XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di martedì 14 febbraio 2012

TESTO AGGIORNATO AL 2 APRILE 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:

La Camera,
premesso che:
lo sviluppo delle reti per portare la banda larga all'intera popolazione italiana è fondamentale per la crescita del Paese, per la sua modernizzazione e per fornire servizi fondamentali ai cittadini;
l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in una segnalazione al Governo, ha evidenziato che i dati italiani «di alfabetizzazione informatica, di copertura di rete fissa e di sviluppo dei servizi on line, sia sotto il profilo di utilizzo da parte dei consumatori che delle imprese, sono nettamente al disotto della media UE», tanto che gli utenti di internet in Italia sono il 47,6 per cento contro una media europea del 65 per cento, e le famiglie con connessione a banda larga sono il 49 per cento rispetto al 61 per cento in sede europea e che solo il 4 per cento delle imprese utilizza il web per la vendita di beni e servizi rispetto ad una media dell'Unione europea del 13 per cento;
l'Europa ha stimato che la banda larga porterà un milione di posti di lavoro fino al 2015 ed una crescita dell'economia europea di 850 miliardi di euro;
occorre evitare il rischio che l'Italia resti arretrata in un'infrastruttura fondamentale per la competitività con gli altri Paesi;
oltre alla grave carenza nelle infrastrutture materiali al Sud insiste un enorme digital divide, con punte massime in Calabria, Basilicata, Abruzzo e Molise a cui si aggiunge la debolezza delle altre regioni meridionali;
il piano per il Sud prevede la realizzazione di un piano di intervento per portare la banda larga a tutti i cittadini delle otto regioni del Sud e garantire l'accesso alla banda ultralarga ad almeno il 50 per cento della popolazione residente nel Mezzogiorno, investendo in tutti i 33 capoluoghi di provincia delle otto regioni meridionali. Il piano realizzato in partnership pubblica-privata mobilita un complesso di risorse private molto rilevante in grado di incidere, fino quasi ad annullare, il digital divide che interessa vaste aree del Mezzogiorno;
è fondamentale diffondere la banda larga all'intera popolazione, al comparto produttivo, dei servizi e della pubblica amministrazione;
con lo sviluppo della banda larga si possono ulteriormente potenziare settori strategici per lo sviluppo del Paese come il turismo che è la prima voce dell'e-commerce italiano secondo l'Osservatorio Netcomm del Politecnico di Milano,


impegna il Governo:


a promuovere iniziative normative volte a favorire lo sviluppo della banda larga sull'intero territorio nazionale;
a reperire le risorse necessarie per la realizzazione delle infrastrutture indispensabili per lo sviluppo della banda larga con il concorso anche di capitali privati;
ad attuare da subito il piano per il Sud nella parte in cui prevede interventi per diffondere la banda larga nelle regioni meridionali.
(1-00860)
«Iannaccone, Belcastro, Porfidia, Brugger».

La Camera,
premesso che:
la situazione in cui versano le finanze pubbliche costituisce da mesi oggetto di preoccupazioni crescenti, in ragione delle pressioni esercitate dai mercati sui titoli del debito sovrano italiano;
tale condizione esige obiettivamente l'adozione di misure straordinarie, in linea con il carattere prioritario assunto dall'esigenza di restaurare la fiducia dei

mercati e delle maggiori istituzioni internazionali nei confronti del nostro Paese;
uno dei settori sui quali sembra possibile incidere, tenendo conto di quanto stanno facendo i principali alleati del nostro Paese, è quello della difesa, dove appare necessaria un'azione di compressione degli sprechi, che tuttavia salvaguardi la futura operatività dello strumento militare;
non appare opportuno colpire gli investimenti, che rappresentano l'avvenire tecnologico delle Forze armate ed un patrimonio per lo sviluppo complessivo del Paese;
è allo stesso modo sconsigliabile apportare ulteriori tagli alle spese di funzionamento, poiché ciò equivale a sacrificare funzioni essenziali, come l'addestramento del personale e la manutenzione dei mezzi, da cui dipende in ultima analisi la sicurezza dei soldati che vengono inviati sui teatri di crisi;
il modo più opportuno di ottenere la riduzione della spesa è quello che passa per il ridimensionamento il numero degli effettivi alle armi;
a questo proposito, il più consistente intervento militare oltremare mai intrapreso dalla Repubblica è quello attualmente in corso in Afghanistan, dove sono schierati poco più di 4 mila uomini delle Forze armate italiane;
al picco dei suoi impegni, a cavallo tra il 2003 ed il 2008, lo strumento militare nazionale non ha mai impiegato all'estero più di 11mila persone; si tratta di numeri che, anche computando il ciclo degli avvicendamenti delle truppe, non possono essere espansi oltre la soglia dei 30mila uomini all'anno;
alla luce dei dati sopracitati, risulta incomprensibile, anche considerando il più generoso dei supporti tecnico-amministrativi e logistici, il mantenimento in linea di 190 mila militari o anche dei 170 o 140mila di cui si è parlato più recentemente;
in un recente contributo apparso su una nota testata nazionale, il generale Fabio Mini, già comandante della Kfor, ha evidenziato come persino voci provenienti dal mondo militare ammettano senza imbarazzo che cambiare e razionalizzare è possibile;
va stigmatizzata, in particolare, la circostanza che esistano circa 500 ufficiali generali ed ammiragli in servizio, cosa che implica che ce n'è uno ogni 356 militari alle armi;
sono in servizio circa 57 mila marescialli ed equiparati, poco meno di un terzo della forza organica;
tali storture sono in parte riconducibili alla progressione automatica delle differenti carriere, che procedono automaticamente secondo il modello dell'avanzamento «normalizzato», probabilmente ormai inadeguato ad un contesto dove proprio gli impegni militari sui teatri di crisi dovrebbero permettere una più rigorosa selezione basata sul merito;
i firmatari del presente atto di indirizzo esprimono dubbi sull'effettiva necessità di confermare il programma noto come mini naja, in quanto fonte di un'oggettiva dispersione di risorse,


impegna il Governo:


a ridurre l'ampiezza delle prossime campagne di arruolamento e ad incentivare l'esodo del personale in esubero, anche predisponendo percorsi di mobilità verso amministrazioni che risultino carenti di personale con profili compatibili, in modo tale da avvicinare progressivamente gli organici delle Forze armate italiane a quota 100 mila unità;
a confermare la riduzione quantitativa dell'esperienza della cosiddetta mini naja;
a porre allo studio iniziative normative che tendano a ridurre drasticamente il numero degli ufficiali generali, colonnelli e tenenti colonnelli in servizio, che risultano in sensibile soprannumero, sia ricorrendo

al collocamento in aspettativa per riduzione quadri che alla mobilità verso posizioni compatibili esistenti in altre amministrazioni dello Stato dove si siano verificate carenze di personale;
a valutare l'opportunità di ridurre progressivamente, con gli stessi metodi, la consistenza organica del ruolo marescialli, con un obiettivo ideale a medio-lungo termine del 30 per cento in meno rispetto agli attuali numeri;
ad intervenire sui meccanismi di progressione delle carriere, ponendo finalmente in discussione gli automatismi previsti dal cosiddetto sistema di avanzamento normalizzato e valorizzando il merito;
a confermare la partecipazione nazionale a tutti i più importanti programmi multinazionali di progettazione, sviluppo e produzione di armamenti suscettibili di avere ripercussioni occupazionali e ricadute tecnologiche sul nostro Paese, oltreché sul livello di operatività dello strumento militare italiano.
(1-00861)
«Gidoni, Chiappori, Molgora, Bitonci, D'Amico, Polledri, Simonetti, Lussana, Fogliato, Montagnoli, Fedriga, Fugatti».

La Camera,
premesso che:
il nostro Paese è impegnato in un progetto per la realizzazione di 2.700 cacciabombardieri Joint Strike Fighter (JSF) F-35 sostenuto dagli Stati Uniti a cui partecipano altri 8 Paesi: Regno Unito al primo livello, Italia ed Olanda al secondo livello, Turchia, Canada, Australia Norvegia e Danimarca al terzo livello. La ditta capo-commessa del progetto è l'americana, Lockheed Martin Aeronauticus e l'azienda italiana maggiormente coinvolta è Alenia Aeronautica che partecipa allo sviluppo ed alla produzione second source dell'ala. Sono poi coinvolte in modo minore un'altra ventina di aziende del comparto nazionale;
il costo complessivo di tale progetto è stimato in 250 miliardi di dollari, ma non è in alcun modo possibile fare stime sui costi finali reali, tanto che, per un singolo aereo, le recenti stime statunitensi (marzo 2010) parlano di un costo finale di acquisto di circa 110 milioni di dollari;
per la fase di produzione dell'aereo (successiva alle fasi di progettazione già completata) l'Italia ha ipotizzato di impegnarsi all'acquisto di 131 cacciabombardieri Joint Strike Fighter al costo totale - solo per l'aereo senza armamenti - di oltre 12 miliardi di euro seguendo le ultime stime (cifra spalmata fino al 2026) ed alla realizzazione a Cameri (Novara) di un centro europeo di manutenzione al costo di 605,5 milioni di euro, da consegnare entro il 2012;
per la fase dello sviluppo e per quella di pre-industrializzazione, l'Italia ha sottoscritto dei memorandum of understanding che la impegnano a destinare al progetto 158,2 milioni di dollari dal 2007 al 2011, ed altri 745 milioni di dollari dal 2012 al 2046;
in un momento di grossa crisi economica come quella che sta attraversando il Paese sarebbe auspicabile un'attenzione maggiore del Governo anche nei riguardi delle spese inerenti al comparto della difesa, anche al fine di stimolare la ripresa dell'economia ed affrontare meglio la crisi di questo periodo che sta attaccando in maniera forte l'occupazione e i risparmi, senza dover procedere agli ipotizzati tagli alla scuola, alla sanità e al welfare del nostro Paese;
anche gli Stati Uniti, con la nuova presidenza di Barack Obama, hanno deciso di effettuare importanti tagli sui sistemi d'arma considerati sovradimensionati ed inutili nelle nuove prospettive

strategiche per investire sulla componente umana,


impegna il Governo:


a procedere in tempi rapidi ad una attenta ridefinizione del modello di difesa che sia rispondente al dettato costituzionale ed alla politica estera italiana, oltre che alla vocazione del nostro Paese all'integrazione europea e al ruolo di peacekeeping delle Forze armate italiane;
a dare piena disponibilità per un approfondito confronto in sede parlamentare sul nuovo modello di difesa e a proseguire il lavoro per una migliore qualità e una razionalizzazione della spesa militare, accentuando la dimensione interforze dello strumento militare a livello nazionale e realizzando le migliori sinergie nel settore industriale e negli asset operativi a livello europeo, soprattutto nell'ottica della nascente difesa europea;
ad assumere iniziative finalizzate a rivedere gli stanziamenti che interessano la difesa presenti nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, comparto strategico e fondamentale per il reale rilancio dell'economia e del Paese, valutando la possibilità dell'impiego di tali risorse in ambiti di maggiore urgenza e necessità;
a rivedere il quadro complessivo delle spese militari, prevedendo una razionalizzazione delle risorse e destinando parte di esse, stanziate per armamenti, alla formazione, all'addestramento e alla riqualificazione del personale del comparto.
(1-00862)
«Porfidia, Iannaccone, Belcastro, Brugger».

La Camera,
premesso che:
le olimpiadi rappresentano da sempre un'occasione d'incontro di popoli e di giovani nel segno della pace, nonché di confronto culturale;
l'attuale crisi economica internazionale deve essere affrontata non solo attraverso i sacrifici ed una maggiore austerità ma anche predisponendo misure e interventi per favorire lo sviluppo e la crescita unici strumenti efficaci sia per abbattere il debito pubblico che per rilanciare l'economia italiana su basi ancora più solide;
le olimpiadi sono la più importante e prestigiosa manifestazione ai mondo, in quanto capace di attrarre l'attenzione di miliardi di persone;
poter organizzare i giochi olimpici rappresenta per la città e il Paese che la ottengono una manifestazione di fiducia sia nelle capacità infrastrutturali che di accoglienza del Paese stesso, diventando occasione di rilancio economico al suo interno e dell'immagine dello stesso all'estero;
le spese per l'organizzazione dei giochi quindi possono rappresentare un investimento concreto e lungimirante, in quanto si legano alla crescita economica dell'Italia e al suo sviluppo, specie nel campo delle infrastrutture, del turismo, dell'innovazione tecnologica, della ricerca, della sostenibilità ambientale;
da uno studio di fattibilità economico-finanziaria, realizzato dalla commissione di esperti presieduta dal professor Marco Fortis, composta da tecnici indipendenti, si è evidenziato, infatti, come l'organizzazione dei giochi olimpici assicuri una crescita dell'occupazione, incrementi il prodotto interno lordo nell'intero Paese e favorisca lo sviluppo dei flussi turistici in tutta Italia;
la stessa organizzazione dei giochi paralimpici, di cui Roma fu la prima storica sede nel 1960, può costituire un grandissimo strumento di promozione di uguaglianza e integrazione sociale;
le esperienze derivanti da tutte le edizioni delle olimpiadi, in particolare dai giochi di Roma del 1960, hanno rappresentato, altresì, uno strumento formidabile di promozione dello sport per tutti, inteso

come diritto dei cittadini all'accesso alla pratica sportiva. Lo sport è innegabilmente uno straordinario strumento di promozione della salute, delle politiche educative, delle politiche sociali e di promozione del territorio,


impegna il Governo:


a valutare positivamente la candidatura e l'eventuale auspicata successiva organizzazione dei giochi olimpici e paralimpici, nel quadro di una politica di sviluppo economico e crescita anche culturale dell'Italia, nonché, come ulteriore segnale nei confronti degli altri Paesi, della vocazione alla pace, alla tolleranza ed all'amicizia tra i popoli, valori dei quali l'Italia è sempre stata portatrice nel mondo;
a vigilare sia sul corretto utilizzo delle risorse, che devono essere impiegate con criteri di austerità e sostenibilità ambientale, sia sull'impianto urbanistico che deve essere sorretto da adeguate dotazioni infrastrutturali e finalizzato ad un riuso post-olimpico delle strutture a vantaggio della collettività;
ad assumere ogni possibile e immediata iniziativa per far sì che il progetto di candidatura della città di Roma ai giochi olimpici e paralimpici del 2020 sia competitivo, condiviso, sostenibile e vantaggioso per tutto il Paese con sostanziali e concrete ricadute sul sistema sportivo italiano;
a vigilare affinché la candidatura stessa e l'auspicabile successiva organizzazione siano condotte nella più assoluta trasparenza, nel rispetto di leggi e procedure ordinarie.
(1-00863)
«Moffa, Calearo Ciman, Catone, Cesario, D'Anna, Gianni, Grassano, Guzzanti, Lehner, Marmo, Milo, Mottola, Orsini, Pionati, Pisacane, Polidori, Razzi, Romano, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini, Stasi, Taddei».

La Camera,
premesso che:
i giochi olimpici rappresentano fin dall'antichità un incontro di popoli e di giovani nel segno della pace, tanto che veniva dichiarata la tregua olimpica in occasione dei giochi;
il Barone De Coubertin pensò alla ripresa delle olimpiadi a fine Ottocento riproponendo essenzialmente i temi della pace e dell'incontro fra i giovani per favorire la conoscenza reciproca;
Roma da sempre nella sua storia è stata il territorio dell'incontro fra le genti, le civiltà e le culture;
l'attuale crisi economica costringe l'intero Paese a sostenere grandi sacrifici;
il Governo italiano sta predisponendo misure e interventi per favorire lo sviluppo e la crescita del sistema Paese quali strumenti idonei, da un lato, per abbattere il debito pubblico e, dall'altro, per rimettere in moto l'economia italiana;
i giochi olimpici sono la più importante e prestigiosa manifestazione al mondo, in grado di attrarre un'audience televisiva di oltre 4 miliardi di spettatori;
l'organizzazione dei giochi olimpici rappresenta per il Paese e la città che la ottiene una manifestazione di fiducia nel futuro del Paese stesso, sia al suo interno che come immagine all'estero;
le spese per l'organizzazione dei giochi rappresentano un investimento concreto anche per la crescita economica dell'Italia e per il suo sviluppo, specie nel campo delle infrastrutture, dell'impiantistica sportiva, del turismo, dell'innovazione tecnologica, della ricerca e della sostenibilità ambientale;
è stato effettuato uno studio di fattibilità economico-finanziaria, realizzato da una commissione di esperti presieduta dal professor Marco Fortis e composta da tecnici indipendenti e tale studio ha evidenziato come l'organizzazione dei giochi olimpici potrebbe assicurare una

crescita dell'occupazione, del prodotto interno lordo nell'intero Paese, favorendo lo sviluppo dei flussi turistici in tutta Italia;
nel pieno rispetto della carta olimpica, l'organizzazione dei giochi olimpici e paralimpici del 2020 coinvolgerà l'intero Paese;
in particolare, l'organizzazione dei giochi paralimpici, di cui Roma fu già la prima storica sede nel 1960, può costituire un grandissimo strumento di promozione di uguaglianza e integrazione sociale;
come dimostrato dalle esperienze delle trascorse edizioni dei giochi olimpici, e in particolare dai giochi di Roma del 1960, l'organizzazione delle olimpiadi rappresenta altresì una grande opportunità di promozione dello sport per tutti, inteso come diritto di tutti i cittadini alla pratica sportiva. Lo sport per tutti, infatti, è uno straordinario strumento di promozione della salute, delle politiche educative, delle politiche sociali e di promozione del territorio,


impegna il Governo:


a valutare positivamente la candidatura e l'eventuale auspicata successiva organizzazione dei giochi olimpici e paralimpici nel quadro di una politica di rigore, sviluppo e crescita dell'intero Paese, nonché, come ulteriore segnale nei confronti degli altri Paesi, della vocazione alla pace, alla tolleranza ed all'amicizia tra i popoli, valori dei quali l'Italia è sempre stata portatrice nel mondo;
a vigilare sia sul corretto utilizzo delle risorse, che devono essere impiegate con criteri di austerità e sostenibilità ambientale, sia sull'impianto urbanistico che deve essere sorretto da adeguate dotazioni infrastrutturali, e finalizzato ad un riuso postolimpico delle strutture a vantaggio della collettività;
ad assumere ogni possibile ed immediata iniziativa per far sì che il progetto di candidatura della città di Roma ai giochi olimpici e paralimpici del 2020 sia competitivo, condiviso, sostenibile e vantaggioso per tutto il Paese con sostanziali e concrete ricadute sul sistema sportivo italiano;
a vigilare perché la candidatura stessa e l'auspicabile successiva organizzazione siano condotte nella più assoluta trasparenza, nel rispetto di leggi e procedure ordinarie;
a rendere note le informazioni sulla compatibilità economica fornite dalla commissione Fortis, incaricata dal comitato promotore della candidatura di Roma 2020 di valutare la compatibilità economica dell'evento, illustrando le proprie considerazioni e determinazioni sull'argomento;
a considerare se l'attuale struttura del comitato promotore sia funzionale ai compiti richiesti per il raggiungimento degli obiettivi;
ad elaborare, anche attraverso un proprio provvedimento, le linee guida cui il comitato promotore dovrà attenersi nella fase di redazione del piano di candidatura;
ad individuare i necessari momenti di consultazione pubblica e partecipazione di tutti i portatori di interessi, nonché delle istituzioni nazionali e locali, al fine di assicurare la massima condivisione possibile;
ad assicurare alla candidatura di Roma il necessario sostegno politico e strumentale nonché le garanzie generali richieste dal Comitato internazionale olimpico.
(1-00864)
«Concia, Lolli, Melandri, Ghizzoni, Bachelet, Coscia, De Biasi, De Pasquale, De Torre, Levi, Mazzarella, Nicolais, Pes, Rossa, Antonino Russo, Siragusa, Gozi».

La Camera,
premesso che:
i giochi olimpici e paralimpici sono un evento di straordinaria importanza e di enorme prestigio, e rappresentano una «vetrina» per sostenere l'immagine dell'Italia, per ribadire il valore distintivo e di garanzia del made in Italy, compresa la capacità, riconosciuta a livello internazionale, di organizzare grandi eventi di successo;
non si tratta solo di un grande evento sportivo, ma anche di un'occasione unica per proporre al mondo le ricchezze artistiche e culturali del Paese, un momento in grado di rilanciare a livello globale l'immagine dell'Italia, di portare benefici e coinvolgere con entusiastica partecipazione tutto il Paese, in primis i giovani, in un'impresa che riaccende la passione e il senso d'orgoglio nazionale, di cui i grandi eventi sportivi sono testimoni;
lo sport è da sempre un fattore centrale per l'Italia, non solo da un punto di vista sociale ma anche economico; i giochi olimpici e paralimpici del 2020 saranno un evento non solo romano ma nazionale, e potrebbero rappresentare un volano unico per l'economia;
in un periodo di crisi economica, che costringe l'intero Paese a sostenere grandi sacrifici, candidarsi alle olimpiadi è un segnale di fiducia nella capacità dell'Italia di ripartire anche grazie alla sua creatività, in linea con le misure e gli interventi messi in atto dal Governo italiano per favorire lo sviluppo e la crescita del sistema Paese, quali strumenti idonei, da un lato, per abbattere il debito pubblico e, dall'altro, per rimettere in moto l'economia italiana;
lo studio di fattibilità economico-finanziaria dell'organizzazione dei giochi olimpici, realizzato da una commissione di esperti presieduta dal professor Marco Fortis e composta da tecnici indipendenti, ha evidenziato come tale evento assicuri una crescita dell'occupazione, incrementi il prodotto interno lordo nell'intero Paese e favorisca lo sviluppo dei flussi turistici in tutta Italia;
le spese per l'organizzazione dei giochi rappresentano quindi un investimento concreto anche per la crescita economica dell'Italia e per il suo sviluppo, specie nel campo delle infrastrutture, del turismo, dell'innovazione tecnologica, della ricerca, della sostenibilità ambientale;
in particolare, l'organizzazione dei giochi paralimpici, di cui Roma fu già la prima storica sede nel 1960, può costituire un grandissimo strumento di promozione di uguaglianza e integrazione sociale;
come dimostrato dalle esperienze delle trascorse edizioni dei giochi olimpici, e in particolare dai giochi di Roma del 1960, i giochi olimpici e paralimpici del 2020 si presentano come uno strumento formidabile di promozione dello sport e dei suoi valori, come la multiculturalità, la pacifica convivenza tra i popoli, la sana competizione e il rispetto delle regole, nella quotidianità e nella vita di tutti i cittadini,


impegna il Governo:


a valutare positivamente la candidatura e l'eventuale auspicata successiva organizzazione dei giochi olimpici e paraolimpici nel quadro di una politica di sviluppo economico e crescita anche culturale dell'Italia, nonché, come ulteriore segnale nei confronti degli altri Paesi, della vocazione alla pace, alla tolleranza ed all'amicizia tra i popoli, valori dei quali l'Italia è sempre stata portatrice nel mondo;
a vigilare sia sul corretto utilizzo delle risorse, che devono essere impiegate con criteri di austerità e sostenibilità ambientale, sia sull'impianto urbanistico, che deve essere sorretto da adeguate dotazioni infrastrutturali e finalizzato ad un riuso post olimpico delle strutture a vantaggio della collettività;

ad assumere ogni possibile ed immediata iniziativa per far sì che il progetto di candidatura della città di Roma ai giochi olimpici e paralimpici del 2020 sia competitivo, condiviso, sostenibile e vantaggioso per tutto il Paese con sostanziali e concrete ricadute sul sistema sportivo italiano;
a vigilare perché la candidatura stessa e l'auspicabile successiva organizzazione siano condotte nella più assoluta trasparenza, nel rispetto di leggi e procedure ordinarie;
a rendere note le informazioni fornite dalla commissione di compatibilità economica presieduta dal professor Marco Fortis incaricata dalla Presidenza del Consiglio di valutare l'impatto economico dell'evento, illustrando le proprie considerazioni e determinazioni sull'argomento;
a fornire indicazioni al comitato promotore per la redazione del piano di candidatura;
a promuovere il massimo consenso possibile attorno alla candidatura e a garantire, a livello nazionale e internazionale, alla candidatura di Roma il necessario sostegno politico e strumentale nonché le garanzie generali richieste dal Comitato internazionale olimpico.
(1-00865)
«Cicchitto, Crimi, Saltamartini, Di Centa, Sammarco, Lorenzin, Rampelli, Piso, Abrignani, Luciano Rossi, Baccini, Meloni, Lupi, Marinello, Baldelli, Osvaldo Napoli, Aracri, Giro, Calabria, De Nichilo Rizzoli, Di Virgilio, Gianfranco Conte, Ventucci, Iannarilli, Simeoni, Ceccacci Rubino, Mariarosaria Rossi, Mazzocchi, Marsilio, Roccella».

La Camera,
premesso che:
l'intero settore dell'emittenza televisiva e radiofonica locale versa attualmente in una condizione di grave criticità;
numerosissime emittenti presso le quali lavorano oggi oltre diecimila addetti, già indebolite dal passaggio al digitale terrestre e provate dalla critica situazione economica del Paese che ha determinato il crollo delle risorse pubblicitarie, rischiano ora la chiusura totale;
a breve, infatti, tali emittenti saranno chiamate a liberare i canali dal 61 al 69 per doverli consegnare alle compagnie telefoniche aggiudicatarie dell'asta del dividendo digitale esterno. E tutto questo a fronte, peraltro, di un indennizzo da parte dello Stato che è stato progressivamente diminuito rispetto alle previsioni inizialmente sancite dalla legge e che, oggi, nella maggior parte dei casi, non risulta nemmeno sufficiente a coprire gli investimenti effettuati dalle aziende per il passaggio alla nuova tecnologia diffusiva;
tale situazione non è altro che la drammatica conseguenza di una serie di errori che ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo furono compiuti durante il precedente Governo Berlusconi e che origina, innanzi tutto, dal mancato rispetto sia della legge n. 249 del 1997, sia della delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 181/09/CONS che prevedono espressamente che il piano nazionale di assegnazione delle frequenze (pnaf) riservi almeno un terzo dei programmi irradiabili all'emittenza televisiva locale;
come noto, infatti, in data 28 giugno 2010, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha pubblicato la delibera n. 300/10/CONS relativa al piano nazionale di assegnazione delle frequenze che, nei prevedere la realizzazione di 25 reti nazionali, determina una tipologia di assegnazione delle frequenze tale da non garantire il rispetto della riserva di almeno un terzo dei programmi irradiabili all'emittenza televisiva locale, e ciò nonostante che la riserva di almeno un terzo dei programmi irradiabili all'emittenza televisiva

locale risulti prevista espressamente per legge e non esista al contrario alcun atto normativo di rango primario o secondario che disponga che le reti nazionali debbano essere necessariamente in numero di 25;
questa situazione era stata denunciata a suo tempo puntualmente dal Gruppo dell'Italia dei Valori attraverso al presentazione di numerosi atti di sindacato ispettivo quali ad esempio l'interrogazione a risposta immediata in Assemblea n. 3-01165 presentata dall'onorevole Antonio Di Pietro già in data 6 luglio 2010 nell'ambito della quale si chiedeva al Ministro dello sviluppo economico pro tempore, Paolo Romani, di assumere adeguate iniziative a tutela dell'emittenza locale;
da allora ad oggi nessuna iniziativa concreta al riguardo è stata adottata in tal senso e le emittenti televisive e radiofoniche locali, tra le quali in particolare il Coordinamento associazioni radio TV (CAR TV), chiedono con insistenza un confronto urgente con l'attuale Ministro dello sviluppo economico, Corrado Passera, al fine di risolvere le annose questioni che stanno mettendo a rischio la loro stessa sopravvivenza;
ad avviso dei firmatari dei presente atto di indirizzo l'unica soluzione praticabile che potrebbe consentire la sopravvivenza delle emittenti locali consiste nella riduzione del numero dei multiplex (e quindi delle frequenze) attualmente assegnati - in via provvisoria e in attesa del completamento della fase di transizione al digitale - all'emittenza nazionale, il che comporterebbe, inevitabilmente, la riscrittura del piano di assegnazione nazionale delle frequenze dell'Autorità delle garanzie nelle comunicazioni in modo da ridurre il numero di reti nazionali e locali nella proporzione aurea di due terzi per le emittenti nazionali e di un terzo per le emittenti locali;
si segnala inoltre che in un recente rapporto dell'Open Society Foundations, redatto da Gianpietro Mazzoleni, Giulio Vigevani e Sergio Splendore si rileva, con tutta evidenza, come persino nell'era digitale, i mezzi di informazione italiani operano in un clima di pesanti pressioni politiche. In particolare, la ricerca sottolinea come di fronte alle sfide della digitalizzazione, le politiche messe in atto dal precedente Governo Berlusconi appaiono «orientate al mantenimento del duopolio Rai-Mediaset nella televisione in chiaro, così come nel mercato pubblicitario». Consumo, società, servizio pubblico, giornalismo, tecnologia, business e politiche connesse ai media digitali sono i principali capitoli in cui è diviso il lavoro. «La digitalizzazione non ha prodotto un significativo impatto sulla proprietà dei mezzi di comunicazione» scrivono gli autori. Il mercato televisivo è ancora caratterizzato dal tradizionale duopolio Rai-Mediaset, che discende dall'assenza di un adeguata normativa che regoli la concorrenza nel settore. I due giganti dell'emittenza continuano a controllare insieme circa l'80 per cento dell'audience, contro circa il 10 per cento di Sky. Si indeboliscono le emittenti locali, peggiorando conseguentemente la libertà di informazione nel nostro Paese;
oltre alla citata questione relativa alla necessità di garantire alle emittenti locali almeno un terzo delle risorse frequenziali disponibili, il Coordinamento associazioni radio TV (CAR TV), nell'ambito di una lettera inviata in data 31 gennaio 2012 al Ministro dello sviluppo economico, Corrado Passera, ha sollevato due ulteriori ordini di problemi relativi, rispettivamente, alla necessità di rivedere la delibera 366/10/CONS relativa al piano di numerazione dei programmi televisivi, e agli effetti dei segnali per la telefonia mobile di 4a generazione sugli attuali impianti d'antenna televisivi;
con riferimento alla questione relativa alla revisione della citata delibera 366/10/CONS si segnala come su tale argomento il Gruppo dell'Italia dei Valori sia intervenuto il 14 settembre 2011 attraverso la presentazione di un'interrogazione a risposta scritta, e segnatamente la n. 4-13203, nell'ambito della quale si legge: «...le associazioni di categoria delle

Tv locali hanno denunciato, inoltre, i criteri con i quali l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha attribuito la numerazione dei canali digitali; l'articolo 32 del Testo unico dei servizi media audiovisivi (decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, come modificato dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, dalla legge 6 giugno 2008, n. 101, dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) e dal decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 44) prevede espressamente al comma 2: "Fermo il diritto di ciascun utente di riordinare i canali offerti sulla televisione digitale nonché la possibilità per gli operatori di offerta televisiva a pagamento di introdurre ulteriori e aggiuntivi servizi di guida ai programmi e di ordinamento canali, l'Autorità, al fine di assicurare condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie, adotta un apposito piano di numerazione automatica dei canali della televisione digitale terrestre, in chiaro e a pagamento, e stabilisce con proprio regolamento le modalità di attribuzione dei numeri ai fornitori di servizi di media audiovisivi autorizzati alla diffusione di contenuti audiovisivi in tecnica digitale terrestre, sulla base dei seguenti princìpi e criteri direttivi in ordine di priorità: a) garanzia della semplicità d'uso del sistema di ordinamento automatico dei canali; b) rispetto delle abitudini e preferenze degli utenti, con particolare riferimento ai canali generalisti nazionali e le emittenti locali: l'AGCOM, diversamente da quanto previsto dalla legge, secondo quanto denunciato dalle associazioni di categoria delle Tv locali, ha previsto l'assegnazione alle emittenti locali della numerazione a partire dai numero 10, essendo i primi nove tasti riservati alla emittenza nazionale, sulla base di graduatorie che fanno riferimento a criteri (quali il fatturato, il numero dei giornalisti assunti o altro) che nulla hanno a chiedere con le finalità previste dal citato testo unico dei servizi media audiovisivi: testo unico che fa, invece, riferimento al principio della preferenza degli utenti e quindi all'audience delle emittenti televisive; alla luce di tutto ciò dette associazioni hanno presento ricorso al Tar del Lazio che ha annullato gli atti emanati dall'AGCOM relativi al piano di numerazione dei canali della televisione digitale terrestre ed in particolare la delibera con cui l'Autorità garante delle comunicazioni fissava la numerazione, la cosiddetta LCN (logistic channel number). Una pronuncia immediatamente esecutiva, cui però la stessa AGCOM ha immediatamente replicato con un ricorso d'urgenza al Consiglio di Stato per ottenere - quanto meno nell'immediato - la sospensiva della decisione del tribunale amministrativo di primo grado; successivamente, il Consiglio di Stato ha accolto la richiesta di sospendere l'esecuzione di quanto stabilito dal Tar del Lazio ovvero l'annullamento della delibera n. 366 dei 2010 che, come si è detto, assegnava in automatico i numeri LCN sui tasti dei telecomandi dei televisori, lasciando al momento la questione aperta...;»
recentissimamente, la predetta questione sollevata dalle emittenti locali ha avuto ulteriori sviluppi. Infatti, il 26 gennaio 2012 il Tar del Lazio, accogliendo un ricorso presentato da SKY ha annullato il piano di numerazione automatica dei canali della TV digitale terrestre in chiaro e a pagamento, la cosiddetta LCN (logistic channel number), contenuto nella citata delibera dell'AGCOM dell'agosto 2010. Lo ha deciso con sentenza la terza sezione-ter del Tar che, su richiesta delle emittenti canale 34 e Più Blu Lombardia, si era già pronunciato sulla delibera in questione, annullando, il 1o agosto 2011, la parte del provvedimento che assegnava i numeri dal 9 al 19 alle emittenti locali. La sentenza del Tar era stata poi sospesa, il 30 agosto, dal Consiglio di Stato. La nuova sentenza del Tar Lazio, a differenza della precedente, annulla l'intero provvedimento dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che adesso dovrà emanare un nuovo regolamento sulla numerazione automatica dei canali della TV digitale terrestre in chiaro e a pagamento, seguendo le indicazioni fornite dal Tar, salvo che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni non presenti un ricorso al Consiglio di Stato per ottenere la sospensiva dell'ulteriore

decisione del giudice amministrativo di primo grado;
alla luce di quanto precede, considerato che la possibile assegnazione dei numeri del telecomando, priva di un regolamento, rischia nella migliore delle ipotesi di generare un vero e proprio caos digitale, tra canali introvabili sui decoder (per i conflitti di numerazione), e di far scoppiare cause e ricorsi tra emittenti, e che andrebbero nuovamente a contendersi il numero più alto nelle liste, sembra dunque quanto mai urgente che l'Esecutivo, ponga in essere ogni atto di competenza volto alla revisione del contenuto della suddetta delibera 366/10/CONS;
con riferimento alla questione relativa agli effetti dei segnali per la telefonia mobile di 4a generazione sugli attuali impianti d'antenna televisivi, si segnala che nell'ambito del rapporto (Rai - Centro ricerche e innovazione tecnologica-elettronica e telecomunicazioni n. 3 dicembre 2011) si legge che: «Le simulazioni al calcolatore e le misure di laboratorio utilizzate hanno permesso di analizzare il comportamento degli amplificatori a banda larga degli impianti centralizzati di antenna in presenza di segnali LTE. Simulazioni e misure, effettuate in condizioni realistiche e non eccessivamente pessimistiche, hanno concordemente mostrato che, in alcune situazioni, l'impatto dei segnali LTE sull'intermodulazione dei semplificatori potrebbe essere serio, a conferma dei risultati pubblicati in ambito internazionale. Gli effetti più evidenti si hanno sui canali adiacenti (in particolare sul canale 60) ma tutti i canali nella banda UHF possono essere degradati fino alla mancanza di ricezione... (pagina 52)». E ancora che: «Per ridurre gli effetti dell'interferenza dei segnali LTE sui segnali DDT è quindi necessario prevedere tecniche di mitigazione, eventualmente da applicarsi in combinazione tra loro. Queste tecniche, che hanno nel loro complesso costi piuttosto elevati, ricadono sotto la responsabilità di diversi degli attori della catena trasmissiva (operatori di telefonia mobile, broadcaster, costruttori di apparati, costruttori di ricevitori DVB T/T2, utenti finali... (pagina 37)»;
sotto tale profilo, alla luce di quanto precede, non può che ritenersi fondata la preoccupazione espressa dai Coordinamento associazioni radio TV nell'ambito della già citata lettera inviata al Ministro dello sviluppo economico, Corrado Passera, sui costi che le tecniche di mitigazione potrebbero comportare nei confronti delle famiglie e delle imprese, nell'ipotesi in cui queste ultime si vedrebbero costrette a sostenere, e anche solo in parte, le spese derivanti dall'implementazione delle tecniche di mitigazione causati dagli effetti dei segnali per la telefonia mobile di 4a generazione sugli attuali impianti d'antenna televisivi,


impegna il Governo:


a convocare con la massima urgenza, presso il Ministero dello sviluppo economico, le rappresentanze delle emittenti radiofoniche e televisive locali per discutere delle problematiche che stanno mettendo a rischio la loro stessa sopravvivenza e soffocando l'esercizio della loro attività economica;
a porre in essere ogni iniziativa di competenza finalizzata a dare attuazione a quanto previsto sia dalla legge n. 249 del 1997, sia dalla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 181/09/CONS, che prevedono espressamente che il piano nazionale di assegnazione delle frequenze (PNAF) riservi almeno un terzo dei programmi irradiabili all'emittenza televisiva locale;
ad adottare le opportune iniziative, anche normative, tese a prevedere la riduzione del numero dei multiplex attualmente assegnati - in via provvisoria e in attesa del completamento della fase di transizione al digitale - alle emittenti nazionali in modo da ridurre il numero di reti nazionali e locali nella proporzione aurea di due terzi per le emittenti nazionali e di un terzo per le emittenti locali;

a porre in essere ogni atto di competenza teso a evitare che si generi un vero e proprio caos digitale, tra canali introvabili sui decoder per i conflitti di numerazione, ovvero il proliferare di cause e ricorsi tra emittenti televisive, che andrebbero nuovamente a contendersi il numero più alto nelle liste;
a fornire quanto prima elementi di chiarificazione circa gli effetti dei segnali per la telefonia mobile di 4a generazione sugli attuali impianti d'antenna televisivi descritti dal citato rapporto Rai - Centro ricerche e innovazione tecnologica-elettronica e telecomunicazioni n. 3 del dicembre 2011, con particolare riguardo ai rischi connessi ai costi che le tecniche di mitigazione potrebbero comportare nei confronti delle famiglie e delle imprese.
(1-00866)
«Borghesi, Di Pietro, Donadi, Evangelisti, Barbato, Cimadoro, Di Giuseppe, Di Stanislao, Favia, Aniello Formisano, Messina, Monai, Mura, Leoluca Orlando, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Porcino, Rota, Zazzera».

NUOVA FORMULAZIONE

La Camera,
premesso che:
l'intero settore dell'emittenza televisiva e radiofonica locale versa attualmente in una condizione di grave criticità;
numerosissime emittenti, presso le quali lavorano oggi oltre diecimila addetti, già indebolite dal passaggio al digitale terrestre e provate dalla critica situazione economica del Paese che ha determinato il crollo delle risorse pubblicitarie, rischiano ora la chiusura totale;
a breve, infatti, tali emittenti saranno chiamate a liberare i canali dal 61 al 69 per doverli consegnare alle compagnie telefoniche aggiudicatarie dell'asta del dividendo digitale esterno. Tutto questo a fronte, peraltro, di un indennizzo da parte dello Stato che è stato progressivamente diminuito rispetto alle previsioni inizialmente sancite dalla legge e che, oggi, nella maggior parte dei casi, non risulta nemmeno sufficiente a coprire gli investimenti effettuati dalle aziende per il passaggio alla nuova tecnologia diffusiva;
tale situazione non è altro che la drammatica conseguenza di una serie di errori che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, furono compiuti durante il precedente Governo Berlusconi e che origina, innanzi tutto, dal mancato rispetto sia della legge n. 249 del 1997, sia della delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 181/09/CONS che prevedono espressamente che il piano nazionale di assegnazione delle frequenze (pnaf) riservi almeno un terzo dei programmi irradiabili all'emittenza televisiva locale;
come noto, infatti, in data 28 giugno 2010, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha pubblicato la delibera n. 300/10/CONS relativa al piano nazionale di assegnazione delle frequenze che, nel prevedere la realizzazione di 25 reti nazionali, determina una tipologia di assegnazione delle frequenze tale da non garantire il rispetto della riserva di almeno un terzo dei programmi irradiabili all'emittenza televisiva locale, e ciò nonostante che la riserva di almeno un terzo dei programmi irradiabili all'emittenza televisiva locale risulti prevista espressamente per legge e non esista, al contrario, alcun atto normativo di rango primario o secondario che disponga che le reti nazionali debbano essere necessariamente in numero di 25;
questa situazione era stata denunciata a suo tempo puntualmente dal gruppo dell'Italia dei Valori attraverso la presentazione di numerosi atti di sindacato ispettivo, quali, ad esempio, l'interrogazione a risposta immediata in Assemblea n. 3-01165 presentata dall'onorevole Antonio Di Pietro già in data 6 luglio 2010, nell'ambito della quale si chiedeva al Ministro dello sviluppo economico pro tempore, Paolo Romani, di assumere adeguate iniziative a tutela dell'emittenza locale;
da allora ad oggi nessuna iniziativa concreta al riguardo è stata adottata in tal senso e le emittenti televisive e radiofoniche locali, tra le quali in particolare il Coordinamento associazioni radio tv (Car tv), chiedono con insistenza un confronto urgente con l'attuale Ministro dello sviluppo economico, Corrado Passera, al fine di risolvere le annose questioni che stanno mettendo a rischio la loro stessa sopravvivenza;
ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, l'unica soluzione praticabile che potrebbe consentire la sopravvivenza delle emittenti locali consiste nella riduzione del numero dei multiplex (e quindi delle frequenze) attualmente assegnati - in via provvisoria e in attesa del completamento della fase di transizione al digitale - all'emittenza nazionale, il che comporterebbe, inevitabilmente, la riscrittura del piano di assegnazione nazionale delle frequenze dell'Autorità delle garanzie nelle comunicazioni in modo da ridurre il numero di reti nazionali e locali nella proporzione aurea di due terzi per le emittenti nazionali e di un terzo per le emittenti locali;
si segnala, inoltre, che in un recente rapporto dell'Open Society Foundations, redatto da Gianpietro Mazzoleni, Giulio Vigevani e Sergio Splendore, si rileva, con tutta evidenza, come persino nell'era digitale i mezzi di informazione italiani operano in un clima di pesanti pressioni politiche. In particolare, la ricerca sottolinea come, di fronte alle sfide della digitalizzazione, le politiche messe in atto dal precedente Governo Berlusconi appaiono «orientate al mantenimento del duopolio Rai-Mediaset nella televisione in chiaro, così come nel mercato pubblicitario». Consumo, società, servizio pubblico, giornalismo, tecnologia, business e politiche connesse ai media digitali sono i principali capitoli in cui è diviso il lavoro. «La digitalizzazione non ha prodotto un significativo impatto sulla proprietà dei mezzi di comunicazione» scrivono gli autori. Il mercato televisivo è ancora caratterizzato dal tradizionale duopolio Rai-Mediaset, che discende dall'assenza di un'adeguata normativa che regoli la concorrenza nel settore. I due giganti dell'emittenza continuano a controllare insieme circa l'80 per cento dell'audience, contro circa il 10 per cento di Sky. Si indeboliscono le emittenti locali, peggiorando conseguentemente la libertà di informazione nel nostro Paese;
oltre alla citata questione relativa alla necessità di garantire alle emittenti locali almeno un terzo delle risorse frequenziali disponibili, il Coordinamento associazioni radio tv (Car tv), nell'ambito di una lettera inviata in data 31 gennaio 2012 al Ministro dello sviluppo economico, Corrado Passera, ha sollevato due ulteriori ordini di problemi relativi, rispettivamente, alla necessità di rivedere la delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 366/10/CONS relativa al piano di numerazione dei programmi televisivi, e agli effetti dei segnali per la telefonia mobile di quarta generazione sugli attuali impianti d'antenna televisivi;
con riferimento alla questione relativa alla revisione della citata delibera n. 366/10/CONS si segnala come, su tale argomento, il gruppo dell'Italia dei Valori sia intervenuto il 14 settembre 2011 attraverso la presentazione di un'interrogazione a risposta scritta, e segnatamente la n. 4-13203, nell'ambito della quale si legge: «le associazioni di categoria delle tv locali hanno denunciato, inoltre, i criteri con i quali l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha attribuito la numerazione dei canali digitali; l'articolo 32 del testo unico dei servizi media audiovisivi (decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, come modificato dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, dalla legge 6 giugno 2008, n. 101, dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) e dal decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 44) prevede espressamente al comma 2: "Fermo il diritto di ciascun utente di riordinare i canali offerti sulla televisione digitale nonché la possibilità per gli operatori di offerta televisiva a pagamento di introdurre ulteriori e aggiuntivi servizi di guida ai programmi e di ordinamento canali, l'Autorità, al fine di assicurare condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie, adotta un apposito piano di numerazione automatica dei canali della televisione digitale terrestre, in chiaro e a pagamento, e stabilisce con proprio regolamento le modalità di attribuzione dei numeri ai fornitori di servizi di media audiovisivi autorizzati alla diffusione di contenuti audiovisivi in tecnica digitale terrestre, sulla base dei seguenti princìpi e criteri direttivi in ordine di priorità: a) garanzia della semplicità d'uso del sistema di ordinamento automatico dei canali; b) rispetto delle abitudini e preferenze degli utenti, con particolare riferimento ai canali generalisti nazionali e le emittenti locali"; l'Agcom, diversamente da quanto previsto dalla legge, secondo quanto denunciato dalle associazioni di categoria delle tv locali, ha previsto l'assegnazione alle emittenti locali della numerazione a partire dal numero 10, essendo i primi nove tasti riservati alla emittenza nazionale, sulla base di graduatorie che fanno riferimento a criteri (quali il fatturato, il numero dei giornalisti assunti o altro) che nulla hanno a chiedere con le finalità previste dal citato testo unico dei servizi media audiovisivi: testo unico che fa, invece, riferimento al principio della preferenza degli utenti e quindi all'audience delle emittenti televisive; alla luce di tutto ciò dette associazioni hanno presentato ricorso al Tar del Lazio che ha annullato gli atti emanati dall'Agcom relativi al piano di numerazione dei canali della televisione digitale terrestre ed in particolare la delibera con cui l'Autorità garante delle comunicazioni fissava la numerazione, la cosiddetta lcn (logistic channel number). Una pronuncia immediatamente esecutiva, cui però la stessa Agcom ha immediatamente replicato con un ricorso d'urgenza al Consiglio di Stato per ottenere - quanto meno nell'immediato - la sospensiva della decisione del tribunale amministrativo di primo grado; successivamente, il Consiglio di Stato ha accolto la richiesta di sospendere l'esecuzione di quanto stabilito dal Tar del Lazio ovvero l'annullamento della delibera n. 366 del 2010 che, come si è detto, assegnava in automatico i numeri lcn sui tasti dei telecomandi dei televisori, lasciando al momento la questione aperta»;
recentissimamente, la predetta questione sollevata dalle emittenti locali ha avuto ulteriori sviluppi. Infatti, il 26 gennaio 2012 il Tar del Lazio, accogliendo un ricorso presentato da Sky ha annullato il piano di numerazione automatica dei canali della tv digitale terrestre in chiaro e a pagamento, la cosiddetta lcn (logistic channel number), contenuto nella citata delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dell'agosto 2010. Lo ha deciso con sentenza la terza sezione del Tar che, su richiesta delle emittenti Canale 34 e Più Blu Lombardia, si era già pronunciato sulla delibera in questione, annullando, il 1o agosto 2011, la parte del provvedimento che assegnava i numeri dal 9 al 19 alle emittenti locali. La sentenza del Tar era stata poi sospesa, il 30 agosto 2011, dal Consiglio di Stato. La nuova sentenza del Tar Lazio, a differenza della precedente, annulla l'intero provvedimento dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che adesso dovrà emanare un nuovo regolamento sulla numerazione automatica dei canali della tv digitale terrestre in chiaro e a pagamento, seguendo le indicazioni fornite dal Tar, salvo che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni non presenti un ricorso al Consiglio di Stato per ottenere la sospensiva dell'ulteriore decisione del giudice amministrativo di primo grado;
alla luce di quanto precede, considerato che la possibile assegnazione dei numeri del telecomando, priva di un regolamento, rischia nella migliore delle ipotesi di generare un vero e proprio caos digitale, tra canali introvabili sui decoder (per i conflitti di numerazione), e di far scoppiare cause e ricorsi tra emittenti, che andrebbero nuovamente a contendersi il numero più alto nelle liste, sembra dunque quanto mai urgente che l'Esecutivo ponga in essere ogni atto di competenza volto alla revisione del contenuto della citata delibera 366/10/CONS;
con riferimento alla questione relativa agli effetti dei segnali per la telefonia mobile di quarta generazione sugli attuali impianti d'antenna televisivi, si segnala che nell'ambito del rapporto (Rai - Centro ricerche e innovazione tecnologica-elettronica e telecomunicazioni n. 3 dicembre 2011) si legge che: «Le simulazioni al calcolatore e le misure di laboratorio utilizzate hanno permesso di analizzare il comportamento degli amplificatori a banda larga degli impianti centralizzati di antenna in presenza di segnali lte. Simulazioni e misure, effettuate in condizioni realistiche e non eccessivamente pessimistiche, hanno concordemente mostrato che, in alcune situazioni, l'impatto dei segnali lte sull'intermodulazione dei semplificatori potrebbe essere serio, a conferma dei risultati pubblicati in ambito internazionale. Gli effetti più evidenti si hanno sui canali adiacenti (in particolare sul canale 60) ma tutti i canali nella banda uhf possono essere degradati fino alla mancanza di ricezione (pagina 52)». E ancora che: «Per ridurre gli effetti dell'interferenza dei segnali lte sui segnali ddt è quindi necessario prevedere tecniche di mitigazione, eventualmente da applicarsi in combinazione tra loro. Queste tecniche, che hanno nel loro complesso costi piuttosto elevati, ricadono sotto la responsabilità di diversi degli attori della catena trasmissiva (operatori di telefonia mobile, broadcaster, costruttori di apparati, costruttori di ricevitori DVB T/T2, utenti finali (pagina 37)»;
sotto tale profilo, alla luce di quanto precede, non può che ritenersi fondata la preoccupazione espressa dal Coordinamento associazioni radio tv nell'ambito della già citata lettera inviata al Ministro dello sviluppo economico, Corrado Passera, sui costi che le tecniche di mitigazione potrebbero comportare nei confronti delle famiglie e delle imprese, nell'ipotesi in cui queste ultime si vedrebbero costrette a sostenere (anche solo in parte) le spese derivanti dall'implementazione delle tecniche di mitigazione causate dagli effetti dei segnali per la telefonia mobile di quarta generazione sugli attuali impianti d'antenna televisivi;
nel mese di dicembre 2011 il Governo ha accolto tre ordini del giorno presentati rispettivamente dai gruppi parlamentari dell'Italia dei Valori, della Lega Nord e del Partito Democratico, con i quali si chiedeva di annullare la procedura del beauty contest (ovvero il bando ed il disciplinare di gara relativi all'assegnazione dei diritti d'uso delle frequenze in banda televisiva, segnatamente le 5 frequenze DVB-T e la frequenza in DVB-H o T2, per i sistemi di radiodiffusione digitale e terrestre) per assegnare le frequenze liberate dal passaggio della trasmissione analogica al digitale ed interessate da tale procedura con una vera e propria asta competitiva;
nel mese di gennaio 2012, la citata procedura del beauty contest è stata sospesa per 90 giorni - sino al prossimo 19 aprile 2012 per la precisione - ma ad oggi non risulta ancora chiaro se, quando e con quali criteri verrà indetta una nuova asta competitiva per l'assegnazione delle frequenze interessate da tale procedura,


impegna il Governo:


a convocare con la massima urgenza, presso il Ministero dello sviluppo economico, le rappresentanze delle emittenti radiofoniche e televisive locali per discutere delle problematiche che stanno mettendo a rischio la loro stessa sopravvivenza e soffocando l'esercizio della loro attività economica;
a porre in essere ogni iniziativa di competenza finalizzata a dare attuazione a quanto previsto sia dalla legge n. 249 del 1997, sia dalla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 181/09/CONS, che prevedono espressamente che il piano nazionale di assegnazione delle frequenze (pnaf) riservi almeno un terzo dei programmi irradiabili all'emittenza televisiva locale;
ad adottare le opportune iniziative, anche normative, tese a prevedere la riduzione del numero dei multiplex attualmente assegnati - in via provvisoria e in attesa del completamento della fase di transizione al digitale - alle emittenti nazionali in modo da ridurre il numero di reti nazionali e locali nella proporzione aurea di due terzi per le emittenti nazionali e di un terzo per le emittenti locali;
a porre in essere ogni atto di competenza teso a evitare che si generi un vero e proprio caos digitale, tra canali introvabili sui decoder per i conflitti di numerazione, ovvero il proliferare di cause e ricorsi tra emittenti televisive, che andrebbero nuovamente a contendersi il numero più alto nelle liste;
a fornire quanto prima elementi di chiarificazione circa gli effetti dei segnali per la telefonia mobile di quarta generazione sugli attuali impianti d'antenna televisivi descritti dal citato rapporto Rai - Centro ricerche e innovazione tecnologica-elettronica e telecomunicazioni n. 3 del dicembre 2011, con particolare riguardo ai rischi connessi ai costi che le tecniche di mitigazione potrebbero comportare nei confronti delle famiglie e delle imprese;
a rendere noti con la massima sollecitudine e chiarezza i tempi e i criteri con i quali verrà indetta la nuova asta competitiva per l'assegnazione delle frequenze che il precedente Esecutivo avrebbe voluto assegnare attraverso la già richiamata procedura del beauty contest.
(1-00866)
(Nuova formulazione) «Borghesi, Di Pietro, Donadi, Evangelisti, Barbato, Cimadoro, Di Giuseppe, Di Stanislao, Favia, Aniello Formisano, Messina, Monai, Mura, Leoluca Orlando, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Porcino, Rota, Zazzera».

Risoluzione in Commissione:

La VIII Commissione,
premesso che:
la legge 24 febbraio 1992, n. 225, istituisce il servizio nazionale della protezione civile, e regolamenta l'attività del dipartimento strettamente in funzione delle emergenze (previsione, prevenzione, soccorso e ripristino) conseguenti a calamità naturali, riorganizzando la protezione civile come sistema coordinato di competenze a cui concorrono le amministrazioni dello Stato, le regioni e gli enti locali, la comunità scientifica, il volontariato, e altro;
purtroppo in questi ultimi anni sono stati fatti ricadere sotto la competenza e i poteri della protezione civile l'organizzazione di grandi eventi e nuovi compiti, compresi gli eventi all'estero, che hanno finito per snaturarne negativamente la sua missione originaria, trasformandola in agenzia pubblica appaltante, con la possibilità quasi illimitata di operare in deroga alla normativa vigente;
negli ultimi dieci anni si è instaurata una vera e propria legislazione d'urgenza che ha prodotto centinaia di dichiarazioni di stato di emergenza: tra il 2001, quando il dottor Bertolaso viene nominato a capo della protezione civile, ed i primi 5 mesi del 2009, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha varato quasi 600 ordinanze emergenziali di cui solo una parte fa riferimento a calamità naturali;
in pratica in questi ultimi anni la protezione civile, sotto la precedente gestione Bertolaso, ha coordinato e gestito attraverso l'ordinanza di protezione civile quale principale strumento, utile anche per poter derogare leggi ad avviso del firmatario del presente atto, senza nessun effettivo controllo, l'organizzazione di grandi eventi che non determinavano affatto «situazioni di grave rischio»;
quasi tutto si è trasformato ed è stato equiparato a uno stato di emergenza: l'anno giubilare paolino a Roma nel 2008, la visita di Papa Benedetto XVI a Cagliari nel 2008; i funerali di Papa Wojtyla, il G8 alla Maddalena; i mondiali di nuoto a Roma; il campionato del mondo di ciclismo a Varese; le cerimonie per la Presidenza della Unione europea nel 2002; il congresso dell'azione cattolica nelle Marche nel 2004; il Congresso europeo delle famiglie numerose; l'Expo di Milano; il 400o anniversario della nascita di San Giuseppe da Copertino a Lecce; la gara velistica «Louis Vuitton World Series» da tenere in Sardegna; il Congresso eucaristico nazionale, previsto ad Ancona nel settembre 2011;
si è insomma assistito a quello che appare un abuso di atti amministrativi aventi forza derogatoria nei confronti di molte leggi dello Stato, mettendo sullo stesso piano ordinanze che devono essere emanate rapidamente in virtù di situazioni

di estrema emergenza e che possono, proprio per detti motivi di assoluta urgenza, derogare alla normativa vigente, da ordinanze che non hanno alcun carattere di emergenza e che dovrebbero quindi essere emanate nel più assoluto rispetto della legislazione vigente;
lo stesso attuale capo della protezione civile nazionale, Franco Gabrielli, ha chiesto da molto tempo di separare la gestione dei grandi eventi dalla protezione civile;
le drammatiche vicende di queste ultime settimane, dall'incidente della nave «Costa Concordia», all'emergenza neve di questi giorni, hanno dimostrato un rallentamento dell'attività della protezione civile conseguente, come ha confermato lo stesso Franco Gabrielli, alle norme introdotte nel decreto-legge n. 225 del 2010, che «ha reso di fatto non più operativa la Protezione civile». Si tratta di interventi che anziché eliminare le vere storture, ovvero l'utilizzo delle ordinanze della protezione civile ai grandi eventi in deroga a qualunque controllo, hanno finito per sottoporre a una serie di controlli del Ministero dell'economia e delle finanze e della Corte dei conti provvedimenti che, nei casi di vera emergenza, andrebbero invece adottati d'urgenza con una tempistica non superiore a 36 ore;
si ricorda infatti che il suddetto decreto-legge n. 225 del 2010, convertito dalla legge n. 10 del 2011, il cosiddetto decreto «mille proroghe», modificando la legge n. 225 del 1992, istitutiva del servizio nazionale della protezione civile, ha introdotto ulteriori modifiche alla normativa vigente prevedendo che le ordinanze conseguenti alla dichiarazione dello stato di emergenza siano emanate, relativamente agli aspetti di carattere finanziario, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, e che anche i provvedimenti commissariali attuativi delle ordinanze conseguenti alla dichiarazione dello stato di emergenza siano sottoposti al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti;
il medesimo decreto-legge n. 225 del 2010, ha inoltre introdotto quella che è stata chiamata la «tassa sulla disgrazia», attribuendo al presidente della regione interessata da calamità naturali, per le quali sia stato dichiarato lo stato di emergenza, il potere (che si traduce quasi inevitabilmente in un obbligo), di deliberare aumenti delle imposizioni tributarie attribuite alla regione, nonché di elevare la misura dell'imposta regionale sulla benzina, qualora il bilancio della regione sia insufficiente a coprire le relative spese;
a ciò si aggiunge il fatto che il medesimo decreto-legge prevede che, qualora la regione interessata da una calamità naturale utilizzi il fondo di riserva per le spese impreviste, istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze, essa debba reintegrare detto fondo mediante l'aumento dell'accisa su benzina e gasolio per autotrazione in misura tale da determinare maggiori entrate corrispondenti all'importo prelevato dal suddetto fondo di riserva;
un meccanismo «perverso» che di fatto elimina l'intervento finanziario da parte dello Stato trasferendo un onere pesantissimo alle regioni colpite. Tutto questo ha come conseguenza che il presidente di una regione colpita da una calamità, rinuncia o tarda a chiedere lo stato di emergenza poiché ciò comporta quasi in automatico l'elevazione delle accise sui carburanti e delle addizionali fiscali regionali, con una penalizzazione intollerabile sulle popolazioni già colpite da eventi calamitosi;
dette norme hanno finito per indebolire fortemente la capacità operativa del sistema nazionale di protezione civile, e non consentono un'efficace e soprattutto rapida gestione delle emergenze;
a quanto suesposto, si aggiunge che le risorse assegnate al fondo per protezione civile, e più in generale gli stanziamenti relativi alle calamità e alla protezione civile, in questi ultimi anni sono stati drasticamente ridotti e sono attualmente del tutto insufficienti;

lo stesso fondo regionale di protezione civile, che ha permesso, dal momento della sua attivazione avvenuta con l'articolo 138, comma 16, della legge n. 388 del 2000, di realizzare un efficace sistema nazionale di protezione civile articolato sul territorio, non è stato più rifinanziato. L'ultima annualità finanziata del fondo è stata il 2008 (erogata nel corso del 2010);
si ricorda che l'impiego delle risorse del suddetto fondo, inoltre, ha permesso di fronteggiare con efficacia i numerosi eventi calamitosi di rilievo regionale verificatisi in questi ultimi anni, permettendo alle strutture nazionali della protezione civile italiana di concentrarsi sulle emergenze di grandi proporzioni;
è importante che le competenze e funzioni del dipartimento della protezione civile nazionale restino in capo alla Presidenza del Consiglio, proprio in virtù dell'articolato e complesso assetto del sistema nazionale di protezione civile, che annovera strutture disparate per competenza e per ordinamento giuridico: vigili del fuoco, regioni, enti locali, volontariato, ASL, corpi militari, e altro,


impegna il Governo:


a mantenere il dipartimento della protezione civile sotto la Presidenza del Consiglio;
ad assumere iniziative per escludere l'organizzazione e la gestione dei «grandi eventi» dalle competenze della protezione civile;
a garantire la piena operatività del sistema nazionale di protezione civile, anche attraverso modifiche alle norme introdotte con il decreto-legge n. 225 del 2010 ed esposte in premessa, che non consentono un'efficace e soprattutto rapida gestione delle vere emergenze;
ad adottare apposite iniziative normative al fine di distinguere ordinanze di protezione civile che devono essere emanate rapidamente in virtù di situazioni di estrema emergenza e che possono, proprio per detti motivi di assoluta urgenza, poter eventualmente derogare alla normativa vigente, da ordinanze che non hanno alcun carattere di emergenza e che possono conseguentemente essere emanate nel più assoluto rispetto della legislazione vigente;
a promuovere una revisione delle norme contenute nel suddetto decreto-legge n. 225 del 2010, che hanno introdotto la cosiddetta «tassa sulla disgrazia», che ha di fatto eliminato l'intervento finanziario da parte dello Stato trasferendo un onere pesantissimo alle regioni e alle popolazioni già colpite da eventi calamitosi;
a garantire maggiori risorse alla protezione civile, e ad assumere iniziative per rifinanziare il fondo regionale di protezione civile al fine di non compromettere definitivamente la complessiva capacità di risposta dell'intero sistema di protezione civile del Paese, e di messa in sicurezza dei territori, valutando l'opportunità di escludere le risorse del medesimo fondo regionale dal patto di stabilità interno.
(7-00781)«Piffari».

TESTO AGGIORNATO AL 16 FEBBRAIO 2012

...

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere - premesso che:
da fine gennaio 2012 ad oggi parti del nostro Paese sono colpite da eccezionali precipitazioni nevose senza precedenti;
in particolare, il «vortice» che si è creato fra le province di Forlì, Pesaro e Urbino e Rimini che dura da due settimane

ha completamente bloccato decine di comuni con altezza di neve precipitata oltre i tre metri;
analoghi fenomeni si sono registrati nel resto delle Marche, nel Lazio, in Abruzzo, in Basilicata e Campania ed in parti di altre regioni;
la protezione civile e gli enti locali hanno approntato uomini e mezzi adeguati all'emergenza con assunzione di impegni anche finanziari;
il Governo ha già ampiamente riferito sul tema, pur tuttavia permangono aspetti che vanno urgentemente chiariti;
i presidenti delle regioni che il Governo ha prontamente incontrato sembrano unanimemente intenzionati a non far dichiarare lo stato di emergenza in quanto impossibilitati al rispetto delle norme introdotte con la legge n. 10 del 2011 che ha modificato la legge n. 225 del 1992 imponendo in via preliminare alle regioni aumenti di tasse ed accise in caso di dichiarazione dello stato di emergenza;
il Governo ha sopperito decretando maggiori poteri al capo del dipartimento di protezione civile e dichiarando lo stato di emergenza per il brevissimo periodo necessario al soccorso che si sta protraendo ben oltre le previsioni imponendo già una proroga;
l'evento calamitoso è invece di proporzioni tali da provocare danni permanenti e strutturali in quanto si registrano numerosi cedimenti di tetti in edifici storici, edifici pubblici, abitazioni, ma soprattutto in stabilimenti artigianali, commerciali ed industriali con blocco di attività e conseguenti costi di ripristino;
lo stato di calamità è stato opportunamente dichiarato per il settore agricolo, ma permangono dubbi per gli altri settori economici;
non si comprende come in mancanza della dichiarazione dello stato di emergenza, come previsto dalla legge n. 225 del 1992, si possa intervenire sui danni relativi ad opifici, abitazioni, immobili e macchinari danneggiati ed alla eventuale sospensione o al differimento dei termini per adempimenti e versamenti fiscali e contributivi;
è evidente che il permanere delle norme introdotte con la legge n. 10 del 2011, oltre a paralizzare l'attività della protezione civile (emissione delle ordinanze di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e previo parere della Corte dei conti per tutte le tipologie di calamità), rischia di non permettere le normali procedure di sostegno al settore economico che si sono sempre attuate in caso di calamità -:
come intenda agire il Governo di fronte alla problematica espressa circa il prolungamento dello stato di emergenza misure di indennizzo necessarie per il sostegno al tessuto economico dei luoghi colpiti e per rimborsi degli oneri di pronto intervento sostenuti dagli enti locali.
(2-01358)
«Vannucci, Ventura, Agostini, Brandolini, Cavallaro, Giovanelli, Lolli, Marchioni, Merloni, Marchignoli, Sposetti, Vico, Ceroni».

Interrogazione a risposta in Commissione:

PALOMBA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. - Per sapere - premesso che:
con la legge 6 marzo 2001, n. 64, è stato istituito il Servizio civile nazionale, i cui princìpi e finalità sono enunciati nell'articolo 1 di detta legge:
a) concorrere, in alternativa al servizio militare obbligatorio, alla difesa della Patria con mezzi e attività non militari;
b) favorire la realizzazione dei princìpi costituzionali di solidarietà sociale;
c) promuovere la solidarietà e la cooperazione, a livello nazionale ed internazionale, con particolare riguardo alla

tutela dei diritti sociali, ai servizi alla persona ed alla educazione alla pace fra i popoli;
d) partecipare alla salvaguardia e tutela del patrimonio della nazione, con particolare riguardo ai settori ambientale, anche sotto l'aspetto dell'agricoltura in zona di montagna, forestale, storico-artistico, culturale e della protezione civile;
e) contribuire alla formazione civica, sociale, culturale e professionale dei giovani mediante attività svolte anche in enti e amministrazioni operanti all'estero;
questo primo articolo si richiama a diversi doveri dei cittadini sanciti dalla Costituzione italiana: l'articolo 52 (dovere di difesa della patria); l'articolo 2 (dovere di solidarietà politica, economica e sociale) e l'articolo 4 (dovere di concorrere al progresso materiale o spirituale della società);
ma il servizio civile nazionale per tantissimi giovani ha rappresentato, e sarebbe opportuno che continuasse a rappresentare, un'importante opportunità di formazione sociale, civica, culturale e professionale e di impegno in diverse aree d'intervento (assistenza, protezione civile, ambiente, patrimonio artistico e culturale, educazione e promozione culturale);
dal 2001 al 2011 sono stati messi a bando quasi 320.000 posti di volontario del servizio civile;
a poco più di 10 anni dal suo avvio il servizio civile nazionale rischia di scomparire perché con la legge di stabilità del novembre 2011 sono state ridotte le risorse del fondo nazionale di quasi il 40 per cento, passando da 113 milioni di euro ad appena 69. Negli ultimi 4 anni il taglio è stato di oltre il 400 per cento, passando dai 299 milioni del 2008 ai 68 del 2012, ed è anche a rischio l'avvio al servizio degli oltre 22.000 giovani già selezionati a seguito del bando 2011, apparendo inoltre altamente improbabile ipotizzare un nuovo bando per il 2012 per mancanza di risorse. Ciò accade mentre le risorse occorrenti per l'acquisto di un solo cacciabombardiere F-35 sarebbero sufficienti per finanziare un anno di attività per oltre 20.000 giovani da impegnare in progetti di difesa della Patria in modo non armato e nonviolento;
per di più, con ordinanza n. 15243/11RG del 9 gennaio 2012, il tribunale di Milano - sezione lavoro - aveva dichiarato discriminatoria la limitazione prevista dall'articolo 3 del «Bando per la selezione di 10.481 volontari da impiegare in progetti di servizio civile in Italia e all'estero» pubblicato il 20 settembre 2011, nella parte in cui chiedeva il possesso della cittadinanza italiana quale requisito di ammissione allo svolgimento del servizio civile nazionale. Con la stessa decisione il giudice aveva ordinato alla Presidenza del Consiglio dei ministri - ufficio nazionale servizio civile - di sospendere le procedure di selezione, di modificare il bando nella parte in cui richiede il requisito della cittadinanza consentendo l'accesso anche agli stranieri soggiornanti regolarmente in Italia e di fissare un nuovo termine per la presentazione delle domande;
in esecuzione alla citata ordinanza l'avvio al servizio civile nazionale era rimasto sospeso con effetto immediato per tutti i volontari selezionati per i progetti inseriti sia nel bando nazionale di 10.481 volontari, sia nei bandi regionali e delle province autonome contestualmente emanati dall'ufficio, per i quali era previsto il medesimo requisito della cittadinanza italiana in conformità con quanto disposto dall'articolo 5 della legge n. 64 del 2011 e dall'articolo 3 del decreto legislativo n.77 del 2002;
fortunatamente quella decisione è stata annullata su reclamo della Presidenza del Consiglio dei ministri;
ma resta la situazione fortemente negativa del drastico taglio delle risorse che rischia di dare un colpo mortale al servizio, privando la comunità di un prezioso apporto di tanti volontari e moltissimi

giovani di un progetto di impegno sul campo, assai formativo -:
se il Governo sia conoscenza di questa pesante situazione, quali siano i suoi intendimenti al riguardo e quali misure intenda adottare al fine di limitare i disagi agli enti, al volontariato, alla comunità e ai giovani derivanti dalla grave carenza di risorse che inciderebbe negativamente anche sui progetti già avviati, per i quali esistono forti e legittime aspettative, evitando la sostanziale agonia del servizio civile nazionale che rappresenta una delle poche opportunità a sostegno dei giovani concorrendo a realizzare anche il principio costituzionale di solidarietà sociale.
(5-06147)

Interrogazioni a risposta scritta:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. - Per sapere - premesso che:
in un articolo pubblicato da l'Espresso il 16 febbraio 2012 si apprende che nella tabella dei «42 impianti di gara di cui 33 esistenti» pubblicata dal comitato Roma2020, quelli destinati alla pallacanestro e alla pallavolo sono segnalati in blu sotto la colonna «esistente» riferendosi alla città dello sport di Tor Vergata progettata per lo svolgimento dei mondiali di nuoto del 2009 e per i mondiali di pallavolo del 2010 ma rimasta incompiuta;
si tratta di un'opera deliberata nel 2005 ed affidata con procedura d'urgenza e affidate ad Angelo Balducci;
il costo iniziale di 136 milioni 320 mila euro è lievitato a 256, che va a beneficio di un consorzio di imprese diretto dalla Vianini spa del gruppo Caltagirone e la cui data di consegna prevista era il 27 marzo 2007 e di ultimazione il 30 giugno 2011;
allo stato attuale però delle due «vele» progettate solo una è stata costruita e al suo interno lo scheletro di cemento armato è la sola struttura finita, con acqua che entra dalle crepe di assestamento e dai soffitti e con chilometri di tondini speciali per le armature che si arrugginiscono nelle pozzanghere;
per quest'opera incompiuta si continuano a pagare i custodi e perfino i progettisti e i tecnici dell'«Ufficio del commissario delegato per lo svolgimento dei Mondiali di nuoto» che dovrebbero occuparsi della «costruzione della viabilità perimetrale e delle reti di fognatura a servizio della Città dello sport di Tor Vergata», ma che, nonostante la procedura d'urgenza e i 12 milioni 800 mila euro già spesi per la viabilità, consiste in uno svincolo autostradale rimasto a metà;
nel documento di previsione del comitato Roma2020 si legge che per costruire la seconda vela e completare lo stadio si prevede di spendere altri 500 milioni di euro portando il costo dell'impianto di Tor Vergata da 136 a 700 milioni in 5 anni;
ciò non appare agli interroganti un impiego ottimale delle risorse pubbliche -:
se corrisponda al vero quanto riferito in premessa;
a quanto ammonti approssimativamente il costo complessivo per la candidatura di Roma alle Olimpiadi 2020, per quale importo il Governo finanzierà questa candidatura e con quali garanzie di ottimizzazione dell'impiego delle risorse finanziarie a ciò destinate.
(4-14877)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
sul sito web www.tiscali.it è pubblicato un articolo a firma di Paolo Salvatore

Orrù dal titolo «Archivio Disarmo, Emilio Emmolo denuncia: "Armi leggere italiane contro la Primavera araba"» in cui, tra l'altro, si legge che «[...] In particolare, nel biennio 2009-2010 l'export di armi verso la Libia ha raggiunto la cifra di 8 milioni di euro (nel biennio 2007-2008 i libici ne spendevano poco meno di 10 mila). I dati della relazione, tratti dall'Istat, non raccontano che qualche volta i nostri soldati impegnati sui fronti caldi del mondo hanno dovuto rispondere al piombo prodotto in Italia. L'episodio più inquietante è stato denunciato nel 2005, quando «i carabinieri durante un rastrellamento in Iraq hanno sequestrato in un covo talebano armi griffate Beretta», dice Emmolo. A causa del blitz lo stabilimento rischiò i sigilli della magistratura. «La Pietro Beretta Spa fu però prosciolta perché il contratto di cessione delle armi era stato stipulato nel 2004 attraverso una sconosciuta società inglese, la Super Vision International ltd», commenta. Con un escamotage molto italiano, quella volta fu Berlusconi a salvare la Spa di Brescia: «Nel decreto di finanziamento delle Olimpiadi invernali di Torino venne incastonata una norma sulla compravendita di armi (i soliti sotterfugi italiani)», evidenzia il ricercatore. [...] E siccome qualche volta anche in Italia le leggi si rispettano, per poter lucrare con commerci altrimenti illeciti le aziende si affidano alle triangolazioni, come dimostra il contratto stipulato da Beretta con la Super Vision. In Italia su quest'argomento c'è un vuoto legislativo e, soprattutto, il nostro Paese non si è messo in regola con le direttive europee che ha detto di voler recepire nel 2003. «Si vendono le armi a Cipro e a Malta, tanto per fare un esempio, poi lì si pensa al resto», spiega il Generale Fabio Mini. Esistono casi documentati di trafficanti di armi e di spedizionieri specializzati in violazioni di embarghi che operando dall'Italia hanno fatto transitare armi dell'ex Patto di Varsavia, in Africa, in Ruanda, in Liberia, Sierra Leone, senza che la magistratura abbia potuto condannare i protagonisti. «In passato - rileva Emmolo - è stato documentato il caso di Leonid Minin, un ucraino con passaporto israeliano e con presunti legami con la rete di Al Qaeda». [...] è coinvolto anche qualche ex generale italiano. Eppure la legge 185/90 ordina agli ex militari di non assumere ruoli di amministratore in fabbriche di armi. In sostanza, chi sino a ieri ha comprato armi per l'esercito non può il giorno dopo diventare il presidente del Consiglio di amministrazione di Finmeccanica o di aziende collegate. «Per ragioni inspiegabili queste norme sono state disattese, lo si può dimostrare con qualunque visura camerale», spiega Luca Marco Comellini, il segretario del Partito dei Militari. Il generale Mini non è per nulla reticente, anzi accusa di «mancanza di etica» e «di malaffare» i militari che si prestano a questi incarichi. «C'è da dire - comunque - che il vincolo non è per tutti gli ufficiali, ma per chi ha avuto mansioni riguardo l'approvvigionamento di armi (capi di Stato Maggiore, segretari generali...)». [...] L'ostacolo normativo è di tre anni, ma può essere aggirato, con uno espediente: «Il blocco è valido solo per chi è in servizio attivo oppure in ausiliaria, ma non per chi è nella riserva. Così quando l'interessato va in pensione anziché starsene tranquillo per cinque anni in ausiliaria si fa mettere in malattia con la dicitura: non idoneo al servizio militare attivo (e quindi all'ausiliaria)», spiega l'ex comandante della missione in Kosovo KFOR dal 2002 al 2003. Così gli ex delle forze armate trovano la strada spianata per diventare, solo per fare qualche nome, «presidenti o vice presidenti di Marconi, Oto Melara, Augusta, Vitrociset, con contratti che spesso sono stati firmati dai direttori generali delle aziende in questione ancora prima che quelle persone siano andate in pensione. Per me è un illecito: la Corte dei Conti, forse anche il tribunale penale, dovrebbero indagare», conclude Mini. C'è chi in Parlamento favorisce il traffico? «Stiamo studiando il caso sin dal 1993, posso dire fra i governi di centro destra e di centro sinistra non c'è mai stata alcuna differenza», dice Emmolo. Sempre secondo il giurista, le lobby esistono e funzionano bene, «basta

dire che anche negli ultimi mesi del Governo Berlusconi si possono contare almeno due modifiche alla legislazione sulle armi. Tutte in senso liberista e tutte senza nessuna alzata di scudi da parte del centro sinistra. [..]» -:
se i fatti citati nell'articolo corrispondano al vero e quanti siano stati gli alti ufficiali delle Forze armate o Forze di polizia che a partire dal 1990 hanno ricoperto incarichi, e quali, nelle società e nelle industrie operanti nel settore della fabbricazione di armamenti o strumentazioni per uso militare, e quali siano stati gli incarichi ricoperti nelle amministrazioni della difesa e dell'interno;
se non ritenga, per quanto di competenza, di assumere iniziative volte ad approfondire le gravi ipotesi di comportamenti illeciti prospettate nell'articolo in premessa;
se sia intenzionato ad assumere iniziative volte a rivedere con urgenza le norme citate nell'articolo in premessa e in quale modo.
(4-14881)

REALACCI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
da libere associazioni di cittadini, importanti associazioni ambientaliste, come Legambiente e WWF Italia, da articoli apparsi sulla stampa regionale e agenzia di stampa nazionali, ad esempio un'ADN-Kronos del 6 febbraio 2012, si apprende che sarebbe ipotizzata la costruzione di una centrale a biomasse in comune di Orbetello (GR), in località Patanella;
si sono dichiarate contrari alla costruzione di un impianto per la produzione elettrica a biomasse a Patanella il comune di Orbetello, la provincia di Grosseto e la regione Toscana;
la nuova centrale, nell'ipotesi progettuale, utilizzerebbe per alimentarsi alghe dell'adiacente laguna per circa 10.000 tonnellate annue. A queste andranno ad aggiungersi altre migliaia tonnellate di materiali non ben definiti, come: fanghi provenienti dal vicino depuratore di Terra rossa e una quantità smisurata di inerti. Da ultimo terre e rocce, stoccate in un capannone già presente nell'area citata;
secondo quando viene evidenziato da quanti si dichiarano contrari all'impianto alimentato a biomasse il bilancio costi/benefici, ambientali ed economici, è fortemente negativo. La quantità di alghe che verrebbero smaltite è, sulle stime, in proporzione molto bassa rispetto ai materiali che, come detto, giungerebbero all'impianto tra rifiuti umidi, fanghi, inerti e terra per alimentare le due linee da realizzare: la prima per la produzione di fertilizzante, la seconda interessata ad un processo di digestione anaerobica produrrebbe biogas e conseguentemente energia elettrica con potenza impianto pari a 0,5 mW;
insistendo la centrale in un'area ad alto rischio idraulico sarebbe inoltre necessario realizzare un argine alto 3 metri per proteggere la struttura da eventuali inondazioni. A Patanella si costruirebbe infatti un impianto invasivo, realizzato in un'area di grande pregio naturalistico, che prevede l'utilizzo di una quantità notevole di materiali e rifiuti diversi per sostenerlo e alimentarlo;
il sito di Patanella, protetto dal 1971, è tra l'altro un'area umida soggetta alla convenzione di Ramsar, ovvero di altissimo valore dal punto di vista naturalistico/paesaggistico per la presenza di rara fauna e avifauna selvatica. Inoltre, l'area individuata, oltre a possedere i numerosi vincoli elencati, è come sopraddetto a forte rischio idraulico e non potrebbe sicuramente sopportare un traffico di camion in entrata e in uscita, che sarebbe di oltre 100 carichi al giorno;

alla fine del mese di dicembre 2011, inoltre, pochi giorni prima della scadenza del suo mandato l'ingegner Rolando Di Vincenzo, commissario delegato per il risanamento ambientale della laguna di Orbetello, ha annunciato alla stampa l'avvio dei lavori per «gli interventi di adeguamento ambientale dell'impianto provvisorio di trattamento delle biomasse algali in località Patanella»;
fra i poteri di agire in deroga concessi al commissario con l'ordinanza del Presidente del Consiglio del 7 maggio 2011, non rientrano quelli di derogare all'obbligo di V.I.A. L'ordinanza conferisce infatti i poteri di derogare ad alcune norme del decreto legislativo 152 del 2006. Le prescrizioni derogabili sono dettagliatamente elencate e fra esse noti sono comprese quelle relative alla V.I.A. e alla «autorizzazione integrata ambientale» contenute nel Titolo III e nel Titolo III Bis (articoli 19-29 del citato decreto legislativo che non sono incluse nell'elenco delle norme alle quali il commissario può derogare per dare il via al progetto di centrale a biomasse in località Pantanella -:
se siano a conoscenza della vicenda e se intendano chiarire se la decisione di consentire l'avvio dei lavori per il sopraccitato impianto a biomasse da parte del commissario delegato per il risanamento ambientale della laguna di Orbetello sia legittima ed aderente ai poteri previsti dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 maggio 2011, trattandosi di questione sollevata anche dall'amministrazione comunale di Orbetello;
se si intenda verificare, per quanto di competenza, se il progetto di centrale elettrica a biomasse sia compatibile con i vincoli ambientali, idraulici e paesaggistici e se non sia opportuno sottoporre anche il progetto preliminare alla procedura di «valutazione impatto ambientale» prevista per legge.
(4-14883)

MIGLIORI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
nel comune di Pistoia, su indicazione di Renzo Berti sindaco e presidente del Cudir (Comitato unitario per la difesa delle istituzioni repubblicane) di Pistoia, è stato distribuito presso le scuole superiori pistoiesi, in occasione della «Giornata del Ricordo», il libro - Dossier Foibe - di Giacomo Scotti;
già da anni lo stesso sindaco disattende la volontà unanime del consiglio comunale di Pistoia, espressa con una mozione, di intitolare una strada cittadina alle vittime dell'eccidio delle foibe;
tale libro è esplicitamente negazionista rispetto agli eccidi contro il popolo italiano -:
quali iniziative urgenti il Governo intenda attuare per ripristinare la verità storica condivisa nel comune di Pistoia;
quali iniziative intenda intraprendere per verificare se vi siano state delle irregolarità nella diffusione di un libro, non di testo e, conseguentemente, se sia stata chiesta l'autorizzazione agli organi competenti per tale diffusione.
(4-14890)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
secondo un reportage di Fabrizio Gatti pubblicato dal settimanale l'Espresso risulta che a pagina 25 della proposta di candidatura di Roma2020 è prevista la costruzione del bacino per le gare di canottaggio, canoa e slalom vicino al Tevere a Settebagni, periferia nord di Roma;
si tratta di un grande impianto per 20 mila spettatori, i cui lavori dovrebbero essere eseguiti tra il 2014 e il 2016, per un prezzo di 130 milioni di preventivo. Praticamente ogni posto in tribuna ci costerebbe la notevole cifra di 6.500 euro;

sempre a Settebagni esiste il Salaria sport village, di cui Diego Anemone, nel maggio 2010, si è intestato il cento per cento delle quote della società proprietaria: otto milioni 750 mila euro di capitale sociale, prima affidato a due fiduciarie;
si tratta di una costruzione abusiva perché in area pericolosa e per questo messa sotto sequestro, con ordine di sospensione dei lavori;
infatti il Salaria sport village è costruito su un'area agricola di sfogo che si allaga quando il Tevere straripa per la presenza delle chiuse di Castel Giubileo;
tuttavia le relative opere di costruzione sono continuate, nonostante l'ordine di sospensione ed un ulteriore esposto fatto dai comitati di quartiere e da Italia Nostra, arrivando a terminare anche il parcheggio;
si apprende altresì da quanto riferito da Riccardo Crucci, vicepresidente del IV municipio di Roma, che ogni estate il Salaria fa richiesta, ottenendola peraltro, all'autorità giudiziaria per poter utilizzare per circa quaranta giorni la struttura con progetti di carattere sociale. Progetti che non hanno mai avuto fino a questo momento una controprova nei fatti. Nel senso che non si è mai avuta documentazione, nonostante il consigliere municipale l'abbia richiesta più volte, sia al quarto municipio, sia al sindaco di Roma e agli assessori competenti. Questo a dimostrazione che il Salaria è perfettamente funzionante. Nonostante il cantiere sia stato messo sotto sequestro quando ancora non c'era addirittura il tetto;
è evidente che se il Salaria sport village avesse accanto un bacino di gara da 20 mila posti, godrebbe di una ricca opportunità da vendere ai propri clienti, senza contare che tra un bacino di gara e il rifacimento degli argini, più alti perché il pubblico veda meglio, potrebbe venir realizzata una qualche barriera che, casualmente, protegga dalle piene le opere abusive in questo modo facendo venire meno una delle motivazioni del sequestro: cioè il fatto che il nuovo impianto del Salaria sia stato costruito su un'area pericolosa;
lo stesso vale per i terreni alluvionati che, a conclusione delle Olimpiadi, potrebbero finalmente diventare edificabili;
episodi come quello riferito in premessa, a giudizio degli interroganti, possono essere tali da compromettere la stessa candidatura di Roma come sede delle olimpiadi del 2010 -:
se non si ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, volte ad evitare che strutture interessate da vicende giudiziarie in corso possano essere parte di opere connesse allo svolgimento dei giochi olimpici.
(4-14893)

REGUZZONI e MONTAGNOLI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
negli ultimi giorni il prezzo del carburante in Italia ha raggiunto, e in alcuni casi superato, la quota di 1,8 euro al litro;
il prezzo medio del carburante in Italia, sia diesel sia benzina, è nettamente superiore a 1,7 euro al litro;
il 13 febbraio 2012 in un distributore sulla A8 Milano-Varese, il prezzo era di 1,795 euro al litro per la benzina e di 1,742 al litro per il diesel;
in Francia, per la precisione presso un distributore alle porte di Parigi, il prezzo del gasolio è risultato essere di 1,53 euro al litro (il 9 febbraio 2012), e addirittura di 1,399 in un altro distributore nella Francia del Nord;
il prezzo del carburante in Italia è fra i più alti, se non il più alto, di tutta Europa;
il caro-benzina influisce negativamente anche sul prezzo delle merci che

viaggiano su gomma, in particolare frutta e verdura, che subiscono inevitabili rincari -:
se il Governo intenda attivarsi assumendo iniziative che, anziché penalizzare solo le piccole categorie di lavoratori come i tassisti o i camionisti, colpiscano anche le lobbies come quella del petrolio;
se e quali iniziative il Governo intenda attuare per risolvere il problema del caro-benzina, e riportare il prezzo del carburante italiano in linea con quello degli altri Paesi europei.
(4-14895)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
il Fatto Quotidiano il giorno 5 febbraio 2012 ha pubblicato un articolo a firma di Calo Tecce dal titolo «Di Paola, non solo F35: pressioni anche per un altro aereo patacca - Rocco Buttiglione spiega al Fatto: "Ho avuto impressione che intorno a quell'affare ci fosse un enorme giro di tangenti. Io ne fui testimone"»;
nell'articolo si legge che «L'Italia che ripudia la guerra, e accetta sacrifici e sobrietà, non rinuncia ai 131 cacciabombardieri F35 di fabbricazione americana: un mutuo nazionale di 14 anni che costa 15 miliardi di euro. Il governo ha tergiversato, promesso e ritrattato, finché l'ammiraglio, ministro per la Difesa, ha rimosso scrupoli e risparmi: "Sbagliato cambiare idea"». Non poteva smentire sé stesso, nonostante le incognite tecnologiche che turbano gli americani e le ritirate strategiche di Australia, Norvegia e Danimarca. Il protocollo d'intesa (2002) indica la firma di Di Paola, all'epoca segretario generale al ministero nonché componente Nato. Non è mai semplice per la Difesa sigillare operazioni miliardarie. E il ministro è protagonista di una seconda vicenda. L'ex responsabile armamenti Di Paola, che conosceva la pratica per l'incarico che ricopriva (marzo 2001-marzo 2004), ricorderà il putiferio per l'adesione italiana al consorzio europeo - con investimenti totali per 25 miliardi di euro, di cui 8 a carico di Roma - per la costruzione di 175 Airbus A 400 M, un quadrimotore per il trasporto militare. A distanza di 11 anni, oggi, cadono le resistenze diplomatiche e le ritrosie personali, allora si può raccontare perché l'Italia deluse francesi e tedeschi. Quelli che aspettano la consegna del primo esemplare con 6 anni di ritardo, esordio previsto per il 2007 e rimandato al 2013: «Ho avuto impressione che intorno a quell'affare ci fosse un enorme giro di tangenti, io ne fui testimone, e così scrissi una lettera al presidente del Consiglio», denuncia al Fatto Rocco Buttiglione, Ministro per le politiche europee nel governo di Silvio Berlusconi che annusò per primo le maniere sporche. Torniamo indietro con il calendario: fine 2001, inizio 2002. Il ministro per la Difesa è il professor Antonio Martino, tessera di Forza Italia numero 2. Martino ripercorre l'intricata vicenda nel libro Presidente, ci consenta di Angelo Polimeno: «Divento ministro l'11 maggio, il generale Rolando Mosca Moschini mi dice che l'indomani dovevo siglare l'accordo. Non sapevo di cosa si parlasse, e chiesi chiarimenti agli ufficiali che se ne occupavano». Martino convoca Di Paola (e un generale): «Mi spiegano che si tratta di un aereo particolare per il trasporto, un prodotto di un progetto europeo. Domando: "Ci serve?". Le loro risposte non mi paiono convincenti». Non si fida, il ministro, e respinge le pressioni. Chiama il capo di Stato Maggiore per l'Aeronautica, Sandro Ferraguti: «Generale, qui dentro siamo soli, mi spieghi se l'apparecchio è utile per le nostre esigenze». Ferraguti è sincero: «Ministro, se me lo regalassero, non saprei cosa farne». Il governo annuncia di voler rivedere il progetto: protestano i Democratici di Sinistra, la Margherita, Alleanza Nazionale, un pezzo di Forza Italia e, soprattutto, il ministro Renato Ruggiero (Esteri). Passa un mese di violente polemiche, audizioni in Parlamento, interrogazioni urgenti, riunioni segrete. In visita al salone aeronautico di Parigi, dove

i francesi mostrano le innovazioni tecnologiche più raffinate, il 20 giugno 2001, l'ammiraglio Di Paola rassicura gli alleati: «Non c'è alcun mistero dietro la mancata firma del governo - riporta l'archivio Ansa - al memorandum di intesa sul nuovo aereo di trasporto militare realizzato da Airbus. Si sapeva che non si sarebbe firmato ora, ma spero che prima possibile, entro settembre, arrivi la firma. Speriamo sia una questione di settimane e non di mesi». Il responsabile armamenti dimentica, però, che l'Italia aveva già stipulato dei contratti per noleggiare velivoli sostanzialmente identici seppur di vecchia generazione. Il nervosismo dei ministri ammazza le speranze di Di Paola: il 25 luglio, in Commissione Difesa a Montecitorio, si rifiuta di commentare. Ruggiero parla per mezzo di comunicati ufficiali: «Il Ministro difenderà fino in fondo le sue tesi: la partecipazione italiana è necessaria». L'ex direttore per le relazioni internazionali di Fiat, che simboleggiava la tregua fra l'avvocato Agnelli e il Cavaliere, si dimetterà il 6 gennaio 2002. Dice Martino di Ruggiero: «Non aveva interessi personali, ma intorno a questa operazione c'erano ovviamente molte attese. La famiglia Agnelli avrebbe guadagnato qualcosa come mille miliardi di lire (500 milioni di euro, ndr)». Servono 11 anni per scoprire perché l'Italia abbandonò quell'operazione, che succhia ancora milioni a 8 paesi europei. Nel Consiglio dei ministri decisivo, Martino indica l'onestà di Buttiglione, e un fallito tentativo di corruzione. Tutti sanno l'origine dei dubbi, nessuno, però, si rivolge ai magistrati. Il vicepresidente di Montecitorio Buttiglione ricostruisce l'episodio: «Una persona notoriamente vicina al governo francese, quando cominciai il mio mandato (e dunque a metà 2001, ndr), aveva iniziato un discorso non proprio impeccabile. Mi faceva intuire che fossero pronte cospicue offerte in denaro se avessimo sostenuto il consorzio per l'Airbus. A quel punto, interruppi il discorso. Ritenni mio dovere avvertire Berlusconi. In quei giorni circolavano voci sui modi poco trasparenti per coinvolgere nel progetto gli altri paesi europei. Ho avuto impressione che intorno a questa commessa ci fosse un enorme giro di tangenti. Quell'affare poteva compromettere i nostri rapporti diplomatici con alcuni alleati europei». E così l'Italia ha risparmiato 8 miliardi di euro e un investimento pericoloso. Già nel 2002, in Germania, la Corte federale dei Conti giudicò eccessiva e costosa la commessa di 73 A 400 M pagati 8,3 miliardi di euro. Con il tempo che s'è perso, la Germania con quei soldi potrà ricevere 60 esemplari. La spesa complessiva supererà i 25 miliardi di euro: per l'esercito tedesco, il primo modello di A 400 M è in fase di collaudo, e ci resterà per tre anni. La commessa è fuori controllo: diminuisce la quantità, crescono i costi. Un problemino che riguarda pure il caccia F 35, che si vendeva a 80 milioni e adesso sfiora i 130. Prima di accendere un mutuo di 15 miliardi, forse Di Paola potrebbe rifletterci ancora un pochino.»;
in più occasioni il Ministro della difesa, ammiraglio Di Paola, ha affermato che nei prossimi mesi prenderà il via la fase di ridimensionamento del modello difesa, attualmente fissato a 190.000 unità e il previsto taglio che si renderà necessario per adattarlo alla reale sostenibilità economica del Paese dovrebbe riguardare secondo alcune fonti di stampa circa 30-40.000 militari;
la revisione del modello di difesa è un progetto che lo stesso Di Paola coltiva da quando era solo il Capo di Stato Maggiore della difesa e oggi che è Ministro l'ha riproposta con rinnovato vigore. Una drastica riduzione, che seppure è necessaria per far quadrare i conti, potrebbe avere pesanti riflessi sul personale;
l'ormai ex presidente e amministratore delegato di Finmeccanica, Pier Francesco Guarguaglini, il 1o aprile 2009 nell'ambito dell'indagine conoscitiva «sull'acquisizione dei sistemi d'arma, delle opere e dei mezzi direttamente destinati alla difesa nazionale, a venti anni dall'entrata in vigore della legge 4 ottobre 1988, n. 436», affermò che «In Italia, abbiamo da un lato un surplus di personale nelle

Forze armate, e dall'altro una mancanza di risorse. Sarebbe buona cosa arrivare ad una legge che ci liberi dei surplus permettendo di investire quanto verrebbe, in tal modo, risparmiato per acquisire ciò che serve alle Forze armate»;
la riduzione dell'attuale modello di difesa è certamente necessaria ai fini di una sensibile riduzione delle spese complessive che gravano sui contribuenti, ma non può assolutamente trovare la sua ragione nelle esigenze di Finmeccanica né, tantomeno, gli eventuali risparmi dovranno essere utilizzati per incrementare le acquisizioni di armamenti, come suggerito dall'ex amministratore delegato di Finmeccanica;
il 16 dicembre 2011 è stato accolto l'ordine del giorno n. 9/4829-A/061 a firma Mecacci e altri sostenuto anche dal Partito per la tutela dei diritti di militari e Forze di polizia (Pdm), che fin dalla sua costituzione ha sempre condotto una civile battaglia contro gli sprechi e gli armamenti inutili e costosi;
è innegabile che Finmeccanica sia fortemente interessata alla prosecuzione del programma pluriennale di acquisizione del velivolo Jsf (Joint Strike Fighter) e che il Ministro della difesa, intervenuto nell'ambito della discussione sulla riduzione per le spese destinate all'acquisizione di armamenti e in particolare quelle relative al Jsf, abbia inizialmente dichiarato «non esistono vacche sacre» per poi ripiegare verso la dichiarazione a giudizio degli interroganti più blanda e contraddittoria «Rinunciare sarebbe sbagliato e anche costoso» -:
se intenda fornire dettagliati elementi in merito a quanto esposto in premessa al fine di chiarire la posizione del Ministro interrogato in merito alle gravissime accuse di cui sopra e se sia in grado di escludere in modo assoluto la subordinazione delle esigenze della Difesa a quelle economiche di Finmeccanica;
a quanto ammonteranno complessivamente i risparmi di spesa derivanti dalla revisione dell'attuale modello di difesa e quali saranno i programmi pluriennali di acquisizione che saranno cancellati o rivisti e in quale modo e con quale entità di riduzione della spesa.
(4-14896)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il 9 febbraio la sala stampa della Santa sede, riferendosi ad alcune affermazioni fatte nella trasmissione «Gli Intoccabili» di La7 condotta dal giornalista Gianluigi Nuzzi, autore del famoso bestseller Vaticano spa, ha rilasciato un comunicato stampa nel quale tra l'altro si sostiene che:
1. l'affermazione che lo I.O.R. è una banca non corrisponde a verità; lo I.O.R. è una Fondazione di diritto sia civile che canonico regolata da un proprio statuto; non mantiene riserve e non concede prestiti come una banca. Tanto meno è una «banca off-shore». (...) Lo I.O.R. si trova all'interno di una giurisdizione sovrana e opera in un quadro normativo e regolamentare, che comprende anche la legge antiriciclaggio vaticana. Quest'ultima, la legge CXXVII, è stata adottata proprio per essere in linea con gli standard internazionali;
2. L'insinuazione che le normative vaticane non consentirebbero le indagini o i procedimenti penali relativi a periodi precedenti all'entrata in vigore della legge CXXVII (1o aprile 2011), non corrisponde a verità. (...) Per quanto riguarda la cooperazione tra lo I.O.R. e l'A.I.F., lo I.O.R. ha cooperato nel fornire informazioni su transazioni avvenute anche prima di tale data. Le affermazioni fatte durante la trasmissione non corrispondono quindi a verità: secondo la normativa vaticana in materia di antiriciclaggio l'Autorità giudiziaria vaticana ha il potere di indagare anche transazioni sospette avvenute in

periodi precedenti al 1o aprile 2011, e ciò anche nel quadro della cooperazione internazionale con i giudici di altri Stati, inclusa l'Italia;
3. i rapporti dello I.O.R. con banche non italiane sono sempre stati attivi e, a differenza di quanto è stato affermato, è stata ridotta solo limitatamente l'attività con le banche italiane. Lo I.O.R., così come fanno anche gli enti finanziari italiani, si avvale dei servizi di banche estere (italiane e non) quando essi sono più efficienti e a minor costo. Tutti i movimenti in contanti, poi, sono certificati con documenti doganali. Come prassi, tutti i movimenti di denaro sono regolarmente tracciati ed archiviati;
4. per quanto riguarda la norma che regola il movimento di denaro contante, è importante precisare che lo I.O.R. controlla e controllava anche i movimenti frazionati (cosiddetto step transactions) per un totale di 15.000 nei dieci giorni consecutivi. Per di più, l'articolo 28, comma 1, lettera b), del nuovo testo della Legge CXXVII, modificato per decreto del presidente del Governatorato il 26 gennaio 2012, stabilisce che i soggetti sottoposti agli obblighi della medesima legge (tra i quali lo I.O.R.) devono eseguire «gli obblighi di adeguata verifica: ...quando eseguono transazioni occasionali il cui importo sia pari o superiore ad euro 15.000, indipendentemente dal fatto che siano effettuate con una transazione unica o con più transazioni collegate»;
5. l'affermazione del magistrato Luca Tescaroli secondo la quale il Vaticano non avrebbe dato risposta alle rogatorie riguardanti il caso Banco Ambrosiano-Calvi non corrisponde a verità. In merito si precisa che la rogatoria del 2002 non risulta pervenuta in Vaticano. Anche all'ambasciata d'Italia presso la Santa Sede, dopo una prima ricerca effettuata negli archivi, la richiesta di rogatoria internazionale presentata dal tribunale di Roma nel 2002 non risulta mai pervenuta. Alle altre due è stato fornito regolare riscontro, indirizzato all'ambasciata d'Italia presso la Santa Sede. Come affermato nella dichiarazione dell'8 febbraio, la Santa Sede e le autorità del Vaticano hanno doverosamente cooperato con la magistratura e le altre autorità italiane e ciò risulta dalla documentazione accessibile agli ufficiali sia della Santa Sede sia della Repubblica Italiana;
relativamente al punto 1 è comunque da rilevare che nessuna contestazione fu fatta dalla Nunziatura apostolica presso l'Unione europea quando: a) fu pubblicata nel bollettino ufficiale dell'Unione europea GU C 78 E del 27 marzo 2004 (pagina 182) la risposta alla interrogazione P-2864/03 data dal Commissario europeo Bolkestein a nome della Commissione il 16 ottobre 2003 nella quale si affermava che «non esiste attualmente un settore finanziario commerciale nel territorio dello Stato della Città del Vaticano (l'unica banca è l'IOR, Istituto per le Opere di Religione, che funge anche da Banca centrale)»; b) fu pubblicata nel bollettino ufficiale dell'Unione europea GU C 92 E del 17 aprile 2003 (pagina 117) la risposta alla interrogazione E-1913/2002 data dal Commissario europeo Solbes Mira a nome della Commissione il 17 settembre 2002 nella quale si affermava che «Nessuna banca ubicata in Vaticano ha accesso diretto a Target. Solo l'Istituto di Opere di Religione è un partecipante indiretto (è partecipante indiretto un istituto bancario che non dispone di un proprio conto in un sistema nazionale di regolamento lordo in tempo reale (RLTR), che è però riconosciuto da un sistema RLTR nazionale e soggetto alle sue norme, e cui è possibile accedere direttamente all'interno di Target. Tutte le operazioni di un partecipante indiretto vengono regolate sul conto di un partecipante che ha accettato di rappresentare il partecipante indiretto) e dispone di due accessi, l'uno tramite una grande banca tedesca, l'altro tramite una grande banca italiana, a loro volta collegate al sistema. Dato che ai controlli imposti dalle autorità bancarie sono soggetti solo gli enti finanziari che dispongono di un accesso diretto,

il problema della compatibilità tra il diritto comunitario e l'articolo 11 del trattato del Laterano non si pone;
relativamente al punto 2 vi è da rilevare che la cooperazione tra lo IOR e l'AIF non può essere paragonata a quella tra una banca (o un «Fondazione di diritto sia civile che canonico» come preferiscono qualificarla) e un ente indipendente di controllo in quanto i dirigenti della banca e dell'organo deputato a controllarla sono nominati dalla stessa persona e, sempre dalla stessa persona, possono essere rimossi in qualsiasi momento -:
se, per quanto risulta al Governo, corrispondano al vero i dati diffusi dalle autorità vaticane in ordine agli esiti delle rogatorie citate in premessa;
se non si intenda aprire con la massima urgenza una verifica al fine di appurare chi e perché avrebbe impedito che giungesse al Vaticano la richiesta presentata dal tribunale di Roma nel 2002 di una rogatoria sul caso Banco Ambrosiano-Calvi.
(4-14897)

PILI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la coesione territoriale, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della difesa, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
l'insediamento di un nuovo Governo comporta sempre il rischio di ulteriori e gravi ritardi sulla già complessa questione sarda;
questioni di rilevanza strategica per la questione sarda nelle prossime settimane andranno incontro a scadenze inderogabili per le quali non sarà ammissibile alcun tipo di rinvio;
l'esigenza di affrontare con urgenza tali problemi riveste priorità assoluta al fine di evitare il rischio di pregiudicare i risultati perseguiti sinora;
la questione sarda è caratterizzata dalle seguenti tematiche:
a) la definizione della continuità territoriale aerea e marittima, passeggeri e merci;
b) l'autorizzazione finale relativa alla realizzazione del metanodotto Algeria - Sardegna - Europa;
c) la vertenza Equitalia e il rischio fallimento per decine di migliaia di imprese sarde;
d) la questione insularità e l'esigenza di dare attuazione all'articolo 22 della legge n. 42 del 2009;
e) le questioni industriali della Sardegna, dalla realizzazione del sistema integrato Miniera Carbosulcis - Centrale, alla definizione della ripresa produttiva della società Eurallumina, alla ripresa produttiva della Vinilys di Portotorres, alla definizione dell'assetto energetico per gli stabilimenti energivori del Sulcis e quelli della Ottana Energia, ex Enichem di Ottana;
f) la questione infrastrutturale sarda con la definizione degli interventi nell'ambito della piastra logistica euromediterranea;
g) la definizione di un nuovo assetto del patto di stabilità per la Sardegna in considerazione della sua condizione insulare con l'attuazione dell'articolo 5 del decreto luglio 2011;
h) la definizione della partita delle entrate oggetto di ricorso alla Corte Costituzionale;
i) l'individuazione di provvedimenti urgenti tesi ad eliminare vincoli e limitazioni ai settori lattiero caseario e zootecnico sardo già duramente gravati dalla condizione insulare e oggi aggravati da fantomatiche emergenze sanitarie;
d) la dismissione del patrimonio militare relativo a immobili ubicati in aree strategiche per lo sviluppo delle comunità locali e occupate da servitù militari inutilizzate o sottoutilizzate;

la definizione della continuità territoriale aerea e marittima, passeggeri e merci costituisce la più delicata e prioritaria questione sulla quale è indispensabile il più urgente intervento del Governo tenendo conto in particolar modo dei seguenti elementi:
la Commissione Trasporti della Camera dei deputati in data 21 aprile 2010 ha approvato all'unanimità la risoluzione conclusiva relativa alla modifica della continuità territoriale aerea da e per la Sardegna;
nel dispositivo della richiamata risoluzione si impegna il Governo:

1) ad avviare un immediato confronto per ridefinire, nell'ambito della conferenza di servizi che il Presidente della Regione Sardegna è stato delegato ad istituire e presiedere dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti; la disciplina della continuità territoriale, superando quella vigente, che risulta inadeguata sia sotto il profilo concettuale che sotto quello dei servizi e dei costi, per pervenire a un modello di continuità territoriale intesa come un fattore di riequilibrio di condizioni permanenti di svantaggio derivanti dall'insularità e di garanzia del diritto alla mobilità per i territori svantaggiati, tenendo conto anche di quanto previsto dalla legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione;
2) in particolare, ad assumere le appropriate iniziative per definire e attuare una continuità territoriale che, tenga conto, oltre che degli effetti del processo di liberalizzazione del mercato del trasporto aereo, anche dei seguenti obiettivi:
a) favorire l'individuazione di un maggior numero di voli e di rotte aeree da e per la Sardegna che consenta, nel contesto dello sviluppo potenziale della domanda, di avere più operatori sulla stessa rotta;
b) favorire la possibilità di determinare, sulla base del principio di riequilibrio legato alle condizioni insulari della Sardegna, di una tariffa massima a cui si applichi il regime degli oneri di servizio pubblico, applicando, come parametro, le condizioni più favorevoli del costo ferroviario;
c) favorire la possibilità, per tutte le compagnie aeree di poter viaggiare sulle rotte di collegamento con gli aeroporti della Sardegna, proponendo, nell'ambito di una situazione di concorrenza, ribassi rispetto alla tariffa massima prestabilita in relazione agli oneri di servizio pubblico;
3) ad assumere le appropriate iniziative volte a verificare, con i competenti organismi comunitari e nel rispetto della normativa dell'Unione europea e degli indirizzi stabiliti dalla Commissione europea, la possibilità di estendere il regime di continuità territoriale a tutti i cittadini, in ottemperanza al principio di non discriminazione riaffermato dalla decisione della Commissione n. 2007/332/CE, del 23 aprile 2007, e, nell'ambito delle competenze attribuite ai singoli soggetti istituzionali dalla normativa vigente, a prevedere che a tutti i cittadini residenti nel territorio nazionale ed europeo che intendano effettuare voli da e per la Sardegna sia applicata la tariffa sottoposta ad onere di servizio pubblico, in modo da garantire il rispetto del principio di riequilibrio territoriale in relazione all'insularità della regione;
solo dopo oltre 22 mesi dalla delega alla regione Sardegna si è addivenuti alla definizione di nuovi decreti relativi alla continuità territoriale;
i nuovi decreti per la continuità territoriale aerea da e per la Sardegna riaffermano le procedure già richiamate dalla Commissione trasporti della Camera e in particolar modo, al fine di evitare discriminazioni, l'applicazione della tariffa unica per residenti e non;
tale obiettivo previsto nei decreti emanati dal Ministro competente nel dicembre 2011 lascia presupporre, se la norma adottata è quella che contempla nel costo complessivo del biglietto indicato

nell'onere del servizio pubblico anche un ragionevole utile d'impresa, l'assoluto divieto di compensazioni illogiche e illegittime alle compagnie aeree che farebbero bloccare la continuità territoriale per palese aiuto di Stato;
per la continuità territoriale marittima è indispensabile, considerata l'apertura di una procedura d'infrazione europea sulla vendita della compagnia Tirrenia, ridefinire entro l'anno 2011 le convenzioni relative agli oneri di servizio pubblico con la verifica della congruità del contributo statale;
la ridefinizione delle convenzioni costituisce elemento imprescindibile al fine di evitare il ripetersi dei gravi danni alla Sardegna dal comportamento irresponsabile della compagnia Tirrenia e degli armatori privati che hanno duramente penalizzato la passata stagione estiva;
il riesame delle convenzioni deve avvenire tenendo conto dei reali costi di produzione e di un margine limitato di utile d'impresa e della compensazione assegnata per quel tipo di servizio;
riveste importanza strategica per la Sardegna la definizione dell'iter relativo all'autorizzazione finale relativa alla realizzazione del metanodotto Algeria - Sardegna - Europa considerato che:
il 9 gennaio 2003 si è costituita la società Galsi spa per sviluppare lo studio di fattibilità di una nuova infrastruttura di importazione di gas naturale dall'Algeria all'Italia, nelle quote azionarie entra a far parte anche la regione Sardegna, attraverso le controllate Sfirs e Progemisa;
il 31 luglio 2008 la società Galsi presenta l'istanza di autorizzazione alla costruzione e all'esercizio del gasdotto presso i Ministeri competenti dando avvio alla procedura autorizzativa;
in 25 luglio 2011 il dipartimento per l'energia direzione generale per la sicurezza dell'approvvigionamento e le infrastrutture energetiche divisione VI ha pubblicato l'avviso di procedimento;
la società Galsi spa ha chiesto al Ministero dello sviluppo economico l'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio, per la parte ricadente nelle aree di giurisdizione italiana, di un metanodotto per l'importazione di gas dall'Algeria. L'istanza è stata presentata ai sensi dell'articolo 52-quinquies, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, come modificato ed integrato dal decreto legislativo n. 330 del 2004 relativamente alle espropriazioni per la realizzazione di infrastrutture lineari energetiche. L'autorizzazione comprende anche la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera, la valutazione di impatto ambientale, la valutazione di incidenza naturalistico ambientale, l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio dei beni interessati e la variazione degli strumenti urbanistici. Il provvedimento finale comprende inoltre l'approvazione del progetto definitivo e determina l'avvio del procedimento di esproprio;
dopo oltre 4 anni si è concluso l'iter autorizzativo con la convocazione da parte del responsabile del procedimento della conferenza dei servizi per l'autorizzazione finale;
tale autorizzazione risulta indispensabile agli investitori internazionali per poter avviare entro il mese di gennaio la definizione degli investimenti e nel contempo dall'esigenza di non perdere lo stanziamento di 120 milioni di euro dell'Unione europea il cui termine ultimo fissato è il 31 dicembre 2011 e per il quale occorre richiedere una proroga;
la vertenza Equitalia e il rischio fallimento per decine di migliaia di imprese sarde costituisce priorità assoluta per il mantenimento dell'assetto produttivo e per non gravare ulteriormente la già drammatica crisi occupazionale e sociale dell'isola;
la vertenza Equitalia è sintetizzata con i seguenti dati: sono 70.430 le imprese sarde che risultano gravemente indebitate per complessivi 4.273.745.722 euro; 2.351 le imprese fallite che avevano complessivamente un debito verso lo Stato e gli altri enti pari a 1.216.297.600 euro;

la situazione complessiva dell'indebitamento delle imprese sarde non ha precedenti nel resto del Paese e il quadro che emerge dalla lettura dei dati analitici rischia di travolgere l'intero sistema economico della Sardegna;
i dati analitici al 2011 relativi alla Sardegna e alle singole province statali risultano essere i seguenti:
a) nella provincia di Cagliari il numero delle imprese è pari a 33.956 con un debito pari a 2.232.506.018,92 euro (di cui 215.968.829,76 euro rateizzati) così ripartiti: 1.460.040.661,45 all'erario, 496.564.809,70 all'Inps, e 275.900.547,77 ad altri. Di tali somme 761.223.955,78 euro sono da riferire a 1.192 imprese fallite (500.054.367,62 euro nei confronti dell'erario, 157.401.588,13 nei confronti dell'Inps e 103.768.000,03 euro ad altri creditori);
b) nella provincia di Nuoro il numero delle imprese e pari a 8.840 con un debito pari a 417.859.431,51 euro (di cui 35.357.635,18 euro rateizzati) così ripartiti: 259.058.923,18 all'erario, 79.517.547,70 all'Inps, e 79.282.960,63 ad altri. Di tali somme 117.833.940,07 euro sono da riferire a 220 imprese fallite (67.798.552,98 euro nei confronti dell'erario, 15.718.110,29 nei confronti dell'Inps e 34.317.276,80 euro ad altri creditori);
c) nella provincia di Oristano il numero delle imprese e pari a 4.685 con un debito pari a 207.362.065,67 euro (di cui 19.331.868,51 euro rateizzati) così ripartiti: 121.735.683,08 all'erario, 38.655.364,83 all'Inps, e 46.971.017,76 ad altri. Di tali somme 74.127.027,82 euro sono da riferire a 204 imprese fallite (40.124.957,50 euro nei confronti dell'erario, 7.887.374,76 nei confronti dell'Inps e 26.024.695,56 euro ad altri creditori);
d) nella provincia di Sassari il numero delle imprese e pari a 22.949 con un debito pari a 1.416.018.206,85 euro (di cui 123.972.079,80 euro rateizzati) così ripartiti: 953.107.148,25 all'erario, 300.544.393,31 all'Inps, e 162.366.665,29 ad altri. Di tali somme 263.112.676,48 euro sono da riferire a 735 imprese fallite (194.004.841,67 euro nei confronti dell'erario, 49.002.900,79 nei confronti dell'Inps e 20.104.934,02 euro ad altri creditori);
e) nella regione Sardegna il numero delle imprese è pari a 70,430 con un debito pari a 4.273.745.722,95 euro (di cui 394.630.413,25 euro rateizzati) così ripartiti: 2.793.942.415,96 all'erario, 915.282.115,54 all'Inps, e 564.521.191,45 ad altri. Di tali somme 1.216.297.600,15 euro sono da riferire a 2.351 imprese fallite (802.072.719,77 euro nei confronti dell'erario, 230.009.973,97 nei confronti dell'Inps e 184.214.906,41 euro ad altri creditori);
i dati riportati costituiscono il più oggettivo riscontro di una situazione che rischia il tracollo dell'apparato produttivo della Sardegna;
la definizione di un provvedimento legislativo emergenziale già proposto dal sottoscritto e da decine di parlamentari costituisce la soluzione inderogabile al problema che ha assunto connotati drammatici;
la questione insularità e il suo pieno ed attuativo riconoscimento rappresenta elemento centrale del rapporto Stato-regione;
l'articolo 22 (perequazione infrastrutturale) della legge n. 42 del 2009 dispone quanto segue: «In sede di prima applicazione, il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro per le riforme per il federalismo, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per i rapporti con le regioni e gli altri Ministri competenti per materia, predispone una ricognizione degli interventi infrastrutturali, sulla base delle norme vigenti, riguardanti le strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche nonché la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, le strutture portuali ed aeroportuali. La ricognizione

è effettuata tenendo conto, in particolare, dei seguenti elementi:
(...) g) specificità insulare con definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall'insularità, anche con riguardo all'entità delle risorse per gli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione»;
risulta urgente predisporre un apposito decreto attuativo ai sensi dell'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 relativamente al divario insulare, alla sua misurazione e alla conseguente compensazione;
è indispensabile intervenire sin dalla prossima decisione di finanza pubblica con un piano di recupero sia del divario infrastrutturale, come previsto dall'articolo 22 della legge n. 42 del 2009, sia del grave squilibrio di stanziamenti registrato ed evidenziato nel rapporto decennale sull'infrastrutturazione del Paese e l'attuazione della legge obiettivo;
risulta indispensabile predisporre con urgenza un piano di riequilibrio da sottoporre al Cipe che preveda l'immediato sblocco dei fondi per le aree sottoutilizzate (Fas) delle singole regioni, già penalizzate da tale ripartizione; e ad utilizzare i fondi indistinti a disposizione del Governo per colmare i mancati stanziamenti sin qui registrati;
è necessario definire un criterio parametrato che impedisca nel futuro uno squilibrio economico-finanziario di tale rilevanza, evitando di porre in essere atti che compromettano la coesione nazionale incidendo sull'uguaglianza tra cittadini di uno stesso Stato e sulla stessa unità nazionale;
le questioni industriali della Sardegna, dalla vicenda Alcoa e dal rilancio dell'alluminio primario alla definizione della ripresa produttiva della società Eurallumina, dalla realizzazione del sistema integrato Miniera Carbosulcis - centrale alla ripresa produttiva della Vinilys di Portotorres, alla definizione dell'assetto energetico per gli stabilimenti energivori del Sulcis e quelli della Ottana Energia, ex Enichem di Ottana rappresentano le questioni prioritarie dell'agenda industriale del sistema Sardegna;
in particolar modo le relative vertenze sono così articolate:
ALCOA - la decisione della multinazionale Alcoa di chiudere lo stabilimento di Portovesme costituisce il più grave rischio per il sistema produttivo della Sardegna oltre all'impatto economico sul sistema Italia che vedrebbe scomparire sostanzialmente la produzione di alluminio primario. Appare decisiva la definizione di un accordo bilaterale tra produttori energetici e lo stabilimento Alcoa per consentire la necessaria competitività degli impianti e il rilancio dell'alluminio primario nel nostro Paese con un contratto di programma nella filiera energetico-metallurgica;
CARBOSULCIS - ciclo integrato miniera centrale - il progetto prevede la realizzazione di un processo di produzione di energia elettrica attraverso l'estrazione del carbone Sulcis e l'utilizzo in una nuova centrale con cattura e stoccaggio di CO2. I termini prevedono una gara d'appalto internazionale che si sarebbe dovuta bandire entro e non oltre il 31 dicembre 2011, termine per il quale è stata prevista una ulteriore proroga nel cosiddetto mille proroghe. A tutt'oggi niente è stato ancora fatto dalla regione Sardegna relativamente al bando di gara internazionale e niente risulta definito con la Commissione europea relativamente alle osservazioni che la stessa ha avanzato sul progetto. È indispensabile un immediato intervento presso la Commissione europea e un'azione decisionale dello Stato relativamente all'indizione della gara d'appalto internazionale da parte della regione sarda;
VINYLS - lo stabilimento di Porto Torres attende ancora una risposta per la ripresa produttiva interrotta ormai due anni fa. Si rende improcrastinabile intervenire per vagliare nuove offerte di acquisto finalizzate al rilancio produttivo. Il

Ministero dello sviluppo economico è chiamato a vagliare in ordine di tempo l'ultima offerta di acquisto da parte della Bp Oil che dovrà garantire non solo la ripresa produttiva ma anche la piena occupazione dei lavoratori Vinyls;
EURALLUMINA - lo stabilimento di Portovesme che produce allumina, materia prima del ciclo produttivo dell'alluminio, è chiuso da ormai tre anni. I proprietari della Rusal hanno chiesto garanzie sul fronte dell'approvvigionamento elettrico con la predisposizione di una nuova centrale a servizio dello stabilimento. Occorre individuare il percorso tecnico-amministrativo per rendere fattibile in tempi rapidi il soddisfacimento di quel piano delineato per il rilancio dello stabilimento, non ultimo un processo integrato della metallurgia non ferrosa capace di salvaguardare le produzioni di piombo, zinco e alluminio;
la questione infrastrutturale sarda con la definizione degli interventi nell'ambito della piastra logistica euromediterranea è fondamentale nella definizione di nuovi assetti di riequilibrio e coesione economica e sociale;
risulta, quindi decisivo introdurre elementi oggettivi di misurazione e compensazione del divario insulare:
nel caso delle infrastrutture di trasporto, un indicatore in grado di misurare in maniera soddisfacente la dotazione infrastrutturale di una realtà territoriale come la Sardegna deve necessariamente tenere conto, non solo degli aspetti quantitativi (come ad esempio la lunghezza complessiva della rete viaria e la sua tipologia, o il numero di snodi ferroviari), ma anche degli aspetti qualitativi e prestazionali legati alla qualità della rete, all'orografia del territorio e alla topologia del reticolo di trasporto. In questo modo è possibile ipotizzare e selezionare alcuni indicatori di tipo nuovo in grado di condurre alla costruzione di specifici indici;
è indispensabile predisporre un sistema di indicatori di dotazione infrastrutturale definito a seguito di un opportuno processo di media, che assuma come riferimento «indici di accessibilità» definiti a livello territoriale;
in attesa di definire con apposite norme l'individuazione di tali indici sono sufficienti a comprendere il divario insulare che grava sulla Sardegna quelli messi a disposizione dall'atlante infrastrutturale (CNEL e Istituto Tagliacarte), dal quale emergono dati di comparazione assolutamente emblematici dell'assenza di coesione e unità nazionale;
per quanto riguarda le reti energetiche, l'indice è di 100 per l'Italia; di 64,54 per il Mezzogiorno; di 35,22 per la Sardegna;
per quanto riguarda le reti stradali, l'indice è di 100 per l'Italia; di 87,10 per il Mezzogiorno; di 45,59 per la Sardegna;
per quanto riguarda le reti ferroviarie, l'indice è di 100 per l'Italia; di 87,81 per il Mezzogiorno; di 15,06 per la Sardegna;
per quanto riguarda l'analisi delle infrastrutture economico sociali, l'indice è di 100 per l'Italia; di 84,45 per il Mezzogiorno; di 66,16 per la Sardegna;
è indispensabile per questo motivo proporre e definire un criterio parametrato che impedisca nel futuro uno squilibrio economico-finanziario di tale rilevanza, evitando di porre in essere atti che compromettano la coesione nazionale incidendo sull'uguaglianza tra cittadini di uno stesso Stato e sulla stessa unità nazionale;
va definito un nuovo assetto del patto di stabilità per la Sardegna in considerazione della sua condizione insulare con l'attuazione dell'articolo 5-bis del decreto-legge n. 138 inserito dalla legge di conversione 14 settembre 2011, n. 148;
il decreto-legge n. 138 «Art. 5-bis. - (Sviluppo delle regioni dell'obiettivo convergenza e realizzazione del Piano Sud)» ha previsto al comma 1: «Al fine di garantire l'efficacia delle misure finanziarie

per lo sviluppo delle regioni dell'obiettivo convergenza e l'attuazione delle finalità del Piano per il Sud, a decorrere dall'anno finanziario in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, la spesa in termini di competenza e di cassa effettuata annualmente da ciascuna delle predette regioni a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, sui cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari a finalità strutturale, nonché sulle risorse individuate ai sensi di quanto previsto dall'articolo 6-sexies del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, può eccedere i limiti di cui all'articolo 1, commi 126 e 127, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, nel rispetto, comunque, delle condizioni e dei limiti finanziari stabiliti ai sensi del comma 2 del presente articolo. 2. Al fine di salvaguardare gli equilibri di finanza pubblica, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale e di intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano da adottare entro il 30 settembre di ogni anno, sono stabiliti i limiti finanziari per l'attuazione del comma 1, nonché le modalità di attribuzione allo Stato ed alle restanti regioni dei relativi maggiori oneri, garantendo in ogni caso il rispetto dei tetti complessivi, fissati dalla legge per il concorso dello Stato e delle predette regioni alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per l'anno di riferimento»;
tale dispositivo, come d'intesa con il precedente Governo, deve essere obbligatoriamente esteso anche alla Sardegna in quanto compresa tra le regioni oggetto delle finalità del piano per il Sud;
la definizione della partita delle entrate oggetto di ricorso alla Corte costituzionale è questione fondamentale per il rispetto delle norme statutarie e la salvaguardia dell'equilibrio finanziario della regione Sardegna;
la legge finanziaria per il 2007, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 299 del 27 dicembre 2006, suppl. ord. n. 244 (finanziaria 2007), era intervenuta, all'articolo 1, commi 838 e seguenti, sull'attuazione delle previsioni dell'articolo 8 dello statuto della regione autonoma della Sardegna;
l'articolo 1, comma 838, della legge finanziaria dello Stato per il 2007 aveva, dunque, inciso su alcune disposizioni relative alle entrate della regione Sardegna come previste dallo statuto speciale della regione. Tale norma prevede altresì che l'attuazione delle previsioni relative alla compartecipazione al gettito delle imposte non possa determinare oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato quantificati in alcune cifre precise per gli anni dal 2007 al 2009 (344 milioni di euro per il 2007, 371 milioni di euro per il 2008 e 482 milioni di euro per l'anno 2009);
sempre il comma 838 prevede - all'ultimo periodo del comma stesso - che la nuova compartecipazione della regione Sardegna al gettito erariale entra a regime dal 2010;
il comma 840 stabilisce che per gli anni 2007, 2008 e 2009 gli oneri relativi alle funzioni trasferite alla regione Sardegna - come previsto dal comma 837 - restino a carico dello Stato;
comparando le norme si evince che tutte le competenze che lo Stato ha previsto di «scaricare» alla regione dal 2010 saranno a totale carico della regione senza che sia stata definita la tempistica, la modalità e la quantità delle risorse che lo Stato deve trasferire in funzione delle nuove competenze alla regione rispetto al nuovo assetto delle compartecipazioni;
tale accordo recepito nella finanziaria per il 2007 risultava sin dall'inizio non chiaramente compensato tra le risorse che lo stato doveva trasferire alla regione e l'assunzione di nuovi oneri da parte della regione stessa;

il rinvio al 2010 delle relative compensazioni da parte dello Stato era risultato sin dal primo istante aleatorio e indefinito ai fini di una certezza economica, finanziaria e contabile per le entrate della regione Sardegna;
l'iscrizione delle somme delle entrate compensative nella proposta di bilancio e nella finanziaria, sin dal 2010, della regione impone una risposta immediata sulle procedure che la ragioneria generale dello Stato intende adottare per compensare quelle risorse;
avendo Stato e regione deciso di definire attraverso quelle che all'interrogante appaiono ulteriori, inutili e pleonastiche norme attuative la definizione di quelle risorse da trasferirsi e poiché le stesse norme, approvate dalla commissione paritetica, sono state ratificate dalla regione Sardegna ma non dal Governo si rende indispensabile definire una soluzione senza attendere il pronunciamento della Corte costituzionale chiamata a pronunciarsi su ricorso della regione Sardegna;
le decisioni della commissione europea di bloccare l'esportazione suinicola della Sardegna costituisce il presupposto per un disastro economico sociale gravissimo per il quale si rendono necessari provvedimenti urgenti tesi ad eliminare vincoli e limitazioni al settore zootecnico sardo già duramente gravato dalla condizione insulare e oggi pesantemente condizionato da emergenze sanitarie illogiche e irrazionali;
occorre definire e attivare quanto prima un corridoio sanitario fattivamente e puntualmente controllato che garantisca la salvaguardia delle 469 aziende suinicole virtuose accreditate come indenni dalla «peste suina» e certificate secondo le regole della biosicurezza. Il blocco delle esportazioni rappresenta un danno gravissimo per la filiera suinicola sarda distogliendo dal libero mercato carni che risultano sotto ogni punto di vista sane e controllate. Sarebbe assolutamente illogico, irrazionale e di dubbia legittimità avere tutte le certificazioni e poi vietare le esportazioni;
la mancata attuazione di accordi per la dismissione del patrimonio militare già individuato e la dismissione del patrimonio militare relativo a immobili ubicati in aree strategiche per lo sviluppo delle comunità locali e occupate da servitù militari inutilizzate o sottoutilizzate rende indispensabile un nuovo tavolo di concertazione Stato-regione;
risulta indispensabile attivare con urgenza un tavolo di concertazione tra lo Stato e la regione Sardegna al fine di definire l'attuazione degli accordi già sottoscritti. Nel contempo è indispensabile avviare un confronto sulla dismissione delle aree strategiche nei centri abitati della Sardegna a partire da quelle ubicate sul lungo mare della città di Cagliari. Risultano aree e immobili sottoutilizzati che potrebbero essere facilmente rifunzionalizzati a progetti di sviluppo strategici per l'isola -:
se il Presidente del Consiglio non ritenga di dover attivare la ripresa di un apposito tavolo di verifica e di attuazione relativamente alla questione sarda;
se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti non intenda assumere ogni iniziativa di competenza affinché vi sia l'accettazione degli oneri del servizio pubblico da parte delle compagnie aeree così come previsto nei propri decreti scongiurando il ricorso alla gara internazionale che rischia di compromettere sia la prossima stagione estiva che l'ordinario servizio che verrebbe in quel caso assegnato in regime di esclusiva ad una sola compagnia aerea;
se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti non intenda attivarsi nelle more della definizione del contenzioso europeo sulla vendita di Tirrenia, per una revisione sostanziale delle convenzioni per la continuità territoriale marittima al fine di garantire per il 2012 un servizio di

trasporto marittimo commisurato alle sovvenzioni già garantite alla Tirrenia per oltre 72 milioni di euro all'anno;
se il Ministro dello sviluppo economico dopo la definizione dell'autorizzazione finale relativa alla realizzazione del metanodotto Algeria-Sardegna-Europa non intenda attivarsi con gli operatori internazionali al fine di definire entro il mese di gennaio il planning operativo per l'avvio della realizzazione del metanodotto stesso;
se il Ministro dell'economia e delle finanze non intenda assumere adeguate iniziative normative in linea con quanto contenuto nella proposta di legge presentata alla Camera dei deputati n. 4702 relativamente alla vertenza Equitalia e al rischio di fallimento per decine di migliaia di imprese sarde;
se il Ministro della coesione territoriale, di concerto con quello dell'economia e delle finanze, dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti, non ritenga di dover promuovere iniziative normative urgenti al fine di definire la questione insularità con l'esigenza di dare attuazione all'articolo 22 della legge n. 42 del 2009;
se il Ministro dello sviluppo economico non ritenga indispensabile proporre adeguate soluzioni alle principali questioni industriali della Sardegna, dalla vicenda Alcoa e dal rilancio produttivo dell'alluminio primario alla definizione della ripresa produttiva della società Eurallumina, dalla realizzazione del sistema integrato miniera Carbosulcis - centrale, alla ripresa produttiva della Vinilys di Portotorres fino alla definizione dell'assetto energetico per gli stabilimenti energivori del Sulcis e quelli della Ottana Energia, ex Enichem di Ottana;
se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti non ritenga di adottare iniziative e quali relativamente alla questione infrastrutturale sarda con la definizione degli interventi nell'ambito della piastra logistica euromediterranea;
se il Ministro dell'economia e delle finanze non ritenga indispensabile e urgente promuovere la definizione di un nuovo assetto del patto di stabilità per la Sardegna, in considerazione della sua condizione insulare con l'attuazione dell'articolo 5-bis della legge n. 148 del 14 settembre 2011;
se il Ministro dell'economia e delle finanze non ritenga necessario predisporre adeguati e urgenti iniziative necessarie alla definizione della partita delle entrate oggetto di ricorso alla Corte costituzionale;
se il Ministro della salute non ritenga necessario individuare e proporre iniziative o provvedimenti urgenti tesi ad eliminare vincoli e limitazioni ai settori lattiero caseario e zootecnico sardo già duramente gravati dalla condizione insulare e oggi aggravati da quelle che all'interrogante appaiono inesistenti emergenze sanitarie;
se il Ministro della difesa non intenda promuovere un processo di dismissione del patrimonio militare relativo a immobili ubicati in aree strategiche per lo sviluppo delle comunità locali e occupate da servitù militari inutilizzate o sottoutilizzate.
(4-14899)

...

AFFARI ESTERI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri, per sapere - premesso che:
dagli inizi del 2011 i Paesi del Maghreb e del Mashrek sono stati investiti da una grave e violenta crisi politica, sociale ed economica (cosiddetta «primavera araba»);
nel marzo del 2011, le proteste sono giunte anche in Siria, dove è in atto una dura rivolta contro il regime alawita di Bashar Al Assad;

di fronte alle violenze e alla crisi diplomatica internazionale, anche il nostro Paese - che è stato per lungo tempo uno dei principali partner commerciali della Siria - nei giorni scorsi ha deciso di richiamare a Roma l'ambasciatore italiano presente in Siria: nel 2010, secondo dati dell'Istituto nazionale per il commercio estero, l'interscambio tra Siria e Italia aveva toccato 2,3 miliardi di euro (il 102 per cento in più rispetto al 2009) ma, dopo le forti sanzioni economiche approvate nel settembre 2011 dall'Unione europea, allo scopo di infliggere un duro colpo agli interessi del regime siriano (la Siria, infatti, esporta il 90 per cento del suo petrolio ai paesi dell'Unione europea), l'Italia ha azzerato gli acquisti di greggio, che prima della rivolta rappresentavano quasi il 4 per cento dell'import complessivo;
per fronteggiare la difficile crisi, la Lega araba - dopo il recente veto della Russia e della Cina alla risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di condanna della repressione in Siria - ha assunto decisioni significative volte a rafforzare la pressione internazionale sul regime di Damasco;
nella riunione dei Ministri degli esteri - tenutasi il 12 febbraio 2012 nella capitale egiziana - infatti, è stato approvato a maggioranza un documento in cui si richiede l'invio di una forza di pace mista, composta da rappresentanti arabi e scelti dalle Nazioni Unite finalizzata a porre fine ai massacri che da undici mesi insanguinano il Paese, si condanna la repressione violenta delle proteste contro il regime di Bashar Al Assad, si invitano i Paesi arabi a sospendere ogni forma di cooperazione diplomatica con Damasco, e si chiede, inoltre, l'intensificarsi delle sanzioni economiche e l'apertura di «canali di comunicazione con le opposizioni»;
le reazioni non si sono fatte attendere: il portavoce della responsabile per la politica estera europea ha affermato che l'Unione europea accoglie con favore l'iniziativa della Lega Araba, inclusa la richiesta al Consiglio di Sicurezza di formare una missione di peacekeeping congiunta Onu-Paesi arabi per mettere fine alle violenze così come il Ministero degli affari esteri ha già fatto sapere che è necessario assicurare un forte sostegno politico all'opposizione siriana; se da Mosca è arrivata una timida apertura all'invio dei caschi blu in Siria - per il portavoce della diplomazia russa, infatti, occorre mettersi preventivamente d'accordo sul «cessate il fuoco» - e dalla Cina si è fatto sapere che qualsiasi «azione delle Nazioni Unite dovrà puntare a porre fine alle violenze nel Paese, favorendo il dialogo politico, invece di rendere la questione più complicata», ciò che, invece, seriamente preoccupa è l'immediata risposta del Governo di Damasco che, non solo ha respinto la proposta, definendola una palese interferenza, ma ha, altresì, ripreso la sua offensiva contro la «ribelle» Homs;
al di là delle inevitabili ripercussioni sugli assetti politico-istituzionali dell'intera area geografica, tale situazione sta generando un forte «allarme» umanitario per i violenti massacri che da mesi si stanno perpetrando ai danni della popolazione civile;
l'Alto Commissario dell'ONU per i diritti umani, infatti, nei giorni scorsi ha denunciato che «la mancanza di un accordo nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu sulla Siria sembra aver incoraggiato le autorità di Damasco a portare avanti un massacro ancora più indiscriminato di dissidenti» e «crimini contro l'umanità»; egli ha, inoltre, aggiunto che i morti, nel 2011, sono stati circa 5.400, mentre solo negli ultimi dieci giorni, più di 300 persone sono state uccise negli «attacchi indiscriminati» compiuti contro i civili a Homs; ci sarebbero, inoltre, 18.000 siriani ancora detenuti, 25.000 rifugiati e 70.000 sfollati; inoltre, il portavoce dell'Unicef, Marixie Mercado, ha affermato che, da marzo 2011 a gennaio 2012 è stata compiuta una sistematica strage di bambini: almeno 400 sarebbero stati uccisi dall'inizio della crisi

ed altri 400 sarebbero detenuti in carcere arbitrariamente, forse torturati e abusati sessualmente;
ad aggravare e rendere ancora più preoccupante lo scenario internazionale contribuiscono le recenti dichiarazioni provenienti da alcune fonti laiche, oltre che da alcuni esponenti delle comunità religiose presenti nel Paese mediorientale, che parlano di un forte divario tra la reale situazione sperimentata dalla popolazione e quella, invece, veicolata dai media internazionale, i quali, «falsando i dati», presenterebbero come una insurrezione popolare contro il Governo di Damasco quello che, invece, si profila come un «tentativo di sovversione istigato da forze in gran parte estranee al Paese»; sembra che ciò che agita effettivamente l'Occidente sia il fatto che a Damasco abbiano sede Hezbollah, che coltiva legami stretti con l'Iran, e l'ufficio politico di Hamas;
la situazione politica ed umanitaria sta diventando estremamente drammatica ed esplosiva: l'inasprirsi, soprattutto degli ultimi giorni, rischia di provocate delle inevitabili e gravi ripercussioni sui già delicati equilibri dell'intero territorio mediorientale per cui risulta quanto mai urgente e prioritario un decisivo ed unanime intervento della comunità internazionale -:
se non ritenga opportuno fornire ulteriori e più dettagliati elementi sul grave evolversi della crisi siriana, e quali iniziative di competenza intenda assumere, anche di concerto con le istituzioni europee, al fine di far cessare ogni forma di violenza e di fermare il grave conflitto che sta investendo l'intero Paese.
(2-01362) «Di Biagio, Della Vedova».

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri, il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione, per sapere - premesso che:
il Ministro Andrea Riccardi, in audizione davanti alle Commissioni esteri di Camera e Senato il 1o febbraio 2012, ha dato notizia che si registra in Italia in particolare in Puglia un aumento di arrivi di copti dall'Egitto, in seguito alle violenze che si sono verificate negli ultimi mesi ai danni della comunità. Nel corso della stessa audizione il Ministro ha ribadito che «il Governo italiano presta molta attenzione alla tutela delle minoranze religiose»;
il Ministro degli affari esteri, Giulio Terzi di Sant'Agata, in una lettera al quotidiano Avvenire il 12 gennaio del 2012 ha ricordato come l'Italia abbia contribuito ad una «importante risoluzione del Consiglio sulla difesa delle libertà religiose dopo i violenti attacchi contro le comunità copte in Egitto» e abbia sostenuto l'«esigenza di interventi incisivi in difesa delle minoranze religiose e cristiane» -:
se il Governo sia in possesso di ulteriori notizie sui fatti rappresentati dal Ministro Riccardi;
quale entità abbia questo fenomeno della diaspora dei copti egiziani e come si stia ponendo la comunità internazionale dinanzi ad esso;
se da parte dei copti profughi in Italia ci sia stata richiesta di asilo politico e come il Governo intenda rispondere;
quali siano state e tuttora siano le tutele che il Governo italiano ha richiesto alle autorità egiziane e quali risposte abbia avuto e se abbia fatto passi formali in questo senso;
come la comunità internazionale abbia risposto, al di là delle dichiarazioni di principio, alle sollecitazioni dell'Italia su questa situazione drammatica;
più in generale quale sia oggi la situazione della libertà religiosa e la condizione delle minoranze in Egitto.
(2-01363)
«Renato Farina, Pianetta, Lazzari, Volontè, Frattini, Barbi, Touadi, Boniver, Narducci, Allasia, Mussolini, Scandroglio, Sbai, Roccella, Biancofiore, Malgieri, Gioacchino

Alfano, Landolfi, Repetti, Lanzarin, Vella, De Camillis, Savino, Paniz, Nizzi, Raisi, Centemero, Pagano, Bertolini, Ciccioli, Colaninno, La Loggia, Beccalossi, Abelli, Bocciardo, De Angelis, Baccini, Di Centa, Papa, Mazzocchi, Scapagnini, Vincenzo Antonio Fontana, Galati, Frassinetti, Casero, Vignali».

Interrogazione a risposta in Commissione:

MELIS e NARDUCCI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
l'11 gennaio 2012 alle ore 15 circa, il cittadino italiano Stefano Salaris, incensurato, residente a Ittiri (provincia di Sassari) giungeva all'aeroporto di Boston, munito di regolare passaporto e di visto di ingresso per turismo per far visita al fratello Gian Luca, che da circa 10 anni vive a Boston dove ha anche messo su famiglia;
superata la dogana, all'ufficio immigrazione, dopo attenta perquisizione e lungo interrogatorio, l'ufficio stesso eccepiva che il permesso di soggiorno di Gian Luca era scaduto. Pertanto tratteneva il Salaris Stefano presso l'ufficio. Avendo questi richiesto di essere messo in contatto col consolato italiano, gli veniva di fatto negato; avendo richiesto l'aiuto di un interprete, non conoscendo il Salaris bene la lingua inglese, gli veniva fornito un interprete con scarsa conoscenza dell'italiano; trascorsa in aeroporto la notte dell'11 in una stanza senza alcun tipo di conforto, il 12 a metà mattinata veniva trasferito in un primo carcere e quindi in un secondo, il carcere di Sufolk. I trasferimenti avvenivano in manette e coi piedi ugualmente incatenati (come da regolamento, gli veniva spiegato). A nulla valevano le sue rimostranze. In carcere gli venivano sequestrati tutti gli effetti personali, fatta indossare la tuta arancione in dotazione ai carcerati ed era rinchiuso in una cella assieme a persone di varia nazionalità ivi detenute;
la carcerazione del Salaris durava tre notti, senza che vi fossero comunicazioni esterne. Solo grazie al prestito di una carta telefonica da parte di un compagno di cella riusciva infine a chiamare il consolato, il che gli valeva prima il trasferimento in cella singola (13 gennaio) e poi, finalmente, ma dopo tre giorni di detenzione, il trasferimento in aeroporto (14 gennaio verso le 12);
solo il 15 gennaio Salaris rientrava a Roma, ove veniva preso in consegna dalla polizia italiana e accompagnato ai voli nazionali per proseguire verso la Sardegna -:
se il Ministro sia stato posto tempestivamente a conoscenza della gravissima vicenda, se il consolato italiano a Boston abbia ugualmente tempestivamente agito in favore del nostro connazionale, se infine le autorità diplomatiche italiane abbiano chiesto alle autorità statunitensi, sia pure posteriormente ai fatti, i chiarimenti dovuti;
quali determinazioni intenda assumere il Ministro per impedire che fatti di analoga gravità abbiano a verificarsi in simili circostanze.
(5-06164)

Interrogazioni a risposta scritta:

GARAVINI e PORTA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
la condizione degli italiani residenti all'estero, sotto il profilo dei servizi amministrativi e dell'esigibilità dei diritti sociali, ha subito un obiettivo e progressivo arretramento a causa, da un lato, della contrazione della rete diplomatico-consolare e della scarsa dotazione di personale, dall'altro, della limitazione degli interventi di carattere assistenziale e previdenziale;
a fronte di questa situazione, i patronati italiani operanti all'estero si sono

sempre più caratterizzati come una struttura di vero e proprio segretariato sociale e di mediazione tra gli utenti e i diversi rami dell'amministrazione dello Stato, surrogando di fatto alcune funzioni di servizio ai cittadini, che non sempre si sono dimostrate adeguate attraverso le prestazioni dell'amministrazione pubblica;
l'impegno dei patronati, che spesso va al di là dei loro compiti istituzionali, è apprezzato da un vasto numero di cittadini all'estero, che lo considerano essenziale per la tenuta sociale delle comunità;
il Governo presieduto dal senatore Monti e, in particolare, alcuni suoi componenti, sulle politiche migratorie hanno dimostrato una volontà di dialogo e di apertura ad un nuovo confronto, dopo anni di chiusura e di disimpegno;
un segnale di questo nuovo atteggiamento è costituito dal recente incontro tra il Ministro interrogato e il presidente dell'Inps Antonio Mastropasqua, nel quale si sono affrontati i temi della semplificazione delle procedure, dell'informatizzazione e della verifica delle pratiche pensionistiche, oltre che di un più attento sostegno previdenziale alle imprese straniere che intendano operare in Italia;
l'incontro tra il Ministro e il presidente Mastropasqua, ha consentito di ipotizzare la messa a punto di un possibile accordo tra il Ministero degli affari esteri e l'Inps, volto a migliorare la gestione del sistema pensionistico degli italiani all'estero e a semplificare le procedure ad esso connesse;
una tale ipotesi, da considerare con favore, resterebbe parziale e insufficiente se non fosse accompagnata dalla stipula della convenzione tra il Ministero degli affari esteri e i patronati, che della prima rappresenta la più importante traduzione operativa;
tale possibilità è espressamente prevista dalla legge 30 marzo 2001, n. 152, recante «Nuova disciplina per gli istituti di Patronato e di assistenza sociale», che agli articoli 7 e 8 riconosce ai patronati italiani l'attività d'informazione e assistenza a favore anche dei residenti all'estero, e, all'articolo 11, prevede lo svolgimento di attività di supporto alle autorità diplomatiche e consolari, sulla base di apposite convenzioni con il Ministero degli affari esteri -:
se non ritenga opportuno arrivare al più presto alla stipula della convenzione con i patronati italiani, per consentire, alle strutture consolari di essere formalmente supportate nei loro crescenti e complessi compiti, e ai cittadini di godere di una più efficace erogazione dei servizi.
(4-14861)

DI PIETRO. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
il comma 6 dell'articolo 14 della legge n. 401 del 1990 ha previsto che la funzione di direttore, per gli Istituti Italiani di cultura all'estero, può essere conferita a «persone di prestigio culturale ed elevata competenza anche in relazione alla organizzazione della promozione culturale, con le procedure di cui all'articolo 168 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, e successive modificazioni»;
l'articolo 168 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18 sancisce che: «qualora per speciali esigenze anche di carattere tecnico o linguistico non possa farsi ricorso per incarichi presso uffici all'estero ad esperti tratti dal personale dello Stato e da Enti pubblici, l'Amministrazione degli affari esteri può utilizzare in via eccezionale e fino ad un massimo di dieci unità, persone estranee alla pubblica Amministrazione purché di notoria qualificazione nelle materie connesse con le funzioni del posto che esse sono destinate a ricoprire. Le persone predette devono essere in possesso della cittadinanza italiana, in età compresa tra i trentacinque e i sessantacinque anni e godere di costituzione fisica idonea ad affrontare il clima della sede cui sono destinate»;

l'età anagrafica, così come avviene per la figura del senatore a vita, non può e non deve costituire un ostacolo insormontabile al ricorso, da parte dello Stato, a personalità che hanno acquisito negli anni una indiscussa professionalità e che hanno reso onore al nostro Paese;
la nostra società, dalla pubblicazione del sopracitato decreto del Presidente della Repubblica, è stata interessata non solo da un considerevole innalzamento della durata media della vita, ma anche da un marcato miglioramento della qualità della vita stessa anche in età avanzata;
la promozione della cultura italiana nel mondo rappresenta, nel Terzo Millennio, un settore assolutamente strategico sotto tutti i profili;
gli Istituti Italiani di Cultura all'estero sono, all'80 per cento dei casi, retti da addetti con scarsa esperienza, mentre la maggior parte dei Direttori è in quiescenza;
il livello qualitativo dell'offerta culturale degli Istituti all'estero si è abbassato notevolmente -:
se non ritenga opportuno adottare, nei confronti dei dieci direttori di «chiara fama», tutte le misure necessarie al fine di eliminare ogni elemento ostativo relativo all'età, affinché si possa mettere, a costo zero, «la persona giusta al posto giusto» dando spazio alla provata professionalità e dedizione di coloro che per anni hanno contribuito ad elevare il prestigio culturale del nostro Paese.
(4-14875)

D'ALESSANDRO. - Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il pluriassassino Cesare Battisti continua a provocare lo Stato italiano e a oltraggiare per l'ennesima volta la memoria delle vittime dei gravissimi reati per cui è stato condannato all'ergastolo con sentenze definitive e inoppugnabili, a giudizio dell'interrogante, irridendo quanti ancora piangono i loro cari con l'annuncio di voler sfilare al carnevale di Rio de Janeiro;
il Governo brasiliano ha rinnegato e vanificato ogni sentimento di amicizia con l'Italia, non solo attraverso le critiche mosse al nostro ordinamento giudiziario da parte della Corte suprema brasiliana, ma anche con l'ultimo atto del Presidente Lula, che nel giugno 2011, a pochi giorni dalla scadenza del suo mandato, ha prima negato l'estradizione in Italia di Cesare Battisti, per poi addirittura deciderne la liberazione;
il Governo Berlusconi, d'intesa con tutte le altre parti politiche, ha condannato tale decisione ad avviso dell'interrogante vergognosa, perché lesiva degli accordi e dell'amicizia tra i due Paesi, in quanto Battisti tutto è tranne che un perseguitato politico;
malgrado i passati rapporti cordiali con il Brasile, messi in serio pericolo dagli eventi di questi ultimi mesi, il Governo Berlusconi si era detto intenzionato a ricorrere al tribunale dell'Aja contro l'assurda e incomprensibile decisione della Corte suprema brasiliana;
invece di mantenere un atteggiamento sobrio e rispettoso del dolore di tante persone - così ringraziando implicitamente per la «grazia» ricevuta in modo di fatto immeritato - Cesare Battisti ha continuato a comportarsi in modo inaccettabile;
si è fatto beffe dello Stato italiano e della sua giustizia, ha irriso le sue vittime vive - pur se ridotte su una sedia a rotelle o morte - e ora si appresta a sfilare per le vie di Rio de Janeiro per celebrarne il carnevale, raggiungendo l'apice di quello che appare all'interrogante uno sfrontato, vergognoso atteggiamento, con foto che lo ritraggono sorridente e divertito, per nulla pentito dei suoi sanguinosi misfatti che solo menti generose e smemorate riescono a definire atti di terrorismo, mentre invece

non sono altro che squallidi delitti commessi da un volgare assassino -:
quali iniziative il Governo intenda intraprendere presso il Governo brasiliano per proseguire nel solco delle iniziative poste già in essere dal Governo Berlusconi, perché tale vicenda non venga sottovalutata né dimenticata e affinché Cesare Battisti venga finalmente restituito alla giustizia italiana per scontare quella pena inflittagli in modo definitivo per i suoi gravi reati.
(4-14888)

...

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta immediata:

BOSI, POLI, BONCIANI, GALLETTI, DIONISI, LIBÈ, MONDELLO, COMPAGNON, CICCANTI, NARO e VOLONTÈ. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
è ormai trascorso un mese dal naufragio della «Costa Concordia»; è di questi giorni la notizia dell'avvio, grazie anche alle buone condizioni meteorologiche, del recupero del combustibile presente a bordo della nave, ma resta immutato il rischio di danni alla salute dell'ecosistema marino e dell'intera economia del tratto di mare che si estende ben oltre l'Isola del Giglio, coinvolgendo tutto il litorale dell'arcipelago toscano;
la «Costa Concordia» contiene, come indicato nel comunicato stampa della protezione civile, circa 2000 di tonnellate di 18 diverse sostanze altamente inquinanti: non solo gasolio, ma anche acetilene, oli e grassi lubrificanti, smalti, insetticidi e ipoclorito di sodio (candeggina);
a questo elenco occorre anche aggiungere gli oltre 1300 metri cubi di acque grigie e nere e l'innalzamento dei livelli di tensioattivi, il cui sversamento potrebbe alterare l'equilibrio dell'ecosistema;
se, da un lato, sembra diminuire il pericolo dell'inabissamento, cresce, invece, l'allarme per l'evidente fenomeno di schiacciamento del relitto, che può essere destinato a danni strutturali irreversibili con il decorrere del tempo;
resta, poi, sempre il problema della rimozione del relitto stesso;
allo stato, quindi, non si conosce la valutazione dell'entità dei danni ambientali, presenti e futuri, che possono determinarsi con il decorso del tempo;
risulta non definito il ruolo di coinvolgimento di tutte le componenti specialistiche per le attività marinare (Marina militare, capitanerie di porto ed esperti di cantieristica nautica) e se si prevede il potenziamento complessivo delle forze addette al recupero del relitto ed una precisa assegnazione di compiti -:
se le previsioni, più volte annunciate, di circa 7 mesi per la rimozione del relitto vengano ad oggi confermate, o se si ritenga di riuscirvi in un minor tempo, e quale sia il progetto particolareggiato per la soluzione più rapida del problema.
(3-02105)

Interrogazione a risposta in Commissione:

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
non è ancora pervenuta risposta all'interrogazione n. 5-05670 presentata in Commissione ambiente in data 8 novembre 2011 e concernente la realizzabilità di una discarica temporanea in località Corcolle-San Vittorino, interessata da vincoli imposti dal piano di bacino stralcio per l'area metropolitana del Tevere (PS5), di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 marzo 2009 e dal piano di gestione dell'appennino centrale;
da notizie assunte a mezzo degli organi di stampa risulta che l'autorità di bacino del fiume Tevere abbia espresso il

proprio parere critico circa la realizzabilità della discarica al movimento «NO ALLE DISCARICHE», che ne aveva precedentemente sollecitato il pronunciamento;
sempre da organi di stampa si è appreso che la progettazione della discarica temporanea sarebbe giunta a livello di progettazione preliminare -:
quali urgenti iniziative intenda eventualmente assumere il Ministro interrogato, anche nella sua qualità di proponente del citato PS5, per garantire il rispetto di normative che escludono la possibilità di qualsiasi realizzazione nell'area in esame.
(5-06152)

Interrogazione a risposta scritta:

PIFFARI e CIMADORO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
con il decreto-legge 14 novembre 2003, n. 314 convertito dalla legge 24 dicembre 2003, n. 368, recante disposizioni urgenti per la raccolta, lo smaltimento e lo stoccaggio, in condizioni di massima sicurezza, dei rifiuti radioattivi il legislatore interveniva urgentemente a disciplinare la questione d'interesse nazionale relativa allo stoccaggio e messa in sicurezza del materiale radioattivo presente su tutto il territorio italiano. La necessità della creazione di un deposito nazionale appariva quale unica soluzione per il contenimento dei rifiuti ad alta contaminazione e della loro concentrazione. La società SOGIN veniva individuata, ex articolo 1, p. 2, quale ente responsabile della realizzazione del deposito nazionale;
si è appreso da un articolo pubblicato dal sito tiscali.it, in data 12 ottobre 2011, che la società SOGIN, come espressamente indicato dalla legge 314 del 2003, avrebbe reso noto l'individuazione definitiva dei 50 siti potenzialmente idonei ad ospitare il deposito nazionale per le scorie nucleari. La realizzazione del sito di stoccaggio, sempre citando quanto espresso dalla SOGIN nell'articolo menzionato, non verrebbe completato primo dell'anno 2015;
come riportato dalla classificazione dell'autorità statunitense per la protezione ambientale EPA (enviromental protection agency) (epa.gov), il cesio-137 è un isotopo radioattivo del metallo alcalino, che si forma principalmente come un sottoprodotto della fissione nucleare dell'uranio. Il cesio-137 sempre dalla classificazione EPA, può entrare a contatto con l'ambiente grazie ad una varietà di cause. La principale fonte nel passato, è stata fornita dallo ricaduto atmosferica dei test avvenuti con armi nucleari negli anni 1950/60, che disperse Cesio-137 in tutto il nostro continente e nel resto del mondo. Altra grave dispersione in Europa, fu dovuta alla fuga di materiale radioattivo in seguito all'incidente del reattore nucleare di Chernobyl nel 1986. Oltre ai casi prettamente legati all'utilizzo dell'energia nucleare o ai suoi incidenti, la dispersione dell'isotopo, sempre rapportandosi alla classificazione EPA, può avvenire anche con gli scarti di materiali contenenti cesio-137. Chiunque dovesse gestire inconsapevolmente questi materiali sarebbe esposto alla contaminazione da cesio-137. I materiali di scarto più comuni individuati dal rapporto, sono quelli tipicamente legati al metallo, e possono trovarsi agevolmente tra i rottami. Il rapporto EPA in merito ai pericolosi residuati sovra citati recita: «If they find their way into a steel mill and are melted, they can cause significant enviromental contamination... These devices should be considered dangerous.» Tradotto: «Se trovano la loro strada in un'acciaieria e si fondono, possono causare un significativo inquinamento dell'ambiente... questi dispositivi devono essere considerati pericolosi»;
sugli effetti della contaminazione da cesio-137, la letteratura medica (epa.gov) si è espressa senza mezzi termini. Come per tutti i radionuclidi, l'esposizione a radiazioni da cesio-137 si traduce in un aumentato

rischio di cancro. L'esposizione ai materiali di scarto, proveniente da siti contaminati o da incidenti nucleari può comportare rischi di cancro molto più elevati rispetto a tipiche esposizioni ambientali. La grandezza del rischio per la salute dipende dalle condizioni di esposizione. Questi includono fattori quali la forza della fonte, la durata dell'esposizione, la distanza dalla sorgente, il tipo di schermatura tra la sorgente (come un adeguato rivestimento metallico) e gli individui esposti alla radioattività;
si è appreso, da numerosi articoli apparsi su organi di stampa (quibrescia.it, il Giornale di Brescia, Bresciavera.it), che, dalla relazione dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente lombarda (ARPA), datata 19 settembre 2011, è stato evidenziato un livello di radioattività da cesio-137 ben oltre i limiti imposti dalla legge nel comune di Brescia presso il sito denominato «Ex Cava Piccinelli». La relazione, commissionata dal settore ambiente ed ecologia del comune di Brescia, con nota all'ARPA n. protocollo 54924/10, è stato depositata in data 28 settembre 2011. L'«ex Cava Piccinelli», situata dal 1976 in via Cerca 45, tra i quartieri di San Polo e Buffalora, è ormai da anni in stato di abbandono. Manca la segnaletica di pericolo e la rottura dei teli impermeabili (posizionati nel 1999 dalla ditta Nucleco, che dovevano arginare l'emergenza del Cesio-137 per al massimo due anni), in 12 anni si sono deteriorati e nella discarica abusiva ha cominciato a formarsi percolato radioattivo. La copertura con i teli in PVC doveva essere una soluzione in vista della bonifica definitiva dell'area interessata con un progetto elaborato e approvato dall'Asl il 2 luglio del 1998, ma che non ha mai visto il completamento. Nell'anno 2004, l'ARPA pianifica una rete di monitoraggio con l'installazione di quattro piezometri. Nell'agosto del 2010, sulla scorta dell'idea di realizzare il parco dello sport nell'area cave, di cui la ex Piccinelli fa parte, l'amministrazione comunale chiede all'ARPA nuove analisi. Dalla relazione dell'ultimo campionamento eseguito dall'ARPA emerge che: «... si evidenzia la presenza, in entrambi i piezometri, di tetracloroetilene oltre i limiti previsti... è stata riscontrata la presenza di cromo esavalente oltre i limiti di legge». Per quanto riguarda la soluzione del 1999, l'Agenzia per la protezione ambientale denuncia che: «... È stato possibile constatare il loro significativo stato di usura e degrado». Un deterioramento che, secondo l'ARPA: «costituisce, insieme alla presenza di vegetazione cresciuta nelle aree contaminate, un importante elemento di criticità ambientale». Le conclusioni delle analisi confermano, dunque, che: «...si possono originare fenomeni di percolazione nel terreno delle acque con il conseguente trasporto di cesio, elemento fortemente solubile, verso gli strati più profondi del suolo» e che «Le misure di messa in sicurezza ante litteram potrebbero non essere più efficaci e portare all'assorbimento del cesio negli strati più bassi del terreno. Ciò appare probabile a causa dell'innalzamento della falda stessa» -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza della grave situazione di inquinamento ambientale venutasi a creare nel comune di Brescia presso la cava denominata «ex Piccinelli»;
quali iniziative, per quanto di competenza, intendano assumere in relazione alla gravissima minaccia incombente sui cittadini dell'area interessata e per scongiurare le drammatiche ripercussioni che il protrarsi di questa situazione potrebbe comportare per l'ambiente e per la salute pubblica in generale.
(4-14873)

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BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

PICIERNO e GRAZIANO. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
la reggia di Carditello, in provincia di Caserta, è una struttura settecentesca in

stile neoclassico di preziosa fattura costruita dall'architetto Francesco Collencini, allievo e collaboratore di Luigi Vanvitelli;
la residenza reale, destinata da Carlo di Borbone a residenza di caccia e allevamento di cavalli, era uno dei siti che si fregiava del titolo di «Reale Delizia» per le piacevoli permanenze che il contesto boschivo e l'attività di caccia offrivano al re;
all'interno della struttura settecentesca si trovano affreschi di Jakob Philipp Hackert, amico di Goethe e pittore di corte con Ferdinando IV di Borbone, e di Fedele Fiaschetti;
nel 1919 gli immobili e l'arredamento del sito reale passarono all'Opera nazionale combattenti che procedette alla lottizzazione e vendita dei terreni, esclusi il fabbricato centrale e i 15 ettari circostanti che nel secondo dopoguerra entrarono a far parte del patrimonio del consorzio generale di bonifica del bacino inferiore del Volturno;
negli anni la reggia è stata abbandonata fino a raggiungere uno stato di degrado e d'incuria che la rende oggi facile oggetto di vandalismi e furti costanti durante le recenti notti;
il complesso monumentale insiste su un'area di circa 80.000 metri quadri e 150.000 metri quadri di terreno circostante;
il consorzio generale di bonifica ha maturato negli anni una situazione economica debitoria, cui non è in grado di assolvere, con l'ex Banco di Napoli, ora Banca Intesa, e questi, attraverso la società Sga, ha avviato le procedure per vendere all'asta la reggia;
con ordinanza del 27 gennaio 2011 il tribunale di Santa Maria Capua Vetere dispone la vendita all'asta per il 15 marzo 2012 del complesso monumentale al prezzo base di euro 5.000.000,00;
la Sga ha dato la disponibilità a vendere il complesso alla regione Campania per euro 9.000.000,00;
il consiglio regionale campano non ha approvato nella legge finanziaria per l'anno 2012 la programmazione di tale spesa -:
se il Ministro sia a conoscenza delle situazioni di fatto in premessa; se intenda intervenire, per quanto di competenza, per evitare che il complesso monumentale venga sottratto al patrimonio pubblico e quali iniziative intenda portare avanti per riportare la Reggia di Carditello a far parte a pieno titolo del patrimonio artistico culturale del nostro Paese.
(5-06150)

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DIFESA

Interrogazione a risposta immediata:

DOZZO, BOSSI, LUSSANA, FOGLIATO, MONTAGNOLI, FEDRIGA, FUGATTI, ALESSANDRI, ALLASIA, BITONCI, BONINO, BRAGANTINI, BUONANNO, CALLEGARI, CAPARINI, CAVALLOTTO, CHIAPPORI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, D'AMICO, DAL LAGO, DESIDERATI, DI VIZIA, DUSSIN, FABI, FAVA, FOLLEGOT, FORCOLIN, GIDONI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, GRIMOLDI, ISIDORI, LANZARIN, MAGGIONI, MARONI, MARTINI, MERONI, MOLGORA, LAURA MOLTENI, NICOLA MOLTENI, MUNERATO, NEGRO, PAOLINI, PASTORE, PINI, POLLEDRI, RAINIERI, REGUZZONI, RIVOLTA, RONDINI, SIMONETTI, STEFANI, STUCCHI, TOGNI, TORAZZI, VANALLI e VOLPI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
esistono imprese fornitrici del Ministero della difesa la cui esistenza è minacciata dalla circostanza di non riuscire a riscuotere i crediti vantati nei confronti dell'amministrazione militare;

fra i casi più recenti vi è quello concernente la Mectex, azienda tessile fondata a Lecco nel 1960, che ha fornito alle Forze armate divise e tende realizzate con componenti ad alta intensità di tecnologia, senza ottenere il corrispettivo, e rischia adesso il fallimento;
nei confronti della Mectex il committente militare risulta aver fatto ricorso a tattiche sostanzialmente dilatorie, rinviando le consegne ed i controlli di qualità sul materiale ordinato, prima di emettere valutazioni negative, ad avviso degli interroganti pretestuose;
la circostanza sembra, purtroppo, compatibile con un recente orientamento emerso nell'ambito dell'amministrazione della difesa, per ridurre le spese e disattendere le proprie obbligazioni contrattuali, che ha trovato espressione anche in norme in corso d'introduzione nel codice dell'ordinamento militare, in particolare quelle di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), numero 2, dello schema di decreto legislativo sottoposto all'esame del Parlamento, come atto del Governo n. 404, che novellano l'articolo 541 del codice dell'ordinamento militare;
una disposizione recentemente introdotta all'articolo 4 del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 215, in corso di conversione pare, altresì, implicare l'impossibilità per la difesa di onorare gli impegni contrattuali attingendo «ai fondi destinati al pagamento di spese, principali e accessorie, per servizi e forniture aventi finalità di difesa nazionale e sicurezza», prevedendo, altresì, la nullità degli atti di sequestro e pignoramento afferenti a tali fondi -:
se e in che modo il Ministero della difesa ritenga di potersi ancora rivolgere all'imprenditoria privata, considerato che l'amministrazione militare non appare più in grado di garantire che gli impegni contrattuali vengano onorati.
(3-02103)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IV Commissione:

PORFIDIA. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
era il 1952 quando fu installato nel pontino il centro difesa aerea territoriale proveniente dall'aeroporto di Latina Scalo. Nel corso degli anni il centro si è trasformato in centro traffico aereo e difesa aerea, quindi in brigata tecnica addestrativa per la difesa aerea. L'attività del reparto consiste nell'accentrare in un unico comando la capacità operativa e manutentiva delle forze armate, quindi ottimizzare l'impiego delle risorse umane e finanziarie nei settori della difesa aerea, dell'assistenza di volo e delle telecomunicazioni;
attualmente il centro è sede della Nato communications and information system school, in pratica l'unico centro di addestramento formale della Nato per tutti i sistemi di comunicazione ed informatici per entrambi i comandi strategici della Nato (Aco e Act);
la Scuola Nato di Latina - NCISS (Nato communications and information systems school) - è specializzata in tecnologie per il settore delle comunicazioni ed è considerata centro di eccellenza nella fornitura di addestramento avanzato sul funzionamento, la gestione e la manutenzione dei sistemi di comunicazione ed informatici in uso nella Nato;
la base in questione dovrebbe essere trasferita in Portogallo;
l'annunciata ricollocazione della Scuola in Portogallo avrebbe un impatto negativo sul territorio sia da un punto di vista economico che socio-culturale. Dal punto di vista economico la presenza del personale di staff e degli studenti è stimabile intorno ai 5,5 milioni di euro l'anno. Andrebbero inoltre computati ulteriori 6 milioni di euro una tantum derivanti dalla mancata realizzazione del progetto della IV ala, già approvato e finanziato. Meno

valutabile di quello economico, ma comunque considerevole l'impatto di tipo sociale derivante dal trasferimento;
infatti, come accennato, l'insediamento militare di via delle Chiesuola affonda le radici nella storia stessa della città -:
quali iniziative, di sua competenza, intenda assumere al fine di evitare lo spostamento della scuola NATO-NCISS di Latina.
(5-06153)

PAGLIA. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
la legge 4 novembre 2010, n. 183, ha apportato importanti modifiche, in materia di trasferimenti e permessi, alla legge 5 febbraio 1992, n. 104;
detta normativa sta, tuttavia, incontrando delle serie difficoltà a trovare applicazione tra i militari e gli appartenenti alle forze di polizia;
infatti, non tutte le amministrazioni hanno recepito immediatamente il nuovo dettato normativo, e, pertanto, alcuni militari ed appartenenti alle forze di polizia che si sono visti rigettare le loro istanze di trasferimento sono stati costretti ad adire le competenti sedi giurisdizionali per vedersi riconosciuto un loro legittimo diritto;
nonostante molte pronunce favorevoli (Sentenza n. 1040/11 del TAR Piemonte; Sentenza n. 1687/11 del TAR Toscana; Sentenza n. 1000/11 del TAR Piemonte; Sentenza n. 5887/11 del TAR Campania; Sentenza n. 4266/11 del TAR Lazio), alcune amministrazioni soccombenti si sono appellate al Consiglio di Stato, con l'obiettivo di non rendere applicabile la legge n. 183 del 2010 ai militari ed agli appartenenti alle forze dell'ordine, interpretando in maniera restrittiva l'articolo 19 della legge n. 183 del 2010, il quale stabilisce: «1. Ai fini della definizione degli ordinamenti, delle carriere e dei contenuti del rapporto di impiego e della tutela economica, pensionistica e previdenziale, è riconosciuta la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché dello stato giuridico del personale ad essi appartenente, in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti; 2. La disciplina attuativa dei principi e degli indirizzi di cui al comma 1 è definita con successivi provvedimenti legislativi, con i quali si provvede altresì a stanziare le occorrenti risorse finanziarie»;
in almeno tre occasioni, il Consiglio di Stato ha deciso che, ai sensi dell'articolo 19 della legge n. 183 del 2010, la nuova disciplina potrà trovare applicazione anche per il personale appartenente alle Forze armate, alle Forze di polizia e al Corpo Nazionale dei vigili del fuoco solo quando verranno emanati gli appositi provvedimenti legislativi previsti dal citato articolo 19 (sentenza n. 2707/11 del Consiglio di Stato (sez. quarta); sentenza n. 66/2012 del Consiglio di Stato (sez. quarta); sentenza n. 300/2012 del Consiglio di Stato (sez. quarta);
in almeno altre due occasioni, invece, sempre il Consiglio di Stato si è pronunciato favorevolmente (sentenza n. 7025/11 del Consiglio di Stato (sez. terza); sentenza n. 6987/11 del Consiglio di Stato (sez. terza);
alla luce di tali considerazioni, è evidente che risulta quanto mai urgente intervenire al fine di evitare un'ingiustificata disparità di trattamento nei confronti dei disabili che risultano parenti del personale delle Forze armate al fine di evitare ulteriori disagi per soggetti già fortemente svantaggiati -:
se non ritenga opportuno intervenire, con la massima urgenza, a dare piena e completa attuazione alla normativa citata in premessa, al fine di garantire che anche ai militari siano riconosciuti, ai sensi della

vigente normativa, i permessi di assenza dal lavoro o il trasferimento di sede in caso di familiare disabile e, in ogni caso, quali opportune iniziative di competenza, anche di natura normativa, intenda assumere al fine di chiarire una situazione che rischia di pregiudicare gli elementari diritti di soggetti già gravemente svantaggiati.
(5-06154)

Interrogazioni a risposta scritta:

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
con l'atto di sindacato ispettivo n. 4-05552 gli interroganti avevano chiesto chiarimenti in merito alla vicenda che ha visto l'avviso di un procedimento penale da parte della procura Repubblica presso il Tribunale militare di Roma nei confronti del maresciallo dell'Arma dei carabinieri Antonio Farina, delegato del consiglio di base della rappresentanza militare della legione carabinieri «Lazio»;
sulla rassegna stampa dello Stato maggiore della difesa di giovedì 9 febbraio 2012 è riportato un articolo pubblicato sul sito web «ForzeArmate.org» dal titolo «Carabiniere sindacalista condannato a 9 mesi, ma al Senato c'è chi gli vuole prorogare il mandato in scadenza», nel quale si legge che al citato militare è stata inflitta la pena di nove mesi di reclusione militare a conclusione del processo svoltosi presso il tribunale militare di Roma;
gli interroganti con altri atti di sindacato ispettivo rivolti al Ministro interrogato hanno evidenziato i casi riguardanti altri militari nei cui confronti sono stati adottati provvedimenti della sospensione dal servizio, ancorché fossero stati assolti perché «il fatto non sussiste» o perché «il fatto non costituisce reato», o prosciolti in fase d'indagine -:
quali immediate iniziative intenda adottare nei confronti del maresciallo Farina Antonio e se non ritenga doveroso assumere ogni iniziativa di competenza per sospenderlo dalle funzioni di delegato della rappresentanza militare.
(4-14876)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
sul sito web del Fatto quotidiano il giorno 11 febbraio 2012 è stato pubblicato un articolo a firma di Adele Lapertosa dal titolo «Nel Policlinico militare di Anzio Vent'anni di sprechi e di inefficienze - La struttura dovrebbe ospitare pazienti lungodegenti, dipendenti del ministero della Difesa e delle Forze Armate, al massimo per 60 giorni, e invece è diventata la loro casa da più di 20 anni» in cui si descrive una situazione di degrado e inefficienza nell'ambito delle strutture della Difesa;
dal medesimo articolo si apprende che nella struttura si troverebbero importanti reperti archeologici;
dalle dichiarazioni di un dipendente si apprende inoltre che «[...]"tranne quella dove sono ospitati i degenti, con il tetto ricoperto di amianto e prive di impianto anti-incendio. E la cosa assurda è che l'ispezione per la sicurezza fatta qualche settimana fa ha detto che era tutto in ordine"» -:
se i fatti in premessa corrispondano al vero;
quali siano le opere per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio archeologico esistente nella struttura;
chi abbia effettuato l'ispezione per la sicurezza delle strutture e quale ne sia stato l'esito;
quali immediate iniziative i Ministri interrogati, ciascuno per le proprie competenze, intendano intraprendere in merito.
(4-14878)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il 18 luglio 2005 il brigadiere dell'Arma dei carabinieri Carmelo Vincenzo Guido, presentava una denuncia-querela presso la regione carabinieri Calabria - stazione di Catanzaro Principale, indirizzata alla procura della Repubblica di Catanzaro;
nell'atto il brigadiere rappresentava fatti avvenuti durante il servizio che avevano dato luogo a provvedimenti assunti dall'amministrazione militare lesivi dei suoi interessi;
in data 26 maggio 2006 il pubblico ministero dottor Federico Sergi chiedeva al giudice delle indagini preliminari presso il tribunale di Catanzaro di voler disporre l'archiviazione del procedimento n. 10471/05, dandone avviso, in data 27 settembre 2006, alla parte offesa, brigadiere Guido, che proponeva rituale opposizione nei termini di legge;
il comandante pro tempore della compagnia carabinieri di Soveria Mannelli, in data 6 novembre 2006, chiedeva alla procura della Repubblica presso il tribunale di Catanzaro - polizia giudiziaria - sezione carabinieri, informazioni circa lo stato della denuncia-querela sporta dal brigadiere Carmelo Vincenzo Guido, «al fine di espletare urgenti incombenze di carattere disciplinare/amministrativo»;
consta all'interrogante che successivamente alla data dell'opposizione alla richiesta di archiviazione non siano seguite ulteriori comunicazioni indirizzate al querelante brigadiere Guido -:
se risulti quale sia l'attuale stato del procedimento in premessa;
quali siano state le ragioni della richiesta avanzata dal comandante pro tempore della compagnia carabinieri;
se e quali immediate iniziative che i Ministri interrogati, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze, intendano intraprendere in merito.
(4-14902)

TESTO AGGIORNATO AL 1° MARZO 2012

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ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere - premesso che:
in questi ultimi mesi, numerosi organi di stampa nazionale e locale hanno focalizzato la loro attenzione, pubblicando inchieste di grande interesse per l'opinione pubblica, sull'annosa questione relativa ai tagli delle retribuzioni dei manager pubblici;
come noto, durante la discussione in Parlamento del decreto-legge n. 201 del 2011 cosiddetto «Salva Italia», la previsione di porre un tetto alle laute retribuzioni dei dirigenti delle aziende statali era stata vanificata a seguito dell'approvazione di una disposizione, inserita all'ultimo istante, secondo la quale sebbene le retribuzioni dei manager pubblici non possano superare per legge il trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione (ovvero 304.951,95 euro lordi annui), con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, possono essere previste deroghe motivate per le «posizioni apicali» delle rispettive amministrazioni e viene stabilito un tetto massimo per i rimborsi spese (articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214);
per altro, nell'ambito di applicazione di tale disposizione non rientra nemmeno la disciplina dei compensi per gli amministratori con deleghe delle società partecipate dal Ministero dell'economia e delle finanze, stante la presenza di una ulteriore norma all'interno del medesimo decreto cosiddetto «Salva Italia» (ovvero l'articolo 23-bis)

dove si prevede, per questa particolare tipologia di amministratori pubblici, una disciplina differente rispetto a quella prevista dal già citato articolo 23-ter;
l'articolo 23-bis dispone, infatti, tra le altre cose, che i consigli di amministrazione delle società non quotate e controllate dal Ministero dell'economia e delle finanze, nella determinazione degli emolumenti da corrispondere agli amministratori investiti di particolari cariche, possano includere una componente variabile che non potrà risultare inferiore al 30 per cento della loro componente fissa e che dovrà essere corrisposta in misura proporzionale al grado di raggiungimento degli obiettivi annuali, oggettivi e specifici determinati preventivamente dal consiglio di amministrazione;
alla luce di quanto previsto da tale norma, appare singolare, ma sopratutto di eccezionale gravità il fatto o meglio la circostanza che, proprio nel periodo intercorrente tra la data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto cosiddetto «Salva Italia» (6 dicembre 2011) e quella della relativa legge di conversione (27 dicembre 2011), nell'arco temporale di appena tre settimane, in data 15 dicembre 2011, nell'ordine del giorno del consiglio di amministrazione di una società non quotata e controllata al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze, e segnatamente la SACE spa (l'Agenzia di credito all'esportazione che assume in assicurazione e/o in riassicurazione i rischi a cui sono esposte le aziende italiane nelle loro transazioni internazionali e negli investimenti all'estero) fosse approvata, sulla base delle valutazioni di un apposito «comitato di remunerazione», una variazione spropositata del trattamento economico da corrispondersi sia nei confronti dell'amministratore delegato, il dottor Alessandro Castellano, sia del presidente del consiglio di amministrazione, l'ambasciatore Giovanni Castellaneta;
si tratterebbe, in particolare, per quanto attiene al dottor Castellano, di una variazione del trattamento economico composto: a) di un compenso fisso annuo pari a 355.000 euro lordi, da corrispondersi con cadenza mensile posticipata; b) di un compenso variabile annuo fino al 50 per cento del compenso fisso annuo, da corrispondersi al raggiungimento di obiettivi annuali (fino, dunque, a 177.500 euro lordi in più); c) e ancora una parte variabile di lungo termine da determinarsi conformemente ai criteri adottati per gli altri vertici aziendali e da corrispondersi al raggiungimento degli obiettivi definiti dal piano strategico della società (ai precedenti 355.000 più 177.500 euro lordi, che in totale danno ben 532.000 euro lordi, si aggiungerebbe quindi un'ulteriore quota svincolata, come è evidente, da qualsiasi parametro di riferimento certo e assimilabile sia al compenso fisso che a quello variabile annuo). Nel caso del presidente Castellaneta, si parte invece da una componente fissa pari a 200.000 euro lordi, cui se ne potrebbe aggiungere un'altra, a carattere variabile, di ben 100.000 euro e, infine, un'ulteriore, non definibile, componente variabile da applicarsi pro quota per l'effettiva vigenza della carica;
la SACE spa rappresenta solo un esempio di società non quotata controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze esistente nel nostro Paese e, in particolare, analoghe situazioni, ad avviso dell'interrogate completamente inammissibili, da considerarsi un affronto vero e proprio a tutti quei cittadini che arrivano a fatica a fine mese, con un mutuo a carico e con la benzina, il gas e l'elettricità arrivati a prezzi insostenibili, potrebbero essersi verificate anche nell'ambito di altre società dello stesso genere quali, ad esempio: l'Invitalia, l'ANAS, la Consap spa, la Consip spa, l'ENAV spa, le Ferrovie dello Stato spa, Fintecna spa, il Gestore servizi energetici-GSE spa, l'istituto poligrafico zecca dello Stato, Italia Lavoro spa e altre -:
quali iniziative urgenti, anche normative, intenda assumere il Governo al fine fissare un tetto massimo ai compensi complessivamente percepiti dai vertici apicali delle società non quotate e controllate direttamente dal Ministero dell'economia e

delle finanze che non risulti superiore al trattamento economico complessivo del primo presidente della Corte di cassazione e, in particolare, se alla luce di quanto descritto in premessa il Governo non intenda assumere iniziative in merito alla variazione dei compensi recentemente deliberati dal consiglio di amministrazione di SACE spa, avviando altresì una verifica immediata su analoghe situazioni che potrebbero essersi verificate nell'ambito di altre società pubbliche non quotate e controllate al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze.
(2-01360) «Donadi, Borghesi, Piffari».

Interrogazione a risposta orale:

BINETTI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
ha avuto una forte risonanza mediatica la storia di Niky: l'adolescente che vive sulla barca a vela, battezzata Walkirye, completamente costruita dai suoi genitori, che di mari ne ha visti tanti perché l'acqua salata rappresenta il rimedio all'asma atipica che lo affligge sulla terraferma. Il ragazzo ha frequentato la scuola grazie ad un sistema di videoconferenza su internet via satellite - spiega l'assessore alla cultura Salvatore Di Ciaccio - La mattinata la trascorre davanti al maxischermo attraverso il quale è integrato nella classe e segue i compiti, l'attività didattica, le spiegazioni e i docenti ed i compagni interagiscono con lui come se fosse presente fisicamente. Per le scuole superiori la scelta è ricaduta sul liceo scientifico Severi di Salerno. Ovviamente, sempre con il sistema collaudato on line;
i genitori di Niky hanno costruito interamente la barca, comprando la lamiera che hanno tagliato, forgiato, saldato sino a realizzare lo scafo spendendo meno di trecento milioni di lire, quindi meno di 150.000 mila euro;
la barca è stata fabbricata con alberi provenienti dal bosco di amici e con l'aiuto dei familiari che hanno costruito i mobili e gli interni, compresi gli impianti elettrici cablati con materiale e fili di recupero;
le spese sono state affrontate in parte dai genitori e in parte attraverso sponsorizzazioni di ditte del settore che è servito per mettere in piedi il sistema di comunicazione tra Niky e la scuola;
il progetto multimediale che ha permesso a Niky di avere un'istruzione ed essere giudicato da maestre a distanza, facendolo diventare il primo alunno ad avere una pagella ufficiale a distanza e a fare l'esame di terza media in modo virtuale, è stato giudicato dai Governi passati di tutti gli schieramenti il progetto più avanzato ed in grado di integrare malati, isolati o reclusi;
prima la Walkirye Adventures, poi la Niky Project Onlus hanno portato avanti progetti atti a diffondere, divulgare, promuovere l'utilizzo della videoconferenza, facendo ricorso a collette, sponsor, donazioni e lavori occasionali, ma mai finanziamenti pubblici;
la barca è stata immatricolata come barca da diporto e su questa la famiglia paga il gasolio che consuma, anche per i riscaldamenti o per generare l'energia elettrica, a prezzo di colonnina di distributore per automobili;
i recenti provvedimenti varati dal Governo hanno comportato un aumento della tassa per gli yacht, beni di lusso, per chi ci passa le vacanze o brevi periodi di ferie, ma beni essenziali per chi li usa come abitazione principale -:
quali urgenti iniziative intenda porre in essere per garantire che Niky possa continuare la sua istruzione, tenendo conto delle sue condizioni di salute e del delicato passaggio alla scuola media superiore che dovrà affrontare per potersi garantire una formazione culturale e professionale che gli consenta di vivere autonomamente in un futuro non lontano;

se non ritenga opportuno assumere iniziative normative per una differenziazione nell'uso dei cosiddetti «beni di lusso», valutando la possibilità di riduzioni o esoneri per casi eccezionali come quello descritto, nei quali va consentito di pagare il gasolio alla pari di chi sta sul mare per necessità (navi, pescatori, rimorchiatori, forze dell'ordine).
(3-02100)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:

FOGLIARDI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il decreto-legge cosiddetto «Salva Italia», che ha anticipato l'introduzione dell'IMU, non ha tenuto conto che nella vigenza del regime ICI era previsto e disciplinato uno sgravio per venire incontro alle molte spese, limiti ed incombenze proprie di chi gestisce una dimora storica;
molti immobili storici non sono per loro natura produttivi di redditi (si pensi, ad esempio, alle molte ville Venete, non abitabili d'inverno e di fatto non locabili): l'eventuale applicazione dell'IMU, in assenza delle agevolazioni già previste dalla legislazione relativa all'ICI, determinerebbe un ulteriore aggravio dei costi, aggiuntivo rispetto agli oneri manutentivi, non sopportabile per molti proprietari;
le dimore storiche sovente vengono aperte al pubblico per visite o manifestazioni e rappresentano un patrimonio culturale collettivo espressione del territorio di riferimento;
la nuova normativa, pur non avendo espressamente abrogato le disposizioni più favorevoli, nel testo definitivo non fa riferimento a tali sgravi, con il rischio che l'eventuale applicazione dell'IMU alle dimore storiche possa causare l'immediata chiusura o svendita di molte realtà -:
se il Ministro non ritenga opportuno fare chiarezza, assumendo iniziative normative, o quantomeno di carattere interpretativo, in merito al mantenimento delle agevolazioni per le dimore storiche già previste dalla legislazione relativa all'ICI.
(5-06158)

MONTAGNOLI, FUGATTI, COMAROLI, FORCOLIN, BITONCI e REGUZZONI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 16 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha, tra l'altro, introdotto una tassa di stazionamento a cui saranno soggette, dal 1o maggio 2012, le unità da diporto che stazionano in porti marittimi nazionali, navigano o sono ancorate in acque pubbliche, anche se in concessione a privati;
la misura dell'imposta va dai 5 euro/giorno per le imbarcazioni fino a 12 metri, fino ad arrivare ai 703 euro/giorno per quelle superiori ai 64 metri di lunghezza;
la misura introdotta dal cosiddetto decreto-legge «salva Italia» metterà in ginocchio il settore turistico, già in difficoltà a causa della crisi economica; non solo non assicurerà all'erario il maggior gettito previsto di 200 milioni di euro all'anno, ma, anzi provocherà il tracollo del settore, con perdita di fatturato e di posti di lavoro: da un lato, infatti, penalizza la flotta stanziale, cioè gli italiani che tengono la barca nei porti e, dall'altro, penalizza anche il transito delle imbarcazioni straniere, con il serio pericolo che sia gli italiani, sia gli stranieri preferiscano «approdare» a lidi stranieri; si stima siano 20 mila le imbarcazioni pronte a lasciare le coste tirreniche ed adriatiche del Centro-nord per attraccare nelle vicine Slovenia, Croazia e Corsica;
l'effetto recessivo della tassa colpirà anche gli investimenti del settore: già alcuni importanti porti turistici del Centro-nord stanno programmando importanti ridimensionamenti dei piani di investimento per i prossimi anni, con ricadute negative su tutta l'economia delle località

turistiche italiane; la Marina di Rimini ha annunciato che le perdite sono già nell'ordine dei 300-400 mila euro (e la tassa non si applica ancora), mentre la Marina dorica di Ancona ha annunciato che sta ripensando sull'opportunità di procedere con l'ampliamento del porto turistico;
gli organi di stampa riportano la notizia che le associazioni di categoria del settore hanno ottenuto l'attenzione del Ministro dello sviluppo economico Passera sul tema; l'auspicio è che l'attenzione si trasformi in modifica legislativa per rivedere la misura in questione, trasformandola da tassa di stazionamento a tassa sul bene -:
se il Governo, valutate le conseguenze drammatiche per il turismo che l'entrata in vigore della tassa di stazionamento così come introdotta dal decreto-legge n. 201 del 2011 produrrà, intenda assumere iniziative normative volte a trasformare la medesima in una tassa patrimoniale sulle imbarcazioni.
(5-06159)

CERA e DELFINO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
la direttiva 2003/96/CE del Consiglio del 27 ottobre 2003, che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità, all'articolo 14 dispone che gli Stati membri esentino dalla tassazione, tra gli altri, anche i prodotti energetici forniti per essere utilizzati come carburanti per la navigazione nelle acque comunitarie, ivi compresa la pesca, diversa dalla navigazione delle imbarcazioni private da diporto, e l'elettricità prodotta a bordo delle imbarcazioni (articolo 14, comma 1, lettera c) e dunque di fatto ha previsto l'esenzione totale dell'accisa per il carburante usato per l'attività di pesca in acque marine;
la medesima previsione è stata recepita nell'ordinamento nazionale attraverso l'articolo 24 del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, recante il testo unico delle disposizioni legislative sulle imposte sulle produzione e sui consumi, definendovi gli impieghi agevolati come segue: «1. Ferme restando le disposizioni previste dall'articolo 17 e le altre norme comunitarie relative al regime delle agevolazioni, gli oli minerali destinati agli usi elencati nella tabella A allegata al presente testo unico sono ammessi ad esenzione o all'aliquota ridotta nella misura ivi prevista. 2. Le agevolazioni sono accordate anche mediante restituzione dell'imposta pagata; la restituzione può essere effettuata con la procedura di accredito prevista dall'articolo 14».
la tabella A citata riporta, al numero 3, l'esenzione dall'accisa per gli impieghi come carburanti per la navigazione nelle acque marine comunitarie, compresa la pesca, con esclusione delle imbarcazioni private da diporto, e impieghi come carburanti per la navigazione nelle acque interne, limitatamente al trasporto delle merci, e per il dragaggio di vie navigabili e porti;
mentre il gasolio per i motopescherecci gode effettivamente dell'esenzione, ciò, inspiegabilmente, non accade per le piccole imbarcazioni della pesca artigianali con motori fuoribordo a benzina (che a livello nazionale ammontano a circa 1600 unità);
negli anni passati la questione è stata più volte rappresentata dalla Federcoopesca-Confcooperative, in rappresentanza della categoria, anche presso la competente direzione generale dell'Agenzia delle dogane che, con il parere ampiamente favorevole della direzione generale della pesca del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, ha sollecitato una rapida soluzione al dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze;
ad oggi il problema esposto non è ancora stato risolto e, unitamente alla particolare situazione di crisi in cui da anni versa l'intero comparto della pesca, aggrava ancor più il disagio dei pescatori che svolgono il proprio lavoro con i piccoli

motori a benzina, i quali, loro malgrado, sono costretti, per lavorare, ad acquistare il carburante presso i comuni distributori, pagando dunque anche accisa ed IVA;
risulta evidente l'ingiustizia nei confronti di questi operatori della piccola pesca con motori a benzina, in particolare per la forte distorsione della concorrenza che ne deriva;
va assolutamente risolta la questione, anche per evitare un possibile e legittimo ricorso alla Corte di giustizia, che i pescatori coinvolti potrebbero porre in essere nei confronti dello Stato italiano, in quanto inadempiente ad una direttiva comunitaria (lo sgravio totale dell'accisa sulla benzina per la pesca) -:
quali iniziative ritengano utili al fine di sanare immediatamente il vulnus giuridico, consentendo l'applicazione delle agevolazioni sulla benzina utilizzata nel settore della pesca, come accade per il gasolio.
(5-06160)

BARBATO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il decreto legislativo n. 85 del 2010 disciplina, nell'ambito del processo di riforma federalista, l'attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, in attuazione dei princìpi di delega contenuti nella legge n. 42 del 2009;
la normativa di cui al predetto decreto legislativo n. 85 stabilisce un percorso attuativo piuttosto articolato: in primo luogo, l'articolo 3, comma 3, prevede che i beni da trasferire siano inseriti in appositi elenchi contenuti in uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto legislativo, previa intesa in sede di Conferenza unificata;
secondo l'articolo 5, comma 3, con provvedimento del direttore dell'Agenzia del demanio, da emanarsi anche in questo caso previo parere della Conferenza unificata, è definito l'elenco complessivo dei beni esclusi dal processo di trasferimento;
ai sensi del comma 4 del citato articolo 3, sulla base dei decreti di individuazione dei beni le regioni e gli enti locali che intendono acquisire i beni contenuti negli elenchi presentano, entro 60 giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dei medesimi elenchi, domanda di attribuzione dei beni stessi;
inoltre, l'articolo 3, comma 1, del medesimo decreto legislativo n. 85 prevede che con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare anche in tal caso entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, siano trasferiti alle regioni i beni del demanio marittimo e del demanio idrico, e siano trasferiti alle province i beni del demanio idrico relativi a laghi chiusi privi di emissari esistenti sul solo territorio provinciale;
ai sensi dell'articolo 3, comma 4, ultimo periodo, del decreto legislativo n. 85, l'attribuzione dei beni alle regioni e agli enti locali interessati, sulla base delle richieste avanzate, è disposta con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro i successivi 60 giorni;
l'articolo 7 del decreto n. 85 contempla infine la possibilità di attribuire ulteriori beni statali con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare ogni due anni, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze;
risulta che, nonostante le precise scadenze temporali fissate per l'emanazione dei decreti attuativi della disciplina recata dal decreto legislativo n. 85, l'intero processo di attribuzione alle regioni e agli enti locali dei beni statali risulti, allo stato, fermo;
in particolare, appare particolarmente sconcertante, essendo decorsi circa

20 mesi dall'entrata in vigore del decreto legislativo n. 85, che non siano stati ancora emanati né i decreti del Presidente del Consiglio per l'individuazione dei beni da trasferire, previsti dal citato articolo 3, comma 3, del decreto legislativo n. 85, né il provvedimento direttoriale dell'Agenzia del demanio recante l'elenco dei beni esclusi dal trasferimento, previsto dall'articolo 5, comma 3, i quali sarebbero ancora all'esame della Conferenza unificata;
c'è, dunque, il fondato rischio che l'intero processo di devoluzione dei beni statali agli enti locali sia messo in discussione, non solo scardinando uno degli aspetti più importanti della riforma federalista, ma anche violando il dettato dell'articolo 119, sesto comma, primo periodo, della Costituzione, il quale prevede che i comuni, le province, le città metropolitane e le regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i princìpi generali determinati dalla legge dello Stato;
inoltre, i ritardi nella concreta attuazione di tale disciplina costituiscono un grave elemento di incertezza, sia per una più efficiente ed economica gestione e per la valorizzazione dei beni del patrimonio pubblico, che dovrebbero costituire, invece, una leva fondamentale per reperire risorse aggiuntive nell'attuale, difficilissima fase della finanza pubblica, sia per le stesse scelte di bilancio delle regioni e degli enti locali, i quali sono stati gravemente colpiti da tutte le manovre economiche adottate nel corso dell'ultimo anno e mezzo -:
a che punto sia il processo di attuazione della disciplina in materia di federalismo demaniale recata dal decreto legislativo n. 85 del 2010, se ritenga che i gravi ritardi in tale ambito finora accumulatisi possano pregiudicare il compimento del processo di attribuzione dei beni statali alle regioni ed agli enti locali, e quali iniziative urgenti intenda assumere per superare l'attuale fase di stallo.
(5-06161)

Interrogazioni a risposta scritta:

LARATTA. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
sono passati diversi anni da quando sono state sollevate la gravità e le conseguenze sui cittadini e sulla loro salute della vicenda dell'elettrodotto di Montalto Uffugo (Cs), che per una parte sovrasta con i suoi pilastri, decine di abitazioni di quel territorio;
l'interrogante, ma anche altri parlamentari, hanno sollevato la questione al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e al Ministro della salute pro tempore, senza ottenere alcuna risposta e nessun impegno;
nella seduta del 29 marzo 2011 il consiglio regionale della Calabria, all'unanimità, ha approvato un ordine del giorno che impegnava l'Esecutivo «ad assumere, anche alla luce delle risultanze delle audizioni svolte sulla questione presso la competente Commissione dell'Assemblea, ogni utile, tempestiva e concreta iniziativa, nei confronti della società Terna S.p.A. e del Ministero dell'Ambiente, per una modifica dell'attuale tracciato dell'elettrodotto ovvero per l'interramento dei cavi, per come lo stesso Piano energetico della Regione Calabria espressamente prevede»;
da quel momento, nessuna iniziativa è stata adottata dalla regione Calabria, e comunque nessun risultato è stato conseguito;
la questione è troppo importante per ammettere negligenze e superficialità. Decine di famiglie, vivono con la paura di ammalarsi gravemente, e sono stanche per la mancate risposte, nonostante le proteste pubbliche e il lavoro che svolge con impegno un apposito comitato cittadino -:
se il Governo sia a conoscenza di quanto denunciato;

quali iniziative intendano assumere, nei limiti delle proprie competenze, per far sì che la società Terna assuma un impegno a salvaguardia della salute di centinaia di cittadini che sono costretti a convivere da anni con l'elettrodotto che passa sopra le proprie abitazioni.
(4-14865)

DI PIETRO e PALAGIANO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
l'ondata di maltempo che ha colpito il Paese nella prima settimana di febbraio, e che ancora non accenna ad arrestarsi, ha causato numerosi disagi alla popolazione italiana;
diversi centri abitati sono rimasti isolati per giorni, senza potersi approvvigionare in alcun modo;
molte sono state le località rimaste prive di corrente elettrica, acqua, gasolio e gas;
difficoltoso è stato, in particolare, il trasporto di prodotti alimentari da una zona all'altra del Paese poiché la rete viaria della penisola ha subito interruzioni e blocchi, con pochissime eccezioni nelle zone meno interessate dalla violenta perturbazione;
la situazione di disagio ha dato vita a un vero e proprio assalto a negozi di generi alimentari e supermercati, in particolare per l'approvvigionamento di pane, uova, latte, frutta e verdura;
il maltempo ha causato gravissimi danni anche alle numerose e preziose coltivazioni italiane; secondo quanto stimato da Coldiretti, il danno ammonterebbe già a cento milioni di euro «non solo per le difficoltà nei trasporti che hanno già impedito la consegna di oltre centomila tonnellate di frutta, verdura, uova, latte fresco ed altri prodotti deperibili, ma anche perché le piante cedono sotto il peso della neve. Si registra, inoltre, un'impennata nei costi di riscaldamento delle serre, mentre il gelo sta bruciando le verdure invernali nei campi, cavoli, verze, cicorie, carciofi, radicchio e broccoli e se l'ondata di gelo continuerà saranno destinati a morire anche viti e ulivi come nel 1985, con danni incalcolabili che si protrarranno nel tempo»;
oltre agli agricoltori, i primi a pagare per questo grave danno alla filiera agroalimentare italiana, sembrano essere i cittadini che, negli ultimi giorni, hanno trovato un innalzamento esponenziale dei prezzi di alcuni particolari prodotti alimentari; ad esempio, il costo delle zucchine è raddoppiato in soli tre giorni, fino a raggiungere gli 8 euro al chilo; l'insalata costava 2 euro il 15 gennaio, prima dell'emergenza maltempo e prima del fermo dei TIR, oggi costa 5,5 euro con un aumento del 175 per cento;
i prezzi sembrano letteralmente «gonfiati» anche per arance, mele, pere, melanzane e carciofi, che si vendono a 1,5 euro al pezzo, + 200 per cento rispetto a gennaio;
attualmente la spesa mensile per famiglia è aumentata mediamente di circa 20 euro, ma l'osservatorio nazionale Federconsumatori prevede che, se il maltempo perdurasse e i prezzi continuassero a salire a questi ritmi, entro la fine dell'anno l'aumento sulla spesa mensile media per una famiglia sarà del 40 per cento ovvero di 132,89 euro in più al mese;
è evidente che al di là delle maggiori difficoltà che trova il trasporto delle merci che viaggiano su gomma, e che può condurre ad un inevitabile deterioramento delle derrate alimentari veicolate, su tale difficile scenario per le popolazioni maggiormente colpite spunta l'ombra della speculazione -:
se sia a conoscenza di un così repentino ed evidente innalzamento dei prezzi di alcuni particolari generi alimentari altamente deteriorabili, e quali iniziative intenda prendere per impedire che si verifichino deprecabili manovre speculative ai danni dei cittadini italiani, che

vivono già un notevole disagio sia per la grave crisi economica che sta caratterizzando il Paese sia per i problemi legati alle straordinarie avversità atmosferiche;
se non intenda attivarsi al fine di valutare, per quanto di competenza, se vi siano specifiche responsabilità in merito agli ingiustificati aumenti dei prezzi e stabilire se in determinati episodi siano ravvisabili delle vere e proprie violazioni della normativa vigente.
(4-14871)

PORFIDIA. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 testo unico imposte sui redditi, all'articolo 12, comma 3, prevede la cifra di euro 2.840,51 come limite di reddito per essere considerati fiscalmente a carico del coniuge (o comunque a carico);
la cifra prevista originariamente nel testo in Gazzetta Ufficiale era di lire 3 milioni, corrispondente ad euro 1.549,37;
tale somma dal 1986, in ben 26 anni, è stata aggiornata solamente di cifre irrisorie rispetto al costo della vita;
una persona che abbia un reddito annuo lordo di euro 2.840,51 verosimilmente guadagna circa 218 euro mensili lorde;
con tale somma nessuna persona può sopravvivere;
sono soprattutto le persone di sesso femminile ad essere danneggiate da tale limite di reddito in quanto lo stesso viene applicato come limite per detrazione delle spese mediche sostenute;
tale limite di reddito infatti non essendo realistico, non permette neppure la possibilità di sostenere le spese mediche per le quali si chiede la detrazione;
necessariamente tali spese pertanto vengono sostenute dal coniuge, che peraltro non può dedurle in quanto il 99 per cento dei redditi da lavoro supera tale limite;
tale situazione ingenera tra l'altro pagamento di prestazioni senza necessità di ricevuta per non utilità detraibile, data l'esiguità del reddito e l'impossibilità della detrazione fiscale;
la maggior parte di coloro che percepiscono redditi lordi bassi sono soprattutto donne con esigenze familiari importanti (figli minori, genitori anziani) che non possono permettersi un lavoro a pieno o particolarmente qualificato;
sulla base di queste e di altre considerazioni è sufficientemente realistico un limite di reddito di circa 10 mila euro l'anno lordi, allo scopo di poter effettivamente detrarre le spese mediche sostenute -:
quali iniziative urgenti il Ministro intenda effettivamente assumere al fine di dare la possibilità a coloro che abbiano un reddito inferiore ad euro 10.000 (soprattutto donne) di detrarre le spese mediche, evitando il ricorso a pagamenti senza necessità di ricevuta e soprattutto per equità e giustizia.
(4-14882)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
da notizie di stampa si apprende che nel bilancio ordinario della Fininvest la voce dei debiti tributari è salita dai 4,07 milioni di euro del 2009 a 24,6 milioni di euro e questo incremento viene spiegato nella nota integrativa come relativo a «imposte esercizi precedenti». Nel dettaglio si tratta di «maggiori imposte e relativi accessori dovuti in esito alle conciliazioni giudiziali ed agli accertamenti con adesione conclusi con riferimento alle verifiche condotte a carico della società negli anni 2007». Gli accertamenti fiscali condotti sono spiegati sempre nella nota come

riferiti alle annualità 2002 e 2003: la Fininvest ha deciso di transare tanto che «gli avvisi di accertamento sono stati definiti sottoscrivendo le proposte di conciliazione giudiziale totale e gli atti di adesione formulati dal competente ufficio, con considerevole riduzione della pretese erariale complessiva rispetto alla sua consistenza originaria» -:
quante siano state nel corso del tempo le contestazioni elevate a carico della società Fininvest, a quale bilancio si riferiscano, quali fossero le relative sanzioni prima della transazione e le relative cifre richieste a seguito della conciliazione.
(4-14901)

...

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:

GALATI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
una delle piaghe della giustizia italiana è rappresentata dai tempi non certi, nella gestione dei differenti procedimenti. Indipendentemente da quali possano essere i motivi di queste lungaggini processuali, il diritto ad un procedimento celere è garantito costituzionalmente e, chi è stato coinvolto in un procedimento per un periodo di tempo irragionevole ha diritto, in base alla legge n. 89 del 24 marzo 2001 (cosiddetta «Legge Pinto») ad una equa riparazione;
detta legge prevede uno strumento volto a far ottenere una equa riparazione a colui che ha subito un danno patrimoniale, e non patrimoniale, per effetto della violazione della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali in relazione al mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'articolo 6, paragrafo 1, che testualmente recita: «Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge»;
in base alla legge Pinto, qualora il procedimento superi una durata di tempo ragionevole (3 anni per il procedimento di primo grado, 2 anni per il secondo ed 1 anno per la cassazione), a prescindere dall'esito della lite e/o in caso di conciliazione della lite, si ha diritto ad una somma di denaro per ogni anno di eccessiva durata del processo pari a circa 1.000/1.500 euro; somma che può aumentare fino a 2.000 euro in casi di particolare importanza (ad esempio in tema di diritto di famiglia o di stato delle persone, di procedimenti pensionistici o penali, di cause di lavoro o di cause che incidano sulla vita o sulla salute);
nella fattispecie, sono in essere svariati decreti, già da tempo definiti, anzi definitivi, da parte della corte d'appello di Salerno (decreto n. 590/06 depositato l'11 maggio 2007; decreto n. 591/06 depositato il 21 aprile 2009; decreto n. 659/06 depositato il 26 gennaio 2009; decreto n. 214/07 depositato il 10 aprile 2007; decreto n. 430/07 depositato il 7 ottobre 2008; decreto n. 647/08 depositato il 14 gennaio 2010; decreto n. 648/08 depositato il 17 dicembre 2008; decreto n. 940/08 depositato il 15 maggio 2009; decreto n. 958/08 depositato il 21 aprile 2009; decreto n. 116/09 depositato il 28 settembre 2010; decreto n. 120/09 depositato il 25 giugno 2009; decreto n. 332/09 depositato il 22 ottobre 2009; decreto n. 668/09 depositato il 19 gennaio 2010; decreto n. 933/08 depositato il 4 dicembre 2010; decreto n. 939/09 depositato il 20 luglio 2010; decreto n. 1113/09 depositato il 28 dicembre 2010; decreto n. 1140/09 depositato l'11 marzo 2010; decreto n. 1208/09 depositato il 6 aprile 2010; decreto n. 1209/09 depositato il 31 marzo 2011; decreto n. 1210/09 depositato il 29 luglio 2010; decreto n. 1211/09 depositato il 26 ottobre 2010; decreto n. 1380/09 depositato il 6 luglio 2010; decreto n. 1381/09 depositato il 15 luglio 2010) che condannano il Ministero della giustizia al pagamento

di determinate somme per equa riparazione rispetto al tempo sproporzionato del tribunale di Catanzaro per completare specifiche cause. Ad oggi lo stesso Ministero, a distanza anche di 4 anni dalla decisione della corte d'appello di Salerno, risulta inadempiente dinnanzi a tutti questi cittadini rispetto alle richieste di risarcimento del danno -:
quali iniziative intenda assumere per la risoluzione di tali inadempienze, assicurando tempi certi a tutti quei cittadini, che hanno diritto a quell'equa riparazione per i danni da essi stessi subiti.
(4-14869)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dall'agenzia AGI dell'11 febbraio 2012, a Bologna, intorno alle 7, un detenuto del reparto penale dell'istituto della Dozza sarebbe stato trovato cadavere nel letto dal suo compagno di cella;
secondo quanto riferito dal segretario generale della Uil Penitenziari, Eugenio Sarno, «parrebbe che la morte sia sopravvenuta per cause naturali, probabilmente per infarto». L'uomo però sembrava presentare anche evidenti segni di ipotermia;
nel carcere di Bologna gli impianti di riscaldamento funzionano con una certa regolarità, ma sono inadeguati alla bisogna e non riescono a garantire una soddisfacente climatizzazione, con il risultato che chi lavora e vive in quegli ambienti ha l'impressione di essere in un frigorifero;
D.R.M., di 39 anni, scontava una pena per rapina, spaccio internazionale, sequestro di persona ed altro. Avrebbe terminato la detenzione nel 2024 -:
se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
quali siano le cause che hanno cagionato il decesso del detenuto e se il malore avvertito da quest'ultimo sia riconducibile in parte alle basse temperature che si registrano all'interno delle celle del carcere bolognese, tutte mal riscaldate;
se non intenda avviare una indagine amministrativa interna al fine di appurare se, con riferimento al decesso di D.R.M., non siano ravvisabili eventuali profili di responsabilità disciplinare in capo alla direzione dell'istituto penitenziario in questione;
quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di garantire la presenza costante di un adeguato impianto di riscaldamento in tutti gli ambienti detentivi dell'istituto di pena emiliano.
(4-14872)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dall'agenzia AGI dell'11 febbraio 2012, un detenuto napoletano di Scampia sarebbe deceduto dopo essersi sentito male nel carcere di Campobasso;
il prezioso e tempestivo intervento degli agenti di polizia penitenziaria, immediatamente intervenuti a soccorrere il ristretto aveva fatto sì che l'uomo, di circa 40 anni, in carcere per associazione a delinquere e rapina, fosse ricoverato presso il locale ospedale, ma purtroppo le sue condizioni di salute sono sembrate subito talmente gravi che è sopraggiunto il decesso dopo poco tempo;
pare che l'uomo presentasse segni evidenti di ipotermia;
secondo quanto riferito da Eugenio Sarno, segretario della UIL-Pa Penitenziari, nel carcere di Campobasso «l'impianto di riscaldamento garantisce temperature esotiche solo negli Uffici della Direzione (tant'è che si è costretti ad aprire le finestre) mentre negli ambienti detentivi agenti e detenuti sono costretti a sopportare temperature polari. Certamente quello di garantire un idoneo riscaldamento alle carceri è una delle priorità che

va risolta anche per via normativa. Purtroppo quella della salubrità e della sicurezza dei luoghi di lavoro è una materia sulla quale il Dap elude il confronto. Capita, quindi, che a Bolzano i colleghi sono costretti a montare di sentinella in un box di plexiglass a temperature molto al di sotto dello zero e in molte altre strutture lo zelo dei dirigenti vieta al personale che monta di servizio in luoghi scoperti di avvalersi dell'ausilio di stufette, senza però aver fatto installare idonei impianti di climatizzazione» -:
se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
quali siano le cause che hanno cagionato il decesso del detenuto e se il malore avvertito da quest'ultimo sia riconducibile in parte alle basse temperature che si registrano all'interno delle celle del carcere molisano, tutte mal riscaldate;
se non intenda avviare una indagine amministrativa interna al fine di appurare se, con riferimento al decesso dell'uomo, non siano ravvisabili eventuali profili di responsabilità disciplinare in capo alla direzione dell'istituto penitenziario in questione;
quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di garantire la presenza costante di un adeguato impianto di riscaldamento in tutti gli ambienti detentivi dell'istituto di pena molisano.
(4-14879)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
l'edizione romana del Corriere della sera del 13 febbraio 2012 riporta l'intervista al direttore del carcere di Regina Coeli incentrata sulle drammatiche condizioni dell'istituto romano e sull'ultimo decesso verificatosi nell'istituto l'11 febbraio 2012;
il direttore Mauro Mariani, che dirige il penitenziario romano da 12 anni, si esprime in questo modo a proposito della chiusura dell'istituto più volte paventata nell'ultimo decennio: «Non la mettiamo così... Diciamo che l'istituto ha certamente i suoi problemi. Le aree trattamentali sono limitate, consideriamo che come carcere Regina Coeli nasce nel 1880, quando... la detenzione era essenzialmente punitiva, contenitiva, e la struttura era orientata di conseguenza. In questo lungo percorso fino a oggi gli spazi ce li siamo ricavati con le unghie e con i denti. Pensi che i campi di calcio non sono mica rettangolari, ma trapezoidali...»;
quanto alle condizioni dell'istituto, il dottor Mauro Mariani risponde così al giornalista Fabrizio Peronaci che gli chiede quali siano le emergenze di Regina Coeli: «Sovraffollamento, carenza di personale, scarse risorse. Ma è un problema generale, siamo nella media di tutte le carceri italiane... Si sa che a Regina Coeli ci sono 1.200 detenuti, che dovrebbero essere poco più di 700 e che il 30 per cento sono tossicodipendenti. È questione nota che mancano agenti penitenziari: oggi sono 490, quando la pianta organica ne prevede 630». Per non parlare della carenza di psicologi. «Pochi anche quelli, ma il nodo maggiore è il numero limitato di ore per l'osservazione e il trattamento: una decina al mese. E d'altronde è risaputo anche l'effetto porte girevoli...». «Sì, insomma, il problema degli arrivi continui e degli ingressi brevi, di pochi giorni... L'alta mobilità complica il lavoro. Consideri che i condannati definitivi sono solo 130, e che Regina Coeli è davvero una realtà complessa: tantissimi detenuti sono molto poveri, in gravi difficoltà sociali, senza contatti. Il 50-60 per cento stranieri...»; Fabrizio Peronaci chiede ancora «Ma negli ultimi 12 anni, con lei al vertice, cosa è cambiato?» e il direttore Mariani risponde «Intanto, la struttura si è aperta, mentre quando arrivai era un mondo chiuso. Qui adesso entra moltissimo volontariato per l'assistenza. E poi ci sono le attività, la biblioteca, il teatro, le iniziative di approccio psicologico e relazionale per i sex offender, il lavoro esterno di due detenuti che, per un carcere giudiziario, è una bella conquista...». Alla sollecitazione del giornalista

che definisce la casa circondariale di Regina Coeli immersa «in un contesto degradato degno di un penitenziario di Bangkok», Mauro Mariani replica «Guardi che abbiamo ristrutturato l'80 per cento del complesso, e non è poco... Posso portare le foto, ha presente com'era? Prima, seconda, quarta e quinta sezione sono state ristrutturate, nella sesta iniziamo questo mese, a conti fatti manca solo l'ottava...". Infine, quando il giornalista ricorda al direttore: «Marco Pannella però, in visita a Regina Coeli lo scorso Natale con Rita Bernardini, parlò di docce non funzionanti, acqua fredda, vetri rotti, mancanza del riscaldamento», Mariani risponde: «Sì, la parte idraulica ha qualche problema. Le reti sono vecchie e in effetti necessitano di manutenzione continua. Il mio, le assicuro, è davvero un mestiere del fare...»;
all'indirizzo Facebook riscontra anche la notizia della morte avvenuta nella notte tra il 30 e il 31 dicembre 2011, sempre nel carcere di Regina Coeli, di Massimo Loggello; a quanto si legge nella nota, il signor Loggello sembra sia morto per un infarto a causa del ritardo dei soccorsi e dell'inesperienza nell'uso del defibrillatore da parte degli intervenuti;
la prima firmataria del presente atto ha presentato numerose interrogazioni sul carcere Romano di Regina Coeli, tutte rimaste senza risposta; in particolare, quella presentata il 29 novembre 2011 (5-05757) e riguardante una visita ispettiva effettuata il 22 novembre, fu trasmessa, per la drammaticità della situazione riscontrata definita di vera e propria emergenza umanitaria, anche al presidente del tribunale di Roma Giuseppe Tamburino, attuale capo del Dap, che però non ritenne di intervenire, mentre nulla si sa della richiesta rivolta dagli interroganti al Ministro di effettuare, negli ambiti di competenza, ispezioni all'interno della casa circondariale di Regina Coeli -:
quanto siano costate alle casse dello Stato le ristrutturazioni eseguite all'interno della casa circondariale di Regina Coeli e se sia mai stata valutata la chiusura e la destinazione di quei fondi alla costruzione di un nuovo istituto;
quanti fondi siano stati destinati negli ultimi 5 anni alla manutenzione ordinaria dell'istituto romano;
se intenda intervenire d'urgenza per risolvere il vero e proprio stato di emergenza umanitaria all'interno di Regina Coeli per garantire il rispetto del terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione;
di quali informazioni disponga in merito al decesso di Tiziano De Paola e se non ritenga di disporre un'indagine amministrativa interna;
quali siano le informazioni in merito al decesso di Massimo Loggello, e in particolare se siano state avviate indagini da parte della magistratura e/o accertamenti dell'amministrazione penitenziaria per individuare eventuali responsabilità.
(4-14885)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dall'agenzia ANSA del 10 febbraio 2012, due uomini sui 50 anni internati nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia sarebbero stati ricoverati, nei giorni scorsi, in ipotermia nell'ospedale di S. Maria Nuova. Uno è stato dimesso, l'altro è in rianimazione anche se non pare in pericolo di vita;
per Michele Malomi, segretario del Sappe di Reggio Emilia e ispettore di polizia penitenziaria, «gli impianti di riscaldamento dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia non sono proprio efficienti anche per via dei tagli finanziari, anche perché sono accesi a temperature pre-impostate e in genere il calore è limitato. Anche gli scorsi anni si registrarono casi di ipotermia, quest'anno è la

prima volta e mi auguro sia anche l'ultima, ma due casi in una settimana fanno pensare»;
nell'ospedale psichiatrico giudiziario emiliano ci sono attualmente 222 uomini, divisi in cinque reparti - uno solo è gestito dalla polizia penitenziaria, il resto da personale medico e paramedico - e spesso le finestre restano aperte anche per consentire il riciclo d'aria -:
se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
se non si intendano assumere urgentemente le opportune iniziative di competenza al fine di assicurare che gli ambienti all'interno dei quali sono ristretti gli internati vengano sufficientemente riscaldati;
se non si intenda avviare una indagine amministrativa interna al fine di appurare se, con riferimento a quanto accaduto ai due internati 50enni ricoverati in ipotermia, non siano ravvisabili eventuali responsabilità disciplinari in capo alla direzione dell'ospedale psichiatrico giudiziario.
(4-14898)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il giorno 29 gennaio 2012, la prima firmataria del presente atto ha visitato l'istituto penitenziario Coroneo di Trieste accompagnata dai radicali Marco Gentili, Renato Manara, Andrea Michelazzi, Clara Comelli ed Erminia De Felice;
l'ispezione, durata 7 ore, è stata guidata dal direttore dell'istituto Enrico Sbriglia ed ha riguardato tutti i luoghi dell'istituto che ospita 250 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 155 posti; le detenute donne sono in tutto 29; i semiliberi 8 mentre coloro che beneficiano dell'articolo 21 dell'ordinamento penitenziario sono in tutto 6; nelle celle progettate per 2 detenuti, ce ne sono 4 mentre in quelle più grandi, di circa 25 metri quadrati ci sono 10 detenuti;
dal punto di vista strutturale il carcere di Trieste si presenta molto fatiscente tanto che non di rado, nonostante il freddo, intenso i vetri rotti sono stati sostituiti da pannelli di cartone o di legno, le mura e i soffitti sono scrostati con evidenti segni di umidità, nelle celle dei nuovi giunti ci sono ancora i wc a vista; uno dei quattro piani dell'istituto è stato ristrutturato grazie all'indulto del 2006 che, con la drastica riduzione del numero dei detenuti ha consentito di eseguire i lavori;
la pianta organica prevede 159 agenti di polizia penitenziaria, ma le unità assegnate sono 130 e quelle effettivamente in servizio 120 (compreso il nucleo traduzioni e la sezione femminile). Spesso, di notte, solo 11 agenti governano tutto l'istituto con gravi rischi nel caso si verifichino alcuni eventi critici; l'assistenza psicologica per i detenuti è garantita solo per 28 ore al mese; gli educatori sono tre, ma una fa solo un giorno alla settimana perché ha appena dato alla luce un figlio;
i tagli effettuati su alcuni capitoli di bilancio, rendono pressoché impossibile la manutenzione ordinaria degli edifici e ridotte al minimo le possibilità di lavoro per i detenuti attraverso il fondo destinato alle mercedi; anche l'igiene dei luoghi - celle comprese - è compromessa dalla riduzione delle dotazioni destinate alla pulizia; gli impianti antincendio non sono mai stati sottoposti a manutenzione;
quanto al lavoro possibile attraverso i fondi del Ministero, 5 detenuti fissi svolgono le mansioni di cuciniere, 2 lavorano in cucina a rotazione ogni 15 giorni, 1 al magazzino detenuti, 1 come porta-pacchi ai colloqui, 1 alla manutenzione ordinaria, 2 sono gli spesini, 8 gli scopini (7 al maschile e 1 al femminile), 1 fa il barbiere; da giugno del 2011, tre detenuti lavorano alla panetteria interna grazie ad un accordo con una cooperativa;

nonostante la situazione sopra descritta, grazie alla professionalità del direttore e all'abnegazione e capacità di quanti lavorano al Cotroneo, molte sono le attività trattamentali che, malgrado tutto, si riesce a proporre ai detenuti e alle detenute in alcuni periodi dell'anno: sul fronte scolastico sono attivi i corsi di alfabetizzazione, elementari, medie e corsi di inglese oltre che corsi periodici di formazione professionale; nell'istituto è disponibile anche una palestra e una sala computer; esistono inoltre un laboratorio di ceramica, una tappezzeria, una falegnameria attrezzata che abbisognerebbe dell'allacciamento all'impianto di riscaldamento e di aspiratori a norma; nella biblioteca, recentemente arricchita grazie a una donazione dell'onorevole Franco Frattini, lavorano due volontari che soddisfano le tante richieste dei detenuti; anche la mansione di scrivano viene svolta da un volontario:
nel reparto «nuovi giunti», dove ci sono celle singole ma con i wc a vista, la delegazione ha incontratoM.B. affetto da aids conclamato che deve scontare ancora due anni e che afferma che, pur avendo ottenuto dal medico dell'istituto il riconoscimento della incompatibilità con il regime carcerario, si è visto rifiutare gli arresti domiciliari dal magistrato di sorveglianza;
R.S., è in attesa di giudizio e da quattro mesi si trova nel carcere di Trieste; ha un lipoma sulla spalla destra per il quale deve subire un intervento chirurgico; ha presentato istanza per essere trasferito a Rebibbia oppure a Pescara o a Vasto perché i famigliari sono troppo poveri per venirlo a trovare e sua moglie, disoccupata, ha già fatto debiti per arrivare fino a Trieste per i colloqui;
ai passeggi la delegazione ha incontrato il tunisino M.Z. che è stato trasferito a seguito di uno sfollamento dal carcere di Spoleto; a causa di ciò da 5 mesi non vede la famiglia che vive a Roma; ha avanzato l'istanza per scontare l'ultimo periodo di detenzione ai domiciliari;
molti detenuti stranieri - che costituiscono il 70 per cento della popolazione reclusa - lamentano gli alti costi delle telefonate: per parlare 10 minuti con Santo Domingo si spendono 10 euro, con il Gambia 20 euro, con l'Iraq 24 euro, mentre tutti affermano che all'esterno queste telefonate non costano più di 5 euro; tutti i detenuti lamentano l'alto costo dei prodotti venduti all'interno dell'istituto;
in una cella la delegazione ha incontrato un detenuto tunisino di 28 anni molto sofferente perché costretto a tenere permanentemente un catetere senza che si siano ancora scoperte le cause di questa patologia che lo affligge; la direzione fa presente che sono in corso accertamenti;
un detenuto albanese è costretto a fare in continuazione traduzioni verso Firenze perché lì si svolgono i suoi processi;
un detenuto tunisino residente a Varese lamenta il fatto di avere pochi contatti (anche telefonici) con i figli minori, un maschio di 2 mesi e una bambina di 3 anni;
E.Z. da otto mesi si trova a Trieste e non ha mai potuto effettuare un colloquio con i genitori anziani e i suoi fratelli che vivono in provincia di Milano; da tre mesi ha avanzato richiesta al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria di trasferimento a Milano Opera;
Z.H. da cinque mesi ha fatto istanza al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria per essere trasferito in Sardegna dove spera di poter lavorare per mandare qualche aiuto alla figlia dodicenne che sta in Algeria;
C.S. è affetto da epatite B e C; afferma di non essere curato adeguatamente per i forti dolori al fegato che sono persistenti; con la permanenza in carcere la sua vista è notevolmente diminuita;
M.G. per una sopraggiunta vecchia condanna è stato costretto ad interrompere il programma di recupero presso la comunità «Nostra Casa» di Udine che

prevedeva un anno in comunità e che per due anni fosse seguito dal Sert; l'interruzione lo ha costretto anche a rinunciare al lavoro di salumiere che svolgeva anche per mantenere la sua convivente e una bambina di due anni;
un detenuto iracheno, oltre a lamentarsi per il costo eccessivo delle telefonate, fa presente che non fa colloqui, che non lavora e che non gli sono nemmeno mai arrivati i pochi euro della mercede di San Vittore;
nella sezione femminile la delegazione ha incontrato, fra le altre, R.S. che si trova in carcere per essere andata in questura a regolarizzarsi mentre pendeva sulla sua testa un decreto di espulsione per una vecchia condanna (furto di una giacca) divenuta definitiva; chiede se, finita la pena, potrà rimanere in Italia visto che tutti i suoi parenti vivono nel nostro Paese;
una ragazza di 27 anni sta scontando 4 mesi di reclusione per aver rubato due pezzi di grana padano; le mancano solo 68 giorni per il fine pena;
R.R. afferma che non riesce a parlare con l'educatrice; ha tre bambini, il più piccolo ha tre anni mentre il maggiore ne ha sei; afferma che il suo compagno F.R. detenuto a Padova, non ha potuto ancora riconoscere il figlio di tre anni;
S.N. di origini croate ma nata a Roma, sostiene di non avere più notizie di 3 dei suoi 5 figli tutti nati in Italia; solo di due ha informazioni: uno è al carcere minorile, l'altro sta con la nonna in Croazia; vorrebbe solo sapere come stanno i suoi figli;
C.Z. fa notare alla delegazione di avere un nodulo sulla spalla e si lamenta del fatto che il medico non visita le detenute quando fanno richiesta;
S.V. rumena, ha fatto domanda per scontare l'ultimo periodo di pena ai domiciliari; le mancano 11 mesi, la domanda l'ha presentata il 23 dicembre ma ancora non ha avuto risposta;
una ragazza cinese Y.X.Y. ha fatto domanda al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria per essere trasferita a Firenze dove ha parenti e processi -:
se il Governo sia a conoscenza di quanto rappresentato in premessa;
cosa si intenda fare per riportare la popolazione detenuta nel carcere di Trieste alle dimensioni regolamentari;
in quali tempi sarà integrato il personale mancante fra gli agenti di polizia penitenziaria e cosa si intenda fare, per quanto di competenza, per rafforzare il numero degli addetti all'assistenza medica, psicologica e trattamentale;
cosa si intenda fare per rendere agibile dal punto di vista strutturale il carcere di Trieste; a quando risalga e cosa vi sia scritto nella relazione semestrale che la ASL di riferimento deve rilasciare in merito alle condizioni strutturali e igienico-sanitarie dell'istituto;
se intendano incrementare i fondi destinati alla manutenzione (anche straordinaria) degli edifici, quelli relativi alle mercedi per il lavoro dei detenuti, quelli riguardanti le attività trattamentali e, infine, quelli da destinare alla pulizia dell'istituto e, in particolare, delle celle;
quali iniziative si intendano assumere per garantire ai detenuti di poter scontare la propria pena vicino al luogo di residenza;
se, e in che modo, si intenda intervenire rispetto ai casi segnalati in premessa;
se si intenda intervenire per ridurre i costi delle telefonate magari sperimentando collegamenti Skipe molto meno onerosi per persone poverissime come quelle che sono detenute nel carcere di Trieste;
di quali elementi disponga in ordine ai tempi impiegati dal magistrato di sorveglianza per rispondere alle istanze dei detenuti con particolare riguardo a quelle riguardanti la possibilità di scontare gli ultimi 18 mesi di detenzione ai domiciliari

secondo la normativa introdotta con il decreto n. 211 del 22 dicembre 2011, recentemente convertito in legge.
(4-14900)

...

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere - premesso che:
gli avversi avvenimenti metereologici accaduti diffusamente su quasi tutto il territorio nazionale, in particolare al Centro-nord, oltre ha provocare grossissimi disagi alle popolazioni colpite, che hanno vissuto e in alcune aree continuano a vivere una vera e propria emergenza, hanno messo alla luce ancor di più l'inadeguatezza del sistema infrastrutturale e organizzativo della rete ferroviaria italiana, che ha dimostrato di non riuscire a supportare e gestire le difficoltà sviluppatesi a causa del maltempo, arrecando così ancora più disagi ai cittadini già colpiti dall'eccezionale ondata nevosa;
fin dalle prime ore di nevicate infatti si sono registrati e sono stati segnalati ritardi negli orari di partenza e arrivo dei convogli, cancellazioni, congestioni al traffico dovuti alla mancata gestione della neve presente in molte parti dei binari, e progressivamente si è arrivati ad una situazione di estrema difficoltà con il sistema andato completamente in tilt in alcune direttrici di traffico, in particolare nelle zone interne dell'Abruzzo e del basso Lazio e sulla dorsale adriatica fino a interessare l'intera rete ferroviaria marchigiana, emiliano-romagnola e ligure, dove numerosi convogli sono rimasti bloccati per moltissime ore in mezzo ai binari, al ghiaccio, senza assistenza tecnica né tantomeno sanitaria-umanitaria nei confronti dei passeggeri;
si segnalano tra i tanti casi quello dell'intercity rimasto fermo nelle campagne tra Forlì e Cesena e l'odissea di molti convogli regionali laziali che hanno impiegato più di 10 ore per raggiungere la destinazione finale, a cui si aggiungono i gravissimi ritardi accumulati su quasi tutte le tratte nelle direttrici verso il Nord con ritardi quasi sempre superiori alle 4 ore di media, anche sulla rete alta velocità;
le cause dei disagi non sono da addebitare esclusivamente alla portata eccezionale del fenomeno meteorologico bensì alla mancata organizzazione nella gestione dell'emergenza da parte di Trenitalia e soprattutto alla assoluta inadeguatezza e arretratezza di buona parte delle reti infrastrutturali ferroviarie del Paese, non dotate dei sistemi di scongelamento degli scambi e delle linee di alimentazione elettrica e, inoltre, alla vetustà delle carrozze non dotate di sistemi di riscaldamento e di comfort che hanno costretto numerosi passeggeri a soffrire e patire fortemente il freddo durante le fasi emergenziali;
la regione Liguria si è spinta addirittura ad un esposto denuncia all'autorità giudiziaria contro Trenitalia e RFI per le molteplici responsabilità e negligenze gestionali che non hanno permesso di affrontare il maltempo e che hanno causato gravissimi disagi e disservizi a numerosissimi passeggeri;
al di là degli aspetti legati a questa vicenda sono comunque ormai quotidiane le difficoltà e le criticità che ancora una volta portano alla luce la totale inefficienza complessiva di buona parte del servizio di trasporto ferroviario nazionale, che raggiunge standard di efficienza qualitativa nemmeno paragonabili a quelli della media dei restanti Stati europei, arrecando gravissime difficoltà, anche nell'ordinarietà ai cittadini costretti a pagare le conseguenze di tali disservizi -:
quali opportune iniziative di competenza intenda adottare per accertare le responsabilità del gruppo Trenitalia spa e di RFI nella gestione dell'emergenza legata

agli ultimi accadimenti calamitosi dei giorni scorsi, che hanno generato la paralisi del trasporto ferroviario su quasi tutta la rete nazionale;
se non intenda attivarsi per promuovere, di concerto con gli organi preposti per competenza, un piano di intervento straordinario finalizzato alla destinazione di risorse adeguate per realizzare gli investimenti necessari al recupero e all'ammodernamento delle infrastrutture ferroviarie al fine di garantire ai cittadini un'adeguata offerta del servizio e il mantenimento di elevati standard di qualità ed efficienza che scongiurino il ripetersi delle drammatiche situazioni avvenute durante i recenti fenomeni meteorologici.
(2-01357) «Mereu, Galletti».

Interrogazione a risposta in Commissione:

VELO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
il codice della strada reca la disciplina delle macchine agricole e delle macchine operatrici;
quanto alle macchine agricole, l'articolo 57 del citato codice le definisce come macchine a ruote o a cingoli destinate ad essere impiegate nelle attività agricole e forestali prevedendo che possano, in quanto veicoli, circolare su strada per il proprio trasferimento e per il trasporto per conto delle aziende agricole e forestali di prodotti agricoli e sostanze di uso agrario, nonché di addetti alle lavorazioni e che possano, altresì, portare attrezzature destinate alla esecuzione di dette attività;
quanto alle macchine operatrici, l'articolo 58 del codice le definisce come macchine semoventi o trainate, a ruote o a cingoli, destinate ad operare su strada o nei cantieri, equipaggiate, eventualmente, con speciali attrezzature che, in quanto veicoli, possono circolare su strada per il proprio trasferimento e per lo spostamento di cose connesse con il ciclo operativo della macchina stessa o del cantiere, con modalità stabilite dal regolamento di esecuzione;
nel caso in cui la macchina agricola od operatrice abbia sagome e masse eccedenti quelle consentite dal codice della strada (macchina agricola eccezionale o macchina operatrice eccezionale) deve essere munita, per circolare su strada, dell'autorizzazione valida per due anni e rinnovabile, rilasciata dal compartimento A.N.A.S. di partenza per le strade statali e dalla regione di partenza per la rimanente rete stradale;
il codice prevede che per la guida delle macchine agricole, escluse quelle con conducente a terra, nonché delle macchine operatrici, escluse quelle a vapore, che circolano su strada, occorra in generale la patente di categoria B e, nel caso di macchine agricole che non superino i limiti di sagoma e di peso stabiliti per i motoveicoli, la patente di categoria A; la patente di categoria C occorre solo per la conduzione delle macchine operatrici eccezionali;
l'articolo 111 del codice stabilisce che con decreto ministeriale possa essere disposta la revisione generale o parziale delle macchine agricole al fine di accertarne la permanenza dei requisiti minimi di idoneità per la sicurezza della circolazione, nonché lo stato di efficienza, demandando al regolamento di attuazione le procedure, i tempi e le modalità della revisione, nonché, ove ricorrano, i criteri per l'accertamento dei requisiti minimi d'idoneità, cui devono corrispondere le macchine agricole in circolazione, e del loro stato di efficienza;
gli articoli 295 e 304 del regolamento di attuazione del codice della strada (decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992) hanno disposto che le revisioni rispettivamente delle macchine agricole e delle macchine operatrici soggetti ad immatricolazione siano stabilite con provvedimento del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con periodicità

non inferiore a cinque anni, a partire dalla data di prima immatricolazione delle macchine stesse;
al momento non risulta emanato dal Ministro interrogato alcun provvedimento relativo alla revisione di tali mezzi;
la mancata revisione di macchine agricole e di macchine operatrici rischia di mantenere in circolazione e in movimento mezzi che recano un grave pregiudizio per la sicurezza in primis dei luoghi di lavoro ma anche della circolazione stradale;
per tali veicoli è disposto un regime speciale che li esenta dal pagamento dell'imposta di bollo;
inoltre tali veicoli, condotti su strada con la sola patente B, vengono utilizzati per il trasporto di merci, determinando a giudizio dell'interrogante situazioni di concorrenza sleale nei confronti degli autotrasportatori -:
per quali motivazioni il provvedimento citato in premessa non sia mai stato adottato;
se il Ministro intenda adottare tale provvedimento, in considerazione dell'importanza che esso riveste ai fini sia della sicurezza della circolazione sia della sicurezza nei luoghi di lavoro;
se il Ministro più in generale non ritenga opportuno adottare iniziative per modificare la disciplina vigente in materia di macchine agricole e di macchine operatrici, al fine di impedire fenomeni di concorrenza sleale nei confronti degli autotrasportatori.
(5-06148)

Interrogazioni a risposta scritta:

GASBARRA. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
nelle giornate del 3 e 4 febbraio 2012 il Lazio è stato investito da precipitazioni nevose che hanno causato il blocco di buona parte della rete ferroviaria;
le previsioni meteo e i bollettini della protezione civile avevano già dal 2 febbraio previsto l'ondata di maltempo;
le previsioni indicavano sia le dimensioni delle precipitazioni che il brusco abbassamento delle temperature;
in data 3 febbraio 2012 il treno 3378 Roma-Pescara è rimasto bloccato in prossimità di Tivoli (Roma) a causa del ghiaccio;
in data 3 febbraio il treno Roma-Cassino è rimasto bloccato a Zagarolo (Roma);
in data 3 febbraio il treno Roma-Viterbo è rimasto bloccato nei pressi di Cesano (Roma);
nei tre casi specifici migliaia di persone sono state tenute all'interno dei convogli senza alcuna assistenza per ore -:
se non ritenga doveroso aprire un'inchiesta per capire se vi siano delle carenze strutturali e organizzative nel sistema ferroviario che hanno portato al blocco della rete e come sia stato possibile abbandonare per ore migliaia di viaggiatori senza alcuna assistenza;
quali iniziative di competenza intenda adottare per evitare in futuro che la rete dei trasporti possa entrare in crisi di fronte a nuove ondate di maltempo.
(4-14863)

OLIVERIO e LARATTA. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
la regione Calabria si era impegnata ad avviare ogni azione necessaria all'ammodernamento della ferrovia jonica - Sibari, Crotone, Reggio Calabria - attraverso l'eventuale stipula di specifici accordi di programma quadro per i fondi europei 2007/2013, tra la regione stessa, il Governo e le Ferrovie in modo d'inserire tale obiettivo tra le priorità della programmazione dei fondi stessi;

il nuovo piano d'impresa delle Ferrovie, invece, non prevede alcun investimento sul trasporto ferroviario della linea jonica, dimostrando una scarsa informazione sulla domanda di mobilità e poca attenzione ai bisogni del territorio; la sensazione è che Trenitalia sia maggiormente preoccupata degli aspetti economici delle proprie scelte e accetti pertanto il rischio di causare il sostanziale isolamento del territorio jonico;
il Governo aveva dichiarato di volersi adoperare, attraverso lo stanziamento di 10 miliardi di euro, per migliorare il sistema infrastrutturale del sud, ma questa disattenzione nei confronti delle infrastrutture ferroviarie sembra smentire quanto annunciato, con un'ingiustificata penalizzazione di oltre un milione e mezzo di cittadini;
recentemente Trenitalia ha disposto la soppressione dei seguenti treni a lunga percorrenza:
a) treno n. 618 IC Crotone-Milano, partenza da Crotone ore 06.00, arrivo a Milano ore 20.20;
b) treno n. 615 IC Milano-Crotone, partenza da Milano ore 09.45, arrivo a Crotone ore 23.59;
c) treno n. 782 IC notte con doppia sezione per viaggiatori diretti a Milano e Torino;
d) treno n. 785 IC notte, partenza da Milano ore 23.00 e diretto a Crotone e Reggio Calabria;
e) treno n. 954, relazione per Roma Termini via Crotone, Sibari e Metaponto;
il servizio dei treni soppressi è effettuato con corse sostitutive di pullman che non garantiscono lo stesso livello qualitativo del treno e penalizzano l'intero personale di servizio della stazione di Crotone: 50 lavoratori, di cui 12 in cassa integrazione guadagni straordinaria;
i treni che Trenitalia ha deciso di cancellare potrebbero essere sostituiti con il materiale ferroviario attualmente fermo a causa dell'interruzione, per il crollo di un ponte, della linea ferroviaria Catanzaro Lido-Lametia Terme Centrale;
in questo modo si potrebbe garantire il collegamento, utilizzando la linea Sibari-Taranto-Bari, dell'area jonica con i treni diretti al nord; di conseguenza Trenitalia potrebbe avviare i seguenti interventi:
a) sostituzione dell'attuale autocorsa sostitutiva con partenza da Crotone ore 4.45 per Sibari;
b) sostituzione dell'attuale autocorsa sostitutiva con partenza da Crotone ore 5.00 ed in coincidenza con l'eurostar diretto a Milano n. 9822;
c) proseguimento automotrice n. 3740 con arrivo a Crotone alle ore 8.10 per coincidenza eurostar diretto a Milano n. 9830 e partenza da Bari ore 15.43;
d) proseguimento automotrice n. 3730 da Sibari fino a Taranto per coincidenza treno IC 752 diretto a Bologna -:
se il Ministro interrogato intenda promuovere, per quanto di competenza, tavolo di concertazione con la partecipazione di Trenitalia e della regione Calabria per modificare ed integrare l'offerta di trasporto ferroviario lungo la dorsale jonica sulla base delle esigenze segnalate in premessa, avendo cura di individuare la stazione di Crotone come punto di attestazione dei convogli al fine di garantire l'occupazione del personale ferroviario e del personale addetto al servizio di pulizia.
(4-14864)

PALAGIANO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
nella notte tra giovedì 2 e venerdì 3 febbraio 2012 è iniziata una delle più intense nevicate mai registrate nella provincia sud di Roma negli ultimi 50 anni,

che ha colpito, in maniera particolare, i comuni di Labico, Valmontone, Palestrina e San Cesareo;
l'evento era stato ampiamente previsto dalle stazioni meteorologiche e gli allarmi sui media locali e nazionali erano arrivati con molti giorni di anticipo;
alcune carenze organizzative e di mezzi sono state solo parzialmente compensate da un oggettivo e diffuso impegno da parte di molti cittadini, amministratori locali, volontari della protezione civile;
una delle maggiori criticità per i paesi sopracitati è stata determinata dall'insensata decisione di convogliare il traffico autostradale pesante dalla Al alla via Casilina, strada a ridosso della quale i comuni sorgono e si sono sviluppati;
la scelta si è rivelata ad avviso dell'interrogante subito irresponsabile, poiché chi ha assunto quella decisione, ritenendo che un'arteria stradale dotata di tre corsie per senso di marcia, oltre a quella di emergenza, di aree di sosta e di servizio, nonché di squadre di uomini e mezzi antineve, non fosse in grado di sopportare il carico veicolare in quella circostanza, avrebbe dovuto rendersi conto che incanalare il traffico autostradale pesante in una semplice strada regionale a due corsie avrebbe causato conseguenze ben peggiori;
appare chiaro che in questo modo si è voluto raggiungere il solo evidente scopo di scaricare su terzi - in primis le amministrazioni dei comuni attraversati dalla Casilina - l'onere di gestire una simile contingenza;
le conseguenze sono tristemente note: il principale asse di collegamento dei piccoli comuni della zona è rimasto bloccato, in corrispondenza del centro abitato di Labico, per quasi 24 ore da diversi TIR che sono rimasti letteralmente «intrappolati», rendendo pressoché inaccessibili vaste aree del paese, con disagi e problemi per l'intera cittadinanza -:
se il Ministro sia a conoscenza della situazione sopra descritta e se non intenda attivarsi per accertare le responsabilità di quella che all'interrogante appare una scriteriata, decisione, che ha portato un grosso disagio alla popolazione di molti comuni casilini, isolandoli, di fatto, per oltre 24 ore;
se non ritenga che, almeno per il futuro, eventuali decisioni di incanalamento del traffico pesante in arterie minori debbano essere stabilite d'intesa con prefettura, polizia stradale e amministrazioni locali interessate, e comunque, nei casi di particolare emergenza, se non sia più opportuno disporre il blocco dei mezzi pesanti, individuando aree di sosta dove poter svolgere eventuale assistenza, come non è stato fatto nel tratto della A1 interessato.
(4-14870)

TESTO AGGIORNATO AL 15 FEBBRAIO 2012

...

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:

BURTONE. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nella notte tra il 9 e il 10 febbraio 2012 si è consumato un tentativo di furto presso la tabaccheria in via Pomarico di Pisticci Scalo;
nel tentativo di furto sarebbe stata usata una fiamma ossidrica, che ha provocato un incendio che ha messo a repentaglio la vita di una famiglia anziana che vive al piano superiore dell'esercizio commerciale;
purtroppo non è la prima volta che l'esercizio in questione subisce un tentativo di furto e altri furti si sono registrati nella zona nell'ultimo periodo;
i furti hanno interessato anche alcune aziende importanti come la Meba e l'Amaro Lucano;
già in precedenza in un documento di sindacato ispettivo a firma dell'interrogante era stata segnalata la necessità di porre in essere azioni di maggiore controllo

del territorio oltreché di potenziamento degli organici e dei mezzi a disposizione delle forze dell'ordine presenti sul territorio di Pisticci e che riguardano un comprensorio vastissimo che va dalla collina materana fino al mare;
una delle ipotesi avanzata è stata e rimane quella di installare un sistema di videosorveglianza che comprenda tutta via Cavalier Vena, da Loscalzo Gomme fino a via Pomarico azienda Meba, per una prima fase di sperimentazione eventualmente da estendere;
la questione sicurezza sta diventando davvero una priorità per il comprensorio e non poche sono le preoccupazioni di cittadini e operatori economici -:
quali iniziative di competenza il Governo intenda attivare per dare seguito a quanto esposto in premessa e consentire pertanto la installazione di un sistema di video sorveglianza a tutela della comunità e delle attività economiche e commerciali presenti nell'ambito territoriale citato.
(3-02101)

Interrogazione a risposta in Commissione:

LOLLI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il 23 gennaio 2012 è deceduto un giovane ragazzo romano in seguito ad un incidente sulle piste da sci di Ovindoli;
le «prevenzione» è l'unica arma a disposizione della collettività per cercare di escludere dolorosi fatti del genere. Sono molti, infatti, i casi in cui la polizia interviene per la ricerca di sciatori «smarriti» o in soccorso di coloro che, non rispettando le direttive in materia di sicurezza, incorrono in incidenti che senza la presenza dei poliziotti sfocerebbero in vere e proprie tragedie. A questo si deve aggiungere l'effetto deterrente per il rispetto delle regole e dei percorsi che la presenza delle forze di polizia ha sui frequentatori delle piste da sci;
da oltre quaranta anni la polizia di Stato ha garantito la sicurezza degli sciatori sulle piste del massiccio del Gran Sasso;
la polizia di Stato, insieme alla guardia di finanza è l'unica istituzione che forma i propri dipendenti presso la scuola di Moena abilitandoli al servizio di soccorso su pista;
Ovindoli, l'Aremogna, Campo felice e l'altopiano delle Rocche hanno visto ridotto il personale di polizia che garantisce i soccorsi e la sicurezza sulle piste da sci;
quest'anno, inoltre, è stata soppressa dal dipartimento della pubblica sicurezza la pattuglia della polizia di Stato che opera e vigila sulla sicurezza a Campo Imperatore adducendo come motivazione che nello stesso posto opera anche l'Arma dei carabinieri. Non si è però certamente tenuto conto del fatto che a operare a Campo Imperatore i carabinieri si trovano saltuariamente e comunque per competenza territoriale e non anche per il soccorso agli sciatori;
nel caso della pattuglia di stanza a Campo Imperatore il risparmio di spesa è inesistente in quanto, gli uomini preposti al servizio provengono direttamente dalla questura dell'Aquila e pertanto senza oneri per le indennità di missione;
con la mancanza della pattuglia della polizia è venuto a mancare l'organo abilitato e specializzato da sempre al soccorso su pista -:
se il Ministro sia a conoscenza di tali fatti e non ritenga utile prevedere nuovamente, nel più breve tempo possibile, la presenza della pattuglia della polizia di Stato a Campo Imperatore.
(5-06143)

Interrogazioni a risposta scritta:

RONDINI, MONTAGNOLI e BITONCI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il fenomeno dei «matrimoni di comodo» contratti da stranieri extracomunitari

con un cittadino italiano al solo fine di «regolarizzare» la posizione di clandestinità o per agevolare l'acquisto della cittadinanza italiana ha avuto una significativa diffusione nel nostro Paese, come risulta anche da ricorrenti notizie di cronaca;
il Governo Berlusconi, aveva adottato, su iniziativa del Ministro pro tempore Maroni, una serie di misure, in particolare contenute nella legge n. 94 del 2009, dirette a contrastare questa pratica, elusiva delle norme vigenti in materia di soggiorno degli stranieri;
prima della modifica legislativa, intervenuta con la citata legge n. 94 del 2009, ai sensi della previgente formulazione dell'articolo 116 codice civile, lo straniero, intenzionato a contrarre matrimonio in Italia, doveva presentare all'ufficiale dello stato civile solo un nulla osta rilasciato dall'autorità competente del proprio Paese;
oltre al predetto requisito formale, sul piano sostanziale, il nubendo doveva rispettare le condizioni previste dalla normativa italiana riguardanti la capacità di contrarre matrimonio (tra l'altro, libertà di stato, età minima) e l'assenza di situazioni personali ostative (ad esempio, impedimenti per parentela ed affinità);
con la citata legge n. 94 del 2009 era stato modificato l'articolo 116, primo comma, codice civile, sicché la nuova norma stabiliva che «lo straniero che vuole contrarre matrimonio nella Repubblica deve presentare all'ufficiale dello stato civile», oltre al nulla osta, di cui sopra, «un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano»;
la legge n. 94 del 2009, al fine di ridurre il fenomeno dei cosiddetti «matrimoni di comodo», aveva altresì modificato l'articolo 5 della legge n. 91 del 1992, in materia di acquisto della cittadinanza italiana, prevedendo un ampliamento del periodo di convivenza post-matrimonio, necessaria per l'acquisto della cittadinanza da parte del coniuge straniero;
in particolare al comma 1 dell'articolo 5 della citata legge si prevede, che «il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano può acquistare la cittadinanza italiana quando, dopo il matrimonio, risieda legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica, oppure dopo tre anni dalla data del matrimonio se residente all'estero, qualora», al momento dell'adozione del decreto di acquisto della cittadinanza, «non sia intervenuto lo scioglimento, l'annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio e non sussista la separazione personale dei coniugi»; al successivo comma 2 si stabilisce che i termini sono, peraltro, «ridotti della metà in presenza di figli nati o adottati dai coniugi»;
per effetto di queste importanti innovazioni legislative si era posto un freno ai matrimoni contratti per finalità estranee a questo istituto e dirette ad aggirare la normativa in materia di immigrazione, dotando in particolare i sindaci di uno strumento efficace per non procedere alle pubblicazioni di matrimonio, allorché il nubendo straniero era privo di un titolo di soggiorno;
la Corte Costituzionale con la sentenza 245 del 25 luglio 2011 ha tuttavia dichiarato l'incostituzionalità dell'articolo 116, primo comma, del codice civile, come modificato dall'articolo 1, comma 15, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), limitatamente alle parole «nonché un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano»;
le ragioni di tale declaratoria di incostituzionalità risiedono nel contrasto della disposizione in esame con il godimento di diritti fondamentali, tra i quali, afferma la Corte «certamente rientra quello di contrarre matrimonio, discendente dagli articoli 2 e 29 della Costituzione, ed espressamente enunciato nell'articolo 16 della dichiarazione universale dei

diritti dell'uomo del 1948 e nell'articolo 12 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali»;
l'effetto pratico di questa pronuncia è stato quello di privare i sindaci di un'effettiva possibilità di ostacolare la celebrazione di matrimoni di comodo, quando sia nota la condizione di clandestinità del nubendo e sia evidente la finalità strumentale del matrimonio rispetto all'obbiettivo della regolarizzazione;
il sindaco che volesse ostacolare la conclusione di un matrimonio simulato si dovrebbe perciò impegnare in accertamenti che non gli competono, dai quali risultava esonerato dalla precedente disposizione che legava la possibilità di contrarre matrimonio ad un requisito oggettivo e documentale quale l'attestazione della regolarità del soggiorno -:
quali iniziative normative si intendano assumere per pervenire, rispetto alla situazione illustrata in premessa, ad un bilanciamento degli interessi che contemperi il rispetto dei diritti fondamentali con il contrasto preventivo alla celebrazione dei matrimoni di comodo.
(4-14859)

BOCCI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
da tempo la città di Perugia si trova al centro di intense attività di traffico e spaccio di stupefacenti e di riciclaggio di denaro sporco da parte della malavita;
la recente relazione della direzione nazionale antimafia, riportando le indagini svolte dalla direzione distrettuale di Perugia parla di «particolare diffusività dell'attività di traffico internazionale e spaccio al minuto di sostanze stupefacenti ad opera di organizzazioni criminali composte quasi esclusivamente da soggetti stranieri»;
mercoledì 8 febbraio 2012, una scioccante trasmissione andata in onda su La 7 ha mostrato in tutta la sua devastante crudezza la realtà quotidiana dello spaccio e della malavita nel capoluogo umbro. In questo quadro si è evidenziato il difficilissimo lavoro delle forze dell'ordine, che rischiano quotidianamente la loro incolumità con mezzi e uomini insufficienti a far fronte ad un fenomeno di dimensioni ormai fuori controllo. Basti pensare che il tasso di overdose mortali a Perugia è sei volte più alto rispetto al resto del Paese;
la realtà descritta indica che non c'è più tempo da perdere, l'allarme è stato ripetutamente lanciato sia dai parlamentari che dalle istituzioni locali ed è arrivato il momento che lo Stato si assuma le sue responsabilità e faccia la sua parte, perché il problema ha assunto dimensioni nazionali;
c'è urgente bisogno di uomini e mezzi adeguati, i delinquenti devono vedere che lo Stato c'è e interviene con decisione per liberare Perugia dalle bande che rischiano di occupare il territorio, per ridare dignità e vivibilità ad una città che ha sempre rappresentato un fiore all'occhiello del Paese e una delle vetrine della bellezza e della civiltà italiane di fronte al mondo -:
se non ritenga di assicurare tempestivamente alla città di Perugia una dotazione di personale e di mezzi in grado di affrontare con efficacia l'emergenza di ordine pubblico descritta.
(4-14866)

PIFFARI e CIMADORO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
con il decreto legislativo n. 300 del 1999 («Riforma dell'organizzazione del Governo») all'articolo 11, si stabilisce che la prefettura-UTG, assicura l'esercizio coordinato dell'attività amministrativa degli uffici periferici dello Stato e garantisce la leale collaborazione di tali uffici con gli enti locali. Nell'esercizio di queste funzioni di coordinamento, il prefetto può richiedere ai responsabili delle strutture amministrative periferiche dello Stato l'adozione di provvedimenti volti a evitare un grave pregiudizio alla qualità dei servizi resi alla

cittadinanza, anche ai fini del rispetto della collaborazione con le autonomie territoriali;
il decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, reca all'articolo 16, comma 8: «le amministrazioni pubbliche... istituiscono una casella di posta certificata per ciascun registro di protocollo e ne danno comunicazione al Centro Nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione, che provvede alla pubblicazione di tali caselle in un elenco consultabile per via telematica»;
da un comunicato del 27 ottobre 2011, pubblicato sul sito del Ministero dell'interno, si è appreso che il dipartimento per le politiche del personale dell'amministrazione civile e per le risorse strumentali e finanziarie ha diramato una circolare dove vengono evidenziate le principali misure da assumere per il contenimento dei costi. Il testo recita: «Gli assi di questa direttiva riguardano: le spese postali, di missione, per le utenze, di manutenzione ordinaria, quelle per acquisto di beni e di rappresentanza». Nel dettaglio, si stabilisce che: «... per la corrispondenza dovranno essere utilizzati solo mezzi informatici quali posta elettronica e messaggistica certificata»;
con prot. N. 162, cat. 2, cl. 1, dell'UTG della prefettura di Lecco del 19 gennaio 2012, avente in oggetto l'«Istituzione del servizio di fermo posta presso la Prefettura», l'autorità citata dispone, con decisione unilaterale, la fine del servizio di posto ordinaria tra gli uffici prefettizi e le amministrazioni e la polizia locale dello provincia di Lecco, con decorrenza a partire dal 23 gennaio 2012;
da numerosi articoli di stampa e quotidiani on linelibero.it», «Il Giorno.it», il «Corriere di Lecco.it» eccetera), si è appreso, altresì, che, con il piano di razionalizzazione delle risorse economiche seguite alle disposizioni governative, la prefettura di Lecco ha attivato un apposito servizio di fermo posta destinato allo corrispondenza normalmente inviato per posta ordinaria e indirizzata agli uffici, che dovrà essere ritirato presso la prefettura negli orari di apertura al pubblico;
è opinione degli interroganti che, in virtù del ruolo che l'ordinamento dello Stato assegna alle prefetture, ovvero di coordinamento dell'attività amministrativa degli uffici periferici dello Stato, volto ad evitare un grave pregiudizio alla qualità dei servizi resi alla cittadinanza, e pur riconoscendo l'importanza di interventi mirati a ridurre o contenere i costi a carico dell'amministrazione pubblica, il risparmio di risorse non può attuarsi alterando la natura stessa di tali organi dello Stato, al punto da diventare prioritario rispetto alla stessa funzione assegnata loro dal legislatore;
quanto messo in atto dalla prefettura di Lecco, che ha applicato tale direttiva a tutti gli atti senza distinzione e indipendentemente dalla natura della comunicazione, non solo supera abbondantemente quelli che potrebbero essere considerati i ragionevoli ambiti entro cui applicare gli interventi per la riduzione dei costi della pubblica amministrazione ma, a parere degli interroganti, rischia di arrecare un sostanziale pregiudizio, sia ai cittadini in qualità di utenti sia agli stessi enti locali nello svolgimento delle funzioni delegate dallo Stato, contravvenendo a quanto stabilito dall'ordinamento -:
se il Ministro interrogato non ritenga opportuno intervenire affinché la prefettura di Lecco riveda tale misura assicurando un maggiore coinvolgimento degli stessi enti territoriali coinvolti;
se non reputi necessario assumere iniziative, anche valutando l'adozione di una direttiva specifica in merito all'organizzazione interna degli uffici territoriali del Governo, privilegiando criteri oggettivi di riduzione della spesa pubblica che tengano in considerazione l'efficienza del servizio svolto, nonché la capacità finanziaria degli enti locali coinvolti, in modo da

garantire una riduzione dei costi che non produca aggravio di bilancio a carico dei cittadini.
(4-14868)

TESTO AGGIORNATO AL 15 MARZO 2012

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ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza:

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere - premesso che:
il sistema di istruzione pubblica italiano è stato privato di circa 90.000 insegnanti negli ultimi tre anni (circolare ministeriale n. 38 del 2 aprile 2009 che tagliava 42.100 cattedre, circolare ministeriale n. 37 del 13 aprile 2010 che tagliava 25.600 cattedre e circolare ministeriale n. 21 del 14 marzo 2011 che tagliava 19.700 cattedre) in applicazione dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge n. 112 del 25 giugno 2008, convertito, con modificazioni dalla legge n. 133 del 6 agosto 2008 recante «norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale utilizzo delle risorse umane della scuola», e dei decreti attuativi ad esso correlati i cui effetti sono tuttora in atto;
la scelta di sottrarre drasticamente risorse umane alla scuola ha determinato la riduzione degli organici molto al di sotto dei minimi termini, causando un impoverimento generalizzato dell'offerta formativa del sistema di istruzione italiano di ogni ordine e grado, dall'infanzia alla secondaria di secondo grado;
per effetto di tali misure, in quest'anno scolastico 2011-2012 sono stati determinati, in tutta Italia, 10.443 docenti in esubero tra scuola primaria, medie e superiori. Si tratta di insegnanti di ruolo che stanno assistendo alla vertiginosa contrazione delle ore di lezione delle proprie discipline di insegnamento;
tale riduzione produrrà effetti ancora più drastici in termini di esuberi, quando i nuovi quadri orari della riforma «Gelmini» delle scuole secondarie superiori andranno a regime;
se si aggiungono le misure relative all'aumento dell'età pensionabile, in vigore dal 1o gennaio di quest'anno, il quadro complessivo è destinato ad assumere proporzioni estremamente allarmanti;
si tratta di docenti di ruolo, in sovrannumero, che hanno perso la propria cattedra, pertanto, qualora non si adottino misure a tutela di tale personale, questi docenti rischiano nel giro del prossimo biennio di essere messi in mobilità e licenziati;
le soluzioni sino ad ora adottate per arginare il fenomeno di precarizzazione del personale di ruolo appaiono del tutto inadeguate se non addirittura mortificanti per la professionalità dei docenti nonché dequalificanti per il sistema di istruzione italiano;
ci si riferisce in particolare alle note 272 del 14 marzo 2011, la nota prot. 1348 del 21 aprile 2010 e la nota 4968 dell'11 maggio 2010, anticipatrici del decreto di riordino delle classi di concorso, che ricorrono a criteri di determinazione di atipicità degli insegnamenti poco rispettosi della didattica delle discipline interessate;
ha inoltre suscitato preoccupazione l'intenzione palesata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in più circostanze di istituire dei corsi destinati alla riconversione professionale del personale decente in esubero, nell'ambito del sostegno agli alunni diversamente abili, perché l'assolvimento di un compito così delicato, quale l'integrazione e la garanzia del diritto allo studio degli alunni meno fortunati, necessita di professionalità specifiche e non improvvisate -:
se il Ministro interrogato non ritenga urgente assumere iniziative per dare una soluzione definitiva al problema degli esuberi del personale docente di ruolo, rideterminando gli organici in base alle reali esigenze della scuola, e cioè sulla base dei seguenti criteri: attenendosi scrupolosamente

ai limiti del numero degli alunni per classe imposto dalle norme sulla sicurezza e agibilità dei plessi scolastici; evitando la riconduzione forzata a 18 ore negli istituti di istruzione superiore qualora essa costituisca un ostacolo alla continuità didattica; ripristinando le compresenze nella scuola primaria e rinunciando alla revisione delle classi di concorso per l'insegnamento nelle scuole superiori.
(2-01356) «Di Giuseppe, Zazzera».

Interrogazione a risposta immediata:

BACHELET, GHIZZONI, MARAN, LENZI, QUARTIANI, GIACHETTI, COSCIA, DE BIASI, DE PASQUALE, DE TORRE, LEVI, LOLLI, MAZZARELLA, MELANDRI, NICOLAIS, PES, ROSSA, ANTONINO RUSSO e SIRAGUSA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il Ministro interrogato ha in più occasioni espresso l'intenzione di avviare una tornata di concorsi di reclutamento per il personale docente della scuola;
l'Italia è il Paese dell'Unione europea con la percentuale più alta di insegnanti ultracinquantenni nelle scuole superiori (57,8 per cento) e quella più bassa di insegnanti sotto i 30 anni (0,5 per cento); peraltro, la normativa previdenziale recentemente approvata determinerà la permanenza in servizio di docenti ultrasessantenni, aggravando, da un lato, i dati percentuali sopra riportati e, dall'altro, riducendo i posti vacanti e disponibili da coprire con il reclutamento di nuovo personale;
circa il 7 per cento del numero di graduatorie ad esaurimento non hanno più al loro interno docenti abilitati da immettere in ruolo: soprattutto al Nord, vi sono numerose province che presentano graduatorie esaurite di matematica, matematica e fisica, ingegneria informatica e gestionale, scienze, mentre permangono code lunghissime di aspiranti in graduatorie di altre classi di concorso, in particolare quelle di scienze umane;
in un atto di sindacato ispettivo dell'agosto 2011, il gruppo del Partito Democratico valutava l'opportunità di bandire concorsi «che, sulla base del merito e di un adeguato contingente di posti, avrebbero consentito tanto ai migliori insegnanti già in graduatoria di accelerare il proprio ingresso negli organici, quanto ai migliori laureati degli ultimi anni, conseguita la nuova abilitazione, di giocare le proprie opportunità»;
gli annunciati concorsi, se avviati immediatamente, contribuirebbero, pertanto, ad immettere stabilmente nel sistema scolastico nuovo personale, fortemente motivato, a vantaggio della didattica e dell'offerta formativa;
non risultano ancora pienamente attuate le disposizioni che prevedono interventi del Governo per il riordino del reclutamento degli insegnanti;
la regione Lombardia ha presentato un progetto di legge, che prevede, tra l'altro, all'articolo 5 («Reclutamento del personale docente da parte delle istituzioni scolastiche»), che: «A partire dall'anno scolastico 2012/2013, le istituzioni scolastiche statali possono organizzare concorsi differenziati a seconda del ciclo di studi, al fine di reclutare personale docente necessario a svolgere le attività didattiche annuali»;
tale progetto di legge appare, ad avviso degli interroganti, in contrasto con il dettato del titolo V della Costituzione, che affida in via esclusiva allo Stato le norme generali sull'istruzione (articolo 117, secondo comma, lettera n)), fra le quali indubitabilmente rientrano quelle che disciplinano il reclutamento degli insegnanti, e, sempre in via esclusiva, i principi fondamentali che la legislazione regionale deve osservare in materia

d'istruzione, laddove alle regioni spetta solo una legislazione concorrente (articolo 117, terzo comma) -:
se e quando il Ministro interrogato intenda procedere sia all'indizione degli annunciati concorsi, sia all'attuazione delle disposizioni sul reclutamento del personale docente nella scuola.
(3-02102)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VII Commissione:

BARBIERI e DE CAMILLIS. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
in data 3 gennaio 2012 i rettori della federazione del sistema universitario lucano-molisano-pugliese hanno inviato una lettera aperta al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca per denunciare una disparità di trattamento nella distribuzione dei fondi tra università del Centro-Nord e del Centro-Sud;
infatti, il 14 dicembre 2011 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha diffuso i dati sulla dotazione del Fondo di finanziamento ordinario assegnata ai singoli atenei pubblici nazionali. La cosiddetta quota premiale del fondo comporta, come da normativa, premialità e penalizzazioni finanziarie per gli atenei cosiddetti «virtuosi» e «non virtuosi»;
da tale ripartizione si constata che su 27 atenei centro-meridionali solo 2 appaiono marginalmente virtuosi, mentre delle 27 università del Centro-Nord ben 23 rientrano tra la categoria delle «virtuose»;
il fondo di finanziamento ordinario presenta delle sperequazioni e differenze ingiustificabili in quanto tali disuguaglianze hanno origini «storiche» di molto precedenti alla recente introduzione di criteri meritocratici di premialità, perché dai dati che rilevano i rettori gli atenei che ricevono la maggiorazione di Fondo di finanziamento ordinario non sono sovrafinanziati perché «virtuosi», ma risultano «virtuosi» (cioè con performance superiori alla media) proprio in quanto già preliminarmente sovrafinanziati;
tale situazione si aggrava nelle discutibili modalità con le quali sono stati finora definiti i criteri ed i pesi dell'algoritmo di premialità, in quanto (ad esempio) nella didattica si premia la facilità di superamento degli esami e non la qualità della formazione ricevuta, e nella ricerca si portano in conto solo alcuni capitoli di finanziamento nazionale ed europeo, e non altri, e si ignorano gli indicatori bibliometrici internazionali di produttività scientifica;
inoltre, alle sperequazioni nella distribuzione del finanziamento ordinario si sommano le enormi differenze tra i livelli di tassazione sopportabili dalle rispettive popolazioni studentesche e tra i contributi offerti, alle università locali, dai rispettivi territori: in primis da parte degli enti locali e delle fondazioni bancarie, notoriamente molto più ricchi nelle regioni centro-settentrionali di quanto accada nel Meridione d'Italia -:
quali iniziative, anche normative, intenda assumere al fine di porre rimedio alla situazione descritta in premessa ed evitare ulteriori discriminazioni a danno degli atenei ubicati nelle regioni più povere.
(5-06155)

GHIZZONI, MAZZARELLA, TOCCI, LOLLI, NICOLAIS e ZACCARIA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
a fronte dell'anzianità del personale docente e dei ricercatori universitari, nonché di quello tecnico-amministrativo, è facile ipotizzare che i futuri massicci pensionamenti, in assenza di un adeguato turn over, avranno effetti negativi sull'offerta didattica e sulla attività di ricerca, oltre a procurare detrimento alla ordinaria prassi amministrativa;

in molti atenei, nonostante siano stati banditi appositi concorsi, non si procede con l'assunzione in servizio dei vincitori, per il combinato disposto del comma 4 dell'articolo 51 della legge n. 447 del 1997 - secondo il quale «Le spese fisse e obbligatorie per il personale di ruolo delle università statali non possono eccedere il 90 per cento dei trasferimenti statali sul fondo per il finanziamento ordinario» - e del comma 1 dell'articolo 1 dalla legge n. 1 del 2009 che ha disposto che le università in cui il predetto rapporto superi il 90 per cento non possano né bandire concorsi né procedere ad alcuna assunzione di personale di ruolo;
se molti atenei superano la soglia del 90 per cento è anche a causa della costante e repentina diminuzione delle risorse assegnate dallo Stato al Fondo di finanziamento ordinario;
se il superamento della soglia del 90 per cento nel rapporto tra spese di personale e risorse del fondo di finanziamento ordinario impedisce l'assunzione dei vincitori, è tuttavia da ricordare che il suddetto limite non era stato oltrepassato nel momento in cui le università hanno avviato le procedure concorsuali e pertanto, la disposizione della citata legge n. 447 del 1997, novellata dall'articolo 1, comma 1, del citato decreto-legge n. 180 del 2008, non dovrebbe ritenersi applicabile;
così pure, in analogia, dovrebbe essere sottratta alla applicazione della citata previsione di legge la chiamata di idonei di prima e seconda fascia presso gli atenei che abbiano bandito procedure di valutazione compartiva per assunzione in ruolo di associati e ordinari che si siano concluse;
la mozione approvata dal Consiglio universitario nazionale nell'adunanza del 21 aprile 2011 chiede al Ministro «di autorizzare le università a concludere con l'assunzione, le procedure concorsuali bandite nei casi in cui il rapporto tra spese fisse e il fondo di finanziamento ordinario avesse rispettato i limiti di legge al momento dell'emanazione del bando. Peraltro, tali assunzioni vanno a configurarsi come provvedimento finale (atto dovuto, ai sensi della legge n. 241 del 1990 e successive modificazioni e integrazioni) del procedimento di assunzione avviato con l'emanazione del bando». Nella stessa mozione, il Consiglio universitario nazionale ha molto opportunamente ricordato che «l'entità del fondo di finanziamento ordinario annuale per ciascuna università è stato soggetto a notevoli variazioni ed incertezze, a causa sia della diminuzione dello stanziamento complessivo di bilancio sia delle modifiche delle regole di ripartizione, tanto che la determinazione definitiva del fondo 2010 è stata comunicata alle università solo negli ultimi giorni dell'anno 2010». In quella sede si è inoltre considerato che «anche a causa delle modifiche legislative intervenute nel frattempo, molti concorsi a posti di professore o di ricercatore, banditi sin dal 2008, si sono conclusi solo alla fine del 2010 o si stanno tuttora concludendo; sussiste molta incertezza sui tempi e sulle modalità di applicazione del divieto di assunzione nel caso di superamento del tetto previsto per il rapporto tra spese fisse e fondo di finanziamento ordinario; tale tetto può essere ora superato in modo del tutto indipendente dalle scelte delle università, o per diminuzione del fondo di finanziamento ordinario o per nuove procedure di calcolo, situazioni comunque imprevedibili quando il concorso era stato bandito»;
il blocco delle assunzioni di personale universitario prolungherà il periodo di precariato per i vincitori di concorso a ricercatore e produrrà il rischio di decadenza dell'idoneità per gli idonei nelle procedure di valutazione comparativa di I e II fascia, oltre a procurare comunque un grave danno per la didattica e la ricerca dell'intero sistema -:
quali iniziative, anche normative, intenda assumere per dare soluzione alla situazione ricordata in premessa, così da consentire la chiamata in servizio degli aventi titolo (vincitori o idonei) presso gli atenei che abbiano bandito concorsi di

ricercatore o procedure di valutazione di I e II fascia, ancorché nelle more tra il bando e la conclusione della procedura detti atenei abbiano superato, anche a causa della costante diminuzione delle risorse trasferite dallo Stato al Fondo di finanziamento ordinario, il limite del 90 per cento previsto dal comma 4 dell'articolo 51 della legge n. 447 del 1997.
(5-06156)

ZAZZERA, DI PIETRO e DI GIUSEPPE. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
in una lunga e approfondita intervista rilasciata il 4 febbraio 2012 a La Repubblica da Sergio Benedetto, coordinatore dell'esercizio VQR (valutazione qualità e ricerca) dell'ANVUR (agenzia nazionale valutazione università e ricerca) e responsabile di vertice della stessa, si dichiara che l'obiettivo dell'agenzia sarebbe quello di applicare la valutazione di atenei ed enti di ricerca in modo da redigere una «classifica» o «mappatura» delle università e degli enti di ricerca di «serie A, B o Z», che possa determinare la ripartizione dei fondi a partire dal 2013, che possa «far ripartire da zero le università» istituendo una distinzione netta tra researching university e teaching university e che possa tracciare una distinzione tra università adibite al conferimento della laurea triennale e università dove si possa conseguire i titoli più alti, determinando anche la chiusura di «qualche sede»;
in merito alla competenze dell'ANVUR, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 1o febbraio 2010, n. 76, articolo 2, comma 2, si fa presente che l'ANVUR è istituita come agenzia che sulla base di un programma almeno annuale approvato dal Ministro, cura la valutazione esterna della qualità delle attività delle università e degli enti di ricerca pubblici e privati destinatari di finanziamenti pubblici;
ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera a), del suddetto decreto, inoltre, le valutazioni dell'ANVUR si concludono entro un periodo di 5 anni; alla lettera b) si specifica, che la definizione dei criteri di valutazione deve essere finalizzata all'accreditamento periodico da parte del Ministro, coinvolgendo i nuclei interni di valutazione e, per le questioni didattiche, le commissioni paritetiche e gli organi di rappresentanza degli studenti, mentre alla lettera f), infine, si precisa che l'agenzia elabora, su richiesta del Ministro, i parametri di riferimento per l'allocazione dei finanziamenti statali;
in merito all'istituzione di una «mappatura delle università» da «far ripartire da zero», si fa presente che secondo il parere approvato dalla VII Commissione della Camera (cultura scienza ed istruzione) circa lo schema di decreto legislativo n. 396, recante disposizioni per la valorizzazione dell'efficienza e della qualità della didattica e della ricerca (giunto all'ultimo passaggio dell'iter parlamentare prima della entrata in vigore) dev'essere operata una distinzione chiara tra «accreditamento iniziale, fondato su indicatori ex ante definiti dall'ANVUR e che consente al Ministero di autorizzare le Università all'attivazione dei corsi, e accreditamento periodico che dev'essere fondato principalmente sugli esiti della valutazione e su indicatori ex post»;
tale distinzione, che è chiaramente presente nella ratio del decreto 1o febbraio 2010, n. 76, prima menzionato, sancisce l'importanza strategica, e la peculiarità rispetto alla valutazione periodica, che rivestono l'avviamento e la definizione dello status giuridico di corsi di studio, atenei, ed enti di ricerca, e presuppone, altresì, la responsabilità da parte del Ministero di ogni scelta sulla policy universitaria e della ricerca, come anche delle considerazioni e delle conclusioni a seguito degli elementi di valutazione e accreditamento periodici;
nel merito delle affermazioni di Benedetto, nonostante si ritenga importante

la valutazione in sé quale strumento di riferimento in ausilio delle scelte politiche nell'interesse di chi fruisce dell'università e nell'interesse della collettività, la direzione intrapresa presuppone un'idea punitiva della valutazione che penalizza il sistema di eccellenza territoriale diffusa su tutto il territorio nazionale;
l'idea di affidare le scelte politiche ad un rating delle università sancisce una palese ammissione di fallimento da parte dello Stato nell'assicurare un servizio di formazione pubblica omogeneo sull'intero territorio nazionale;
i recenti tagli del precedente Governo hanno inoltre condotto l'Italia agli ultimi posti della media OCSE in termini di investimenti nel settore dell'università e della ricerca, per cui diversi atenei si trovano nei fatti impossibilitati a rientrare in determinati parametri infrastrutturali e di bilancio;
nella lettera aperta al Ministro Profumo resa pubblica nei giorni scorsi, importanti rettori di università del Mezzogiorno hanno denunciato le sperequazioni esistenti nella distribuzione delle risorse tra le università per cui gli atenei non sarebbero sovrafinanziati perché virtuosi, ma virtuosi perché preliminarmente sovrafinanziati e hanno altresì affermato che tale disparità, aggravata dalle discutibili modalità con le quali sono stati definiti i criteri di riparto, sta diventando insopportabile per importantissimi atenei;
le scelte da operare nei confronti di tali situazioni come dell'intero sistema, non devono presupporre l'obiettivo di ridurre le dimensioni del servizio pubblico di formazione e ricerca, ma devono rispondere all'obbiettivo di assicurare risorse crescenti ed un generale miglioramento, al fine di assicurare su tutto il territorio nazionale un servizio pubblico di qualità e di ottimizzare eventualmente risorse e infrastrutture sulla base delle necessità, della conformazione e delle esigenze delle singole realtà territoriali;
in moltissimi casi, la cattiva situazione di atenei ed enti di ricerca testimonia l'assenza di scelte politiche di ampio respiro negli ultimi anni, e rende necessario non un «declassamento» o una «chiusura», ma una generale riforma del sistema di gestione del potere all'interno degli atenei, che distribuisca uguali diritti a chi svolge le medesime mansioni di ricerca e didattica, ovvero l'istituzione del ruolo unico delle docenze;
secondo gli interroganti la valutazione va intesa in qualità di strumento, il cui utilizzo dipende poi da scelte politiche di indirizzo intitolate al Ministero, evitando che nella valutazione stessa siano intrinsecamente configurabili scelte politiche;
appare agli interroganti assolutamente non opportuno per il Paese un sistema universitario disomogeneo in termini di qualità e valutazione in cui l'impegno/disimpegno dello Stato è in funzione della valutazione piuttosto che di un vero e proprio progetto del percorso formativo superiore;
sarebbe opportuno chiarire se il Ministro intenda la valutazione come un vaglio che tende a raggiungere e mantenere un elevato livello diffuso sul territorio nazionale, oppure intenda seguire la linea politica espressa da Benedetto, per cui la valutazione è finalizzata ad istituire una graduatoria tra atenei volta a distinguerne ufficialmente le differenti mansioni tra ricerca e insegnamento, e se il Ministro intenda agire nei confronti degli atenei cosiddetti di «serie B», tutelando le pari opportunità e il diritto allo studio sull'intero territorio nazionale -:
come il Ministro intenda chiarire l'intollerabile confusione e sovrapposizione di ruoli tra il Ministero e l'ANVUR e se non ritenga opportuna una richiesta di spiegazioni da parte del presidente dell'ANVUR affinché chiarisca se le posizioni di Benedetto sono state espresse a titolo personale o se siano state discusse e concordate con il consiglio direttivo dell'agenzia.
(5-06157)

Interrogazione a risposta scritta:

ANTONINO RUSSO e SIRAGUSA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
come risulta da una comunicazione della FLC-CGIL di Trapani indirizzata, tra gli altri, al Ministro interrogato, la professoressa Lea Pavarini è stata alla guida del conservatorio di musica «Antonio Scontrino» di Trapani dal 1993 al 2000 come fiduciaria, poi dal 2000 al 2011 come direttore, fino alla scadenza del suo secondo mandato (31 ottobre 2011). Durante questi anni si verificano nell'istituzione molti fatti incresciosi che l'interrogante di seguito espone;
nel marzo 2010 il direttore Pavarini viene rinviata a giudizio per peculato insieme al direttore amministrativo Angelo Gambino. Di comune accordo, avrebbero indotto il consiglio di amministrazione del conservatorio - in cui essi stessi sedevano - ad autorizzare l'erogazione di somme per incarichi aggiuntivi in loro stesso favore e di alcuni collaboratori;
il direttore amministrativo viene immediatamente trasferito d'ufficio dalla direzione generale AFAM presso l'accademia delle belle arti di Palermo;
la professoressa Lea Pavarini, invece, nonostante la chiarissima norma del CCNL AFAM, articolo 53, commi 3, 4 e 5, e della legge (legge n. 97 del 2001), non viene sospesa dalle funzioni, né trasferita d'ufficio;
il figlio del direttore Pavarini, Luca Lombardo, viene più volte scritturato quale solista con l'orchestra dell'Istituto nelle stagioni concertistiche programmate e finanziate dal conservatorio;
al marito del direttore Pavarini, signor Salvatore Lombardo, viene affidata la gestione del sito internet del conservatorio di Trapani;
nell'anno accademico 2010/2011, il direttore Pavarini omette di convocare il collegio dei professori almeno due volte, contrariamente a quanto statuito dall'articolo 15 comma 2 dello Statuto;
nonostante il conservatorio sia un'istituzione pubblica, non risulta che siano mai state pubblicate le delibere del consiglio accademico o del consiglio di amministrazione né per affissione all'albo d'istituto, né sul sito internet del conservatorio;
dopo l'anno 2009/2010 non è avvenuta più la sottoscrizione del contratto d'Istituto;
durante l'ultimo mandato del direttore Pavarini, la procedura per il rinnovo degli organi di governo dell'istituzione viene contrassegnata da fatti molto dubbi:
non risulta che sia mai stato portato in consiglio di amministrazione e approvato un regolamento generale per le elezioni degli organi del conservatorio;
in mancanza di regolamento elettorale, il direttore Pavarini emana un bando per il rinnovo del direttore e del consiglio accademico a soli 27 giorni dalla loro scadenza (3 ottobre 2011), concedendo solo 9 giorni per la presentazione delle candidature e 12 giorni per la campagna elettorale, tempi del tutto insufficienti per un sereno svolgimento delle elezioni;
le elezioni per il rinnovo della consulta degli studenti non vengono addirittura indette entro la fine dell'anno accademico, e l'organo viene lasciato decadere;
il direttore Pavarini convoca in direzione professori dell'istituto, facendo pressioni perché fosse votato il candidato da lei suggerito, la cui identità si riserva di rivelare successivamente;
il bando per il rinnovo della carica di direttore, molto lacunoso e di dubbia interpretazione, prevede un preventivo controllo di mera regolarità formale delle domande affidato al direttore amministrativo (articolo 1, comma 3), lasciando alla commissione elettorale il compito di verificare

la sussistenza dei requisiti di eleggibilità (articolo 2, comma 2). Nonostante ciò, il direttore amministrativo produce un verbale scritto (verbale del 13 ottobre 2011, ore 9.15, controfirmato dal direttore di ragioneria e da un assistente amministrativo) nel quale afferma che due dei tre candidati non hanno i requisiti di eleggibilità previsti dal bando;
la commissione elettorale decide all'unanimità di ammettere tutte le candidature (verbale del 14 ottobre 2011). L'indomani, 15 ottobre, il direttore Pavarini convoca in direzione l'intera commissione elettorale con lettera scritta e protocollata «per fatti gravi e urgenti», cercando di convincere la commissione (che ha già concluso i suoi lavori il giorno precedente) a modificare il verbale già protocollato e pubblicato. Due dei tre componenti la commissione si rifiutano e abbandonano l'ufficio di direzione;
lo stesso giorno, con lettera scritta e protocollata (15 ottobre 2011), il direttore Pavarini revoca alla professoressa Cordova l'incarico di vice direttore, con la motivazione scritta che la professoressa Cordova si era candidata alla direzione;
con decreto direttoriale n. 633 del 17 ottobre 2011 il direttore Pavarini nomina il seggio elettorale. Due giorni dopo (decreto direttoriale n. 634 del 19 ottobre 2011), e dunque al di fuori dei termini stabiliti dal bando, il direttore revoca la nomina ai tre componenti e la conferisce ad altri tre (decreto direttoriale n. 635 del 19 ottobre 2011);
nei giorni delle elezioni (24-25-26 ottobre) il direttore Pavarini fa convocare nuovamente dalla segreteria docenti precari, per la firma del contratto;
ogni sera le urne vengono chiuse nella cassaforte personale del direttore, situata nell'ufficio del direttore, anziché essere prese in custodia dal direttore amministrativo, responsabile del procedimento, il quale riferisce di non aver potuto custodire alcun documento o verbale del procedimento elettorale, in quanto gli stessi sarebbero stati presi in custodia dal direttore Pavarini;
il direttore Pavarini - che ha diritto di voto - staziona per ore nell'aula in cui sono allestiti i seggi, sedendosi a chiacchierare lungamente con i membri del seggio elettorale e assistendo personalmente alle operazioni di voto;
il 26 ottobre il seggio elettorale effettua lo spoglio, dal quale il professor Angelo Guaragna risulta il candidato più votato, con 42 voti a favore su 73 votanti (il 57 per cento). L'interpretazione del bando risulta tuttora dubbia. Non risulta pubblicato il verbale di proclamazione;
a precise domande dei colleghi il neo-eletto professor Guaragna risponde che non ha alcuna intenzione di essere presente spesso in Istituto, poiché vive e insegna a Cagliari. Egli verrà non più di una-due volte al mese, lasciando tutto nelle mani della professoressa Lea Pavarini, che continuerà ad essere sostanzialmente il vero direttore. Questo - asserisce di fronte a un gruppo di professori - sarà l'unico conservatorio ad avere due direttori: io e Lea Pavarini. In tal maniera la professoressa Pavarini può aggirare il divieto del terzo mandato consecutivo;

ulteriori fatti incresciosi avvengono dopo lo svolgimento delle elezioni:
il 27 ottobre, il direttore uscente Lea Pavarini impedisce al professor Sergio Lanza, docente di ruolo di composizione dell'Istituto (già componente della commissione elettorale) di entrare nella propria aula, facendola trovare chiusa a chiave e rifiutandosi di aprirla, senza dare motivazione alcuna;
il giorno 31 ottobre, ultimo giorno del proprio mandato di direttore, la professoressa Pavarini revoca con lettera scritta e protocollata alla professoressa Cordova l'incarico di responsabile delle relazioni internazionali, incarico conferitole dal consiglio accademico e ratificato dal collegio dei professori;

in segno di protesta, lo stesso giorno si dimette il secondo dei tre componenti RSU, professor Domenico Piccichè (il primo, professor Morana, si era già dimesso qualche tempo prima). L'RSU decade, venendo meno la maggioranza dei componenti. Il professor Piccichè si dimette anche da RLS (responsabile dei lavoratori per la sicurezza);
il giorno 2 novembre data di inizio del nuovo anno accademico, il nuovo direttore, professor Angelo Guaragna, avrebbe dovuto insediarsi, come disposto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 132 del 2003 e dallo statuto del conservatorio di Trapani (articolo 8, comma 5). Il direttore neo-eletto, tuttavia, non si presenta in conservatorio per tutta la prima settimana di novembre. L'ufficio del direttore continua ad essere occupato dall'ex direttore, ora semplice professore, Lea Pavarini;
il direttore Guaragna nel mese di novembre è presente soltanto per 7 giorni in istituto: dal 7 all'11 e dal 21 al 22. Il giorno 9 novembre presiede un consiglio accademico e nomina la professoressa Pavarini vice direttore, nonostante la stessa fosse rinviata a giudizio per peculato. Il 22 convoca un collegio dei professori per il 19 dicembre e riparte, facendo sapere che non tornerà prima di dicembre. Anche nei mesi successivi, il direttore non è presente per più di 10-12 giorni al mese. Il divieto del terzo mandato consecutivo è così eluso: l'ex direttore continua ad esercitare le funzioni di direttore, contando sulle prolungate assenze del direttore formalmente eletto;
ridiventata semplice docente, ai sensi dell'articolo 53, commi 3, 4 e 5, del CCNL AFAM vigente e dell'articolo 3 della legge n. 97 del 2001, la professoressa Pavarini - rinviata a giudizio per peculato - avrebbe dovuto essere obbligatoriamente sospesa dal servizio dal direttore neo-eletto, titolare dell'azione disciplinare o, in alternativa, trasferita d'ufficio, fino a sentenza definitiva. Il direttore però non sospende, né fa trasferire la professoressa Pavarini, la quale continua a sedere in direzione, convocando i professori e presiedendo le riunioni dei gruppi di lavoro;
il giorno 25 novembre si dimette il presidente del conservatorio di musica di Trapani, notaio Salvatore Lombardo, anche se sul sito internet dell'istituto continua a risultare come presidente;
venerdì 20 gennaio, in un incontro alla presenza del segretario provinciale FLC-CGIL Lo Piano, del membro della segreteria regionale FLC-CGIL Ornella Ingoglia e del terminale associativo FLC-CGIL professor Domenico Piccichè, il direttore riferisce di aver affidato la procedura di rinnovo delle graduatorie per l'insegnamento alla professoressa Pavarini asserendo che la stessa è stata presente ai lavori delle commissioni sia come facente funzioni di direttore, sia come segretario verbalizzante. Nel medesimo incontro, il direttore non si assume alcuna responsabilità rispetto alla contrattazione 2010/2011, e dice che comunque la contrattazione (10/11 e 11/12) non potrà aver inizio fino all'insediamento delle nuove RSU (marzo 2012);
la professoressa Lea Pavarini continua altresì, pur non avendone diritto, a partecipare alle riunioni del consiglio accademico, in aperta polemica con i rappresentanti degli studenti in consiglio, gli unici a contestarne la presenza;
a tutt'oggi, la professoressa Pavarini risulta intestataria di carta di credito i cui oneri vengono caricati sull'istituzione -:
quali urgenti iniziative intenda attuare al fine di ripristinare il rispetto delle norme gravemente violate presso il conservatorio di musica «A. Scontrino» di Trapani.
(4-14891)

TESTO AGGIORNATO AL 15 FEBBRAIO 2012

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:

CODURELLI, BOCCUZZI, SCHIRRU, MIGLIOLI, GATTI e RAMPI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
la devastante crisi economica degli ultimi anni ha acuito la tensione sociale e politica nel nostro Paese, favorendo pericolose divisioni e lacerazioni all'interno del sistema produttivo italiano; nel mondo del lavoro si manifesta sempre più prepotentemente l'esigenza di rasserenare i rapporti tra il Governo e le parti sociali al fine di facilitare intese che permettano una modifica equa e condivisa del sistema;
uno dei temi più dibattuti è relativo alla piena e fattiva capacità di rappresentanza da parte delle organizzazioni sindacali, poiché il carattere incompiuto e imperfetto della disciplina sulla rappresentanza sindacale è spesso foriero di situazioni equivoche che, certamente, non contribuiscono a una distensione dei rapporti lavorativi;
a esempio, la mancata adesione della FIOM al rinnovo del contratto collettivo nazionale del settore metalmeccanico, stipulato in data 15 ottobre 2009, tra le tante questioni sollevate, ha evidenziato con forza il problema, ancora non definitivamente risolto, riguardante la legittimità, dell'utilizzo dell'istituto della cessione del credito (articolo 1260 del codice civile), per operare la trattenuta sindacale a favore di organizzazioni sindacali che non abbiano aderito al CCLN;
a seguito della mancata firma, a partire dal 1° gennaio 2012, il sindacato dei metalmeccanici facente capo alla CGIL non possiede più il requisito di «organizzazione sindacale stipulante il CCNL», con la conseguente privazione di alcuni diritti precedentemente spettabili ed esercitabili in sede nazionale, territoriale e aziendale, tra i quali, il diritto al versamento dei contributi sindacali dei lavoratori;
la materia è dibattuta sin dall'aprile del 1995, quando l'esito del referendum popolare ha comportato l'abrogazione dei commi 2 e 3 dell'articolo 26 dello statuto dei lavoratori (legge n. 300/1970), facendo divenire materia di competenza esclusivamente contrattuale la riscossione dei contributi sindacali, la quale, quindi, dipende dalle previsioni dei contratti collettivi di riferimento, salvo che tale diritto non sia riconosciuto mediante specifiche intese aziendali;
tale modifica ha provocato, nel corso degli anni successivi, una molteplicità di interpretazioni, anche di tipo giurisprudenziale, relative alla sussistenza di un obbligo, in capo al datore di lavoro, di effettuare il versamento delle quote sindacali, per il tramite dell'istituto della cessione del credito, su richiesta del lavoratore, a favore di organizzazioni sindacali non firmatarie del CCNL;
la sentenza del 21 dicembre 2005, n. 28269, delle sezioni unite dalla Corte di cassazione, sembrava aver risolto un contrasto giurisprudenziale sorto a seguito di sentenze pronunciate da diverse sezioni della medesima Corte nel corso del 2004; i giudici della Corte si sono, infatti, pronunciati nel senso di ritenere legittima l'utilizzabilità dell'istituto del credito in materia di contributi sindacali, come già affermato dalle sentenze della sezione lavoro n. 3917 e n. 14032 del 2004;
la Suprema Corte nel dispositivo della sentenza n. 28269, ha affermato che il referendum del 1995 «ha lasciato in vigore l'articolo 26 dello statuto dei lavoratori, comma 1, che protegge i diritti individuali dei lavoratori concernenti l'attività sindacale per quanto attiene, in particolare, alla raccolta dei contributi: stipulare con il sindacato i contratti di cessione di quote della retribuzione costituisce una modalità di esercizio dei detti diritti; il rifiuto del datore di lavoro di darvi corso, lungi dal concretare un mero illecito civilistico, opera una compressione dei diritti individuali e di quelli del sindacato»;

a seguito di tale sentenza l'orientamento prevalente della giurisprudenza è stato quello di ritenere idoneo l'istituto della cessione del credito, per ciò che riguarda la legittimazione della richiesta di versamento delle trattenute sindacali, a prescindere da quanto disposto dalla contrattazione collettiva;
nonostante ciò, purtroppo, non si è ancora giunti a una univocità di comportamenti, e spesso i datori di lavoro, sia in caso di interruzione sia di prosecuzione della trattenuta, manifestano al lavoratore l'intenzione di operare «con riserva», in attesa dei chiarimenti che interverranno in sede giurisprudenziale in tale materia;
tali differenti orientamenti giurisprudenziali determinano una situazione di oggettiva incertezza, nonché un non auspicabile incremento del contenzioso alimentando un improprio clima di contrapposizione e diffidenza nelle relazioni sindacali;
questa fase politica, nella quale si sta operando per progettare una profonda modifica del sistema del lavoro, dovrebbe essere sfruttata per cercare di trovare una soluzione condivisa anche a questa tematica, che è di portata assai rilevante, perché attinente alla capacità dell'ordinamento di garantire la piena manifestazione dei diritti individuali, dei lavoratori e dei sindacati -:
se non ritenga opportuno adoperarsi affinché, nel corso degli incontri con le parti sociali aventi a oggetto la riforma del mercato del lavoro, la problematica descritta in premessa venga affrontata, allo scopo di adottare soluzioni che consentano una definizione certa, anche per quanto riguarda tale delicata questione.
(5-06145)

NEGRO, FEDRIGA e BITONCI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
sul quotidiano Il gazzettino del 26 gennaio 2012 è stata pubblicata un'inchiesta sull'odissea dei cinquantenni che non trovano più lavoro;
secondo l'articolo di stampa, a Nordest oltre il 10 per cento dei disoccupati sono ultracinquantenni, con pochissime prospettive di rientrare in azienda e nessuna possibilità di ottenere scivoli previdenziali;
solo nel Veneto il fenomeno interessa circa 33mila persone, con una crescita allarmante rispetto al 2010, anno in cui, secondo i dati Istat, i disoccupati over 50 erano circa 15mila su un totale di 130mila persone;
trattasi di una categoria a concreto rischio di «esclusione sociale» perché troppo anziani per essere reinseriti nel mercato del lavoro ed ancora troppo giovani per andare in pensione;
la crisi economica che attraversa il Paese, infatti, non facilita una loro ricollocazione nel sistema produttivo ed i recenti interventi normativi di allungamento dell'età pensionabile hanno di fatto aperto per costoro una prospettiva di attesa di 12-15 anni prima della pensione -:
se i dati riportati nell'inchiesta pubblicata sul quotidiano citato in premessa corrispondano al vero;
se e quali concrete iniziative - in termini di ricollocazione lavorativa ovvero di protezione sociale - il Governo intenda adottare in favore di lavoratori/lavoratrici over 40-50 anni che si trovino in stato di disoccupazione o in mobilità, tenuto conto che, alla luce delle recenti modifiche previdenziali, le attuali politiche di sostegno al reddito non sono più sufficienti per un accompagnamento alla pensione.
(5-06146)

CAZZOLA. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
le cooperative sociali che operano nell'assistenza domiciliare ed ospedaliera, a tutt'oggi - nonostante siano intervenuti chiarimenti da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali come in appresso specificato - permangono in un

regime di incertezza in ordine al corretto inquadramento del personale che con esse coopera;
gli operatori del settore attivi nell'assistenza domiciliare ed ospedaliera, sono agenzie costituite in forma di cooperativa sociale le quali forniscono servizi di assistenza a favore di soggetti in stato di bisogno (anziani, lungodegenti, diversamente abili e altro);
il personale di vigilanza dell'Inps persiste nell'intraprendere iniziative ispettive nei confronti delle agenzie assumendo un orientamento in linea con la circolare n. 4 del 2008, a fondamento della classificazione dei rapporti di collaborazione in prestazioni di lavoro a carattere subordinato;
la direttiva del 18 settembre 2008 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che ha fissato le linee guida cui i soggetti preposti alla vigilanza in materia di lavoro devono attenersi, ha rivisto criticamente i precedenti orientamenti di cui alla circolare n. 4 del 2008 ritenendoli «(...) non coerenti con l'impianto e la finalità della legge Biagi»;
in merito alla citata circolare n. 4 del 2008, e alle conseguenze delle attività ispettive avanzate nel settore dell'assistenza domiciliare ed ospedaliera dai soggetti preposti anche alla luce della direttiva del 18 settembre, va fatto rilevare come presso la Camera siano stati depositati, in particolare, due atti di sindacato ispettivo, il n. 4/01966 e 3/00718. Quest'ultimo in particolare in relazione alle problematiche di inquadramento contrattuale del personale delle cooperative sociali, evidenziava come «ciononostante il personale di vigilanza dell'Inps persiste nell'intraprendere iniziative ispettive nei confronti delle agenzie e proprio la richiamata circolare n. 4 del 2008 spesso invocata dagli ispettori a fondamento della riqualificazione dei rapporti di collaborazione di cui in oggetto in prestazioni di lavoro a carattere subordinato»;
a tale ultimo atto in data 20 ottobre 2009, dava risposta il Ministro del lavoro e delle politiche sociali pro tempore che precisava come venisse posta «un'esigenza assolutamente condivisibile, quella di un comportamento uniforme delle attività ispettive su tutto il territorio nazionale» e che in relazione alla direttiva emanata si era voluto indicare «come debbano comportarsi le funzioni ispettive, soprattutto di fronte alle cosiddette collaborazioni coordinate e continuative o collaborazioni a progetto. In particolare, non può esistere una sorta di presunzione di subordinazione per determinate tipologie di attività. In ogni caso, è necessario verificare se prevalga il carattere indipendente della prestazione o, invece, il suo carattere subordinato, per dare a quella prestazione la corretta qualificazione». Il Ministro del lavoro pro tempore nel recepire la preoccupazione di comportamenti differenziati delle attività ispettive sollecitava «comportamenti omogenei e conformi». Inoltre il Ministro pro tempore rilevava come nell'atto di sindacato fosse menzionata la possibilità di utilizzo dei voucher, anche per le prestazioni rese nell'ambito dell'assistenza domiciliare ed ospedaliera precisava come «il buono prepagato possa essere un modo con il quale dare regolarità semplice a molte prestazioni, soprattutto di carattere accessorio, rivolte a famiglie e alle persone. Tuttavia, l'orientamento attuale è di utilizzare i voucher in relazione alla prestazione diretta dell'opera nei confronti del soggetto beneficiario, senza, quindi, l'intermediazione di soggetti quali una cooperativa. Comunque la cooperativa può svolgere una funzione di servizio per più prestatori, i quali non si configurerebbero in questo caso come suoi dipendenti, ma come prestatori d'opera diretti nei confronti dell'utilizzatore o della famiglia utilizzatrice di questo servizio a domicilio. La cooperativa si configurerebbe come un'entità di servizio, di promozione; in questo senso vi sono già esperienze nel Paese e ci auguriamo che altre possano crescere, favorendo anche l'utilizzazione dei buoni prepagati da parte delle famiglie nei confronti di questi prestatori d'opera»;

alla luce di tali fatti, non mutando la situazione di incertezza in ordine alla tipologia contrattuale applicabile, né riscontrando un differente indirizzo meno schematico e pregiudiziale degli ispettori dell'Inps, il 4 febbraio 2010 il Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, su proposta del Consiglio provinciale di Novara, formulava al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, domanda di interpello ex articolo 9 del decreto legislativo n. 124 del 2004 al fine di conoscere la possibilità di ricorrere a rapporti di collaborazione coordinata e continuativa nella modalità a programma di lavoro nell'assistenza domiciliare ed ospedaliera;
nell'atto d'interpello citato, in particolare, si chiedeva di chiarire la legittimità del ricorso a forme di lavoro parasubordinato per lo svolgimento di incarichi di assistenza domiciliare ospedaliera nei casi in cui, in sintesi:
a) la prestazione sia resa a domicilio del soggetto assistito ovvero presso le strutture ospedaliere, in assenza di superiori gerarchici ai quali il collaboratore debba rispondere in via gerarchica;
b) al collaboratore è riconosciuta ampia autonomia tecnica e metodologica;
c) il committente si limita ad impartire direttive di massima al collaboratore;
d) al collaboratore è riconosciuta la facoltà di non accettare singoli interventi di assistenza proposti dal committente nell'ambito del rapporto contrattuale;
con nota 25/1/0006203 del 2 aprile 2010 la direzione generale per l'attività ispettiva del Ministero del lavoro e delle politiche sociali forniva risposta all'interpello citato ricordando, preliminarmente, che «ai sensi della legge n. 142 del 2001, tra il socio lavoratore e la cooperativa - comprese le cooperative sociali - si instaurano due distinti rapporti giuridici, quello associativo e quello di lavoro. Quest'ultimo rapporto può essere costituito in forma subordinata o autonoma, anche nella modalità della collaborazione coordinata e continuativa a progetto». La medesima nota ministeriale, in relazione alla questione posta e alla varietà dei rapporti intercorrenti tra socio-lavoratore e cooperativa sociale in ordine ai servizi resi all'utenza finale, precisava che «considerata la impossibilità, in questa sede, di valutazioni su casi determinanti, nonché come detto - la necessità, ai fini della corretta qualificazione dei rapporti, di tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto e delle specifiche modalità di svolgimento e di esecuzione della suddetta attività, pare particolarmente raccomandabile - specialmente in casi come quelli prospettati - il ricorso allo strumento della certificazione, su istanza volontaria e congiunta, dei contratti in base alle disposizioni di cui agli articoli 75 e seguenti del decreto legislativo n. 276 del 2003»;
ciò nonostante, seppure le cooperative sociali abbiano fatto ricorso alla certificazione su istanza volontaria e congiunta dei contratti in base alle disposizioni di cui agli articoli 75 e seguenti del decreto legislativo n. 276 del 2003, la situazione d'incertezza in ordine al corretto inquadramento contrattuale dei soci-lavoratori di tali particolari cooperative sociali permane, anche in virtù del perdurare delle differenze di orientamento adottate a seguito delle azioni ispettive, sulla base della circolare n.4/2008 e della successiva direttiva del 18 settembre 2008 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali -:
se il Ministro interrogato, nell'ambito delle proprie competenze e prerogative, sia informato di quanto esposto in premessa, che potrebbe porre a rischio la sopravvivenza di un settore imprenditoriale in significativo sviluppo nell'assistenza domiciliare ed ospedaliera di tipo integrativo e sostitutivo a quella familiare, un settore - a forte presenza di lavoro femminile non solo straniero - che contribuisce sicuramente a contrastare con efficacia le forme di lavoro sommerso tanto frequente nel settore stesso;
se il Ministro interrogato intenda fornire una chiara indicazione per quanto

riguarda il contratto di lavoro applicabile ai prestatori d'opera effettivamente subordinati, nell'attesa di pervenire ad una più specifica soluzione per il settore;
se il Ministro interrogato intenda valutare l'assunzione di iniziative, nelle more di un'auspicabile e più puntuale definizione di un nuovo modello contrattuale che risponda alle particolari esigenze del settore per l'estensione - come già fatto per altri settori imprenditoriali - della possibilità per tali particolari tipologie di cooperative sociali attive nell'assistenza domiciliare ed ospedaliera, anche in virtù della facoltà concessa agli operatori di non accettare singoli interventi di assistenza proposti dal committente nell'ambito del rapporto contrattuale, del ricorso - ove strettamente necessario - all'utilizzo dei buoni lavoro al fine di garantire, nei soli casi di carenza di operatori specializzati, il puntuale espletamento dei servizi di assistenza domiciliare ed ospedaliera;
se il Ministro interrogato, nell'ambito delle proprie competenze, intenda attivarsi per assicurare la piena operatività della direttiva del 18 settembre 2008 e delle determinazioni di cui alla nota 25/1/0006203 del 2 aprile 2010 della direzione generale per l'attività ispettiva del Ministero del lavoro e delle politiche sociali in risposta all'interpello citato in premessa.
(5-06149)

BOBBA. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
in data 21 luglio 2011 l'interrogante presentava l'atto di sindacato ispettivo n. 5-05160 relativo alla Prysmian, leader mondiale nel settore dei cavi e sistemi ad elevata tecnologia per il trasporto di energia e per le telecomunicazioni, in particolar modo ponendo il problema del passaggio alla banda larga che avrebbe potuto sollevare le sorti dello stabilimento di detta azienda sita a Livorno Ferraris, in provincia di Vercelli, dove si producono cavi in fibra ottica e rame;
in sede di replica alla risposta in commissione dell'interrogazione citata l'interrogante dichiarava la sua insoddisfazione in quanto non venivano garantiti «i necessari e tempestivi investimenti nel settore della banda larga come hanno invece già fatto paesi come la Germania (che nel 2014 ha previsto una copertura di circa il 70 per cento delle famiglie) e la Francia (che nel prossimo anno effettuerà investimenti sulla banda larga e ultralarga per arrivare alla copertura di circa 4 milioni di famiglie)», aggiungendo che «lo stanziamento di queste risorse, oltre a rappresentare un investimento per lo sviluppo del Paese, offrirebbe prospettive ad un sito di eccellenza italiano»;
Prysmian a seguito dello scenario politico-industriale e della riduzione notevole delle commesse ha diminuito gli investimenti tecnologici e i dipendenti si trovano in una grave situazione vista la cassa integrazione ordinaria, aperta da gennaio 2011, fino a luglio dello stesso anno, e recentemente, inizio gennaio 2012, è stato firmato un nuovo accordo per prolungare fino a tutto febbraio la «cassa straordinaria» a rotazione;
l'azienda ha annunciato venerdì 10 febbraio 2012 alle rappresentanze sindacali e all'Unione Industriai la chiusura dello stabilimento vercellese, l'unico ad essere dismesso dei 9 stabilimenti della Prysmian presenti in Italia, e l'unico che produce cavi in fibra ottica e rame e rappresenta una delle eccellenze italiane;
la chiusura dello stabilimento di Livorno Ferraris comporterà la perdita del posto di lavoro per 108 persone e dell'unica fonte di reddito per la maggior parte delle famiglie coinvolte;
ad oggi non è stato ancora presentato il piano industriale da parte dell'azienda;
a seguito di un incontro tra l'interrogante e i vertici dell'azienda, la Prysmian ha confermato, così come esposto all'Unione Industriali, la possibilità di concedere un reddito integrativo a quello previsto con l'attivazione della cassa integrazione

straordinaria, essendo la decisione di chiusura dello stabilimento irreversibile, e di dare incarico ad una società di outplacement affinché ricollochi i lavoratori presso altri stabilimenti dell'azienda o presso altre aziende del territorio, più piccole, ma che operano nello stesso settore;
nei giorni scorsi è stato firmato l'accordo, presso la regione Lombardia, dalla regione, da Metroweb e da F2i, per porre in essere il cablaggio da sviluppare nei principali capoluoghi di provincia, costituendo un comitato esecutivo che, entro sei mesi, dovrà definire un piano economico e finanziario preliminare e «di gestione» di sviluppo del progetto banda ultralarga in Lombardia, per un importo stimato in un miliardo di euro. L'accordo vede la partecipazione del pubblico e del privato -:
se non si ritenga urgente e doveroso convocare le parti sociali, le rappresentanze dell'azienda e dei lavoratori e la regione Piemonte, presso un tavolo tecnico ministeriale, al fine di attivare gli ammortizzatori sociali previsti e garantire il ricollocamento per i lavoratori coinvolti nella chiusura dello stabilimento di Livorno Ferraris.
(5-06151)

Interrogazioni a risposta scritta:

PORTA, BUCCHINO, GARAVINI e FEDI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
gli assegni corrisposti dall'Istituto nazionale per la previdenza sociale (INPS) ai pensionati italiani, tramite gli enti convenzionati per il pagamento, sono determinati sulla base dei rapporti di cambio di ciascuna moneta con l'euro, comunicati annualmente dalla Banca d'Italia;
in Venezuela il rapporto di cambio tra bolivar ed euro ha subito una sostanziale modifica dal primo gennaio 2011, a seguito della decisione di quel Governo di annullare i diversi cambi ufficiali e di unificarli a 4,30 bolivares per dollaro, spostando di conseguenza il cambio bolivar/euro a 5,70;
in mancanza di una comunicazione ufficiale da parte della Banca d'Italia, tuttavia, l'INPS ha continuato a disporre il pagamento degli assegni ai pensionati italiani in Venezuela sulla base del cambio precedente, provocando una perdita di valore delle pensioni superiore al 60 per cento;
le sollecitazioni di varia natura rivolte soprattutto dai patronati italiani operanti in Venezuela al dipartimento internazionale della Banca d'Italia non hanno dato finora risultati concreti, dal momento che la comunicazione dell'Istituto in merito al cambio euro/bolivar è restata quella del 2010 -:
quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per favorire una soluzione adeguata e urgente della situazione venutasi a determinare a danno dei pensionati italiani residenti in Venezuela.
(4-14889)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il signor Gennaro Papa ha subito il 4 marzo del 2003 un grave incidente sul lavoro con conseguenti danni neurologici-psichiatrici, in seguito ad un accertato trauma cranico encefalitico con frattura dell'osso occipitale destro;
la società per cui lavorava, la fallita Silia Spa di Pignataro maggiore (Caserta), da parte del tribunale di Casal Monferrato (Alessandria), in data 6 giugno 2006 veniva sottoposta a procedura in amministrazione controllata;
si proponeva allora al signor Gennaro Papa di firmare un verbale, fatto in sede sindacale con il nuovo acquirente, la società Siltal Spa, con il quale avrebbe dovuto rinunciare a qualsivoglia risarcimento

danni, per qualsivoglia comportamento omissivo/commissivo del precedente datore di lavoro e, anche, in via transattiva;
tale verbale non veniva sottoscritto dal signor Papa che in data 9 febbraio 2010 vedeva il tribunale di Santa Maria Capo a Vetere pronunciare una sentenza che riconosceva la responsabilità dell'azienda sull'infortunio per violazione delle norme antinfortunistiche, con conseguente condanna del dirigente aziendale a venti giorni di reclusione, per lesioni colpose;
nel frattempo Gennaro Papa, dopo un periodo in cassa integrazione veniva messo in mobilità ora giunta al termine -:
se quanto riferito in premessa corrisponda al vero;
se non ritenga il Ministro interrogato di avviare un'ampia indagine per accertare altri casi di lavoratori a cui, in sede sindacale, venga chiesto di rinunciare a cause in corso in nome di quello che agli interroganti appare un ricatto occupazionale e quali ulteriori iniziative intenda assumere anche in relazione al caso di cui in premessa.
(4-14894)

...

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

DI GIUSEPPE, ROTA e MESSINA. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
l'eccezionale ondata di maltempo, con abbondanti nevicate sta causando ingenti danni e disagi per l'agroalimentare italiano: i danni, superano i 150 milioni di euro, il 70 per cento dei quali (105 milioni di euro) riguarda solo l'agricoltura;
per l'agroalimentare nazionale, ma soprattutto per l'agricoltura, già alle prese con la crisi economica e il problema dell'Imu, è scattata così una nuova drammatica emergenza. Dopo il blocco dei tir, che ha avuto conseguenze pesantissime per la filiera, freddo e neve hanno messo in ginocchio migliaia di aziende agricole, dove non è stato possibile raccogliere e trasportare i prodotti. Un ulteriore elemento negativo che si aggiunge alla difficile situazione che sta colpendo gli agricoltori italiani alle prese con costi produttivi sempre più onerosi;
il freddo polare ha devastato un quarto dei campi coltivati a ortaggi, e l'impossibilità di trasportare le merci deperibili (200 mila tonnellate di frutta, verdura, latte, carne e uova) ha assestato all'intero settore un ulteriore duro colpo;
inoltre, il freddo rigido sta facendo lievitare anche i consumi di gasolio agricolo, soprattutto per il riscaldamento delle serre e delle strutture aziendali e questo costringe gli agricoltori a sostenere ulteriori costi;
il maltempo ha reso impraticabili moltissime strade di campagna e tanti agricoltori sono rimasti isolati per giorni, senza luce e acqua. In diversi allevamenti non è stato possibile dare il mangime al bestiame e abbeverarlo, mentre il peso della neve ha fatto crollare tetti di stalle, cascine e serre. Il gelo ha mandato in tilt pompe idrauliche e gruppi elettrogeni, fermi anche per la mancanza di benzina e gasolio, che in alcune zone rurali sono introvabili;
più di 60 mila le strutture aziendali (serre, cascine, depositi, magazzini e stalle) distrutte o danneggiate dalla neve, dal gelo e dalla mancanza di corrente elettrica. Diecimila sono gli animali morti (tra bovini, ovicaprini, maiali e avicoli);
come troppe volte accade in questi frangenti, le manovre speculative sui prezzi dei prodotti freschi (soprattutto ortaggi, verdure e frutta) non si sono fatte attendere. In solo tre giorni si è assistito a incrementi dei prezzi di oltre il 100 per cento. Dal campo alla tavola i listini hanno subito rincari di dieci volte;

le gelate si innescano in una già critica situazione del comparto agricolo, con rischio di forti perdite di reddito per gli agricoltori -:
quali iniziative urgenti il Ministro intenda assumere in seguito alla situazione di emergenza atmosferica e di grave danno per il settore agricolo;
se non ritenga opportuno, vista l'importanza del comparto e lo stato di crisi in cui versa da tempo, convocare con urgenza un tavolo di confronto con le associazioni degli agricoltori, al fine di individuare misure condivise per garantire un sostegno economico al settore agricolo, danneggiato sia dalla crisi economica, sia dalla situazione climatica che in questi ultimi giorni ha causato ingenti danni;
se non intenda assumere iniziative normative per ripristinare le agevolazioni relative alle accise sul gasolio per le coltivazioni in serra e le agevolazioni per i carburanti agricoli.
(5-06142)

Interrogazioni a risposta scritta:

DE ANGELIS. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
il Corpo forestale dello Stato con decreti del 28 settembre 2011 e del 4 ottobre 2011 ha riorganizzato l'intero servizio nautico interno per meglio rispondere alle esigenze di tutela e salvaguardia degli ecosistemi costieri, marini, fluviali e lacustri italiani;
in particolare, il provvedimento del 4 ottobre 2011 ha individuato specificatamente le sedi delle squadre nautiche del Corpo forestale dello Stato sull'intero territorio nazionale;
l'articolo 13 del succitato decreto prevedeva che il personale del Corpo forestale dello Stato abilitato e specializzato presso la Marina militare, a domanda ed entro trenta giorni, sarebbe stato assegnato alle relative squadre nautiche;
ad oggi, purtroppo, questi trasferimenti non sono stati formalizzati e tale situazione rende difficoltoso agli operatori di polizia l'espletamento di un sereno ed effettivo servizio -:
quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda porre in essere per dare avvio definitivamente ai trasferimenti del personale interessato, in modo da risolvere compiutamente la questione esposta.
(4-14867)

MURA. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
in data 7 febbraio 2012, da quanto si apprende da una nota diramata dalla segreteria nazionale del Sindacato nazionale forestale (SNF), si sono svolti presso Cittaducale (Rieti) i funerali del generale Luciano Berti, per anni direttore della scuola del Corpo forestale dello Stato. Dalla stessa nota si apprende che in onore del generale è stato predisposto un picchetto d'onore armato da parte della stessa scuola del Corpo forestale dello Stato;
alla cerimonia funebre, oltre ad ex comandanti e ufficiali del Corpo forestale, hanno partecipato, sempre da quanto riportato dalla nota del SNF il vice capo del Corpo ingegner Fausto Martinelli che ha portato il saluto del Capo del Corpo a nome di tutti i forestali d'Italia, il comandante delle scuole dottor Umberto D'Autilia e il comandante provinciale di Rieti dottor Francesco Pennacchini;
come noto il generale Berti, maggiore all'epoca dei fatti, restò coinvolto nelle vicende relative al controverso episodio della storia nazionale passato alle cronache come il «Golpe Borghese». Le vicende sono note e riguardano un presunto tentativo di colpo di Stato che nella notte tra il 7 e l'8 dicembre ha visto affluire a Roma diverse centinaia di uomini armati, tra cui un gruppo armato della guardia forestale di 187 uomini guidato dall'allora colonnello Berti che si appostò non lontano

dalla sede televisiva della Rai. L'operazione non fu portata a compimento perché all'improvviso arrivò un contrordine che bloccò ogni iniziativa;
la vicenda giudiziaria che scaturì dalla scoperta del tentativo di golpe si concluse nel 1984 con l'assoluzione di tutti gli imputati tra cui lo stesso Berti, perché il tribunale ritenne che per l'imputazione di cospirazione politica il fatto non sussisteva;
dato per acquisito l'esito giudiziario della vicenda, in sede storica rimane accertato che nella notte del 7 dicembre 1970 si verificò uno degli episodi oscuri della storia d'Italia che nel corso degli anni, come accaduto per altre vicende è stato oggetto di diversi tentativi di depistaggio e/o insabbiamento, allo stesso modo è accertata sempre in sede storica la presenza agli eventi di quella notte dei principali protagonisti della vicenda. Come risulta dalla relazione della Commissione stragi della XIII legislatura, è accertato che Berti «già condannato in passato per apologia di collaborazionismo e, ciò, non ostante giunto al grado di ufficiale», fosse alla guida del corpo di guardie forestali «condotto in prossimità della sede radiotelevisiva, tutti ben armati e provvisti di manette acquistate illegalmente qualche giorno prima». Inoltre la stessa relazione esprime forti critiche nei confronti delle sentenza emessa dalla corte d'appello e sulle motivazioni della sentenza stessa -:
se corrisponda al vero la notizia del picchetto d'onore tributato al generale Berti e, se ciò fosse vero, quali siano stati i motivi che hanno determinato tale decisione e se il Ministro ne fosse al corrente;
se il picchetto d'onore e l'eventuale partecipazione a titolo ufficiale di alti graduati del Corpo abbia comportato oneri a qualsiasi titolo per l'amministrazione del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali.
(4-14887)

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RAPPORTI CON IL PARLAMENTO

Interrogazione a risposta immediata:

DI PIETRO, DONADI, FAVIA, BORGHESI e EVANGELISTI. - Al Ministro per i rapporti con il Parlamento. - Per sapere - premesso che:
il 18 ottobre 2011 una sentenza del tribunale di Roma ha dichiarato illegittimo l'insediamento delle sedi distaccate di rappresentanza operativa di tre ministeri - economia e finanze, riforme e semplificazione, inaugurate dai rispettivi Ministri rappresentanti il 23 luglio 2011 all'interno di un'ala della Villa Reale di Monza - in quanto il tribunale di Roma ha ritenuto antisindacale la condotta perpetrata, a causa del fatto che l'insediamento è stato adottato «e portato avanti senza coinvolgere le organizzazioni sindacali o attivando, come previsto dalla legge, informazione preventiva e concertazione prima di procedere»;
successivamente, la Presidenza del Consiglio dei ministri, guidata dall'onorevole Silvio Berlusconi, che di lì a pochi giorni di sarebbe dimesso, decise di presentare ricorso contro la suddetta sentenza;
non risulta che il Governo insediatosi successivamente abbia provveduto al ritiro dell'opposizione, risultando, dunque, il procedimento ancora in corso, con una prima udienza fissata il 20 febbraio 2012;
il 21 luglio 2011 l'Assemblea della Camera dei deputati ha approvato ordini del giorno presentati dai gruppi di opposizione, i quali impegnavano - e impegnano - il Governo ad impedire il trasferimento non solo di ministeri, ma anche di dipartimenti, compresi quelli inerenti alla Presidenza del Consiglio dei ministri;
non sono chiari gli atti amministrativi o normativi che abbiano consentito l'apertura delle sedi ministeriali distaccate, né quali funzioni siano chiamate a svolgere,

né quali e quanti siano i costi delle sedi medesime e su quale istituzione ricadranno gli oneri finanziari in ordine al personale, anche con riguardo all'eventuale mobilità, agli strumenti ed alle strutture che vi saranno installati - senza contare la questione, sulla quale gli interroganti intendono sorvolare in questa sede, dell'evidente ossimoro tra la «rappresentanza» e «l'operatività», così come tra la «rappresentanza» ed il «decentramento»;
l'ubicazione prescelta per le sedi ministeriali - la Villa Reale di Monza - suscita ulteriori perplessità, in quanto la situazione in ordine alla proprietà dell'immobile e dell'annesso parco risulta complessa e stratificata; gli interroganti sono venuti a conoscenza dell'esistenza di una concessione privata e di un bando per una ristrutturazione, che, tuttavia, non chiariscono aspetti dirimenti -:
quali siano gli orientamenti del Governo in ordine ai fatti indicati e quali misure consequenziali di competenza intenda adottare.
(3-02104)

TESTO AGGIORNATO AL 15 FEBBRAIO 2012

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SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:

RONDINI e BITONCI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
la nostra società risulta minacciata da nuove forme di psicopatologie, le cosiddette «dipendenze comportamentali», cioè situazioni in cui un soggetto si trova ad essere prigioniero dei propri comportamenti, che in un primo momento danno un piacevole intrattenimento ma poi, con il passare del tempo, si trasformano spesso in atteggiamenti compulsivi privi di controllo;
una di queste tipologie di dipendenza è il gioco d'azzardo, che ha subito negli ultimi anni un'accelerazione improvvisa grazie anche al gioco on-line (nelle forme, ad esempio, dei videopoker, e dei casinò on-line) e che viene ricompreso oggigiorno nelle cosiddette «tecnodipendenze»;
si stima che in Italia siano 800.000 le persone dipendenti dal gioco d'azzardo e che siano quasi due milioni i soggetti a rischio. Si stima, altresì, che vengano spesi nel gioco circa 1.260 euro pro capite;
l'emergenza è stata spesso denunciata, anche di recente, sia a mezzo stampa, sia per bocca di associazioni di volontariato e di enti che operano per fronteggiare tali forme di dipendenza;
a fronte di ciò, lo Stato sembra invece incentivarle, anche tramite campagne di informazione mirate, ad esempio, ad un gioco «legale e responsabile», come recita un documento predisposto dai Monopoli e destinato ai giovani;
lo Stato dovrebbe, al contrario, garantire i propri cittadini, soprattutto i più giovani, anziché avviarli a queste forme di intrattenimento, perché non è accettabile che esse producano la distruzione psicologica, oltre che economica, di molte famiglie italiane;
analoghe preoccupazioni valgono per i più comuni videogiochi. Oggi più che mai, con l'evoluzione tecnologica, gli stili di vita, in particolare dei bambini e degli adolescenti, sono più sedentari rispetto al passato: il gioco all'aria aperta, gli spazi verdi urbani e i giochi di gruppo hanno lasciato il posto ad intrattenimenti ludici privi di socializzazione, di relazione sociale e di attività motoria;
un elevato numero di bambini e di adolescenti risulta attratto dal fascino dei videogiochi, in alcuni casi, peraltro, eticamente discutibili, e molto spesso i genitori stessi non trovano la capacità di porvi un rimedio;
queste tipologie di dipendenze non vanno sottovalutate. Spesso, invece, si tende a sminuirle, se non addirittura a considerarle come stimolo positivo per la crescita di un soggetto. La confusione che ancora vige nella dottrina e nel complesso

dei dati scientifici in materia, privi di univocità, rischia di permettere a questo fenomeno di aggravarsi, in assenza di interventi efficaci, anche di carattere preventivo;
come sostiene buona parte della dottrina scientifica in materia, infatti, tali forme comportamentali possono portare conseguenze molto serie, non solo dal punto di vista economico (che nel caso del gioco d'azzardo costituisce un importante fattore negativo) ma anche nella sfera intima e personale, nel processo di sviluppo di una persona. Questi intrattenimenti, a detta di numerosi medici e psicologi, finiscono spesso per inibire lo sviluppo della coscienza etica e del sentire empatico;
i rischi sono connessi a vari fattori: in primis l'abuso o l'uso scorretto di tali intrattenimenti, soprattutto da parte di minorenni, che portano spesso all'estraniamento dalla realtà, alla mancanza di empatia, quando non anche all'epilessia, al sovrappeso e ai disturbi della vista;
vi sono poi i rischi legati ai contenuti violenti di alcuni videogiochi, il che può far aumentare l'aggressività nelle persone che ne fanno un uso eccessivo. L'utilizzo dei videogiochi, infatti, causa un significativo incremento della produzione di dopamina, un neurotrasmettitore che, oltre a permettere l'apprendimento e il consolidamento mnemonico delle nuove informazioni, fa aumentare il comportamento aggressivo del giocatore, legato al piacere e alla ricerca di nuove ed intense emozioni;
anche il gioco d'azzardo viene considerato un vero e proprio disturbo del controllo degli impulsi, caratterizzato da un desiderio impellente e con forti ripercussioni non solo sulla sfera economica di chi ne è affetto (e di conseguenza, nel caso di minori o adolescenti, anche delle loro famiglie) ma anche sulla sfera sociale e di relazione dei medesimi. Non sono rare, infatti, le situazioni di disagio familiare capaci di provocare persino separazioni coniugali, oppure episodi tragici, come la cronaca nera ha riportato anche di recente (ad esempio: il suicidio di una giovane donna, nell'estate scorsa, dopo che aveva perso migliaia di euro al videopoker, o la morte per trombosi venosa di un adolescente, dopo che aveva giocato ininterrottamente per dodici ore ad un videogioco);
in Italia è in continua crescita il numero di giovani (in particolare tra i 15 e i 19 anni) affetto da dipendenza da gioco e le istituzioni non possono rimanere inerti di fronte a simili patologie, in grado di pregiudicare l'equilibrio e il benessere psico-fisico dei soggetti che ne sono affetti, nonché la situazione economica di numerose famiglie italiane, peraltro già colpite dalla crisi finanziaria in atto -:
quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di fronteggiare l'aumento e le conseguenze dannose, anche dal punto di vista sociale e sanitario, del gioco d'azzardo nel nostro Paese e quali interventi di competenza intenda approntare, da un lato per prevenire l'insorgere delle patologie legate alla dipendenza dal gioco, dall'altro per aiutare le persone affette da tali comportamenti compulsivi e le loro famiglie.
(5-06144)

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
come riferiscono agenzie di stampa e siti Internet, una ragazza di 28 anni, residente a Ruvo di Puglia, è deceduta la notte del 12 febbraio 2012, nel reparto di rianimazione dell'ospedale «F. Miulli» di Acquaviva delle Fonti;
risulterebbe che la giovane donna sia stata prima ricoverata nell'ospedale Umberto I di Corato e successivamente trasportata nell'ospedale «F. Miulli», ente ecclesiastico, perché «sussistevano i presupposti per un parto pretermine imminente»;
la gravidanza era giunta alla ventiseiesima settimana e, quindi, era in abbondante anticipo rispetto al termine naturale,

ma la ragazza presentava uno stato di travaglio avanzato, con ripetute contrazioni uterine;
ricoverata al reparto di ostetricia, la ragazza è stata operata dando alla luce un feto morto;
a seguito del parto, il quadro clinico della donna presentava forti criticità;
per questo motivo, sarebbe stata sottoposta a una isterectomia d'urgenza e, quindi, trasferita nel reparto di rianimazione;
la terapia medica adottata per fronteggiare l'emergenza non ha avuto successo e nella notte la ragazza è deceduta;
i familiari della ragazza hanno presentato una denuncia-esposto alla magistratura -:
di quali elementi disponga in merito a quanto riportato in premessa e quali iniziative, di sua competenza, intenda adottare o promuovere per contribuire a far piena luce sulla vicenda.
(5-06163)

Interrogazione a risposta scritta:

MANCUSO, BARANI e DE LUCA. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
le cosiddette «smart drugs» o «droghe furbe» hanno cominciato la loro diffusione su internet, spacciate per profumatori per ambienti, mentre contengono delle vere e proprie sostanze stupefacenti;
in molte città italiane esse vengono distribuite attraverso distributori automatici a cui può accedere chiunque, compresi i minorenni e adulti in difficoltà;
uno di questi prodotti, l'Hurricane, è costituito da due cannabinoidi sintetici già tabellati con la legislazione vigente, e quindi proibiti e illegali, e due cannabinoidi di nuova generazione;
le scatole di Hurricane riportano la fuorviante dicitura «jwh free»;
il jwh è un principio attivo, un analgesico chimico facente parte della famiglia dei cannabinoidi;
ogni giorno vengono segnalati gravi casi di intossicazione dovuti a «smart drugs»;
durante una delle ultime operazioni di sequestro, denominata «Oro e incenso» e coordinata dalla procura di Catania, trenta persone sono finite in ospedale per grave intossicazione;
il sessanta per cento di esse ha dichiarato di non essere consapevole del tipo di sostanza assunta;
negli ultimi due anni sono state scoperte 146 nuove sostanze stupefacenti che erano precedentemente del tutto sconosciute -:
quali azioni intenda porre in atto il Governo al fine di arginare la diffusione delle «smart drug»;
se il Governo intenda assumere iniziative normative per rivedere e aggiornare la classificazione delle sostanze stupefacenti.
(4-14860)

...

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere - premesso che:
la pesante perturbazione atmosferica, prevalentemente di carattere nevoso, ha colpito da fine gennaio ad inizio febbraio 2012 molte regioni Italiane;
le conseguenze di tale perturbazione (che ha avuto luogo prevalentemente fra le giornate di martedì 31 gennaio e mercoledì 1o febbraio) hanno provocato in Toscana e nelle regioni limitrofe, ed in particolare nella provincia di Siena, l'interruzione

dell'energia di molte abitazioni ed aziende, causata prevalentemente dalla rottura dei cavi elettrici successiva all'evento atmosferico vero e proprio;
secondo prime stime e fonti di stampa solamente nella provincia di Siena sono state complessivamente oltre 24mila le utenze che hanno registrato l'interruzione del servizio elettrico, ma gravi e prolungate interruzioni si sono verificate anche nelle province di Arezzo, Pisa, Firenze, e complessivamente secondo le dichiarazioni del presidente della giunta regionale toscana Enrico Rossi circa 80.000 cittadini sono stati interessati dalla interruzione;
in provincia di Pisa centinaia di famiglie sono state per tre giorni senza energia elettrica e senza riscaldamento, in particolare nei comuni di Cascina, Casciana Terme, San Giuliano Terme e Calci; in alcune zone di Cascina il disagio si è prolungato per 4 giorni;
il territorio aretino è rimasto privo di energia elettrica e tale interruzione ha provocato gravissimi danni. Anche in questo caso gli interventi di Enel sono stati oggettivamente deficitari e caratterizzati da enormi ritardi: come testimonia la lettera inviata il 3 febbraio 2012 dal sindaco di Arezzo, Giuseppe Fanfani, al Presidente del Consiglio, al Ministro dello sviluppo economico, al presidente della regione Toscana, ai parlamentari aretini, alla direzione Enel distribuzione nazionale e regionale;
nella serata di giovedì 2 febbraio (a circa 36 ore dalla nevicata) erano oltre 2600 le utenze, presenti in molte zone della in provincia di Siena, su cui ancora gravava il black out elettrico;
secondo quando reso ufficialmente noto da Enel, gestore della rete elettrica locale, solamente alle 19,05 di sabato 4 febbraio 2012 la «situazione è tornata alla normalità»;
tale comunicazione è stata smentita dal presidente della provincia di Siena, Simone Bezzini, che ha reso noto a mezzo stampa, nella giornata di domenica 5 febbraio, come le «affermazioni di Enel sul fatto che già da ieri la situazione fosse risolta sono prive di fondamento visto che, anche in queste ore, ci sono utenze prive di elettricità. Ancora una volta Enel sceglie di assumere un comportamento non rispettoso nei confronti dei cittadini annunciando con un comunicato ufficiale di avere restituito l'elettricità alla totalità di clienti della provincia di Siena»;
si è trattato quindi di una emergenza, durata in alcuni casi 5 giorni, che ha creato gravissimi disagi a moltissimi cittadini residenti sia nei centri abitati che nel nuclei residenziali periferici, mettendo letteralmente in ginocchio intere comunità. La mancanza prolungata di energia elettrica ha reso di fatto impossibile non solo l'illuminazione, ma anche il riscaldamento delle abitazioni e l'utilizzo di acqua calda, rendendo altresì difficoltose le comunicazioni;
la mancanza di energia elettrica ha inoltre creato interruzioni alla produzione e gravi perdite dal punto di vista economico in molte aziende ed imprese del territorio, e numerose strutture ricettive della zona interessata dal black out hanno dovuto buttar via quantità consistenti di alimenti;
tali gravissimi e prolungati disagi sono stati limitati grazie soprattutto all'intervento diretto delle amministrazioni locali, coordinate dalla provincia di Siena, dalla protezione civile, e dalle associazioni di volontariato del territorio che rappresentano un presidio sociale fondamentale in caso di emergenza (circa 200 volontari hanno prestato servizio in tutta la provincia supportati da ottanta mezzi motorizzati di varia tipologia). Sono stati infatti numerosissimi gli interventi coordinati e predisposti tra cui l'installazione di gruppi elettrogeni (messi a disposizione direttamente dalla provincia di Siena), l'allestimento di centri di accoglienza temporanei, gli interventi di primo soccorso e di monitoraggio dell'emergenza;
il prolungarsi di circa 100 ore di black out che ha riguardato migliaia di

utenze non può non chiamare in causa l'operato di Enel, la società che gestisce la distribuzione e l'erogazione di energia nei centri interessati dal disservizio; al di là delle professionalità e delle risorse tecniche ed umane messe in campo da Enel nel momento dell'emergenza e del lavoro instancabile degli operai, risulta evidente come sia mancato, da parte dell'azienda stessa, un efficace piano di intervento nei confronti di un evento atmosferico comunque annunciato tempestivamente e soprattutto un piano efficace di manutenzione delle linee elettriche: la mancanza di energia è stata infatti causata dal danneggiamento dei cavi successivamente alla nevicata, sia a causa del gelo, che di rami caduti da alberi prossimi alla linea elettrica. Va inoltre evidenziata la totale latitanza di Enel che, secondo quanto testimoniato da moltissimi cittadini e dagli stessi enti locali, non ha attivato alcun canale di ascolto per veicolare le informazioni provenienti dall'utenza in difficoltà alle squadre di manutenzione e soccorso;
una manutenzione non adeguata e l'usura degli impianti per l'erogazione dell'energia elettrica sarebbero testimoniate, inoltre, dal fatto che anche lo scorso anno, a seguito di una nevicata (meno intensa dell'attuale) avvenuta in alcune zone della provincia di Siena, si erano registrati, pur con cifre assai meno rilevanti di quelle odierne, analoghi disservizi sull'erogazione dell'energia elettrica;
la regione Toscana e le istituzioni locali stanno prendendo iniziative per tutelare la cittadinanza ed evitare che tali disagi possano ripetersi: il presidente della regione Toscana, Enrico Rossi, annunciando la convocazione di un tavolo regionale con i comuni e gli amministratori dei servizi pubblici, ha dichiarato, a mezzo stampa, che le maggiori responsabilità sono da attribuirsi ad Enel; sulla stessa linea il presidente della provincia di Siena, Simone Bezzini che ha più volte sollecitato Enel, nei giorni scorsi, ad intervenire tempestivamente per risolvere tutte le criticità; lo stesso Simone Bezzini ha poi comunicato che il 7 febbraio si è svolto presso la sede dell'amministrazione provinciale, una riunione con i rappresentanti dei comuni per «valutare tutte le eventuali iniziative da intraprendere nei confronti del gestore Enel a tutela delle comunità interessate dal black out»;
pur non disponendo ancora di una elaborazione definitiva dei dati, risulta con chiarezza quanto ingenti siano state le spese sostenute dalla provincia di Siena per assicurare tempestivamente lo sgombero di strade finalizzato all'intervento Enel, al reperimento straordinario di mezzi autogru a supporto di Enel, all'acquisto di gruppi elettrogeni per l'assistenza alla popolazione, all'acquisto di carburanti per i gruppi elettrogeni di Enel;
si stanno moltiplicando iniziative da parte dei cittadini colpiti dal disservizio, coordinate anche dagli stessi enti locali territoriali, per intraprendere «class action» nei confronti di Enel;
è stato reso noto da Federconsumatori di Siena la decisione di assumere azioni mirate ad ottenere indennizzi e rimborsi per i danni ed i disagi subìti dai cittadini a seguito del black out elettrico;
il presidente Rossi ha sollecitato un incontro urgente con il Ministro Passera per valutare l'accaduto ed evitare il possibile ripetersi di una tale situazione di disagio;
Enel è una società il cui azionista di maggioranza e di riferimento è lo Stato, attraverso il Ministero dell'economia e delle finanze che ne detiene il 31,24 per cento del capitale;
il Ministero dello sviluppo economico, attraverso il dipartimento dell'energia, ha dirette competenze, tra l'altro, sulla «produzione di energia elettrica», sulla «promozione di intese con le regioni e le amministrazioni locali per assicurare su tutto il territorio nazionale i livelli essenziali delle forniture concernenti l'energia e lo sviluppo territoriale sostenibile», e sulle

«reti di trasmissione, distribuzione, importazione ed esportazione di energia elettrica»;
l'Autorità per l'energia ed il gas, istituita con la legge n. 481 del 1995, ha tra i suoi compiti, quello di emanare direttive concernenti la qualità dei servizi erogati e dei meccanismi di rimborso in caso di mancato rispetto, nonché di controllare le condizioni di svolgimento dei servizi avendo potere di acquisizione della documentazione, di ispezione, accesso e sanzione, determinando i casi di indennizzo da parte dei soggetti esercenti nei confronti di utenti e consumatori -:
se il Governo sia a conoscenza dei gravissimi e prolungati disagi provocati dal black out elettrico che ha colpito migliaia di utenze, gestite da Enel, in provincia di Siena ed in altre aree della Toscana da mercoledì 1o a domenica 5 febbraio 2012 quali iniziative urgenti intendano assumere i Ministri interpellati nei confronti di Enel (e di ulteriori gestori presenti sul territorio) per appurare la causa principale che ha prodotto tali disagi al fine di evitare che possano ancora verificarsi disservizi di tale consistenza e durata (citati in premessa) soprattutto a seguito di eventi atmosferici ampiamente previsti;
se il Governo non ritenga quindi opportuno programmare una verifica strutturale della rete della distribuzione energetica nazionale per individuare e risolvere tempestivamente eventuali criticità rilevate;
se il Governo, accogliendo le richieste delle istituzioni interessate e del presidente della regione Toscana, intenda convocare ed incontrare le stesse per valutare compiutamente l'accaduto.
(2-01359)
«Cenni, Mattesini, Nannicini, Gatti, Fontanelli, Albini, Mariani, Fiorio, Ventura, D'Incecco, Marco Carra, Ghizzoni, Bellanova, Trappolino, Schirru, Zucchi, Braga, Froner, Giovanelli, Lulli, Realacci, Codurelli, Agostini, Farinone, Mecacci, Murer, Mazzarella, Letta, Fluvi, Marchignoli, Cuperlo, Berretta, De Pasquale, Velo, Sani, Naccarato, Giacomelli, Marchioni, Strizzolo, Cavallaro, Sbrollini, Servodio, Concia».

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere - premesso che:
il settore automotive, che comprende una variegata serie di macchinari utilizzati tradizionalmente per le sale prove motori e autoveicoli legati principalmente all'utilizzo dell'aria e che costituisce un fondamento della filiera nazionale dell'automobile, rappresentato da centinaia di imprese e associazioni di categoria, è afflitto da una grave crisi economica, con perdite di fatturato ingenti e prolungate da diversi danni;
soltanto negli ultimi due anni infatti, il mercato dell'automobile ha perso oltre il 30 per cento di fatturato, quantificabile in una flessione di circa 12 miliardi di euro con allarmanti risvolti anche sull'economia del lavoro; la chiusura di concessionarie e la riduzione del personale degli stabilimenti di produzione hanno determinato per la suesposta filiera gravissime sofferenze e destrutturazione del segmento della componentistica, che rappresenta fra l'altro uno dei fiori all'occhiello della nostra industria manifatturiera;
ulteriori profili di criticità, a giudizio degli interpellanti, sono manifestati dall'introduzione di nuove tasse che hanno danneggiato il settore interessato, che soltanto con le ultime manovre finanziarie correttive dell'agosto 2011, il decreto-legge n. 138 e il decreto-legge cosiddetto «Salva Italia» n. 201 approvato a fine dicembre 2011, a partire dalle accise sul carburante, al rialzo dell'imposta provinciale di trascrizione, dal superbollo, all'aumento dell'Iva e alle imposte extra sull'RC auto, hanno determinato un gettito fiscale per

l'erario di circa 8,7 miliardi di euro, con ovvie conseguenze negative e penalizzanti per l'intero mercato;
secondo quanto indicato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti inoltre, le vendite del mese di gennaio 2012 rivelano il livello di immatricolazioni più basso degli ultimi 20 anni, con una flessione di ben il 16,9 per cento, rispetto al già debole risultato dello scorso anno e di oltre il 36 per cento rispetto alla media degli ultimi 10 anni;
se si valutano complessivamente le attuali condizioni macroeconomiche, che evidenziano uno stato di disagio eloquente che lascia presupporre un andamento per il 2012 intorno ad 1,5 milioni di immatricolazioni (rispetto ai 2,2 milioni del 2008), appare pressoché certo che si prospetta per il suesposto comparto e per l'intero indotto, una soglia di non ritorno, che mette a repentaglio la sopravvivenza di centinaia di aziende del settore e di migliaia di lavoratori e di famiglie;
a giudizio degli interpellanti, in assenza di adeguate e mirate politiche di rilancio del mercato, il comparto dell'automobile, che dà lavoro a oltre 1.200.000 persone e che contribuisce al gettito fiscale nella misura del 16,6 per cento, è destinato a contrarsi ancor di più con essenziali conseguenze per l'occupazione e lo sviluppo -:
se e quali misure urgenti i Ministri intendano adottare per rimettere l'automotive al centro della politica industriale del Governo, convocando un tavolo di lavoro dedicato per individuare con immediatezza soluzioni e proposte di sviluppo eque e sostenibili.
(2-01361) «Cicchitto, Biasotti».

Interrogazione a risposta orale:

GIULIETTI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
è fatto ormai noto che l'asta per l'assegnazione alle compagnie telefoniche delle frequenze in banda 800, 1800, 2000 e 2600 ha fortemente penalizzato le emittenti locali, già danneggiate dalla mancata attuazione del decreto-legge n. 323 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 ottobre 1993, n. 422, volta a garantire il pluralismo dell'informazione e lo sviluppo delle piccole e medie imprese, che in Italia rappresentano circa il 70 per cento prodotto interno lordo nazionale;
la procedura di assegnazione conclusasi di recente, ha prodotto entrate per circa 4 miliardi di euro. Il Ministro interrogato, rispondendo all'atto di sindacato ispettivo 3-01971 presentato alla Camera dei deputati il 14 dicembre 2011, ha affermato che l'attribuzione di misure economiche di natura compensativa in favore degli operatori abilitati alla diffusione di televisioni locali, pari al 10 per cento degli introiti derivanti dalla gara per gli operatori di telecomunicazioni è quindi a 240 milioni di euro, ha subito da parte del Ministero dell'economia e delle finanze una riduzione lineare tale da rendere l'ammontare totale dell'indennizzo pari a circa 175 milioni di euro. Il Ministro ha inoltre confermato l'intenzione di procedere alla redazione del decreto ministeriale necessario all'attribuzione delle misure economiche compensative per la liberazione delle frequenze;
si apprende da un articolo de «Il Fatto quotidiano» del 26 gennaio 2012 e da un appello pubblicato nella sezione degli avvisi a pagamento de «Il Corriere della Sera», ad opera dell'emittente Telelombardia, che tali misure di indennizzo sarebbero destinate ad una distribuzione «a pioggia», senza che vi sia una distinzione tra una qualsiasi antenna Tv e vere e proprie imprese televisive. A quanto riportato non vi sarebbe differenziazione né per quanto riguarda il numero di telespettatori né relativamente al numero dei dipendenti;
l'assegnazione indiscriminata alle varie emittenti locali interessate dal risarcimento

comporterebbe per alcuni un inatteso «regalo», mentre per le emittenti che realmente rappresentano imprese televisive, con organico considerevole e un audience consolidato, comporterebbe un danno gravissimo contribuendo probabilmente a segnare la fine di gran parte dell'informazione locale -:
se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
se il Ministro non ritenga opportuno operare una verifica sulle realtà interessate dalle misure economiche compensative, al fine di elaborare un criterio di ripartizione delle risorse che risponda alle necessità di realtà imprenditoriali fortemente differenziate.
(3-02099)

Interrogazione a risposta in Commissione:

CAUSI e FLUVI. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 5, comma 1, del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40, estende a decorrere dal 2008 il divieto - già operativo nel settore dell'assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile auto, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 -, per le compagnie di assicurazione e per i loro agenti di vendita, di stipulare clausole di distribuzione esclusiva di polizze relative a tutti i rami danni;
la misura è stata introdotta per dare attuazione ai principi comunitari sulla concorrenza, di cui agli articoli 81, 82 e 86 del trattato istitutivo della Comunità europea (TCE), che riguardano il divieto di accordi tra imprese che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto e per effetto di falsare la concorrenza all'interno del mercato comune; il divieto di sfruttamento abusivo da parte di una impresa di una posizione dominante sul mercato comune e il divieto per gli Stati membri di mantenere, nei confronti delle imprese pubbliche, qualunque misura contraria alle norme del Trattato in particolar modo quelle relative alla concorrenza;
ai sensi del comma 3 del citato articolo 8, del decreto-legge n. 223 del 2006, l'imposizione di un mandato di distribuzione esclusiva nell'ambito dell'assicurazione obbligatoria per responsabilità civile auto, costituisce intesa restrittiva delle concorrenza ai sensi dell'articolo 2 della legge 10 ottobre 1990, n. 287;
il presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nel corso dell'audizione alla 10a Commissione del Senato svoltasi il 12 ottobre 2011 (nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul settore dell'assicurazione di autoveicoli, con particolare riferimento al mercato e alla dinamica dei premi dell'assicurazione per responsabilità civile auto), ha di fatto riconosciuto l'importanza di favorire lo sviluppo sia di broker che di agenti plurimandatari in considerazione della complessità dei servizi assicurativi, al fine di favorire la diffusione di figure professionali, sostanzialmente indipendenti dalle compagnie, la cui funzione sia quella di consigliare agli utenti il prodotto per essi migliore;
sulla base delle stime di operatori del settore, si deve constatare ancora una scarsa diffusione di agenti plurimandatari: infatti, a fronte del 7,8 per cento di agenti plurimandatari nel 2007, si sarebbe passati al 13,4 per cento nel 2008 e al 17,6 per cento nel 2009;
la situazione denunciata è ancor più grave nel Sud Italia, in cui persiste ancora un regime monomandatario quasi totalitario; alcune compagnie storicamente aperte al plurimandato esercitano infatti l'attività solo in determinate aree dell'Italia situate prevalentemente al Nord;
inoltre, dai dati emergerebbe che il plurimandato non si è diffuso in particolare

tra le compagnie di maggiori dimensioni, le quali continuerebbero ad operare con reti di agenti di fatto monomandatari e a non concedere mandati ad agenti plurimandatari;
questi dati trovano un coerente riflesso e un'implicita conferma nelle numerose segnalazioni giunte all'Autorità relative a comportamenti posti in essere dalle compagnie tendenti a eludere, e nella sostanza a vanificare, i ricordati interventi tesi a favorire lo sviluppo di un'industria della distribuzione assicurativa indipendente dalle compagnie che producono i vari servizi;
si tratta di un quadro di prime evidenze molto articolato che l'Autorità sta attentamente valutando anche al fine di verificare se vi siano margini per interventi istruttori ma, in ogni caso, le citate segnalazioni sono, ad avviso degli interroganti, testimonianza inequivocabile della volontà delle imprese assicurative di ostacolare un canale distributivo, che potrebbe costituire un efficace volano di concorrenza tra le imprese stesse, con evidenti vantaggi per gli utenti finali;
le compagnie di assicurazione già da qualche anno starebbero, sistematicamente, abbandonando alcuni territori ritirando l'offerta dei propri prodotti in alcune aree del Sud Italia e già da anni non effettuano politiche di sviluppo economico rivolte alle nuove generazioni;
sarebbe opportuno imporre ai distributori l'obbligo di offrire prodotti e servizi assicurativi di più compagnie, con un impegno, da parte delle imprese di assicurazione, ad operare con le agenzie presenti in tutte le province italiane, al fine di prevedere una diffusione capillare dei prodotti su tutto il territorio nazionale e con lo scopo di porre rimedio alle palesi discriminazioni territoriali nei confronti dei consumatori del meridione che sono costretti dalla limitata offerta a sostenere premi assicurativi più alti rispetto al Nord Italia -:
quali iniziative di competenza, anche normative, il Governo intenda assumere al fine di garantire da parte delle imprese di assicurazione l'operatività capillare e l'offerta dei prodotti su tutto il territorio nazionale e di eliminare la perdurante discriminazione cui sono sottoposti i consumatori del Sud, obbligati a sostenere premi assicurativi maggiorati rispetto al resto del Paese.
(5-06162)

Interrogazioni a risposta scritta:

DE GIROLAMO. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'ondata di maltempo che ha travolto l'Italia nei primi giorni di febbraio 2012 ha provocato innumerevoli disagi all'intera popolazione: strade bloccate, treni rimasti fermi per ore, scuole chiuse, e disservizi di ogni genere;
tra l'altro le precipitazioni nevose hanno provocato, in numerosi centri del Sud-Italia e in particolare nella provincia di Benevento, il blocco della fornitura di energia elettrica; sono state infatti circa 160.000 le utenze fuori servizio su 5,7 milioni di forniture gestite da Enel nelle regioni Lazio, Abruzzo, Molise e Campania;
in particolare, nel beneventano, numerose famiglie hanno visto interrompersi il servizio elettrico, e le già pesanti difficoltà si sono ulteriormente aggravate a causa della lentezza delle attività per il ripristino della fornitura; in alcuni casi l'energia elettrica è ritornata dopo poche ore ma in altri dopo dodici o ventiquattro ore e in altri ancora è stato necessario installare un generatore;
l'improvvisa mancanza di energia elettrica ha determinato gravi danni ed evidenti disagi alle famiglie, che, in tanti casi, oltre a dover patire il freddo per l'impossibilità del funzionamento della caldaia che alimenta gli impianti di riscaldamento,

sono state costrette a gettare via tutte le conserve riposte nei congelatori -:
quali fossero i piani di emergenza predisposti dalle società che erogano il servizio elettrico, dato il bollettino neve della protezione civile diffuso nei giorni precedenti la clamorosa ondata di maltempo;
per quali motivi migliaia di famiglie siano rimaste senza energia elettrica per oltre una giornata e non siano stati compiuti i necessari e tempestivi interventi sulla rete al fine di ripristinare il servizio;
per quali motivi oggi in tanti comuni il servizio elettrico sia ancora garantito attraverso i pali e le reti esterne che sono molto esposte alle intemperie, e non con i cavidotti sotterranei;
quali iniziative si intendano adottare a tutela delle famiglie colpite dai guasti elettrici e se non si ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza affinché siano previsti sconti per chi ha patito i disservizi causati anche dal ritardo delle operazioni di ripristino della fornitura.
(4-14858)

IANNACCONE. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il maltempo, con forti precipitazioni nevose si è abbattuto da venerdì 3 febbraio 2012 in Italia, ed ha colpito pesantemente i territori dell'Abruzzo, del Lazio, del Molise, del Sannio e dell'Irpinia dove, a differenza di altre zone del Paese vi è stata l'interruzione della fornitura di energia elettrica;
a tutt'oggi, a distanza di sette giorni dall'avvenuta interruzione di fornitura elettrica, in numerosi comuni dei territori sopra indicati ancora non ritorna la luce e le popolazioni sono esposte al freddo ed alle intemperie con rischi fisici notevoli per anziani, bambini e disabili;
è inconcepibile che nell'anno 2012 vi possano ancora essere blackout elettrici per un così lungo periodo: a dimostrazione della completa inefficienza del sistema elettrico del Paese, in particolare nel Sud d'Italia dove è stata carente, o per meglio dire inesistente, la fase di prevenzione, coordinamento e manutenzione di una emergenza atmosferica così devastante;
la rete elettrica di distribuzione a 20.000 volt, la più danneggiata dalla neve che ha isolato le cabine elettriche di trasformazione media tensione (M.T.) /bassa tensione (B.T.), è ancora del tipo aereo con posa su pali, mentre sono quasi del tutto inesistenti le linee in cavo interrato che presentano una maggiore sicurezza, nella distribuzione dell'energia elettrica da tali fenomeni naturali;
la liberalizzazione del settore elettrico, introdotta in Italia nel 1999, con il decreto «Bersani», non ha portato ai cittadini energia più economica, sicura ed accessibile e non ha garantito, in caso di emergenza, standard adeguati per un ritorno nel più breve tempo possibile dell'energia elettrica interrotta senza arrecare ulteriore disagi alle popolazioni colpite dalla neve -:
se e quali iniziative di competenza il Ministro intenda assumere affinché siano posti in essere investimenti progettuali e di sicurezza nei territori del Sud per evitare il ripetersi di detti incresciosi ed inqualificabili episodi.
(4-14862)

GASBARRA. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
nelle giornate del 3 e 4 febbraio il Lazio è stato investito da precipitazioni nevose che hanno causato l'interruzione di energia elettrica;
le previsioni meteo e i bollettini della protezione civile avevano già dal 2 febbraio previsto l'ondata di maltempo;
le previsioni indicavano le dimensioni delle precipitazioni e la durata dell'ondata di freddo;

a fronte di decine di migliaia di interruzioni di energia elettrica nel Lazio, Enel spa comunicava in data 4 febbraio 2012 che la situazione era difficile, ma presidiata;
nella stessa ora Enel spa comunicava che nel Centro Sud erano 160 mila le utenze disattivate, di cui la metà nella sola regione Lazio;
decine di amministratori del Lazio e in particolare delle province di Roma e Frosinone hanno pubblicamente denunciato l'assenza di un piano di emergenza e di un coordinamento degli interventi di Enel;
migliaia di famiglie, di attività commerciali, ricettive, così come strutture di assistenza e sanitarie sono rimaste per giorni senza energia elettrica;
in molti casi a quanto consta all'interrogante gli operai di Enel spa intervenuti per ripristinare la rete erano completamente sprovvisti della necessaria attrezzatura anti-neve (scarponi, ciappole e altro), così come molti mezzi di intervento erano sprovvisti di catene;
Enel spa in data 4 febbraio 2012 riteneva opportuno rispondere ad una comunicazione pubblica dell'interrogante in cui si dava notizia di questa interrogazione;
in data 6 febbraio 2012, nel corso della trasmissione di Rai 1, Porta a Porta il responsabile di Enel distribuzione, ingegnere Livio Gallo ha annunciato l'apertura di una inchiesta interna -:
se non ritenga doveroso aprire effettivamente un'inchiesta per capire se vi siano delle carenze strutturali e organizzative nella rete elettrica gestita da Enel spa e come sia stato possibile lasciare per giorni migliaia di cittadini senza fornitura di energia elettrica o forme alternative di alimentazione energetica;
quali iniziative di competenza intenda adottare per evitare in futuro che la rete dei trasporti ferroviari possa entrare in crisi di fronte a nuove ondate di maltempo.
(4-14874)

BITONCI. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
le associazioni sindacali di Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uiltrasporti hanno indetto, nei giorni scorsi, una mobilitazione dei trasporti italiani ed uno sciopero generale a livello nazionale di tutto il settore di 4 ore per il giorno 1o marzo 2012, motivando tale scelta come necessaria a fronte della attuale e gravissima crisi del settore dei trasporti;
il settore, infatti, oltre a dover subire gli effetti della pesante crisi internazionale che ha avuto notevoli ripercussioni su tutto il commercio internazionale, deve oggi scontare anche le recenti decisioni assunte dal Governo in materia di trasporti e contenute all'interno sia del decreto «Salva-italia», laddove è stato previsto un rialzo delle accise dei carburanti, sia del decreto cosiddetto «Crescitalia», prevedendo una serie di liberalizzazioni senza una concreta concertazione delle regole e istituendo, altresì, una nuova autorità alla quale sono demandati anche poteri e funzioni propri del Governo nazionale e di quelli regionali;
già nelle ultime settimane in diverse città si è assistito a più riprese ad una serie di manifestazioni di protesta e di scioperi da parte delle categorie coinvolte, in particolar modo dei tassisti, che hanno contestato le scelte governative imputando a queste una deregolamentazione del settore e la mancanza di una concreta politica dei trasporti -:
se i Ministri interessati non ritengano opportuno avviare, anche in ragione dei gravi disagi arrecati ai cittadini nelle scorse settimane, un'opera di concertazione con i rappresentanti delle categorie dei trasporti allo scopo di individuare una soluzione per le vertenze oggi esistenti e

scongiurare così il ripetersi delle difficoltà a discapito dei cittadini.
(4-14880)

GHIGLIA. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il centro produzione Rai di Torino è uno dei centri propulsori dell'azienda e ricopre un ruolo strategico anche a livello nazionale, trasmettendo dalla sede torinese 6 canali nazionali (RaiSport2, RaiMovie, RaiPremium, Rai5, Gulp, Yo-Yo);
da oltre sei mesi, la direzione del centro produzione Rai di Torino non ha più una guida e inoltre, non le sarebbero più state assegnate alcune risorse, ivi compresi i minimi investimenti per l'aggiornamento tecnologico delle apparecchiature necessarie per la messa in onda;
sembrerebbe profilarsi, su proposta dell'attuale direttore ad interim, il trasferimento presso gli studi romani del canale RaiSport2, attualmente in onda da Torino con redazione a Milano;
in seguito al congelamento dell'investimento che sarebbe già stato previsto per Torino e all'investimento su Roma di una nuova messa in onda di 16 canali, potrebbe avvenire il trasferimento, da Torino verso Roma, di altri 5 canali;
tutto ciò comporterebbe la perdita di ulteriori risorse occupazionali (che andrebbero ad aggiungersi a quelle già cospicue avvenute negli ultimi vent'anni) e di figure professionali di rilievo, svilendo così il centro produzione Tv della Rai di Torino che di fatto verrebbe ridotto ad una mera sede giornalistica regionale;
in tale contesto sarebbe opportuna la nomina di un direttore che si occupi di redigere un piano di sviluppo per rilanciare la produzione del centro Rai torinese -:
quali siano, e cosa comportino in termini di investimenti sul centro e sul territorio e di prospettive occupazionali nonché professionali, le strategie aziendali sul centro di produzione Rai di Torino;
se, come il PdL e il territorio piemontese auspicano, si intende addivenire ad un incontro tra Governo, vertici Rai e rappresentanti delle istituzioni locali (regione, provincia e comune) per rafforzare la sede torinese, creando le condizioni migliori al fine di portare produzioni stabili presso suddetto centro di produzione;
in caso contrario, come si intenda valorizzare l'occupazione e le professionalità impiegate presso il suddetto centro e le numerose risorse presenti presso lo stesso.
(4-14884)

BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'allungamento dei tempi di pagamento è causa di fallimento di attività economicamente sane, quali quelle di tante piccole e medie imprese, oltre che causa di fallimento di numerosi liberi professionisti, assimilati agli imprenditori sotto questo particolare punto di vista;
ciò è grave in sé stesso perché viola lo stato di diritto, ma ancor più è grave in un momento di grave crisi economica in cui gli imprenditori capaci sono gravemente penalizzati, sino alla perdita dello status ed all'uscita dal mercato per fatti non imputabili a loro scelte, incapacità o comportamenti;
non si conoscono stime attendibili degli importi dovuti e pagati in ritardo tra privati, ma il fenomeno è imponente poiché in Italia le piccole e medie imprese sono circa 4,5 milioni. L'importo è sicuramente notevole ed è un importo di cui le imprese, soprattutto quelle piccole, devono farsi carico per far fronte alla mancanza di liquidità provocata dal ritardo nell'incasso delle fatture emesse soprattutto nei confronti della grande impresa italiana;

questa situazione, diffusissima in Italia, costringe molte aziende a ricorrere a prestiti bancari per finanziare l'attività. In questo extraonere sono da includere anche i costi delle risorse umane impegnate nel sollecito dei pagamenti o quelli da sostenere quando si è costretti a rivolgersi ad un legale o ad una società di recupero crediti;
la giustizia, inoltre, in Italia versa in uno stato drammatico, uno stato tale da non garantire alcuna giustizia ad imprenditori seri, capaci e onesti, ed i tempi della giustizia civile sono una delle prime cause di mancati investimenti stranieri nel nostro Paese;
sempre il cattivo funzionamento della giustizia civile pesa sul sistema delle imprese, secondo le stime diffuse dalla Banca d'Italia, per circa l'1 per cento del prodotto interno lordo;
molto è stato fatto per il ritardo nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni da questo Governo il quale, meritoriamente, ha iniziato a reperire risorse per effettuare i pagamenti, come imposto dal codice civile e dalla normativa comunitaria;
ciò è particolarmente grave perché, da una ricerca effettuata dall'Unione europea emerge con chiarezza come in Italia i ritardi di pagamento imputabili alle grandi imprese si verificano con una frequenza doppia rispetto a quelli addebitabili alle piccole imprese. Inoltre, la durata delle dilazioni è doppia nel caso dei pagamenti effettuati dalle grandi imprese alle piccole e medie imprese, rispetto a quelli effettuati da queste ultime alle grandi imprese;
in conseguenza di quanto descritto, tra il 2008 ed il 2011 hanno fallito oltre 39.500 imprese, generando il pericolo che si verifichi un aumento dell'usura e del numero di infiltrazioni malavitose nel nostro sistema economico;
nel 2011, quasi un fallimento su tre è stato causato dai ritardi nei pagamenti. A fronte di 11.615 imprenditori italiani che hanno portato i libri contabili in tribunale, circa 3.600 (pari al 31 per cento del totale) lo hanno fatto a causa dell'impossibilità di incassare in tempi ragionevoli le proprie spettanze. Una situazione, purtroppo, che non ha eguali in Europa;
se in Italia fallisce circa il 31 per cento delle imprese, la percentuale di aziende che in Europa falliscono a causa dei ritardati pagamenti è pari al 25 per cento del totale. Se si tiene conto che nel nostro Paese i ritardi superano la media europea di 26 giorni, si stima che la nostra media nazionale oltrepassi il 30 per cento del totale europeo;
indubbiamente anche la crisi economica ha contribuito ad aggravare questa situazione. Infatti, il trend dei ritardi in Italia in questi ultimi 4 anni è quasi raddoppiato (+97,5 per cento). Se, infatti, nel 2008 la media era di 27 giorni, l'anno scorso gli imprenditori italiani sono stati pagati mediamente con 53 giorni di ritardo. Se poi si tiene conto che i tempi medi effettivi di pagamento che si registrano in Italia sono i più elevati d'Europa, la situazione che si è sviluppata in questi ultimi anni è drammatica: tra il 2008 ed il 2011 hanno fallito in numero assoluto oltre 39.500 aziende;
pur ribadendo che questo Governo ha dimostrato ottime intenzioni con riguardo ai pagamenti della pubblica amministrazione verso i privati, è necessario che si adoperi con efficacia anche nel caso dei ritardi tra privati. Si consideri, altresì, che la mancanza di liquidità sta facendo crescere il numero degli «sfiduciati», ovvero di quegli imprenditori che hanno deciso, nonostante i grossi problemi che si sono accumulati in questi ultimi anni, di non ricorrere all'aiuto di una banca;
un ulteriore elemento di analisi è contenuto nel dato che informa del fatto che il mancato pagamento dei crediti costa alle imprese attorno ai 10 miliardi di euro l'anno. Un importo di cui le imprese, soprattutto quelle piccole, devono farsi carico per far fronte alla mancanza di liquidità provocata dal ritardo nell'incasso

delle fatture. Questa situazione, diffusissima in Italia, costringe molte aziende a ricorrere a prestiti bancari per finanziare l'attività. In questo extraonere sono da includere anche i costi delle risorse umane impegnate nel sollecito dei pagamenti, o quelli da sostenere quando si è costretti a rivolgersi ad un legale o ad una società di recupero crediti;
quella descritta è una situazione critica, la quale, benché aggravata dalle problematiche di mercato, ha portato a una catena di eventi drammatici con decine di casi di suicidio tra gli imprenditori;
i casi di suicidio per crediti sono particolarmente odiosi perché sono il frutto di violazioni di legge, violazioni che lo Stato avrebbe il dovere di impedire sia per una ordinata convivenza sociale, sia per evitare che il disordine si trasformi in tragedia -:
se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti il Governo intenda assumere, soprattutto riguardo al caso dei ritardi nei pagamenti tra privati, a partire da una efficace riforma della giustizia, e, comunque se si intenda aprire un tavolo di consultazione con i rappresentanti delle categorie interessate per approfondire le problematiche collegate alla questione addotta e provvedere ad uno studio specifico sulla filiera produttiva al fine di verificare fino a che punto corrisponda al vero che le grandi imprese utilizzino le piccole e medie imprese come una sorta di banca, soprattutto nei confronti di quegli imprenditori gergalmente detti «terzocontisti», poiché il ritardato pagamento del credito, oltretutto connotato da un termine finale incerto, è del tutto assimilabile al reperimento di risorse finanziarie normalmente devolute all'opera di imprese in ciò specializzate, ovvero le banche e gli altri istituti finanziari, generando un onere ingiusto e insopportabile a danno della parte più debole della transazione commerciale avvenuta.
(4-14886)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
Enel Green Power ha presentato per l'ennesima volta un progetto di maxi torri eoliche, 5, a Poggio Canneto, al confine tra Pomarance e Monteverdi;
si tratta di un progetto che, seppur di dimensioni diverse, ha già subito bocciature da parte della regione, ritiri delle proposte, opposizioni paesaggistiche;
all'origine dovevano essere 9 le maxi torri solo su Monteverdi, poi sempre nel 2008 le pale lievitarono a 15 pure nel territorio di Pomarance e, dopo bocciature varie e ostacoli, Enel Green Power ripresentò nel 2011 un progetto relativo a sette torri, sempre tra il Monte Canneto e il vicino Poggio Ricciardo, davanti alla frazione di Lustignano;
il progetto di maxi eolico sul Poggio Canneto, di fronte al borgo di Lustignano, interessa una zona di grande rilevanza paesaggistica, interessata da frane e a pochi metri da un'area protetta inserita nella rete «Natura 2000» -:
se quanto riferito in premessa corrisponda al vero e se risulti, anche in virtù delle partecipazioni azionarie in Enel, quali siano le ragioni dell'insistenza di Enel Green Power per la realizzazione del suddetto parco eolico, viste le ripetute bocciature da parte della regione.
(4-14892)

...

Apposizioni di firme ad una mozione, cambio presentatore e modifica dell'ordine dei firmatari.

Il primo firmatario della mozione Barbaro ed altri n. 1-00856, pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta dell'8

febbraio 2012, deve intendersi il deputato: Della Vedova. Contestualmente l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Della Vedova, Galletti, Pisicchio, Melchiorre, Barbaro, Adornato, Bocchino, Bongiorno, Briguglio, Capitanio Santolini, Carlucci, Enzo Carra, Cesa, Consolo, Giorgio Conte, Di Biagio, Dionisi, Divella, Granata, Lamorte, Lo Presti, Lusetti, Menia, Moroni, Muro, Angela Napoli, Paglia, Patarino, Perina, Proietti Cosimi, Raisi, Rao, Ruben, Scanderebech, Toto».

Pubblicazione di testi riformulati.

Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta immediata in assemblea Muro n. 3-02083, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 582 del 7 febbraio 2012.

MURO. - Al Ministro per i rapporti con il Parlamento. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 35 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, cosiddetto salva Italia, attribuisce all'Autorità garante della concorrenza e del mercato la facoltà di esprimere un parere sugli «atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato»; se a fronte delle violazioni riscontrate «la pubblica amministrazione non si conforma nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere, l'Autorità può presentare, tramite L'Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro i successivi trenta giorni»;
che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato debba avvalersi dell'Avvocatura dello Stato porta a situazioni di incompatibilità, tenuto conto che la stessa Avvocatura dello Stato potrebbe essere chiamata a patrocinare in giudizio la pubblica amministrazione contro cui l'Autorità garante della concorrenza e del mercato abbia presentato ricorso;
tale previsione normativa contrasta col principio costituzionale di razionalità e ragionevolezza, anche perché la norma non è limitata alla problematica dei cosiddetti affidamenti in house degli enti locali, ma, come testualmente riportato, si riferisce agli atti amministrativi generali, ai regolamenti ed ai provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica;
peraltro, proprio il riferimento agli affidamenti in house rende evidente la grave sovrapposizione con l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture: è, infatti, questa l'autorità indipendente che ha competenza in tale settore, al fine di verificare il rispetto della normativa in materia di appalti, in primo luogo di derivazione comunitaria, e il cui obiettivo è proprio quello di assicurare la concorrenza nel settore dei lavori pubblici;
se veramente si vuole incidere sulla cattiva prassi degli enti locali in materia di affidamento in house, sarebbe molto più logico restringere le norme a tali enti e riconoscere il potere di impugnazione all'autorità competente in materia;
infine, la norma è amplissima, tanto da diventare generica, in quanto, stando al tenore letterale della norma, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato potrà contestare i provvedimenti anche dei ministeri, delle altre autorità indipendenti, persino di enti di rilevanza costituzionale, creando in tal modo e de facto un vincolo di dipendenza quasi gerarchica, anche rispetto ad enti di pari importanza istituzionale o addirittura di rilevanza costituzionale;
altro profilo che evidenzia la genericità del potere dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, così come indicato nella citata norma, è la circostanza che tale autorità diventerebbe, ancorché indirettamente, organo consultivo del Governo nell'esercizio della sua attività normativa, potendo dare pareri anche sui regolamenti, cioè su atti normativi a tutti gli effetti;

in tal modo l'attività dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato si porrebbe al di fuori dalla logica dei confini costituzionali relativamente ai rapporti tra autorità amministrative, di cui è parte l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, autorità giurisdizionali e, soprattutto, autorità politiche, così come denunciato, tra l'altro, da autorevoli organi di stampa, con articoli e commenti pubblicati a più riprese -:
se il Governo, preso atto di quanto innanzi, voglia adottare provvedimenti correttivi al fine di evitare interventi in evidente contrasto con le dichiarate finalità degli stessi e con il complesso del quadro normativo vigente. (3-02083)

Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta immediata in commissione Di Stanislao n. 5-06103, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 582 del 7 febbraio 2012.

DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
si è svolto mercoledì 8 febbraio un delicato Consiglio supremo di difesa;
tra i punti all'ordine del giorno figuravano l'esame degli scenari internazionali, loro prevedibili linee evolutive - con riferimento, in particolare, agli sviluppi post-conflitto della crisi libica e al processo di transizione in Afghanistan - e punto della situazione sulla partecipazione delle Forze Armate alle operazioni, sulla riqualificazione dell'impegno italiano e sulle potenziali nuove missioni;
il capitolo «riqualificazione dell'impegno italico» dovrebbe comprendere la discussione sulla proposta del Ministro interrogato di rimuovere i caveat decisi dal Parlamento che finora hanno impedito l'impiego dei nostri aerei in Afghanistan in missioni di bombardamento;
il segretario alla difesa Usa, Leon Panetta, ha dichiarato nei giorni scorsi che «le operazioni di combattimento in Afghanistan delle forze militari statunitensi termineranno entro la metà del 2013. Entro la metà di quell'anno saremo in grado di fare una transizione dal ruolo di combattimento»;
il Ministro interrogato invece, ha successivamente ribadito che la transizione in Afghanistan «non ha una data, perché non è un momento ma un processo: la sicurezza non è qualcosa che si acquisisce subito dopo che si chiude la porta, ma deve essere continuamente sostenuta», tenendo anche presente che la comunità internazionale ha ribadito che alla fine del 2014 gli afgani avranno il controllo del territorio e quindi ci sarà una presenza internazionale in forme diverse -:
se risulti corrispondente al vero, e con quali motivazioni, che il Governo abbia proposto di eliminare i caveat decisi dal Parlamento che hanno finora impedito ai nostri aerei in Afghanistan di bombardare. (5-06103)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
interrogazione a risposta in Commissione Trappolino n. 5-06034 del 30 gennaio 2012;
interrogazione a risposta in Commissione De Camillis n. 5-06050 del 31 gennaio 2012;
interrogazione a risposta orale Mereu n. 3-02080 del 7 febbraio 2012;
interrogazione a risposta scritta Montagnoli n. 4-14785 del 7 febbraio 2012;
interpellanza Di Pietro n. 2-01354 dell'8 febbraio 2012;
interrogazione a risposta scritta Porfidia n. 4-14820 dell'8 febbraio 2012.

ERRATA CORRIGE

Interrogazione a risposta in Commissione Renato Farina n. 5-05493 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 531 del 10 ottobre 2011. Alla pagina 24884, seconda colonna, dalla riga ventunesima alla riga ventiduesima deve leggersi: «ridefinisce il matrimonio, con una dispensa religiosa decisamente ristretta; gli» e non «ridefinisce il matrimonio, con una dispensa religiosa decisamente ristretta, gli», come stampato.
Alla pagina 24884, seconda colonna, dalla riga venticinquesima alla riga ventinovesima deve leggersi: «partecipare a unioni dello stesso sesso per sottolineare che, a differenza dei sostenitori dei diritti dei gay, persone e gruppi che non accettano questo tipo di matrimoni godono di poca difesa della libertà religiosa -:» e non «partecipare a unioni dello stesso sesso, e i sostenitori dei diritti dei gay stanno sottolineando pubblicamente di quanta poca difesa della libertà religiosa godano persone e gruppi sotto la nuova legge -:», come stampato.

Interrogazione a risposta scritta Di Pietro e Palagiano n. 4-14795 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 582 del 7 febbraio 2012. Alla pagina 27636, prima colonna, alla riga ventisettesima, deve leggersi: «nel 1974 il signor Federico Pioli fu» e non «nel 1974 il signor Bruno Pioli fu» come stampato.