XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di lunedì 12 marzo 2012

TESTO AGGIORNATO AL 29 MAGGIO 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:

La Camera,
premesso che:
gli istituti bancari svolgono il ruolo di raccogliere fondi dai risparmiatori e trasferirli a imprese e privati che ne hanno bisogno per le proprie esigenze personali o aziendali. Oltre a concedere prestiti a imprese e famiglie, le banche svolgono anche attività finanziarie di varia natura: ad esempio, comprano titoli di aziende e Stati, concedono finanziamenti ad altri intermediari finanziari. Si tratta di un'attività fondamentale per l'economia moderna, senza la quale l'intero sistema economico attuale non potrebbe esistere. Un'attività quella del credito che mantiene la qualità fondamentale di servizio;
la principale legge italiana che regola il funzionamento dell'attività bancaria è il testo unico bancario, di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, con tutte le successive modificazioni e integrazioni. Secondo questo testo unico, l'attività bancaria è definita come l'esercizio congiunto dell'attività di raccolta di risparmio tra il pubblico e dell'attività di concessione del credito (articolo 10). In Italia ci sono circa 800 banche, delle quali circa il 30 per cento ha la forma di società per azioni. Poco meno di 50 le banche popolari, più di 400 le banche «di credito cooperativo» e circa 80 le succursali delle banche estere;
il ruolo della banca è senza alcun dubbio cruciale per ogni economia avanzata, e non solo; la storia d'Europa e il suo sviluppo evidenziano in maniera esemplare come il ruolo del credito rappresenti uno dei pilastri fondamentali delle economie più sviluppate. Senza il ricorso al credito, aziende e persone dovrebbero occuparsi personalmente di trovare finanziatori per le proprie attività, con costi elevati e scarse probabilità di successo. Attraverso le banche, invece, possono accedere al risparmio di altri soggetti, reso disponibile attraverso il sistema bancario. Allo stesso modo, senza le banche i risparmiatori dovrebbero valutare da soli gli investimenti e verificare il regolare andamento dei pagamenti degli interessi e la restituzione del capitale prestato. In ragione di questa importanza, le leggi italiane, comunitarie e internazionali regolano l'attività bancaria con norme specifiche, diverse da quelle che riguardano gli altri intermediari finanziari;
la costituzione di un'impresa bancaria è sottoposta ad autorizzazioni da parte della Banca d'Italia, che svolge anche un importante ruolo di controllo durante l'attività bancaria;
nell'ultima indagine trimestrale, la Banca d'Italia, in oltre metà delle imprese, ha dichiarato di vedere un peggioramento della situazione economica nei prossimi mesi ed è quasi raddoppiata, al 28,6 per cento dal 15,2 per cento della precedente inchiesta, la quota delle imprese per le quali le condizioni di accesso al credito sono peggiorate;
le ragioni di queste difficoltà sono di due tipi. In primo luogo, c'è da parte delle banche un problema di liquidità, soprattutto per quanto riguarda gli impieghi a medio termine. L'instabilità dello scenario finanziario ha inaridito molti dei tradizionali canali di finanziamento, da quelli più semplici, come l'interbancario, a quelli più complessi, riferibili alle operazioni sovranazionali in valuta. Le banche si trovano così nell'esigenza di garantire la copertura delle operazioni correnti e devono ridurre gli spazi per i finanziamenti alle imprese;
in secondo luogo, c'è un problema di costi. Per le banche è sempre più oneroso aumentare la propria raccolta e ottenere capitali per il forte rialzo dei tassi di interesse sui titoli di Stato italiani. C'è in questo periodo una vera e propria rincorsa ad offrire condizioni sempre più appetibili a chi deposita i propri soldi in banca: un anno fa era già un successo

spuntare un tasso dell'1 per cento sui depositi, mentre ora, con un vincolo di un anno, si supera tranquillamente quota 4 per cento. I risparmiatori sono avvantaggiati, ma chi chiede soldi in prestito deve accettare tassi decisamente più elevati;
per le piccole e medie imprese le prospettive rischiano, poi, di essere ancora più difficili, perché il sistema bancario continua ad essere fortemente impegnato verso i grandi gruppi, che non attraversano anch'essi un momento favorevole;
le imprese, quindi, hanno di fronte un credito difficile e più caro proprio in un momento come questo in cui sarebbero necessari forti investimenti per rinnovare gli impianti, accrescere la competitività, finanziare la ricerca;
anche il mercato immobiliare risente delle crisi; infatti, l'andamento del mercato del credito alle famiglie continuerà a essere comunque influenzato dal contesto economico internazionale e la richiesta di finanziamenti, attualmente in calo, è determinata anche dalle prospettive di sacrificio previste per gli italiani dalle recenti manovre e dall'impennata dei tassi per i prodotti di credito. Per i prossimi mesi, quindi, ci si attende ancora una contrazione dei mutui e quindi degli acquisti;
il ruolo delle banche negli ultimi trent'anni è profondamente mutato. Infatti, gli istituti bancari nel dopoguerra hanno svolto un ruolo cruciale per lo sviluppo economico del sistema capitalista, incentrato a quell'epoca sulla relazione virtuosa tra il settore bancario e le imprese che producono beni e servizi non-finanziari: le linee di credito concesse dalle banche a tali imprese - i cui obiettivi erano definiti con riferimento al medio-lungo periodo - permisero la produzione di valore aggiunto attraverso la remunerazione dei lavoratori delle imprese, i quali potevano disporre della loro capacità di acquisto sui mercati dei prodotti, al fine di avere un tenore di vita dignitoso senza dover ricorrere all'indebitamento personale;
la finanziarizzazione dell'economia, iniziata negli anni '80 del secolo scorso, ha trasformato i nostri sistemi economici radicalmente, marginalizzando poco alla volta il ruolo delle banche commerciali, inducendo queste ultime a diventare delle società finanziarie attive su scala globale e operanti a 360 gradi sui mercati finanziari (una sorta di «supermercati finanziari» alla ricerca del massimo profitto nel minor tempo possibile);
il 21 dicembre 2011 le banche europee hanno ottenuto circa 500 miliardi di euro di nuovi fondi, in occasione della prima asta di rifinanziamento organizzata dalla Banca centrale europea, in base alle nuove regole volute dalle autorità dell'Unione europea per combattere il credit crunch; di questi, gli istituti italiani hanno ricevuto 116 miliardi di euro al tasso dell'1 per cento;
la Banca centrale europea ha più volte dichiarato che tali risorse erano vincolate ad una precisa finalizzazione: dare credito all'economia reale in modo da permettere alle banche di avere più liquidità ad un costo basso da mettere a disposizione di imprese e famiglie;
le imprese e le famiglie italiane vedono sempre più ristretta la possibilità di accedere al credito; convenzioni e confidi vengono disdetti e gli interessi arrivano al 12 per cento;
appare evidente come il rilancio dello sviluppo del sistema sia collegato alla capacità effettiva di credito, che gli istituti bancari possono e dovrebbero concedere alle imprese, in particolare alle piccole e medie imprese; senza il rafforzamento delle linee di credito appare estremamente complicato ipotizzare che si possa davvero procedere ad un rilancio dello sviluppo del sistema, per il quale, specie in Italia, il ruolo delle piccole imprese è determinante, sia in termine di produzione che di impiego di forza lavoro;
inoltre, si aggiunge il problema del ritardo con cui la pubblica amministrazione provvede al pagamento dei corrispettivi

inerenti all'esecuzione dei contratti pubblici, che suscita, ormai da anni, l'interesse (ma soprattutto l'allarme) degli imprenditori che operano nel mercato italiano;
tale problematica è particolarmente avvertita dalle piccole e medie imprese, che, soprattutto nell'attuale congiuntura economica di difficile accesso al credito bancario, risentono in maniera grave della mancanza di liquidità;
il ritardo nei pagamenti non incide solo sul contraente privato che si trova a sostenere un'attesa ingiustificata nella percezione dei corrispettivi dovuti da parte dell'amministrazione appaltante, ma ridonda in termini negativi anche sull'indotto a valle dell'appalto, investendo le imprese subappaltatrici e subfornitrici, sulle quali i ritardi vengono sovente ulteriormente ribaltati,


impegna il Governo:


ad istituire un tavolo permanente tecnico con rappresentanti dell'Associazione bancaria italiana, della Banca d'Italia, delle principali associazioni di categoria e dei consumatori e dell'Istat, al fine di avanzare proposte operative per il sostegno del credito a favore delle imprese e delle famiglie, e, in particolare, ad adoperarsi, nell'ambito delle proprie competenze, affinché la seconda tranche di prestiti che la Banca centrale europea ha messo a disposizione delle banche vada a sostegno delle imprese e delle famiglie e ad adottare iniziative che agevolino con tassi d'interesse favorevoli l'accesso al credito per le imprese e le famiglie;
ad adoperarsi, altresì, nelle competenti sedi decisionali dell'Unione europea, in modo da:
a) sospendere l'entrata in vigore delle misure volte a fissare livelli più elevati per i coefficienti patrimoniali delle banche e introdurre un nuovo schema internazionale per la liquidità (accordo «Basilea 3»);
b) eliminare la valutazione a prezzi di mercato che l'Eba applica ai titoli di Stato italiani, comportando una loro sottovalutazione nel patrimonio delle banche italiane, che detengono bot e btp per un valore di 160 miliardi di euro;
c) intervenire in merito ai requisiti patrimoniali delle banche affinché siano introdotti meccanismi correttivi per la ponderazione del rischio di credito relativo ai prestiti alle piccole e medie imprese, in modo da compensare l'incremento quantitativo del requisito patrimoniale minimo;
ad assumere iniziative normative volte a prevedere forme di compensazione per le imprese che vantino crediti nei confronti di amministrazioni statali, con i debiti gravanti a loro carico, relativi ad obbligazioni tributarie;
ad adottare iniziative normative volte ad accelerare il pagamento dei crediti della pubblica amministrazione, al fine di recepire la nuova direttiva europea 2011/7/UE concernente il contrasto ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.
(1-00913)
«Crosetto, Vignali, Bernardo, Berardi, Del Tenno, Laboccetta, Leo, Misuraca, Pagano, Antonio Pepe, Savino, Ventucci».

NUOVA FORMULAZIONE

La Camera,
premesso che:
gli istituti bancari svolgono il ruolo di raccogliere fondi dai risparmiatori e trasferirli a imprese e privati che ne hanno bisogno per le proprie esigenze personali o aziendali. Oltre a concedere prestiti a imprese e famiglie, le banche svolgono anche attività finanziarie di varia natura: ad esempio, comprano titoli di aziende e Stati, concedono finanziamenti ad altri intermediari finanziari. Si tratta di un'attività fondamentale per l'economia moderna, senza la quale l'intero sistema economico attuale non potrebbe esistere. Un'attività quella del credito che mantiene la qualità fondamentale di servizio;
la principale legge italiana che regola il funzionamento dell'attività bancaria è il testo unico bancario, di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, con tutte le successive modificazioni e integrazioni. Secondo questo testo unico, l'attività bancaria è definita come l'esercizio congiunto dell'attività di raccolta di risparmio tra il pubblico e dell'attività di concessione del credito (articolo 10). In Italia ci sono circa 800 banche, delle quali circa il 30 per cento ha la forma di società per azioni. Poco meno di 50 le banche popolari, più di 400 le banche «di credito cooperativo» e circa 80 le succursali delle banche estere;
il ruolo della banca è senza alcun dubbio cruciale per ogni economia avanzata, e non solo; la storia d'Europa e il suo sviluppo evidenziano in maniera esemplare come il ruolo del credito rappresenti uno dei pilastri fondamentali delle economie più sviluppate. Senza il ricorso al credito, aziende e persone dovrebbero occuparsi personalmente di trovare finanziatori per le proprie attività, con costi elevati e scarse probabilità di successo. Attraverso le banche, invece, possono accedere al risparmio di altri soggetti, reso disponibile attraverso il sistema bancario. Allo stesso modo, senza le banche i risparmiatori dovrebbero valutare da soli gli investimenti e verificare il regolare andamento dei pagamenti degli interessi e la restituzione del capitale prestato. In ragione di questa importanza, le leggi italiane, comunitarie e internazionali regolano l'attività bancaria con norme specifiche, diverse da quelle che riguardano gli altri intermediari finanziari;
la costituzione di un'impresa bancaria è sottoposta ad autorizzazioni da parte della Banca d'Italia, che svolge anche un importante ruolo di controllo durante l'attività bancaria;
nell'ultima indagine trimestrale, la Banca d'Italia, in oltre metà delle imprese, ha dichiarato di vedere un peggioramento della situazione economica nei prossimi mesi ed è quasi raddoppiata, al 28,6 per cento dal 15,2 per cento della precedente inchiesta, la quota delle imprese per le quali le condizioni di accesso al credito sono peggiorate;
le ragioni di queste difficoltà sono di due tipi. In primo luogo, c'è da parte delle banche un problema di liquidità, soprattutto per quanto riguarda gli impieghi a medio termine. L'instabilità dello scenario finanziario ha inaridito molti dei tradizionali canali di finanziamento, da quelli più semplici, come l'interbancario, a quelli più complessi, riferibili alle operazioni sovranazionali in valuta. Le banche si trovano così nell'esigenza di garantire la copertura delle operazioni correnti e devono ridurre gli spazi per i finanziamenti alle imprese;
in secondo luogo, c'è un problema di costi. Per le banche è sempre più oneroso aumentare la propria raccolta e ottenere capitali per il forte rialzo dei tassi di interesse sui titoli di Stato italiani. C'è in questo periodo una vera e propria rincorsa ad offrire condizioni sempre più appetibili a chi deposita i propri soldi in banca: un anno fa era già un successo spuntare un tasso dell'1 per cento sui depositi, mentre ora, con un vincolo di un anno, si supera tranquillamente quota 4 per cento. I risparmiatori sono avvantaggiati, ma chi chiede soldi in prestito deve accettare tassi decisamente più elevati;
per le piccole e medie imprese le prospettive rischiano, poi, di essere ancora più difficili, perché il sistema bancario continua ad essere fortemente impegnato verso i grandi gruppi, che non attraversano anch'essi un momento favorevole;
le imprese, quindi, hanno di fronte un credito difficile e più caro proprio in un momento come questo in cui sarebbero necessari forti investimenti per rinnovare gli impianti, accrescere la competitività, finanziare la ricerca;
anche il mercato immobiliare risente delle crisi; infatti, l'andamento del mercato del credito alle famiglie continuerà a essere comunque influenzato dal contesto economico internazionale e la richiesta di finanziamenti, attualmente in calo, è determinata anche dalle prospettive di sacrificio previste per gli italiani dalle recenti manovre e dall'impennata dei tassi per i prodotti di credito. Per i prossimi mesi, quindi, ci si attende ancora una contrazione dei mutui e quindi degli acquisti;
il ruolo delle banche negli ultimi trent'anni è profondamente mutato. Infatti, gli istituti bancari nel dopoguerra hanno svolto un ruolo cruciale per lo sviluppo economico del sistema capitalista, incentrato a quell'epoca sulla relazione virtuosa tra il settore bancario e le imprese che producono beni e servizi non-finanziari: le linee di credito concesse dalle banche a tali imprese i «cui obiettivi erano definiti con riferimento al medio-lungo periodo» permisero la produzione di valore aggiunto attraverso la remunerazione dei lavoratori delle imprese, i quali potevano disporre della loro capacità di acquisto sui mercati dei prodotti, al fine di avere un tenore di vita dignitoso senza dover ricorrere all'indebitamento personale;
la finanziarizzazione dell'economia, iniziata negli anni '80 del secolo scorso, ha trasformato i nostri sistemi economici radicalmente, marginalizzando poco alla volta il ruolo delle banche commerciali, inducendo queste ultime a diventare delle società finanziarie attive su scala globale e operanti a 360 gradi sui mercati finanziari (una sorta di «supermercati finanziari», alla ricerca del massimo profitto nel minor tempo possibile);
il 21 dicembre 2011 le banche europee hanno ottenuto circa 500 miliardi di euro di nuovi fondi, in occasione della prima asta di rifinanziamento organizzata dalla Banca centrale europea, in base alle nuove regole volute dalle autorità dell'Unione europea per combattere il credit crunch; di questi, gli istituti italiani hanno ricevuto 116 miliardi di euro al tasso dell'1 per cento;
la Banca centrale europea ha più volte dichiarato che tali risorse erano vincolate ad una precisa finalizzazione: dare credito all'economia reale in modo da permettere alle banche di avere più liquidità ad un costo basso da mettere a disposizione di imprese e famiglie;
le imprese e le famiglie italiane vedono sempre più ristretta la possibilità di accedere al credito; convenzioni e confidi vengono disdetti e gli interessi arrivano al 12 per cento;
appare evidente come il rilancio dello sviluppo del sistema sia collegato alla capacità effettiva di credito, che gli istituti bancari possono e dovrebbero concedere alle imprese, in particolare alle piccole e medie imprese; senza il rafforzamento delle linee di credito appare estremamente complicato ipotizzare che si possa davvero procedere ad un rilancio dello sviluppo del sistema, per il quale, specie in Italia, il ruolo delle piccole imprese è determinante, sia in termine di produzione che di impiego di forza lavoro;
inoltre, si aggiunge il problema del ritardo con cui la pubblica amministrazione provvede al pagamento dei corrispettivi inerenti all'esecuzione dei contratti pubblici, che suscita, ormai da anni, l'interesse (ma soprattutto l'allarme) degli imprenditori che operano nel mercato italiano;
tale problematica è particolarmente avvertita dalle piccole e medie imprese, che, soprattutto nell'attuale congiuntura economica di difficile accesso al credito bancario, risentono in maniera grave della mancanza di liquidità;
stando al quadro fornito dall'Osservatorio sul credito di Confcommercio-Format, la situazione dei finanziamenti per le aziende nell'ultimo trimestre del 2011 è stata, infatti, particolarmente difficile, soprattutto per le imprese del Mezzogiorno e le microimprese del settore commerciale e turistico e il trimestre appena concluso del 2012 conferma uno scenario ancora in peggioramento;
i dati rilevati da Confcommercio sono i peggiori di tutto il 2011 e, sostanzialmente, riflettono la situazione descritta dalle indagini sul credito alle imprese della Banca d'Italia e della Banca centrale europea;
i recenti tragici avvenimenti che stanno avvenendo in Italia, i suicidi da parte di piccoli imprenditori, quali artigiani, commercianti e imprenditori agricoli, i quali in questa forte contrazione dei flussi creditizi e vessati dai crescenti oneri fiscali e contributivi sono sopraffatti da stati d'animo di disperazione e sconforto, confermano la drammaticità dell'attuale situazione, che minaccia di travolgere, in virtù di un devastante effetto «domino» l'intera struttura economica e sociale del Paese: dal sistema delle imprese, ai redditi delle famiglie, alle forme di sicurezza sociale;
il ritardo nei pagamenti non incide solo sul contraente privato che si trova a sostenere un'attesa ingiustificata nella percezione dei corrispettivi dovuti da parte dell'amministrazione appaltante, ma si riflette in termini negativi anche sull'indotto a valle dell'appalto, investendo le imprese subappaltatrici e subfornitrici, sulle quali i ritardi vengono sovente ulteriormente ribaltati,


impegna il Governo:


ad istituire un tavolo permanente tecnico con rappresentanti dell'Associazione bancaria italiana, della Banca d'Italia, delle principali associazioni di categoria e dei consumatori e dell'Istat, al fine di avanzare proposte operative per il sostegno del credito a favore delle imprese e delle famiglie, e, in particolare, ad adoperarsi, nell'ambito delle proprie competenze, affinché la seconda tranche di prestiti che la Banca centrale europea ha messo a disposizione delle banche vada a sostegno delle imprese e delle famiglie e ad adottare iniziative che agevolino con tassi d'interesse favorevoli l'accesso al credito per le imprese e le famiglie;
ad adoperarsi, altresì, nelle competenti sedi decisionali dell'Unione europea, in modo da:
a) sospendere l'entrata in vigore delle misure volte a fissare livelli più elevati per i coefficienti patrimoniali delle banche e introdurre un nuovo schema internazionale per la liquidità (accordo «Basilea 3»);
b) eliminare la valutazione a prezzi di mercato che l'Eba applica ai titoli di Stato italiani, comportando una loro sottovalutazione nel patrimonio delle banche italiane, che detengono bot e btp per un valore di 160 miliardi di euro;
c) intervenire in merito ai requisiti patrimoniali delle banche affinché siano introdotti meccanismi correttivi per la ponderazione del rischio di credito relativo ai prestiti alle piccole e medie imprese, in modo da compensare l'incremento quantitativo del requisito patrimoniale minimo;
ad assumere iniziative normative volte a prevedere forme di compensazione per le imprese che vantino crediti nei confronti di amministrazioni statali, con i debiti gravanti a loro carico, relativi ad obbligazioni tributarie;
ad assumere iniziative dirette a prevedere in tempi rapidi, l'istituzione di un fondo di solidarietà presso il Ministero dello sviluppo economico in collaborazione con Consorzi Fidi, i cui beneficiari rientranti nelle categorie dei piccoli imprenditori, commercianti, artigiani e imprenditori agricoli, individuati dal codice civile, inclusi coloro che sono segnalati alla centrale rischi finanziari (Crif), purché svolgano attualmente l'attività lavorativa, possano usufruire una tantum di un contributo a fondo perduto, in caso di rigetto da parte degli istituti di credito o società d'intermediazione creditizia e finanziaria, di domande di finanziamento o revoca di affidamento o revoca di fidi;
ad adottare iniziative normative volte ad accelerare il pagamento dei crediti della pubblica amministrazione, al fine di recepire la nuova direttiva europea 2011/7/UE concernente il contrasto ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.
(1-00913)
(Nuova formulazione) «Crosetto, Vignali, Bernardo, Santelli, Berardi, Del Tenno, Laboccetta, Leo, Misuraca, Pagano, Antonio Pepe, Savino, Ventucci, De Girolamo, Giammanco, Antonino Foti, Cicu, Cosenza».

La Camera,
premesso che:
secondo quanto stabilito dalla direttiva 2009/28/CE, nel 2020 l'Italia dovrà coprire il 17 per cento dei consumi finali di energia mediante fonti rinnovabili. Prendendo a riferimento lo scenario efficiente, questo significa che nel 2020 il consumo finale di energie rinnovabili dovrà attestarsi a 22,31 megawatt di energia termica;
gli obiettivi e l'ampiezza della direttiva 2009/28/CE impongono un rinnovato impegno, con criteri che assicurino uno sviluppo equilibrato dei vari settori che

concorrono al raggiungimento di detti obiettivi e tenendo conto del rapporto costi-benefici;
sono già disponibili numerosi meccanismi di sostegno, che assicurano la remunerazione degli investimenti in diversi settori delle energie rinnovabili e dell'efficienza energetica, e favoriscono la crescita di filiere industriali;
secondo la definizione contenuta nel decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, di attuazione della direttiva 2009/28/CE, per biomassa si intende la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall'agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali), dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e l'acquacoltura, gli sfaldi e le potature provenienti dal verde pubblico e privato, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani;
trarre energia dalle biomasse consente di eliminare rifiuti prodotti dalle attività umane, produrre energia elettrica e ridurre la dipendenza dalle fonti di natura fossile come il petrolio. Si tratta di una fonte di energia pulita su cui l'Unione europea ha deciso di investire;
la Commissione europea è sempre più convinta che le biomasse agroforestali, tra le fonti «verdi», possano svolgere un ruolo importante sia per la sicurezza dell'approvvigionamento energetico sia nella lotta contro il cambiamento climatico;
l'agricoltura può contribuire al contenimento delle emissioni di gas serra in termini di fissazione temporanea di carbonio nei suoli, nelle produzioni vegetali ed arboree e, soprattutto, nella produzione di biomasse agroforestali da impiegare ai fini energetici, con effetti sostitutivi dei combustibili fossili e riduzione delle emissioni di anidride carbonica;
gli impianti di produzione di energia elettrica possono essere alimentati da biomasse solide come legna, cippato, pellet, ma anche con rifiuti solidi urbani, biogas (derivanti dalla frazione organica dei rifiuti solidi urbani, da fanghi, deiezioni animali, ma anche da attività agricole) e bioliquidi (oli vegetali grezzi o altri bioliquidi);
i biocombustibili sono un'energia pulita a tutti gli effetti, in quanto liberano nell'ambiente le sole quantità di carbonio che hanno assimilato le piante durante la loro formazione ed una quantità di zolfo e di ossidi di azoto nettamente inferiore a quella rilasciata dai combustibili fossili;
i combustibili di origine biologica allo stato liquido sono distinti, in base al decreto legislativo n. 28 del 2011, in: bioliquidi (combustibili liquidi per scopi energetici diversi dal trasporto, compresi l'elettricità, il riscaldamento ed il raffreddamento prodotti dalla biomassa) e biocarburanti (carburanti liquidi o gassosi per i trasporti ricavati dalla biomassa);
in particolare, riguardo alla produzione dei biocarburanti, l'input lanciato dalla Commissione europea agli Stati membri («Strategia Ue per i biocarburanti», COM 34/2006) è di riflettere su dove allestire le colture energetiche, affinché si inseriscano in maniera ottimale nella rotazione delle colture, al fine di evitare ripercussione negative sulla biodiversità, l'inquinamento idrico, il degrado del suolo e la distruzione di habitat e di specie di elevata importanza naturale;
il biogas, costituito prevalentemente da metano e da anidride carbonica, nasce dalla fermentazione anaerobica di materiale organico di origine animale e vegetale e vi sono una molteplicità di matrici organiche da cui può essere prodotto: rifiuti conferiti in discarica ovvero frazione organica dei rifiuti urbani, fanghi di depurazione, deiezioni animali, scarti di macellazione, scarti organici agroindustriali, residui colturali, colture energetiche dedicate;
il settore della biomassa deve essere promosso in maniera organica, individuando misure volte ad incrementarne la disponibilità e lo sfruttamento, indirizzandone gli impieghi non alla sola generazione

elettrica, ma a forme più convenienti ai fini della copertura degli usi finali: produzione di calore per il soddisfacimento di utenze termiche e per la cogenerazione;
lo sviluppo dell'utilizzo della biomassa non può prescindere da considerazioni di carattere ambientale (emissioni, criteri di sostenibilità) e di competitività con altri settori (alimentare, industriale);
negli ultimi anni vi è stato un incremento dello sviluppo delle tecniche di produzione energetica da biomasse e dai suoi prodotti, anche a seguito dell'introduzione di una legislazione di sostegno, che prevede, tra l'altro, meccanismi incentivanti;
l'articolo 24 del decreto legislativo n. 28 del 2011 prevede un regime di incentivazione di biogas, biomasse e bioliquidi sostenibili, che deve tener conto della tracciabilità e della provenienza della materia prima ed è finalizzato a promuovere l'uso efficiente di rifiuti e sottoprodotti, da biogas da reflui zootecnici o da sottoprodotti delle attività agricole, agroalimentari, agroindustriali, di allevamento e forestali, di prodotti ottenuti da coltivazioni dedicate non alimentari, nonché di biomasse e bioliquidi sostenibili e biogas da filiere corte, contratti quadro e da intese di filiera;
un impulso decisivo allo sviluppo sul territorio delle biomasse è stato dato dal decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, del 10 settembre 2010, in materia di «Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili», che disciplina le modalità di autorizzazione dei diversi impianti e l'adeguamento delle regioni alla normativa in materia;
in particolare, nella parte che dispone che «le regioni possono indicare aree e siti non idonei all'installazione di specifiche tipologie di impianti. L'individuazione delle aree non idonee è operata dalle regioni attraverso un'apposita istruttoria che prenda in considerazione le disposizioni volte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico ed artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale»;
se da tale ricognizione emergessero obiettivi di protezione non compatibili con l'insediamento di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, si determinerebbe un'elevata probabilità di esito negativo in sede di autorizzazione. Gli esiti dell'istruttoria dovranno contenere, per ciascuna area individuata come non idonea, la descrizione delle incompatibilità riscontrate;
le regioni conciliano le politiche di tutela dell'ambiente e del paesaggio con quelle di sviluppo e valorizzazione delle energie rinnovabili attraverso atti di programmazione congruenti con la quota minima di produzione di energia da fonti rinnovabili loro assegnata (burden sharing), assicurando uno sviluppo equilibrato delle diverse fonti;
le aree non idonee sono, dunque, individuate dalle regioni nell'ambito dell'atto di programmazione con cui sono definite le misure e gli interventi necessari al raggiungimento degli obiettivi di burden sharing fissati. Con tale atto, la regione individua le aree non idonee, tenendo conto di quanto eventualmente già previsto dal piano paesaggistico e in congruenza con lo specifico obiettivo assegnatole;


impegna il Governo:


a promuovere una revisione della normativa vigente al fine di valorizzare le cosiddette agroenergie, rispettando la tipicità dell'economia italiana ed evitando distorsioni del mercato nel settore agroalimentare;
a valutare l'opportunità di sviluppare, in accordo con le regioni, nel rispetto delle proprie ed altrui competenze, la programmazione,

su scala regionale, della coltivazione dei prodotti agricoli ad uso energetico;
ad assumere iniziative volte a chiarire il quadro normativo in materia di identificazione degli scarti di origine agroindustriale, allorché si tratti di risorse per la produzione di energia e, quindi, impiegabili in impianti di produzione energetica;
ad elaborare i dettagli di meccanismi di supporto più ambiziosi per lo sviluppo e lo sfruttamento delle biomasse a fini energetici e, allo stesso tempo, ad orientare la domanda verso comportamenti più rispettosi dell'ambiente e più sensibili alla questione del risparmio energetico;
ad accelerare i tempi di adozione dei decreti attuativi relativi ai meccanismi di incentivazione delle fonti rinnovabili, al fine di un rilancio economico del Paese, in quanto possono rappresentare un volano determinante per gli investimenti e per la creazione di occupazione green.
(1-00914)
«Beccalossi, Paolo Russo, Aracri, Baldelli, Cannella, Catanoso, De Corato, De Camillis, Di Caterina, Dima, Faenzi, Tommaso Foti, Ghiglia, Laffranco, Nastri, Nola, Saglia».

La Camera,
premesso che:
con la direttiva 2009/28/CE, che supera le precedenti direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE, rispettivamente in materia di elettricità da fonti rinnovabili e di biocarburanti, l'Unione europea ha implementato la propria politica in materia di riduzione dei gas serra, attraverso l'incremento della produzione di energia da fonti rinnovabili. In particolare, la citata direttiva mira ad istituire un quadro comune per la promozione dell'energia prodotta da fonti rinnovabili e, per ciascuno Stato membro, fissa un obiettivo per la quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia entro il 2020;
il nuovo quadro normativo comunitario è finalizzato a concentrare lo sforzo in funzione del raggiungimento del già individuato obiettivo del cosiddetto «20-20-20», che prevede, entro il 2020: la riduzione del 20 per cento delle emissioni di gas serra, il risparmio energetico del 20 per cento, l'innalzamento al 20 per cento del livello di consumo di energia da fonti rinnovabile;
la direttiva comunitaria 2009/28/CE, «Promozione dell'uso delle energie da fonti rinnovabili», ha ripartito l'obiettivo generale del 20 per cento da fonte rinnovabile tra tutti gli Stati membri secondo il principio del burden sharing, già utilizzato con il protocollo di Kyoto. La Commissione europea ha, infatti, fissato i singoli obiettivi nazionali, giuridicamente vincolanti, tenendo conto della situazione economica di ogni Stato. Con l'Italia è stata concordata una quota del 17 per cento di energia da fonti energetiche rinnovabili da raggiungere entro il 2020;
nel quadro delle politiche e delle misure nazionali finalizzate al raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di anidride carbonica stabiliti nel Protocollo di Kyoto, è necessario individuare alcuni strumenti strategici per lo sviluppo e l'integrazione di filiere di produzione e di distribuzione di energie rinnovabili che siano in grado di produrre energia «pulita», limitando l'emissione in atmosfera di anidride carbonica e di altri gas ad effetto serra risultante dall'uso dei combustibili fossili;
nell'ambito del piano nazionale d'azione per le energie rinnovabili, il settore delle biomasse riveste un ruolo di primaria importanza. Sommando gli obiettivi di energia da fonti rinnovabili per il 2020, ripartiti in elettricità, calore/raffrescamento e trasporti, a tutte le biomasse solide (in larga parte biomasse legnose), gassose (biogas e biometano) e liquide (biocarburanti), viene richiesto di produrre il 44 per cento di tutta l'energia da fonti rinnovabili a fine decennio;
la scelta di investire sulle energie rinnovabili, soprattutto sulle biomasse,

non è soltanto una scelta ambientale per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica; gli impianti di energia da biomasse, e in modo spiccato le biomasse forestali, il biogas ed in parte i biocarburanti, hanno la caratteristica di essere forme di produzione diffusa di energia la cui ricaduta economica sui territori è forte e continuativa. Il petrolio ed il carbone, ma anche l'uranio, rastrellano ricchezza dai Paesi di consumo e la trasferiscono ai luoghi di estrazione, lasciando l'inquinamento nelle zone di raffinazione e consumo. Viceversa, l'indotto generato sui territori dalle fonti rinnovabili è stabile e significativo. In Germania è stato valutato che le fonti rinnovabili di energia, incluso l'eolico, abbiano generato 450.000 nuovi posti di lavoro;
biomassa è un termine che riunisce tipi diversi di materiali, di natura estremamente eterogenea. In forma generale, si può dire che sono biomassa tutti quei materiali che hanno una matrice organica e che vengono prodotti in modo ciclico (rinnovabili) attraverso processi naturali (foreste e legno) o produttivi (agricoltura). Le biomasse possono essere costituite dai residui delle coltivazioni destinate all'alimentazione umana o animale (ad esempio, residui delle potature, paglia ed altro), da colture espressamente condotte per scopi energetici (ad esempio, produzione di biodiesel o alcol), da materiali legnosi e residui di origine forestale, da scarti di attività dell'industria agroalimentare o del legno (ad esempio, le vinacce dell'industria della vinificazione, la sansa dell'industria dell'olio, i trucioli o la segatura dell'industria del legno), da scarti delle aziende zootecniche (deiezioni solide e liquide), dalla parte organica dei rifiuti urbani o dai materiali di risulta delle operazioni di cura del verde (ad esempio, potatura siepi e viali alberati urbani, manutenzione aree ripariali);
non vi è una definizione univoca di biomassa, per la legge italiana. Solo nell'ambito dell'impiego delle biomasse per la produzione di energia elettrica vengono utilizzate definizioni più specifiche. L'articolo 2 del decreto legislativo n. 387 del 2003 riprende la direttiva 2001/77/CE e stabilisce che «per biomassa si intende la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall'agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali) e dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani». La definizione di biomassa ai sensi del decreto legislativo n. 387 del 2003 è stata ampliata dal decreto legislativo n. 28 del 2011, recante «Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE». L'articolo 2, lettera e), definisce la biomassa come «la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall'agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali), dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e l'acquacoltura, gli sfalci e le potature provenienti dal verde pubblico e privato, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani.» Quest'ultima è la definizione utile ai fini autorizzativi ed alla quale si attengono le normative locali;
ai fini energetici le biomasse si distinguono in:
a) bioliquidi: i «combustibili liquidi per scopi energetici diversi dal trasporto, compresi l'elettricità, il riscaldamento ed il raffreddamento, prodotti dalla biomassa»;
b) biocarburanti: i «carburanti liquidi o gassosi per i trasporti ricavati dalla biomassa»;
c) biometano: il «gas ottenuto a partire da fonti rinnovabili avente caratteristiche e condizioni di utilizzo corrispondenti a quelle del gas metano e idoneo all'immissione nella rete del gas naturale»;
ciascuna delle biomasse sopra elencate porta con sé impatti ambientali che devono necessariamente essere valutati quando si scende dall'ambito delle scelte strategiche e si definiscono i criteri per

effettuare le scelte migliori rispetto alle biomasse da impiegare e le tecnologie da utilizzare; i criteri in questione possono essere riassumibili in alcuni punti:
a) le biomasse devono generare ricchezza sul luogo di realizzazione dell'impianto, evitando che l'approvvigionamento della biomassa abbia un impatto ambientale insostenibile, anche in termini di incremento della viabilità;
b) a valutazione di compatibilità ambientale dell'impianto a biomassa deve tenere conto dell'intero ciclo produttivo;
c) gli impianti devono avere dimensioni proporzionate alla capacità produttiva del luogo di installazione (filiera corta), di cui sia garantita la tracciabilità e la compatibilità ambientale del trasporto;
d) devono essere privilegiati, attraverso semplificazioni autorizzative, tutti quegli impianti che utilizzano l'energia termica senza disperderla nell'ambiente;
il contributo delle biomasse alla produzione di energie da fonte rinnovabile è importante in quel mix energetico sostenibile che l'Italia dovrà utilizzare, contestualmente alle politiche di risparmio ed efficienza, per sostituire gradualmente le fonti fossili; ma il loro uso, in un'ottica di sostenibilità, non dovrà dare vita ad effetti distorsivi per l'economia agricola, negativi per gli equilibri ambientali e paesaggistici, o addirittura inefficaci per quanto riguarda il saldo delle emissioni dei gas serra;
uno sviluppo corretto delle agroenergie dovrebbe essere innanzitutto decentralizzato e integrato con le economie agricole locali e i contesti territoriali. Tuttavia, bisognerà evitare che tale decentramento produca, da una parte, un puzzle di norme e di criteri di valutazione e, dall'altra, una proliferazione di impianti che nulla hanno a che fare con l'agricoltura locale e con le risorse del territorio. A tale scopo, è utile che i criteri di calcolo della quota di produzione di energia da biomasse che ogni regione dovrà garantire per il rispetto degli obiettivi nazionali (cosiddetta burden sharing) siano basati sulle potenzialità effettive e sulle vocazioni agricole e forestali dei diversi territori, sia in termini di colture che di processi di produzione/trasformazione dedicati;
bisogna, quindi, favorire filiere che siano efficienti nell'uso del suolo agricolo e nella riduzione delle emissioni di carbonio gas serra, sostenibili dal punto di vista ambientale e paesaggistico e capaci di generare la massima ricaduta occupazionale in ambito locale, sia dal punto di vista delle imprese agroforestali che dal punto di vista dell'imprenditoria in generale; questi aspetti possono essere verificati tramite studi dedicati di analisi del ciclo di vita della biomassa (life cycle assesment) normati dalla serie ISO 14040; in questa prospettiva, la produzione dedicata di biomasse dal settore agricolo dovrebbe essere realizzata prestando attenzione ad aspetti di risparmio energetico e di uso razionale degli input produttivi. Il ricorso a tecniche agronomiche a basso input energetico e rispettose dell'uso del suolo, come, ad esempio, i sistemi di agricoltura conservativa, possono rappresentare una possibile via per la produzione sostenibile di biomasse agricole, specie se accompagnati da sistemi di agricoltura di precisione che consentono di impiegare in modo oculato e razionale i diversi input colturali necessari (fertilizzanti, fitofarmaci ed altro);
al fine di rispettare i principi di sostenibilità ed economicità, è necessario che si instauri un'interazione positiva tra impresa energetica e azienda agricola, evitando innanzitutto un meccanismo competitivo che vedrebbe crescere l'una a discapito dell'altra e garantendo, al contempo, una migliore gestione degli aspetti ambientali. Ad esempio, per gli impianti di piccole dimensioni che per proprie caratteristiche rispondono meglio ai principi di sostenibilità sociale, ambientale e paesaggistica, le possibilità di raggiungere un'adeguata efficienza economica sono legate alla capacità di radicarsi nel contesto produttivo locale e di creare un circolo virtuoso grazie all'abbattimento dei costi di produzione,

recupero e trasporto della biomassa;
oltre alla combustione si possono avere altri usi energetici delle biomasse: ad esempio, la trasformazione chimica, in appositi digestori anaerobici, del materiale organico in biogas, ossia metano, da utilizzare per qualunque uso (produzione di calore ed elettricità o come carburante da trazione). Questa trasformazione è particolarmente efficace per tutti gli scarti e reflui di origine zootecnica, agricola ed alimentare ed è particolarmente adatta per i contesti agricoli intensivi di pianura caratterizzati da alta produttività;
esperienze già in atto nel contesto italiano stanno dimostrando come questi impianti riescano ad essere tecnologicamente ed economicamente sostenibili solo se riescono a superare determinate dimensioni strutturali. Questo comporta in diversi casi delicate implicazioni connesse all'approvvigionamento della biomassa, sia dal punto di vista della logistica (raggio di approvvigionamento) che del tipo di biomassa da impiegare. Spesso, infatti, l'alimentazione degli impianti richiede di estendere il raggio di approvvigionamento, cosa che solleva problemi di pressione sul traffico stradale e di emissioni e consumi energetici connessi all'uso dei mezzi di trasporto;
le biomasse residuali impiegate nell'alimentazione degli impianti di gassificazione vengono spesso integrate con massicce dosi di prodotti agricoli come il mais o altri cereali altamente energetici, che, in questo modo, vengono sottratti alla loro tradizionale funzione di alimentazione umana (food) o animale (feed). Tale situazione ricrea negli areali di produzione una competizione fra la funzione energetica (biomassa) e la funzione alimentare (food e feed) di prodotti come i cereali; competizione che si traduce in forti distorsioni di mercato che si ripercuotono sul costo di produzione di altre importanti derrate, come il latte e la carne;
di conseguenza, in alcune aree della penisola numerosi allevatori riscontrano notevoli difficoltà nell'approvvigionamento dei foraggi a prezzi competitivi. Questa situazione rischia, da un lato, di esercitare una pressione eccessiva sugli allevamenti e, dall'altro, di generare inaccettabili incrementi dei prezzi al consumo di diversi prodotti alimentari. Appare chiara, dunque, la necessità di prevenire questi problemi attraverso la predisposizione di appositi strumenti normativi che permettano di regolare il mercato delle produzioni agricole che possono essere destinate sia alla filiera energetica che a quella agroalimentare;
altra fonte di energie rinnovabili può essere rappresentata anche dai biocombustibili, da impiegarsi sia per la produzione di energia (bioliquidi) che per l'autotrazione (biocarburanti). Tali biocombustibili possono essere ottenuti anche attraverso la coltivazione di colture oleaginose come il girasole o il colza. Tali colture, per caratteristiche agronomiche, possono risultare particolarmente adatte in molti contesti agricoli marginali del nostro Paese, in quanto richiedono input energetici ridotti e cure colturali moderate. Come detto in precedenza, il piano nazionale d'azione per le energie rinnovabili dispone che entro il 2020 l'84 per cento dell'energia utilizzata per i trasporti debba derivare da biomasse. Già ad oggi, nel 2012, vige in Italia l'obbligo di miscelare al 4,5 per cento i carburanti di origine fossile con carburanti di origine agricola;
non è ben chiaro quale strategia seguirà l'Italia per approvvigionarsi di questi ingenti volumi di biocarburanti, ma di sicuro questo rappresenterebbe un mercato in cui le (seppur modeste) quantità di biocombustibili prodotte nel nostro Paese potrebbero trovare facile collocazione. L'estrazione a freddo dell'olio dai semi di girasole o colza può essere oggi realizzata in modo facile ed efficiente. A tale proposito, la nascita di piccoli impianti consortili di estrazione potrebbe favorire la creazione di piccoli distretti energetici che troverebbero mercato nell'autoconsumo a

livello locale o nella fornitura di prodotto energetico a strutture di consumo, come i già citati edifici di interesse pubblico;
in diversi contesti del territorio italiano le comunità locali si dimostrano ancora poco propense ad accettare impianti di conversione energetica delle biomasse. Tale preclusione è legata in parte alla disinformazione che porta a considerare questi impianti come fonti di inquinamento atmosferico e, in parte, al ragionevole timore di uso improprio delle strutture a fini di smaltimento dei rifiuti. Questa evidenza dovrebbe invitare ad ipotizzare delle campagne di educazione e sensibilizzazione che avvicinino i cittadini al tema delle energie da biomassa. Gli impianti, da parte loro, dovrebbero essere realizzati secondo criteri di sostenibilità economica, ambientale, sociale, paesaggistica e tecnica. Tali criteri, seppur di valore universale, hanno necessità di essere calati nelle molteplici realtà locali ritrovabili a livello nazionale. In tale ottica, maggiore ricerca e innovazione tecnologica sarebbero necessarie per trasformare in contributo reale alla crescita le potenzialità teoriche racchiuse nel concetto di biomasse e bioenergie,


impegna il Governo:


ad assumere iniziative volte a differenziare le misure di sostegno, privilegiando le biomasse di scarto o a filiera corta entro 70 chilometri dall'impianto di produzione dell'energia/calore;
ad assumere iniziative volte a prevedere particolari incentivi per le aziende agricole che decidono di utilizzare per proprio consumo le biomasse autoprodotte, specie in quei contesti ad alte esigenze energetiche, come le serre, gli allevamenti zootecnici o gli impianti aziendali di trasformazione dei prodotti alimentari;
a costruire degli strumenti di controllo delle produzioni di biomasse agricole e delle relative filiere di conversione energetica per evitare che si verifichino deleterie distorsioni di mercato che potrebbero avere ripercussioni sulla competitività di alcune filiere agroalimentari e sui prezzi al consumo dei prodotti;
a mettere in atto iniziative volte ad evitare il rischio di abbandono delle pratiche agricole tradizionali, prevedendo che la produzione di biomasse o di energia da biomassa rappresenti per l'azienda agricola un'integrazione e non una fonte sostitutiva di reddito aziendale;
a favorire la realizzazione di piccoli distretti o reti energetiche nelle aree rurali, favorendo la partecipazione attiva delle imprese e delle aziende agricole;
a rafforzare gli strumenti di controllo della sostenibilità ambientale ed energetica dei processi di produzione delle biomasse e dell'impatto paesaggistico/ambientale degli impianti.
(1-00915)
«Di Giuseppe, Donadi, Borghesi, Rota, Messina, Di Stanislao, Piffari».

La Camera,
premesso che:
le attuali difficoltà che le famiglie e le aziende, ed in particolare le piccole e le medie imprese, incontrano nell'accesso al credito dipendono da più cause e, dunque, per essere affrontate necessitano di una politica complessiva che deve agire su più fronti;
il credito bancario al settore privato non finanziario - secondo i dati forniti dalla Banca d'Italia - continua a risentire sia di una ridotta domanda di finanziamenti da parte delle imprese, a causa della difficile congiuntura economica, sia di un orientamento ancora restrittivo dei criteri di offerta da parte del pubblico. Le indagini sulle condizioni di accesso al credito, condotte presso le banche e presso le imprese, hanno rilevato che permane elevata la quota di imprese che dichiara di non ottenere l'ammontare di finanziamenti desiderati;
i nuovi accordi di «Basilea 3» hanno modificato i criteri già stabiliti con «Basilea 1» (1998) e «Basilea 2» (2008): essi fissano, alzandoli, i requisiti minimi di

capitale delle banche proporzionalmente ai rischi che assumono, prevedono una serie di «cuscinetti» (liquidità) di capitale aggiuntivi (pari al 2,5 per cento, ma che potrebbero aumentare fino al 5) nelle fasi economiche a rischio, prevedono sanzioni nel caso di violazione delle nuove regole, quale il divieto di pagare bonus ai manager o cedole ai soci;
l'allineamento alle regole di Basilea 3 comporta dei costi, in quanto la migliore qualità ed una maggiore quantità di capitale di garanzia potrà essere raggiunto solo attraverso un rimodellamento della struttura di ciascun istituto. Il rischio maggiore è quello di un inasprimento del costo del denaro;
l'Autorità bancaria europea (European Banking Authority - Eba) ha chiesto di aumentare il «Core Tier 1» delle banche entro giugno 2012 al 9 per cento;
per la valutazione del rischio, l'Autorità bancaria europea ha usato il criterio mark to market, ossia l'attribuzione non del valore nominale o cedolare dei titoli ma il prezzo corrente di mercato, che ha messo in moto per i btp, già in crisi di spread, un meccanismo deleterio per le banche che, qualora volessero evitare la ricapitalizzazione, dovrebbero vendere i titoli, deprezzati del 15-20 per cento del valore nominale, con effetti dirompenti sia sui mercati che sulle fortissime minusvalenze dei conti;
il sistema creditizio italiano, tra i suoi asset, ha titoli di Stato italiani per 160 miliardi di euro e titoli di Stato degli altri Paesi «Pigs» per 3 miliardi di euro. A fronte di questo, le banche italiane hanno titoli «tossici» (essenzialmente mutui subprime) per una quota pari al 6,8 per cento del patrimonio di vigilanza, contro una media europea del 65,3 per cento. Secondo le nuove norme di valutazione degli asset stabilite dall'Autorità bancaria europea, si è al paradosso: i titoli di Stato in portafoglio vengono considerati «tossici» per le banche italiane, peggio di quanto non lo siano i subprime per le banche straniere;
questa decisione dell'Autorità bancaria europea, invece di dimostrare equilibrio ed equità, ha finito per penalizzare il sistema bancario italiano che ha meno titoli tossici e strumenti derivati rispetto alle banche francesi o tedesche;
queste circostanze hanno reso ancor più difficile l'accesso al credito per molte piccole e medie imprese;
si deve, comunque, considerare che la Banca centrale europea ha fornito un'enorme liquidità alle banche che usufruiscono del notevole differenziale tra i tassi di approvvigionamento dei fondi (dalla Banca centrale europea all'1 per cento e dai privati con un tasso di poco superiore) e quelli a cui li offrono a prestito. Il 29 febbraio 2012 la Banca centrale europea ha prestato 530 miliardi di euro per tre anni alle banche europee, una somma simile a quella già elargita nel dicembre 2011. Soldi che non serviranno, l'esperienza del prestito della Banca centrale europea precedente lo attesta, a finanziare le imprese e le famiglie. Infatti, quell'operazione è servita sopratutto a sostenere la domanda di titoli di Stato;
l'operazione a tre anni del 21 dicembre 2011 vide una richiesta di prestiti per 489 miliardi di euro, che furono tutti assegnati. I prestiti sono andati in parte a sostituire altre operazioni di politica monetaria, ragion per cui l'incremento netto di finanziamenti concessi dalla Banca centrale europea al sistema bancario europeo è stato, in realtà, molto inferiore: 193 miliardi di euro. Con riferimento al nostro Paese, le banche italiane usufruirono di un finanziamento di 116 miliardi di euro in quell'operazione, ma l'incremento netto di liquidità fornita dalla Banca d'Italia nel mese di dicembre 2011 è stato della metà, 57 miliardi di euro;
le banche italiane hanno in buona parte utilizzato i soldi presi a prestito dalla Banca centrale europea per acquistare titoli di Stato, contribuendo alla riduzione dei tassi d'interesse sul debito pubblico italiano. Nello stesso tempo, le

banche hanno stretto l'offerta di credito, sia riducendo la quantità sia aumentando il costo dei finanziamenti;
le somme ricevute dalla Banca centrale europea sono state usate anche per rimborsare obbligazioni bancarie, un'operazione che sarebbe stata troppo costosa rinnovare ai tassi di mercato. Nel bimestre dicembre 2011-gennaio 2012, le banche italiane hanno anche acquistato titoli di Stato per 32,6 miliardi di euro. Nello stesso periodo, i prestiti bancari alle imprese e alle famiglie italiane si sono ridotti di 20 miliardi di euro;
le banche italiane, come rilevano le associazioni dei consumatori, continuano ad applicare tassi di interesse più elevati dello 0,67 per cento sui mutui, in Italia al 4,6 per cento, contro il 3,93 per cento della media dell'Unione europea. Nel gennaio 2012, in Italia il costo dei finanziamenti alle imprese (nuove operazioni) era di 1,3 punti percentuali più alto rispetto allo stesso mese del 2011 (passando dal 2,7 per cento al 4 per cento), a parità di tasso di politica monetaria (1 per cento). Nello stesso periodo, il tasso d'interesse sui mutui immobiliari è salito di un punto percentuale (dal 3,15 per cento al 4,15 per cento). Sempre nello stesso periodo, il differenziale tra il tasso medio sui prestiti a imprese e famiglie e il tasso medio sulla raccolta è aumentato di mezzo punto percentuale (dal 2,2 per cento al 2,7 per cento);
va, inoltre, ricordato che l'articolo 8 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (la cosiddetta manovra Monti «Salva-Italia») ha fornito alle banche la garanzia dello Stato sui prestiti ottenuti (in larga misura dalla Banca centrale europea), garanzia che ha consentito loro di sopportare con qualche patema d'animo in meno la situazione difficile dei mercati finanziari;
il 28 febbraio 2012 Governo, Confindustria, l'Associazione bancaria italiana e altre associazioni imprenditoriali hanno firmato l'accordo su «Le nuove misure per il credito alle Pmi». L'accordo ha validità fino al 31 dicembre 2012 e individua interventi finanziari a favore delle piccole e medie imprese «in bonis». L'accordo prevede le seguenti operazioni: sospensione per 12 mesi del pagamento della quota capitale delle rate dei finanziamenti a medio-lungo termine (anche i mutui assistiti da contributo pubblico in conto capitale e/o interessi) e della quota capitale implicita nei canoni di operazioni di leasing immobiliare (6 mesi per il leasing mobiliare); allungamento della durata dei finanziamenti a medio-lungo termine (anche i mutui assistiti da contributo pubblico in conto capitale e/o interessi); allungamento delle scadenze delle anticipazioni su crediti verso clienti fino a un massimo di 270 giorni;
l'articolo 11, comma 4, del decreto-legge n. 185 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009, ha introdotto la garanzia dello Stato sugli interventi del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, quale garanzia di ultima istanza. Di conseguenza, in relazione al requisito patrimoniale a fronte del rischio di credito, alle esposizioni assistite dal fondo nella forma della garanzia diretta e della controgaranzia a prima richiesta, si applica il fattore di ponderazione associato allo Stato italiano («ponderazione zero»), in quanto più favorevole di quello del soggetto debitore, nei limiti dell'importo che il fondo di garanzia è tenuto a versare in caso di inadempimento del debitore principale ovvero del confido garantito;
nel caso della garanzia diretta, il fondo interviene nella misura massima del 60 per cento dell'importo di ciascuna operazione finanziaria. Tale percentuale è elevata fino all'80 per cento in casi particolari (per le piccole e medie imprese a prevalente partecipazione femminile, per le piccole e medie imprese ubicate nelle zone 87.3.a) del Trattato dell'Unione europea, (per le piccole e medie imprese aderenti alla programmazione negoziata). Nel caso di controgaranzia, il fondo interviene invece nella misura massima del

90 per cento della garanzia prestata dai confidi o dagli altri fondi di garanzia. Il moltiplicatore calcolato sul «finanziato», dato dal rapporto è pari a circa 16. Con un euro di dotazione del fondo sono, dunque, attivabili 16 euro di finanziamenti. Il moltiplicatore calcolato sul «garantito» è invece pari a circa 8. Un euro di dotazione del fondo consente, pertanto, di attivare circa 8 euro di garanzia;
il fondo è stato finanziato per un miliardo e mezzo di euro per il quadriennio 2009-2012. L'importo garantito dal fondo di garanzia per le piccole e medie imprese è stato innalzato, con decreto del Ministro dello sviluppo economico del 9 aprile 2009, da 500 mila euro a un milione e mezzo di euro. L'intervento del fondo, inoltre, è stato esteso, per la prima volta, alle imprese artigiane, estendendo notevolmente la platea dei potenziali beneficiari. I circa 250 confidi dell'artigianato contano, infatti, circa 700 mila imprese associate;
dai dati citati appare evidente come l'entità dei finanziamenti a disposizione, il tetto dell'importo garantito, le percentuali su cui si applica la garanzia, siano del tutto insufficienti e non consentono di fornire uno sostegno adeguato alle piccole e medie imprese, incluse le imprese artigiane, in particolare in questa fase di crisi;
la peculiarità del tessuto produttivo ed economico del nostro Paese, la fortissima presenza di piccole imprese, la forte vocazione manifatturiera, rendono le banche il canale principale di erogazione delle risorse;
è, comunque, innegabile che, specie in Italia, le aziende devono essere aiutate a fare passi in avanti nella loro aggregazione. L'Italia è un Paese che deve la sua ossatura produttiva alle piccole e medie imprese, ma che ha un sistema economico molto chiuso, carente di quella capacità di innovare che è la molla necessaria per la competitività. L'ovvia conseguenza è che le piccole e medie imprese italiane risultano avere un livello di capitalizzazione basso. Per le imprese italiane, storicamente sottocapitalizzate e ancora basate sul pluriaffidamento bancario a breve, quello di capitalizzazione sarà l'indicatore che darà più preoccupazioni nella determinazione del rating aziendale. Le imprese italiane, soprattutto quelle di minori dimensioni, non sono adeguatamente trasparenti. Regole severe con sanzioni effettive per chi nasconde e occulta i dati contabili consentirebbero alle banche di rischiare di più e chiedere meno garanzie;
la crisi del credito per le piccole e medie imprese è ulteriormente aggravata dai dati sui tempi di pagamento alle piccole imprese che fanno emergere attese anche di 600 giorni, per recuperare i crediti vantati nei confronti degli enti pubblici. Il tempo medio di attesa per riscuotere un credito da una pubblica amministrazione si attesta sui 128 giorni contro i 67 della media dell'Unione europea, ma anche le aziende private saldano i propri fornitori in 88 giorni. Questi ritardi costano 934 milioni di euro l'anno e a farne le spese sono proprio le piccole e medie imprese che hanno molte difficoltà nell'accesso al credito. Secondo alcune stime, i crediti vantati dalle imprese nei confronti di amministrazioni centrali ed enti sanitari locali superano i 70 miliardi di euro;
allo scopo di ricondurre il problema a dimensioni fisiologiche è stata adottata la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2000/35/CE del 29 giugno 2000, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, recepita nell'ordinamento interno, in attuazione dell'articolo 26 della legge 1o marzo 2002, n. 39 (legge comunitaria 2001), dal decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231. Tale direttiva fissa a 30 giorni il termine massimo dei pagamenti della pubblica amministrazione, con sanzioni del 5 per cento per ogni giorno di ritardo;
tale situazione non è nuova. Nella metà degli anni Ottanta la necessità di una politica restrittiva in termini di cassa aveva posto al legislatore il problema (derivato) di garantire alle imprese il puntuale

pagamento dei crediti vantati. Infatti, decine di migliaia di imprese erano costrette ad indebitarsi con il sistema bancario in attesa di ricevere quanto dovuto ed erano sull'orlo del fallimento. La soluzione, saggia anche se transitoria, fu il ricorso ad una normativa di compensazione-cessione dei crediti vantati verso la pubblica amministrazione, recata dal comma 9 dell'articolo 1 del decreto-legge 2 dicembre 1985, n. 688, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 gennaio 1986, n. 11;
al fine di accelerare il pagamento dei crediti commerciali esistenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 1 del 2012 (cosiddetto «decreto liberalizzazioni») connessi a transazioni commerciali per l'acquisizione di servizi e forniture, certi, liquidi ed esigibili, corrispondenti a residui passivi del bilancio dello Stato, con le disposizioni di cui all'articolo 35 del medesimo decreto, il Governo ha messo a disposizione complessivamente 5,7 miliardi di euro. Una somma molto al di sotto del debito complessivo delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle aziende fornitrici di beni e servizi;
si tratta di una somma che potrà essere spesa in parte per cassa, in parte con l'assegnazione di titoli del debito pubblico se, a chiedere questa misura alternativa di pagamento saranno i creditori (fino ad un massimo di 2 miliardi di euro, inclusi nel totale complessivo dei 5,7 miliardi di euro già citato);
slitta, invece, la norma che sanziona i futuri ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione alle imprese e che prevedeva l'introduzione di un interesse di mora pari all'8 per cento. La misura era stata messa a punto dal Ministro per le politiche comunitarie al fine di recepire la direttiva europea per il contrasto ai ritardi dei pagamenti;
il rispetto del patto di stabilità, inoltre, aggrava la situazione mettendo a rischio pagamenti, cantieri in corso e manutenzioni indispensabili per garantire la sicurezza dei cittadini. Tra il 2009 e il 2012, il blocco delle entrate si è tradotto in una riduzione di circa nove miliardi di euro, difficilmente sostenibile per i comuni che hanno dovuto far fronte alla crescente domanda di servizi sociali. I comuni hanno subito il taglio di due miliardi e mezzo di euro di trasferimenti erariali e la fissazione del loro contribuito al risanamento della finanza pubblica per una somma pari a 4 miliardi e mezzo di euro. Tutto ciò ha generato un blocco generalizzato dei pagamenti, in particolare di quelli in conto capitale;
la procedura dei rimborsi dell'iva, che le società maturano trimestralmente nei confronti dell'erario, attualmente risulta troppo articolata e molto onerosa per le aziende. La vigente legislazione in materia di crediti iva, infatti, prevede, in virtù dell'articolo 8, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 542 del 1999, la possibilità di compensare il proprio credito iva con le altre imposte dovute. Il limite di compensazione ammesso, già dall'anno 2001 e tuttora vigente, ha un plafond di 516.456,90 euro fissato dall'articolo 34 della legge n. 388 del 2000;
inoltre, a seguito di recenti introduzioni legislative entrate in vigore dal 1o gennaio 2010, detta procedura è stata resa ancora più onerosa, sia in termini di costi che in termini di tempi rendendoli ancora più diluiti, obbligando le aziende con crediti iva superiori a 15 mila euro alla certificazione del credito da parte di professionisti abilitati i quali, al fine di rilasciare detta certificazione, debbono acquisire in azienda un grande volume di documenti fiscali da controllare. In sintesi, per i crediti iva maturati nel corso dell'anno, l'attuale normativa consente di utilizzare in compensazione solo fino al tetto citato, mentre la differenza viene chiesta a rimborso la cui liquidazione, una volta completata la presentazione della documentazione prevista, corredata di apposita ed onerosa polizza fideiussoria atta a garantire il credito chiesto a rimborso, genera tempi di attesa enormi che attualmente si aggirano intorno ai 18-24 mesi, tempi che penalizzano fortemente le

aziende costringendole ad anticipare le proprie risorse finanziarie, o a dover ricorrere al credito bancario per far fronte agli impegni gestionali;
un altro elemento che penalizza fortemente le piccole e medie imprese in termini di liquidità disponibile concerne il pagamento dell'iva su fatture emesse ma non effettivamente riscosse. Occorre, dunque, rendere permanente per i piccoli operatori economici il pagamento dell'iva al momento dell'effettiva riscossione del corrispettivo modificando l'articolo 7 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, che prevedeva la sospensione del pagamento dell'iva solo per un anno, ed aumentare il volume d'affari massimo (200 mila euro) previsto per l'applicazione della norma,


impegna il Governo:


per quanto concerne l'accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese:
a) a farsi promotore nelle debite sedi di proposte volte al coordinamento, almeno europeo, nell'applicazione omogenea delle nuove regole dell'accordo «Basilea 3» nei Paesi membri, ed a intervenire in tutte le sedi europee necessarie per ottenere la revisione del criterio che vede l'attribuzione ai titoli di Stato non del valore nominale o cedolare, ma del loro prezzo corrente di mercato, criterio che penalizza pesantemente gli istituti di credito italiani;
b) ad adottare le opportune iniziative normative al fine di prevedere che gli istituti di credito, che beneficiano della garanzia di cui all'articolo 8 decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, forniscano opportune garanzie in merito alla concessione del credito alle piccole e medie imprese ed alle famiglie, monitorandone l'attività;
c) ad aprire un confronto con gli istituti di credito e le loro associazioni rappresentative al fine di ottenere che una percentuale dei prestiti ricevuti dagli istituti di credito nazionali da parte della Banca centrale europea con tasso agevolato dell'uno per cento sia impiegata per erogare finanziamenti alle famiglie e alle piccole e medie imprese;
d) ad adottare le opportune iniziative normative volte ad assicurare la continuità negli anni e l'estensione dell'attività di garanzia del fondo rivolto alle piccole e medie imprese, di cui all'articolo 15 della legge n. 266 del 1997, valutando la possibilità di incrementare in maniera consistente le risorse a disposizione del fondo di garanzia, il tetto dell'importo del credito garantito e le percentuali sulle quali si applica la garanzia;
per quanto concerne il ritardo nei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni:
a) a fornire periodicamente al Parlamento i necessari elementi per un monitoraggio della situazione;
b) a dare definitiva attuazione nel nostro ordinamento ai principi sanciti a livello comunitario in materia di lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, con particolare riguardo alle pubbliche amministrazioni;
c) a valutare la possibilità di consentire alla Cassa depositi e prestiti, in considerazione del suo ruolo di soggetto finanziatore delle amministrazioni pubbliche, e in particolare di quelle locali, l'effettuazione di operazioni di cessione dei crediti scaduti ed esigibili, anche mediante cartolarizzazione degli stessi, con costi ed oneri finanziari a carico delle amministrazioni debitrici;
d) ad adottare le opportune iniziative normative volte a consentire ai creditori della pubblica amministrazione di potere richiedere alle amministrazioni debitrici la certificazione delle somme dovute e, conseguentemente, cedere il relativo credito ad un istituto di credito che ne assume la piena titolarità, previo pagamento dell'intero ammontare del credito;

e) ad ampliare il ricorso a soluzioni tecnico-giuridiche che permettano di utilizzare, per il pagamento almeno di parte del debito delle pubbliche amministrazioni, previa opzione del creditore, titoli del debito pubblico facilmente liquidabili;
f) a prevedere che una quota significativa delle risorse per il rifinanziamento del fondo residui perenti venga destinata, in via prioritaria, al pagamento dei residui in conto trasferimenti delle regioni e degli enti locali al fine di consentire agli stessi di procedere al pagamento dei crediti commerciali certi, liquidi ed esigibili vantati dalle imprese nei loro confronti, derivanti dall'acquisizione di beni e servizi, elaborando, altresì, parametri di individuazione delle priorità di pagamento dei crediti certi, liquidi ed esigibili vantati dalle imprese verso gli enti locali (ad esempio, anzianità del credito, esigenze di liquidità dell'impresa e altro);
per quanto concerne le misure fiscali, ad adottare le opportune iniziative normative al fine di:
a) provvedere ad una riforma strutturale di tutta la procedura dei rimborsi dei crediti iva, disciplinata dall'articolo 38-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 e successive modificazioni, prendendo in considerazione l'ipotesi di aumentare considerevolmente l'attuale limite della compensazione almeno per quelle imprese che abitualmente, proprio in virtù del meccanismo suddetto, si trovano sistematicamente con un credito iva infrannuale da chiedere come rimborso o in compensazione, oppure, in alternativa, consentendo alle aziende di compensare, per tutto l'anno, il credito iva vantato nei confronti dell'erario con tutto ciò che gli adempimenti fiscali impongono di pagare mensilmente, in particolar modo tutte le imposte erariali ed i contributi, concorrendo in tal modo ad operare anche una semplificazione fiscale, in quanto si eviterebbe il sovrapporsi di domande di rimborso da erogare e si richiederebbe la presentazione di una sola polizza fideiussoria alla fine dell'anno ove si evidenzierebbe il residuo credito iva al netto delle compensazioni effettuate nell'anno stesso;
b) rendere permanente, per i piccoli operatori economici, il pagamento dell'iva al momento dell'effettiva riscossione del corrispettivo, modificando l'articolo 7 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, che prevedeva la sospensione del pagamento dell'iva solo per un anno, ed aumentare il volume d'affari massimo di 200 mila euro previsto per l'applicazione della norma.
(1-00916)
«Borghesi, Barbato, Messina, Di Stanislao, Donadi, Cimadoro, Paladini».

La Camera,
premesso che:
numerose organizzazioni internazionali (Organizzazione mondiale della sanità, Onu, Food and drug administration, National institutes of health e Commissione europea), nei processi di prevenzione e cura, richiamano l'attenzione non solo sulle differenze e somiglianze biologiche, ma anche sulle differenze sociali capaci di influenzare in maniera significativa la salute;
negli ultimi anni la conoscenza dei fattori biologici e socioculturali che influenzano salute e assistenza sanitaria per uomini e donne ha fatto progressi significativi, venendo, di fatto, a definire un campo scientifico innovativo noto come «medicina di genere»; essa costituisce il modo per rendere universale il diritto alla salute; le numerose differenze anatomiche e fisiologiche tra donne e uomini si possono riflettere sulla prognosi, sugli esiti e sui percorsi terapeutici delle singole patologie;
la «medicina di genere» si occupa di studiare, nelle scienze biomediche, le differenze legate al genere di appartenenza, non solo da un punto di vista

anatomico e fisiologico, ma anche secondo le differenze biologiche, funzionali, psicologiche, sociali e culturali;
un'analisi di genere permette una più ampia comprensione dei meccanismi che diversificano i sintomi, i risultati e le reazioni alle malattie, con il vantaggio di incoraggiare trattamenti accurati e mirati;
il «genere» nella programmazione sanitaria e nell'approccio di cura delle patologie non è ancora pienamente diffuso;
questa nuova area di ricerca applica alla medicina il concetto di «diversità tra generi» per garantire a tutti, uomini o donne, il migliore trattamento auspicabile in funzione delle specificità di genere;
la sfida attuale è fornire ai ricercatori strumenti concettuali e pratici in grado di assimilare la dimensione «sessuale» e quella di «genere» nei programmi di ricerca biomedica e sanitaria,


impegna il Governo:


ad organizzare iniziative di promozione di una cultura di genere per la prevenzione e la tutela della salute;
a promuovere una pianificazione dell'attività formativa professionale, con l'obiettivo di favorire la conoscenza di problematiche specifiche di genere;
a promuovere iniziative che prevedano all'interno delle strutture sanitarie pubbliche la realizzazione di un dipartimento dedicato alla medicina di genere;
a sostenere lo sviluppo della ricerca scientifica medica e farmacologica nell'ambito della medicina di genere, per tutelare la salute di tutti i cittadini.
(1-00917)
«Stagno d'Alcontres, Misiti, Fallica, Grimaldi, Iapicca, Miccichè, Pugliese, Soglia, Terranova, Mario Pepe (Misto-R-A)».

La Camera,
premesso che:
il recente decreto legislativo n. 28 del 2011 - «Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE» - all'articolo 2, lettera e), definisce la biomassa come «la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall'agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali), dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e l'acquacoltura, gli sfalci e le potature provenienti dal verde pubblico e privato, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani»;
le biomasse rappresentano una fondamentale fonte di energia rinnovabile, ricavata dal recupero di scarti vegetali ed altre fonti derivanti da processi industriali ed agricoli e presentano grandi potenzialità di sviluppo, specialmente nel territorio italiano naturalmente adatto ad accogliere impianti a biomasse per le sue caratteristiche;
la filiera biogas-biometano ha un rilevante impatto sull'economia agricola e industriale, ma presenta anche molteplici ulteriori aspetti positivi come: l'elevata efficienza negli usi (energia elettrica e termica, carburanti da biomasse, biodiesel e bioetanolo) e costi di produzione competitivi; inoltre, limita l'inquinamento di atmosfera e falde acquifere, migliora il ciclo della vita dei prodotti combustibili; ed infine, le biomasse rappresentano una fonte programmabile e conservabile attraverso l'utilizzo della rete e degli stoccaggi del gas naturale;
dal punto di vista degli impianti vi è una pluralità di soluzioni: la combustione diretta della biomassa, in forni appositi, ne comporta un'ossidazione totale ad alta temperatura; gassificazione, pirolisi e carbonizzazione, invece, sono processi che comportano un'ossidazione parziale della biomassa, in modo da ottenere

sottoprodotti solidi, liquidi e gassosi, più puri rispetto alla fonte di partenza, che possono poi essere combusti completamente in un passaggio successivo;
le centrali termoelettriche alimentate da biomasse solide o liquide effettuano la conversione dell'energia termica, contenuta nel combustibile biomassa, in energia meccanica e successivamente in energia elettrica;
il fatto che le suddette centrali si basino, soprattutto, sugli scarti di produzione rappresenta un vantaggio economico e sociale rilevante, in quanto il settore riutilizza e smaltisce rifiuti in modo corretto, produce energia elettrica e riduce la dipendenza dalle fonti di natura fossile;
in futuro le biomasse potranno essere applicate per lo sviluppo di una chimica capace di produrre biomateriali,


impegna il Governo:


ad assumere iniziative volte ad incentivare l'opzione agroenergetica per l'imprenditoria agricola italiana, sottolineandone l'importanza come fonte alternativa di reddito e salvaguardando la funzione primaria dell'agricoltura;
a favorire, per quanto di competenza, le proposte di uniformare la normativa relativa alla definizione di sottoprodotto ed al ciclo integrato di rifiuti, in modo da superare le attuali difficoltà date dalle diverse fonti normative;
ad assumere iniziative finalizzate a differenziare il sistema degli incentivi al fine di determinare lo sviluppo di filiere industriali, favorendo così l'incremento del reddito e dell'occupazione;
a monitorare e vigilare sul corretto inserimento degli impianti nel tessuto urbanistico e rurale, preservando il paesaggio.
(1-00918)
«Misiti, Iapicca, Miccichè, Fallica, Grimaldi, Pugliese, Soglia, Stagno d'Alcontres, Terranova, Mario Pepe (Misto-R-A)».

La Camera,
premesso che:
la ricerca scientifica ha ormai ampiamente dimostrato che esistono differenze derivanti dal genere di appartenenza, sia nell'assetto della salute che della malattia, e tali differenze di genere esistono non solo, come ben noto, a livello anatomico e funzionale, ma anche a livello psicologico, sociale e culturale, per il ruolo delle tradizioni etniche, educative e sociali, nonché nell'ambito della risposta alle cure;
donne e uomini, che sono uguali rispetto al diritto alla salute ed all'accesso ai servizi socio-sanitari, di fatto mostrano differenti esigenze di tutela ed assistenza della propria salute, nonché della propria qualità della vita, espressa nelle sue quattro dimensioni, fisica, psicologica, sociale e lavorativa;
esiste da tempo una branca della medicina di sanità pubblica, chiamata «medicina di genere», che opera trasversalmente tra numerose aree mediche per capire ed applicare la conoscenza su come curare, diagnosticare e prevenire le malattie, considerando donne e uomini sulla base delle differenze biologiche, psicologiche e culturali che ci sono tra i due sessi, e per promuovere, nella ricerca e nell'assistenza, gli appropriati modi per tutelare la salute, per quanto necessario, in modo diversificato tra i generi;
l'approccio di genere, purtroppo, non è, allo stato, formalmente riconosciuto nel nostro Paese, né a livello di programmazione sanitaria, né a livello di formazione universitaria e post-universitaria;
nel campo della tutela dell'appropriatezza degli interventi sanitari, accade che prestazioni appropriate per un genere ma non per l'altro siano considerate inappropriate per tutti, così danneggiando una larga parte della popolazione, poiché è ben

noto che l'inappropriatezza può essere data dall'erogare a carico del servizio sanitario nazionale prestazioni inutili, ma anche dal non erogare, da parte del servizio sanitario nazionale, prestazioni utili;
sempre in materia di appropriatezza, la Commissione europea ha indicato, come mezzo per assicurare «una migliore appropriatezza della terapia e una maggiore tutela della salute», la necessità di tenere conto della diversità di genere nell'ambito delle scelte politiche in difesa della salute;
è possibile, sia nella definizione dei nuovi livelli essenziali di assistenza che negli atti di programmazione sanitaria, definire e regolamentare il concetto della «appropriatezza di genere», legata a differenti, specifici indicatori, relativi a determinati aspetti nella protezione della salute dell'uomo e della donna, e tale forma di appropriatezza può essere misurata con indicatori economici, oltre che sanitari;
la mancanza di conoscenza ed applicazione dell'approccio di genere costituisce, peraltro, una violazione del dovere di garantire equità ai cittadini-utenti del servizio sanitario nazionale, in quanto anche la stessa Organizzazione mondiale della sanità indica che una delle dimensioni dell'equità è la capacità di «curare l'individuo in quanto essere specifico e appartenente a un determinato genere»;
un formale riconoscimento della medicina di genere, sia in sede di formazione, che di ricerca e assistenza, migliorerebbe sia la qualità dell'assistenza erogata dal servizio sanitario nazionale che la qualità della vita dei cittadini, in quanto renderebbe più equo, oltre che realmente «universalistico», il modo in cui lo Stato italiano tutela il diritto alla salute,


impegna il Governo:


a inserire tra gli obiettivi del piano sanitario nazionale 2013-2015 la medicina di genere, quale attività da svolgersi a mezzo di apposite unità, operanti a supporto di tutte le unità assistenziali per la cui attività sia necessario tenere conto delle differenze di genere;
a definire e regolamentare, nei livelli essenziali di assistenza e nel piano sanitario nazionale, il concetto della «appropriatezza di genere», quale forma di appropriatezza legata ai differenti, specifici aspetti nella protezione della salute dell'uomo e della donna, e ad istituire appositi indicatori economici e sanitari per misurarla;
a promuovere il potenziamento della ricerca medica, scientifica e farmacologica nell'ambito della medicina di genere, nonché a promuovere incentivi fiscali per favorire tale ricerca;
a promuovere l'inserimento della medicina di genere nei programmi dei corsi di laurea in medicina e chirurgia e delle scuole di specializzazione;
a programmare, coinvolgendo tutti gli erogatori di prestazioni del servizio sanitario nazionale, a qualunque titolo operanti, campagne di prevenzione, comprendenti iniziative di educazione sanitaria e di screening, da mirare ai temi più rilevanti in termini di sanità pubblica, quali - ad esempio - incidenti domestici, rischio cardiovascolare, rischio oncologico, disturbi del comportamento alimentare, stress e salute.
(1-00919)
«D'Anna, Moffa, Calearo Ciman, Catone, Grassano, Gianni, Guzzanti, Lehner, Marmo, Milo, Mottola, Orsini, Pionati, Pisacane, Polidori, Razzi, Romano, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini, Stasi, Taddei».

La Camera,
premesso che:
il quadro geopolitico mondiale è caratterizzato da un profondo mutamento dei consolidati equilibri e da difficoltà

finanziarie ed economiche che limitano fortemente gli spazi di manovra della spesa pubblica;
il nostro Paese, nel più ampio rispetto degli impegni internazionali e compatibilmente con le risorse disponibili, sta provvedendo a rendere il proprio strumento militare pienamente interoperabile ed integrabile con quello degli alleati;
tale processo è focalizzato sulle crescenti necessità delle Forze armate italiane di operare in sicurezza e sulla ricaduta in termini di potenziale tecnologico, industriale ed occupazionale;
il Ministro della difesa, nel corso delle audizioni presso le Commissioni difesa del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati del 15 e 29 febbraio 2012, ha preannunciato, in ragione delle risorse disponibili, l'intendimento di ridimensionare il programma dei sistemi d'arma e, in particolare, di quello denominato Joint Strike Fighter (JSF), ritenendo possibile diminuire di 41 unità, rispetto alle 131 inizialmente previste, l'ordinativo dei velivoli stessi, pur mantenendo in essere l'acquisizione di circa 90 Eurofighter, il cui acquisto è già stato approvato, e che sono il frutto del lavoro di un consorzio di imprese europee (Regno Unito, Italia, Germania e Spagna),


impegna il Governo:


a presentare in Parlamento il piano di investimenti che intende sostenere, con una prospettiva di medio-lungo termine, tenendo conto delle disponibilità finanziarie a legislazione vigente;
a riconsiderare, così come stanno facendo gli altri Paesi coinvolti nel progetto Joint Strike Fighter, in primis gli Stati Uniti, il numero effettivo di velivoli da ordinare, subordinando le decisioni alle esigenze operative, allo stato di avanzamento del progetto stesso ed ai costi ad esso collegati.
(1-00920)
«Cicu, Baldelli, Ascierto, Barba, Cannella, De Angelis, Gregorio Fontana, Holzmann, Mazzoni, Moles, Petrenga, Luciano Rossi, Sammarco, Speciale, Antonio Martino».

La Camera,
premesso che:
la produzione di energia derivante dall'utilizzo delle biomasse e dai suoi prodotti attraverso processi di conversione in energia di tipo termochimico e biochimico rappresenta, senza dubbio, una delle prospettive più concrete nel panorama dell'incentivazione e della promozione dell'energia rinnovabile in Italia;
secondo la definizione introdotta dalla direttiva 2003/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2003, si intende per biomassa la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall'agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali), dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e l'acquacoltura, gli sfalci e le potature provenienti dal verde pubblico e privato, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani;
le dinamiche produttive caratterizzanti l'utilizzazione energetica delle biomasse fanno riferimento alla combustione diretta, alla trasformazione di queste in combustibili liquidi, alla produzione di gas combustibile e alla produzione di biogas;
secondo uno studio condotto dall'Osservatorio agro energia, attualmente dai sottoprodotti, intesi come scarti biologici delle lavorazioni agricole, sarebbe possibile ottenere oltre 10 mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) di energia all'anno, pari al 49 per cento della produzione da fonti rinnovabili e il 5 per cento dei consumi italiani. Tale comparto risulta al momento fortemente limitato, tra l'altro, dal quadro normativo di riferimento che non consente una chiara individuazione di sottoprodotto a fini energetici;

come specificato anche dall'articolo 3 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, la quota complessiva di energia da fonti rinnovabili che l'Italia dovrà conseguire sul consumo finale lordo di energia nel 2020 è pari a 17 per cento;
nel giugno 2010 il Ministero dello sviluppo economico ha definito il piano d'azione nazionale per le energie rinnovabili (pan) ai sensi della direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 che rappresenta uno degli step più importanti dello sviluppo della strategia energetica nazionale sostenibile;
il comparto energetico derivante dalle biomasse rappresenta un punto molto importante del piano, poiché sulla base degli obiettivi di energia da fonti rinnovabili per il 2020, ripartiti in macroaree come elettricità, calore/raffrescamento e trasporti, al complesso delle biomasse solide, gassose e liquide, è attribuito l'obiettivo di produrre il 44 per cento di tutta l'energia da fonti rinnovabili. In questa prospettiva, il riferimento produttivo alle biomasse rappresenta un tassello importante nel progetto del raggiungimento degli obiettivi energetici sopra citati;
in data 13 febbraio 2012, con la comunicazione «l'innovazione per una crescita sostenibile: una bioeconomia per l'Europa» della Commissione europea al Parlamento europeo, al Consiglio, al comitato economico e sociale europeo e al comitato delle regioni, ha delineato la strategia dell'Europa per ridurre la dipendenza energetica dalle risorse non rinnovabili. In tale contesto, è stato evidenziato che «la strategia per la bioeconomia sosterrà l'iniziativa per una »crescita blu«, le direttive sull'energia rinnovabile e sulla qualità del combustibile, nonché il piano strategico europeo per le tecnologie energetiche, mettendo a disposizione migliori conoscenze di base e stimolando l'innovazione per la produzione di biomasse di qualità (ad esempio, attraverso colture di piante industriali) a prezzi competitivi e senza compromettere la sicurezza alimentare o incrementare la pressione sulla produzione primaria e sull'ambiente o creare distorsioni di mercato a favore dell'utilizzo di energia»;
negli ultimi 4 anni il panorama economico italiano ha assistito ad un incremento dello sviluppo delle tecniche di produzione energetica da biomasse e dai suoi prodotti, anche a seguito dell'introduzione di una legislazione di sostegno, che prevede, tra l'altro, meccanismi incentivanti;
nello specifico, il decreto legislativo citato, all'articolo 24 prevede che per biogas, biomasse e bioliquidi sostenibili, l'incentivo è finalizzato a promuovere, «l'uso efficiente di rifiuti e sottoprodotti, di biogas da reflui zootecnici o da sottoprodotti delle attività agricole, agro-alimentari, agroindustriali, di allevamento e forestali, di prodotti ottenuti da coltivazioni dedicate non alimentari, nonché di biomasse e bioliquidi sostenibili e biogas da filiere corte, contratti quadri e da intese di filiera»;
i prodotti delle biomasse - bioliquidi e biocombustibili - rappresentano delle importanti risorse rispettivamente sul versante della produzione energetica e quello dei trasporti che stanno acquistando una rilevante configurazione produttiva negli ultimi anni in Italia;
per quanto possa essere apprezzabile ed auspicabile la valorizzazione delle cosiddette filiere corte, segnatamente sul versante dell'utilizzo dei bioliquidi e dei biocombustibili, è altrettanto importante evidenziare quanto la limitatezza delle potenzialità colturali italiane possa condizionare questa prospettiva;
in questo scenario complesso si inserisce il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, del 23 gennaio 2012, n. 2, concernente il sistema nazionale di certificazione per

biocarburanti e bioliquidi, finalizzato a fornire le specifiche attuative per il nostro Paese relativamente a quanto previsto nei decreti legislativi di recepimento delle direttive comunitarie 2009/28/CE e 2009/30/CE;
biocarburanti e bioliquidi, in quanto prodotti delle biomasse, sono risorse che stanno acquisendo una particolare rilevanza nel panorama nazionale e internazionale in virtù delle importanti prospettive di impiego che essi già manifestano nel settore dei trasporti e, soprattutto, in ambito energetico nella produzione di energia da fonti rinnovabili, una voce ormai non trascurabile nella copertura del fabbisogno energetico globale;
negli ultimi dieci anni la produzione di energia da impianti alimentati a «biocombustibili» è cresciuta quasi del 18 per cento in Italia, portando tali risorse a coprire quasi l'11 per cento della produzione elettrica da fonti rinnovabili. Nello specifico, la produzione da bioliquidi si è sviluppata principalmente negli ultimi anni, consentendo tuttavia il conseguimento di ottimi risultati;
i dati del Gestore dei servizi energetici sugli impianti attivi in Italia per la sola produzione di energia elettrica da bioliquidi - oli vegetali grezzi e altro - mostrano che il numero di impianti attivi di potenza superiore a 1 megawatt è più che raddoppiato dal 2009 al 2010, passando da 42 a 97. Tali impianti hanno conseguito, a fine 2010, una potenza di 601 megawatt e una produzione lorda di 3.078 gigawatt orari, raddoppiando la produzione rispetto al 2009 (1.447 gigawatt orari) e superando in tal modo la produzione energetica da biogas (2.054 gigawatt orari per il 2010);
il decreto 23 gennaio 2012, n. 2, fornisce specifiche indicazioni relative alla certificazione della sostenibilità di biocarburanti e bioliquidi, istituendo, all'articolo 3, un sistema nazionale di certificazione che include la definizione di un organismo di accreditamento che accredita tutti gli organismi di certificazione ai sensi della norma UNI CEI EN 45011:1999, ai fini del rilascio di certificati di conformità e di sostenibilità dell'azienda;
alla luce della suddetta disposizione, il coinvolgimento diretto di tutti gli attori della filiera, indipendentemente da come questa si struttura, legittima la sussistenza di vincoli stringenti sull'operatività e le possibilità della stessa, legittimando una sorta di celato protezionismo suscettibile di alterare gravemente l'equilibrio della concorrenza e mortificare completamente il settore;
come evidenziato, la capacità di soddisfare la domanda di materie prime degli impianti energetici attivi, usufruendo delle sole colture oleaginose nazionali, è pressoché irrisoria. Infatti, la superficie agricola utilizzata (sau) in Italia nel 2010 ammontava a 12,7 milioni di ettari (dati Ispra). Uno studio dell'Ente nazionale per la meccanizzazione agricola (Enama) relativo a fine 2010 riferiva che per alimentare i sopra citati impianti sarebbero stati necessari 300.000 ettari/anno di superficie coltivata a oleaginose e interamente destinata alla produzione di oli per il settore energetico. Secondo la medesima fonte, alla fine del 2010 la superficie agricola italiana coltivata a oleaginose ammontava a 280.000 ettari/anno - 2 per cento della superficie agricola utilizzata - di cui meno di un quinto erano destinati al settore energetico;
i dati sopra citati evidenziano come nel settore considerato sia fondamentale la dipendenza italiana dai partner internazionali, per l'impossibilità di supplire al necessario quantitativo di materia prima con le sole produzioni interne, anche in considerazione del carattere deleterio di una potenziale trasformazione delle colture agricole attualmente destinate all'alimentazione umana e alla zootecnia in colture finalizzate all'utilizzo energetico;
il decreto interministeriale citato risponde a dinamiche attuative di direttive comunitarie, che però, nello specifico, non fanno riferimento ad alcun sistema di certificazione nazionale, dalla struttura e

dalla complessità come quello inaugurato in Italia. Infatti, la direttiva 2009/30/CE parla di rispetto dei criteri di sostenibilità per i biocarburanti, con conseguente riconoscimento dell'obbligo in capo agli operatori di dimostrare la sostenibilità di quanto da loro utilizzato. Non si fa, pertanto, riferimento alla strutturazione di un sistema di certificazione che includa anche la definizione di un organismo di accreditamento che accrediti tutti gli organismi di certificazione ai sensi della norma UNI CEI EN 45011:1999;
la configurazione stessa della certificazione introdotta mal si concilia con le caratteristiche della filiera italiana e pone delle serie criticità in capo ai contratti di fornitura già in esercizio alla data di entrata in vigore dei menzionati decreti, in relazione all'inevitabile lievitazione dei costi di fornitura e alla sopravvivenza stessa del comparto interessato;
in uno scenario più vasto di sviluppo e implementazione si collocano anche le disposizioni introdotte dal decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con i Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e delle politiche agricole e forestali 10 settembre 2010 in materia di «Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili», che disciplina le modalità di autorizzazione dei diversi impianti e l'adeguamento delle regioni alla normativa in materia. A tale provvedimento si aggiunge il cosiddetto decreto «burden sharing» attraverso il quale saranno delineati gli obiettivi per il 2020 per le regioni sulle fonti rinnovabili e che, attraverso l'autonomia, consentirà a queste di individuare gli strumenti e i meccanismi di efficientamento energetico finalizzati ad ottenere i risultati nazionali;
si evidenzia, tra l'altro, la particolare attenzione riservata di recente dal Governo al comparto, attraverso l'introduzione nel cosiddetto decreto-legge semplificazioni, di specifici interventi semplificativi sul fronte degli adempimenti e di riduzione degli oneri, a vantaggio anche degli impianti di lavorazione e di stoccaggio destinati di oli vegetali ad uso energetico: una prospettiva che evidenzia la volontà di consentire lo sviluppo e l'implementazione di un comparto produttivo dalle notevoli potenzialità;
i provvedimenti sopra indicati si configurano come strumenti indiscutibili di implementazione e valorizzazione delle dinamiche di efficientamento energetico nel pieno rispetto degli obbiettivi sanciti a livello internazionale,


impegna il Governo:


a definire opportune iniziative volte alla valorizzazione delle cosiddette agroenergie e delle potenzialità di queste in termini di green economy, tutelando, nel contempo, la caratterizzazione dell'economia italiana, evitando potenziali limiti allo sviluppo e distorsioni del mercato nel settore agroalimentare;
a promuovere una revisione della normativa vigente al fine di facilitare l'utilizzo di materiale organico derivante dai rifiuti o dai processi industriali come risorsa per la produzione di energia, consentendo in tal modo di rettificare e chiarire il contesto normativo in materia di identificazione degli scarti di origine agroindustriale, quando sono impiegabili in un impianto di produzione energetica;
a predisporre in tempi celeri un'iniziativa normativa volta a modificare l'attuale configurazione del sistema di certificazione al fine di adeguare la norma in materia alla reale caratterizzazione del sistema produttivo italiano, rispettando le reali esigenze degli operatori e tutelandone in tal modo le esigenze produttive, economiche e professionali;
a predisporre ulteriori iniziative - anche di carattere normativo - che, in ottemperanza agli obblighi contratti a livello internazionale, supportino ed incentivino il comparto della produzione energetica da bioliquidi, indipendentemente dalla provenienza di questi ultimi, ferma restando l'esigenza di garantire la sostenibilità

di questi e delle materie prime di derivazione, ai sensi delle direttive comunitarie del 2009.
(1-00921)
«Di Biagio, Della Vedova, Briguglio, Giorgio Conte, Patarino, Moroni, Consolo, Proietti Cosimi».

La Camera,
premesso che:
in continuità con le decisioni prese negli ultimi decenni, l'Assemblea parlamentare del Consiglio di Europa ha ribadito (raccomandazione n. 1763, approvata il 7 ottobre 2010) che nessuna persona, ospedale o istituzione sarà costretta, ritenuta responsabile o discriminata in alcun modo a causa di un rifiuto di eseguire, accogliere, assistere o sottoporre un paziente ad un aborto o eutanasia o qualsiasi altro atto che potrebbe causare la morte di un feto o embrione umano, per qualsiasi motivo;
l'Assemblea parlamentare ha sottolineato la necessità di affermare il diritto all'obiezione di coscienza insieme con la responsabilità dello Stato per assicurare che i pazienti siano in grado di accedere a cure mediche lecite in modo tempestivo;
stante l'obbligo di garantire l'accesso alle cure mediche e legali per tutelare il diritto alla salute, così come l'obbligo di garantire il rispetto del diritto della libertà di pensiero, di coscienza e di religione di operatori sanitari degli Stati membri, l'Assemblea ha invitato il Consiglio d'Europa e gli Stati membri ad elaborare normative complete e chiare, che definiscano e regolino l'obiezione di coscienza in materia di servizi sanitari e medici, volte soprattutto a garantire il diritto all'obiezione di coscienza in relazione alla partecipazione alla procedura medica in questione e a far sì che i pazienti siano informati di ogni obiezione di coscienza in modo tempestivo e ricevano un trattamento appropriato, in particolare nei casi di emergenza;
in materia di obiezione di coscienza si devono ricordare le indicazioni contenute: nel VI articolo dei principi di Nuremberg; nell'articolo 10, paragrafo 2, della carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea; negli articoli 9 e 14 della convenzione europea dei diritti umani; nell'articolo 18 della convenzione internazionale dei diritti civili e politici;
la promozione del diritto all'obiezione di coscienza in campo medico e paramedico è affermata nelle «linee guida» della federazione internazionale di ginecologia ed ostetricia (Figo) e della Organizzazione mondiale della sanità (WHO-Europe);
il diritto alla obiezione di coscienza non può essere in nessun modo «bilanciato» con altri inesistenti diritti e rappresenta il simbolo, oltre che il diritto umano, della libertà nei confronti degli Stati e delle decisioni ingiuste e totalitarie,


impegna il Governo


a dare piena attuazione al diritto all'obiezione di coscienza in campo medico e paramedico e a garantire la sua completa fruizione senza alcuna discriminazione o penalizzazione, in linea con l'invito del Consiglio d'Europa.
(1-00922)
«Volontè, Fioroni, Roccella, Polledri, Buttiglione, Binetti, Capitanio Santolini, Calgaro, Di Virgilio, Mantovano, Commercio».

La Camera,
premesso che:
nonostante l'attuale grave crisi economica, il mercato dei giochi, dei concorsi a premio, delle lotterie e delle scommesse è in continua e fortissima crescita, con una spesa complessiva che ha sfiorato nel 2011 gli 80 miliardi di euro, registrando un incremento pari al 30 per cento rispetto all'anno precedente, ed è destinata con ogni probabilità a crescere nel corso del 2012;

secondo un'indagine promossa da Eurispes, il gioco d'azzardo ha raggiunto proporzioni tali da rappresentare la terza industria italiana per fatturato, preceduta solo da Eni ed Enel e costituisce inoltre la seconda causa di indebitamento delle famiglie;
il fatturato dell'industria del gioco è il triplo di quello francese e spagnolo ed è il più alto del mondo per le lotterie istantanee;
un recente dossier intitolato «Azzardapoli» pubblicato dall'associazione Libera ha rilevato come la spesa media italiana pro capite per giochi e scommesse ammonti a 1.260 euro annui, neonati compresi;
una ricerca condotta dall'Istituto di fisiologia clinica del Cnr ha rivelato come a «giocare» siano quattro italiani su dieci, circa 17 milioni di italiani;
il gioco risulta diffuso, soprattutto, tra le fasce più deboli della popolazione: giovani, disoccupati, famiglie povere e anziani soli. I giocatori più a rischio sono complessivamente i soggetti di sesso maschile con bassi livelli di scolarizzazione, inclini ad alcool e fumo ed esposti all'abuso di farmaci;
preoccupante è inoltre la diffusione del gioco tra i minorenni: un adolescente su dieci gioca d'azzardo, per una spesa media mensile compresa tra i 30 e i 50 euro;
il gioco d'azzardo patologico è stato definito dall'Istituto superiore di sanità come una «dipendenza senza sostanze» che si caratterizza per la comparsa, dopo un certo periodo di tempo, di fenomeni di tolleranza, con un aumento crescente ed incontrollato del desiderio di giocare, e di astinenza, con i disturbi psicologici e somatici tipici dell'ansia e della depressione;
secondo l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sarebbero circa 1 milione gli italiani affetti da ludopatia, che, in assenza di misure idonee di informazione e prevenzione, può trasformarsi in un'autentica malattia sociale;
il fenomeno del gioco d'azzardo, che ha assunto in alcuni casi le dimensioni di una vera e propria emergenza sociale, è accompagnato da una pubblicità diffusa e talvolta ossessiva che diffonde una cultura del gioco «pericolosa» e un'illusione di guadagno facile, come ripetutamente denunciato dall'Unione nazionale consumatori;
alcuni spot, utilizzando testimonial famosi o ricorrendo a veri e propri messaggi subliminali - come ritornelli, canzoncine o slogan - hanno l'effetto di promuovere la «cultura del gioco», facendo leva sulla facilità di vincita e spingendo pertanto le persone a tentare la sorte;
il Giurì di autodisciplina pubblicitaria ha pertanto condannato lo spot del «10 e lotto» («Giocare è facile, vincere di più»), individuando come ingannevole la parte dello slogan che faceva riferimento alla vincita facile;
l'Amministrazione nazionale dei Monopoli di Stato sulla sua pagina web dichiara di promuovere il «gioco sicuro, legale e responsabile» e di puntare sulla «distinzione tra gioco legale ed illegale, contrapponendo il divertimento e l'emozione di un gioco controllato e garantito dallo Stato alle conseguenze negative di quello clandestino»; si tratta di un obiettivo importante, ma non sufficiente, perché anche il gioco legale - al pari di quello illegale - può divenire causa di dipendenza psicologica e di rovina economica di massa, che è necessario contrastare con efficaci misure di prevenzione;
occorre altresì prevenire l'infiltrazione dell'organizzazioni criminali nel mercato dei giochi legali, che costituiscono, come risulta dalle indagini dell'autorità giudiziaria e della Commissione parlamentare antimafia, un canale privilegiato di riciclaggio di profitti illeciti;

tale infiltrazione comporta conseguenze pesanti sia sul piano sociale, per il condizionamento di un settore particolarmente esposto dell'economia legale, sia su quello erariale, perché in genere si accompagna all'alterazione dei dispositivi di gioco al fine dell'evasione delle imposte,


impegna il Governo:


ad assumere ogni iniziativa di competenza per disciplinare l'esercizio delle suddette attività in modo tale che agli utenti siano rese note, in forma comprensibile, sulla base di un'analisi certificata da organismi pubblici o privati, indipendenti dai concessionari, le reali possibilità di vincita per ciascuna «giocata», a seconda della sua tipologia;
ad adottare le opportune iniziative, anche di natura normativa, perché sia vietata la pubblicità commerciale delle attività legate a giochi, scommesse, lotterie e concorsi a premio.
(1-00923)
«Della Vedova, Briguglio, Giorgio Conte, Patarino, Di Biagio, Granata, Perina, Raisi, Bobba».

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ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:

SBAI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
in caso di azioni militari in cui sia coinvolto, direttamente o indirettamente, un cittadino, il diritto internazionale prevede che il Governo di appartenenza sia informato;
nel blitz delle forze di sicurezza nigeriane e britanniche in cui ha perso la vita l'ingegnere italiano Carlo Lamolinara, non pare esserci stato un preavviso;
il Daily Telegraph, stando a quanto i media riportano, conferma che l'uccisione degli ostaggi, fra cui Lamolinara, è avvenuto prima dell'ingresso dei militari nel compound;
il Premier britannico Cameron ha avvisato il Presidente del Consiglio Monti solo a operazione militare in corso;
la mancata comunicazione e la mancata richiesta di consenso ad un'operazione tanto delicata per la vita degli ostaggi integrano, a giudizio dell'interrogante, un venir meno degli accordi internazionali di mutua collaborazione fra gli Stati, che risiedono peraltro anche nel dettame dell'Onu in materia;
è inaccettabile che l'Italia non sappia cosa accade ai propri cittadini in situazioni di pericolo in azioni militari;
anche nella vicenda dei Marò, l'Italia, ad avviso dell'interrogante, non risulta essere stata considerata nella giusta maniera a livello internazionale -:
come il Governo intenda agire per fare chiarezza sulle ragioni del mancato preavviso da Londra e Abuja;
se il Governo intenda assumere iniziative per richiedere una giustificazione ufficiale di tale comportamento e richiamare il nostro ambasciatore in Inghilterra;
se il Governo intenda richiedere le scuse ufficiali del Governo britannico su questa vicenda, al fine di tutelare la credibilità internazionale dell'Italia.
(4-15293)

BARANI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il 5 marzo 2012 si è assistiti ad un arresto alquanto spettacolare dell'imprenditore Francesco Bellavista Caltagirone, che suo malgrado è stato destinatario della

consegna di un'ordinanza di custodia cautelare davanti alle telecamere e sulle scale del comune di Imperia;
un'azione, quella posta dagli inquirenti, ad avviso dell'interrogante, molto spregiudicata, visto che l'inchiesta sul Porto d'Imperia, avviata nel lontano ottobre 2010, era già nota da mesi nella città capoluogo;
preoccupa l'esposizione mediatica delle persone arrestate nel momento in cui vengono prelevate dall'abitazione e dagli uffici o come nel caso di Bellavista Caltagirone sulle scale del comune e condotte davanti all'autorità giudiziaria, in manette, nonché il frequente ricorso all'estrema misura della custodia cautelare in carcere, anche laddove le esigenze cautelari seppur sussistenti, potrebbero essere tutelate con misure più graduate e meno afflittive;
tali misure all'interrogante appaiono assunte dai magistrati come strumento di fatto coercitivo, per far ammettere dei fatti, e non appena la persona ristretta in carcere assume una linea difensiva remissiva e collaborativa, non solo in merito alle dirette contestazioni mosse nei suoi confronti, ma anche magari in relazione a fatti ancora in fase di accertamento, tale misura cautelare viene rimossa;
l'imprenditore romano di 73 anni a capo del gruppo edile Acqua Marcia indagato per truffa aggravata ai danni dello Stato per 500 mila euro nell'ambito di una inchiesta nata nell'ottobre 2010 sugli appalti per la costruzione del nuovo porto turistico di Imperia ha subito un linciaggio mediatico dovuto proprio ad una apparente fuga di notizie, che sembrerebbe riconducibile alla procura;
il giudice per le indagini preliminari Ottavio Colamartino ha disposto per Bellavista Caltagirone anche il divieto di colloquio per cinque giorni con chiunque, compresi gli avvocati; lo stesso provvedimento è stato adottato nei confronti del geometra Carlo Conti, ex direttore generale della Porto Imperia spa, accusato anche lui di truffa ai danni dello Stato;
i provvedimenti appaiono all'interrogante di dubbia rispondenza ai requisiti di legge in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, tenuto conto che uno degli arrestati ha superato i 70 anni d'età;
le misure cautelari previste dal codice di procedura penale, qualunque esse siano, finanche le più gravi, possano soltanto prevedere limiti alla libertà personale, ma in nessun caso possono colpire la dignità del detenuto; ciò nonostante, agli imputati è stato vietato il colloquio anche con i propri avvocati -:
se non intenda il Ministro avviare un'ispezione presso la procura e l'ufficio del giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Imperia, al fine di verificare se non vi siano responsabilità in capo ai magistrati e agli inquirenti che hanno chiesto e poi disposto la misura cautelare in carcere nei confronti di Francesco Bellavista Caltagirone, in modo così plateale e se non vi sia stata una divulgazione di notizie preventive alla stampa, al fine di spettacolarizzare mediaticamente il fatto giudiziario.
(4-15299)

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AFFARI REGIONALI, TURISMO E SPORT

Interrogazione a risposta scritta:

LO MORO, MINNITI, VILLECCO CALIPARI, MARINI, LARATTA, LAGANÀ FORTUGNO e OLIVERIO. - Al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. - Per sapere - premesso che:
il consiglio regionale della Calabria ha recentemente approvato la legge regionale 10 febbraio 2012, n. 7, detta «Piano Casa 2» con ad oggetto «Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 11 agosto 2010, n. 21, nonché disposizioni regionali in attuazione del decreto legge 13 maggio

2011, n. 70 convertito, con modificazioni, dalla legge 12 associazioni luglio 2011, n. 106»;
tale legge regionale interviene sugli strumenti pubblici per il governo del territorio sino a giungere ai paradosso di rubricare come «misure per il settore edilizio» l'intervento diretto e sostanziale sulla legge urbanistica regionale attraverso un disegno continuo di «deroghe» che rendono possibili importanti trasformazioni fisiche e funzionali «al di là» degli strumenti di pianificazione urbanistica, abrogando i regimi di salvaguardia per gli strumenti urbanistici e sottraendo ai comuni il ruolo di artefici e decisori delle strategie urbane;
la legge appare agli interroganti afflitta da gravi vizi di legittimità rispetto alle norme costituzionali che assegnano alle regioni specifici mandati e compiti, ma che inibiscono la possibilità per il legislatore regionale di invadere il campo di operatività delle norme nazionali di principio e di quelle di riserva statale;
i rischi di una espansione edilizia incontrollata, in una regione già gravata da un elevato consumo del suolo, da un numero elevatissimo di abitazioni non occupate, da un abusivismo dilagante e da carenze di adeguati servizi e standard urbanistici, vengono drammaticamente accentuati da tale legge;
tali problemi sono già stati sollevati da associazioni culturali e ambientaliste, dai gruppi di opposizione in consiglio regionale e in particolare dal gruppo consiliare del Partito democratico calabrese, che ha inviato un corposo dossier al Ministro interrogato in cui si illustrano in maniera analitica i possibili vizi di costituzionalità del provvedimento -:
quali siano gli orientamenti del Governo in relazione alla legge regionale della Calabria n. 7 del 2012 e se si intenda procedere alla sua impugnativa davanti alla Corte Costituzionale.
(4-15297)

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DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della difesa, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il maresciallo R. D. G., in servizio presso il Ce. Va. Difesa (centro valutazione difesa) è sposato con la signora M. L. affetta da patologia tumorale e per questo dichiarata invalida con totale e permanente inabilità lavorativa al 100 per cento;
il mancato riconoscimento nei confronti della signora M. L. della connotazione di gravità di cui all'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, non consente al predetto militare di poter fruire delle agevolazioni di cui all'articolo 33, comma 3, della medesima legge, e quindi di prestare assistenza alla moglie (quando sottoposta alle periodiche sedute chemioterapiche) senza dover usufruire dei giorni di congedo ordinario o di permessi orari (da recuperare) che, tuttavia, gli vengono concessi dal comandante del Ce.Va. Difesa, che ha costantemente dimostrato attenzione e particolare sensibilità umana verso il problema in argomento;
pur avendo la signora M. L. mostrato un atteggiamento di grande dignità nell'affrontare tale patologia, continuando a svolgere tutte le attività di vita quotidiana da persona sana, nei giorni di trattamento farmacologico, proprio per gli effetti citotossici dei medicinali con conseguenti e temporanei effetti collaterali, necessita dell'assistenza da parte del coniuge, anche per fronteggiare gli eventuali atteggiamenti di coping disfunzionale -:
se non ritengano di dover assumere iniziative normative in materia per la concessione delle agevolazioni di cui in premessa, anche in particolari situazioni lavorative e familiari;

se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non intendano intervenire e in quale modo al fine di permettere al militare in premessa di poter assistere la moglie.
(5-06378)

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ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
sul sito web dell'associazione Finanzieri cittadini e solidarietà (www.ficiesse.it) è pubblicato un articolo dal titolo «Senza regole certe vince sempre il più forte. servono subito i nuovi regolamenti della guardia di finanza, attesi da ben 11 anni - di Gianluca Taccalozzi e Simone Sansoni» in merito al decreto legislativo 19 marzo 2001, n. 68, e all'emanazione di norme regolamentari per il personale del Corpo della guardia di finanza -:
quali immediate iniziative si intendano assumere per dare piena attuazione al decreto legislativo di cui in premessa e quali siano stati i motivi che ne abbiano impedito l'attuazione.
(4-15294)

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GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

II Commissione:

RAO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la giustizia italiana patisce un'arretratezza tecnologica ormai insopportabile in una società in cui le relazioni personali e lavorative, nonché le transazioni commerciali avvengono ormai sempre più attraverso connessioni informatiche, a qualunque livello di importanza ed in ogni ambito;
secondo quanto risulta da uno studio richiesto da alcuni componenti della Commissione giustizia, ogni anno vengono effettuate in Italia 28 milioni di notifiche (20 milioni nel settore civile e 8 in quello penale) che coinvolgono circa 5.000 persone dell'amministrazione giudiziaria, pari al 12 per cento circa di tutto il personale;
il progetto di informatizzazione degli uffici giudiziari, che garantirebbe un notevole risparmio in termini di tempo e risorse umane, sembra non aver avuto completa realizzazione, in quanto non risultano ancora totalmente on line 13 corti d'appello su 29 e 85 tribunali su 165 (dati Ministero);
appare quindi ineludibile il definitivo decollo del processo informatico, i cui benefici in termini di risparmio di risorse umane da impiegare su altri fronti e di velocizzazione delle procedure risultano ampiamente evidenti -:
se non intenda, a fronte di un ripetuto intervento normativo (l'ultimo quello della legge di stabilità del 2012), adottare opportune misure tese ad una rapida, effettiva e soprattutto risolutiva applicazione a livello nazionale del sistema di informatizzazione degli uffici giudiziari.
(5-06375)

PAOLINI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011, ha previsto una delega al Governo tesa alla riorganizzazione e distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza;
la delega sopra richiamata prevede di ridurre gli uffici giudiziari di primo grado,

ferma la necessità di garantire la permanenza del tribunale ordinario nei circondari dei comuni capoluogo di provincia, tenendo conto di criteri quali ampiezza del territorio, numero di abitanti, carichi di lavoro, indice delle sopravvenienze, specificità territoriali, tasso di criminalità organizzata;
tale amplissima discrezionalità organizzatoria attribuita alla amministrazione, ed alla apposita commissione consultiva, ha alimentato e sta alimentando le più varie ed allarmistiche voci di soppressioni di uffici giudiziari storicamente presenti anche in realtà territoriali ed economiche di significativa rilevanza, tra le quali Fano, terza città delle Marche per abitanti, che servono un circondario di circa 124.000 abitanti e significative realtà produttive ed economiche che garantiscono, da sempre, produttività ed occupazione che, complessivamente, contribuiscono al miglioramento dei conti dello Stato e non gravano sugli stessi;
ad avviso dell'interrogante, una revisione del tipo di quella in corso non può prescindere, prima di qualsiasi decisione, da un confronto sereno e aperto con i sindaci e gli avvocati dei territori eventualmente interessati alla soppressione, affinché qualsiasi decisione si intenda assumere sia ponderata alla luce di una effettiva ed approfondita conoscenza delle situazioni locali, e non sia adottata sulla base di parametri meramente numerici non di rado inidonei a rappresentare la realtà;
appare necessario che il Ministro, allo scopo di far cessare voci ed illazioni sulla effettiva situazione renda pubblico lo stato dell'arte dei lavori della commissione di cui sopra -:
se, prima di qualsiasi decisione afferente alla soppressione di uffici giudiziari non manifestamente sforniti di una attuale giustificazione funzionale nel territorio di competenza, ritenga opportuno e doveroso dare indicazione, alla commissione di cui sopra, di udire i sindaci ed i rappresentanti della avvocatura interessati e così consentire loro, e per loro tramite alle popolazioni interessate, di rappresentare le esigenze e le aspettative del territorio in ordine al «servizio giustizia».
(5-06376)

CONTENTO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il dottor Antonio Ingroia, procuratore aggiunto di Palermo, ha rilasciato alla stampa una serie di dichiarazioni volte a criticare fortemente la sentenza con la quale la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza d'appello di condanna a sette anni di reclusione per il senatore Marcello Dell'Utri per concorso esterno in associazione mafiosa;
in particolare, il dottor Ingroia ha affermato tra l'altro: «Spero che questa sentenza non si trasformi nel colpo di spugna finale al metodo Falcone perché da due decenni siamo testimoni in un'instancabile opera di demolizione del lavoro della magistratura siciliana, iniziato dal pool antimafia di Falcone e Borsellino e proseguito dopo la loro morte (...). È triste assistere, proprio in questo anno, al montare di un nuovo revisionismo politico-giudiziario sulla stagione di Falcone e Borsellino, perché non dimentichiamo che il concorso esterno è una creazione che nasce da una loro idea, messa a punto durante l'istruttoria del maxiprocesso, per scoprire le collusioni dei colletti bianchi. L'amarezza, poi, viene anche dalla mia convinzione che c'erano tutti i presupposti per rigettare il ricorso della difesa di Dell'Utri e accogliere quello del pg di Palermo Nino Gatto, il contrario cioè di quanto è stato fatto. (...). Mi sento alquanto sorpreso per questo esito perché conosco le prove che ci sono nel processo, ma non posso dirmi altrettanto sorpreso conoscendo la cultura della prova del presidente Grassi, che è totalmente lontana dalla mia. La mia è quella che viene dagli insegnamenti di Falcone e Borsellino, quella di Grassi non so»;
il dottor Ingroia ha altresì espressamente dichiarato che la sentenza della

Corte di Cassazione non influisce sulle indagini in corso sulla cosiddetta «trattativa Stato-mafia», in quanto per quel procedimento si procede «per un'ipotesi di reato totalmente diversa da quella del concorso esterno, e sulla base di elementi di prova acquisiti successivamente, e mai presi in considerazione né dalla Corte d'Appello né dalla Cassazione»;
l'articolo 5 del decreto legislativo n. 106 del 2006 stabilisce, al comma 1, che il procuratore della Repubblica mantiene personalmente, ovvero tramite un magistrato dell'ufficio appositamente delegato, i rapporti con gli organi di informazione, mentre al comma 3 viene fatto espressamente divieto ai magistrati della procura della Repubblica di rilasciare dichiarazioni o fornire notizie agli organi di informazione circa l'attività giudiziaria dell'ufficio, stabilendo al comma 4 che il procuratore della Repubblica ha l'obbligo di segnalare al consiglio giudiziario, per l'esercizio del potere di vigilanza e di sollecitazione dell'azione disciplinare, le condotte dei magistrati del suo ufficio che siano in contrasto col divieto fissato al comma 3;
nel caso in esame, secondo l'interrogante, il dottor Ingroia potrebbe aver violato il predetto comma 3, formulando peraltro critiche all'operato della Corte di Cassazione che finiscono per ledere l'immagine stessa della magistratura -:
se il Ministro, alla luce di quanto sopra descritto, intenda valutare l'opportunità di esercitare l'azione disciplinare nei confronti del dottor Ingroia.
(5-06377)

Interrogazioni a risposta scritta:

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il giorno 4 febbraio 2012 la prima firmataria del seguente atto ha visitato il carcere di Badu e Carros di Nuoro accompagnata dal garante dei detenuti de comune, professor Gianfranco Oppo;
alla visita ha presenziato il comandante dell'istituto Alessandro Caria;
i detenuti presenti sono 203; ristretti nella sovraffollata sezione ordinaria vi sono 84 uomini e 15 donne; in alta sicurezza 1 vi sono 26 uomini, mentre in alta sicurezza 3 ve ne sono 69; un detenuto è ristretto in regime di 41-bis ed occupa, da solo, la IV sezione; 9 sono i semiliberi, tutti uomini; i detenuti stranieri sono in tutto 23, di cui 10 donne; quanto alla posizione giuridica, i detenuti in attesa di primo giudizio sono 39, gli appellanti 13, i ricorrenti 12; coloro che scontano una pena definitiva sono 139;
la prima sezione (ordinaria), oltre essere sovraffollata, è totalmente fatiscente: «dovremmo chiuderla», afferma il comandante, «scoppiano le fogne e cadono i calcinacci», due celle sono state chiuse perché si sono allagate; in alcune celle l'acqua è solo fredda e i termosifoni funzionano male;
quanto ai sistemi di sicurezza dell'istituto, questi sono del tutto inadeguati per una struttura che ospita le tipologie di detenuti sopra descritte: poche sentinelle schierate sul muro di cinta, sistema di telecamere interno poco efficiente, totalmente assente l'impianto anti scavalcamento;
l'istituto non è dotato di area verde per gli incontri dei detenuti con i figli minori, mentre persiste ancora il muretto divisorio nelle sale colloqui;
nel carcere è praticamente ultimato un padiglione completamente nuovo: il timore di tutti - dal sindaco al presidente della provincia, fino al personale che nel carcere ci lavora - è che sia destinato ad ospitare detenuti del 41-bis provenienti da altre regioni italiane, come alcune voci hanno lasciato trapelare; scelte di questo tipo, ha detto il sindaco di Nuoro Bianchi in occasione di una conferenza stampa tenuta assieme al presidente della provincia

Deriu, «rischiano di far calare una cappa di piombo su una struttura che invece noi vogliamo far comunicare con la città. Siamo orgogliosi di aver istituito il garante per i detenuti»;
gli agenti di polizia penitenziaria effettivamente in servizio sono 165 (compreso il nucleo traduzioni) a fronte di una pianta organica che ne prevedrebbe 216; 16 agenti si trovano presso l'ospedale militare di Cagliari, 37 sono negli uffici o sono assegnati al settore colloqui, 5 sono i pre-pensionati; insomma, 71 agenti divisi su 4 turni sono coloro che vivono nelle sezioni a diretto contatto con i detenuti e questa situazione determina bassi livelli di sicurezza e una inevitabile riduzione delle attività trattamentali; è imponente la mole di traduzioni che il nucleo effettua soprattutto per la celebrazione dei processi in tutta Italia: oltre mille all'anno e, se si considera che i fondi per le missioni vengono erogati con ritardo, si può comprendere il disagio del corpo degli agenti di polizia penitenziaria; per questo «servizio» di spostamento nella penisola dei detenuti per i processi, nel carcere di Badu e Carros si spendono 5 milioni di euro all'anno che «se fosse rispettato il principio della territorializzazione della pena, potrebbero essere destinati alle attività trattamentali dei detenuti», ha osservato il garante comunale dei detenuti, Gianfranco Oppo;
l'ulteriore taglio del 40 per cento del fondo destinato alle mercedi per pagare i pochi lavoranti impiegati in mansioni domestiche ha determinato momenti di protesta fra i detenuti che, tranne le ore d'aria, non possono accedere ad attività trattamentali per il loro futuro reinserimento sociale;
gli educatori sono in tutto cinque perché la sesta educatrice è stata distaccata a Cagliari;
quanto all'assistenza psicologica, nel carcere di Nuoro operano una psicologa in regime di convenzione con la ASL n. 3 per il servizio tossicodipendenze e una sola psicologa esperta ex articolo 80 per sole otto ore mensili, del tutto insufficienti considerati i delicati compiti istituzionali che il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria affida a questa categoria professionale;
si segnalano, inoltre, le seguenti situazioni:
F.D'A. 31 anni, ergastolano che si trova in carcere da 11 anni; F.D'A. ha studiato in stato di detenzione partendo dalle scuole medie; iscrittosi all'università di Sassari presso la facoltà di scienze della Comunicazione ha potuto sostenere un solo esame che ha superato con un brillante 30 e lode, ma nel carcere di Nuoro non ci sono sufficienti risorse per consentirgli di fare altri esami; pur di studiare è disponibile ad essere trasferito;
nella sezione dei detenuti comuni, cella n. 3 la delegazione trova 4 detenuti sistemati in due letti a castello di cui uno a tre piani; un posto è vuoto; affermano di essere in quella cella da 4/5 mesi ma di non aver mai visto il magistrato di sorveglianza; nella cella n. 4, i detenuti sono sei, il wc è «a vista» e per avere un minimo di privacy i detenuti hanno messo una tenda; fra loro c'è G.C., 62 anni, affetto da un tumore alla prostata; afferma che non gli fanno fare i controlli e gli accertamenti necessari e che da più di un anno ha avanzato richiesta per l'accertamento dell'invalidità; nella cella n. 5 ci sono due tunisini e un egiziano; B.M. lamenta il fatto di non poter usufruire del decreto «Severino» per scontare gli ultimi 18 mesi ai domiciliari perché non ha una casa; nella cella n. 6 i cinque detenuti raccontano il loro stato di prostrazione perché nessuno lavora e solo uno fa i colloqui; uno di loro, un sardo, ha fatto richiesta di trasferimento nel carcere di Alghero perché in quella città vive la sorella invalida che non può arrivare fino a Nuoro per fare i colloqui; V.R. ha 33 anni e ha la famiglia a Torino dove ha chiesto di essere trasferito; ha un figlio di 7 anni e la moglie è stata operata di un tumore al seno; è iscritto al Sert di Finale Ligure e chiede di poter parlare con un

medico del SERT; il detenuto marocchino della cella 6 chiede di essere trasferito in un carcere dove abbia la possibilità di svolgere un lavoro; nella cella n. 7 i reclusi sono sette, ma il giorno precedente erano in 9; il termosifone è malfunzionante, mentre in una bacinella si raccoglie l'acqua che cade dal soffitto; S.V., diciottenne, afferma di essere in attesa di giudizio, di essere stato trasferito «senza motivo» da un mese e mezzo a Badu e Carros dall'ucciardone e di non poter parlare con l'avvocato; dichiara che farà domanda per tornare nella sua città;
un detenuto albanese in AS è sottoposto al regime di sorveglianza particolare di cui al 14-bis dell'ordinamento penitenziario; nella cella non c'è né il fornelletto né la televisione, il wc a vista è separato dal resto della stanza da un muretto; dice di avere una figlia di 6 anni e tutta la famiglia lontana;

i commi 1 e 2 dell'articolo 69 della legge 26 luglio 1975, n. 354 stabiliscono che «Il magistrato di sorveglianza vigila sulla organizzazione degli istituti di prevenzione e di pena e prospetta al Ministro le esigenze dei vari servizi, con particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo. Esercita, altresì, la vigilanza diretta ad assicurare che l'esecuzione della custodia degli imputati sia attuata in conformità delle leggi e dei regolamenti»;
il 1° comma dell'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000 prevede altresì che «Il magistrato di sorveglianza» visita «con frequenza i locali dove si trovano i detenuti e gli internati, agevolando anche in tal modo la possibilità che questi si rivolgano individualmente ad essi per i necessari colloqui ovvero per presentare eventuali istanze o reclami orali.(...)»;
il comma 4 dell'articolo 19 della legge n. 354 del 1975 (ordinamento penitenziario) stabilisce che «è agevolato il compimento degli studi dei corsi universitari ed equiparati ed è favorita la frequenza a corsi scolastici per corrispondenza, per radio e per televisione»; -:
se siano a conoscenza di quanto descritto in premessa e se si intenda intervenire per ridurre, fino a portarla a quella regolamentare, la popolazione detenuta nel carcere Badu e Carros di Nuoro;
se e quando si intenda intervenire, per quanto di competenza, per colmare il deficit di organico della polizia penitenziaria, degli psicologi e degli educatori;
se e quali iniziative di competenza si intendano assumere affinché sia assicurata un'adeguata assistenza sanitaria ai detenuti e l'assoluto rispetto dei livelli essenziali di assistenza;
se nelle relazioni semestrali della competente ASL siano state segnalate le evidenti scadenti condizioni igienico-sanitarie delle celle;
se si intendano incrementare i fondi relativi alle mercedi per il lavoro dei detenuti, quelli riguardanti i sussidi per i più indigenti, quelli per le attività trattamentali e, infine, quelli da destinare alla pulizia dell'istituto e, in particolare, delle celle;
in che modo si intenda intervenire, per quanto di competenza, in merito ai casi singoli segnalati in premessa;
cosa si intenda fare, affinché sia rispettato il principio della territorializzazione della pena;
quali iniziative di propria competenza il Ministro della giustizia intenda assumere in relazione alle criticità rappresentate in premessa con riferimento al ruolo della magistratura di sorveglianza;
se il magistrato di sorveglianza abbia prospettato al Ministro della giustizia le esigenze dei vari servizi del carcere di Badu e Carros, con particolare riguardo all'attuazione del trattamento rieducativo;
cosa si intenda fare per agevolare il compimento degli studi universitari del detenuto F.D'A;

se si intenda rassicurare gli amministratori locali e tutto il personale del carcere di Badu e Carros sul paventato trasferimento nella nuova sezione dell'istituto di decine di detenuti in regime di 41-bis che stravolgerebbe la vita dell'intera comunità cittadina e provinciale.
(4-15287)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA del 4 marzo 2012, un uomo di 30 anni, detenuto da sette mesi nel carcere di Cosenza dove sta scontando una condanna a tre anni per furto, ha scritto una lettera al leader del Movimento diritti civili, Franco Corbelli, per chiedere «aiuto affinché possa ottenere una misura alternativa al carcere in quanto gravemente malato»;
la notizia è stata resa nota dallo stesso Corbelli. Il trentenne, affetto da un tumore e da una rara malattia, nella missiva inviata al leader del Movimento diritti civili ha allegato anche la documentazione dell'ospedale di Cosenza che attesta le sue condizioni di salute;
secondo quanto riferito alla stampa dallo stesso Corbelli «l'uomo chiede una misura alternativa alla detenzione e di poter essere curato in un centro specializzato, per non continuare a soffrire e per non morire»;
nella lettera inviata a Corbelli il detenuto afferma quanto segue: «dal 2008 sono affetto da un tumore, con metastasi sparse, da poco mi hanno riscontrato anche un'altra grave patologia, la sindrome di Lichen Scleroatrofico. Se non vengo curato in centri specializzati sono condannato a soffrire e morire. Ho fatto la chemioterapia. Sono senza anticorpi. Non posso restare in carcere, in una cella sovraffollata, con il rischio di contagio di altre malattie. Non ho commesso gravi reati. Non sono un soggetto pericoloso. Sono in carcere da 7 mesi per scontare una condanna a tre anni per un furto commesso nel 2007»;
secondo la recente sentenza della Corte di Cassazione n. 46479/11, «il diritto alla salute del detenuto va tutelato anche al di sopra delle esigenze di sicurezza sicché, in presenza di gravi patologie, si impone la sottoposizione del medesimo al regime degli arresti domiciliari o comunque il ricovero in idonee strutture» -:
se non ritengano - perlomeno in via cautelativa - di dover verificare, attraverso un'approfondita indagine interna, se il trattamento sanitario riservato al detenuto in questione abbia corrispondenza con le leggi dello Stato e, soprattutto, con quanto previsto dagli articoli 3, 13 (comma 4), 27 (comma 3), 32 della Costituzione;
quali iniziative urgenti intendano adottare, negli ambiti di rispettiva competenza, al fine di garantire al detenuto in questione il proprio fondamentale diritto alla salute.
(4-15288)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA del 4 marzo 2012, a giudizio di Franco Corleone, ex Sottosegretario alla giustizia, il carcere di Trento non è la struttura penitenziaria modello che molti vorrebbero far credere, atteso che al suo interno mancano, ad esempio, un refettorio per mangiare insieme ed un locale per l'affettività, in grado cioè di consentire a chi vive dietro le sbarre di avere rapporti sessuali con il partner;
nell'istituto di pena trentino, inoltre, la sala dei colloqui risulta inutilizzata, posto che la stessa, essendo dotata di barriera visiva, non è conforme alle norme vigenti -:
quali iniziative urgenti intenda adottare al fine di dotare l'istituto di pena in questione di un refettorio e di un locale per l'affettività;

se non si intenda urgentemente eliminare la barriera visiva posta all'interno della sala colloqui;
più in generale, cosa intenda fare per riportare il carcere di Trento all'interno della legalità costituzionale e nel rispetto delle norme di leggi e regolamentari che disciplinano la vita degli istituti penitenziari.
(4-15289)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto pubblicato sul quotidiano La Sicilia del 4 marzo 2012, il segretario regionale del sindacato di categoria Ugl, dottor Francesco D'Antoni, avrebbe scritto al provveditore siciliano dell'amministrazione penitenziaria, dott. Maurizio Veneziano, sollecitando interventi urgenti sulla casa di reclusione di San Cataldo (Catania), ciò a garanzia della sicurezza dei circa 170 detenuti e degli agenti di custodia, oltre che della stessa salubrità della struttura;
nella lettera Francesco D'Antoni ha evidenziato le «inconcepibili inefficienze dell'Istituto» riferendo di sezioni detentive, lato A e B, prive di postazione fissa per il personale addetto alla vigilanza del reparto, di fili elettrici scoperti, di evidente mancanza di pulizia nei corridoi, di assenza di riscaldamento, dello scaldabagno dismesso e persino dei sanitari non a norma e mal ridotti nei locali bagno del personale -:
se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
quali provvedimenti urgenti intenda adottare, sollecitare e/o promuovere al fine di risolvere tutte le criticità strutturali che affliggono la casa di reclusione di San Cataldo (Catania) così come denunciate dalla segreteria regionale del sindacato di categoria Ugl.
(4-15290)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dal quotidiano Il Mattino di Padova del 7 marzo 2012, un detenuto rumeno di 36 anni, recluso nel carcere Due Palazzi, per protestare si è cosparso di liquido infiammabile i vestiti poi s'è dato fuoco e dal 22 febbraio risulta ricoverato nel centro grandi ustioni;
l'uomo, arrestato il 16 gennaio 2012 su ordinanza di custodia cautelare dai carabinieri per maltrattamenti in famiglia, presenta vaste bruciature sul torace, sul collo e sugli arti superiori; tutte ustioni gravi giudicate guaribili in un mese;
sembra che all'origine del gesto ci sia una protesta per una detenzione considerata ingiusta. M.C. è stato bloccato e arrestato dai carabinieri di Vigodarzere che hanno semplicemente eseguito un'ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal giudice per le indagini preliminari per maltrattamenti in famiglia. L'uomo, tra l'altro, è già conosciuto dalle forze dell'ordine. La vigilia del Natale scorso, infatti, il trentaseienne fu arrestato per violenza e resistenza dai carabinieri di Cadoneghe. In quella circostanza, completamente ubriaco M.C. oppose resistenza al controllo dei militari, finendo così con lo smaltire la sbornia in cella proprio il giorno di Natale. L'arresto avvenne davanti alla Trattoria Ceccarello, lungo la strada regionale 307 del Santo. L'uomo era arrivato da Ceccarello verso le 22,30 ed era già abbastanza alticcio. Così i titolari, per evitare guai ulteriori, decisero di chiamare il 112 che inviò sul posto un equipaggio. Alla vista delle divise l'uomo andò in escandescenza e fu arrestato -:
quali misure di sorveglianza siano state disposte nei confronti dell'uomo dopo il tentato suicidio;
quante siano le unità dell'équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere Due Palazzi;

se si intenda provvedere all'ampliamento del numero degli agenti di polizia penitenziaria addetti all'istituto di pena in questione;
quali siano le condizioni umane e sociali del carcere in questione e quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di rendere le condizioni di detenzione delle persone ivi recluse conformi al dettato costituzionale e alle norme dell'ordinamento penitenziario.
(4-15291)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il 27 febbraio 2012, sul sito ufficiale dell'Unione delle camere Penali; è apparso il seguente comunicato: «Una delegazione dell'Unione delle Camere Penali, formata dal Presidente Spigarelli, dai responsabili dell'Osservatorio Carcere, avvocato Alessandro De Federicis, e della Commissione Carcerazione Speciale e Diritti Umani, avvocato Roberto D'Errico, dal Presidente della Camera Penale di Bologna, avvocato Elisabetta D'Errico, e dagli avvocati Gianluca Malavasi, Giuseppe Cherubino e Maria Grazia Turffariello, ha oggi effettuato una visita al carcere di Bologna. Anche questa iniziativa ha confermato, e non poteva essere altrimenti, le penose condizioni di vita alle quali sono costretti i detenuti nel nostro Paese. Di fronte ad una capienza ideata per 450 reclusi attualmente ne sono ristretti oltre 1000, in celle di 10 mq, attrezzate per ospitare una sola persona, che in molti casi ne vedono vivere, in condizioni degradate, almeno tre. Impianti igienici fatiscenti, malati costretti a condividere le celle del reparto infermeria con altri detenuti, insomma tutto il campionario di ordinaria ingiustizia che connota la condizione carceraria. Una situazione che si aggrava di anno in anno, come hanno confermato la direzione del carcere ed il comandante degli agenti di polizia penitenziaria, nonostante l'impegno che il personale, ed anche i detenuti, mettono per rendere la situazione vivibile. Una visita senza censure, bisogna dame atto, nel corso della quale tutte le richieste di accesso ai vari reparti e di colloquio con i detenuti sono state accolte. Alla delegazione sono stati forniti tutti i dati e le statistiche aggiornate relative alla popolazione carceraria, ivi incluse quelli riguardanti le percentuali di accoglimento dei benefici previsti dall'ordinamento penitenziario, che sono stati poi oggetto di una conferenza stampa. Le visite dell'Unione negli istituti penitenziari italiani proseguiranno nelle prossime settimane, in programma Sollicciano (Firenze), Regina Coeli (Roma), San Vittore (Milano)» -:
se il Ministro sia a conoscenza del grave deficit di organico in cui versa la polizia penitenziaria in servizio presso il carcere di Bologna, della carenza di fondi e del grave sovraffollamento della struttura, che pongono in forse il pieno rispetto della dignità dei detenuti e l'esplicarsi della funzione rieducativa che il carcere dovrebbe avere;
se non ritenga doveroso assumere iniziative, affinché sia disposta un'adeguata integrazione dell'organico del personale di custodia in servizio nel carcere di Bologna e si preveda un ulteriore stanziamento per il finanziamento dei posti di lavoro interni alla struttura e per i fondi dedicati ad attività ricreative e risocializzanti all'interno dell'istituto;
più in generale, cosa intenda fare per riportare il carcere di Bologna all'interno della legalità costituzionale e nel rispetto delle norme di leggi e regolamentari che disciplinano la vita degli istituti penitenziari.
(4-15292)

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INTERNO

Interrogazione a risposta scritta:

SBAI. - Al Ministro dell'interno, al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. - Per sapere - premesso che:
il centro di accoglienza di Lampedusa il 20 settembre 2011 è stato incendiato,

cosa che ha provocato il danneggiamento di due dei tre padiglioni di cui è composto;
i lavori di recupero e di rifacimento dei padiglioni del centro danneggiati non hanno ancora preso il via;
stando alle stime dell'ufficio tecnico le cifre che necessitano per i suddetti lavori non risultano proibitive;
in merito agli esiti della visita del 2 marzo 2012 dei Ministri interrogati a Lampedusa, e in particolare al centro, è altamente auspicabile che il Parlamento sia adeguatamente informato;
il centro di accoglienza di Lampedusa è una struttura vitale per la gestione dei flussi migratori in Italia e in Europa;
con l'arrivo della bella stagione i flussi migratori riprenderanno a pieno regime, viste le condizioni di mare calmo;
stando a dati provenienti dall'Egitto, si prepara una diaspora dei cristiani copti e dei musulmani moderati, in fuga dal Paese per le discriminazioni e le violenze della nuova élite salafita;
si rischia, non riportando in condizioni ottimali il centro di Lampedusa, di ritrovarsi impreparati all'eventuale flusso intenso di migrazioni, cosa che porterebbe a disordini sull'isola e ad una probabile sanzione europea -:
come il Governo intenda operare per risolvere questa vicenda in tempi brevi;
se il Governo intenda assumere iniziative volte ad accantonare in tempi rapidissimi dei fondi per il centro e destinarli ai lavori e aprire altri centri in Italia per non congestionare solo Lampedusa;
se il Governo intenda vigilare affinché le strutture di accoglienza sul territorio siano sempre all'altezza di un'eventuale crisi migratoria e soprattutto in grado di gestire l'ordinario flusso che investe non solo l'isola di Lampedusa.
(4-15296)

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ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:

COSCIA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
con sentenza n. 02199 depositata il 5 marzo 2012 ed immediatamente esecutiva la III sezione bis tribunale amministrativo regionale del Lazio dispone che lo studente con handicap ha diritto ad avere l'insegnante di sostegno durante tutte le ore della sua permanenza a scuola;
la sentenza segue il ricorso collettivo presentato dal Coordinamento scuole elementari di Roma con cui tredici famiglie contestavano l'assegnazione di un numero di ore di sostegno inferiore al necessario per i loro figli, affetti da handicap gravi;
secondo le diagnosi funzionali delle Asl, questi bambini - che frequentano scuole d'infanzia o elementari - avrebbero avuto diritto al rapporto a 1» (un insegnante di sostegno per il totale del tempo scuola di ciascun alunno disabile);
la sentenza, pertanto, ha ribadito la necessità di rispettare il rapporto 1 a 1 per bambini con handicap gravi, integrando il numero degli insegnanti, dove occorra, attraverso la flessibilità organizzativa o l'assunzione con contratti a tempo determinato di altri insegnanti di sostegno;
inoltre, la sentenza della Corte costituzionale del 26 febbraio 2010 ha dichiarato illegittimo il rigido limite fissato dalla legge 244 del 2007 al numero degli insegnanti di sostegno;
infine, la riduzione degli organici di sostegno, si pone in contrasto con l'articolo 38 della Costituzione che prevede il diritto all'educazione per i disabili -:
come intenda adoperarsi per dare seguito alle sentenze sopramenzionate, garantendo quindi agli alunni disabili l'insegnante di sostegno durante l'intero orario scolastico, prevedendo la necessità di

rispettare il rapporto di uno a uno nei casi degli alunni con handicap particolarmente gravi, integrando il numero degli insegnanti dove occorra e, negli altri casi, rispettando il rapporto minimo di un insegnante di sostegno ogni due alunni.
(5-06373)

Interrogazioni a risposta scritta:

EVANGELISTI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
nella cornice della grave crisi dell'ateneo di Siena il personale tecnico e amministrativo sta vivendo una situazione di ulteriore disagio e difficoltà;
infatti, risulta all'interrogante che i vertici dell'università di Siena hanno sospeso in modo pretestuoso, da oltre 13 mesi, l'erogazione del salario accessorio del personale di categoria B-C-D;
il salario accessorio è salario differito che viene erogato a seguito di prestazioni lavorative particolari oppure per responsabilità organizzative: per prestazioni lavorative particolari si intendono tutti quei lavori disagiati come i turni festivi, notturni o i lavori che prevedono un'esposizione a rischio, prestazioni la cui retribuzione è prevista per legge ed è obbligatoria;
rimarcare la natura del salario accessorio come salario differito è importante, perché permette di comprendere che il personale in questione, con il blocco dei contratti pubblici a seguito delle manovre del Governo precedente, sta vivendo un ulteriore impoverimento retributivo;
va detto poi che la definizione dei criteri di distribuzione del salario accessorio è una voce inderogabile della contrattazione integrativa. Ad oggi, l'attivazione della contrattazione integrativa è un obbligo per la pubblica amministrazione prevista per assicurare adeguati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici (articolo 40, comma 3-bis, n. 165 del 2001, come modificato dalla legge n. 150 del 2009);
il protrarsi di questa situazione rischia di portare al blocco di attività di servizio, quali ad esempio quelle delle biblioteche, legate al sistema dei turni, oppure dei servizi istituzionali svolti su turni e orari notturni e festivi;
a fronte di questo disagio, l'attuale vertice risulta si sia riservato di assumere qualsiasi decisione in merito in attesa di pareri terzi anche supportati da suggerimenti di dirigenti ministeriali, che invitano a non cedere a pressioni sindacali rispetto alle legittime aspettative dei lavoratori e all'esclusiva competenza delle organizzazioni sindacali -:
se sia a conoscenza dei fatti evidenziati in premessa;
quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare per rimuovere le cause che hanno provocato la sospensione delle remunerazioni e per ripristinare la contrattazione attualmente paralizzata da veti incrociati.
(4-15300)

OLIVERIO. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la coesione territoriale, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari europei, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
si è già intervenuto con un precedente atto di sindacato ispettivo in tema di gestione delle risorse europee (4-14168 del 6 dicembre 2011), tuttora rimasto privo di ogni riscontro;
i regolamenti comunitari prevedono che ogni anno le amministrazioni nazionali devono raggiungere determinati obiettivi di spesa dei fondi comunitari, pena la perdita dei fondi non spesi e l'Italia presenta pesanti ritardi su diversi programmi operativi - ed in particolare sul PON ricerca e competitività 2007/2013 (a regia del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca - con un elevato rischio che l'Unione europea, non raggiunti

i predetti obiettivi, disponga il disimpegno automatico dei fondi non utilizzati;
il ritardo che si denuncia è il frutto anzitutto di carenti attività di pianificazione e programmazione delle risorse, specialmente alla luce del fatto che sono trascorsi ben cinque anni (gennaio 2007) dall'avvio del ciclo del PON e ne mancano soltanto due alla chiusura dello stesso (dicembre 2013);
alla luce di quanto avvenuto in chiusura di anno 2011, si è riscontrata quella che pare all'interrogante un'evidente approssimazione nell'azione della competente direzione generale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e del subordinato ufficio VII - ufficio programmi operativi comunitari, i quali, non programmando, prima, e agendo in modo poco avveduto in relazione alle iniziative in corso, poi, hanno seriamente messo a rischio il raggiungimento degli obiettivi di spesa 2011;
in argomento è intervenuta anche la stampa con dossier e approfondite inchieste sul tema (si veda, più di recente, il quotidiano La Repubblica dell'11 febbraio 2012 che ha denunciato ritardi, deficienze, sperperi e malversazioni);
sulla base della pianificazione operata dai predetti organismi del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, tale Ministero ad avviso dell'interrogante non avrebbe mai potuto raggiungere i citati obiettivi di spesa, finendo per vedersi decurtate significative quote di fondi dell'Unione europea, fatto che seriamente rischia di verificarsi ancora in vista delle prossime scadenze;
soltanto in extremis è stato possibile conseguire gli obiettivi dell'anno 2011 aumentando la dotazione finanziaria del bando PON03 sul rafforzamento infrastrutturale delle regioni della convergenza fino a copertura e finanziamento di quasi tutti i progetti presentati, a prescindere del loro grado di bontà, validi e meno validi, autorizzandosi al contempo un'indiscriminata anticipazione a tutti del finanziamento, nella misura massima possibile e senza garanzie, tanto nei confronti dei soggetti pubblici che di quelli privati;
all'approssimarsi della fine dell'anno, infatti, con decreto del 9 novembre 2011, ovvero soltanto pochissimi giorni prima della pubblicazione della graduatoria, non senza accese polemiche anche da parte delle regioni, la dotazione finanziaria del bando PON03 per le infrastrutture di ricerca è stata da ultimo ancora una volta quasi raddoppiata (nell'ordine di quasi quattro volte lo stanziamento originario), e di seguito sono stati erogati i finanziamenti dei progetti anticipatamente nella misura dell'80 per cento;
con l'ultimo incremento della dotazione finanziaria del predetto bando, a fronte di un imponderato taglio lineare dei costi ammissibili di ciascun progetto (operati senza nessun apparente criterio di merito), si è inteso piuttosto scorrere una graduatoria già formata in luogo di integrare il finanziamento dei progetti idonei (con il rischio che i progetti di maggior impatto non siano così nemmeno sostenibili);
così facendo, non si è certamente fatto l'interesse del Paese ovvero non si è considerata la qualità della spesa dei fondi comunitari, come sarebbe stato attraverso il finanziamento di minori iniziative con elevato contenuto tecnico-scientifico e significative ricadute economico-sociali, bensì si sono incentivate ancora una volta a pioggia le più disparate iniziative ovvero quasi tutte le proposte presentate;
inoltre, nell'operare come sopra, si è ingenerato il legittimo sospetto che sia stato piuttosto interesse del Ministero allungare a dismisura la lista dei beneficiari;
lo svolgimento e la definizione della procedura di selezione e finanziamento dei progetti presentati in risposta al bando PON03 non a caso pertanto è stata oggetto di accese polemiche e denunce anche a mezzo stampa tra cui La Repubblica del 21 novembre 2011 («Scampoli di fine

stagione della Gelmini: fondi a pioggia, spesso agli amici») e di plurime interrogazioni parlamentari, tuttora rimaste prive di ogni riscontro, tra cui l'atto a firma dell'interrogante (n. 4-14168) del 6 dicembre 2011, ma anche quello a firma di ben dodici senatori della Repubblica, primo firmatario Senatore Vita, (n. 4-06373) del 5 dicembre 2011;
effettivamente, poi, la procedura di valutazione e selezione dei progetti si sarebbe svolta in forma estremamente sommaria, influenzata da valutazioni di mera contingenza, e con il beneplacito o sotto la direzione dei responsabili amministrativi del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, uno dei quali peraltro - il dirigente dell'ufficio VII - privo secondo l'interrogante della necessaria legittimazione amministrativa, quale titolare della funzione di controllo della spesa e come tale inibito dalla pertinente regolamentazione a svolgere attività propriamente di gestione;
opportunamente, pertanto, nei giorni scorsi, il Governo in carica ha destinato ad altro incarico il direttore generale pro-tempore, corresponsabile di tale agire, anche quale soggetto che per la prima volta nella storia amministrativa del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ha delegato tale predetto dirigente, in violazione dei regolamenti comunitari e ministeriali, assumendosene in concorso le relative responsabilità;
a quali ragioni sia stata dovuta tanta carenza nella programmazione e pianificazione delle risorse comunitarie da parte della competente direzione generale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e della corrispondente autorità di gestione del PON;
a quali misure siano state in concreto attivate più di recente al fine di correggere la rotta dell'amministrazione ministeriale e prevenire il prossimo più che verosimile rischio di disimpegno automatico dei fondi comunitari destinati alla ricerca scientifica italiana, oltre che promuovere una maggiore qualità della spesa pubblica;
se corrisponda al vero, come apertamente lamentato dalla comunità scientifica, e quali ne siano le motivazioni, che il processo di valutazione e selezione dei progetti finanziabili all'esito del bando PON03 si sia svolto in tempi talmente compressi da impedire un'analisi minimamente ponderata dei progetti, con l'effetto di provvedere in forma estremamente succinta, sommaria e superficiale;
quali siano le motivazioni per cui, anche alla luce di quanto appena esposto, i costi ammissibili dei progetti finanziabili all'esito del bando PON03 siano stati decurtati, in misura tanto radicale, senza un'apparente motivazione di merito o giustificazione amministrativa e quali siano le ragioni per cui i dirigenti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca hanno inteso approvare acriticamente tali atti;
quali siano le motivazioni per cui il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha poi provveduto a incrementare il finanziamento di tale bando a graduatoria già formata e tali maggiori fondi siano stati utilizzati per scorrere la stessa, in luogo di integrare i costi dei progetti già ammessi, finendo per finanziare quasi tutte le iniziative;
chi siano i soggetti beneficiari del predetto scorrimento di graduatoria ed, in particolare, quali soggetti pubblici ovvero privati, nonché quali siano le motivazioni ed il criterio normativo in base al quale taluni soggetti di diritto privato siano stati ammessi a partecipare ed altri siano stati invece esclusi;
in base a quale norma autorizzatoria, constando piuttosto un'inibizione a farlo, il dirigente dell'ufficio VII della predetta direzione generale (ufficio programmi operativi comunitari), ha assunto la responsabilità del procedimento di selezione delle proposte e a chi vadano attribuite le corrispondenti responsabilità, in caso di annullamento degli atti ovvero di annullamento della corrispondente certificazione di spesa comunitaria;

se, come sembra doveroso e urgente, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dopo che è stato opportunamente destinato ad altro incarico il direttore generale pro-tempore, non ritenga altresì di valutare il comportamento e la posizione del dirigente di rango inferiore che ha concorso in tali eventuali omissioni, quale responsabile sia del procedimento amministrativo relativo al bando PON03, che dell'ufficio programmi operativi comunitari, considerato che il medesimo, in tale qualità (anche come autorità di gestione del PON), concorre a formare la programmazione della spesa, oltre che essere direttamente responsabile dei successivi controlli;
quali altri provvedimenti ed iniziative intendano adottare i Ministri interrogati, ciascuno per quanto di propria competenza, per prevenire il ripetersi di ulteriori occorrenze, per ridurre il danno causato all'interesse pubblico, per approfondire i comportamenti adottati, per rappresentare l'intera vicenda agli organi di controllo, anche erariali, oltre che direttamente sanzionare, per quanto di competenza, le condotte assunte da ambedue i predetti dirigenti.
(4-15301)

TESTO AGGIORNATO AL 15 MARZO 2012

...

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere - premesso che:
gli ultimi episodi di negoziazioni contrattuali, conclusesi con adesioni parziali e l'esclusione di importanti organizzazioni sindacali, sollecitano un'attenzione particolare da parte di tutte le istituzioni al fine di assicurare il recupero di proficue e ordinate relazioni industriali e di scongiurare un contenzioso giudiziario circa l'efficacia delle clausole contrattuali;
l'auspicata ripresa del già debole sistema economico italiano e la stessa credibilità delle parti sociali non hanno bisogno di reciproca delegittimazione e di incertezza giuridica, mentre alcune iniziative assunte da importanti realtà aziendali rischiano di alimentare contrapposizioni e un peggioramento delle relazioni sindacali;
sulla base di informazioni ottenute in seguito ad incontri con lavoratori della Fiat di Pomigliano d'Arco (Napoli) e da notizie diffuse dagli organi di comunicazione, sembrerebbe che nessuno dei nuovi assunti presso il suddetto stabilimento per la produzione della nuova Fiat Panda sia iscritto alla CGIL, mentre, al momento del referendum sull'accordo aziendale di Pomigliano, risultavano iscritti alla FIOM CGIL circa 650 lavoratori;
attualmente la Fiat a Pomigliano utilizza la cassa integrazione straordinaria per cessazione attività per circa 4.500 lavoratori; l'avvio della produzione della nuova Panda per ora ha permesso il rientro nello stabilimento di Pomigliano di un limitato numero di addetti, e a tutt'oggi non si sa con certezza quale sarà la quota effettiva di lavoratori non riassorbita dalla nuova società;
queste scelte finiscono per incidere pesantemente sulla condizione materiale dei tanti lavoratori coinvolti, come ad esempio denunciato dalla signora Carmen Abbazia nel corso della trasmissione televisiva «Piazzapulita», in cui si evidenziava il dramma umano di chi vede compromessa la propria condizione lavorativa, economica e familiare in ragione delle propria appartenenza sindacale;
è di questi giorni la sentenza del tribunale di Potenza che ha sanzionato per comportamento antisindacale l'operato della dirigenza Fiat nei confronti di alcuni lavoratori iscritti alla Cgil e ha decretato il loro reintegro -:
quale sia l'orientamento del Governo in merito alle vicende sommariamente esposte in premessa;

se non ritenga di fornire ogni utile elemento in merito ai fatti evidenziati e alle iniziative che intende intraprendere, anche al fine di scongiurare il protrarsi di un clima controproducente di relazioni industriali nonché il non auspicabile proliferare del contenzioso giudiziario.
(2-01407)
«Boccia, Bocci, Boffa, Bonavitacola, Calvisi, Capodicasa, Cenni, Dal Moro, Damiano, De Pasquale, Esposito, Fadda, Fiano, Genovese, Giacomelli, Ginefra, Ginoble, Giovanelli, Graziano, Iannuzzi, Letta, Lovelli, Marchioni, Misiani, Oliverio, Piccolo, Picierno, Portas, Antonino Russo, Sanga, Trappolino, Andrea Orlando».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
XI Commissione:

DAMIANO, SERENI, MOTTA, BELLANOVA, BERRETTA, BOCCUZZI, BOBBA, CODURELLI, GATTI, GNECCHI, MADIA, MATTESINI, MIGLIOLI, MOSCA, RAMPI, SCHIRRU e GIOVANELLI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, all'articolo 21, comma 1, prevede che, a far data dal 1° gennaio 2012, Inpdap ed Enpals siano soppressi e le relative funzioni siano attribuite all'INPS;
al comma 2, è detto che «con decreti di natura non regolamentare del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per la pubblica amministrazione e semplificazione da emanarsi entro 60 giorni dall'approvazione dei bilanci di chiusura delle relative gestioni degli Enti soppressi sulla base delle risultanze dei bilanci medesimi, da deliberare entro il 31 marzo 2012, le risorse strumentali, umane e finanziarie degli Enti soppressi sono trasferite all'Inps»;
la consistenza del personale Inps è pari a circa 27.000 unità dislocato capillarmente anche in strutture ubicate in località non capoluogo di provincia;
l'organico Inpdap ammonta a circa 7.000 unità e opera, sul territorio, in sedi ubicate esclusivamente nei capoluoghi di provincia;
l'Enpals annovera circa 350 dipendenti con sedi posizionate nei principali capoluoghi di regione;
risultano in via di ultimazione le procedure per l'approvazione dei bilanci di chiusura degli enti soppressi;
non è chiara quale sia la previsione temporale relativa all'emanazione dei conseguenti decreti previsti al comma 2 dell'articolo 21 del decreto-legge n. 201 del 2011, né quali garanzie di tutela delle capacità manageriali e professionali relative a tutto il personale degli enti soppressi saranno previste nei suddetti decreti o nei provvedimenti di riorganizzazione che ne seguiranno -:
se, nelle more dell'approvazione dei decreti possa essere valutata l'opportunità di avviare l'integrazione delle risorse umane anche attraverso trasferimenti che soddisfino nel contempo esigenze di conciliazione tra lavoro e carichi familiari e politiche aziendali.
(5-06368)

PALADINI, PIFFARI e CIMADORO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 24, comma 31, del decreto-legge n. 201 del 2011 recante, «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici» (Gazzetta ufficiale del 6 dicembre 2011, in vigore dallo stesso giorno) recante: «Alla quota delle indennità di fine rapporto di cui all'articolo 17, comma 1, lettere a) e c), del testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986,

n. 917, erogate in denaro e in natura, di importo complessivamente eccedente euro 1.000.000 non si applica il regime di tassazione separata di cui all'articolo 19 del medesimo TUIR. Tale importo concorre alla formazione del reddito complessivo. Le disposizioni del presente comma si applicano in ogni caso a tutti i compensi e indennità a qualsiasi titolo erogati agli amministratori delle società di capitali. In deroga all'articolo 3 della legge 23 luglio 2000, n. 212, le disposizioni di cui al presente comma si applicano con riferimento alle indennità ed ai compensi il cui diritto alla percezione è sorto a decorrere dal 1° gennaio 2011»;
il prossimo mese di marzo 2012, come evidenziato da missiva inviata al presidente del tribunale di Bergamo dal presidente Anmic per la provincia di Bergamo, Giovanni Manzoni, entrerà in vigore la norma secondo la quale non sarà più possibile, per anziani e disabili, riscuotere pensioni, sociali o di invalidità a mezzo delega, di importo superiore ai mille euro ma sarà obbligatorio l'apertura di un conto corrente;
i destinatari di tale norma, individui caratterizzati da forte fragilità sociale e le cui condizioni di forte disagio riguardano anche la sfera economica del loro quotidiano, sono spesso impossibilitati a recarsi direttamente non solo a ritirare la pensione, ma anche ad aprire come richiesto un conto corrente;
invalidi, disabili e anziani, per i quali si renda indispensabile un sostegno, hanno fin qui usufruito di un «amministratore di sostegno» nominato dal tribunale, con il compito di tutelare i soggetti destinatari di pensione, ma a parte il ritiro della pensione in contanti, al momento non sarebbero abilitati all'apertura di conto corrente in nome e per conto del proprio amministrato;
fermo restando che, come per la provincia di Bergamo, sono diversi i tribunali in Italia in cui, senso del dovere e sensibilità umana, consentono tempi e procedure di nomina di tali figure di sostegno notoriamente brevi, il rischio di arrecare inevitabili disagi a persone meritevoli di assistenza e tutela dei propri interessi morali, è concreto -:
quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per quanto di sua competenza predisponendo una procedura straordinaria d'urgenza, anche mediante nomina di un amministratore provvisorio, anche in deroga presso gli uffici postali, onde evitare i disagi causati dall'applicazione della succitata norma e assicurare l'erogazione del trattamento pensionistico anche alle categorie più svantaggiate.
(5-06369)

MURO e DI BIAGIO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
la recente scomparsa del vigile urbano N. S., travolto e ucciso da un veicolo dopo una discussione con il conducente, ha riproposto all'attenzione dell'opinione pubblica e delle istituzioni una grave lacuna normativa che interessa la categoria dei vigili urbani su tutto il territorio nazionale;
il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha infatti disposto all'articolo 6, comma 1, l'abrogazione degli istituti «dell'accertamento della dipendenza dell'infermità da causa di servizio, del rimborso delle spese di degenza per causa di servizio, dell'equo indennizzo e della pensione privilegiata»;
il decreto, al medesimo comma, prevede giustamente il mantenimento in deroga di detti istituti per alcune categorie particolarmente esposte a rischio, individuate nella normativa con la dicitura «personale appartenente al comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico»;
la dicitura adottata di fatto esclude tutto il personale di polizia locale - cosiddetti vigili urbani - il quale appartiene piuttosto al comparto vigilanza degli enti locali. La legge 7 marzo 1986, n. 65 -

legge quadro sull'ordinamento della polizia municipale - disciplina funzioni e compiti di tale categoria che è altresì titolare «delle funzioni e dei compiti di polizia amministrativa nelle materie ad essi rispettivamente trasferite o attribuite» ai sensi dell'articolo 158, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112;
si tratta di circa 65.000 unità di personale di polizia locale, distribuite su tutto il territorio nazionale, le quali operano quotidianamente in situazioni di potenziale esposizione a rischio, analogamente ai loro colleghi afferenti ai corpi di polizia di Stato, vigili del fuoco, Croce rossa, Arma dei carabinieri, già tutelati dalla deroga;
la mancata inclusione nelle deroghe del sopracitato articolo 6 espone i vigili urbani a gravi criticità sul piano della tutela dei propri diritti e rappresenta una grave ed ingiusta disparità di trattamento, che misconosce la difficile realtà socio-ambientale nella quale si trovano ad operare, che contempla l'esposizione a un'ampia varietà di situazioni potenzialmente rischiose, quali rapine, incidenti od operazioni di polizia giudiziaria e di ordine pubblico;
allo stato attuale della normativa, in un'operazione su strada che determinasse l'infortunio o il decesso di unità di intervento afferenti ai vigili urbani e, ad esempio, alla polizia di Stato e i carabinieri, gli istituti di cui sopra tutelerebbero solo due delle tre categorie chiamate ad intervenire, pur con i medesimi obblighi e le medesime funzioni: a parità di oneri, ai vigili urbani non sarebbero infatti garantiti i medesimi diritti di tutela;
le criticità evidenziate si aggiungono ad una serie di lacune normative, più volte evidenziate dalle associazioni di categoria, relativamente ad un inquadramento della categoria che corrisponda, per definizione contrattuale, mezzi assegnati, tutela e condizioni lavorative, alle funzioni di polizia che l'ordinamento impone;
oltre alle attività di vigilanza e controllo di ogni genere, nonché alle funzioni in materia di viabilità, infortunistica stradale, interventi in campo sanitario nell'ambito dei trattamenti sanitari obbligatori, l'articolo 5 della citata legge 7 marzo 1986, n. 65, assegna al personale di polizia municipale anche le funzioni di: polizia giudiziaria ai sensi dell'articolo 221, terzo comma, del codice di procedura penale; polizia stradale, ai sensi dell'articolo 137 del testo unico delle norme sulla circolazione stradale approvato con decreto del Presidente della Repubblica 15 giugno 1959, n. 393; nonché «funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza»;
ai fini di quanto sopra esposto, il medesimo dell'articolo 5 della legge quadro n. 65 del 1986 prevede, al comma 5, che gli addetti del servizio di polizia municipale possano «portare, senza licenza, le armi, di cui possono essere dotati in relazione al tipo di servizio nei termini e nelle modalità previsti dai rispettivi regolamenti, anche fuori dal servizio, purché nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza e nei casi di cui all'articolo 4»;
in talune sedi locali come Roma si è provveduto altresì all'armamento - e al necessario addestramento - del personale di polizia locale, per garantire l'autodifesa e la difesa dei cittadini, riconoscendo di fatto i compiti di sicurezza e le difficoltà operative della categoria, che pure continua ad essere inquadrata alla stregua di impiegati comunali quanto ai rischi;
infine, nell'ottica di una garanzia e tutela sempre più efficace del diritto alla sicurezza e alla qualità della vita urbana, il Ministero dell'interno, a partire dal 20 marzo 2007, ha avviato un programma di accordi di collaborazione tra lo Stato e gli enti locali, noti come «patti per la sicurezza», che prevedono un'azione congiunta sulle materie legate alla pubblica sicurezza: ciò determina un progressivo e potenziale aumento delle condizioni operativamente rischiose per la polizia locale che, su disposizione dei sindaci, può essere impiegata in via sussidiaria in operazioni disposte da questori e prefetti -:
quali iniziative intenda predisporre, nell'ambito delle proprie competenze, in

particolare in materia previdenziale, al fine di conseguire un'opportuna rettifica della suindicata normativa, che consenta di includere la categoria della polizia locale tra le deroghe di cui all'articolo 6, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
(5-06370)

FEDRIGA e BITONCI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
è stata pubblicata giorni fa sul quotidiano Il Piccolo la paradossale vicenda pensionistica di una signora, Germana Lubiana, costretta da ragazzina a lasciare l'Istria per ritrovarsi, insieme alla sua famiglia, profuga a Trieste;
nel 1960 la signora emigra con la sua famiglia in Canada, ove resta per una decina di anni e nel frattempo l'interessata si costruisce una propria famiglia;
la signora Lubiana rientra in Italia, a Trieste, nel 1970 e tra sacrifici e stenti lavora e porta avanti la famiglia;
al momento di avanzare domanda di pensione, intenzionata ad usufruire delle previsioni normative in virtù della convenzione Italia-Canada, riceve l'amara sorpresa di non avere i requisiti minimi per ottenere la pensione, in quanto si ritrova con un totale di 19 anni di versamenti contributivi (9 in Italia e 10 in Canada);
la convenzione bilaterale di sicurezza sociale siglata con il Canada il 17 novembre 1977 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1979, infatti, prevede che i periodi di residenza in Canada (dai 18 ai 65 anni di età) siano assimilati ai periodi di lavoro ai fini del cumulo con i contributi italiani e che ai fini pensionistici la richiedente debba far valere in Italia almeno 53 contributi settimanali;
la mancanza di un solo anno di versamento contributivo alla signora Lubiana suona come una vera e propria beffa -:
se il Ministro sia a conoscenza di altri casi similari, quanti siano gli emigranti italiani penalizzati nel conseguimento della pensione dalla mancanza di pochi mesi, massimo un anno, di versamenti contributivi e se e quali iniziative di propria competenza intenda adottare in merito.
(5-06371)

Interrogazione a risposta in Commissione:

SCHIRRU, DAMIANO, GNECCHI, BOCCUZZI, BELLANOVA, BERRETTA, BOBBA, CODURELLI, GATTI, MADIA, MATTESINI, MIGLIOLI, MOSCA, RAMPI e SANTAGATA. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 12 del decreto-legge n. 78 del 2010 ha introdotto, con effetto immediato, la ricongiunzione onerosa senza tenere conto degli effetti che avrebbe provocato sulla vita reale delle persone, alle quali era sempre stato detto, sia dai patronati che dagli istituti previdenziali, di attendere la maturazione dei requisiti prima di procedere alla ricongiunzione dei contributi, perché verso l'Inps sarebbe stata comunque gratuita per poter avere un'unica pensione;
è sempre stato consigliato di fare subito domanda di ricongiunzione solo verso un fondo che avrebbe poi liquidato una pensione più favorevole, perché nel calcolo oneroso si tiene conto della retribuzione al momento della domanda, quindi conveniva farla appena possibile se il passaggio di lavoro avveniva da iscrizione all'Inps verso l'Inpdap o ad un fondo ancor più favorevole;
per far comprendere appieno l'iniquità di questa norma si vuole riportare il caso concreto del signor Giovanni Maria Palla, di Cagliari, 64 anni di età, che al 31 dicembre 2011 ha perfezionato i 40 anni di contribuzione, di cui 32 all'INPS e 8

all'INPDAP; se avesse lavorato mantenendo per tutto il periodo di attività l'iscrizione previdenziale o all'Inps o all'Inpdap maturerebbe un trattamento pensionistico, calcolato con il metodo retributivo, di 1.008 euro mensili;
il signor Palla per poter andare in pensione con i requisiti antecedenti la manovra «Monti» del dicembre 2011, deve pagare la ricongiunzione, altrimenti non raggiunge i 40 anni di contributi, con un onere di 18.542,68 euro, pagabili in 47 rate mensili di 430,09 euro;
in alternativa potrebbe ricorrere alla totalizzazione gratuita dei contributi, ma ciò gli comporterebbe un trattamento pensionistico di 446 euro mensili, inferiore al trattamento minimo; tuttavia le pensioni calcolate con totalizzazione non possono essere integrate al trattamento minimo e la decorrenza del trattamento pensionistico, in base al decreto-legge n. 78 del 2010 gli spetterebbe dopo 18 mesi (finestra) dal gennaio 2012;
potrebbe anche ricorrere all'opportunità di optare per il sistema contributivo, ma anche in questo caso, maturerebbe un trattamento pensionistico inferiore al trattamento minimo;
dal caso rappresentato risulta evidente la palese iniquità della norma richiamata, perché dopo aver lavorato e versato contributi per 40 anni, per avere un trattamento pensionistico di 1.008 euro mensili, non si può chiedere di versare all'INPS un importo di 430 euro mensili per 47 mesi e far vivere una famiglia con meno di 600 euro al mese e senza alcuna altra forma di reddito;
va garantita una pensione unica a tutti i lavoratori e le lavoratrici che si sono ritrovati ad avere l'iscrizione previdenziale anche presso 2 fondi diversi; va garantita equità tra 2 persone che hanno lavorato 40 anni, indipendentemente se iscritte ad un unico fondo o a più fondi pensionistici -:
se non ritenga il Ministro interrogato, non solo per evidenti ed innegabili ragioni di giustizia sociale, ma anche per il fatto che, come riconosciuto dal Governo precedente, non sono stati pienamente valutati gli effetti della norma, di promuovere la modifica dell'articolo 12 del decreto-legge n. 78 del 2010 che ha reso onerose le ricongiunzioni anche verso l'Inps.
(5-06374)

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POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

PILI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 3 dello statuto della regione autonoma della Sardegna dispone: «In armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, la Regione ha potestà legislativa nelle seguenti materie: ... d) agricoltura e foreste; piccole bonifiche e opere di miglioramento agrario e fondiario»;
il titolo III - finanze - demanio e patrimonio, all'articolo 7, dispone: «La Regione ha una propria finanza, coordinata con quella dello Stato, in armonia con i principi della solidarietà nazionale, nei modi stabiliti dagli articoli seguenti»;
l'Unione europea con il regolamento (CE) n. 247/2006 recante misure specifiche nel settore dell'agricoltura a favore delle regioni ultraperiferiche dell'Unione ha indicato le seguenti strategie relative al settore agricolo e alle regioni insulari:
«(1) La particolare situazione geografica delle regioni ultraperiferiche, rispetto alle fonti di approvvigionamento di prodotti essenziali al consumo umano, alla

trasformazione o in quanto fattori di produzione agricoli, impone a queste regioni costi aggiuntivi di trasporto. Una serie di fattori oggettivi connessi all'insularità e all'ultraperifericità impongono inoltre agli operatori e ai produttori di tali regioni vincoli supplementari che ostacolano pesantemente le loro attività. In taluni casi, operatori e produttori sono soggetti ad una doppia insularità. Tali svantaggi possono essere mitigati riducendo il prezzo dei suddetti prodotti essenziali. Risulta dunque opportuno, per garantire l'approvvigionamento delle regioni ultraperiferiche e per ovviare ai costi aggiuntivi dovuti alla lontananza, all'insularità e all'ultraperifericità, instaurare un regime specifico di approvvigionamento.
(2) A tal fine, in deroga all'articolo 23 del trattato, è opportuno esentare dai dazi le importazioni di taluni prodotti agricoli provenienti da paesi terzi. Per tener conto della loro origine e del trattamento doganale loro applicabile ai sensi delle disposizioni comunitarie, occorrerebbe equiparare ai prodotti importati direttamente, ai fini della concessione del regime specifico di approvvigionamento, i prodotti che sono stati oggetto di perfezionamento attivo o deposito doganale nel territorio doganale della Comunità.
(3) Per realizzare efficacemente l'obiettivo di ridurre i prezzi nelle regioni ultraperiferiche e di ovviare ai costi aggiuntivi dovuti alla lontananza, all'insularità e all'ultraperifericità, salvaguardando nel contempo la competitività dei prodotti comunitari, è opportuno concedere aiuti per la fornitura di prodotti comunitari nelle regioni ultraperiferiche. Tali aiuti dovrebbero tenere conto dei costi aggiuntivi di trasporto verso le regioni ultraperiferiche e dei prezzi praticati all'esportazione verso i paesi terzi nonché, nel caso di fattori di produzione agricoli e di prodotti destinati alla trasformazione, dei costi aggiuntivi dovuti all'insularità e all'ultraperifericità»;
il decreto-legge n. 201 del 2011 del recante «Disposizioni urgenti per la crescita l'equità e il consolidamento dei conti pubblici», convertito dalla legge n. 214 del 2011, prevede che l'imposta municipale unica (IMU), istituita dal decreto legislativo n. 23 del 2011, sia applicata a partire dal 2012;
all'imposta (sostitutiva dell'ICI e dell'IRPEF sulla rendita catastale) risultano essere assoggettati sia i terreni agricoli, sia i fabbricati rurali;
si tratta di una modifica sostanziale della fiscalità, applicata al settore primario, e, in particolare, ai beni funzionali all'esercizio dell'attività agricola, che vengono assimilati, in buona parte, a puro e semplice patrimonio;
viene meno il regime di fiscalità speciale sino ad oggi riconosciuto al settore, in virtù dei ruoli che l'agricoltore svolge e dei beni prodotti dallo stesso, non limitando, tali ultimi, alla pur essenziale produzione di cibo. Si pensi, per esempio alla salvaguardia del territorio e del paesaggio: attività connaturata all'esercizio dell'agricoltura, di cui tutti i cittadini godono, ma che, certamente, non risulta remunerata dal mercato;
questa tipologia di immobili, come d'altra parte i terreni, costituiscono gli strumenti di lavoro dell'agricoltore e non possono, come tali, essere considerati alla stregua di pura e semplice ricchezza accumulata;
l'IMU va a colpire l'agricoltura in un suo punto debole, costituito dalla forte immobilizzazione di capitali a bassissima redditività;
l'applicazione ai fabbricati rurali ad uso strumentale di un aliquota ridotta allo 0,2 per cento, pur combinata con la facoltà riconosciuta ai comuni di ridurre dello 0,1 per cento detta aliquota, produrrà comunque effetti devastanti, in considerazione del fatto che, a base del calcolo vengono inseriti anche i terreni. Tanto si tradurrà in un aggravio considerevole per le aziende agricole;

emerge una forte preoccupazione circa gli effetti che l'applicazione di questa nuova imposta possa avere su un settore strutturalmente fragile, dal punto di vista economico, ed alle prese con gli effetti di una crisi particolarmente grave;
l'applicazione dell'IMU potrebbe, verosimilmente, accelerare il processo di dismissione del settore agricolo, che l'ultimo censimento ha fotografato in modo inequivocabilmente in declino. L'appesantimento tributario si pone in antitesi, anche, rispetto agli auspicati, e mai attuati, interventi di politica agraria nazionale indispensabili per lo sviluppo di questo comparto;
ad essere colpite maggiormente saranno le aree a minor redditività (aree svantaggiate in genere come le regioni insulari), che spesso collimano con territori di particolare pregio ambientale e paesaggistico; l'abbandono dell'attività agricola, in tali casi, determinerebbe conseguenze devastanti ed irreversibili a danno dell'intera collettività (si pensi, in primis, alla compromissione degli equilibri idrogeologici);
si tratta di un'imposta che avrà un impatto molto pesante sul settore agricolo, una nuova imposta che sconvolge anche il principio fondamentale che il valore dei fabbricati rurali deve essere visto in tutt'uno con la terra;
il peso dell'IMU per le imprese agricole italiane, fra 1,3 miliardi di euro di nuove imposte e 2/3 miliardi di euro per l'accatastamento dei fabbricati rurali, è prossimo al valore della politica agricola comune per il nostro Paese;
si tratta di un'imposta le cui indicazioni attuative appaiono oggi discutibili e contraddittorie, anche rispetto alle posizioni assunte da gran parte dei Governi e dei parlamentari europei in ordine alla politica agricola comune, di cui si discute attualmente la riforma;
l'Imu colpirà pesantemente terreni agricoli e fabbricati rurali, dalle stalle ai fienili fino ai capannoni necessari per proteggere trattori e attrezzi, andando di fatto a tassare quelli che sono a tutti gli effetti mezzi di produzione per le imprese agricole;
questa nuova «patrimoniale agricola» si abbatte pesantemente sugli agricoltori, in quanto colpisce il «bene terra» in quanto tale, non riconoscendone più il carattere di ruralità e la funzione di bene strumentale (ed indispensabile) all'esercizio dell'attività di impresa;
le competenze statutariamente attribuite alla regione Sardegna in materia di agricoltura e la disposizione che prevede un sistema fiscale coordinato e armonico rendono, ad avviso dell'interrogante, l'introduzione dell'Imu per le zone agricole una palese violazione delle peculiarità autonomistiche dello Statuto sardo e conseguentemente sono in contrasto le prerogative costituzionali;
gli indirizzi comunitari relativamente alle politiche agricole nelle aree periferiche e insulari prescrivono l'esigenza di compensare e ridurre il gap insulare che si abbatte sulle produzioni agricole di questi territori;
l'introduzione dell'Imu anche per le zone agricole rende di fatto sempre più oneroso il divario gestionale e mette ancor più fuori mercato le produzioni agricole delle regioni insulari, disattendendo le disposizioni comunitarie -:
se non ritenga di dover adottare immediate iniziative normative volte a escludere dalla disciplina di cui in premessa le regioni a statuto autonomo che hanno competenze esclusive per l'agricoltura e concorrenti sulla fiscalità;
se non si ritenga alla luce delle precise indicazioni comunitarie, di dover assumere iniziative per esentare le regioni insulari e/o ultraperiferiche da un ulteriore aggravio che va a sommarsi al già pesantissimo divario legato proprio all'insularità;
se non si ritenga di dover adottare iniziative normative che esentino dal pagamento

dell'imposta i fabbricati rurali ad uso strumentale, con particolare riferimento a quelli dislocati in aree svantaggiate;
se non ritenga necessario promuovere una revisione del meccanismo di calcolo relativo ai terreni condotti dagli agricoltori, in considerazione delle peculiarità del settore agricolo che, sino ad oggi, hanno determinato l'applicazione di specifiche regole fiscali;
se non ritenga indispensabile e urgente l'immediata apertura di un confronto tra Governo e regioni, volto ad individuare criteri alternativi di applicazione dell'IMU senza pregiudicare la sussistenza del settore agricolo italiano.
(5-06372)

TESTO AGGIORNATO AL 13 MARZO 2012

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SALUTE

Interrogazioni a risposta orale:

LAURA MOLTENI, FABI, MARTINI, RONDINI e BITONCI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
nei giorni scorsi, come si è appreso da alcuni organi di stampa, l'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) ha richiesto alle imprese del farmaco il pagamento del «pay back» per lo sforamento del tetto di spesa farmaceutica territoriale del 2010, che peraltro comprende impropriamente anche la quota pagata volontariamente dai cittadini per scegliere il farmaco di marca;
com'è noto, il meccanismo del pay back è collegato al sistema di «tetti» sulla spesa farmaceutica ed è stato introdotto con la legge finanziaria per il 2007;
con l'attivazione di tale sistema di tetti è stata offerta la possibilità alle aziende farmaceutiche di chiedere all'AIFA la sospensione della riduzione dei prezzi del 5 per cento a fronte del contestuale versamento in contanti (pay back) del relativo valore su appositi conti correnti individuati dalle regioni, consentendo, da un lato, l'erogazione di risorse economiche alle Regioni a sostegno della loro spesa farmaceutica e, dall'altro, l'opportunità per le aziende farmaceutiche di effettuare scelte rispetto ai prezzi dei farmaci sulla base delle proprie strategie;
il meccanismo del pay back inizialmente esteso per tutto il 2007, è stato poi prorogato dai cosiddetti provvedimenti «milleproroghe» fino al 31 dicembre 2012;
la richiesta fatta dall'AIFA alle aziende farmaceutiche, anche quelle del generico, cioè quelle che hanno determinato nel tempo una costante discesa della spesa, comporterebbe un ripiano stimato in circa 17 milioni di euro, a carico delle imprese, che di fatto finisce per premiare le regioni cosiddette «non virtuose»;
la suddetta richiesta è stata inviata con oltre un anno di ritardo rispetto alla chiusura dei bilanci aziendali, rimettendo in discussione la spesa farmaceutica territoriale del 2010, dopo che la Corte dei Conti aveva sancito il rispetto del tetto per il 2010;
permangono, altresì, forti incertezze sui dati che hanno determinato questo risultato; le singole aziende dovrebbero, invece, essere poste in condizione di verificare l'importo di loro competenza;
una tale richiesta non appare opportuna, in una fase di crisi come quella in cui versa il nostro Paese, in cui si verificano gravi e persistenti ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione, che risultano aumentati del 30 per cento negli ultimi due anni -:
se il Ministro intenda assumere iniziative in merito a tale situazione, che di fatto rende il meccanismo del pay-back più che un sistema di controllo della spesa, un ulteriore prelievo fiscale a carico di un settore, quello farmaceutico, già messo a dura prova dalla crisi economica;

se il Ministro intenda promuovere un sistema premiante per le regioni virtuose, superando tale meccanismo che risulta essere penalizzante proprio per queste ultime.
(3-02157)

BINETTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
i responsabili dei centri trapianti del policlinico Gemelli, Rino Agnes, e del policlinico Umberto I, Pasquale Berloco, due esperti del settore a livello internazionale hanno espresso pubblicamente le loro riserve sulla nomina di un dentista, alla guida dell'Agenzia regionale per i trapianti;
l'Agenzia è un organo tecnico, di consulenza nella programmazione dell'attività di assistenza e ricerca a livello regionale; va da sé che alla guida dovrebbe essere assegnato un tecnico che possegga requisiti in questo specifico settore;
il decreto n. 92, firmato il 15 febbraio 2012 da Mario Abbruzzese, presidente del consiglio regionale del Lazio stabilisce che «è nominato presidente dell'Agenzia Gaetano Marcello», affiancato da «Pietro Alimonti e Aldo D'Avach come vicepresidenti»;
Gaetano Marcello, dentista di Guidonia, prende il posto del professor Carlo Umberto Casciani, esperto di trapianti ed ex presidente e commissario dell'Agenzia dal 2008;
il decreto, pubblicato l'8 marzo sul bollettino ufficiale della regione Lazio (Burl), spiega che i designati sono stati scelti «attraverso l'esame dei curricula previsti dagli avvisi pubblicati il 13 dicembre del 2008» sullo stesso Burl;
tra i candidati alla guida dell'Agenzia regionale per i trapianti sembra ci fossero anche almeno altri quattro «concorrenti»: Umberto Casciani, che aspirava ad una possibile conferma, Pasquale Berloco, attuale presidente della Società italiana dei trapianti, Rino Agnes, responsabile dell'unità dei trapianti del policlinico Gemelli e Di Giulio, esperto di trapianti del San Camillo;
in Commissione XII Affari sociali della Camera, è in discussione dal 2008 il testo unificato delle proposte di legge C. 799 ed abb., recante «Principi fondamentali in materia di governo delle attività cliniche per una maggiore efficienza e funzionalità del Servizio sanitario nazionale», vertente sulla necessità di una maggiore trasparenza e competenza nella nomina dei dirigenti di struttura complessa; si tratta di materia analoga a quella trattata, proprio perché tende a mettere in primo piano sempre e solo criteri di competenza professionale specifica e di meritocrazia; il ddl nel suo spirito originario intende obbligare la politica a tener conto della salute pubblica come di una delle forme più alte su cui si fonda il bene comune, per cui vuole fare della competenza specifica, opportunamente documentata, il criterio guida di ogni possibile scelta e decisione -:
di quali elementi disponga il Governo in merito ai parametri presi in considerazione dalla commissione che ha esaminato i curricula dei candidati, tenendo conto che gli esclusi vantano una competenza scientifica e professionale di rilievo internazionale ampiamente documentata, mentre i prescelti sono assai meno noti alla comunità scientifica di riferimento;
se non ritenga opportuno assumere iniziative normative per definire una disciplina delle procedure di selezione per incarichi di particolare complessità come quello di cui in premessa, volta a tenere maggiormente in considerazione i requisiti di chi ha competenza effettiva nel campo, considerata la delicatezza del ruolo che si intende ricoprire.
(3-02158)

Interrogazione a risposta in Commissione:

VILLECCO CALIPARI e MIOTTO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
associazioni di utenti dei servizi psichiatrici di Roma, unitamente ad associazioni di familiari degli utenti, a movimenti di volontariato e della cooperazione sociale, ad operatori dei dipartimenti di salute mentale, denunciano lo stato di collasso dei servizi psichiatrici con gravi ricadute sulla continuità di cura per circa 40.000 cittadini romani con disagio psichico;
le ragioni delle gravi difficoltà dovrebbero essere fatte risalire ad una serie di fattori, fra i quali: la grave carenza di personale, dimezzato rispetto agli standard previsti dal progetto obiettivo tutela salute mentale della regione e la critica situazione delle strutture dedicate ai servizi per la salute mentale, caratterizzate da insufficienti spazi e condizioni fatiscenti, dal gravissimo ritardo con cui vengono erogati i sussidi a centinaia di persone, che attendono da oltre un anno un modesto aiuto economico, dalla scarsità dei progetti riabilitativi e di inserimento lavorativo a seguito dei tagli ai contributi sociali;
le difficoltà di funzionamento dei servizi psichiatrici di Roma fanno venir meno il diritto alla salute per tutte le persone colpite da disagio psichico, prefigurando una violazione dell'articolo 32 della Costituzione con la mancata erogazione dei livelli essenziali d'assistenza sanitari a persone che ne hanno diritto e necessità -:
se il Ministro sia al corrente delle gravi disfunzioni che colpiscono i servizi psichiatrici di Roma e quali iniziative urgenti intenda assumere, anche per il tramite del commissario ad acta per il rientro dai disavanzi sanitari regionali, per evitare che, ferme restando le responsabilità di gestione che appartengono alla regione Lazio, ai cittadini colpiti da malattia psichiatrica a Roma non vengano a mancare i servizi e le prestazioni previsti dai livelli essenziali di assistenza, prefigurando così gravi omissioni di assistenza.
(5-06379)

Interrogazioni a risposta scritta:

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
si sono succeduti in poco tempo tre decessi presso l'ospedale San Bassiano a Bassano del Grappa di cui hanno riferito agenzie di stampa, siti di informazione internet e giornali;
in particolare, i tre decessi in questione sarebbero da attribuire a un'infezione rapida e devastante, che nessun farmaco ha saputo curare, provocata da un batterio-killer, la klebsiella pneumoniae;
la signora Bruna Visentin, vedova del signor Tiziano Farronato, uno dei tre pazienti deceduti nell'ospedale di Bassano del Grappa dopo aver contratto il batterio klebsiella pneumoniae, ha denunciato:
«Mio marito è entrato in quell'ospedale sano, con le sue gambe, per un intervento ambulatoriale che è andato alla perfezione. Ma ne è uscito in una bara...»;
«Mi sembra di vivere in un incubo. Mio marito ha lavorato fino al giorno prima...», ha dichiarato un'altra vedova, la moglie del signor Gianni Rizzon;
essendo la klebsiella pneumoniae un batterio che colpisce i pazienti più deboli, occorre una estrema attenzione, dal momento che non è la prima volta che si verificano fatti simili con pazienti debilitati;
occorre appurare se sia stata attivata una procedura di verifica per accertare se vi siano stati errori nel rispetto dei protocolli e se sia vero che tutti e tre i pazienti che hanno perso la vita, hanno contratto il germe nella stessa maniera, e

in particolare che la responsabilità è da attribuire ad un barattolo di Betadine usato per tutte e tre le operazioni;
il professor Giorgio Palù, ordinario di microbiologia dell'università di Padova, esperto di fama internazionale ha dichiarato: «Oggi la mortalità per le malattie infettive è del 25-30 per cento. La klebsiella pneumoniae, un enterobatterio della stessa famiglia dell'Escherichia Coli, può avere effetti molto gravi in pazienti con i sistemi immunitari deficitari. Questo capita perché a volte i germi mutano e diventano resistenti agli antibiotici. Al momento le grandi case farmaceutiche tengono nel cassetto i farmaci che potrebbero essere efficaci, commercialmente non redditizi, e senza nuove classi di antibiotici queste infezioni non possono quindi essere curate. Ci sono casi di klebsiella pneumoniae in tutto il mondo e nemmeno le eccellenze ospedaliere, come Bassano, sono immuni dai contagi: i reparti più colpiti sono le rianimazioni, i centri grandi ustionati, le chirurgie e i centri di trapianti di organi» -:
di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo.
(4-15295)

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riferito dalle agenzie di stampa Coca Cola e Pepsi Cola hanno deciso di mutare colore per evitare l'etichetta di «rischio cancro»;
l'iniziativa arriva all'indomani della decisione da parte dello Stato della California, di inserire nella lista delle «sostanze potenzialmente cancerogene» il 4-Mei, composto chimico presente nel caramello che dà il colore marroncino alle due bevande durante la lavorazione;
nonostante la Food and drug administration statunitense abbia approvato il caramello come additivo colorante e lo includa tra gli ingredienti alimentari sicuri, si sta valutando una petizione del Centre for science in the public interest, un gruppo di difesa dei consumatori che si batte per far bandire l'uso di caramello colorante a base di ammoniaca-solfiti, dopo che uno studio su topi di laboratorio ne ha rivelato la pericolosità a dosi elevate -:
se non si ritenga di dover acquisire tutte le informazioni e i dati che hanno indotto lo Stato della California a inserire nella lista delle sostanze potenzialmente cancerogene il composto chimico 4-Mei;
dal momento che Coca Cola e Pepsi Cola hanno deciso di ridurre la presenza di 4-Mei nelle loro bevande, con la conseguenza che il colore delle bibite sarà più «pallido» ma il gusto risulterà inalterato e che ciò avverrà solo negli Stati Uniti e non in Europa, se non si ritenga di dover seguire l'esempio dello Stato della California e, in caso contrario, perché non si intenda procedere in tal senso.
(4-15298)

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il signor Gaetano Mangiatordi, secondo quanto riferisce la Gazzetta del Mezzogiorno del 5 marzo 2012, ha denunciato quello che non è esagerato definire un vero e proprio calvario patito dal padre Luigi, «malato terminale sballottato per ore, su e giù per l'ospedale. Da un reparto all'altro...In preda ai conati, giallo in volto, i reni in blocco, il polso flebile, la pressione quasi inesistente, non c'era un reparto disposto ad accoglierlo. Se non è malasanità questa...»;
il racconto del signor Mangiatordi, è sconcertante: «Resisi conto delle condizioni critiche del padre, malato oncologico da quattro anni, si sono recati "di corsa in Oncologia all'ospedale Perrino di Brindisi per chiedere se potevamo portarlo. Ci hanno detto che non esisteva alcuna possibilità

di ricoverarlo, non c'erano posti letto disponibili. Ci hanno perciò consigliato di tenerlo a casa. "Fategli una flebo", sono state le uniche parole. Abbiamo chiamato un'infermiera che ci ha aiutato. Le ore passavano e papà stava sempre peggio. Tremava, il sacchetto attaccato al catetere era vuoto, il suo corpo era gelato. Dopo una nottata infernale, di buon mattino abbiamo chiamato un'ambulanza e lo abbiamo trasportato subito in ospedale". Sono le 8,30; a questo punto ha inizio una disavventura che, solo a raccontarla vengono i brividi: in Pronto soccorso al signor Luigi viene assegnato un codice giallo. È grave. Non lo visitano, ma le sue condizioni sono più che evidenti. Data la sua storia viene trasferito in Oncologia. "Gli oncologi che lo seguono da quattro anni ci dicono che occorrono le analisi del sangue altrimenti non possono intervenire. Mostriamo quelle eseguite il giorno prima a pagamento, non vanno, si devono ripetere". Per accelerare i tempi degli esami, il signor Luigi viene rispedito in Pronto soccorso. C'è troppa gente, trascorsi tre quarti d'ora, un ausiliario prende in consegna la barella. Tappa successiva: Nefrologia. Qui gli misurano la pressione e attaccano una flebo. Racconta il figlio Gaetano: "Mi sentivo impotente, non potevo fare nulla. Ero disperato. Pieno di collera, tristezza e sdegno. Profondo sdegno. È stato portato da un punto all'altro dell'ospedale come fosse un pacco, come se su quella barella non ci fosse nessuno. Non vedevano un uomo sofferente. Per i medici la barella era vuota". Anche in Nefrologia ci sentiamo ripetere: "Non ci sono posti". Si torna giù. In Pronto soccorso. "Non so nemmeno quanto tempo sia passato, forse quattro ore. Grazie all'intervento di nostri parenti e di un poliziotto lo spostano ancora. Un nuovo girone dell'inferno: Geriatria. Appena varcata la soglia, prima ancora di riuscire a spiegare, ci precedono: "Non c'è posto". Sono le 15. L'odissea non è finita. Di nuovo interminabili corridoi e ascensore: si va in Medicina generale. Il posto non c'è, ma in compenso si avverte finalmente calore e umanità. "Una dottoressa, di cui non ricordo il nome, viste le condizioni disperate di mio padre, dopo sei ore di sali e scendi da un reparto all'altro decide di prendere un lettino, non so dove e come l'abbia trovato, e insieme ai suoi infermieri, ha allestito una stanza temporanea, per potergli somministrare le prime cure. Una stanza che non c'era ma che un medico dal cuore buono ha messo su solo per lui. Niente leggi, niente burocrazie, finalmente. Mio padre sta morendo, ma sono più sereno perché so che è affidato ad un'equipe che ha grande professionalità e che ringrazio» -:
di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda promuovere, o adottare al riguardo.
(4-15302)

...

Apposizione di firme ad interrogazioni.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04848, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04852, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04853, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04854, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04855, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9

novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04864, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04865, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04866, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04869, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04894 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

Pubblicazione di un testo riformulato.

Si pubblica il testo riformulato della mozione Servodio n. 1-00869, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 586 del 15 febbraio 2012.

La Camera,
premesso che:
le biomasse costituiscono un'importante fonte energetica rinnovabile, il cui ruolo potrebbe essere determinante per il raggiungimento degli obiettivi fissati con il Protocollo di Kyoto, con il successivo «pacchetto clima-energia», per il rispetto dei molteplici impegni assunti dal nostro Paese, a partire dall'attuazione del piano nazionale d'azione per le energie rinnovabili, il quale prevede la definizione del contributo delle varie fonti per conseguire gli obiettivi stabiliti in ambito comunitario per il 2020, ossia 17 per cento di produzione di energia da fonti energetiche rinnovabili sul consumo totale di energia e 10 per cento sul consumo totale di carburanti; in sostanza, per quanto riguarda le biomasse è previsto, sempre al 2020, un obiettivo di 18,8 terawattore di energia elettrica e 5,7 megawatt di energia termica; questi valori indicano che il 45 per cento del piano nazionale d'azione per le energie rinnovabili sarà realizzato grazie alle biomasse;
il 13 febbraio 2012 la Commissione europea ha adottato una strategia per la bioeconomia in Europa che considera le biomasse quale elemento centrale per definire un'economia post-petrolio in Europa;
con le agroenergie è possibile contribuire a valorizzare le filiere agroalimentari presenti sul territorio, integrando il reddito dei produttori primari e in molti casi anche contribuendo a risolvere problemi di natura ambientale legati alla valorizzazione di sottoprodotti e di biomasse agricole e al miglioramento della sostenibilità delle pratiche agricole (rotazioni, effluenti zootecnici e direttiva nitrati, difesa dei suoli dall'erosione ed altro);
la direttiva comunitaria n. 28 del 2009, in materia di promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, definisce come biomassa la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall'agricoltura, dalla silvicultura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani;
il principio di funzionamento delle centrali alimentate a biomasse si basa sulla conversione dell'energia termica, ottenuta con la combustione (ovvero pirolisi o gassificazione) della biomassa o con la combustione del biogas, derivante dalla

digestione anaerobica della biomassa stessa, in energia meccanica e successivamente in energia elettrica;
si ricorda che le biomasse sono l'unica fonte rinnovabile, programmabile, a base carbonica utilizzabile non solo come energia di riserva a supporto della generazione elettrica da fonti non programmabili, ma in futuro in grado di fornire carbonio non di origine fossile per lo sviluppo di una chimica capace di produrre biomateriali;
gli impianti possono essere alimentati da biomasse solide come legna, cippato, pellet, ma anche con rifiuti solidi urbani, biogas (derivanti dalla frazione organica dei rifiuti solidi urbani, da fanghi, deiezioni animali, ma anche da attività agricole) e bioliquidi (oli vegetali grezzi o altri bioliquidi); in totale, attualmente ci sono oltre 400 impianti, per una potenza installata superiore a 500 megawatt per circa 2 gigawattora di energia prodotta;
il biogas - costituito prevalentemente da metano e da anidride carbonica - nasce dalla fermentazione anaerobica di materiale organico di origine animale e vegetale e la normativa individua la molteplicità di matrici organiche da cui può essere prodotto: rifiuti conferiti in discarica ovvero frazione organica dei rifiuti urbani, fanghi di depurazione, deiezioni animali, scarti di macellazione, scarti organici agroindustriali, residui colturali, colture energetiche dedicate; i combustibili di origine biologica allo stato liquido sono distinti, in base al decreto legislativo n. 28 del 2011, in bioliquidi, combustibili liquidi per scopi energetici diversi dal trasporto, compresi l'elettricità, il riscaldamento ed il raffreddamento, prodotti dalla biomassa e in biocarburanti, carburanti liquidi o gassosi per i trasporti ricavati dalla biomassa;
negli ultimi anni si è assistito ad un consistente sviluppo di queste fonti energetiche rinnovabili, anche grazie ai meccanismi incentivanti introdotti con recenti disposizioni normative, dando vita ad alcune preoccupazioni per le possibili conseguenze negative legate alla crescita dell'utilizzo delle biomasse;
il citato decreto legislativo n. 28 del 2011, recante «Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili», prevede che l'incentivo per biogas, biomasse e bioliquidi sostenibili debba essere finalizzato, tra l'altro, a promuovere l'uso efficiente di rifiuti e sottoprodotti, di biogas da reflui zootecnici o da sottoprodotti delle attività agricole, agroalimentari, agroindustriali, di allevamento e forestali, di prodotti ottenuti da coltivazioni dedicate non alimentari, nonché di biomasse e bioliquidi sostenibili e di biogas da filiere corte;
appare evidente la necessità di promuovere e valorizzare forme di produzione dell'energia che utilizzino sostanze di origine biologica, in modo da ridurre il consumo di combustibili fossili e l'emissione di gas climalteranti, acidificanti e potenzialmente tossici, ma senza dare vita ad effetti distorsivi per l'economia agricola o addirittura inefficaci per quanto riguarda il saldo delle emissioni; in particolare, risulta essenziale favorire le filiere più efficienti nell'uso del suolo agricolo, nella riduzione delle emissioni di carbonio e capaci di generare la massima ricaduta occupazionale in ambito locale; questi aspetti possono essere verificati tramite studi dedicati di analisi del ciclo di vita (life cycle assesment) normati dalla serie ISO 14040;
il biogas è un vettore energetico polivalente e particolarmente idoneo al contesto italiano, con un'elevata densità di popolazione e un'estesa e capillare rete del gas; la filiera biogas-biometano si caratterizza, quindi, per le sue qualità plurifunzionali: elevata efficienza negli usi finali, costi di produzione competitivi rispetto alle altre fonti energetiche rinnovabili, con limitati costi di riduzione delle emissioni di gas climalteranti, in quanto consente il massimo utilizzo delle superfici agricole in termini di energia prodotta; è una fonte programmabile e conservabile mediante l'utilizzo della rete e degli stoccaggi del gas naturale ed è una filiera con un rilevante impatto sull'economia agricola e industriale;

tra le energie rinnovabili da biomassa, il biogas sembra, quindi, rappresentare un'apprezzabile potenzialità per alcune intrinseche caratteristiche positive della sua filiera: l'elevata intensità di lavoro che è in grado di produrre; utilizzo prevalente di biomasse prodotte dalle aziende agricole italiane; la nascente filiera tecnologica italiana di produzione di impianti a biogas, con tutte le importanti potenziali ricadute sull'indotto e gli effetti positivi derivanti dal reinvestimento dei profitti (garantiti dagli incentivi) nello sviluppo tecnologico di questo settore all'interno del sistema Paese; la valorizzazione di parametri come inefficienza e il riciclaggio di gran parte degli scarti della produzione agricola e zootecnica; l'agevole localizzazione degli impianti in prossimità dei luoghi di produzione delle biomasse, con la contestuale riduzione dei costi (economici ed ambientali) del trasporto delle biomasse stesse; il possibile utilizzo in ambito cogenerativo;
tra le criticità emerse nella diffusione delle bioenergie si sottolineano le seguenti: la realizzazione di impianti di medie e grandi dimensioni comporta, inevitabilmente, un aumento della distanza coperta dai materiali necessari per il funzionamento degli impianti, con conseguente incremento della mobilità di mezzi pesanti e del relativo impatto ambientale; in alcune province dell'Italia si sta verificando un'eccessiva concentrazione di impianti che, in assenza di una programmazione territoriale, determina effetti in contrasto con gli obiettivi che in tutti questi anni hanno determinato il sostegno allo sviluppo degli impianti agroenergetici di piccole dimensioni nell'ottica esclusiva della multifunzionalità dell'agricoltura; occorre, quindi, che la governance delle regioni o, quando delegate, delle province sui territori sia ben organizzata e studiata nell'intera sua complessità, senza permettere la concessione di autorizzazioni quando non sono presenti tutte le corrette rassicurazioni per la sostenibilità delle filiere tradizionali;
una delle principali preoccupazioni, che andrebbe comunque confrontata con i dati Istat relativi all'ultimo censimento agricolo in merito alla cessazione delle attività agricole, riguarda il pericolo di trasformazione delle colture agricole attualmente destinate all'alimentazione umana (food) e alla zootecnia (feed) in colture finalizzate alla produzione di energia (fuel), con immaginabili alterazioni del mercato dei prodotti agricoli e zootecnici, rischiando di trasformare la finalità originaria delle agroenergie - di attività integrativa del reddito in agricoltura - in attività sostitutiva dell'agricoltura;
a riguardo si rammenta come siano stati emanati due provvedimenti cogenti: un decreto contenente le linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili ed il decreto burden sharing, ovvero la ripartizione tra le regioni e le province autonome dello sforzo per raggiungere il target europeo di energia verde fissato per l'Italia al 2020; tali provvedimenti, se applicati correttamente e tempestivamente, permetterebbero una corretta programmazione in ambito locale degli interventi;
è auspicabile promuovere la realizzazione di impianti che siano compatibili con le esigenze di vivibilità dei territori, con la salvaguardia delle produzioni agricole, specie quelle orientate alla qualità del prodotto (ad esempio, le colture biologiche o da serricoltura), stabilendo criteri per lo sfruttamento prevalente delle biomasse locali; in particolare, sarebbe opportuno prevedere meccanismi disincentivanti per importazione di materiale dall'estero e, in maniera diversa, l'impiego di colture dedicate quando non da filiera corta; bisogna, altresì, favorire le biomasse da rifiuti, da scarti agricoli, del verde urbano e forestali, premiando l'efficienza energetica del ciclo, ponendo attenzione alle dinamiche di mercato che potrebbero determinare effetti distorsivi connessi al costo delle matrici organiche di scarto;
è necessario apportare dei correttivi all'attuale sistema, in modo da garantire

uno sviluppo sostenibile delle filiere agroenergetiche; in particolare, è importante: una razionalizzazione delle tariffe; un miglioramento dell'efficacia e dell'efficienza degli incentivi che determinino lo sviluppo di filiere industriali e l'incremento del reddito e dell'occupazione, con biomasse provenienti da filiere corte e comunque circoscritte al territorio locale; la tutela del paesaggio; un controllo del consumo dei terreni agricoli; un monitoraggio dei prezzi delle derrate alimentari e degli affitti dei terreni agricoli; un corretto inserimento degli impianti nel tessuto urbanistico e rurale in rapporto alle caratteristiche tecniche e di produzione energetica, tenendo in adeguata considerazione l'impatto sul traffico stradale, sia per quanto riguarda le emissioni inquinanti e i problemi di congestione, sia per quanto riguarda l'inquinamento acustico della zona;
sarebbe opportuno, tra l'altro, che si procedesse ad emanare tempestivamente le direttive sulle caratteristiche chimiche e fisiche del biometano di cui all'articolo 20 del decreto legislativo n. 28 del 2011,


impegna il Governo:


ad adottare nel più breve tempo possibile i decreti attuativi previsti dagli articoli 21, 24 e 28 del decreto legislativo n. 28 del 2011, diretti a favorire l'utilizzo del biometano e la produzione di energia elettrica e termica da impianti alimentati da fonti rinnovabili;
a verificare l'applicazione sul territorio nazionale delle linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili e del burden sharing e ad adottare ogni iniziativa di competenza per una regolamentazione ottimale in merito alla localizzazione degli impianti di piccole dimensioni, con l'obiettivo di incentivare il settore delle agroenergie e le connesse potenzialità in termini di green economy e, contemporaneamente, di salvaguardare la funzione primaria dell'agricoltura, il paesaggio agrario e l'equilibrio urbanistico, evitando distorsioni di mercato, come descritto in premessa, che potrebbero minarne le reali possibilità di sviluppo, essendo noto che gli scarti della filiera agroindustriale raramente sono nella disponibilità degli agricoltori;
a differenziare il sistema degli incentivi sulla base dei principi espressi nel penultimo capoverso della premessa e sulla base dell'efficienza energetica dell'impianto, con l'obiettivo di sfruttare innanzitutto le risorse locali nel rispetto della vocazione agricola del territorio, premiando la virtuosità della filiera e dell'efficienza energetica di tutto il ciclo, utilizzando, oltre a quelli già esistenti, come possibile ulteriore strumento adatto a questo tipo di monitoraggio la già citata analisi del ciclo di vita;
a favorire un protagonismo dell'imprenditoria agricola italiana, al fine di incentivare l'opzione agroenergetica come fonte integrativa di reddito capace di irrobustire la capacità reddituale dell'azienda agricola nel suo complesso, rafforzando in tal modo anche la sua capacità di produrre in modo competitivo alimenti e foraggi, differenziando le varietà colturali e mitigando il rischio associato alla stagionalità ed alle fluttuazioni dei prezzi di mercato;
a provvedere ad uniformare la legislazione relativa alla definizione di sottoprodotto ed al ciclo integrato dei rifiuti, al fine di consentire l'utilizzo del materiale organico presente nel rifiuto o quale effluente di processi industriali o substrato ideale per la produzione di energia sia attraverso combustione diretta che attraverso la produzione di biogas, risolvendo le attuali problematiche e controversie circa l'identificazione di sottoprodotti da utilizzare in ambiente agricolo.
(1-00869)
(Nuova formulazione) «Servodio, Bratti, Mariani, Oliverio, Lulli, Boccia, Margiotta, Zucchi, Froner, Agostini, Benamati, Bocci, Braga, Brandolini, Marco Carra, Cenni, Colaninno, Cuomo, Dal Moro, Esposito, Fadda, Fiorio, Ginoble, Iannuzzi, Marantelli, Marchioni, Marrocu, Martella, Mastromauro, Morassut, Motta, Peluffo, Mario Pepe (PD), Pizzetti, Portas, Quartiani, Realacci, Sanga, Sani, Scarpetti, Federico Testa, Trappolino, Vico, Viola, Zunino».

ERRATA CORRIGE

Mozione Delfino e altri n. 1-00905 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 601 del 9 marzo 2012. Alla pagina 28731, seconda colonna, dalla riga settima alla riga ottava, deve leggersi: «elettrica e 5,7 mtep di energia termica;» e non «elettrica e 5,7 megawatt di energia termica;», come stampato.

Mozione Bossi e altri n. 1-00912 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 601 del 9 marzo 2012. Alla pagina 28741, prima colonna, dalla riga quindicesima alla riga sedicesima, deve leggersi: «alle biomasse la produzione del 54 per cento dei 10,5 mtep di energia termica» e non «alle biomasse la produzione del 54 per cento dei 10,5 megawatt di energia termica», come stampato.