferisce l'interrogante - rimane diffuso senza distinzione di appartenenza religiosa.
In molti casi le forze dell'ordine non rispondono in modo attivo a eventuali denunce, ritenendo tali questioni un affare interno alla famiglia, in cui non interferire. In altri, può essere effettivamente difficile stabilire se vi sia costrizione della donna ovvero se si tratti di matrimoni d'amore con uomini di religione diversa da quella della famiglia di origine a cui quest'ultima si oppone.
Sul piano del rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, e in particolare della tutela delle minoranze religiose, la situazione interna al Pakistan resta problematica.
Nonostante la Costituzione affermi il principio dell'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge ed i principali partiti politici proclamino l'importanza dell'equidistanza religiosa, di fatto continuano a verificarsi discriminazioni ed episodi di intolleranza contro i cittadini non musulmani (circa il 5 per cento fra indù, cristiani sikh, buddisti, parsi, baha'i, ahmadi).
L'11 agosto 2011, in occasione delle celebrazioni per la Giornata delle minoranze, il Presidente Zardari, alla presenza del Governo, di rappresentanti della società civile e della comunità diplomatica, ha voluto sottolineare quanto fatto finora dal Governo per la tutela delle minoranze, anche grazie al personale impegno e sacrificio di Shahbaz Bhatti, e ha rinnovato l'auspicio che i Paesi democratici continuino a sostenere le forze che nel Paese si battono per il progresso e la democrazia. Al riguardo, il Governo pakistano ha altresì annunciato l'istituzione di un nuovo Ministero per l'armonia nazionale. In attuazione del 18o emendamento costituzionale, la gestione delle questioni di competenza del Ministero per l'armonia interreligiosa e gli affari delle minoranze, analogamente a quanto avvenuto per altri diciassette dicasteri, era stata devoluta nei mesi scorsi alla competenza delle singole province.
La ricostituzione del Dicastero a livello federale non revoca l'avvenuto decentramento: l'azione del Ministero dell'armonia nazionale si muoverà di concerto con quella delle province, che resteranno garanti della protezione delle minoranze sul territorio, nell'ottica di una responsabilizzazione delle autorità locali e di un intervento di tutela maggiormente commisurato agli specifici contesti regionali.
Il costituendo Ministero per l'armonia nazionale, guidato dal Ministro di Stato Akram Masih Gill, di religione cristiana e Presidente della
minorities wing del Partito della muslim league-Q (Pmlq), recupererebbe, invece, la maggior parte delle funzioni che erano dell'allora Ministero per l'armonia interreligiosa e gli affari delle minoranze. Avrà infatti compiti di programmazione politica, iniziativa legislativa, coordinamento e supervisione; rappresenterà il Pakistan nei fora multilaterali per la prevenzione delle discriminazioni, adempierà agli impegni internazionali relativi

alle minoranze religiose, nonché sarà responsabile del welfare fund per le minoranze e della neo istituita Commissione nazionale per le minoranze.
La decisione di sottrarre il predetto Dicastero dalla devoluzione costituisce, indubbiamente, dopo la parentesi critica segnata dagli assassini dei Governatore del Punjab Taseer e del Ministro Bhatti, un segnale di rinnovata attenzione al tema della tutela delle minoranze da parte della compagine governativa ed una dimostrazione di impegno intesa a guadagnare il sostegno dei Paesi democratici e soprattutto dell'Europa agli sforzi del Governo. Va accolta inoltre positivamente la conferma dell'incarico di consigliere del Primo Ministro per le questioni religiose, con rango di Ministro, di Paul Bhatti, fratello del Ministro Shahbaz Bhatti.
Il sostegno del Governo italiano alle istituzioni pakistane che lottano per il consolidamento della democrazia e per il riconoscimento effettivo degli eguali diritti di tutti i cittadini, soprattutto se appartenenti ai gruppi minoritari, si inserisce nel più ampio contesto dell'azione dell'Italia a favore del rispetto dei diritti umani e della libertà di religione nel mondo. Il tema della libertà di credo, in particolare, è da lungo tempo tra i temi prioritari dei colloqui con le autorità di Islamabad ed è stato da ultimo al centro dell'incontro di settembre, a margine dell'
United nations general assembly, tra il Ministro Frattini e il Ministro degli affari esteri pakistano Hina Rabbani Khar.
Anche grazie alla costante azione di stimolo e proposta esercitate dal Ministro Frattini in sede di Unione europea, al Consiglio affari esteri del 21 febbraio 2011, dopo un dibattito non privo di difficoltà, sono state adottate conclusioni con le quali l'Unione rinnova la sua preoccupazione e condanna per il crescente numero di atti di intolleranza compiuti ai danni di cristiani ed altre comunità religiose e dei loro luoghi di culto. Sempre con l'attivo concorso del nostro paese, l'Unione europea ha avviato un esercizio di monitoraggio finalizzato all'elaborazione periodica di un rapporto sullo stato della libertà religiosa nel mondo, esercizio che è oggi in pieno svolgimento. A conclusione di questo lavoro di ricognizione, il servizio europeo per l'azione esterna (Seae) presenterà proposte sulle ulteriori iniziative possibili in questo campo.
In ambito Onu, su iniziativa dell'Unione europea e con il pieno concorso dell'Italia sono state adottate dall'Assemblea generale, nel dicembre 2010, e al Consiglio diritti umani nel marzo 2011 risoluzioni che richiamano esplicitamente, anche su nostra proposta, l'aumento degli episodi di violenza contro gli appartenenti a minoranze religiose e il dovere di ogni Stato di esercitare la massima vigilanza per prevenirli e punirne i responsabili.
Un argomento connesso, tradizionalmente controverso, sono le iniziative sulla «diffamazione delle religioni» presentate regolarmente dai Paesi della Conferenza islamica in ambito Onu, che si ispirano a concetti presenti nelle norme contro la blasfemia esistenti in diversi ordinamenti di paesi a maggioranza musulmana. L'Italia ha sempre sostenuto che la diffamazione religiosa non è un concetto riconducibile al sistema di tutela internazionale dei diritti umani e che anzi può essere utilizzato come strumento discriminatorio nei confronti delle minoranze per limitare la libertà di espressione e la stessa libertà di religione.
Alla sessione del Consiglio dei diritti umani di marzo, i Paesi della Conferenza islamica hanno lasciato cadere questa iniziativa sostituendola con un testo incentrato su misure di contrasto a discriminazione e intolleranza religiosa, poi adottato per consenso. Si tratta di un segnale molto incoraggiante. A questa evoluzione non sono evidentemente estranei i profondi movimenti politici in atto nel mondo islamico né l'opera di «mediazione culturale» in corso da tempo da parte dell'Alto Commissariato ai diritti umani in materia di definizione consensuale dei principi della libertà di espressione e dei suoi limiti, sulla base degli articoli 19 e 20 del Patto internazionale sui diritti civili e politici.
L'incontro organizzato congiuntamente da Stati Uniti e Organizzazione conferenza islamica il 15 luglio 2011 a Istanbul ha

costituito un momento importante per consolidare tale nuovo approccio consensuale.
È nella prospettiva di un dialogo ampio e strutturato e del rafforzamento del partenariato di lungo periodo con il Pakistan che l'Europa e, con essa l'Italia, continuerà a fornire sostegno alle istituzioni democratiche pakistane contro le forze estremiste, esigendo nel contempo che queste compiano passi decisivi verso il riconoscimento concreto dei diritti e delle libertà individuali.
Appare inoltre opportuno ricordare che il Ministro per le pari opportunità, in merito ai più recenti casi di violenza commessa ai danni di giovani donne appartenenti ad un diverso credo religioso da parte dei propri familiari, si è costituito parte civile nel processo penale che vedeva come imputato per omicidio El Ketawi Dafani, padre di Saana Dafani, ragazza marocchina di 18 anni, simbolo di tutte quelle donne vittime di analoghi efferati delitti, nonché nel processo penale contro Hamad Khan Butt, l'uomo di origine pakistana che a Novi, nel modenese, ha ucciso la moglie, ritenuta colpevole di difendere la loro figlia che si ribellava ad un matrimonio combinato.
Nel settembre 2010, il Ministro per le pari opportunità ed il Ministro degli affari esteri hanno deciso di esporre l'immagine di Sakineh Ashtiani, la donna iraniana condannata a morte per l'omicidio del marito, allo scopo di affermare, tra gli altri, l'impegno del nostro Paese contro la pena di morte - ovunque e contro chiunque essa venga accertata - in quanto lesiva della dignità umana.
Proprio il rispetto dei diritti fondamentali ed in particolare la tutela della vita ed il rispetto della donna, costituiscono la base del nostro impegno per Kate, la giovane nigeriana che nel suo Paese avrebbe rischiato la lapidazione per essersi ribellata ad un matrimonio forzato; è stata infatti sostenuta la sua causa affinché le fosse rapidamente concesso un permesso di soggiorno per motivi umanitari della durata di un anno rinnovabile.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Stefania Gabriella Anastasia Craxi.

MANCUSO, CICCIOLI, DE LUCA, GIRLANDA, BOCCIARDO, GHIGLIA e TOMMASO FOTI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
l'Italia è il paese del bel canto, la nostra tradizione musicale e melomane è una risorsa inestimabile da preservare e coltivare;
l'Italia è l'unico Stato nel mondo (ad esclusione di alcuni paesi islamici in cui la musica è vissuta come un peccato) in cui la musica non è inserita come materia in tutte le scuole di grado superiore, ma unicamente negli istituti specificamente dedicati;
secondo le ultime statistiche l'età media degli appassionati di musica classica si sta vertiginosamente impennando;
la tradizione e la cultura della musica classica, da camera e lirica rischiano inesorabilmente di scomparire in pochi decenni;
la musica classica è una risorsa, culturale ed economica, del made in Italy, contribuendo al prestigio nazionale in tutto il mondo;
nei nostri teatri nazionali si esibiscono sempre più artisti provenienti dai paesi dell'est e asiatici, soppiantando e oscurando la nostra tradizione -:
quali azioni il Governo intenda mettere in atto per promuovere la tradizione della musica classica, da camera e lirica nel nostro Paese.
(4-13262)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione indicata in oggetto, con cui l'interrogante chiede quali azioni il Governo intenda intraprendere per promuovere la tradizione della musica classica, da camera e lirica, in Italia, si rappresenta quanto segue.
Il Ministero per i beni e le attività culturali, specificamente attraverso la direzione generale per lo spettacolo dal vivo,

sovvenziona le attività liriche e musicali ed, in particolare, le attività previste dal decreto ministeriale 9 novembre 2007, relativo al settore musicale (lirica ordinaria, lirica tradizionale, concertistica, festival, e altro).
Va evidenziato, inoltre, che i contributi vengono assegnati con decreto del direttore generale, sentita la competente commissione consultiva composta da esperti. Tale commissione, che valuta i programmi di attività presentati dagli organismi richiedenti, esprime il proprio giudizio qualitativo tenendo conto dei parametri precedentemente approvati dalla stessa commissione, parametri che si ispirano agli obiettivi fissati dall'articolo 2 del medesimo decreto ministeriale richiamato; fra questi, vanno ricordati quello relativo alla promozione della conservazione e della valorizzazione del repertorio classico, anche tramite il recupero del patrimonio musicale, nonché quello relativo alla promozione internazionale della musica italiana, in particolare in ambito europeo. Tuttavia nulla vieta ai complessi finanziati di poter utilizzare artisti stranieri, così come i musicisti italiani spesso vengono utilizzati in complessi stranieri: sta alla commissione valutare che l'attività svolta con l'impiego di tali musicisti sia parimenti degna di apprezzamento e finanziamento statale.
La preoccupazione per la efficace salvaguardia di iniziative che si ispirino alla tradizione musicale classica, da camera e lirica italiana da parte del Governo sembra, del resto, fugata dai recenti interventi normativi, quali quello del decreto-legge 31 marzo 2011, n.34, convertito dalla legge 26 maggio 2011, n. 75, nonché del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10 (cosiddetto mille proroghe), che hanno consentito un aumento della dotazione del Fondo unico per lo spettacolo (FUS), la cui dotazione finanziaria è stata riportata ai livelli dell'anno 2010.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali: Francesco Maria Giro.

MARINELLO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, come modificato ed integrato dal decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 277, che recepisce nell'ordinamento interno la direttiva 93/16/CE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli e delle direttive 97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE che modificano la direttiva 93/16/CE, ha istituito e disciplinato il corso triennale per il conseguimento del diploma di formazione specifica in medicina generale;
per i medici abilitati dopo il 31 dicembre 1994, il possesso di tale diploma costituisce il requisito necessario per l'iscrizione alla graduatoria unica regionale della medicina generale finalizzata all'accesso alle convenzioni con il Servizio sanitario nazionale in qualità di medico di medicina generale;
ai sensi dell'articolo 24 del citato decreto legislativo n. 368 del 1999, i corsi per il conseguimento del diploma di formazione specifica in medicina generale - che sono attivati dalle regioni, hanno durata triennale e sono a numero chiuso - prevedono la frequenza a tempo pieno, il che implica - ai sensi del comma 3 del citato articolo 24 - la partecipazione alla totalità delle attività mediche del servizio nel quale si effettua la formazione, comprese le guardie, in modo che il medico in formazione dedichi a tale formazione pratica e teorica tutta la sua attività professionale per l'intera durata della normale settimana lavorativa e per tutta la durata dell'anno;
il decreto del Ministro della salute 7 marzo 2006, all'articolo 11, specifica che, durante la frequenza del corso, è inibito al medico in formazione l'esercizio di attività libero-professionali ed ogni rapporto convenzionale, precario o di consulenza con il Servizio sanitario nazionale o enti e istituzioni pubbliche o private, anche di carattere saltuario o temporaneo, prevedendo come unica eccezione quella che il medico possa effettuare - unicamente nei casi

di accertata carente disponibilità dei medici già iscritti nei relativi elenchi regionali per la medicina convenzionata e purché compatibili con lo svolgimento dei corsi stessi - le sostituzioni a tempo determinato dei medici di medicina generale convenzionati con il Servizio sanitario nazionale nonché le sostituzioni per le guardie mediche notturne, festive e turistiche;
durante la frequenza del corso, al medico in formazione è corrisposta ai sensi dell'articolo 17 del citato decreto ministeriale una borsa di studio annuale il cui importo è attualmente di 11.603 euro, dedotto il premio di assicurazione per i rischi professionali e gli infortuni connessi all'attività di formazione, il quale è soggetto alle trattenute IRPEF ed IRAP;
il citato comma 3 dell'articolo 24 del citato decreto legislativo n. 368 del 1999 prevede tuttavia la possibilità per le regioni e le province autonome di organizzare corsi di formazione specifica in medicina generale a tempo parziale, purché essi garantiscano qualitativamente e quantitativamente il livello di formazione dei corsi a tempo pieno;
l'articolo 12, comma 3, del decreto del Ministro della salute 7 marzo 2006, specifica, al riguardo, che la scelta della formazione a tempo parziale fa decadere ogni preclusione ed incompatibilità presente in caso di formazione a tempo pieno: ai medici che optano per tale tipologia di corso, infatti, è consentito lo svolgimento di ogni altra attività lavorativa, purché compatibile con i periodi di formazione stabiliti dalla regione o provincia autonoma e fatta eccezione per i periodi in cui il corso è strutturato a tempo pieno. In questo caso, ai sensi del successivo comma 4, la borsa di studio viene corrisposta in misura proporzionalmente ridotta;
quanto previsto al comma 3 dell'articolo 12 viene incontro alle obiettive difficoltà alle quali vanno incontro i medici in formazione, in particolare di quelli che sono costretti per tre lunghi anni a dover contare per il sostentamento della loro famiglia esclusivamente sulla borsa di studio, non potendo svolgere in quel periodo nessun altro tipo di attività lavorativa ad eccezione di quelle alle quale si è accennato;
come è facile immaginare sono moltissimi i medici interessati a questa opportunità, ma purtroppo si deve registrare al riguardo un'inerzia da parte delle regioni e delle province autonome, in quanto sino ad oggi non risultano attivati corsi di formazione specifica in medicina, generale a tempo parziale;
tutto ciò arreca un danno gravissimo alla categoria, ma soprattutto ai cittadini, in quanto i medici di medicina generale, i cosiddetti «medici di famiglia» sono il nerbo del Servizio sanitario nazionale: un recente studio della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi ed odontoiatri relativo alla curva anagrafica dei medici di medicina generale, ha - infatti - rilevato che tra il 2015 e il 2025 (già domani per chi si occupa di programmazione sanitaria) circa 25 mila medici di famiglia andranno in pensione e non saranno rimpiazzati per mancanza di giovani medici formati in medicina generale, lasciando quasi 11 milioni di italiani senza il supporto di questo prezioso professionista -:
quali tempestive iniziative intenda predisporre, nell'ambito delle proprie competenze, per avviare un monitoraggio sull'attuazione della richiamata normativa e superare le criticità di cui in premessa, tutelando in tal modo i diritti e le legittime aspettative dei medici e soprattutto il diritto alla salute dei cittadini sancito dalla Costituzione.
(4-10144)

Risposta. - Con riferimento alla interrogazione parlamentare in esame, a carattere generale, si ritiene utile segnalare che, ai sensi dell'articolo 24, comma 3, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, l'attivazione dei corsi di formazione specifica in medicina generale a tempo parziale rientra nella potestà delle regioni e delle province autonome cui il legislatore ha attribuito

la competenza in materia di formazione specifica in medicina generale.
La materia è disciplinata dall'articolo 34 della direttiva 93/16/CEE, recepita dal citato decreto legislativo n. 368 del 1999, che ha previsto due modalità differenti di organizzazione dei corsi in questione: quella a tempo pieno e quella a tempo ridotto.
La possibilità per le regioni di organizzare corsi di formazione a tempo parziale trova, inoltre, conferma nell'articolo 36, comma 4, del decreto legislativo n. 206 del 2007, di recepimento della direttiva 2005/36/CE.
È bene precisare che la tipologia ordinaria del corso resta quella a tempo pieno (a questo proposito, si veda l'articolo 28 della direttiva 2005/36/CE, che recita «La formazione specifica in medicina generale avviene a tempo pieno sotto il controllo delle autorità od organi competenti ed è di natura più pratica che teorica»).
Ad ogni modo, laddove prevista dalle regioni, la formazione a tempo parziale deve, comunque, garantire le seguenti condizioni:
la durata complessiva della formazione non può essere abbreviata in ragione del fatto che è effettuata a tempo ridotto;
l'orario settimanale della formazione a tempo ridotto non può essere inferiore al dell'orario settimanale a tempo pieno;
la formazione a tempo ridotto deve comportare un certo numero di periodi di formazione a tempo pieno, sia per la parte dispensata in un centro ospedaliero, che per la parte dispensata presso un ambulatorio di medicina generale. Questi periodi di formazione a tempo pieno sono di numero e di durata tali da preparare in modo adeguato all'effettivo esercizio della medicina generale.

In base alle condizioni esposte, pertanto, non potrà essere legittimata una formazione a tempo parziale, che non preveda almeno alcuni periodi di attività a tempo pieno oppure che consenta, per tutto il periodo della formazione, l'attività lavorativa.
Le citate prescrizioni, indicate dal legislatore comunitario, sono ulteriormente ribadite nel decreto ministeriale 7 marzo 2006, nel quale è anche espresso il principio secondo il quale il livello della formazione a tempo parziale deve corrispondere qualitativamente a quello della formazione a tempo pieno.
Alla luce del dettato normativo, ciascuna regione ha facoltà, qualora lo ritenga opportuno, di prevedere un secondo modello organizzativo, da affiancare a quello ordinario articolato a tempo pieno, attivando tutti gli atti e le procedure connessi alla formazione e da questa discendenti, ivi compresa la predisposizione del piano di studi.
Tale ulteriore modello organizzativo dovrà, pertanto, essere disposto ex ante e non ex post, a fronte di richieste di singoli tirocinanti.
Da ciò deriva che l'attivazione da parte delle regioni di un corso a tempo parziale comporterà per il medico in formazione specifica un prolungamento della durata del corso stesso, pari quasi al doppio dell'originaria durata triennale, tenuto conto che la norma prevede espressamente che «la durata complessiva della formazione non può essere abbreviata» e che la formazione a tempo ridotto deve comportare un certo numero di periodi di formazione a tempo pieno, sia per la parte dispensata in un centro ospedaliero, che per la parte dispensata presso un ambulatorio di medicina generale.
Ovviamente, in caso di attivazione della formazione a tempo parziale, la borsa di studio sarà ridotta e proporzionata al numero di ore effettivamente svolte.
In tal modo, i singoli ratei della borsa di studio dei tirocinanti a tempo parziale saranno inferiori a quelli percepiti dai tirocinanti a tempo pieno, ma l'ammontare complessivo della borsa sarà identico per tutti i tirocinanti al termine di ciascuna tipologia di corso.
È opportuno far presente che queste indicazioni sono già state fornite a tutte le regioni che intendano attivare la tipologia di formazione specifica in medicina generale a tempo parziale.
Inoltre, presso questo Ministero è stato istituito ed è operante l'Osservatorio nazionale

sulla formazione specifica in medicina generale, con il compito, tra gli altri, di definire i modelli organizzativi condivisi ed omogenei dei corsi di formazione specifica in medicina generale.
L'Osservatorio effettua una accurata attività di supervisione dell'attuale scenario formativo regionale in medicina generale.
In merito alla mancata attivazione dei corsi di formazione specifica in medicina generale a tempo parziale da parte delle regioni, è opportuno precisare che l'attivazione comporta due ordini di problemi.
Il primo riguarda la durata dei corsi, in quanto un corso a tempo parziale ha una durata (sei anni) pari al doppio di quella a tempo pieno (tre anni).
Il secondo concerne la qualità della formazione del corso in medicina generale, la quale nei sei anni di studio risulta significativamente diluita, a discapito della necessaria integrazione tra attività teoriche e pratiche, mentre è favorita dal corso svolto a tempo pieno.
È ipotizzabile che per tali motivi le regioni non ricorrano all'organizzazione dei corsi a tempo parziale e, per le stesse ragioni, il Ministero della salute non li ha mai incoraggiati.
Anche l'avvio di uno specifico monitoraggio non appare necessario, in quanto nessuna regione ha organizzato un corso di formazione specifica in medicina generale a tempo parziale, ad eccezione della Campania, che lo ha attivato nel corrente anno accademico, ma a beneficio di un solo medico e dietro sua richiesta.
Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.

MASTROMAURO. - Al Ministro per le pari opportunità, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto emerge dalla classifica sul «Gender gap» del World Economic Forum, che misura il divario di genere in termini di opportunità, l'Italia è al 74° posto;
in Italia le stime, occupazionali per le donne sono molto basse: siamo 11 punti sotto la media europea con il 46 per cento di donne impiegate, mentre al sud si scende al 31 per cento, quindi 26 punti sotto la media europea, rappresentando un distacco sensibile da quel 60 per cento che dovremmo raggiungere entro il 2010 stabilito dall'agenda di Lisbona;
numerose proposte di legge e diversi atti normativi volti a favorire la parità d'ingresso nel mercato del lavoro, di trattamento economico e di un welfare moderno che permetta alle donne di conciliare maternità e lavoro, sono da tempo state presentate in Parlamento;
dalle ultime stime sembra che il Ministero delle pari opportunità abbia subito un taglio delle risorse che riduce i 30 milioni di euro del 2009 in 4 milioni di euro nel 2010;
ciononostante nel dicembre del 2009 il Ministro delle pari opportunità e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali hanno sottoscritto un patto strategico denominato Patto Italia 2020 finalizzato alla promozione delle pari opportunità nell'accesso al lavoro, prevedendo uno stanziamento di 40 milioni di euro suddivisi su cinque azioni non ancora erogati: 10 milioni tesi a favorire i nidi familiari; 4 milioni di euro per la creazione di albi per badanti e baby sitter italiane e straniere; 12 milioni per voucher destinati all'acquisto di servizi di cura in strutture come ludoteche e centri estivi; 6 milioni per sostenere le cooperative sociali; 4 milioni per percorsi formativi e di aggiornamento destinati a lavoratrici che vogliono reinserirsi nel mercato del lavoro e infine 4 milioni di euro per favorire forme di flessibilità -:
quali iniziative urgenti il Ministro delle pari opportunità intenda intraprendere per incentivare il lavoro femminile e per un welfare moderno per le donne, anche alla luce dei dati sconfortanti emersi dal World Economic Forum;
in che modo i Ministri interrogati intendano intervenire per far sì che il piano

strategico Italia 2020, come spiegato in premessa, possa essere attuato nonostante i pesanti tagli che il dipartimento delle pari opportunità ha subito in questo anno.
(4-09143)

Risposta. - Mi riferisco all' interrogazione in esame concernente le iniziative per incentivare il lavoro femminile.
In ordine a tali iniziative, vorrei in primo luogo far presente che, considerata la crescente attenzione verso le problematiche connesse all'occupazione femminile, nonché alle difficoltà che le donne incontrano nel conciliare la vita familiare con la vita professionale, ho ritenuto di fondamentale importanza la predisposizione di azioni concrete volte non solo a favorire un incremento diretto del tasso di occupazione femminile, ma anche la conciliazione.
In tale direzione si collocano il piano recante il «Sistema di interventi per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro» ed il «Programma di azioni per l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro» elaborato d'intesa con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
Il piano di interventi per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro ha investito 40 milioni di euro del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità in finanziamenti per le
tagesmutter, per il telelavoro, per la formazione volta a sostenere il rientro nel lavoro dopo un periodo di congedo per maternità.
In proposito segnalo che sono state sottoscritte le convenzioni con le regioni che, allo stato attuale, hanno presentato i programmi attuativi del citato accordo. Grazie a tali sottoscrizioni gli interventi previsti dai programmi attuativi regionali sono già partiti a livello territoriale.
Allo stesso modo, attraverso il «Programma di azioni per l'inclusione delle donne nel mercato del lavoro», si è inteso potenziare i servizi di assistenza per la prima infanzia e rivedere i criteri e le modalità per la concessione di contributi ad aziende per progetti che favoriscano la conciliazione, specie attraverso l'uso di modalità di lavoro flessibile, quali il part time o il lavoro a domicilio.
A questo proposito ricordo che il 7 marzo 2011 è stato siglato presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con l'accordo di tutte le parti sociali, un avviso comune sulle misure a sostegno delle politiche di conciliazione tra famiglia e lavoro, con l'obiettivo primario di sostenere l'occupazione femminile.
Ad ulteriore conferma dell'impegno profuso dal Governo per lo studio di soluzioni volte a incoraggiare l'utilizzo di forme di flessibilità lavorativa che garantirebbero un netto incremento dell'occupazione femminile segnalo la sottoscrizione, d'intesa con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e con il Sottosegretario per le politiche per la famiglia di una circolare, attualmente in attesa di registrazione presso la Corte dei conti, che fornisce alle amministrazioni i criteri da seguire nella valutazione delle domande di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale e nella rivalutazione dei part time già concessi, ponendo particolare attenzione nei confronti di quei lavoratori che godono di un diritto o di un titolo di precedenza nella trasformazione del rapporto di lavoro.
In merito al rilancio di misure volte a sostenere l'imprenditoria femminile, specie nelle regioni del mezzogiorno, vorrei segnalare le azioni positive poste in essere dall'ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali - dipartimento per le pari opportunità, dirette a promuovere lo sviluppo di microimprese e di imprese gestite da donne immigrate. E stato infatti predisposto dall'UNAR, nell'ottobre 2009, un avviso pubblico per la promozione dell'adozione di azioni positive dirette ad evitare o compensare situazioni di svantaggio connesse alla razza o all'origine etnica. Nell'ambito specifico dello sviluppo di microimprese e di imprese gestite da donne immigrate, si segnala che sono stati 8 i progetti finanziati, per un importo totale di 315.943 euro.
Sempre al fine di sostenere l'imprenditoria femminile, il 24 febbraio 2009, presso il dipartimento per le pari opportunità, si è insediato il comitato per l'imprenditoria femminile, da me presieduto e composto dalle rappresentanti di associazioni di categoria,

il cui compito è proprio quello di definire indirizzi di programma innovativi per lo sviluppo dell'imprenditoria femminile e di fornire un valido supporto alle donne imprenditrici.
Inoltre, il 17 maggio 2011 si è insediata la commissione per le pari opportunità tra uomo e donna - dipartimento per le pari opportunità, cui spetta; tra gli altri, il compito di fornire consulenza e supporto tecnico-scientifico nell'elaborazione e nell'attuazione delle politiche di genere sui provvedimenti di competenza dello Stato e di controllare sistematicamente gli sviluppi delle politiche delle pari opportunità tra uomini e donne in ambito sopranazionale e comunitario.
Assumono, altresì, rilevanza tra le misure volte ad incrementare l'occupazione femminile, le azioni positive di cui al «Regolamento recante criteri e modalità per la concessione dei contributi di cui all'articolo 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53 recante «Disposizioni per il sostegno della maternità e paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città»(Gazzetta Ufficiale 3 maggio 2011), che disciplina l'erogazione di contributi finanziari a favore dei datori lavoro privati esercenti o no attività d'impresa, iscritti in pubblici registri, le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere e le aziende ospedaliere universitarie, che si vincolino, mediante accordi contrattuali, all'adozione di azioni positive volte non solo a consentire alle lavoratrici e ai lavoratori con figli minori ovvero con a carico persone disabili o non auto sufficienti, di usufruire di particolari forme di flessibilità degli orari e dell'organizzazione del lavoro, ma anche al reinserimento lavorativo degli stessi.
Vorrei, infine, segnalare l'approvazione, il 7 luglio 2011 del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 70 del 2011 concernente «Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l'economia» all'interno del quale sono stati inseriti strumenti specifici ai fini della promozione della produttività e dell'occupazione, sia maschile che femminile, nelle regioni del mezzogiorno.
Il Ministro per le pari opportunità: Mara Carfagna.

MECACCI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
Ai Weiwei è un attivista per i diritti umani e un famoso artista cinese, il quale è stato fra l'altro architetto e consulente nella progettazione del National Stadium di Pechino per le Olimpiadi del 2008;
è un artista che ha sostenuto con le sue opere, in tutto il mondo, un'idea irrinunciabile di anticonformismo e libertà, diventando così un personaggio di rilievo e un importante punto di riferimento per tutta la cultura internazionale, non solo per quella cinese;
Ai Weiwei è stato arrestato all'aeroporto di Pechino il 3 aprile 2011 ed è attualmente detenuto in una località segreta;
secondo quanto riportato dall'agenzia stampa «Nuova Cina», e poi confermato dal portavoce del Ministero degli esteri cinese Hong Lei, Ai Weiwei sarebbe stato arrestato con l'accusa di «sospetti crimini economici»;
l'arresto di Ai Weiwei s'inserisce in un'ondata di repressione che ha colpito negli ultimi mesi il Paese; infatti, sono stati centinaia gli arresti e le detenzioni extra-giudiziali, tra cui quelle di alcuni degli avvocati più importanti di Pechino;
l'Associazione Pulitzer ha lanciato un appello per raccogliere 5.000 firme per Ai Weiwei e chiedere al Presidente della Repubblica italiana di intervenire sul governo di Pechino per la liberazione dell'artista;
tale appello è stato sottoscritto dai principali esponenti del mondo della cultura italiana tra cui Umberto Eco -:
se il Governo non intenda intervenire sia a livello bilaterale sia a livello multilaterale nei confronti del Governo cinese al fine di accertare quali siano i reali e concreti motivi che hanno condotto all'arresto di Ai Weiwei e che ne impediscono l'immediata

liberazione, e quali siano le condizioni fisiche e psicologiche dell'artista;
se il Governo non ritenga politicamente inopportuno procedere alla ratifica dell'accordo di coproduzione cinematografica firmato a Pechino il 4 dicembre 2004 tra l'Italia e la Repubblica popolare cinese, poiché i suoi contenuti non garantiscono la possibilità di tutelare la piena libertà di espressione agli artisti cinesi, i quali come nel caso sopramenzionato sono ancora oggetto di gravi forme di repressione.
(4-11983)

Risposta. - La vicenda dell'arresto per «reati di natura economica» del rinomato artista cinese Ai Weiwei il 3 aprile 2011, che aveva suscitato grande apprensione presso i Governi occidentali, ha avuto uno sviluppo positivo con il suo rilascio su cauzione il 22 giugno 2011. La liberazione di Ai Weiwei viene incontro agli auspici della Comunità internazionale. Il Ministero degli Affari esteri ha seguito con particolare attenzione la vicenda, contribuendo, nel concerto comunitario, a far concordare una risposta condivisa della Unione Europea al provvedimento detentivo deciso dalle Autorità cinesi.
Già il 12 aprile 2011 l'Alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, signora Catherine Ashton, aveva reso una dichiarazione con la quale si stigmatizzava il deterioramento della situazione dei diritti umani in Cina, citando segnatamente il caso di Ai Weiwei e richiedendo che venissero rilasciati coloro che erano stati incarcerati per aver esercitato la libertà d'espressione.

L'iniziativa della signora Ashton si inseriva in una strategia più ampia dell'Unione europea da tempo finalizzata a promuovere un miglioramento della tutela
dei diritti umani in Cina. Tale azione trova stimolo nel dialogo semestrale tra Unione europea e Cina sui diritti umani, che, nel corso dell'ultima sessione, tenutasi a Pechino il 16 giugno; aveva visto il caso di Ai Weiwei sollevato con la controparte cinese.
A complemento e sostegno dell'azione comunitaria, il Governo italiano è da tempo impegnato a promuovere un confronto diretto con Pechino in tema di diritti umani, nel quadro delle relazioni bilaterali. L'Italia porta avanti in Cina iniziative e collaborazioni che favoriscano il miglioramento delle condizioni legali e regolamentari a tutela delle libertà civili. Ciò, peraltro, nella consapevolezza che il processo necessita di un approccio di medio-lungo termine, che non esclude, tuttavia, una modulazione nel breve degli strumenti di pressione.
Quanto alla questione della ratifica dell'accordo di coproduzione cinematografica, firmato a Pechino nel dicembre 2004, il Governo ritiene che il testo contenga clausole di salvaguardia utili a sanzionare eventuali misure censorie, da parte delle Autorità cinesi, dell'implementazione di attività connesse ai contenuti dell'intesa.
Ad ulteriore garanzia, la proposta di legge di autorizzazione alla ratifica è stata approvata in prima lettura al Senato, con un ordine del giorno che impegna il Governo: ricorrere agli strumenti di natura diplomatica e giuridica, incluso l'avvio della procedura di denuncia di cui all'articolo 17 dell'accordo, qualora fossero riscontrati, nell'attuazione dello stesso da parte delle competenti autorità cinesi, comportamenti censori ovvero limitativi della libertà artistica o di espressione che siano in contrasto con la lettera e lo spirito dell'accordo.
Il testo dell'accordo è ora all'esame della Camera dei deputati, presso la quale è oggetto di un approfondimento.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Stefania Gabriella Anastasia Craxi.

MIGLIOLI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il 15 febbraio 2011 rispondendo ad una interrogazione del firmatario del presente atto n. 4-07511 del 9 giugno 2010 il Ministro così affermava: «con riferimento agli interventi di manutenzione da eseguire ai prospetti dell'ex Palazzo Ducale di Modena, sede dell'Accademia militare, si rappresenta che l'esigenza in parola è inserita nel programma triennale scorrevole

di ammodernamento e rinnovamento delle infrastrutture relativo agli esercizi finanziari 2010-2012. In particolare, è previsto che i lavori di «ristrutturazione edilizia delle coperture, intonaci di facciata ed elementi lapidei» vengano finanziati e quindi appaltati, presumibilmente nei primi mesi del 2011. Il competente organo tecnico militare di Bologna ha già provveduto ad acquisire relativa progettazione esecutiva propedeutica all'inserimento della gara d'appalto delle opere in questione. L'inizio dei lavori, compatibilmente con il regolare sviluppo dell'iter tecnico-amministrativo, potrà verosimilmente avvenire entro il primo semestre del prossimo anno»;
il Resto del Carlino, edizione di Modena del 29 luglio 2011, riporta che «dal tetto dell'Accademia sul lato del palazzo, si staccano dei coppi: non cadono, devono intervenire i Vigili del Fuoco per mettere in sicurezza l'area». Non è la prima volta che succede, anzi le transenne che corrono lungo l'edificio sono lì a ricordarlo;
i primi mesi dell'anno sono trascorsi, così come il primo semestre, e non risulta all'interrogante che gli impegni assunti dal Ministro abbiano ricevuto attuazione e così l'ex Palazzo Ducale di Modena, sede dell'Accademia militare, una delle scuole militare di eccellenza del nostro Paese continua a non ricevere interventi di manutenzione indispensabile -:
quali siano i motivi del mancato rispetto delle scadenze previste per l'indizione degli appalti e dunque quali iniziative il Ministro intenda intraprendere al fine di rispettare gli impegni assunti e finalmente affrontare l'emergenza dei lavori di manutenzione e sistemazione del Palazzo Ducale di Modena-Accademia militare.
(4-12955)

Risposta. - L'intervento infrastrutturale oggetto dell'atto di sindacato ispettivo in argomento riguarda la manutenzione ai prospetti del Palazzo Nazionale di Modena, sede dell'Accademia militare.
In particolare, esso si riferisce all'intervento - codice esigenza 051906 - concernente «lavori di adeguamento funzionale delle coperture intonaci di facciata ed elementi lapidei del Palazzo Nazionale», il cui importo a base di gara ammonta a euro 3.668.432,80 + IVA e risulta inserito nella programmazione triennale scorrevole relativa agli esercizi finanziari 2010-2012.
Il relativo progetto, è stato predisposto da progettista esterno all'Amministrazione militare, Unigruppo Studio società a responsabilità limitata di Carpi (Modena), ed è stato approvato dalla direzione generale dei lavori e del demanio della difesa, nel corso del mese di giugno 2011, dopo una revisione che ha comportato lo stralcio di alcune opere.
In data 18 agosto è stata indetta la gara per il 15 settembre 2011, prima seduta, e per il 26 settembre 2011 seconda seduta, presso la citata direzione generale.
Lo slittamento della gara è stato causato da motivi organizzativi interni e dall'esigenza di adeguare il bando di gara in relazione all'entrata in vigore del regolamento attuativo del codice dei contratti.

Tale slittamento, peraltro, ha consentito di utilizzare il criterio del prezzo più basso determinato mediante massimo ribasso, ai sensi dell'articolo 82 del decreto legislativo n. 163 del 2006 e successive modifiche ed integrazioni, con applicazione dell'esclusione automatica prevista dall'articolo 122 comma 9 (per effetto del decreto sviluppo convertito con legge n. 106 del 2011), che permetterà, in definitiva, di recuperare del tempo, in quanto non si procederà alla verifica della congruità.
Alla prima seduta di gara hanno partecipato 148 concorrenti di cui 4 sono stati esclusi dal prosieguo.
Di conseguenza, ferma restando la possibilità di proporre ricorso giurisdizionale da parte dei concorrenti esclusi, l'appalto sarà presumibilmente finalizzato entro il corrente anno.

In ragione di ciò, si dovrebbe procedere alla consegna dei lavori entro il primo semestre 2012, come già anticipato nella risposta alla interrogazione parlamentare citata dall'interrogante.
Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

MISIANI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il 30 gennaio 2010 presso gli ospedali riuniti di Bergamo durante le fasi del parto una bambina ha riportato la compromissione delle facoltà neurologiche;
secondo quanto i genitori della bambina hanno denunciato il 15 febbraio 2010 alla procura della Repubblica, i diverbi e gli errori compiuti dai medici in sala parto sarebbero stati determinanti per il drammatico esito del parto;
la direzione generale degli ospedali riuniti ha smentito fermamente che le condizioni della bambina siano imputabili a un contrasto fra gli operatori, ha avviato un'istruttoria interna e ha nominato una commissione d'inchiesta;
è necessario ed urgente fare la massima chiarezza sull'accaduto, nell'interesse dei familiari della bambina nonché degli utenti e degli operatori degli ospedali riuniti, istituzione di primaria valenza nazionale -:
quali iniziative intenda assumere al fine di verificare quanto si sia verificato in relazione al citato evento.
(4-08880)

Risposta. - In merito alla vicenda segnalata nell'interrogazione parlamentare in esame, la Prefettura-Ufficio territoriale del Governo di Bergamo ha comunicato che sull'episodio sono in corso accertamenti da parte dell'autorità giudiziaria (procedimento penale n. 1314/10-44 a carico di ignoti).
Dalla documentazione acquisita a cura della citata prefettura, risulta che l'azienda ospedaliera «Ospedali Riuniti» di Bergamo ha diramato un comunicato stampa in merito all'evento del 30 gennaio 2010, smentendo «che si sia mai verificato un litigio tra coloro che hanno assistito la paziente».
Il comunicato precisa che la paziente «è stata ricoverata nella serata del 28 gennaio 2010 e assistita correttamente per tutta la degenza. Le ecografie e i costanti monitoraggi dei parametri fetali hanno evidenziato una situazione regolare sia per il feto che per l'andamento del travaglio. Il monitoraggio, eseguito in continuo, alle ore 20 del 30 gennaio ha evidenziato sofferenza fetale e il medico di guardia ha deciso per un cesareo in emergenza».
Il direttore generale dell'azienda ospedaliera «Ospedali Riuniti» ha segnalato che: «Alla luce delle prime indagini svolte dalla direzione dell'azienda ed in base alle testimonianze raccolte da tutti gli interessati siamo stati in grado di smentire che l'evento, purtroppo realmente accaduto, fosse imputabile ad un diverbio tra medici avvenuto in sala operatoria».
Lo stesso direttore generale ha attivato una commissione di indagine interna, con il compito di «verificare la regolarità delle procedure organizzative poste in essere in tale occasione, escludendo qualsiasi verifica delle responsabilità personali in quanto di competenza della Procura della Repubblica».
In considerazione delle indagini giudiziarie attualmente in corso, questo Ministero ritiene, allo stato, di non dover avviare specifiche iniziative.
Il Ministero della salute ha predisposto le «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo», che sono state adottate con l'accordo Stato-regioni del 16 dicembre 2010.
Tale documento propone un programma nazionale, articolato in 10 linee di azione, da avviare congiuntamente a livello nazionale, regionale e locale, qui di seguito elencate:
1) Misure di politica sanitaria e di accreditamento;
2) Carta dei Servizi per il percorso nascita;
3) Integrazione territorio-ospedale;
4) Sviluppo di linee guida sulla gravidanza fisiologica e sul taglio cesareo da

parte del Sistema nazionale delle linee guida dell'Istituto superiore di sanità (SNLG-ISS);
5) Programma di implementazione delle linee guida;
6) Elaborazione, diffusione ed implementazione di raccomandazioni e strumenti per la sicurezza del percorso nascita;
7) Procedure di controllo del dolore nel corso del travaglio e del parto;
8) Formazione degli operatori;
9) Monitoraggio e verifica delle attività;
10) Istituzione di una funzione di coordinamento permanente per il percorso nascita.

Con riguardo, poi, al cennato Snlg-Iss, si specifica che questo è attivo presso l'Istituto superiore di sanità ed è, in parte finanziato dal Ministero della salute ed elabora raccomandazioni di comportamento, messe a punto mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni di esperti, che possono essere utilizzate come strumento per medici e amministratori sanitari per migliorare la qualità dell'assistenza e razionalizzare l'utilizzo delle risorse.
In tale ambito, sono state predisposte ed adottate linee guida riferite al taglio cesareo visto anche come scelta consapevole, ed in questi giorni sono in corso di pubblicazione le linee guida riferite all'assistenza alla gravidanza fisiologica.
Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.

MOGHERINI REBESANI, RUGGHIA, GAROFANI, VILLECCO CALIPARI, RECCHIA, ROSATO, LAGANÀ FORTUGNO, LA FORGIA, RIGONI, GIANNI FARINA e VICO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
in data 3 febbraio 2009 lo Stato Maggiore dell'Esercito diramava una circolare con la quale comunicava a tutti gli enti subordinati che, a causa delle scarse risorse a disposizione e non sussistendo particolari preclusioni giuridiche all'impiego del personale volontario in incarichi di natura logistica, sarebbe stato possibile destinare il detto personale ad attività quali il confezionamento di viveri, la guardiania, la manovalanza, le pulizie;
destinatari della suddetta circolare sono i militari del ruolo «truppa» che, a differenza di quanto avveniva negli anni in cui era in vigore il servizio di leva, oggi sono legati all'amministrazione da un rapporto di impiego di natura professionale in base al quale vengono impiegati sia nel territorio nazionale che all'estero;
la mancanza di risorse per lo svolgimento di attività esecutive di alcuni particolari servizi di caserma, normalmente affidati a ditte esterne, è da ricondurre ai tagli lineari imposti al bilancio del Ministero della difesa dalla politica finanziaria del Governo;
ciò comporta effetti negativi da due punti di vista: la riduzione delle ore di lavoro affidato alle ditte esterne con conseguenze economiche gravissime per il personale delle stesse ditte ed il ricorso ai soldati volontari per garantire i servizi minimi essenziali anche a scapito dell'attività addestrativa e di formazione -:
se non ritenga opportuno, a fronte della situazione venuta a determinarsi con la drastica riduzione delle risorse per l'esercizio, assumere iniziative volte a sospendere l'esperimento della «mini-naia», al fine di recuperare risorse da destinare ai servizi sopra descritti.
(4-12266)

Risposta. - La questione dell'impiego del personale volontario anche in attività di natura non operativa si deve inserire nel più ampio quadro concernente le esigenze di contenimento della spesa pubblica imposte dall'attuale complessa congiuntura economica, che ha implicato, negli ultimi anni, anche la diminuzione dei fondi allocati al bilancio della difesa.
Al riguardo, l'azione del Ministero mira ad un complesso di iniziative volte a dare una risposta efficace alle complesse problematiche delle Forze armate, individuando priorità, come doverosa e indispensabile

scelta di indirizzo politico, senza peraltro trascurare alcuno degli aspetti fondamentali.
In tale quadro, la predetta riduzione dei fondi ha conseguentemente diminuito drasticamente la possibilità di ricorrere all'esternalizzazione dei servizi (cosiddetti
outsourcing), rendendo talvolta inevitabile l'impiego del personale volontario in attività di natura non operativa, al fine di garantire allo stesso personale le condizioni minime di igiene e sicurezza sanitaria.
Peraltro, la Direttiva «linee di indirizzo e criteri per l'impiego delle risorse finanziarie - settore dell'esercizio - esercizio finanziario 2011» emanata dallo Stato maggiore della difesa, prevede che la pulizia degli alloggi truppa sia a cura degli utenti, considerato che per il settore delle pulizie bisogna prevedere una riduzione delle spese di almeno il 30 per cento rispetto al 2010.
Il vigente ordinamento giuridico, comunque, non impedisce, pur se entro certi limiti, l'impiego del personale in questione in attività non operative.
Infatti, dall'analisi del codice dell'ordinamento militare (decreto legislativo n. 66 del 2010) si evince chiaramente come, a fronte dell'introduzione della categoria dei graduati (articolo 627), nulla è mutato con riferimento ai compiti del personale militare cui, a partire dal ruolo sergenti sino a quello dei volontari in ferma (articoli 840, 841 e 842), sono attribuite mansioni esecutive, che si traducono non solo nello svolgimento di compiti operativi e addestrativi, ma anche di quelli a carattere logistico-amministrativo e tecnico-manuale.
Inoltre, l'articolo 843 del codice fa salva comunque la prerogativa del Capo di stato maggiore di Forza armata di determinare gli incarichi del personale militare (sottufficiali, graduati e truppa) in relazione alle esigenze di servizio, come è avvenuto nel caso della citata direttiva emanata dallo Stato maggiore dell'Esercito.
Su questo argomento concludo ribadendo che l'amministrazione, a fronte della riduzione delle risorse correlata alle esigenze di contenimento della spesa pubblica, ha messo in atto tutte le possibili misure tese a preservare la piena efficienza operativa dello strumento militare, adottando soluzioni che consentono, pur in un ottica riduttiva, di salvaguardare i settori vitali delle Forze armate.
Per quanto riguarda, infine, la mini naja, desidero, ancora una volta, ribadire le ragioni alla base di tale iniziativa e, quindi, l'importanza che, a mio parere, essa riveste.
Fin dall'inizio del mio mandato di Ministro della difesa ho pensato ad un'iniziativa che, a fronte della sospensione del servizio di leva, offrisse ai giovani l'opportunità di vivere, per un breve periodo, un'esperienza di vita militare e di avvicinarsi a quei valori che tradizionalmente promanano dalle Forze armate, quali la disciplina, lo spirito di corpo, l'educazione al rispetto dei principi etici, l'osservanza delle regole e l'amor di patria.
I corsi a carattere teorico-pratico denominati «Vivi le Forze armate. Militare per tre settimane», avviati in attuazione dell'articolo 55, comma 5-
bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 («Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica»), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, vanno proprio in questa direzione.
Infatti, i giovani partecipanti, grazie a questa breve esperienza nei reparti/enti delle Forze armate, possono prendere coscienza, in modo diretto e concreto, dei valori non solo professionali, ma anche etici e morali, che caratterizzano la professione militare e che consentono agli appartenenti alle Forze armate di affrontare, con piena consapevolezza dell'importanza del proprio ruolo, i molteplici e variegati impegni, e i rischi correlati all'assolvimento dei compiti istituzionali, con particolare riferimento all'attuale partecipazione alle missioni internazionali.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

LAURA MOLTENI. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per le pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
ai nostri giorni i mezzi di comunicazione, includendo la stampa, la televisione e internet, ricoprono un importante

ruolo non solo informativo ma anche formativo e di conseguenza la pubblicità, nella sua realtà virtuale e mediatica, veicola messaggi e modelli di grande rilevanza sociale;
l'abuso dei messaggi pubblicitari può provocare rischi, sui soggetti più vulnerabili, quali l'effetto omologante nei modelli di identificazione, la globalizzazione culturale, la spinta all'emulazione, l'inibizione della scelta critica e dello sviluppo creativo;
il parlamento europeo, approvando il mese scorso a larga maggioranza la relazione di Eva-Britt SVENSSON (GUE/NGL, SE), ha sottolineato anzitutto l'importanza di dare alle donne e agli uomini «le stesse possibilità di svilupparsi come individui a prescindere dal sesso di appartenenza», osservando che gli stereotipi di genere esistono ancora «in ampia misura»;
in quella sede, il parlamento europeo ha rilevato come la discriminazione di genere nei media sia tuttora diffusa, considerando come parti di tale fenomeno la pubblicità e i media che presentano stereotipi e auspicando che la pubblicità sia disciplinata da norme etiche e/o giuridiche vincolanti e/o dai codici condotta esistenti che proibiscono la pubblicità che trasmette messaggi discriminatori o degradanti basati sugli stereotipi di genere;
il parlamento europeo ha osservato peraltro che la rappresentazione dell'ideale corporeo nella pubblicità e nel marketing «può influire negativamente sull'autostima delle donne e degli uomini», in particolare delle adolescenti e di quante sono esposte al rischio di disordini alimentari;
secondo un comunicato stampa del 3 settembre 2008, del parlamento europeo, la presenza di stereotipi negli spot pubblicitari trasmessi durante i programmi per bambini "costituisce un vero problema a causa delle sue potenziali ripercussioni sulla socializzazione di genere e, di conseguenza, sul modo in cui i bambini vedono se stessi, i propri familiari e il mondo esterno»;
l'autodisciplina pubblicitaria in Italia, integrandosi con la disciplina che regola la stessa materia nell'ordinamento statale, garantisce una regolamentazione nell'interesse collettivo dei consumatori, degli operatori e della stessa pubblicità;
all'articolo 9 del codice di autodisciplina pubblicitaria del 2007, si legge che la pubblicità non deve contenere affermazioni o rappresentazioni di violenza fisica o morale o tali che, secondo il gusto e la sensibilità dei consumatori, debbano ritenersi indecenti, volgari o ripugnanti;
l'articolo 10 dello stesso codice recita che la pubblicità deve rispettare la dignità della persona umana in tutte le sue forme ed espressioni;
il parlamento europeo ha espresso la convinzione secondo cui la pubblicità deve tenere nella giusta considerazione la dignità della persona e ha definito intollerabile la violazione di tale dignità e la discriminazione di un sesso per incrementare le vendite di un prodotto;
la risoluzione A4-0258/1997 del parlamento europeo invita il settore della pubblicità a rinunciare in concreto e interamente a sminuire la donna ad oggetto sessuale dell'uomo attraverso espedienti tecnici e raffigurazioni immaginistiche come ridurre il ruolo femminile alla bellezza fisica e alla disponibilità sessuale;
la medesima risoluzione ha sottolineato che lo sfruttamento ingiustificato del corpo femminile a fini commerciali può offendere in modo particolarmente grave la dignità della donna;
nonostante il codice di autodisciplina pubblicitaria e le denunce da parte del parlamento europeo, in Italia sono migliaia le pubblicità poco rispettose della dignità delle donne, che ne ritagliano parti del corpo, ne ritoccano i contorni con sofisticate tecnologie digitali, ne eliminano le

imperfezioni e ne risaltano la seduttività per incentivare l'acquisto di un prodotto;
in occasione della V Conferenza mondiale dell'Onu sulle donne del 2005, il Comitato per l'eliminazione della discriminazione contro le donne ha espresso forti preoccupazioni per la condizione delle donne italiane che vengono percepite come madri e come oggetti sessuali soprattutto attraverso i messaggi veicolati dalla pubblicità e dalla televisione -:
se il Ministro dello sviluppo economico non ritenga opportuno invitare gli operatori del settore delle comunicazioni ad intraprendere i lavori per la stesura di un codice di autoregolamentazione per la tutela della donna nella pubblicità, riconoscendo il principio della necessità e convenienza del rispetto e dell'applicazione di alcune regole da parte dell'intera categoria, al fine di combattere il problema degli stereotipi di genere, denunciato sia dal parlamento europeo che dalla conferenza mondiale delle donne dell'Onu;
se non ritenga opportuno varare nuove norme sulla pubblicità, per limitare lo sfruttamento ingiustificato del corpo femminile a fini commerciali e per favorire la produzione e la messa in onda di fiction, film e programmi contenenti modelli comportamentali aderenti alla realtà che viviamo, per dare un'immagine positiva delle donne, degli uomini e del rapporto fra i due sessi, evitando di ridurre il ruolo femminile alla bellezza fisica e alla disponibilità sessuale.
(4-02734)

Risposta. - Mi riferisco all'interrogazione in esame concernente la tutela della donna nella pubblicità.
In proposto vorrei segnalare, in primo luogo, che fin dall'inizio del mio mandato ho fortemente voluto che i miei uffici si impegnassero nello studio di azioni positive finalizzate ad un corretto utilizzo dell'immagine femminile nei
media, ed in particolare, nella pubblicità che spesso propone dei modelli femminili che non corrispondono alla realtà.
La tutela dell'immagine della donna nei
media, come peraltro sottolineato dall'interrogante, rappresenta un tema all'attenzione dell'Unione europea. Basta citare, a questo proposito, la comunicazione adottata il 1o marzo del 2006 dalla Commissione europea, dal titolo «Una tabella di marcia per la parità tra uomini e donne», che ha inteso attribuire ai mezzi di comunicazione un ruolo importante nella lotta contro gli stereotipi di genere e la Risoluzione del Parlamento europeo del 2008 concernente l'impatto del marketing e della pubblicità sulla parità tra donne e uomini, con la quale è stato richiesto agli Stati membri di intensificare gli sforzi affinché la pubblicità sia tesa alla valorizzazione della figura femminile e del ruolo della donna nella società, invitandoli a provvedere con idonei mezzi affinché il marketing e la pubblicità garantiscano il rispetto della dignità umana e dell'integrità della persona, non diano luogo a discriminazioni dirette o indirette e non contengano elementi che, valutati nel loro contesto, approvino, esaltino o inducano alla violenza contro le donne.
Proprio aderendo alle linee tracciate dall'Unione europea ho inteso siglare il 26 gennaio scorso un protocollo d'intesa con l'Istituto di autodisciplina pubblicitaria.
Il protocollo è finalizzato a rendere più efficace la collaborazione nel controllo e nel ritiro di pubblicità, per la carta stampata o per la televisione, che sviliscano l'immagine della donna con raffigurazioni o scene offensive e volgari, o che siano apertamente sessiste.
In particolare, attraverso la stipula del citato protocollo, le parti contraenti si sono impegnate a:
collaborare per fare in modo che gli operatori di pubblicità ed i loro utenti adottino modelli di comunicazione commerciale che non contengano immagini o rappresentazioni di violenza contro le donne o che incitino ad atti di violenza sulle donne; tutelino la dignità della donna, rispettino il principio di pari opportunità e diffondano valori positivi sulla figura femminile; siano attenti alla rappresentazione dei generi, rispettosi delle identità di donne e uomini, coerenti con l'evoluzione dei ruoli nella società; evitino il ricorso a stereotipi di genere;

favorire e rafforzare ulteriormente l'applicazione del divieto di utilizzare l'immagine della donna in modo offensivo o discriminatorio o tale da incitare la violenza sulle donne;
accelerare il procedimento di ingiunzione di desistenza nei casi di maggiore gravità.

Attraverso tale protocollo i miei uffici potranno chiedere il ritiro di una pubblicità in tempo reale, comunque entro 48 ore, completamente a costo zero, riuscendo a monitorare la comunicazione pubblicitaria nella sua quasi totale interezza, dal momento che l'istituto per l'autodisciplina pubblicitaria rappresenta diciotto sigle del mondo pubblicitario, oltre il 90 per cento del mercato e già lavora da decenni su questo fronte.
In particolare evidenzio che, anche su segnalazione degli uffici del mio Ministero, sono state bloccate già molte pubblicità.
Proprio in attuazione del citato protocollo, sono state bloccate due campagne pubblicitarie in quanto ritenute in contrasto con gli articoli 1 («Lealtà della comunicazione commerciale») e 2 («Convinzioni morali, civili, religiose e dignità della persona») del Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale.
Si tratta dei primi casi affrontati e risolti dopo la sigla dell'accordo, a dimostrazione che è possibile intervenire in maniera tempestiva ed efficace a tutela dell'immagine della donna e di coloro, in particolar modo dei minori, che si imbattono in messaggi troppo allusivi e potrebbero rimanerne turbati.
In attuazione del citato protocollo, nonché per il monitoraggio, il sostegno e la promozione delle attività in esso previste, le parti si sono impegnate a costituire un comitato paritetico cui spetterà il compito di verificare il buon andamento degli impegni assunti, utilizzando, come dati, anche il numero di denunce trasmesse dal dipartimento per le pari opportunità ed il numero delle ingiunzioni di desistenza e di altri provvedimenti sanzionatori emessi ai sensi dell'articolo 39 del Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale. Il decreto istitutivo del suddetto comitato, firmato il 4 maggio 2011, è stato registrato presso i competenti organi di controllo il 23 giugno 2011.
Segnalo altresì che, a seguito dell'approvazione il 15 marzo 2011 presso il Senato della Repubblica di un ordine del giorno concernente l'argomento di cui trattasi, è in fase di costituzione un tavolo tecnico composto da rappresentanti del mio Dicastero e del Ministero dello sviluppo economico, che avrà il compito di elaborare una proposta di «codice di autoregolamentazione» che fornisca, nel rispetto delle norme e dell'indipendenza dell'informazione, linee guida al sistema radiotelevisivo, della carta stampata e della pubblicità affinché perseguano, anche nelle forme di linguaggio, il massimo rispetto della rappresentazione della figura femminile.
Infine, vorrei ricordare che attraverso il nuovo contratto di servizio RAI 2010-2012, approvato con decreto ministeriale del 27 aprile 2011, la Rai si è impegnata a promuovere seminari interni al fine di evitare una distorta rappresentazione della figura femminile (articolo 2, comma 3, lettera
b)); ad operare, attraverso un'apposita commissione paritetica (articolo 29), un monitoraggio, con produzione di idonea reportistica annuale, che consenta di verificare il rispetto circa le pari opportunità nonché la corretta rappresentazione della dignità della persona nella programmazione complessiva, con particolare riferimento alla distorta rappresentazione della figura femminile e di promuoverne un'immagine reale e non stereotipata (articolo 2, comma 7); ad assicurare una più moderna rappresentazione della donna nella società, valorizzandone il ruolo (articolo 3, comma 1, lettera d)) e, per quanto concerne la programmazione dedicata ai minori, a promuovere modelli di riferimento, femminile e maschili, egualitari e non stereotipati (articolo 12, comma 4, lettera c)).
Il Ministro per le pari opportunità: Mara Carfagna.

MOSCA e FARINONE. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
la società Carlo Colombo fondata nel 1947, dal 1963 ha sviluppato la propria attività nella lavorazione dei semilavorati di rame sull'area di 55.000 metri quadrati dello stabilimento di Agrate Brianza;
nello stabilimento erano presenti le più moderne macchine per la lavorazione di conduttori di rame nudi e stagnati per una capacità complessiva di circa 80.000 tonnellate per anno;
la produzione della Carlo Colombo SPA, realizzata a partire dalla vergella di rame ETP1 o lega Cu-Ag proveniente principalmente dalle colate del gruppo, è commercializzata sia sul mercato nazionale che in Europa e nel resto del mondo, proponendo un elevato livello qualitativo e di riconosciuta affidabile in conformità alle norme internazionali;
la Colombo Spa ha concluso importanti investimenti che si sono particolarmente concretati sulla gamma produttiva delle barre in rame con sezioni tonde e piatte;
nel maggio del 2008, la Colombo SPA ha comunicato l'intenzione di avviare una nuova programmazione per il rilancio del sito stesso, che comprendeva una riduzione del personale (30 fra operai ed impiegati) posti in mobilità;
nel mese di giugno 2008 un repentino quanto inspiegabile cambio di strategia aziendale ha portato all'annuncio della chiusura del sito;
la direzione avrebbe motivato la scelta con la volontà di perseguire un incremento di redditività potenziando le sedi di Pizzighettone (Cremona) e Pisa;
il 1° ottobre 2008 viene siglato un accordo con le parti sociali, che sancisce la chiusura dello storico stabilimento di Agrate Brianza e che comprende il ricorso alla Cassa integrazione guadagni straordinaria a decorrere dal 1° gennaio 2009 e fino al 31 dicembre 2009 per un massimo di 81 lavoratori;
l'accordo prevede la disponibilità dell'azienda ad effettuare l'ulteriore anno di Cassa integrazione guadagni straordinari dal gennaio al 31 dicembre 2010 per il residuo numero di lavoratori in forza al 31 dicembre 2009;
contestualmente all'intervento di Cassa integrazione guadagni straordinari l'accordo sancisce che la Carlo Colombo attivi la procedura di mobilità per gli 81 lavoratori fino a tutto il 31 dicembre 2009 e nel caso di concessione della Cassa integrazione guadagni straordinari per il 2010 fino a tutto il 31 dicembre 2010;
viene altresì siglato il piano di gestione degli esuberi che prevede per il 2009 la ricollocazione presso lo stabilimento di Pizzighettone di circa 7 lavoratori, la ricollocazione di 20 lavoratori presso altre imprese del territorio e l'accesso al trattamento pensionistico di 5 dipendenti e per l'anno 2010 l'accesso al trattamento pensionistico di 5 lavoratori, la ricollocazione per 18 e le dimissioni incentivate per 26 dipendenti;
l'accordo è stato ratificato dal Ministero dello sviluppo economico nel mese di gennaio 2009;
dall'autunno 2009 i lavoratori e le organizzazioni sindacali hanno chiesto verifiche nelle sedi preposte in merito all'attuazione dell'accordo, tali richieste non hanno avuto esito positivo, da qui le proteste culminate il 16 giugno nell'occupazione della fabbrica ed otto operai sono saliti sul tetto per chiedere il rispetto degli impegni che la proprietà si era assunta siglando l'accordo;
detti operai minacciarono di voler intraprendere un'iniziativa di sciopero della fame a tempo indeterminato in quanto, a seguito dell'ulteriore incontro del tavolo di trattativa svoltosi in data 21 giugno 2010 presso la provincia di Monza e Brianza, la direzione della Carlo Colombo non avrebbe dato risposte concrete

in merito a quanto sottoscritto nel mese di ottobre del 2008;
il 6 luglio 2010, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, alla presenza dei rappresentanti della Carlo Colombo SPA, FIOM CGIL, RSU dello stabilimento di Agrate Brianza, Confindustria Monza e Brianza, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, regione Lombardia, provincia di Monza e Brianza, prefettura di Milano, venne raggiunta un'intesa di responsabilizzazione e collaborazione e a dare avvio al «Piano di collocazione e di incentivazione alla formazione e all'esodo» attraverso una pluralità di azioni, tra le quali:
la Carlo Colombo SPA si impegnava all'attuazione degli accordi già precedentemente stabiliti e si rendeva disponibile a favorire dimissioni incentivate; ad agevolare il pensionamento dei lavoratori prossimi al raggiungimento dei relativi requisiti; la previsione di un supporto economico messo a disposizione dalla Carlo Colombo SPA di ogni lavoratore del sito Agrate Brianza che si dichiari interessato e disponibile al processo di ricollocazione;
una collaborazione con la regione Lombardia e la provincia di Monza e Brianza; la previsione di una dote incentivante alla ricollocazione, alla formazione e all'esodo in favore di ogni lavoratore che venga coinvolto fattivamente nel processo di ricollocazione;
la provincia di Monza e Brianza si è impegnata a rendersi parte attiva del programma attraverso la predisposizione dei percorsi di politica attiva del lavoro;
la regione Lombardia si è impegnata a convocare le parti prima della scadenza della Cassa integrazione guadagni straordinari, prevista per il 31 dicembre 2010 per una verifica dell'andamento della stessa e ha dichiarato la propria disponibilità ad attivare ammortizzatori in deroga qualora residuassero eccedenze occupazionali;

a distanza di 10 mesi dal raggiungimento dell'intesa sul «Piano di collocazione e di incentivazione alla formazione e all'esodo», gran parte degli impegni non risultano evasi e rimane incerto l'avvio e il proseguimento del piano di ricollocazione del personale interessato dello stabilimento di Agrate Brianza: alla data dell'accordo i dipendenti erano 59, mentre oggi i lavoratori in cassa in deroga sono 47, che attualmente arriva fino al mese di agosto e solo successivamente si può prolungarla fino alla fine del 2011, 9 hanno dato le dimissioni, 3 raggiungeranno il requisito alla pensione, e i dipendenti che hanno trovato altro impiego a tempo determinato o indeterminato presso altre aziende non hanno tuttavia ricevuto alcun contributo alla ricollocazione -:
quali azioni il ministero del lavoro e delle politiche sociali intenda mettere in atto con la collaborazione della regione Lombardia della provincia di Monza e Brianza, e della Carlo Colombo SPA per dare seguito al «Piano di collocazione e di incentivazione alla formazione e all'esodo».
(4-11824)

Risposta. - In merito alla situazione di criticità relativa alla Carlo Colombo spa evidenziata nella presente interrogazione si rappresenta quanto segue.
La società, che opera nel settore produttivo della metallurgia e, in particolare, dei manufatti di rame, dispone di vari stabilimenti in Lombardia, ad Agrate Brianza (Monza e Brianza) e Pizzighettone (Cremona), e in Toscana, a Pisa.
La crisi che ha investito la Carlo Colombo spa trae origine dalla decisione aziendale di cessare l'attività del sito produttivo di Agrate Brianza - che produce trafilati di rame e piatti di rame - nel corso del primo semestre 2009, con conseguente riduzione del personale ivi occupato pari a 81 unità lavorative.
Le organizzazioni sindacali e le rappresentanze sindacali unitarie hanno subito richiesto il ricorso agli strumenti di integrazione salariale, per cui si è proceduto a sottoscrivere, in data 1o ottobre 2008, il verbale di accordo che prevedeva il ricorso

alla cassa integrazione guadagni straordinaria per crisi aziendale nei casi di cessazione dell'attività per lo stabilimento di Agrate Brianza a decorrere dal 1o gennaio 2009 e fino al 31 dicembre 2009 con la possibilità di proroga dell'istituto fino al 31 dicembre 2010.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha autorizzato la corresponsione del trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria per crisi aziendale in favore dei dipendenti del sito di Agrate Brianza, per un massimo di 78 unità lavorative, relativamente al periodo dal 1o gennaio al 31 dicembre 2009 e, successivamente ne ha concesso la proroga per il periodo dal 1o gennaio al 31 dicembre 2010, per un massimo di 67 unità lavorative.
Contestualmente all'intervento della Cigs, la società ha attivato la procedura di mobilità ai sensi della legge n. 223 del 1991, prevedendo un incentivo all'esodo, per i lavoratori interessati a tale istituto, per tutto il 2009 pari a 34.500,00 euro, e a 42.500,00 euro per i lavoratori dimessi ovvero collocati in mobilità nell'anno 2010.
I rapporti fra la direzione aziendale e le maestranze si sono deteriorati soprattutto per la mancata attivazione delle azioni di ricollocazione previste nell'accordo, con la conseguente adozione di una forma estrema di protesta da parte di alcuni dipendenti che, come anche ampiamente riportato dagli organi di stampa, nel corso del mese di giugno 2010 hanno stazionato ininterrottamente sul tetto dello stabilimento brianzolo per diversi giorni.
Dopo la ripresa delle trattative, con il contributo delle istituzioni locali, la situazione si è sbloccata allorquando le parti sociali hanno sottoscritto in data 7 luglio 2010, un nuovo verbale di accordo sulla gestione degli esuberi e la ricollocazione dei lavoratori interessati dall'intervento della Cigs.
L'accordo interessava complessivamente n. 59 unità lavorative occupate nello stabilimento di Agrate Brianza ed è stato siglato presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
La direzione aziendale, sotto questo profilo, ha sottolineato ai funzionari ispettivi di aver integralmente adempiuto agli impegni assunti a favore delle maestranze nel verbale di accordo, sostenendo, a tal fine, degli oneri finanziari piuttosto rilevanti.
Nel dettaglio, sono stati erogati 1.500,00 euro lordi a titolo di dote per la ricollocazione, la formazione e l'esodo, ai 52 lavoratori che hanno sottoscritto, conformemente alle previsioni dell'accordo, un piano individuale per la ricollocazione, impegnandosi in un percorso formativo curato dalla Afol (Agenzia per la formazione e lavoro nell'ambito della provincia di Monza e Brianza).
Lo stesso importo è stato erogato dalla azienda anche ai 6 lavoratori che hanno cessato il rapporto di lavoro entro il 31 dicembre 2010. Agli stessi, inoltre, sono stati erogati 14.000,00 euro lordi a titolo di incentivo all'esodo e i 42.500,00 euro già previsti nell'accordo del 2008.
A decorrere dal 1o gennaio 2011 le parti sociali, sempre in conformità alle previsioni dell'accordo del luglio 2010, hanno avanzato richiesta di Cassa integrazione guadagni in deroga alla regione Lombardia. Fino al 31 marzo 2011 la Cig in deroga ha riguardato 53 lavoratori, mentre per il periodo 1o aprile 2011-31 agosto 2011 la regione Lombardia ha autorizzato la Cig in deroga per intervento di tipo B (integrazione salariale per cessazione dell'attività di impresa) per 52 lavoratori, per un totale di 45.344 ore. Alla regione Lombardia non risulta essere stata inoltrata alcuna domanda di proroga per il periodo a partire dal 1o settembre 2011.
L'integrazione salariale è stata concessa con decreto della direzione generale formazione e lavoro della regione Lombardia n. 2475 del 21 marzo 2011 con la previsione del pagamento diretto da parte dell'Istituto previdenziale della relativa indennità. Tuttavia, il 9 febbraio 2011 e, successivamente, il 14 aprile 2011, la direzione aziendale e le Rsu hanno sottoscritto degli accordi che prevedono, a favore dei lavoratori interessati, fino all'erogazione della prima mensilità di integrazione, l'anticipo, da parte della Società, di una parte dell'importo degli 8.000,00 euro previsti nell'accordo di luglio 2010 nell'ambito della

collocazione in mobilità ovvero alla cessazione del rapporto di lavoro.
Inoltre, i responsabili aziendali, hanno evidenziato che, sempre in virtù dell'accordo di luglio 2010, per i lavoratori in servizio alla data del 1o gennaio 2011, la Carlo Colombo spa sta progressivamente erogando 13.600,00 euro per ogni singolo lavoratore, di cui 700,00 euro mensili (dal mese di gennaio ad agosto 2011 per un importo di 5.600,00 euro) a titolo di incentivo per la frequenza a corsi di riqualificazione e altri 8.000,00 euro da conferire al momento dell'accesso alla mobilità ovvero all'atto della cessazione del rapporto, come è avvenuto per n. 7 lavoratori che hanno risolto il rapporto di lavoro nel corso dell'anno 2011.
Da tali incentivi sono esclusi i soggetti che stanno per raggiungere i requisiti pensionistici, per i quali sono previste altre forme di tutela economica a titolo di incentivo all'esodo, anche con delle integrazioni mirate da parte dell'Azienda.
Alla data del 1o luglio 2011, rispetto ai 59 lavoratori interessati all'accordo del 7 luglio 2010, vi sono state complessivamente n. 13 unità (6 nell'anno 2010 e 7 nel 2011) che hanno successivamente risolto il rapporto di lavoro, avendo trovato una nuova occupazione.
Pertanto, la situazione dell'organico aziendale alla data odierna, relativamente allo stabilimento di Agrate Brianza, sotto il profilo occupazionale, prevede 46 lavoratori ancora in servizio, di cui:
1 lavoratore assunto a tempo indeterminato;
1 lavoratore ha avviato un percorso di auto imprenditorialità;
14 sono in aspettativa, in quanto sono stati assunti con contratto a termine da altra società;
5 raggiungeranno i requisiti pensionistici durante il periodo di mobilità;
4 raggiungeranno i requisiti pensionistici subito dopo il periodo di mobilità;
2 lavoratori sono seguiti attraverso il piano Lavoro, integrazione, formazione, territorio 2011, piano provinciale per l'occupazione dei disabili;
i restanti lavoratori beneficiano della Cassa integrazione in deroga.

Per completezza si segnala che in data 20 aprile 2010, la società Carlo Colombo spa con sede in Milano (Milano) ha presentato istanza per la concessione del trattamento d'integrazione salariale a seguito di stipula di un contratto di solidarietà ai sensi dell'articolo 1 legge n. 863 del 1984 per l'unità produttiva di Pisa per il periodo 1o aprile 2010-31 marzo 2011, con durata complessiva del programma pari a 24 mesi dal 1o aprile 2010 al 31 marzo 2011.
Per lo stabilimento produttivo di Pisa è stato altresì autorizzato, con decreto n. 59201 del 6 maggio 2011, il trattamento di integrazione salariale a seguito di stipula di un contratto di solidarietà ai sensi dell'articolo 1 legge n. 863 del 1984, per il periodo decorrente dal 1o aprile 2011 al 31 febbraio 2012 per un numero massimo di 58 lavoratori su di un organico pari a 286 lavoratori.
Si rappresenta, infine, che la provincia di Monza e della Brianza ha presentato alla regione Lombardia un progetto destinato ai lavoratori della Carlo Colombo spa per la ricollocazione/riqualificazione dei lavoratori che hanno aderito al percorso (i servizi al lavoro e alla formazione previsti sono: bilancio di competenze,
coaching, scouting aziendale, autoimprenditorialità, formazione on the job e finanziamento alle aziende che assumono), che la regione Lombardia ha finanziato con 234.300,00 euro. Il progetto si concluderà il 31 dicembre 2011.
Alla data del 30 luglio 2011 lo stato di avanzamento del progetto provinciale finanziato dalla regione Lombardia - sulla base dell'attività di monitoraggio rilevata dall'Agenzia regionale per l'istruzione, la formazione e il lavoro e della provincia di Monza e Brianza - risulta essere il seguente:
n. 45 doti assegnate per la ricollocazione e la riqualificazione dei lavoratori che hanno accesso agli ammortizzatori sociali in deroga;

n. 45 piani di intervento personalizzati sottoscritti;
n. 1 lavoratore assunto a tempo indeterminato;
n. 1 lavoratore ha avviato un percorso di auto imprenditorialità;
n. 2 lavoratori sono seguiti attraverso il piano Lift 2011, piano provinciale per l'occupazione dei disabili;
n. 14 lavoratori assunti con contratto a tempo determinato o con contratto di somministrazione;
900 ore erogate per i servizi su un totale di 1.530 ore complessivamente previste.

Conclusivamente, si fornisce ampia rassicurazione che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, laddove le parti sociali dovessero richiedere un incontro per l'esame della situazione occupazionale, attiverà tutte le iniziative necessarie per affrontare la crisi della Carlo Colombo spa.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

MURA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
la circolare della direzione centrale finanza locale del Ministero dell'interno del 18 aprile 2011, n.5, relativa alle spese di organizzazione tecnica ed attuazione per i referendum popolari del 12 e 13 giugno 2011, al paragrafo 3 - spese dei comuni rimborsabili dallo Stato - lettera b) tra l'altro dispone «Infine si rappresenta che non sarà ammessa a rimborso l'eventuale spesa per prestazioni di lavoro straordinario da parte del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA), trattandosi di personale appartenente ad altra amministrazione non riconducibile in alcun modo al personale comunale di cui all'articolo 15 del menzionato decreto-legge n. 8 del 1993»;
l'utilizzo di personale ATA ai fini dell'organizzazione tecnica delle consultazioni elettorali è una prassi che sovente è stata seguita nelle precedenti consultazioni elettorali;
l'impossibilità da parte delle amministrazioni comunali di avvalersi di personale ATA sottrae importanti risorse umane ai fini dell'organizzazione tecnica delle consultazioni referendarie del 12 e 13 giugno 2011 -:
quali siano i precedenti nei quali dal Ministero dell'interno è stata adottato il divieto di cui alla circolare n. 5 del 2011 per le amministrazioni comunali di avvalersi di personale ATA per l'organizzazione tecnica delle consultazioni elettorali ai fini del rimborso statale.
(4-12096)

Risposta. - La circolare della Direzione centrale della finanza locale del 18 aprile 2011, n. 5 relativa alle «Spese di organizzazione tecnica ed attuazione per i referendum popolari del 12 e 13 giugno 2011», prevede, tra l'altro, che non sarà ammessa a rimborso l'eventuale spesa per prestazioni di lavoro straordinario da parte del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (Ata).
Al riguardo, la materia è disciplinata dal decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 8, convertito con modificazioni dalla legge 19 marzo 1993, che all'articolo 15 dispone «In occasione della organizzazione tecnica di consultazioni elettorali il personale dei comuni, addetto a servizi elettorali, può essere autorizzato dalla rispettiva amministrazione, anche in deroga alle vigenti disposizioni ad effettuare lavoro straordinario entro il limite medio di spesa di 50 ore mensili per persona e sino ad un massimo individuale di 70 ore mensili, per il periodo intercorrente dalla data di pubblicazione del decreto di convocazione dei comizi al trentesimo giorno successivo al giorno delle consultazioni stesse».
Ne deriva che il suddetto personale Ata già in servizio presso le istituzioni scolastiche, non può essere destinatario del rimborso relativo alle spese per la retribuzione

di prestazioni di lavoro straordinario, in quanto è stato inquadrato nei ruoli dello Stato ai sensi dell'articolo 8 della legge 3 maggio 1999, n. 124 e non è dunque personale comunale.
Tuttavia, rimane la facoltà per i sindaci, sulla base di un'effettiva e dimostrata necessità, di utilizzare, previa autorizzazione dei competenti dirigenti scolastici, il personale scolastico Ata, ove le stesse funzioni non possano essere regolarmente espletate dai dipendenti comunali, sulla base della prescrizione di cui all'articolo 14 del testo unico n. 267 del 2000 che affida al sindaco - quale ufficiale di governo - l'organizzazione tecnica per lo svolgimento delle consultazioni elettorali.
Come già previsto nella circolare n. 19 dell'11 marzo 2000 della Direzione centrale della finanza locale, la spesa per l'utilizzo del personale Ata - soggetto in primo luogo ad una preventiva valutazione circa la sua necessità - non può quindi essere compresa nella voce «Spese per la retribuzione di prestazioni di lavoro straordinario», ma va imputata dall'ente locale nell'ambito delle «Ulteriori spese», nel rispetto di un attento utilizzo di risorse in conformità alla disciplina normativa.
Pertanto, non si è in presenza di un divieto assoluto per le amministrazioni comunali, ai fini del rimborso statale, di avvalersi di personale Ata per l'organizzazione tecnica delle consultazioni elettorali, bensì di un divieto di considerare tale spesa come rimborso ai sensi dell'articolo 15 del decreto-legge n. 8 del 1993.
Per cui, se l'utilizzo del predetto personale non può dar luogo all'erogazione di compensi a titolo di lavoro straordinario, come eccezionalmente fu consentito nelle consultazioni elettorali svoltesi negli anni immediatamente successivi all'inquadramento del personale ATA nei ruoli dello Stato, va evidenziato che il sindaco può stipulare apposite intese con la competente autorità scolastica per l'espletamento di compiti o servizi ritenuti strettamente indispensabili per l'organizzazione delle consultazioni elettorali e con rimborso in favore della stessa delle spese concordate ed effettivamente sostenute.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

MURER. - Al Ministro per le pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
l'associazione nazionale Donne in rete contro la violenza ha lanciato un appello pubblico per impedire la chiusura dei centri antiviolenza e delle case rifugio per donne, come accaduto in alcune città;
un analogo appello viene da altre reti di associazionismo femminile, impegnate sui temi della tutela femminile e dei servizi territoriali contro la violenza, come ad esempio l'associazione Dire, costituitasi da circa due anni, che riunisce attualmente 58 centri antiviolenza e case delle donne, da Palermo a Merano; realtà che in anni di attività hanno dato voce, studi e saperi a migliaia e migliaia di donne che sono uscite dalla violenza ed hanno conquistato l'indipendenza e la libertà;
secondo tali appelli le rigide misure di controllo del debito pubblico prese a seguito della crisi economica riducendo drasticamente i trasferimenti agli enti locarsi stanno ripercuotendo in maniera oltremodo negativa sui servizi pubblici locali, e a farne le spese sempre più spesso sono i centri antiviolenza e le case delle donne presenti sul territorio e finanziate storicamente da contributi degli enti locali, come regioni province e comuni;
situazioni di questo tipo ci sono a Genova, dove tre articoli apparsi su quotidiani locali l'8 e il 9 ottobre 2010 riguardano la situazione a rischio in cui - a causa dell'insufficienza di finanziamenti - si trova la rete antiviolenza della città, in particolare i servizi forniti dal centro antiviolenza di via Mascherona e gli sportelli territoriali di ascolto e aiuto per le donne in difficoltà che, pur avendo erogato assistenza e servizi a circa 300 donne per il solo 2010, vedono minacciati di chiusura a causa di mancati finanziamenti dagli enti locali; oppure a Catania con la paventata chiusura del centro Thamaia, in

Calabria con l'annunciata chiusura del Centro antiviolenza donne Roberta Lanzino, a Palermo con la vicenda del centro antiviolenza Le onde;
anche laddove non rischiano la chiusura, le attività appaiono gravemente ridimensionate e, in generale, i centri antiviolenza vanno considerati servizi essenziali, che quindi rischiano di essere deboli quando finanziati occasionalmente solo dagli enti locali e non riconosciuti come parte di un sistema integrato;
un'attenta lettura dei bisogni delle persone e della comunità mette in prima linea la tutela della donna vittima di violenza come forma di aberrazione sociale e non ammette la distorsione di finanze pubbliche su questa attività di protezione e prevenzione;
con l'approvazione della normativa sullo stalking si è fatto un passo avanti sul tema della tutela della donna, ma non è certo sufficiente intervenire con leggi nazionali, poi, sui territori, non si finanziano servizi operativi e, anzi, si conducono gli stessi alla chiusura -:
se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se intenda intervenire, e come, in relazione alla chiusura di centri antiviolenza e case rifugio per donne che sta avvenendo in molte parti d'Italia a causa delle difficoltà economiche degli enti locali, provocate anche dai tagli ripetuti del Governo ai trasferimenti;
se si intenda dare vita ad un piano d'intervento nazionale, che abbia una adeguata copertura finanziaria, per impedire la chiusura dei centri antiviolenza e delle case rifugio e per dare a questi servizi una stabilità e il senso di un servizio strutturato e integrato.
(4-09184)

Risposta. - Mi riferisco all'interrogazione in esame, concernente la chiusura dei centri antiviolenza.
In primo luogo, vorrei far presente che la costruzione di azioni volte a combattere qualsiasi forma di violenza posta in essere nei confronti delle donne, di strategie di prevenzione e di misure per il reinserimento nel mondo del lavoro delle vittime costituiscono il denominatore comune delle iniziative finora poste in essere dal mio Dicastero. Ciò si è tradotto in un concreto impegno al sostegno delle azioni previste nel primo «Piano nazionale contro la violenza di genere e lo
stalking», approvato l'11 novembre 2010, alla cui attuazione sono destinati, nel complesso, 18,6 milioni di euro.
Il citato Piano, elaborato anche con la proficua collaborazione del mondo dell'associazionismo e delle rappresentanti dei centri anti-violenza, rappresenta uno strumento indispensabile per lo sviluppo di una strategia nazionale di prevenzione e contrasto della violenza, nonché dell'azione di protezione, tutela, inserimento e reinserimento delle vittime.
In particolare, il Piano è volto al raggiungimento dei seguenti obiettivi: assicurare un livello di informazione adeguato, diffuso ed efficace sul fenomeno della violenza di genere e dello
stalking garantire e implementare una rete dei Centri antiviolenza e delle altre strutture pubbliche e private e dei territori in modo tale da assicurare - in una logica di integrazione e di collaborazione - adeguata assistenza alle vittime su tutto il territorio nazionale; assicurare lo sviluppo di tutte le professionalità che entrano in contatto con le tematiche della violenza di genere, al fine di diffondere sempre più la cultura dei diritti della persona e del rispetto tra i generi; prevedere una raccolta strutturata di dati e informazioni del fenomeno per comprenderlo meglio e seguirne l'evoluzione; potenziare le forme di assistenza e sostegno delle vittime di violenza e dei loro figli.
In merito alle aree di intervento riguardanti, nello specifico, i Centri antiviolenza e i servizi di assistenza, sostegno, protezione e reinserimento delle vittime, il Piano prevede: una mappatura costante dei centri antiviolenza, dei servizi di assistenza pubblici e privati, sostegno, protezione e reinserimento delle vittime e degli sportelli di ascolto per le donne vittime di maltrattamenti,
stalking e violenza; l'individuazione delle strutture in grado di fornire ospitalità

ed assistenza immediate alle vittime in condizioni di pericolo imminente; la realizzazione, grazie allo sviluppo di un sistema informativo, di una completa messa in rete dei centri antiviolenza, tra di loro, con gli altri servizi presenti sul territorio di riferimento, con il dipartimento per le pari opportunità e con il numero di pubblica utilità 1522; il sostegno ai Centri antiviolenza ed alle strutture pubbliche e private finalizzato ad ampliare il numero dei servizi offerti alle vittime la cui incolumità sia particolarmente a rischio, quali ospitalità, assistenza giuridica, psicologica e sanitaria; il sostegno per l'apertura di Centri antiviolenza e altre strutture pubbliche e private nelle zone dove è maggiore il gap tra la domanda e l'offerta; il sostegno, nei comuni interessati dagli eventi sismici, per la ripresa delle attività dei Centri di accoglienza, di ascolto e di aiuto delle donne e delle madri in situazioni di difficoltà.
Le iniziative previste dal Piano risultano, peraltro, complementari ai numerosi interventi posti in essere dal dipartimento per le pari opportunità.
Mi riferisco, ad esempio, al numero di pubblica utilità 1522, istituito nel 2006, che fornisce, 24 ore su 24, alle vittime di violenza un sostegno psicologico e legale, indirizzandole verso le competenti strutture pubbliche e private presenti sul territorio ed al progressivo ampliamento della rete nazionale antiviolenza.
Segnalo, altresì, che il 3 agosto 2011 è stato pubblicato un avviso pubblico per il finanziamento di progetti finalizzati a rafforzare le azioni di prevenzione e contrasto alla violenza di genere, che andrà a sostenere i migliori progetti presentati dai comuni in partenariato con enti pubblici ed organizzazioni del terzo settore, per un importo massimo di euro 140.000 per ciascun progetto.
Al finanziamento delle attività progettuali sono destinati 3.000.000 euro.
Entro la fine del 2011 verrà, inoltre, pubblicato un avviso finalizzato al sostegno dei Centri antiviolenza, nell'ambito di quanto previsto dal Piano citato in precedenza, per uno stanziamento complessivo di 10 milioni di euro.

Il Ministro per le pari opportunità: Mara Carfagna.

MURER. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
martedì venti settembre scorso si sarebbero verificati fatti molto gravi nei locali dell'orfanotrofio Mehan, a Kabul, in Afghanistan. Esso è un luogo dove vengono ospitati bambini senza genitori, che vivono dignitosamente, in un ambiente pulito e accogliente, andando a scuola, studiando musica e danza, imparando l'inglese;
la struttura è gestita dall'Organizzazione non governativa Afceco, che cura diversi altri orfanotrofi sia a Kabul che in altre città afghane. È una organizzazione con ottime credenziali, sostenuta da diverse istituzioni italiane (Liberi pensieri di San Giuliano Milanese, Cisda, Insieme si può di Belluno, la provincia di Trento, e altre) e statunitensi (Usaid, Asia Foundation, Afghan Women's Misson, e altre); è conosciuta e apprezzata dai responsabili della cooperazione italiana in Afghanistan;
il venti settembre 2011 nell'orfanotrofio di Mehan, alcuni parlamentari afghani, accompagnati da diverse guardie del corpo armate, sarebbero entrate con violenza nel New Learning Center della struttura, approfittando del fatto che erano stati aperti i cancelli per far uscire un'automobile; queste persone sarebbero arrivate senza preavviso, minacciando, accusando e impartendo ordini armi in pugno; terrorizzando, quindi, il personale femminile presente in quel momento, minacciando e interrogando, i bambini, sino a farli piangere;
l'azione sarebbe stata originata dalle accuse dei parlamentari Razia Sadat Mangal, Najia Orgonwal e Kamal Nasir Osuli; la prima, in particolare, abitando accanto al centro, avrebbe riferito di vedere «occidentali che vanno e vengono», e per questo avrebbe indicato nel centro «un bordello frequentato da occidentali» e «una missione attiva nella conversione dei

bambini al cristianesimo»; gli occidentali che, in realtà, entrano nella struttura sono alcuni volontari che insegnano inglese, sono giornalisti, sono rappresentanti di Usaid, di Asia Foundation oltre che emissari delle Ambasciate americana e inglese; alla fine del controllo violento e ingiustificato, infatti, tutto ciò che è stato trovato sono libri di scuola, computer, strumenti musicali e lavagne;
l'episodio ha creato sconcerto, paura e rabbia sia nei bambini sia negli operatori della struttura, anche perché l'attacco non è arrivato dai talebani ma direttamente dalle istituzioni afghane, e ai danni di bambini che, orfani, hanno trovato accoglienza in un luogo sicuro dove ricevono cure, istruzione e affetto;
il lavoro che svolge Afceco a Kabul è al di sopra di ogni sospetto, e giudicato unanimemente come positivo, importante, fondamentale. La Nbc News, dopo un reportage, ha detto una volta che l'orfanotrofio di Afceco è un «porto sicuro» per i bambini più bisognosi. Il lavoro dell'organizzazione non governativa però, è da sempre nel mirino di alcune frange ideologizzate; il problema principale in Afghanistan è accettare l'idea che le ragazze meritino uguale educazione ai ragazzi, e che sia permesso di imparare qualcosa di universale come la musica o suonare un pianoforte;
l'attacco che viene mosso all'organizzazione non governativa, quindi, nasce da precise motivazioni culturali, e appare nondimeno ingiustificato e preoccupante -:
se sia a conoscenza di quanto sopra esposto, se, e come, intenda intervenire, nell'ambito delle sue competenze, per richiamare le istituzioni afghane al rispetto delle strutture di solidarietà, della cooperazione internazionale, degli interventi umanitari e in modo particolare per tutelare l'azione dell'organizzazione non governativa Afceco, nell'orfanotrofio di Mehan, da ingerenze improprie e non finalizzate alla tutela dei bambini.
(4-13462)

Risposta. - L'ambasciata d'Italia a Kabul, non appena appreso di quanto accaduto presso l'orfanotrofio Mehan della capitale, gestito dalla ONG afghana Afceco, ha immediatamente preso contatto con i responsabili della struttura e con il CISDA (Coordinamento italiano sostegno donne afghane), organizzazione italiana in contatto con l'ONG afghana, per accertare l'effettivo andamento dei fatti. Secondo quanto appreso, l'intrusione nell'orfanotrofio sarebbe avvenuta ad opera di un gruppo di parlamentari afghani guidati dall'onorevole Razia Sadat Mangal che, accompagnati da guardie, sarebbero entrati nel «New Learning Center» della struttura, minacciando il personale femminile e i piccoli ospiti. I parlamentari, dopo aver ispezionato i locali dell'orfanotrofio, avrebbero interrogato in maniera poco amichevole alcuni bambini ospiti del centro per poi allontanarsi preannunciando indagini da parte della commissione parlamentare per gli affari religiosi e l'educazione. Secondo quanto riferito dalla Presidente della ONG afgana, la signora Andeisha Farid, alla base dell'azione intimidatoria vi sarebbe l'accusa che il centro sarebbe «una casa di appuntamenti frequentata da occidentali» e «una missione attiva per la conversione al cristianesimo dei bambini».
L'ambasciata a Kabul ha riportato senza indugio alla delegazione dell'Unione europea in Afghanistan la notizia dell'accaduto, che non ha avuto diffusione all'interno del Paese, sensibilizzando sull'opportunità di monitorare la situazione onde prevenire il ripetersi di fatti di tal genere. Nel contempo, appare altresì opportuno evitare clamori che, attirando l'attenzione sulla vicenda, possano rischiare di innescare ulteriori azioni intimidatorie nei confronti dell'orfanotrofio.
L'iniziativa della parlamentare sopra menzionata pare peraltro non aver avuto seguiti, visto che il minacciato intervento della commissione parlamentare per gli affari religiosi non ha avuto luogo a causa dell'indisponibilità dei membri della commissione stessa: una presa di distanza dalla vicenda che può essere interpretata positivamente. I responsabili del centro hanno

successivamente riferito che dal giorno dell'intrusione non si sono verificate ulteriori azioni intimidatorie.
Il Ministero degli esteri, attraverso la nostra ambasciata a Kabul, continuerà a monitorare il caso.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Stefania Gabriella Anastasia Craxi.

NIRENSTEIN. - Al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
da alcuni anni, la comunità italiana residente in Israele richiede che sia stipulata una convenzione per il riconoscimento reciproco dei contributi previdenziali versati in Italia e Israele, in modo da consentire la totalizzazione dei periodi assicurativi ai fini del conseguimento del diritto alla prestazione;
nel luglio scorso, la richiesta è stata avanzata da una delegazione del Com.It.Es Israele al Ministro degli esteri Frattini, che si è dichiarato disponibile a garantirne un pronto recepimento;
della questione, nel 2007, era stato formalmente investito l'allora Presidente del Consiglio Prodi in visita in Israele, durante un incontro con il Presidente del Com.It.Es Israele, avv. Beniamino Lazar, ma la sollecitazione non ha trovato in seguito riscontro sul piano normativo;
a fronte delle più complesse questioni poste dalle convenzioni stipulate e da stipularsi con Paesi di forte immigrazione in Italia, una convenzione su questa materia tra Italia e Israele presenterebbe, con ogni probabilità, problemi assai meno complessi, e riguarderebbe un numero di beneficiari oltremodo contenuto -:
in che tempi ritenga che sia possibile stipulare la convenzione in materia previdenziale di cui alle premesse, rispondendo così ad una esigenza ripetutamente manifestata dai nostri connazionali residenti in Israele.
(4-01799)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame con cui si chiede quali siano i tempi entro cui sarà possibile stipulare la convenzione in materia previdenziale tra Italia e Israele, si rappresenta quanto segue.
Nel settore della sicurezza sociale, attualmente, tra Italia e Israele, è in vigore una Convenzione per evitare le doppie imposizioni («Ratifica ed esecuzione della convenzione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo dello Stato di Israele per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e per prevenire le evasioni fiscali, con protocollo aggiuntivo, fatta a Roma l'8 settembre 1995», ratificata con legge 9 ottobre 1997, n. 371 ed entrata in vigore il 6 agosto 1998).
Successivamente, con la legge 28 agosto 1989, n. 309 è stato ratificato lo scambio di note tra il Governo della Repubblica ita- liana e lo Stato di Israele sulla legislazione di sicurezza sociale applicabile alla disciplina dei distacchi temporanei nei reciproci territori dei lavoratori dei due paesi (scambio di lettere avvenuto il 7 gennaio 1987). Tale accordo è entrato in vigore il 21 novembre 1989.
La proposta di stipulare una convenzione per il riconoscimento reciproco dei contributi previdenziali versati in Italia e in Israele che consenta la totalizzazione dei periodi assicurativi ai fini del conseguimento del diritto ad un'unica prestazione, avanzata da parte del Comitato degli italiani residenti all'estero Israele nel 2007, va inquadrata nell'attuale situazione di blocco generalizzato delle ratifiche delle convenzioni bilaterali di sicurezza sociale che sconsiglia l'apertura di nuove trattative.
In effetti, numerose convenzioni di sicurezza sociale, firmate da oltre un decennio, sono in attesa di ratifica parlamentare a causa della mancanza di copertura finanziaria, anche se alcune di esse comportano oneri di spesa piuttosto contenuti. Ci si riferisce, ad esempio, ai casi delle Filippine, del Marocco, del Cile e alla revisione delle convenzioni con il Canada e l'Argentina.


Tuttavia, il 2 maggio 2010 è stata firmato dai Ministri competenti per materia l'«Accordo tra la Repubblica italiana e lo Stato di Israele sulla Previdenza Sociale» che prevede, tra l'altro, l'assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti consentendo ai lavoratori, in regime di reciprocità, di totalizzare i periodi di assicurazione prestati in ciascuno degli Stati contraenti al fine della maturazione del diritto ad un'unica prestazione pensionistica.
Conclusivamente, si osserva che la questione segnalata dall'interrogante ha trovato soluzione in quanto l'auspicata convenzione è stata effettivamente stipulata già nel maggio del 2010.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

ANDREA ORLANDO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 15 - comma 3 - della legge n. 724 del 1994 ha previsto, per gli iscritti alle forme esclusive dell'AGO (esempio: Stato, Inpdap, Ipost) che la pensione spettante deve essere determinata sulla base di tutti gli elementi retributivi assoggettati a contribuzione, ivi compresa la IIS. (Indennità integrativa speciale);
con il comma 5 si è però stabilito che la predetta indennità potesse essere corrisposta come assegno accessorio solo sui trattamenti di pensione diretta liquidati fino al 31 dicembre 1994 e sulle pensioni di reversibilità ad essere riferite;
con la legge n. 335 del 1995, articolo 1, comma 41, viene estesa la disciplina vigente in materia di reversibilità per i lavoratori privati anche ai lavoratori pubblici;
per la Ragioneria generale dello Stato e per l'INPDAP, per i decessi intervenuti dopo il 17 agosto 1995, l'importo della pensione di reversibilità è costituito dall'ammontare complessivo della pensione diretta (comprensiva dell'I.I.S.) e attribuita dalle Corte dei conti regionali e centrali;
con sentenza favorevole n. 8/2002/QM delle sezioni riunite, la Corte dei conti ha stabilito che il trattamento di reversibilità deve continuare ad essere liquidato secondo le norme dettate dall'articolo 15, comma 5, della legge n. 724 del 1994;
ciò significa che si doveva fare riferimento, per determinare la misura della pensione non alla data di decorrenza della pensione di reversibilità ma alla data originaria della pensione diretta;
ovviamente tale modalità di calcolo, nella maggioranza dei casi, era favorevole per il pensionato;
a distanza di 11 anni dall'emanazione della norma, e nonostante i pronunciamenti della Corte, la legge n. 296 del 2006, commi 774, 775 e 776 (legge finanziaria per il 2007) ha fornito, invece, l'interpretazione autentica e come tale retroattiva dell'articolo 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995 ed ha abrogato l'articolo 15, comma 5, della legge 724 del 1994;
pertanto le pensioni di reversibilità devono essere calcolate con l'indennità integrativa speciale conglobata nella retribuzione pensionabile già attribuita al coniuge deceduto e ridotta in base alla percentuale spettante;
la nuova interpretazione autentica, l'abrogazione dell'articolo 15 della legge n. 724 del 1994, stravolgono la giurisprudenza che era consolidata della Corte dei conti e, pertanto;
tutti i ricorsi pendenti presso le sezioni regionali e gli appelli pendenti presso le sezioni centrali alla data del 1° gennaio 2007 sono respinti;
tutte le sentenze di 1° grado emesse dalle sezioni regionali della Corte dei conti in favore del pensionato e non andate in giudicato sono appellate, e vinte, dall'INPDAP;

infatti la norma di legge - comma 775 - fa «salvi i trattamenti pensionistici più favorevoli in godimento alla data di entrata in vigore della presente legge, già definiti in sede di contenzioso, con riassorbimento sui futuri miglioramenti pensionistici». Con ciò lasciando però esposto al recupero quanto non passato in giudicato (2006);
a seguito di tali sentenze d'appello l'INPDAP ha rideterminato i trattamenti pensionistici, l'importo delle pensioni subisce un abbattimento notevole per effetto dell'adeguamento al minor calcolo e della ritenuta mensile che l'INPDAP opera per recuperare quanto corrisposto negli anni;
le cifre richieste in restituzione possono arrivare anche ad alcune decine di migliaia di euro;
la situazione diviene insostenibile quando l'INPDAP pretende il versamento di somme consistenti per far sì che l'intero debito sia estinto nei termini quinquennali;
tutto ciò acquista carattere di drammaticità se analizzato nel relativo contesto sociale: vedove, età avanzata, spesso associata a problemi di salute, esiguità dei trattamenti pensionistici, elevato importo del debito -:
se, pur consentendo all'INPDAP il nuovo calcolo con riduzione della pensione, non si ritenga di assumere le necessarie iniziative di competenza per annullare il debito maturato con restituzione di quanto trattenuto, o quanto meno abbattere significativamente il debito e consentire la dilazione nella restituzione anche oltre i cinque anni ora imposti come già avvenuto per situazioni simili (INPS, INPDAP).
(4-10489)

Risposta. - L'interrogazione in esame concerne il recupero da parte dell'Inpdap delle somme indebitamente corrisposte ad alcuni titolari di pensione di reversibilità con riferimento all'indennità integrativa speciale di cui all'articolo 2 della legge n. 324 del 1959.
Tale indennità è stata inizialmente configurata dalla norma istitutiva quale emolumento autonomo da corrispondersi ai titolari di pensioni o assegni vitalizi, di cui all'articolo 2 della legge n. 324 del 1959, separatamente dalla pensione base.
Successivamente, la legge n. 724 del 1994, all'articolo 15, comma 3, ne ha disposto il conglobamento nella base pensionabile a partire dal 1o gennaio 1995.
Di conseguenza, il comma 5 del medesimo articolo 15, nel disciplinare il regime transitorio, ha limitato l'applicabilità del metodo di calcolo di cui all'articolo 2 della legge n. 324 del 1959 alle pensioni dirette liquidate fino al 31 dicembre 1994 e alle pensioni di reversibilità ad esse riferite.
In seguito, la legge n. 335 del 1995 di riforma del sistema pensionistico, all'articolo 1 comma 41, ha uniformato la disciplina del trattamento pensionistico, estendendo i requisiti e i criteri di calcolo delle pensioni di reversibilità vigenti nell'ambito dell'assicurazione generale obbligatoria a tutte le forme esclusive o sostitutive di detto regime, con la conseguenza di rendere la base pensionabile già comprensiva dell'indennità speciale in questione.
A fronte dei dubbi interpretativi sorti circa l'implicita abrogazione o meno della disciplina transitoria di cui all'articolo 15, comma 5, della legge n. 724 del 1994, il legislatore è nuovamente intervenuto, fornendo, con l'articolo 1, comma 774, della legge n. 296 del 2006, l'interpretazione autentica dell'articolo 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995.
Tale ultima disposizione deve essere interpretata nel senso che, per le pensioni di reversibilità sorte a decorrere dal 17 agosto 1995, data di entrata in vigore della legge n. 335 del 1995, l'indennità integrativa speciale, già in godimento da parte del dante causa, è attribuita nella misura percentuale prevista per il trattamento di reversibilità.
La medesima legge n. 296 del 2006 ha disposto, ai commi 775 e 776 dell'articolo 1, rispettivamente, la salvezza dei trattamenti pensionistici più favorevoli in godimento alla data di entrata in vigore della legge già definiti in sede di contenzioso, con riassorbimento sui futuri miglioramenti e l'abrogazione

dell'articolo 15, comma 5, della legge n. 724 del 1994.
Ciò premesso, l'Inpdap ha fatto sapere di aver proceduto al recupero degli indebiti di cui si tratta in esecuzione di sentenze di secondo grado della Corte dei conti, che, in applicazione del vigente quadro normativo, hanno disposto il divieto di cumulo di plurime indennità integrative speciali o l'indebita percezione dell'indennità su pensioni di reversibilità.
Tali somme, ora oggetto di restituzione, erano state in un primo momento percepite dagli interessati in seguito a sentenze di primo grado, che, come noto, sono immediatamente anche se provvisoriamente esecutive.
L'Istituto ha, poi, osservato che nel caso di specie non è applicabile il comma 775 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006, in quanto tale disposizione è riferibile solo alle fattispecie già definite in sede di contenzioso, ossia con sentenza passata in giudicato al momento dell'entrata in vigore della norma.
L'Inpdap ha, altresì, chiarito di non disporre di alcuna discrezionalità al riguardo e di essere tenuto ad agire per il recupero delle somme indebitamente corrisposte ai pensionati, anche per evitare azioni di responsabilità amministrativo-contabile per danno erariale.
Per quanto riguarda, infine, le modalità di recupero degli indebiti, le sedi provinciali dell'Istituto si sono attenute alle vigenti norme in materia.
In particolare, l'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1544 del 1955 stabilisce che il recupero dei crediti erariali derivanti da indebite riscossioni effettuate da dipendenti dello Stato in attività di servizio o da pensionati deve essere effettuato osservando le disposizioni di cui all'articolo 3 del regio decreto-legge n. 295 del 1939 ovvero mediante trattenuta sulle rate anche oltre i limiti del quinto e fino ad un massimo di un terzo, con una rateizzazione entro un periodo massimo di cinque anni.
Conclusivamente, si osserva che seppur consapevole dei disagi che le procedure di recupero possono arrecare ad alcune categorie di pensionati, l'Inpdap ha dovuto avviare le relative procedure, con le modalità sopra indicate, atteso che le vigenti disposizioni normative non consentono margini diversi di intervento.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

PALADINI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
in data 3 febbraio 2009 lo Stato Maggiore dell'Esercito diramava una circolare con la quale comunicava a tutti gli enti subordinati che a causa delle scarse risorse a disposizione e non sussistendo particolari preclusioni giuridiche all'impiego del personale Volontario in incarichi di natura logistica sarebbe stato possibile destinare il detto personale ad attività quali il confezionamento di viveri, la guardiania, la manovalanza, le pulizie;
i destinatari della suddetta circolare sono i militari del ruolo «Truppa» che, a differenza di quanto avveniva negli anni in cui era in vigore il servizio di leva, oggi corrispondono a veri e propri professionisti per lo più reduci dalle zone di combattimento nei vari teatri esteri e dunque muniti di una professionalità non certamente accostabile alle mansioni cui la circolare di cui trattasi vuole relegarli;
nell'anno 2010 le spese militari lasceranno sul terreno dei conti pubblici oltre 23 miliardi di vecchie lire;
in tale stato di cose ancora una volta chi dovrà far le spese di una politica non certo parsimoniosa sarà ancora una volta la fascia più bassa della gerarchia militare;
il 2° Comando delle Forze di Difesa - Divisione «Acqui» già dal 15 maggio 2009 ha disposto che tutti i venerdì il personale di Truppa in servizio permanente dovrà dedicarsi ai servizi di pulizia interne delle caserme -:
se il Ministro interrogato intenda assumere ogni iniziativa utile a salvaguardare la dignità dei militari di truppa nel rispetto delle mansioni a loro attribuibili.
(4-05400)

Risposta. - La questione dell'impiego del personale volontario anche in attività di natura non operativa si deve inserire nel più ampio quadro concernente le esigenze di contenimento della spesa pubblica imposte dall'attuale complessa congiuntura economica.
Occorre premettere, infatti, che in relazione alla diminuzione dei fondi allocati ai bilancio della difesa, che si è registrata negli ultimi, il Dicastero ha inteso operare procedendo in accordo con le priorità politiche fissate e con i correlati obiettivi strategici, al fine di perseguire il sinergico bilanciamento delle tre dimensioni quantitativa, qualitativa e capacitiva dello strumento militare.
L'azione del Ministero mira, infatti, ad un complesso di iniziative volte a dare una risposta efficace alle complesse problematiche delle Forze armate, individuando priorità, come doverosa e indispensabile scelta di indirizzo politico, senza peraltro trascurare alcuno degli aspetti fondamentali.
In tale quadro, la predetta riduzione dei fondi ha conseguentemente diminuito drasticamente la possibilità di ricorrere all'esternalizzazione dei servizi (cosiddetto
outsourcing), rendendo talvolta inevitabile l'impiego del personale volontario in attività di natura non operativa, al fine di garantire allo stesso personale le condizioni minime di igiene e sicurezza sanitaria.
Peraltro, la Direttiva «Linee di indirizzo e criteri per l'impiego delle risorse finanziarie - settore dell'esercizio - esercizio finanziario 2011» emanata dallo Stato maggiore della difesa, prevede che la pulizia degli alloggi truppa sia a cura degli utenti, considerato che per il settore delle pulizie bisogna prevedere una riduzione delle spese di almeno il 30 per cento rispetto al 2010.
Il vigente ordinamento giuridico, comunque, non impedisce, pur se entro certi limiti, l'impiego del personale in questione in attività non operative.
Infatti, dall'analisi del Codice dell'ordinamento militare (decreto legislativo n. 66 del 2010) si evince chiaramente come, a fronte dell'introduzione della categoria dei graduati (articolo 627), nulla è mutato con riferimento ai compiti del personale militare cui, a partire dal ruolo sergenti sino a quello dei volontari in ferma (articolo 840, 841 e 842), sono attribuite mansioni esecutive, che si traducono non solo nello svolgimento di compiti operativi e addestrativi, ma anche di quelli a carattere logistico-amministrativo e tecnico-manuale.
Inoltre, l'articolo 843 del codice fa salva comunque la prerogativa del capo di stato maggiore di Forza armata di determinare gli incarichi del personale militare (sottufficiali, graduati e truppa) in relazione alle esigenze di servizio, come è avvenuto nel caso della citata direttiva emanata dallo Stato maggiore dell'Esercito.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

PALADINI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
un numero rilevante di carabinieri ausiliari in congedo, pur avendo prestato servizio nell'Arma con abnegazione e spirito di sacrificio, si ritrova ad oggi tra le fila del precariato, non avendo potuto, al termine della ferma contratta, sviluppare una carriera nelle Forze armate o nelle Forze di polizia ad ordinamento militare o civile;
la maggior parte degli ausiliari, al termine del percorso nell'Arma, nonostante sia risultata idonea al proseguimento di carriera, non è stata prescelta per la ferma quadriennale, venendo congedata per esubero ed esclusa, di fatto, dall'immissione nei ruoli del servizio permanente delle Forze armate;
l'Arma dei carabinieri, ai fini di completamento dell'organico, ha più volte indetto concorsi pubblici, ai quali hanno avuto accesso sia ex appartenenti alle Forze armate sia privati cittadini. In tal senso il decreto legislativo n. 198 del 1995, nel dettare norme relative al reclutamento dei carabinieri, ha richiamato la legge n. 537 del 1993. Tale legge prevedeva che

il Governo emanasse uno o più regolamenti per «incentivare il reclutamento di cui alla legge 24 dicembre 1986, n. 958, e successive modificazioni, riservando ai volontari congedati senza demerito l'accesso alle carriere iniziali nella Difesa, nei Corpi armati e nel Corpo militare della Croce rossa»;
le quote di cui sopra non sono però state rispettate, tanto che nei recenti concorsi banditi dall'Arma dei carabinieri per gli ausiliari in congedo non è stata prevista alcuna riserva di posti, essendo questi ultimi esclusivamente destinati agli altri Corpi delle Forze armate;
inoltre, nonostante nel tempo siano state emanate norme (decreto-legge n. 64 del 2002, legge n. 226 del 2004) per il reintegro nei ruoli dell'Arma dei carabinieri degli ausiliari in congedo, solo un numero esiguo di ausiliari ha visto soddisfatte le proprie aspettative -:
quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per favorire l'istituzione di quote di riserva, a vantaggio dei carabinieri ausiliari in congedo, nei concorsi banditi dall'Arma, nonché per l'adozione di un piano di reintegro degli stessi che preveda la loro conseguente immissione nei ruoli del servizio permanente delle Forze armate.
(4-12803)

Risposta. - In via preliminare, si fa osservare che il quadro normativo che ha disciplinato la trasformazione progressiva dello strumento militare in senso interamente professionale, oggi recepito nel codice dell'ordinamento militare decreto legislativo n. 66 del 2010 prevede che i posti annualmente messi a concorso per il reclutamento del personale nelle carriere iniziali delle forze di polizia ad ordinamento civile e militare (FdP) siano riservati ai volontari in ferma prefissata di un anno (VPF1).
Per quanto riguarda, invece, gli altri profili professionali le forze armate e le forze di polizia bandiscono annualmente concorsi pubblici a cui possono partecipare tutti i cittadini italiani in possesso dei requisiti previsti dai rispettivi bandi.
Il richiamato codice prevede, a fattor comune nell'ambito del reclutamento, riserve di posti per le seguenti categorie:
diplomati e assistiti presso le scuole militari ed enti di assistenza per orfani;
figli di militari deceduti in servizio e/o di vittime del dovere e del terrorismo.

Altre riserve possono essere previste per specifiche esigenze di ciascuna forza armata soltanto nei confronti di personale militare in servizio.
I bandi di concorso per il reclutamento del personale militare prevedono, inoltre, riserve di posti per concorrenti in possesso dell'attestato di bilinguismo (lingua italiana e tedesca), in applicazione delle norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino Alto Adige in materia di proporzione negli uffici statali siti nella provincia di Bolzano.
Fatta questa premessa, non si può che ribadire, ancora una volta, che l'eventuale estensione di riserve di posti a favore di personale anagraficamente «anziano», come quello in argomento, avrebbe inevitabili riflessi sulla corretta ed equilibrata alimentazione dei ruoli, che, invece, impone la necessità per le forze armate e le forze di polizia di disporre di personale, che in virtù della giovane età, risulti impiegabile dal punto di vista operativo.
In altri termini, una simile previsione risulterebbe evidentemente incompatibile con gli attuali criteri ispiratori dell'attività di reclutamento dell'Amministrazione, la quale per poter corrispondere adeguatamente alle molteplici e variegate esigenze funzionali ed operative in territorio nazionale e, in particolare nell'ambito delle missioni internazionali di pace all'estero deve contare sulla ampia disponibilità di personale giovane nei ruoli iniziali, idoneo ad espletare incarichi ad elevata connotazione operativa, che richiedono un'adeguata capacità psico-fisica attitudinale.
Per quanto concerne il decreto legislativo n. 198 del 1995 e la legge n. 537 del 1993, citati dall'interrogante quali norme incentivanti il reclutamento dei volontari congedati senza demerito nell'Arma dei Carabinieri,

faccio presente che gli stessi discendono dalla legge n. 958 del 1986 «Norme sul servizio di leva e sulla ferma di leva prolungata».
In proposito, faccio osservare che di tale legge alcuni articoli, essendo di perdurante attualità, sono stati recepiti nel predetto codice dell'ordinamento militare, mentre le previsioni concernenti il reclutamento sono state superate dalle norme che disciplinano la trasformazione delle Forze armate in senso interamente professionale (leggi n. 331 del 2000 e n. 226 del 2004).
L'ulteriore norma di legge, richiamata dall'interrogante, che consentiva il richiamo in servizio dei carabinieri ausiliari in congedo (decreto-legge n. 64 del 2002 «Disposizioni urgenti per la prosecuzione della partecipazione italiana ad operazioni militari internazionali»), è stata abrogata per la medesima ragione, essendo stata superata dalla predetta disciplina sulla professionalizzazione dello strumento militare.
Per quanto riguarda, infine, l'ipotizzato esiguo numero di carabinieri ausiliari in congedo reintegrati nei ruoli dell'Arma dei Carabinieri richiamo opportunamente i dati indicati dal competente organo tecnico operativo militare:
a seguito della sospensione della leva obbligatoria, nel triennio 2002-2004, l'Arma dei carabinieri ha dato il massimo impulso alle immissioni dei carabinieri ausiliari nella ferma quadriennale, riservando loro tutti gli arruolamenti ordinari (nel limite del 30 per cento dei posti disponibili) e destinando loro eventuali posti riservati ai volontari delle Forze armate non coperti;
nel biennio 2005-2006 sono transitati in ferma quadriennale quasi tutti i carabinieri ausiliari prossimi al congedo e, inoltre, nel 2005, nell'ambito delle assunzioni destinate al cosiddetto «carabiniere di quartiere», è stato previsto che l'incremento organico avvenisse mediante arruolamento di carabinieri in ferma quadriennale da attingere esclusivamente dai carabinieri ausiliari in congedo;
per l'anno 2005, infine, l'allora vigente normativa in materia di reclutamento dei volontari in ferma prefissata di un anno, di cui all'articolo 24 della legge n. 226 del 2004 («Sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva e disciplina dei volontari di truppa in ferma prefissata, nonché delega al Governo per il conseguente coordinamento con la normativa di settore»), ha previsto una significativa percentuale (70 per cento) di posti riservati, tra l'altro, al personale che aveva completato il servizio di leva in qualità di ausiliario nelle forze di polizia.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

PALAGIANO, MURA e DI GIUSEPPE. - Al Ministro per le pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
il 18 dicembre del 1979 l'Assemblea generale dell'Onu adottava la CEDAW, Convenzione per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, che segnò una svolta storica nel percorso dei diritti umani delle donne;
tale convenzione ha l'obiettivo di eliminare tutte le forme di discriminazione contro le donne, nell'esercizio di tutti i diritti civili, politici, economici, sociali e culturali;
l'Italia ha sottoscritto la CEDAW il 17 luglio 1980;
la Convenzione riconosce l'influenza della cultura e della tradizione nel limitare l'esercizio dei diritti delle donne. Di conseguenza, essa prevede che gli Stati siano tenuti ad adottare tutte le misure adeguate per eliminare gli stereotipi sulla divisione dei ruoli fra i due sessi e le pratiche derivanti da una concezione fondata sull'idea della superiorità od inferiorità di un sesso rispetto all'altro;
sulla stessa linea, anche se maggiormente attinente alla comunicazione pubblicitaria, sono state adottate le risoluzioni comunitarie del 1997 e del 2008;
entrambe le risoluzioni indicano come inammissibile, in modo inopinabile, il modello pubblicitario lesivo verso il genere

femminile e demandano agli Stati membri il compito di adeguare la normativa in tal senso;
le risoluzioni indicano in modo deciso ed inequivocabile la lesività di messaggi che ogni giorno si vedono nelle strade e che non si possono spegnere come si fa con un televisore;
l'UDI, Unione donne in Italia, ha avviato da tempo una campagna in materia di cartellonistica stradale ritenendo che vi sia l'influenza della pubblicità e della comunicazione mediatica nella conferma degli stereotipi e dei disvalori che sostengono la subordinazione sessuale e sociale delle donne;
l'UDI ha sollecitato su questo tema i comuni italiani attraverso una «moratoria per l'eliminazione della pubblicità offensiva e lesiva della dignità femminile»;
diversi comuni, rimediando attraverso le loro competenze alle lacune dell'ordinamento nazionale, stanno rispondendo all'appello delle donne. I comuni di Caltagirone e Niscemi hanno già adottato delibere ad hoc sulle affissioni;
è in via di pubblicazione la delibera al comune di Napoli (25 novembre 2009) «Napoli città libera dalla pubblicità lesiva della dignità femminile»;
lo Stato italiano non ha ancora assunto alcun provvedimento in applicazione delle risoluzioni 258/1997 e 2008/2038, né ha dato indicazioni alle amministrazioni locali ed agli organismi preposti per dare attuazione al principio del rispetto della dignità di donne nell'ambito decisivo della comunicazione culturale -:
se il Ministro intenda assumere iniziative al fine di adempiere agli obblighi comunitari sanciti dalle due risoluzioni per garantire maggiormente un'informazione pubblicitaria che sia rispettosa della figura femminile.
(4-05541)

Risposta. - Mi riferisco all'interrogazione in esame concernente la tutela della donna nella pubblicità.
In proposto vorrei segnalare, in primo luogo, che fin dall'inizio del mio mandato ho fortemente voluto che i miei uffici si impegnassero nello studio di azioni positive finalizzate ad un corretto utilizzo dell'immagine femminile nei
media, ed in particolare, nella pubblicità che spesso propone dei modelli femminili che non corrispondono alla realtà.
La tutela dell'immagine della donna nei
media, come peraltro sottolineato dall'interrogante, rappresenta un tema all'attenzione dell'Unione europea. Basta citare, a questo proposito, la Comunicazione adottata il 1o marzo del 2006 dalla Commissione europea, dal titolo «Una tabella di marcia per la parità tra uomini e donne», che ha inteso attribuire ai mezzi di comunicazione un ruolo importante nella lotta contro gli stereotipi di genere e la Risoluzione del Parlamento europeo del 2008 concernente l'impatto del marketing e della pubblicità sulla parità tra donne e uomini, con la quale è stato richiesto agli Stati membri di intensificare gli sforzi affinché la pubblicità sia tesa alla valorizzazione della figura femminile e del ruolo della donna nella società, invitandoli a provvedere con idonei mezzi affinché il marketing e la pubblicità garantiscano il rispetto della dignità umana e dell'integrità della persona, non diano luogo a discriminazioni dirette o indirette e non contengano elementi che, valutati nel loro contesto, approvino, esaltino o inducano alla violenza contro le donne.
Proprio aderendo alle linee tracciate dall'Unione europea ho inteso siglare il 26 gennaio scorso un protocollo d'intesa con l'Istituto di autodisciplina pubblicitaria.
Il protocollo è finalizzato a rendere più efficace la collaborazione nel controllo e nel ritiro di pubblicità, per la carta stampata o per la televisione, che sviliscano l'immagine della donna con raffigurazioni o scene offensive e volgari, o che siano apertamente sessiste.
In particolare, attraverso la stipula del citato protocollo, le parti contraenti si sono impegnate a:
collaborare per fare in modo che gli operatori di pubblicità ed i loro utenti adottino

modelli di comunicazione commerciale che non contengano immagini o rappresentazioni di violenza contro le donne o che incitino ad atti di violenza sulle donne; tutelino la dignità della donna, rispettino il principio di pari opportunità e diffondano valori positivi sulla figura femminile; siano attenti alla rappresentazione dei generi, rispettosi delle identità di donne e uomini, coerenti con l'evoluzione dei ruoli nella società; evitino il ricorso a stereotipi di genere;
favorire e rafforzare ulteriormente l'applicazione del divieto di utilizzare l'immagine della donna in modo offensivo o discriminatorio o tale da incitare la violenza sulle donne;
accelerare il procedimento di ingiunzione di desistenza nei casi di maggiore gravità.

Attraverso tale protocollo i miei uffici potranno chiedere il ritiro di una pubblicità in tempo reale, comunque entro 48 ore, completamente a costo zero, riuscendo a monitorare la comunicazione pubblicitaria nella sua quasi totale interezza, dal momento che l'Istituto per l'autodisciplina pubblicitaria rappresenta diciotto sigle del mondo pubblicitario, oltre il 90 per cento del mercato e già lavora da decenni su questo fronte.
In particolare evidenzio che, anche su segnalazione degli uffici del mio Ministero, sono state bloccate già molte pubblicità.
Proprio in attuazione del citato protocollo, sono state bloccate due campagne pubblicitarie in quanto ritenute in contrasto con gli articoli 1 («Lealtà della comunicazione commerciale») e 2 («Convinzioni morali, civili, religiose e dignità della persona») del Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale.
Si tratta dei primi casi affrontati e risolti dopo la sigla dell'accordo, a dimostrazione che è possibile intervenire in maniera tempestiva ed efficace a tutela dell'immagine della donna e di coloro, in particolar modo dei minori, che si imbattono in messaggi troppo allusivi e potrebbero rimanerne turbati.
In attuazione del citato protocollo, nonché per il monitoraggio, il sostegno e la promozione delle attività in esso previste, le parti si sono impegnate a costituire un comitato paritetico cui spetterà il compito di verificare il buon andamento degli impegni assunti, utilizzando, come dati, anche il numero di denunce trasmesse dal dipartimento per le pari opportunità ed il numero delle ingiunzioni di desistenza e di altri provvedimenti sanzionatori emessi ai sensi dell'articolo 39 del Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale. Il decreto istitutivo del suddetto comitato, firmato il 4 maggio 2011, è stato registrato presso i competenti organi di controllo il 23 giugno 2011.
Segnalo, altresì, che, a seguito dell'approvazione presso il Senato della Repubblica, il 15 marzo 2011, di un ordine del giorno concernente l'argomento di cui trattasi è in fase di costituzione un tavolo tecnico composto da rappresentanti del mio Dicastero e del Ministero dello sviluppo economico, che avrà il compito di elaborare una proposta di «codice di autoregolamentazione» che fornisca, nel rispetto delle norme e dell'indipendenza dell'informazione, linee guida al sistema radiotelevisivo, della carta stampata e della pubblicità affinché perseguano, anche nelle forme di linguaggio, il massimo rispetto della rappresentazione della figura femminile.
Infine, vorrei ricordare che attraverso il nuovo contratto di servizio RAI 2010-2012, approvato con decreto ministeriale del 27 aprile 2011, la Rai si è impegnata a promuovere seminari interni al fine di evitare una distorta rappresentazione della figura femminile (articolo 2, comma 3, lettera
b)); ad operare, attraverso un'apposita commissione paritetica (articolo 29), un monitoraggio, con produzione di idonea reportistica annuale, che consenta di verificare il rispetto circa le pari opportunità nonché la corretta rappresentazione della dignità della persona nella programmazione complessiva, con particolare riferimento alla distorta rappresentazione della figura femminile e di promuoverne un'immagine reale e non stereotipata (articolo 2, comma 7); ad assicurare una più moderna rappresentazione della

donna nella società, valorizzandone il ruolo 3, comma 1, lettera d)) e, per quanto concerne la programmazione dedicata ai minori, a promuovere modelli di riferimento, femminile e maschili, egualitari e non stereotipati 12, comma 4, lettera c)).
Il Ministro per le pari opportunità: Mara Carfagna.

PILI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
durante la notte del 12 aprile 2011 è deceduto nell'ospedale cagliaritano Santissima Trinità Pierpaolo Pulvirenti, 25 anni, uno dei tre operai rimasti coinvolti nel pomeriggio dell'11 aprile 2011 di un incidente nella raffineria Saras di Sarroch;
l'incidente si è svolto in pochi attimi in uno degli impianti di combustione dei gas residui del petrolio della raffineria di Sarroch, nella provincia di Cagliari;
secondo una prima ricostruzione una squadra della ditta Starservice, specializzata nella manutenzione di impianti di desolforazione, è stata investita da un getto di idrogeno solforato, fuoriuscito dall'interno di una colonna che i tre stavano per ispezionare;
nello stesso stabilimento della Saras, il 26 maggio 2009, morirono tre operai, anche loro intossicati, mentre effettuavano i lavori di bonifica di una cisterna;
in quell'occasione l'operaio Gigi Solinas, 26 anni, si sentì male subito all'interno del serbatoio mentre Daniele Melis, 30 anni, e Bruno Muntoni, 56 anni, persero la vita nel tentativo di soccorrere il collega;
in seguito ad una lunga inchiesta della magistratura è attesa la sentenza del processo penale il 16 maggio 2011;
si tratta del secondo incidente mortale che accade nello stabilimento di Sarroch nel giro di pochi anni;
le modalità dell'incidente mortale di ieri notte appaiono analoghe o comunque simili alle precedenti di 2 anni fa riproponendo con tutta l'inquietudine del caso il problema della sicurezza nei lavori di manutenzione e non solo all'interno della raffineria;
tale incidente ripropone con drammatica urgenza l'esigenza di fare chiarezza su quanto accaduto e l'individuazione di tutte le responsabilità sia per quanto riguarda il processo manutentivo che per la corretta applicazione dei protocolli di sicurezza -:
se non ritenga di dover inviare dei propri ispettori per valutare le condizioni di sicurezza di tali impianti e delle procedure adottate per la manutenzione di particolari reparti produttivi;
se non ritenga di dover avviare una propria indagine sull'accaduto e promuovere tutte le azioni necessarie per evitare che la raffineria di Sarroch debba conoscere nuove morti sul lavoro;
se non ritenga di dover promuovere un'azione coordinata con tutti i soggetti interessati alla sicurezza al fine di valutare le procedure adottate sinora considerato che nonostante le precedenti inchieste della stessa magistratura e degli organismi preposti alla sicurezza tali incidenti si sono drammaticamente ripetuti.
(4-11568)

Risposta. - In merito agli infortuni sul lavoro richiamati nell'interrogazione in esame, sulla base degli elementi informativi acquisiti presso i competenti uffici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché di quelli forniti dall'INAIL, si rappresenta quanto segue.
Il giorno 13 aprile 2011, i funzionari ispettivi della competente direzione territoriale del lavoro - su richiesta del superiore Ministero del lavoro e delle politiche sociali - si sono recati presso il luogo degli infortuni al fine di acquisire informazioni sulla dinamica degli incidenti e di effettuare gli accertamenti di competenza.
Nel corso di tali accertamenti è emerso che i signori Pulvirenti Pierpaolo, Serranò Gabriele e Catania Luigi lavoravano, con la qualifica di operai specializzati, alle dipendenze

dell'impresa Star Service srl, esercente attività di pulizia e di manutenzione di impianti industriali.
12 aprile 2011 i tre operai si trovavano presso uno degli impianti (DEA3) presenti all'interno della raffineria di proprietà della società SARAS spa, in Sarroch (Cagliari) per effettuare, un intervento di manutenzione straordinaria. Tale intervento, in particolare, si sostanziava nella bonifica di una colonna di desolforazione del H2S (idrogeno solforato) mediante lavaggio interno con vapore e acqua demineralizzata.
L'incidente è avvenuto mentre i tre lavoratori stavano effettuando le operazioni di smontaggio delle coperture dei cosiddetti «passi d'uomo» (grandi «tappi circolari» di metallo imbullonati alla struttura), collocati nella colonna, su tre livelli. Successivamente i tre avrebbero dovuto procedere alla rimozione dei piatti di distillazione (disposti orizzontalmente all'interno della colonna) e alla pulizia idrodinamica delle pareti interne della colonna.
Intorno alle ore 18:45, mentre si trovavano sulla passerella in corrispondenza del «passo d'uomo» intermedio, i signori Serranò e Pulvirenti venivano investiti da un flusso di gas velenosi (probabilmente una miscela tossica di idrogeno solforato) sviluppatosi all'apertura dello stesso.
Il signor Catania, che in quel momento si trovava sulla passerella inferiore, nel tentativo di prestare soccorso ai colleghi, iniziava a salire la scala verticale che conduceva alla passerella superiore ma, improvvisamente, cadeva dalla stessa, riportando gravi ferite.
I soccorritori, intervenuti sul posto, hanno trovato il Pulvirenti e il Serranò privi di sensi.
Il primo è stato trasportato presso il policlinico di Monserrato di Cagliari, dove è deceduto durante le prime ore del mattino del giorno successivo; il Serranò è stato invece ricoverato nel reparto di rianimazione dell'ospedale Brotzu di Cagliari mentre il Catania è stato trasportato presso l'ospedale Marino di Cagliari, dove è stato medicato.
In ordine alla osservanza della vigente normativa anti infortunistica, la competente ASL, in qualità di organo di polizia giudiziaria, ha reso noto di non avere adottato, allo stato, alcun provvedimento prescrizionale nei confronti della società committente e di quella appaltatrice, in quanto gli accertamenti sono ancora in corso.
Tutto ciò premesso, con specifico riferimento alla opportunità di avviare una indagine sulle condizioni di sicurezza degli impianti della raffineria SARAS di Sarroch (Cagliari), si osserva che, ai sensi dell'articolo 13 del decreto legislativo n. 81 del 2008, la vigilanza sull'applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza viene svolta dalla competente ASL, e che solo in talune attività lavorative (tra cui principalmente l'edilizia) tale funzione può essere esercitata anche dai Servizi ispezioni del lavoro (SIL) nell'ambito delle direzioni del lavoro territorialmente competenti.
Per quanto concerne invece l'aspetto relativo alla opportunità di promuovere un'azione coordinata con tutti i soggetti interessati alla sicurezza, si osserva che l'articolo 7 del decreto legislativo n. 81 del 2008 ha attribuito ai Comitati regionali di coordinamento (istituiti ai sensi dell'articolo 27 decreto legislativo n. 626 del 1994) il compito fondamentale di realizzare la programmazione coordinata di intervenire in materia di salute e sicurezza nonché l'uniformità degli stessi e il necessario raccordo con il Comitato per l'indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza e la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro.
A tal proposito si precisa che competente direzione generale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha cercato di dare impulso all'attività dei comitati regionali di coordinamento anche attraverso un costante monitoraggio portato all'attenzione del comitato per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Da ultimo e più in generale, con specifico riferimento alle azioni adottate in materia di lavorazioni in «ambienti confinati», si evidenzia che - in data 3 agosto 2011 - il Consiglio dei ministri ha approvato

il regolamento recante: Norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, a norma dell'articolo 6, comma 8, lettera g) del decreto legislativo n. 81 del 2008.
Il provvedimento, fortemente voluto dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, è stato condiviso da regioni e parti sociali quale misura necessaria per scongiurare il ripetersi di incidenti - troppo frequenti negli ultimi anni (si pensi, ad esempio alle stragi sul lavoro di Mineo e Molfetta, nell'anno 2008, di Sarroch, nell'anno 2009, e di Capua, nell'anno 2010) - con connotati di particolare drammaticità e prevede che in tali contesti possano operare unicamente imprese e lavoratori in possesso di competenze professionali, formazione, informazione e addestramento adeguati al rischio delle attività da realizzare, oltre che a conoscenza delle procedure di sicurezza da applicare e in possesso di informazioni complete sui luoghi di lavoro.
Più nel dettaglio, il decreto in oggetto, che ha già ottenuto la firma del Capo dello Stato ed è attualmente in corso di pubblicazione, prevede le seguenti misure:
imposizione alle imprese e ai lavoratori autonomi, in aggiunta agli obblighi già su di essi gravanti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, dell'obbligo di procedere a specifica informazione, formazione e addestramento - oggetto di verifica di apprendimento e aggiornamento - relativamente ai rischi che sono propri degli «ambienti confinati» e alle peculiari procedure di sicurezza ed emergenza che in tali contesti debbono applicarsi; ciò con riferimento a tutto il personale impiegato, compreso il datore di lavoro;
imposizione ai datori di lavoro delle imprese e ai lavoratori autonomi dell'obbligo di possedere dispositivi di protezione individuale (esempio: maschere protettive, imbracature di sicurezza, eccetera), strumentazione e attrezzature di lavoro (esempio: rilevatori di gas, respiratori, eccetera) idonei a prevenire i rischi propri delle attività lavorative in parola e di aver effettuato, sempre in relazione a tutto il personale impiegato, attività di addestramento all'uso corretto di tali dispositivi;
obbligo di presenza di personale esperto, in percentuale non inferiore al 30 per cento della forza lavoro, con esperienza almeno triennale in attività in «ambienti confinati», assunta con contratto di lavoro subordinato o con altri committenti (in questo secondo caso, necessariamente certificati ai sensi del Titolo VIII, Capo I, del decreto legislativo n. 276 del 2003) con la necessità che il preposto, che sovrintende sul gruppo di lavoro, abbia in ogni caso tale esperienza (in modo che alla formazione e addestramento il «capo-gruppo» affianchi l'esperienza maturata in concreto);
integrale rispetto degli obblighi in materia di documento unico di regolarità contributiva (DURC) e relativi alla parte economica e normativa della contrattazione di settore, compreso il versamento dell'eventuale contributo all'ente bilaterale di riferimento;
applicazione delle regole della qualificazione non solo nei riguardi dell'impresa appaltatrice ma nei confronti di qualunque soggetto della «filiera», incluse le eventuali imprese subappaltatrici. Peraltro, il subappalto è consentito solo a condizione che sia espressamente autorizzato dal datore di lavoro committente (il quale dovrà, quindi, verificare il possesso da parte dell'impresa subappaltatrice dei requisiti di qualificazione) e che venga certificato, ai sensi del Titolo VIII, Capo I, del decreto legislativo n. 276 del 2003.

Inoltre, fatti salvi i requisiti appena riassunti, il provvedimento in parola impone che quando i lavori siano svolti attraverso lo strumento dell'appalto, debba essere garantito che:
prima dell'accesso nei luoghi di lavoro, tutti i lavoratori che verranno impiegati nelle attività (compreso, eventualmente, il datore di lavoro) siano puntualmente e dettagliatamente informati dal datore di lavoro committente di tutti i rischi che possano essere presenti nell'area di lavoro (compresi quelli legati ai precedenti utilizzi). È previsto che tale attività debba essere

svolta per un periodo sufficiente e adeguato allo scopo della medesima e, comunque, non inferiore ad un giorno;
il datore di lavoro committente individui un proprio rappresentante, adeguatamente formato, addestrato ed edotto di tutti i rischi dell'ambiente in cui debba svolgersi l'attività dell'impresa appaltatrice o dei lavoratori autonomi, che vigili sulle attività che in tali contesti si realizzino;
durante tutte le fasi delle lavorazioni in ambienti sospetti di inquinamento o «confinati» sia adottata, ed efficacemente attuata, una procedura di lavoro specificamente diretta a eliminare o ridurre al minimo i rischi propri di tali attività. Tali procedure potranno anche essere le buone prassi, in corso di approvazione da parte della Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro.

Tutto quanto sin qui esposto consente di affermare come la riforma delle regole volte a tutelare la salute e sicurezza sul lavoro abbia fornito l'Italia di un sistema di regole moderno e sistematicamente coeso, suscitando un interesse finalmente non più solo specialistico sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, a sua volta importante punto di partenza per l'abbattimento del numero e della gravità degli infortuni e, quindi, delle sofferenze umane e dei danni sociali che simili eventi determinano.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

PINI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i rapporti con le regioni e coesione territoriale. - Per sapere - premesso che:
con sentenza n. 182 - anno 2006 - della Corte costituzionale, è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'articolo 105, comma 3, della legge della regione Toscana 3 gennaio 2005, n. 1, «Norme per il governo del territorio» nella parte in cui non dispone che, per gli interventi in zona sismica, non si possono iniziare lavori senza preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della regione;
il principale motivo addotto a fondamento della decisione presa dalla Corte, è costituito dall'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia» laddove prevede l'autorizzazione regionale esplicita (il principio, in linea generale era peraltro già contenuto nell'articolo 18 della legge 2 febbraio 1974, n. 64), ravvisando in ciò la precisa volontà del legislatore, di esigere «una vigilanza assidua sulle costruzioni riguardo al rischio sismico, attesa la rilevanza del bene protetto, che trascende anche l'ambito della disciplina del territorio, per attingere a valori di tutela dell'incolumità pubblica che fanno capo alla materia della protezione civile, in cui ugualmente compete allo Stato la determinazione dei principi fondamentali»;
l'obbiettivo della norma, cioè volontà di una «vigilanza assidua» riguardo al rischio sismico, viene esplicato non solo con riguardo all'autorizzazione sismica che rappresenta la fase propedeutica all'esecuzione delle opere (articolo 18 della legge 2 febbraio 1974 n. 64; articolo 94 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380), ma anche nelle fasi decisive di esecuzione (articolo 29 della legge 2 febbraio 1974 n. 64; articolo 103 del decreto del Presidente della Repubblica del 6 giugno 2001 n. 380) e di controllo al termine dei lavori (articolo 28 della legge 2 febbraio 1974 n. 64; articolo 62 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380). La cosa non desta sorpresa, in considerazione del fatto che un controllo sistematico sui progetti potrebbe essere integralmente vanificato da un esecuzione difforme posto che il legislatore, tanto nell'ambito della legge 2 febbraio 1974 n. 64, quanto nell'ambito del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380, ai fini di una concreta prevenzione nei confronti del rischio sismico, ha chiaramente inteso porre

la responsabilità in capo al dirigente del servizio competente della regione, ad un livello di equipollenza con quella in capo al progettista e al direttore lavori, nel momento in cui precisa che la vigilanza si esplica nel controllo da parte dei funzionari regionali affinché i lavori procedano conformemente alle norme;
il contenuto dell'articolo 28 della legge 2 febbraio 1974 n. 64, e quello del corrispondente articolo 62 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, lasciano chiaramente intendere che la volontà del legislatore sia quella che, da parte della regione, sulle costruzioni in zona sismica, vi sia un controllo assiduo fino a costruzione finita e che le responsabilità dell'ufficio tecnico della regione si concludano con il rilascio del prescritto «certificato che attesti la perfetta rispondenza delle opere alle norme»;
all'articolo 19 la legge della regione Emilia Romagna 30 ottobre 2008, n. 19 «NORME PER LA RIDUZIONE DEL RISCHIO SISMICO» recita: «Art. 19
Collaudo statico:
1. Per tutti gli interventi edilizi di cui all'articolo 9, comma 1, ad esclusione degli interventi di riparazione o interventi locali che interessano elementi isolati, è necessario effettuare il collaudo statico volto ad accertare che la realizzazione degli interventi avvenga in conformità a quanto previsto nel progetto. Con apposito atto di indirizzo la Giunta regionale può individuare altri interventi edilizi esclusi dal collaudo. Il collaudo statico va normalmente eseguito in corso d'opera tranne casi particolari in cui tutti gli elementi portanti principali siano ancora ispezionabili, controllabili e collaudabili ad opere ultimate.
2. Contestualmente all'istanza di autorizzazione, di cui all'articolo 12, ed alla denuncia di deposito, di cui all'articolo 13, il committente è tenuto a presentare l'atto di nomina del collaudatore scelto e la dichiarazione di accettazione dell'incarico.
3. Completate le opere strutturali il direttore dei lavori ne dà comunicazione alla struttura tecnica competente in materia sismica ed al collaudatore, che nei sessanta giorni successivi provvede a depositare il certificato di collaudo statico presso la struttura competente.
4. Il deposito del certificato di collaudo statico tiene luogo anche del certificato di rispondenza dell'opera alle norme tecniche per le costruzioni previsto all'articolo 62 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001. Negli interventi in cui il certificato di collaudo non è richiesto, la rispondenza è attestata dal direttore dei lavori che provvede al relativo deposito presso la struttura tecnica competente.
5. Il collaudo viene effettuato da professionisti o da altri soggetti abilitati dalla normativa vigente, diversi dal progettista e dal direttore dei lavori e non collegati professionalmente, in modo diretto o indiretto, al costruttore»;
tenuto conto di quanto sopra, rilevato che il collaudatore è nominato e pagato dal committente e pertanto non è «giudice distante», ad avviso dell'interrogante, è di dubbia legittimità costituzionale il punto 4 evidenziato, per la violazione dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, sulla base delle stesse identiche motivazioni addotte a fondamento della richiamata sentenza n. 182/2006 della Corte costituzionale;
la rilevanza di questo punto di norma appare cruciale in considerazione della frequenza con la quale vengono rilevate difformità esecutive nel campo dell'edilizia. Sembrerebbe inopportuno vanificare il controllo sistematico dei progetti, con la perdita di conoscenza di ciò che succede in fase esecutiva;
il collaudatore non è terzo ed è pagato dal committente. Il caso dell'ingegner Migliacci sul Palacongressi di Rimini appare emblematico. Si è visto cosa il collaudatore aveva dichiarato al fine di consentire l'apertura del palacongressi di Rimini. Solamente l'intervento della magistratura,

conseguente ad un preciso esposto, ha consentito che non venisse utilizzato un edificio realizzato in contrasto con le norme volte alla tutela della pubblica incolumità;
se il certificato di conformità ex articolo 62 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380, per legge di competenza delle regioni, viene delegato ad un privato pagato dal committente, vengono meno tutte le garanzie per la pubblica incolumità sancite dalla legge;
se la sentenza n. 182/2006 ha sancito che l'autorizzazione da rilasciarsi da parte dell'ufficio tecnico regionale non può essere sostituita con l'asseverazione di un tecnico, parimenti o a maggior ragione, il certificato di conformità ex articolo 62 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, non può essere surrogato da un certificato di collaudo redatto da un tecnico di parte pagato dal committente -:
per quali ragioni, alla luce di quanto riportato in premessa, non sia stato a suo tempo promosso il giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 19 della legge della regione Emilia Romagna 30 ottobre 2008, n. 19, nel punto in cui dispone che «il deposito del certificato di collaudo statico tiene luogo anche del certificato di rispondenza dell'opera alle norme tecniche per le costruzioni previsto all'articolo 62 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, considerato che, con tale disposto, il compito di operare il controllo finale di conformità delle opere, attribuito per legge alla regione, viene delegato a un tecnico pagato dalla proprietà e che il controllo della correttezza dei progetti (autorizzazione sismica) potrebbe essere integralmente vanificato da un'esecuzione difforme dal progetto, con grave pericolo per la pubblica incolumità come rivelato dal caso del palacongressi di Rimini.
(4-13170)

Risposta. - In riferimento all'interrogazione in esame si rappresenta quanto segue.
Il merito dell'interrogazione verte sui motivi che, a suo tempo, non hanno indotto a promuovere il giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 19 della legge della regione Emilia-Romagna 30 ottobre 2008, n. 19, nel punto in cui dispone che «il certificato di collaudo statico tiene luogo anche del certificato di rispondenza dell'opera alle norme tecniche per le costruzioni previsto dall'articolo 62 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001».
Al riguardo si rappresenta che, nel corso dell'esame istruttorio della suindicata legge della regione Emilia-Romagna, i competenti Ministeri ed Amministrazioni (beni ed attività culturali, infrastrutture e trasporti, economia e finanze e Dipartimento protezione civile) non avevano rilevato motivi di illegittimità costituzionale ed il Governo, condividendo tali posizioni, aveva deliberato la non impugnazione della legge regionale in questione.

Il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale: Raffaele Fitto.

PISICCHIO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
con circolare n. 131 del 28 dicembre 2009, l'I.N.P.S. ha illustrato il nuovo processo sull'invalidità civile;
l'articolo 20 del decreto-legge n. 78 del 2009 convertito con modificazione nella legge n. 102 del 3 agosto 2009 - ha ridisciplinato il processo per la invalidità civile;
a decorrere dal 1° gennaio 2010 le domande volte ad ottenere i benefici in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, corredate di certificazione medica attestante la natura delle infermità invalidanti, devono essere inoltrate all'Istituto nazionale della previdenza sociale esclusivamente tramite via telematica;
contestualmente alla domanda di avvenuta ricezione la procedura propone l'agenda

degli appuntamenti disponibili presso la Asl corrispondente al Cap di residenza;
il cittadino anche per il tramite di soggetti abilitati potrà indicare una data di visita diversa da quella proposta scegliendola tra le ulteriori date indicate dal sistema, e comunque:
a) entro trenta giorni dalla data di presentazione della domanda per l'effettuazione delle visite ordinarie;
b) entro 15 giorni, in caso di patologia oncologica ai sensi dell'articolo 6 della legge n. 80 del 2006 o per patologia ricompresa nel decreto ministeriale del 2 agosto 2007;
qualora non sia possibile fissare la visita entro l'arco temporale massimo, a causa dell'indisponibilità di date nell'agenda, la procedura può attribuire date successive al predetto limite, oppure registrare la domanda e riservarsi di definire in seguito la prenotazione. Una volta definita la data di convocazione l'invito a visita sarà comunicato con lettera raccomandata a/r all'indirizzo indicato nella domanda e alla domanda eventualmente comunicata;
quanto summenzionato, disposto dalla nuova normativa, viene regolarmente disatteso dall'istituto, divenuto unico responsabile in tema di domanda di invalidità civile;
tali violazioni sono evidenti, e creano notevoli disagi al cittadino che attende dei mesi prima di ricevere la comunicazione di convocazione alla visita;
a ciò si aggiunga che i soggetti interessati versano per lo più in situazioni precarie sia dal punto di vista fisico che economico, e che pertanto il beneficio assistenziale richiesto diviene essenziale per il loro sostentamento;
tale disagio è molto evidente in Puglia, ove ci sono circa 40.000 pratiche di invalidità di cittadini pugliesi sospese;
quanto sta accadendo si pone in contrasto non solo con l'intento del legislatore ma anche con i diritti dei cittadini: il beneficio assistenziale per la sua natura infatti non sortisce alcun effetto se riconosciuto con enorme ritardo, con grave nocumento per il cittadino che vive già in uno stato di difficoltà -:
quali urgenti iniziative i Ministri interrogati ritengano di assumere per assicurare che sia pienamente applicata la normativa in materia senza violare i diritti dei cittadini inabili, previsti dalle vigenti leggi in materia di invalidità e dalla Costituzione.
(4-12138)

Risposta. - Con riferimento alla interrogazione in esame, concernente il nuovo procedimento di riconoscimento dell'invalidità civile adottato ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n. 78 del 2009, sulla base delle informazioni acquisite presso i competenti uffici dell'INPS, si rappresenta quanto segue.
L'articolo 20 del decreto-legge n. 78 del 2009 (convertito dalla legge 102 del 2009), ha disciplinato il riordino e la semplificazione complessiva del procedimento

di concessione delle prestazioni in favore degli invalidi civili e minorati civili.
Il nuovo procedimento prevede che il riconoscimento dei benefici in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità avvenga con il diretto coinvolgimento dell'INPS, attraverso l'integrazione della commissione medica delle aziende sanitarie locali (ASL) con un medico dell'istituto, al fine di realizzare una gestione coordinata delle fasi sanitaria ed amministrativa, nella prospettiva di garantire ai cittadini maggiore trasparenza. All'INPS spetta, in ogni caso, il compito di accertare in via definitiva la sussistenza dei requisiti che possono dare luogo ai benefici di legge.
Inoltre all'Istituto è stata assegnata la funzione di verificare la permanenza dei requisiti sanitari che hanno dato luogo alla concessione dei benefici economici.
Per gestire il nuovo flusso procedurale, l'INPS ha sviluppato un'apposita applicazione

informatica idonea a gestire in via telematica l'intero iter che, a partire dal 1o gennaio 2010, è stata messa a disposizione di tutti i soggetti coinvolti (cittadini, patronati, associazioni di categoria, medici certificatori, ASL, personale sanitario e amministrativo dell'istituto).
Il cittadino che intende presentare domanda di accertamento per il riconoscimento dell'invalidità civile deve preliminarmente recarsi presso un medico abilitato alla compilazione e alla trasmissione telematica del certificato introduttivo che attesti le infermità invalidanti.
In seguito all'acquisizione del certificato, il sistema genera una ricevuta che il medico provvede a consegnare al cittadino; tale ricevuta riporta il numero del certificato che deve essere indicato sulla domanda di accertamento per l'abbinamento informatico dei due documenti.
Il procedimento prosegue, quindi, con la presentazione, sempre in via telematica, della domanda di accertamento da parte dell'interessato, direttamente tramite il PIN rilasciato dall'istituto o con l'assistenza dei patronati o delle associazioni di categoria dei disabili.
La seconda fase del procedimento, che consiste nell'accertamento sanitario da parte della commissione medica dell'ASL integrata da un medico dell'INPS, prende avvio con la convocazione a visita del cittadino innanzi a tale commissione. A tal proposito, l'istituto ha fatto sapere che la calendarizzazione delle visite è di esclusiva pertinenza delle ASL mentre l'Inps gestisce direttamente solo le visite di soggetti con patologie oncologiche per le quali la data viene fissata entro un tempo massimo di 15 giorni, ai sensi dell'articolo 6 del decreto-legge n. 4 del 2006.
Dopo un primo periodo di applicazione del nuovo procedimento di riconoscimento dell'invalidità, l'INPS, alla luce dei risultati conseguiti, ha ritenuto necessario adottare significativi interventi per il miglioramento e la razionalizzazione degli aspetti organizzativi, informatici e medico-legali dell'intera procedura.
In particolare, le difficoltà connesse all'avvio del nuovo processo sono per lo più riconducibili all'eterogeneità della materia, delle diverse tipologie assistenziali, delle distinte organizzazioni territoriali delle ASL e del
modus operandi delle stesse, nonché all'elevato numero di interlocutori e soggetti esterni coinvolti. Pur essendo state realizzate nei confronti delle ASL numerose iniziative di sensibilizzazione, di coinvolgimento e di supporto tecnico-informatico permangono sul territorio, anche se in modo disomogeneo, situazioni di difficoltà connesse allo scarso utilizzo da parte delle stesse aziende sanitarie dell'applicativo gestionale informatico, che governa in modalità integrata l'intero processo. In tale contesto si è evidenziata una situazione di diffusa criticità riferita in particolare allo svolgimento dell'iter procedimentale previsto per la revisione dello stato invalidante, in quanto l'elevato numero di verbali che le ASL continuano a redigere in forma cartacea, impone ai centri medico legale dell'INPS di effettuare manualmente tutti gli adempimenti comportando spesso una dilatazione dei tempi di definizione delle pratiche.
In particolare mentre è ad oggi pienamente utilizzabile la modalità telematica per la presentazione delle domande e per la definizione amministrativa delle stesse, l'accertamento sanitario presso le aziende sanitarie locali risulta invece essere sostanzialmente ancora cartaceo.
L'indisponibilità di un flusso interamente telematico determina, evidentemente, difficoltà nel monitorare e nel definire tempestivamente le diverse sottofasi del procedimento di accertamento dei benefici.
L'INPS ha comunicato che le iniziali difficoltà emerse all'avvio delle nuove modalità di accertamento e verifica troveranno adeguata soluzione grazie alla progressiva estensione della procedura telematizzata. In ogni caso, il termine di 120 giorni per la conclusione del procedimento, dalla data di presentazione dell'istanza, è un obiettivo fortemente sentito e perseguito dall'istituto, che ha garantito che verranno poste in essere tutte le opportune iniziative affinché sia effettivamente realizzata una contrazione

dei tempi procedurali. In particolare il direttore generale dell'INPS con i messaggi n. 2036 del 28 gennaio 2011 e n. 2886 del 4 febbraio 2011, ha introdotto alcune innovazioni tese a snellire il procedimento senza impoverire i controlli.
È utile ricordare che qualora l'INPS non si pronunci nel termine di 60 giorni dal ricevimento del verbale trasmesso dall'ASL competente, tale verbale acquista carattere definitivo relativamente all'esito dell'accertamento in esso contenuto (ai sensi dell'articolo 1, comma 7, della legge 295 del 1990).
Relativamente alla regione Puglia l'Inps ha comunicato che, nel 2010, il tempo medio impiegato per la liquidazione dei benefici è stato di 220 giorni - a fronte di 13.724 prestazioni economiche richieste - mentre nel corrente anno, a fronte di 1.458 prestazioni economiche richieste sino al 19 luglio 2011, si è realizzato un dimezzamento di tale tempo che è pari a 103 giorni.
Da ultimo vale la pena di evidenziare che l'articolo 18, comma 22, del decreto-legge 98 del 2011, convertito dalla legge 111 del 2011, con l'obiettivo di assicurare maggiore omogeneità e snellezza a tutto il procedimento, ha introdotto la possibilità per le regioni di stipulare, anche in deroga alla normativa vigente, specifiche convenzioni con l'INPS per l'affidamento all'istituto delle funzioni relative all'accertamento dei requisiti sanitari.
In conclusione, fermo restando che in qualità di autorità vigilante il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha agito e agirà nei confronti dell'Inps per migliorare le
performance del sistema informativo, devo sottolineare che molte delle difficoltà operative lamentate discendono dalla struttura dei sistemi informativi delle ASL e delle autonomie locali, sui cui assetti organizzativi il Governo non può esercitare alcun potere di intervento, bensì una mera moral suasion, nell'ottica della leale collaborazione istituzionale.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Nello Musumeci.

POLLEDRI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
la TNT è una multinazionale che opera a livello mondiale fornendo servizi espressi alle imprese e ai consumatori, con filiali nelle principali città italiane tra cui Piacenza;
attualmente la TNT di Le Mose, Piacenza, è al centro dell'attenzione del mondo del lavoro per la protesta di un centinaio di dipendenti di due cooperative locali che hanno appaltato i servizi della TNT, per irregolarità nel rapporto di lavoro e minacce di licenziamento;
in particolare parrebbe che a seguito di proteste sia stato consentito l'accesso al lavoro soltanto a quelli che non avevano protestato, nonostante questi ultimi avessero contratti a tempo determinato;
per di più pare sia sempre più diffuso il fenomeno del caporalato e del pagamento a nero al fine di aggirare gli obblighi contributivi;
il personale regolare è costituito in gran parte da immigrati con permesso di soggiorno temporaneo, remunerati con paghe bassissime;
le cooperative spesso fanno contratti di lavoro ad immigrati per consentirgli di regolarizzare la loro posizione;
alcune cooperative mettono dei limiti sul monte ore globale e non concedono pertanto lavoro straordinario;
la vicenda della TNT rispecchia una situazione generale di aziende appaltanti che traggono vantaggio dalle tariffe più basse offerte dalle cooperative, le quali, sfruttando i lavoratori e pagandoli con salari bassi, riescono a fornire un servizio a prezzi competitivi rispetto alle aziende regolari;
né l'autorità giudiziaria, né gli specifici organismi di controllo, quali l'INPS e l'INAIL, sembra abbiano mai effettuato opportuni

sopralluoghi o indagini per verificare quale sia la situazione reale -:
quali provvedimenti necessari e urgenti intendano assumere al riguardo a quanto rappresentato in premessa con particolare riferimento al comportamento delle cooperative stesse che stipulano contratti a bassissimo costo a immigrati per consentirne la regolarizzazione e quale vantaggio ne traggono le cooperative medesime;
se una tale politica di salari bassi non scoraggi l'occupazione dei lavoratori italiani.
(4-12816)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame con cui si chiede quali provvedimenti si intendano assumere al fine di porre rimedio alle gravi condizioni di lavoro dei dipendenti della TNT, sede di Le Mose (Piacenza), si rappresenta quanto segue.
Il territorio di Piacenza è sede di rilevanti insediamenti industriali relativi al settore «logistica» dove, in genere, le aziende ricorrono all'
outsourcing, esternalizzando sia le fasi di trasporto merci, sia quelle di movimentazione (trattasi prevalentemente di cooperative di facchinaggio costituite ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1970.
Tra le aziende di spedizione rientra la società TNT che è stata oggetto di interesse dei media per la rilevanza delle proteste dei lavoratori delle cooperative appaltatrici dei servizi di movimentazione merci e di facchinaggio del deposito di Piacenza.
Nel corso del mese di luglio 2011, per oltre una settimana, davanti ai cancelli dello stabilimento TNT sito nei pressi di Piacenza, in località di Le Mose, hanno scioperato e manifestato oltre un centinaio di lavoratori, per lo più stranieri con regolare permesso di soggiorno impiegati come facchini dalle cooperative operanti all'interno di quello stabilimento, causando anche un breve blocco delle merci.
Precedentemente, nel corso del 2007, la direzione provinciale del lavoro di Piacenza ha effettuato un accesso notturno nel polo logistico per verificare la posizione di TNT e delle cooperative di facchinaggio appaltatrici; le indagini sono proseguite con la collaborazione delle sedi provinciali INPS ed INAIL e, a causa della complessità dell'accertamento implicante una decina di cooperative, è stato possibile pervenire a conclusione solo nell'anno successivo.
Nel 2008, infatti, sono stati redatti i verbali ispettivi, uno per ciascuna cooperativa, notificati anche a TNT come obbligato solidale per il versamento dei contributi evasi. Per due casi, con implicazioni anche penali, l'accertamento è stato definito nel 2010. Nell'occasione sono stati contestati brevi periodi di lavoro nero, mancato rispetto del contratto per maggiorazione lavoro notturno, straordinari non pagati o pagati a titolo di trasferta.
Una cooperativa è stata denunciata alla procura della Repubblica dal Nucleo dei carabinieri presso la direzione provinciale del lavoro per truffa ai danni dell'INPS, in quanto è emerso che, per ridurre al minimo la contribuzione mensilmente dovuta, la cooperativa poneva illecitamente a conguaglio ogni mese circa 20.000 euro a titolo di assegni familiari, che non sono risultati dovuti e nemmeno registrati a libro paga.
I periodi oggetto delle verifiche, diversi da una cooperativa all'altra in relazione alla durata del rispettivo appalto, coprono l'arco temporale che va da giugno 2006 a dicembre 2009 e, complessivamente, sono stati addebitati alle varie cooperative 350.000 euro di contributi, richiesti a TNT per l'intero, quale obbligato in solido.
Attualmente, risultano operanti due cooperative assegnatarie di appalti da parte del consorzio Gesconet con l'occupazione di circa 400 addetti.
Si segnala, inoltre, che la competente sede INPS è parte attiva del tavolo interistituzionale per la regolarità, sicurezza e qualità del lavoro, coordinato dalla provincia di Piacenza, a cui partecipano le istituzioni locali e le amministrazioni periferiche dello Stato unitamente alle parti sociali, nel cui ambito è stata esaminata la situazione determinatasi nel polo logistico piacentino e deflagrata nel corso dell'estate.
Sotto il profilo dei controlli, si rappresenta che la sede INAIL di Piacenza è da tempo

attenta al contrasto del fenomeno delle irregolarità negli appalti di movimentazione merci, che determinano riduzioni delle tutele dei lavoratori nelle cooperative di facchinaggio, attivando anche specifici piani operativi per il territorio di competenza.
La vicenda, inizialmente seguita dai sindacati di base, ha attirato l'attenzione di tutti i sindacati e delle istituzioni, comprese le associazioni di categoria degli imprenditori, per la gravità delle condizioni di lavoro denunciate dai manifestanti: retribuzioni insufficienti, orari eccessivi, addirittura percosse e fenomeni di caporalato ai danni di lavoratori ancor più ricattabili perché a rischio di perdere il permesso di soggiorno in mancanza di un'occupazione.
La vertenza è stata attivamente seguita dalle istituzioni ed, in particolare, dall'assessore al lavoro della provincia, dall'assessore ai lavori pubblici del comune di Piacenza, dalla prefettura ed anche dal Governo con l'intervento del Sottosegretario alla logistica e ai trasporti del Ministero dello sviluppo economico.
La situazione si è tuttavia risolta con l'accordo siglato dalle cooperative il 27 luglio 2011, nel quale si concorda sulla necessaria applicazione integrale delle norme e del contratto collettivo di categoria. La direzione territoriale del lavoro di Piacenza ha rappresentato che le istituzioni sono state molto compatte nel condannare ogni pratica di sfruttamento del lavoro irregolare, anche per le ripercussioni sulla società e nel chiedere controlli più severi sul settore - che la stessa DTL non mancherà di effettuare - prioritariamente sulle aziende che affidano lavorazioni ad un prezzo troppo basso per coprire il costo del lavoro.
Conclusivamente, si osserva che il Governo ha già manifestato interesse per la questione segnalata dall'interrogante, la quale ha già costituito oggetto di azioni di ripristino della legalità delle condizioni di lavoro.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

PORFIDIA. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
da quanto si apprende dagli organi di stampa una bimba è nata invalida agli Ospedali Riuniti di Bergamo il 30 gennaio 2010 dopo una presunta lite tra due dottoresse. Le due dottoresse non erano d'accordo sul procedere o meno col cesareo ed avrebbero così - a detta del padre della piccola, Saimir Zekaj (38 anni, operaio albanese da 16 anni in Italia occupato all'inceneritore di Dalmine) lasciato la donna due giorni in sala travaglio con dolori fortissimi;
solo i medici arrivati al turno successivo hanno optato per il cesareo. Ma quando la bimba è nata la madre Albana aveva l'utero lacerato: si è scoperto che la bimba non pesava 3 chili e 800 grammi come dicevano le visite, ma quattro chili e mezzo. La rottura dell'utero ha provocato un'emorragia interna che ha sottratto sangue e ossigeno alla bimba, che è nata senza dare segni di vita ed è stata salvata solo da un'attività di rianimazione. Il parto è avvenuto in gennaio, ma la piccola Samanta è uscita dall'ospedale solo pochi giorni fa;
Samanta è uscita da pochi giorni dall'ospedale di Bosisio Parini (Lecco), dov'è stata ricoverata dopo la permanenza agli Ospedali Riuniti e le sue condizioni di salute sono compromesse. La madre soffre invece di una lesione all'utero che non le consentirà di avere altri bambini;
il padre ha rilasciato le seguenti dichiarazioni: «Hanno lasciato mia moglie da sola per due giorni in sala travaglio, limitandosi a dirle di spingere - spiega -. Abbiamo anche assistito a una discussione tra due dottoresse; una invitava a fare il cesareo, l'altra no. Finché è cambiato il turno e altri medici hanno optato per il cesareo. Ma ormai era tardi: mia moglie aveva l'utero lacerato e la bambina è nata con gravissimi problemi»;
le ecografie effettuate in gravidanza non avevano evidenziato anomalie. La bimba, secondo gli esami, era sana. Dal momento

della nascita, invece, è invalida al 95 per cento. Samanta è cieca, viene nutrita attraverso un sondino e ha bisogno che qualcuno le aspiri il muco, altrimenti rischia di soffocare. Quando è nata, la bimba non dava segni di vita: i medici l'hanno rianimata, ma le facoltà neurologiche erano purtroppo ormai compromesse;
i primi dolori per Albana Zekaj si erano manifestati il 28 gennaio 2010 e gli esami avevano dato esito positivo, ma nonostante le doglie e le induzioni al parto, la piccola non nasceva. Successivamente, è stata fatta un'ecografia, secondo cui il feto pesava 3 chili e 800 grammi. La bimba è nata di 4 chili e mezzo. Un altro errore, secondo il padre della piccola, commesso dai medici prima del parto;
l'ospedale di Bergamo ha smentito la versione del signor Zekaj; «La signora è stata ricoverata nella serata del 28 gennaio e assistita correttamente per tutta la degenza - si legge in una nota -. Le ecografie e i monitoraggi dei parametri fetali hanno evidenziano una situazione regolare sia per il feto che per l'andamento del travaglio. Il monitoraggio ha evidenziato sofferenza fetale alle ore 20.00 del 30 gennaio e il medico di guardia ha deciso per un cesareo in emergenza. Ottenuto il consenso della donna, che in un primo momento si era opposta all'intervento, i medici hanno proceduto all'operazione e alle 21,00 la bambina è nata gravemente asfittica»;
la procura di Bergamo ha aperto un fascicolo a carico di ignoti con l'ipotesi di lesioni colpose gravi che dovrà ora accertare quanto denunciato;
i genitori di Samanta si sono rivolti a un avvocato per la richiesta di un risarcimento;
negli ultimi mesi casi simili si sono avuti in altri ospedali della penisola, con gravi danni per i pazienti -:
se il Ministro sia a conoscenza dell'accaduto e se non ritenga opportuno assumere iniziative al fine di fare piena luce sui fatti;
se non ritenga altresì opportuno promuovere l'elaborazione di specifiche raccomandazioni a livello nazionale affinché certi episodi non abbiano più a ripetersi.
(4-08888)

Risposta. - In merito alla vicenda segnalata nell'interrogazione parlamentare in esame, la Prefettura - Ufficio territoriale del Governo di Bergamo ha comunicato che sull'episodio sono in corso accertamenti da parte dell'autorità giudiziaria (procedimento penale n. 1314/10-44 a carico di ignoti).
Dalla documentazione acquisita a cura della citata prefettura, risulta che l'azienda ospedaliera «Ospedali Riuniti» di Bergamo ha diramato un comunicato stampa in merito all'evento del 30 gennaio 2010, smentendo «che si sia mai verificato un litigio tra coloro che hanno assistito la paziente».
Il comunicato precisa che la paziente «è stata ricoverata nella serata del 28 gennaio e assistita correttamente per tutta la degenza. Le ecografie e i costanti monitoraggi dei parametri fetali hanno evidenziato una situazione regolare sia per il feto che per l'andamento del travaglio. Il monitoraggio, eseguito in continuo, alle ore 20 del 30 gennaio 2010 ha evidenziato sofferenza fetale e il medico di guardia ha deciso per un cesareo in emergenza».
Il direttore generale dell'azienda ospedaliera «Ospedali Riuniti» ha segnalato che: «Alla luce delle prime indagini svolte dalla direzione dell'azienda ed in base alle testimonianze raccolte da tutti gli interessati siamo stati in grado di smentire che l'evento, purtroppo realmente accaduto, fosse imputabile ad un diverbio tra medici avvenuto in sala operatoria».
Lo stesso direttore generale ha attivato una commissione di indagine interna, con il compito di «verificare la regolarità delle procedure organizzative poste in essere in tale occasione, escludendo qualsiasi verifica delle responsabilità personali in quanto di competenza della Procura della Repubblica».
In considerazione delle indagini giudiziarie attualmente in corso, questo Ministero

ritiene, allo stato, di non dover avviare specifiche iniziative.
Il Ministero della salute ha predisposto le «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo», che sono state adottate con l'accordo Stato-regioni del 16 dicembre 2010.
Tale documento propone un programma nazionale, articolato in 10 linee di azione, da avviare congiuntamente a livello nazionale, regionale e locale, qui di seguito elencate:
1) Misure di politica sanitaria e di accreditamento;
2) Carta dei Servizi per il percorso nascita;
3) Integrazione territorio-ospedale;
4) Sviluppo di linee guida sulla gravidanza fisiologica e sul taglio cesareo da parte del Sistema nazionale delle linee guida dell'Istituto superiore di sanità (Snlg-Iss);
5) Programma di implementazione delle linee guida;
6) Elaborazione, diffusione ed implementazione di raccomandazioni e strumenti per la sicurezza del percorso nascita;
7) Procedure di controllo del dolore nel corso del travaglio e del parto;
8) Formazione degli operatori;
9) Monitoraggio e verifica delle attività;
10) Istituzione di una funzione di coordinamento permanente per il percorso nascita.

Con riguardo, poi, al cennato Snlg-Iss, si specifica che questo è attivo presso l'Istituto superiore di sanità ed è, in parte, finanziato dal Ministero della salute ed elabora raccomandazioni di comportamento, messe a punto mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni di esperti, che possono essere utilizzate come strumento per medici e amministratori sanitari per migliorare la qualità dell'assistenza e razionalizzare l'utilizzo delle risorse.
In tale ambito, sono state predisposte ed adottate linee guida riferite al taglio cesareo visto anche come scelta consapevole, ed in questi giorni sono in corso di pubblicazione le linee guida riferite all'assistenza alla gravidanza fisiologica.

Il Ministro della salute: Ferruccio Fazio.

PORFIDIA. - Al Ministro dell'interno, al Ministro per i rapporti con le regioni e coesione territoriale. - Per sapere - premesso che:
in data 5 maggio 2010 l'ex Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali, soppressa con il decreto-legge n. 78 del 2010, ha sottoscritto un accordo sindacale per disciplinare le modalità di espletamento del corso SEFA (accesso fascia A del contratto collettivo nazionale di lavoro). Detto accordo, all'articolo 1, prevede che i partecipanti al corso, prima del colloquio finale, devono sostenere in aula una prova scritta articolata in quattro prove teorico pratiche collegate a ciascun modulo;
nonostante il predetto accordo, la Scuola superiore per la pubblica amministrazione locale (Sspal), articolazione della ex Agenzia, ha provveduto - autonomamente - a prevedere ben 8 prove scritte (due per ogni modulo), assegnando il tempo massimo di complessive 8 ore;
il corso di cui trattasi si è svolto presso la Scuola superiore dell'amministrazione dell'interno (Ssai) con sede a Roma alla via Veientana, 346;
i segretari comunali ammessi sono stati organizzati in n. 3 gruppi di circa 60 persone, che hanno partecipato alla fase residenziale una settimana al mese per singolo gruppo, a partire da gennaio 2011, fino al mese di aprile 2011. Il corso è stato

articolato in n. 4 moduli, uno per settimana, distribuiti mensilmente da gennaio ad aprile;
al termine della fase residenziale, e precisamente il giorno 27 giugno 2011, si sono tenute presso l'Hotel Ergife di Roma le prove scritte;
in considerazione dei quesiti proposti, dell'aggravio delle 8 prove scritte (su 4 concordate con le organizzazioni sindacali) e del limitato tempo a disposizione, emergerebbero alcune perplessità in ordine alla strutturazione del corso e all'articolazione delle prove;
il procedimento è in itinere pertanto non è dato conoscere il numero degli ammessi alla prova orale, ma da una stima degli interessati si presume siano circa 60 gli idonei su oltre 200 partecipanti iniziali, di cui solo 168 ammessi agli scritti;
a quanto consta all'interrogante, la Scuola superiore per la pubblica amministrazione locale ha ritenuto di costituire la commissione d'esame con un segretario generale presidente, un vice prefetto ed un componente esterno, tutti incaricati della docenza per il medesimo corso;
inoltre, la Scuola superiore per la pubblica amministrazione locale a fine anno 2010 risulta che abbia attivato un master Academy segretari presso l'università Bocconi di Milano, ammettendo n. 54 segretari con spese a carico della stessa Scuola, ivi compreso vitto e alloggio;
tra i discenti di detto master spiccherebbero i nomi di coloro che nel predetto corso SEFA 2010 hanno assunto le funzioni di docenza. Dal regolamento del master si evince che i partecipanti non saranno sottoposti a 8 prove scritte in 8 ore, ma dovranno presentare un mero progetto da elaborare presso la struttura in cui operano. Inoltre, sempre tra i discenti del master, comparirebbe un segretario generale, docente e responsabile di un modulo didattico del corso SEFA e incaricato anche di docenza proprio presso l'università Bocconi;
da ultimo, considerato che il Ministero dell'interno è dotato di una propria struttura per la formazione del personale, e precisamente la Scuola superiore dell'amministrazione dell'interno (Ssai), non si comprende, a giudizio dell'interrogante, quali siano i motivi che inducano a mantenere in essere un'ulteriore struttura, quale la Scuola superiore per la pubblica amministrazione locale, ancor più a seguito del passaggio dei segretari comunali e provinciali nel ruolo del Ministero dell'interno ai sensi del decreto-legge n. 78 del 2010 -:
se non si ritenga opportuno verificare la sussistenza di elementi d'incompatibilità e/o conflitti d'interessi riguardanti i commissari d'esame e quali eventuali iniziative si intendano assumere a tutela dell'imparzialità e del buon andamento dell'attività della Scuola superiore per la pubblica amministrazione locale e del corretto svolgimento del corso SEFA 2010;
per quali ragioni e a seguito di quali procedure di selezione la Scuola superiore per la pubblica amministrazione locale abbia concordato il master Academy segretari con l'università Bocconi di Milano;
per quali motivi, in relazione al master, non sia stata prevista nessuna valutazione finale (ovvero 8 prove scritte in 8 ore) e per quali ragioni, sul piano logistico, non si sia usufruito della sede della Scuola superiore dell'amministrazione dell'interno (Ssai) di via Veientana in Roma.
(4-12923)

Risposta. - L'articolo 4, lettera f) del vigente contratto collettivo nazionale del lavoro dei segretari comunali e provinciali, sottoscritto in data 16 maggio 2011, demanda alla contrattazione collettiva decentrata integrativa di livello nazionale la materia relativa ai «criteri per la definizione delle modalità di svolgimento e partecipazione ai corsi per l'accesso e la progressione in carriera, l'aggiornamento e la specializzazione».
Il decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 2008, n. 27, stabilisce,

all'articolo 3, comma 4, lettera b) che sono demandati al comitato tecnico scientifico della Scuola superiore per la pubblica amministrazione locale (SSPAL) la definizione dei piani di studio per i corsi di abilitazione e formazione, nonché la definizione dei criteri e delle modalità di svolgimento delle prove d'esame.
Con deliberazione n. 14 del 3 agosto 2010 il Cts, partendo da quanto stabilito in sede di contrattazione decentrata, ha provveduto a definire i criteri e le modalità d'esame dei corsi di specializzazione per l'idoneità a segretario generale (Spe.S) e a segretario generale di fascia A (Se.FA) del 2010.
Gli indirizzi definiti sono stati recepiti dal regolamento del corso Se.Fa, approvato con decisione n. 156 del 5 agosto 2010.
Alla luce di quanto esposto, la scuola si è mossa in piena sintonia con quanto concordato in sede di contrattazione collettiva decentrata e con quanto legittimamente deciso dal Cts.
Si segnala, inoltre, che il superamento dell'esame finale determina un significativo avanzamento di carriera e consente ai segretari di svolgere l'incarico presso enti più complessi.
In merito alla composizione della commissione esaminatrice, si fa presente che la scelta della scuola di utilizzare i docenti che abbiano insegnato nel corso di riferimento è stata fatta soprattutto a garanzia degli esaminandi, al fine di rispettare quel necessario collegamento tra attività didattica svolta e prove d'esame.
Quanto al
Master Academy, si precisa che il decreto del Presidente della Repubblica 28 gennaio 2008, n. 27, stabilisce, all'articolo 7, comma 3 che per la realizzazione degli interventi formativi di aggiornamento e di specializzazione il direttore può, previo parere del Cts, stipulare convenzioni con le università, nonché con istituti, enti e società di formazione e di ricerca pubblici e privati che presentino i requisiti necessari di organizzazione e qualificazione professionale.
Nel corso degli anni, la Scuola ha stipulato numerose convenzioni con varie università scelte in base alla specifica competenza sugli argomenti trattati. Per
l'Academy Master - secondo l'Agenzia - è stata interessata la SDA Bocconi per la notevolissima e consolidata esperienza che la Bocconi ha maturato con il Master Executive Master in Management (EMMAP) delle amministrazioni pubbliche.
Si sottolinea, inoltre, che l'
Academy è il frutto di una coprogettazione tra Sspal e Bocconi scaturita da una precedente ricerca sui fabbisogni formativi dei segretari di fascia A, realizzata sempre dalla Sspal è dalla Bocconi seguendo un corretto metodo scientifico.
La coprogettazione si è resa necessaria al fine di creare un prodotto specifico per i segretari di fascia apicale, sfruttando ed unendo le diverse esperienze delle due scuole, una più attenta ed orientata al mondo delle autonomie e l'altra più orientata all'aspetto manageriale.
Il progetto, nel suo complesso, è stato oggetto di approvazione da parte del Cts. La selezione dei partecipanti è stata effettuata in assoluta imparzialità e trasparenza, nel rispetto dei requisiti prescritti da un apposito bando.
La partecipazione al
Master Academy comporta il conseguimento del diploma di perfezionamento di cui alla legge n. 341 del 1990. Si tratta, pertanto, di un corso con finalità diverse da quelle perseguite dagli altri corsi di specializzazione (Spe.s e Se.Fa).
Il Se.Fa, in particolare, è un corso obbligatorio per conseguire una progressione in carriera dei segretari, mentre il
Master Academy è un corso facoltativo che si rivolge esclusivamente a segretari apicali, ossia già iscritti in fascia A.
Quanto al mancato utilizzo della sede della Scuola superiore dell'amministrazione dell'interno per lo svolgimento del
Master Academy, si sottolinea che presso la Scuola, incardinata nel Ministero dell'interno, non vi era al momento la disponibilità per ospitare corsi residenziali.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.

PORTA, LENZI, BUCCHINO, GIANNI FARINA, FEDI, GARAVINI e NARDUCCI. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
in Italia risiedono centinaia di connazionali titolari di pensione brasiliana maturata in quel Paese a seguito di una prolungata permanenza di lavoro e dei versamenti contributivi in esso effettuati;
questi pensionati, a causa di leggi molto restrittive vigenti in Brasile sull'esportazione di capitali, sono costretti a riscuotere la loro pensione tramite fiduciari residenti in Brasile, che poi cercano di fare arrivare in Italia l'importo delle riscossioni, o tramite un patronato residente a San Paolo e riconosciuto dal Governo brasiliano con decreto 42.516 del 26 ottobre 1957 - il Patronato assistencial dos imigrantes italianos -, che gira successivamente gli importi ai beneficiari nel nostro Paese;
il sistema da tempo si è rivelato farraginoso e tale da produrre notevoli ritardi nell'effettiva attribuzione delle somme ai beneficiari, sia per la difficoltà dei delegati di provare alle autorità competenti la legittima provenienza delle somme, sia per la periodicità degli adempimenti burocratici da parte dei pensionati, sia per le disfunzioni di cui ha dato prova il suddetto patronato;
un'organica soluzione di queste situazioni potrebbe derivare dall'entrata in vigore del nuovo accordo bilaterale di sicurezza sociale tra Italia e Brasile firmato a Brasilia nel 1995, che consentirebbe di esportare le prestazioni di sicurezza sociale in ognuno dei Paesi contraenti, un accordo che tuttavia non è stato ancora ratificato dai rispettivi Parlamenti;
più di recente, nel corso della quarta riunione del Consiglio Italia-Brasile per la cooperazione economica, industriale, finanziaria e per lo sviluppo, svoltasi a Brasilia il 9 novembre 2009 in applicazione dell'accordo-quadro del 12 febbraio 1997, tra i rappresentanti dell'INSS, l'istituto brasiliano di previdenza sociale, e quelli dell'INPS, si è profilata la possibilità di una collaborazione tra i due enti volta a favorire il pagamento delle pensioni brasiliane in Italia;
nel contatto diretto avvenuto in quella occasione, si sono previste, in vista della stipulazione di un protocollo di intesa, un'iniziale richiesta di collaborazione da parte dell'INNS, che avrebbe anche circostanziato le caratteristiche del servizio richiesto, e una risposta dell'INPS, che avrebbe precisato i costi e le modalità dell'operazione;
sembra anche che lo stesso INSS, tramite la Banca del Brasile di Roma, abbia tentato di individuare un istituto finanziario italiano al quale affidare il pagamento delle pensioni; come già avviene in altri Paesi europei, come la Spagna, il Portogallo e la Grecia, anche in questo caso senza esiti concreti -:
se il Ministro degli affari esteri non intenda rappresentare alle autorità brasiliane l'urgenza di normalizzare il pagamento delle pensioni legittimamente maturate da cittadini italiani nel corso della loro permanenza in Brasile, qualunque sia la modalità prescelta per dare esecuzione a tale operazione;
se il Ministro del lavoro e delle politiche sociali non intenda sollecitare l'INPS a riprendere al più presto i contatti con l'istituto brasiliano affinché siano definiti le condizioni e i termini di un eventuale accordo che possa risolvere definitivamente la questione aperta e mettere gli interessati nella condizione di potere usufruire di un loro diritto;
in quali tempi il Governo intenda presentare al Parlamento il disegno di legge di ratifica del nuovo accordo bilaterale di sicurezza sociale Italia-Brasile, che darebbe una risposta organica e risolutiva anche a queste questioni.
(4-12201)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame con cui si chiede quali iniziative si intendano avviare affinché vengano

definiti condizioni e termini relativi al pagamento delle pensioni maturate da cittadini italiani nel corso della loro permanenza in Brasile, si rappresenta quanto segue.
I pensionati italiani per poter riscuotere la prestazione brasiliana, devono delegare un soggetto residente in Brasile (generalmente tramite il patronato «Assistencial dos imigrantes italianos») che provvede ad incassare le rate pensionistiche e a trasferirle in Italia all'interessato; inoltre, i pensionati dichiarano di ricevere i pagamenti con ritardi ingiustificati unitamente al fatto che l'importo ricevuto non sarebbe sempre corrispondente a quello spettante.
Il protocollo aggiuntivo all'accordo di emigrazione tra l'Italia e il Brasile del 9 dicembre 1960 all'articolo 15, paragrafo 2, prevede che «Il pagamento delle prestazioni sarà effettuato direttamente o per il tramite degli Istituti competenti dei due Stati contraenti secondo le modalità da concordare fra gli Istituti stessi».
In passato, il Ministero del lavoro brasiliano, al quale è stata rappresentata l'opportunità che si proceda al pagamento diretto delle pensioni ai beneficiari residenti in Italia, ha espresso l'intenzione di modificare il sistema di pagamento per corrispondere le rate di pensione non più tramite un procuratore, ma direttamente con accredito sul conto corrente del pensionato.
Nel 2008 l'ambasciatore italiano ha sollecitato il Ministro brasiliano della previdenza sociale alla stipula di una convenzione tra l'INSS (Istituto nazionale di previdenza sociale brasiliano) e un istituto di credito italiano per il pagamento delle pensioni in Italia.
Il 9 novembre 2009 si è tenuta a Brasilia la quarta riunione del Consiglio Brasile-Italia per la cooperazione economica, industriale, finanziaria e per lo sviluppo, secondo quanto previsto dall'accordo quadro per la cooperazione economica, industriale, finanziaria e per lo sviluppo firmato il 12 febbraio 1997. In tale occasione, l'INSS ha comunicato che era in corso una valutazione in merito alla possibilità di pagare le pensioni direttamente in Italia attraverso l'INPS, oppure tramite un'istituzione finanziaria (banca).
Con riguardo ai pagamenti, l'INPS, in data 30 marzo 2011, ha trasmesso al Ministero degli affari esteri e a questo Ministero la valutazione delle modalità di pagamento in argomento, tenendo conto delle precedenti segnalazioni pervenute dagli interessati relative alle difficoltà riscontrate in Italia nella riscossione delle pensioni erogate dall'INSS.
Conclusivamente, la nuova convenzione di sicurezza sociale, parafata nel 1995 (che attende ancora la conclusione della trattativa sull'accordo amministrativo di applicazione) potrebbe, ad accordo ratificato, consentire l'esportazione delle prestazioni previdenziali in ognuno dei paesi contraenti, fornendo anche un'organica soluzione alla questione prospettata all'interrogante.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

RAMPELLI e MARSILIO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
l'Arma dei carabinieri, attualmente, ha un'organizzazione territoriale articolata in circa 4.700 stazioni, comandate da validissimi, marescialli e luogotenenti e lo Stato, al fine di mantenere detti comandi, paga regolarmente i canoni di locazione delle strutture e i connessi servizi di manutenzione delle stesse;
ad oggi, in aggiunta ai numeri di cui sopra, vi sono circa 2.000 stazioni non più operanti, chiuse al pubblico e spesso destinate ad altre funzioni, con palese compromissione della sicurezza e maggior rischio per la legalità, e altrettanto evidente danno nei confronti dei cittadini che insistono sui territori di competenza;
da notizie più volte riportate da organi di stampa l'Arma dei carabinieri ha un deficit di organico stimabile, secondo le ultime valutazioni, intorno alle 7.000 unità;

un numero rilevante di carabinieri ausiliari in congedo, pur avendo prestato servizio nell'Arma con abnegazione e spirito di sacrificio, si ritrova ad oggi tra le fila del precariato, non avendo avuto, al termine delle ferma contratta, la possibilità di uno sviluppo di carriera nelle Forze armate o nelle Forze di polizia ad ordinamento militare o civile;
la maggior parte degli ausiliari di cui al punto precedente, al termine del percorso nell'Arma, è risultata idonea al proseguimento di carriera, ma non è stata prescelta per la ferma quadriennale, venendo quindi congedata per esubero e di conseguenza esclusa dall'immissione nei ruoli del servizio permanente delle Forze armate;
per il completamento dell'organico, l'Arma dei carabinieri in più occasioni ha indetto concorsi pubblici, ai quali hanno avuto accesso sia ex appartenenti alle Forze armate sia privati cittadini;
il decreto legislativo n.198 del 1995 nel dettare norme relative al reclutamento dei carabinieri, ha richiamato la legge n. 537 del 1993, la quale prevedeva che il Governo emanasse uno o più regolamenti per «incentivare il reclutamento di cui alla legge 24 dicembre 1986, n.958 e successive modificazioni, riservando ai volontari congedati senza demerito l'accesso alle carriere iniziali nella Difesa, nei Corpi armati e nel Corpo militare della Croce rossa», allo scopo di istituire riserve di posti per i congedati senza demerito dalle Forze armate;
le quote di cui al punto precedente sono state però superate nei fatti, tanto che nei recenti concorsi banditi dall'Arma dei carabinieri per gli ausiliari in congedo non è stata prevista alcuna riserva di posti, visto che le stesse sono state destinate esclusivamente agli appartenenti ad altri corpi delle Forze armate, seppur con medesima «qualifica» degli ausiliari (VFP1-VFP4-VFB), con evidente discrimine nei confronti degli ultimi;
l'esclusione dalle riserve di posti degli ausiliari in congedo a favore di altri ex appartenenti alle Forze armate non risponde, ad avviso degli interroganti, ad alcun criterio di meritocrazia e tanto meno di economicità, vista la necessità di svolgere, per i non ausiliari, corsi di formazione che non sarebbero certamente necessari per personale già formato, a suo tempo operativo e per di più già legato da giuramento all'Arma dei carabinieri;
sebbene nel tempo siano state emanate norme (decreto-legge n.64 del 2002, legge n.226 del 2004) volte a favorire il reintegro nei ruoli dell'Arma dei carabinieri degli ausiliari in congedo, solo un numero esiguo di essi ha visto soddisfatte le proprie aspettative, nonostante le vaste lacune nell'organico da sempre denunciate dai vertici dell'Arma;
l'attuale quadro geopolitico ha più volte richiesto un innalzamento dei livelli di sicurezza interno ed esterno, e il continuo deficit di personale delle Forze armate e delle Forze di polizia non depone certo a favore di un impiego più capillare degli appartenenti alle stesse, per mansioni fondamentali quali il controllo del territorio e degli obiettivi sensibili;
la diffusa partecipazione dell'Italia a missioni internazionali, con un impiego costante dell'Arma dei carabinieri nelle medesime, rende ancora più impellente un'integrazione nell'organico dell'Arma, visti i numerosi e delicati compiti che la stessa è chiamata a svolgere sia sul territorio nazionale che all'estero -:
se non ritenga utile verificare, in collaborazione con i vertici dell'Arma dei carabinieri, quali siano le effettive esigenze di personale;
quali iniziative, nei limiti delle proprie competenze, intenda assumere per favorire l'istituzione di quote di riserva, a vantaggio dei carabinieri ausiliari in congedo, nei concorsi banditi dall'Arma;
se non ritenga opportuno adottare un piano per il reintegro dei carabinieri ausiliari in congedo che abbiano fatto domanda per il proseguimento di carriera

nell'Arma, con conseguente immissione degli stessi nei ruoli del servizio permanente delle Forze armate.
(4-12086)

Risposta. - In via preliminare, si fa osservare che il quadro normativo che ha disciplinato la trasformazione progressiva dello strumento militare in senso interamente professionale, oggi recepito nel codice dell'ordinamento militare (decreto legislativo n. 66 del 2010), prevede che i posti annualmente messi a concorso per il reclutamento del personale nelle carriere iniziali delle Forze di Polizia ad ordinamento civile e militare (FdP) siano riservati ai volontari in ferma prefissata di un anno (vpf1).
Per quanto riguarda, invece, gli altri profili professionali le Forze armate e le FdP bandiscono annualmente concorsi pubblici a cui possono partecipare tutti i cittadini italiani in possesso dei requisiti previsti dai rispettivi bandi.
Il richiamato codice prevede, a fattor comune nell'ambito del reclutamento, riserve di posti per le seguenti categorie:
diplomati e assistiti presso le scuole militari ed Enti di assistenza per orfani;
figli di militari deceduti in servizio e/o di vittime del dovere e del terrorismo.

Altre riserve possono essere previste per specifiche esigenze di ciascuna Forza armata soltanto nei confronti di personale militare in servizio.
I bandi di concorso per il reclutamento del personale miliare prevedono, inoltre, riserve di posti per concorrenti in possesso dell'attestato di bilinguismo (lingua italiana e tedesca), in applicazione delle norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino Alto Adige in materia di proporzione negli uffici statali siti nella provincia di Bolzano.
Fatta questa premessa, non si può che ribadire, ancora una volta, che l'eventuale estensione di riserve di posti a favore di personale anagraficamente «anziano», come quello in argomento, avrebbe inevitabili riflessi sulla corretta ed equilibrata alimentazione dei ruoli, che, invece, impone la necessità per le Forze armate e le FdP di disporre di personale, che in virtù della giovane età, risulti impiegabile dal punto di vista operativo.
In altri termini, una simile previsione risulterebbe evidentemente incompatibile con gli attuali criteri ispiratori dell'attività di reclutamento dell'Amministrazione, la quale per poter corrispondere adeguatamente alle molteplici e variegate esigenze funzionali ed operative in territorio nazionale e, in particolare nell'ambito delle missioni internazionali di pace all'estero deve contare sulla ampia disponibilità di personale giovane nei ruoli iniziali, idoneo ad espletare incarichi ad elevata connotazione operativa, che richiedono un'adeguata capacità psico-fisica-attitudinale.
Per quanto concerne il decreto legislativo n. 198 del 1995 e la legge n. 537 del 1993, citati dall'interrogante quali norme incentivanti il reclutamento dei volontari congedati senza demerito nell'Arma dei carabinieri, faccio presente che gli stessi discendono dalla legge n. 958 del 1986 «Norme sul servizio di leva e sulla ferma di leva prolungata».
In proposito, faccio osservare che di tale legge alcuni articoli, essendo di perdurante attualità, sono stati recepiti nel predetto codice dell'ordinamento militare, mentre le previsioni concernenti il reclutamento sono state superate dalle norme che disciplinano la trasformazione delle Forze armate in senso interamente professionale (leggi n. 331 del 2000 e n. 226 del 2004).
L'ulteriore norma di legge, richiamata dall'interrogante, che consentiva il richiamo in servizio dei carabinieri ausiliari in congedo (decreto-legge n. 64 del 2002 «Disposizioni urgenti per la prosecuzione della partecipazione italiana ad operazioni militari internazionali»), è stata abrogata per la medesima ragione, essendo stata superata dalla predetta disciplina sulla professionalizzazione dello strumento militare.
Per quanto riguarda, infine, l'ipotizzato esiguo numero di carabinieri ausiliari in congedo reintegrati nei ruoli dell'Arma dei carabinieri richiamo opportunamente i dati indicati dal competente organo tecnico operativo militare:


a seguito della sospensione della leva obbligatoria, nel triennio 2002-2004, l'Arma dei carabinieri ha dato il massimo impulso alle immissioni dei carabinieri ausiliari nella ferma quadriennale, riservando loro tutti gli arruolamenti ordinari (nel limite del 30 per cento dei posti disponibili) e destinando loro eventuali posti riservati ai volontari delle Forze armate non coperti;
nel biennio 2005-2006 sono transitati in ferma quadriennale quasi tutti i carabinieri ausiliari prossimi al congedo e, inoltre, nel 2005, nell'ambito delle assunzioni destinate al cosiddetto «carabiniere di quartiere», è stato previsto che l'incremento organico avvenisse mediante arruolamento di carabinieri in ferma quadriennale da attingere esclusivamente dai carabinieri ausiliari in congedo;
per l'anno 2005, infine, l'allora vigente normativa in materia di reclutamento dei vfp1, di cui all'articolo 24 della legge n. 226 del 2004 («Sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva e disciplina dei volontari di truppa in ferma prefissata, nonché delega al Governo per il conseguente coordinamento con la normativa di settore»), ha previsto una significativa percentuale (70 per cento) di posti riservati, tra l'altro, al personale che aveva completato il servizio di leva in qualità di ausiliario nelle FdP.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

REALACCI. - Al Presidente del consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
sulla base delle tecnologie attualmente disponibili non risulta credibile, ad avviso dell'interrogante, la motivazione del Governo in carica di puntare sull'energia nucleare come fonte in grado di fornire significative quantità di energia elettrica a prezzi molto più bassi degli attuali;
la struttura dei costi del nucleare è particolare rispetto a quella delle altre fonti energetiche: incide molto la costruzione degli impianti, relativamente poco la gestione e il costo del combustibile, tantissimo lo smantellamento e la chiusura del ciclo, con la messa in sicurezza delle scorie. Vale la pena sottolineare a tal proposito, che gli italiani ogni anno pagano in bolletta 400 milioni di euro per lo smantellamento del vecchio nucleare. Allo stato attuale di tecnologia in Italia questa fonte energetica, comporta dunque costi elevati, tempi molto lunghi, problemi legati allo smaltimento delle scorie radioattive;
se in un'economia di mercato si tiene conto di tutti questi costi il ritorno al nucleare non è competitivo, mentre diverso è ovviamente, il caso delle centrali già esistenti. È questo il motivo per cui attualmente in tutto l'Occidente sono in costruzione due soli impianti nucleari, uno in Francia a Flamanville e uno in Finlandia a Oikiluoto, entrambi con tecnologia francese Areva, la stessa privilegiata dall'Enel e dal Governo italiano;
l'impianto di Oikiluoto avrebbe dovuto essere consegnato nel 2009, si parla ora del 2012 e i costi di costruzione sono già aumentati del 60 per cento, un vero e proprio disastro industriale;
l'Enel per gestire finanziariamente la costruzione di centrali nucleari, ha chiesto al Governo la certezza dell'acquisto e un prezzo minimo per il kilowattora nucleare. Un'opzione molto lontana da quella di ottenere un prezzo più basso per l'energia, oltre che una messa in discussione dello stesso mercato elettrico;
lo stesso amministratore delegato dell'Eni Paolo Scaroni in un'intervista rilasciata al quotidiano il Sole 24 ore il 13 marzo 2010, nel sottolineare allo stato attuale il non interesse dell'Eni per il piano nucleare ha dichiarato che il nucleare è possibile (...) dove è lo Stato ad assumersi l'onere del decomissioning e dove l'Acquirente Unico è disposto a garantire

un prezzo minimo. Solo a queste condizioni è conveniente farlo (...) -:
se nel corso degli incontri tra il Governo italiano, il Governo francese e la società francese Areva sia stata ipotizzata una clausola secondo la quale, in caso di mancata realizzazione delle centrali nucleari in Italia, per cause indipendenti dalla volontà del fornitore, lo stesso abbia comunque la garanzia di essere pagato totalmente, con un evidente e pesante onere sulle finanze dello Stato italiano.
(4-06723)

Risposta. - L'interrogante, nel far riferimento alla struttura del costo del kilowattora di origine nucleare e, più in generale, all'asserita antieconomicità degli impianti nucleari, chiedono se nel corso degli incontri «tra il Governo italiano, il Governo francese e la società francese Areva» sia stata ipotizzata una clausola secondo la quale, in caso di mancata realizzazione delle centrali nucleari in Italia, per cause indipendenti dalla volontà del fornitore, lo stesso abbia comunque la garanzia di essere pagato totalmente.
A tal proposito, si evidenzia quanto segue.
In tempi recenti, si sono tenuti due vertici italo-francesi che hanno visto trattate tematiche nucleari: quello di Roma del 24 febbraio 2009 e quello di Parigi del 9 aprile 2010.
Il protocollo sottoscritto nel corso del primo vertice ha formalizzato un'intesa tra Governi che condividono visioni comuni in materia di energia e, su questa base, hanno convenuto di rafforzare e sviluppare i loro rapporti di cooperazione, in particolare nel settore nucleare, in una prospettiva di carattere europeo. A margine di questo incontro furono sottoscritti i due ben noti
memorandum of understanding tra Enel e Edf: il primo relativo alla costituzione della joint-venture finalizzata alla costruzione di 4 unità Epr in Italia, il secondo relativo all'estensione di un precedente accordo sul nucleare a suo tempo raggiunto tra le due società, per la realizzazione in Francia di altri 5 reattori Epr a partire da quello autorizzato dal Governo francese nella località di Penly.
Nel corso del secondo vertice, è stato sottoscritto da Francia e Italia un mou sulla cooperazione in materia di sicurezza nucleare e radioprotezione, con l'istituzione fra i due Paesi di un regolare sistema di scambio di informazioni e di esperti nelle materie suddette. Da parte sua, Areva ha siglato analoghi mou con Ansaldo nucleare, Techint e Cirten (collaborazioni industriali con i primi due soggetti, di formazione con il terzo).
Pertanto, non risulta che ci siano stati nelle circostanze citate incontri a tre con la partecipazione di rappresentanti dei due Governi e della società francese Areva.
In generale, la clausola cui gli interroganti fanno riferimento è da inquadrare nell'ambito dei rapporti giuridici che si instaurano fra parti che sottoscrivano un contratto di fornitura. Tuttavia, l'ipotesi che tale clausola possa costituire un onere per le finanze dello Stato italiano risulta in ogni caso irrealistica, dal momento che per il ritorno al nucleare il quadro normativo a suo tempo predisposto dal Governo - e comunque attualmente abrogato - non prevedeva alcun intervento di carattere sussidiario a carico della collettività.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Stefano Saglia.

REALACCI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il 19 aprile 2011, anche in seguito al gravissimo incidente verificatosi alla centrali nucleare giapponese di Fukushima, il Governo italiano ha deciso di fermare il programma di realizzazione delle centrali;
è stato infatti apportato un emendamento disegno di legge A.S. 2665 «omnibus», approvato poi dal Senato della Repubblica, che prevede l'abrogazione di tutte le norme previste per la realizzazione degli impianti nucleari in Italia. La decisione

potrebbe inoltre portare al superamento del referendum sul ritorno all'atomo in calendario il 12-13 giugno 2011;
come riportano precisamente gli organi di informazioni il 24 febbraio 2011 Italia e Francia firmarono un protocollo di cooperazione tecnica sull'energia nucleare. Aprendo così la strada per la costruzione di quattro centrali nucleare in territorio italiano con tecnologia «Areva». Accanto alla firma del protocollo intergovernativo, sono stati anche sottoscritti da Enel e Edf due «memorandum of understanding» sul nucleare. Documenti firmati dall'amministratore delegato dell'Enel, Fulvio Conti, e dal presidente e direttore generale di Edf, Pierre Gadonnex, che fanno inoltre nascere una joint-venture e disegnano un futuro di stretta collaborazione. Tra i vari punti previsti, c'è il rafforzamento della presenza di Enel sul territorio francese: dopo l'ingresso nella centrale di Flamaville, il gruppo italiano entrerà con la stessa quota, ovvero il 12,5 per cento nella nuova centrale di Penly, in Normandia;
in data 8 aprile 2010 il firmatario del presente atto ha presentato un'interrogazione parlamentare, ancora senza risposta, al Ministero dello sviluppo economico per sapere se nel corso degli incontri tra il Governo italiano, il Governo francese e la società francese Areva sia stata ipotizzata una clausola secondo la quale, in caso di mancata realizzazione delle centrali nucleari in Italia, per cause indipendenti dalla volontà del fornitore, lo stesso abbia comunque la garanzia ad essere pagato totalmente, con un evidente e pesante onere sulle finanze dello Stato italiano -:
quali siano le clausole previste dal protocollo Italia - Francia sull'energia nucleare sottoscritto nel febbraio 2010, se tale protocollo contempli eventuali clausole di rescissione e rimborso in caso di arresto del piano di cooperazione energetica in materia di nucleare tra Italia e Francia e, infine, se Enel sia entrata nelle quote di controllo delle centrali nucleari francesi.
(4-11892)

Risposta. - L'interrogante, nel far riferimento alla struttura del costo del kilowattora di origine nucleare e, più in generale, all'asserita antieconomicità degli impianti nucleari, chiede se nel corso degli incontri «tra il Governo italiano, il Governo francese e la società francese Areva» sia stata ipotizzata una clausola secondo la quale, in caso di mancata realizzazione delle centrali nucleari in Italia, per cause indipendenti dalla volontà del fornitore, lo stesso abbia comunque la garanzia di essere pagato totalmente.
A tal proposito, si evidenzia quanto segue.
In tempi recenti, si sono tenuti due vertici italo-francesi che hanno visto trattate tematiche nucleari: quello di Roma del 24 febbraio 2009 e quello di Parigi del 9 aprile 2010.
Il Protocollo sottoscritto nel corso dei primo vertice ha formalizzato un'intesa tra Governi che condividono visioni comuni in materia di energia e, su questa base, hanno convenuto di rafforzare e sviluppare i loro rapporti di cooperazione, in particolare nel settore nucleare, in una prospettiva di carattere europeo. A margine di questo incontro furono sottoscritti i due ben noti
memorandum of understanding tra Enel e Edf: il primo relativo alla costituzione della joint-venture finalizzata alla costruzione di 4 unità European pressurized reactor in Italia, il secondo relativo all'estensione di un precedente accordo sul nucleare a suo tempo raggiunto tra le due Società, per la realizzazione in Francia di altri 5 reattori Epr, a partire da quello autorizzato dal Governo francese nella località di Penly.
Nel corso del secondo vertice, è stato sottoscritto da Francia e Italia un mou sulla cooperazione in materia di sicurezza nucleare e radioprotezione, con l'istituzione fra i due Paesi di un regolare sistema di scambio di informazioni e di esperti nelle materie suddette. Da parte sua, Areva ha siglato analoghi mou con Ansaldo nucleare,

Techint e Cirten (collaborazioni industriali con i primi due soggetti, di formazione con il terzo).
Pertanto, non risulta che ci siano stati nelle circostanze citate incontri a tre con la partecipazione di rappresentanti dei due Governi e della società francese Areva.
In generale, la clausola cui l'interrogante fa riferimento è da inquadrare nell'ambito dei rapporti giuridici che si instaurano fra Parti che sottoscrivano un contratto di fornitura. Tuttavia, l'ipotesi che tale clausola possa costituire un onere per le finanze dello Stato italiano risulta in ogni caso irrealistica, dal momento che per il ritorno al nucleare il quadro normativo a suo tempo predisposto dal Governo - e comunque attualmente abrogato - non prevedeva alcun intervento di carattere sussidiario a carico della collettività.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Stefano Saglia.

REGUZZONI, MAGGIONI, MONTAGNOLI e TORAZZI. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
negli enti locali e nelle regioni sussistono numerose differenze nel rapporto tra numero di abitanti e dipendenti pubblici -:
se sia noto il numero dei dipendenti pubblici per ogni realtà territoriale del Paese;
quali siano le azioni che il Governo ha intrapreso o intenda intraprendere per incentivare le amministrazioni locali al raggiungimento di obiettivi virtuosi nel rapporto dipendenti pubblici su abitanti.
(4-10687)

Risposta. - Il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in materia di «Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche», disciplina al Titolo V una serie di controlli e monitoraggi tesi a realizzare il più efficace controllo dei bilanci, anche articolati per funzioni e per programmi, e la rilevazione dei costi, con particolare riferimento al costo del lavoro.
In particolare, l'articolo 60 del suddetto provvedimento prevede che «Il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, d'intesa con la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, definisce un modello di rilevazione della consistenza del personale, in servizio e in quiescenza, e delle relative spese, ivi compresi gli oneri previdenziali e le entrate derivanti dalle contribuzioni, anche per la loro evidenziazione a preventivo e a consuntivo, mediante allegati ai bilanci. Il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica elabora, altresì, un conto annuale che evidenzi anche il rapporto tra contribuzioni e prestazioni previdenziali relative al personale delle amministrazioni statali».
In applicazione di tale normativa, a decorrere dall'anno 2002 il vecchio modello organizzativo di alimentazione della banca dati del personale è stato, così, sostituito dal cosiddetto «Sico», ovvero dal «Sistema conoscitivo del personale dipendente dalle Amministrazioni pubbliche», il sistema informativo utilizzato dall'Ispettorato generale per gli ordinamenti del personale e l'analisi dei costi del lavoro pubblico (Igop) per rilevare i dati statistici del pubblico impiego.
Il processo di acquisizione dei dati sfrutta la tecnologia del
web consentendo una notevole riduzione dei tempi di alimentazione del sistema. Ogni amministrazione pubblica immette i dati di propria competenza direttamente al sistema informativo Sico e modifica le eventuali anomalie che il sistema e gli uffici di monitoraggio segnalano.
Il flusso delle informazioni acquisite attraverso Sico consente di effettuare il controllo del costo del lavoro pubblico seguendo l'intero ciclo di formazione della spesa:
programmazione (solo per le amministrazioni centrali);

monitoraggio (attraverso i flussi mensili delle spese erogate dai sistemi informativi e le specifiche indagini trimestrali «campionarie»);
rendicontazione (attraverso le informazioni sulle risultanze di consuntivo) della consistenza del personale, nei suoi diversi aspetti, e della spesa, per singoli voci retributive (conto annuale) nonché delle attività espletate, con l'evidenziazione delle risorse umane utilizzate ed i tempi impiegati (al fine di sviluppare l'analisi dei risultati).

Fra i principali dati acquisiti tramite Sico, con differente cadenza temporale a seconda della tipologia di rilevazione, si segnalano i dati di organico di personale (assunti, cessati, presenti al 31 dicembre, eccetera), i dati di spesa (retribuzione fissa, accessoria ed oneri riflessi) e quelli sulle attività svolte, i servizi ed i prodotti offerti dalle amministrazioni.
I dati richiesti dall'interrogante, pertanto, possono essere rinvenuti solamente tramite Sico gestito dalla Ragioneria generale dello Stato.
Per quanto attiene, invece, agli obiettivi di virtuosità a cui gli enti locali dovrebbero conformarsi nell'ambito della propria gestione, si segnala, da ultimo, il decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 - come convertito dalla legge n. 111 del 15 luglio 2011 - che all'articolo 20, nel dettare le regole atte al raggiungimento del nuovo patto di stabilità interno, ha fissato i parametri di virtuosità a cui gli enti locali debbono conformare la propria condotta.
Nello specifico, gli obiettivi del patto sono ridistribuiti tra gli enti locali sulla base di nuovi indicatori di «virtuosità», ovvero: il rispetto del patto di stabilità, l'autonomia finanziaria, il lasso di copertura dei servizi a domanda individuale, l'effettiva partecipazione alla lotta all'evasione fiscale. L'incidenza della spesa di personale sulla spesa corrente, in relazione al numero di dipendenti sulla popolazione, alle funzioni svolte anche attraverso esternalizzazioni, all'ampiezza del territorio, l'equilibrio di parte corrente, la capacità di riscossione delle entrate correnti, la convergenza fra spesa storica e costi e fabbisogni
standard e, infine, le dismissioni delle partecipazioni societarie.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione: Renato Brunetta.

ROSATO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il sacrario di Oslavia (che si trova nella omonima frazione della città di Gorizia), eretto nel 1938, raccoglie 57.200 caduti della Prima Guerra Mondiale (di cui 36.000 ignoti, 539 austriaci, 13 decorati con Medaglia d'Oro al valor militare) e, al centro, accoglie la tomba del Generale Achille Papa, il generale bresciano Medaglia d'Oro, ucciso il 5 ottobre 1917 sulla Bainsizza, dalla fucilata di un cecchino;
nel comune di Duino Aurisina (TS) sul monumento eretto sul ciglione carsico che sovrasta la Strada Statale n. 14 nella frazione di San Giovanni di Duino, è posta, realizzata con le pietre, la scritta «Rispettate il campo della morte e della gloria»;
all'interrogante sono pervenute segnalazioni e lamentele circa lo stato di rovina in cui sono lasciati suddetti monumenti, ed in particolare che:
a) il sacrario di Oslavia versa in un profondo stato di abbandono: la cupola di plexiglas che dà luce alla struttura presenta due grandi squarci di quasi un metro quadrato che consentono a piccioni e precipitazioni ad entrare, e proprio le piogge hanno annerito le pareti e scolorito i nomi dei soldati che riposano nei sacelli;
b) all'ingresso del sacrario di Oslavia, a dimostrazione di questo degrado, sono stati affissi sul muro alcuni fogli, in cui si mettono all'erta i visitatori sul fatto che potrebbero cadere dei pezzi di muratura dall'alto;
c) la scritta sul monumento sul ciglione carsico rischia di perdere il suo

significato dato che alcune pietre che la componevano, si sono staccate e sbriciolate a terra;
va considerato l'alto significato storico, culturale, artistico e dal valore morale dei suddetti monumenti, ancor più, in quest'anno di celebrazioni per il 150enario dell'unificazione d'Italia;
questi monumenti accolgono ogni anno migliaia di persone che le includono nelle tappe del loro itinerario o che ne vengono negativamente colpiti dal loro degrado mentre percorrono le strade che passano vicine;
è un dovere morale, prima ancora che storico e culturale, mantenere in modo decoroso i monumenti che ricordano i caduti durante le guerre che hanno martoriato queste terre -:
se il Ministro sia a conoscenza della grave situazione di disonorevole deterioramento che coinvolge i due monumenti, e, quindi, se intenda assumere provvedimenti tesi a provvedere alla sistemazione della copertura del monumento di Oslavia e impedire che lo stato di degrado si aggravi e a ripristinare la scritta sul monumento di Duino Aurisina e ad intervenire complessivamente anche sulle altre parti degradate del monumento.
(4-13117)

Risposta. - Il sacrario militare di Oslavia, appartenente al demanio dello Stato e in consegna al dipendente commissariato generale per le onoranze ai caduti in guerra, è stato realizzato negli anni '30 ed ospita, nel proprio interno, oltre 50.000 caduti in guerra, di nazionalità italiana ed austroungarica.
Il Sacrario necessita indubbiamente d'interventi di ordinaria e straordinaria manutenzione che, sebbene già da alcuni anni siano stati inseriti nei programmi lavori del commissariato generale e sia stata elaborata la relativa documentazione tecnico-progettuale, non è stato, purtroppo, ancora possibile avviare, in relazione alle ridotte assegnazioni finanziarie, per il 2011 e per gli anni precedenti, sull'apposito capitolo di bilancio (1147 - articolo 4).
Come noto, le misure di carattere economico assunte dal Governo ai fini dell'indispensabile contenimento della spesa pubblica, gravano anche sulla difesa.
Posso assicurare che il commissariato generale, assai sensibile alla problematica della conservazione dell'intero patrimonio storico e culturale legato ai due conflitti mondiali, segue, costantemente, la situazione infrastrutturale e demaniale, direttamente e tramite la direzione del sacrario militare di Redipuglia e del personale della difesa che vi è impiegato con funzioni di custodia.
Come già operato per altri sacrari militari, sono in corso, tra l'altro, iniziative con la provincia di Gorizia e la regione Friuli Venezia Giulia, finalizzate all'approvazione di un nuovo documento d'intesa (Accordo di programma) che, prescindendo da altri già approvati e in corso di finalizzazione (protocollo d'intesa per la valorizzazione del Carso goriziano, denominato, più comunemente «Carso 2014+»), preveda «il recupero e la valorizzazione per i meri fini storici, artistici e culturali» del sacrario di Oslavia e del sacrario militare di Redipuglia, nonché di altri beni infrastrutturali che necessitano di interventi di manutenzione straordinaria.
Quanto al «monumento commemorativo» sito in località San Giovanni di Duino, faccio presente che il commissariato generale non vi esercita alcuna competenza, in quanto non titolare, sul monumento medesimo, di alcun diritto reale e non essendo conservati al suo interno resti di caduti in guerra.
Prima di concludere, mi preme sottolineare che la Difesa continuerà a conferire ogni possibile attenzione alla valenza etica e alla conservazione dei Sacrari, al fine di continuare ad onorare - nel tempo, nei modi e nelle forme più adeguate - la memoria di quanti hanno sacrificato la vita per la Patria.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

ROSATO. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 «Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione [...]» come modificato dal decreto del Presidente della Repubblica 18 ottobre 2004, n. 334, disciplina all'articolo 5 il rilascio dei visti di ingresso o di transito nel territorio nazionale;
l'articolo 5 in argomento segnatamente prevede che il visto possa essere rilasciato «se ne ricorrono requisiti e condizioni, per la durata occorrente in relazione ai motivi della richiesta e alla documentazione prodotta dal richiedente», in tal senso la tipologia dei visti corrisponde a diversi motivi di ingresso ed è disciplinata da apposite istruzioni del Ministero degli affari esteri in relazione a ciascun tipo di visto;
il diniego del visto è normato dall'articolo 6-bis del medesimo decreto, «Qualora non sussistano i requisiti previsti nel testo unico e nel presente regolamento, l'autorità diplomatica o consolare comunica allo straniero, con provvedimento scritto, il diniego del visto di ingresso, contenente l'indicazione delle modalità di eventuale impugnazione. Il visto di ingresso è negato anche quando risultino accertate condanne in primo grado»;
i requisiti richiesti dal regolamento si ricavano dalla documentazione che si richiede venga prodotta unitamente alla domanda: a) la finalità del viaggio, b) l'indicazione dei mezzi di trasporto utilizzati, c) la disponibilità dei mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del viaggio e del soggiorno, c-bis) il nullaosta di approvazione del progetto da parte del Comitato per i minori stranieri, d) le condizioni di alloggio;
la normativa di cui al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione, decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, richiede, per consentire l'ingresso nel territorio nazionale, che lo straniero dimostri di essere in possesso di idonea documentazione atta a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno, nonché la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno e, fatta eccezione per i permessi di soggiorno per motivi di lavoro, anche per il ritorno nel Paese di provenienza;
quindi non è ammesso in Italia lo straniero che non soddisfi i requisiti sopra riportati o che sia considerato una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone o che risulti condannato per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite;
all'infuori di questi casi, in cui il soggetto non rispetta i requisiti chiesti, quindi, alla rappresentanza diplomatica o consolare è consentita la consegna del visto;
sono pervenute, all'interrogante, segnalazioni di letture restrittive delle direttive che determinano i parametri di valutazione dei requisiti esposti dalla normativa in materia di immigrazione;
in particolare, risulta che, l'ambasciata italiana a Kiev abbia negato il visto d'ingresso alla signora Nataliya Yablonska e alla signora Tatiana Yablonska di nazionalità ucraina e residenti a Lviv, figlie della signora Maria Yablonska, alle regolari dipendenze lavorative di un residente nel Friuli Venezia Giulia, che avevano presentato regolare richiesta per una visita di 17 giorni;
il datore di lavoro della signora Maria Yablonska, aveva inviato alle signore

Nataliya e Tatiana Yablonska gli originali della fideiussione bancaria e si era reso disponibile ad ospitarle nella propria abitazione;
le signore Yablonska avevano già acquistato i biglietti di andata, il 12 agosto 2011, e di ritorno, il 29 agosto 2011; e avevano pagato il relativo ticket per la pratica;
alle richiedenti, in data 10 agosto 2011, è stato notificato, dall'ambasciata di Kiev, il rifiuto del visto, con protocollo n. 2324, e come causale la dicitura: «la Sua intenzione di lasciare il territorio degli Stati membri prima della scadenza del visto non può essere stabilita con certezza» -:
se risulti il fatto come esposto in premessa;
per quali ragioni sia stato negato il visto nel caso specifico nonostante, come da descrizione, i biglietti di ritorno fossero già stati acquistati dalle signore Yablonska, e il viaggio in Italia si configurasse come una semplice visita di 17 giorni e nonostante non ci fossero altre cause ostative quali quelle espressamente previste dalla normativa vigente;
se ritenga di ribadire che in presenza dei requisiti richiesti, le rappresentanze diplomatiche o consolari consegnino il visto d'ingresso su basi omogenee, evitando interpretazioni che potrebbero descrivere visti concessi su basi discrezionali.
(4-13420)

Risposta. - In merito a quanto rappresentato dall'interrogante nell'atto parlamentare in esame si forniscono i seguenti elementi di informazione.
In linea generale, va innanzitutto rilevato che la normativa di riferimento per il rilascio di visti di corto soggiorno (visti Schengen uniformi - VSU) è il codice comunitario dei visti (Regolamento CE 810/2009), sulla cui base operano tutti i nostri uffici consolari, al pari di quelli degli altri Stati che integrano lo spazio Schengen. Apposite riunioni di cooperazione consolare, locale (CCL), che si tengono tra gli uffici consolari degli Stati Schengen localmente rappresentati, mirano ad assicurare che la normativa sia applicata in maniera uniforme, tenuto conto delle specifiche condizioni del Paese terzo interessato.
Sul caso segnalato, l'Ambasciata a Kiev ha informato che le cittadine ucraine Tetyana Yablonska, nata il 2 gennaio 1990, e Nataliya Yablonska, nata il 2 aprile 1991, hanno presentato domanda di visto Schengen uniforme (VSU) per il turismo della durata di 18 giorni in data 4 agosto 2011. A sostegno della loro domanda hanno prodotto una documentazione composta da prenotazione aerea A/R, lettera di invito del signor Franco Persolja, fideiussione bancaria stipulata sempre dal signor Persolja e assicurazione medica.
Sulla base della predetta documentazione, non è stato possibile considerare la finalità del viaggio quale breve visita familiare, non avendo le interessate comprovato alcun vincolo di parentela con l'invitante, né prodotto documentazione che potesse, per altro verso, far risalire la visita familiare alla madre delle stesse: nessuna lettera d'invito, nessun titolo di soggiorno e neppure la documentazione di stato civile di rito a dimostrazione dell'effettivo legame di parentela con la cittadina ucraina residente in Italia.
Ciò premesso, le domande sono state valutate alla luce di quanto previsto dagli articoli 21 e seguenti del citato codice visti. Tra i requisiti oggetto d'esame, a norma del codice, vi è quello della valutazione della condizione socio-economica dello straniero nel Paese di origine, quale requisito separato da quello del possesso di risorse economiche sufficienti per il soggiorno in Italia (quest'ultimo soddisfatto grazie alla presentazione di idonea fideiussione bancaria).
La valutazione del «rischio migratorio», ossia l'accertamento dell'intenzione del soggetto di ritornare in patria alla scadenza del visto, poggia tra le altre cose proprio sulle risultanze della verifica della condizione socio-economica dei richiedenti il visto.
A tal proposito, le straniere, di giovanissima età (20 e 21 anni), senza alcuna occupazione

in Ucraina (non studiano e non lavorano), senza alcuna posizione economica dimostrata, senza alcun visto ottenuto precedentemente (Schengen o nazionale), senza alcun positivo antecedente migratorio (che, in base a quanto stabilito dal codice visti, può costituire un favorevole elemento di valutazione) e, soprattutto, senza un effettivo scopo del viaggio, in base alla documentazione prodotta, non hanno evidenziato un ragionevole interesse al rientro in Ucraina.
Per tali motivi, l'Ambasciata non ha accolto la domanda di visto. Il provvedimento è stato formalizzato attraverso l'apposito formulario comune Schengen, utilizzando la dicitura corrispondente alla motivazione del diniego. Le interessate potranno presentare in qualsiasi momento una nuova domanda, che sarà valutata sulla base di tutte le informazioni disponibili, nel rispetto della normativa vigente.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.

RUGGHIA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
per decisione dell'ufficio scolastico regionale per il Lazio, per l'anno scolastico 2011-2012, non è stata costituita la prima classe ad indirizzo designer, presso la sede distaccata di Ciampino del liceo artistico Paolo Mercuri di Marino;
la notizia ha creato allarme nell'opinione pubblica in quanto appare come l'avvio del declino del liceo artistico, con gravi ripercussioni sull'offerta formativa del polo di istruzione superiore del territorio;
la decisione, assunta per effetto della riduzione dell'organico del personale docente, pone in estrema difficoltà le famiglie degli allievi iscritti a febbraio, di quelli con riserva già in possesso del nulla osta e pertanto non iscritti in altri istituti scolastici e dei diversamente abili, che non troveranno posto nella sede centrale di Marino stante l'inadeguatezza degli ambienti scolastici ivi disponibili;
l'amministrazione comunale di Ciampino, e il consiglio comunale attraverso un ordine del giorno approvato all'unanimità, hanno espresso contrarietà e preoccupazione per tale decisione -:
quali iniziative intenda assumere per l'immediata ricostituzione dell'organico e per garantire la regolare apertura della prima classe della sede distaccata di Ciampino del liceo artistico Paolo Mercuri.
(4-12989)

Risposta. - Si risponde all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante sollecita la riconferma della prima classe ad indirizzo designer presso la sede distaccata di Ciampino del liceo artistico «Paolo Mercuri» di Marino, non prevista al momento in cui è stato definito l'organico di diritto per il corrente anno scolastico 2011/2012.
È stato sentito, al riguardo, l'ufficio scolastico regionale per il Lazio, il quale ha fatto presente che, nel corso delle operazioni di adeguamento dell'organico di diritto alla situazione di fatto, si sono verificate le condizioni che hanno consentito di risolvere positivamente la questione. Pertanto, il dirigente dell'ambito territoriale per la provincia di Roma, con provvedimento n. 17712 del 5 agosto 2011, ha autorizzato il funzionamento della classe in argomento.

Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Mariastella Gelmini.

SAMPERI e BURTONE. - Al Ministro per le pari opportunità. - Per sapere - premesso che:
il codice 114 è stato istituito con decreto interministeriale (Ministero delle comunicazioni, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero delle pari opportunità) del 14 ottobre 2002 e costituisce un servizio di emergenza accessibile da parte di chiunque intenda segnalare situazioni

di emergenza e di disagio (articolo 1, comma 1), gratuito, attivo 24 ore su 24;
il 26 febbraio 2003, a seguito di bando pubblico, il servizio 114 emergenza infanzia è stato affidato al Telefono Azzurro in via sperimentale, inizialmente per 3 mesi prorogati a 6, su tre aree Milano, Palermo e la provincia e il comune di Treviso;
conclusa e valutata positivamente la fase di sperimentazione, è stato predisposto l'avvio definitivo del servizio con decreto interministeriale del 6 agosto 2003 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 200 del 29 agosto 2003) affidato al Telefono Azzurro;
con questo mandato e in qualità di ente gestore, per un periodo di 3 anni con proroga di 2, Telefono Azzurro si è impegnato ad estendere progressivamente il servizio a tutto il territorio nazionale;
nel giugno del 2007, il telefono Azzurro, a seguito di una procedura di emersione, ha assunto tutti gli operatori del servizio 114 emergenza infanzia con un contratto di dipendenza a tempo determinato con scadenza 31 dicembre 2009, impegnando nelle due centrali operative di Milano e Palermo 35 operatori esperti;
alla base del servizio è necessaria una qualificata capacità di ascolto degli operatori che devono essere in grado di discernere e verificare le emergenze e dare il supporto psicologico e sociale necessario;
il dipartimento per le pari opportunità, in data 7 dicembre 2009, ha concesso all'ente Telefono Azzurro una proroga al 30 aprile 2010 per il servizio 114 e la somma di euro 400.000 pari ad un terzo della somma stanziata annualmente per la gestione del servizio 114 emergenza infanzia;
Telefono Azzurro ha sostituito i 25 operatori esperti di Palermo con 24 volontari del servizio civile;
Telefono Azzurro ha aperto in data 16 dicembre 2009 in via Giudecca Vecchia 29 a Napoli il proprio «centro territoriale per l'intervento in rete a sostegno dei bambini e degli adolescenti» -:
se tali iniziative siano regolari o sia configurabile un abuso da parte dell'ente gestore;
quali iniziative intenda intraprendere, per quanto di competenza, affinché i lavoratori di cui in premessa vengano reintegrati.
(4-06439)

Risposta. - Mi riferisco all'interrogazione in esame concernente il numero di emergenza infanzia «114».
Com'è noto, il numero di emergenza infanzia 114 è un servizio volto a fornire, a chiunque si trovi sul territorio nazionale, consulenza in situazioni di emergenza che coinvolgono bambini ed adolescenti, intervenendo altresì in stretto collegamento con le strutture territoriali competenti in ambito sanitario, sociale e di sicurezza.
Il Servizio, dal carattere gratuito, attivo in tutta Italia 24 ore su 24 ogni giorno dell'anno, è finanziato dal dipartimento per le pari opportunità e gestito dall'associazione «S.O.S. Il Telefono Azzurro ONLUS».
Infatti, a seguito di procedura di selezione pubblica indetta con l'avviso pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 35 del 26 marzo 2010, la gestione del servizio telefonico 114 è stata nuovamente affidata, per la durata di tre anni decorrenti dal 1o maggio 2010 alla suddetta associazione, con la quale il dipartimento per le pari opportunità ha stipulato la convenzione di affidamento in data 29 aprile 2010.
In particolare, in merito a quanto riferito dall'interrogante sulla sostituzione da parte di Telefono azzurro dei 25 operatori esperti collocati presso la sede di Palermo con 24 volontari del servizio civile, vorrei far presente che tale possibilità è riconosciuta dall'articolo 5 della convenzione per l'affidamento del servizio pubblico «114-Emergenza Infanzia», in base al quale il gestore si obbliga ad attuare e gestire il servizio avvalendosi delle tipologie di personale di cui all'articolo 3, comma 1, punto
e) dell'avviso per l'individuazione del gestore del servizio di emergenza pubblico «114»,

ossia avvalendosi, in relazione ai diversi livelli di gestione del servizio, di personale dipendente, volontario o comunque con esso stabilmente obbligato in forza di idoneo titolo, compresi quelli di tirocinio universitario, stage professionale e servizio civile volontario, purché in possesso almeno di laurea di primo livello nelle seguenti discipline, psicologia, scienze della formazione, medicina e chirurgia, scienze del servizio sociale, giurisprudenza, scienze politiche e sociologia, con una esperienza di almeno due anni maturata nel settore.
In ordine all'apertura a Napoli del «centro territoriale per l'intervento in rete a sostegno dei bambini e degli adolescenti», secondo quanto riferito dal dipartimento per le pari opportunità interpellato a riguardo, tale centro non rappresenta un'ulteriore sede del servizio 114, trattandosi di una struttura nella quale vengono sviluppati interventi educativi e di sensibilizzazione in ambito scolastico ed extrascolastico, e con la quale si intende garantire adeguato supporto alla gestione locale di eventuali segnalazioni pervenute tramite le linee di emergenza e di ascolto dell'associazione, in grado di operare in stretto rapporto con le agenzie del territorio che a diverso titolo si occupano di infanzia e di adolescenza.

Il Ministro per le pari opportunità: Mara Carfagna.

SANGA e MISIANI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il decreto-legge n. 78 del 2009 convertito, con modificazioni, dalla legge 102 del 2009 affida all'Inps l'accertamento definitivo sulle situazioni di salute di cui chiede il riconoscimento dell'invalidità civile;
la stessa legge prevede che l'Inps accerti anche la permanenza dei requisiti sanitari nei confronti dei titolari di invalidità civile che già percepiscono pensione e assegni;
la procedura individuata per colpire i «falsi invalidi» ha determinato situazioni di grave difficoltà per i «veri invalidi», molti dei quali si ritrovano con le pratiche bloccate e senza assegno mensile da settembre;
secondo i riscontri delle associazioni degli invalidi civili, in numerose province italiane pare che la pensione di invalidità e l'assegno di accompagnamento per gli invalidi già riconosciuti da tempo vengano sospesi dal momento in cui si diventa oggetto di una verifica a prescindere dall'esito della stessa;
sono, pertanto, molti i casi di pensioni bloccate relative a invalidità già accertate ma per le quali l'Inps ha chiesto una visita di verifica;
questi assegni sono vitali per il sostentamento e per pagare assistenza e cure;
i ritardi, oltre a fermare l'erogazione delle pensioni, impediscono il riconoscimento del diritto all'esenzione del ticket e l'impossibilità di iscriversi al collocamento mirato per i disabili;
nella sola provincia di Bergamo, sono oltre ventimila le persone in attesa di risposte dall'Inps, dal mese di settembre ad oggi, secondo quanto segnalato dalle associazioni degli invalidi civili -:
quali iniziative urgenti ritenga di attivare per cambiare la procedura prevista ed evitare il moltiplicarsi di situazioni insostenibili per le persone e le famiglie coinvolte.
(4-10596)

Risposta. - Con riferimento alla interrogazione in esame, concernente il nuovo procedimento di riconoscimento dell'invalidità civile adottato ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge n. 78 del 2009, sulla base delle informazioni acquisite presso i competenti uffici dell'INPS, si rappresenta quanto segue.
L'articolo 20 del decreto-legge n. 78 del 2009 (convertito dalla legge n. 102 del 2009), ha disciplinato il riordino e la semplificazione complessiva del procedimento di concessione delle prestazioni in favore degli invalidi civili e minorati civili.
Il nuovo procedimento prevede che il riconoscimento dei benefici in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità avvenga con il diretto coinvolgimento dell'INPS, attraverso l'integrazione della commissione medica delle aziende sanitarie locali (ASL) con un medico dell'istituto, al fine di realizzare una gestione coordinata delle fasi sanitaria ed amministrativa, nella prospettiva di garantire ai cittadini maggiore trasparenza. All'INPS spetta, in ogni caso, il compito di accertare in via definitiva la sussistenza dei requisiti che possono dare luogo ai benefici di legge.
Inoltre all'istituto è stata assegnata la funzione di verificare la permanenza dei requisiti sanitari che hanno dato luogo alla concessione dei benefici economici.
L'istituto ha reso noto che, nel periodo 1o gennaio/31 dicembre 2010 sono state presentate n. 1.092.588 domande di invalidità civile, di cui circa il 93 per cento con modalità telematica; le prestazioni richieste con tali domande sono state complessivamente n. 1.823.374, di cui n. 1.022.238 per invalidità civile, n. 23.532 per cecità civile, n. 21.650 per sordità civile, n. 682.917 per riconoscimento dell'handicap ai sensi della legge n. 104 del 1992 e n. 73.037 per il collocamento obbligatorio delle persone disabili.
Le pensioni liquidate dal 1o gennaio al 31 dicembre 2010 ammontano complessivamente a 462.038, di cui n. 97.850 con decorrenza 2010 e n. 364.188 con decorrenza ante 2010.
Dopo un primo periodo di applicazione del nuovo procedimento di riconoscimento dell'invalidità, l'INPS, alla luce dei risultati conseguiti, ha ritenuto necessario adottare significativi interventi per il miglioramento e la razionalizzazione degli aspetti organizzativi, informatici e medico-legali dell'intera procedura.
Le difficoltà connesse all'avvio del nuovo processo sono per lo più riconducibili all'eterogeneità della materia, delle diverse tipologie assistenziali, delle distinte organizzazioni territoriali delle ASL e del
modus operandi delle stesse, nonché all'elevato numero di interlocutori e soggetti esterni coinvolti. Pur essendo state realizzate nei confronti delle ASL numerose iniziative di sensibilizzazione, di coinvolgimento e di supporto tecnico-informatico permangono sul territorio, anche se in modo disomogeneo, situazioni di difficoltà connesse allo scarso utilizzo da parte delle stesse aziende sanitarie dell'applicativo gestionale informatico, che governa in modalità integrata l'intero processo. In tale contesto si è evidenziata una situazione di diffusa criticità riferita in particolare allo svolgimento dell'iter procedimentale previsto per la revisione dello stato invalidante, in quanto l'elevato numero di verbali che le ASL continuano a redigere in forma cartacea, impone ai centri medico legale dell'INPS di effettuare manualmente tutti gli adempimenti comportando spesso una dilatazione dei tempi di definizione delle pratiche.
In particolare mentre è ad oggi pienamente utilizzabile la modalità telematica per la presentazione delle domande e per la definizione amministrativa delle stesse, l'accertamento sanitario presso le aziende sanitarie locali risulta invece essere sostanzialmente ancora cartaceo.
L'indisponibilità di un flusso interamente telematico determina, evidentemente, difficoltà nel monitorare e nel definire tempestivamente le diverse sottofasi del procedimento di accertamento dei benefici.
L'INPS ha comunicato che le iniziali difficoltà emerse all'avvio delle nuove modalità di accertamento e verifica troveranno adeguata soluzione grazie alla progressiva estensione della procedura telematizzata. In ogni caso, il termine di 120 giorni per la conclusione del procedimento, dalla data di presentazione dell'istanza, è un obiettivo fortemente sentito e perseguito dall'istituto, che ha garantito che verranno poste in essere tutte le opportune iniziative affinché sia effettivamente realizzata una contrazione dei tempi procedurali. In particolare il direttore generale dell'INPS con i messaggi n. 2036 del 28 gennaio 2011 e n. 2886 del 4 aprile 2011, ha introdotto alcune

innovazioni tese a snellire il procedimento senza impoverire i controlli.
È utile ricordare che qualora l'INPS non si pronunci nel termine di 60 giorni dal ricevimento del verbale trasmesso dall'ASL competente, tale verbale acquista carattere definitivo relativamente all'esito dell'accertamento in esso contenuto (ai sensi dell'articolo 1, comma 7, della legge n. 295 del 1990).
L'istituto ha altresì previsto, ad ulteriore tutela del cittadino, che la commissione medica superiore debba espletare le proprie attività di verifica entro il termine di 15 giorni.
L'INPS ha comunicato, inoltre, che i piani straordinari di verifiche nei confronti dei titolari di benefici economici di invalidità civile, previsti dall'articolo 80 del decreto-legge n. 112 del 2008 e dall'articolo 20, comma 2, decreto-legge n. 78 del 2009, non hanno causato ritardi nell'espletamento delle verifiche ordinarie, ed anzi hanno consentito, in alcuni casi, di garantire la continuità nell'erogazione delle prestazioni poiché si è proceduto ad accertare, in sede di verifica straordinaria, la permanenza dei requisiti sanitari anticipatamente rispetto alla data di scadenza delle prestazioni soggette a revisione (come può evincersi dal messaggio del direttore generale dell'INPS n. 6763 del 16 marzo 2011).
In conclusione, a conferma dell'attenzione che il Governo riserva a questo tema, si sottolinea che è tuttora attivo un tavolo tecnico, istituito tra regioni, Ministero del lavoro, Ministero della salute e INPS al fine di monitorare la concreta attuazione delle nuove procedure degli accertamenti socio sanitari in materia di invalidità civile e di tutti benefici ad essi connessi. In particolare, i partecipanti al Tavolo hanno condiviso l'esigenza di analizzare approfonditamente i dati finora raccolti dall'INPS, in modo da individuare interventi condivisi che possano, insieme al completamento del processo di telematizzazione, consentire di superare i ritardi che si registrano nella procedura.
Da ultimo vale la pena evidenziare che l'articolo 18, comma 22, del decreto-legge n.98 del 2011, convertito dalla legge n. 111 del 2011, con l'obiettivo di assicurare maggiore omogeneità e snellezza a tutto il procedimento, ha introdotto la possibilità per le regioni di stipulare, anche in deroga alla normativa vigente, specifiche convenzioni con l'INPS per l'affidamento all'istituto delle funzioni relative all'accertamento dei requisiti sanitari.
In conclusione, fermo restando che in qualità di autorità vigilante il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha agito e agirà nei confronti dell'Inps per migliorare le
performances del sistema informativo, devo sottolineare che molte delle difficoltà operative lamentate discendono dalla struttura dei sistemi informativi delle ASL e delle autonomie locali, sui cui assetti organizzativi il Governo non può esercitare alcun potere di intervento, bensì una mera moral suasion, nell'ottica della leale collaborazione istituzionale.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Nello Musumeci.

SBAI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
la Repubblica del Congo, specialmente la zona del Nord Kivu, vive un periodo di forte instabilità politica e sociale;
sono stati rapiti in quel territorio due membri di organizzazioni non governative, una nazionale ed una internazionale;
in quella zona operano trafficanti di esseri umani e in particolare di bambini;
la piccola Jeanne Faide Cipolla è stata sequestrata due mesi e mezzo fa nella Repubblica del Congo, nel Nord Kivu;
non si conoscono, al momento, né la destinazione né lo stato di salute della bambina;
la bambina è in stato di adozione internazionale da parte di genitori italiani;

molte sollecitazioni da parte della famiglia italiana sono state rivolte alle autorità italiane, senza aver ricevuto alcuna risposta;
episodi di sottrazione e sequestro di minore non sono nuovi nella Repubblica del Congo, soprattutto a scopo estorsivo;
la bambina è, ad oggi, strumento di ricatto alla famiglia in Italia, che non ha possibilità di vederla né di sentirla -:
come il Governo intenda procedere in relazione a questa vicenda e in tutti i casi di rapimento internazionale di minori;
se il Governo intenda sollecitare l'ambasciata italiana a Kinshasa affinché muova i passi dovuti per la liberazione della bambina;
se il Governo intenda assumere ogni iniziativa di competenza affinché Jeanne Faide Cipolla ritorni a casa al più presto;
come il Governo intenda gestire i rapporti con Paesi, nel caso di specie la Repubblica del Congo, che a giudizio dell'interrogante non si attivano adeguata- mente affinché la piaga dei rapimenti di minore a scopo estorsivo terminino definitivamente.
(4-13572)

Risposta. - In merito a quanto rappresentato dall'interrogante nell'interrogazione in esame si forniscono i seguenti elementi di informazione.
I coniugi Giuseppe e Vincenza Cipolla si sono rivolti nei primi mesi del 2010 ad un'associazione congolese, Elcos 2006, per individuare una minore adottabile nella Repubblica Democratica del Congo (Rdc) ed avviare una procedura di adozione.
Pur trattandosi di un'associazione nota localmente per le molteplici attività umanitarie a favore degli strati più bisognosi della popolazione, la Elcos 2006 non opera nel campo delle adozioni internazionali e, in particolare, non figura tra gli enti autorizzati dalla Commissione per le adozioni internazionali (Cai) della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Come noto, essere muniti di un decreto di idoneità rilasciato da un tribunale per i minorenni italiano e rivolgersi ad un ente autorizzato dalla Cai sono condizioni necessarie affinché l'adozione realizzata in un Paese straniero da parte di cittadini italiani possa essere riconosciuta in Italia e possa essere autorizzato l'ingresso in Italia del minore adottato all'estero. Al contrario, i coniugi Cipolla hanno concluso l'adozione della minore congolese Jeaime, nata a Kiringa il 24 aprile 2009, prima dell'ottenimento del decreto di idoneità e senza l'intervento di alcun ente autorizzato italiano.
Nell'interesse della minore congolese coinvolta, la Cai e l'ambasciata d'Italia a Kinshasa si sono comunque prodigate, ciascuna nell'ambito delle proprie competenze, per ricondurre al rispetto della legge italiana la procedura adottiva autonomamente realizzata nella Rdc dai coniugi Cipolla. Nello specifico, è stato necessario anche l'intervento di un ente autorizzato, la Fondazione Raphael, che con la propria struttura operativa in Italia e nella Rdc ha svolto tutti gli adempimenti necessari per consentire alla Cai di emettere in data 8 luglio 2011 la prescritta autorizzazione all'ingresso e alla residenza in Italia per adozione a favore della minore Jeanne.
Da allora, tuttavia, la definizione dell'
iter adottivo è rimasta sospesa, in attesa che i coniugi Cipolla si rechino nella Rdc per incontrare la bambina ed accompagnarla in Italia. Sopravvenute incomprensioni tra i coniugi Cipolla e la presidente della Elcos 2006 che riguarderebbero, secondo quanto qui noto, in particolare le spese legali ed amministrative sostenute dall'associazione, rappresenterebbero la causa principale dell'attuale situazione di stallo.
L'ambasciatore italiano a Kinshasa ha personalmente esperito vari tentativi di conciliazione tra le parti, da ultimo il 6 ottobre 2011, senza tuttavia riuscire a ricomporre il necessario rapporto di fiducia reciproca.
In base alle informazioni raccolte dall'ambasciata d'Italia a Kinshasa, la piccola Jeanne, sottoposta dal tribunale congolese all'autorità tutelare
pro-tempore della presidente dell'associazione Elcos 2006, convive

tuttora con la nonna materna a Kiringa, un villaggio della Rdc nel Nord Kivu.
La nostra ambasciata a Kinshasa continuerà a seguire con la massima attenzione gli sviluppi locali della procedura, collaborando con le parti coinvolte per una quanto più celere soluzione che consenta la definizione della procedura e l'ingresso in Italia della piccola Jeanne per riunirsi alla sua nuova famiglia.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.

SBAI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
la piccola Martina è stata nei fatti sequestrata dal padre, il signor Hassen Abdeljelidi, nazionalità tunisina, per farla vivere islamically correct;
il sequestro in Tunisia prosegue ormai da 6 mesi;
alla precedente udienza nessun esponente dell'ambasciata né del consolato si è presentato;
il 28 ottobre 2011 avrà luogo l'udienza per l'affido definitivo della bambina;
si sono svolte le prime elezioni libere nella Tunisia del dopo Ben Alì;
il Governo che si formerà ha promesso di essere all'insegna della moderazione e della cooperazione internazionale;
si potrebbero aprire degli spiragli di trattativa per poter riportare la bambina a casa anche in vista di un gesto di apertura della neonata maggioranza a Tunisi -:
come il Governo intenda procedere in relazione a questa vicenda;
se il Governo intenda sollecitare la presenza delle rappresentanze consolari italiane a Tunisi il giorno dell'udienza del 28 ottobre 2011;
se il Governo intenda esercitare un'azione diplomatica presso il governo provvisorio tunisino al fine di far tornare la bambina;
come il Governo intenda gestire il rapporto diplomatico con la Tunisia, nel caso in cui questa decidesse, sebbene con un nuovo Governo, di non assumere iniziative per il ritorno della bambina.
(4-13719)

Risposta. - Come indicato nella risposta ad una precedente interrogazione dell'interrogante e come più volte sottolineato pubblicamente dalla Farnesina, il Ministero degli affari esteri continua a seguire con la massima attenzione, in stretto raccordo con l'Ambasciata d'Italia a Tunisi e con l'ambasciatore in prima persona, la delicata vicenda della piccola Martina Tolomeo, fornendo pieno sostegno alla madre ed alla famiglia.
La Farnesina intende, in aggiunta alla massima attività di assistenza consolare fin qui prestata, dare continuità all'importante azione di sensibilizzazione diplomatica condotta ad alto livello presso le autorità tunisine. Al riguardo si segnala che, dopo essere già intervenuto a più riprese (il 16 settembre, il 10 ed 11 ottobre 2011) presso il locale Ministero degli esteri, il nostro ambasciatore a Tunisi ha ribadito con forza, il 18 ottobre 2011, al Ministro tunisino della giustizia le aspettative del Governo italiano in relazione al caso della piccola Martina.
La nostra incessante azione diplomatica mira a tutelare i diritti della minore ad avere rapporti con entrambe le figure genitoriali ed a non essere sradicata dal suo contesto di residenza abituale, così come garantiti dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, della quale la Tunisia è parte. Si assicura che tale attività di sensibilizzazione diplomatica proseguirà fino a quando non si sarà giunti ad una soluzione positiva della vicenda, nel superiore interesse della bambina.
Per quanto riguarda la presenza, caldeggiata dall'interrogante, delle autorità consolari italiane all'udienza dibattimentale del 28

ottobre 2011 presso il tribunale di Zaighouan relativa al procedimento per l'affidamento definitivo della bambina, si fa presente che due rappresentanti della nostra ambasciata erano presenti in aula. L'udienza è stata rinviata al 18 novembre 2011, mentre la relativa sentenza di primo grado potrebbe essere emessa nell'arco di 40-50 giorni. Si segnala positivamente che, a margine dell'udienza, i rappresentanti dell'ambasciata hanno raggiunto un'intesa di massima con la controparte circa la disponibilità a consentire una seconda visita consolare alla minore.
Per completezza d'informazione, si ricorda che sono pendenti in Tunisia diversi procedimenti di natura civile legati alla vicenda: quelli sui ricorsi presentati dalla signora Tolomeo contro il provvedimento di affidamento provvisorio di Martina al padre - emesso il 28 settembre 2011 dall'autorità giudiziaria tunisina - e sulla mancata esecuzione dell'autorizzazione alla visita della signora stessa alla bimba il 2 agosto 2011; quello, infine, sull'
exequatur del decreto emesso dal tribunale per i minorenni di Milano il 4 ottobre 2011. Il decreto in parola non è ancora pervenuto né al legale tunisino né all'ambasciata a Tunisi perfezionato con le apposite legalizzazioni e quindi non può essere depositato presso le autorità giudiziarie locali, affinché venga incardinato il procedimento teso ad ottenerne il riconoscimento. L'iter giudiziario di questi procedimenti continuerà ad essere accompagnato, come sopra accennato, da una costante iniziativa di sensibilizzazione diplomatica ad alto livello.
Parallelamente, al fine di rafforzare la cooperazione con la Tunisia in un settore così delicato, il Ministero degli affari esteri proseguirà a stimolare quelle autorità affinché approfondiscano attentamente la necessità di aderire a strumenti internazionali multilaterali quali la Convenzione dell'Aja sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori del 1980 (Convenzione alla quale ha recentemente aderito anche il Marocco). Quest'azione verrà condotta tanto sul piano bilaterale quanto su quello comunitario, tenuto conto della perdurante attrazione che l'Unione europea esercita per Tunisi in termini di crescente cooperazione ed integrazione.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Enzo Scotti.

SCHIRRU. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
i docenti abilitati ed abilitandi in strumento musicale A077, COBASLID (arte e disegno), scienze della formazione primaria, corsi speciali abilitanti SSIS Lazio di cui ai decreti ministeriali nn. 21/05 e 85/05, iscritti negli anni accademici 2008-2009, 2009-2010, 2010-2011, non possono, in base alla normativa vigente, essere inseriti nelle graduatorie ad esaurimento, unico canale di reclutamento per accedere all'insegnamento;
in Sardegna, a causa di tale normativa, sono esclusi dalle suddette graduatorie circa 450 abilitati e abilitandi in Scienze della formazione primaria e circa 100 abilitati al conservatorio in strumento musicale. A livello nazionale gli esclusi sono oltre 20.000 e la situazione di questa categoria di docenti è resa ancora più difficile dalla grave congiuntura economica, della quale la Sardegna risente particolarmente;
l'università di Cagliari in data 30 giugno 2011, ha previsto nel manifesto di studi, su disposizione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di avviare un nuovo corso abilitante a numero chiuso, destinato a formare un centinaio di nuovi docenti che rischia di non avere nessun futuro;
il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca continua ad emettere bandi universitari, per l'abilitazione in scienze della formazione primaria e frumento musicale, senza offrire concrete possibilità di inserimento nel mondo della scuola, con il devastante effetto di incrementare la percentuale di disoccupati e inoccupati ed in contraddizione con lo spirito

della norma volte ad esaurire il problema del precariato;
durante il dibattito in Assemblea del 21 giugno 2011 è stato approvato l'ordine del giorno n. 9/4357-A/63, a firma Russo e di altri parlamentari, con il quale si impegna, in sostanza, il Governo a rendere effettivo il valore legale del titolo acquisito dai docenti abilitati e abilitandi in scienze della formazione primaria, in strumento musicale A077, COBASLID (arte e disegno), corsi speciali abilitanti SSIS Lazio di cui ai decreti ministeriali nn. 21/05 e 85/05, ai fini dell'inserimento nelle graduatorie ad esaurimento;
è stato approvato l'ordine del giorno n. 9/4357-A/155, a firma Pagano e altri deputati del PDL, con il quale si impegna il Governo: chiudere la fase transitoria e a consentire l'inserimento nelle graduatorie ad esaurimento di tutti i docenti che hanno conseguito l'abilitazione all'insegnamento con il «vecchio» sistema di formazione dei docenti in vigore fino al 2010;
tutti i capigruppo della VII Commissione hanno sottoscritto la proposta di legge n. 4442 presentata dall'onorevole Russo ed altri (di tutti gli schieramenti) recante modifiche all'articolo 5-bis del decreto-legge 1° settembre 2008, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169, concernente le graduatorie ad esaurimento per l'assunzione dei docenti, nonché disposizioni in materia di giurisdizione sulle relative controversie;
la proposta di legge nasce dall'esigenza di risolvere la questione dei mancanti inserimenti nelle graduatorie ad esaurimento, valide per il 2011-2013 di personale docente già abilitato e super specializzato con i precedenti corsi universitari nazionali autorizzati, in attesa della predisposizione di un nuovo sistema di reclutamento definitivo;
al fine di sanare un evidente elemento di disparità di trattamento tra personale che nell'anno accademico 2008/2009/2010 in seguito alla frequenza dei corsi universitari a numero programmato autorizzati dallo stesso Ministero, anche presso le facoltà di scienze della formazione primaria, le accademie e i conservatori, ha conseguito la relativa abilitazione, si pone l'esigenza come già avvenuto nel passato di favorire, entro l'anno scolastico 2011/2012, l'inserimento nelle graduatorie ad esaurimento dei docenti iscritti -:
se il Ministro sia a conoscenza della controversa situazione nella quale si trovano i docenti abilitati ed abilitandi esposta in premessa;
se, in attesa dell'attuazione di un nuovo e definitivo sistema di reclutamento, non ritenga opportuno in tempi brevi risolvere il problema, dando la possibilità di inclusione nelle graduatorie ad esaurimento anche ai docenti attualmente esclusi, entro l'anno scolastico 2011-2012.
(4-13200)

Risposta. - L'interrogante, con l'interrogazione in esame, prospetta la situazione dei docenti abilitati esclusi dalle graduatorie ad esaurimento e propone l'adozione di interventi per sanare la posizione degli stessi entro l'anno scolastico 2011/2012.
Per una esaustiva comprensione della questione in discorso, è utile riepilogare il relativo quadro normativo nella sua evoluzione.
La legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007), al comma 605 dell'articolo 1, ha trasformato le graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento, facendo salvi i nuovi inserimenti, da effettuare per il biennio 2007/2008, per i soli docenti che fossero già in possesso di abilitazione e, con riserva del conseguimento del titolo di abilitazione, per quelli che alla data di entrata in vigore della legge stessero frequentando i corsi abilitanti Ssis, Cobaslid, Scienza della formazione primaria ed i corsi di didattica della musica presso i conservatori di musica.
L'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, ha poi stabilito la sospensione delle procedure per l'accesso alle Ssis

per l'anno accademico 2008/2009, e fino al completamento degli adempimenti riguardanti la razionalizzazione e l'accorpamento delle classi di concorso e la revisione dei criteri e dei parametri vigenti per la determinazione degli organici del personale docente ed Ata.
Il successivo decreto-legge n. 137 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 169 del 2008, ha eccezionalmente previsto all'articolo 5-
bis l'inserimento nelle graduatorie ad esaurimento di coloro che hanno frequentato i corsi del IX ciclo presso le Ssis o i corsi Cobaslid attivati nell'anno accademico 2007/2008 ed hanno conseguito il titolo abilitante.
In applicazione della norma sopra citata, il decreto ministeriale n. 42 dell'8 aprile 2009 di integrazione e aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento per gli anni scolastici 2009/2010 e 2010/2011 ha individuato le categorie di aspiranti che potevano presentare domanda di inserimento nelle graduatorie, sia a pieno titolo che con riserva.
L'orientamento legislativo di non estendere l'inclusione nelle graduatorie ad esaurimento ad altre categorie di aspiranti oltre quelle già indicate, è stato ulteriormente confermato dall'articolo 9, comma 20, del decreto-legge n. 70 del 2011, convertito con modificazioni dalla legge n. 106 del 2011, il quale ha stabilito che l'aggiornamento delle graduatorie è consentito, con cadenza triennale (non più biennale), «senza possibilità di ulteriori nuovi inserimenti».
Pertanto, il decreto ministeriale n. 44 del 12 maggio 2011, parzialmente modificato con successivo decreto n. 47 del 26 maggio 2011 a seguito della citata disposizione che ha reso le graduatorie triennali, ha previsto soltanto le seguenti tipologie: permanenza e/o aggiornamento del punteggio degli aspiranti già inseriti in graduatoria, conferma dell'iscrizione con riserva o scioglimento della stessa, e trasferimento ad una provincia diversa da quella di inserimento.
Dal quadro normativo sopra esposto si può evincere che non sussiste alcuna disposizione legislativa che prenda in considerazione gli iscritti ai corsi abilitanti successivi all'anno 2007/2008, in quanto il legislatore ha ritenuto opportuno non incrementare ulteriormente il canale di reclutamento costituito dalle graduatorie ad esaurimento. Ciò al fine di conseguire l'obiettivo di evitare il formarsi di nuovo precariato ingrossando le fila di quello già esistente.
Pertanto, il titolo conseguito dagli interessati, pur utile per insegnare nelle scuole con diritto ad iscriversi nella seconda fascia delle graduatorie d'istituto per il conferimento delle supplenze, non è tuttavia idoneo per l'inserimento nelle graduatorie ad esaurimento. Gli stessi potranno partecipare ai concorsi che saranno indetti e che saranno destinati nella misura del 50 per cento a tutti gli abilitati (anche con i nuovi percorsi abilitanti del tirocinio formativo attivo) e per l'altro 50 per cento ai docenti inseriti nelle graduatorie ad esaurimento.

Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Mariastella Gelmini.

STUCCHI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
una lavoratrice ricoverata dal gennaio 2010 in stato vegetativo nella struttura sanitaria Don Orione di Bergamo e residente nella provincia orobica è stata licenziata, dopo 16 anni di lavoro, perché secondo la Nuova Termostampi di Lallio (Bergamo) «la discontinuità della sua prestazione lavorativa crea evidenti intralci all'attività produttiva»;
il 31 maggio 2010 la signora era riuscita, nonostante le difficili condizioni, a dare alla luce una bambina: l'ultima dei suoi 4 figli;
la famiglia ha impugnato il provvedimento di risoluzione del rapporto di lavoro -:
se non ritengano doveroso e urgente intervenire, al fine di accertare quanto segnalato in premessa, verificando il pieno rispetto della normativa in vigore, riguardante il

diritto alla conservazione del posto di lavoro, alla luce anche dei ricorsi presentati dalle organizzazioni sindacali e nel contempo sensibilizzare l'azienda in questione, ad assumere una diversa valutazione sul caso rappresentato.
(4-12713)

Risposta. - L'interrogazione in esame concerne il licenziamento, per superamento del cosiddetto periodo di comporto, di una lavoratrice in stato vegetativo.
Il caso presentato dall'interrogante riguarda una lavoratrice dipendente della società Nuova Termostampi spa di Lallio, in provincia di Bergamo, che a causa di un aneurisma cerebrale si trova in coma dal gennaio 2011.
Preliminarmente, si osserva che la malattia costituisce un caso di impossibilità di svolgimento della prestazione lavorativa in grado di determinare la sospensione del rapporto di lavoro. Il lavoratore, assente giustificato durante la malattia, non può essere licenziato entro i limiti temporali di un periodo di tempo, denominato periodo di comporto, durante il quale ha diritto alla conservazione del posto. Allo scadere del periodo di comporto, la cui durata è generalmente stabilita dalla contrattazione collettiva, il datore di lavoro può procedere al licenziamento del lavoratore.
Sulla base delle informazioni raccolte dalla direzione provinciale del lavoro di Bergamo, che ha compiuto ogni verifica fattuale e approfondimento normativo del caso, anche avviando un confronto collaborativo con le locali associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro, si rende noto che non sono state riscontrate irregolarità normative e contrattuali nel provvedimento adottato a carico della lavoratrice.
Infatti, il contratto collettivo nazionale dei lavoratori per gli addetti all'industria della gomma, cavi elettrici ed affini e all'industria delle materie plastiche, applicato nel caso di specie, prevede che, superati i limiti di conservazione del posto, pari a 12 mesi, per un continuativo grave evento morboso, il lavoratore possa usufruire, previa richiesta scritta (anche da parte dei famigliari) da presentarsi entro i suddetti limiti, di un periodo di aspettativa della durata di 5 mesi, durante il quale non decorrerà retribuzione né si avrà decorrenza di anzianità a nessun effetto.
Dalle verifiche effettuate dalla competente direzione provinciale del lavoro, non risulta che sia mai stata presentata una richiesta in tal senso in favore della lavoratrice.
Inoltre, a carico della Nuova Termostampi spa non sono emersi significativi inadempimenti della normativa lavoristica e non è risultata alcuna segnalazione sindacale o richiesta di intervento di singoli lavoratori da cui sia possibile inferire episodi di discriminazione in materia di parità fra uomo-donna o di lavoratrici madri o di lavoratori in situazioni di disagio o minorazione fisica.
In conclusione, riscontrata la non illegittimità del provvedimento adottato dal datore di lavoro, non si può far altro che segnalare la possibilità per la famiglia della lavoratrice di avviare iniziative di carattere assistenziale e di sostegno del reddito, quali il riconoscimento dell'inabilità o dell'invalidità civile, al fine di usufruire delle conseguenti prestazioni economiche.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

TOCCI. - Al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
la Fondazione Enasarco ha deciso di dismettere l'intero patrimonio immobiliare ad uso abitativo con vendita diretta all'inquilinato e con cessione a titolo residuale - per i conduttori che non siano in grado di acquistare le case in cui abitano - ai fondi immobiliari;
la Fondazione ha già valutato e deliberato di procedere alla dismissione praticando uno sconto del 30 per cento per gli appartamenti occupati;
detta valutazione - che potrà ridursi ulteriormente in caso di acquisto collettivo da parte degli inquilini dello stesso stabile - è stata

effettuata tenendo conto e dando atto del fatto che, stando agli usi e alle valutazioni dell'Agenzia del territorio e degli esperti del settore, la vendita degli immobili occupati comporta una riduzione del valore di almeno il 30 per cento;
detta valutazione non ha per nulla preso in considerazione la presenza dei portieri e dei pulitori in tutti gli stabili;
questi oltre 300 lavoratori e le loro famiglie rischiano nel giro di pochissimi anni sia la perdita del posto di lavoro che della casa, che molti di loro abitano da contratto e che non sono in grado di acquistare;
i lavoratori si sentono umiliati ed indignati dal fatto di essere stati esclusi da una trattativa sul proprio futuro che - a detta del presidente Brunetto Boco - sarebbe stata definita con le associazioni degli inquilini;
della definizione di detta trattativa non c'è traccia negli accordi siglati tra le associazioni degli inquilini e la Fondazione;
d'altronde la situazione del rapporto di lavoro dei portieri e pulitori della Fondazione riguarda solo questi ultimi ed altri soggetti non sono legittimati a trattarne per loro conto in assenza di esplicita delega;
le associazioni Cgil, Cisal, Cisl, Ugl e Uil, hanno proclamato lo stato di agitazione, riservandosi, forme di lotta più incisive -:
quali iniziative il Ministro interrogato intenda promuovere per affrontare il problema in modo serio e costruttivo, sollecitando la Fondazione Enasarco a non scaricare sugli inquilini una questione di cui è obbligata moralmente e contrattualmente a farsi carico;
se e quando il Ministro intenda convocare un tavolo istituzionale per trovare con le associazioni sindacali dei portieri e dei pulitori e la Fondazione una via d'uscita che assicuri il futuro lavorativo e quello abitativo degli interessati, anche attraverso soluzioni che tengano conto dell'età e della possibile modifica del rapporto di lavoro.
(4-04957)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame con cui si chiedono notizie in merito alla salvaguardia dei livelli occupazionali dei lavoratori con compiti di pulizia e custodia dipendenti dall'Enasarco a seguito della dismissione del patrimonio immobiliare, si rappresenta quanto segue.
Preliminarmente, si ritiene opportuno evidenziare che, in linea generale, le casse privatizzate in materia di gestione e disposizione del proprio patrimonio immobiliare, nel quadro legislativo delineato dai decreti legislativi 30 giugno 1994, n. 509 e 10 febbraio 1996, n. 103, hanno piena autonomia gestionale da esercitarsi al fine del raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario e del contenimento del rischio della gestione del proprio attivo, in un'ottica della tutela degli interessi previdenziali ed assistenziali degli iscritti alle casse stesse e, quindi, del perseguimento della funzione pubblica ad esse affidata dall'articolo 38 della Costituzione.
Con riferimento all'interrogazione in esame con cui si chiede quali siano le iniziative avviate per far fronte alla salvaguardia dei livelli occupazionali del personale dipendente dall'Enasarco una volta dismesso il suo patrimonio immobiliare, si rappresenta che, con delibera n. 8 del 14 febbraio 2008, il consiglio di amministrazione della fondazione aveva stabilito di adottare la strategia di dismissione del patrimonio immobiliare finalizzata, da un lato, al miglioramento dell'
Asset allocation strategica e, dall'altro, al raggiungimento dell'obiettivo di stabilità del bilancio tecnico ultratrentennale richiesto dalla legislazione vigente, conferendo altresì mandato alla direzione generale della fondazione di predisporre un piano di fattibilità per la vendita diretta del patrimonio immobiliare all'inquilinato, fermo restando l'impegno della stessa alla salvaguardia dei livelli occupazionali dei lavoratori.
In data 18 settembre 2008 il consiglio di amministrazione, con delibera n. 74, ha approvato il piano per la dismissione del patrimonio immobiliare

denominato «Progetto mercurio» che, alla parte terza, - capitolo 12 «rapporti di lavoro» -, tratta, distintamente, le problematiche connesse ai rapporti di lavoro degli «impiegati amministrativi e tecnici» (sub 12.1) e degli «addetti alla custodia e pulizia degli stabili (sub 12.2).
In osservanza a quanto previsto nel suddetto piano, nel corso del 2008 e del 2009 si sono tenuti diversi incontri con le organizzazioni sindacali sia degli inquilini che dei lavoratori. Dopo un'ampia e articolata trattativa, nel corso della quale la Fondazione e le organizzazioni sindacali hanno vagliato tutte le ipotesi percorribili nell'interesse dei lavoratori e della salvaguardia della loro occupazione, in data 13 settembre 2011 è stato raggiunto un accordo tra le organizzazioni sindacali CISL, UIL ed UGL e la Fondazione medesima.
Tale accordo prevede, per tutto il personale addetto alla pulizia e alla custodia degli stabili oggetto di dismissione, la possibilità di optare per l'assunzione alle dipendenze dei condomini che verranno costituiti a seguito della vendita o, in alternativa, la corresponsione di un riconoscimento economico nel caso di cessazione del rapporto di lavoro. I lavoratori che opteranno per la prima soluzione verranno assunti alla dipendenze del condominio con contratto a tempo indeterminato, per un periodo minimo di 5 anni, alle medesime condizioni retributive in atto al momento della risoluzione del rapporto di lavoro con la Fondazione. Ai dipendenti che invece non opteranno per l'assunzione alle dipendenze dei condomini, la fondazione garantirà la corresponsione di un incentivo nella misura massima di 50.000 euro allo scopo di offrire un sostegno economico all'atto della cessazione del rapporto di lavoro. L'importo dell'incentivo sarà calcolato tenuto conto dell'anzianità di servizio, dell'età anagrafica e dei carichi di famiglia.
Conclusivamente, si osserva che la questione segnalata dall'interrogante ha già trovato una soluzione di tipo procedurale che possa contemperare sia le esigenze del personale addetto agli stabili dismessi che quelle della fondazione.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il 13 marzo il Partito per la tutela dei diritti di militari e forze di polizia (Pdm) ha reso noto che «il giorno 17 febbraio scorso a Roma si sono tolti la vita due militari dell'Arma dei carabinieri. Si tratta dell'appuntato decreto-legge, nato a Chieti il 10 giugno 1974, in servizio presso la 1° sezione del nucleo radiomobile di Roma deceduto a causa di un colpo arma da fuoco alla testa, esploso con l'arma in dotazione, e il maresciallo capo L.I., nato a Roma il 26 settembre 1971, in servizio presso lo Stato maggiore difesa - centro formazione logistica interforze deceduto per impiccamento -:
se siano a conoscenza di quanto detto in premessa;
quali siano le ragioni per le quali non sembra sia stata diffusa notizia di questi tragici episodi;
quanti siano i casi ufficiali di suicidio tra i militari dell'Arma.
(4-06516)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
nei mesi che hanno preceduto l'approvazione da parte del Parlamento della legge n. 78 del 2000 in un articolo dal titolo «Generali "premiati": Nunzella presto consigliere di D'Alema», pubblicato a pagina 5 del Corriere della Sera del 23 febbraio 2000 si legge che «Il Cocer, l'organismo sindacale dei Carabinieri, sostiene che i timori di un eccessivo potere sono infondati e che "l'autonomia non deve spaventare, servirà soprattutto per

ragioni pratiche: a esempio l'Esercito ci mette a disposizione in tutt'Italia 60 medici. Pochissimi. E così l'anno scorso abbiamo avuto 15 colleghi suicidi a causa dello stress. E quest'anno siamo già a 3 suicidi".» -:
quanti casi di suicidio si siano verificati tra gli appartenenti dell'Arma dei carabinieri nei dieci anni precedenti la data del 31 marzo 2000 e quanti siano, invece, quelli appurati successivamente a tale data;
quanti siano i medici militari appartenenti all'Arma dei carabinieri attualmente in servizio e in quali sedi, quanti gli psicologi e quali le attività di assistenza e supporto in favore degli appartenenti all'Arma per prevenire atti di autolesionismo.
(4-07126)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
l'appuntato Cortilli Fabio (classe 1967) in servizio presso il servizio amministrativo del comando provinciale dell'Arma dei carabinieri di Frosinone, è deceduto per incidente in servizio il giorno 14 giugno 2010;
da notizie di stampa si apprende che si tratterebbe invece dell'ennesimo caso di suicidio di un appartenente all'Arma conseguente a un diverbio con la di lui consorte e che il fatto sarebbe avvenuto in un'area di servizio sul grande raccordo anulare di Roma, vicino allo svincolo della via Flaminia -:
se dovesse essere confermato il fatto che il decesso del militare in premessa sia stato causato da un atto di autolesionismo (suicidio), quali siano stati i motivi che hanno indotto i vertici dell'Arma a classificarlo come incidente in servizio;
quanti siano stati i casi di suicidio che si sono verificati tra gli appartenenti all'Arma dei carabinieri negli ultimi 10 anni, quali le cause e quali gli interventi a favore dei familiari del militare in premessa;
se il Ministro interrogato non ritenga doveroso istituire una apposita commissione d'indagine ministeriale per il costante controllo dei possibili casi di disagio fra il personale dipendente, al fine di prevenire il ripetersi del tragico evento di cui in premessa, se detta Commissione sia già stata istituita, in quale data e quali siano i risultati.
(4-07623)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
con numerosi atti di sindacato ispettivo gli interroganti hanno chiesto, tra le altre, di conoscere quali immediati e urgenti iniziative intenda avviare il Ministro interrogato per monitorare, contenere e possibilmente risolvere, il preoccupante fenomeno dei suicidi tra gli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento militare;
solo tra gli appartenenti all'Arma dei carabinieri si sono verificati ben 5 casi di suicidio dal 27 ottobre 2010 ad oggi;
nell'Arma dei carabinieri si registra quella che agli interroganti appare una inconcepibile restrizione e costrizione, entro insufficienti e inadeguati spazi, delle individualità del personale e dei diritti democratici ad opera dei vertici con una costante azione che appare mirata a realizzare, con un esasperato rigore sotto gli aspetti della disciplina, il raggiungimento di determinati obiettivi che possano consentire un maggiore campo d'azione della politica di Governo sui temi della sicurezza e della lotta alla criminalità -:
se il Ministro interrogato non ritenga opportuno, oltre che urgente, richiamare ad un più attento e adeguato esercizio delle potestà attribuite dall'ordinamento militare coloro che a qualsiasi livello hanno le responsabilità del comando e nel contempo avviare concretamente ogni possibile

azione volta alla comprensione e al miglioramento dei rapporti tra l'amministrazione militare e gli amministrati, ponendo come obiettivo della propria azione il benessere del personale e dei nuclei familiari.
(4-09297)

Risposta. - Osservo, in linea generale, che gli episodi di suicidio tra gli appartenenti all'Arma dei carabinieri, maturati prevalentemente al di fuori dell'ambiente lavorativo, presentano caratteri non difformi da quelli riscontrati nella popolazione generale (età media pari a 35,5 anni, maggiore incidenza nella fascia d'età tra 36 e 45 anni e maggior numero di casi tra i coniugati).
Le difficoltà nelle relazioni interpersonali, in particolare quelle afferenti la sfera sentimentale e familiare, rappresentano il movente di oltre il 50 per cento dei casi di suicidio e, a seguire, i motivi di salute propri e dei familiari.
Dagli studi condotti è emerso che nell'Arma dei carabinieri sono presenti specifici fattori di rischio che possono incidere sull'evento, quali la disponibilità di un'arma individuale, le ricorrenti situazioni di stress psicofisico e il carico di responsabilità che discende dalle elevate aspettative che la società ripone nel ruolo istituzionale ricoperto.
Nel merito, invece, degli specifici quesiti posti, preciso, con riferimento alle singole interrogazioni in esame, quanto segue:
atto n. 4-06516: relativamente ai due casi di suicidio richiamati dall'interrogante, sono state regolarmente effettuate le comunicazioni istituzionali previste, mentre non è stata data notizia alla stampa trattandosi di eventi che rientrano nella sfera del privato, nonché nel rispetto del dolore delle famiglie coinvolte; i due episodi non risultano assolutamente collegati tra loro e sono, verosimilmente, riconducibili a problemi di carattere familiare e a gravi problemi di salute personale. Nell'anno 2010 si sono verificati 22 casi di suicidio e nell'anno in corso, ad oggi (18 ottobre 2011), 10 casi;
atto n. 4-07126: nel periodo preso in considerazione dall'interrogante, ovvero dal 1990 al 31 marzo 2000, si sono registrati 141 episodi di autolesionismo, mentre dal 1o aprile 2000 al 2010, 149 casi. I medici militari dell'Arma dei carabinieri sono, attualmente, 121 (tutti ufficiali del ruolo tecnico logistico - specialità medicina); tale numero complessivo comprende 1 ufficiale medico in missione all'estero (Kosovo Force), 11 ufficiali medici in servizio presso enti sanitari interforze (ospedali militari e dipartimenti militari di medicina legale), 13 ufficiali medici attualmente impiegati presso la scuola ufficiali per la frequentazione del corso formativo per ufficiali del ruolo tecnico logistico, 4 ufficiali medici in aspettativa per motivi di studio e 2 ufficiali medici nella forza potenziale. Il numero degli ufficiali medici che prestano attualmente servizio presso gli enti dell'Arma corrisponde, pertanto, a 90 unità impiegate presso il comando Generale, il Centro nazionale di selezione e reclutamento, il Centro polispecialistico di Roma e le 41 infermerie presidiarie dislocate sul territorio nazionale. Ritengo opportuno osservare, altresì, che rispetto al 2000, gli ufficiali medici dell'Arma partecipano, con voto deliberativo, alle commissioni medico ospedaliere di prima e di seconda istanza, qualora vengano prese in esame pratiche relative al personale dell'Arma (ai sensi dell'articolo 33, comma 6, del decreto legislativo n. 298 del 2000); sostengono, poi, 3 assetti di «
Role 1» (struttura di 1o soccorso e di assistenza sanitaria) nei vari teatri di operazioni all'estero, oltre svolgere funzioni di «medico competente», ex articolo 38 del decreto legislativo n. 81 del 2008. Gli ufficiali del ruolo tecnico logistico (specialità psicologia) dell'Arma attualmente in servizio sono 13, di cui 1 impiegato presso la scuola ufficiali per la frequenza del corso formativo. Quanto, invece, alle attività poste in essere ai fini di prevenire il fenomeno in questione, l'istituzione si avvale della responsabile azione svolta dai comandanti ad ogni livello, basata sulla conoscenza diretta e consapevole dei propri militari e, inoltre:
contribuisce, dal 1992, all'attività dell'osservatorio permanente sul fenomeno del suicidio in ambito militare;
ha reso

operativo, dal 2001, il servizio di psicologia medica, con il compito di prevenire e curare il disagio psicologico dei militari in servizio, in quiescenza e dei loro familiari, di svolgere attività di prevenzione primaria (attività divulgativa/informativa e monitoraggio nel tempo), di prevenzione secondaria (controllo e supporto in situazioni acute) e di terapia (farmacoterapia, counselling e psicoterapia). L'accesso al servizio è volontario e risponde a severi requisiti di riservatezza, di rispetto del segreto professionale e dell'assoluta tutela della privacy. Le prestazioni erogate, a titolo gratuito, hanno una connotazione esclusivamente medico-assistenziale e non rivestono finalità medico-legali o, comunque, attinenti al servizio d'istituto;
ha istituito, dal 2002, la «Commissione di supporto della condizione generale del personale dell'Arma dei carabinieri», diretta da un ufficiale generale, con compiti di monitoraggio nello specifico settore, allo scopo di isolare fattori di criticità e d'individuare adeguate soluzioni migliorative dei livelli di benessere dei militari;
atto n. 4-07623: l'episodio non è stato classificato dall'Arma come «incidente di servizio» e sono state inoltrate, infatti, le prescritte comunicazioni di rito per i casi di suicidio. Alla famiglia del deceduto sono stati elargiti due sussidi urgenti per un totale di 2.500 euro;
atto n. 4-09297: proprio in ordine all'aumento degli episodi suicidiari verificatisi nel 2010, l'istituzione ha implementato ogni forma di attività volta all'analisi/prevenzione di tali eventi, sia tramite il servizio di psicologia medica, che attraverso l'istituzione della «Commissione centrale sul fenomeno dei suicidi», presieduta dal Sottocapo di Stato maggiore della stessa Arma dei carabinieri: tale «Commissione» ha svolto un'attenta analisi degli episodi, verificando l'estraneità al servizio delle motivazioni a base del gesto, constatando l'assoluta genericità del profilo del militare a rischio (anagrafico, familiare, psicologico, culturale, economico, operativo) e infine, accertando la correttezza dei competenti interventi (di gestione del personale, amministrativi, d'impiego), prima e dopo l'evento, così da escludere, con certezza, la delusione di aspettative rispetto all'Amministrazione.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
negli ultimi mesi, in particolare quelli che sono seguiti alla inutile proroga concessa già dallo scorso anno dal Governo, sono stati presentati dagli interroganti numerosi atti di sindacato ispettivo per chiedere lumi su comportamenti e fatti che hanno visto coinvolti sia singoli delegati che l'intero meccanismo della rappresentanza militare, evidenziando nelle premesse di quegli atti numerosi e gravi eventi che hanno reso chiaramente l'inutilità di tale strumento e l'uso per scopi personali e politici che ne viene ancora oggi fatto dai suoi componenti;
gli organismi della rappresentanza militare sono, nelle Forze armate e nelle Forze di polizia a ordinamento militare, il blando surrogato delle associazioni sindacali di categoria con la sostanziale differenza che i primi, vista anche la loro natura di organismo interno all'amministrazione datoriale, non hanno nessun effettivo potere di tutela e mediazione degli interessi collettivi e singoli del personale rappresentato e costano alle casse dello Stato cifre che sono stimate intorno ai 40 milioni di euro all'anno, come più volte riportato da numerose agenzie di stampa. Cifra questa che consentirebbe di escludere dall'attuale manovra economica la parte che prevede il blocco degli automatismi stipendiali dal comparto difesa, senza dovere ricorrere a ulteriori e fantasiose decurtazione dei trattamenti economici del personale interessato;
presso la 4° Commissione permanente del Senato della Repubblica è da tempo iniziata la discussione sui disegni di legge

numeri 161, 1157, 1510, 2125 e la petizione n. 15, tutti vertenti sull'ordinamento della rappresentanza militare;
attualmente i Cocer, i Coir e i Cobar, sono gli unici organismi della rappresentanza militare deputati, con i limiti imposti dalla legge, a rappresentare e a dover ricercare adeguate soluzioni volte a soddisfare le richieste e le esigenze di tutela del personale eventualmente rappresentato;
il Coir del Comando squadra aerea dell'Aeronautica militare è certamente, nei suoi componenti titolari di quella sola carica, l'unico organismo sufficientemente funzionante in grado di fornire concrete risposte alle esigenze del personale rappresentato mantenendo e ricercando con esso e con i rappresentanti dei Cobar un costante e indispensabile dialogo;
recentemente quel Coir, con delibera n. 3 del 24 giugno 2010 ha chiesto, ai sensi dell'articolo 30 del Regolamento interno per l'organizzazione e il funzionamento della rappresentanza militare (R.I.R.M.) di cui al decreto ministeriale 9 ottobre 1985 pubblicato su Gazzetta Ufficiale n. 259 del 4 novembre 1985, l'autorizzazione ad un incontro con i Cobar confluenti da svolgersi a Roma dal 7 al 9 luglio 2010 al fine di renderli edotti ed acquisire proposte in merito agli effetti della recente manovra finanziaria straordinaria emanata dal Governo tramite il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica;
il comandante della squadra aerea dell'Aeronautica militare, generale Carmine Pollice, con nota prot. n. SQA-021/1660 del 2 luglio 2010 non ha autorizzato tale attività adducendo sostanzialmente motivazioni di natura economica presumendo un elevato costo dell'incontro, e di natura logistica per la carenza di posti letto nell'area capitale;
la decisione assunta dal generale evidenzia, in tutta la sua drammaticità, l'inutilità dell'unico strumento di tutela, quale è quello in argomento, di cui può avvalersi il personale militare, che deve sempre recedere di fronte ai maggiori e importanti interessi economici dell'Amministrazione militare. Interessi, questi ultimi, che tuttavia non sembrano riguardare le attività dei delegati dei Cocer -:
quali iniziative intenda attuare il Ministro della difesa nella considerazione che la mancata autorizzazione all'incontro COIR CSA con i COBAR confluenti si ponga, ad avviso dell'interroganti, come un chiaro atto diretto a condizionare e limitare l'esercizio del mandato dei componenti degli organi della rappresentanza in evidente contrasto con quanto stabilito dall'articolo 20 della legge 11 luglio 1978, n. 382, recante norme di principio sulla disciplina militare;
se ritenga che i motivi ostativi allo svolgimento dell'incontro siano l'evidente dimostrazione che, nell'attuale situazione economica, proprio gli obbiettivi di contenimento dei costi che si prefigge il Governo giustificherebbero il riconoscimento del diritto di costituire associazioni a carattere sindacale per il personale delle Forze armate, ponendo così, a carico degli iscritti ai sindacati medesimi i costi di gestione e funzionamento della rappresentanza del personale che ora gravano pesantemente sui bilanci della Difesa.
(4-07889)

Risposta. - La Difesa, da sempre, ha mostrato un deciso favor per l'azione degli organismi di rappresentanza militare, in quanto diretta a dare informazione agli organismi di livello inferiore e a sostenere la dialettica democratica nell'interesse del personale rappresentato.
Ciò è confermato dall'autorizzazione data al Consiglio centrale di rappresentanza (Cocer) interforze, per la prima volta nella storia, a tenere una conferenza stampa, in data 6 luglio 2010, su temi di contingente attualità relativi alla rappresentanza militare.
Nello stesso tempo, in detto contesto si è inserita l'iniziativa del Consiglio intermedio di rappresentanza (Coir) del comando di squadra aerea che ha chiesto all'autorità militare corrispondente

di poter riunire i propri Consigli di base di rappresentanza (Cobar) confluenti nella città di Roma per il periodo 7-9 luglio 2010.
Il comandante del comando di squadra aerea, dal canto suo, nel respingere la richiesta del Coir ha spiegato con chiarezza le ragioni del diniego, riconducibili alla mancata possibilità di aggregare i delegati dei Cobar (stimati in circa 100 militari).
Cionondimeno, la suddetta autorità militare ha confermato la piena disponibilità a rivalutare il rilascio del proprio assentimento in una nuova data e in una diversa sede, capace di dare ospitalità ai delegati della rappresentanza militare.
Ciò al fine di evitare una spesa di missione che l'alto comando ha stimato essere di sensibile entità.
Ciò posto, va sottolineata la correttezza della scelta del comandante del comando di squadra aerea che ha adottato le proprie decisioni tenendo in debito conto il criterio di economicità, imposto dall'ordinamento giuridico oltre che dalla scarsezza di risorse finanziarie a disposizione.
Le decisioni di quest'ultimo, lungi dal voler limitare e/o manipolare l'attività della rappresentanza militare, denotano una costante attenzione per quest'ultima proprio per la disponibilità ad organizzare l'incontro in data diversa, senza però perdere di vista l'obiettivo dell'economicità.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
una nota di agenzia Ansa del 24 novembre scorso ha diffuso la notizia che «discariche aree militari, PM chiede rinvio giudizio generale - Richiesta di rinvio a giudizio per il generale Giuliano Taddei, ex direttore del Polo di mantenimento pesante nord di Piacenza. È accusato di aver creato due discariche abusive presso aree militari della città emiliana. Altri nove indagati sono coinvolti a vario titolo nell'inchiesta. L'indagine, condotta dal PM Antonio Colonna, risale al 2006 e contempla varie ipotesi di reato fra cui la violazione del decreto Ronchi che disciplina la gestione dei rifiuti, corruzione, truffa ai danni dello Stato, falso e furto. L'alto ufficiale, oggi in servizio al ministero della Difesa, con due marescialli - Francesco Paonessa e Bernardino Politi - è accusato in particolare di aver creato discariche nelle area dell'ex Perite e dell'ex Staveco. Contestato il reato di corruzione agli imprenditori Costatino Bellocchio, di Bobbio, e Claudio Barella, di Noceto. La truffa ai danni dello Stato è stata invece contestata alla ditta «Fagioli», nella figura del suo proprietario Alessandro Fagioli e del dirigente Paolo Quaglia: secondo l'accusa avrebbero fatto figurare di aver effettuato i trasporti dei rifiuti, in realtà delegati a Barella e Bellocchio. I viaggi compiuti sarebbero inoltre stati aumentati per ottenere maggiori introiti dallo Stato. Altri indagati sono finiti nel mirino dei carabinieri per marginali episodi di furto di attrezzature.» -:
quale sia la tipologia dei rifiuti smaltiti nelle aree in premessa e quali immediate azioni intenda avviare per bonificare le medesime e i territori circostanti;
quali immediati provvedimenti cautelari intenderà assumere nei confronti dei militari coinvolti nella vicenda in premessa.
(4-09760)

Risposta. - Nell'area militare denominata «ex-Pertite» risulta vi fosse una discarica di rifiuti costituiti da materiale ferroso, apparecchiature elettroniche fuori uso, metalli vari, contenitori di oli, nonché di oli esausti, motori di veicoli, parti di mezzi militari e altro.
Il competente Polo mantenimento pesante Nord di Piacenza ha già elaborato il progetto di bonifica del sito - già approvato dall'Agenzia regionale prevenzione e ambiente (Arpa) - e a quantificarne gli oneri connessi.
Attualmente, si sta procedendo con il reperimento delle necessarie risorse finanziarie e posso assicurare che, non appena rese disponibili,

saranno avviate le operazioni di bonifica con l'ausilio di ditte specializzate, sotto il controllo dell'Arpa e dei Carabinieri del Nucleo operativo ecologico.
Con, riferimento al procedimento penale pendente presso il tribunale di Piacenza a carico di un ufficiale e di due sottufficiali dell'esercito, per fatti attinenti alla gestione dei comprensori del citato stabilimento di Piacenza, si rappresenta che il Dicastero ha chiesto alla Presidenza del Consiglio dei ministri l'autorizzazione alla costituzione di parte civile, valutato il danno patrimoniale e d'immagine causato dalle condotte ascritte agli indagati.
Per i fatti oggetto dell'indagine penale in atto sono stati avvicendati nell'incarico il direttore
pro-tempore e due sottufficiali, consegnatari dei materiali per debito di custodia.
Rendo noto, in ultimo, che il 29 giugno 2011 il giudice dell'udienza preliminare presso il tribunale di Piacenza ha disposto il rinvio a giudizio di tutti gli imputati.
L'udienza di comparizione innanzi al tribunale, inizialmente fissata per il 22 settembre 2011, è stata rinviata a dicembre.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
sul sito web http://www.americaoggi.info è pubblicato un articolo del 25 gennaio 2011, dal titolo «Afghanistan. Intervista a un commilitone dell'alpino ucciso in Afghanistan.» a firma di Valeria Sabatini in cui si legge «racconta il caporale G.T. commilitone del militare ucciso - [...] Una cosa però voglio dirla e cioè che molti di quei ragazzi che stanno laggiù vengono spediti sul fronte di guerra senza l'adeguato addestramento». Un'accusa grave che arriva dall'interno ma circostanziata da elementi raccolti negli anni, non una voce di qualche militare frustrato perché vede partire il vicino di branda ma appurata anche da un'inchiesta un paio di anni fa dall'allora procuratore militare di Roma Antonino Intelisano. Ed oggi dopo l'ennesima morte la denuncia fatta da un amico del povero Luca Sanna con parole forse ancora più forti per lenire il dolore di un compagno perso in quella che da missione di pace è ormai evidente di filantropico ha ben poco. Guardi G. che quello che lei sta dicendo è piuttosto grave... «Lo so ma è una prassi risaputa, lei lo sa che per andare in missione in molti pagano la cosiddetta mazzetta ad alti gradi delle forze armate? Io, insieme a molti altri commilitoni svolgo il mio lavoro in caserma da anni, nonostante ciò nessuno di noi ha mai preso parte ad alcuna missione all'estero o frequentato qualche corso specifico nell'ambito militare in quanto all'interno della nostra caserma incarichi di rilievo e la partecipazione a corsi o missioni sono svolti sempre dallo stesso personale». [...] «Ho ragione di ritenere che qui a Venzone anche per partecipare ad un semplice corso patenti bisogna essere raccomandati, lo sponsor lo chiamano qui. Personale che da anni continua a richiedere la propria partecipazione a missioni all'estero si è visto sempre chiudere la porta in faccia in quanto al suo posto partiva qualcun altro che legalmente non avrebbe potuto farlo. È ovvio che se sono questi i criteri di scelta, a imbarcarsi su un aereo per finire laggiù sono spesso giovani che non hanno completato la preparazione o da troppo poco tempo nell'esercito, ma evidentemente più bravi ad ottenere gli appoggi giusti». «Su quanto accaduto martedì posso aggiungere anche questo; il livello di attenzione si è pericolosamente abbassato tra i militari, qualcuno si dimentica diciamo così l'elmetto o non segue in toto il protocollo che prevede altre misure di sicurezza. Purtroppo di questi episodi non se ne parla, i giornali non so perché molte volte non danno voce al malessere che gira tra noi militari. Si parla di mobbing nelle aziende ma quanti sanno che in tanti di noi hanno subito fatti simili?» Insomma si paga la mazzetta per partire?

«Nessuno ne parla apertamente ovvio ma come spiegherebbe altrimenti lei certi strani trattamenti di favore quando non si è ancora completato il percorso addestrativo? È qualcosa che accade non soltanto qua nelle caserme del nord est ma, mi creda se va in giro a chiedere ne troverà di mani che sono state allungate per consegnare l'obolo». Come già emerso nel 2008 in un'altra inchiesta giornalistica in molti casi la prima mensilità percepita in missione finisce nelle tasche di marescialli, colonnelli, generali come segno tangibile della riconoscenza di chi viene spedito oltre confine. E non sono spiccioli, a fare i conti con la calcolatrice significa un assegno mensile netto che nella peggiore delle ipotesi è di 2.700 Euro nella migliore arriva a 6.000. Oltre allo stipendio. Un obolo quanto mai pesante se poi si è bravi a fare partire anche solo una mezza dozzina di raccomandati allora il gioco vale la candela.»;
già il 16 ottobre 2004 sul quotidiano Corriere della Sera era stato pubblicato un articolo dal titolo «Inchiesta sulle missioni estere "Tangenti pagate agli ufficiali«" che riportava la notizia secondo cui la Procura di Roma aveva aperto un'inchiesta (che si affianca a quella della Procura militare) sulle affermazioni di un maresciallo dell'Esercito e di un sottufficiale dei carabinieri. Nell'articolo si legge che «I due militari nel luglio scorso, durante alcune trasmissioni tv, hanno detto che - per andare in missione all'estero - i militari dell'Esercito e dell'Arma dovevano versare una tangente ad alcuni ufficiali superiori. Anche sul programma tv "Le lene", due incappucciati, presentati come marescialli dei carabinieri, ammisero il pagamento di tangenti. Il Pm Adelchi D'Ippolito ha ipotizzato i reati di corruzione e concussione.»;
nella risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 4-10673 del 30 luglio 2004, il Ministro della difesa aveva, tra le altre, affermato che «[...] con sentenza di patteggiamento in data 5 maggio 2004, divenuta irrevocabile il successivo 25 giugno, il tribunale militare di Padova ha condannato a due anni di reclusione il colonnello Filippo Marinelli, già comandante del CIMIC GROUP SOUTH (con sede in Motta di Livenza-Treviso), arrestato il 10 dicembre 2003, in flagranza di reato, dai carabinieri del comando provinciale di Treviso. Il predetto organo giudicante, nella richiamata sentenza, ha evidenziato, tra l'altro, che l'ufficiale si era fatto consegnare denaro in contanti, mai restituito, a fronte di esigenze personali o della caserma del tutto false, raggirando le parti offese, le quali, in buona fede, avevano aderito alle richieste in prospettiva di una missione all'estero, oppure di benefici di servizio o, ancora, per non essere danneggiate in sede di valutazione della documentazione caratteristica. [...] il Comando Provinciale Carabinieri di Roma ha inoltrato all'autorità giudiziaria della capitale l'articolo di stampa dal titolo "Tangenti per andare a Nassiriya" pubblicato il 29 luglio 2004 dal quotidiano il Manifesto. Inoltre, lo stesso comando provinciale è stato incaricato di informare l'autorità giudiziaria in ordine al contenuto del servizio diffuso il 29 luglio 2004 da RAI News 24, nonché di un'intervista andata in onda il 26 settembre 2004, durante la trasmissione Mai dire iene, nella quale un sedicente militare dell'Arma ha affermato di aver ricevuto richieste di tangenti per essere inviato in missione all'estero. Le relative indagini sono tuttora in corso.[...]» -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato nell'articolo pubblicato sul sito web citato in premessa e qualora corrisponda al vero, quali immediate azioni intenderà avviare per chiarire i termini della vicenda narrata e se abbia interessato la procura competente;
quali provvedimenti disciplinari vennero adottati nei confronti del colonnello Marinelli a seguito della sentenza di condanna e quali siano stati i risultati delle indagini scaturite dalla segnalazione effettuata dal comando provinciale carabinieri di Roma all'autorità giudiziaria che all'epoca della risposta fornita risultavano essere ancora in corso;

quale sia il periodo di addestramento minimo considerato necessario a cui deve essere sottoposto il personale militare per poter essere impiegato nelle missioni internazionali di pace ed in particolare in quella in atto in Afghanistan;
quanti siano i militari con meno di due anni di servizio che sono stati impiegati in Afghanistan dal 2001 in poi;
quali siano i criteri adottati da ogni singola forza armata per la selezione del personale militare da inviare in missione all'estero.
(4-10834)

Risposta. - Il competente organo tecnico operativo militare ha precisato che non sono emersi aspetti che possano confermare le illazioni contenute nell'intervista riportata dall'interrogazione in esame.
Con riferimento all'8o Reggimento alpini, nell'escludere, per quanto noto, la possibile sussistenza di comportamenti illeciti a premessa della scelta del personale da impiegare all'estero, si precisa che:
tutto il personale che, a qualsiasi titolo, deve essere impiegato in teatro operativo deve obbligatoriamente svolgere preventivamente le previste attività addestrative propedeutiche. Solo al termine delle stesse, dopo un'oggettiva valutazione da parte del comando viene comunicato ufficialmente agli organi competenti di forza armata il «pronti all'impiego» dell'unità stessa e dei singoli militari;
la partecipazione dei militari ai corsi di qualificazione viene fatta su base selettiva con l'obiettivo di qualificare, quanto più personale possibile, nei singoli settori;
tutto il personale impiegato in Afghanistan dal citato comando ha, comunque, effettuato l'addestramento previsto.

Ciò premesso, si rileva che:
l'addestramento propedeutico all'impiego in missioni fuori area dalle unità dell'Esercito è subordinato al raggiungimento degli obiettivi minimi fissati dalla «
Mission Essential Task List» per lo specifico teatro operativo ed è svolto, di massima, nell'arco di 4-6 mesi per le unità organiche delle Forze armate e per un periodo di 4 mesi per i militari in rinforzo alle stesse;
il personale in questione (la cui scelta e preparazione è precipua attribuzione di comando) deve essere idoneo fisicamente, preparato professionalmente ed affidabile sotto il profilo caratteriale. In ogni caso, è valutata restrittivamente l'opportunità di impiegare militari che abbiano costantemente avuto un insufficiente rendimento in servizio o siano colpevoli di reati/mancanze disciplinari tali da ingenerare dubbi sulle capacità di assumere responsabilità e/o assolvere compiti in ambienti caratterizzati da elevato stress operativo o siano stati a lungo assenti dal servizio per malattia, convalescenza o riposi medici che ne abbiano sostanzialmente precluso l'acquisizione/mantenimento del previsto livello di operatività.

Per quanto concerne il numero dei militari con meno di due anni di servizio impiegati in Afghanistan dal 2001 a oggi, lo stesso ammonta a 727 unità (su un totale di diverse decine di migliaia).
Per quanto riguarda, invece, la vicenda del menzionato colonnello Filippo Marinelli, si fa presente che con decreto della direzione generale per il personale militare in data 30 giugno 2005, all'ufficiale è stata applicata la sanzione di stato della perdita del grado per rimozione.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il 16 giugno 2009 il Ministro interrogato dichiarava all'Assemblea della Camera dei deputati: «Ricordo che l'ultimo remark non è più un caveat, ma una semplice nota e prevede che l'Italia sia informata con sei ore di anticipo nell'eventualità che sia richiesto l'intervento di nostri soldati fuori dell'area di nostra pertinenza, cioè l'area ovest. Ricordo, inoltre,

che questa evenienza si è verificata pochissime volte e che, comunque, non c'è bisogno delle sei ore di preavviso ove si tratti della prosecuzione di un'azione in corso, nel qual caso la decisione spetta direttamente al comandante che sta svolgendo l'operazione. Aggiungo che questo tempo corrisponde grosso modo al tempo di approntamento che sarebbe in ogni caso necessario e che, quindi, eliminarlo o meno ha una scarsa influenza. Ce l'ha solo da un punto di vista (e noi lo abbiamo voluto mantenere per quello), perché consente ai nostri comandi una maggiore informazione e capacità di gestire meglio il nostro contingente.»;
un articolo pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 18 febbraio 2011 «Soldati a Kabul e più basi Usa ecco il prezzo pagato a Obama - WikiLeaks, per l'aeroporto Dal Molin è stata una resa. Letta e La Russa: faremo ciò che volete. Via i caveat per i militari italiani in Afghanistan: potranno combattere a fianco dei marines» ha diffuso la notizia secondo cui «In alcuni casi gli americani sono persino sorpresi dalla disponibilità dell'alleato: i cablo rivelano che il Pentagono si aspetta dal governo italiano l'invio in Afghanistan di rinforzi limitati: non più di 500 uomini. E invece Roma decide di spedire a Herat 1200 soldati, con più mezzi blindati, aerei ed elicotteri da combattimento. Non solo, il ministro della Difesa Ignazio La Russa assicura al segretario della Difesa americano Robert Gates che saranno eliminati tutti i caveat che limitano le operazioni dei soldati italiani. Tutti tranne uno: ci vorrà un preavviso di sei ore per far intervenire i nostri militari insieme ai marines. «Ma» garantisce La Russa «si tratta solo di una misura psicologica che non avrà alcuna conseguenza pratica». Insomma, il nostro contingente in Afghanistan ora può combattere in prima linea senza alcun impedimento. Gli americani ringraziano. E apprezzano La Russa quando «con la sua copertura politica» vengono schierati i parà della Folgore. Per la diplomazia Usa questo significa che il ruolo dell'Italia in Afghanistan cambia radicalmente: non più solo a presidio del territorio, ma in prima linea nelle operazioni d'attacco ai Taleban. Rimane una zona d'ombra che, stando ai cablo di WikiLeaks, ci viene rinfacciata in ogni colloquio: gli italiani devono smetterla di pagare tangenti ai guerriglieri in cambio della incolumità delle loro truppe.»;
il messaggio diffuso da Wikileaks riassunto nell'articolo di stampa contraddice, ad avviso degli interroganti, quanto dichiarato dal Ministro interrogato nei suoi numerosi interventi nei dibattiti parlamentari, come in quelli pubblicati dagli organi di informazione, sulle questioni di sua esclusiva competenza o in relazione ai fatti avvenuti nelle missioni internazionali - cosiddette di pace - a cui prendono parte i contingenti militari italiani;
gli interroganti con altri atti di sindacato ispettivo (4-08896, 4-08721), rimasti privi di risposte, hanno chiesto di conoscere «[...] quali siano le regole di ingaggio a cui devono attenersi gli appartenenti alla predetta task force, quali gli obiettivi la durata e i risultati delle missioni svolte dal 2006 ad oggi [...]», «[...] se tra le regole che disciplinano l'agire dei militari italiani in Afghanistan ve ne siano alcune che prevedono di poter attaccare liberamente chiunque sia intenzionato a compiere un atto potenzialmente nocivo sul territorio dello Stato afgano, oppure alcune che consentano di effettuare attacchi preventivi o ritorsivi [...]» -:
quali siano nel dettaglio i compiti affidati ai contingenti italiani impiegati in Afghanistan, quali le modalità operative di intervento, chi le abbia decise e quali ne siano gli scopi;
se il Ministro interrogato, alla luce dell'evidente mutamento della situazione bellica in atto in Afghanistan, non ritenga opportuno rivedere le condizioni e i limiti della missione condotta dalle forze armate italiane, al fine di assicurare che tali attività siano svolte entro i precisi limiti imposti dalla Costituzione e dal mandato ricevuto dal Parlamento.
(4-10964)

Risposta. - In via preliminare, come già chiarito più volte dal Governo in molte

circostanze e in diverse sedi parlamentari, si ribadisce che i contenuti e le indicazioni operative della missione in Afghanistan non hanno subito alcuna modificazione rispetto al quadro già noto al Parlamento.
Confermo, altresì, che i nostri militari sono operatori di pace, in quanto non sono in Afghanistan per fare la guerra, ma piuttosto portano sicurezza, alleviano le sofferenze e aiutano la gente nelle proprie necessità quotidiane e nei servizi essenziali ed insieme alla gente ricostruiscono un Paese umiliato dalla presenza talebana.
In questo senso il nostro Paese ha sempre mantenuto una linea di coerenza fra azione politica ed impegno operativo del nostro contingente, nel rispetto del quadro giuridico e politico delineato dalla risoluzione delle Nazioni Unite.
Dunque, l'Italia prende parte all'operazione
International Security Assistance Force (ISAF) trovando fondamento e legittimazione nel pronunciamento delle Nazioni Unite, negli espliciti atti di indirizzo del Parlamento italiano e nei relativi provvedimenti legislativi di autorizzazione.
Lo stesso Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano ha affermato autorevolmente che la missione italiana in Afghanistan si realizza nel pieno rispetto dei principi e delle circostanze stabiliti dall'articolo 11 della nostra Costituzione e la concertazione internazionale insieme al supporto delle autorità afgane democraticamente elette, insieme alla fondamentale rilevanza degli obiettivi perseguiti sono le prove inconfutabili della legittimità e della valenza del nostro impegno.
È evidente, tuttavia, che in missioni delicate e complesse come quella in territorio afgano, il livello di minaccia può naturalmente cambiare nel tempo rendendo necessario un adeguamento, al mutamento della situazione, dei numeri e della tipologia dei mezzi assegnati al contingente.
In tale prospettiva vanno, quindi, viste le richiamate decisioni relative ai «
caveat», assunte, a suo tempo, dal Governo, con il fine di rispondere alla necessaria flessibilità che ogni missione deve avere per attagliarsi costantemente ai continui cambiamenti del livello di rischio sul terreno.
Ritengo, a questo punto, doveroso fornire una precisa indicazione della differenza sostanziale che esiste fra «
regole d'ingaggio» e «caveat».
Le regole d'ingaggio sono norme comportamentali, definite, a diverso livello politico, a seconda del contesto politico internazionale in cui si svolge la missione (ONU, NATO e UE) e sono vincolate ai principi del diritto internazionale, pattizio e convenzionale, con particolare riguardo al diritto umanitario. Sono assunte, altresì, in conformità alle vigenti leggi penali, ordinaria e militare, in particolare ai criteri di necessità e proporzionalità dell'azione. Le regole di ingaggio sono, pertanto, uno strumento procedurale ad uso delle forze operanti sul campo per uniformarne il comportamento, qualora si presenti la necessità di reagire a situazioni operative improvvise ed urgenti che non consentono una consultazione con i livelli superiori.
Da una parte esse devono codificare l'autodifesa, dall'altra devono precisare il livello di uso della forza, per raggiungere lo scopo della missione, se vengono incontrati degli atteggiamenti ostili di opposizione.
È necessario precisare che la codificazione di comportamenti, che viene elaborata sotto l'egida di organizzazioni internazionali, deve essere per sua natura altamente riservata in quanto la loro conoscenza di dettaglio può costituire elemento di pericoloso vantaggio da parte di un avversario che voglia rendere più efficaci ed insidiosi gli attacchi. È pertanto opportuno non darne divulgazione.
Le regole consentono l'uso della forza per rispettare i fini e per conseguire gli obiettivi della missione ed è questa chiaramente la parte più critica e delicata perché impone un comportamento attivo, soggetto a possibili resistenze.
In sostanza le regole consentono l'adozione di comportamenti sicuri e chiari per quanto riguarda l'autodifesa, lasciando al Comandante la possibilità di utilizzare la forza in modo adeguato alle circostanze. In particolare, l'uso della forza viene applicato di fronte ad una minaccia chiaramente identificata come ostile, ovvero tesa ad impedire ai militari di espletare i propri compiti

e di limitarne la libertà di movimento, con una reazione proporzionale all'attacco.
È consentito di intervenire attivamente anche nei caso venga messa in pericolo l'incolumità della popolazione civile. Pertanto, i militari possono agire con i mezzi a disposizione per impedire che qualsiasi attività ostile venga effettuata nell'area di propria competenza.
In tale quadro, qualsivoglia modifica alle regole di ingaggio, a meno che non si tratti di una missione solo nazionale, dovrà essere concordata nelle opportune sedi internazionali.
I «
caveat», in realtà, sono eccezioni che le singole forze nazionali inseriscono nel quadro delle regole generali, che invece, come abbiamo visto, sono dettate per tutta la missione. Nel caso dell'Afghanistan l'Italia non ha alcuna limitazione all'utilizzo del proprio contingente nelle regioni ovest, nord e della capitale: lì il dispiegamento è già autorizzato. Nelle regioni est e sud, invece, a differenza di molte altre nazioni che operano nel contingente, il nostro contingente può essere dislocato solo per operazioni di eccezionale necessità e urgenza, tese alla salvaguardia della vita umana senza bisogno di alcuna autorizzazione politica, per una scelta che può fare direttamente il comandante della missione.
C'è anche la possibilità che, in queste regioni, il comando ISAF, per specifiche e limitate operazioni in tempi ben definiti, chieda che venga dispiegato il nostro contingente. Ecco che in quel caso il
caveat relativo all'impiego delle forze italiane al di fuori delle regioni ovest, nord e capitale prevede che si possa fare, purché ci sia l'avallo in un tempo prefissato delle autorità politiche italiane. Il tempo che gli italiani si erano riservati per dire una risposta era di 72 ore. Abbiamo così ritenuto utile andare incontro alla richiesta di contrazione di tale «tempo di risposta» che ci veniva da tutti gli alleati, per consentire una maggiore flessibilità di impiego del nostro contingente riducendo tale tempo di risposta a 6 ore.
Ciò non deve, tuttavia, portare a preoccupazioni in ordine ad un eventuale nuovo utilizzo del contingente, in quanto risponde all'esigenza di maggior flessibilità nell'impiego richiesta dai nostri alleati.
Si rammenta, infatti, che l'eventuale uso della forza da parte dei nostri militari avviene unicamente in funzione delle circostanze e in misura proporzionale alla situazione, nel rispetto del diritto internazionale, delle norme e degli usi sui conflitti armati, nonché delle leggi e dei regolamenti nazionali in coerenza con quelli delle forze cooperanti.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
da articoli di stampa si è appreso che all'inizio del 2010 il maggiore dei carabinieri Giampietro Lago sostituì il colonnello dei carabinieri Luciano Garofano al comando del reparto investigazioni scientifiche di Parma;
il maggiore Lago è un ufficiale appartenente al ruolo normale e, contrariamente a quanto previsto dall'assetto ordinativo, riveste un incarico che sarebbe invece da attribuirsi ad un ufficiale del ruolo tecnico logistico, specialità alla quale apparteneva il colonnello Garofano;
nell'organico del raggruppamento investigazioni scientifiche dell'Arma dei carabinieri esiste un forte esubero di ufficiali inferiori e superiori del ruolo tecnico logistico rispetto alle effettive posizioni di comando previste;
alcune di queste posizioni di comando che prevedono ufficiali del ruolo tecnico logistico sono attualmente occupate da ufficiali di altri ruoli -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto in premessa;
quali siano i motivi che hanno indotto i vertici militari ad affidare al maggiore Giampietro Lago il comando del reparto

investigazioni scientifiche di Parma, anziché designare un ufficiale del ruolo tecnico logistico specialità investigazioni scientifiche come sarebbe invece previsto;
se nella fase di valutazione del nuovo comandante del reparto investigazioni scientifiche di Parma, siano stati interpellati tutti gli ufficiali del ruolo tecnico logistico potenzialmente idonei a rivestire tale carica;
quali siano i precedenti incarichi svolti dal maggiore Giampietro Lago, indicando se esso abbia mai rivestito doppi incarichi e quali siano le motivazioni di tale scelta;
se il maggiore Giampietro Lago abbia mai partecipato al concorso per l'immissione nel ruolo tecnico logistico e con quale esito;
se il Ministro non intenda adottare gli opportuni provvedimenti volti a garantire una più lineare gestione degli incarichi di comando nel raggruppamento investigazioni scientifiche dell'Arma dei carabinieri al fine di valorizzare gli ufficiali del ruolo tecnico logistico.
(4-11328)

Risposta. - In primo luogo, faccio osservare che la potestà di determinare le destinazioni di impiego degli Ufficiali dipendenti è propria del comandante generale dell'Arma dei carabinieri (ex articolo 165, decreto legislativo 66/2010).
Tale attività viene sempre esercitata nell'ottica di perseguire le più idonee, consentite soluzioni per il conseguimento degli obiettivi di prioritario interesse istituzionale, coerentemente con i principi di trasparenza, imparzialità e buon andamento dell'amministrazione, nonché in relazione alle capacità professionali, le attitudini e le qualifiche del personale dipendente.
È, pertanto, evidente, che la scelta di trasferire il tenente colonnello Giampietro Lago, già titolare della sezione biologia del reparto carabinieri investigazioni scientifiche di Roma, a decorrere dall'8 gennaio 2010, quale comandante del reparto investigazioni scientifiche di Parma, ha tenuto conto dei predetti criteri.
Infatti, il comando generale dell'Arma dei carabinieri ha individuato nell'ufficiale in parola i requisiti migliori per poter ricoprire tale incarico, di seguito evidenziati:
è laureato in biologia e in scienze della sicurezza;
è stato impiegato, sin dall'inizio della carriera, nell'ambito del settore delle investigazioni scientifiche (dal 2003 al 2007 ha anche retto, congiuntamente al proprio incarico di comandante della suddetta sezione biologia, quello di comandante della 1a sezione del reparto tecnico del raggruppamento operativo speciale);
ha contribuito alla soluzione di casi connessi con indagini complesse e delicate.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
i dirigenti civili del Ministero della difesa hanno manifestato forte preoccupazione ed inquietudine per la recente nomina di un esponente dell'Avvocatura dello Stato a vice segretario generale della Difesa, incarico tradizionalmente attribuito in via esclusiva ad un esperto dirigente di 1° fascia della Difesa;
tale nomina, che sembra sia stata conferita ad avviso degli interroganti con eccessiva discrezionalità e senza una rigorosa procedura valutativa dei curricula e dei percorsi professionali dei dirigenti civili in servizio presso il Ministero della difesa ove hanno svolto l'intera carriera, non consente a parere degli interroganti di assicurare adeguati livelli di efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa presso il citato dicastero, anche in considerazione che il nominato continua a mantenere anche

l'incarico che già rivestiva presso l'organismo di provenienza;
è di tutta evidenza che l'incarico apicale di vice segretario generale della difesa, che costituisce il più importante e prestigioso incarico riservato alla dirigenza civile della difesa, da attribuirsi a dirigente esterno solo in mancanza di idonee professionalità all'interno dei ruoli dell'Amministrazione difesa, deve necessariamente essere svolto in via esclusiva - e non parziale - se si vuole garantire il buon andamento e la funzionalità dell'amministrazione medesima;
il predetto conferimento, oltre a concretizzare, sempre secondo gli interroganti, una ingiustificata mortificazione della dirigenza della Difesa, comporta anche un maggiore esborso per l'erario derivante dalla maggiore retribuzione percepita dal neo vice segretario generale, senza che il medesimo possa assicurare migliori prestazioni in ambito Difesa, dato che allo stesso viene consentito di mantenere il doppio incarico, di cui è appena il caso di sottolineare alcuni profili di dubbia legittimità e compatibilità;
ulteriormente sempre presso il medesimo Ministero della difesa, sembra che gli attuali dieci dirigenti generali percepiscano da anni un trattamento economico maggiorato rispetto a quello spettante loro in base alle norme vigenti, in quanto l'ammontare retributivo disponibile, parte variabile, viene inspiegabilmente commisurato alla consistenza organica degli stessi pari a undici unità, ma di fatto ripartito fra gli effettivi (numero 10), con innegabile vantaggio a favore degli stessi. Se tale situazione corrispondesse al vero, oltre a generare una evidente ed illogica disparità sostanziale di trattamento nei confronti degli altri colleghi dirigenti generali in servizio presso altre amministrazioni pubbliche, potrebbero configurarsi anche ipotesi di danno erariale, causato dalle eventuali somme percepite indebitamente dagli interessati -:
quali urgenti iniziative i Ministri interrogati intendano assumere rispetto alle citate problematiche al fine di assicurare condizioni di massima correttezza, trasparenza ed imparzialità presso l'amministrazione della difesa.
(4-11351)

Risposta. - Il trattamento economico accessorio, parte variabile, erogato ai dirigenti con incarico di livello dirigenziale generale (prima fascia) del Ministero della difesa, viene stabilito nei contratti individuali sottoscritti dai dirigenti interessati, secondo i principi di cui all'articolo 24, comma 2 del decreto legislativo n. 165 del 2001 e successive modificazioni, e dei contratti collettivi nazionali di lavoro che, in particolare per quanto qui ne occupa, prevedono l'integrale utilizzazione delle risorse destinate alla retribuzione di posizione.
Il criterio della ripartizione delle risorse del fondo, eventualmente non spese alla fine dell'esercizio, alla stregua di quanto avviene presso altri Dicasteri, viene applicato anche ai dirigenti con incarichi di livello dirigenziale generale (prima fascia) in analogia a quanto prescritto per i dirigenti di seconda fascia dal Contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl).
In verità, non è dato rinvenire in alcuna disposizione, circolare o direttiva una diversa
ratio che potrebbe giustificare, per converso, una sperequata disciplina di gestione delle risorse disponibili.
Anzi l'articolo 37 del Ccnl, a fattor comune, sancisce il principio secondo cui le clausole contrattuali che fanno riferimento al trattamento economico dei dirigenti hanno applicazione generale per il personale di tutta l'area.
Ne consegue che le previsioni negoziali del personale dirigente dell'area 1, in base al quale le relative risorse devono essere interamente utilizzate, sono applicabili anche ai dirigenti di prima fascia.
Principio del resto contemplato anche per il Fondo unico di amministrazione (Fua) destinato al personale delle aree funzionali, a dimostrazione di un univoco e consolidato indirizzo in materia.
D'altra parte, le raccomandazioni impartite dal Ministero dell'economia e delle finanze nella direttiva del 6 settembre 2002, in occasione dell'applicazione della legge 15

luglio 2002, n. 145 concernente «Disposizioni per il riordino della dirigenza», richiamano l'attenzione delle amministrazioni sulla diversa necessità di tenere conto, nel determinare gli importi da corrispondere, dei contratti ancora da stipulare per posizioni al momento scoperte.
Esigenza questa sempre soddisfatta mediante l'accantonamento fino al 31 dicembre di ciascun anno delle quote del fondo destinate al trattamento accessorio relative ai posti di funzione di livello dirigenziale generale temporaneamente non coperti, considerandole indisponibili.
L'entità della retribuzione di posizione, parte variabile, da erogare agli interessati, viene pertanto determinata nella misura del vigente organico dei dirigenti con incarico di livello dirigenziale generale.
In tal modo, nell'eventualità di un conferimento d'incarico ad esercizio finanziario iniziato, risulta disponibile l'importo da erogare, senza incidere negativamente sul trattamento economico determinato precedentemente per tutti i destinatari.
È opportuno, peraltro, segnalare che i provvedimenti sinora emessi sono stati tutti vistati e registrati dagli organi di controllo e legittimità.
Per quanto sopra esposto, non sussistono dubbi sulla legittimità dell'azione di questa amministrazione, corretta e conforme alle vigenti disposizioni in materia.
Con riferimento, in ultimo, alla nomina del vice Segretario generale della difesa, di cui è cenno nelle premesse dell'atto, rendo noto che l'incarico, ai sensi dell'articolo 19 del decreto legislativo n. 165 del 2001, è stato affidato all'avvocato dello Stato dottor Pierluigi Di Palma che, per la qualificazione professionale, nonché per gli incarichi dirigenziali di livello generale in precedenza ricoperti presso altre pubbliche amministrazioni dello Stato, è persona di sicuro affidamento per l'assolvimento dell'incarico.
Rendo noto, infine che l'incarico di vice Segretario generale civile è l'unico, nell'area tecnico-amministrativa della difesa, ad essere soggetto a
spoils system.
Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
su un sito web, all'indirizzo http://www.dirittierovesci.it/FEI.htm, è pubblicata una lettera intitolata «FESI 2010. Siamo alle solite, differenze incomprensibili tra Enti Centrali e periferici» a firma di Ferdinando Chinè, delegato del Cocer Aeronautica in cui si legge «[...] Il COCER AM con apposita DELIBERA sul F.E.S.I. aveva espresso il proprio parere evidenziando la necessità di correggere le sperequazioni tra gli Enti Centrali e la Periferia avvenute nei Decreti precedenti. Con grande dispiacere notiamo che le anomalie non sono state appianate, si mantiene la differenza "sul funzionamento" tra gli enti ubicati a Roma ed i restanti della periferia. Questa differenza non si capiva all'origine, in occasione del primo Decreto Ministeriale, figuriamoci oggi che la differenza tra "Supercampagna" tra Enti operativi e Centrali è stata ridotta (si è passati dal 115 al 125 per cento). [...] Altra incongruenza di difficile comprensione è la differenza di FESI al Caporal Maggior con più di 17 anni di servizio. Dalle tabelle risulta un surplus solo per i volontari volto ad accorciare il gap sull'Assegno Funzionale di Sergenti e Marescialli. La confusione sale vertiginosamente. Non si capisce dove, come e perché un emolumento contrattuale (Assegno di Funzione) possa essere bilanciato da un altro avente natura differente, ovvero simile al premio produzione, il FESI. Teniamo conto, che i Volontari non sono gli unici ad avere delle disparità provenienti dalle contrattazioni precedenti. Restano in sospeso i Marescialli M1 (33 anni di servizio) che non maturano il trattamento da Luogotenente, nonché i SM con più 15 e 18 anni di servizio. Il COCER AM con la DELIBERA riportata è stato chiaro, no a giochini di prestigio difficili da spiegare. Diminuiamo il gap tra "Enti romani" e periferici, non inventiamoci formule per sanare sperequazioni avvenute in ambito contrattuale. Occorre restare nello stesso ambito normativo evitando la "frankesteinmania", il

taglia e cuci, copia e incolla che genera mostri. Il pericolo di aggiustamenti vari, non contestuali alla concezione di un premio collettivo uguale per tutti, può portare a delle derive di contrapposizione, finanche a ritagliarsi il vestito su misura. Chi riesce a spiegare logicamente queste differenze, Enti Centrali un trattamento periferici un altro?»;
gli interroganti ritengono che l'analisi svolta dal delegato Cocer dell'Aeronautica militare maresciallo Ferdinando Chinè sia pienamente condivisibile in quanto pone dubbi su una ripartizione del fondo sbilanciata inspiegabilmente a favore degli enti centrali di Roma in perfetta antitesi con quanto deliberato dallo stesso Cocer Aeronautica con delibera n. 1 del 10 marzo 2011 allegata al verbale n. 202/2011/X con cui era stato chiesto «[...] l'azzeramento delle differenze tra centro e periferia»;
inoltre, il delegato del Cocer ha sollevato forti perplessità, anch'esse condivise dagli interroganti, in merito all'attribuzione di un importo più elevato al personale volontario con 17 anni di servizio in più in quanto se la ratio fosse quella di sanare delle sperequazioni contrattuali allora stessa e paritetica attenzione meriterebbero altre problematiche irrisolte quali le indennità operative dei sergenti maggiori +15 e +18 nonché il trattamento da Luogotenente precluso ai marescialli di 1° classe +33 -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto evidenziato in premessa;
se, oltre al COCER Aeronautica, altre sezioni abbiano deliberato in merito alla ripartizione del Fondo o invece non siano intervenute sebbene espressamente previsto dall'articolo 5, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 52 del 2009 e per quali motivi;
se, alla luce della delibera del COCER Aeronautica, sia intenzionato a disporre una immediata revisione della ripartizione del fondo finalizzata all'azzeramento delle differenze di importi tra enti centrali e periferici nonché alla cancellazione di un surplus destinato ai soli volontari +17 che appare agli interroganti illogico e non coerente con le finalità del fondo;
a quanto ammontino le risorse destinate al fondo e chi e perché abbia deciso una siffatta ripartizione non gradita alle rappresentanze del personale.
(4-11938)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
su un sito web, all'indirizzo http://www.sergenti.it/sgt/fesssi-e-scontenti.html, è pubblicata una lettera intitolata «FESSSI E SCONTENTI...» a firma di Domenico Bilello in cui si legge: «Abbiamo preso visione dello schema di decreto di ripartizione del FESI relativo al 2010 ed a tal proposito non possiamo e non dobbiamo sottacere sui seguenti aspetti: 1. Si ripropongono le due tabelle una per gli enti di vertice di Roma e l'altra per il resto del mondo. 2. All'interno delle due tabelle se non bastassero i notissimi mal di pancia sulla ripartizione tra enti di vertice e non si introduce un ulteriore motivo di aspra critica che riguarda l'attribuzione di un assegno maggiorato per il personale graduato con +17 anni di servizio che per questo percepirà se effettivo agli enti di vertice di Roma la somma di 994,98 euro, contro per esempio i 786,95 euro del luogotenente effettivo negli stessi enti di vertice o alle 582,39 euro del luogotenente effettivo in tutti gli altri enti delle FF.AA.; 3. Premesso e non concesso, che la logica di tale scelta di far percepire una somma sensibilmente maggiorata ai graduati con oltre 17 anni di servizio è da ricercare nelle penalizzazioni che TUTTI i giovani hanno subito con le ultime concertazioni integrative a questo punto non si comprende il motivo per il quale ad esempio anche il personale del ruolo sergenti o del ruolo marescialli anch'esso giovane con oltre 17 anni di servizio non abbia avuto lo stesso importo. 4. Poi, perché utilizzare il FESI per questa "perequazione"? Il FESI così sbandierato ai quattro venti ai tempi della sua

nascita non è finalizzato solo ad incentivare l'efficienza delle FF.AA.? La domanda sorge spontanea perché per analogia non utilizzare il FESI per risarcire i Marescialli Capi che non vengono promossi? Il 1° Maresciallo che non viene promosso a scelta al grado di Luogotenente? Oppure tutto il personale arruolato dalla 958/86 del ruolo sergenti, che ha collezionato una serie infinita di promesse ovviamente non mantenute? O anche per risarcire le note sperequazioni sulle operative dei Serg. Magg. +15 o +18? Diamolo pure, di sperequazioni stipendiali le FF.AA. sono piene.... Perché utilizzare il FESI solo per una piccolissima percentuale di personale??? [...]»;
gli interroganti ritengono che l'analisi svolta in tale lettera sia pienamente condivisibile in quanto pone dubbi su una ripartizione del fondo sbilanciata inspiegabilmente a favore del personale in servizio presso gli enti di vertice delle Forze armate nonché solleva forti perplessità, anch'esse condivise dagli interroganti, in merito all'attribuzione di un assegno maggiorato per il solo personale graduato con +17 anni di servizio, con una logica che appare discriminatoria nei confronti sia degli stessi graduati con minore anzianità di servizio sia del personale appartenenti ad altri ruoli con medesima anzianità di servizio -:
se il Ministro della difesa sia a conoscenza delle perplessità e del malcontento che una siffatta ripartizione del FESI (Fondo efficienza servizi istituzionali) sta generando nel personale militare;
se sia intenzionato a disporre una immediata revisione della ripartizione del fondo finalizzata all'azzeramento delle differenze di importi tra enti centrali e periferici nonché alla eliminazione della maggiorazione prevista per i soli graduati +17 in quanto discriminatorio e non coerente con le finalità del fondo di cui all'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 52 del 2009.
(4-11944)

Risposta. - In relazione alle questioni affrontate con gli atti in esame, si illustrano opportunamente i criteri adottati per la ripartizione del Fondo per l'efficienza dei servizi istituzionali (Fesi) relativo all'anno 2010 per il personale delle Forze armate, indicati dal competente organo tecnico operativo militare.
In primo luogo, si fa osservare che la ripartizione del fondo è stata operata sentendo le rappresentanze Cocer delle tre Forze armate, le quali, ad eccezione di quella dell'Aeronautica, hanno fornito parere concorde.
In occasione della recente sottoscrizione del provvedimento di concertazione per il biennio economico 2008-2009 (non firmato dal Cocer am che non ne condivideva l'impostazione generale) è stato raggiunto un accordo da parte dei Cocer di Forza armata, con il quale si determinava di destinare una parte delle risorse «residue del contratto» (circa 3,6 milioni di euro) a riconoscere un incremento fisso di 320 euro annui lordi in favore dei volontari in servizio permanente con più 17 anni di servizio.
Tale misura risponde all'esigenza di riequilibrare il mancato adeguamento dell'assegno funzionale in sede di concertazione, fortemente sostenuto nel corso dei lavori di concertazione da parte dei Cocer di Forza armata, ma non accolto dalla funzione pubblica stante la ferma opposizione delle rappresentanze del personale delle Forze di Polizia.
In sede di definizione della ripartizione del Fesi, gli Stati Maggiori di Forza armata hanno inteso mantenere il differenziale tra enti centrali e periferici, nell'ottica di remunerare, ancorché in parte, le attuali differenze di trattamento (relative a indennità operative, compensi forfetari di impiego, indennità di comando) che risultano penalizzanti per il personale impiegato negli enti dell'area centrale.
Alla luce del quadro delineato, non si intravedono i presupposti per l'avvio di iniziative tese a rivedere i criteri adottati per la ripartizione del fondo relativo all'anno 2010.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il 10 giugno prossimo, a La Spezia, come in tutto il resto d'Italia si svolgeranno le celebrazioni per la Festa della Marina, con l'intervento di numerose autorità civili e militari;
per l'occasione la Forza armata impegnerà un ingente numero di unità navali, di personale, mezzi di supporto e logistici;
recentemente alcuni organi di informazione e siti web si sono occupati della Marina militare con puntuali riferimenti alle condizioni di lavoro e alla mancata corresponsione al personale militare imbarcato sulle unità navali delle indennità previste dalle vigenti norme;
i media si sono anche occupati della questione delle vittime dell'amianto e del problema di detto materiale che è ancora presente nelle istallazioni militari e a bordo delle unità navali;
a seguito dei provvedimenti varati dal Governo le risorse destinate al bilancio economico della Difesa hanno subito pesanti riduzioni -:
quante siano le unita navali e quanti militari saranno impegnati per le celebrazioni in premessa, per quanto tempo e quale sia la previsione di spesa;
se il Ministro interrogato non ritenga più opportuno che per i prossimi anni i festeggiamenti in premessa avvengano in maniera puramente simbolica e che le risorse eventualmente stanziate siano destinate al pagamento delle indennità previste per il personale imbarcato della Marina militare, alle operazioni di bonifica delle istallazioni e delle unità navali.
(4-12255)

Risposta. - La festa della marina militare, celebrata nel ricordo dell'impresa di Premuda a La Spezia il 10 giugno, alla presenza del Capo dello Stato, ha assunto quest'anno un particolare significato per la coincidenza con il 150o anniversario dell'Unità d'Italia e della Marina stessa, dei 100 anni dell'Associazione nazionale marinai d'Italia e degli 80 anni della nave scuola Amerigo Vespucci.
I festeggiamenti, gli unici di rilievo nazionale organizzati dalla Forza armata nel corso dell'anno - hanno visto l'impiego di:
personale in servizio nella sede di La Spezia, il cui impegno nell'evento si è svolto nel normale orario di servizio, senza oneri di spesa;
25 militari/civili del
team lavoro per lo svolgimento della cerimonia, i cui oneri presunti sono pari a circa euro 9.000,00 per 5 giorni, in media, di missione;
305 militari tra componenti la banda musicale (n. 106 elementi) e le Compagnie schierate (n. 199 elementi), inviati in «temporaneo imbarco», in media per 4 giorni, per una spesa complessiva prevista di circa euro 25.000,00.

In tale contesto, si precisa che le spese di allestimento ed organizzazione dell'evento, pari a circa 375.000,00 euro sono state interamente finanziate mediante accordi di sponsorizzazione.
In merito, invece, all'aspetto relativo alle indennità, il competente organo tecnico operativo militare ha assicurato che il personale imbarcato sulle unità navali percepisce regolarmente gli assegni spettanti ai sensi della normativa vigente.
Con riferimento, infine, alle «
operazioni di bonifica» tutte le navi in linea sono in possesso di mappature amianto prodotte dal RINA (Registro Italiano Navale), dalle quali risulta che non sono state rilevate situazioni di rischio per la salute del personale e che non si rendono necessari interventi urgenti di bonifica.
In relazione alle suddette mappature, è in corso, da parte degli Arsenali, l'attività di bonifica delle unità navali in occasione di soste lavori pianificate ed in aderenza ai fondi resi disponibili per ogni esercizio finanziario.


Contestualmente all'attività di bonifica, sulle unità vengono effettuati controlli periodici (di massima annuali) delle fibre aerodisperse secondo un protocollo tecnico-scientifico definito in collaborazione con l'università di Genova.
Ad oggi, in nessun caso sono state riscontrate situazioni di inquinamento ambientale con conseguente rischio per il personale.
Vorrei concludere soffermandomi sull'importanza e sul pregnante significato di una celebrazione che si ripete ogni anno.
Dalle guerre risorgimentali ai grandi conflitti mondiali, passando attraverso il periodo della guerra fredda fino alle più recenti missioni internazionali, alcune in corso, la Marina ha garantito e garantisce un apporto determinante per la sicurezza e la difesa dello Stato e la tutela degli interessi nazionali.
In particolare oggi la Marina opera, in continuità con la tradizione, per la salvaguardia della libertà e della sicurezza dei traffici marittimi, come nel caso del contrasto alla pirateria, e concorre alle complesse attività di controllo dei flussi migratori, nel rispetto del principio di soccorso della vita umana in mare.
Nella ricorrenza della storica impresa di Premuda si rinnova, inoltre, il ricordo di tutti i marinai che hanno sacrificato la vita, fedeli al giuramento prestato, per il supremo bene della patria.
La festa della Marina, come quella delle altre Forze armate rappresenta dunque un solenne e doveroso evento istituzionale il cui significato travalica ogni considerazione che non trovi riferimento negli stessi valori celebrati.
Va da sé, e in questo rassicuro l'interrogante, che le spese sostenute ogni anno per l'organizzazione sono attentamente valutate in piena coerenza con i criteri di contenimento e ottimizzazione dell'impiego delle risorse disponibili che caratterizzano tutte le attività amministrative del Dicastero.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
con l'atto di sindacato ispettivo 4-11736 gli interroganti, con riferimento a fonti di stampa, hanno chiesto al Ministro interrogato di conoscere quali siano state le motivazioni della decisione di inviare 10 addestratori in Libia, quali siano i loro compiti, il loro armamento;
nei numerosi articoli pubblicati nel tempo dai maggiori quotidiani italiani si è sempre affermato che il numero dei militari italiani inviati sul territorio libico fosse di dieci unità;
una nota dell'agenzia Adnkronos del 25 agosto scorso ha diffuso alcune dichiarazioni del Ministro degli esteri onorevole Franco Frattini secondo cui «Da due mesi è a Bengasi un team di militari italiani, con scopi di addestramento [...] Abbiamo mandato già 15-20 militari italiani, per l'addestramento tecnico di alcune unità di forze armate libiche, ma pensiamo di estenderlo anche alla polizia, con particolare riferimento alla polizia di frontiera e alla guardia costiera libica [...]»;
sempre da fonti di stampa si è potuto apprendere che il Ministro interrogato ha più volte escluso la presenza di militari italiani sul territorio libico;
la recente dichiarazione del Ministro degli affari esteri contraddice nettamente quanto da sempre affermato sull'argomento dal Ministro interrogato che, peraltro, non ha mai secondo gli interroganti chiarito quali fossero i reali compiti e l'armamento dei militari italiani inviati in Libia né, tantomeno, quale fosse la loro zona di operazioni;
la risoluzione 1973 (2011) sulla Libia, approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 17 marzo 2011 «Autorizza gli Stati Membri [...] per proteggere i civili e le aree a popolazione civile minacciate di attacco nella Jamahiriya Araba di Libia, compresa Bengasi, escludendo una forza di occupazione straniera

di qualsiasi forma e su qualsiasi parte del territorio libico,[...]» -:
quale sia il numero dei militari inviati sul territorio libico e se non ritenga che l'invio di militari armati, presumibilmente con compiti di addestramento alle tattiche di guerra e all'uso delle armi, possa non essere conforme ai contenuti della risoluzione citata in premessa;
quali immediate azioni intenda assumere per evitare che si protragga ulteriormente la situazione di incertezza e di possibile mancato rispetto della risoluzione conseguente all'invio di truppe armate sul territorio di uno Stato sovrano che ufficialmente non ha mai formulato nei confronti dell'Italia alcuna dichiarazione di guerra.
(4-13057)

Risposta. - La nostra azione militare in Libia, sin dal primo momento della crisi, non si discosta dal dettato della risoluzione 1973 in quanto è stata - e continua ad essere - sempre indirizzata alla salvaguardia della vita della popolazione, un valore universalmente condiviso dalla comunità internazionale e da tutti gli italiani.
I nostri assetti navali ed aerei messi a disposizione nel quadro dell'operazione «Unified protector», sono stati impiegati - in un contesto di stretta cooperazione con alleati e partner NATO - in base a regole d'ingaggio concordate in ambito NATO e verso obiettivi militari.
Infatti, al fine di contribuire meglio e più strettamente alla difesa della popolazione civile libica, la NATO ha focalizzato lo sforzo sulle minacce dirette contro la popolazione, con missioni mirate contro obiettivi militari, mezzi, armi, materiale bellico, e sulle reti di alimentazione, attraverso l'embargo attuato dalle unità navali e con il concorso dell'interdizione aerea.
Come noto, in conformità all'impegno degli alleati e coerentemente con le misure necessarie a garantire quella sicurezza nello spirito e nella lettera della risoluzione ONU 1973, è stato ampliato il ventaglio delle opzioni d'impiego dei velivoli, al fine di renderlo più funzionale alle effettive esigenze operative e agli obiettivi individuati dalla NATO per la difesa diretta della popolazione, autorizzando azioni mirate contro specifici e selezionati obiettivi militari sul territorio libico, che rappresentino un'immediata e chiara minaccia o pericolo per i civili, con l'impiego di sistema di armi di alta precisione, fortemente «chirurgici», scientificamente mirati al fine di evitare ogni danno collaterale.
L'ulteriore linea portante del nostro impegno in Libia riguarda l'impiego, nel pieno rispetto della risoluzione ONU 1973, di un gruppo di dieci istruttori militari che, insieme con altri due di pari numero di Francia e Gran Bretagna, è avvenuto in seguito alla richiesta del Consiglio Nazionale di Transizione (CNT), allo scopo di aiutare e sostenere il Consiglio Nazionale di Transizione stesso in ragione della sua impossibilità operativa di contrastare l'azione delle forze governative contro la popolazione civile. I tre gruppi di istruttori sono inseriti in seno alla struttura militare di comando del Consiglio Nazionale di Transizione a Bengasi, con il solo compito di assistere e consigliare gli ufficiali di staff del Consiglio Nazionale di Transizione nei vari settori (personale, operazioni, logistica, comunicazioni, e altri), sempre nell'ambito dell'implementazione delle misure più proprie per proteggere la popolazione civile dagli attacchi delle forze fedeli a Gheddafi.
La risoluzione ONU n. 1973 esclude l'intervento di una forza di occupazione straniera di qualsiasi forma e su qualsiasi parte del suolo libico, mentre il Team di istruttori in parola afferisce ad un'iniziativa concordata con il Consiglio Nazionale di Transizione al pari di quella attuata da francesi e britannici.
Si tratta dunque di un'azione di supporto alla legittima autorità libica riconosciuta dal Governo italiano, affinché si incrementi l'efficacia delle misure di protezione della popolazione civile.
In conclusione, confermo, ancora una volta, che l'impegno dell'Italia si è mantenuto entro i previsti parametri di attuazione rispetto del mandato di Unified Protector e delle pertinenti

risoluzioni del consiglio di sicurezza dell'ONU.
Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
in un articolo pubblicato dal quotidiano Il Tempo del 2 settembre 2011 dal titolo «Il Gis in prima linea al fianco del Cnt. Forze speciali Carabinieri e Consubin con Sas inglesi e parà francesi.» si legge «Le forze speciali italiane sono in Libia al fianco dei ribelli. I primi dieci "advisor", istruttori, sono arrivati a Bengasi sessanta giorni fa. Militari con alle spalle l'esperienza di istruttori a Baghdad e in Afghanistan. Esperti nell'addestrare truppe. Conoscitori dell'arabo e abituati alla vita del deserto. I primi carabinieri hanno insegnato a gruppi di insorti tattiche militari e metodi di controguerriglia. Un secondo gruppo, tutti appartenenti al Col Moschin e incursori Comsubin della Marina, è arrivato in Cirenaica con il compito di segnalare gli obiettivi agli aerei della Nato. In tutto sono una quarantina i militari italiani operativi in Libia»;
la Risoluzione 1973 (2011) sulla Libia, approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 17 marzo 2011 «Autorizza gli Stati Membri [...] per proteggere i civili e le aree a popolazione civile minacciate di attacco nella Jamahiriya Araba di Libia, compresa Bengasi, escludendo una forza di occupazione straniera di qualsiasi forma e su qualsiasi parte del territorio libico, [...] -:
se i Ministri interrogati non ritengano che le attività descritte possano essere in contrasto con la risoluzione in premessa e se intendano riferirne le ragioni.
(4-13131)

Risposta. - La nostra azione militare in Libia, sin dal primo momento della crisi, non si discosta dal dettato della risoluzione 1973 in quanto è stata - e continua a essere - sempre indirizzata alla salvaguardia della vita della popolazione, un valore universalmente condiviso dalla comunità internazionale e da tutti gli italiani.
I nostri assetti navali e aerei messi a disposizione nel quadro dell'operazione Unified Protector, sono stati impiegati - in un contesto di stretta cooperazione con alleati e partner NATO - in base a regole d'ingaggio concordate in ambito NATO e verso obiettivi militari.
Infatti, al fine di contribuire meglio e più strettamente alla difesa della popolazione civile libica, la NATO ha focalizzato lo sforzo sulle minacce dirette contro la popolazione, con missioni mirate contro obiettivi militari, mezzi, armi, materiale bellico, e sulle reti di alimentazione, attraverso l'embargo attuato dalle unità navali e con il concorso dell'interdizione aerea.
Come noto, coerentemente con le misure necessarie a garantire la sicurezza nello spirito e nella lettera della risoluzione ONU 1973 e in conformità con l'impegno degli alleati, è stato ampliato il ventaglio delle opzioni d'impiego dei velivoli, al fine di renderlo più funzionale alle effettive esigenze operative e agli obiettivi individuati dalla NATO per la difesa diretta della popolazione, autorizzando azioni mirate contro specifici e selezionati obiettivi militari sul territorio libico, con evidente connotazione di immediata e chiara minaccia o pericolo per i civili, mediante l'impiego di sistemi d'arma di elevata precisione per evitare al massimo il rischio di danni collaterali.
L'ulteriore linea portante del nostro impegno in Libia riguarda l'impiego, nel pieno rispetto della risoluzione ONU 1973, di un gruppo di dieci istruttori militari che, su richiesta del Consiglio Nazionale di Transizione (CNT) è stato inserito, insieme agli analoghi team resi disponibili da Francia e Gran Bretagna, nella struttura militare di comando del Consiglio Nazionale di Transizione a Bengasi con il compito di assistere e consigliare gli ufficiali di staff nei vari settori (personale, operazioni, logistica, comunicazioni, e altri), sempre nell'ambito

dell'implementazione delle misure più proprie per proteggere la popolazione civile.
Confermo, ancora una volta, che l'impegno dell'Italia si è mantenuto entro i previsti parametri di attuazione nel rispetto del mandato di Unified Protector e delle pertinenti risoluzioni del consiglio di sicurezza dell'ONU.
Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.

URSO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
la legge n. 191 del 2009 (legge finanziaria per il 2010) ha stabilito l'unificazione del pagamento delle competenze fisse ed accessorie nel cosiddetto «Cedolino unico»;
le successive disposizioni contenute nel decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, all'articolo 4, hanno definito le modalità operative per l'attuazione della predetta unificazione, che sarà resa obbligatoria a partire dal 1° gennaio 2011;
con tale innovazione, in sostanza, tutto il personale dell'amministrazione dello Stato, ivi compreso quello appartenente al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, vedrà corrisposte le proprie spettanze di natura accessoria (compensi per straordinario, indennità notturna, festiva, di turno, indennità di specializzazione, eccetera) unitamente al pagamento dello stipendio mensile;
tali competenze accessorie, in un momento di crisi come quello che attualmente stiamo vivendo, risultano essere fondamentali per una più oculata gestione economico familiare -:
come mai ad oggi, a distanza di 4 mesi dall'applicazione della legge, non risultino ancora corrisposte le somme delle competenze accessorie a tutto il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
(4-11904)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione in esame con cui si chiedono le ragioni per le quali non risultano ancora corrisposte le somme relative alle competenze accessorie al personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, si rappresenta quanto segue.
Il dipartimento dell'amministrazione generale del personale e dei servizi del Ministero dell'economia e delle finanze è competente, attraverso il Sistema Spt (Service personale tesoro), circa le procedure per il pagamento delle competenze fisse e accessorie ai dipendenti (cedolino unico).
A partire da gennaio 2011 il sistema Spt consente ai dipendenti delle amministrazioni di visualizzare in un'unica busta paga le competenze fisse e accessorie spettanti realizzando così il cedolino unico che trova la sua fonte normativa nell'articolo 2, comma 197, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (legge finanziaria 2010). Obiettivo della creazione del cedolino unico è di semplificare, razionalizzare e omogeneizzare i pagamenti delle retribuzioni fisse e accessorie dei pubblici dipendenti, di favorire il monitoraggio della spesa del personale e di assicurare il versamento unificato delle ritenute previdenziali e fiscali.
Il sistema Spt elabora annualmente oltre 21.000.000 cedolini per un importo pari a circa 50 miliardi di euro, interfacciandosi con circa 550 enti creditori garantendo l'applicazione di normative relative a 12 diversi comparti/contratti e consentendo la gestione di 13 regimi previdenziali.
Si precisa che le procedure per il nuovo sistema di pagamento unificato sono a disposizione degli Uffici da gennaio 2011 e che a luglio dello stesso anno, oltre il 90 per cento delle 24 amministrazioni gestite da Spt hanno effettuato il pagamento di competenze accessorie per oltre due milioni di compensi accessori per un importo totale di circa 441 milioni di euro.
È stato verificato che per il Ministero dell'interno, in particolare per il capitolo di bilancio relativo al personale del comparto dei vigili del fuoco, il primo decreto di riparto - strumento essenziale per assicurare la disponibilità dei fondi ai singoli uffici ordinatori delle competenze accessorie - è stato registrato

nel corso del mese di marzo 2011. Pertanto, nel corso dello stesso mese, gli Uffici dei comandi provinciali dei vigili del fuoco hanno potuto provvedere, tramite le procedure informatiche realizzate dal Ministero dell'economia e delle finanze, alla segnalazione delle competenze accessorie da corrispondere unitamente allo stipendio del mese di aprile. Tale attività ha consentito nel mese di prima applicazione il pagamento di circa 32.000 compensi accessori per il personale in questione, raggiungendo il numero di 434.000 per un totale di oltre 57 milioni di euro corrisposti a tutto il mese di luglio.
Conclusivamente, si osserva che la questione segnalata dall'interrogante ha già ottenuto una soluzione di tipo procedurale, in quanto le somme relative alle competenze accessorie al personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco sono già in pagamento.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

VILLECCO CALIPARI e RUGGHIA. - Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
la grave situazione determinatasi in Libia coinvolge indirettamente numerosi cittadini italiani che si trovano in territorio libico per ragioni di lavoro in quanto dipendenti di imprese italiane che operano in Libia;
a causa della situazione di grave pericolo innescata dalla violenta reazione del Governo libico di fronte alla rivolta popolare che attraversa il Paese, questi nostri concittadini sono costretti a rientrare in Italia;
è doveroso da parte del Governo garantire a questi connazionali un rientro immediato in condizioni di sicurezza che può essere ottenuto attraverso un ponte aereo, che al momento non risulta possibile realizzare senza la concessione da parte delle autorità libiche di un corridoio aereo che consenta ai nostri velivoli di atterrare negli aeroporti dove possono essere raccolti i nostri concittadini senza costringerli a rischiosi spostamenti via terra -:
se i Ministri interrogati si stiano adoperando, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze, dando seguito agli impegni assunti in Parlamento, per chiedere ed ottenere le necessarie autorizzazioni all'atterraggio in territorio libico e predisporre l'utilizzo immediato di velivoli dell'aeronautica militare.
(4-11015)

Risposta. - Dal registrarsi delle prime manifestazioni in Algeria, Tunisia ed Egitto, d'intesa con l'ambasciata d'Italia a Tripoli, il Ministero degli affari esteri ha provveduto ad ottimizzare, in prospettiva, anche i piani di emergenza per la Libia. Per garantire la massima possibile assistenza ai connazionali, è stata tra l'altro estesa la possibilità di registrazione sul sito DoveSiamoNelMondo (generalmente utilizzato da viaggiatori e lavoratori temporanei) agli Italiani stabilmente residenti nel Paese, anche per geo-referenziarne i domicili al fine di facilitare eventuali interventi di soccorso.
Parallelamente, con annunci specifici ed aggiornamenti del sito ViaggiareSicuri e delle piattaforme Facebook e Twitter gestiti da questa Unità di crisi, si è progressivamente sconsigliato ogni viaggio nelle aree a rischio, prima con riferimento alla sola Cirenaica e successivamente a tutto il Paese con tempistica ancora più rapida di quella degli altri partner europei.
Tramite i canali disponibili (mailing e phone list, sms massivi, piattaforme di social network, rete dei capimaglia, responsabili di sicurezza delle aziende e altro), dall'annuncio delle prime proteste sono state inviate ai connazionali residenti nel Paese informazioni preliminari di sicurezza e di carattere logistico. Nella prospettiva di un possibile degrado del contesto generale, la nostra ambasciata a Tripoli ha iniziato a reiterare ai connazionali, con largo anticipo rispetto all'effettivo estendersi degli scontri, il suggerimento di lasciare il Paese su base volontaria.
Anche a tal fine, è stato realizzato un coordinamento con Alitalia per il rafforzamento

delle tratte aeree da e per la Libia (con maggiore frequenza e capacità dei vettori). Inoltre, sono stati predisposti due voli speciali - operati da Alitalia per conto dell'Unità di crisi - per favorire il rapido deflusso dei connazionali che hanno manifestato repentinamente l'intenzione di lasciare il Paese, in particolare la Tripolitania, dove storicamente si è sempre concentrata la maggioranza degli italiani. Per quanto attiene alla Cirenaica, il Ministero degli affari esteri ha attivato - anche attraverso il coordinamento con le cellule di crisi degli altri Paesi europei - specifiche sinergie per facilitare il rientro di alcune decine di italiani (bloccati in località quali Bengasi, Tobruk, Amal, Jalu) su vettori di altre compagnie aeree e marittime.
Una squadra guidata dal vicario di questa Unità di crisi è stata subito inviata a Tripoli per coadiuvare l'ambasciata nelle attività di facilitazione del rimpatrio degli italiani e per affrontare, analogamente a quanto già fatto in occasione della recente emergenza in Egitto, particolari criticità sul campo. Il lavoro del team ha consentito, tra l'altro, di facilitare il trasferimento di cittadini italiani anche via terra attraverso i confini con Tunisia ed Egitto. A supporto e protezione dell'operato della sede si sono altresì predisposte missioni di nuclei avanzati di personale del Cofs del Coi e del Comando carabinieri Mae (corpo Tuscania).
La sala operativa dell'Unità di crisi ha continuato ad operare durante tutta l'emergenza senza soluzione di continuità a pieno e rafforzato regime, al fine di riscontrare tutte le segnalazioni, in condizioni notevolmente complicate nelle difficoltà nelle comunicazioni dall'estero verso la Libia (non soltanto canali internet, ma anche reti di telefonia fissa e mobile). Un coordinamento è stato mantenuto con Assafrica di Confindustria e con singole società (tra le altre Eni, Bonatti, Impregilo, Tecnoscavi, Selex-Finmeccanica e altre) seguendo e, laddove richiesto, facilitando il rientro in Italia del loro personale da località particolarmente critiche quali Kufra, Bu Attifel, Ei Feel, Hum e altre.
Il sistema di assistenza, diretta o indiretta, ai cittadini italiani realizzato dall'Unità di crisi ha potuto contare anche sul fondamentale apporto del Ministero della difesa, che - attraverso il Coi - ha provveduto all'invio di otto vettori aerei militari su Tripoli (con a bordo anche personale dell'Unità di crisi) e Sabah, oltre che delle navi San Giorgio e Mimbelli rispettivamente al largo di Misurata e Marsa El Brega, con specifica finalità di sostegno alle richieste di rientro in Italia di connazionali in difficoltà.
Grazie a tali dispositivi è stato possibile facilitare il trasferimento nel nostro Paese di circa 1400 italiani dalla Libia (tutti i connazionali che ad oggi hanno fatto richiesta di lasciare il Paese nordafricano sono stati assistiti) e più di 650 stranieri. Quando necessario, si è sempre assicurato il massimo raccordo con il Dicastero dell'interno e con il Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri per gestire al meglio gli arrivi.
Il Ministero degli affari esteri ha assicurato dettagliata informazione ai media, direttamente o d'intesa con il servizio per la stampa e la comunicazione istituzionale, attraverso interviste radiofoniche e televi- sive del capo e del vicario dell'Unità di crisi, comunicati, lanci e conferenze stampa.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Stefania Gabriella Anastasia Craxi.

ZACCHERA. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
nei giorni scorsi la sede INAIL di Domodossola, città nella provincia del Verbano-Cusio-Ossola, è stata trasferita alle dipendenze della sede INAIL di Novara e ciò perché la sede provinciale INAIL del Verbano-Cusio-Ossola, con sede strategica a Gravellona Toce - essendo questa località baricentrica per il territorio provinciale e prossima comunque a Verbania - risulterebbe essere stata retrocessa da sede di classe A a sede di classe B ed un ufficio come Domodossola non può dipendere da un ufficio provinciale di classe B;

si è arrivato così al curioso risultato che due uffici siti nella stessa provincia dipendono però da dirigenti provinciali di due province diverse;
tutto ciò poteva essere evitato non declassando da A a B la struttura di Gravellona Toce o - a lume di logica - ove la direzione provinciale di una provincia sia stata classificata di classe B continuando però a fare dipendere da questa sede le altre strutture site nella stessa provincia -:
per quali motivi si sia giunti a questa decisione;
se non sia cosa opportuna stabilire con urgenza che nelle province in cui la dirigenza provinciale sia stata determinata di classe B debbano comunque da essa dipendere tutti gli altri uffici del territorio della provincia, e ciò a solo vantaggio dell'utenza.
(4-11431)

Risposta. - L'interrogazione in esame concerne l'assetto organizzativo delle sedi territoriali dell'Inail di Verbano-Cusio-Ossola e di Domodossola.
In proposito, l'Istituto ha fatto sapere che la nuova configurazione organizzativa delle sedi in questione è scaturita dalla revisione dell'ordinamento delle strutture centrali e periferiche, realizzata in ottemperanza alle disposizioni di cui all'articolo 1, commi 440 e 441, della legge n. 296 del 2006 (finanziaria per il 2007) e sulla base di criteri organizzativi finalizzati all'ottimizzazione dell'articolazione territoriale delle strutture.
Le norme sopra richiamate hanno stabilito che il personale utilizzato dagli enti pubblici non economici nazionali per lo svolgimento delle funzioni di supporto non può eccedere il 15 per cento delle risorse umane complessivamente utilizzate.
Tale misura deve essere raggiunta mediante processi di riorganizzazione e di formazione e riconversione del personale di supporto che consentano di ridurne gradualmente il numero fino al raggiungimento del limite predetto.
Gli enti interessati dalla riduzione sono tenuti ad adottare i provvedimenti di riorganizzazione e riallocazione delle risorse necessari per rispettare il parametro del 15 per cento riducendo contestualmente le dotazioni organiche.
L'Istituto ha quindi effettuato la revisione dell'articolazione funzionale e della classificazione delle sedi locali, allo scopo di razionalizzare gli uffici di supporto e di contro valorizzare le funzioni istituzionali e strategiche, con particolare riferimento alla vigilanza ispettiva, accentrata a livello regionale, e alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, alla riabilitazione e al reinserimento lavorativo, attraverso la creazione presso le sedi territoriali di unità organizzative dedicate.
L'Inail ha, inoltre, determinato le dotazioni organiche ridistribuendo il personale delle Aree funzionali e procedendo alla diminuzione del numero dei dirigenti di I e di II fascia, al fine del contenimento della spesa.
In ragione di quanto sopra, la sede di Verbano-Cusio-Ossola è stata riclassificata di tipologia B ed affidata, secondo il modello organizzativo adottato dall'Istituto valido per tutto il territorio nazionale, alla responsabilità non di un dirigente, ma di un funzionario apicale.
Conseguentemente, entrambe le sedi di Verbano-Cusio-Ossola e di Domodossola, quest'ultima classificata di tipologia C, benché insistenti su territori appartenenti a diverse province, sono state poste funzionalmente alle dipendenze del dirigente preposto alla sede provinciale di Novara.
L'Inail, infatti, ha chiarito che il modello organizzativo adottato non corrisponde esattamente all'articolazione territoriale in province e comuni, ma si fonda essenzialmente sulla valutazione dei carichi di lavoro dovuti ai bacini d'utenza e delle distanze territoriali, al fine di garantire contestualmente la gestione secondo economie di scala e la qualità del servizio erogato all'utenza.
Si evidenzia, poi, che la riclassificazione delle sedi non ha recato conseguenze negative per l'utenza, in quanto le sedi di tipo B offrono l'intera gamma dei servizi di

competenza dell'Istituto al pari delle sedi di livello superiore, con il vantaggio di avere una struttura organizzativa molto più snella che consente il contenimento dei costi gestionali.
Anche le sedi di tipologia C continuano ad esercitare la funzione sociale di presa in carico dell'utente, operando prevalentemente nel settore dell'erogazione delle prestazioni spettanti agli infortunati e ai tecnopatici.
Un diverso assetto organizzativo delle sedi di Verbano-Cusio-Ossola e di Domodossola, nel senso auspicato dall'interrogante, implicherebbe un rilevante scostamento dal modello organizzativo adottato sul resto del territorio nazionale ed un aumento dei costi gestionali non sostenuto da specifiche esigenze organizzative e produttive.
In merito a quest'ultimo profilo, si evidenzia che il carico di lavoro complessivo, in termini di numero di lavoratori e aziende, relativo alla sede di Verbano-Cusio-Ossola è nettamente inferiore ai carichi minimi previsti per le sedi di tipo A, oltre ad essere inferiore anche ai carichi di diverse sedi di tipo B, che insistono in altre parti del territorio nazionale e della regione Piemonte. Inoltre, l'andamento produttivo del biennio 2009/2010 indica una costante seppur lieve flessione.
Per quanto concerne la sede di Domodossola, l'Inail ha rappresentato che il livello del carico di lavoro è notevolmente inferiore rispetto a quelli di altre sedi di analoga tipologia situate in altre parti del territorio nazionale e nella stessa regione Piemonte. Anche in questo caso, l'andamento produttivo del biennio 2009/2010 evidenzia un calo anche se non incisivo.
Infine, l'eventuale previsione di un collegamento funzionale ed operativo diretto fra le sedi di Verbano-Cusio-Ossola e di Domodossola, svincolato dal controllo produttivo e gestionale della sede di Novara, comporterebbe la creazione di una struttura di tipologia B connotata da un anomalo livello di autonomia gestionale, con forti ricadute anche procedurali sul sistema del controllo gestione, sulla contabilizzazione e sulla gestione del personale.
In più, una tale soluzione comporterebbe l'attribuzione a funzionari apicali di poteri gestionali riconducibili esclusivamente al livello dirigenziale, in modo del tutto svincolato rispetto ai controlli e ai limiti propri dell'istituto della delega, a cui si fa ricorso in situazioni analoghe.
Conclusivamente, si ritiene che le scelte organizzative adottate dall'Inail siano ragionevoli ed improntate al principio di buon andamento, per cui non si rilevano i profili di criticità rappresentati dall'interrogante.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luca Bellotti.

ZACCHERA. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
da circa due anni è in gestazione la modifica della «Convenzione Internazionale sulla pesca per le acque comuni italo-svizzere (lago Maggiore - lago di Lugano - fiume Tresa)» che - senza costi aggiunti per lo stato - aggiorna le attuali normative tra i due paesi in materia di gestione della pesca professionale e sportiva;
la parte svizzera ha già da diversi mesi concluso l'iter approvando il testo della convenzione;
da parte italiana avrebbero già dato da tempo parere favorevole le regioni interessate (Piemonte e Lombardia) e le province del territorio;
le autorità svizzere sollecitano l'entrata in vigore della nuova convenzione -:
a che punto sia l'approvazione del testo da parte dei Ministeri competenti e perché si accumuli questo ritardo di cui non si capisce la ragione, trattandosi di modifiche meramente tecniche legate ai nuovi metodi dei sistemi di pesca e quindi alla necessità di preservare la fauna ittica in presenza delle nuove realtà naturali,

ambientali ed economiche delle zone interessate.
(4-13252)

Risposta. - In merito a quanto rappresentato dall'interrogante nell'interrogazione in esame si forniscono i seguenti elementi di informazione.
È in corso la procedura di concertazione interministeriale, avviata nel novembre 2009 con la richiesta da parte del Ministero degli affari esteri dei pertinenti pareri sulla proposta di modifica della Convenzione internazionale sulla pesca nelle acque comuni italo-svizzere ai Ministeri delle politiche agricole, alimentari e forestali, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dell'economia e delle finanze.
A seguito della riforma dell'articolo 117 della Costituzione, la materia della pesca in acque interne è infatti divenuta di competenza esclusiva delle regioni. Tale circostanza ha richiesto quindi un ulteriore approfondimento finalizzato ad appurare l'eventuale necessità di un consenso aggiuntivo da parte delle regioni Piemonte e Lombardia prima della firma dell'accordo.
Si assicura in ogni caso che il Governo è attivamente impegnato al fine di pervenire ad una celere conclusione dell'iter in parola.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Alfredo Mantica.

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
risulta che l'Italia non ha ancora inviato a Bruxelles il rapporto di previsione sulle energie rinnovabili;
in questo documento i governi devono indicare se stimano di produrre energie verdi sufficienti, in eccesso, o se dovranno ricorrere all'aiuto di altri stati per raggiungere gli obiettivi fissati da Bruxelles per il 2020 con la direttiva 2009/287CE;
il testo è preparatorio al piano d'azione nazionale definitivo da presentare entro fine giugno 2010, in cui si specifica il potenziale del paese in termini di rinnovabili;
inoltre il piano nazionale per l'efficienza energetica non risulta redatto entro il 2009 -:
per quali motivi il suddetto documento sulle energie rinnovabili non sia stato ancora inviato e quando si intenda inviarlo;
per quali motivi il piano per l'efficienza energetica non sia stato ancora inviato e quando si intenda inviarlo.
(4-06010)

Risposta. - Il Piano di azione nazionale (Pan) per le energie rinnovabili previsto dalla direttiva 2009/28/CE, è stato notificato alla Commissione europea nel luglio 2010; ai fini della valutazione della sua adeguatezza, il Governo italiano ha successivamente fornito alla Commissione, che ne ha fatto richiesta, ulteriori specificazioni e chiarimenti.
In attuazione della legge n. 96 del 2010, (legge comunitaria 2009) ed in particolare dell'articolo 17, comma 1, è stato emanato il decreto legislativo n. 28 del 2011 - di recepimento della direttiva 2009/28/CE - che traduce in misure normative concrete le strategie delineate nel Pan, per il conseguimento entro il 2020 della quota del 17 per cento di energia da fonti rinnovabili sui consumi energetici nazionali.
Per il raggiungimento di tale obiettivo, il citato decreto legislativo prevede in particolare:
a)i criteri per la riforma dei sistemi di incentivazione della produzione di energia da fonti rinnovabili (energia elettrica, energia termica, biocarburanti) e di incremento dell'efficienza energetica, così da ridurre i relativi oneri in bolletta a carico dei consumatori;
b)la semplificazione delle procedure autorizzative;
c) lo sviluppo delle reti energetiche;

d)modalità per la formazione e qualificazione;
e)il monitoraggio del progressivo raggiungimento degli obiettivi.

Con riferimento alla definizione del piano straordinario per l'efficienza e il risparmio energetico, previsto dall'articolo 27 comma 10 legge n. 99 del 2009, si osserva che la stessa dopo aver avuto un avvio abbastanza lento, dovuto a modifiche normative e di quadro politico, è stata sostanzialmente superata dalla recente approvazione di un successivo documento di programmazione dell'efficienza energetica.
In particolare, nei mesi scorsi è stato predisposto e, dopo consultazione degli stakeholders, inviato in Conferenza Stato-regioni - che ha espresso l'intesa in data 27 luglio 2011 - il secondo piano di azione sull'efficienza energetica, previsto dalla direttiva 2006/32 e dal decreto legislativo n. 115 del 2008 di recepimento. Il piano contiene una ricognizione delle politiche e dei risultati di efficienza e risparmio energetico messe in campo dal Governo italiano e gli obiettivi quantitativi al 2016, con proiezioni al 2020.
Si fa presente comunque, con riguardo all'efficacia delle misure messe in atto dal Governo, che al 31 dicembre 2010 il risparmio nei consumi finali dell'Italia, conseguito con strumenti di notevole impatto come le detrazioni fiscali del 55 per cento o i certificati bianchi, è stato pari a 47.711 GWh, superando di oltre il 33 per cento l'obiettivo per il 2010, indicato nel Piano efficienza energetica 2007.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Stefano Saglia.

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riporta un articolo tratto dal Corriere del Mezzogiorno del 18 maggio 2010, di cui autore è Antonio Cangiano, in corso Garibaldi a pochi passi dal capolinea della Circumvesuviana, la stele dedicata all'ingresso in città del generale fautore dell'Unità d'Italia, Giuseppe Garibaldi, risulta degradata. Il monumento collocato nel luogo dove avvenne il celebre ingresso a Napoli dell'eroe dei due mondi è visibilmente fatiscente e svilita nella funzione celebrativa di ricordo della memoria. Inoltre, sono stati posizionati due cassonetti della spazzatura proprio davanti al monumento;
resta indiscutibile la portata dell'evento storico a memoria del quale fu innalzata una bella stele commemorativa i cui resti sono presenti ancora al corso Garibaldi. Miracolosamente sopravvissuta ai rifacimenti dello slargo antistante il capolinea della moderna Circumvesuviana, la lapide in marmo bianco reca, nell'iscrizione resa dal tempo quasi illeggibile, solo alcune scarne parole: «Entrando... Giuseppe Garibaldi congiunse Napoli all'Italia»;
la stele, svilita dall'incuria nella funzione commemorativa, è oscurata durante il giorno dalle auto in sosta selvaggia. Ancora peggio, serve per ironia della sorte ad indicare un punto di raccolta per la spazzatura del quartiere. La sua funzione attuale è, infatti, pilastro d'appoggio per i cassonetti della nettezza urbana. Il tutto mentre nel Paese fervono i preparativi per l'anniversario dell'Unità d'Italia -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti e se essi corrispondano al vero;
se non ritenga opportuno adottare iniziative di competenza al fine di preservare l'integrità del monumento, sia dal punto di vista materiale sia dal punto di vista storico-simbolico;
se non intenda avviare un'ampia indagine sullo stato di conservazione dei monumenti celebrativi più in generale del risorgimento italiano e dei suoi principali attori e protagonisti.
(4-07273)

Risposta. - Con riferimento all'interrogazione indicata in oggetto, con cui l'interrogante ha evidenziato lo stato di degrado in cui versa la stele dedicata a Giuseppe Garibaldi situata nell'omonimo corso a Napoli, si riferisce quanto segue.
La competente soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il polo museale della città di Napoli ha comunicato che la II municipalità del comune di Napoli, in collaborazione con la medesima soprintendenza, ha provveduto ad inserire la stele de qua, insieme ad altri monumenti cittadini, nell'ambito di un progetto di restauro che prevede la ricerca di sponsor mediante procedura ad evidenza pubblica, i cui termini sono scaduti in data 29 settembre 2011.
La suddetta soprintendenza è, dunque, in attesa che la II municipalità del comune di Napoli, comunichi formalmente il vincitore della gara summenzionata e la richiesta di nulla osta al progetto di restauro di cui sopra.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali: Francesco Maria Giro.

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riporta il Corriere della Sera del 1° giugno 2010 (ultima modifica 3 giugno 2010), luoghi in cui Scipione l'Africano visse i suoi ultimi giorni sono stati dimenticati e abbandonati. Vi insiste un parco archeologico decisamente poco valorizzato e minacciato di tanto in tanto dagli abusi: la costa del giuglianese e quella di Castel Volturno, nel Casertano, sono tra le più disastrate d'Italia dal punto di vista del cemento selvaggio;
a Liternum, Amedeo Maiuri, direttore del museo archeologico di Napoli negli anni '30, celebre per aver portato alla luce buona parte delle città romane di Pompei e Ercolano, in precedenza già individuate dagli archeologi borbonici, affidò l'incarico a Giacomo Chianese, ispettore onorario della Soprintendenza alle antichità di Napoli, di condurre uno scavo sistematico nell'area dell'antico foro. Nel 1933 inizia l'operazione «Liternum» per individuare nella zona del Lago Patria (nel Giuglianese) il sito dell'antica cittadina romana. I saggi di scavo danno esito positivo e permettono di fissare il sito della dimenticata Liternum, dove, appunto, Scipione l'Africano si era ritirato con i legionari per dedicarsi alla bonifica e alla coltivazione della terra. Vennero alla luce gran parte delle rovine ancora visibili, il foro e l'antico teatro; individuando tra l'altro ben sei chilometri della via Consolare Campana, oggi irrimediabilmente perduta;
da allora, passati i clamori e gli sfarzi dell'illusione di un rinato impero romano fascista, il sito archeologico di Liternum è diventato il più degradato e dimenticato d'Italia. Nell'estate del 1960, il comitato promotore dei Giochi del Mediterraneo che si disputano quell'anno a Napoli sceglie proprio l'area a cavallo del foro dell'antica Liternum per impiantare un nuovo edificio. Sui terreni al di sotto dei quali insisteva l'antica colonia romana, e dove si presume si conservino ancora i resti di gran parte delle abitazioni civili - domus e botteghe - vennero realizzate le strutture di un moderno villaggio olimpico destinato ad ospitare gli atleti della nazionale jugoslava. Oggi quel villaggio è divenuto un parco privato; all'incirca 400 anime che vivono su una nuova probabile «Pompei». «Proprio in occasione di uno scavo per l'installazione del nuovo condotto fognario all'interno del parco privato» spiega la dottoressa Adriana d'Avella attuale direttrice dell'area degli scavi del parco archeologico di Liternum «abbiamo condotto un saggio che ha riportato alla luce i resti di un'antica fornace per la lavorazione dell'argilla e la fabbricazione dei laterizi, segno dell'elevato grado di sviluppo della colonia romana»;

mentre l'archeologa illustra le scoperte portate avanti con competenza e preparazione negli anni recenti, lo scempio operato in passato è purtroppo irrimediabilmente visibile sotto i nostri occhi. In particolare il muro di cinta che delimita la proprietà del parco privato è stato costruito in aderenza con le antiche murazioni romane che ancora affiorano dal terreno. Nell'area attuale degli scavi dove è venuto alla luce l'antico Criptoportico, ovvero un corridoio di passeggio a volta coperto che collegava all'antico foro, si notano i moderni mattoni adoperati per la costruzione del muro perimetrale e la relativa colata di cemento poggiata sui resti di un muro di sostegno d'epoca romana in «opus reticolarum». La volta del criptoportico però è orribilmente sventrata da un carotaggio in cemento armato. Ma è solo una parte dello scempio adoperato fino ad oggi. All'interno dell'area sotto tutela della Soprintendenza controversie legali con i discendenti degli antichi coloni proprietari negli anni trenta dei suoli confinanti, nonché fenomeni di speculazione edilizia selvaggia dei primi anni '80 hanno prodotto due casi «emblematici» di abusivismo proprio a ridosso dell'ara sacra. Una struttura conserva parte delle antiche mura di una domus romana, l'altra è stata edificata proprio lungo l'antico tracciato della via consolare domitiana che si immetteva nell'area del foro. «Un breve tratto è stato riportato alla luce l'anno scorso sottratto alle coltivazioni locali che lo avevano destinato a una bella vigna» commenta l'archeologa, che poi si dice orgogliosa del ritrovamento di un busto d'imperatore acefalo venuto alla luce durante una campagna di scavo. «Busto attualmente conservato nel museo archeologico dei campi Flegrei» -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della gravissima situazione descritta con riferimento al sito dell'antica cittadina romana di Liternum;
se e quali azioni intenda intraprendere per riportare alla luce un sito di così straordinario valore storico e artistico;
se intenda sottoporre tutta l'area descritta comprendente il Giuglianese e Castel Volturno a vincolo archeologico e se intenda adottare provvedimenti immediati per la tutela di questi luoghi che hanno subito il degrado e l'incuria.
(4-07473)

Risposta. - In riferimento all'atto di sindacato ispettivo in oggetto indicato, si rappresenta quanto segue.
I resti della colonia romana di Liternum si trovano in Campania lungo la sponda sinistra del lago Patria che ricade nel territorio del comune di Giugliano, ultimo comune verso nord della provincia di Napoli e pertanto di competenza della soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei, nonché nel territorio del comune di Castelvolturno in provincia di Caserta, che invece rientra nelle competenze della Soprintendenza per i beni archeologici di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta.
Il sito, insieme con il tracciato dell'antica via Domitiana che ancora si conserva per lunghi tratti tra Cuma e Liternum, è tra le più importanti presenze archeologiche che caratterizzano il litorale domizio.
Fino a pochi anni fa Liternum poteva identificarsi esclusivamente con il Foro della città e i suoi monumenti, portati alla luce negli anni Trenta ad opera della Soprintendenza e successivamente espropriati dalla Provincia di Napoli, nelle cui competenze territoriali tuttora ricade essendo diventato parte del demanio provinciale.
Dagli inizi degli anni Novanta Liternum è al centro di un rinnovato interesse da parte delle istituzioni: in primo luogo il Ministero per i beni e le attività culturali che, oltre all'espletamento degli adempimenti formali di tutela, vi ha ripreso le indagini archeologiche esplorando sia alcuni settori dell'area urbana antica, sia le zone extraurbane dell'anfiteatro e della necropoli, tutte in proprietà privata spesso divenute luoghi di discarica.
Tale attività di ricerca, nonostante i limiti imposti dalla scarsa disponibilità economica, ha portato da un lato notevoli progressi nella conoscenza della storia e della topografia della città antica, dall'altro ha consentito l'acquisizione per esproprio delle

aree esplorate: oltre a quella dell'anfiteatro sono state acquisite, anche mediante prelazione, alcune aree dell'abitato che si estende a nord e ad est del foro. Questa zona, in proprietà privata affidata a coloni e sottoposta a vincolo sin dagli anni Cinquanta, è rimasta prevalentemente identificata ma non per questo è sfuggita a due devastanti episodi di abusivismo edilizio, nei confronti dei quali la soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei a suo tempo ha posto in essere tutti gli adempimenti finalizzati a contrastare le azioni dannose per il patrimonio archeologico; attualmente gli immobili abusivi sono oggetto di attenzione da parte di tutte le istituzioni competenti in materia di tutela del territorio per i provvedimenti del caso.
I risultati delle recenti indagini archeologiche, resi peraltro noti all'opinione pubblica attraverso l'allestimento di una sezione dedicata a Liternum nel museo archeologico dei campi flegrei nel castello di Baia e con la pubblicazione nel relativo catalogo, avrebbero richiesto la prosecuzione dell'esplorazione archeologica, purtroppo da tempo interrottasi per carenza di fondi.
L'area del foro, di pertinenza della provincia di Napoli e di cui si auspica e si sollecita da anni un restauro conservativo, è stata dotata di una nuova recinzione di tipo monumentale e di un impianto di illuminazione.
Il comune di Giugliano, recuperando una proposta progettuale elaborata d'intesa con la soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei e la Provincia, già negli anni Novanta, nell'intento di creare un parco archeologico comprendente sia il Foro che le aree circostanti, con fondi regionali ha di recente acquisito queste ultime, ancora ricadenti in proprietà privata, e realizzato un primo intervento di bonifica e di sistemazione a verde creando percorsi pedonali con punti di sosta e di osservazione sia dell'ambiente naturale che delle evidenze archeologiche al momento visibili in maniera sparsa nel parco, tra cui un tratto dell'antica Domitiana, nell'auspicio che future campagne di scavo possano riportare gradualmente alla luce altri settori della città.
L'area urbana ancora inedificata dell'antica Liternum, che viene attualmente in senso lato denominata «parco archeologico di Liternum», con l'acquisizione di suoli anche da parte del comune appartiene allo Stato (Ministero per i beni e le attività culturali), alla provincia di Napoli e al comune di Giugliano.
Il concorso di diversi soggetti istituzionali ha imposto la necessità che gli stessi individuino in maniera congiunta le modalità di gestione e valorizzazione al fine di garantire la fruizione pubblica nel rispetto della tutela del sito, che resta tra i meno conosciuti della Campania. A tale scopo è in via di definizione la redazione di un protocollo d'intesa tra le parti, di concerto con la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania.
Parallelamente sarebbe auspicabile intraprendere lo scavo sistematico con la messa in luce e il restauro delle strutture antiche.
In tal senso nel 2007 la soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei ha avuto modo di eseguire un'indagine nell'area demaniale individuando un criptoportico monumentale, struttura completamente riempita di sabbia portata dal vento, di cui è stato possibile eseguire solo lo scavo del crollo della copertura a volta, avente verosimilmente la funzione di compensare, con un sistema di piani sfalsati, un salto di quota esistente tra la fascia costiera pianeggiante e il pianoro sul quale fu edificata la città.
Lo scavo ha evidenziato come l'edificio prosegua verso sud in direzione di un parco residenziale che purtroppo insiste sul settore meridionale dell'antica Liternum e che deriva dalla degenerazione e dall'ampliamento graduale di un villaggio olimpico sorto negli anni sessanta e originariamente costituito da casette di legno a palafitta. In questa area come in quella più a sud, fortemente urbanizzata, per lo più in maniera abusiva, dagli anni novanta è costante il controllo della soprintendenza che nell'ambito dei suoi compiti istituzionali esercita attività di tutela anche attraverso ricerche archeologiche effettuate in occasione

di interventi di edilizia privata o per rilascio di pareri in sanatoria.
Infatti, se in tale area il costruito ha occultato le presenze antiche, non ha tuttavia cancellato la valenza archeologica dell'area il cui sottosuolo, laddove non manomesso, conserva ancora ben leggibile nella sua stratificazione il tessuto urbano di Liternum che potrebbe un giorno essere restituito alla luce con un pianificato e radicale intervento di recupero archeologico.
In tal senso, mediante azioni e provvedimenti coerenti, che caratterizzano ormai da anni l'operato della soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei, viene costantemente riaffermata la valenza archeologica di questo settore meridionale della città antica, in forza della quale nel 1995 non si è esitato ad imporre un nuovo organico vincolo diretto sull'intera area, già in parte vincolata sin dagli anni Cinquanta, o ad acquisire nel 2006 per prelazione un appezzamento di terreno sfuggito all'edificazione.
Questo Ministero è non solo bene a conoscenza della situazione del sito archeologico, ma è attivamente presente nell'espletamento sempre tempestivo degli adempimenti di tutela di stretta competenza, promuovendo altresì, nella convinzione dell'indissolubile rapporto tra tutela e valorizzazione, iniziative di promozione, non senza sollecitare in tal senso gli enti locali comproprietari del sito archeologico, cui la normativa vigente attribuisce precipuamente tali compiti di valorizzazione.
Per quanto sopra appare evidente che tutte le aree di pertinenza della colonia romana, la quale ricade esclusivamente nel territorio del comune di Giugliano, ivi compreso il tratto della via Domitiana che attraversa lo stesso comune, risultano sottoposte a vincolo archeologico ai sensi della normativa vigente.
Relativamente all'esplorazione e alla messa in luce dell'antica Liternum, auspicabili non solo per motivi culturali, esse dipendono esclusivamente dalle risorse economiche che, quando disponibili, si sono rivelate sempre inadeguate e insufficienti per questo sito archeologico.
Per quanto concerne la parte del sito archeologico di Liternum che ricade nel territorio comunale di Castel Volturno (Caserta), la competente soprintendenza per i beni archeologici di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta ha comunicato che il comune di Castel Volturno riveste un generale interesse archeologico in quanto parte dell'antico ager Campanus suddiviso agli inizi del II secolo avanti Cristo tra le colonie di Volturnum e Liternum. Studi topografici e ritrovamenti avvenuti a seguito del controllo di lavori pubblici e di privati hanno evidenziato l'esistenza di numerosi siti che hanno confermato l'interesse archeologico del territorio.
Con particolare riferimento all'esistenza di provvedimenti di tutela, risultano agli atti di ufficio il decreto ministeriale del 10 aprile 1987 di notifica dell'interesse archeologico al Comune di Castel Volturno, imposto ai sensi degli articoli 1 e 4 della legge n. 1089 del 1939 sulla particella 127 del foglio 27 (località S. Maria a Civita), e la notifica di «vincolo archeologico» della «parte emissario e foce vecchia del lago Patria».
La competente soprintendenza per i beni archeologici di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta sta valutando l'ipotesi di sottoporre tutta l'area sopra descritta a vincolo archeologico.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali: Francesco Maria Giro.

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
nel dossier istruttorio sulla reale dinamica della proliferazione di impianti eolici in Italia, «L'eolico in Italia» - curato da Altura, Amici della Terra, CNP, Italia Nostra, Mountain Wilderness, LIPU, OLA, con il contributo e il sostegno di comitati, associazioni ambientaliste territoriali e ornitologiche di tutte le regioni

italiane (rev. 3 maggio 2010 - coordinamento raccolta dati: Enzo Cripezzi) - emerge che, dopo il «position paper» del 2007, che prevedeva al 2020 una potenza installabile di 12.000 mw (differenziandoli 10.000 su terra ferma più 2000 off-shore) già a fine 2009 risultano 4.850 mw in servizio, secondo quanto censito da Terna-Enea, con ulteriori 3343 mw definitivamente autorizzati (e quindi in fase di realizzazione) per complessivi 7674 mw, pur non considerando impianti al di sotto di 10 mw;
secondo il dossier sopracitato ad oggi la potenza eolica complessiva tra installata e/o approvata dai pareri ambientali (preludio all'autorizzazione finale) si può valutare già in non meno di 11.000 mw e se poi si considerano le ulteriori istanze presentate, vi sarebbero progetti aggiuntivi per oltre 70.000 mw;
la stessa APER (associazione/produttori di energia da fonte rinnovabile) afferma che «la sostenuta crescita dell'eolico ha posto in risalto i problemi legati all'infrastruttura elettrica. Alcune linee della rete elettrica in alta tensione hanno infatti dimostrato di non essere più dotate di sufficiente capacità di trasporto per garantire il dispacciamento di energia prodotta dagli impianti eolici negli intervalli di tempo caratterizzati da ventosità sostenuta. Ciò conduce a frequenti congestioni di rete che si traducono per gli impianti eolici necessariamente in interventi di riduzione di potenza (mediamente superiori del 20 per cento) che TERNA - il gestore della rete di trasmissione nazionale - ha la facoltà di imporre per garantire la sicurezza della rete. Purtroppo gli episodi di limitazione hanno acquisito da più di un anno ampia significatività, essendo ormai quasi quotidiani e persistenti. Le direttrici più colpite sono Andria-Foggia, Campobasso-Benevento e Benevento- Montecorvino, sulle quali insistono più di 1.500 mw eolici. (...) l'Aeeg ha quindi recentemente provveduto a riformare il sistema di indennizzo per l'energia producibile ma persa per effetto delle limitazioni (...) il quadro andrà a peggiorare ulteriormente a fronte dell'installazione di nuovi impianti»;
è evidente che centinaia di mw eolici sono stati autorizzati oltre la possibilità della rete al punto che il gestore della rete è costretto ad indennizzare alle società eoliche le necessarie riduzioni di produttività imposte per motivi di sicurezza, problematicità che si estenderà con la realizzazione di ulteriori impianti eolici -:
se e come il Ministro intenda far fronte a questa sovrapproduzione energetica;
come ritenga di esercitare una funzione pianificatoria che riequilibri l'attuale situazione;
come ritenga di far fronte ad un sistema di remunerazione praticamente privo di rischio di impresa e addirittura garantito anche quando il gestore della rete è costretto a interdire l'immissione in rete dell'energia nelle non poche situazioni in cui la rete è inadeguata a raccoglierla.
(4-07611)

Risposta. - Con riguardo ai dati relativi alla potenza eolica installata e alla produzione di energia elettrica da fonte eolica i dati statistici sull'energia elettrica del 2010 rilevati direttamente da Terna, che fa parte del Sistan - il sistema statistico nazionale - indicando un aumento della potenza eolica installata di quasi il 20 per cento rispetto al 2009, 5.850 megawatt nel 2010, contro i 4.898 megawatt nel 2009; tale valore si riferisce a tutte le potenze degli impianti includendo i maggiori ed anche i minori.
Il dato è in linea con le previsioni del piano di azione nazionale trasmesso alla Commissione europea a giugno 2010, che pone come obiettivo l'installazione di 5.800 megawatt nel 2010, di 9.068 megawatt nel 2015 e di 12.680 megawatt per il 2020.
I problemi legati al dispacciamento dell'energia prodotta da fonte eolica e quindi l'apposizione, in alcuni circoscritti casi, di limiti alla produzione eolica riscontrati nel 2009 e nel 2010, sono dovuti principalmente alla mancata applicazione, da parte dei produttori e delle amministrazioni regionali

e provinciali, dell'autorizzazione degli impianti e delle opere connesse ai sensi dell'articolo 12 del decreto legislativo 387 del 2003, che prevede il procedimento unico, in base al quale le opere di connessione alla rete, in quanto opere connesse all'impianto, devono essere autorizzate unitamente all'impianto di produzione e cioè con lo stesso provvedimento.
In tal senso, le linee-guida, adottate con decreto del Ministro dello sviluppo economico il 10 settembre 2010, riaffermano che per «opere connesse», da autorizzare con l'impianto principale, si intendono tutti gli interventi sulle reti, previsti dai gestori di rete nei preventivi per la connessione.
Solo così, infatti, si può garantire alle iniziative produttive la contestuale autorizzazione e realizzazione di adeguate connessioni alla rete e quindi la possibilità di immettere in rete l'energia prodotta.
Quindi, se negli anni passati fosse sempre stata applicata l'autorizzazione unica per impianti e opere connesse, come previsto dalla legge n. 387 del 2003, non vi sarebbe stato alcun problema di produzione per gli impianti eolici.
Oggi il trend della mancata produzione di energia eolica, ossia l'energia che non è stata immessa nel sistema a causa di mancanza di adeguata connessione, sta registrando, comunque, un netto decremento. Infatti, nell'ultimo anno si è passati dai 700 milioni di kwh del 2009 ai 470 milioni di kwh del 2010.
In altri termini, la percentuale della mancata produzione di energia elettrica da fonte eolica rispetto al totale della produzione da fonte eolica si è pressoché dimezzata passando da un -10,7 per cento del 2009 al -5,6 per cento del 2010.
Con riguardo ai dati relativi alle richieste di connessione e ai fenomeni speculativi relativi alla prenotazione della capacità di rete, si informa che al 31 dicembre 2010 risultavano richieste di connessione alla rete di trasmissione nazionale di impianti da fonte eolica per oltre 96.000 megawatt.
Il dato tuttavia non è indicativo ai fini della stima della potenza che verrà installata nei prossimi anni, ma anzi, è palesemente irreale, tenuto conto che molte richieste insistono sulle stesse aree, duplicando le procedure autorizzatorie.
Come accaduto negli ultimi anni, a gran parte delle soluzioni di connessione presentate ai gestori di rete non viene dato seguito dai produttori; così come, di frequente, i procedimenti autorizzativi vengono abbandonati dagli stessi istanti con il doppio danno di avere capacità di rete prenotata per cosiddetti «progetti di carta» e aggravio di lavoro da parte delle amministrazioni locali.
In tal senso il Parlamento è già intervenuto per contrastare il fenomeno della prenotazione di capacità di rete, prevedendo all'articolo 1-septies del decreto legge n. 105 del 2010 la definizione di regole, da parte del Ministero dello sviluppo economico e dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas «finalizzate a evitare fenomeni di prenotazione di capacità di rete per impianti alimentati da fonti rinnovabili per i quali non siano verificate entro tempi definiti le condizioni di concreta realizzabilità delle iniziative, anche con riferimento alle richieste di connessione già assegnate».
Attualmente tali regole sono state adottate dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas ed è stata impugnata e sospesa la loro efficacia, in pendenza della conclusione del procedimento avviato innanzi al giudice amministrativo.
In conclusione, per migliorare la capacità di immissione nel sistema elettrico dell'energia prodotta dagli impianti alimentati da fonte eolica, è essenziale, oltre alle norme citate per contrastare i fenomeni speculativi di prenotazione della capacità di rete, che le amministrazioni regionali e provinciali, continuino a dare piena applicazione alle norme sul procedimento unico, autorizzando congiuntamente sia gli impianti di produzione, sia le opere di connessione alle reti, garantendo tempi certi per la conclusione dei procedimenti autorizzativi delle opere di sviluppo della rete elettrica.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Stefano Saglia.

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
la petroliera Savina Caylyn, battente bandiera italiana, è stata sequestrata l'8 febbraio 2011 da pirati somali a 880 miglia dalle coste della Somalia con a bordo ventidue uomini di equipaggio, 17 indiani e 5 italiani, tra i quali il terzo ufficiale di coperta Crescenzo Guardascione, 40 anni il 19 agosto, procidano come il comandante Lubrano Lavadera; il direttore di macchina Antonio Verrecchia, 62 anni, di Gaeta; l'allievo di coperta Gianmaria Cesaro, sorrentino, del 1985; il triestino Eugenio Bon, 30 anni, primo ufficiale di coperta;
altri marittimi di Procida, Vincenzo Ambrosino, allievo di macchina e Gennaro Odoaldo, primo ufficiale di coperta, sono in mano a pirati somali dopo che la «Rosalia D'Amato», di proprietà della Perseveranza Navigazione, è stata sequestrata il 21 aprile 2011, a bordo della quale vi sono altri 4 italiani e 15 filippini;
un fax inviato il 9 giugno 2011 dai sequestratori della Savina Caylyn alle famiglie di tre uomini dell'equipaggio (Bon, Cesaro e Guardascione) riguardava 5 foto dei prigionieri sotto la minaccia di mitragliatrici Rpg puntate loro contro da alcuni pirati (ragazzi di 15, 16 anni, dicono i familiari dei sequestrati) a viso coperto da kefiah e casco da lavoro di bordo, le «collane» di cartuccere al collo; i pirati della Savina Caylyn hanno fatto sapere a più riprese che non rilasceranno né la nave né l'equipaggio se non saranno pagati 14 milioni di dollari;
dopo che la società armatrice Fratelli D'Amato, per tramite del suo intermediario inglese, ha offerto una cifra per il riscatto ai sequestratori molto più bassa della loro richiesta (7,5 milioni di dollari) la trattativa si è interrotta un paio di mesi fa per la grande distanza tra richiesta e offerta;
il 10 agosto, una nave militare italiana, l'Andrea Doria, si è diretta verso la «Savina Caylyn», per monitorare le condizioni dei marinai italiani anche se, da dichiarazioni rese dal Ministro della difesa, che ha anche detto di aver chiesto ad «una nave italiana di spostarsi più vicino alle coste della Somalia in modo da raccogliere il massimo delle informazioni possibili sulla situazione dei marinai» non c'è nessuna trattativa con i pirati da parte dei militari perché non è compito loro farlo;
il 22 agosto i cittadini di Procida, esasperati per l'assenza di notizie ed informazioni, hanno manifestato per chiedere con forza e determinazione la liberazione di Vincenzo, Gennaro, Giuseppe ed Enzo, i quattro marittimi isolani rapiti dai pirati somali. Migliaia e migliaia i cittadini che hanno attraversato in corteo tutta l'isola (http://www.youreporter.it/video-MARITTIMI-SEQUESTRATI-CLAMOROSA-PROTESTA-A-PROCIDA; http://www.youreporter.it/video-TUTTA-PROCIDA-IN-PIAZZA-PER- CHIEDERE-RILASCIO-MARITTIMI) (video realizzati da Gennaro Sauno);
il 25 agosto 2011, il Ministero degli affari esteri in un comunicato ha fatto sapere che «il Governo italiano non può contemplare la possibilità di una trattativa diretta con i pirati e tanto meno di pagare riscatti per la liberazione degli ostaggi, lo vieta la legge - a cominciare da quella riflessa nelle risoluzioni Onu - che esclude qualsiasi forma di favoreggiamento delle attività di pirateria da parte degli Stati»;
il 26 agosto 2011, i cronisti di liberoreporter.it sono venuti in possesso di un file audio disponibile a questo link http://www.liberoreporter.it/NUKE/news. asp?id=7128 relativo ad una telefonata di poco più di un minuto tra un giornalista del sito e uno dei carcerieri, che si è rifiutato di passare alla cornetta un qualsivoglia membro dell'equipaggio della Savina «finché non sarà pagato il riscatto» e dalla quale è anche emerso che i membri dell'equipaggio della nave ormai «non stanno più bene»;

come evidenziato da un articolo di Dimitri Buffa il 2 settembre 2011 per il quotidiano «L'Opinione», la Farnesina manifesta scarsa attenzione alla vicenda anche dal modo in cui comunica azioni sul caso, come il comunicato stampa in cui si dà conto, tra l'altro, di una missione del sottosegretario di Stato Alfredo Mantica, che si è recato in Somalia per incontrare il presidente del Governo somalo Sharmanke ed il presidente del Puntland, Farole, quando invece il presidente somalo si chiama Sheik Sharif Ahmed ed il presidente del Puntland si chiama Abdurahman Mohamed;
una manifestazione nazionale di protesta per il 7 settembre 2011 è stata organizzata dal coordinamento spontaneo di cittadini «Liberi Subito» e alla quale è prevista la partecipazione di migliaia di persone provenienti da Procida, Piano di Sorrento, Gaeta e Trieste per chiedere con l'intervento dello Stato per l'immediata liberazione dei marittimi prigionieri in Somalia -:
di quali informazioni disponga il Governo in merito alle condizioni dei cittadini italiani sequestrati sulle navi Savina Caylyn e Rosalia D'Amato;
quali azioni siano in corso, o si intendano mettere urgentemente in atto, per la liberazione degli ostaggi;
se e con chi si sta trattando la liberazione dei marittimi e con quale esito.
(4-13072)

Risposta. - La sorte degli ostaggi della Savina Caylin e della Rosalia D'Amato costituisce una preoccupazione costante del Governo italiano sin dalle prime ore dei due sequestri. Abbiamo subito avviato un'azione ad amplissimo raggio per restituire gli 11 italiani e 32 stranieri a bordo delle due navi alle loro famiglie.
La primaria preoccupazione del Governo è sempre stata quella di evitare di mettere a repentaglio la loro vita. L'azione di forza per liberare gli ostaggi è stata peraltro esclusa, con il consenso delle famiglie, perché, rischierebbe di avere un costo in vite umane insostenibile.
il Governo ha quindi da subito sviluppato un'azione diplomatica e d'intelligence ad amplissimo raggio che ha dovuto tenere conto sia del complesso quadro internazionale che dell'ampiezza del fenomeno della pirateria. È opportuno ricordare come allo stato attuale vi siano 89 navi nelle mani dei pirati e che il fenomeno ha fruttato loro nel 2010 oltre 80 milioni di dollari. Com'è noto l'Onu ha adottato una risoluzione che obbliga i suoi Stati membri - senza esclusioni - a non alimentare con il pagamento di riscatti questa grave forma di crimine internazionale.
Si sono pertanto svolte in luglio su incarico del Ministro degli esteri le missioni dell'Onorevole Boniver (suo inviato speciale per le emergenze umanitarie) in Tanzania ed a Gibuti e quella in Somalia del Sottosegretario Mantica, che ha incontrato sia il Presidente Sheikh Sharif Sheikh Ahmed che quello del Puntland. Facendo anche leva sul forte impegno italiano contro la carestia nel Corno d'Africa e per la stabilizzazione della Somalia, le più alte cariche dei Paesi della regione sono state sollecitate nel corso di queste missioni ad attivare tutti i canali possibili per favorire la liberazione degli ostaggi e ad evitare iniziative che possano mettere in pericolo la loro sicurezza.
A fine settembre il Ministro Frattini ha ulteriormente alzato il livello della nostra azione promuovendo presso le Nazioni unite a New York una riunione sulla Somalia, dove sono state decise delle importanti azioni contro la pirateria.
Particolarmente significativo inoltre l'incontro che il Ministro Frattini ha avuto, sempre a New York, con il Premier somalo il quale ha assicurato che favorirà l'apertura di un canale di dialogo con i rapitori e non risparmierà alcuno sforzo per ottenere la liberazione degli ostaggi. Il Premier ha anche tenuto ad inviare un messaggio alle famiglie degli ostaggi ribadendo che la loro liberazione viene considerata un obiettivo della massima importanza.
Ed è proprio partendo da quest'importante impegno del Primo Ministro somalo che

il Governo sta continuando a sviluppare la sua energica azione diplomatica e d'intelligence. Un'azione che il Governo continuerà ad esercitare con la necessaria discrezione, sempre nell'interesse dell'incolumità dei marittimi sequestrati ed in vista di una loro pronta liberazione.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Enzo Scotti.

ZINZI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
in sede di conversione del decreto-legge n. 78 del 31 maggio 2010, avvenuta con legge n. 122 del 2010, è stata soppressa l'Agenzia autonoma per la gestione dell'Albo dei segretari comunali e provinciali, e prevista la successione alla stessa, a titolo universale, del Ministero dell'interno;
sono, pertanto, decaduti gli organi di gestione (consiglio di amministrazione nazionale, consigli di amministrazione delle sezioni regionali, presidente, vice presidente) e cessati dagli incarichi il direttore generale ed il vice direttore generale;
il Ministro dell'interno, nell'ottica di dare continuità ai servizi, con propri decreti ha istituito un'unità di missione presieduta dal prefetto Umberto Cimmino, al quale è stato anche affidato l'incarico di svolgere le attività dei soppressi organi, fino al perfezionamento del processo di riorganizzazione previsto dalla citata legge;
con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 25 marzo 2011, con il quale, al fine di evitare dannose soluzioni di continuità nella gestione amministrativa dei segretari comunali e provinciali nella fase transitoria gestita dall'unità di missione e, comunque, fino all'emanazione del decreto interministeriale che dovrà stabilire le date di effettivo esercizio da parte del Ministero dell'interno delle funzioni trasferite, è stato prorogato al 31 dicembre 2011 il termine di cui all'articolo 7, comma 31-sexies, del citato decreto-legge n. 78 del 2010, originariamente indicato al 1° gennaio 2011 e, con decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, prorogato al 31 marzo 2011;
a tutto luglio 2011 tuttavia non risultano ancora approvati né il rendiconto della gestione per l'anno 2010, né, cosa ancor più grave, il bilancio di previsione per l'anno 2011, con la conseguenza che, a tutt'oggi, l'ex Ages si trova in esercizio provvisorio di bilancio;
allo stato attuale, le attività dell'ex Ages sono completamente paralizzate, provocando ciò, di fatto, la sospensione di tutte le attività formative della Sspal, che dovrebbero essere espletate sia a livello nazionale che regionale;
questo stato di assoluto impasse sta poi bloccando anche l'inizio del corso di formazione destinato ai vincitori del 4° corso - concorso per l'accesso alla carriera di segretario comunale e provinciale (COA 4), il cui espletamento è infatti indispensabile per procedere all'iscrizione dei neosegretari nell'Albo dei segretari comunali e provinciali e colmare, quindi, la cronica carenza di segretari sul territorio nazionale, soprattutto in alcune regioni del Nord Italia;
per limitare tale situazione di paralisi e non «subire dannose interruzioni», ed a seguito della ritenuta decadenza del precedente Collegio dei revisori contabili con decreto del Ministero dell'interno in data 7 luglio 2011, è stato istituito e nominato, ai fini dell'acquisizione dei necessari pareri sui principali documenti contabili (bilancio di previsione e rendiconto di gestione), il «comitato di sorveglianza» sulle attività facenti capo alla soppressa Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali;
sembrerebbe però che il detto Comitato, istituito e nominato «per non far subire dannose interruzioni all'attività di gestione della soppressa Agenzia dei Segretari»,

si sia già dichiarato, nonostante l'emanazione di un decreto ministeriale ad hoc, organo incompetente ad emettere i relativi ed indispensabili pareri sui documenti contabili sopra citati, vanificando, di fatto, la ratio del decreto stesso -:
se quanto rappresentato in premessa corrisponda a realtà e, in caso affermativo, quali iniziative urgenti intenda adottare ai fini dell'immediato e corretto esercizio delle competenze degli organi amministrativi (unità di missione, comitato di sorveglianza ed ogn'altro organo ministeriale a qualsiasi titolo competente) preposti a garantire la funzionalità dell'ex agenzia e l'approvazione del bilancio 2011 e di ogni altro documento contabile necessario;
quali azioni e/o proposte intenda adottare al fine di porre rimedio al più generale stato di crisi del sistema di gestione dei segretari comunali e provinciali, determinato dall'entrata in vigore dell'articolo 7, commi 31-ter, quater e septies del decreto 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, che ha previsto, come noto, non la semplificazione ma la mera soppressione dell'agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali;
se non ritenga necessario un ripensamento della scelta operata col predetto decreto-legge, anche in sede di nuova definizione dell'ordinamento dei segretari comunali e provinciali, tenuto conto del ruolo centrale e determinante che il segretario assume nell'ambito delle autonomie locali.
(4-12961)

Risposta. - L'articolo 7, commi 31-ter e seguenti del decreto legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010, ha disposto la soppressione dell'Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali e la successione, a titolo universale, del Ministero dell'interno.
Il comma 31-sexies ha previsto la soppressione, a partire dal 1° gennaio 2011, del fondo finanziario di mobilità attraverso il quale si assicurava il finanziamento delle spese della soppressa Agenzia.
Secondo quanto disposto dal comma 31-quater, la predetta successione non opera immediatamente, essendo stata demandata dal legislatore ad un apposito decreto interministeriale l'individuazione delle date di effettivo esercizio delle funzioni trasferite.
Nelle more è stato delineato un regime transitorio. Da ultimo, il decreto legge 29 dicembre 2010, n. 225 ha disposto la proroga al 31 marzo - termine poi ulteriormente differito al 31 dicembre 2011 - della data di abrogazione del citato fondo finanziario.

La normativa relativa alla soppressione dell'Agenzia è risultata di difficile interpretazione in relazione alla scuola superiore della pubblica amministrazione locale (Sspal), organismo strumentale della predetta Agenzia per lo svolgimento di attività didattiche e formative.
Si è, pertanto, resa necessaria una richiesta di parere al Consiglio di Stato, il quale ha confermato la sopravvivenza della disposizione legislativa istitutiva della Sspal, con successione del Ministero dell'interno.
Si precisa, inoltre, che l'articolo 22, comma 3, decreto del Presidente della Repubblica n. 465 del 1997 vieta espressamente qualsiasi attività finanziaria al di fuori di quella autorizzata con il bilancio di previsione, che, per essere definitivamente approvato, necessita del parere del collegio dei revisori.
L'ultimo collegio dei revisori è decaduto a decorrere dall'11 gennaio 2011.
In tale contesto, non potendosi ancora ritenere operativa una immedesimazione tra gli uffici dell'ex Agenzia e quelli del Ministero dell'interno, la Corte dei Conti ha rimarcato l'obbligatorietà della funzione di controllo svolta dal collegio, cessata per effetto della scadenza dell'organo.
La vacanza del collegio ha, infatti, rappresentato un elemento ostativo all'approvazione dei documenti di carattere finanziario.
Con decreto del Ministero dell'interno del 7 luglio 2011 è stato istituito un

comitato di sorveglianza sulle attività facenti capo alla soppressa Agenzia, organo che si è insediato a partire dal 14 luglio 2011.
Allo stato, il procedimento per il rinnovo ha segnato un ulteriore sviluppo mediante la designazione, da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, del proprio rappresentante nel collegio dei revisori, ai sensi dell'articolo 16 della legge n. 196 del 2009.
In attesa della ricostituzione del collegio dei revisori, a partire dal mese di gennaio 2011, l'unità di missione ha ritenuto di poter assicurare la continuità delle attività di interesse pubblico nel corso del 2011 mediante l'istituto della gestione provvisoria di cui all'articolo 163, comma 2 del decreto legislativo n. 267 del 2000.
In tale contesto, sono state autorizzate le sole spese relative al personale, alle obbligazioni già assunte, ai residui, ai mutui, nonché, in generale, alle sole operazioni tese ad evitare danni patrimoniali certi e gravi all'ente.
Tale decisione è stata valutata favorevolmente anche dalla Corte dei conti.
Il regime di gestione provvisoria è stato ripetutamente prorogato dall'unità di missione in attesa della ricostituzione dell'organo di controllo.
Da ultimo, con decreto n. 40634 del 7 settembre scorso, l'unità di missione ha approvato un documento finanziario transitorio.
Attraverso siffatto documento si è provveduto a quantificare il complessivo fabbisogno di spesa del 2011 per le attività essenziali ed inderogabili, assicurandone il finanziamento anche mediante l'avvio della riscossione del fondo finanziario di mobilità di cui al decreto legge 29 dicembre 2010, n. 225.
Dette risorse consentono, altresì, il finanziamento delle annualità di competenza del corso COA IV, che ha avuto inizio il 21 settembre 2011.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Michelino Davico.