XVI LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di martedì 6 dicembre 2011

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 6 dicembre 2011.

Albonetti, Alessandri, Barbieri, Bergamini, Bindi, Bongiorno, Boniver, Bratti, Brugger, Buonfiglio, Caparini, Castagnetti, Castiello, Cenni, Cicchitto, Cirielli, Colucci, D'Alema, D'Amico, Dal Lago, Della Vedova, Donadi, Gianni Farina, Fava, Gregorio Fontana, Tommaso Foti, Franceschini, Ghiglia, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Graziano, Guzzanti, Iannaccone, Jannone, Leone, Lo Monte, Lombardo, Lucà, Lupi, Madia, Malgieri, Margiotta, Mazzocchi, Mecacci, Melchiorre, Migliavacca, Migliori, Mistrello Destro, Moffa, Mura, Mussolini, Osvaldo Napoli, Nucara, Leoluca Orlando, Palumbo, Arturo Mario Luigi Parisi, Pecorella, Pescante, Picchi, Pisicchio, Rainieri, Reguzzoni, Rigoni, Paolo Russo, Stefani, Stucchi, Tenaglia, Valducci, Vernetti, Vico, Vitali.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

Albonetti, Alessandri, Antonione, Barbieri, Bindi, Bongiorno, Boniver, Bratti, Brugger, Buonfiglio, Caparini, Castiello, Cenni, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Gianfranco Conte, D'Alema, D'Amico, Dal Lago, Della Vedova, Donadi, Gianni Farina, Fava, Gregorio Fontana, Tommaso Foti, Franceschini, Ghiglia, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Graziano, Guzzanti, Iannaccone, Jannone, Lamorte, Leone, Lo Monte, Lombardo, Lucà, Lupi, Madia, Malgieri, Margiotta, Mazzocchi, Mecacci, Melchiorre, Migliavacca, Migliori, Moffa, Mura, Mussolini, Osvaldo Napoli, Nucara, Leoluca Orlando, Palumbo, Arturo Mario Luigi Parisi, Pecorella, Pescante, Picchi, Pisicchio, Reguzzoni, Rigoni, Paolo Russo, Stefani, Stucchi, Tenaglia, Valducci, Vernetti, Vitali.

Annunzio di proposte di legge.

In data 5 dicembre 2011 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
ANDREA ORLANDO ed altri: «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del medesimo codice, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, in materia di accelerazione e razionalizzazione del processo penale, nonché alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di concessione di benefìci penitenziari. Istituzione dell'ufficio per il processo e delega al Governo per l'istituzione dell'assistente di studio del giudice» (4825);
IANNACCONE ed altri: «Modifica all'articolo 1 della legge 3 giugno 1999, n. 157, concernente la riduzione del rimborso per le spese elettorali sostenute da movimenti o partiti politici» (4826);
BONIVER ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni di antisemitismo, razzismo e xenofobia» (4827);
PORTA ed altri: «Istituzione del difensore civico degli italiani residenti all'estero» (4828).

Saranno stampate e distribuite.

Annunzio di un disegno di legge.

In data 6 dicembre 2011 è stato presentato alla Presidenza il seguente disegno di legge:
dal Presidente del Consiglio dei ministri e ministro dell'economia e delle finanze e dai ministri del lavoro e delle politiche sociali e dello sviluppo economico:
«Conversione in legge del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici» (4829).

Sarà stampato e distribuito.

Adesione di un deputato a una proposta di legge.

La proposta di legge LETTA ed altri: «Nuove disposizioni concernenti il trattamento pensionistico dei parlamentari» (3981) è stata successivamente sottoscritta dal deputato De Girolamo.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

A norma del comma 1 dell'articolo 72 del regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
VI Commissione (Finanze):
FLUVI: «Modifiche alla legge 13 gennaio 1994, n. 43, in materia di disciplina delle cambiali finanziarie, e altre disposizioni concernenti la dematerializzazione e il trattamento tributario delle medesime» (4790) Parere delle Commissioni I, II, V, X e XIV.
X Commissione (Attività produttive):
SBROLLINI ed altri: «Disposizioni per la promozione e il sostegno dell'imprenditoria femminile» (4786) Parere delle Commissioni I, II, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), XI, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Annunzio di una domanda di autorizzazione all'esecuzione di una misura cautelare personale.

Con lettera pervenuta il 6 dicembre 2011, il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Napoli ha trasmesso una domanda di autorizzazione a eseguire la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti del deputato Nicola Cosentino, nell'ambito del procedimento penale n. 2528/10 PM - n. 23195/2010 RG GIP. La domanda è stata assegnata alla competente Giunta per le autorizzazioni.

Copia della domanda sarà stampata e distribuita (doc. IV, n. 26).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea

La Commissione europea, in data 5 dicembre 2011, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, la relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sui risultati raggiunti e sugli aspetti qualitativi e quantitativi dell'attuazione del Fondo europeo per l'integrazione di cittadini di paesi terzi per il periodo 2007-2009 (relazione presentata ai sensi dell'articolo 48, paragrafo 3, lettera b), della decisione 2007/435/CE del Consiglio del 25 giugno 2007) (COM(2011)847 definitivo), che è assegnata, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alla I Commissione (Affari costituzionali), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Atti di controllo e di indirizzo.

Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell'Allegato B al resoconto della seduta odierna.

PROPOSTA DI LEGGE: S. 2380-2386 - D'INIZIATIVA DEI SENATORI: CARUSO ED ALTRI; BERSELLI E CARDIELLO: MODIFICA DELL'ARTICOLO 645 E INTERPRETAZIONE AUTENTICA DELL'ARTICOLO 165 DEL CODICE DI PROCEDURA CIVILE IN MATERIA DI OPPOSIZIONE AL DECRETO INGIUNTIVO (APPROVATA, IN UN TESTO UNIFICATO, DALLA 2a COMMISSIONE PERMANENTE DEL SENATO) (A.C. 4305) ED ABBINATA PROPOSTA DI LEGGE: CAVALLARO ED ALTRI (A.C. 3794)

A.C. 4305 - Articolo 1

ARTICOLO 1 DELLA PROPOSTA DI LEGGE N. 4305 NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 1.
(Modifica all'articolo 645 del codice di procedura civile).

1. Al secondo comma dell'articolo 645 del codice di procedura civile, le parole: «; ma i termini di comparizione sono ridotti a metà» sono soppresse.

A.C. 4305 - Articolo 2

ARTICOLO 2 DELLA PROPOSTA DI LEGGE N. 4305 NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 2.
(Disposizione transitoria).

1. Nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, l'articolo 165, primo comma, del codice di procedura civile si interpreta nel senso che la riduzione del termine di costituzione dell'attore ivi prevista si applica, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, solo se l'opponente abbia assegnato all'opposto un termine di comparizione inferiore a quello di cui all'articolo 163-bis, primo comma, del medesimo codice.

MOZIONI DONADI ED ALTRI N. 1-00685, BRESSA ED ALTRI N. 1-00774, REGUZZONI ED ALTRI N. 1-00775, BALDELLI ED ALTRI N. 1-00776, COMMERCIO ED ALTRI N. 1-00777 E DONADI, VALDUCCI, BRESSA, REGUZZONI, RIA, MURO, PISICCHIO E COMMERCIO N. 1-00779 CONCERNENTI INIZIATIVE NORMATIVE PER LA COSTITUZIONE DI UNIONI DI COMUNI CON POPOLAZIONE INFERIORE AD UNA DETERMINATA SOGLIA

Mozioni

La Camera,
premesso che:
il sistema di governo locale, pur facendo perno sui comuni e sulle province, si presenta oggi assai più articolato di quanto emerga dalla lettura dell'originario dettato costituzionale non solo perché il legislatore ordinario ha istituito nuovi enti locali territoriali quali la comunità montana e la città metropolitana (quest'ultima ora costituzionalizzata), ma anche perché ha incentivato in vari modi la cooperazione e l'associazione tra gli enti locali;
per lungo tempo l'Italia è rimasta sostanzialmente estranea ad ogni operazione di semplificazione del reticolo del governo locale, pur essendo il problema di tutta evidenza;
il regime fascista, stando ai dati del 1921, ereditò 9.144 comuni. Successivamente, con il regio decreto 29 luglio 1927, n. 1564, si tentò una politica di accorpamento di comuni che, nel breve volgere di qualche anno, li fece calare a 7.310 (nel 1931). In seguito questa tendenza si invertì evidenziando un aumento delle istituzioni locali di base: 7.681 comuni nel 1946, 8.021 nel 1960, 8.056 nel 1971 e 8.103 nel 1997. Il dato interessante è che, anche dopo l'istituzione delle regioni, il numero dei comuni non accenna a diminuire. Ad oggi, abbiamo 8.101 comuni;
l'unione dei comuni è uno strumento amministrativo per la prima volta introdotto con la legge n. 142 del 1990, successivamente corretto con la riforma attuata dalla legge n. 265 del 1999 e poi trasferito, con modifiche, nel testo unico degli enti locali, decreto legislativo n. 267 del 2000. Le modifiche hanno principalmente riguardato i vincoli demografici per i comuni che desiderano partecipare ad un'unione, rimuovendo il tetto dei 5.000 abitanti (inizialmente l'istituto era stato pensato per i piccoli comuni) e l'obbligo di fusione;
nel nostro Paese le unioni di comuni sono 313 e vi aderiscono in tutto 1.561 comuni, per un totale di 5.758.607 abitanti. Le 313 unioni di comuni sono distribuite in 17 regioni italiane (non ne esistono in Valle d'Aosta, Liguria e Basilicata, probabilmente anche a causa della conformazione del territorio delle stesse e della storica presenza di comunità montane). Le unioni italiane sono composte in media da 5 comuni, con un range di variabilità ampio, andando da un minimo di 2 comuni ad un massimo di 20. I dati nazionali testimoniano comunque una prevalenza di unioni composte da pochi comuni. Questo comporta che, sul piano nazionale, ogni unione è abitata in media da 18.398 abitanti, raggiungendo quindi agglomerati di una certa importanza. In termini relativi, le unioni con popolazione tra 10.000 e 25.000 abitanti rappresentano la maggioranza (35 per cento);
l'unione di comuni nasce con lo scopo di gestire e migliorare la qualità dei servizi erogati e delle funzioni svolte, di ottimizzare le risorse economico-finanziarie, umane e strumentali, di esercitare ai sensi dell'articolo 32, comma 2, del decreto legislativo n. 267 del 2000, in forma unificata per i comuni aderenti, le seguenti funzioni e servizi, nonché le funzioni previste dal decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica): servizi sociali; protezione civile; canile; musei; servizi ricreativi e culturali; avvocatura; mobilità-sistema trasporti intercomunali; sportello unico informa giovani; ufficio coordinamento dello sviluppo economico, sociale, ambientale, infrastrutturale del comprensorio, utilizzando tutti gli strumenti di concertazione e partenariato sociale opportuno; servizio informatico; servizio affissioni; difensore civico; nucleo di valutazione; servizio di mappatura delle funzioni e dei servizi dell'unione. All'unione possono essere attribuite altre funzioni e/o servizi con deliberazione del consiglio dell'unione, previa delibera in tal senso dei comuni partecipanti all'unione stessa;
la crisi e il processo di globalizzazione impongono la necessità di superare le frammentazioni e presentare i territori come entità coese, organizzate e rappresentative dei bisogni sociali ed economici della collettività. Le unioni di comuni possono rappresentare un utile strumento per superare le difficoltà che i comuni di piccole e medie dimensioni incontrano nel reperire le risorse finanziarie necessarie alla fornitura di servizi per la collettività;
l'unione dei comuni, se opera correttamente, può consentire una maggiore efficacia ed efficienza nella spesa per servizi con effetti favorevoli sulla crescita economica delle aree interessate dall'unione. I fattori che possono rendere conveniente l'istituzione di un'unione di comuni sono i seguenti: un miglioramento qualitativo dei servizi (anche in rapporto al loro costo); una gestione più razionale delle risorse (anche umane) e un taglio dei costi; un miglioramento quantitativo dei servizi; un maggiore potere contrattuale nella richiesta di contributi allo Stato, alla regione o all'Unione europea;
le unioni di comuni trasmettono un senso di attivismo e di sapienza innovativa e, soprattutto, aumentano la percezione positiva, da parte dell'opinione pubblica locale, riguardo all'operato delle amministrazioni. Offrono l'immagine di enti che vogliono fare e che si stanno dando da fare. Danno l'idea di una perizia concreta da parte delle amministrazioni nel loro agire. Un altro punto a vantaggio delle unioni di comuni è quello di incrementare il senso della comunità. Questo è un aspetto importante: le unioni valorizzano il senso del locale, confutano l'idea che vivere nei piccoli centri vuol dire avere meno servizi;
le unioni di comuni sono avvertite come una risposta allo spopolamento, un segnale della volontà di chi amministra e di chi fa politica di occuparsi non solo del territorio, ma anche di invertire il processo di allontanamento dello sviluppo dai piccoli centri;
in altri Paesi europei l'aggregazione dei comuni ha dato ottimi risultati. In Danimarca è stato recentemente stabilito che gli attuali 260 comuni verranno ridotti a circa un centinaio attraverso un vasto processo di fusione, che risulta ampiamente condiviso e promosso dal basso. La Danimarca può essere considerata un caso di punta nel processo fusionista che però ha interessato in tempi non recentissimi anche altri Paesi del centro e nord Europa, a differenza dei Paesi «Club Méd»: Francia (37.763 comuni), Italia e Spagna. Il Belgio è passato da 2.669 comuni a circa 600; la Germania da 38.814 comuni a poco più di 8 mila; la Gran Bretagna da 1.383 comuni a 400; la Svezia da 2.281 comuni a 286;
nel nostro Paese - come in Spagna e in Francia - sono presenti gamme demografiche molto ampie, da giurisdizioni di poche decine di abitanti a città di milioni di abitanti; nei Paesi scandinavi la taglia minima si aggira attorno ai 5.000 abitanti, con una media tra 10.000 e 30.000 abitanti;
i comuni sono la più antica istituzione italiana, quella più vicina ai cittadini e non è possibile pensare di sopprimerla. Si dovrebbe dunque prevedere che resti il consiglio comunale ed il sindaco, ma che tutti i servizi comunali siano affidati ad un'unione tra comuni (senza alcun costo aggiuntivo a carico dei comuni) in modo da raggiungere una soglia minima di 20-25 mila cittadini amministrati. Si avrebbero così circa 450 centri di spesa rispetto ai quasi 6000 di oggi. Oggi anche il più piccolo dei comuni ha un servizio demografico, un servizio tecnico, un servizio di contabilità, un servizio di assistenza sociale, un servizio di polizia comunale, un servizio elettorale e quant'altro. Con l'obbligo di aggregazione tutti questi servizi dovranno essere affidati obbligatoriamente all'unione tra comuni, alla quale sarà trasferito tutto il personale. Ciò permetterà sensibili riduzioni dei costi, almeno del 20 per cento di quelli attuali;
l'approvazione della recente manovra finanziaria - di cui al decreto-legge n. 138 del 2011 - ha comportato mutamenti rilevanti nel comparto degli enti locali, in particolare quelli volti alla riduzione dei costi generati dai piccoli comuni - con la previsione di misure e loro attuazione diverse tra comuni fino a 1.000 abitanti e quelli superiori a 1.000 e fino a 5.000 - ed orientati, attraverso un'implementazione progressiva da attuarsi nel corso del biennio, a garantire, obbligatoriamente, l'esercizio associato - in convenzione o unione - delle funzioni fondamentali indicate dall'articolo 21 della legge delega in materia di federalismo fiscale e dei servizi pubblici,

impegna il Governo:

ad adottare le opportune iniziative, anche normative, ferme restando le prerogative del Parlamento, al fine di far sì che per i comuni dell'intero territorio nazionale, comprese le autonomie speciali, nel rispetto dei rispettivi statuti, si istituiscano unioni di comuni di cui all'articolo 32 del testo unico degli enti locali con una soglia minima pari a 15.000 abitanti, contestualmente disponendo l'obbligo di esercizio associato di tutte le funzioni fondamentali e dei servizi, con ciò anticipando ed abolendo la progressività delle misure disposte in materia dal decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011;
a prevedere per tutte le regioni e per le province autonome di Trento e Bolzano la facoltà di individuare con propria legge soglie minime maggiori per la definizione di aree geografiche omogenee più vaste o, nel caso eccezionale di situazioni peculiari e definite dalla legge dello Stato, minori;
a destinare i risparmi conseguiti a seguito della costituzione delle unioni dei comuni a misure volte a ridurre la compartecipazione al servizio sanitario da parte degli assistiti ed a ripristinare una piena indicizzazione al costo della vita delle pensioni.
(1-00685)
(Nuova formulazione) «Donadi, Di Pietro, Borghesi, Evangelisti, Piffari, Aniello Formisano, Barbato, Palagiano, Cambursano, Cimadoro, Di Giuseppe, Di Stanislao, Favia, Messina, Monai, Mura, Leoluca Orlando, Paladini, Palomba, Porcino, Rota, Zazzera».

La Camera,
premesso che:
il sistema di governo locale, pur facendo perno sui comuni e sulle province, si presenta oggi assai più articolato di quanto emerga dalla lettura dell'originario dettato costituzionale non solo perché il legislatore ordinario ha istituito nuovi enti locali territoriali quali la comunità montana e la città metropolitana (quest'ultima ora costituzionalizzata), ma anche perché ha incentivato in vari modi la cooperazione e l'associazione tra gli enti locali;
per lungo tempo l'Italia è rimasta sostanzialmente estranea ad ogni operazione di semplificazione del reticolo del governo locale, pur essendo il problema di tutta evidenza;
il regime fascista, stando ai dati del 1921, ereditò 9.144 comuni. Successivamente, con il regio decreto 29 luglio 1927, n. 1564, si tentò una politica di accorpamento di comuni che, nel breve volgere di qualche anno, li fece calare a 7.310 (nel 1931). In seguito questa tendenza si invertì evidenziando un aumento delle istituzioni locali di base: 7.681 comuni nel 1946, 8.021 nel 1960, 8.056 nel 1971 e 8.103 nel 1997. Il dato interessante è che, anche dopo l'istituzione delle regioni, il numero dei comuni non accenna a diminuire. Ad oggi, abbiamo 8.101 comuni;
l'unione dei comuni è uno strumento amministrativo per la prima volta introdotto con la legge n. 142 del 1990, successivamente corretto con la riforma attuata dalla legge n. 265 del 1999 e poi trasferito, con modifiche, nel testo unico degli enti locali, decreto legislativo n. 267 del 2000. Le modifiche hanno principalmente riguardato i vincoli demografici per i comuni che desiderano partecipare ad un'unione, rimuovendo il tetto dei 5.000 abitanti (inizialmente l'istituto era stato pensato per i piccoli comuni) e l'obbligo di fusione;
nel nostro Paese le unioni di comuni sono 313 e vi aderiscono in tutto 1.561 comuni, per un totale di 5.758.607 abitanti. Le 313 unioni di comuni sono distribuite in 17 regioni italiane (non ne esistono in Valle d'Aosta, Liguria e Basilicata, probabilmente anche a causa della conformazione del territorio delle stesse e della storica presenza di comunità montane). Le unioni italiane sono composte in media da 5 comuni, con un range di variabilità ampio, andando da un minimo di 2 comuni ad un massimo di 20. I dati nazionali testimoniano comunque una prevalenza di unioni composte da pochi comuni. Questo comporta che, sul piano nazionale, ogni unione è abitata in media da 18.398 abitanti, raggiungendo quindi agglomerati di una certa importanza. In termini relativi, le unioni con popolazione tra 10.000 e 25.000 abitanti rappresentano la maggioranza (35 per cento);
l'unione di comuni nasce con lo scopo di gestire e migliorare la qualità dei servizi erogati e delle funzioni svolte, di ottimizzare le risorse economico-finanziarie, umane e strumentali, di esercitare ai sensi dell'articolo 32, comma 2, del decreto legislativo n. 267 del 2000, in forma unificata per i comuni aderenti, le seguenti funzioni e servizi, nonché le funzioni previste dal decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica): servizi sociali; protezione civile; canile; musei; servizi ricreativi e culturali; avvocatura; mobilità-sistema trasporti intercomunali; sportello unico informa giovani; ufficio coordinamento dello sviluppo economico, sociale, ambientale, infrastrutturale del comprensorio, utilizzando tutti gli strumenti di concertazione e partenariato sociale opportuno; servizio informatico; servizio affissioni; difensore civico; nucleo di valutazione; servizio di mappatura delle funzioni e dei servizi dell'unione. All'unione possono essere attribuite altre funzioni e/o servizi con deliberazione del consiglio dell'unione, previa delibera in tal senso dei comuni partecipanti all'unione stessa;
la crisi e il processo di globalizzazione impongono la necessità di superare le frammentazioni e presentare i territori come entità coese, organizzate e rappresentative dei bisogni sociali ed economici della collettività. Le unioni di comuni possono rappresentare un utile strumento per superare le difficoltà che i comuni di piccole e medie dimensioni incontrano nel reperire le risorse finanziarie necessarie alla fornitura di servizi per la collettività;
l'unione dei comuni, se opera correttamente, può consentire una maggiore efficacia ed efficienza nella spesa per servizi con effetti favorevoli sulla crescita economica delle aree interessate dall'unione. I fattori che possono rendere conveniente l'istituzione di un'unione di comuni sono i seguenti: un miglioramento qualitativo dei servizi (anche in rapporto al loro costo); una gestione più razionale delle risorse (anche umane) e un taglio dei costi; un miglioramento quantitativo dei servizi; un maggiore potere contrattuale nella richiesta di contributi allo Stato, alla regione o all'Unione europea;
le unioni di comuni trasmettono un senso di attivismo e di sapienza innovativa e, soprattutto, aumentano la percezione positiva, da parte dell'opinione pubblica locale, riguardo all'operato delle amministrazioni. Offrono l'immagine di enti che vogliono fare e che si stanno dando da fare. Danno l'idea di una perizia concreta da parte delle amministrazioni nel loro agire. Un altro punto a vantaggio delle unioni di comuni è quello di incrementare il senso della comunità. Questo è un aspetto importante: le unioni valorizzano il senso del locale, confutano l'idea che vivere nei piccoli centri vuol dire avere meno servizi;
le unioni di comuni sono avvertite come una risposta allo spopolamento, un segnale della volontà di chi amministra e di chi fa politica di occuparsi non solo del territorio, ma anche di invertire il processo di allontanamento dello sviluppo dai piccoli centri;
in altri paesi europei l'aggregazione dei comuni ha dato ottimi risultati. In Danimarca è stato recentemente stabilito che gli attuali 260 comuni verranno ridotti a circa un centinaio attraverso un vasto processo di fusione, che risulta ampiamente condiviso e promosso dal basso. La Danimarca può essere considerata un caso di punta nel processo fusionista che però ha interessato in tempi non recentissimi anche altri paesi del Centro e Nord Europa, a differenza dei paesi «Club Méd»: Francia (37.763 comuni), Italia e Spagna. Il Belgio è passato da 2.669 comuni a circa 600; la Germania da 38.814 comuni a poco più di 8 mila; la Gran Bretagna da 1.383 comuni a 400; la Svezia da 2.281 comuni a 286;
nel nostro Paese - come in Spagna e in Francia - sono presenti gamme demografiche molto ampie, da giurisdizioni di poche decine di abitanti a città di milioni di abitanti; nei paesi scandinavi la taglia minima si aggira attorno ai 5.000 abitanti, con una media tra 10.000 e 30.000 abitanti;
i comuni sono la più antica istituzione italiana, quella più vicina ai cittadini e non è possibile pensare di sopprimerla. Si dovrebbe dunque prevedere che resti il consiglio comunale ed il sindaco, ma che tutti i servizi comunali siano affidati ad un'unione tra comuni (senza alcun costo aggiuntivo a carico dei comuni) in modo da raggiungere una soglia minima di 20-25mila cittadini amministrati. Si avrebbero così circa 450 centri di spesa rispetto ai quasi 6000 di oggi. Oggi anche il più piccolo dei comuni ha un servizio demografico, un servizio tecnico, un servizio di contabilità, un servizio di assistenza sociale, un servizio di polizia comunale, un servizio elettorale e quant'altro. Con l'obbligo di aggregazione tutti questi servizi dovranno essere affidati obbligatoriamente all'unione tra comuni, alla quale sarà trasferito tutto il personale. Ciò permetterà sensibili riduzioni dei costi, almeno del 20 per cento di quelli attuali;
l'approvazione della recente manovra finanziaria - di cui al decreto-legge n. 138 del 2011 - ha comportato mutamenti rilevanti nel comparto degli enti locali, in particolare quelli volti alla riduzione dei costi generati dai piccoli comuni - con la previsione di misure e loro attuazione diverse tra comuni fino a 1.000 abitanti e quelli superiori a 1.000 e fino a 5.000 - ed orientati, attraverso un'implementazione progressiva da attuarsi nel corso del biennio, a garantire, obbligatoriamente, l'esercizio associato - in convenzione o unione - delle funzioni fondamentali indicate dall'articolo 21 della legge delega in materia di federalismo fiscale e dei servizi pubblici,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative, anche normative, ferme restando le prerogative del Parlamento, al fine di far sì che per i comuni dell'intero territorio nazionale, comprese le autonomie speciali, nel rispetto dei rispettivi statuti, si istituiscano unioni di comuni di cui all'articolo 32 del testo unico degli enti locali con una soglia minima pari a 15.000 abitanti, contestualmente disponendo l'obbligo di esercizio associato di tutte le funzioni fondamentali e dei servizi, con ciò anticipando ed abolendo la progressività delle misure disposte in materia dal decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011;
a prevedere per tutte le regioni e per le Province autonome di Trento e Bolzano la facoltà di individuare con propria legge soglie minime maggiori per la definizione di aree geografiche omogenee più vaste o, nel caso eccezionale di situazioni peculiari e definite dalla legge dello Stato, minori.
(1-00685)
(Ulteriore nuova formulazione) «Donadi, Di Pietro, Borghesi, Evangelisti, Piffari, Aniello Formisano, Barbato, Palagiano, Cambursano, Cimadoro, Di Giuseppe, Di Stanislao, Favia, Messina, Monai, Mura, Leoluca Orlando, Paladini, Palomba, Porcino, Rota, Zazzera».

La Camera,
premesso che:
il nostro sistema istituzionale si sta vieppiù caratterizzando come una struttura di tipo regionalista forte, con netti elementi che tendono ad assimilarla, quanto ai rapporti fra il centro e la periferia, a modelli di tipo federale, in seguito all'approvazione della legge costituzionale n. 3 del 2001 e alla sua successiva attuazione;
la fase di attuazione è risultata non solo lunga ma anche particolarmente difficoltosa dal punto di vista tecnico, poiché non si è ancora addivenuti ad una revisione dell'assetto amministrativo dello Stato stesso, non solo per quanto riguarda il trasferimento di funzioni ma anche per ciò che concerne la struttura stessa dei livelli di governo;
il riassetto istituzionale è avvenuto con un approccio di tipo emergenziale, frazionario e niente affatto coerente ed omogeneo, attraverso il susseguirsi di interventi normativi giustificati, più che dalla necessità di rendere più efficiente il sistema, dal bisogno di razionalizzare e tagliare, spesso in maniera indiscriminata;
solo per citarne alcuni, si è intervenuti in tema di enti locali, strutture intermedie e modalità associative con la legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008), con il decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154 (convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2008, n. 189), con il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008), con la legge 23 dicembre 2009, n. 191, con il decreto-legge n. 2 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 42 del 2010, e il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, nonché, da ultimo, con la manovra finanziaria di emergenza adottata dal Parlamento nel corso dell'estate 2011 (decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148);
con questi interventi, che spesso sono stati effettuati in materie di competenza regionale - creando non pochi conflitti dinnanzi alla Corte costituzionale - utilizzando la competenza statale in materia di coordinamento della finanza pubblica, si è tentato di razionalizzare, tagliando, riducendo e talvolta ristrutturando organi e organismi in modo confuso, come nel caso dei difensori civici, delle comunità montane, del regime delle indennità e dei gettoni di presenza;
l'incoerenza e la frammentarietà di tali interventi mina fortemente la tenuta dello stesso impianto costituzionale poiché l'assenza di un'ottica sistemica complessiva mina alla base la possibilità di dare attuazione sino in fondo ai principi di cui all'articolo 118 della Costituzione, con particolare riferimento al principio di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione;
in questo quadro, infatti, è decisamente difficile procedere ad un riassetto complessivo delle funzioni amministrative, considerando che l'assetto istituzionale degli enti locali è così fortemente indeterminato e soggetto ad interventi normativi non sempre coerenti fra loro, che spesso vedono anche il concorso delle regioni stesse, dotate di potestà legislativa spesso piena in materia;
sotto quest'ultimo profilo è senza dubbio evidente che l'indeterminatezza del quadro normativo statale si riverbera in maniera negativa anche sul modo in cui le regioni stesse possono intervenire in materia;
in altri Paesi europei si è addivenuti ad una revisione della struttura degli enti locali con successo negli ultimi anni, sia passando attraverso forme di aggregazione sia attraverso modalità (spesso incentivate) di fusione, in modo da garantire non solo il principio di sussidiarietà - secondo cui le funzioni devono essere il più possibile esercitate dal livello di governo più vicino ai cittadini - ma anche quello di adeguatezza, sulla base del quale l'ente locale deve insistere su un territorio sufficientemente vasto e avere a disposizione sufficienti strumenti e risorse per poter svolgere le funzioni ad esso attribuito in maniera efficiente,

impegna il Governo:

ad assumere un approccio che vada al di là della mera necessità di tagliare e contenere la spesa pubblica, ma che affianchi ad esso il bisogno di rendere il nostro sistema istituzionale più efficiente a tutti i livelli di governo, soprattutto nelle rinnovate modalità di rapporto fra «il centro e la periferia»;
ad impegnarsi, nel rispetto delle prerogative del Parlamento e nei limiti delle proprie competenze, anche favorendo un rapido iter dei progetti di legge di riforma pendenti in Parlamento, affinché si provveda ad un riordino complessivo di funzioni e competenze, nonché ad un riordino della struttura degli enti locali, in modo da sostituire definitivamente il testo unico attualmente in vigore e fornire agli enti locali un quadro normativo certo, entro cui essi stessi possano abbandonare gradualmente la logica emergenziale per poter ricominciare ad investire sulla qualità dei servizi offerti ai loro cittadini.
(1-00774)
«Bressa, Amici, Bordo, D'Antona, Ferrari, Fontanelli, Giachetti, Giovanelli, Lo Moro, Minniti, Naccarato, Pollastrini, Vassallo, Zaccaria».

La Camera,
premesso che:
l'articolo 114 della Costituzione stabilisce che «la Repubblica è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato»;
i comuni rappresentano senza dubbio l'ente che il cittadino sente più vicino, sia per il fatto che i rapporti tra lo stesso cittadino e l'ente sono molto più frequenti, sia perché l'ente municipale eroga una serie di servizi e funzioni fondamentali, pur essendo queste ultime tra loro eterogenee e difformi anche nella modalità con cui vengono erogate negli oltre ottomila comuni italiani;
la complessità delle funzioni erogate ai cittadini, congiuntamente all'elevata frammentazione degli enti comunali, ha convinto il legislatore ad adottare disposizioni riguardanti le unioni dei comuni inserendole all'interno del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali del 2000;
la finalità principale dell'unione dei comuni è indubbiamente quella di incentivare modalità di cooperazione per l'espletamento di funzioni in forma associata;
la necessità di razionalizzare le risorse è stata acuita dalla crisi economica internazionale che ha colpito tutti i Paesi e che impone di ripensare in termini di maggiore efficienza tutti i processi gestionali della pubblica amministrazione;
in questo contesto, la normativa nazionale è intervenuta in questi ultimi anni più volte, ribadendo la necessità, per gli enti di piccole dimensioni, di adottare forme di cooperazione, precisando dettagliatamente, come nel decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, quali siano le funzioni che i comuni devono esercitare in forma associata;
successivamente alle disposizioni del citato decreto-legge n. 78 del 2010, il legislatore è intervenuto nuovamente sul tema delle funzioni nei piccoli comuni, prevedendo con il decreto-legge n. 138 del 2011 l'obbligo per tutti i comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti la gestione associata di tutte le funzioni e servizi, da attuarsi con un'unione comunale (micro unioni) al raggiungimento di previsti limiti minimi demografici o in via eccezionale con una specifica convenzione al verificarsi di presupposti di efficacia ed efficienza e consentendo ai comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti, che adottano suddetta convenzione, di mantenere direttamente la programmazione e la gestione delle proprie risorse finanziarie e patrimoniali;
le unioni di comuni non hanno rilievo costituzionale e, in base ai principi su cui poggia il federalismo istituzionale, è, quindi, possibile delineare una semplificazione che riduca gli adempimenti a carico degli enti locali e comporti, inoltre, una riduzione della spesa;
il quadro giuridico venutosi a creare suggerisce una riorganizzazione dell'istituto dell'unione dei comuni che, nel rispetto della normativa vigente in materia di gestione associata comunale e di finanza pubblica, potrebbero essere sostituite dalle federazione di comuni, le quali, riflettendo la struttura organizzativa dell'unione di comuni, e pur non essendo un ente, non prevedendo personalità giuridica, né disponendo di organi o di strutture articolate, potrebbero garantire, altresì, economie di scala ed efficienza;
la federazione dei comuni si definisce come modello associativo che prevede uffici unici per la gestione di singole funzioni e servizi, sotto la diretta responsabilità dei singoli comuni «specializzati» nello svolgimento di determinati compiti, e in cui l'attività istituzionale è definita secondo le direttive della conferenza dei sindaci dei comuni facenti parte della federazione e coordinata da un segretario comunale incaricato dalla conferenza dei sindaci e scelto tra quelli in servizio presso i comuni stessi;
l'ambito ottimale di riferimento è liberamente scelto dai comuni, ma deve garantire, almeno per i comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti, la gestione associata efficiente di tutte le funzioni e servizi;
la federazione si fonda su un atto costitutivo e su un regolamento. Alla federazione possono aderire sia i comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti, sia i comuni con popolazione compresa tra 1.000 e 5.000 abitanti (che possono trovare nella federazione la soluzione all'obbligo della gestione associata delle funzioni fondamentali), sia comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti (che possono trovare nella federazione la soluzione alla gestione dei problemi relativi alla carenza di risorse e al patto di stabilità);
all'interno della federazione, ogni attività è svolta, a livello gestionale, da un solo ente secondo un protocollo d'intesa sottoscritto tra le parti e che prevede l'istituzione di una «struttura comune», ovvero uffici unici situati presso uno o più comuni della federazione, così che la gestione di ciascun ufficio unico comporta una spesa prevista ad inizio anno coperta con il concorso di tutti i comuni aderenti, che, nel rispetto della autonoma programmazione delle risorse, trasferiscono parte di queste all'ente che gestisce l'ufficio unico;
il riparto delle risorse utilizzate per sostenere i costi delle funzioni garantite dalla federazione è riportato all'interno di un bilancio, che, pur non avendo una propria valenza giuridica, diventa per la federazione stessa, oltre che strumento di rendicontazione, anche mezzo per la definizione degli obbiettivi generali e delle linee operative dei diversi comuni;
ai fini patto di stabilità, così come per i vincoli in materia di gestione del personale, la federazione consente di dare luogo a compensazioni gestionali tra i comuni aderenti in base ai saldi obiettivo definiti dalla vigente normativa, così che, ad esempio, un dipendente a tempo determinato può essere impiegato dal comune sulla base delle disponibilità di spesa dello stesso, per poi essere impiegato anche negli altri enti facenti parte della federazione,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative al fine di introdurre nel nostro ordinamento il modello associativo della federazione dei comuni per la gestione associata di funzioni e servizi.
(1-00775)
«Reguzzoni, Bossi, Lussana, Luciano Dussin, Fogliato, Montagnoli, Alessandri, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Comaroli, Consiglio, Crosio, D'Amico, Dal Lago, Desiderati, Di Vizia, Dozzo, Guido Dussin, Fava, Fedriga, Follegot, Forcolin, Fugatti, Gidoni, Giancarlo Giorgetti, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lanzarin, Maggioni, Maroni, Martini, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Pirovano, Polledri, Rainieri, Rivolta, Rondini, Simonetti, Stefani, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli, Volpi».

La Camera,
premesso che:
la realizzazione di unioni dei comuni è un obiettivo che il legislatore italiano si pone oramai da diversi anni, l'unione è infatti un ente territoriale, e più precisamente un ente locale, di secondo grado disciplinato dal decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, ma già nel 1990 il legislatore lo aveva inserito nel nostro ordinamento con la legge n. 142 del 1990;
la storia d'Italia, lo sappiamo, è tradizionalmente una storia comunale, si può comprendere, dunque, una sorta di diffidenza se non addirittura resistenza culturale affiorata nel tempo rispetto ad ente territoriale come quello dell'unione dei comuni che può sembrare diretto a scavalcare le competenze comunali. In effetti così non è, perché al contrario l'unione dei comuni è diretta e finalizzata a valorizzare l'ente comunale coordinando, tra loro, le attività e gli obiettivi di ogni comune partecipante;
dall'altra parte la necessità di garantire servizi sempre più competitivi ai cittadini la crescente specializzazione necessaria nell'amministrazione del territorio, i costi crescenti dei servizi, hanno reso e rendono l'unione dei comuni un'opzione sempre più appetibile e per diversi aspetti, in particolare quelli collegati ai possibili risparmi di spesa, ineludibile;
il testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali disciplina l'istituto attribuendogli, come è necessario per la sua natura, la massima flessibilità all'interno di un perimetro di regole generali. In particolare si definisce l'unione come costituita da due o più comuni che devono essere contigui con un obiettivo chiaro: esercitare congiuntamente una pluralità di funzioni di loro competenza. Ciò significa che i singoli comuni si uniscono e trasferiscono alle unioni funzioni e servizi;
sulla disciplina dell'istituto è da ultimo intervenuto l'articolo 16 del decreto-legge n. 138 del 2011 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, un intervento diretto alla riduzione dei costi relativi alla rappresentanza politica nei comuni e razionalizzazione dell'esercizio delle funzioni comunali;
per esperienza sappiamo che le attuazioni sono spesso molto diverse fra di loro perché vengono costruite in funzione delle singole esigenze territoriali. In effetti la realizzazione delle unioni di comuni permette di creare delle economie di scala nel dimensionare i servizi e crea le condizioni per la sopravvivenza dei piccoli comuni che, pur mantenendo la loro identità, possono accorpare servizi al fine di ridurre i costi pro-capite e ridurre pro-quota le spese fisse di gestione di alcuni servizi;
nel nostro Paese le unioni sono 313 e vi aderiscono in tutto 1.561 comuni, per un totale di 5.758.607 abitanti. Le 313 unioni di comuni sono distribuite in 17 regioni italiane, sono composte in media da 5 comuni ma ve ne sono alcune che arrivano a comprenderne anche 20. Le unioni con popolazione tra 10.000 e 25.000 abitanti rappresentano la maggioranza della fattispecie;
la necessità di fare fronte alle nuove e sempre più pressanti esigenze nel governo del territorio impongono di proseguire su questa strada nel tentativo di superare nella gestione della cosa pubblica frammentazioni che risultano oramai non solo controproducenti ma economicamente insostenibili. Appare evidente come in questo senso proprio le unioni dei comuni risultino essere una strumento estremamente utile in particolare per permettere ai comuni più piccoli di reperire le risorse finanziarie necessarie alla fornitura di servizi per la propria collettività;
sono proprio i comuni più piccoli ad essere particolarmente interessati da tale opportunità. In questo senso si deve tenere presente che il nostro Paese è caratterizzato da una moltitudine di piccoli comuni. Degli 8.000 comuni italiani quelli fino a 1.500 abitanti sono quasi 3.000 il 36 per cento del totale, quelli invece tra i 1.500 e i 5.000 abitanti sono il 35 per cento del totale, tra 5.000 e 10.000 poco più del 14 per cento, tra i 10.000 e i 15.000 poco più del 5 per cento, mentre tra i 15.000 e i 90.000 sono il 7,53 per cento, mentre i comuni con popolazione superiore a 90.000 abitanti sono solo 0,67 per cento. Da questa panoramica emerge come proprio l'unione dei comuni possa diventare uno strumento utilissimo per la gestione del territorio e dei servizi in tutto il nostro Paese;
appare altrettanto evidente che in particolare i piccoli ed i medi comuni debbano essere interessati da politiche attive per la promozione e la creazione di unioni di comuni;
la Camera dei deputati ha approvato, a giugno del 2010, un disegno di legge che interviene sulla materia delle funzioni degli enti locali, al fine di adeguarle alla riforma del Titolo V della Costituzione italiana. Tra i punti qualificanti del provvedimento vi è una delega al Governo per l'adozione della «Carta delle autonomie locali», in cui riunire e coordinare sistematicamente le disposizioni statali che disciplinano gli enti locali. Attualmente il provvedimento è all'esame del Senato, Il provvedimento potrebbe risultare essere l'occasione ideale per intervenire affinché si promuova con determinazione lo sviluppo delle unioni dei comuni,

impegna il Governo

al fine di migliorare costantemente la gestione e l'erogazione dei servizi ai cittadini, in un contesto di organico e coerente contenimento dei costi nella gestione pubblica, ad intervenire, nel rispetto delle proprie e delle altrui competenze per promuovere ed incentivare la formazione di unioni di comuni in particolare coinvolgendo in questo percorso i comuni di piccole dimensioni;
ad incentivare la creazione di unioni di comuni, con il pieno coinvolgimento delle regioni, garantendo che i risparmi di spesa da queste realizzati siano investiti sui territori che li hanno determinati;
a valutare l'opportunità di eventuali interventi normativi per definire un sistema adeguato ed organico di incentivazione per la creazione di unioni di comuni.
(1-00776) «Baldelli, Lorenzin, Bianconi».

La Camera,
premesso che:
in Italia vi sono attualmente 8.092 comuni. Molti di questi hanno, per ragioni di popolazione e di territorio, evidenti difficoltà a gestire i servizi pubblici essenziali per i propri cittadini con i necessari criteri di economicità, efficienza ed equilibrio di bilancio, che possono essere assicurati soltanto da adeguate dimensioni demografiche e territoriali;
per ridurre i costi e soprattutto per migliorare la qualità dei servizi alla cittadinanza, negli ultimi due decenni è stata varata una normativa tendente a superare l'individualismo amministrativo dei comuni e ad agevolare lo svolgimento di funzioni e servizi in maniera associata;
la legge n. 142 del 1990 ha introdotto la previsione dell'unione dei comuni, che incentivava la gestione associata di servizi e funzioni, ma che appariva sostanzialmente rivolta ad indurre i comuni più piccoli a fondersi fra loro per dare vita ad un ente più grande;
la prospettiva della fusione obbligatoria non ha ricevuto però il gradimento degli enti locali che, hanno mostrato di preferire il mantenimento della propria identità storico-culturale e hanno optato per forme di gestione associata di servizi e funzioni più flessibili, quali le convenzioni e i consorzi, previsti dalla medesima legge n. 142;
il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali», che ha soppresso l'obbligo inizialmente previsto per le unioni di giungere alla fusione entro 10 anni dalla loro costituzione, stabilisce all'articolo 32 che: «Le unioni di comuni sono enti locali costituiti da due o più comuni, di norma confinanti, per l'esercizio congiunto di funzioni» ed al successivo articolo 33 che: «Le regioni predispongono, in accordo con i comuni, un programma per individuare gli ambiti della gestione associata sovracomunale di funzioni e servizi»;
obiettivo principale dell'unione dei comuni è quindi quello di perseguire i seguenti obiettivi fondamentali: migliorare l'efficienza nella gestione delle funzioni proprie da parte dei comuni; favorire il processo di riorganizzazione sovracomunale dei servizi, delle funzioni e delle strutture; permettere agli stessi comuni l'esercizio di funzioni proprie di livello di governo di area vasta diventando più incisivi nei rapporti con gli enti e le istituzioni superiori; ottimizzare le risorse umane ed economiche nelle diverse municipalità, garantendo un risparmio nei costi di gestione del personale;
la legge n. 148 del 2011 ha reso obbligatoria la gestione associata di servizi ai piccoli comuni inferiori ai 1000 abitanti, prevedendone addirittura la fusione obbligatoria con una oggettiva forzatura delle loro peculiarità storiche, sociali e territoriali;
dalla esperienza concreta delle unioni di comuni sin qui realizzate (poco superiori a 300 che coinvolgono poco più di 1500 comuni e una popolazione di circa 6 milioni di abitanti) si desume con chiarezza che i comuni italiani non si orientano in modo massiccio verso la costituzione di unioni a causa del fatto che non sussistono adeguati incentivi statali e regionali alla loro realizzazione, soprattutto in termini di contributi erariali;
va considerato inoltre che l'affidamento di funzioni amministrative ad enti di secondo grado rende sicuramente meno efficaci gli strumenti di controllo democratico e che questo spesso costituisce una remora alla costituzione delle unioni, specie in territori di forte tradizione municipale democratica e partecipativa;
la legge delega in materia di federalismo fiscale, n. 42 del 2009, contiene sia talune disposizioni che tengono conto dell'adeguatezza delle caratteristiche demografiche degli enti locali sia previsioni di favore verso le forme di aggregazione; in particolare, l'articolo 12, comma 1, lettera f), tra i principi e criteri direttivi concernenti il coordinamento e l'autonomia di entrata e di spesa degli enti locali contempla la «previsione di forme premiali per favorire unioni e fusioni tra comuni, anche attraverso l'incremento dell'autonomia impositiva o maggiori aliquote di compartecipazione ai tributi erariali», ma questo non appare sufficiente trattandosi di previsione normativa in vigore ma non ancora attuabile;
le unioni di comuni appaiono come una soluzione moderna ed efficiente di gestione di funzioni e servizi da parte degli enti locali territoriali, garantiscono economicità e risparmi considerevoli, contrastano le forme di spopolamento dei piccoli comuni dovute alla difficoltà dei cittadini di non potere usufruire di servizi pubblici fondamentali e soprattutto determinano una razionalizzazione del complesso sistema di gestione degli enti locali del nostro Paese, riducendo sensibilmente i centri di decisione e di spesa;
appare però evidente che le unioni di comuni non possono essere realizzate attraverso imposizioni, né tanto meno attraverso obblighi di fusioni, che non tengono conto della complessità storica, economica, politica e sociale delle municipalità nel nostro Paese,

impegna il Governo

a predisporre le opportune iniziative normative per promuovere una maggiore diffusione delle unioni di comuni e della conseguente gestione comune di funzioni e servizi, attraverso forti incentivazioni sia nei trasferimenti erariali che nella capacità impositiva autonoma per quei comuni che fossero disponibili a realizzarle in tempi rapidi.
(1-00777)
«Commercio, Lo Monte, Lombardo, Oliveri, Brugger».

La Camera,
ferme restando le valutazioni contenute in premessa dalle mozioni nn. 1-00685, 1-00774, 1-00775, 1-00776, 1-00777,

impegna il Governo:

ad adottare le opportune iniziative al fine di realizzare adeguate forme associative per l'esercizio di funzioni e servizi da parte dei comuni ai sensi degli articoli 30 e 32 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (unioni, convenzioni ovvero altre forme associative anche di tipo federativo);
a predisporre a tal fine anche forme incentivanti;
ad individuare la soglia minima di 15 mila abitanti come dimensioni delle forme associative, definendo parametri e criteri geografici, demografici ed economici, riservando alle regioni la definizione di criteri di deroga a tale soglia.
(1-00779)
«Donadi, Valducci, Bressa, Reguzzoni, Ria, Muro, Pisicchio, Commercio».