XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di giovedì 26 gennaio 2012

TESTO AGGIORNATO AL 30 GENNAIO 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:

La Camera,
premesso che:
le persone, con un'età superiore ai 65 anni rappresentano oggi in Italia il 20 per cento della popolazione e, secondo i dati OCSE, nel 2050 più di un italiano su tre sarà un ultrasessantacinquenne, grazie all'effetto combinato di fattori positivi e negativi: da una parte un progressivo allungamento dell'età media grazie a stili di vita più sani, maggiore attenzione alla salute, soluzioni terapeutiche che ogni anno prolungano di quattro mesi l'aspettativa di vita, facendoci essere il Paese europeo più longevo; dall'altra parte il fattore negativo di una costante diminuzione della natalità che fa aumentare l'età media e che è solo parzialmente compensato dal fenomeno dell'immigrazione;
nel 2012 gli anziani ultrasessantacinquenni in Italia saranno oltre 12 milioni: un quinto della popolazione complessiva, con la previsione di un aumento annuo medio di circa 110.000 anziani. Nella società del XXI secolo, pertanto, secondo anche quanto evidenziato dall'Organizzazione mondiale della sanità sul tema della salute degli anziani, invecchiare è un privilegio e una meta della società, ma anche una sfida, che avrà un impatto su tutti gli aspetti della società;
i sessantenni, quelli che fino a pochi anni fa erano considerati anziani, oggi non lo sono più, proprio perché grazie al benessere generale, vivono nel pieno delle loro forze, spesso ben inseriti nella realtà quotidiana, del lavoro e della famiglia, tanto che la loro esperienza deve essere considerata come un fondamentale sostegno allo sviluppo del Paese. In questo scenario si colloca una politica previdenziale che fino ad oggi ha caratterizzato il nostro Paese, favorendo l'accesso alla previdenza in età ancora giovane, una politica delle aziende che nei processi di riorganizzazione ha stimolato prepensionamenti, col risultato che il tasso di occupazione degli anziani è molto basso con un 34 per cento di occupati, 13 punti sotto rispetto al 47 per cento della media europea;
l'aumento dell'età pensionabile introdotta dalla recente legislazione in Italia porterà ad un cambiamento di scenari nei prossimi anni, e venendo a mancare le condizioni per favorire il collocamento a riposo anticipato, porterà alla necessità di adattare modelli organizzativi aziendali, modificare accordi collettivi di lavoro, puntare su percorsi di aggiornamento e di formazione al fine di costruire aziende e condizioni di lavoro a misura di lavoratori anziani. L'obiettivo è favorire una vecchiaia non emarginata, ben inserita nella comunità professionale di appartenenza, con una piena valorizzazione delle esperienze di vita professionale, anche sotto il profilo della trasmissione delle conoscenze e delle competenze più utili alla formazione dei più giovani. Per questo nascono nuove e concrete responsabilità, indispensabili per chi si occupa di politiche del lavoro, di politiche della formazione, di politiche della salute e - ovviamente - di politiche familiari;
negli anni si è intervenuto sull'innalzamento progressivo dell'età pensionabile, ma non sono stati messi a punto strumenti normativi o contrattuali coerenti con una nuova dimensione ed una nuova composizione della forza lavoro. Strumenti invece necessari, nel rispetto di due obiettivi che dovrebbero presiedere agli interventi legislativi: le esigenze di produttività e la gestione del costo del lavoro per le aziende, ma soprattutto l'attenzione alla centralità della persona che deve essere l'elemento guida di ogni intervento legislativo e che deve tener conto del cambiamento delle performance e di ciò che l'individuo in età avanzata può dare, che forse sarà quantitativamente inferiore ma qualitativamente avrà in sé tutta la ricchezza dell'esperienza, della maturità, della responsabilità;

sono necessarie, infatti, specifiche modalità di adattamento sia a livello personale che aziendale, a cui occorre prepararsi mettendo in atto nuove strategie di formazione per acquisire le skill adeguate. Gli indispensabili processi di riforma e di modernizzazione del sistema impongono, già oggi, l'adozione di nuovi standard professionali, sia in fase operativa che in fase di valutazione. Programmi, processi e prodotti vanno visti con un'ottica che tenga conto dello stile di lavoro dei professionisti senior, soprattutto in alcuni ambiti con ritmi di lavoro più veloce, che richiedono livelli di attenzione molto forte;
le aziende non potranno più preoccuparsi soltanto delle politiche di inserimento dei nuovi assunti, ma dovranno tener conto anche delle politiche di mantenimento degli «anziani», i cui diritti come lavoratori andranno tutelati sulla base di nuovi parametri. L'innalzamento dell'età pensionabile, se si vuole che sia un'operazione di successo sul piano sociale, personale e professionale, richiede a tutti fin da oggi un serio lavoro di riflessione trasversale e interdisciplinare, in cui aziende e parti sociali concorrono per ottenere il miglior risultato possibile. È necessario un diverso approccio nei confronti dell'anziano, per valorizzarne le risorse che gli consentono di fare da cerniera tra teoria e pratica, tra tradizione e innovazione, per permettere ad entrambe, come in un gioco di vasi comunicanti, di arricchirsi reciprocamente;
la Germania è oggi il Paese all'avanguardia nell'affrontare una sfida che riguarda molti in Europa, sarà perché ha, già oggi, il tasso di occupazione di persone tra i 60 e i 64 anni più alto d'Europa, ed ha visto un aumento dell'80 per cento di operai metalmeccanici con oltre 60 anni tra il 2000 ed il 2010. Fatto è che i processi produttivi e gli ambienti di lavoro ed i percorsi di formazione e di riqualificazione sono adattati al trend demografico, come raccomandato dalle strategie per la promozione dell'invecchiamento attivo di OCSE e Consiglio europeo. Per questo si attuano, da tempo, strategie di aggiornamento finalizzate a orientare gli anziani verso una continuità professionale che richiede una buona dose di creatività. Psicopedagogisti esperti nel campo lavorativo stanno, da tempo, riflettendo sulle nuove forme di creatività che si possono sviluppare nell'anziano. Si vuole evitare la frustrazione che potrebbe nascere dalla coazione a ripetere tecniche e metodologie di lavoro usate i precedenza con risultati migliori di quelli attualmente possibili;
dobbiamo imparare a guardare all'anziano come ad un soggetto in servizio attivo, che ha bisogno di strumenti adeguati per affrontare la nuova esperienza, e nella misura del possibile dobbiamo creare questi strumenti con lui e per lui, se non vogliamo che questa nuova situazione diventi un boomerang. Per accogliere anziani in servizio attivo quasi fino a 70 anni, occorre affrontare anche una serie di problemi nuovi che si presenteranno nella famiglia, soprattutto se saranno entrambi i coniugi a lavorare. Il nuovo impegno professionale sottrarrà energie al lavoro di cura che in tutti questi anni proprio i «giovani pensionati» hanno svolto nel loro ruolo di nonni o nell'attenzione ai propri genitori, probabilmente anziani quasi o ultra novantenni;
vi sono esempi molto interessanti di interventi di ergonomia dei posti di lavoro, rivisitazione degli orari e dei turni, percorsi di riqualificazione, camere di relax e mense salutistiche, servizi di tutela della salute che arrivano in alcune realtà a vedere istituita la figura del direttore della salute accanto a quello della produzione. Questi interventi sono guidati da un principio di retemption di lavoratori anziani che ha l'obiettivo di salvare un capitale di sapere formato negli anni, utile per l'addestramento delle nuove leve in presenza di scarsità di manodopera giovane qualificata. A supporto della tendenza a migliorare le condizioni di lavoro per favorire la permanenza in attività di lavoratori anziani ci sarebbe, oltre alla spinta demografica, anche la loro maggiore produttività rispetto ai junior, una produttività che è l'esito di un più alto tasso

qualitativo, con impatti benefici sui costi, rispetto ad un junior che si affaccia impreparato alla sfida professionale anche a causa della formazione scolastica inadeguata;
da uno studio su una popolazione molto vasta di lavoratori è infatti emerso che i più anziani compensano la minore agilità e forza fisica con la maggiore esperienza, la capacità di lavorare in team e affrontare i problemi. I giovani, più istruiti, sarebbero meno produttivi perché propensi, secondo lo studio, ad annoiarsi, sfatando la convinzione diffusa circa gli effetti negativi dell'invecchiamento della popolazione sulla produttività. Certamente un ruolo chiave nel capitalizzare sulle potenzialità del lavoratore maturo, nella capacità di cogliere le positività che esprime è svolto dalla formazione e dalla riqualificazione professionale;
la formazione, come anche affermato dalla Commissione europea, costituisce il punto cardine su cui poggiano tutte le principali strategie di evoluzione del mercato del lavoro degli anziani e di conseguenza, tutte le strategie di riequilibrio del ricambio delle competenze; strategie che in passato si basavano invece sul naturale avvicendamento delle generazioni. Il rapido invecchiamento, da un lato, e la rapidità dell'evoluzione tecnologica, dall'altro, determinano, infatti, un rischio di generale obsolescenza della forza lavoro e la formazione continua diventa lo strumento principale di attenuazione delle ripercussioni del fenomeno demografico;
non si tratta solo di estendere ad una popolazione più matura i percorsi formativi, ma occorre intervenite sugli stessi, adattandoli nelle modalità, nei tempi, nei ritmi alle diverse capacità di apprendimento, alla minore predisposizione ed abitudine ad accedere alla formazione da parte di una popolazione con una già lunga esperienza lavorativa;
ulteriore importante strumento di promozione del lavoro degli anziani concerne la realizzazione di un modello di lavoro individualizzato. La possibilità di disporre di tipologie contrattuali fortemente individualizzate consentirebbe infatti di costruire una prospettiva di pieno sviluppo delle potenzialità di lavoro degli anziani. Le tipologie contrattuali flessibili rappresentano, sotto questo profilo, un efficace punto d'incontro tra le esigenze delle imprese e quelle dei lavoratori anziani, proprio perché fanno coesistere la voglia di libertà e di tempo libero che caratterizza la vita di un crescente numero di anziani e le esigenze di contenimento di costi e flessibilità di utilizzo della manodopera che invece rappresentano l'esigenza primaria del sistema produttivo;
un aspetto di cui non si può non tener conto è quello dell'obsolescenza professionale, o della difficoltà per la persona in età più avanzata rispetto ad un giovane ad utilizzare le nuove tecnologie. Una difficoltà dovuta non tanto alle capacità tecniche, ma ad un approccio culturale e di sistema ad accedere ai moderni strumenti di e-commerce, le web solution, i media ed i social network. Per questo non si può prescindere da una formazione ed una riqualificazione continua che prevenga il rischio di non pieno utilizzo degli strumenti e dell'innovazione continuamente disponibile,


impegna il Governo:


a supportare, attraverso iniziative normative e promuovendo per quanto di competenza, intese contrattuali, l'incentivazione all'autoimprenditorialità, e in particolare, forme di lavoro sottratte a rapporti di tipo gerarchico, soddisfacendo un desiderio di lavorare in un contesto di radicale mutamento del rapporto con il lavoro, con ciò garantendo la riscoperta del rapporto tra anziani e lavoro (grazie al prolungamento della vita attiva ed allo spostamento nei fatti dell'età pensionabile) perfettamente in sintonia con il porre al centro della vita se stessi, dedicandosi molto più tempo;
a pianificare interventi su processi, strutture, modelli organizzativi, oltre che politiche di sviluppo delle risorse umane, in

grado di tener conto di una progressiva crescita della quota di lavoratori anziani;
ad intensificare e rendere continuativa la formazione, valorizzando il bagaglio esperienziale nella formazione, nel training e nell'affiancamento della popolazione junior;
ad adottare le iniziative di competenza dirette a prevedere sempre più la figura di tutor e di mentor, figure che devono avere una loro legittimazione anche contrattuale perché saranno parte organica della struttura e indispensabili per un corretto utilizzo ed una piena valorizzazione della più grande ricchezza che un lavoratore maturo può dare: quel bagaglio esperienziale che è patrimonio della persona ma anche un asset intangibile dell'azienda, spesso fattore determinante di livelli elevati di produttività;
ad individuare sistemi e processi che favoriscano il lavoro domiciliare, in grado di rispondere alla domanda del lavoratore maturo di un minor vincolo ad orari fissi, tenendo conto che il lavoratore anziano ha una maggiore abitudine e maturità professionale per garantire il raggiungimento del risultato e quindi meglio sa gestire il suo tempo in relazione agli obiettivi;
ad assumere iniziative volte a prevedere forme di incentivazione, attraverso sgravi fiscali all'impresa laddove un collaboratore, superata la soglia dei 63/65 anni, non potendo andare in pensione, deve rimanere in azienda;
a favorire formule contrattuali che prevedano la possibilità di arrivare progressivamente al part time agevolato per i pensionandi costretti a rimanere al lavoro più a lungo, in previsione dell'attuazione delle riforme in corso;
a valutare per quanto di competenza la possibilità di introdurre nuove figure e nuovi ruoli, che consentano il cambio di mansioni, un diverso equilibrio della distribuzione delle tutele contrattuali, e quindi una maggiore tutela per le giovani generazioni in entrata ed una maggiore flessibilità in età avanzata;
ad assumere iniziative finalizzate a fortificare, attraverso incentivi fiscali e contributivi, misure di reinserimento nel mercato del lavoro per le donne e gli ultracinquantenni, figure in grande difficoltà, soprattutto in questo momento di crisi.
(1-00827)
«Binetti, Cesa, Calgaro, Nunzio Francesco Testa, De Poli, Poli, Anna Teresa Formisano, Delfino, Naro, Compagnon, Ciccanti, Volontè».

La Camera,
premesso che:
la modernizzazione del settore e lo sviluppo delle reti di nuova generazione, in grado di fornire servizi d'accesso a banda larga fissa e mobile, rappresentano una priorità per le strategie di produttività, di crescita e di innovazione del Paese;
come riconosciuto recentemente dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) e da numerosi studi scientifici, gli investimenti in banda larga hanno effetti considerevoli sulla crescita del reddito nazionale delle società avanzate, sia direttamente per l'attività di progettazione e impianto delle reti, che indirettamente, in virtù dell'aumento complessivo di produttività, del livello di innovazione e di base occupazionale delle attività economiche che utilizzano e beneficiano delle reti di nuova generazione per i loro processi produttivi;
una ricerca della Banca mondiale del 2009, confermata peraltro da altre analisi indipendenti, valuta come una variazione di 10 punti percentuali della penetrazione della banda larga possa generare un aumento di 1,21 punti percentuali di crescita del prodotto interno lordo pro capite nelle economie dei Paesi sviluppati;
secondo uno studio della Oxford Economics, un livello di investimenti in banda larga a livelli statunitensi consentirebbe all'Europa una crescita del prodotto interno lordo di circa il 5 per cento

e del 7 per cento per l'Italia; sulla base delle stime del Progetto Italia digitale 2010 di Confindustria, l'attivazione delle reti di nuova generazione fisse e mobili può generare a regime risparmi di 40 miliardi di euro annui, grazie soprattutto alla possibile crescita dimensionale del telelavoro e della digitalizzazione degli adempimenti fiscali e amministrativi;
come evidenziato recentemente dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni in una segnalazione al Governo, con la quale l'autorità suggerisce l'istituzione di un'agenda digitale per l'Italia sul modello di quella europea, i dati italiani «di alfabetizzazione informatica, di copertura di rete fissa e di sviluppo dei servizi on line, sia sotto il profilo di utilizzo da parte dei consumatori che delle imprese, sono nettamente al di sotto della media UE»; secondo dati Eurostat del 2011, infatti, gli utenti abituali di internet in Italia sono il 47,6 per cento contro una media europea del 65 per cento; la quota di famiglie con connessione a banda larga è il 49 per cento, contro la media dell'Unione europea del 61 per cento; le imprese che utilizzano il web per la vendita di beni e servizi sono il 4 per cento del totale, a cospetto di una media continentale del 13 per cento;
la penetrazione del servizio a banda larga in Italia - pari a fine 2010 a circa il 22 per cento della popolazione - è inferiore alla media dei membri dell'Unione europea (26,6 per cento) e al livello dei maggiori Paesi continentali (Francia e Germania, nei quali la penetrazione si attesta al 30 per cento circa); per quanto concerne la fibra ottica, nonostante gli investimenti intrapresi fin dagli anni Novanta, la copertura territoriale è pari al 10 per cento, con un numero di accessi attivi (300mila, pari appena allo 0,6 per cento della popolazione) sostanzialmente invariato negli ultimi 4 anni; intere aree del nostro Paese, per una popolazione pari a circa il 18 per cento del totale, sono soggette ad un significativo divario digitale, senza alcuna connessione a banda larga o dotate esclusivamente di connessioni a velocità inferiore a 2 megabit al secondo, compresi molti distretti industriali, con gravi asimmetrie anticompetitive per le aziende italiane rispetto ai concorrenti del nord Europa;
l'interessante sviluppo delle connessioni mobili (che porta la quota di italiani dotati di smartphone e chiavi usb al 48 per cento, contro una media europea del 39 per cento), la prospettiva di una maggiore diffusione delle reti mobili di quarta generazione - confermata dal buon esito della recente asta pubblica per le frequenze - e la costante integrazione tecnologica delle reti fisse e mobili necessitano di misure normative di semplificazione delle procedure amministrative e dei regimi di autorizzazione e concessione connessi agli investimenti delle imprese di telecomunicazioni;
secondo le stime più accreditate, gli investimenti necessari a dotare l'intera popolazione italiana delle reti di banda larga di ultima generazione assommano a circa 10-15 miliardi di euro; i vincoli di finanza pubblica e gli obiettivi pluriennali di riequilibrio fiscale rendono impraticabile il ricorso ai soli investimenti pubblici per il raggiungimento di questo risultato;
alla dotazione formale di 800 milioni di euro, prevista dall'articolo 1 della legge n. 69 del 2009, a carico del bilancio dello Stato e a valere sul fondo per le aree sottoutilizzate «per facilitare l'adeguamento delle reti di comunicazione elettronica pubbliche e private all'evoluzione tecnologica e alla fornitura dei servizi avanzati di informazione e di comunicazione del Paese», non si è accompagnata l'effettiva disponibilità delle risorse,


impegna il Governo:


ad intraprendere tutte le iniziative di carattere normativo per favorire, anche attraverso forme di incentivo fiscale, lo sviluppo delle reti fisse e mobili di nuova generazione, allo scopo di ampliare la copertura territoriale dei servizi d'accesso a banda larga, di ridurre il divario digitale tra

le diverse aree del Paese, in via prioritaria nei distretti industriali, e di migliorare la competitività e la produttività del sistema economico nazionale;
a completare l'opera di semplificazione normativa e amministrativa per migliorare il quadro regolatorio, rendendo coerenti le disposizioni vigenti in materia, per incentivare gli investimenti e favorire, anche in questo settore, la piena concorrenza tra operatori di rete fissa e mobile.
(1-00828)«Della Vedova, Toto».

La Camera,
premesso che:
i commi 1 e 3 dell'articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, dispongono, rispettivamente, che: ogni individuo ha diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell'Unione; ogni individuo ha diritto al risarcimento da parte dell'Unione dei danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell'esercizio delle loro funzioni conformemente ai princìpi generali comuni agli ordinamenti degli Stati membri;
l'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo riconosce, altresì, il diritto alla emanazione in termini ragionevoli di qualsiasi provvedimento non solo giurisdizionale ma anche amministrativo;
la legge 25 febbraio 1992, n. 210, come modificata dalla legge 25 luglio 1997, n. 238, prevede la corresponsione da parte dello Stato di un indennizzo favore di soggetti danneggiati irreversibilmente nella loro integrità psico-fisica a causa di vaccinazioni obbligatorie o a favore di soggetti che presentino danni da HIV o da epatite a seguito di trasfusioni di sangue o emoderivati, nonché a favore degli operatori sanitari che, in occasione e durante il servizio, abbiano riportato danni conseguenti a infezione contratta a seguito di contatto con sangue. Il presupposto dell'indennizzo de quo per i soggetti emotrasfusi, come ribadito dalla Corte costituzionale anche nell'ultima sentenza (sentenza n. 293/2011), è rappresentato dall'insufficienza dei controlli sanitari, nel settore della distribuzione del sangue, esercitati nel passato dallo Stato. L'indennizzo in questione è stato introdotto dal legislatore a fini assistenziali ed è palesemente insufficiente in relazione ai danni subiti dai soggetti emotrasfusi che, infatti, hanno instaurato migliaia di cause per il risarcimento integrale dei danni nei confronti del Ministero della salute;
la responsabilità del Ministero della salute nella diffusione di sangue e/o di emoderivati infetti, è stata accertata da plurime sentenze emesse da diversi uffici giudiziari, sia in primo che in secondo grado ed è stata poi affermata dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza 18 gennaio 2008, n. 581, cui sono seguite altre pronunzie conformi da parte dello stesso Supremo collegio;
nel 2004 il Ministero della salute ha concluso una transazione con circa 800 soggetti emofilici (numero comprensivo di danneggiati viventi e di eredi di danneggiati deceduti) i quali avevano avviato un giudizio risarcitorio sui presupposti di responsabilità sopra ricordati;
la transazione di cui sopra non ha definito, tuttavia, l'ingente contenzioso che, nel frattempo, è cresciuto;
successivamente vi sono stati interventi normativi (con conseguenti stanziamenti finanziari) al fine di promuovere una nuova transazione con gli altri soggetti interessati, aventi un giudizio risarcitorio pendente nei confronti dello stesso Ministero della salute;
infatti, l'articolo 33 del decreto-legge 1o ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, recante interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equità sociale, prevede che, per le transazioni da stipulare con

soggetti talassemici, affetti da altre emoglobinopatie o affetti da anemie ereditarie, emofilici ed emotrasfusi occasionali danneggiati da trasfusione con sangue infetto o da somministrazione di emoderivati infetti e con soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, che hanno instaurato azioni di risarcimento danni tuttora pendenti, sia autorizzata la spesa di 150 milioni di euro per il 2007;
l'articolo 2, comma 361, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008), a sua volta stabilisce che per le transazioni da stipulare con soggetti talassemici, affetti da altre emoglobinopatie o da anemie ereditarie, emofilici ed emotrasfusi occasionali danneggiati da trasfusione con sangue infetto o da somministrazione di emoderivati infetti e con soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie che hanno instaurato azioni di risarcimento danni tuttora pendenti, sia autorizzata la spesa di 180 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2008;
al successivo comma 362, viene previsto che «con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono fissati i criteri in base ai quali sono definite, nell'ambito di un piano pluriennale, le transazioni di cui al comma 361 e, comunque, nell'ambito della predetta autorizzazione, in analogia e coerenza con i criteri transattivi già fissati per i soggetti emofilici dal decreto del Ministro della salute 3 novembre 2003, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 280 del 2 dicembre 2003, sulla base delle conclusioni rassegnate dal gruppo tecnico istituito con decreto del Ministro della salute in data 13 marzo 2002»;
le succitate norme sono state introdotte nel nostro ordinamento dopo estenuanti trattative tra le istituzioni, le associazioni a tutela dei danneggiati ed i legali delle stesse, con il fine di risarcire il maggior numero possibile degli aventi diritto e pone fine al contenzioso;
le succitate leggi hanno stanziato delle somme che sono state previste ed accantonate dai bilanci dello Stato fin dall'anno 2008 e reiterate negli anni successivi, per un totale di ottocentocinquanta milioni di euro;
molti dei soggetti danneggiati da trasfusione con sangue infetto o da emoderivati infetti o da vaccinazioni obbligatorie, le cui azioni di risarcimento del danno nei confronti del Ministero della salute erano state instaurate anteriormente al 1o gennaio 2008, hanno deciso di accedere alla proposta di transazione prevista dalla citata legge 24 dicembre 2007, n. 244;
le domande di adesione alla transazione sono state oltre 7.000, presentate secondo i criteri stabiliti dal regolamento di cui al decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali n. 132 del 28 aprile 2009 e nei termini di cui alla circolare ministeriale n. 28 del 20 ottobre 2009;
i soggetti danneggiati da trasfusioni, somministrazione di emoderivati e vaccinazioni obbligatorie sono cittadini ammalati che da dieci, quindici o venti anni hanno sostenuto e continuano a sostenere, considerevoli spese mediche e legali senza avere certezza di quando potranno ricevere un giusto ristoro;
l'azione dello Stato si è dimostrata lenta e farraginosa nel risolvere la questione dei danneggiati, tant'è che, a quattro anni dalla loro emanazione, le norme succitate non hanno ancora ricevuto attuazione alcuna;
tutti i legali che hanno il mandato per la difesa in giudizio di soggetti danneggiati hanno, su richiesta del Ministero della salute, presentato le domande di adesione alle transazioni dal 22 ottobre 2009 al 19 gennaio 2010, secondo le modalità contenute nella circolare n. 28/2009 del 20 ottobre 2009, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 246 del 22 ottobre 2009, e secondo quanto stabilito dal regolamento approvato con decreto ministeriale 28 aprile 2009, n. 132. Per l'acquisizione delle domande

di adesione, nei termini sopra indicati, l'amministrazione della salute ha realizzato il sistema telematico RIDAB, che ha permesso al legale di effettuare la domanda adesione ed allegare la documentazione necessaria nei tempi previsti;
successivamente la procedura finalizzata alla sottoscrizione degli accordi transattivi subiva un inspiegabile arresto;
per ovviare a tale inerzia, il Consiglio dei ministri avviava nella seduta del 5 maggio 2011 l'esame di un decreto-legge che attribuiva un risarcimento sotto forma di indennizzo straordinario, rateizzato, ai soggetti che avevano presentato istanza transattiva entro il 19 gennaio 2010 per danni subiti da trasfusioni, somministrazione di emoderivati e vaccinazioni obbligatorie (secondo importi analoghi e coerenti con quelli liquidati nella precedente, transazione del 2004);
la copertura finanziaria relativa al provvedimento de quo veniva assicurata da stanziamenti pluriennali legati all'aumento dell'accisa sui tabacchi, stanziamenti previsti dalla legge finanziaria per il 2008 e reiterati nelle manovre successive, come sopra riportato;
da quel momento, però, non vi è stato alcun provvedimento conseguente perché il Ministro della salute pro tempore Ferruccio Fazio, riferendosi alla vicenda, parlò di «tecnicismi che dovranno essere verificati»;
tale decreto avrebbe rappresentato per i tanti danneggiati che hanno aderito al procedimento transattivo e per i loro eredi non solo il riconoscimento di un giusto ristoro da parte dello Stato, ma altresì, la possibilità di curare adeguatamente le loro patologie, che sono irreversibili;
non risolvere ora la questione comporterà in futuro per la pubblica amministrazione ingenti spese a seguito del contenzioso giudiziario, perché sono ormai numerose le richieste di risarcimento che si sono concluse con una sentenza di condanna esecutiva ai danni del Ministero della salute,


impegna il Governo


ad assumere tempestivamente iniziative normative in materia di indennizzi per danno da trasfusione, somministrazione di emoderivati e vaccinazioni obbligatorie ed a definire la questione, già oggetto di esame da parte del Consiglio dei ministri, in tempi celeri e certi.
(1-00829)«Patarino, Della Vedova».

Risoluzioni in Commissione:

La VIII Commissione,
premesso che:
il fallimento delle attività di soccorso nell'ambito della gestione dell'emergenza conseguente al terremoto del 1980 in Irpinia ed alla disgrazia di Vermicino nel 1981, pose in evidenza l'ineludibile necessità di costituire una struttura che si occupasse esclusivamente di protezione civile, in controtendenza con il modello fino ad allora adottato, che relegava tale materia ad una funzione straordinaria di soccorso, incardinata nel Ministero dell'interno. Tale esigenza fu oggetto di un rilevante ed approfondito dibattito parlamentare. Il primo effetto conseguente fu, nel 1982, l'istituzione del dipartimento della protezione civile, in seno alla Presidenza del Consiglio dei ministri, costituito allo scopo di coordinare le attività di protezione civile, non solo nella fase del mero soccorso, ma anche nell'ambito della previsione e prevenzione;
successivamente nel 1992, tale modello innovativo, incentrato su di una pluralità di soggetti pubblici e privati, coordinati ed indirizzati dal dipartimento che, a vario titolo, intervenivano nelle attività di protezione civile, trovava la sua completa realizzazione nella legge istitutiva del servizio nazionale della protezione civile (legge 24 febbraio 1992 n. 225). Tale

impostazione fu ulteriormente confermata con il rafforzamento delle competenze affidate ai governi regionali ed alle autonomie locali promosso dalla «Riforma Bassanini» con l'emanazione del decreto legislativo n. 112 del 1998 che, a costituzione invariata, inseriva elementi di decentramento amministrativo. Il provvedimento, tra l'altro, individuava puntualmente le diverse funzioni ripartite tra Stato, regioni, province e comuni, confermando quale prima autorità di protezione civile, il sindaco, attribuendogli l'attivazione dei primi soccorsi in emergenza;
nel 2001 la riforma del titolo V della costituzione confermava l'impianto del sistema della protezione civile, annoverando, con la legge n. 3 del 2001, la protezione civile tra le materie a legislazione concorrente, nel rispetto del principio di sussidiarietà;
contemporaneamente, con l'emanazione del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401, veniva ripristinato il dipartimento della protezione civile in luogo della costituenda agenzia. Tale provvedimento affidava le politiche di protezione civile al Presidente del Consiglio dei ministri, che, nell'espletamento di tale funzione, si avvaleva del dipartimento della protezione civile;
oggi, il servizio nazionale di protezione civile, a seguito delle innovazioni normative introdotte anche a livello costituzionale, è caratterizzato, così come affermato anche dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 237 del 2003 e n. 129 del 2006, da un'organizzazione diffusa a carattere policentrico coordinata dal dipartimento della protezione civile, che eroga i propri servizi alla collettività, per mezzo di un attività che rimane autonoma e distinta da quella dei soggetti che ne fanno parte. Tali soggetti conservano la propria autonomia organizzativa, istituzionale ed operativa senza divenire organi del Servizio nazionale, tanto da assumere la denominazione di componenti e strutture del servizio (articoli 6 e 11 legge n. 225 del 1992);
una materia così complessa, quale la protezione civile, che inerisce numerosi ambiti della vita sociale, tanto da definirsi «trasversale», non può che essere attribuita al Presidente del Consiglio dei ministri, cui l'articolo 95 della Costituzione affida il coordinamento e l'indirizzo in merito alle attività dei Ministri;
tale architettura, com'è noto, ha, quindi, reso efficace il servizio di protezione civile, nella previsione, mitigazione e gestione dei rischi derivanti da calamità naturali, non solo nell'ambito del territorio nazionale, ma anche in quello estero, tanto da costituire un modello di riferimento in Europa e nel mondo;
costituisce testimonianza di quanto rappresentato, il rapporto OCSE (Organisation for Economic Co-operation and development) del 2010 che, a seguito dell'osservazione dei diversi modelli d'intervento proposti dai diversi Paesi negli interventi di protezione civile, così recita: «La collocazione del Dipartimento della Protezione Civile nella Presidenza del Consiglio dei Ministri assicura che le risorse di tutti i ministeri, i governi locali e il settore privato possono intervenire rapidamente in modo coordinato per minimizzare le conseguenze di gravi disastri... (...) ...Il sistema di protezione civile italiano di coordinare le risorse è particolarmente valido e lodevole alla luce della sua consolidata capacità d'azione»;
in ambito internazionale, al fine di intensificare i rapporti con gli Stati esteri, per una migliore risposta alla gestione delle emergenze conseguenti al verificarsi di eventi calamitosi, sono stati stipulati 27 accordi bilaterali. Sono state inoltre promosse iniziative nel campo della formazione degli operatori di protezione civile, per ciò che concerne le metodologie d'intervento, realizzando così 17 corsi nell'ambito del programma del meccanismo europeo di protezione civile, a cui hanno preso parte 343 esperti di protezione civile, provenienti da 31 paesi membri dell'Unione europea. Il dipartimento della protezione civile spesso ospita delegazioni

estere che intendono esportare il modello di protezione civile italiano nei propri paesi. Il dipartimento della protezione civile nazionale partecipa, inoltre, a numerose esercitazioni internazionali, al fine di verificare l'idoneità dei modelli di intervento e condividerne le procedure, nell'ambito delle strutture europee di protezione civile;
in merito all'efficienza dimostrata dal sistema di protezione civile in ambito internazionale ed in particolare nella gestione dell'emergenza tsunami 2004, si rammenta l'elogio del Presidente del Consiglio dei ministri Monti raccolto dal Corriere della Sera il 4 dicembre 2005 nell'articolo «Se l'Italia volesse»;
alla luce delle analisi sopraesposte sconcerta la notizia ufficiosa relativa all'inserimento, in un prossimo provvedimento di natura finanziaria, di disposizioni tese a modificare l'attuale assetto del Servizio nazionale di protezione civile. L'indiscrezione riguarderebbe il trasferimento funzionale del dipartimento al Ministero dell'interno, se non addirittura la soppressione dello stesso, che per quanto finora illustrato, riguarderebbe la regressione ad una concezione obsoleta, che il legislatore italiano ha già da 30 anni superato;
tale concezione risulta del tutto superata anche per diversi Paesi. A tal proposito, si rammenta che la Svezia, in occasione dell'emergenza-tsunami del 2004, avendo individuato evidenti fragilità nel proprio sistema di coordinamento delle emergenze, nel 2009, ha istituito, ispirandosi al modello italiano, l'Agenzia nazionale di protezione civile (MSB), diretta dal Presidente del Consiglio dei ministri. Inoltre, in occasione dell'emergenza «uragano katrina» che nel settembre del 2005 ha danneggiato, in modo rilevante, il territorio degli Stati Uniti devastando la città di New Orleans, anche il sistema di risposta americano si è rivelato carente, tanto che la Commissione governativa d'inchiesta, all'uopo istituita, ha rilevato l'impossibilità dell'Agenzia federale di assicurare un'immediata risposta adeguata, che solo la diretta dipendenza dal Presidente degli Stati Uniti poteva garantire. George W. Bush in merito all'accaduto afferma che, «un più rapido coinvolgimento del Presidente avrebbe sicuramente reso più veloce la risposta»;
occorre mantenere l'attuale efficienza del servizio svolto dal dipartimento della protezione civile e gli standards di qualità raggiunti a livello internazionale, dopo anni di esperienza maturata nel settore e dopo le diverse esperienze fallimentari dimostratesi sia nelle passate gestioni delle emergenze nel nostro Paese, sia in altri Stati a livello europeo e internazionale;
la fragilità del nostro territorio, il continuo rischio idrogeologico, l'elevata sismicità, i mutamenti climatici e le avversità atmosferiche degli ultimi anni che si manifestano in ripetuti fenomeni alluvionali, richiedono risposte integrate e efficaci attraverso interventi coordinati, e un equilibrato intervento nella complessa articolazione di competenze tra i vari Ministeri coinvolti, le regioni e gli enti locali, che può garantire solo l'attribuzione del dipartimento della protezione civile in capo al Presidente del Consiglio dei ministri;
occorre anzi eliminare le difficoltà constatate nel celere intervento della protezione civile, attraverso la garanzia dell'immediata copertura finanziaria delle ordinanze e l'eliminazione del passaggio preventivo dalla Corte dei conti dei provvedimenti commissariali adottati in attuazione delle ordinanze del Presidente del Consiglio dei ministri emanate ai sensi dell'articolo 5, comma 2, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, che determina un eccessivo allungamento dei tempi per la gestione dell'emergenza, come emerso anche dal dibattito svolto in VIII Commissione nel corso dell'audizione del Ministro

dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 14 dicembre 2011,


impegna il Governo:


ad impedire azioni volte a scardinare l'attuale sistema della protezione civile, mantenendo il dipartimento sotto la diretta dipendenza della Presidenza del Consiglio dei ministri;
a mantenere l'attuale struttura della rete capillare della protezione civile costruita sul territorio nazionale con potere immediato e automatico di coordinamento e di intervento in caso di calamità al capo della protezione civile, sotto il controllo esclusivo del Presidente del Consiglio dei ministri.
(7-00759)
«Alessandri, Dussin, Lanzarin, Togni».

La XIII Commissione,
premesso che:
il comparto della pesca vive la più grave crisi della sua storia determinata da una molteplicità di fattori tra i quali i numerosi competitor internazionali, il depauperamento delle risorse ittiche a cui fa seguito una consistente diminuzione dello sforzo di pesca e una politica comune della pesca troppo generalizzata che non tiene in giusto conto le specificità locali, le loro tradizioni, i sistemi di pesca e le tipologie della flotta;
il settore ittico è di fondamentale importanza in un Paese con circa 8.000 chilometri di costa e, benché l'incidenza del valore aggiunto prodotto dalle attività della pesca sul valore aggiunto totale abbia un peso variabile a livello regionale, le sue problematiche gravano su molte realtà che fanno della pesca e delle attività ad essa legate il motore del loro sviluppo economico-sociale;
l'obiettivo bio-ecologico di proteggere, conservare e risanare le risorse della pesca, come stabilito da recenti documenti di programmazione e gestione della pesca adottati in ambito comunitario e nazionale, non può essere disgiunto da quello altrettanto importante di salvaguardare un equilibrio occupazionale di lungo periodo e provvedere al mantenimento del benessere economico della forza lavoro, esposta, più di altre categorie, a condizioni di lavoro particolarmente rischiose sia durante la navigazione che nelle operazioni di terra;
tra le recenti normative comunitarie in materia, il regolamento (CE) 1967/2006, cosiddetto «regolamento Mediterraneo» pone enormi problematiche al settore ittico italiano, nella misura in cui vieta lo strascico entro le tre miglia dalla costa e impone una misura delle maglie delle reti che se da un lato è utile alla preservazione della biodiversità e della riproduzione delle specie, dall'altro è misura assolutamente iniqua per talune specie, presenti soprattutto nell'Alto Adriatico, notevolmente rilevanti nella economia della fascia costiera italiana;
ad aggravare le criticità derivanti dalle assurde limitazioni imposte dall'Unione europea, da una concorrenza internazionale spesso sleale, da un'attività sempre più frammentata durante l'anno tra il fermo pesca e le giornate perse a causa del maltempo, si aggiungono scelte di politica interna ulteriormente penalizzanti per gli operatori del settore;
la legge di stabilità per il 2012 ha infatti disposto la riduzione nel limite del 60 per cento, per il 2012, degli sgravi contributivi per la salvaguardia dell'occupazione della gente di mare, previsti dal decreto-legge 30 dicembre 1997, n. 457, convertito con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1998, n. 30, riduzione che unitamente all'incremento dei costi di produzione dovuti all'aumento considerevole del prezzo del gasolio, e ai problemi della commercializzazione del pescato, impatta negativamente sulla redditività delle imprese e l'occupazione del settore;
un ulteriore aumento delle spese di gestione dei pescherecci deriverebbe qualora l'articolo 8 della legge 15 dicembre 2011, n. 217,

fosse interpretato nel senso di ricomprendere il carburante tra le provviste di bordo assoggettate ad IVA;
la crisi in cui versa il settore ittico colpisce soprattutto i segmenti meno competitivi tra i quali la piccola pesca costiera e quella artigianale che però apportano un contributo indispensabile al benessere socio economico delle comunità costiere, contribuendo allo sviluppo locale, alla conservazione e creazione di posti di lavoro, nonché agli approvvigionamenti di pesce fresco e alla salvaguardia delle tradizioni culturali locali;
la riforma della politica comune della pesca attualmente all'esame delle istituzioni comunitarie, nelle sue componenti di programmazione e gestione delle attività di pesca è più identificativa delle esigenze e delle peculiarità dell'area nord europea ed adattabile solo parzialmente alla dimensione mediterranea e in particolare dell'Italia, ed introduce alcuni meccanismi, quali le concessioni di pesca trasferibili, il cui impatto, specie sulla piccola pesca, rischia di compromettere il precario equilibrio su cui si regge il settore,


impegna il Governo


a valutare con urgenza l'adozione di misure in grado di far fronte all'emergenza del comparto ittico, al fine di sostenere le imprese del settore gravate da costi imprevisti, contrazione dei redditi e vincoli e limitazioni sempre più stringenti imposti dalla normativa comunitaria e in particolare a:
a) rivedere i vincoli imposti del «Regolamento Mediterraneo» relativamente alle dimensioni minime delle maglie e proporre gli opportuni adeguamenti come stabilito dalla stesso Regolamento 1967/2006;
b) ripristinare all'80 per cento l'aliquota di sgravio contributivo a favore dell'occupazione della gente di mare;
c) chiarire l'interpretazione dell'articolo 8 della legge comunitaria 2010 nella parte in cui prevede la cessazione della non imponibilità delle provviste di bordo, al fine di non assoggettare ad IVA il gasolio per le imbarcazioni;
d) reintrodurre i contributi alla rottamazione dei natanti appartenenti alla piccola pesca;
e) intervenire nelle competenti sedi comunitarie affinché l'Unione europea adotti un atteggiamento realistico che consenta la predisposizione di normative flessibili in considerazione delle specificità proprie dei bacini marittimi dell'Europa mediterranea.
(7-00760)
«Callegari, Chiappori, Fabi, Forcolin, Paolini».

...

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere - premesso che:
la gestione dei rifiuti nella regione Campania, da troppi anni, costituisce un terreno estremamente problematico per l'azione dei pubblici poteri e, nonostante la dichiarazione legislativa della cessazione dello stato di emergenza, la permanente condizione di precarietà e la carenza di una durevole autonomia del sistema di raccolta, trattamento e smaltimento impongono, tuttora, un'attenta vigilanza da parte dello Stato;
l'attuale e operante sistema, portato di una lunga gestione extra ordinem e relativi provvedimenti nonché dei recenti interventi normativi - decreto-legge n. 90 del 23 maggio 2008 convertito, con modificazioni,

dalla legge n. 123 del 2008; decreto-legge 30 dicembre 2009 n. 195 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2010 - è incentrato su un sistema di discariche e sul termovalorizzatore di Acerra (Napoli), il quale, nell'anno 2011, ha bruciato seicentomila tonnellate di rifiuti, esaurendo pienamente la portata per la quale ha conseguito l'autorizzazione integrata ambientale;
il comune di Acerra e la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata dal Sottosegretario di Stato all'emergenza rifiuti in Campania, in data 26 marzo 2009, hanno sottoscritto un protocollo d'intesa con il quale veniva convenuto «un piano di interventi di tipo infrastrutturale, ambientale e sociale, volto a mitigare e, pertanto, compensare i potenziali impatti di natura sociale, ambientale e paesaggistica derivanti dalla realizzazione e dall'esercizio dell'impianto»;
il piano oggetto del protocollo d'intesa, destinato alla sostenibilità sociale dell'impianto, considerato «determinante ai fini del definitivo superamento dell'emergenza nel settore dei rifiuti» in Campania, si articolava in un «Piano bonifiche "suolo/acqua", Ristori ambientali, Opere infrastrutturali di collegamento viario per l'accesso al termovalorizzatore, l'Osservatorio Ambientale, il Piano occupazionale, Recupero della Casina Spinelli e Parco Archeologico e naturalistico "Calabricito", Apertura sezione archeologica del Museo Civico con reperti ritrovati sul territorio comunale; lo Sgravio energia elettrica e misure economiche incidenti sull'imposta di smaltimento dei rifiuti»;
il protocollo d'intesa, per quanto riguardava i «ristori ambientali», ribadiva, in realtà, quanto era stato in precedenza già disposto con le ordinanze della Presidenza del Consiglio dei ministri n. 3479 del 14 dicembre 2005 e n. 3286 del 2003 e l'ordinanza ministeriale n. 3032 del 1999, a firma del Ministro dell'interno;
in attuazione dell'articolo 11, comma 12 del decreto-legge n. 90 del 2008, il comune di Acerra sottoscriveva, in data 4 agosto 2009, con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la Regione Campania ed il commissario delegato ex ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri un accordo di programma, per complessivi trenta milioni di euro circa, successivamente dimezzati, per gli interventi di compensazione ambientale;
all'accordo di Programma, il cui originario stanziamento complessivo ammontava a 526 milioni, ha investito tutti i comuni della Campania sul cui territorio erano stati individuati impianti di trattamento dei rifiuti o, comunque, esistevano impianti dismessi, attualmente si provvede finanziariamente ai sensi e per gli effetti del comma 2 dell'articolo 3 del decreto-legge n. 196 del 2010 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 1 del 24 gennaio 2011;
l'articolo 7, del decreto-legge n. 195 del 2009 stabiliva che «entro il 31 dicembre 2011 con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è trasferita la proprietà del termovalorizzatore di Acerra alla regione Campania, previa intesa con la regione stessa, ovvero alla Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento della Protezione Civile o a soggetto privato»;
il decreto-legge n. 216 del 29 dicembre 2011, all'articolo 5, ha stabilito una proroga di trenta giorni del richiamato termine -:
quali siano gli orientamenti del Governo, fermo restando l'ingente e corposo contenzioso che, tra l'altro investe per taluni aspetti la Corte costituzionale, in ordine alla proprietà del termovalorizzatore di Acerra e, se, in particolare, si intenda ribadire la natura pubblica della proprietà, in considerazione della necessità di fornire ampie garanzie al territorio e alla comunità di Acerra che ospita l'impianto;
quale sia l'ammontare dei «ristori ambientali» maturati in questi anni a favore del comune di Acerra, quale sia l'ammontare delle somme - a tale titolo -

effettivamente versate allo stesso e quale sia il livello di attuazione del protocollo d'intesa sottoscritto il 26 marzo 2009 tra la Presidenza del Consiglio dei ministri e il comune di Acerra;
quale sia il grado di attuazione degli interventi di bonifica, a totale carico del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare - ai sensi dell'articolo 3 dell'accordo di programma del 4 agosto 2009 - e quale sia il livello di progettazione raggiunto dalla società pubblica incaricata delle opere di compensazione ambientale di cui all'articolo 4 del citato accordo per il comune di Acerra e per gli altri trentasei comuni interessati;
se il Governo intenda fornire elementi in ordine al livello di attuazione delle disposizioni contenute nei richiamati decreti-legge n. 90 del 2008, 195 del 2009 e 196 del 2010 con particolare riferimento alla raccolta differenziata e al completamento dell'impiantistica industriale funzionale ad essa e alla chiusura del ciclo integrato dei rifiuti nella regione Campania.
(2-01334)
«Mazzarella, Bratti, Mariani, Bossa, Rampi, Graziano, Piccolo, Mario Pepe (PD), Nicolais, Ciriello, Andrea Orlando, Cuomo, Sarubbi, Braga, Fadda, Melis, Touadi, Duilio, De Pasquale, Tocci, Schirru, Marini, Sbrollini, Narducci, De Biasi, Pes, Vannucci, Zucchi, Zampa, Viola, Zaccaria, De Torre, Velo, Lo Moro, D'Antona, Ginefra, Gatti, Giovanelli, Laganà Fortugno, Boffa, Garavini, Farinone, Vaccaro».

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AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:

DI BIAGIO. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
con l'entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, il Ministero degli affari esteri ha applicato il portato dell'articolo 9 della stessa a tutti i dipendenti della citata amministrazione il cui profilo contrattuale è quello sottoposto alla legge locale di cui all'articolo 93 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967;
la fattispecie professionale e contrattuale entro cui ricadono i dipendenti cosiddetti a contratto è diversa da quella entro cui sono compresi i dipendenti pubblici sui quali ricadono gli effetti dell'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010, sussistendo una diversa regolamentazione giuridica del rapporto;
l'articolo 9 prevede che: «per gli anni 2011, 2012 e 2013 il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, (...) non può superare in ogni caso il trattamento ordinariamente spettante per l'anno 2010 al netto degli effetti derivanti da eventi straordinari della dinamica retributiva, (...)»;
per i dipendenti a contratto, stante la peculiarità della posizione giuridica e fattuale, l'articolo 157 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967 prevede che «la retribuzione annua sia fissata dal contratto individuale tenendo conto delle condizioni del mercato del lavoro locale, del costo della vita e, principalmente, delle retribuzioni corrisposte nella stessa sede da rappresentanze diplomatiche, uffici consolari, istituzioni culturali di altri Paesi in primo luogo di quelli dell'Unione europea, nonché da organizzazioni internazionali»;
inoltre, stando allo stesso articolo, «la retribuzione annua base è suscettibile di revisione in relazione alle variazioni dei termini di riferimento di cui al precedente comma e all'andamento del costo della vita»;
la suindicata questione è stata oggetto di un atto di sindacato ispettivo in Commissione esteri in data 29 settembre 2010

che ha visto l'accoglimento da parte del Ministero degli affari esteri degli impegni a ad assumere iniziative normative al fine di escludere l'applicazione dell'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 convertito con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, al personale a contratto del Ministero degli affari esteri, e a disporre gli adeguamenti retributivi per il personale a contratto in servizio in tutte le sedi a far data dall'ultimo adeguamento effettuato, e comunque a valere per il 2010, previa disposizione alle ambasciate a trasmettere i dati di competenza;
in data 12 ottobre 2011 il Consiglio di Stato si è espresso in merito alla non applicabilità del portato dell'articolo 9 alla categoria degli impiegati a contratto del Ministero degli affari esteri, nei confronti dei quali - ribadisce la sentenza - non è possibile indirizzare alcun blocco retributivo;
in capo alla medesima categoria di lavoratori sussiste anche la criticità relativa alla confusione esistente in materia di tassi di cambio da applicare agli stipendi degli impiegati a contratto locale assunti dopo il 2003: malgrado il portato del decreto legislativo n. 103 del 2000) che prevede l'applicazione del tasso di cambio derivante dalla moneta locale in ambito di pagamento degli stipendi del personale a contratto, il Ministero degli affari esteri continua ad applicare erroneamente una norma contenuta in un decreto interministeriale che peraltro non ha recepito la normativa regolante il rapporto di lavoro del personale in questione;
le suindicate criticità stanno mettendo in seria difficoltà la categoria e la stessa amministrazione degli esteri segnatamente in quei Paesi in cui il costo della vita è tra i più alti e dove il tasso di cambio è particolarmente svantaggioso;
particolari problemi al momento sono sorti tra gli impiegati a contratto delle strutture diplomatico-consolari in Svizzera, Giappone, Canada e Brasile;
in particolare solo a Berna al momento risultano essersi licenziati 4 impiegati a contratto. I motivi sono da addurre sia ad aspetti economici sia alla mancanza di personale presso la sede. Tre degli impiegati tuttora in servizio presso la cancelleria consolare di Berna vengono ancor oggi remunerati in euro nonostante il parere del Consiglio di Stato; questi dipendenti non riescono a far fronte alle difficoltà economiche che ne derivavano. Essi hanno subito la decurtazione di un terzo delle loro retribuzioni;
la derivante mancanza di personale a contratto presso l'ambasciata a Berna produce maggiori carichi di lavoro sui restanti impiegati, situazione che crea gravi disagi tra il personale ancora operativo, il quale, non è più in grado di garantire il normale funzionamento della cancelleria consolare stessa rispetto alle richieste dei 40.000 cittadini italiani residenti nella circoscrizione;
il Ministero degli affari esteri, malgrado le pronunce di Consiglio di Stato e dell'Avvocatura di Stato in merito alla normativa da applicare agli impiegati a contratto e al riconoscimento salariale degli stessi, al momento non ha ancora definito l'apposito decreto interministeriale finalizzato al riadeguamento salariale degli impiegati lasciando di fatto permanere la citata situazione di precarietà amministrativa e di palese malessere tra il personale della struttura diplomatica sottoposto a carichi e ritmi lavorativi deleteri per la loro integrità psico-fisica -:
quali iniziative di competenza intenda predisporre al fine di colmare la gravosa lacuna normativa in materia salariale in capo al personale a contratto, anche attraverso la stesura del citato decreto interministeriale e come intenda intervenire, al fine di risolvere le criticità sorte negli ultimi mesi presso la cancelleria consolare dell'Ambasciata italiana a Berna.
(5-06020)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:

LANZARIN. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
numerose province italiane stanno bloccando le attività di recupero ambientale di vuoti di cave o di miniere già approvate secondo le previste procedure di valutazione di impatto ambientale ed in conformità alle disposizioni di cui agli articoli 214 e 216 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, attuate a norma del decreto ministeriale 5 febbraio 1998 relativo all'individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero;
il blocco di tali interventi di recupero ambientale sta provocando seri danni agli operatori minerari interessati oltre che serie ripercussioni sulla gestione razionale e compatibile dei rifiuti che possono essere recuperati come materiali e non smaltiti in discarica;
la vicenda trae origine dalla dubbia interpretazione cui si presta il comma 3 dell'articolo 10 del decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 117, relativo all'«Attuazione della direttiva 2006/21/CE relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive e che modifica la direttiva 2004/35/CE»;
tale disposizione prevede che il riempimento dei vuoti e delle volumetrie prodotti dall'attività estrattiva con rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione disciplinati dal decreto stesso, sia sottoposto alle disposizioni di cui al decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, relativo alle discariche di rifiuti;
le province, nel dubbio della corretta interpretazione delle norme di cui trattasi, hanno da tempo inoltrato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, specifiche richieste di parere circa l'applicabilità del decreto legislativo n. 117 del 2008 in relazione alle norme sui rifiuti inerti in attività estrattiva, piuttosto che le procedure semplificate, ai sensi dell'articolo 216 del decreto legislativo n. 152 del 2006 nel testo vigente, per il recupero ambientale R10;
il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ha ancora risposto a tali quesiti e pertanto la province limitano il recupero dei vuoti di cava alle sole terre e rocce da scavo, bloccando l'utilizzo degli altri materiali;
in realtà, la norma principale che preordina il predetto comma 3 dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 117 del 2008, ossia l'articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2006/21/CE, dispone che «la direttiva 1999/31/CE continua ad applicarsi ai rifiuti non derivanti da attività di estrazione utilizzati per riempire i vuoti di miniera»;
per comprendere con maggiore cognizione di causa il significato di tale paragrafo, ci si dovrebbe rifare al considerando 20) della stessa direttiva 2006/21, che nel merito specifica che «Anche i rifiuti utilizzati per la ripiena dei vuoti di miniera a fini di ripristino o costruzione connessi al processo di estrazione dei minerali, quali la costruzione o la manutenzione nei vuoti di mezzi di accesso per le macchine, rampe di trasporto, sbarramenti stagni, terrapieni o berme di sicurezza devono essere soggetti ad alcuni obblighi per la protezione delle acque di superficie e/o sotterranee e per garantire la stabilità dei rifiuti e un adeguato monitoraggio alla cessazione di tali attività. Tali rifiuti non dovrebbero pertanto essere soggetti ai requisiti della presente direttiva che si riferisce esclusivamente alle "strutture" di deposito dei rifiuti, a meno che non siano indicati nelle disposizioni specifiche sui vuoti di miniera»;
è evidente che il campo di applicazione delle norme in questione riguarda esclusivamente la gestione dei rifiuti delle

industrie estrattive ed in tale ambito, in via incidentale, crea un collegamento con l'eventuale più ampia disciplina sulle discariche dei rifiuti in genere, allorquando i rifiuti diversi da quelli di estrazione mineraria potrebbero essere destinati allo smaltimento in siti derivanti da vuoti di miniere o di cave;
non appare pertanto consequenziale mettere in relazione le attività di recupero ambientale dei siti minerari esauriti, disciplinate da norme di principio di rango analogo, se non superiore, rispetto a quelle sulla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive, con gli interventi di riempimento dei vuoti di miniera, quando in essi si decida di smaltire rifiuti;
gli interventi di recupero ambientale di cui trattasi, infatti, devono essere sottoposti a procedura di valutazione di impatto ambientale ai fini della loro corrispondenza ai principi di protezione delle falde, dei suoli, del paesaggio e della salute e solo nell'ambito di tali prescrizioni possono essere utilizzati anche i materiali classificati come rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero di cui agli articoli 214 e 216 del decreto legislativo n. 152 del 2006;
la disciplina in questione si riferisce al più ampio obiettivo europeo volto a proteggere l'ambiente e la salute umana prevenendo o riducendo gli impatti negativi della produzione e della gestione dei rifiuti, riducendo gli impatti complessivi dell'uso delle risorse e migliorandone l'efficacia. Si tratta, in particolare, dei criteri recati dalla direttiva 2008/98/CE, che mirano a promuovere il riutilizzo dei prodotti e le misure di preparazione per le attività di riutilizzo, in particolare favorendo la costituzione e il sostegno di reti di riutilizzo;
le disposizioni nazionali che corrispondono a tali obiettivi, oltre ad essere quelle di cui agli articoli 214 e 216 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sono, attualmente, quelle specificamente previste dal decreto ministeriale 5 febbraio 1998 sulla individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero. Tale decreto individua una serie molto vasta e puntuale di materiali che possono essere classificati non rifiuti e perciò utilizzati anche come prodotti per recuperi ambientali di cave esaurite;
in linea con i predetti criteri di recupero ambientale tramite l'utilizzo di materiali da rifiuto, si pongono, da ultimo, le previsioni recate dalla decisione della Commissione europea 2011/753/Ue. In essa viene definita anche l'attività di recupero relativa al «riempimento», descrivendola come l'operazione di recupero in cui i rifiuti idonei sono utilizzati a fini di bonifica in aree escavate o per interventi paesaggistici e in cui i rifiuti sostituiscono materiali che non sono rifiuti -:
se non intenda con urgenza chiarire alle province interessate la conforme applicazione delle norme relative alle attività di recupero ambientale dei vuoti minerari tramite l'applicazione delle procedure semplificate di recupero dei rifiuti che possono essere qualificati non più come rifiuti, nel senso di considerarle comunque ammissibili in caso di riempimento ambientalmente sicuro di tali vuoti e, nello specifico, se non intenda intraprendere iniziative normative che prevedano che il comma 3 dell'articolo 10 del decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 117, non si applichi alle attività o agli interventi finalizzati al recupero ambientale di vuoti di cave o miniere autorizzati nel rispetto della disciplina sulla valutazione di impatto ambientale anche in caso di utilizzo di rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 214 e 216 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, o che corrispondano alle previsioni di cui alla decisione della Commissione europea 2011/753/Ue.
(5-06023)

Interrogazioni a risposta scritta:

DI BIAGIO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
nell'ambito di una politica tesa al miglioramento dei processi di trasformazione dell'energia, alla riduzione dei consumi e ad una maggiore compatibilità ambientale dell'utilizzo dell'energia, la legge 9 gennaio 1991 n. 10 reca «Norme per l'attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso nazionale dell'energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia», in accordo con la politica energetica della Comunità economica europea;
il provvedimento menzionato costituisce la base di un impegno normativo teso a dare ampio spazio alle misure di efficienza energetica, con particolare riferimento al settore dell'edilizia pubblica e privata, relativamente alle nuove costruzioni e alle ristrutturazioni ed è stato seguito da un'ampia normativa tesa ad incentivare il ricorso a criteri generali tecnico-costruttivi ispirati all'efficienza energetica degli edifici;
la questione del rendimento energetico nell'edilizia in relazione a problematiche di natura ambientale è oggetto di numerosi studi di livello internazionale. La legislazione comunitaria ne fornisce una specifica trattazione nella direttiva 2002/91/CE del 16 dicembre 2002 sul rendimento energetico nell'edilizia - recepita in Italia con il decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192 «Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell'edilizia» successivamente modificato dal decreto legislativo n. 311 del 29 dicembre 2006;
la menzionata direttiva evidenzia, al punto 6 delle considerazioni introduttive, come «L'energia impiegata nel settore residenziale e terziario, composto per la maggior parte di edifici, rappresenta oltre il 40 per cento del consumo finale di energia della Comunità. Essendo questo un settore in espansione, i suoi consumi di energia e quindi le sue emissioni di biossido di carbonio sono destinati ad aumentare»;
in tal senso, si è posta come necessità l'individuazione e l'incentivazione di criteri specifici di edilizia sostenibile che, attraverso il ricorso a sistemi tecnologici adeguati, contribuissero a realizzare gli obiettivi di riduzione del danno ambientale in termini di emissioni di CO2, in conformità a quanto disposto dal protocollo di Kyoto, e contemplasse il ricorso a fonti di energia rinnovabile nel soddisfacimento del fabbisogno energetico;
d'altro canto la normativa nazionale in materia si presentava già ampiamente interessata al tema nella menzionata legge 9 gennaio 1991, n 10, nel decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412, nonché nel decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia». A tali disposizioni si aggiungono i sopracitati decreto legislativo n. 192 del 2005 e n. 311 del 2006 di recepimento della direttiva 2002/91/CE, il cui decreto attuativo è stato emanato;
tra gli interventi finalizzati al risparmio energetico figura l'adozione di «sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore», una tecnologia molto diffusa nei paesi del nord Europa, che consente una più opportuna gestione del riscaldamento degli edifici che utilizzano il riscaldamento centralizzato, consentendo un uso ponderato degli impianti di riscaldamento con risparmi energetici anche del 25 per cento;
i riconosciuti effetti positivi di tale tecnologia interessano sia la riduzione del fabbisogno energetico nazionale in termini di richiesta di combustibile, contribuendo di fatto a ridurre le spese nazionali nell'ambito, sia una riduzione delle emissioni di sostanze inquinanti, nonché un complessivo contenimento degli sprechi legati al riscaldamento ambientale;

l'adozione di tale tecnologia per un uso razionale dell'energia è obbligatoria nell'edificazione di nuove costruzioni, pubbliche e private, nonché nelle ristrutturazioni degli edifici, ai sensi della legge n. 10 del 1991;
a livello locale, alcune normative regionali stabiliscono adempimenti stringenti, fissando determinate scadenze temporali entro le quali debbano essere istallati i sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione nelle singole unità abitative dei condomini che usufruiscano di sistemi di riscaldamento centralizzato -:
se esista un piano di efficientamento energetico per gli edifici delle pubbliche amministrazioni che ancora non abbiano provveduto all'opportuno ammodernamento delle strutture in ottemperanza ai princìpi sanciti dalla normativa evidenziata in premessa e quali ne siano i princìpi di indirizzo;
se non ritengano opportuno, nell'ottica di un'edilizia improntata alla compatibilità ambientale e alla promozione della riqualificazione degli impianti, adottare le dovute iniziative, anche normative, per la fissazione di specifici termini entro i quali gli edifici di pubblica utilità che usufruiscano di sistemi di riscaldamento centralizzato obsoleti provvedano a dotarsi di sistemi di termoregolazione e contabilizzazione del calore.
(4-14639)

DI BIAGIO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
nel mese di settembre 2011, durante un'opera di ripulitura dei fondali marini nell'area prospiciente le coste calabresi in corrispondenza di Amantea - già «zona di tutela biologica delle acque marine» ai sensi del decreto ministeriale 18 febbraio 2004 - il gruppo subacqueo Paolano, coordinato dal professor Piero Greco, ha rinvenuto, a circa due miglia dalla costa e 50 metri di profondità, la presenza di una foresta di «Antipathella sub pinnata» anche detta corallo nero;
la scoperta nelle acque di Amantea del corallo nero, specie molto rara e dunque protetta in tutto il mondo, assume un elevato valore dal punto di vista ambientale, sia come testimonianza della ricchezza naturalista dei nostri fondali, sia come indice di pulizia delle acque, giacché assicura la presenza nell'area di una biodiversità che favorisce la sopravvivenza di questo delicatissimo organismo;
è opportuna ricordare che la zona interessata dal rinvenimento sorge nelle vicinanze del parco marino regionale «Scogli di Isca», istituito con la legge regionale 21 aprile 2008, n. 12, che rientra nel programma Natura 2000 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Il rinvenimento contribuisce altresì ad ampliare l'elenco dei siti italiani interessati da questa specie di corallo, attualmente rinvenuta solo nelle acque di Scilla, Favignana, isole Tremiti e Portofino;
la menzionata scoperta assume un valore simbolico molto forte per il territorio calabrese e pone l'accento sull'esigenza di un'opportuna tutela e valorizzazione dell'area marina, anche in virtù del fatto che si trova in una realtà in cui troppo spesso le associazioni locali di tutela ambientale hanno lanciato allarmi in riferimento all'inefficienza del sistema di depurazione degli scarichi fognari e ai conseguenti rischi di inquinamento delle acque calabresi, come pure in riferimento alle pratiche di pesca illegale che determinano considerevoli danni per i delicati ecosistemi marini, esponendoli ad un elevato grado di vulnerabilità -:
quali iniziative intenda predisporre, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di garantire la tutela delle acque di Amantea interessate dal recente rinvenimento del corallo nero, anche per facilitarne l'inclusione in un'area di protezione ambientale;
se esistano e quali siano, da parte del dicastero interessato, le iniziative di analisi e ricerca finalizzate alla tutela e alla valorizzazione dei siti di corallo nero presenti nei fondali nazionali;

se non ritenga opportuno promuovere, nell'ambito delle proprie competenze, un programma di monitoraggio, analisi e ricerca sul sito evidenziato in premessa, che contemplino l'analisi storica, territoriale e paesaggistico-ambientale dell'area, nonché la ricognizione delle specie presenti, dei loro patrimoni genetici e della loro distribuzione, al fine di consentire l'acquisizione degli strumenti di conoscenza necessari alla migliore realizzazione degli obiettivi di tutela del sito.
(4-14640)

GHIGLIA. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il 1° gennaio 2011 è entrato in vigore il comma 1129 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007) che prevede, «ai fini della riduzione delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera, del rafforzamento della protezione ambientale e del sostegno alle filiere agro-industriali nel campo dei biomateriali, un programma sperimentale a livello nazionale per la progressiva riduzione della commercializzazione di sacchi per l'asporto delle merci che, secondo i criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle norme tecniche approvate a livello comunitario, non risultino biodegradabili», cosa che ha determinato nei confronti dell'Italia l'apertura della procedura di infrazione n. 4030/2011;
con riferimento al detto comma 1129, e più in generale alla direttiva 94/62/CE, che disciplina la materia degli imballaggi in plastica, la norma EN 13432 non è considerata quale norma tecnica di riferimento per la biodegradabilità e compostabilità ma è valutata alla stregua di una norma giuridica, attribuendo valenza normativa in riferimento ai requisiti di biodegradabilità e compostabilità di un imballaggio di plastica contenuti nella norma tecnica;
la norma tecnica UNI EN 13432 è fondata su quattro requisiti fondamentali (la biodegradabilità maggiore del 90 per cento in 180 giorni, assenza di fitotossicità, contenuto limitatissimo di metalli pesanti e disintegrabilità), in assenza dei quali il manufatto non sarebbe conforme alla norma stessa;
nella relazione dell'Ispra («Relazione di sintesi sul divieto di commercializzazione dei sacchetti in plastica») i parametri di biodegradabilità e compostabilità sono e restano distinti e separati, pur evidenziando da un punto di vista scientifico talune criticità per l'ambiente e per la tossicità per l'uomo dei cosiddetti biopolimeri e delle relative bioplastiche -:
se i Ministri interrogati non intendano istituire un tavolo tecnico al fine di fornire evidenze scientifiche sulla base delle quali operare le scelte più opportune relativamente alla materia in questione;
quali siano i chiarimenti indirizzati alla Commissione in merito alla procedura di infrazione citata e, in particolare, se i Ministri interrogati ritengano superabili le obiezioni mosse dalla Unione europea alla Francia nel 2007;
quali programmi di ricerca ed eventuali controlli intendano promuovere al fine di verificare la reale rispondenza di manufatti ed imballaggi rispetto ai requisiti di «biodegradabilità» degli stessi;
quali siano gli intendimenti e le azioni che ritengano di porre in essere ai fini della salvaguardia della corretta informazione per i consumatori e gli utenti finali.
(4-14646)

TESTO AGGIORNATO AL 30 GENNAIO 2012

...

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere - premesso che:
in base all'articolo 18, comma 5, del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68,

recante disposizioni in materia di autonomia di entrate delle regioni a statuto ordinario e province, si stabilisce che a decorrere dall'anno 2012 l'addizionale provinciale all'accisa sull'energia elettrica (di cui all'articolo 52 del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504) è soppressa e il relativo gettito spetta allo Stato e che, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, è rideterminato l'importo dell'accisa sull'energia elettrica in modo da assicurare l'equivalenza di gettito;
il 30 dicembre 2011, il Ministero dell'economia e delle finanze ha emanato due decreti con i quali, con decorrenza 1o gennaio 2012, si è provveduto ad aumentare l'accisa sull'energia elettrica a seguito della cessazione dell'applicazione dell'addizionale comunale e della soppressione dell'addizionale provinciale all'accisa sull'energia elettrica;
per quanto concerne il decreto che sopprime l'addizionale provinciale, che è quello che riguarda direttamente le imprese, la previsione desta grande preoccupazione per il forte impatto economico che ha sul nostro sistema industriale;
infatti, come si evince da alcune tabelle di simulazione pubblicate da Confindustria a fronte di lievi modifiche per le aziende con consumi inferiori ai 200.000 chilowatt (piccole imprese) e per quelle con consumi superiori a 1.200.000 chilowatt (grandi imprese), la fascia delle medie imprese (con consumi tra i 200.000 e 1.200.000) potrebbe subire un aumento anche superiore al doppio delle accise fino ad oggi pagate;
nel citato decreto legislativo si parla di equivalenza di gettito, tuttavia, considerato che il nostro tessuto industriale è costituito in larga parte dalle medie imprese con consumi tra i 200.000 chilowatt un 1.200.000 chilowatt l'eventuale diminuzione per le piccole e grandi imprese che deriverebbe dall'applicazione della nuova disciplina potrebbe non essere in grado di compensare l'aumento previsto per le medie aziende;
secondo una prima simulazione, un'azienda con consumi di circa 500.00 chilowatt mese, che nel 2011 pagava 3.822 euro tra addizionale provinciale e accisa erariale, nel 2012, a seguito della soppressione dell'addizionale provinciale e il conseguente aumento dell'accisa erariale, potrebbe essere gravata da un onere di 6.049,99 euro, con un incremento di 2.227.99 euro (+58.29 per cento), mentre per altre fasce di consumo (come ad esempio 1.199.999 chilowatt/mese) si arriverebbe ad un incremento del 42.3 per cento;
inoltre, in alcune province ove l'addizionale provinciale era più bassa rispetto ad altre, come ad esempio per le province di Bari, tali aumenti potrebbero essere anche superiori; infatti nelle tabelle stilate da Confindustria si evidenzia come un'azienda con consumi, ad esempio, di circa 500.000 chilowatt/mese, che nel 2011 pagava 3.410 euro tra addizionale provinciale e accisa erariale, nel 2012, potrebbe arrivare a pagare 6.050 euro con un incremento di 2.640 euro pari al 77,4 per cento; per altre fasce di consumo (come ad esempio 1.199.999 chilowatt/mese) si arriverebbe ad un incremento del 160,2 per cento;
infine, si evidenzia che l'effetto dell'aumento delle accise potrebbe condurre a un incremento percentuale sul costo totale della bolletta compreso tra lo 0,4 per cento e il 5 per cento, corrispondente ad un aumento in valore assoluto compreso tra un minimo di 3.216 euro al mese e un massimo di 8.295 euro al mese;
è necessario tenere in considerazione la vocazione manifatturiera del Paese, il ruolo essenziale che la media impresa svolge in tale contesto e gli elevati costi dell'energia che già, tra aumento del costo della materia prima e componente A3, pressano le imprese italiane -:
se esista una relazione tecnica o una simulazione effettuata dal Ministero dell'economia e delle finanze che evidenzi gli effetti delle disposizioni recate dal citato

decreto ministeriale sulle imprese e sul gettito erariale e da cui si evinca anche l'equivalenza di gettito;
se non ritenga opportuno, alla luce dell'allarme generatosi nel mondo delle imprese, di rimodulare l'aumento dell'accisa erariale sull'energia elettrica in modo da garantire anche una perequazione della tariffa e soprattutto al fine di non deprimere ulteriormente la competitività delle imprese italiane in un momento già di grave crisi economica.
(2-01335) «Mastromauro, Ventura».

Interrogazione a risposta orale:

GALLI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
un articolo pubblicato sul «Sole 24 Ore» il 1o dicembre 2010, a firma Federico Rendina, dava notizia di una nuova procedura inerente alla semplificazione e sostituzione dei cosiddetti certificati verdi delle energie rinnovabili, in particolare l'articolo segnalava: «è un ribaltone all'insegna di una maggiore efficienza dei sussidi e del contenimento degli oneri che insistono sulle bollette energetiche - così promettono i nostri uomini di Governo - quello varato ieri dal Consiglio dei Ministri con il via libera preliminare al decreto legislativo che recepisce la direttiva Ue sulle rinnovabili (2009/28/Ce) che ci obbliga a produrre così almeno il 17 per cento della nostra energia entro il 2020» e al capoverso successivo il medesimo articolo riporta; «L'Enea ha presentato la nuova edizione del suo rapporto "Energia Ambiente", che conferma una sostanziale stabilità del nostro record di dipendenza dall'estero (85 per cento a fonte di una media europea del 70 per cento) nonostante una contrazione dei consumi (- 5,8 per cento la richiesta di energia primaria nel 2009)»;
in un'intervista al sottosegretario pro tempore onorevole Stefano Saglia nella trasmissione Report in onda il 28 novembre 2010, egli poneva chiaramente in dubbio la veridicità dei certificati verdi di origine e faceva cenno ad un grave danno economico per i contribuenti italiani, i quali risulterebbero ignari dell'origine nucleare dell'energia elettrica importata, a fronte del Gestore servizi Energetici che la dichiara di origine idroelettrica;
nell'interrogazione a risposta immediata in assemblea del 25 gennaio 2011, presentata dall'onorevole Aldo Di Biagio quali risulta una chiara documentazione circa la falsità dei documenti di importazione di energia rinnovabile;
in un'informativa trasmessa all'interrogante da Asso-Consum associazione a tutela dei consumatori riconosciuta dal Ministero dello sviluppo economico - si legge: «Si noti bene che i cosiddetti «certificati di origine», nel caso di acquisto dei diritti di energia da altri produttori e che sono oggetto di contrattazione libera, sono esclusivamente venduti dal fornitore straniero, o dalla eventuale società intermediatrice preposta, ed il tutto non viene attentamente controllato da G.S.E. La problematica si estende alla natura discrezionale della tipologia di energia elettrica da rivendere da parte dell'esportatore straniero, il quale, raggirando la normativa europea circa la produzione di elettricità, rivende all'Italia, con grave ripercussione sul proprio piano economico, energia di ignota provenienza. (...) Il circuito si completa con il riversare questo costo di gravame pagato dagli importatori nella bolletta di fornitura degli utenti dei gestori di energia elettrica italiani. Infatti tali adempimenti comportano rilevanti oneri economici per i produttori di energia e per gli importatori. Il libero arbitrio non regolamentato dall'operatore che rivende l'energia elettrica, atteso che vi è in materia libera contrattazione e mancanza di precisa normativa nazionale, fa ricadere dette incombenze sulla spesa del consumatore-utente, violando dunque i principali dettami del codice del consumo, con serio pregiudizio per se e per le proprie finanze, poiché il pagamento di questi contributi si rivela essere una vera e

propria «tassa» mascherata. Si conviene di porre all'attenzione le norme che impongono oneri sull'import dell'energia, le quali sono di assoluto rilievo economico. Si stima in un miliardo di euro annuo un eventuale risparmio di gravame di importazione per le famiglie italiane (...). Il cliente, invece, al contrario, non nota nella propria bolletta elettrica l'applicazione di questi costi, travisando dunque la trasparenza della stessa. In una comune bolletta di energia elettrica non sono evidenziate affatto le voci relativa alla quota di pagamento per la «importazione di energia elettrica verde da paese straniero» -:
se quanto esposto in premessa corrisponda al vero, o se si intenda verificare la veridicità di quanto segnalato;
in caso il comportamento esposto corrisponda al vero, quali siano le iniziative che si intendono attuare per riportare nella piena legalità, ripristinare il rapporto di trasparenza nei confronti degli utenti e riattivare i precisi e profondi controlli dovuti sull'origine dell'energia di provenienza estera da parte del G.S.E.;
se e come si intenda, se riscontrata la veridicità di quanto richiamato in premessa, sanzionare le parti responsabili, sia attive che di controllo, di tale condotta
(3-02049)

Interrogazione a risposta in Commissione:

BOBBA e RUBINATO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
l'imposta municipale propria, detta anche imposta municipale unica o IMU, è stata introdotta a opera del Governo Berlusconi IV con il decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (articoli 8 e 9), poi modificata e anticipata di due anni dal Governo Monti con l'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 284 del 6 dicembre 2011, - supplemento ordinario n. 251; essa sostituisce la preesistente ICI;
l'imposta è istituita in via sperimentale a partire dal 2012 e verrà applicata a regime dal 2015. Il testo del decreto «Salva Italia» distingue tra una imposta «sperimentale» e una imposta «a regime»: la prima, appunto, la cui introduzione è stata anticipata al 2012 e la seconda, invece, la cui entrata in vigore è stata posticipata al 2015;
l'articolo de Il Sole-24 ore - Nordovest», a firma di Gianni Trovati, del 18 gennaio 2012, riporta l'interrogativo su «come tradurre in cifre le previsioni del decreto "salva-Italia"»; in particolare si legge che «un gruppo di responsabili dei servizi finanziari attivi nei comuni intorno a Torino (Alpignano, Collegno, Grugliasco, Moncalieri, Pinerolo, Rivalta, Rivoli e Venaria Reale) hanno deciso di girare la domanda al Ministro dell'interno Anna Maria Cancellieri, al presidente della Corte dei conti Luigi Giampaolino e alle associazioni rappresentative degli enti locali a livello nazionale»;
lo stesso articolo precisa: «Il tutto senza contare, poi, che "le differenze del gettito Imu stimato ad aliquota base", come spiega (si fa per dire) la manovra all'articolo 13, comma 17, saranno alla base della distribuzione del taglio ulteriore da 1,45 miliardi di euro imposto al "fondo sperimentale di riequilibrio": un taglio, quest'ultimo, che a differenza di quelli previsti dalle vecchie manovre non viene "sterilizzato" da uno sconto equivalente sul Patto di stabilità»;
i mittenti della lettera riscontrano notevoli difficoltà nella redazione dei bilanci, con il rischio che si verifichi che «in teoria una serie di sindaci potrebbero scordarsi dei vincoli di finanza pubblica ed evitare le sanzioni solo garantendo il pareggio fra entrate e uscite, tutti gli altri dovrebbero caricarsi degli obiettivi abbandonati dai primi, ma nessuno è in grado di sapere chi siano i "virtuosi" da premiare e gli altri da colpire»; in quanto «i moltiplicatori da applicare alla spesa corrente per individuare i target sono stati fissati dalla legge di stabilità, ma le manovre

estive si sono infilate in un ginepraio di criteri di "virtuosità" per individuare i comuni da premiare con un maxisconto proprio sul Patto di stabilità» -:
se non si ritenga urgente comunicare gli importi del fondo di riequilibrio e gli obiettivi del patto di stabilità assegnati a ogni comune al fine di evitare di dover autorizzare spese sulla base di entrate consapevolmente «fantasiose» mettere a rischio la stabilità dei bilanci comunali.
(5-06028)

Interrogazione a risposta scritta:

GRIMOLDI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
in tutte le economie pubbliche la fiscalità gravante sui cittadini, nei momenti di crisi economico-finanziaria, ha sempre contribuito ad appesantire le situazioni gestionali sia delle attività produttive, commerciali e di servizio che delle micro economie personali-famigliari;
le entrate fiscali dello Stato devono essere finalizzate all'erogazione dei servizi pubblici ma anche al mantenimento ed allo sviluppo dell'economia della cittadinanza, attraverso forme adeguate e modellate secondo le reali esigenze, dettate anche da periodi di crisi come quello attuale;
diventa dunque obbligatorio ed imperante diluire in un periodo temporale più lungo il credito pubblico, ristrutturandone anche il quantum che, nel frattempo, ha subito notevoli implementazioni (a volte immotivate) tra sanzioni, interessi, more, diritti di incasso, tali da far lievitare i valori in maniera insostenibile da parte del cittadino debitore;
in questo quadro italiano che prospetta una lunga recessione (le ultime stime del prodotto interno lordo indicano un -2,2 per cento) la soluzione migliore sarebbe quella di non generalizzare più in maniera indiscriminata l'aumento di imposte, tasse, tributi e contributi ma di introitare, immediatamente ed in misura ridotta, il dovuto da quei cittadini e da quelle imprese che, a causa della situazione di crisi, non hanno potuto ottemperare agli impegni esattivi onorando le cartelle esattoriali -:
se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative affinché il credito vantato dalla pubblica amministrazione possa essere riscosso attraverso modalità premiali che permettano di introitare immediatamente nuova liquidità, invece di ricorrere all'aumento della pressione fiscale, ed allo stesso tempo rilanciare le imprese e l'economia in generale.
(4-14645)

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GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il 20 gennaio 2012 è andata in onda, su Radio Radicale, la rubrica «Il Rovescio del Diritto» condotta dall'avvocato Giandomenico Caiazza. La puntata, che vedeva come ospiti il presidente del tribunale di sorveglianza de L'Aquila, dottoressa Laura Longo, e l'avvocato Francesco Petrelli, responsabile del centro studi della camera penale di Roma, ha affrontato l'annosa questione relativa ai problemi che tuttora affliggono la casa di lavoro di Sulmona;
attualmente, nella casa di lavoro di Sulmona sono ubicati circa 180 internati, tutti allocati nel padiglione «media sicurezza», strutturato su tre piani dei quali il I e il III ad essi riservati, mentre il II è riservato ai detenuti della casa di reclusione;
nel predetto istituto si registra quindi una inevitabile quanto deprecabilissima commistione tra detenuti ed internati, i quali, data la particolare connotazione dell'istituto, soggiacciono di fatto al medesimo

trattamento penitenziario riservato ai detenuti della sezione di reclusione;
tale condizione di promiscuità è in contrasto con quanto previsto dall'ordinamento penitenziario (articoli 14 e 62) e con la disposizione normativa contenuta nell'articolo 213 del codice penale secondo il quale le misure di sicurezza devono essere eseguite negli stabilimenti a ciò destinati;
gli internati vengono mantenuti chiusi per la quasi totalità della giornata usufruendo unicamente del medesimo numero di ore d'aria e di socialità previste per i detenuti;
l'internamento presso la casa di reclusione di Sulmona si sostanzia pertanto in una ulteriore e protratta privazione della libertà personale del tutto omologa alla carcerazione conseguente alla esecuzione della pena detentiva;
la Corte costituzionale con la sentenza n. 167 del 1972 ha sancito il principio secondo il quale le misure di sicurezza non possono avere un carattere punitivo atteso che le stesse si distinguono ontologicamente dalle pene;
a tal proposito, in data 15 febbraio 2011, il presidente del tribunale di sorveglianza de L'Aquila, dottoressa Laura Longo, ha inviato una relazione sulla situazione degli internati nella casa di lavoro di Sulmona ai seguenti soggetti istituzionali: Ministro della giustizia, capo dipartimento amministrazione penitenziaria, direttore generale dei detenuti e del trattamento, provveditore del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Abruzzo e Molise, direttore della casa di reclusione di Sulmona, presidente della corte di appello de L'Aquila, procuratore generale de L'Aquila;
la prima firmataria del presente atto ritiene importante riportare i passaggi più rilevanti della citata relazione. Scrive il presidente del tribunale di sorveglianza dell'Aquila: «(...) La voluta e programmata destinazione presso la casa di Sulmona di un consistente numero di internati ritenuti particolarmente pericolosi accentua l'aspetto meramente custodialistico ed unicamente afflittivo che tutti gli internati, indistintamente, ricevono nella Casa di Sulmona; il che contrasta con l'articolo 218 del Codice Penale (il quale prevede la assegnazione nelle Case di Lavoro del delinquente professionale, abituale e per tendenza a "sezioni speciali" che nel carcere di Sulmona risultano del tutto inesistenti) nonché con l'articolo 213 del Codice Penale (il quale prescrive che sia adottato "un particolare regime educativo e di lavoro, avuto riguardo alle tendenze e alle abitudini criminose della persona e, in genere, al pericolo sociale che da essa deriva") e, infine, con le norme contenute negli articoli 13, 14 e 64 dell'Ordinamento Penitenziario (norme che impongono un trattamento individualizzato anche per gli internati). (...) I soggetti internati, inoltre, vivono la nuova condizione di sottoposti alla misura di sicurezza detentiva con un marcato senso di angoscia derivante proprio dalla peculiare indeterminatezza temporale della misura la quale, a cagione del sistema di proroghe continue e reiterate, può proseguire anche in termini di mera perpetuità. Infatti, la endemica carenza di personale addetto all'osservazione e la strutturale mancanza di opportunità lavorativa o culturale all'interno della sezione, non consentono alla magistratura di sorveglianza di acquisire gli elementi essenziali sui quali poter formulare il giudizio prognostico di cessazione o attenuazione della pericolosità sociale, ai fini della revoca o della trasformazione della misura di sicurezza detentiva in quella della libertà vigilata. (...) Ulteriore ed aggiuntivo fattore di esasperazione, per detenuti ed internati, è costituito dal fatto che in tutte e tre le sale destinate ai colloqui con i familiari sono tuttora presenti i "muretti divisori" che impediscono il necessario contatto fisico con i familiari e che alimentano in modo esponenziale il senso di frustrazione e di disperazione, il che contrasta con l'articolo 37 decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000 secondo il quale i colloqui devono avvenire in "locali interni senza mezzi divisori o in spazi

aperti a ciò destinati" (...) Infine, si vuole richiamare l'attenzione sul problema dell'area sanitaria del carcere di Sulmona che appare del tutto insufficiente a far fronte alle esigenze della popolazione detenuta ed a garantire una adeguata tutela del fondamentale diritto alla salute (...) Ed ancora, è a dirsi che, sempre nello stesso martoriato carcere di Sulmona, vengono tuttora destinati soggetti disabili o bisognosi di trattamento di FKT, non adeguatamente sostenibile in detto carcere data la presenza saltuaria di un solo fisioterapista per due ore giornaliere (..). Il problema potrebbe trovare naturale soluzione nel trasferimento o nella destinazione dei malati in centri clinici penitenziari attrezzati. In questo senso, una più attenta politica da parte del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria contribuirebbe in maniera rilevante (...)»;
al termine della sua relazione la dottoressa Laura Longo scrive quanto segue: «(...) Questa Presidenza formula l'auspicio che, nell'immediato, venga disposta la rimozione dei muretti divisori nelle tre sale destinate ai colloqui con i familiari e che, in futuro, si prenda in forte considerazione - ed in termini ragionevoli - l'ipotesi del trasferimento dei detenuti del circuito di media sicurezza presso altre carceri (potrebbe essere la Casa Circondariale di Pescara, ove in tempi brevi sarà completata la ristrutturazione di un reparto capace di ospitare oltre 200 persone e quella di Avezzano, recentemente riaperta). Tale soluzione consentirebbe di dedicare l'intero padiglione - oggi promiscuamente destinato ai detenuti di media sicurezza e agli internati - esclusivamente a casa di lavoro, con recupero di spazi, di libertà di movimento, di possibilità di trattamenti differenziati, di legalità. Un trattamento consono alla natura ed alle finalità della misura di sicurezza ed ispirato ai principi di umanità e rieducazione determinerà un sicuro abbattimento delle vocazioni suicidiarie che nell'istituto penitenziario di Sulmona troppo spesso si sviluppano nei soggetti internati»;
le criticità denunciate dal presidente del tribunale di sorveglianza de L'Aquila sono state evidenziate anche nella relazione presentata dal presidente della locale porte di appello nel corso del suo intervento in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2011;
il numero degli internati che svolgono attività lavorativa all'interno della casa di lavoro di Sulmona non raggiunge neanche la metà degli aventi diritto, sicché la loro esistenza presso il predetto istituto è strutturalmente connotata dall'abbandono e dall'ozio; tutto ciò nonostante che nella misura di sicurezza detentiva il lavoro costituisca il nucleo essenziale della rieducazione, così come individuata dal legislatore quale strumento indefettibile di maturazione e riabilitazione del soggetto socialmente pericoloso;
la privazione del lavoro, snaturando l'essenza stessa della misura di sicurezza detentiva e delle sue esclusive finalità di prevenzione generale, ad avviso dell'interrogante viola, quindi, palesemente, il dettato legislativo trasformando l'internamento in illegittimo ulteriore periodo di privazione della libertà personale, del tutto omologo - per modalità e tipologia della restrizione - alla esecuzione della pena detentiva;
la condizione di protratta assenza di occupazione lavorativa proprio nell'ambito strutturale della casa di lavoro, ed in un contesto nel quale - come quello di Sulmona - la presenza di soggetti «a rischio» (tossicodipendenti e soggetti affetti da patologie psichiatriche) è altissima, manifesta tutta la intrinseca ed evidente potenzialità di innescare nuovamente, come nel recente passato, pericolose dinamiche interne di natura depressivo-autolesionistiche;
a tal proposito, con nota urgente del 18 gennaio 2012 (prot. n. 30/135) ad oggetto «lo stato di illegalità determinatosi presso la casa di lavoro di Sulmona in conseguenza della riduzione dei finanziamenti sul capitolo 7361 articolo 1 - servizio per le industrie manifatturiere - per l'anno 2012»,

il presidente del tribunale di sorveglianza de L'Aquila, dottoressa Laura Longo, si è rivolta al Ministro della giustizia, al capo dipartimento amministrazione penitenziaria, al direttore generale dei detenuti e del trattamento, al direttore generale dei beni e dei servizi, al provveditore del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Abruzzo e Molise, al direttore della casa di reclusione di Sulmona, al presidente della corte di appello de L'Aquila, al procuratore generale de L'Aquila, denunciando quanto segue: a) con nota n. 56726 del 15 dicembre 2011 il provveditorato generale di Pescara aveva annunciato che per l'anno 2012 non era stata destinata alcuna assegnazione finanziaria per la casa di lavoro di Sulmona; b) il direttore della casa di lavoro di Sulmona evidenziava come dai 110 occupati nei laboratori interni e nei lavori domestici del 2011, a far data dal 1o gennaio 2012 si sarebbe dovuto ricorrere al licenziamento di tutti i 90 addetti ai laboratori industriali, oltre che dei 10 occupati nelle lavorazioni domestiche, con conseguenti, gravissimi ed allarmanti effetti sul piano degli equilibri interni già raggiunti nell'anno 2011, periodo in cui l'assegnazione di euro 633.478,83 aveva garantito l'occupazione di tutti gli internati, seppur con criteri di costante rotazione; c) a seguito di tali rilievi, con provvedimento del 9 gennaio 2012, la direzione generale dei detenuti e del trattamento assegnava all'istituto penitenziario di Sulmona per l'anno 2012 - sul capitolo 7361 articolo 1 servizio per le industrie manifatturiere - la somma di euro 100.000,00; d) con nota n. 588 dell'11 gennaio 2012, diretta al capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, al direttore generale dei detenuti e del trattamento ed al direttore dei beni e servizi del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, la direzione della casa di reclusione di Sulmona esponeva che la somma così stanziata era del tutto inadeguata ed insufficiente in quanto con essa si sarebbe potuto garantire solamente il lavoro per 20 internati sui 170 attualmente presenti, con conseguente imposizione di «ozio forzato» per 150 internati. Veniva richiesto, dunque, anche al fine di scongiurare gravissime ed assai probabili conseguenze sul piano dell'ordine interno e dell'ordine pubblico, il riesame delle ripartizioni del capitolo di spesa con incremento per la casa di lavoro;
secondo quanto scritto dalla dottoressa Longo nella nota sopra citata «si ritiene doveroso segnalare come, essendosi raggiunto solo nel passato anno un generale equilibrio conseguito attraverso interventi di questa Presidenza, della Direzione dell'istituto e del DAP, tenacemente finalizzati al raggiungimento di un livello occupazionale a favore della quasi totalità degli internati, una regressione alle condizioni anteatte porterà alla inevitabile insorgenza delle tristi vocazioni suicidiarie che per anni hanno negativamente caratterizzato la Casa di Lavoro, come già dalla Scrivente evidenziato nella relazione del 15 febbraio 2011 in allegato, o ad assai probabili episodi di disordini interni (...)»;
la prima firmataria del presente atto si è recata in visita ispettiva presso la casa di lavoro di Sulmona in diverse occasioni, presentendo successivamente diversi atti di sindacato ispettivo, tra i quali si segnalano le interrogazioni n. 4/06141, n. 4/05867, n. 4/05655, n. 4/03460, n. 4/03276, tutte rimaste attualmente senza alcuna risposta -:
se sia conforme alle disposizioni normative che nella pratica attuazione la sottoposizione a casa di lavoro, almeno nel caso della struttura di Sulmona, non si differenzi dalla detenzione ordinaria;
se non intenda assumere iniziative volte alla immediata chiusura della casa lavoro di Sulmona o, quanto meno, alla drastica riduzione degli internati in essa presenti attraverso la razionale redistribuzione degli stessi presso le altre case di reclusione;
se non ritenga di dover urgentemente disporre il completo rifacimento della vetusta ed obsoleta sala-colloqui presente

nell'istituto in questione in modo da garantire un miglior contatto umano tra detenuti e familiari;
quanti soggetti disabili siano attualmente presenti nella casa di lavoro di Sulmona e se non ritenga urgente assumere le iniziative di competenza per trasferire gli internati disabili o bisognosi di trattamento fisioterapico presso centri clinici penitenziari attrezzati;
se non intenda assumere iniziative per assicurare con la massima urgenza gli opportuni provvedimenti di assegnazione finanziaria a supporto del diritto al lavoro degli internati di Sulmona; più in particolare se non intendano adottare, anche alla luce di quanto segnalato dal presidente del tribunale di sorveglianza de L'Aquila con nota del 18 gennaio 2012 citata in premessa, gli opportuni provvedimenti volti al riesame delle ripartizioni del capitolo di spesa 7361 articolo 1 (servizio per le industrie manifatturiere) per l'anno 2012 con incremento per la casa di lavoro di Sulmona;
quali misure amministrative intenda assumere, per quanto di competenza, in tempi immediati, al fine di affrontare le condizioni di insostenibile degrado, di repressiva carcerazione nonché di abbandono civile ed etico, cui sono sottoposti gli internati ristretti nella casa di lavoro di Sulmona;
se non intenda adottare le opportune iniziative di competenza al fine di aumentare l'organico degli agenti penitenziari, degli educatori, degli psicologi e degli assistenti sociali in servizio presso la predetta casa di lavoro, in modo da rendere lo stesso adeguato al numero delle persone ivi internate;
più in generale, se non intenda promuovere le opportune iniziative normative dirette a limitare l'applicazione delle misure di sicurezza ai soli soggetti non imputabili (abolendo il sistema del doppio binario) o comunque volte ad introdurre una maggiore restrizione dei presupposti applicativi delle misure di sicurezza a carattere detentivo, magari sostituendo al criterio della «pericolosità» (ritenuto di dubbio fondamento empirico) quello del «bisogno di trattamento»;
quali siano gli intendimenti del Governo ai fini di una piena considerazione dei problemi esposti in premessa e, conseguentemente, quali indirizzi giuridici e normativi si intendano assumere, in coordinamento con le diverse responsabilità e con i soggetti istituzionali interessati, sul fronte della riforma delle modalità e dei meccanismi applicativi ed esecutivi delle misure di sicurezza detentive.
(4-14651)

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INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:

DI BIAGIO e TOTO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
la tragedia della nave Concordia, fiore all'occhiello della società armatoriale Costa sta rivelando in queste ore un retroscena complesso che arricchisce di particolari, presunte negligenze e poca chiarezza la ricostruzione di uno degli incidenti navali più drammatici degli ultimi anni;
gli inquirenti hanno evidenziato responsabilità in capo al comandante della nave, oltre che specifiche irregolarità nella gestione della rotta navale, vistosamente deviata in prossimità dell'isola del Giglio nell'arcipelago toscano, soltanto al fine di apportare suggestione ai turisti;
le dinamiche, al momento ricostruite dagli inquirenti, che hanno condotto al disastro del Giglio stanno rivelando una disdicevole prassi tra le grandi navi - segnatamente quelle passeggeri - di bypassare talune norme operative finalizzate alla sicurezza della navigazione a vantaggio della coreografia e degli effetti scenici, usati a mo' di spot finalizzato ad attrarre il maggior numero di clienti;

malgrado i buoni propositi in materia di disciplina della navigazione evidenziati dalle autorità e dalle istituzioni e la dichiarata denuncia del comportamento del comandante della Concordia, navi passeggeri che si avvicinano alla costa, segnatamente in zone strategiche e complesse sotto il profilo naturalistico, rappresentano purtroppo una prassi;
lo stesso comportamento della capitaneria di porto di Livorno sembrerebbe rivelare, a giudizio degli interroganti, una presumibile superficialità nella gestione del comportamento a rischio della nave Concordia, la cui manovra «avventurosa» non risulterebbe essere stata ammonita a tempo debito, così come prevede la normativa al riguardo;
in data 23 gennaio 2012 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha evidenziato la volontà di intervenire sulla questione messa in luce dalla tragedia del Concordia, segnatamente sul fronte della praticabilità e sicurezza delle rotte, auspicando un provvedimento di natura interministeriale tra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e quello dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
come è noto, la tragedia e le superficialità che l'hanno determinata sono state oggetto anche di una forte attenzione internazionale, soprattutto in Europa, che ha fatto sorgere molteplici interrogativi in tema di gestione delle rotte di navigazione e affidabilità della normativa vigente;
ai sensi del regolamento della Commissione (UE) n. 1286/2011 recante adozione di una metodologia comune d'indagine sui sinistri e sugli incidenti marittimi a norma dell'articolo 5, paragrafo 4, della direttiva 2009/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio «applicando all'inchiesta la metodologia comune e un approccio obiettivo e sistematico, l'organo inquirente dovrebbe trovarsi nelle migliori condizioni per trarre insegnamenti da ogni incidente e migliorare così la sicurezza marittima»;
in data 21 gennaio 2012 il vice presidente della Commissione europea e commissario ai trasporti ha evidenziato come la normativa in materia di sicurezza sulle navi passeggeri debba tener presente «qualsiasi lezione si possa imparare dalla tragedia del Concordia» ribadendo che «la sfida è assicurare che le regole sulla sicurezza delle navi passeggeri siano assolutamente al passo con le ultime tecnologie e progettazioni in un settore che cambia in continuazione»;
la tragedia del Concordia può rappresentare un'occasione per fare doverosi bilanci sulla normativa attualmente in vigore nel nostro Paese in materia di trasporti navali e per procedere ad una rettifica delle stesse;
la roboanza mediatica legata all'evento tragico sta creando una certa confusione nell'opinione pubblica intorno ai pericoli della navigazione e alla presunta incompetenza che si celerebbe dietro manovre, come l'inchino, che sono state dichiaratamente considerate prassi consolidata e tacitamente elogiata anche dalle istituzioni. Tale immagine rischia di creare una certa diffidenza della società civile nei confronti del mondo della navigazione e segnatamente di quella passeggeri con rischi inevitabili anche sotto il profilo turistico tale da rendere impellente un intervento del Ministero competente finalizzato a dare chiarezza sotto il profilo sia normativo che dell'informazione -:
quali iniziative di competenza si intendano disporre, anche di concerto con l'Unione europea per intervenire sul vuoto normativo attualmente esistente in materia di navigazione e per sanzionare i comportamenti illeciti e a rischio sicurezza che si avvicendano nei nostri mari.
(5-06024)

FOGLIARDI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
a causa dei «tagli» del precedente Governo, la società Navigarda ha ridotto del 30 per cento, il servizio dei traghetti che

attraversano il lago di Garda sulla tratta Torri-Maderno, unica tratta aperta tutto l'anno;
la direzione d'esercizio della Navigarda ha dichiarato alla stampa che si è trattato di un «taglio» di oltre 10 milioni di euro, a fronte di 22 di trasferimenti, paventando che in primavera, all'inizio della stagione turistica, ulteriori corse potrebbero essere soppresse;
lo stato ha infatti tagliato del 50 per cento i trasferimenti alla «Gestione governativa navigazione laghi», l'azienda che sotto la direzione del Ministero dell'infrastrutture e dei trasporti gestisce battelli e traghetti dei laghi più grandi d'Italia: Garda, Maggiore e Como;
per il lago di Garda, zona che attira ogni anno milioni di turisti, la navigazione rappresenta un'alternativa da incentivare al trasporto su gomma, che ogni estate provoca grandi difficoltà viabilistiche;
non meno pesanti potrebbero essere le conseguenze occupazionali dirette e indirette;
i «tagli» alle risorse per il trasporto navale e la conseguente congestione delle strade potrebbero avere anche conseguenze pesanti per l'economia e per l'ambiente del lago di Garda -:
quali iniziative il Ministro intenda adottare per evitare simili disagi alla macroarea del Garda.
(5-06026)

Interrogazione a risposta scritta:

OLIVERIO e LARATTA. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
a seguito delle allarmate segnalazioni di diversi cittadini e di alcune associazioni sembrerebbe che Rfi controllata dalla FS s.p.a sarebbe seriamente intenzionata, per effetto di una decisione assunta in via unilaterale e fin qui tenuta riservata, a chiudere entro luglio di questo anno l'ufficio movimento della stazione di Sibari, il che significherebbe privare la locale stazione ferroviaria dell'ultimo brandello di operatività, anche se il servizio continuerebbe a essere assicurato con sistemi automatizzati;
tale chiusura provocherebbe enormi difficoltà per i cittadini e per alcune famiglie che ricavano il loro reddito proprio dall'occupazione all'interno della struttura, quindi ulteriore perdita economica anche per il commercio locale, già colpito gravemente dalla crisi che attanaglia in particolare l'intero mezzogiorno. La decisione costituirebbe anche un aspetto grottesco se si considera che le Ferrovie hanno speso, negli ultimi anni, molte risorse per la realizzazione di sottopassi, parcheggi (ancora in via di ultimazione) e altre infrastrutture che avrebbero avuto un senso solo con una stazione funzionante e operativa;
la decisione, qualora non venisse rivista, determinerebbe la fine di un servizio che ininterrottamente è stato a disposizione dei cittadini fin dal 1864. Il 18 agosto 1869 in un manifesto pubblico le Ferrovie Calabro-Sicule danno notizia che in tale data sarebbe avvenuta l'apertura del tronco ferroviario da S. Basilio di Pisticci, Basilicata, a Trebisacce, Calabria, prima parte della linea ferroviaria Taranto-Cariati, anno in cui aprì i propri battenti proprio la stazione di Sibari che prese il nome di «Buffaloria», perché così all'epoca si chiamava la zona dove era ubicata la stessa. In seguito, le allora Ferrovie Calabro-Sicule, nell'intento di costituire una tratta ferroviaria storica della «Magna Grecia» decisero di affiancare alle già esistenti Taranto, Nova Siri e Crotone, anche Metaponto e Sibari ricostituendo così le ubicazioni dove sorgevano queste grandi colonie della «Magna Grecia». Per queste ragioni nel 1874 la stazione cambiò il nome da Buffaloria a Sibari;
attualmente la stazione ferroviaria di Sibari ricopre il ruolo di snodo fondamentale per la provincia di Cosenza nell'asse ferroviario

ionico ricompreso tra Reggio Calabria e Taranto (attraversando Roccella, Catanzaro, Crotone e Sibari). A servirsi di essa numerosi pendolari ed in particolare moltissimi insegnanti che popolano i treni regionali da settembre a giugno per recarsi nei posti di lavoro spesso fuori provincia e in diversi casi anche fuori regione;
tutto questo va a sommarsi ad altre soppressioni di treni già decisi dal gruppo Ferrovie dello Stato lo scorso dicembre. Le decisioni di Trenitalia riciclano di creare un vero e proprio isolamento per l'intera regione con ricadute economiche e sociali negative su tutte le realtà imprenditoriali e territoriali interessate da uno scenario sempre più desolante, cui si aggiungerà il disagio per i pendolari visto l'importanza che tali arterie ferroviarie rivestono per l'intero territorio regionale, in virtù soprattutto della scarsa efficienza delle altre infrastrutture. È ormai noto a tutti che la strada statale 106 jonica meglio conosciuta come strada della morte, è inadeguata a gestire flussi di traffico particolarmente intensi, mentre l'A3 Salerno-Reggio Calabria è ancora oggetto di lavori interminabili con tutti i rischi e i disagi conseguenti -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suesposti;
quali siano le ragioni della chiusura dell'ufficio movimento della stazione di Sibari;
quali iniziative urgenti il Governo intenda assumere per garantire piena operatività ed efficienza alla stazione ferroviaria di Sibari come snodo fondamentale dell'asse ferroviario ionico.
(4-14652)

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INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:

MANCUSO, DE LUCA e GIRLANDA. - Al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
da una decina di giorni uno sciopero degli autotrasportatori italiani sta bloccando il trasporto di molti beni commerciali;
molti allevamenti sono in difficoltà per la mancanza di rifornimenti di mangime;
ogni allevamento necessiterebbe di un rifornimento regolare di mangime ogni 3/4 giorni;
ogni anno l'industria mangimistica italiana movimenta, tra materie prime e mangimi, oltre 30 milioni di tonnellate di merci, vale a dire una media giornaliera di circa 100 mila tonnellate che richiedono quasi 400 camion al giorno;
la prosecuzione dei blocchi sta producendo milioni di euro di danni non solo alle industrie che producono mangimi, ma anche agli allevamenti che rischiano la totale perdita degli animali;
Silvio Ferrari, Presidente Assalzoo, Associazione nazionale tra i produttori di alimenti zootecnici, ha inviato una segnalazione scritta al Presidente del Consiglio Mario Monti e ai Ministri dell'interno, delle politiche agricole, alimentari e forestali, della salute, dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti;
Assalzoo chiede che vengano garantite scorte delle forze dell'ordine ai mezzi che trasportano generi di prima necessità, tra quali anche i margini e le materie prime necessarie a produrli -:
quali iniziative intenda intraprendere il Governo per permettere agli allevamenti un corretto approvvigionamento di mangimi ed evitare di causare eccessive sofferenze agli animali allevati.
(4-14642)

NACCARATO. - Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
la mattina del 22 gennaio 2012 è stato eseguito un attentato incendiario al

portone d'ingresso dello studio del professore Massimo Irrera - docente all'Istituto tecnico industriale statale «Guglielmo Marconi» di Padova - in via Mario n. 19 a Padova;
l'attentato sopra descritto è stato eseguito con modalità analoghe a quelle tradizionalmente utilizzate dalla criminalità organizzata e attuato con evidenti finalità di carattere intimidatorio;
il professore Irrera, negli ultimi anni, ha denunciato in maniera chiara e trasparente - depositando dettagliati esposti alle autorità competenti - una serie di gravi irregolarità gestionali all'interno dell'istituto «Marconi» di Padova;
a riguardo, sono state avviate due indagini: una da parte della magistratura - tuttora in corso - l'altra per iniziativa dell'ufficio scolastico regionale per il Veneto;
in relazione all'attentato incendiario a danno del professore Irrera, esiste il rischio concreto che tale azione abbia l'obiettivo di intimidire i testimoni convocati dagli inquirenti nell'ambito dell'inchiesta in corso;
l'interrogante ha già presentato in data 20 settembre 2011 un'interrogazione a risposta scritta al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca - con cui chiedeva a quali conclusioni fosse giunto l'accertamento ispettivo disposto nel dicembre 2009 dall'ufficio scolastico regionale per il Veneto, e se il Ministro competente ravvisasse la necessità di avviare con urgenza un'indagine ispettiva relativamente ai fatti denunciati dal professore Irrera e da altri docenti dell'Istituto «Marconi» di Padova. Tale interrogazione non ha ancora ottenuto risposta -:
se i Ministri siano al corrente dei fatti esposti in premessa;
quali concrete misure di competenza il Ministro dell'interno intenda attuare al fine di favorire la rapida individuazione del responsabile - o i responsabili - dell'attentato incendiario ai danni del professore Irrera e per prevenire il ripetersi di simili azioni;
quali concrete misure di competenza il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca intenda porre in essere con l'obiettivo di risolvere la grave situazione segnalata all'istituto tecnico «Marconi» di Padova;
quali sia l'esito conclusivo dell'indagine ispettiva disposta dall'ufficio Scolastico regionale per il Veneto nel dicembre 2009, a seguito della denuncia di gravi irregolarità nella gestione dell'Istituto «Marconi» di Padova.
(4-14648)

LARATTA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
l'avvocato Gianluca Gallo, sindaco di Cassano alla Ionio (Cosenza), è stato rieletto sindaco in data 7 giugno 2009;
nel 2010 il sindaco Gianluca Gallo viene eletto consigliere regionale della Calabria;
ai sensi dell'articolo 65 del Tuel, decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, la carica di primo cittadino non è cumulabile con quella di consigliere regionale;
l'avvocato Gianluca Gallo, sindaco e consigliere regionale, si trova quindi in una condizione di assoluta incompatibilità;
il sindaco consigliere regionale, a tutt'oggi non ha optato per l'una o per l'altra carica elettiva, nonostante l'intervento nel merito del 16 settembre 2010 del prefetto di Cosenza, con la nota n. 41402, indirizzata al Presidente del consiglio comunale di Cassano Ionio;
appare evidente il tentativo da parte del consiglio regionale della Calabria e del consiglio comunale di Cassano Ionio, di allungare i tempi della definizione dell'incompatibilità dell'avvocato Gianluca Gallo -:
se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra descritto;

se si intenda promuovere con particolare urgenza, l'azione popolare ex articolo 70 del decreto legislativo n. 267 del 2000, anche in considerazione dell'imminenza dello svolgimento delle elezioni amministrative che potrebbero evidentemente interessare anche il comune di Cassano Ionio, se questo dovesse essere sciolto in seguito alle dimissioni del sindaco per incompatibilità.
(4-14653)

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ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:

MANCUSO, DE LUCA e GIRLANDA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
a dicembre 2011 il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro della salute ha firmato il decreto che assegna il 10 per cento di posti in più (963), a livello nazionale, per i corsi di laurea in medicina e chirurgia;
i nuovi posti non verranno più creati da quelli inutilizzati per mancanza del punteggio sufficiente dedicato agli extracomunitari, ma come incremento reale dei posti a bando;
la richiesta di aumento era già stata avanzata al momento del primo decreto sull'università, per stabilire la disponibilità di posti per far fronte al turn over, dalla FnomCeo, in vista della carenza annunciata a partire dal 2015 in poi dovuta alla gobba pensionistica che farà mancare, nei prossimi 10-15 anni circa 30mila medici al Servizio sanitario nazionale;
spetta ai singoli atenei la decisione di effettuare l'incremento, anche in base all'organizzazione strutturale dei corsi;
l'ampliamento, se applicato in tutte le università porterebbe il numero complessivo dei neo-studenti a quota 10.451, rispetto a una richiesta regionale di 10.556 posti e a una necessità legata al turn over del 2,7 per cento per la professione medica di 10.156 studenti;
è necessario tenere in debito conto la cosiddetta «mortalità didattica», ovvero il numero di studenti che abbandonano gli studi prima del raggiungimento della laurea, in media il 20 per cento annuo;
la «mortalità didattica» ha portato, in questi anni, a fronte dei 8.500 posti disponibili, a non più di 6.700 laureati in media l'anno;
occorre peraltro, tener conto delle novità introdotte dalle nuove norme in materia previdenziale, che hanno allungato la vita lavorativa attiva -:
quali iniziative intenda mettere in atto il Governo per monitorare l'adeguatezza numerica dell'aumento del numero di posti disponibili nelle facoltà di medicina e chirurgia, onde evitare una sovrappopolazione professionale o, al contrario, un deficit occupazionale.
(4-14641)

ZAZZERA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto denunciato dal programma televisivo «Striscia la Notizia» e dalla stampa, presso l'università di Foggia sarebbero stati assunti ben sette parenti dell'ex rettore Antonio Muscio;
come riportato su La Gazzetta del Mezzogiorno del 24 gennaio 2012, presso l'ateneo lavorerebbero la moglie, la figlia, il figlio, la nuora, il genero, la sorella del genero ed il nipote dell'ex rettore Muscio;
la stessa pratica è stata denunciata anche presso l'università di Bari, dove risulta siano stati assunti una dozzina di parenti del direttore amministrativo Antonio De Santis;
appare del tutto evidente che le succitate assunzioni sono espressione del fenomeno «parentopoli universitario», che si sperava di aver bloccato mediante la legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in

materia di organizzazione delle università di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario) -:
se il Ministro sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e quali iniziative, anche normative, di competenza intenda adottare al fine di impedire il verificarsi di tali fenomeni, altamente dannosi per il buon andamento e la trasparenza del sistema universitario italiano.
(4-14654)

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LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:

TRAPPOLINO, SERENI e BOCCI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
la crisi di Radio Call Service, azienda messinese di call center e teleprenotazioni, ha investito anche il call center di Bardano di Orvieto (ex ACAS Service), struttura di servizi già in precedenza interessata da una gravissima crisi dovuta a pesanti irregolarità tributarie e conclusasi con il fallimento della società ACAS Service;
nel 2009 Radio Call Service aveva preso in affitto il ramo d'azienda di ACAS Service assicurando di voler proseguire l'attività di erogazione dei servizi. Dopo pochi mesi si manifestavano problematiche di varia natura che inducevano l'azienda a ricorrere, dall'agosto 2010, alla cassa integrazione in deroga per una quindicina di dipendenti interrompendo quindi qualsiasi attività. Nel gennaio 2011, un incontro dei livelli istituzionali, comune di Orvieto, provincia di Terni e regione Umbria, con i vertici di Radio Call Service sembrava aver riaperto un percorso per la piena ripresa dei servizi. Ripresa che, tuttavia, non ha mai avuto luogo;
il 31 dicembre 2011 le lavoratrici della sede orvietana di Radio Call Service hanno cessato di percepire la cassa integrazione in deroga;
il permanere della crisi economica nell'orvietano, oltre ad erodere le basi produttive, economiche e sociali di un territorio caratterizzato da una coesione sociale di qualità, aggredisce in misura pesante l'occupazione femminile. Importanti crisi aziendali hanno riguardato lo storico settore del tessile e costretto alla cassa integrazione un centinaio di lavoratrici. La progressiva espulsione delle donne dal mondo del lavoro pone una grave ipoteca sulla capacità di recupero di questo territorio -:
se il Ministro sia a conoscenza della situazione suesposta e se ritenga opportuno raccogliere ulteriori informazioni;
se il Ministro intenda adoperarsi affinché possa essere concessa alle lavoratrici, attualmente senza tutela, una proroga della cassa integrazione in deroga.
(5-06021)

MARIANI e GATTI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. - Per sapere - premesso che:
con ordinanza ministeriale 6 maggio 1998, n. 217, sono state disciplinate le modalità di trasferimento del personale scolastico, in possesso di specifici requisiti, alle dipendenze dell'INPS, in funzione delle vacanze di posti disponibili, segnalate dall'ente stesso;
ai sensi dell'articolo 6, comma 2, della citata ordinanza ministeriale, il docente collocato nei ruoli dell'INPS, alla VII qualifica funzionale, aveva diritto a conservare «l'anzianità maturata e il trattamento economico in godimento, all'atto del trasferimento, se più favorevole oltre ai trattamenti accessori previsti per il personale dello stesso INPS»;

799 insegnanti di scuola media inferiore e superiore, tutti titolari di cattedra, alcuni dei quali con oltre 20 anni di servizio nella scuola, hanno aderito alla mobilità indetta dal Ministro della Pubblica istruzione con l'ordinanza n. 217 del 1998, transitando, il 1o settembre 1998, nell'Istituto nazionale della previdenza sociale in base alla citata ordinanza ministeriale;
al momento del transito all'INPS ai docenti che hanno usufruito delle procedure di mobilità intercompartimentale, è stato attribuito un assegno ad personam, che garantiva il trattamento economico fondamentale fruito presso il comparto scuola, comprendente anche il valore economico dell'anzianità;
nella voce «assegno ad personam» (definito inizialmente con il codice INPS 056 «assegno garanzia stipendio») è affluita la differenza stipendiale tra lo stipendio tabellare del singolo docente (calcolata in base all'anzianità di servizio maturata nella scuola) e il tabellare INPS di un neoassunto in vigore al 1o settembre 1998. Infatti, poiché nel 1998 lo stipendio tabellare di un neoassunto INPS era pressoché equivalente a quello di un docente appena assunto nella scuola, la differenza che si è venuta a determinare per ciascuno degli ex docenti era dovuta essenzialmente alla loro anzianità di servizio;
l'INPS ha provveduto al riassorbimento di tale assegno, attraverso l'applicazione di considerevoli trattenute sugli stipendi del suddetto personale, in ragione di una supposta illegittimità della differenziazione di trattamento economico di cui esso avrebbe goduto; tale riassorbimento ha interessato anche la quota parte imputabile all'anzianità di servizio (RIA);
l'INPS in questa maniera, però, ha azzerato la carriera e l'anzianità economica maturata dagli ex docenti, in quanto coloro che provenivano dalla scuola con anzianità più elevata hanno visto tornare lo stipendio agli importi percepiti nel 1998;
in questo modo l'ex docente che ha aderito alla mobilità volontaria è punito con l'azzeramento della propria retribuzione individuale di anzianità e viene trattato dall'INPS sempre come neo-assunto;
negli anni si sono succeduti numerosi ricorsi in via giudiziaria, con sentenze opposte dei giudici di merito, in quanto alcuni hanno riconosciuto il trattamento economico secondo l'anzianità maturata, con l'esclusione del riassorbimento dovuto ai rinnovi contrattuali ed ai passaggi di livello; mentre altri hanno emanato sentenze contro il personale docente trasferito all'INPS. Ciò ha dato luogo, nello stesso ente, alle situazioni più disparate: ex docenti con stipendi o pensioni con importi al limite della sopravvivenza ed ex docenti con stipendio ancora integro;
le disparità di trattamento retributivo non sono dunque ancora superate e gli interessati subiscono i danni dell'inevitabile protrarsi delle vicende giudiziarie (qualcuno, nel frattempo, è deceduto; altri, demoralizzati, hanno abbandonato la contesa);
il personale interessato ha instaurato un contenzioso contro l'istituto richiedendo, tra l'altro, l'estrapolazione della RIA dal riassorbimento dell'assegno e la non riassorbilità della stessa; l'INPS ha formalmente risposto che l'istituto della RIA è effettivamente «previsto dalla contrattazione del comparto scuola, ma di fatto non è mai stato evidenziato come importo distinto dallo stipendio tabellare; per tale motivo, all'atto del passaggio, non è stato indicato all'INPS, dai relativi Provveditorati agli studi, l'importo del RIA del personale interessato. Pertanto, l'assegno ad personam corrisposto agli interessati era comprensivo anche del valore economico dell'anzianità maturata ed il riassorbimento del suddetto assegno ha inevitabilmente interessato anche la quota parte imputabile all'anzianità di servizio»;
tale interpretazione è stata confermata dal Ministero dell'economia e delle finanze (MEF) - dipartimento ragioneria generale dello Stato, cui la «funzione pubblica»

aveva rimesso il parere, il quale, con nota prop. n. 0151368 del 24 dicembre 2008, ha espresso parere negativo in ordine alla possibilità di individuare, e quindi riconoscere agli interessati, il valore economico della RIA senza possibilità di riassorbimento;
la mancata effettuazione, imputabile al MIUR, della distinzione tra importo della RIA e dello stipendio tabellare, sta comportando gravi conseguenze ai danni dei 799 docenti che hanno usufruito delle procedure di mobilità intercompartimentale previste dall'ordinanza ministeriale 6 maggio 1998, n. 217, i quali oltre al riassorbimento dell'assegno ad personam, che prevede la restituzione di somme considerevoli oscillanti tra i 20.000 e i 60.000 euro, sono costretti a subire il riassorbimento della RIA, l'azzeramento dell'anzianità maturata nel corso degli anni di lavoro presso il Ministero della pubblica istruzione e per chi è andato in pensione, il mancato pagamento dell'indennità di fine rapporto;
il Miur, che in tali giudizi appare la parte sempre più soccombente, ha il carico aggiuntivo delle rilevanti spese processuali e dell'aumento degli interessi sulle somme dovute;
gli ex-insegnanti transitati all'INPS subiscono un danno per responsabilità a loro non imputabili, derivanti da vizi procedurali tra gli atti intercorsi tra i Ministeri interessati e l'Inps, manca infatti il decreto della funzione pubblica, manca il contratto individuale, ci sono state omissioni legislative e ingannevoli informazioni di carattere patrimoniale nell'ordinanza ministeriale, frutto di accordo tra le parti;
sono emersi nel frattempo alcuni elementi nuovi tra i quali:
a) la nota U.P.P.A. del 24 aprile 2008 del dipartimento della Funzione Pubblica che ha rilevato un vuoto normativo; le certificazioni degli ex-Provveditorati agli studi e le stampe dei dati registrati, per ciascuno degli ex insegnanti, negli archivi informatici delle ragionerie provinciali dello Stato, rilasciati su specifica richiesta agli ex-docenti, che attestano che il loro stipendio tabellare era formato da una retribuzione base, uguale per tutti gli insegnanti, e da un importo classe (R.I.A.) variabile in rapporto all'anzianità maturata, che rappresenta la posizione stipendiale conseguita al 31 agosto 1998; i predetti documenti contraddicono quanto dichiarato dal Ministero dell'istruzione università e ricerca nella nota prot. n. 011795; la risposta del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca alla richiesta di risarcimento danni inoltrata da molti ex insegnanti, in cui viene dichiarato che l'ordinanza ministeriale n. 217/98 non formula nessuna indicazione in ordine al riassorbimento dell'assegno ad personam, che, nel caso, avrebbe dovuto essere espressamente sancito;
inoltre la sentenza della Corte di Giustizia europea (Grande Sezione) del 6 settembre 2011 «Politica sociale - Direttiva 77/187/CEE - Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese» ha stabilito che il diritto dell'unione europea osta a che i lavoratori trasferiti, compresi quelli che si trovano alle dipendenze di una pubblica autorità di uno Stato membro e che sono riassunti da un'altra pubblica autorità, subiscano, per il solo fatto del trasferimento, un peggioramento retributivo sostanziale;
infine la sentenza di primo grado del giudice del tribunale di Reggio Emilia ha dato ragione ad alcune ex insegnanti che hanno promosso una causa contro l'INPS;
nella predetta sentenza si legge: «Pertanto chi scrive ritiene che nell'assegno ad personam da considerarsi riassorbibile non possa essere inclusa la quota di anzianità spettante a ciascuna ricorrente e maturata presso l'amministrazione di provenienza, sicché, basandosi sui prospetti di calcolo prodotti dalle lavoratrici, che devono intendersi in questa sede integralmente condivisi e riprodotti, l'INPS sarà tenuto a restituire alle stesse quanto indebitamente riassorbito e corrispondente alla quota stipendiale di anzianità, oltre

agli accessori maturati su tali somme dalle singole scadenze di saldo» -:
se il Governo intenda aprire un tavolo di confronto tra le amministrazioni coinvolte e le parti interessate, al fine di mettere allo studio eventuali soluzioni circa la situazione sopra descritta;
se il Governo non ritenga urgente propiziare in tempi brevi un accordo tra il Ministero per la pubblica amministrazione e l'innovazione, il Ministero dell'economia e delle finanze e l'area monitoraggio del costo del lavoro della sede centrale dell'INPS, per formalizzare il riconoscimento ai predetti insegnanti della reale anzianità, attribuendo anche a loro la voce stipendiale R.I.A. (retribuzione individuale di anzianità) spettante a tutti i dipendenti dell'INPS.
(5-06029)

CAVALLOTTO, FEDRIGA e DAL LAGO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
è notizia riportata sul quotidiano Il Piccolo di Trieste del 25 gennaio 2012, la fulminante carriera universitaria dell'attuale vice-ministro del lavoro e delle politiche sociali, Michel Martone, che a 23 anni aveva già conseguito il dottorandum, a 26 era ricercatore e avvocato, a 27 era professore associato e a 29 è diventato già professore ordinario;
secondo l'articolo di stampa, la cattedra è stata vinta a Siena con il classico schema all'italiana: otto candidati, sei si ritirano e due vincono;
negli ultimi due anni è stato consulente dell'ex Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, Renato Brunetta, e collaboratore dell'allora Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Sacconi;
nel 2010 il Pd ha presentato un'interrogazione parlamentare al Governo per chiedere conto del suo contratto di consulenza con il dipartimento della funzione pubblica (per 40 mila euro), avente ad oggetto «la valutazione degli aspetti giuridici inerenti alla fattibilità degli interventi in materia di digitalizzazione ed informatizzazione del settore pubblico nei Paesi Terzi», con la quale gli interroganti Ichino, Zanda e Morando chiedevano se non ritenesse gravemente inopportuno lo stanziamento di risorse pubbliche per una consulenza su di un tema di nessuna urgenza e se non fosse sconveniente aver scelto come collaboratore Martone considerato che nello stesso periodo il padre era il presidente del Civit, l'autorità incaricata dallo Stato di vigilare sulla trasparenza nella pubblica amministrazione;
secondo sempre l'articolo di stampa, Martone ha dichiarato di esser entrato nel Governo «per aver mandato un curriculum a Catricalà»;
il viceministro Martone, in occasione del suo intervento alla presentazione del nuovo contratto di apprendistato della regione Lazio, il 24 gennaio 2012, ha definito «sfigati» i giovani non ancora laureatisi a 28 anni;
nelle dichiarazioni a mezzo stampa in replica alle reazioni scatenatesi per le sue affermazioni ha asserito «non mi pento di aver detto "sfigato" perché lo penso» -:
se corrisponda a verità quanto riportato dall'articolo di stampa citato in premessa, con particolare riguardo al conseguimento della cattedra universitaria di Siena ed alla decisione di includere il vice-ministro nella compagine governativa;
presso quale sede l'interessato abbia conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato;
se non convenga sull'opportunità di ufficiali scuse da parte del vice-ministro Martone - ed eventuali sue dimissioni dal mandato -, considerate le sue dichiarazioni pubbliche sui giovani «sfigati» ancor più inopportune ed offensive alla luce della sua carriera scolastica, universitaria e politica, ad avviso degli interroganti privilegiata.
(5-06030)

Interrogazione a risposta scritta:

SCHIRRU, DAMIANO e BELLANOVA. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la costruzione del nuovo istituto di pena presso il comune di Uta, in provincia di Cagliari, è stata definita nelle parole dello stesso Ministro della giustizia, Paola Severino, «indispensabile per risolvere il problema del sovraffollamento nel carcere cagliaritano di Buoncammino»;
nel nuovo istituto di pena dovrebbero essere realizzati anche gli edifici destinati agli agenti di polizia penitenziaria e al personale amministrativo. Il progetto prevede la costruzione di sei palazzine dove saranno alloggiati circa 80 poliziotti;
ad aggiudicarsi la gara d'appalto, inizialmente fissata su 72 milioni di euro, è stata la società Opere pubbliche. I lavori, iniziati a novembre del 2006, erano stati all'epoca divisi in due fasi per un costo complessivo di 85 milioni di euro. Il primo gruppo da 42 milioni di euro è stato completato. Nella seconda fase da 43 milioni di euro sono stati realizzati aumenti di volumetrie;
il Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) aveva fissato i tempi di chiusura dei lavori al marzo 2011, con uno slittamento previsto di sei mesi ma i cantieri, come è noto, sono tuttora aperti;
l'apertura del nuovo carcere di Uta avrebbe dovuto consentire la chiusura in tempi brevi del carcere di Buoncammino che invece rischia di slittare al 2013;
gli oltre 40 lavoratori impegnati nel cantiere si trovano attualmente in mobilitazione ed in assemblea permanente, per protestare contro i forti ritardi da parte della società Opere pubbliche nella corresponsione degli stipendi: da oltre sei mesi infatti non vengono pagati, se si eccettua una mensilità - quella di novembre - liquidata in data 17 gennaio 2012;
come si apprende dalla stampa i lavoratori dell'appalto e i rappresentanti sindacali sono stati ricevuti recentemente anche dalla provincia di Cagliari che ha espresso sostegno e solidarietà per la grave situazione economico e sociale che li ha investiti e per un futuro lavorativo che si prospetta decisamente incerto;
il penitenziario di Uta si rivela essere un'opera strategica per l'intero territorio, i cui lavori sono stati finanziati attraverso stanziamenti pubblici regolarmente erogati dal Ministero alla ditta appaltatrice;
vanno considerati l'urgenza e la necessità di trovare una soluzione all'annoso problema del sovraffollamento in cui versa da tempo il carcere del capoluogo sardo, nonché i rischi in termini di sicurezza e gli sprechi di denaro pubblico derivanti dalle lungaggini nel completamento dei lavori e nell'opportuna chiusura del cantiere -:
se il Governo sia a conoscenza dei fatti riportati sullo stato dei lavori presso il nuovo carcere e della condizione in cui versano i 40 lavoratori dell'appalto e le loro famiglie; se non si ritenga urgente e utile la convocazione di un tavolo nazionale con la ditta appaltatrice e le istituzioni competenti (Ministeri e regione) affinché si pervenga ad una rapida soluzione di tale vertenza con il pagamento ai lavoratori degli stipendi arretrati, e con la futura e puntuale corresponsione degli stipendi fino a chiusura dei lavori.
(4-14649)

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POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

OLIVERIO, ZUCCHI, AGOSTINI, BRANDOLINI, CUOMO, MARCO CARRA, CENNI, FIORIO, MARIO PEPE (PD), SANI, SERVODIO e TRAPPOLINO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il made in Italy perde altri pezzi con l'ennesimo colpo di big stranieri sui colossi

dell'alimentare italiano; dopo i marchi Gancia, Parmalat, Perugina e Bertolli, ora a passare di mano è il marchio Ar Alimentari, primo produttore italiano di pomodori pelati del nostro Paese finito nella galassia anglo-nipponica Princes controllata dal gigante Mitsubishi;
l'azienda italiana, nata nei primi anni Sessanta si è specializzata nella produzione di conserve ed ha un fatturato di circa 300 milioni di euro con stabilimenti in Campania ed in Puglia, a Borgo Incoronata, a due passi da Foggia; solo il 20 per cento delle vendite del gruppo sono realizzate in Italia mentre il giro d'affari all'estero spazia fra il 30 per cento per l'Inghilterra, il 20 per cento per la Germania, il 10 per cento per l'Africa, l'8 per cento per la Francia, con una percentuale minore per la Grecia, gli Stati Uniti, il Canada, il Giappone, l'Austria e il Sud America;
la blasonata Princes, fondata nel lontano 1880 da Simpson & Roberts, è controllata dalla Mitsubishi Corporation dal 1989 ed ha realizzato da allora ben 22 acquisizioni e fusioni classificandosi tra le società europee con maggiore rapidità di crescita; in realtà, Ar Alimentari già nel 2001 aveva stretto legami con Princes dando vita alla società «Napolina Ltd»;
come sottolineato dalle associazioni di categoria, i pomodori pelati sono il simbolo dell'Italia a tavola ma in un solo anno sono stati ceduti all'estero pezzi importanti del made in Italy alimentare che sta diventando una appetibile terra di conquista per gli stranieri. Un processo favorito dalla crisi di fronte alla quale occorre accelerare nella costruzione di una filiera agricola tutta italiana che veda direttamente protagonisti gli agricoltori per garantire quel legame con il territorio che ha consentito ai grandi marchi di raggiungere traguardi prestigiosi;
si allunga sempre di più quindi l'elenco dei marchi dell'italian food finiti in mano estera: il 2011 si è appena chiuso con il passaggio della storica casa piemontese dei Gancia all'oligarca russo della vodka Roustam Tariko che ne ha rilevato una quota del 70 per cento. Ma a segnare il debutto 2011 dello shopping straniero era stato l'affondo dei francesi di Lactalis sulla Parmalat;
andando ancora a ritroso, si ritrovano altre operazioni choc come quella di Buitoni, altra storica azienda familiare oggi di proprietà della multinazionale Nestlé che fu ceduta dopo diverse vicissitudini nel 1988. Nell'universo Nestlé finisce anche Perugina, per quanto la storica casa umbra abbia mantenuto sul suolo nazionale stabilimenti e produzione. Al gruppo svizzero appartiene anche un nutrito pacchetto di acque minerali italiane insieme ai gelati dell'Antica gelateria del Corso;
alla multinazionale anglo-olandese Unilever sono invece approdati i nostri gelati Algida, mentre gli spagnoli della Deoleo hanno fatto man bassa dell'olio d'oliva italiano accaparrandosi il marchio Bertolli in aggiunta al nutrito pacchetto Carapelli, Sasso e Minerva oli;
tale scenario sta aggiungendo, di fatto, nuovi elementi di crisi in un settore, quello della produzione del pomodoro, che già deve fare i conti con la crisi profonda che attraversa l'intero mondo agricolo che vede migliaia di persone occupate, le quali rischiano vedere fallire i propri sforzi e il proprio lavoro;
Coldiretti e le altre associazioni di categoria temono che l'acquisizione dei marchi agroalimentari italiani da parte delle multinazionali possa diventare un fatto strutturale, «perché sul mercato globale il Made in Italy va forte, come provano anche le contraffazioni dei nostri prodotti»;
è sempre più urgente dunque un efficace piano di azioni a tutela del made in Italy e delle aziende italiane visto che i nostri prodotti agroalimentari sono sempre più preda di sofisticazioni e frodi -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e in che misura si ritenga di monitorare e verificare gli effetti che l'acquisizione di marchi del made in Italy

agroalimentare possono avere sulla filiera, in particolare per quanto riguarda le ricadute in termini di prezzo di riferimento e di produzione;
quali iniziative, anche finanziarie, gli interrogati intendano assumere a sostegno dei settori produttivi del made in Italy agroalimentare attraverso un progetto industriale teso a valorizzarli, difenderli e rilanciarli specialmente in questa fase congiunturale nella quale le imprese agricole sono chiamate ad affrontare aumenti di costi di produzione in cambio di prezzi non certo remunerativi;
in che modo, infine, gli interrogati intendano tutelare uno tra i più importanti patrimoni nazionali, come è appunto quello dell'agroalimentare, rafforzando la capacità competitiva sui mercati globali delle imprese agricole italiane ed evitare, così, che esso venga «cannibalizzato» dagli interessi commerciali attratti dal fenomeno cosiddetto «italian sounding».
(5-06022)

Interrogazioni a risposta scritta:

SANTORI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
tutti gli equidi residenti in Italia devono essere identificati ed iscritti dell'anagrafe equina;
ai sensi dell'articolo 8, comma 15, della legge n. 200 del 2003, (di conversione del decreto-legge 24 giugno 2003, n. 147) l'UNIRE organizza, sulla base delle linee guida e dei principi stabiliti dal Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, e gestisce l'anagrafe equina nell'ambito del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN);
il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha aggiornato le linee guida e i principi per l'organizzazione e la gestione dell'anagrafe equina da parte dell'UNIRE con il decreto del 29 dicembre 2009, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 19 marzo 2010, n. 65;
l'UNIRE, ai sensi di quanto previsto dell'articolo 8, comma 15, della legge n. 200 del 2003, si avvale anche dell'AIA (Associazione italiana allevatori) e delle sue strutture provinciali (APA) per raccogliere, aggiornare e monitorare costantemente i dati;
all'anagrafe vanno iscritti tutti i cavalli, asini, muli e bardotti presenti in Italia, nati dopo il 1o gennaio 2007 o sprovvisti di documento di identificazione conforme alle decisioni 93/623/CEE e 2000/68/CE;
per le attività d'identificazione dei soggetti, di rilascio e aggiornamento delle posizioni e dei documenti d'identificazione, l'amministrazione ha determinato la corresponsione, da parte degli allevatori in favore dell'Associazione italiana allevatori e delle sue strutture provinciali, di tariffe diversificate per le attività svolte;
le tariffe individuate rappresentano, soprattutto per alcune tipologie di animali, un onere sproporzionato rispetto al valore dell'animale;
malgrado l'obbligo della corresponsione di tali tariffe, l'Associazione italiana allevatori, considerati gli errori e i ritardi che si riscontrano nell'aggiornamento e nell'allineamento dei dati nella banca nazionale, non appare in grado di assicurare un servizio adeguato agli oneri imposti nonché alle necessità dell'amministrazione e degli allevatori -:
se le disposizioni di cui alla legge n. 200 del 2003 e dei successivi decreti ministeriali con cui si attribuisce in via esclusiva all'AIA, previa corresponsione da parte degli interessati di predeterminate tariffe, la raccolta e l'aggiornamento ed il monitoraggio costante dei dati, siano rispettose delle vigenti normative comunitarie in materia di concorrenza;
se non si ritenga opportuno, per calmierare i costi e rendere effettiva una costante

implementazione dei dati ed una un'adeguata vigilanza sanitaria, liberalizzare il servizio riconoscendo ai detentori degli animali, purché appositamente abilitati, al pari di quanto già previsto per il settore bovino, la possibilità di operare direttamente nella Banca dati nazionale la registrazione e l'implementazione dei dati;
se non si ritenga opportuno assumere iniziative normative dirette ad affidare anche alle ASL (sistema sanitario nazionale), il rilascio e l'aggiornamento dei documenti d'identificazione.
(4-14647)

NASTRI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
la sicurezza del territorio dalle acque, come è noto, rappresenta una condizione indispensabile per qualsiasi ipotesi di sviluppo, unitamente ad adeguate politiche di prevenzione idrogeologica, che suggeriscono l'adozione urgente da parte dell'Italia, di una strategia e di politiche per l'adattamento ai cambiamenti climatici, allo scopo di destinare risorse necessarie per la messa in sicurezza del territorio;
l'associazione nazionale bonifiche e irrigazioni, dopo aver svolto una ricerca durata due anni, finalizzata al risparmio di risorsa irrigua, ha presentato recentemente nei confronti del settore agricolo e rurale, un sistema denominato: Irriframe che grazie all'elaborazione di più parametri (meteorologici, pedologici, colturali e idrici), è in grado di indicare alle imprese agricole, l'utilizzo nelle forme più ottimali, del servizio irriguo;
la finalità del suddetto sistema Irriframe, prevede inoltre la razionalizzazione dell'utilizzo dell'acqua in agricoltura, che rappresenta un elemento imprescindibile per l'accesso ai contributi europei nei confronti del sistema imprenditoriale del settore agricolo, abbattendo contemporaneamente gli sprechi e ottimizzando conseguentemente l'irrigazione -:
quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
nel caso siano favorevoli, quali iniziative, nell'ambito delle sue competenze, intenda intraprendere al fine di incoraggiare nel comparto agricolo il sistema esposto in premessa, i cui risultati riducono lo spreco d'acqua in agricoltura, favorendone la razionalizzazione.
(4-14650)

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SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:

MANCUSO, DE LUCA e GIRLANDA. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
la relazione sulla situazione economica del Paese 2010 riporta che nel 2010 le aziende del Servizio sanitario nazionale hanno intascato 1,29 miliardi di euro per la libera professione intramoenia;
1,056 miliardi dei detti incassi sono stati però girati ai medici che avevano effettuato le prestazioni;
il guadagno medio di un medico che opera in intramoenia è di circa 75 mila euro annui;
i guadagni dell'intramoenia godono di agevolazioni fiscali, con un imponibile calcolato solo sul 75 per cento dell'incasso;
secondo i dati delle relazioni annuali l'incasso dell'intramoenia si è contratto negli anni, passando dal picco di 1,2 miliardi del 2007 agli attuali 1,129 attuali, ma la quota destinata ai medici è rimasta invariata;
nel 2007 le aziende del Servizio sanitario locale avevano incassato mediamente a livello nazionale oltre 196 milioni di euro dall'intramoenia, dopo aver pagato i professionisti «esecutori» delle prestazioni (il 20 per cento circa del guadagno complessivo);

nel 2010 tale cifra si è ridotta a 74 milioni di euro, con un peso di appena il 6,5 per cento sul totale pagato dai cittadini -:
se il Governo intenda assumere iniziative, anche normative, per aumentare la quota degli incassi da intramoenia spettante alle aziende ospedaliere e aziende sanitarie del Servizio sanitario locale.
(4-14643)

MANCUSO, DE LUCA e GIRLANDA. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
cinque regioni (Liguria, Piemonte, Valle d'Aosta, Marche e Basilicata) e due province autonome (Trento e Bolzano) hanno deciso di seguire le orme della regione Toscana che dal 2004 mette sotto la lente le performance del proprio servizio sanitario con una pioggia di indicatori;
dal prossimo anno tale procedura dovrebbe essere seguita anche dalla regione Veneto;
gli indicatori vanno dallo stato di salute della popolazione alla capacità di perseguimento delle strategie regionali, dalla valutazione socio-sanitaria alla valutazione esterna e interna fino alla valutazione economico-finanziaria e di efficienza operativa nel governo della spesa farmaceutica;
le regioni hanno deciso di presentare insieme i propri dati, in logica comparativa, a segnale del proprio impegno a migliorare;
i risultati spiccano per la loro grande variabilità: le performance non sono diverse solo tra regioni, ma anche all'interno di ogni regione, magari tra due ospedali che operano uno vicino all'altro;
relativamente all'indicatore «percentuale di ricoveri ripetuti entro 30 giorni per la stessa patologia», i risultati tra le regioni differiscono in media di 1,4 punti percentuali;
il divario aumenta se si osservano i singoli contesti aziendali, con percentuali che vanno dal 2,9 all'8 per cento;
sui ricoveri in day surgery, dove si misura la percentuale di interventi chirurgici che vengono erogati in questa modalità risulta che tra le 8 regioni c'è ampia variabilità con valori che oscillano tra il 33 e l'89 per cento;
sul fronte dell'integrazione tra territorio e ospedale Toscana, Basilicata e Umbria fanno misurare performance con valutazioni ottime, mentre sono scarse quelle di Liguria, Trento e Valle d'Aosta -:
quali iniziative di competenza intenda adottare il Governo per ridurre il divario tra le prestazioni sanitarie regionali.
(4-14644)

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SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:

DI VIRGILIO. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
la RAI, a causa dei drastici tagli economici, ha deciso di chiudere definitivamente da sabato 31 dicembre 2011 la trasmissione radiofonica più antica di RadioRai «Notturno italiano» in onda su Radiouno dal 1952 e con lei tutti i programmi di RAI international facendo perdere il posto di lavoro a centinaia di persone;
grazie ai programmi di RAI international i numerosi italiani residenti in tutto il mondo (circa 30 milioni di persone), ambasciatori del made in Italy, sono stati sino ad oggi informati costantemente su notizie economiche, politiche e sociali relative alla loro madre patria rappresentando una sorta di cordone ombelicale che ha legato per oltre 50 anni gli italiani all'estero all'Italia;
i milioni di italiani all'estero sono sconcertati da tale decisione e numerose

iniziative di protesta sono state avviate contro la decisione di chiudere i suddetti programmi anche attraverso social network come twitter e facebook -:
se esista la possibilità di intercedere presso la RAI affinché non proceda alla chiusura dei programmi di Rai international ed in particolare alla imminente chiusura della trasmissione di Radiouno «Notturno italiano».
(3-02050)

Interrogazioni a risposta in Commissione:

AGOSTINI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il territorio della provincia di Ascoli Piceno è da anni sottoposto ad una grave crisi economica ed occupazionale;
negli ultimi tre anni si sono persi circa ventimila posti di lavoro;
in particolare, le numerose aziende multinazionali presenti nel territorio hanno aperto processi di ristrutturazioni aziendali che hanno penalizzato particolarmente il territorio di Ascoli Piceno;
il Ministero dello sviluppo economico ha già aperto confronti su diverse crisi aziendali come l'Ahlmstrom, Manuli, SGL Carbon, che, tra l'altro, non hanno mai avuto una verifica di conclusione tra le parti;
il 19 gennaio 2012 l'azienda Pfizer ha annunciato l'apertura della procedura di mobilità per 83 persone di cui 70 operai e 13 impiegati;
tale decisione risulterebbe essere una ulteriore penalizzazione ed impoverimento del territorio Piceno, che inciderebbe notevolmente non solo sulle famiglie coinvolte ma su tutto il sistema produttivo territoriale;
questa azienda farmaceutica è l'ultima multinazionale del territorio con notevole impiego di maestranze e una crisi aziendale come quella annunciata inciderebbe notevolmente anche sulla fiducia nella opinione pubblica;
tale apertura di procedura di mobilità sembra essere dettata esclusivamente da una riduzione dei costi produzione;
all'inizio del 2008 venne sottoscritto un protocollo d'intesa tra il Ministero dello sviluppo economico, la regione Marche, gli enti locali territoriali e le parti sociali provinciali, che aveva lo scopo di affrontare compiutamente la crisi occupazionale della vallata del Tronto e della val Vibrata;
il precedente Governo non ha mai attivato tale protocollo -:
se il Ministro intenda istituire il tavolo di trattativa tra l'azienda Pfizer, le parti sociali e le istituzioni locali, onde verificare, in particolare, quali siano le reali future intenzioni dell'azienda;
se la procedura di mobilità aperta verrà riassorbita nel corso degli anni, oppure si preveda l'apertura di altre procedure di mobilità;
se corrisponda al vero che tale procedura di mobilità sia stata aperta al solo scopo di ridurre i costi di produzione, e se tale obbiettivo non possa essere raggiunto attraverso anche altre misure;
se il Ministro ritenga di riconvocare gli incontri previsti dal protocollo valle del Tronto-val Vibrata, al fine di affrontare la complessa e difficile situazione occupazionale del territorio piceno.
(5-06025)

MOTTA. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
l'8 luglio 2011, con la positiva conclusione dell'offerta pubblica di acquisto, la società francese Lactalis ha acquisito il controllo della società Parmalat spa, della quale detiene l'83,30 per cento del capitale;
il 6 ottobre 2011 il consiglio di amministrazione di Parmalat spa ha deliberato all'unanimità l'adesione della società al sistema di cash pooling del gruppo Lactalis;

questa operazione ha di fatto dato il via libera al trasferimento del «tesoretto» dei circa 1,5 miliardi di euro di liquidità accumulati dalla gestione commissariale di Parmalat spa, quale frutto dell'azione di salvataggio e rilancio del gruppo di Collecchio (Parma), alla tesoreria della multinazionale del latte francese;
secondo indiscrezioni di stampa il «tesoretto» verrà impiegato da Lactalis al di fuori del nostro Paese, per nuove acquisizioni in Francia e per il ripianamento dei debiti contratti (stimati in oltre 3 miliardi di euro) -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza del piano industriale del gruppo Lactalis per quanto attiene il futuro della Parmalat spa e se non ritenga di assumere tutte le iniziative di competenza al fine di garantire le capacità produttive del gruppo, il suo sviluppo e i livelli occupazionali in Italia.
(5-06027)

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Apposizione di firme ad interrogazioni.

L'interrogazione a risposta scritta Giovanelli n. 4-14566, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 gennaio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Marco Carra.

L'interrogazione a risposta in Commissione Forcolin e altri n. 5-06004, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 gennaio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bitonci.

L'interrogazione a risposta in Commissione De Biasi e altri n. 5-06007, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 gennaio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Marantelli.

L'interrogazione a risposta in Commissione Callegari n. 5-06009, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 gennaio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bitonci.

L'interrogazione a risposta in Commissione Dussin e altri n. 5-06011, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 gennaio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bitonci.

L'interrogazione a risposta in Commissione Lanzarin e Nicola Molteni n. 5-06019, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 gennaio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bitonci.