XVI LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di martedì 17 gennaio 2012

TESTO AGGIORNATO AL 18 GENNAIO 2012

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 17 gennaio 2012.

Albonetti, Alessandri, Bindi, Bratti, Brugger, Buonfiglio, Caparini, Cenni, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Gianfranco Conte, D'Alema, D'Amico, Dal Lago, Della Vedova, Donadi, Fava, Gregorio Fontana, Giancarlo Giorgetti, Iannaccone, Leone, Lo Monte, Lombardo, Lupi, Mazzocchi, Melchiorre, Migliavacca, Milanato, Moffa, Mura, Nucara, Leoluca Orlando, Pecorella, Pisicchio, Proietti Cosimi, Reguzzoni, Paolo Russo, Stefani, Stucchi, Valducci, Volpi.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

Albonetti, Alessandri, Bindi, Bongiorno, Boniver, Bratti, Brugger, Buonfiglio, Caparini, Cenni, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Gianfranco Conte, D'Alema, D'Amico, Dal Lago, Della Vedova, Donadi, Fava, Gregorio Fontana, Giancarlo Giorgetti, Iannaccone, Jannone, Leone, Lo Monte, Lombardo, Lupi, Mazzocchi, Melchiorre, Migliavacca, Migliori, Milanato, Moffa, Mura, Mussolini, Nucara, Leoluca Orlando, Palumbo, Pecorella, Pisicchio, Proietti Cosimi, Reguzzoni, Paolo Russo, Stefani, Stucchi, Valducci, Volpi.

Annunzio di proposte di legge.

In data 16 gennaio 2012 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
MOSCA: «Disposizioni concernenti gli incarichi di amministrazione nelle società a totale o prevalente partecipazione pubblica» (4885);
MORASSUT: «Modifica all'articolo 2449 del codice civile, concernente la scelta dei membri degli organi di amministrazione e di controllo nominati dallo Stato o dagli enti pubblici nelle società da essi partecipate» (4886);
PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE LANZILLOTTA: «Modifiche agli articoli 114, 118 e 119 e abrogazione dell'articolo 133 della Costituzione, in materia di istituzione e soppressione delle province nonché di funzioni e circoscrizioni territoriali delle medesime» (4887).

Saranno stampate e distribuite.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

A norma del comma 1 dell'articolo 72 del regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
V Commissione (Bilancio):
CALEARO CIMAN ed altri: «Disposizioni per il rilancio dell'economia nazionale mediante la sottoscrizione di titoli di Stato» (4844) Parere delle Commissioni I, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), X, XI e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

VI Commissione (Finanze):
TOCCAFONDI: «Esenzione dell'abitazione principale delle famiglie numerose dall'obbligo di pagamento dell'imposta municipale propria» (4837) Parere delle Commissioni I, V, VIII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

XI Commissione (Lavoro):
BOCCIA ed altri: «Disposizioni per l'erogazione di un contributo straordinario in favore delle famiglie delle vittime di infortuni mortali sul lavoro» (4686) Parere delle Commissioni I, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria) e XII.

Trasmissioni dalla Corte dei conti.

La Corte dei conti, con lettera in data 11 gennaio 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 4, comma 2, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, il bilancio di previsione della Corte stessa, relativo all'anno finanziario 2012, approvato con decreto del presidente della Corte dei conti in data 27 dicembre 2011, nonché il bilancio pluriennale relativo al triennio 2012-2014.
Questa documentazione è trasmessa alla V Commissione (Bilancio).

La Corte dei conti - sezione delle autonomie -, con lettera in data 13 gennaio 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 5, comma 3, del regolamento per l'organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, le deliberazioni n. 15/2011 e 1/2012, adottate dalla sezione stessa nelle adunanze del 20 dicembre 2011 e del 30 novembre 2011, concernenti il «Programma di lavoro» per i referti da rendere al Parlamento nel 2012 in ordine all'andamento complessivo della finanza, rispettivamente, regionale e locale, negli esercizi 2010 e 2011.
Questa documentazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla V Commissione (Bilancio).

Trasmissione del ministro dell'interno.

Il ministro dell'interno, con lettera in data 28 dicembre 2011, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 4-bis, del decreto-legge 2 luglio 2007, n. 81, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2007, n. 127, la relazione concernente l'utilizzo del Fondo istituito per esigenze connesse all'acquisizione di beni e servizi e ad investimenti da parte della Polizia di Stato, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza (doc. XXVII, n. 33).

Questo documento - che sarà stampato - è trasmesso alla I Commissione (Affari costituzionali).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

La Commissione europea, in data 16 gennaio 2012, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio - Riassegnazione parziale dei fondi dell'ex Economat della Commissione (COM(2011)891 definitivo), che è assegnata in sede primaria alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea);
Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma di azione in materia di scambi, assistenza e formazione per la protezione dell'euro contro la contraffazione monetaria (programma «Pericle 2020») (COM(2011)913 definitivo) e relativo documento di accompagnamento - Documento di lavoro dei servizi della Commissione - Sintesi della valutazione d'impatto (SEC(2011)1614 definitivo), che sono assegnati in sede primaria alla VI Commissione (Finanze);
Documento di lavoro dei servizi della Commissione - Sintesi della valutazione d'impatto che accompagna il documento «Riforma delle norme dell'Unione europea applicabili agli aiuti di Stato concessi sotto forma di compensazione per l'adempimento di obblighi di servizio pubblico» (SEC(2011)1582 definitivo), che è assegnato in sede primaria alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e X (Attività produttive).

La proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al programma statistico europeo 2013-2017 (COM(2011)928 definitivo), già trasmessa dalla Commissione europea e assegnata, in data 22 dicembre 2011, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alla I Commissione (Affari costituzionali), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), è altresì assegnata alla medesima XIV Commissione ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà; il termine di otto settimane per la verifica di conformità, ai sensi del Protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità allegato al Trattato sull'Unione europea, decorre dal 17 gennaio 2012.

Trasmissione dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.

Il presidente dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, con lettera in data 13 gennaio 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, comma 7, lettere e) ed f), del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, una segnalazione concernente misure per la riduzione dei costi amministrativi negli appalti pubblici.

Questa documentazione è trasmessa alla VIII Commissione (Ambiente).

Comunicazioni ai sensi dell'articolo 3, comma 44, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.

L'Azienda unità sanitaria locale n. 4 di Terni, con lettera in data 30 dicembre 2011, ha trasmesso alla Presidenza, ai sensi dell'articolo 3, comma 44, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, la comunicazione concernente un atto comportante spesa per emolumenti o retribuzioni, con l'indicazione del nominativo del destinatario e dell'importo del relativo compenso.

Tale comunicazione è trasmessa alla V Commissione (Bilancio).

Richieste di parere parlamentare su atti del Governo.

Il ministro per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 12 gennaio 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e dell'articolo 2, commi 12 e 13, della legge 15 maggio 1997, n. 127, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto del Presidente della Repubblica recante regolamento di modifica delle disposizioni in materia di stato civile relativamente alla disciplina del nome e del cognome prevista dal titolo X del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (434).
Tale richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del regolamento, alla II Commissione (Giustizia), che dovrà esprimere il prescritto parere entro il 16 febbraio 2012.

Il ministro per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 13 gennaio 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 17, commi 2 e 4-bis, della legge 23 agosto 1988, n. 400, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto del Presidente della Repubblica recante integrazioni e modifiche al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 2002, n. 314, concernente l'individuazione degli uffici dirigenziali periferici del Corpo nazionale dei vigili del fuoco (435).
Tale richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del regolamento, alla I Commissione (Affari costituzionali), che dovrà esprimere il prescritto parere entro il 16 febbraio 2012.
Egrave; altresì assegnata, ai sensi del comma 2 dell'articolo 96-ter del regolamento, alla V Commissione (Bilancio), che dovrà esprimere i propri rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario entro il 1o febbraio 2012.

Atti di controllo e di indirizzo.

Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell'Allegato B al resoconto della seduta odierna.

COMUNICAZIONI DEL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA SULL'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA, AI SENSI DELL'ARTICOLO 86 DEL REGIO DECRETO 30 GENNAIO 1941, N. 12, COME MODIFICATO DALL'ARTICOLO 2, COMMA 29, DELLA LEGGE 25 LUGLIO 2005, N. 150

Risoluzioni

La Camera,
udite le comunicazioni del ministro Guardasigilli sull'amministrazione della giustizia, ai sensi dell'articolo 86 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come modificato dall'articolo 2, comma 29, della legge 25 luglio 2005, n. 150
le approva.
(6-00099)
«Costa, Ferranti, Rao, Angela Napoli, Pisicchio, Melchiorre, Tanoni».

La Camera,
udite le comunicazioni del ministro della giustizia sull'amministrazione della giustizia e premesso che:
l'amministrazione della giustizia in Italia viene avvertita dai cittadini come lontana e inadeguata nel contribuire al progresso civile del Paese;
l'amministrazione della giustizia e la difesa della legalità costituiscono oggi una questione di grande rilevanza sociale, la cui soluzione non è più assolutamente rinviabile;
occorre affrontare con decisione il tema della giustizia e porre mano a riforme che costituiscano reale attuazione dei principii della ragionevole durata e del giusto processo;
il numero dei processi pendenti sia nel settore civile che in quello penale, e l'impossibilità che questi siano definiti in tempi ragionevoli, comportano ormai una sfiducia generalizzata dei cittadini nel sistema giustizia, e molto spesso determinano nelle aziende straniere la decisione di non delocalizzare nel nostro Paese le proprie attività economiche;
in tale situazione occorre predisporre un piano di riforme organiche e strutturali del sistema giustizia; occorrono provvedimenti in grado di garantire un più equilibrato rapporto fra i poteri dello Stato, uscendo da logiche emergenziali o d'occasione, che minano l'obbligatorietà dell'azione penale che risulta oggi di fatto disattesa;
il recupero di efficienza del sistema giustizia passa necessariamente attraverso una valorizzazione della magistratura onoraria tenuto conto dell'importante ruolo che oggi svolge nell'amministrare la giustizia;
nel solco dell'obbligatorietà dell'azione penale, è necessario bloccare «ogni manovra» che consenta, l'utilizzo degli istituti dell'amnistia e dell'indulto, ed impedire, altresì l'utilizzo di strumenti «spuri» che consentano, di fatto, una depenalizzazione di una «categoria» o «gruppi» di reato, come proposto da alcune iniziative legislative che, se approvate, consentirebbero l'improcedibilità o la dichiarazione di non luogo a procedere per lieve entità del fatto;
dette riforme non devono peraltro procedere nel senso di determinare, nel processo penale, una diminuzione delle garanzie difensive dell'imputato, né dette garanzie, debbono essere abbandonate a causa della ragionevole durata del processo, posto che quest'ultima è essa stessa un diritto dell'imputato;
le riforme devono invece procedere nel senso di garantire un'effettiva parità tra accusa e difesa, con un giudice che sia effettivamente terzo tra le due parti, con una reale responsabilizzazione, anche disciplinare, dei magistrati inquirenti e giudicanti, una separazione delle carriere, una riforma del Consiglio Superiore della Magistratura,

impegna il Governo

e, in particolare, il ministro della giustizia ad intraprendere tutte le iniziative necessarie a realizzare:
a) la separazione delle carriere dei magistrati, con modalità tali da garantire l'assoluta indipendenza del giudice;
b) la revisione della composizione e del sistema elettorale del Consiglio Superiore della Magistratura; la fissazione dei suoi compiti in via tassativa e in modo che venga impedito all'organo di autonomia della magistratura ogni travalicamento di funzioni;
c) la modifica della legge sulla responsabilità civile dei magistrati, con modalità tali da garantire ai cittadini ingiustamente danneggiati da provvedimenti del giudice o del pubblico ministero, di ottenere il risarcimento dei danni direttamente dal magistrato, pur con la previsione di meccanismi volti ad eliminare il pericolo di azioni intimidatorie e strumentali e comunque nel pieno rispetto dei principi di cui all'articolo 25 della Costituzione;
d) l'incompatibilità assoluta tra la permanenza nell'ordine giudiziario e l'assunzione di incarichi, elettivi e non, in rappresentanza di formazioni politiche, ciò anche al fine di rendere credibile l'indipendenza di chi esercita le funzioni giudiziarie;
e) la compiuta modernizzazione tecnologica di tutti gli uffici giudiziari, nonché la completa implementazione del processo telematico;
f) la modifica della natura dei termini processuali, con la previsione generalizzata di termini non più squisitamente ordinatori ma perentori e di sanzioni disciplinari per la loro inosservanza da parte dei magistrati;
g) la riforma organica della magistratura onoraria, tenuto conto del ruolo importante che già oggi svolge nell'amministrare la giustizia, e quello ancor più rilevante che potrebbe assumere, al fine di darle una piena ed esaustiva collocazione ordinamentale. Ai giudici di pace occorre garantire la professionalità, la stabilizzazione dell'incarico e l'inserimento a pieno titolo nel sistema di governo autonomo della magistratura; ai giudici onorari di tribunale ed ai vice procuratori onorari occorre garantire, anche con provvedimenti urgenti - considerata l'attuale insostituibilità - la stabilizzazione e la definizione, chiara ed univoca, con norme di rango primario, delle funzioni non di mera supplenza, inserendo anche queste figure nel sistema di governo autonomo della magistratura;
h) la reiezione di tutte le iniziative atte a consentire l'applicazione degli istituti dell'amnistia e dell'indulto, nonché norme che di fatto, attraverso una «mascheramento», applicano una depenalizzazione o comunque consentano l'improcedibilità per fatti reato ritenuti di lieve entità;
i) nella ridefinizione delle circoscrizioni giudiziarie, di cui alla legge 14 settembre 2011, n. 148, si tenga conto di criteri di efficienza ed efficacia e parametri oggettivi, valorizzando le sezioni distaccate dei tribunali che assicurano una giustizia in tempi ragionevoli, e consentono una considerevole riduzione dei disagi e dei costi per i cittadini e per gli operatori economici, nonché sono presidi di legalità sul territorio «e punti di riferimento» per l'erogazione dei servizi di giustizia;
j) procedere con immediatezza nell'informare la Camera dell'attuale stato dei lavori e delle linee guida elaborate dalla commissione appositamente costituita per lo studio e l'analisi della revisione delle circoscrizioni giudiziarie di cui alla legge 14 settembre 2011, n. 148;
k) la completa e piena attuazione del piano straordinario penitenziario e il contrasto deciso ad ogni estensione (del cosiddetto svuota carceri), oltre l'anno, della detenzione domiciliare già prevista dalla legge 26 novembre 2010 n. 199;
l) l'attuazione degli accordi bilaterali in essere ed un deciso impegno nella stipula di nuovi accordi bilaterali con altri Stati, affinché i detenuti stranieri scontino la pena nei paesi di origine, tenuto conto che attualmente circa il 40 per cento dei detenuti sono stranieri, con punte, nelle case di reclusione del nord del 60/70 per cento.
(6-00100)
«Reguzzoni, Lussana, Nicola Molteni, Paolini, Follegot, Isidori».

La Camera,
udite le comunicazioni e preso atto della relazione presentata dal ministro della giustizia, ai sensi dell'articolo 2, comma 29, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150;
preso atto che:
l'efficienza del sistema giudiziario e l'accelerazione dei processi, la rapidità dell'accertamento delle responsabilità penali e la predisposizione di norme e strutture tali da garantire la certezza del diritto e la certezza della pena debbono necessariamente rappresentare una priorità nell'azione governativa;
il settore della giustizia - viceversa - nell'ultimo decennio, oltre a non aver subito alcuna riforma strutturale, corrispondente ad un impianto complessivo e strategico di rilancio, è stato sottoposto ad interventi che ne hanno gravemente limitato la funzionalità e la efficacia. La progressiva asfissia del sistema giustizia è stata realizzata dal punto di vista delle politiche finanziarie, delle dotazioni infrastrutturali, delle politiche del personale e del quadro normativo. In tale contesto si è programmaticamente rinunciato ad affrontare progetti che potevano incidere su aspetti sistematici, dando invece precedenza ad interventi di carattere disorganico. Si è così colpevolmente perduta l'opportunità di intervenire positivamente per restituire efficienza ad un servizio fondamentale per la democrazia e per la legalità;
in questo senso appare confortante quanto il ministro ha detto, e anche quanto non ha detto, sia nella sua audizione in Commissione giustizia, sia nell'odierna relazione. Tra le cose che non ha detto, così indirettamente precisando il suo programma, c'è appunto il riferimento alla netta discontinuità rispetto a interventi incardinati presso il Parlamento, che non fanno parte del programma di questo Governo mentre rientravano in quello del precedente in quanto motivate esclusivamente dalle esigenze del Presidente del Consiglio e miranti essenzialmente a trovare gli strumenti per sfuggire alla giustizia. Perciò facciamo affidamento su una forte discontinuità, una forte novità, perché anche questa è emergenza;
Italia dei Valori ha perciò la fondata fiducia che provvedimenti in itinere in questo Parlamento, da essa fortemente osteggiati perché volti a non far funzionare la giustizia, siano considerati definitivamente morti e sepolti. Ci riferiamo, in particolare, alle intercettazioni, al processo breve, al processo lungo e alla riforma costituzionale «epocale» della giustizia, che consideriamo ruderi archeologici da abbandonare. Speriamo, quindi, di non sentirne più parlare, anche perché questo Governo, che ha un'ampia maggioranza, ci è parso di capire che voglia lavorare su temi condivisi, laddove da parte dell'Italia dei Valori non ci sarebbe alcuna condivisione alla prosecuzione di quei provvedimenti all'esame del Parlamento;
l'auspicio è che la nuova fase politico-parlamentare rappresentata dal Governo Monti e dal suo profilo tecnico, possa consentire di trasformare il terreno del conflitto in un terreno di confronto costruttivo, al fine di rendere il sistema giustizia un volano positivo anche per lo sviluppo del Paese, ma tale auspicio deve rapidamente concretizzarsi in provvedimenti di segno radicalmente diverso da quelli a cui si è assistito nella parte iniziale della XVI legislatura;
premesso che:
uno dei problemi più rilevanti che affligge la giustizia italiana concerne notoriamente il mancato rilancio del comparto giustizia, sia in termini di investimenti che di personale. Il perdurare e l'aggravarsi di tale situazione determina riflessi inevitabilmente negativi sulla funzionalità ed efficacia del servizio reso al cittadino, a cominciare dalla ragionevole durata del processo. Il processo di digitalizzazione e di informatizzazione appare la strada maestra per velocizzare efficientemente il sistema giudiziario del Paese. Al contrario, sotto questo profilo, il panorama prevalente resta quello della dotazione di strumenti obsoleti, di assenza di programmazione che impedisce scelte di spesa oculate e a lungo termine, dell'utilizzo di programmi e sistemi che spesso non colloquiano tra di loro, mentre permane carente una politica di potenziamento, formazione e valorizzazione della professionalità del personale degli uffici giudiziari;
il 17 gennaio 2012 il ministro della giustizia ha presentato al Parlamento la «Relazione sull'amministrazione della giustizia in Italia». Circa l'andamento della giustizia si deve registrare il rallentamento della riduzione del numero di pendenze nel settore civile, con un calo - in buona parte dovuto al progressivo aumento dei costi di accesso alla giurisdizione - rispetto al giugno 2010 pari al 3 per cento, e la conferma che non si è ancora riusciti ad intaccare in modo significativo la durata media dei processi e dell'arretrato nel settore penale. Tali tendenze suscitano forte preoccupazione, in presenza di 5,5 milioni di processi civili e 3,4 milioni di processi penali e di tempi medi di definizione che nel civile sono pari a 7 anni e tre mesi (2.645 giorni) e nel penale a 4 anni e nove mesi (1.753 giorni) e, soprattutto, alla luce di 2,8 milioni di nuove cause in ingresso;
la relazione, nell'ambito degli interventi ulteriori volti alla razionalizzazione del processo, non dedica particolare rilievo né all'istituzione dell'ufficio per il processo, nè alle problematiche concernenti il personale dell'amministrazione giudiziaria e alle conseguenti iniziative da assumere in materia;
nell'ambito dell'attuale stato delle carceri, in connessione alle problematiche condizioni dei 66.897 detenuti, 28.000 dei quali risultano in attesa di giudizio: ovvero il 42% dell'intera popolazione carceraria. Non sembra che tale situazione possa essere risolta dalla sostanziale conferma - e proroga - del cosiddetto «Piano Carceri» approvato dal precedente esecutivo, pur prendendo atto della disgiunzione delle funzioni di commissario straordinario da quelle di capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. In tale contesto, tenuto conto dei limiti del decreto-legge n. 211 del 2011, ci si attendono interventi ben più risolutivi della pur lodevole carta dei diritti e doveri dei detenuti e degli internati, all'esame del Consiglio di Stato. Con riguardo alla giustizia minorile, nel corso del 2011 l'esame delle statistiche ha confermato il preoccupante aumento generale della presenza negli istituti di minori di nazionalità italiana;
la relazione conferma la scopertura di 1.317 posti nell'organico della magistratura, che sarà parzialmente compensata dal compimento delle procedure concorsuali già poste in essere. In tale ambito si rileva inoltre come si dovrà attendere marzo-aprile del 2012, per la «prima bozza operativa», concernente la revisione dei tribunali e delle relative sezioni distaccate, tenuto conto che è in dirittura di arrivo il solo riassetto territoriale dei giudici di pace, approvato in prima lettura dal Consiglio dei ministri ed è in attesa di essere inviato al C.S.M. ed alle competenti Commissioni parlamentari per i prescritti pareri;
con riferimento agli strumenti deflattivi, la relazione conferma la fiducia del Governo nella «mediazione come strumento di risoluzione alternativa delle controversie civili e commerciali», ribadita dalle integrazioni apportate alla disciplina vigente dal decreto-legge 212 del 2011, onde potenziare la «mediazione delegata dal giudice». A tal proposito occorre rilevare che tali interventi giungano nelle more dell'attesa pronuncia della Consulta sul decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010 che, sotto più profili, ha suscitato motivati dubbi sulla sua compatibilità costituzionale e comunitaria;
in materia di contrasto all'illegalità ed alla criminalità organizzata, si rileva l'assenza di ulteriori proposte di carattere normativo, preso atto della perdurante giacenza di numerosissimi disegni di legge in tal senso all'esame della Commissione giustizia del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. Con riferimento al cosiddetto «Codice Antimafia» (decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159), appare errata la sua definizione emergente dalla relazione in oggetto. Il provvedimento, in vero, non contiene una «ricognizione completa delle norme antimafia di natura penale, processuale e amministrativa», ma soltanto quelle concernenti le misure preventive;
un altro aspetto negativo del cattivo funzionamento della giustizia penale e dei problemi più impellenti che affliggono la giustizia italiana concerne la ragionevole durata del processo, in applicazione dell'articolo 111 della Costituzione e dell'articolo 6 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo concernente il diritto ad un processo equo. L'eccessiva durata dei processi, le numerose condanne inflitte all'Italia per i ritardi nelle decisioni, il grande numero delle pronunce di prescrizione (dopo anni di dibattimento e un enorme spreco di risorse), l'impossibilità per i pubblici ministeri di trattare tutte le notizie di reato ed il consequenziale e «obbligato» accantonamento in sede di indagini di migliaia di procedimenti, la mancanza di risorse finanziarie, di personale amministrativo e di magistrati, le ricadute negative dell'indulto e delle riforme a costo zero approvate in questi anni, sono tutti aspetti negativi che richiedono interventi urgenti;
considerato che:
una delle questioni cruciali per il nostro Paese, anche dal punto di vista economico, è rappresentata dalla risposta che il sistema giustizia è in grado di offrire al fenomeno della corruzione, che, oltre a determinare sacche di illegalità in ambiti pubblici e privati, costituisce una vera e propria «zavorra». La Corte dei conti ha affermato che la corruzione costa allo Stato italiano 60 miliardi di euro. È evidente che una risposta a tale problema non può essere circoscritta al piano giudiziario; tuttavia occorre rilevare che il Consiglio d'Europa ha più volte sottolineato criticamente come la prescrizione dei reati incida pesantemente, nel nostro Paese, sui processi per corruzione, invocando riforme che consentano di addivenire alle sentenze. Le riforme che sono state prospettate, rendono più difficile, a giudizio della magistratura e dell'avvocatura associata, l'impegno dell'Italia nella lotta alla criminalità e alla corruzione in particolare, reato per il quale la legge 5 dicembre 2005 n. 251 sulla prescrizione breve ha purtroppo già potuto dispiegare i suoi effetti. Il gruppo di Stati contro la corruzione del Consiglio d'Europa ha, peraltro, inviato all'Italia 22 raccomandazioni amministrative, procedurali (per evitare l'interruzione dei processi) e normative. Si ricorda che nel corso del G8 dell'Aquila del 2009 è stato sottoscritto il documento dell'Ocse per un global legal standard. Il predetto rapporto del Consiglio d'Europa si conclude con una raccomandazione all'Italia, ove si auspica l'individuazione di soluzioni che consentano di addivenire ad una pronuncia di merito;
la corruzione si alimenta con mille rivoli, comprese le consulenze, e si giova del fatto che molteplici strumenti normativi siano stati depressi o distrutti o non ancora introdotti. Tra i primi rientra la sostanziale depenalizzazione del falso in bilancio che consente a vile prezzo le uscite «in nero» dalle casse di imprese pubbliche e private. Sul secondo versante è assolutamente urgente la definitiva approvazione delle norme anticorruzione, a cominciare dalla ratifica della Convenzione di Strasburgo. Su questo versante, dunque, l'Italia dei Valori auspica e chiede che questo Governo sostenga con forza la reintroduzione della precedente normativa degli articoli 2621 e seguenti, incardinata nella Commissione giustizia sulla base di due proposte di legge a firma rispettivamente Di Pietro e Palomba (finora bloccata dall'atteggiamento oppositivo del Popolo della libertà), così come la rapida approvazione dell'introduzione delle norme europee anticorruzione sbloccando il lavoro della prima Commissione e sostenendo l'introduzione nel nostro ordinamento delle numerose norme anticorruzione contenute nei corposi emendamenti all'articolo 9 (molti dei quali presentati dall'Italia che riguardano molte disposizioni utilissime, quali la corruzione in affari privati o l'autoriciclaggio). Riteniamo, inoltre, che un altro emendamento - auspicabilmente del Governo - escluda l'applicabilità dell'istituto della «prescrizione processuale» ai processi per il reato di corruzione, in quanto essa, oltre a non essere conforme alla tendenza espressa dalle fonti sovra-nazionali, rischia di impedire del tutto l'accertamento giudiziario in tale ambito penale;
appare grave la persistente mancata realizzazione della riqualificazione del personale amministrativo della giustizia, momento fondamentale per l'efficienza del comparto, proposto da una proposta di legge del gruppo Italia dei Valori. Nessun procedimento di riorganizzazione può sperare di funzionare omettendo un corretto riconoscimento delle professionalità del personale dell'amministrazione giudiziaria, il cui sviluppo di carriera è rimasto da lungo tempo bloccato, nonché un adeguato accesso di personale qualificato dall'esterno. È quindi necessario un programma di assunzioni, mediante concorso pubblico, di un cospicuo contingente di personale ed un percorso di valorizzazione delle professionalità esistenti, concertato con le organizzazioni sindacali rappresentative dei lavoratori, nel rispetto delle indicazioni della Corte costituzionale in materia. Si consideri che il personale non ha visto riconosciuta, a differenza di quanto è avvenuto in altri settori della pubblica amministrazione, la progressione della carriera giuridica da almeno dieci anni, e si presenta, a causa dei ripetuti blocchi delle assunzioni disposti negli anni per motivi di cassa, intollerabilmente sottodimensionato e non rinnovato;
con riferimento alla questione della revisione della geografia giudiziaria, vanno riscontrate talune problematiche recate dalla legge delega, in particolare con riferimento alla possibilità ivi prevista di sopprimere in talune realtà le sole procure circondariali, e non i tribunali di riferimento, istituendo procure intercircondariali; tale situazione non consentirebbe l'esercizio della delega per lo svolgimento delle indagini, attualmente prevista nelle materie in cui è competente la cosiddetta procura distrettuale;
il gruppo Italia dei Valori della Camera, per dare risposte concrete ai mali effettivi della giustizia in Italia, ha depositato molti disegni di leggi, tutti finalizzati ad una maggiore efficienza ed incisività del sistema processuale, sia civile che penale, ritenendo prioritari per il miglioramento del servizio giustizia, interventi di riforma del regime dell'irreperibilità e del processo contumaciale. Basti citare quelli sulla certezza della pena e sui reati di maggior allarme sociale, quello recante disposizioni per l'accelerazione e la razionalizzazione del processo penale nonché in materia di prescrizione, o quello per la riforma del processo civile, insieme a tanti altri ancora. Questi testi, articolati e puntuali, contengono proposte capaci di incidere efficacemente sul sistema processuale e di offrire contributi migliorativi di assoluto rilievo. Il gruppo Italia dei Valori della Camera ha altresì presentato, in riferimento a disegni di legge esaminati, numerosi ordini del giorno volti ad indicare e risolvere le problematiche suddette, che non hanno ricevuto la necessaria attenzione e considerazione. Parimenti, nessun riscontro concreto hanno finora avuto le proposte legislative di iniziativa parlamentare volte a rafforzare la normativa sugli illeciti societari e per il contrasto alla circolazione e all'impiego di capitali illeciti, dando finalmente autonoma rilevanza penale alle cosiddette condotte di «autoriciclaggio», in modo da punire adeguatamente l'utilizzo e l'occultamento dei proventi criminosi, da parte di coloro che hanno commesso il reato che ha generato detti proventi;
occorre affrontare la complessa questione dei corrispettivi per le prestazioni di supporto tecnologico della attività tecnico-investigative svolte dalle aziende che forniscono servizi ed attrezzature a noleggio per le intercettazioni telefoniche ed ambientali poste in essere dalla Polizia giudiziaria e disposte dalle procure della Repubblica, nonché dei costi ad esso correlati. Considerato che nel nostro Paese, per le intercettazioni si spendono annualmente poco meno di 300 milioni di euro, cifra sicuramente elevata, effetto non già di un preteso abuso della prassi intercettativa che in realtà il numero delle persone effettivamente intercettate (meno di trentamila) non consente di denunciare, bensì di un poco accorto meccanismo di gestione delle risorse, dal momento che buona parte del costo è rappresentato dal noleggio delle apparecchiature preposte che, se acquistate direttamente, costerebbero, secondo gli studi dello stesso Ministero della giustizia, circa cinquanta milioni, a fronte di una situazione debitoria dello Stato verso le imprese del settore che ormai è giunta a sfiorare i cinquecento milioni di euro. A ciò si aggiunga il costo di ciascuna operazione che lo Stato italiano, esempio forse unico in Europa, paga agli operatori del traffico telefonico quasi si trattasse di un qualsiasi privato cittadino. Appare pertanto opportuno riprendere il disegno di legge n. 2501, recante modifiche all'articolo 268 del codice di procedura penale in materia di impianti di intercettazione telefonica, che, sulla linea indicata dal progetto del Governo nella XV legislatura, è finalizzato a concentrare le operazioni di captazione ed ascolto nel minor numero di strutture possibile, presso le procure della Repubblica in modo da ridurre i soggetti che possano avere accesso alle informazioni riservate da esse emergenti e garantire conseguentemente il miglior livello di sicurezza nella acquisizione e nel trattamento dei dati;
considerato, ancora, che:
con riferimento alle problematiche della situazione carceraria, non si può non rilevare il permanere di condizioni assolutamente paradossali, come quella di strutture terminate da molti anni e non ancora entrate in funzione, talune delle quali si presentano già obsolete, o come quella dei braccialetti elettronici, per la cui fornitura e gestione il Ministero della giustizia ha terminato quest'anno di pagare l'ultima rata decennale, per un totale di circa 110 milioni di euro, e che sono rimasti sostanzialmente inutilizzati. In materia di interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri, il Governo ha presentato alle Camere, per la conversione in legge, un decreto-legge con il quale dispone l'aumento da dodici a diciotto mesi del periodo finale di esecuzione della pena che può essere scontato presso il proprio domicilio previsto dalla legge n. 199 del 2010, aumento che appare eccessivo e presta il fianco a notevoli perplessità, in particolare in quanto consentirebbe di applicare il beneficio a soggetti che hanno ricevuto un aumento di pena in quanto recidivi. Per altri aspetti il decreto non appare efficace in quanto l'idoneità delle camere di sicurezza esistenti nel nostro Paese ai fini proposti è assai dubbia e peraltro la popolazione detenuta per meno di trenta giorni e, in gran parte per meno di dieci, rappresenta in realtà quasi la metà dei reclusi;
l'annoso ed ormai drammatico problema del sovraffollamento carcerario rappresenta una questione di legalità perché nulla è più disastroso che far vivere chi non ha recepito il senso di legalità e, quindi, ha commesso reati, in una situazione di palese non corrispondenza tra quanto normativamente definito e quanto attuato e vissuto. Sono in aumento i suicidi in carcere, così come sono in costante aumento le aggressioni nei confronti della polizia penitenziaria e gli atti autolesivi. Proliferano altresì le malattie infettive, vero pericolo per tutti coloro che vivono e lavorano in carcere. A questo quadro occorre fornire adeguate e concrete risposte normative, di tipo strutturale, sotto il profilo degli investimenti di adeguamento delle strutture esistenti, oltre che in riferimento alla creazione di nuovi istituti penitenziari. Esistono, paradossalmente, alcune strutture in cui non è possibile, per diversi motivi, ospitare i detenuti, spesso costruite e lasciate vuote da molti anni: esempio emblematico è rappresentato dal penitenziario di Arghillà (Reggio Calabria), irraggiungibile perché privo di una via di accesso;
siamo tuttavia contrari ad ogni ipotesi di amnistia o di indulto, come lo siamo stati in precedenza, perché rappresentano una sconfitta per il principio di legalità, per il principio di effettività della pena e per le tante vittime che hanno aspettato e sperato nel funzionamento della giustizia;
i provvedimenti indulgenziali non sono il modo per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario, perché si commette un'ingiustizia sopra un'altra, e un'ingiustizia non può cancellarne un'altra. Riteniamo invece apprezzabile il suo approccio, laddove suggerisce di adottare misure alternative alla detenzione sotto diversi profili;
in sintesi, quindi, no all'amnistia, sì alle misure alternative, no al braccialetto che costa troppo e ha dato esito assolutamente negativo, e soprattutto, ministro, si faccia dare i fondi necessari per il piano per l'edilizia carceraria e anche per il personale penitenziario. Oggi, infatti, non si sa chi sia più recluso, se il personale di polizia penitenziaria o i detenuti. L'enorme buco nell'organico deve essere coperto, perché, se quell'organico era calibrato su 43.000 posti e oggi ci sono 5.000 operatori in meno e 20.000 detenuti in più nelle celle, questa situazione è insostenibile;
la popolazione delle carceri continua dunque a crescere, con tutte le relative conseguenze, mentre gli agenti penitenziari sono costretti a lavorare in condizioni sempre peggiori, così come gli educatori, gli psicologi ed i medici. Il numero degli educatori è insufficiente. Risultano peraltro in aumento gli attacchi violenti al personale, che ormai in molti casi è demotivato, stanco per l'eccessivo carico di lavoro e comunque non adeguatamente retribuito. Esiste una problematica specifica connessa agli ospedali psichiatrici giudiziari italiani, che si caratterizzano per una grave situazione di sovraffollamento e fatiscenza delle strutture. Occorre procedere ad interventi finalizzati al loro definitivo superamento;
valutato che l'articolo 27, comma terzo, della Costituzione sancisce solennemente che «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Tale indiscutibile principio di carattere finalistico ed educativo non può identificarsi, sotto il profilo statuale, solo con il pentimento interiore, con qualsiasi pena ed in qualsiasi condizione carceraria. Deve, pertanto, intendersi come concetto di relazione, rapportabile alla vita sociale e che presuppone un ritorno del soggetto nella comunità esterna. Rieducare il condannato significa riattivare il rispetto dei valori fondamentali del giusto rapporto con gli altri; deve intendersi come sinonimo di «recupero sociale» e di «reinserimento sociale». Ciò può avvenire solo in un quadro in cui siano evitate tutte le forme mascherate di amnistia e siano assicurate la certezza del diritto e della pena;
considerato infine essenziale il perseguimento del principio di legalità e valutata l'ineludibilità dell'efficienza del sistema giudiziario per il contrasto prioritario alla criminalità organizzata, alla corruzione ed all'evasione fiscale e, quindi, per il progresso socio-economico del Paese;
per quanto riguarda la giustizia minorile, si tratta di un settore di straordinaria importanza che è all'avanguardia nel mondo e copiato da molti Stati sia nella sua organizzazione e specializzazione, sia negli strumenti normativi, primo tra i quali il sistema del processo penale minorile in vigore dal 1989 e ispirato alle disposizioni sovranazionali, prima fra tutte quella sulle regole minime delle Nazioni Unite per l'amministrazione della giustizia minorile, approvate a Pechino nel 1990. Vorremmo richiamarla, signor ministro, alla necessità che lei non consenta lo smantellamento di una struttura che costituisce un fiore all'occhiello del sistema giustizia. Questo settore ha introdotto istituti innovativi, utili anche per l'ordinamento generale, quali l'improcedibilità per tenuità del fatto e la sospensione del processo con messa alla prova;
questo prezioso settore si trova esposto alla tagliola della riduzione strutturale per effetto della normativa che prevede la diminuzione da tre a due direzioni generali. L'interpretazione che ne ha dato la precedente amministrazione della giustizia riguardava la soppressione delle direzioni generali concernente il personale con il passaggio di quello penitenziario al DAP e di quello civile all'organizzazione giudiziaria. È evidente che tutto ciò rappresenterebbe lo smantellamento di professionalità di grande rilievo ed il venir meno di un'esperienza di grandissimo rilievo, con un danno irreparabile. La riduzione delle direzioni generali da tre a due può farsi anche mantenendo al dipartimento della giustizia minorile la gestione del personale attualmente in forza e delle strutture e servizi ad altissima specializzazione;
inoltre, la giustizia minorile ha visto la riduzione pesante dei trasferimenti che vanno ad incidere anche su prestazioni essenziali quali il vitto ed il vestiario dei giovani presenti negli istituti penali minorili;
ciò premesso, preso atto delle comunicazioni del ministro della giustizia ed esprimendo apprezzamento
invita il Governo, in materia di amministrazione della giustizia:
ad indicare chiaramente le riforme possibili, le priorità ed i tempi di realizzazione con riferimento alle problematiche di cui in premessa;
ad intraprendere la strada di una riforma coerente e positiva di sistema, intervenendo sulla struttura del procedimento penale per eliminare gli ostacoli alla sua celere celebrazione, in modo da risolvere definitivamente i problemi della giustizia legati alla ragionevole durata del processo, anche in ragione dei pressanti inviti rivolti al nostro Stato ad esibire risultati concreti o piani d'azione realistici per porre rimedio alle gravi carenze strutturali. Ulteriori ritardi nell'assumere le opportune misure contribuirebbero significativamente alle accuse di violazione dei diritti umani e costituirebbero in ogni caso una seria minaccia al principio dello Stato di diritto;
a sostenere l'esame e l'approvazione dei disegni di legge recanti interventi sistemici, tra i quali quelli presentati alla Camera in materia di accelerazione e razionalizzazione del processo penale e di prescrizione dei reati; riforma del processo civile, revisione della disciplina processuale del lavoro; efficienza della giustizia, istituzione dell'«ufficio per il processo» e riorganizzazione dell'amministrazione giudiziaria, nonché in materia di magistratura onoraria, reati di grave allarme sociale e certezza della pena, diritto societario e ripristino della disciplina previgente in materia di falso in bilancio e reati societari (articoli 2621 e seguenti del codice civile);
a sostenere altresì l'esame e l'approvazione delle proposte di Italia dei Valori in materia di «autoriciclaggio» e meccanismi di prevenzione applicabili agli strumenti finanziari, di lotta alla corruzione con l'accoglimento degli emendamenti presentati dall'Italia dei Valori in materia di nuovi delitti, oltre che a presentare un emendamento per l'esclusione della prescrizione processuale in tema di corruzione, collaboratori di giustizia, scambio elettorale politico-mafioso;
a sostenere l'approvazione della proposta di legge in materia di Fondo unico giustizia al fine di assegnare stabilmente il 49 per cento della totalità delle somme, e non solo di una quota parte delle stesse, al Ministero della giustizia ed al Ministero dell'interno ed il rimanente 2 per cento al bilancio dello Stato, superandosi definitivamente il regime di ripartizione delle risorse introdotto dal febbraio 2009 aumentando le dotazioni riservate alla giustizia;
a voler favorire, per quanto di competenza, il sollecito esame della proposta di Italia dei Valori in materia di inasprimento delle pene ed esclusione dell'applicazione dell'istituto della sospensione condizionale della pena per reati concernenti l'evasione e l'elusione fiscale;
a valutare l'opportunità di istituire una procura nazionale per la sicurezza sui luoghi di lavoro, anche attraverso la modifica all'articolo 19 del decreto legislativo n. 160/2006, nel senso di consentire la permanenza in servizio, presso lo stesso ufficio e per oltre i dieci anni, ai magistrati appartenenti a gruppi di lavoro specializzati;
a provvedere urgentemente al reperimento delle risorse adeguate per assicurare un'efficiente e celere amministrazione della giustizia ed anche una riforma organica del processo sia civile che penale, con particolare riferimento al sistema delle comunicazioni e delle notificazioni per via telematica, in modo da consentire agli uffici giudiziari di gestire il carico degli adempimenti e di superare i ritardi nella trattazione dei processi determinati da meri problemi procedurali o formali;
a prevedere un significativo incremento di personale nel comparto della giustizia, sia giudicante che amministrativo, con particolare riferimento ai servizi di cancelleria, assicurando inoltre un intervento urgente per garantire la verbalizzazione e la trascrizione degli atti presso tutti i singoli uffici giudiziari, quale passaggio fondamentale per lo svolgimento dei processi penali;
a reperire le necessarie risorse finanziarie per salvaguardare i livelli retributivi degli operatori della giustizia e del settore carcerario, nonché - soprattutto - per l'edilizia penitenziaria, prevedendo l'ampliamento e l'ammodernamento delle strutture esistenti con piena trasparenza e nel rispetto delle normative comunitarie, assicurando l'attuazione dei piani e dei programmi a tal fine previsti da precedenti leggi finanziarie, anziché a fare ricorso soltanto a procedure straordinarie in deroga alla normativa sugli appalti di lavori pubblici;
a provvedere ad una conseguente rimodulazione del numero di magistrati in distacco presso il Ministero della giustizia e presso le altre amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, anche al fine di sopperire al permanere della scopertura degli uffici giudiziari, con particolare riferimento alle sedi che si trovano in aree più esposte alla criminalità organizzata;
a riavviare il confronto con le rappresentanze sindacali del personale amministrativo e dirigenziale al fine di un confronto concreto e costruttivo sulle problematiche del settore e degli operatori; a convocare, parimenti, i sindacati di polizia penitenziaria e le rappresentanze di tutto il personale penitenziario ed a reperire adeguate risorse per consentire di colmare la grave e perdurante scopertura di organico del personale;
ad informare il Parlamento sui lavori e i risultati del gruppo istituito con il precipuo compito di elaborare proposte di riorganizzazione dei circuiti detentivi e di possibili interventi normativi finalizzati a ridurre il sovraffollamento carcerario;
a voler mettere in atto ogni iniziativa volta alla predisposizione di strategie di investimenti di lungo periodo volte alla informatizzazione e digitalizzazione del comparto giustizia;
con riferimento al sistema carcerario impegna, altresì, il Governo:
a fornire al Parlamento un elenco completo delle strutture penitenziarie già edificate e pronte all'utilizzo che, tuttavia, non sono state ancora rese operative, evidenziando le motivazioni che sottostanno al mancato utilizzo delle stesse e le misure che si intende assumere per rimuovere immediatamente gli ostacoli;
a disporre le opportune verifiche all'interno degli istituti penitenziari - compresi gli ospedali psichiatrici giudiziari, in vista del loro definitivo superamento - al fine di accertare che le condizioni strutturali, le risorse economiche e strumentali disponibili assicurino che non sia posta in essere alcuna violazione del diritto a non subire trattamenti degradanti o vessatori di natura fisica o psicologica;
a valutare il prioritario adattamento delle strutture esistenti, ove possibile, in luogo della moltiplicazione di procedure speciali e derogatorie alla vigente normativa edilizia e delle opere pubbliche;
a valutare, in tale contesto, anche l'opportunità di una diversa utilizzazione di immobili ad uso penitenziario siti nei centri storici che si rivelino non adattabili procedendo alla realizzazione di nuovi e moderni istituti penitenziari in altri siti, assicurando sempre nell'affidamento dei lavori il pieno rispetto della normativa nazionale e comunitaria vigente;
a reperire le necessarie risorse finanziarie per salvaguardare i livelli retributivi degli operatori della giustizia e del settore carcerario, nonché per l'edilizia penitenziaria prevedendo, nel rispetto della normativa vigente, la realizzazione di nuove strutture solo ove necessario e, con priorità, l'ampliamento e l'ammodernamento di quelle esistenti che siano adattabili, assicurando anche l'attuazione dei piani e dei programmi a tal fine previsti da precedenti leggi finanziarie, in luogo del ricorso a procedure straordinarie in deroga alla normativa sugli appalti di lavori pubblici;
ad incoraggiare un significativo miglioramento della qualità di preparazione del personale penitenziario adibito alla custodia a qualsiasi livello gerarchico, attraverso processi di formazione che non si fermino alla fase iniziale di impiego ma accompagnino l'operatore lungo l'intera sua attività lavorativa, e che abbiano tra i propri obiettivi quello di istruire in merito ai diritti umani e ai meccanismi di prevenzione delle loro violazioni, nonché ai percorsi di reinserimento sociale delle persone detenute. Una cultura della polizia penitenziaria improntata in questo senso, oltre ad apportare un beneficio all'intero sistema e a dargli un indirizzo più attento al trattamento in generale, eviterebbe inutili conflittualità spesso all'origine di rapporti disciplinari ostativi di benefici penitenziari e modalità alternative di espiazione della pena;
a convocare i sindacati di polizia penitenziaria e le rappresentanze di tutto il personale penitenziario al fine di un confronto concreto e costruttivo sulle problematiche delle carceri e degli operatori;
ad assumere iniziative per lo stanziamento di fondi necessari per completare l'organico degli operatori, compresi psicologi ed educatori, previsti dalla pianta organica attualmente vigente presso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, considerato che lo sforzo economico da sostenere è esiguo ma necessario per far funzionare meglio ed in modo più umano una branca importantissima del nostro sistema giustizia, che non può più attendere;
a sostenere iniziative al fine di promuovere, con adeguati provvedimenti organizzativi e di finanziamento, l'attuazione del diritto al lavoro in carcere, sotto il profilo educativo e, più in generale, sotto quello economico, anche attraverso l'utilizzo di cooperative esterne, sulla base di positive esperienze già registrate in altri Paesi dell'Unione europea;
ad informare il Parlamento sull'attuale ed effettivo stato di utilizzo degli strumenti tecnici di controllo a distanza dei soggetti condannati agli arresti domiciliari ovvero all'obbligo di dimora (cosiddetti braccialetti elettronici) sulle verifiche dell'efficacia di tali strumenti, sui costi unitari dei braccialetti in questione e sulle condizioni contrattuali per il loro utilizzo;
con riferimento alla giustizia minorile impegna:
a preservare e potenziare l'attuale strutturazione ed organizzazione della giustizia, evitando ed impedendo lo smembramento con il passaggio delle professionalità in carico ad essa ad altri rami dell'amministrazione della giustizia, che non ne trarrebbero vantaggio data l'esiguità del numero di unità di personale, adeguatamente modellando il decreto attuativo della ristrutturazione del settore in modo da perseguire quell'obiettivo;
a potenziare il settore fornendolo degli strumenti operativi e finanziari necessari per perseguire l'obiettivo del recupero sociale di cittadini particolarmente vulnerabili ed indifesi anche a cagione della loro età minore.
(6-00101)
«Di Pietro, Palomba, Donadi, Borghesi, Evangelisti».

La Camera,
udite le comunicazioni del ministro della giustizia sull'amministrazione della giustizia, ai sensi dell'articolo 86 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come modificato dall'articolo 2, comma 29, della legge 25 luglio 2005, n. 150;
premesso che:
la crisi della giustizia e delle carceri, a causa dei numerosi e complessi problemi cui non si è data in tanti anni adeguata risposta da parte del legislatore e del Governo, rappresenta la più grave questione sociale del nostro Paese perché colpisce direttamente milioni di persone vittime della lentezza dei processi, di condizioni di detenzione intollerabili e di reati che restano impuniti, con ciò minando alle fondamenta il principio stesso di legalità e certezza del diritto;
è un dato oggettivo e non più un'opinione di alcuni che lo stato della giustizia nel nostro Paese abbia raggiunto livelli di inefficienza assolutamente intollerabili, sconosciuti in altri paesi democratici, per i quali l'Italia versa, da anni ed in modo permanente, in una situazione di sostanziale illegalità, tale da aver generato numerosissime condanne da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo;
il diritto ad ottenere giustizia è garantito a tutti dalla Costituzione repubblicana, ma è oggi posto seriamente in discussione: le attuali condizioni degli uffici giudiziari italiani e del sistema giustizia nel suo complesso, unitamente ad una mancata riforma organica della normativa sostanziale e processuale, impediscono di fatto di assicurarlo in tempi brevi e in modo efficace;
il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, nella risoluzione del 2 dicembre 2010, ha posto sotto osservazione speciale lo stato della giustizia del nostro Paese e ha ribadito che i tempi eccessivi dei procedimenti giudiziari pongono in discussione la stessa riconoscibilità nel nostro Paese di un vero e proprio Stato di diritto, tutto ciò prospettando il rischio di gravi sanzioni a carico dell'Italia, con disdoro internazionale dell'immagine del Paese e vanificazione dei sacrifici sopportati dai cittadini per costruire una nazione degna di far parte del gruppo di testa della Comunità europea;
nel settore civile i fascicoli accumulati sono oltre 5 milioni e mezzo, una montagna di carta che, secondo recenti stime, si traduce in quasi 96 miliardi di euro di mancata ricchezza (pari al 4,8% del PIL). La lentezza dei processi frena la crescita per cittadini, imprese e investimenti esteri con costi enormi per il Paese; un recente studio di Confindustria ha calcolato che il solo abbattimento del 10% dei tempi della giustizia civile potrebbe determinare un incremento dello 0,8% del PIL. L'Ufficio studi di Confartigianato stima che la giustizia-lumaca sottrae agli imprenditori risorse per 2,2 miliardi di euro;
in tema di competitività del sistema giudiziario, il rapporto «Doing Business 2012» della Banca Mondiale risulta addirittura impietoso, atteso che per esso l'Italia risulta essere il fanalino di coda nella Unione europea e 158esima sui complessivi 183 paesi del pianeta. Secondo il citato rapporto, nel nostro Paese servono 1.210 giorni per tutelare un contratto (in Germania 394, in Gran Bretagna 389 e in Francia 331) ossia ben 692 giorni in più rispetto alla media dei 518 paesi dell'Ocse. Stime della Banca d'Italia indicano un impressionante deficit pubblico giudiziario tutto da sanare e osservano che «la perdita annua di prodotto attribuibile ai difetti della nostra giustizia civile potrebbe giungere a un punto percentuale», basti pensare che le aziende straniere incassano i danni nel giro di 12 mesi, mentre quelle italiane devono aspettare in media oltre tre anni oppure accettare accordi al ribasso, e nel frattempo chiedere prestiti per sopravvivere. Per non parlare dei fallimenti, che durano in media non meno di 10 anni;
nel settore della giustizia penale i procedimenti pendenti ammontano a circa 3.300,00, cifra che sale a più di 5.000.000 se nella conta si includono anche i procedimenti pendenti nei confronti di ignoti. In media, ogni anno, si hanno tre milioni di notizie di reato e se a ciò si aggiunge la cifra oscura del crimine si è portati inevitabilmente a delineare uno scenario dirompente. La durata media dei procedimenti presso le procure della Repubblica è di circa 400 giorni; quella dei processi penali davanti ai tribunali si attesta intorno ai 350 giorni, mentre i procedimenti davanti alle Corti d'appello durano in termini assoluti più di 730 giorni. Ma la situazione della giustizia penale è addirittura ben peggiore di quella che emerge da tali dati: questi, infatti, si riferiscono a medie che comprendono anche i processi che si esauriscono in pochi giorni, se non in poche ore e comunque non tengono conto del lasso temporale che intercorre, ad esempio, per la redazione del provvedimento definitorio e per la trasmissione degli atti al giudice della fase successiva;
dall'analisi che la Corte europea dei diritti dell'uomo ha compiuto sulle proprie decisioni nel cinquantennio 1959-2010 risulta che l'Italia ha riportato 2.121 condanne, la maggior parte delle quali dovute all'eccessiva lunghezza dei processi (1.139); alla mancanza di un equo processo (238); alla violazione del diritto di proprietà (297) e alla violazione del diritto ad un ricorso effettivo (76). Il nostro Paese risulta quindi quello tra i più condannati in ambito dell'Unione europea; mentre rispetto alla più ampia platea dei 47 paesi che aderiscono alla CEDU, il nostro Paese si attesta al secondo posto superato solo dalla Turchia (Turchia 2.573; Italia 2.121, Russia 1.079);
rispetto a tale situazione la stessa introduzione della cosiddetta «legge Pinto», strumentalmente approvata al solo fine di evitare continue condanne da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo, ha ulteriormente sovraccaricato i ruoli delle Corti di appello e, d'altra parte, per quanto è stato autorevolmente affermato, se tutti gli aventi diritto dovessero agire nei confronti dello Stato sulla base della cosiddetta «legge Pinto», lo Stato stesso sarebbe costretto a dichiarare bancarotta;
ed invero dall'entrata in vigore della cosiddetta legge Pinto, sono stati promossi dinanzi alle Corti d'appello quasi 40.000 procedimenti camerali per l'equa riparazione dei danni derivanti dall'irragionevole durata del processo, con costi enormi per le finanze dello Stato (nel 2008 il danno per le casse dello Stato è stato di 81,3 milioni di euro, l'anno successivo è lievitato a 267 e nel 2010 ha superato i 300 milioni), il quale, inoltre, ritarda nel pagamento degli indennizzi già liquidati in via giudiziale, al punto che la stessa Corte di Strasburgo, nel comunicato stampa n. 991 del 21 dicembre 2010, ha reso noto di aver pronunziato, in un solo mese, 475 sentenze di condanna dell'Italia per ritardati pagamenti di indennizzi e che presso di essa sono già pendenti oltre 3.900 ricorsi aventi il medesimo fondamento;
l'oggettiva impossibilità di evadere nel settore penale un numero così elevato di carichi pendenti ha indotto in passato alcune procure della Repubblica ad emanare circolari nelle quali viene stabilita una scala di priorità nella trattazione dei procedimenti, ciò in aperta violazione della legalità giudiziaria stabilita dal precetto costituzionale e codicistico dell'obbligatorietà dell'azione penale;
negli ultimi dieci anni, a causa dell'eccessivo ed esorbitante numero dei procedimenti pendenti, sono stati dichiarati estinti per intervenuta prescrizione poco meno di due milioni di reati (in media, ogni anno, si registrano in Italia circa 180 mila prescrizioni con un costo per i contribuenti di poco più di 84 milioni di euro), il che ha dato vita ad una vera e propria amnistia strisciante, crescente, nascosta, di classe e non governata;
il sistema giudiziario italiano si contraddistingue inoltre per non essere in grado di far fronte alla massa crescente dell'illegalità che pervade il Paese. La giustizia relativa ai reati minori sta addirittura scomparendo, schiacciata dalle esigenze di quella maggiore. Sicché la giustizia italiana, avendo smarrito la sua funzione di forza stabilizzante e riparatrice, non può più dare né speranza né conforto, e genera invece sofferenza. Anche da questo punto di vista i numeri confermano largamente la crisi in atto. Infatti, su circa tre milioni di delitti denunziati, quasi due terzi riguardano i furti, di cui rimangono ignoti gli autori nella misura del 97,4 per cento. Del resto anche per gli altri reati non è che vada molto meglio, giacché su omicidi, rapine, estorsioni e sequestri di persona a scopo di estorsione, la percentuale media degli autori che rimane impunita supera l'80 per cento;
l'elevato numero dei reati che ogni anno rimangono sostanzialmente impuniti, unito all'enorme numero di processi pendenti e all'impossibilità che questi siano definiti in tempi ragionevoli, ha ormai determinato una sfiducia generalizzata dei cittadini nel sistema giustizia tale da rendere sempre più concreto il pericolo che si ricorra a forme di esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Del resto se si pensa che ogni processo penale coinvolge un numero di persone, come imputati o parti lese, certamente superiore alle cifre sopra indicate, si ha subito la sensazione concreta dell'entità dell'interesse e del malcontento che per la giustizia hanno i cittadini. Non senza considerare le spese e i costi materiali e le ansie che i processi comportano per ciascuna delle persone coinvolte e dei loro familiari;
le numerose condanne che ancora vengono pronunciate nei confronti dell'Italia dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo testimoniano come le misure adottate dal nostro Paese in questi ultimi due decenni non siano risultate idonee ad assicurare il ripristino di condizioni di funzionamento dell'apparato giudiziario ritenute normalmente accettabili a livello internazionale;
la garanzia del diritto dei cittadini alla sicurezza presuppone necessariamente un sistema giudiziario efficiente, per il cui miglioramento è necessario realizzare riforme normative organiche e stanziare risorse adeguate e idonee a realizzare un effettivo miglioramento della qualità dell'amministrazione della giustizia;
per realizzare una seria riforma della giustizia occorre un progetto organico di interventi diretti a restituire credibilità ed efficienza all'intero sistema giudiziario, allo scopo di farlo funzionare, fornendo risposte rapide ed efficienti alle attese dei cittadini e assicurando loro una ragionevole durata dei processi civili e penali, nel rispetto dell'articolo 111 della Costituzione e senza rinunziare alle altre garanzie costituzionali;
il sistema giudiziario, oltre che efficiente, va reso anche giusto e garantito, sicché occorre realizzare una riforma complessiva del diritto e del processo penale, il cui obiettivo sia quello di assicurare non solo l'efficacia del sistema giudiziario, ma anche l'affermazione di principi quali, tra gli altri, la terzietà del giudice, la responsabilità civile dei magistrati e il superamento del principio dell'obbligatorietà dell'azione penale;
in particolare, per il sistema penale, è di massima importanza introdurre strumenti di deflazione del carico di lavoro degli uffici inquirenti e giudicanti quali: la depenalizzazione dei reati minori, l'introduzione dell'istituto dell'archiviazione dell'irrilevanza penale del fatto e la mediazione dei conflitti interpersonali. In questa stessa chiave assume un ruolo strategico la previsione di una clausola di necessaria offensività del fatto penale. Già da sole, queste innovazioni assicurerebbero maggiore razionalità, coerenza ed efficienza al sistema penale;
considerato inoltre che:
la situazione di grave crisi e sfascio in cui versa il nostro apparato giudiziario incide pesantemente sulla sua appendice ultima, quella carceraria, sicché nel contesto dato i concetti stessi di «pena certa» e di esecuzione «reale» della stessa rischiano di risultare fortemente limitativi se non del tutto fuorvianti;
il numero elevato ed in costante crescita della popolazione detenuta, che al 31 dicembre 2011 ammontava a 67.600 unità - a fronte di una capienza regolamentare ufficiale di 45.320 posti -, produce un sovraffollamento insostenibile delle nostre strutture penitenziarie (la popolazione detenuta risulta in sovrannumero di ben 22.280 unità);
i nostri istituti di pena stanno affrontando una fase di profonda regressione perché «affogati» e privi di funzionalità a causa dell'aumento di misure contraddittorie ed incontrollabili nell'ambito dell'esecuzione pena e del sistema penitenziario;
sempre al 31 dicembre 2011 i condannati con sentenza definitiva risultavano essere 37.591, mentre i detenuti ristretti in custodia cautelare 28.220, di questi ben 14.260 sono in attesa della sentenza di primo grado. In pratica il 42 per cento dei reclusi - ossia una percentuale quasi doppia rispetto a quella della media europea - è in attesa di giudizio e quasi la metà di loro verrà assolta all'esito del processo; il che significa che il ricorso sempre più frequente alla misura cautelare in carcere e la lunga durata dei processi - dato abnorme e anomalia tipicamente italiana - costringe centinaia di migliaia di presunti innocenti a scontare lunghe pene in condizioni spesso illegali e disumane;
nel corso del convegno: «Giustizia! In nome del popolo sovrano», svoltosi lo scorso 28 e 29 luglio presso il Senato della Repubblica, il dottor Ernesto Lupo, primo presidente della Corte di Cassazione, ha dichiarato: «[...]Tenere sempre presente la concreta realtà carceraria può e deve costituire un efficace antidoto all'uso non necessitato della custodia cautelare e contribuire a far diminuire il dato percentuale dei detenuti imputati, oggi ancora elevato, per quanto inferiore a quello degli anni passati. [...]Il carcere, in queste condizioni, rischia di essere un fattore generatore di illegalità, in contrasto palese e inaccettabile con la sua fisionomia normativa [...]»;
complessivamente, a febbraio 2011, i condannati ammessi ad una misura alternativa risultavano essere 16.018, dei quali 8.604 sono in affidamento ai servizi sociali, 858 in semilibertà e 6.556 in detenzione domiciliare. Tra quanti in Italia stanno scontando una condanna definitiva, il 34,4 per cento ha un residuo di pena inferiore ad un anno, addirittura il 62,9 per cento inferiore a tre anni, soglia che rappresenta il limite di pena per l'accesso alle misure alternative della semilibertà e dell'affidamento in prova, il che dimostra come in Italia il sistema delle misure alternative si sia sostanzialmente inceppato; ciò sebbene le statistiche abbiano dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio che il detenuto che sconta la pena con una misura alternativa ha un tasso di recidiva bassissimo, mentre chi sconta la pena in carcere torna a delinquere con una percentuale vicina al 70 per cento; le misure alternative quindi abbattono i costi della detenzione, riducono la possibilità che la persona reclusa commetta nuovi reati aumentando la sicurezza sociale e sconfiggono il deleterio «ozio del detenuto» avviandolo a lavori socialmente utili con diretto vantaggio per l'intera comunità;
il 30 per cento dei detenuti è tossicodipendente, il 20 per cento invece è affetto da patologie psichiatriche. Negli ultimi 12 anni (periodo 2000-2011) nelle carceri italiane sono morti 1.856 detenuti, e altri 700 si sono tolti la vita. Nel 2011 all'interno dei nostri istituti di pena si sono verificati 186 decessi, di cui 66 suicidi. In Italia la percentuale delle morti violente in carcere su 10.000,00 detenuti è pari al 10,24 per cento, negli Stati Uniti del 2,55 per cento: in pratica nelle carceri italiane le morti violente accadono con una frequenza addirittura 4 volte maggiore rispetto a quanto avviene nei famigerati penitenziari americani;
in tale contesto si registra, inoltre, una gravissima carenza organica del Corpo di polizia penitenziaria per circa 7.500,00 unità; situazione che riguarda anche il personale addetto al trattamento e alla rieducazione dei detenuti: educatori e assistenti sociali per non parlare degli psicologi, figura professionale importantissima, in via di estinzione nelle nostre carceri;
il sovraffollamento, la mancanza di spazi, l'inadeguatezza delle strutture carcerarie, la carenza degli organici e del personale civile, lo stato di sofferenza in cui versa la sanità all'interno delle carceri, tutto ciò provoca una situazione contraria ai principi costituzionali ed alle norme del regolamento penitenziario impedendo il trattamento rieducativo e minando l'equilibrio psico-fisico dei detenuti, con incremento, negli ultimi due anni, dei suicidi e di gravi malattie; ed invero il sovraffollamento ha effetti dirompenti, tra l'altro, proprio sulle condizioni di salute dei reclusi, ai quali non vengono garantite le più elementari norme igieniche e sanitarie, atteso che gli stessi sono costretti a vivere in uno spazio che non corrisponde a quello minimo vitale, con una riduzione della mobilità che è causa di patologie specifiche;
il sovraffollamento rischia di assumere dimensioni tali da creare addirittura problemi di ordine pubblico; in questa situazione di emergenza la funzione rieducativa e riabilitativa della pena è venuta meno; il rapporto numerico tra detenuti ed educatori e assistenti sociali ha frustrato ogni possibile serio tentativo di intraprendere e seguire, per la maggior parte dei reclusi, percorsi individualizzati così come previsto dall'ordinamento penitenziario. Tutto ciò rappresenta innanzitutto una questione di legalità perché nulla è più disastroso che far vivere chi non ha recepito il senso di legalità - avendo commesso reati - in una situazione di palese non corrispondenza tra quanto normativamente definito e quanto viene attuato in pratica ed è quotidianamente vissuto dagli operatori del settore e dai detenuti stessi;
l'enorme tasso di sovraffollamento comporta automaticamente porsi fuori dalle regole minime, costituzionalmente previste, della funzione rieducativa della pena per scadere in quei trattamenti contrari al senso di umanità sanzionati non solo dal nostro ordinamento giuridico, ma anche dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo se è vero, come è vero, che recentemente lo Stato italiano è stato condannato - sulla base dell'articolo 3 della Convenzione (divieto di pene o trattamenti inumani o degradanti) - a mille euro di risarcimento per aver costretto un detenuto a vivere due mesi e mezzo all'interno di una cella in uno spazio di appena 2,7 metri quadrati (Sulejmanovic c. Italia - ricorso n. 22635/03);
nel gennaio 2010 il ministro della giustizia aveva comunicato all'Assemblea del Senato che per affrontare la drammatica situazione del nostro sistema carcerario il Consiglio dei ministri aveva disposto la dichiarazione dello stato di emergenza per tutto il 2010: uno «strumento fondamentale» a parere del ministro - per provvedere alla realizzazione di quegli interventi che avrebbero consentito di rispettare il precetto dell'articolo 27 della Costituzione, secondo il quale «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»;
il cosiddetto Piano carceri per il 2010, rimane in gran parte inattuato: il primo pilastro del piano, relativo agli interventi di edilizia penitenziaria per la costruzione di nuovi padiglioni e di istituti necessari ad aggiungere oltre 20.000 posti alla dotazione disponibile, è molto lontano dall'essere realizzato: come ammesso dalla stessa amministrazione penitenziaria solamente per la creazione di 10.806 nuovi posti ci sarebbe una adeguata copertura finanziaria, senza però considerare i costi per il personale da assumere per le nuove strutture, la gestione quotidiana delle carceri, per non parlare dell'eventuale costo del lavoro dei detenuti. Si punta tutto sulla realizzazione di nuovi padiglioni da costruirsi all'interno delle mura di cinta di istituti penitenziari già esistenti occupando, quindi, spazi oggi a disposizione del personale penitenziario o della popolazione detenuta per attività sportive o ricreative che si tengono all'aperto, attività essenziali ad assicurare quel minimo di vivibilità delle attuali strutture;
non si è ancora interamente proceduto alle duemila assunzioni di nuovi agenti di polizia penitenziaria che avrebbero dovuto costituire il terzo pilastro del piano. Inoltre, riguardo agli interventi normativi annunciati - il secondo pilastro del piano del ministro - la legge sull'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori un anno (legge n. 99 del 2010) sta avendo effetti trascurabili sulla popolazione penitenziaria;
di fronte alle drammatiche condizioni di vita dei detenuti, il «piano carceri» fornisce risposte di tutta evidenza inadeguate. È indispensabile l'elaborazione e l'attuazione di un progetto che punti insieme alla riduzione della pena carceraria e, soprattutto, dell'area della penalità; occorre inoltre riavviare il sistema delle misure alternative, ripensando quel meccanismo di preclusioni automatiche che - soprattutto con riferimento ai condannati a pene brevi - ha finito per imprimere il colpo mortale alla capacità di assorbimento del sistema penitenziario; su tale versante è anche necessario rafforzare e rendere più estesa l'applicazione della detenzione domiciliare quale strumento centrale nell'esecuzione penale relativa a condanne di minore gravità anche attraverso l'attivazione di serie ed efficaci misure di controllo a distanza dei detenuti;
intervenendo in occasione del convegno: «Giustizia! In nome del popolo sovrano», svoltosi lo scorso 28 e 29 luglio presso il Senato della Repubblica, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha dichiarato che la giustizia «è una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile» e che la realtà carceraria rappresenta «un'emergenza assillante, fuori del trattato costituzionale, che ci umilia in Europa e nel mondo», sollecitando quindi dalla politica «uno scatto e delle risposte»;
nel libro «Diritti e Castighi», Lucia Castellano e Donatella Stasio - rispettivamente direttrice di carcere e giornalista - hanno definito la condizione carceraria presente all'interno dei nostri istituti di pena con l'espressione «tortura legalizzata»;
in un recente saggio il dottor Alberto Gargani, professore di diritto penale, studiando il rapporto tra sovraffollamento e violazione dei diritti umani, ha scritto che nei confronti dei detenuti vengono consumate quotidianamente forme di maltrattamento massive e seriali a causa dell'eccessivo numero delle persone ristrette all'interno dei nostri istituti di pena;
con riferimento alla situazione esistente all'interno dei nostri istituti di pena, nel 2006 il dottor Sebastiano Ardita - allora responsabile della direzione generale dei detenuti e trattamento del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - ha dichiarato: «siamo consapevoli di versare in una situazione di grave, perdurante, quanto involontaria ed inevitabile divergenza dalle regole, per il fatto di non essere nella materiale possibilità di garantire, a causa del sovraffollamento, quanto previsto dalle normative vigenti e dal recente regolamento penitenziario» (fonte ANSA 1o marzo 2006);
il dottor Francesco Cascini, magistrato, responsabile del servizio ispettivo del DAP, in occasione del workshop realizzato all'interno del seminario per giornalisti «Redattore Sociale» tenutosi nel novembre 2009 ha reso noto che «in tutti i paesi europei ci sono circa 500 mila detenuti, di cui 130 mila in attesa di giudizio. L'Italia contribuisce con oltre 31mila detenuti. È di gran lunga il Paese con il numero più alto di detenuti in attesa di giudizio»;
in questo contesto, le condizioni disumane in cui si espia la pena in carcere sono diventate più una forma di perpetuazione dell'ingiustizia, piuttosto che uno strumento di affermazione della certezza del diritto anche nel suo aspetto punitivo; nei nostri istituti di pena vengono recluse, infatti, soprattutto le persone meno in grado di utilizzare la pressoché paralisi del sistema giudiziario a proprio vantaggio, per esempio attraverso l'istituto della prescrizione, o gli autori dei reati collegati a fenomeni sociali come l'immigrazione e la tossicodipendenza, che lo Stato aggrava con leggi più criminogene che adeguate a risolverli;
di fronte ad un sistema giudiziario e ad una realtà carceraria così ingiusti e così lontani dai loro veri scopi e alla luce delle gravi condizione igieniche e di vivibilità che hanno ormai trasformato la pena in una tortura legalizzata e il carcere in un sistema chiuso, sempre più patogeno e criminogeno, occorrono soluzioni immediate e radicali in grado di assicurare l'improcrastinabile rientro da parte del nostro Paese nel perimetro della legge e dello stato di diritto;
ritenuto infine che:
in un contesto di tale sfascio e assenza di legalità, su iniziativa dei deputati e senatori radicali eletti nelle liste del partito democratico, in questa legislatura sono già state presentate e approvate risoluzioni e mozioni che hanno impegnato il precedente Governo a varare alcune importanti riforme sia in ambito giudiziario che penitenziario;
in particolare, nella seduta del 28 gennaio 2009 la Camera dei deputati, previo parere favorevole del Governo, ha approvato una risoluzione presentata dai deputati radicali eletti nelle liste del Partito Democratico, nella quale si chiede che si dia finalmente corso ad una riforma organica della giustizia di carattere democratico e liberale, fondata su alcuni capisaldi, tra i quali: l'abolizione della obbligatorietà dell'azione penale, in modo da non assoggettare più la stessa all'arbitrio delle procure della Repubblica; una modifica ordinamentale basata sul principio della effettiva separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti; la responsabilizzazione del pubblico ministero per l'osservanza delle priorità fissate; la riforma del Consiglio Superiore della Magistratura che riconduca tale consesso all'originario ruolo attribuitogli dai costituenti, sottraendolo ai giochi di corrente e all'influenza del sindacato della magistratura; la reintroduzione di severi vagli della professionalità dei magistrati nel corso dei 40-45 anni della loro permanenza in carriera; la modifica della legge sulla responsabilità civile dei magistrati, con modalità tali da garantire ai cittadini ingiustamente danneggiati da provvedimenti del giudice o del pubblico ministero, di ottenere il risarcimento integrale dei danni direttamente dal magistrato, pur con la previsione di meccanismi volti ad eliminare il pericolo di azioni intimidatorie e strumentali; la revisione delle modalità di collocamento fuori ruolo dei magistrati e di attribuzione degli incarichi extragiudiziari, salvaguardando le contrapposte esigenze di non disperdere forza lavoro né, per contro, preziose professionalità; l'incompatibilità tra la permanenza nell'ordine giudiziario e l'assunzione di incarichi, elettivi e non, in rappresentanza di formazioni politiche; la promozione di una seria modernizzazione tecnologica degli uffici giudiziari; l'adeguamento numerico e la promozione di qualificazioni professionali degli organici del personale anche amministrativo; la notifica della natura dei termini processuali, con la previsione generalizzata di termini perentori e di sanzioni disciplinari per la loro inosservanza da parte dei magistrati; la radicale semplificazione delle modalità di modifica degli atti giudiziari; la definizione di tempi standard dei procedimenti civili e penali; la modifica delle procedure di nomina dei capi degli uffici e un potenziamento del ruolo gestionale del dirigente amministrativo dell'ufficio; una forte depenalizzazione ed una razionalizzazione delle fattispecie criminose;
inoltre nella seduta del 12 gennaio 2010 la Camera dei deputati, previo parere favorevole espresso dal Governo, ha approvato la mozione n. 1-00288 presentata dai deputati radicali eletti nelle liste del Partito Democratico e sottoscritta da quasi cento parlamentari aderenti a pressoché tutti i gruppi politici, con la quale il precedente esecutivo si era impegnato ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, volte ad attuare, con il più ampio confronto con le forze politiche presenti in Parlamento, una riforma davvero radicale in materia di custodia cautelare preventiva, di tutela dei diritti dei detenuti, di esecuzione pena e, più in generale, di trattamenti sanzionatori e rieducativi, che preveda la riduzione dei tempi di custodia cautelare, perlomeno per i reati meno gravi, nonché del potere della magistratura nell'applicazione delle misure cautelari personali a casi tassativamente previsti dal legislatore, previa modifica dell'articolo 280 del codice di procedura penale; l'introduzione di meccanismi in grado di garantire una reale ed efficace protezione del principio di umanizzazione della pena e del suo fine rieducativo, assicurando al detenuto un'adeguata tutela giurisdizionale nei confronti degli atti dell'amministrazione penitenziaria lesivi dei suoi diritti; il rafforzamento sia degli strumenti alternativi al carcere previsti dalla cosiddetta legge «Gozzini», da applicare direttamente anche nella fase di cognizione, sia delle sanzioni penali alternative alla detenzione intramuraria, a partire dalla estensione dell'istituto della messa alla prova, previsto dall'ordinamento minorile, anche nel procedimento penale ordinario; l'applicazione della detenzione domiciliare, quale strumento centrale nell'esecuzione penale relativa a condanne di minore gravità, anche attraverso l'attivazione di serie ed efficaci misure di controllo a distanza dei detenuti; l'istituzione di centri di accoglienza per le pene alternative degli extra-comunitari, quale strumento per favorirne l'integrazione ed il reinserimento sociale e quindi ridurre il rischio di recidiva; la creazione di istituti «a custodia attenuata» per tossicodipendenti, realizzabili in tempi relativamente brevi anche ricorrendo a forme di convenzioni e intese con il settore privato e del volontariato che già si occupa dei soggetti in trattamento; la piena attuazione del principio della territorialità della pena previsto dall'ordinamento penitenziario, in modo da poter esercitare al meglio tutte quelle attività di sostegno e trattamento del detenuto che richiedono relazioni stabili e assidue tra quest'ultimo, i propri familiari e i servizi territoriali della regione di residenza; l'adeguamento degli organici del personale penitenziario ed amministrativo, nonché dei medici, degli infermieri, degli assistenti sociali, degli educatori e degli psicologi, non solo per ciò che concerne la loro consistenza numerica, ma anche per ciò che riguarda la promozione di qualificazioni professionali atte a facilitare il reinserimento sociale dei detenuti; il miglioramento del servizio sanitario penitenziario, dando seguito alla riforma della medicina penitenziaria già avviata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o aprile 2008, in modo che la stessa possa trovare, finalmente, effettiva e concreta applicazione; l'applicazione concreta della legge 22 giugno 2000 n. 193 (cosiddetta legge «Smuraglia»); l'esclusione dal circuito carcerario delle donne con i loro bambini; una forte spinta all'attività di valutazione e finanziamento dei progetti di reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti, nonché di aiuti alle loro famiglie, prevista dalla legge istitutiva della Cassa delle ammende;
nel corso della presente legislatura, i deputati radicali eletti nelle liste del PD hanno elaborato anche diverse proposte volte a tradurre in altrettanti articolati di legge i punti più rilevanti e salienti di entrambi i documenti sopra richiamati;
tuttavia le proposte contenute tanto nella risoluzione sulla giustizia del 28 gennaio 2009 quanto nella mozione sulle carceri del 12 gennaio 2010, sono state mano a mano «differite nel tempo», più o meno esplicitamente, fino al punto, oggi, da essere apparentemente accantonate nei fatti;
l'attuale situazione di profonda e devastante illegalità in cui versano il nostro sistema giudiziario e penitenziario non può essere affrontata con misure tanto effimere quanto intempestive sul fronte dell'edilizia penitenziaria, della depenalizzazione dei reati minori o del parziale rafforzamento delle misure alternative, ma solo con provvedimenti quali l'amnistia e l'indulto i quali avrebbero il pregio di riattivare immediatamente i meccanismi giudiziari ormai prossimi al collasso, evitando una dissennata lotta contro la prescrizione incombente, consentendo così al nostro Stato di rientrare nella legalità e di ricondurre il sistema carcerario a forme più umane, il che faciliterebbe l'avvio di quelle riforme strutturali e funzionali della Giustizia capaci di impedire il rapido ritorno alla situazione attuale;
l'amnistia e l'indulto, quindi, non rappresentano soltanto una risposta d'eccezione ed umanitaria al dramma della condizione carceraria, ma costituiscono la premessa indispensabile per l'avvio e l'approvazione di riforme strutturali relative al sistema delle pene, alla loro esecuzione e più in generale all'amministrazione della giustizia. Inoltre la loro approvazione è necessaria per ricondurre entro numeri sostenibili il carico dei procedimenti penali nonché per sgravare il carico umano che soffre in tutte le sue componenti (detenuti, personale civile, amministrativo e di custodia) la condizione disastrosa delle prigioni, perché nessuna giustizia e nessuna certezza della pena possono essere assicurate se uno Stato per primo non rispetta la propria legalità ed è impossibilitato a garantire la certezza del diritto,

impegna il Governo:

a dare concreta attuazione alla risoluzione n. 6-00012 approvata dalla Camera dei deputati il 28 gennaio 2009; nonché alla mozione n. 1-00288 approvata dalla Camera dei deputati in data 12 gennaio 2010;
a prevedere scadenze certe, rapide ed improrogabili entro le quali con adeguati provvedimenti dimezzare il numero dei procedimenti penali pendenti e ricondurre il numero dei detenuti all'interno della capienza regolamentare dei nostri istituti di pena;
a presentare per tale ultimo scopo un disegno di legge volto alla concessione di un'ampia amnistia e dell'indulto in grado, da un lato, di ridurre gran parte dell'arretrato pendente che attualmente soffoca l'amministrazione quotidiana della giustizia penale, con ciò liberando risorse umane ed economiche da riversare anche nel civile e, dall'altro, di ricondurre il sistema carcerario al rispetto del dettato costituzionale e della legalità internazionale.
(6-00102)
«Bernardini, Mecacci, Beltrandi, Farina Coscioni, Maurizio Turco, Zamparutti».

MOZIONI GAROFALO ED ALTRI N. 1-00704, LO MONTE ED ALTRI N. 1-00699, BELCASTRO ED ALTRI N. 1-00697, DONADI ED ALTRI N. 1-00807, GALLETTI ED ALTRI N. 1-00812, MOFFA ED ALTRI N. 1-00813, META ED ALTRI N. 1-00815 E TOTO ED ALTRI N. 1-00816 CONCERNENTI INIZIATIVE PER LO SVILUPPO DEL SISTEMA DEL TRASPORTO FERROVIARIO DI PERSONE E MERCI, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL RIPRISTINO DELLA PRIORITÀ IN AMBITO COMUNITARIO DEL CORRIDOIO 1 BERLINO-PALERMO NELLA SUA CONFIGURAZIONE ORIGINARIA

Mozioni

La Camera,
premesso che:
la Commissione europea, il 28 marzo 2011, ha adottato il nuovo libro bianco dei trasporti Roadmap to a single European transport Area - towards a competitive and resource efficient transport system contenente una complessa strategia di ampio respiro sino al 2050, con la quale perseguire l'obiettivo di creare uno spazio europeo unico dei trasporti che sia caratterizzato da una maggiore concorrenza, che si basi su di una rete di trasporti pienamente integrata che colleghi i diversi modi e permetta un profondo cambiamento nei modi di trasporto per passeggeri e merci;
tra i dieci obiettivi la Commissione europea prevede che la maggior parte del trasporto di medie distanze dei passeggeri debba avvenire mediante ferrovia, per cui va completata la rete ad alta velocità a livello europeo, ed è necessario che venga creato il necessario collegamento tra reti ferroviarie, aeroportuali, marittime e fluviali;
il regolamento (CE) n. 1370/2007, del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2007, relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia, nei «considerando» n. 4 e n. 5 individua l'obiettivo per gli Stati membri di «garantire servizi di trasporto passeggeri sicuri, efficaci e di qualità grazie a una concorrenza regolamentata, che assicuri anche la trasparenza e l'efficienza dei servizi di trasporto pubblico di passeggeri, tenendo conto, in particolare, dei fattori sociali, ambientali e di sviluppo regionale, o nell'offrire condizioni tariffarie specifiche a talune categorie di viaggiatori», evidenziando che «molti servizi di trasporto terrestre di passeggeri che rappresentano una necessità sul piano dell'interesse economico generale non possono essere gestiti secondo una logica meramente commerciale. Occorre che le autorità competenti degli Stati membri abbiano la possibilità di intervenire per garantire la prestazione di tali servizi»;
ancora, il regolamento (CE) n. 1371/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, relativo ai diritti e agli obblighi dei passeggeri nel trasporto ferroviario, nel «considerando» n. 1 prevede che: «Nel quadro della politica comune dei trasporti, è importante tutelare i diritti dei passeggeri in quanto utenti del trasporto ferroviario, nonché migliorare la qualità e l'efficienza dei servizi di trasporto ferroviario di passeggeri per aiutare il trasporto su rotaia ad aumentare la sua quota di mercato rispetto ad altri modi di trasporto»;
il raggiungimento dei sopra menzionati obiettivi, sanciti a livello europeo, in Italia appare assai remoto, considerando che, al contrario, si assiste all'interno del Paese ad un aumento del divario in termini di infrastrutture e di servizi tra il Nord ed il Sud, con notevole aggravio delle problematiche della mobilità, in particolare nella regione Sicilia;
l'inasprimento delle suddette problematiche in Sicilia, in special modo nell'area dello Stretto di Messina, che ledono gravemente il diritto alla mobilità, quale strumento di coesione sociale, dei cittadini di fronte allo svantaggio dell'insularità, nonché lo sviluppo economico e sociale di un territorio per il quale dovrebbe essere garantita la continuità territoriale per un principio di equità, deriva principalmente dal perpetuarsi di politiche di dismissione messe in atto dal gruppo Ferrovie dello Stato, che di recente, nonostante, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo dirigano la propria azione solo verso una parte del Paese, hanno assunto la nuova denominazione di Ferrovie dello Stato italiane;
negli anni si è registrata, infatti, per la Sicilia la costante e graduale riduzione del servizio di trasporto viaggiatori, soprattutto a lunga percorrenza, nonché del trasporto merci, la scarsità di ammodernamento dei servizi e della flotta navale, l'insufficienza di investimenti nella rete, la dismissione di attività ferroviarie ancora produttive, con ricadute negative sui flussi di traffico passeggeri e merci, sulla competitività delle aree, sull'occupazione e sui flussi turistici, in nome di un progetto di complessiva razionalizzazione dei servizi e della rete finalizzato unicamente alla contrazione dei costi;
il descritto quadro trova conferma nel nuovo piano industriale di Ferrovie dello Stato italiane per gli anni 2011-2015, presentato il 22 giugno 2011 dall'amministratore delegato Mauro Moretti, che prevede investimenti di ammontare complessivo pari a 27 miliardi di euro, di cui solo il 2 per cento destinato al trasporto ferroviario regionale siciliano, a fronte di ben 24,5 miliardi finalizzati, nell'arco di 4 anni, al potenziamento dell'alta velocità;
in una delle tabelle illustrative del piano contenente le «principali opere in corso» sono indicati, unicamente, il raddoppio della tratta Palermo-Messina (Fiumetorto-Castelbuono) - in particolare, tra le attivazioni tra il 2011 e il 2015), il raddoppio Fiumetorto-Ogliastrillo ed il raddoppio Messina-Catania (nodo Catania);
le citate opere, insieme all'asse ferroviario Palermo-Punta Raisi-Trapani, il nodo di Palermo, l'asse ferroviario Catania-Siracusa, fanno parte di una serie di interventi progettati, nessuno dei quali, in un arco temporale che va dal 1981, anno in cui vennero trasferiti alle Ferrovie dello Stato 12.000 miliardi di lire per il rilancio dell'intera rete ferroviaria italiana, ad oggi è stato ultimato;
sono, infatti, rimasti incompiuti in trent'anni i 250 chilometri della rete ferroviaria della regione Sicilia a fronte di 1050 chilometri di nuova rete ad alta velocità, all'interno dei quali ci sono, ad esempio, addirittura 90 chilometri di galleria nella relazione Firenze-Bologna, portati a compimento in 14 anni;
a dimostrazione di questo perdurante ed iniquo ordine di priorità del gruppo, vengono destinate nel piano cifre ingenti per la realizzazione delle nuove stazioni dell'alta velocità come Torino Porta Susa, Firenze, Reggio Emilia, Napoli Afragola e Vesuvio Est, Roma Tiburtina, mentre nulla è previsto per la nuova stazione di Messina, che dovrebbe essere prevista nell'ambito del progetto delle opere ferroviarie connesse alla costruzione del ponte sullo Stretto, nonostante il gruppo Ferrovie dello Stato italiane un anno fa avesse esplicitato la necessità del collegamento delle più importanti città siciliane con linee dotate delle stesse caratteristiche delle principali linee nazionali;
occorre, altresì, rilevare l'assenza nel piano industriale di linee programmatiche riferite all'area dello Stretto di Messina riguardanti il segmento della navigazione, quali, ad esempio, l'implementazione dei volumi di traffico Metromare ed il segmento gommato-pendolare;
in linea con la ben nota logica aziendale di Ferrovie dello Stato italiane tesa al perseguimento di obiettivi economico-finanziari che premia solo i servizi ferroviari maggiormente remunerativi, non si riscontra nel piano alcun riferimento al servizio ferroviario di lunga percorrenza da e verso la Sicilia, in quanto servizio in perdita, nonostante svolga un ruolo fondamentale date le peculiarità geografiche e morfologiche del territorio, per garantire ai cittadini la mobilità tra i diversi territori per fini di lavoro, di studio e turistici, servendo diverse regioni e centri urbani medio-grandi, non interessati dall'alta velocità;
proprio a riguardo del servizio di media e lunga percorrenza, addirittura con l'entrata in vigore della nuova offerta ferroviaria 2011-2012 di Trenitalia, il 12 dicembre 2011 sono stati soppressi tutti i treni notturni da e per la Sicilia e, precisamente, le tre coppie di collegamenti giornalieri notturni che circolavano sulle relazioni Palermo-Torino/Milano/Venezia, con sezioni da/per Siracusa, e che viceversa oggi si attestano a Roma con interscambio con i servizi di alta velocità per le citate destinazioni;
il disastroso intervento, nato allo scopo di «riorganizzare» l'offerta considerata la mancata redditività del servizio, sta provocando enormi disagi all'utenza sia in termini economici poiché i prezzi dei biglietti per la percorrenza delle suddette tratte sono lievitati sia per l'oggettiva difficoltà e scomodità di effettuare in piena notte trasbordi da un treno all'altro;
tale decisione aziendale ha comportato, altresì, una grave crisi occupazionale essendosi registrati circa 1700 esuberi, 900 tra il personale di Trenitalia e oltre 800 tra i dipendenti delle ditte in appalto o in subappalto, di questi 85, solo a Messina, sono dipendenti della Servirail ex-Wagon Lits;
la suddetta logica della redditività, applicata indiscriminatamente, contrasta in maniera vistosa con il ruolo di concessionario di un servizio pubblico universale rivestito da Ferrovie dello Stato italiane, la cui strategia aziendale dovrebbe essere coerente con un rapporto domanda-offerta legato al contratto di servizio con lo Stato, finalizzato a garantire quei servizi di trasporto ferroviario che, indipendentemente dal loro equilibrio finanziario, sono ritenuti di utilità sociale e i cui obblighi non possono essere puntualmente disattesi a causa di incapacità gestionale;
occorre, inoltre, sottolineare l'assenza di ogni programmazione finalizzata non solo all'incremento, ma anche alla competitività e produttività del servizio attualmente offerto attraverso investimenti finalizzati alla modernizzazione delle rete, nonché alla messa in circolazione di carrozze nuove, stante il fatto che in Sicilia molte linee ferroviarie sono vetuste e prive di doppi binari e su queste viaggiano treni lenti e con carrozze vecchie e malridotte;
le descritte assenze nella programmazione industriale recentemente illustrata da Ferrovie dello Stato italiane costituiscono, dunque, l'ultimo segnale di un'opera che, lungi dall'essere un progetto chiaro di complessiva razionalizzazione ed efficientamento delle peculiari attività ferroviarie nell'area dello Stretto, dal traghettamento alle realtà manutentive esistenti, si sta traducendo da anni in una serie di disorganiche operazioni di smantellamento;
in particolare, ciò viene mostrato dall'annunciata chiusura dell'officina grandi riparazioni di Gazzi, la più grande realtà manutentiva di vetture ferroviarie della Sicilia, sempre in linea con gli obiettivi aziendali, che dovrebbe avvenire entro i prossimi 30 mesi, in conseguenza del ridisegno del reticolo manutentivo nazionale dal quale verrebbe esclusa proprio la realtà messinese con l'utilizzo esclusivo delle infrastrutture industriali del Nord, ufficialmente motivata dalla necessità di liberare le aree indispensabili per la costruzione del ponte sullo Stretto, sebbene non vi sia chiarezza su quali siano le superfici realmente interessate dai futuri lavori e su quale sia la specifica destinazione d'uso delle aree in questione;
ulteriore segnale della suddetta opera di dismissione delle attività esistenti è la chiusura, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo immotivata, prevista entro il 2011, della sede di Messina della Italferr s.p.a., società che espleta da anni con successo compiti di progettazione ed esecuzione delle linee ad alta velocità/capacità e degli itinerari e nodi ferroviari, che comporterà notevoli disagi nonché danni economici ai qualificati soggetti che vi operano e alle loro famiglie costretti al trasferimento;
nel piano, inoltre, non si riscontra alcun riferimento all'alta velocità/alta capacità per la Sicilia, nonostante il gruppo Ferrovie dello Stato italiane abbia preso precisi impegni per il completamento del corridoio 1 Berlino-Palermo e per il miglioramento della rete ferroviaria siciliana, secondo quanto esplicitamente dichiarato dall'amministratore delegato di Ferrovie dello Stato italiane in occasione della presentazione del progetto per il ponte sullo Stretto;
con riferimento al citato corridoio 1, si registra la nuova proposta di regolamento elaborata dal Commissario europeo per trasporti Siim Kallas relativa alla rete trans-europea dei trasporti, che prevede, accanto ad una rete globale di base, costituita da tutte le infrastrutture per i trasporti di rilevanza europea, una rete principale costituita dalle parti più importanti della rete trans-europea dei trasporti, cosiddetto core network;
la suddetta proposta di regolamento, che sostituirà la decisione n. 661/2010/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 luglio 2010, sugli orientamenti dell'Unione europea per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti, è stata presentata dal vice Presidente della Commissione europea nella seduta del 19 ottobre 2011 e comprende il corridoio Berlino-Palermo che, nella nuova programmazione, ha assunto la denominazione di corridoio Helsinki-La Valletta;
tale corridoio, oltre ad estendersi a sud-est con la diramazione Napoli-Bari-Taranto, si sviluppa nel territorio della regione Sicilia secondo la direttrice Messina-Catania-Enna-Palermo, per consentire di servire i principali nodi urbani dell'isola e di migliorare i collegamenti ferroviari con i porti di Catania, Augusta e Palermo;
tale previsione risulta indispensabile per riaffermare l'intero progetto infrastrutturale per il rilancio del Sud, che comprende l'ammodernamento dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria, l'alta velocità ferroviaria nella medesima tratta, il ponte sullo Stretto di Messina, l'alta velocità Messina-Catania-Palermo ed il rilancio dei porti di Gioia Tauro e di Palermo,

impegna il Governo:

ad intervenire, in qualità di azionista unico del gruppo Ferrovie dello Stato italiane e di decisore strategico, in modo risolutivo e tempestivo per assicurare servizi di mobilità uniformi in tutto il territorio nazionale e per ripristinare il servizio universale del trasporto ferroviario in Sicilia, anche con riferimento alle recenti scelte che hanno inopinatamente penalizzato il servizio dei treni notturni, con gravi ricadute occupazionali;
a rafforzare il ruolo di indirizzo e di programmazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nella politica industriale nel settore dei trasporti ferroviari passeggeri e merci, al fine di impedire lo smantellamento indiscriminato delle attività ferroviarie gestite da Ferrovie dello Stato italiane e dalle società del gruppo in Sicilia e, in particolare, nell'area dello Stretto di Messina;
ad attivare strumenti di interlocuzione col Parlamento in merito alla suddetta politica industriale per il trasporto ferroviario passeggeri e merci, attraverso i quali rendere noti e trasparenti i parametri essenziali, in base ai quali si compongono costi e remunerazioni del servizio ferroviario universale, nonché i criteri utilizzati per l'individuazione delle priorità e delle conseguenti dismissioni di servizi;
a definire una precisa e chiara strategia di sostegno e di sviluppo del sistema dei trasporti ferroviari di persone e merci che contemperi le esigenze di risanamento e di razionalizzazione con la necessità di rilancio dell'offerta ferroviaria in Sicilia, con particolare riguardo all'area dello Stretto di Messina, con la salvaguardia delle attività produttive esistenti, in modo da garantire l'efficienza, in termini quantitativi e qualitativi, dei servizi ai cittadini;
ad adottare strumenti di pianificazione per la gestione degli investimenti programmatici tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il gestore dell'infrastruttura ferroviaria dotati di obbligatorietà, anche sotto il profilo dell'impegno di spesa, in modo da consentire che le opere ferroviarie di cui sia avviata la fase della programmazione possano giungere in tempi certi alla progettazione esecutiva ed alla relativa realizzazione;
a svolgere presso le istituzioni europee una costante azione di monitoraggio delle fasi per l'adozione del nuovo regolamento relativo alla rete trans-europea dei trasporti affinché all'interno del corridoio Helsinki-La Valletta sia rimarcata la centralità dello sviluppo dell'estensione da Napoli a Palermo, al fine di scongiurare ogni pericolo d'isolamento della Sicilia dal resto d'Europa, con la previsione per l'isola delle stesse garanzie di collegamento alla terraferma concesse ad altri Paesi europei, e di riaffermare il Meridione quale futuro baricentro della zona di libero scambio euromediterraneo.
(1-00704)
(Nuova formulazione) «Garofalo, Antonio Martino, La Loggia, Valducci, Laffranco, Santelli, Bernardo, Catanoso, Cristaldi, Dima, D'Ippolito Vitale, Vincenzo Antonio Fontana, Antonino Foti, Galati, Germanà, Giammanco, Gibiino, Golfo, Marinello, Minardo, Misuraca, Pagano, Palumbo, Scapagnini, Torrisi, Traversa, Versace».

La Camera,
premesso che:
il Mezzogiorno riveste oggi un ruolo strategico per l'intero Paese, grazie alla posizione strategica al centro del Mediterraneo;
il Meridione è il termine naturale della realizzazione delle reti transeuropee TEN (trans european network), in un quadro sistemico europeo di trasporto integrato;
il progetto TEN corridoio 1 rappresenta un asse fondamentale di trasporto per i collegamenti a livello comunitario, poiché attraversa da nord a sud l'intera Germania, l'Austria e l'Italia. Oltre un terzo dell'intero traffico transalpino interessa il passo del Brennero, il valico alpino a quota più bassa, che riveste, quindi, un'importanza cruciale nell'ambito del trasporto persone e dell'interscambio tra il nord e il sud del continente europeo;
la Commissione europea, nell'analisi del progetto di bilancio comunitario per il 2020, presentato il 29 giugno 2011, ha proposto, cambiando la geografia europea delle grandi infrastrutture, di cancellare il suddetto progetto TEN corridoio 1 Berlino-Palermo, per sostituirlo con un nuovo corridoio 5 Helsinki-La Valletta, di fatto confinando la Sicilia ad una dimensione interregionale, trascurando anche la sua funzione di gateway verso l'Africa;
la novità, che potrebbe apparire marginale e che prevede un allungamento del tracciato per includere nuovi territori che sono entrati a far parte dell'Unione europea, tra i quali Malta, nella realtà non si limita a modificare solo i capilinea del corridoio, spostandoli rispettivamente più a nord, da Berlino ad Helsinki, e più a sud, da Palermo a Malta, ma anche l'asse di «scorrimento» del traffico di merci e passeggeri, che non si muoverebbe più secondo la direttrice nord-sud, ma interromperebbe a Napoli il suo percorso naturale verso il confine meridionale d'Europa per deviare verso Bari, da dove, attraverso una nuova «autostrada del mare», si collegherebbe al porto di La Valletta;
ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, tale ridisegno del tracciato, oltre ad essere illogico dal punto di vista geografico ed economico, viola i principi di coesione territoriale, sociale ed economica, sui quali si fonda il Trattato dell'Unione europea;
la proposta contrasta, inoltre, in maniera stridente con il regolamento (CE) n. 913/2010 che disciplina il traffico delle merci e che ha disegnato, in virtù delle nuove adesioni all'Unione europea di Paesi del Nord Europa, un corridoio speciale per le merci - il numero 4 - che nasce a Stoccolma e termina a Palermo, secondo una logica completamente diversa, che adesso si vorrebbe abbandonare;
la decisione sul nuovo percorso del corridoio 1 non è solo di rilevanza europea, ma ha un immediato risvolto a livello nazionale, con ripercussioni assai gravi che riguardano il piano nazionale dei trasporti;
senza un collegamento di primo livello nessuna infrastruttura progettata a sud di Napoli avrebbe più un fondamento economico. L'esclusione delle due regioni Calabria e Sicilia dall'asse principale dei trasporti nord-sud escluderebbe anche la finanziabilità di tutte le infrastrutture connesse, facendo saltare tutto il sistema dei trasporti dell'Italia meridionale, l'alta capacità ferroviaria fra Napoli e Reggio Calabria, la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina, l'ammodernamento delle ferrovie tra le aree metropolitane di Catania, Messina e Palermo, il collegamento ferroviario ad alta capacità con i porti di Augusta e Pozzalla;
si vanificherebbero grossi investimenti già fatti per la realizzazione di opere previste dalla «legge obbiettivo», da quelle già realizzate a quelle appaltate o solo progettate, che diverrebbero antieconomiche per definizione, delineando uno scenario antitetico rispetto alla programmazione nazionale, che prevede di dotare il Mezzogiorno di un livello adeguato di infrastrutture;
con riferimento alla nuova autostrada del mare che collegherebbe Bari con La Valletta, si tratta di un lungo e improbabile collegamento navale lungo circa 420 miglia, per oltre 24 ore di navigazione, pari a dieci volte, in termini di tempi e di distanza, quello che separa la Sicilia dall'isola di Malta;
la Commissione europea avrà tempo fino al 21 settembre 2011 per ufficializzare la sua proposta ed affidarla al lungo processo di codecisione che coinvolge il Parlamento europeo, il Comitato delle regioni, il Comitato economico e sociale ed infine il Consiglio dei ministri europei,

impegna il Governo:

ad intervenire presso le autorità europee affinché il corridoio n. 1 Berlino-Palermo sia ripristinato nella sua configurazione originaria, al fine di scongiurare il pericolo del definitivo isolamento di importanti regioni meridionali dal resto d'Europa;
ad assegnare la massima priorità, nell'ambito degli interventi per la realizzazione delle opere incluse nel programma operativo nazionale «trasporti», alla realizzazione del corridoio paneuropeo n. 1 (Berlino-Palermo);
a valutare attentamente le opere infrastrutturali da realizzare dal punto di vista della loro sostenibilità economica ed ambientale e della loro funzionalità, concentrando le risorse verso interventi infrastrutturali realmente utili al Paese e definendo uno specifico piano infrastrutturale per il Mezzogiorno, in particolare assumendo come fondamentale la definizione del corridoio 1 Berlino-Palermo, attraverso la costruzione del ponte sullo Stretto, il completamento dell'autostrada Reggio Calabria-Salerno e la realizzazione e l'ammodernamento di fondamentali opere di viabilità primaria e secondaria.
(1-00699)
«Lo Monte, Commercio, Lombardo, Oliveri, Brugger».

La Camera,
premesso che:
ai corridoi europei è attribuito anche il compito di togliere dall'isolamento alcune aree dei Paesi ricompresi ed a generare fattori di avvicinamento al cuore dell'Europa, riducendo in maniera significativa i tempi di spostamento e offrendo un servizio di tipo capillare, che vada a distribuire sul territorio in maniera agevole i flussi di traffico, passeggeri e merci;
il Mezzogiorno riveste oggi un ruolo strategico per l'intero Paese, grazie alla posizione strategica al centro del Mediterraneo;
il Meridione è il termine naturale della realizzazione delle reti transeuropee TEN (trans european network), in un quadro sistemico europeo di trasporto integrato;
il progetto TEN corridoio 1, nella sua iniziale previsione, rappresentava un asse fondamentale di trasporto per i collegamenti a livello comunitario, prevedendo l'attraversamento da nord a sud dell'intera Germania. Austria e Italia. Oltre un terzo dell'intero traffico transalpino, infatti, interessa il passo del Brennero, il valico alpino a quota più bassa, che riveste, quindi, un'importanza cruciale nell'ambito del trasporto persone e dell'interscambio tra il nord e il sud del continente europeo;
la Commissione europea, nell'analisi del progetto di bilancio comunitario per il 2020, presentato il 29 giugno 2011, ha proposto, cambiando la geografia europea delle grandi infrastrutture, di cancellare il suddetto progetto TEN corridoio 1 Berlino-Palermo, per sostituirlo con un nuovo corridoio 5 Helsinki-La Valletta;
tale ridisegno del tracciato, oltre ad apparire illogico dal punto di vista geografico ed economico, violerebbe i principi di coesione territoriale, sociale ed economica, sui quali si fonda il Trattato dell'Unione europea;
la proposta contrasterebbe, inoltre, in maniera stridente con il regolamento 913/2010 che disciplina il traffico delle merci e che ha disegnato, in (CE) n. virtù delle nuove adesioni all'Unione europea di Paesi del Nord Europa, un corridoio speciale per le merci - il numero 4 - che nasce a Stoccolma e termina a Palermo, secondo una logica completamente diversa, e che adesso verrebbe abbandonata;
la decisione sul nuovo percorso del corridoio 1 non è solo di rilevanza europea, ma ha un immediato risvolto a livello nazionale, con ripercussioni assai gravi che riguardano il piano nazionale dei trasporti;
le suddette motivazioni addotte da vari attori istituzionali, primi fra tutti i governatori delle due regioni Calabria e Sicilia, espressione della forte volontà dell'Italia di mantenere la coesione nazionale del Paese, sono state recepite con favore e riconosciute come oggettive dai rappresentanti della Commissione europea che con decisione del 21 ottobre 2011 hanno stabilito che la nuova configurazione del corridoio 5 oltre ad estendersi a sud-est con la diramazione Napoli-Bari-Taranto dovrà svilupparsi nel territorio siciliano secondo la direttrice Messina-Catania-Enna-Palermo, per consentire di servire i principali nodi urbani dell'isola e di migliorare i collegamenti ferroviari con i porti di Catania, Augusta e Palermo;
la stessa Commissione europea nel dare il via libera alla proposta di regolamento bilancio «Europa 2000» che indica i progetti prioritari nel quadro delle grandi reti transeuropee per il periodo 2014-2020, nella cui lista dei progetti strategici figurano i collegamenti ferroviari Napoli-Bari, Napoli-Reggio e Messina-Palermo, non ha compreso né contemplato tra questi ultimi il ponte sullo Stretto di Messina;
il ponte sullo Stretto è la risposta concreta al bisogno di un più efficiente e moderno sistema di collegamento tra la Sicilia, il resto del Paese e l'Europa e la sua realizzazione consentirebbe di creare le condizioni favorevoli per il rilancio economico-sociale dell'area dello Stretto, con un impatto economico complessivo di oltre 8 miliardi di euro, e notevoli ricadute occupazionali per le regioni su cui insiste il ponte, ponendo anche un argine al fenomeno di disoccupazione che colpisce le aree del Messinese;
inoltre ogni eventuale ritardo nella realizzazione dell'opera si tradurrebbe inevitabilmente in un danno per il Paese, in termini di investimenti persi e di penali da corrispondere, che ammonteranno circa 1 miliardo di euro, ed ancor più in una grave perdita di opportunità per lo sviluppo e per l'immagine dell'Italia intera,

impegna il Governo:

ad intervenire in tutte le sedi affinché, nella nuova previsione della Commissione Europea vengano comunque garantiti il finanziamento e la realizzazione di tutte le opere infrastrutturali già previste nella originaria configurazione del Corridoio 1 Berlino-Palermo;
ad intervenire presso le autorità europee al fine di far includere nella proposta di bilancio «Europa 2000» la concreta realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina il cui avvio consentirebbe anche di attivare immediatamente straordinarie ricadute socio-economiche, con effetti importanti e decisivi per l'attuale contesto di crisi;
a valutare attentamente le opere infrastrutturali da realizzare dal punto di vista della loro sostenibilità economica ed ambientale e della loro funzionalità, concentrando le risorse verso interventi infrastrutturali realmente utili al Paese e definendo uno specifico piano infrastrutturale per il Mezzogiorno, in particolare assumendo come fondamentale il completamento dell'autostrada Reggio Calabria-Salerno e la realizzazione e l'ammodernamento di fondamentali opere di viabilità primaria e secondaria.
(1-00699)
(Nuova formulazione) «Lo Monte, Commercio, Lombardo, Oliveri, Brugger».

La Camera,
premesso che:
nella proposta di bilancio elaborata dalla Commissione europea e inviata al Parlamento europeo il 29 giugno 2011 è contenuta una complessiva ridefinizione dei grandi corridoi europei avviati con i TEN (trans european network);
stando a questa ridefinizione l'ex corridoio 1 Berlino-Palermo, ora diventato corridoio 5 Helsinki-La Valletta, giunto a Napoli vira verso Bari, anziché scendere in Calabria per arrivare a Palermo;
in virtù di questa rivisitazione il ponte sullo Stretto di Messina è stato cancellato dalle grandi opere infrastrutturali che dovranno essere realizzate nei prossimi anni;
questa decisione è, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, del tutto inspiegabile, non solo perché penalizzerebbe fortemente il Mezzogiorno, ma soprattutto perché prevede che da Napoli e da Bari si debbano organizzare degli improbabili servizi di navi traghetto per i collegamenti successivi con il resto del Mediterraneo;
il documento della Commissione europea chiarisce che per le infrastrutture saranno disponibili complessivamente 50 miliardi di euro, di cui 10 andranno ai fondi di coesione (per il Mezzogiorno in Italia), 9,1 agli impianti energetici, 9,2 alle reti digitali e 21,7 alle infrastrutture di trasporto;
il ponte sullo Stretto, se realizzato, costituirebbe un eccezionale volano di sviluppo che può fungere, nel contempo, da traino per la realizzazione di un sistema infrastrutturale più ampio, per il potenziamento e il definitivo completamento del sistema autostradale della Salerno-Reggio Calabria e per lo sviluppo della rete ferroviaria ad alta velocità, che, al momento, giunge a Salerno;
il ponte sullo Stretto di Messina costituisce, dunque, un'opera fondamentale per lo sviluppo del Mezzogiorno;
il precedente Esecutivo ha inserito tale opera nel piano per il Sud,

impegna il Governo

ad assumere con determinazione ogni iniziativa di competenza nelle opportune sedi dell'Unione europea affinché sia rivista la decisione di escludere il ponte sullo Stretto di Messina dalle grandi opere da finanziare e realizzare, dettata da logiche che non favoriscono lo sviluppo del Paese e del Mezzogiorno.
(1-00697)
(Nuova formulazione) «Belcastro, Iannaccone, Porfidia, Brugger».

La Camera,
premesso che:
il 29 giugno 2011 la Commissione europea ha presentato una comunicazione COM(2011)500 sulle prossime prospettive finanziarie dell'Unione europea relative al periodo 2014-2020 nella quale, in vista dell'imminente revisione delle priorità riguardanti le reti transeuropee di trasporto TEN-T, vengono individuate le risorse finanziarie ad esse destinate con l'indicazione dei progetti che potranno beneficiarne;
fra tali progetti figura, tra l'altro, il corridoio Helsinki-La Valletta, che dovrebbe sostituire il progetto prioritario n. 1 riguardante il corridoio Berlino-Palermo, di cui alla decisione n. 884/2004/CE relativa agli orientamenti comunitari per le reti transeuropee di trasporto (TEN-T);
in base al nuovo tracciato:
a) il corridoio verrebbe esteso da Berlino verso il nord Europa fino ad Helsinki;
b) nella parte centrale si sovrapporrebbe sostanzialmente al percorso originario del corridoio 1 e comprenderebbe, pertanto, i collegamenti ferroviari Monaco-Verona attraverso il tunnel di base del Brennero, nonché Verona-Bologna-Roma-Napoli;
c) a questo punto si prevede una soppressione della tratta Napoli-Palermo che verrebbe sostituita da una nuova tratta Napoli-Bari;
d) da Bari il corridoio proseguirebbe, mediante le autostrade del mare, fino a La Valletta;
la proposta della Commissione europea ha suscitato reazioni da parte delle istituzioni italiane e dei rappresentanti italiani presso le istituzioni europee per il timore che le modifiche prospettate possano comportare una marginalizzazione delle regioni del sud Italia;
anche il gruppo parlamentare dell'Italia dei Valori, attraverso l'interrogazione a risposta scritta n. 4-13172 a firma dell'onorevole Antonio Di Pietro in data 13 settembre 2011, aveva manifestato le proprie richieste di chiarimento al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti pro tempore, onorevole Altero Matteoli, in ordine alla decisione sul nuovo percorso del Corridoio 1 per le gravi ripercussioni che si sarebbero potute arrecare allo sviluppo infrastrutturale del Mezzogiorno;
a tale interrogazione, l'attuale Ministro dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti, Corrado Passera, ha risposto, il 10 gennaio 2012, che il progetto corridoio 1 rappresenta per il Governo e per l'intero sistema Paese un'infrastruttura strategica di assoluta rilevanza, in quanto Palermo rappresenta il nodo più meridionale della rete core network nell'intera area del bacino mediterraneo e assolve, quindi, il compito di raccordare le aree periferiche del continente europeo;
in particolare, nel testo di tale risposta si legge: «Il 26 giugno 2011 è stata pubblicata la proposta di bilancio dell'Unione europea 2020 nella quale si fa riferimento ad una lista preliminare di 10 corridoi prioritari Ten-T, tra cui il corridoio n. 5 «Helsinki-La Valletta», che modifica, tra l'altro, il tracciato del progetto prioritario 1. Al riguardo, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha più volte manifestato presso le competenti istituzioni europee la ferma posizione sul mantenimento del corridoio Berlino-Palermo ritenendolo prioritario e non modificabile. In questo ambito è stata, altresì, rappresentata l'assoluta necessità per l'Italia di inserire il nodo di Palermo e di Catania all'interno del corridoio Helsinki-La Valletta per le seguenti argomentazioni: Palermo soddisfa i requisiti di città «nodo», in quanto la sua area metropolitana supera il milione di abitanti; il collegamento marittimo più diretto con l'isola di Malta avviene attraversi i porti della Sicilia (Pozzallo, Catania, Palermo); per dare realizzazione alla parte meridionale del progetto prioritario europeo 1 (PP 1), con specifico riferimento alla rete ferroviaria sono già stati sostenuti dall'Italia ingenti investimenti. Inoltre, è stato chiesto che alla Sicilia, che conta una popolazione di 5 milioni di abitanti, fosse garantito lo stesso «grado di libertà» di collegamento alla terraferma concesso ad altri Paesi europei (come nel caso di collegamento fisso di Malmoe, che collega la Danimarca alla Svezia, che ha goduto di contributi TEN-T). Le motivazioni presentate, espressione della forte volontà dell'Italia di mantenere l'attuale conformazione dell'asse, sono state recepite con favore e riconosciute come oggettive dai rappresentanti della Commissione europea. Infatti, la nuova rete di trasporto europea, presentata dal vice presidente della Commissione europea nella seduta del 19 ottobre 2011, comprende il corridoio Berlino-Palermo che, nella nuova programmazione, ha assunto la denominazione di corridoio Helsinki-La Valletta: tale corridoio, oltre ad estendersi a sud-est con la diramazione Napoli-Bari-Taranto, si sviluppa nel territorio siciliano secondo la direttrice Messina-Catania-Enna-Palermo, per consentire di servire i principali nodi urbani dell'isola e di migliorare i collegamenti ferroviari con i porti di Catania, Augusta e Palermo.»;
precedentemente al 19 ottobre 2011 - ovvero alla data di presentazione della nuova rete di trasporto europea comprendente il corridoio Berlino-Palermo che, nella nuova programmazione, ha assunto la denominazione di corridoio Helsinki-La Valletta - e segnatamente in data 30 settembre 2011, si era svolto a Bruxelles un incontro a livello tecnico tra il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti pro tempore, onorevole Roberto Castelli, e la Commissione europea nel corso del quale la Commissione stessa avrebbe riconosciuto il valore oggettivo delle motivazioni addotte dall'Italia circa l'importanza del corridoio Berlino-Palermo, in quanto:
a) uno dei presupposti della revisione delle reti TEN è far salvi i corridoi originari; l'Italia ha già investito 32 miliardi di euro per la realizzazione del corridoio Berlino-Palermo, più di quanto abbia investito qualsiasi altro Stato membro su un corridoio transeuropeo;
b) Palermo è un «nodo» alla luce di una legge regionale che lao definisce area metropolitana e, quindi, deve entrare nella rete principale dei trasporti ferroviari europei;
c) Palermo è la porta più razionale per i collegamenti con Malta;
nell'ambito di tale riunione la questione del ponte sullo Stretto non è stata affrontata, in quanto si è parlato del corridoio Berlino-Palermo nel suo complesso e non delle singole opere;
sotto tale ultimo profilo, particolare preoccupazione suscita il riferimento fatto dal Ministro dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti, Corrado Passera, nell'ambito della citata risposta all'interrogazione n. 4-13172, al collegamento fisso di Malmoe, che collega la Danimarca alla Svezia e che ha goduto di contributi TEN-T, al fine di garantire alla Sicilia lo stesso grado di libertà di collegamento alla terraferma concesso ad altri Paesi europei;
il collegamento fisso di Malmoe altro non è che il Ponte di Øresund o di Öresund, ovvero una tratta di 15,9 chilometri che collega la Svezia alla Danimarca, in prossimità rispettivamente delle due città di Malmö e Copenaghen. Esso è il più lungo ponte strallato d'Europa adibito al traffico stradale e ferroviario con una campata centrale di 490 metri;
in buona sostanza, la risposta fornita dal Ministro all'onorevole Antonio Di Pietro appare in qualche modo ambigua circa le determinazioni relative alla realizzazione di un'opera, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, inutile e faraonica come quella del ponte sullo Stretto di Messina;
una cosa è promuovere a livello nazionale e comunitario la realizzazione del corridoio 1 per finanziare l'alta capacità ferroviaria in Campania e in Calabria, l'ammodernamento delle ferrovie tra le aree metropolitane di Catania, Messina e Palermo e sviluppare l'hub portuale di Palermo, altra cosa è puntare alla realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina per risolvere il gap infrastrutturale del Mezzogiorno;
il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti pro tempore, onorevole Castelli, in data 1o ottobre 2011, ha dichiarato alla stampa nazionale, in esito al citato incontro tenutosi a Bruxelles in data 30 settembre 2011, che il progetto del ponte sullo Stretto può essere finanziato dall'Europa anche al di fuori del Corridoio 1 Berlino-Palermo;
in data 27 ottobre 2011 la Camera dei deputati ha approvato, con il parere favorevole del Governo Berlusconi pro tempore, la mozione n. 1-00713 ove si chiedeva espressamente di assumere iniziative volte a reperire le risorse economiche necessarie per finanziare il trasporto pubblico locale, anche eventualmente ricorrendo alla soppressione dei finanziamenti che il Governo ha previsto, sino ad oggi, per la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina,

impegna il Governo:

a porre in essere ogni iniziativa di competenza presso le autorità europee volta ad assegnare massima priorità allo sviluppo infrastrutturale del Mezzogiorno nell'ambito dei corridoi paneuropei, scongiurando in ogni caso l'effettivo rischio di marginalizzazione di alcune regioni del Sud che comprendono la Campania meridionale, la Basilicata, la Sicilia e la Calabria, abitate attualmente da ben 10 milioni di persone;
a porre in essere ogni iniziativa di competenza, anche presso le competenti sedi europee, volta a realizzare in tale quadro l'alta capacità ferroviaria nelle predette regioni del Sud, anche in considerazione dei numerosi interventi infrastrutturali già realizzati a partire dal 2004, tra cui la linea alta velocità Napoli-Battipaglia, o gli interventi per la realizzazione dell'alta velocità sulla linea Salerno-Reggio Calabria, o ancora le opere ferroviarie in fase di realizzazione in Sicilia (raddoppio della linea Messina-Palermo e della linea Messina-Catania-Siracusa);
a porre in essere ogni iniziativa di competenza, anche presso le competenti sedi europee, volta ad assicurare lo sviluppo infrastrutturale dei porti e delle piastre logistiche del Mezzogiorno e in particolare della regione Sicilia, funzionali tra l'altro alla realizzazione delle autostrade del mare e al sostegno ai crescenti traffici internazionali verso l'estremo Oriente;
ad escludere in modo chiaro ed inoppugnabile l'intenzione dell'attuale Governo di promuovere la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina e, comunque, ad assumere una posizione definitiva in merito.
(1-00807)
«Donadi, Borghesi, Evangelisti, Di Pietro, Leoluca Orlando, Messina, Monai, Barbato, Cimadoro, Di Giuseppe, Di Stanislao, Favia, Aniello Formisano, Mura, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Porcino, Rota, Zazzera».

La Camera,
premesso che:
il 29 giugno 2011 la Commissione europea ha presentato una comunicazione COM(2011)500 sulle prossime prospettive finanziarie dell'Unione europea relative al periodo 2014-2020 nella quale, in vista dell'imminente revisione delle priorità riguardanti le reti transeuropee di trasporto TEN-T, vengono individuate le risorse finanziarie ad esse destinate con l'indicazione dei progetti che potranno beneficiarne;
fra tali progetti figura, tra l'altro, il corridoio Helsinki-La Valletta, che dovrebbe sostituire il progetto prioritario n. 1 riguardante il corridoio Berlino-Palermo, di cui alla decisione n. 884/2004/CE relativa agli orientamenti comunitari per le reti transeuropee di trasporto (TEN-T);
in base al nuovo tracciato:
a) il corridoio verrebbe esteso da Berlino verso il nord Europa fino ad Helsinki;
b) nella parte centrale si sovrapporrebbe sostanzialmente al percorso originario del corridoio 1 e comprenderebbe, pertanto, i collegamenti ferroviari Monaco-Verona attraverso il tunnel di base del Brennero, nonché Verona-Bologna-Roma-Napoli;
c) a questo punto si prevede una soppressione della tratta Napoli-Palermo che verrebbe sostituita da una nuova tratta Napoli-Bari;
d) da Bari il corridoio proseguirebbe, mediante le autostrade del mare, fino a La Valletta;
la proposta della Commissione europea ha suscitato reazioni da parte delle istituzioni italiane e dei rappresentanti italiani presso le istituzioni europee per il timore che le modifiche prospettate possano comportare una marginalizzazione delle regioni del sud Italia;
anche il gruppo parlamentare dell'Italia dei Valori, attraverso l'interrogazione a risposta scritta n. 4-13172 a firma dell'onorevole Antonio Di Pietro in data 13 settembre 2011, aveva manifestato le proprie richieste di chiarimento al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti pro tempore, onorevole Altero Matteoli, in ordine alla decisione sul nuovo percorso del Corridoio 1 per le gravi ripercussioni che si sarebbero potute arrecare allo sviluppo infrastrutturale del Mezzogiorno;
a tale interrogazione, l'attuale Ministro dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti, Corrado Passera, ha risposto, il 10 gennaio 2012, che il progetto corridoio 1 rappresenta per il Governo e per l'intero sistema Paese un'infrastruttura strategica di assoluta rilevanza, in quanto Palermo rappresenta il nodo più meridionale della rete core network nell'intera area del bacino mediterraneo e assolve, quindi, il compito di raccordare le aree periferiche del continente europeo;
in particolare, nel testo di tale risposta si legge: «Il 26 giugno 2011 è stata pubblicata la proposta di bilancio dell'Unione europea 2020 nella quale si fa riferimento ad una lista preliminare di 10 corridoi prioritari Ten-T, tra cui il corridoio n. 5 «Helsinki-La Valletta», che modifica, tra l'altro, il tracciato del progetto prioritario 1. Al riguardo, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha più volte manifestato presso le competenti istituzioni europee la ferma posizione sul mantenimento del corridoio Berlino-Palermo ritenendolo prioritario e non modificabile. In questo ambito è stata, altresì, rappresentata l'assoluta necessità per l'Italia di inserire il nodo di Palermo e di Catania all'interno del corridoio Helsinki-La Valletta per le seguenti argomentazioni: Palermo soddisfa i requisiti di città «nodo», in quanto la sua area metropolitana supera il milione di abitanti; il collegamento marittimo più diretto con l'isola di Malta avviene attraversi i porti della Sicilia (Pozzallo, Catania, Palermo); per dare realizzazione alla parte meridionale del progetto prioritario europeo 1 (PP 1), con specifico riferimento alla rete ferroviaria sono già stati sostenuti dall'Italia ingenti investimenti. Inoltre, è stato chiesto che alla Sicilia, che conta una popolazione di 5 milioni di abitanti, fosse garantito lo stesso «grado di libertà» di collegamento alla terraferma concesso ad altri Paesi europei (come nel caso di collegamento fisso di Malmoe, che collega la Danimarca alla Svezia, che ha goduto di contributi TEN-T). Le motivazioni presentate, espressione della forte volontà dell'Italia di mantenere l'attuale conformazione dell'asse, sono state recepite con favore e riconosciute come oggettive dai rappresentanti della Commissione europea. Infatti, la nuova rete di trasporto europea, presentata dal vice presidente della Commissione europea nella seduta del 19 ottobre 2011, comprende il corridoio Berlino-Palermo che, nella nuova programmazione, ha assunto la denominazione di corridoio Helsinki-La Valletta: tale corridoio, oltre ad estendersi a sud-est con la diramazione Napoli-Bari-Taranto, si sviluppa nel territorio siciliano secondo la direttrice Messina-Catania-Enna-Palermo, per consentire di servire i principali nodi urbani dell'isola e di migliorare i collegamenti ferroviari con i porti di Catania, Augusta e Palermo.»;
precedentemente al 19 ottobre 2011 - ovvero alla data di presentazione della nuova rete di trasporto europea comprendente il corridoio Berlino-Palermo che, nella nuova programmazione, ha assunto la denominazione di corridoio Helsinki-La Valletta - e segnatamente in data 30 settembre 2011, si era svolto a Bruxelles un incontro a livello tecnico tra il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti pro tempore, onorevole Roberto Castelli, e la Commissione europea nel corso del quale la Commissione stessa avrebbe riconosciuto il valore oggettivo delle motivazioni addotte dall'Italia circa l'importanza del corridoio Berlino-Palermo, in quanto:
a) uno dei presupposti della revisione delle reti TEN è far salvi i corridoi originari; l'Italia ha già investito 32 miliardi di euro per la realizzazione del corridoio Berlino-Palermo, più di quanto abbia investito qualsiasi altro Stato membro su un corridoio transeuropeo;
b) Palermo è un «nodo» alla luce di una legge regionale che lao definisce area metropolitana e, quindi, deve entrare nella rete principale dei trasporti ferroviari europei;
c) Palermo è la porta più razionale per i collegamenti con Malta;
nell'ambito di tale riunione la questione del ponte sullo Stretto non è stata affrontata, in quanto si è parlato del corridoio Berlino-Palermo nel suo complesso e non delle singole opere;
sotto tale ultimo profilo, particolare preoccupazione suscita il riferimento fatto dal Ministro dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti, Corrado Passera, nell'ambito della citata risposta all'interrogazione n. 4-13172, al collegamento fisso di Malmoe, che collega la Danimarca alla Svezia e che ha goduto di contributi TEN-T, al fine di garantire alla Sicilia lo stesso grado di libertà di collegamento alla terraferma concesso ad altri Paesi europei;
il collegamento fisso di Malmoe altro non è che il Ponte di Øresund o di Öresund, ovvero una tratta di 15,9 chilometri che collega la Svezia alla Danimarca, in prossimità rispettivamente delle due città di Malmö e Copenaghen. Esso è il più lungo ponte strallato d'Europa adibito al traffico stradale e ferroviario con una campata centrale di 490 metri;
in buona sostanza, la risposta fornita dal Ministro all'onorevole Antonio Di Pietro appare in qualche modo ambigua circa le determinazioni relative alla realizzazione di un'opera, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, inutile e faraonica come quella del ponte sullo Stretto di Messina;
una cosa è promuovere a livello nazionale e comunitario la realizzazione del corridoio 1 per finanziare l'alta capacità ferroviaria in Campania e in Calabria, l'ammodernamento delle ferrovie tra le aree metropolitane di Catania, Messina e Palermo e sviluppare l'hub portuale di Palermo, altra cosa è puntare alla realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina per risolvere il gap infrastrutturale del Mezzogiorno;
il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti pro tempore, onorevole Castelli, in data 1o ottobre 2011, ha dichiarato alla stampa nazionale, in esito al citato incontro tenutosi a Bruxelles in data 30 settembre 2011, che il progetto del ponte sullo Stretto può essere finanziato dall'Europa anche al di fuori del Corridoio 1 Berlino-Palermo;
in data 27 ottobre 2011 la Camera dei deputati ha approvato, con il parere favorevole del Governo Berlusconi pro tempore, la mozione n. 1-00713 ove si chiedeva espressamente di assumere iniziative volte a reperire le risorse economiche necessarie per finanziare il trasporto pubblico locale, anche eventualmente ricorrendo alla soppressione dei finanziamenti che il Governo ha previsto, sino ad oggi, per la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina su cui permane la contrarietà dell'Italia dei Valori,

impegna il Governo:

a porre in essere ogni iniziativa di competenza presso le autorità europee volta ad assegnare massima priorità allo sviluppo infrastrutturale del Mezzogiorno nell'ambito dei corridoi paneuropei, scongiurando in ogni caso l'effettivo rischio di marginalizzazione di alcune regioni del Sud che comprendono la Campania meridionale, la Basilicata, la Sicilia e la Calabria, abitate attualmente da ben 10 milioni di persone;
a porre in essere ogni iniziativa di competenza, anche presso le competenti sedi europee, volta a realizzare in tale quadro l'alta capacità ferroviaria nelle predette regioni del Sud, anche in considerazione dei numerosi interventi infrastrutturali già realizzati a partire dal 2004, tra cui la linea alta velocità Napoli-Battipaglia, o gli interventi per la realizzazione dell'alta velocità sulla linea Salerno-Reggio Calabria, o ancora le opere ferroviarie in fase di realizzazione in Sicilia (raddoppio della linea Messina-Palermo e della linea Messina-Catania-Siracusa);
a porre in essere ogni iniziativa di competenza, anche presso le competenti sedi europee, volta ad assicurare lo sviluppo infrastrutturale dei porti e delle piastre logistiche del Mezzogiorno e in particolare della regione Sicilia, funzionali tra l'altro alla realizzazione delle autostrade del mare e al sostegno ai crescenti traffici internazionali verso l'estremo Oriente;
a non mettere in relazione il corridoio 5, Helsinki-La Valletta, con l'ipotesi di realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina.
(1-00807)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Donadi, Borghesi, Evangelisti, Di Pietro, Leoluca Orlando, Messina, Monai, Barbato, Cimadoro, Di Giuseppe, Di Stanislao, Favia, Aniello Formisano, Mura, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Porcino, Rota, Zazzera».

La Camera,
premesso che:
tra il 2002 e il 2003 il Gruppo di alto livello istituto dalla Commissione europea identifica una lista di progetti importanti per la coesione territoriale, economica e sociale e, tra questi, inserisce il corridoio 1 Berlino-Palermo, che connette importanti nodi europei lungo la direttrice nord-sud ed assume un ruolo fondamentale per le comunicazioni con l'Europa centrale ed orientale, interessando ampiamente il territorio nazionale nella sua completa nord-sud, considerando preminente il collegamento con il Mezzogiorno del Paese lungo la dorsale tirrenica e le isole;
nella fase di predisposizione e presentazione del progetto di bilancio comunitario per il 2020 l'Unione europea ha proposto di ripercorrere l'iter in corso per modificare la rete transeuropea dei trasporti, dirottando il corridoio 1 dal naturale percorso attraverso la Calabria e la Sicilia per raggiungere, invece, Malta dall'Adriatico con il potenziamento delle autostrade del mare che collegano la Puglia e il suo porto principale, Bari, a Malta;
il documento elaborato dalla Commissione europea nel finanziare i TEN-T per gli anni 2014-2020, quindi, propone di cancellare il vecchio cosiddetto «corridoio 1» Berlino-Palermo con il «corridoio 5» Helsinki-La Valletta, rivedendo il tracciato che, al raggiungimento da Napoli, virerebbe, quindi, verso Bari da cui, di conseguenza, dovrebbe partire un servizio di navi traghetto per Malta;
la decisione sul nuovo percorso del corridoio 1 non è solo di rilevanza europea, ma ha un immediato risvolto a livello nazionale con ripercussioni gravi che riguardano il piano nazionale dei trasporti; la rivisitazione del tracciato, infatti, così come prospettata provocherebbe un durissimo colpo allo sviluppo infrastrutturale di tutto il Mezzogiorno, isolandolo di fatto dall'Europa;
il Mezzogiorno del Paese, infatti, oltre a non ricevere più ossigeno per dar luogo ad un necessario ammodernamento delle infrastrutture ferroviarie sarebbe tagliato fuori completamente dall'asse virtuoso delle merci e dei passeggeri, incrementando ancora di più il divario rispetto al resto del Paese e delle altre aree europee interessate, mettendo definitivamente in ginocchio un sistema economico già gravato da gravissime carenze infrastrutturali oltreché commerciali e occupazionali;
l'Italia, anche se indietro con le previsioni iniziali, ha già investito parecchie centinaia di milioni di euro per mettere in atto un programma di interventi mirati alla realizzazione della parte meridionale del progetto prioritario europeo corridoio 1, con specifico riferimento alla rete ferroviaria;
il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha più volte manifestato, presso le competenti istituzioni europee, la ferma posizione sul mantenimento del corridoio Berlino-Palermo ritenendolo prioritario e non modificabile. In questo ambito, è stata altresì rappresentata l'assoluta necessità per l'Italia di inserire il nodo siciliano all'interno del corridoio Helsinki-La Valletta;
le motivazioni presentate sono state recepite con favore e riconosciute come oggettive dai rappresentanti della Commissione; infatti, la nuova rete di trasporto europea, presentata dal vice presidente della Commissione europea nella seduta del 19 ottobre 2011, comprende il corridoio Berlino-Palermo che, nella nuova programmazione, ha assunto la denominazione di corridoio Helsinki-La Valletta: tale corridoio, oltre ad estendersi a sud-est con la diramazione Napoli-Bari-Taranto, si sviluppa nel territorio calabrese e siciliano, per consentire di servire i principali nodi urbani calabresi dell'isola e di migliorare i collegamenti ferroviari con i porti di Gioia Tauro, Messina, Catania, Augusta e Palermo;
nel progetto iniziale veniva assegnata, inoltre, anche una certa rilevanza all'allargamento della capacità commerciale nell'intero bacino mediterraneo con il potenziamento delle linee di collegamento marittimo tra l'Italia, la Francia e le coste iberiche, coinvolgendo la Sardegna in modo da non isolarla dalle direttrici dei traffici; ad oggi, però, non si fa più menzione di questo aspetto e nessun passo formale è stato svolto in tal senso, provocando un ritardo non da meno alle potenzialità di sviluppo infrastrutturale dell'area sarda;
a questo quadro molto preoccupante che si configura per il Meridione d'Italia, che già vanta un rilevante gap infrastrutturale con il resto del Paese e dell'Europa, c'è da aggiungere il richiamo al persistente e costante ridimensionamento del servizio di trasporto ferroviario operato da Ferrovie dello Stato che, insieme all'arretratezza dei servizi navali, alla mancanza di miglioramento e potenziamento delle reti, nonché alla non meno importante dismissione di attività ferroviarie e di strutture operanti nel territorio e alla mancanza di investimenti rivolti a politiche di rilancio, sviluppo e modernizzazione delle reti ferroviarie e navali, incide ancor di più sulla competitività e sullo sviluppo del meridione del nostro Paese;
si riscontra, infatti, nel piano industriale di Trenitalia - Ferrovie dello Stato, l'assenza assoluta di risorse da destinare allo sviluppo e all'ammodernamento della rete ferroviaria riferita al meridione d'Italia, Calabria, Sicilia e Sardegna in particolare, a fronte invece di un impegno più cospicuo da indirizzare per il potenziamento dell'alta velocità nella direttrice nord;
sono sempre più numerosi i disagi e i disservizi, non degni di un Paese occidentale, denunciati da milioni di cittadini meridionali, che ogni giorno necessitano dell'utilizzo dei mezzi di trasporto per raggiungere il proprio posto di lavoro, di studio o i luoghi di interesse sociale diffusi nel territorio e l'attuale assenza di risorse finanziarie adeguate per il settore dei trasporti e della circolazione colpisce, in particolar modo, le fasce meno abbienti della popolazione;
l'insufficiente erogazione di fondi al comparto del trasporto su ferro penalizza investimenti in funzione dell'adeguamento tecnologico del materiale rotabile e delle vetture e delle misure volte alla sicurezza e alla manutenzione degli stessi, nonché al rispetto dei parametri ambientali a fronte, invece, delle realtà dei maggiori Paesi europei (Francia e Germania tra tutti) che hanno concluso accordi-quadro con l'industria nazionale per svariati miliardi di euro,

impegna il Governo:

a farsi promotore, presso le competenti sedi dell'Unione europea, affinché la realizzazione del corridoio TEN-T 1 Berlino-Palermo venga garantito nella sua previsione iniziale mantenendo il coinvolgimento della direttrice interessata alle regioni del sud Italia e delle isole maggiori;
a farsi promotore per l'inserimento nel piano TEN-T 1 corridoio Berlino-Palermo della previsione di potenziare le direttrici commerciali navali da e verso il Mediterraneo occidentale, coinvolgendo così anche i porti e le piattaforme logistiche nella regione Sardegna;
a prevedere urgentemente un nuovo piano industriale, concordato con Ferrovie dello Stato, che impegni risorse finanziarie adeguate per realizzare i necessari investimenti nel settore del trasporto ferroviario, finalizzato al potenziamento della rete ferroviaria e del miglioramento dei servizi nella direttrice nord-sud, al fine di garantire ai cittadini, in particolare nel Mezzogiorno del Paese, un'adeguata offerta del servizio e il mantenimento di elevati standard di qualità ed efficienza pari a quelli del resto del Paese e degli altri Paesi europei;
ad assumere immediate iniziative volte a garantire l'innalzamento degli standard qualitativi e di dignità per il servizio ferroviario nelle regioni del Sud e nelle isole maggiori.
(1-00812)
«Galletti, Mereu, Compagnon, Bonciani, Tassone, Ciccanti, Naro, Volontè».

La Camera,
premesso che:
l'Unione europea è stata impegnata negli scorsi mesi a definire i «corridoi» della rete di trasporto europea;
la creazione di una rete transeuropea di trasporto capace di essere sistema e di mettere in connessione tutti gli Stati europei, in relazione sia al trasporto merci che alla mobilità delle persone, rappresenta un elemento strategico che va sostenuto e ulteriormente aggiornato;
la garanzia di un sistema integrato a livello europeo di mobilità per i passeggeri e di trasporto merci deve sussistere unitariamente su tutto il territorio europeo e, in particolare, in Italia attraverso la creazione di una rete di trasporto che sia efficiente ed efficace a partire dalle regioni del Meridione; questo può derivare solo dalla contestualità della realizzazione dei corridoi di collegamento con gli altri Paesi europei previsti in Italia e non dalla modifica contingente degli stessi; in tale contesto i corridoi che interessano l'Italia rappresentano l'occasione per l'affermazione di una politica dei trasporti strategica che va colta, sostenuta e migliorata, la sola che può ridurre il gap ed il deficit nel trasporto di persone e merci tra il Nord e il Sud, la sola politica di effettiva continuità territoriale;
il corridoio 5, così come proposto dalla Commissione europea, rappresenta una decisione grave, in quanto di fatto crea una deviazione forzosa rispetto all'ex corridoio 1 Berlino-Palermo; in questo modo l'intero Meridione e la Sicilia sono esclusi dal trasporto integrato di merci e delle persone, con una visione della politica dei trasporti che tende a mantenere il Sud e la Sicilia ai margini o esclusi dalla rete non solo europea ma anche nazionale;
nella comunicazione COM(2011)500 la scelta di marginalizzare il Sud e la Sicilia da parte della Commissione europea si evince dal fatto che le tratte oggetto di finanziamento da qui al 2020 per l'Italia meridionale sarebbero solo quelle derivanti da quanto previsto dal corridoio 5;
l'abolizione, o anche la sola proroga nel tempo, del corridoio 1 Berlino-Palermo è non solo un atto ingiustificato nei confronti del Sud d'Italia, ma avrebbe conseguenze disastrose soprattutto sul piano dei treni veloci, in quanto, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, autorizzerebbe implicitamente Ferrovie dello Stato italiane spa a disinteressarsi, cosa che già abbondantemente fanno, dell'alta velocità/capacità da Salerno alla Sicilia, per la quale al momento sussiste solo un progetto di massima e non c'è nessuna risorsa allocata;
si è sostenuto che dei lavori per l'alta velocità/capacità al Sud e fino in Sicilia si sarebbe parlato solo a partire dal 2025 e questo significa che i lavori non sarebbero portati a termine prima della metà del secolo, una scelta di pura miopia;
è, altresì, evidente che, nel contesto di quanto affermato in precedenza, il corridoio Berlino-Palermo e il corridoio Baltico-Adriatico non vanno visti in maniera alternativa ma integrata, rappresentando entrambi un'occasione strategica nello sviluppo del Mezzogiorno, ma solo se vengono realizzati contestualmente e non diventano uno alternativo dell'altro;
appare, altresì, evidente che se l'Unione europea abbandona il Mezzogiorno del nostro Paese non ci sarà nessuna accelerazione, né per quanto riguarda i progetti, né tantomeno per quanto riguarda lo stanziamento di risorse;
l'eventuale cancellazione del corridoio Berlino-Palermo sicuramente significherebbe anche il «deperimento» dei programmi di trasformazione del porto di Augusta in hub, in quanto, anche ove le navi portacontainer potessero attraccare, non ci sarebbero linee veloci di treni per portare le merci al Nord;
nel porto di Augusta (Siracusa), il più vicino dei porti del Mezzogiorno al Canale di Suez e lungo la rotta per l'Atlantico, sono programmati importanti interventi infrastrutturali attraverso lo sviluppo e l'ampliamento di banchine e piazzali; si tratta di interventi che una volta portati a termine potranno dare al porto di Augusta una nuova dimensione e prospettive di sviluppo interessanti, a maggior ragione se questo si integra con l'avvio e il completamento della rete prevista dal corridoio 1 Berlino-Palermo;
in particolare, l'esclusione dal piano europeo 2014-2020 del corridoio 1 farebbe venire meno i finanziamenti relativi ai lavori per il potenziamento del porto di Augusta;
il superamento del corridoio Berlino-Palermo, se questo non fosse definito una priorità nell'agenda dell'Unione europea, significherebbe per il Sud e, in particolare, per la Sicilia negare semplicemente il futuro,

impegna il Governo:

ad attivarsi immediatamente nei confronti dell'Unione europea affinché la realizzazione del corridoio Berlino-Palermo sia prioritaria e questa opera entri di diritto nelle «Tratte da finanziare fino al 2020»;
a garantire i finanziamenti, e la loro continuità, relativi sia all'ampliamento di banchine e piazzali che alla bonifica del porto di Augusta;
ad assumere un'energica iniziativa nei confronti di Ferrovie dello Stato italiane spa affinché ai cittadini del Mezzogiorno e, in particolare, della Sicilia siano garantiti servizi di trasporto per passeggeri e merci efficaci ed efficienti e affinché sia abbandonata quella che appare ai firmatari del presente atto di indirizzo una politica di disimpegno da parte di Ferrovie dello Stato italiane spa nei confronti del Sud e, in particolare, della Sicilia, garantendo quella continuità territoriale che è condizione imprescindibile per un reale sviluppo economico e per l'azzeramento del deficit infrastrutturale con il Nord del Paese;
ad attivarsi concretamente affinché, sia con finanziamenti nazionali che con finanziamenti provenienti dall'Unione europea, il ponte sullo Stretto di Messina resti tra le grandi opere strategiche da realizzare, in quanto essenziale anche per il completamento del corridoio Berlino-Palermo.
(1-00813)
«Moffa, Gianni, Pionati, Calearo Ciman, Catone, Cesario, D'Anna, Grassano, Guzzanti, Lehner, Marmo, Milo, Mottola, Orsini, Pisacane, Polidori, Razzi, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini, Soglia, Stasi, Taddei».

La Camera,
premesso che:
l'Unione europea è stata impegnata negli scorsi mesi a definire i «corridoi» della rete di trasporto europea;
la creazione di una rete transeuropea di trasporto capace di essere sistema e di mettere in connessione tutti gli Stati europei, in relazione sia al trasporto merci che alla mobilità delle persone, rappresenta un elemento strategico che va sostenuto e ulteriormente aggiornato;
la garanzia di un sistema integrato a livello europeo di mobilità per i passeggeri e di trasporto merci deve sussistere unitariamente su tutto il territorio europeo e, in particolare, in Italia attraverso la creazione di una rete di trasporto che sia efficiente ed efficace a partire dalle regioni del Meridione; questo può derivare solo dalla contestualità della realizzazione dei corridoi di collegamento con gli altri Paesi europei previsti in Italia e non dalla modifica contingente degli stessi; in tale contesto i corridoi che interessano l'Italia rappresentano l'occasione per l'affermazione di una politica dei trasporti strategica che va colta, sostenuta e migliorata, la sola che può ridurre il gap ed il deficit nel trasporto di persone e merci tra il Nord e il Sud, la sola politica di effettiva continuità territoriale;
il corridoio 5, così come proposto dalla Commissione europea, rappresenta una decisione grave, in quanto di fatto crea una deviazione forzosa rispetto all'ex corridoio 1 Berlino-Palermo; in questo modo l'intero Meridione e la Sicilia sono esclusi dal trasporto integrato di merci e delle persone, con una visione della politica dei trasporti che tende a mantenere il Sud e la Sicilia ai margini o esclusi dalla rete non solo europea ma anche nazionale;
nella comunicazione COM(2011)500 la scelta di marginalizzare il Sud e la Sicilia da parte della Commissione europea si evince dal fatto che le tratte oggetto di finanziamento da qui al 2020 per l'Italia meridionale sarebbero solo quelle derivanti da quanto previsto dal corridoio 5;
l'abolizione, o anche la sola proroga nel tempo, del corridoio 1 Berlino-Palermo è non solo un atto ingiustificato nei confronti del Sud d'Italia, ma avrebbe conseguenze disastrose soprattutto sul piano dei treni veloci, in quanto, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, autorizzerebbe implicitamente Ferrovie dello Stato italiane spa a disinteressarsi, cosa che già abbondantemente fanno, dell'alta velocità/capacità da Salerno alla Sicilia, per la quale al momento sussiste solo un progetto di massima e non c'è nessuna risorsa allocata;
si è sostenuto che dei lavori per l'alta velocità/capacità al Sud e fino in Sicilia si sarebbe parlato solo a partire dal 2025 e questo significa che i lavori non sarebbero portati a termine prima della metà del secolo, una scelta di pura miopia;
è, altresì, evidente che, nel contesto di quanto affermato in precedenza, il corridoio Berlino-Palermo e il corridoio Baltico-Adriatico non vanno visti in maniera alternativa ma integrata, rappresentando entrambi un'occasione strategica nello sviluppo del Mezzogiorno, ma solo se vengono realizzati contestualmente e non diventano uno alternativo dell'altro;
appare, altresì, evidente che se l'Unione europea abbandona il Mezzogiorno del nostro Paese non ci sarà nessuna accelerazione, né per quanto riguarda i progetti, né tantomeno per quanto riguarda lo stanziamento di risorse;
l'eventuale cancellazione del corridoio Berlino-Palermo sicuramente significherebbe anche il «deperimento» dei programmi di trasformazione del porto di Augusta in hub, in quanto, anche ove le navi portacontainer potessero attraccare, non ci sarebbero linee veloci di treni per portare le merci al Nord;
nel porto di Augusta (Siracusa), il più vicino dei porti del Mezzogiorno al Canale di Suez e lungo la rotta per l'Atlantico, sono programmati importanti interventi infrastrutturali attraverso lo sviluppo e l'ampliamento di banchine e piazzali; si tratta di interventi che una volta portati a termine potranno dare al porto di Augusta una nuova dimensione e prospettive di sviluppo interessanti, a maggior ragione se questo si integra con l'avvio e il completamento della rete prevista dal corridoio 1 Berlino-Palermo;
in particolare, l'esclusione dal piano europeo 2014-2020 del corridoio 1 farebbe venire meno i finanziamenti relativi ai lavori per il potenziamento del porto di Augusta;
il superamento del corridoio Berlino-Palermo, se questo non fosse definito una priorità nell'agenda dell'Unione europea, significherebbe per il Sud e, in particolare, per la Sicilia negare semplicemente il futuro,

impegna il Governo:

ad attivarsi immediatamente nei confronti dell'Unione europea affinché la realizzazione del corridoio Berlino-Palermo sia prioritaria e questa opera entri di diritto nelle «Tratte da finanziare fino al 2020»;
a garantire i finanziamenti, e la loro continuità, relativi sia all'ampliamento di banchine e piazzali che alla bonifica del porto di Augusta;
ad assumere un'energica iniziativa nei confronti di Ferrovie dello Stato italiane spa affinché ai cittadini del Mezzogiorno e, in particolare, della Sicilia siano garantiti servizi di trasporto per passeggeri e merci efficaci ed efficienti garantendo quella continuità territoriale che è condizione imprescindibile per un reale sviluppo economico e per l'azzeramento del deficit infrastrutturale con il Nord del Paese.
(1-00813)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Moffa, Gianni, Pionati, Calearo Ciman, Catone, Cesario, D'Anna, Grassano, Guzzanti, Lehner, Marmo, Milo, Mottola, Orsini, Pisacane, Polidori, Razzi, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini, Soglia, Stasi, Taddei».

La Camera,
premesso che:
un sistema di trasporti competitivo ed efficiente in grado di soddisfare le esigenze di mobilità di persone e beni in base a standard di qualità elevati è requisito fondamentale per garantire l'accessibilità dei territori periferici favorendo la coesione economica, sociale e territoriale; la costruzione di un compiuto sistema dei trasporti nel Mezzogiorno che valorizzi gli asset esistenti, colmi i deficit infrastrutturali e colga i vantaggi competitivi offerti dalla internazionalizzazione dell'economia e dei mercati, costituisce un obiettivo prioritario per lo sviluppo della macro-area meridionale italiana;
il Mezzogiorno d'Italia registra un elevato deficit nelle infrastrutture e nei servizi di trasporto e nella logistica che non gli consente di agganciare quella necessaria trasformazione economica in linea con le aree europee produttive più sviluppate: il risultato è una pesante marginalizzazione e compromissione nel suo ruolo di core network nel Mediterraneo, in quanto le scelte di mercato dei vettori internazionali si dirigono verso nodi infrastrutturali, soprattutto navali ed aeroportuali, africani e maltesi, oggi più competitivi;
nel Mezzogiorno si ha un «non- sistema» dei trasporti, con strade e ferrovie non integrate ai porti agli aeroporti, con insufficienti collegamenti strategici e con l'assenza di nodi di scambio tra le principali modalità di trasporto; per questi territori la creazione di un sistema di trasporti è, quindi, la fondamentale premessa per garantire il superamento delle condizioni di perifericità territoriale ed economica e il necessario sviluppo;
in un contesto internazionale in continua evoluzione dal punto di vista delle infrastrutture e dei servizi per la mobilità delle persone e delle merci, il Mezzogiorno deve individuare in tempi utili concrete strategie di posizionamento all'interno dei mercati globali; pertanto deve superare con velocità la situazione attuale di infrastrutturazione di base alquanto carente rispetto al resto del Paese che rischia seriamente di comprometterne la sviluppo futuro;
occorre «mettere in rete» i territori meridionali tra di loro e con le altre aree del mondo, creando un tessuto locale di interconnessioni che consenta di far circolare in tempi compatibili uomini e merci, una condizione che consenta di migliorare subito la dipendenza economica delle regioni del Sud e di attrarre nuove iniziative produttive anche per lo stimolo offerto dalla domanda interna; la stessa geografia del Mezzogiorno - considerata all'interno del più ampio «sistema mediterraneo» - sollecita la creazione di un sistema integrato di porti, interporti ed aeroporti, una vera e propria infrastruttura sistemica, fortemente integrata con le grandi reti di trasporto nazionali, che consenta di superare le profonde discontinuità territoriali, la dispersione delle risorse e la fragilità dei sistemi locali al fine di agganciare le grandi potenzialità di sviluppo derivanti dall'inserimento nella rete globale di scambio commerciale dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, in termini di offerta di lavoro giovanile e risorse naturali;
sui divari infrastrutturali, studi della Svimez e della Banca d'Italia confermano i ritardi crescenti del Paese rispetto all'Europa e del Mezzogiorno rispetto al Paese, aggiungendovi ulteriori elementi di riflessione riguardanti non solo le dotazioni fisiche, ma anche la capacità di servizio delle infrastrutture, in termini di accessibilità e integrazione dei nodi e delle reti, la scarsa efficienza degli investimenti, in termini di maggiori costi realizzativi per unità di capitale fisso sociale e, in generale, il livello qualitativo e di utilizzazione da parte della domanda;
la disponibilità di infrastrutture di trasporto adeguate e di servizi utili a soddisfare le esigenze di una domanda in continua evoluzione offrirebbero al Mezzogiorno una importante opportunità di crescita economica mediante una operatività logistica a servizio non solo del sistema endogeno meridionale e italiano, ma principalmente quale territorio di concentrazione e smistamento di traffico lungo le direttrici dell'oriente e del Nord Africa;
al contrario oggi l'80 per cento del traffico intermodale ferroviario di container movimentato dai porti italiani è generato dai porti di Genova, La Spezia e Livorno; l'insieme dei porti del Mezzogiorno ne movimenta circa il 12 per cento; la competitività di servizi intermodali ferroviari dei porti di Gioia Tauro e Taranto, pur essendo tra i principali flub del Mediterraneo è fortemente compromessa dalle carenze e dalle restrizioni delle infrastrutture ferroviarie che ne riducono fortemente la capacità di trasporto di container marittimi e comportano un aumento del costo unitario trasportato;
al fine di promuovere la ripresa dell'economia europea, la Commissione europea nella comunicazione «Pacchetto per la crescita: integrazione delle infrastrutture europee» (COM(2011)676), ha affermato l'esigenza di investire nelle infrastrutture attribuendo un'importanza fondamentale agli investimenti per le reti transeuropee dei trasporti - reti TEN-T - indispensabili per favorire la coesione economica, sociale e territoriale nell'Unione europea e, di conseguenza, la completa integrazione del mercato unico ed il perseguimento degli obiettivi della Strategia UE 2020;
il connecting europe facility (COM(2011)665), ossia il «meccanismo per collegare l'Europa», prevede un piano di investimento nel settore dei trasporti, per il prossimo quadro finanziario relativo al periodo 2014-2020, pari a 31,7 miliardi di euro, di cui 10 miliardi provenienti dal fondo di coesione. Potranno beneficiare di tali finanziamenti i progetti destinati a sopprimere le strozzature, realizzare i collegamenti mancanti, garantire trasporti efficienti e sostenibili a lungo termine nonché favorire l'integrazione, l'interconnessione e l'interoperabilità tra le varie modalità di trasporto;
il 19 ottobre 2011 la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento (COM(2011)650) che segna un cambiamento di approccio nell'ambito della politica delle reti TEN-T «Linee guida per lo sviluppo delle reti transeuropee» (decisione n. 884/2004) risultato di un accordo politico raggiunto dopo lunghi negoziati dall'Italia nel suo semestre di presidenza dell'Unione europea nel 2003; in tale accordo l'Unione europea riconosceva il carattere strategico dell'Italia nell'area euro-mediterranea;
richiamandosi ai risultati della consultazione svolta sul Libro verde «Verso una migliore integrazione della rete transeuropea di trasporto al servizio della politica comune dei trasporti» (COM(2009)44), nella proposta in esame si ipotizza la realizzazione di una rete TEN-T articolata in due livelli: una rete globale, da realizzare entro il 2050 e una rete centrale a livello di Unione europea o core network, da realizzare entro il 2030 contenente i progetti strategici prioritari che contestualmente sono ridefiniti;
in particolare, la proposta della Commissione struttura il core network attorno a 10 corridoi plurimodali europei della mobilità che riconfigurano i 30 progetti prioritari individuati con la decisione n. 884/2004 prospettando uno scenario che rischia di accentuare il divario economico tra i paesi del Centro Nord Europa e quelli mediterranei;
in particolare, sembra emergere un rischio di penalizzazione per il Mezzogiorno italiano, in quanto il nuovo corridoio Helsinky-Valletta proposto dalla Commissione sostituisce di fatto il progetto prioritario Berlino-Palermo e pur mantenendo in vita la realizzazione anche dell'asse Napoli-Palermo registra nei fatti quello spostamento di mercato e di traffici internazionali, dall'Italia meridionale verso le coste del Nord Africa e di Malta, già registrato dai vari istituti di ricerca che ne indicano la causa nelle gravi carenze delle infrastrutture di trasporto e dei servizi ad esso connessi;
appare poco condivisibile la nuova regola prevista per l'accesso al co-finanziamento dell'Unione europea delle reti TEN-T che ne regola l'attribuzione sulla base di criteri competitivi che assegnano maggiori risorse non al miglior progetto o a quello che soddisfa un maggior fabbisogno in termini infrastrutturali e sociali ma in base al principio dei «primi arrivati»;
la posizione geografica del Mezzogiorno resta, nonostante la concorrenza di altre aree del Mediterraneo, ancora quella più favorevole per gestire flussi di merci e di persone da e verso l'Europa, su scala globale, a condizione che l'infrastrutture ed i servizi connessi siano capaci di attrarre traffici internazionali offrendo condizioni efficienti e vantaggiose di lavorazione e di trasporto merci,

impegna il Governo:

con particolare riferimento al corridoio 1:
a) a promuovere la concentrazione delle risorse nazionali ed europee nelle infrastrutture di trasporti, quali i corridoi TEN-T, e sui progetti di sviluppo industriale ed economico con essi integrati, che consentano di realizzare un'effettiva riduzione, in tempi definiti, dei divari strutturali e socio economici;
b) a predisporre e ad avviare in tempi brevi un piano di sviluppo per le infrastrutture di trasporto del Mezzogiorno connesse alle reti TEN-T in cui siano esplicitati gli obiettivi, in particolare per quanto riguarda le prestazioni in termini di qualità di servizio;
c) ad agevolare, anche mediante adeguati interventi normativi, forme di finanza di progetto e di partenariato pubblico-privato, al fine di impostare un programma di priorità infrastrutturali connesso alle reti TEN-T che massimizzino l'efficacia della spesa pubblica investita;
d) ad intervenire in sede negoziale con l'Unione europea al fine di riaffermare la strategicità degli interventi che riconoscono alle aree del Mezzogiorno d'Italia centralità nell'ambito dei collegamenti e delle correnti commerciali nel Mediterraneo;
e) ad intervenire in sede di Consiglio europeo in modo tale che le azioni beneficiarie del finanziamento TEN-T non siano selezionate sulla base del principio dei «primi arrivati», ma in base al fabbisogno sociale ed economico di infrastrutture di trasporto, alla qualità del progetto e ad un opportuno criterio di diversificazione settoriale e geografica.
(1-00815)
«Meta, Laratta, Bonavitacola, Velo, Lovelli, Boffa, Cardinale, Gasbarra, Gentiloni Silveri, Ginefra, Pierdomenico Martino, Giorgio Merlo, Tullo, Zampa».

La Camera
premesso che:
nella proposta di bilancio redatta dalla Commissione europea e presentata al Parlamento europeo il 29 giugno 2011, vengono individuate, sulla scorta delle priorità riguardanti le reti trans europee di trasporto TEN-T, le risorse finanziarie per la realizzazione dei progetti indicati;
nel documento elaborato dalla Commissione europea si ritiene di cancellare il cosiddetto «corridoio 1 Berlino-Palermo» a vantaggio del «corridoio 5 Helsinki-La Valletta»;
è di tutta evidenza che si tratta di una decisione che coinvolge fortemente il piano nazionale dei trasporti, con gravi danni per lo sviluppo infrastrutturale soprattutto nel Meridione d'Italia, che sarebbe così tagliato fuori dai collegamenti con il resto d'Europa;
la situazione dei collegamenti con il Mezzogiorno d'Italia è già deficitaria: il gruppo Ferrovie dello Stato italiane spa - dopo la soppressione, a seguito del nuovo piano industriale 2011-2015, di otto treni a lunga percorrenza, sedici tra intercity ed espressi, la chiusura delle officine di manutenzione di Messina, Siracusa, Palermo, della sala operativa di Palermo e di tutti gli uffici collegati e la soppressione delle navi che traghettano i treni nello Stretto di Messina - persevera nella progressiva eliminazione dei treni a lunga percorrenza da e per la Sicilia;
nel 2005 i treni circolanti da Nord a Sud, e viceversa, erano 56, ridotti poi a 26 ed oggi ancora a 10; inoltre, questi 10 convogli ferroviari arresteranno la loro corsa a Roma, eliminando di fatto i collegamenti con Torino, Milano e Venezia;
all'alta velocità del Nord si contrappone un trasporto nel Meridione in totale stato di abbandono; la Sicilia, più delle altre regioni del Sud, viene estromessa dal sistema-Paese, acuendo così l'immagine di un Paese a «due velocità»;
drammatica conseguenza di queste scelte di politica industriale sarà, e già è, una drastica riduzione dei posti di lavoro in una realtà depressa come quella del Sud Italia;
le numerose denunce da parte dei sindacati, le manifestazioni di protesta della società civile, gli interventi nelle sedi istituzionali non hanno avuto riscontro proficuo né da parte dei vertici di Trenitalia, né da parte del Governo;
in questo quadro, in cui si registra da parte di Ferrovie dello Stato italiane spa l'assenza assoluta di risorse da destinare allo sviluppo e all'ammodernamento della rete ferroviaria nel Meridione d'Italia, sarebbe senz'altro opportuno dare piena attuazione alla prevista liberalizzazione del settore, consentendo l'accesso ad altri operatori, sia per il trasporto passeggeri che per quello merci;
il decreto-legge 8 luglio 2003, n. 188, fra in principi che devono disciplinare il settore ferroviario, individua quello della «libertà di accesso al mercato dei trasporti di passeggeri e di merci per ferrovia da parte delle associazioni internazionali di imprese ferroviarie e delle imprese ferroviarie, in conformità alle prescrizioni contenute nelle direttive comunitarie e negli articoli 49 e seguenti del Trattato CE, a condizioni eque, non discriminatorie e tali da garantire lo sviluppo della concorrenza nel settore ferroviario»;
il processo in atto di liberalizzazione del trasporto ferroviario nazionale di persone e di merci rappresenta un impegno di carattere giuridico e istituzionale, ma soprattutto uno stimolante e condivisibile obiettivo di politica economica;
senza una rete di trasporti adeguata ed efficiente nessun investimento infrastrutturale nel Meridione d'Italia troverebbe un realistico fondamento economico;
in particolare, per quanto riguarda il progetto di realizzare il ponte sullo Stretto di Messina, andrebbe avviata una riflessione al fine di considerare la possibilità di destinare le risorse, soprattutto in una fase di grave crisi economica e di carenza infrastrutturale, ad opere prioritarie,

impegna il Governo:

a farsi promotore presso l'Unione europea affinché si assicuri la realizzazione del corridoio TEN-T1 Berlino-Palermo;
a prevedere un nuovo piano industriale in accordo con le Ferrovie dello Stato italiane spa al fine di incentivare lo sviluppo e l'ammodernamento della rete ferroviaria nel Meridione d'Italia e al potenziamento dei servizi nella tratta Nord-Sud;
a dare piena attuazione alla liberalizzazione del trasporto ferroviario nazionale, consentendo l'accesso ad altri operatori, sia per il trasporto passeggeri che per quello merci.
(1-00816)
«Toto, Della Vedova, Briguglio, Granata, Lo Presti, Barbaro, Bocchino, Bongiorno, Consolo, Giorgio Conte, Di Biagio, Divella, Lamorte, Menia, Moroni, Muro, Angela Napoli, Paglia, Patarino, Perina, Proietti Cosimi, Raisi, Scanderebech, Ruben».

MOZIONI BINETTI ED ALTRI N. 1-00780, LAURA MOLTENI ED ALTRI N. 1-00808, MIOTTO ED ALTRI N. 1-00809 E MOSELLA ED ALTRI N. 1-00814 CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI MALATTIE RARE

Mozioni

La Camera,
premesso che:
l'articolo 3 della Costituzione afferma che tutti i cittadini, senza distinzione di alcun tipo, sono uguali davanti alla legge (uguaglianza formale, comma 1) e impegna lo Stato a rimuovere gli ostacoli che, di fatto, limitano l'eguaglianza dei cittadini per varie ragioni, comprese quelle che riguardano la loro salute (uguaglianza sostanziale, comma 2);
in tal modo la Costituzione sancisce che «tutti i cittadini hanno pari dignità», intendendo la dignità umana come fondamento costituzionale di tutti i diritti collegati allo sviluppo della persona, principio cardine dell'ordinamento democratico, su cui si fonda il valore di ogni essere umano;
a tale riguardo è d'obbligo precisare che il bene «salute» è tutelato dall'articolo 32, primo comma, della Costituzione, non solo come diritto fondamentale dell'individuo, ma anche come interesse della collettività, per questo richiede piena ed esaustiva tutela in quanto diritto primario ed assoluto pienamente operante anche nei rapporti tra privati. Tale tutela è garantita attraverso il servizio sanitario (istituito e disciplinato dalla legge n. 833 del 1978 e dal decreto legislativo n. 502 del 1992 e successive modificazioni). La possibilità di accedere a cure sanitarie adeguate è uno degli elementi principali che contribuiscono alla realizzazione del diritto alla tutela della salute, riconosciuto a ciascun individuo;
al di là delle mere affermazioni di principio, appare evidente che occorre dare a tutti le stesse opportunità e rimuovere i fattori di disparità sociale, territoriale ed economica esistenti. Tale criticità appare maggiormente complessa se applicata al contesto delle malattie rare. Le «malattie rare» sono patologie debilitanti e fortemente invalidanti, potenzialmente letali, caratterizzate da bassa prevalenza ed elevato grado di complessità, in gran parte di origine genetica, circa nell'80 per cento dei casi, mentre per il restante 20 per cento dei casi sono acquisite e comprendono anche forme tumorali rare, malattie autoimmuni, patologie di origine infettiva o tossica;
ai sensi del regolamento (CE) n. 141/2000 e precedenti normative, sono considerate rare quelle patologie «la cui prevalenza non è superiore a 5 su 10.000 abitanti». In Italia si calcola una stima approssimativa di circa 2 milioni di malati, moltissimi dei quali in età pediatrica. Se si raffronta questo dato con quello dei 27 Stati membri dell'Unione europea si nota che per ciascuna popolazione ci sono 246.000 malati. Oggi, nell'Unione europea, le 5.000-8.000 malattie rare esistenti colpiscono complessivamente il 6-8 per cento della popolazione, ossia da 27 a 36 milioni di persone;
l'arbitraria definizione di «rara» non ha favorito il processo di ricerca e di attenzione sulle cause di tali patologie, frenando gli investimenti sia in campo diagnostico che terapeutico, per cui se da un lato sono pochi i centri in cui è possibile ottenere in tempi contenuti una diagnosi esatta, è complessivamente scarsa anche la ricerca per la produzione di nuove molecole, con conseguenti ritardi nella diagnosi e nelle cure;
il decreto del Ministro della sanità del 18 maggio 2001, n. 279 (recante «Regolamento di istituzione della rete nazionale delle malattie rare e di esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie») reca, all'allegato 1, l'elenco delle malattie riconosciute come rare dal Servizio sanitario nazionale;
l'articolo 8 del decreto ministeriale n. 279 del 2001 prevede testualmente che «i contenuti del presente regolamento sono aggiornati, con cadenza almeno triennale, con riferimento all'evoluzione delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, ai dati epidemiologici relativi alle malattie rare e allo sviluppo dei percorsi diagnostici e terapeutici di cui all'articolo 1, comma 28, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e successive modificazioni e integrazioni»;
nonostante le previsioni di cui sopra, non si è proceduto ad alcun aggiornamento, sebbene il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 marzo 2008, mai entrato in vigore, recasse, all'allegato 7, un aggiornamento delle malattie riconosciute come rare, integrando e sostituendo l'allegato 1 del decreto ministeriale n. 279 del 2001; l'allegato 7 al decreto rappresenterebbe, dunque, l'unico documento ufficiale, con i limiti evidenti conseguenti dall'emergere, nel tempo, di nuove patologie, prima sconosciute. Esso, a titolo esemplificativo e non esaustivo, indicherebbe in 109 le patologie da includere ai fini del riconoscimento dello status di malattie rare; queste 109 patologie però non sono mai state realmente incluse negli elenchi ufficiali e i pazienti che ne sono affetti non godono di nessuno dei benefici previsti;
contemporaneamente all'azione mirata dell'Unione europea, anche l'Italia, a partire dal 1999, ha identificato nelle malattie rare un'area di priorità in sanità pubblica, ha esplicitato priorità ed obiettivi da raggiungere ed è intervenuta con un provvedimento specifico, il decreto ministeriale n. n. 279 del 2001. Le regioni italiane, trasferita loro la competenza in tema di programmazione ed organizzazione sanitaria, hanno preso in carico l'applicazione della normativa nazionale. Nell'attuale negativa congiuntura economica, occorre tener conto anche del cambiamento radicale del Sistema sanitario nazionale, provocato dal passaggio di competenze in materia sanitaria dallo Stato alle regioni, dovuto alla modifica del titolo V, parte seconda, della Costituzione. Di fatto, si sono creati 21 sistemi sanitari regionali, molto diversi tra di loro per quanto riguarda sia le politiche fiscali che la disponibilità di bilancio, pur rimanendo identica la ratio che li ha generati. La diversa disponibilità e, quindi, la diversa accessibilità ai fondi regionali, si tramuta, inevitabilmente, in difformità nell'accesso alle opportunità di cura e in disparità di trattamento per i pazienti, sulla base della semplice appartenenza regionale sul territorio nazionale;
è necessario che il sistema mantenga un corretto equilibrio tra le autonomie locali ed il livello centrale. L'obiettivo dell'uniformità qualitativa e quantitativa dell'assistenza sanitaria e sociosanitaria necessita della previsione di linee guida e direttive in tale ambito, che siano sufficientemente omogenee e capaci di coniugare il rispetto delle specificità locali e le esigenze di razionalizzazione del sistema sanitario con il diritto di accesso alle cure;
ad oggi in Italia, nonostante un accordo Stato-regioni datato 8 luglio 2010, che prevede una quota vincolata di 20.000.000 di euro per progetti relativi alle malattie rare e ripartita in base alla popolazione di riferimento, non esiste una normativa adeguata a sostegno dei malati e delle loro famiglie, che incontrano enormi difficoltà di carattere economico-assistenziale, avuto particolare riguardo a ciò che concerne la terapia domiciliare; a ciò va a sommarsi la grave carenza di strutture e farmaci adeguati alla cura di tali patologie;
tutte le associazioni di pazienti affetti da malattie rare sostengono con energia come il nostro Paese debba allinearsi il più rapidamente possibile alle procedure che negli altri Paesi garantiscono ai cittadini, affetti da malattie rare, un accesso tempestivo alle terapie innovative;
in Francia, in particolare, è stato adottato da tempo un piano nazionale per le malattie rare e già dal 1994 è in vigore l'autorizzazione temporanea di utilizzo dei farmaci (atu), con lo scopo di garantire l'accesso alle cure da parte dei pazienti e l'utilizzo di un farmaco orfano e/o destinato alla cura di malattie rare o gravi, prima ancora che lo stesso abbia ottenuto l'autorizzazione all'immissione in commercio, purché il farmaco sia in fase di sviluppo avanzato e non vi sia una valida alternativa terapeutica con un farmaco regolarmente autorizzato (ad esempio, prodotti che abbiano profili di sicurezza già accertati o un documento di autorizzazione di immissione sul mercato in fase di stesura o in corso di registrazione);
lo schema dell'autorizzazione temporanea di utilizzo dei farmaci, applicato alle medicine destinate alla cura di malattie rare o orfane o gravi, consentirebbe ai pazienti di avere a disposizione tali farmaci con largo anticipo rispetto ai tempi necessari alla conclusione degli studi clinici ed all'ottenimento dell'autorizzazione alla commercializzazione;
in Italia, l'inserimento nei prontuari terapeutici ospedalieri e nei prontuari terapeutici ospedalieri regionali spesso ritarda ulteriormente l'accesso alla terapia da parte dei pazienti affetti da malattie rare. Le amministrazioni regionali non differenziano i farmaci orfani all'interno delle loro delibere attuative e di indirizzo, creando così ulteriori difficoltà (quali limitazioni nella dispensazione del medicinale e non solo della prescrizione) ai pochi, talvolta addirittura unici, centri di riferimento regionali;
il regolamento (CE) n. 141/2000 stabilisce i criteri per l'assegnazione della qualifica di medicinali orfani nell'Unione europea e prevede incentivi per stimolare la ricerca, lo sviluppo e la commercializzazione di farmaci per la profilassi, la diagnosi o la terapia delle malattie rare; con determinazione del 20 marzo 2008, l'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha stabilito le «Linee guida per la classificazione e conduzione degli studi osservazionali sui farmaci»;
l'associazione culturale «Giuseppe Dossetti: I Valori - Sviluppo e Tutela dei Diritti» da oltre dieci anni si batte per ottenere una legislazione adeguata, che dia, a tutti i pazienti, le stesse possibilità di diagnosi, cura, assistenza e che incentivi la ricerca e la produzione di farmaci. L'associazione, che esplica la sua attività anche attraverso l'Osservatorio di tutela civica dei diritti, chiede da tempo che vengano adottate le misure legislative necessarie per incentivare e promuovere la ricerca, lo sviluppo e l'immissione in commercio dei medicinali cosiddetti «orfani», ossia di tutti quei medicinali destinati alla diagnosi, alla profilassi o alla terapia di una malattia considerata, in base ai dettami dell'Unione europea «rara»,

impegna il Governo:

a verificare in che modo e fino a che punto i bisogni di salute di questi pazienti vengano attualmente soddisfatti, tenendo conto che, in questo particolare momento di risanamento economico del Paese, esiste una categoria di cittadini già gravemente penalizzata, sulla quale si chiede di non incidere ulteriormente;
a istituire a livello nazionale e a promuovere l'istituzione in ambito regionale dei registri delle patologie di rilevante interesse sanitario, in modo da fare chiarezza sulle cifre reali dei pazienti che ne sono affetti, consentendo l'utilizzo mirato delle risorse pubbliche;
a dare una definizione tempestiva delle «malattie rare» da includere nell'elenco delle patologie da sottoporre a screening neonatale obbligatorio, posto che la diagnosi neonatale consentirebbe, infatti, di tutelare la vita dei bambini affetti da queste patologie, consentendo di iniziare precocemente la terapia opportuna, prima che i danni diventino irrimediabili;
a istituire il Comitato nazionale delle malattie rare, presso il Ministero della salute, tenendo conto nella composizione dei rappresentanti delle regioni, dell'Istituto superiore di sanità e delle associazioni di tutela dei malati, nonché dei rappresentanti dei Ministeri competenti in merito (Ministero della salute, Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Ministero del lavoro e delle politiche sociali);
a emanare urgentemente un provvedimento di aggiornamento dell'elenco delle malattie rare attraverso l'inserimento nei livelli essenziali di assistenza delle 109 patologie rare indicate nell'allegato 7 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 marzo 2008, mai entrato in vigore;
ad assumere iniziative dirette ad ampliare la copertura finanziaria della legge n. 648 del 1996 al fine di permettere un più ampio e veloce accesso a cure innovative, non ancora approvate in Italia;
ad attuare ogni disposizione normativa atta a rendere vincolante la valutazione dell'Ema, (European Medicines Agency), in tutti gli Stati europei, in quanto la ratio della norma prevede, nello specifico, che il farmaco, che ha già ricevuto dall'Ema la qualifica di «medicinale orfano», possa automaticamente beneficiare di una procedura accelerata di autorizzazione sulla base della valutazione dei soli dati a supporto della sicurezza del principio attivo, prescindendo dalle complesse valutazioni dell'efficacia, che non si conciliano con le particolarità delle malattie orfane e nel rispetto della speranza/diritto del paziente a beneficiare di un trattamento senza dover aspettare la conclusione dei normali procedimenti autorizzativi, prescindendo cioè dalla valutazione discrezionale circa l'esistenza di un major public health need;
ad assumere iniziative normative che consentano di assicurare ai farmaci orfani, sul modello vigente negli Usa: l'esenzione dei diritti da versare per l'immissione in commercio; una procedura di registrazione accelerata; un credito di imposta pari al 50 per cento delle spese sostenute per la sperimentazione clinica; un periodo di esclusività di mercato di sette anni;
ad istituire un tavolo di lavoro e concertazione permanente con tutti gli stakeholder, che verrà consultato con cadenza bimestrale, al fine di intraprendere le azioni necessarie a colmare le carenze legislative ancora riscontrabili in tema di malattie rare e monitorare le azioni intraprese in tale ambito.
(1-00780)
«Binetti, Nunzio Francesco Testa, Calgaro, De Poli, Delfino, Adornato, Enzo Carra, Pezzotta, Ria, Mereu, D'Ippolito Vitale, Rao, Mondello, Mosella, Bossa, Zinzi, Poli, Porcu, Iannuzzi, Zazzera, Palomba, Sbrollini, Verini, Di Biagio, De Nichilo Rizzoli, Di Virgilio, Vella, Barani, Di Caterina, Mario Pepe (PD), Compagnon, Garofalo, Torrisi, Scapagnini, Pelino, Palagiano, Bocciardo, Commercio».

La Camera,
premesso che:
l'articolo 3 della Costituzione afferma che tutti i cittadini, senza distinzione di alcun tipo, sono uguali davanti alla legge (uguaglianza formale, comma 1) e impegna lo Stato a rimuovere gli ostacoli che, di fatto, limitano l'eguaglianza dei cittadini per varie ragioni, comprese quelle che riguardano la loro salute (uguaglianza sostanziale, comma 2);
in tal modo la Costituzione sancisce che «tutti i cittadini hanno pari dignità», intendendo la dignità umana come fondamento costituzionale di tutti i diritti collegati allo sviluppo della persona, principio cardine dell'ordinamento democratico, su cui si fonda il valore di ogni essere umano;
a tale riguardo è d'obbligo precisare che il bene «salute» è tutelato dall'articolo 32, primo comma, della Costituzione, non solo come diritto fondamentale dell'individuo, ma anche come interesse della collettività, per questo richiede piena ed esaustiva tutela in quanto diritto primario ed assoluto pienamente operante anche nei rapporti tra privati. Tale tutela è garantita attraverso il servizio sanitario (istituito e disciplinato dalla legge n. 833 del 1978 e dal decreto legislativo n. 502 del 1992 e successive modificazioni). La possibilità di accedere a cure sanitarie adeguate è uno degli elementi principali che contribuiscono alla realizzazione del diritto alla tutela della salute, riconosciuto a ciascun individuo;
al di là delle mere affermazioni di principio, appare evidente che occorre dare a tutti le stesse opportunità e rimuovere i fattori di disparità sociale, territoriale ed economica esistenti. Tale criticità appare maggiormente complessa se applicata al contesto delle malattie rare. Le «malattie rare» sono patologie debilitanti e fortemente invalidanti, potenzialmente letali, caratterizzate da bassa prevalenza ed elevato grado di complessità, in gran parte di origine genetica, circa nell'80 per cento dei casi, mentre per il restante 20 per cento dei casi sono acquisite e comprendono anche forme tumorali rare, malattie autoimmuni, patologie di origine infettiva o tossica;
ai sensi del regolamento (CE) n. 141/2000 e precedenti normative, sono considerate rare quelle patologie «la cui prevalenza non è superiore a 5 su 10.000 abitanti», In Italia si calcola una stima approssimativa di circa 2 milioni di malati, moltissimi dei quali in età pediatrica. Se si raffronta questo dato con quello dei 27 Stati membri dell'Unione europea si nota che per ciascuna popolazione ci sono 246.000 malati. Oggi, nell'Unione europea, le 5.000-8.000 malattie rare esistenti colpiscono complessivamente il 6-8 per cento della popolazione, ossia da 27 a 36 milioni di persone;
l'arbitraria definizione di «rara» non ha favorito il processo di ricerca e di attenzione sulle cause di tali patologie, frenando gli investimenti sia in campo diagnostico che terapeutico, per cui se da un lato sono pochi i centri in cui è possibile ottenere in tempi contenuti una diagnosi esatta, è complessivamente scarsa anche la ricerca per la produzione di nuove molecole, con conseguenti ritardi nella diagnosi e nelle cure;
se la rarità incide anche sulle possibilità della ricerca clinica, in quanto la valutazione di nuove terapie è spesso resa difficoltosa dall'esiguo numero di pazienti arruolabili nei trial clinici, dall'altra parte il ricorso a una casistica multicentrica può diminuire la qualità dello studio, in quanto i criteri di reclutamento e di trattamento dei pazienti da sottoporre a trial clinici possono essere disomogenei;
negli ultimi anni, anche grazie alla continua attività di sensibilizzazione portata avanti dalle associazioni dei pazienti, sono stati raggiunti importanti risultati per sopperire alle esigenze di coloro che sono affetti da patologie rare, con la Decisione n. 1295/1999/CE del Parlamento e del Consiglio europeo, è stato adottato un Programma d'azione comunitaria sulle malattie rare nel quadro dell'azione della sanità pubblica per il quadriennio 1999-2003. Sempre a livello europeo, nel 2000 è stato pubblicato il regolamento n. 141/2000 concernente i medicinali orfani con l'istituzione della procedura comunitaria per l'assegnazione della qualifica di medicinale orfano. Per svolgere questa attività è stato istituito nell'ambito dell'European Medicines Agency (EMEA) il Committee for Orphan Medicinal Products (COMP);
il decreto del ministro della sanità del 18 maggio 2001, n. 279 (recante «Regolamento di istituzione della rete nazionale delle malattie rare e di esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie») reca, all'allegato 1, l'elenco delle malattie riconosciute come rare dal Servizio sanitario nazionale;
l'articolo 8 del decreto ministeriale n. 279 del 2001 prevede testualmente che «i contenuti del presente regolamento sono aggiornati, con cadenza almeno triennale, con riferimento all'evoluzione delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, ai dati epidemiologici relativi alle malattie rare e allo sviluppo dei percorsi diagnostici e terapeutici di cui all'articolo 1, comma 28, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e successive modificazioni e integrazioni»;
nonostante le previsioni di cui sopra, non si è proceduto ad alcun aggiornamento, sebbene il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 marzo 2008, mai entrato in vigore, recasse, all'allegato 7, un aggiornamento delle malattie riconosciute come rare, integrando e sostituendo l'allegato 1 del decreto ministeriale n. 279 del 2001; l'allegato 7 al decreto rappresenterebbe, dunque, l'unico documento ufficiale, con i limiti evidenti conseguenti dall'emergere, nel tempo, di nuove patologie, prima sconosciute. Esso, a titolo esemplificativo e non esaustivo, indicherebbe in 109 le patologie da includere ai fini del riconoscimento dello status di malattie rare; queste 109 patologie però non sono mai state realmente incluse negli elenchi ufficiali e i pazienti che ne sono affetti non godono di nessuno dei benefici previsti;
contemporaneamente all'azione mirata dell'Unione europea, anche l'Italia, a partire dal 1999, ha identificato nelle malattie rare un'area di priorità in sanità pubblica, ha esplicitato priorità ed obiettivi da raggiungere ed è intervenuta con un provvedimento specifico, il decreto ministeriale n. 279 del 2001. Le regioni italiane, trasferita loro la competenza in tema di programmazione ed organizzazione sanitaria, hanno preso in carico l'applicazione della normativa nazionale. Nell'attuale negativa congiuntura economica, occorre tener conto anche del cambiamento radicale del Sistema sanitario nazionale, provocato dal passaggio di competenze in materia sanitaria dallo Stato alle regioni, dovuto alla modifica del Titolo V, parte seconda, della Costituzione. Di fatto, si sono creati 21 sistemi sanitari regionali, molto diversi tra di loro per quanto riguarda sia le politiche fiscali che la disponibilità di bilancio, pur rimanendo identica la ratio che li ha generati. La diversa disponibilità e, quindi, la diversa accessibilità ai fondi regionali, si tramuta, inevitabilmente, in difformità nell'accesso alle opportunità di cura e in disparità di trattamento per i pazienti, sulla base della semplice appartenenza regionale sul territorio nazionale;
è necessario che il sistema mantenga un corretto equilibrio tra le autonomie locali ed il livello centrale. L'obiettivo dell'uniformità qualitativa e quantitativa dell'assistenza sanitaria e sociosanitaria necessita della previsione di linee guida e direttive in tale ambito, che siano sufficientemente omogenee e capaci di coniugare il rispetto delle specificità locali e le esigenze di razionalizzazione del sistema sanitario con il diritto di accesso alle cure;
ad oggi in Italia, nonostante un accordo Stato-regioni datato 8 luglio 2010, che prevede una quota vincolata di 20 milioni di euro per progetti relativi alle malattie rate e ripartita in base alla popolazione di riferimento, non esiste una normativa adeguata a sostegno dei malati e delle loro famiglie, che incontrano enormi difficoltà di carattere economico-assistenziale, avuto particolare riguardo a ciò che concerne la terapia domiciliare; a ciò va a sommarsi la grave carenza di strutture e farmaci adeguati alla cura di tali patologie;
tutte le associazioni di pazienti affetti da malattie rare sostengono con energia come il nostro Paese debba allinearsi il più rapidamente possibile alle procedure che negli altri paesi garantiscono ai cittadini, affetti da malattie rare, un accesso tempestivo alle terapie innovative;
in Francia, con una interpretazione della normativa europea non condivisa da tutti, è stato adottato fin dal 1994 un piano nazionale per le malattie rare, che consente una autorizzazione temporanea di utilizzo dei farmaci (atu), con lo scopo di garantire l'accesso alle cure da parte dei pazienti e l'utilizzo di un farmaco orfano e/o destinato alla cura di malattie rare o gravi, prima ancora che lo stesso abbia ottenuto l'autorizzazione all'immissione in commercio. La condizione necessaria è che il farmaco sia in fase di sviluppo avanzato, abbia possibilmente superato la fase sperimentale III, ci siano segni di una accertata efficacia, e non vi sia una valida alternativa terapeutica con un farmaco regolarmente autorizzato (ad esempio, prodotti che abbiano profili di sicurezza già accertati o un documento di autorizzazione di immissione sul mercato in fase di stesura o in corso di registrazione);
lo schema dell'autorizzazione temporanea di utilizzo dei farmaci, applicato alle medicine destinate alla cura di malattie rare o orfane o gravi, consentirebbe ai pazienti di avere a disposizione tali farmaci con largo anticipo rispetto ai tempi necessari alla conclusione degli studi clinici ed all'ottenimento dell'autorizzazione alla commercializzazione;
con il decreto ministeriale n. 279 del 2001 «Regolamento di istituzione della rete nazionale delle malattie rare e di esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie, ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 160 del 12 luglio 2001 - supplemento ordinario n. 180/L si prevede l'esenzione per le prestazioni sanitarie correlate alla malattia, selezionate dal medico curante tra quelle incluse nei LEA secondo criteri di appropriatezza ed efficacia rispetto alle condizioni cliniche individuali e, per quanto possibile, sulla base di protocolli clinici concordati con il presidio di riferimento competente. Ai fini dell'esenzione il regolamento individua 284 malattie e 47 gruppi di malattie rare;
in Italia, l'inserimento nei prontuari terapeutici ospedalieri e nei prontuari terapeutici ospedalieri regionali spesso ritarda ulteriormente l'accesso alla terapia da parte dei pazienti affetti da malattie rare. Le amministrazioni regionali non differenziano i farmaci orfani all'interno delle loro delibere attuative e di indirizzo, creando così ulteriori difficoltà (quali limitazioni nella dispensazione del medicinale e non solo della prescrizione) ai pochi, talvolta addirittura unici, centri di riferimento regionali;
il regolamento (CE) n. 141/2000 stabilisce i criteri per l'assegnazione della qualifica di medicinali orfani nell'Unione europea e prevede incentivi per stimolare la ricerca, lo sviluppo e la commercializzazione di farmaci per la profilassi, la diagnosi o la terapia delle malattie rare; con determinazione del 20 marzo 2008, l'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha stabilito le «Linee guida per la classificazione e conduzione degli studi osservazionali sui farmaci»;
molte associazioni di malati e loro familiari, da oltre dieci anni si battono per ottenere una legislazione adeguata, che dia, a tutti i pazienti, le stesse possibilità di diagnosi, cura, assistenza e che incentivi la ricerca e la produzione di farmaci. Le associazioni, che esplicano la sua attività anche attraverso l'Osservatorio di tutela civica dei diritti, chiedono da tempo che vengano adottate le misure legislative necessarie per incentivare e promuovere la ricerca, lo sviluppo e l'immissione in commercio dei medicinali cosiddetti «orfani», ossia di tutti quei medicinali destinati alla diagnosi, alla profilassi o alla terapia di una malattia considerata, in base ai dettami dell'unione europea «rara»;
si tratta certamente di primi passi, significativi ma non ancora adeguati, a dare soluzioni concrete e definitive a problemi così rilevanti, primo fra tutti il problema che sia a livello nazionale sia a livello regionale, i cittadini affetti da malattie rare non usufruiscono dello stesso livello di prestazioni diagnostiche, terapeutiche ed assistenziali previste da parte del Servizio sanitario nazionale (SSN) per tutti gli altri pazienti ed ancora, la disparità di trattamento avviene anche fra le varie regioni e persino all'interno delle medesime regioni e, addirittura, all'interno delle stesse città, nonostante sia ovvio e doveroso che tutti i cittadini debbano godere dello stesso livello di prestazioni da parte del Servizio sanitario nazionale,

impegna il Governo

ad adottare ogni adempimento di competenza al fine di favorire il rapido svolgimento dell'esame parlamentare del testo unificato in materia di malattie rare;
a verificare in che modo e fino a che punto i bisogni di salute di questi pazienti vengano attualmente soddisfatti, tenendo conto che, in questo particolare momento di risanamento economico del Paese, esiste una categoria di cittadini già gravemente penalizzata, sulla quale si chiede di non incidere ulteriormente;
a istituire a livello nazionale e a promuovere (istituzione in ambito regionale dei registri delle patologie di rilevante interesse sanitario, in modo da fare chiarezza sulle cifre reali dei pazienti che ne sono affetti, consentendo l'utilizzo mirato delle risorse pubbliche;
a promuovere l'adozione in tutte le regioni, gradatamente e progressivamente secondo lo standard delle regioni «virtuose», iniziative che consentano a tutti i bambini che nascono di accedere ad adeguati screening neonatali, indispensabili per individuare precocemente molte patologie, anche di tipo metabolico, consentendo di iniziare precocemente la terapia opportuna ed evitando successivi stati di grave invalidità;
a istituire il Comitato nazionale delle malattie rare presso il Ministero della salute, tenendo conto nella composizione dei rappresentanti delle regioni, dell'Istituto superiore di sanità e delle associazioni di tutela dei malati, nonché dei rappresentanti dei Ministeri competenti in merito (Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Ministero del lavoro e delle politiche sociali);
ad accelerare la revisione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) per inserirvi un elenco aggiornato delle malattie rare, a cominciare dalle 109 nuove patologie rare, indicate nell'allegato 7 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 marzo 2008, mai entrato in vigore;
a valutare iniziative volte ad ampliare la copertura finanziaria della legge n. 648 del 1996 al fine di permettere un più ampio e veloce accesso a cure innovative, non ancora approvate in Italia;
a recepire le raccomandazioni del Consiglio dell'Unione europea in forma tempestiva, partendo dall'istituzione di un fondo ad hoc per garantire che i farmaci «orfani», nonché i parafarmaci ed i farmaci di fascia «C» indispensabili per la cura delle patologie rare, siano posti a carico del Servizio sanitario nazionale con una gestione trasparente, tramite l'inserimento, in modo omogeneo in tutti i prontuari regionali, in tempi prestabiliti, una volta ottenuta l'autorizzazione alla commercializzazione;
a prevedere una adeguata semplificazione delle procedure che autorizzano la messa in commercio di farmaci orfani, nel rispetto dei principi generali del settore e a prevedere il sostegno del Governo ad iniziative normative quali ad esempio: l'esenzione dei diritti da versare per l'immissione in commercio; procedure di registrazione accelerata; e un credito di imposta pari al 50 per cento delle spese sostenute per la sperimentazione clinica; un periodo di esclusività di mercato di sette anni;
a valutare l'opportunità di assumere iniziative affinché nel caso delle malattie rare, e in altre patologie croniche, in deroga alle disposizioni attuali in materia di prescrizioni farmaceutiche, siano possibili prescrizioni ripetibili in un arco di tempo determinato, in modo da evitare al paziente di dover tornare con eccessiva frequenza dal medico per ottenere la ricetta, su cui oltretutto dovrebbe pagare anche il ticket;
ad istituire un tavolo di lavoro e concertazione permanente con tutti gli stakeholder, che verrà consultato con cadenza bimestrale, al fine di intraprendere le azioni necessarie a colmare le carenze normative ancora riscontrabili in tema di malattie rare e monitorare le azioni intraprese in tale ambito;
ad assumere tutte le iniziative necessarie per assicurare l'effettiva trasmissione dei dati e l'aggiornamento dei registri regionali e nazionali;
ad adottare un piano nazionale per le malattie rare, con durata triennale, finalizzato ad assicurare prevenzione, sorveglianza, diagnosi tempestiva, trattamento e riabilitazione ai pazienti con malattie rare, a garantire equo accesso ai servizi socio-sanitari a tutti i pazienti con malattie rare sul territorio nazionale, a migliorare la qualità della vita delle persone con malattie rare e dei loro familiari, disciplinando le aree prioritarie di intervento e le azioni necessarie per la sorveglianza delle malattie rare, la diffusione dell'informazione sulle malattie rare diretta alla popolazione generale ed agli operatori socio-sanitari, la formazione di medici e figure professionali coinvolti nell'assistenza, l'accesso al trattamento inclusi i farmaci, la prevenzione e l'accesso ad una diagnosi tempestiva, il supporto alla ricerca di base clinica, sociale e di sanità pubblica sulle malattie rare, le istituzioni responsabili delle specifiche azioni, nonché il sistema di monitoraggio e valutazione annuale del piano nazionale.
(1-00780)
(Nuova formulazione) «Binetti, Miotto, Laura Molteni, Barani, Mosella, Palagiano, Di Biagio, Argentin, Nunzio Francesco Testa, Calgaro, De Poli, Delfino, Adornato, Enzo Carra, Pezzotta, Ria, Mereu, D'Ippolito Vitale, Rao, Mondello, Patarino, Martini, Rondini, Bossa, Zinzi, Poli, Porcu, Iannuzzi, Zazzera, Pedoto, Palomba, Sbrollini, Verini, De Nichilo Rizzoli, Di Virgilio, Vella, Di Caterina, Mario Pepe (PD), Compagnon, Garofalo, Torrisi, Scapagnini, Pelino, Fava, Fabi, Farina Coscioni, Sbai».

La Camera,
premesso che:
l'articolo 3 della Costituzione sancisce che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge;
l'articolo 32 della Costituzione sancisce che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti;
l'Organizzazione mondiale della sanità riconosce la salute quale diritto fondamentale dell'uomo e il godimento del miglior stato di salute raggiungibile come uno dei diritti fondamentali di ogni essere umano;
in data 11 novembre 2008 la Commissione europea ha adottato la comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni «malattie rare: una sfida per l'Europa» (COM 2008/679), al fine di stabilire una strategia comune per affrontare le malattie rare sulle base delle migliori pratiche esistenti;
il regolamento (CE) n. 141/2000 considera «malattie rare» quelle patologie che colpiscono cinque soggetti su diecimila;
in Europa i soggetti colpiti da malattie rare sono circa 24 milioni e in Italia oltre 2 milioni, soprattutto in età infantile;
trattasi per l'80 per cento di malattie di origine genetica e per il restante 20 per cento di malattie acquisite;
le malattie rare sono anche definite «malattie orfane», in quanto prive di adeguate attività di ricerca e di interesse da parte del mercato e delle politiche di sanità pubblica; di conseguenza, si considerano «orfani», ai sensi del regolamento (CE) n. 141/2000, i farmaci innovativi per contrastare le malattie rare, ancora scarsamente commercializzati a causa dei costi eccessivi;
il decreto del Ministro della sanità 18 maggio 2001, n. 279 (recante «Regolamento di istituzione della rete nazionale delle malattie rare e di esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie»), contiene, all'allegato 1, l'elenco delle malattie riconosciute come rare dal servizio sanitario nazionale (per le quali è prevista l'esenzione dai costi delle relative prestazioni sanitarie) e prevede che tale elenco sia aggiornato almeno ogni tre anni;
non è stato ancora approntato alcun aggiornamento dell'elenco sopra menzionato, nonostante l'emersione di nuove patologie (risultano ad oggi individuate circa 109 patologie da includere ai fini del riconoscimento dello status di malattie rare, di fatto mai incluse negli elenchi ufficiali);
sino ad oggi sono stati depositati in Parlamento 31 disegni e progetti di legge in materia, per nessuno dei quali è stato sino ad oggi concluso l'esame parlamentare;
le malattie rare costituiscono un grave problema sociale ed assistenziale, poiché sono caratterizzate da difficoltà diagnostiche e necessitano della sperimentazione di nuovi farmaci attraverso l'impiego di metodologie avanzate; esse sono, inoltre, malattie per la gran parte genetiche, croniche e invalidanti;
gli alti costi per la ricerca, la sperimentazione e la commercializzazione dei «farmaci orfani», non sono sopportabili dalle industrie farmaceutiche e la scarsità di investimenti pubblici nella ricerca e nella sperimentazione non favorisce l'azione di contrasto alle suddette patologie, determinando, di conseguenza, alti costi sanitari e socio-assistenziali;
attualmente, in Italia, il servizio sanitario nazionale riconosce l'esenzione per l'acquisto solo di determinati farmaci, vista la difficoltà riscontrata nella classificazione di queste malattie, con conseguente aggravio per le famiglie dei pazienti, che spesso non possiedono le necessarie risorse finanziarie e nemmeno possono usufruire di specifiche strutture sanitarie,

impegna il Governo:

ad adottare ogni adempimento di competenza al fine di favorire il rapido svolgimento dell'esame parlamentare del testo unificato in materia di malattie rare;
a modificare il regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità n. 279 del 2001, prevedendo l'aggiornamento annuale dell'allegato n. 1, contenente l'elenco delle malattie rare esentate dalla partecipazione al costo sanitario, con l'inserimento in esso di tutte le patologie fino ad ora escluse e, in particolare, delle 109 malattie rare previste dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 aprile 2008;
a tenere conto, nell'aggiornamento del predetto elenco, del fatto che le esenzioni e l'introduzione nei livelli essenziali di assistenza delle patologie emergenti debbano essere valutate anche in relazione alla gravità ed alla permanenza nel tempo delle eventuali invalidità derivanti da tali malattie e non solo in relazione all'attuale raggruppamento in base agli apparati e/o sistemi metabolici colpiti;
ad istituire a livello nazionale e a promuovere l'istituzione a livello regionale dei registri delle patologie di rilevante interesse sanitario, in modo da garantire il monitoraggio dei pazienti che ne sono affetti, consentendo un utilizzo mirato delle risorse pubbliche;
ad adottare, d'intesa con le regioni, un piano strategico per le malattie rare, finalizzato ad assicurare un equo accesso ai servizi socio-sanitari presenti sul territorio nazionale ed improntato alla prevenzione, diagnosi tempestiva, monitoraggio, trattamento, assistenza, riabilitazione e assistenza protesica a tutti i pazienti affetti da tali patologie, nonché la necessaria assistenza alle famiglie in cui sono presenti uno o più malati rari, migliorando la qualità della vita delle persone affette da tali patologie e delle loro famiglie;
ad assumere iniziative per permettere un più ampio e veloce accesso alle cure innovative, non ancora introdotte in Italia, attraverso una normativa che preveda l'autorizzazione temporanea di utilizzo per favorire l'accesso ai farmaci orfani, sul modello francese;
ad assumere iniziative volte a prevedere, in materia di prescrizioni farmaceutiche relative ad una malattia rara, che il numero di pezzi prescrivibili per ricetta possa essere superiore a tre e la distribuzione sia riservata ai centri e/o ospedali individuati in apposito elenco o previo accordo per la distribuzione con le farmacie di supporto;
a favorire lo sviluppo di nuovi farmaci e terapie, in particolare attraverso la predisposizione di un piano organico per la ricerca clinica attraverso un apposito piano di incentivi alla ricerca;
ad adottare iniziative per recepire le raccomandazioni del Consiglio dell'Unione europea in forma tempestiva, partendo dall'istituzione di un fondo ad hoc per garantire che i farmaci «orfani», nonché i parafarmaci ed i farmaci di fascia «C» indispensabili per la cura delle patologie rare, siano posti a carico del servizio sanitario nazionale con una gestione trasparente, tramite l'inserimento, in modo omogeneo in tutti i prontuari regionali, in tempi prestabiliti, una volta ottenuta l'autorizzazione alla commercializzazione;
a promuovere una revisione delle disposizioni riguardanti i farmaci previste dall'articolo 17, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, recante «Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria», al fine di prevedere, nell'ambito del regolamento ivi richiamato, un regime applicativo particolare per i farmaci orfani;
ad individuare, d'intesa con la Conferenza unificata, per ogni malattia rara almeno un centro di riferimento nazionale a cui indirizzare la maggior parte dei finanziamenti destinati allo studio, alla diagnosi ed alla terapia di tale patologia, al fine di ottimizzare al massimo la possibilità di ottenere risultati sia da un punto di vista terapeutico che della ricerca.
(1-00808)
«Laura Molteni, Martini, Rondini, Fava, Fabi, Fugatti, Torazzi, Fedriga, Desiderati, Maggioni».

La Camera,
premesso che:
nonostante nel corso degli ultimi venti anni la ricerca scientifica abbia compiuto notevoli progressi, vi sono ancora moltissimi stati patologici non adeguatamente conosciuti e non ancora classificati, moltissime malattie per le quali non sono possibili né sussidi diagnostici, né adeguate forme di prevenzione, né terapie, ed altre ancora che colpiscono un numero relativamente basso di persone, le cosiddette malattie rare;
il numero delle malattie rare è stimato dall'Organizzazione mondiale della sanità intorno a 5.000, l'80 per cento delle quali di origine genetica, anche se il manifestarsi delle patologie e la loro concentrazione cambiano a seconda dei Paesi interessati e il Parlamento europeo ha definito un limite di prevalenza non superiore a cinque casi per ogni 10.000 abitanti degli Stati membri dell'Unione europea;
le malattie rare talvolta sono fortemente invalidanti e chi ne è colpito spesso non riesce a sopravvivere; la definizione di «rara» non ha agevolato il processo di ricerca e di attenzione sulle cause delle malattie rare, se non da parte di centri privati, con la conseguenza non solo di non offrire al paziente cure adeguate e una diagnosi tempestiva, ma soprattutto di lasciarlo isolato nell'affrontare la propria malattia insieme alla sua famiglia;
la scarsa disponibilità di conoscenze scientifiche, che scaturisce proprio dalla rarità, determina spesso lunghi tempi di latenza tra l'esordio della patologia e la diagnosi, cosa che incide negativamente sulla prognosi del paziente, ed inoltre le industrie farmaceutiche, a causa della limitatezza del mercato di riferimento, hanno scarso interesse a sviluppare la ricerca e la produzione dei cosiddetti «farmaci orfani», potenzialmente utili per tali patologie;
se la rarità incide anche sulle possibilità della ricerca clinica, in quanto la valutazione di nuove terapie è spesso resa difficoltosa dall'esiguo numero di pazienti arruolabili nei trial clinici, dall'altra parte il ricorso a una casistica multicentrica può diminuire la qualità dello studio, in quanto i criteri di reclutamento e di trattamento dei pazienti da sottoporre a trial clinici possono essere disomogenei;
infine, la rarità della malattia fa scaturire un'altra conseguenza per la stessa, ovvero l'essere «orfana», in quanto non riceve le attenzioni e il sostegno economico-sociale adeguati;
negli ultimi anni, anche grazie alla continua attività di sensibilizzazione portata avanti dalle associazioni dei pazienti, sono stati raggiunti importanti risultati per sopperire alle esigenze di coloro che sono affetti da patologie rare; con la decisione n. 1295/1999/CE del Parlamento e del Consiglio europeo è stato adottato un programma d'azione comunitaria sulle malattie rare nel quadro dell'azione della sanità pubblica per il quadriennio 1999-2003. Sempre a livello europeo, nel 2000 è stato pubblicato il regolamento (CE) n. 141/2000 concernente i medicinali orfani con l'istituzione della procedura comunitaria per l'assegnazione della qualifica di medicinale orfano. Per svolgere questa attività è stato istituito, nell'ambito dell'European medicines agency (Emea), il Committee for orphan medicinal products (Comp);
diversi Stati membri hanno recepito le indicazioni dell'Unione europea, ponendo in essere una crescente attenzione e sensibilità verso tali patologie: in Francia; in particolare, da tempo è stato adottato un piano nazionale per le malattie rare ed è stato innovata la normativa riguardante l'approvvigionamento dei farmaci; in Spagna, Belgio e Romania sono state assunte iniziative in tal senso;
l'Italia è sempre stata sensibile su questo tema, non solo inserendolo tra i punti fondamentali del piano sanitario nazionale già nel triennio 1998-2000, ma anche predisponendo il regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 18 maggio 2001, n. 279, con cui si stabiliva l'esenzione dai costi sanitari per circa 350 patologie, ed istituendo il registro nazionale delle malattie rare presso l'Istituto superiore di sanità, il quale raccoglie i dati epidemiologici forniti dai vari centri regionali, al fine di avere una visione organica delle malattie rare e di favorire, conseguentemente, la ricerca su di esse;
con il decreto ministeriale n. 279 del 2001, «Regolamento di istituzione della rete nazionale delle malattie rare e di esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie, ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124», pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 160 del 12 luglio 2001 - supplemento ordinario n.180/L, si prevede l'esenzione per le prestazioni sanitarie correlate alla malattia, selezionate dal medico curante tra quelle incluse nei livelli essenziali di assistenza secondo criteri di appropriatezza ed efficacia rispetto alle condizioni cliniche individuali e, per quanto possibile, sulla base di protocolli clinici concordati con il presidio di riferimento competente. Ai fini dell'esenzione il regolamento individua 284 malattie e 47 gruppi di malattie rare;
il diritto all'esenzione è previsto anche per le prestazioni diagnostiche necessarie a confermare o escludere il sospetto diagnostico di una delle malattie rare incluse, formulato da uno specialista del servizio sanitario nazionale;
a tale proposito è opportuno segnalare che la revisione dei livelli essenziali di assistenza è ferma all'ormai lontano 2001, visto che il nuovo decreto emesso dall'allora Governo Prodi nel 2008 fu invece revocato dal successivo Governo Berlusconi, in considerazione di un rilievo mosso dalla Corte dei conti, la quale ritenne che i nuovi livelli essenziali di assistenza sarebbero costati circa 800 milioni di euro in più su base annua e tale copertura non sarebbe prevista;
la mancata revisione dei livelli essenziali di assistenza e dell'elenco delle malattie rare esentate dal pagamento del ticket, fermo a livello nazionale al 2004, comporta un grave nocumento per tutte quelle persone affette da tali malattie e costrette a pagare il ticket per potersi curare;
a partire dal 2001 le regioni hanno iniziato a individuare i presidi per l'assistenza ai pazienti affetti da malattie rare e attualmente le reti regionali sono indicate su quasi tutto il territorio nazionale;
dal luglio 2002 è stato istituito nell'ambito della Conferenza Stato-regioni un gruppo tecnico interregionale permanente, al quale partecipano il Ministero della salute e l'Istituto superiore di sanità, il cui obiettivo è rappresentato dall'ottimizzazione del funzionamento delle reti regionali e dalla salvaguardia del principio di equità dell'assistenza per tutti i cittadini;
dal 10 maggio 2007 è stato siglato il secondo accordo tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sul riconoscimento di centri coordinamento regionali e/o interregionali, di presidi assistenziali sovraregionali per le patologie a bassa prevalenza e sull'attivazione dei registri regionali ed interregionali delle malattie rare;
si tratta certamente di primi passi significativi ma non ancora adeguati, però, a dare soluzioni concrete e definitive a problemi così rilevanti, primo fra tutti il problema che, sia a livello nazionale sia a livello regionale, i cittadini affetti da malattie rare non usufruiscono dello stesso livello di prestazioni diagnostiche, terapeutiche ed assistenziali previste da parte del servizio sanitario nazionale per tutti gli altri pazienti ed ancora la questione della disparità di trattamento che avviene anche fra le varie regioni e persino all'interno delle medesime regioni e, addirittura, all'interno delle stesse città, nonostante sia ovvio e doveroso che tutti i cittadini debbano godere dello stesso livello di prestazioni da parte del servizio sanitario nazionale,

impegna il Governo:

a porre in essere tutte le iniziative necessarie per garantire la presa in carico dei malati affetti da malattie rare e delle loro famiglie, in particolare attraverso l'accesso alle cure e all'assistenza materiale, economica e psicologica, in modo da ottemperare alle indicazioni dell'Unione europea;
a prevedere per le persone affette da malattie rare il diritto all'esenzione dalla partecipazione alla spesa per tutte le prestazioni sanitarie, incluse nei livelli essenziali di assistenza, efficaci ed appropriate per la diagnosi, il trattamento, il monitoraggio dell'evoluzione della malattia rara e la prevenzione degli aggravamenti, comprese le prestazioni riabilitative e di assistenza protesica, nonché l'acquisto dei farmaci di fascia C necessari per il trattamento delle malattie rare e dei trattamenti considerati non farmacologici, quali alimenti, integratori alimentari, dispositivi medici e presidi sanitari;
ad assumere iniziative dirette ad aggiornare l'allegato n. 1 del regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità n. 279 del 2001, contenente l'elenco delle malattie rare esentate dalla partecipazione al costo, con cadenza annuale e non più triennale, prevedendo l'inserimento nello stesso di altre malattie rare finora escluse e, in particolare, delle 109 malattie rare inserite nel suddetto elenco dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 aprile 2008, approvato dal Governo Prodi e successivamente ritirato per mancanza di copertura finanziaria dal Governo Berlusconi;
ad adottare iniziative che consentano l'accesso universale allo screening neonatale che sarebbe in grado di individuare precocemente nei neonati decine di malattie metaboliche ereditarie, evitando così gravissimi stati di invalidità;
ad adottare le iniziative necessarie affinché le diagnosi di malattia rara siano effettuate dai presidi della rete di cui all'articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 18 maggio 2001, n. 279, sulla base di appositi protocolli diagnostici e affinché gli stessi presidi della rete provvedano all'emissione della relativa certificazione di malattia rara con validità illimitata nel tempo e su tutto il territorio nazionale, al fine di assicurare l'erogazione a totale carico del servizio sanitario nazionale di tutte le prestazioni incluse nei livelli essenziali di assistenza;
ad adottare le iniziative necessarie per assicurare l'immediata disponibilità e gratuità delle prestazioni e l'aggiornamento dei prontuari terapeutici, prevedendo che i farmaci commercializzati in Italia che abbiano ottenuto riconoscimento di farmaco orfano dall'Agenzia europea per la valutazione dei medicinali (Emea) siano forniti gratuitamente ai soggetti portatori delle patologie, a cui la registrazione fa riferimento e che, pertanto, possano essere inseriti nel prontuario nazionale dei farmaci nelle fasce esenti da compartecipazione alla spesa;
ad adottare un piano nazionale per le malattie rare, con durata triennale, finalizzato ad assicurare prevenzione, sorveglianza, diagnosi tempestiva, trattamento e riabilitazione ai pazienti con malattie rare, a garantire equo accesso ai servizi socio-sanitari a tutti i pazienti con malattie rare sul territorio nazionale, a migliorare la qualità della vita delle persone con malattie rare e dei loro familiari, disciplinando le aree prioritarie di intervento e le azioni necessarie per la sorveglianza delle malattie rare, la diffusione dell'informazione sulle malattie rare diretta alla popolazione generale ed agli operatori socio-sanitari, la formazione di medici e figure professionali coinvolti nell'assistenza, l'accesso al trattamento inclusi i farmaci, la prevenzione e l'accesso ad una diagnosi tempestiva, il supporto alla ricerca di base clinica, sociale e di sanità pubblica sulle malattie rare, le istituzioni responsabili delle specifiche azioni, nonché il sistema di monitoraggio e valutazione annuale del piano nazionale;
a rafforzare le funzioni del Centro nazionale malattie rare presso l'Istituto superiore di sanità, al fine di perfezionare il monitoraggio delle patologie e del funzionamento dei servizi, affinché sia reso omogeneo su tutto il territorio nazionale l'accesso e l'assistenza ai pazienti affetti da tali patologie;
ad assumere iniziative dirette a prevedere, in deroga alle disposizioni in materia di prescrizioni farmaceutiche per le prescrizioni relative ad una malattia rara, che il numero di pezzi prescrivibili per ricetta possa essere superiore a quelli attualmente previsti;
ad adottare le iniziative necessarie per favorire la ricerca clinica e preclinica finalizzata alla produzione dei farmaci orfani, prevedendo che ai soggetti pubblici e privati che svolgono tali attività di ricerca o che investono in progetti di ricerca sulle malattie rare o sui farmaci orfani svolti da enti di ricerca pubblici o privati si applichi un sistema di incentivi e di agevolazioni fiscali per le spese sostenute per l'avvio e la realizzazione di progetti di ricerca.
(1-00809)
«Miotto, Lenzi, Livia Turco, Argentin, Bossa, Bucchino, Burtone, D'Incecco, Farina Coscioni, Grassi, Murer, Pedoto, Sarubbi, Sbrollini».

La Camera,
premesso che:
le malattie rare rappresentano un esteso gruppo di patologie, circa 7-8 mila, che si caratterizzano per la bassa diffusione nella popolazione. Secondo la normativa europea regolamento (CE) n. 141/2000 sono definite rare quelle affezioni che colpiscono non più di 5 persone ogni 10 mila abitanti;
circa l'80 per cento delle patologie in questione è di origine genetica, il restante 20 per cento deriva da diversi fattori, quali quelli ambientali ed alimentari. Oltre ad essere numerose, si presentano in modo estremamente eterogeneo per quanto riguarda l'età dell'insorgenza, l'eziopatogenesi e la sintomatologia. Data la varietà delle caratteristiche risulta, pertanto, particolarmente complesso effettuare una diagnosi tempestiva e corretta;
la bassa diffusione delle malattie rare non significa che le persone che le persone affette siano poche: in Italia se ne calcolano circa 2 milioni, di cui il 70 per cento bambini in età pediatrica;
l'Unione europea, già nel 1999, aveva qualificato le malattie rare come una priorità dell'azione comunitaria nell'ambito della sanità pubblica ed approvato la decisione n. 1295/1999/CE del 29 aprile 1999 che fissava una serie di azioni nel settore sanitario pubblico: miglioramento delle conoscenze scientifiche su tali patologie, formazione ed aggiornamento degli operatori sanitari per diagnosi più efficaci, sostegno del monitoraggio negli Stati membri;
in Italia, il Piano sanitario nazionale (PSN) 1998-2000 fissava tra le sue priorità la «tutela dei soggetti affetti da malattie rare» e prevedeva tra gli interventi prioritari la realizzazione di una rete nazionale delle malattie rare;
nel maggio 2001 è stato emanato il decreto ministeriale n. 279 del 2001 «Regolamento di istituzione della rete nazionale delle malattie rare e di esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie» che, nell'allegato l, include l'elenco delle malattie riconosciute come rare dal Servizio sanitario nazionale;
l'articolo 8 del suddetto decreto prevede testualmente che «i contenuti del presente regolamento sono aggiornati, con cadenza almeno triennale, con riferimento all'evoluzione delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, ai dati epidemiologici relativi alle malattie rare e allo sviluppo dei percorsi diagnostici e terapeutici di cui all'articolo 1, comma 28, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e successive modificazioni e integrazioni»;
ad oggi non risulterebbe alcun aggiornamento, nonostante il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 marzo 2008, mai entrato in vigore, recasse, nell'allegato 7, un aggiornamento delle malattie riconosciute come rare a seguito dell'individuazione di altre 109 patologie ad integrazione dell'allegato 1 del decreto ministeriale n. 279 del 2001;
allo stato, pertanto, non vi è una normativa adeguata a garantire sostegno ai malati e alle loro famiglie costretti ogni giorno ad affrontare difficoltà di ordine economico e carenze assistenziali, soprattutto domiciliari; a ciò si aggiunga la mancanza di strutture e di farmaci per la cura di tali patologie;
sul punto la Francia ha adottato un piano nazionale per le malattie rare e dal 1994 è in vigore l'autorizzazione temporanea di utilizzo dei farmaci orfani che ha consentito a più di 400 prodotti farmaceutici di ottenere l'autorizzazione temporanea di utilizzo (ATU), permettendo ai pazienti di utilizzarli in media 12 mesi prima dell'ottenimento dell'autorizzazione all'immissione in commercio;
un simile sistema ATU, applicato ai farmaci destinati alla cura di malattie rare o orfane o gravi, consentirebbe ai pazienti italiani di avere a disposizione farmaci con largo anticipo rispetto ai tempi necessari per la conclusione dell'iter autorizzativo;
occorre ricordare, infatti, che In Italia la possibilità di accedere a farmaci non ancora dotati di autorizzazione all'immissione in commercio è riservata ai casi espressamente previsti dal decreto del Ministero della salute 8 maggio 2003, relativo al cosiddetto uso compassionevole, e dal decreto-legge n. 536 del 1996 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 648 del 1996, relativo a misure per il contenimento della spesa farmaceutica, con la conseguenza che i suddetti farmaci possono essere somministrati ai pazienti solo in presenza di sperimentazioni cliniche in fase già avanzata;
un ruolo essenziale nel monitoraggio dell'insorgenza delle malattie rare deve essere svolto dai medici di base che rappresentano un punto qualificato di contatto tra la sanità ed i pazienti;
la ricerca scientifica può fornire un fondamentale sostegno nella lotta contro le malattie rare attraverso la scoperta di farmaci e di conoscenze utili alla cura ed alla prevenzione delle stesse,

impegna il Governo

a procedere con urgenza all'aggiornamento dell'elenco delle malattie rare di cui al decreto ministeriale n. 279 del 2001 al fine di includere le 109 patologie, già individuate dall'allegato 7 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 marzo 2008 mai entrato in vigore, nonché all'inserimento di tutte la patologie diagnosticate come rare;
ad istituire presso il Ministero della salute il Comitato nazionale delle malattie rare, coinvolgendo adeguatamente la rete informativa territoriale costituita dai medici di base, con lo scopo di assicurare il monitoraggio delle patologie sull'intero territorio nazionale;
ad incentivare la ricerca scientifica sulle malattie rare presso le università e i centri di ricerca pubblici e di attivare sinergie con enti di ricerca di altri paesi attivi nel medesimo campo di indagine;
a promuovere, nell'ambito delle proprie competenze le azioni necessarie a garantire un supporto quotidiano alle persone affette da malattie rare ed alle loro famiglie, con particolare riferimento all'assistenza domiciliare ed al sostengo psicologico degli stessi;
a favorire l'adozione di una normativa che consenta l'autorizzazione temporanea di utilizzo per agevolare l'accesso ai farmaci innovativi per la cura delle malattie rare.
(1-00814)
«Mosella, Pisicchio, Tabacci, Brugger».

PROPOSTA DI LEGGE: S. 2124 - MODIFICHE DEI CIRCONDARI DEI TRIBUNALI DI PESARO E DI RIMINI (APPROVATA DAL SENATO) (A.C. 4130-A)

A.C. 4130-A - Parere della V Commissione

PARERE DELLA V COMMISSIONE SUL TESTO DEL PROVVEDIMENTO

Sul testo del provvedimento elaborato dalla Commissione di merito:

PARERE FAVOREVOLE

A.C. 4130-A - Articolo 1

ARTICOLO 1 DELLA PROPOSTA DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE

Art. 1.
(Modifiche tabellari).

1. Alla tabella A allegata all'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche:
a) nel circondario del tribunale di Pesaro sono soppressi i comuni di Casteldelci, Maiolo, Montecopiolo, Novafeltria, Pennabilli, San Leo, Sant'Agata Feltria e Talamello;
b) nel circondario del tribunale di Rimini sono inseriti i comuni di Casteldelci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, San Leo, Sant'Agata Feltria e Talamello;
c) nel circondario del tribunale di Urbino è inserito il comune di Montecopiolo;
d) nel mandamento del giudice di pace di Novafeltria è soppresso il comune di Montecopiolo;
e) nel mandamento del giudice di pace di Macerata Feltria è inserito il comune di Montecopiolo.

A.C. 4130-A - Articolo 2

ARTICOLO 2 DELLA PROPOSTA DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 2.
(Disciplina dei procedimenti pendenti).

1. Le disposizioni della presente legge non determinano spostamenti di competenza per territorio rispetto ai procedimenti civili e penali pendenti alla data della sua entrata in vigore, fatta eccezione per i procedimenti penali per i quali non è stata ancora esercitata l'azione penale.

A.C. 4130-A - Articolo 3

ARTICOLO 3 DELLA PROPOSTA DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO APPROVATO DAL SENATO

Art. 3.
(Modifiche delle piante organiche).

1. Con decreto del Ministro della giustizia, da emanare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono apportate, nell'ambito delle risorse umane disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato, le opportune modifiche alle piante organiche degli uffici giudiziari dei tribunali di Pesaro e di Rimini.