XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di lunedì 19 marzo 2012

TESTO AGGIORNATO AL 28 MARZO 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:

La Camera,
premesso che:
secondo l'ultimo rapporto Svimez il prodotto interno lordo nel Mezzogiorno, dal 2001 al 2010, ha segnato una media annua negativa, -0,3 per cento. Decisamente lontano dal + 3,5 per cento del Centro-Nord, a testimonianza del perdurante divario di sviluppo tra le due aree. In valori assoluti, a livello nazionale, il prodotto interno lordo è stato di 25.583 euro medio pro capite. Ai 29.869 euro del Centro-Nord si contrappongono i 17.466 euro del Mezzogiorno. Fra le regioni del Sud, l'Abruzzo è quella con il prodotto interno lordo pro capite più elevato con 21.574 euro; circa 2.200 euro al di sotto dell'Umbria, la regione più debole del Centro-Nord. Seguono il Molise con 19.804 euro, la con Sardegna con 19.552 euro, la Basilicata con 18.021 euro, la Sicilia con 17.488 euro, la Calabria con 16.657 euro e la Puglia con 16.932 euro. La regione più povera è la Campania, con 16.372 euro;
i dati e le previsioni per il futuro sembrano confermare che nord e sud del Paese viaggiano su strade opposte: il prodotto interno lordo del Centro-Nord è previsto a +0,8 per cento, quello del Mezzogiorno a +0,1 per cento. Per il Sud, il 2011 è stato il secondo anno consecutivo di stagnazione, dopo il forte calo del prodotto interno lordo nel biennio di crisi 2008-2009. Tutte le regioni meridionali presentano valori inferiori al dato medio nazionale e oscillano tra un valore minimo pari a -0,1 per cento della Calabria e un valore massimo pari a +0,5 per cento della Basilicata e l'Abruzzo. In mezzo, il Molise e la Campania segnano +0,1 per cento, la Puglia +0,3 per cento, la Sicilia e la Sardegna ferme allo zero per cento. La forbice del divario, dunque, si restringe e pare destinata ad aumentare;
quanto all'occupazione, nel 2010 i posti di lavoro sono calati al Sud del 5,6 per cento (-5,8 per cento nel manifatturiero) contro il -3,1 per cento del Centro-Nord. Il ricorso alla cassa integrazione, soprattutto straordinaria, è proseguito come già nel 2009: al Sud, nel 2010, le ore erogate nel settore manifatturiero in presenza di crisi strutturali sono state +146 per cento (113 milioni di ore); nel resto del Paese +163 per cento (544 milioni di ore). Da segnalare che tra il 2008 e il 2010 il manifatturiero meridionale ha perso quasi 130 mila posti di lavoro, il 15 per cento del totale, che si aggiungono ai 490 mila del Centro-Nord;
si è, dunque, di fronte al rischio concreto di una profonda de-industrializzazione di tutta l'area del meridione d'Italia. Un'eventualità questa che avrebbe effetti catastrofici sull'economia di tutto il Paese;
altro dato su cui riflettere è quello relativo al credito: il tasso di interesse, al Sud nel 2010, si è attestato al 6,2 per cento, contro il 4,8 per cento del Centro-Nord. Resta, quindi, invariato il divario di 1,4 punti percentuali, quale riflesso dell'elevata rischiosità delle imprese meridionali;
di fronte a tale scenario, è necessario focalizzare quei processi di riforma che sarebbero necessari per adeguare il sistema produttivo del Paese, e in particolare del Meridione, alle nuove condizioni competitive determinate dalla globalizzazione e dall'adesione all'euro. Appare plausibile ritenere che il processo di declino del meridione d'Italia potrà essere interrotto solo in presenza dello sviluppo di un'adeguata domanda privata e pubblica, capace nel breve periodo di attenuare gli effetti della crisi attuale e, nel medio periodo, di favorire una ripresa duratura della produzione che avrebbe come conseguenza la creazione di posizioni lavorative stabili e efficienti. Il pericolo è che, mancando tale stimolo, la

perdita di tessuto produttivo diventi permanente, aggravando i divari territoriali già marcati nel Paese;
in questo contesto, è necessario e non più differibile mettere in campo una politica industriale finalizzata a sviluppare e ramificare sul territorio una matrice tecnologica e produttiva, in particolare in settori strategici, capace di dimostrarsi autonoma e di rigenerarsi sul territorio, al fine di creare e sostenere nuova occupazione. Bisogna in questo senso far superare la congenita tendenza al «nanismo» delle piccole imprese del Mezzogiorno, irrobustire la piattaforma logistica che vede il Sud naturalmente punto d'approdo nel Mediterraneo delle correnti mercantili da e verso Oriente ed intervenire con decisione per la riqualificazione ambientale di vaste aree geografiche del Sud, a ridosso, soprattutto, di quegli agglomerati urbani densamente popolati;
quanto all'occupazione, se si analizzano gli andamenti trimestrali (con riferimento agli ultimi dieci anni) emerge che la crisi è iniziata prima al Sud e lì sembra durare più a lungo. Gli occupati al Sud sono, quindi, tornati ai livelli di dieci anni fa. In Campania lavora meno del 40 per cento della popolazione in età da lavoro, in Calabria è il 42,4 per cento, in Sicilia il 42,6 per cento;
caso unico in Europa, l'Italia sul fronte migratorio continua a presentarsi come un Paese spaccato in due: a un Centro-Nord che attira e smista flussi al suo interno corrisponde un Sud che espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla;
dal 2000 al 2009 ben 583 mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno. Nel solo 2009 sono partiti dal Mezzogiorno in direzione del Centro-Nord circa 109 mila abitanti. Riguardo alla provenienza, in testa risulta la Campania, con una partenza di 33.800 abitanti, circa il 30 per cento dell'emigrazione interna; segue la Sicilia con 23.700 partenze; la Puglia con 19.600; la Calabria con 14.200. In direzione opposta, dal Nord al Sud, si sono mosse, invece, solo 67 mila persone. In Italia lavora meno di una donna su due, ma al Sud la percentuale crolla al 30 per cento. Nel 2010 il tasso di occupazione del Nord è risultato (dati Istat) più elevato di oltre venti punti rispetto a quello dell'area meridionale (43,9 per cento). Nel caso delle donne si passa dal 56,1 per cento del Nord, al 30,5 per cento del Mezzogiorno;
a rendere più evidente il divario tra il nord e il sud del Paese, interviene un altro fattore: la forte sperequazione territoriale nell'offerta dei servizi sociali (in particolare da parte dei comuni) che costituisce un elemento di particolare criticità. Nelle regioni del Sud e delle isole si riscontrano, infatti, livelli di spesa sociale sensibilmente più bassi rispetto al Centro-Nord, con un welfare locale che nel Mezzogiorno è fortemente connotato da quote rilevanti di finanziamento proveniente da Stato e regioni;
si è, dunque, di fronte ad un quadro preoccupante: a) per il forte restringimento della base occupazionale; b) per la crescita del tasso di disoccupazione più che doppia in confronto al Nord; c) per l'allargamento dei fenomeni di scoraggiamento ed esasperate difficoltà di inclusione dei giovani nel mercato del lavoro; d) per la bassa partecipazione delle donne alla vita lavorativa, dovuta anche ai più forti ostacoli alla conciliazione tra l'impegno lavorativo e quello da dedicare alla famiglia e alla quotidianità. Queste condizioni impongono una politica economica e sociale a favore del Mezzogiorno, ma non solo nell'interesse del Meridione;
in uno scenario così critico emergono, comunque, parziali elementi positivi, come, ad esempio, quello rappresentato dal ruolo della cooperazione, peraltro riconosciuto dalla Costituzione. Si tratta di una realtà associativa solida, di un modello organizzativo di coesione e di espressione genuina del territorio, con forti elementi di dinamicità economica e occupazionale, che può rappresentare una grande opportunità di crescita per l'intera area meridionale;

non si tratta di reclamare un nuovo intervento speciale bensì di ripensare l'intera politica economica nazionale in funzione dello sviluppo del Sud: unica condizione per avviare una crescita dell'intero Paese. Solo così può di nuovo aumentare il prodotto interno lordo e, di conseguenza, riequilibrare il debito pubblico;
è interesse dell'Italia il decollo duraturo dell'economia delle regioni meridionali. È interesse, soprattutto, delle aree più sviluppate del sistema Italia, ormai, fin troppo costipate. Esse sarebbero le prime a giovarsi della ripresa e del rilancio dell'area mediterranea d'Italia, sia in termini di nuovi investimenti possibili, sia in termini di minori costi di produzione;
il sud d'Italia sconta l'impossibilità di competere sul piano della «fiscalità generale» con le altre aree depresse dell'Unione europea, soprattutto dell'Est, che offrono alle imprese condizioni fiscali durature e decisamente più favorevoli. L'opposizione dell'Unione europea all'adozione di una fiscalità differenziata all'interno di uno stesso Paese, in un regime di moneta unica nel quale Stati e regioni sono posti sullo stesso piano, oggi non ha più motivo d'essere. Appare opportuno, dunque, riflettere sulla possibilità di insistere in questa direzione pensando a interventi che della fiscalità di vantaggio ripetano i pregi (la semplicità e l'immediatezza del beneficio, la differenziazione rispetto alle aree sviluppate, la vigenza pluriennale anche se limitata nel tempo), ma che abbiano caratteristiche tecniche nuove e diverse per vecchie e nuove imprese;
il Governo e il Parlamento in queste settimane sono impegnati ad approvare provvedimenti di liberalizzazione e semplificazione. Ebbene, il ruolo della pubblica amministrazione a tutti i suoi livelli (lo Stato, le regioni, gli enti locali) può rappresentare un'opzione in più, uno strumento importante per veicolare, attraverso investimenti, soprattutto infrastrutturali, lo sviluppo delle aree meridionali, nell'interesse - è bene ripeterlo - non solo delle aree direttamente interessate, ma dell'intero sistema Paese e di quelle aziende non certo e non solo localizzate nel sud d'Italia. Esse, infatti, potrebbero essere coinvolte in un piano di investimenti sul territorio;
in questo senso appare ineludibile la necessità che le amministrazioni pubbliche, nel loro complesso, rappresentino un punto di riferimento certo ed affidabile, che siano, cioè, capaci di far fronte ai propri impegni finanziari. Purtroppo, allo stato, così non è perché versano in uno stato di profonda illiquidità e di forte indebitamento. Bisogna intervenire sull'oggettiva impossibilità delle regioni e degli enti locali del Sud ad onorare le erogazioni derivanti da impegni assunti per forniture di beni e servizi. Se in Lombardia, in Veneto o in Emilia Romagna le aziende che hanno un rapporto contrattuale con la pubblica amministrazione riescono a dare continuità alle proprie attività, in Campania, in Calabria o in Sicilia le aziende che hanno un rapporto con la pubblica amministrazione sono costrette a chiudere le proprie attività per mancanza di liquidità o addirittura per l'insolvenza degli enti locali. In Lombardia, infatti, gli enti locali erogano i loro impegni derivanti da forniture di beni e servizi mediamente con 120 giorni di ritardo; in Campania pagano i loro fornitori con 365 giorni di ritardo; in Calabria si raggiungono addirittura i 600 giorni di ritardo. Ottenere una commessa per un'impresa privata in queste condizioni può rappresentare una vera e propria iattura;
fino a poco tempo fa le regioni potevano utilizzare i fondi di riequilibrio, o comunque potevano ricorrere all'indebitamento. Oggi, nessuna delle due ipotesi è più percorribile. Inoltre, è necessario tenere conto del patto di stabilità, in virtù del quale alcune regioni italiane, pur avendo risorse disponibili, non possono utilizzarle, mentre altre non hanno praticamente denaro in cassa;

recentemente è stata avanzata l'ipotesi che le risorse finanziarie inutilizzate da alcune regioni possano essere rimesse in circolo con l'istituzione di un fondo di garanzia di cui il Governo sia garante per i pagamenti delle autonomie locali. Non si tratta di utilizzare le risorse di determinate regioni per sostenerne altre. La gran parte, infatti, delle risorse accantonate e inutilizzate è rappresentata da trasferimenti dello Stato, mentre solo una piccola parte di queste provengono dalla finanza locale. Anche alla luce di questa osservazione, l'opportunità avanzata merita di essere vagliata con la giusta attenzione, in quanto potrebbe rivelarsi una risorsa aggiuntiva per risolvere il problema cronico dei ritardi dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni, incoraggiando, così, in una certa misura gli investimenti privati nelle aree depresse del nostro Paese, ovviamente, non solo in quelle meridionali;
in questo scenario si tenga presente che proprio un ritrovato slancio della pubblica amministrazione, a tutti i suoi livelli, può rappresentare lo strumento, probabilmente l'unico, attraverso il quale mettere in campo interventi concreti per i necessari interventi infrastrutturali di cui il Meridione ha assolutamente bisogno. Si pensi, ad esempio, alla necessità impellente di portare a termine i lavori sul tratto autostradale della Salerno-Reggio Calabria;
infine, un aspetto su cui è necessario porre l'attenzione è quello dell'urbanizzazione del Meridione. Dal confronto con la realtà settentrionale emerge che mentre il sistema urbano del Nord è evoluto, nelle sue componenti principali e nelle grandi aree del Nord-est, la realtà urbana meridionale è rimasta invece nello stadio di «sub urbanizzazione». Secondo un noto economista americano, «per essere vincenti nella competitività urbana, le città devono essere in grado d attrarre quei lavoratori creativi che portano con sé investimenti e crescita economica. Devono essere quindi capaci di offrire loro dei luoghi piacevoli ed amichevoli, dotati di quartieri nei quali l'interazione quotidiana avvenga in modo fluido, facile ed immediato grazie ad un'offerta completa d'infrastrutture per lo svago ed il relax». Evidentemente si è molto lontani da questo obiettivo;
la città, in una società contemporanea, competitiva ed inclusiva, non può che essere il centro nevralgico della spinta produttiva. È intorno alla città che si deve creare quel tessuto articolato di insediamenti che rappresenta la piattaforma necessaria per lo sviluppo e la produzione di una determinata area. Ebbene, è necessario investire sullo sviluppo della rete urbana del Mezzogiorno, una direzione questa indicata più volte dall'illustre meridionalista Francesco Compagna. Una necessità che si sarebbe dovuta affrontare e superare da decenni e che, invece, continua ad essere ancora una questione irrisolta, un'incredibile emergenza. In particolare, appare necessario intervenire per sostenere le aree metropolitane densamente popolate come quella di Napoli, facendone il centro nevralgico per lo sviluppo e promozione di una concreta politica economica del meridione;
questa necessità si inquadra nell'ottica degli obiettivi della Commissione europea che già nel 1999, in merito al processo di integrazione del continente, specificava che uno degli obiettivi principali era la «creazione di zone dinamiche di integrazione distribuite equamente sul territorio europeo e costituite da reti di regioni metropolitane di facile accesso internazionale e da città e zone rurali ad esse collegate»;
recentemente la Commissione europea ha deciso di modificare alcune delle regole dei fondi strutturali destinati agli investimenti nelle aree depresse. L'Italia potrà abbassare la quota di cofinanziamento nazionale dal 50 al 25 per cento: si rendono, così, disponibili ben otto miliardi di risorse europee, un'opportunità importante che non si può sprecare,


impegna il Governo:


a delineare, attraverso il confronto con le diverse realtà produttive economiche,

sociali ed istituzionali che possono essere coinvolte, un piano organico di interventi che abbia come obiettivo strategico, in chiave nazionale, lo sviluppo del Sud, unica condizione questa per avviare una crescita dell'intero Paese, poiché solo così può di nuovo aumentare il prodotto interno lordo e di conseguenza può essere riequilibrato il debito pubblico;
ad investire una quota rilevante delle risorse rese disponibili dalla Commissione europea attraverso l'abbassamento della quota di cofinanziamento, specificatamente per il rafforzamento delle reti urbane con particolare interesse al potenziamento delle aree metropolitane del Mezzogiorno;
a sviluppare interventi organici, anche tramite una sostenibile fiscalità di vantaggio, finalizzati al potenziamento, in particolare dell'iniziativa privata, affinché si ramifichi nel territorio, superando la congenita tendenza al nanismo del sistema imprenditoriale del Meridione;
ad irrobustire la piattaforma logistica che vede il sud d'Italia quale naturale punto d'approdo nel Mediterraneo delle correnti mercantili da e verso Oriente;
ad intervenire con decisione per la riqualificazione ambientale di vaste aree geografiche del Sud, a ridosso, soprattutto, degli agglomerati urbani densamente popolati;
a sviluppare un piano di interventi infrastrutturali, affinché il sud d'Italia non resti di fatto separato dal resto del Paese e dall'Europa, non essendo possibili turismo, commercio, sviluppo, occupazione senza l'esistenza di trasporti e vie di comunicazioni efficienti;
a sviluppare interventi organici finalizzati a valorizzare il ruolo e l'incidenza del modello cooperativo, facendone uno dei possibili pilastri su cui costruire una strategia politico-economica complessiva per il rilancio del Meridione.
(1-00930)
«Ossorio, Nucara, Brugger».

La Camera,
premesso che:
la Banca centrale europea il 28 febbraio 2012 ha effettuato un nuovo maxi prestito della durata di tre anni: 800 banche europee hanno ottenuto liquidità pari a 529,5 miliardi di euro, di cui 139 miliardi di euro a istituti italiani, al tasso di interesse dell'1 per cento, dopo l'altrettanto importante collocamento del 21 dicembre 2011 con il quale, allo stesso bassissimo tasso di interesse, l'Eurotower aveva prestato 489 miliardi di euro a 529 banche, per un totale di più di mille miliardi di euro iniettati nel sistema bancario quasi gratuitamente per i prossimi tre anni;
la Banca centrale europea ha attuato questa operazione con il preciso obiettivo di limitare la restrizione del credito e attenuare l'impatto della crisi del debito sull'economia reale, nella dichiarata speranza che l'asta faccia affluire i crediti a famiglie e imprese attraverso la liquidità garantita alle banche; proprio per questo la Banca centrale europea, con riguardo ai 7 Paesi nei quali il credit crunch è più sentito, tra cui l'Italia, ha accettato di allargare la lista delle garanzie ammissibili anche ai prestiti bancari con criteri di idoneità nazionali;
per quel che riguarda le banche nazionali, in particolare: Banca Intesa ha ottenuto 24 miliardi di euro «per avere tutte le risorse necessarie per sostenere lo sviluppo del Paese, delle imprese e dello Stato» come ha dichiarato l'amministratore delegato Enrico Tomaso Cucchiani; Unicredit 12,4 miliardi di euro; Monte dei Paschi di Siena tra i 10 ed i 15 miliardi di euro, Ubi Banca 6 miliardi di euro, 3,5 miliardi di euro il Banco Popolare e altrettanti per Mediobanca;
l'asta di febbraio ha determinato un'iniezione di liquidità superiore alle attese della vigilia e ha beneficiato questa volta non solo i colossi ma anche molte

banche di minori dimensioni. I piccoli istituti, più radicati al territorio d'origine, hanno, negli ultimi mesi, doppiamente sofferto della crisi di liquidità nel rifinanziarsi verso banche più grandi ed era assolutamente opportuno creare anche per essi una concreta possibilità di accedere ai prestiti dell'Eurotower;
in audizione presso la Commissione bilancio della Camera dei deputati, il direttore generale dell'Associazione bancaria italiana, Giovanni Sabatini, ha garantito che «utilizzeremo la liquidità per finanziare imprese e famiglie»; allo stesso tempo il Vice Ministro dell'economia Vittorio Grilli ha dichiarato «lo scopo dell'operazione della BCE è dare liquidità al sistema che, visto il livello di incertezza, si stava avvitando verso un completo congelamento della liquidità. La finalità è consentire alle banche di prendere decisioni in modo corretto senza distorsioni e di farle continuare a operare normalmente nell'economia reale»;
all'indomani del maxi prestito della Banca centrale europea, tuttavia, le banche hanno depositato, nell'arco di un solo giorno, oltre 300 miliardi di euro presso la Banca centrale europea, cioè buona parte dei 530 miliardi di euro erogati dalla stessa banca centrale nell'asta del 28 febbraio 2012, di fatto una partita di giro che blocca completamente qualunque speranza che tali fondi servissero ad ammorbidire il credit crunch;
è però questo anche un sintomo che la fiducia nel mercato interbancario è bassissima al momento e che i requisiti di liquidità e di capitale imposti alle banche ostacolano il pieno trasferimento di questi fondi all'economia reale;
la pesante crisi economico-finanziaria che ha investito i mercati di tutto il mondo ha evidenziato l'importanza della patrimonializzazione degli istituti di credito e gli eccessivi livelli di rischio che questi ultimi assumono; il crac di Lehman Brothers di due anni fa ha fatto drammaticamente emergere l'abuso della leva finanziaria da parte degli istituti di credito e il problema della qualità degli strumenti finanziari detenuti dalle banche stesse;
sicuramente gli effetti della crisi del sistema finanziario avrebbero potuto essere più contenuti se il principio della separazione tra banche commerciali e banche d'affari fosse stato in vigore nel nostro Paese;
solo attraverso questa separazione risulterebbe valorizzata la «banca tradizionale» che raccoglie depositi dai cittadini ed eroga credito ai cittadini stessi e al sistema produttivo. Infatti, il sistema produttivo è la principale vittima del modello di «banca universale» e della crisi finanziaria: il tessuto imprenditoriale, costituito in Italia per più del 95 per cento da piccole e medie imprese, ha risentito e continua a risentire pesantemente del fenomeno del credit crunch;
una crisi provocata dalle banche sta distruggendo l'economia reale, sta mettendo in ginocchio la gente comune, colpita da manovre economiche procicliche che aumentano la pressione fiscale diretta ed indiretta, causano l'aumento indiscriminato dei prezzi, anche dei prodotti di prima necessità, con una significativa perdita di potere di acquisto da parte delle famiglie. Se è vero che in questa fase i tassi di interesse sono molto bassi, è vero anche che gli spread sui mutui e sui prestiti sono a livelli mai visti prima: le banche stanno ribaltando sui cittadini e sulle imprese i costi della crisi e delle loro operazioni speculative. Per evitare, quindi, di ricadere nei drammatici errori commessi negli ultimi vent'anni e salvaguardare l'economia reale dalla finanza occorre separare le attività delle banche d'affari;
i nuovi accordi europei in tema di patrimonializzazione delle banche, necessari per tentare di ridare stabilità ad un sistema finanziario sull'orlo del collasso, stanno costringendo le banche a continue ricapitalizzazioni, che, insieme ad un sempre più prudenziale approccio degli istituti di credito, sta strozzando le imprese;
le regole di «Basilea 3», che entro il 30 giugno 2012 prenderanno la forma di

una direttiva e di un regolamento, rischiano di contribuire negativamente alla recessione in corso. Accrescendo i requisiti di capitale e rendendo più severe le regole di computazione dei mezzi patrimoniali e di governo e controllo del rischio di liquidità, si pongono le premesse per una probabile, ulteriore, restrizione della concessione del credito alle imprese in generale, alle piccole e medie imprese in particolare, limitando la quantità erogabile o accrescendone il prezzo;
le regole di «Basilea 3» sono definite nella logica, discriminante e arbitraria, della «taglia unica» per corpi diversi. Regole uniche per modelli di attività bancaria molto differenti tra loro (wholesale, retail, investment, universal, commercial), per aziende bancarie con diversa natura giuridica e differente funzione obiettivo (società di capitali e di persone; società per azioni quotate e non quotate; società cooperative a mutualità prevalente e non prevalente), per aziende bancarie di dimensioni diversissime (da 10 mila ad 1 sportello) e, soprattutto, con modelli operativi caratterizzati da livelli diversi di propensione al rischio;
la «taglia unica» sfida frontalmente uno dei caratteri genetici della democrazia economica e della libertà d'impresa tipiche della storia e della cultura europea. È un'impostazione di comodo per i regolatori ed i supervisori europei che non fanno il minimo sforzo per predisporre ed applicare regole proporzionate e adeguate a seconda delle dimensioni, delle finalità, del modello giuridico e di business;
in Europa esistono migliaia di banche di piccole e medie dimensioni, che per dimensioni e struttura difficilmente possono essere la causa di un rischio sistemico al pari di colossi transnazionali che, invece, proprio perché sono «too big to fail», devono essere sottoposti a controlli e discipline molto rigorosi. È bene ribadire, infatti, che la fonte originaria della crisi che si sta attraversando è stata la finanza speculativa, alimentata da banche di investimento internazionali, e consentita nel recente passato da alcune zone d'ombra di applicazione delle norme prudenziali,


impegna il Governo:


ad agire in sede comunitaria affinché possano partecipare ad eventuali future aste a tasso agevolato da parte della Banca centrale europea soggetti scelti non solo in base alle garanzie che sono in grado di offrire, ma anche sulla base dell'impiego che intendono fare di denaro di fatto pubblico, privilegiando con una quota riservata le banche che tradizionalmente dedicano almeno l'80 per cento della propria liquidità al prestito all'impresa, alle famiglie e all'economia reale;
a farsi portavoce in sede comunitaria della necessità di escludere da future aste a tasso agevolato da parte della Banca centrale europea, indipendentemente dalle garanzie e dai requisiti patrimoniali che siano in grado di presentare, gli istituti a prevalente attività speculativa ed il cui portafoglio abbia registrato negli ultimi 5 anni un'attività in derivati superiore al 30 per cento.
(1-00931)
«Comaroli, Dozzo, Giancarlo Giorgetti, Montagnoli, Fogliato, Lussana, Fugatti, Fedriga, Alessandri, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Consiglio, Crosio, D'Amico, Dal Lago, Desiderati, Di Vizia, Dussin, Fabi, Fava, Follegot, Gidoni, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lanzarin, Maggioni, Maroni, Martini, Meroni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Polledri, Rainieri, Reguzzoni, Rondini, Rivolta, Stefani, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli, Volpi».

La Camera,
premesso che:
il Governo italiano ha assunto, in sede europea, l'impegno ad attuare una serie di misure di politica economica

volte a sostenere la crescita dell'economia, individuando tra queste la revisione strategica dei programmi - nazionali e regionali - cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013 che determini una maggiore concentrazione sugli investimenti in grado di determinare effetti diretti sulla competitività e la crescita del Paese ed un maggior orientamento delle politiche ai risultati;
non è più eludibile imprimere ogni utile impulso alla crescita dell'Italia e la politica di coesione offre un ampio potenziale contributo ancora inespresso per elevare il tasso di crescita dell'economia italiana;
nel corso dell'ultimo anno è stato costruito un proficuo rapporto di cooperazione istituzionale rafforzata tra il Governo e le regioni che ha consentito di avviare a realizzazione il piano nazionale per il Sud, approvato il 26 novembre 2010, e di accelerare l'attuazione dei programmi cofinanziati 2007-2013, scongiurando il rischio di disimpegno delle risorse comunitarie al 31 dicembre 2011;
al fine di sostenere lo sviluppo dell'occupazione nel Meridione d'Italia, con l'articolo 2 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, ha previsto il credito di imposta per nuovo lavoro stabile nel Mezzogiorno;
il 6 ottobre 2011 la Commissione europea ha comunicato al Governo italiano l'approvazione del credito d'imposta previsto dal «decreto sviluppo» per l'assunzione a tempo indeterminato nelle aree del Sud Italia;
il 7 novembre 2011 è stato sottoscritto, con il Commissario europeo alla politica di coesione Hahn, il piano d'azione coesione che, in attuazione del primo impegno assunto dal Governo italiano con la Commissione europea con la lettera del Presidente del Consiglio dei ministri del 26 ottobre 2011, dettaglia le azioni di revisione strategica dei programmi cofinanziati, stabilisce un calendario di esecuzione preciso e promuove quel miglioramento dell'efficacia dei programmi cofinanziati, che è necessario per accrescere il loro contributo alla crescita del Paese e sostenere lo sforzo che l'Italia sta compiendo per assicurare condizioni di stabilità alla propria economia;
il 15 dicembre 2011 sono stati definiti gli interventi puntuali che saranno, in attuazione del piano d'azione, finanziati sui quattro assi strategici relativi a istruzione, banda larga, occupazione e ferrovie;
il 7 febbraio 2012 è stato inviato alla Commissione europea l'aggiornamento del piano d'azione e coesione che tiene conto delle attività istruttorie compiute dal nucleo di valutazione e verifica del dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica del Ministero dello sviluppo economico e dell'unità valutazione della direzione generale della politica regionale della Commissione europea, con l'obiettivo di «rappresentare anche quantitativamente la teoria del cambiamento alla base della strategia»;
il decreto legislativo n. 88 del 2011, in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali (articolo 119, comma quinto, della Costituzione) ha:
a) ridefinito la finalizzazione del fondo per le aree sottoutilizzate, che ha assunto la denominazione di fondo per lo sviluppo e la coesione;
b) introdotto nuove regole di responsabilizzazione dei soggetti pubblici titolari dell'utilizzo di tali risorse;
c) previsto, per accelerare la realizzazione degli interventi e garantire la qualità degli investimenti, il «contratto istituzionale di sviluppo», che destina le risorse aggiuntive e definisce responsabilità, tempi e regole di realizzazione degli interventi programmati, le sanzioni per eventuali inadempienze e le condizioni per l'attivazione di poteri sostitutivi;

la delibera Cipe n. 62 del 3 agosto 2011 ha disposto il finanziamento, a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione di competenza regionale, di interventi prontamente cantierabili riguardanti le grandi opere strategiche nazionali e regionali ferroviarie e viarie essenziali per ricucire Nord e Sud del Paese. In particolare, la citata la delibera assegna 1,6 miliardi di euro a favore di interventi strategici nazionali e 5,8 miliardi di euro a favore di 128 infrastrutture di rilievo interregionale e regionale, riguardanti non soltanto strade e ferrovie, ma anche schemi idrici, porti e interporti, aree d'insediamento produttivo, banda larga;
la delibera Cipe n. 78 del 30 settembre 2011, a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione di competenza regionale, ha approvato un programma di investimenti nel sistema universitario delle regioni del Mezzogiorno, che assegna complessivi 1.027 milioni di euro, di cui circa 150 milioni di euro a favore di tre poli di ricerca di eccellenza in Calabria/Sicilia, Campania e Puglia, e 877,4 milioni di euro in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Puglia, Sardegna e Sicilia, per il finanziamento di infrastrutture quali laboratori didattici e di ricerca, biblioteche, mense, attrezzature tecnologiche e informatiche, case dello studente, ristrutturazioni e nuove costruzioni di edifici universitari;
il Cipe nella seduta del 20 gennaio 2012, confermando l'impianto generale della delibera Cipe n. 78 del 30 settembre 2011 e senza alterare le assegnazioni totali e l'articolazione regionale dei finanziamenti, ha previsto modifiche riguardanti alcuni interventi, in particolare nelle regioni Campania e Calabria;
il Cipe nella seduta del 20 gennaio 2012 ha assegnato circa 750 milioni di euro, a carico della programmazione regionale del fondo per lo sviluppo e la coesione, per il completo finanziamento degli interventi rientranti in specifici accordi di programma già sottoscritti tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le singole regioni del Mezzogiorno per il contrasto del rischio idrogeologico relativo a frane e versanti;
complessivamente le risorse assegnate dalla citata delibera Cipe n. 62 del 3 agosto 2011 ammontano a circa 7,5 miliardi di euro, che consentono di attivare un volume di investimenti di circa 30 miliardi di euro;
complessivamente le risorse assegnate dalla citata delibera Cipe n. 78 del 30 settembre 2011 ammontano a circa 1 miliardo di euro, che consente di attivare un volume di investimenti di circa 1,2 miliardi di euro;
complessivamente le risorse assegnate dal Cipe nella seduta del 20 gennaio 2012 per il contrasto del rischio idrogeologico relativo a frane e versanti nel Mezzogiorno ammontano a circa 680 milioni di euro, che consente di attivare un volume di investimenti di circa 750 milioni di euro;
la delibera Cipe n. 62 del 3 agosto 2011 è stata registrata alla Corte dei conti il 21 dicembre 2011 ed è stata pubblicata in Gazzetta ufficiale il 31 dicembre 2011;
la delibera Cipe n. 78 del 30 settembre 2011 è stata registrata alla Corte dei conti il 9 gennaio 2012 ed è stata pubblicata in Gazzetta ufficiale il 21 gennaio 2012;
il comma 2 dell'articolo 1 del decreto-legge 13 agosto 2011, n 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, ha escluso dalla riduzione disposta dal decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 11, le risorse destinate alla programmazione regionale nell'ambito del fondo per le aree sottoutilizzate;
le delibere Cipe n. 62 e 78 prevedevano la sottoscrizione dei contratti istituzionali di sviluppo, quale strumento attuativo

per la definizione delle responsabilità, dei tempi e delle regole di realizzazione degli interventi programmati, delle sanzioni per eventuali inadempienze e delle condizioni per l'attivazione di poteri sostitutivi;
la delibera Cipe riguardante gli interventi per il contrasto del rischio idrogeologico relativo a frane e versanti nel Mezzogiorno è in corso di formalizzazione;
l'effettivo utilizzo del credito di imposta per l'occupazione stabile nel Mezzogiorno è subordinato all'adozione del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, che, oltre a stabilire i limiti di finanziamento garantiti da ciascuna delle regioni, dovrà stabilire le disposizioni di attuazione, così come stabilito dal comma 8 dell'articolo 2 dello stesso decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70;
pur in presenza di un grande e utile sforzo da parte delle autorità regionali e nazionali responsabili dell'attuazione dei programmi cofinanziati, permangono potenziali rischi connessi all'andamento della spesa che potrebbero determinare disimpegni automatici al 31 dicembre 2012,


impegna il Governo:


a sottoscrivere nel più breve tempo possibile i contratti istituzionali di sviluppo o, in alternativa, ad individuare gli strumenti più efficaci per avviare concretamente la realizzazione degli investimenti previsti nelle delibere del Cipe n. 62 e 78 e di quelli relativi al contrasto del rischio idrogeologico relativo a frane e versanti nel Mezzogiorno;
a sottoporre alle prossime riunioni del Cipe tutti i progetti, in attesa di approvazione, relativi alle opere finanziate con le delibere del Cipe n. 62 e 78, al fine di avviare concretamente la realizzazione degli stessi;
ad assegnare nel più breve tempo possibile alle regioni del Mezzogiorno le risorse residue del fondo per lo sviluppo e la coesione valutabili in oltre 6,7 miliardi di euro;
ad adottare nel più breve tempo possibile il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, che dovrebbe stabilire i limiti di finanziamento garantiti da ciascuna delle regioni e le disposizioni di attuazione del credito d'imposta per nuovo lavoro stabile nel Mezzogiorno;
a confermare il meccanismo di accelerazione nell'attuazione dei programmi cofinanziati previsto dalla delibera del Cipe n. 1 del 2011 e fissato dalla decisione del Comitato nazionale per il coordinamento e la sorveglianza della politica regionale unitaria in termini di impegni giuridicamente vincolanti assunti al 31 maggio 2012, pari al 100 per cento dell'importo di spesa in scadenza al 31 dicembre 2012, di spesa da certificare, pari al 70 per cento dell'importo di spesa in scadenza al 31 dicembre 2012, e di impegni giuridicamente vincolanti assunti al 31 dicembre 2012, pari al 60 per cento dell'importo della spesa in scadenza al 31 dicembre 2013.
(1-00932)
«Cicchitto, Fitto, Baldelli, Cosenza, Savino».

La Camera,
premesso che:
attraverso la strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione, negli ultimi anni l'azione dell'Unione europea ha cercato di favorire la diminuzione dei tassi di disoccupazione, rafforzando le misure volte non solo a proteggere i posti di lavoro esistenti, ma anche a creare nuove opportunità: oltre 10 miliardi di euro, infatti, vengono investiti ogni anno a titolo del fondo sociale europeo per migliorare l'occupabilità della popolazione;

a dodici anni dalla strategia di Lisbona, le istituzioni comunitarie si rendono conto che c'è ancora molto da fare e che gli indici in essa previsti sono difficili da raggiungere;
nel nostro Paese, in questa particolare congiuntura economica, le aziende in difficoltà hanno prodotto un crescente esercito di disoccupati e le fasce che hanno risentito e risentono di più della mancanza di opportunità lavorative sono i giovani, in generale, e quelli delle aree sottoutilizzate del Paese, in particolare;
a gennaio 2012 il tasso di disoccupazione si è attestato al 9,2 per cento, in aumento di 0,2 punti percentuali in termini congiunturali e di un punto rispetto al 2011. Il tasso di disoccupazione giovanile, ovvero l'incidenza dei 15-24enni disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca di lavoro, è pari al 31,1 per cento, in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto a dicembre 2011;
secondo il rapporto Svimez 2011 sull'economia del Mezzogiorno, due giovani su tre sono senza un'occupazione e la crescita dei senza lavoro riguarda, soprattutto, la componente femminile. Alla fine del 2011 il tasso di disoccupazione delle giovani donne che risiedono al Sud era pari al 39 per cento, quindi, quasi quattro ragazze su dieci. Aumentano, inoltre, i giovani «neet» (not in education, employment or training) con alto livello di istruzione: quasi un terzo dei diplomati ed oltre il 30 per cento dei laureati meridionali under 34 non lavora e non studia. Sono circa 167 mila i laureati meridionali fuori dal sistema formativo e del mercato del lavoro, con situazioni critiche in Basilicata e Calabria;
sempre secondo il rapporto Svimez 2011, su 533 mila posti di lavoro in meno in tutto il Paese dal 2008 al 2010, ben 281 mila sono stati nel Mezzogiorno. Con meno del 30 per cento degli occupati italiani, al Sud si concentra, dunque, il 60 per cento della perdita di posti di lavoro. Particolarmente forte è la diminuzione in Basilicata (dal 48,5 al 47,1 per cento) e in Molise (dal 52,3 al 51,1 per cento). Valori drammaticamente bassi e in ulteriore diminuzione si registrano in Calabria (42,2 per cento) e Sicilia (42,6 per cento);
questi sono i dati drammatici di un'emergenza nazionale e, soprattutto, meridionale senza precedenti, che non può più essere sottovalutata. Il Mezzogiorno e, in particolare, i giovani del Sud continuano ad essere penalizzati ed esclusi dal mondo del lavoro. Se poi a questi dati, si aggiungono quelli altrettanto allarmanti delle famiglie in condizioni di povertà, che secondo l'Istat sono allocate soprattutto al Sud, lo scenario diventa ancora più preoccupante;
non è un caso che tra il 2001 e il 2011 si è registrata una ripresa dell'emigrazione verso il Nord con un flusso migratorio di circa 600 mila residenti dal Mezzogiorno;
gli interventi in favore del Mezzogiorno adottati negli ultimi anni non hanno prodotto gli effetti desiderati e non sono apparsi in grado di frenare l'emorragia di posti di lavoro e di rilanciare l'economia nelle regioni del Mezzogiorno;
di fronte a questi dati occorre considerare quali strumenti possono venire in soccorso per cercare di invertire una tendenza che penalizza i ragazzi italiani, specie se si confrontano le esperienze maturate in altri Paesi membri dell'Unione europea, dove le politiche attive per il lavoro sono certamente un passo avanti rispetto a quanto avviene nel nostro Paese;
il trattato istitutivo dell'Unione europea vieta gli aiuti concessi dagli Stati alle imprese sotto qualsiasi forma, in quanto incompatibili con il mercato comune. Tuttavia, esistono delle possibilità, delle eccezioni previste dall'ordinamento comunitario, che consentono di utilizzare le preziose risorse finanziarie europee. Basti considerare che le risorse destinate dal fondo sociale europeo all'Italia per il periodo 2007-2013 ammontano ad oltre 15 miliardi di euro;

una di queste eccezioni è rappresentata dagli aiuti concessi alle imprese in regime di de minimis destinati a favorire lo sviluppo economico delle aree sottoutilizzate in cui ci sia una grave forma di disoccupazione;
una volta accertata la presenza di un sistema di aiuti praticabile occorre stabilire quale sia lo strumento più idoneo; a tale riguardo tornano utili le recenti dichiarazioni del Ministro del lavoro e delle politiche sociali che ha definito il contratto di apprendistato il modello contrattuale di ingresso nel mondo del lavoro, così come anche auspicato nel documento che sindacati e imprese avevano consegnato al Governo tempo fa,


impegna il Governo:


ad assumere le iniziative necessarie per definire a livello nazionale un quadro di norme finalizzato a rendere interamente fruibili dai giovani, donne e uomini delle regioni meridionali del nostro Paese, le risorse attualmente disponibili a valere sui fondi dell'Unione europea;
ad assumere iniziative per prevedere, in particolare, un nuovo sistema di agevolazioni finalizzato alla formazione e al lavoro che responsabilizzi in maniera diretta i giovani in cerca di occupazione, utilizzando precipuamente lo strumento del contratto di apprendistato;
ad adottare concrete iniziative finalizzate alla riqualificazione del capitale sociale del Sud, anche attraverso consistenti investimenti nella scuola, nell'attività di contrasto alla cultura dell'illegalità e alle mafie, tali da generare un tessuto più favorevole alla crescita economica e allo sviluppo del Mezzogiorno;
a considerare l'opportunità di riprogrammare concretamente l'utilizzo delle risorse comunitarie in progetti strategici, soprattutto in reti infrastrutturali di trasporto e di collegamento propedeutiche ad abbattere le barriere allo sviluppo delle regioni del Sud;
a promuovere l'effettivo utilizzo del credito d'imposta per i nuovi occupati al Sud, attualmente ancora non operativo a causa dei ritardi della Conferenza Stato-regioni, che non ha ancora individuato l'ammontare delle risorse da destinare a questo importante intervento;
a considerare l'opportunità di indirizzare le nuove politiche industriali di sviluppo nel Mezzogiorno verso settori emergenti, soprattutto nel campo della green economy e del turismo;
ad utilizzare le maggiori risorse provenienti dall'esclusione della quota nazionale dei fondi cofinanziati dal patto di stabilità, destinandole in via principale all'attuazione di forme di fiscalità di vantaggio nelle aree sottoutilizzate del Paese;
a dar seguito all'applicazione dell'articolo 2-bis del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, che prevede, in coerenza con la decisione assunta nel «Patto Europlus» del 24-25 marzo 2011 e con il piano per il Sud approvato dal Consiglio dei ministri il 26 novembre 2010, l'uso del credito d'imposta per gli investimenti nelle aree sottoutilizzate, attraverso l'utilizzo dei fondi strutturali europei, già nella disponibilità delle regioni del Sud.
(1-00933)
«Occhiuto, Tassone, D'Ippolito Vitale, Nunzio Francesco Testa, Zinzi, Cera, Ruggeri, Ria, Carlucci, Mereu, Naro, Poli».

La Camera,
premesso che:
il complesso scenario economico italiano, aggravato dalle conseguenze della crisi finanziaria, pone ancora una volta in primo piano la questione di un Paese con due differenti velocità di sviluppo;
nel Mezzogiorno risiede un terzo della popolazione, si produce solo un quarto del prodotto interno e si genera soltanto un decimo delle esportazioni italiane.

Un innalzamento duraturo del tasso di crescita di tutto il Paese non può prescindere dal superamento del sottoutilizzo delle risorse al Sud;
le prime valutazioni effettuate dalla Svimez ipotizzano per il 2012, in un quadro di recessione, un ulteriore ampliamento del divario tra Nord e Sud, con un differenziale negativo di circa mezzo punto al Sud rispetto alla media nazionale, che dovrebbe far segnare una flessione del prodotto interno lordo di oltre l'1 per cento;
anche le misure economiche degli ultimi anni, miranti al necessario aggiustamento dei conti pubblici, non hanno tenuto conto delle diversità territoriali, determinando effetti maggiormente negativi nel Mezzogiorno;
negli ultimi anni si è avvertita l'assenza, nei programmi di Governo, di un respiro strategico, volto a ridurre il gap economico, infrastrutturale e sociale del Sud;
il Mezzogiorno italiano è ancora privo di quella rete di infrastrutture essenziale per lo sviluppo. In uno Stato autenticamente federale tutte le regioni devono essere dotate degli stessi strumenti e delle stesse infrastrutture. La realizzazione di una perequazione infrastrutturale rappresenta un elemento essenziale del federalismo e condizione necessaria per un federalismo fiscale equo. Prima di determinare il flusso delle risorse standard occorre livellare i servizi, rendendo omogenea la loro offerta su tutto il territorio e dotando, quindi, tutte le regioni di infrastrutture di pari livello;
esiste il pericolo reale che il federalismo fiscale, disgiunto da una compiuta perequazione infrastrutturale, si traduca in uno strumento di svantaggio ed impoverimento, trasferendo risorse dalle aree più povere a quelle più ricche, e che il divario tra queste due da incolmato divenga incolmabile;
la crisi ha colpito in particolar modo il Sud e le politiche congiunturali, davanti alle stringenti necessità della finanza pubblica, hanno anche utilizzato risorse assegnate allo sviluppo del Mezzogiorno, come il fondo per le aree sottoutilizzate, distraendole dalle finalità proprie. Per lungo tempo si è assistito a dissennati tagli operati sulla dotazione del fondo per le aree sottoutilizzate per finanziare interventi di diversa natura, non sempre corrispondenti a finalità di sviluppo e quasi sempre non localizzati nel Mezzogiorno;
grazie alla posizione geografica ed alla dotazione di porti e aeroporti, il Sud può svolgere un ruolo di cerniera negli scambi commerciali tra Europa, Mediterraneo e Paesi del far east e raccogliere le nuove opportunità del contesto competitivo internazionale. Per il Sud italiano, così come per altri Sud europei, potrebbe aprirsi una prospettiva inedita, rappresentata dai crescenti flussi commerciali e finanziari provenienti dall'Asia e dall'Africa, da Medio Oriente, Cina, India, Giappone, Oceania e che potrebbero trasformarlo in uno dei principali poli dello sviluppo mondiale di questo nuovo secolo;
i dati sull'andamento dell'occupazione hanno evidenziato come proprio nelle regioni del Sud si siano concentrate le riduzioni più significative di posti di lavoro, legate, soprattutto, al fenomeno della desertificazione industriale. Nel Mezzogiorno una persona su due è fuori dal mercato del lavoro regolare: in valori assoluti, sette milioni di uomini e donne che convivono con lavori in nero o precari. Inoltre, è al Sud che vive un esercito di oltre due milioni di giovani, i cosiddetti «neet» (acronimo che sta per «not in education, employment or training», ovvero che non lavorano, non studiano e non seguono corsi di formazione), che sono praticamente invisibili poiché vivono in una zona grigia fatta di lavoro irregolare, occupazione estemporanea e lavori saltuari e che rappresentano la faccia più impietosa della crisi economica;
la stessa crisi ha evidenziato la distanza tra soggetti tutelati e lavoratori

precari privi di garanzie; una polarizzazione che si riflette anche a livello territoriale, tra Nord e Sud, dove sono numerose le famiglie monoreddito. Problemi che richiedono un'attenzione particolare, anche rispetto alle politiche sociali, rendendo necessario superare definitivamente quella visione puramente assistenzialistica e risarcitoria, che fino ad oggi ha caratterizzato le scelte delle politiche del welfare;
la disoccupazione ufficiale al Sud è quasi 2,5 volte quella del Nord: secondo l'ultimo dato ufficiale diramato dall'Istat si aggira attorno al 35/40 per cento, dato che, però, non tiene conto di coloro i quali, ed al Sud sono tanti, scoraggiati, non si iscrivono alle liste di collocamento. Ciò alimenta quella parte di disoccupazione definita «grigia», nella quale confluisce chi non cerca lavoro: inoccupati impliciti e lavoratori potenziali, serbatoio naturale per i fenomeni di occupazione illegale;
soprattutto, preoccupa quello che la Svimez ha definito «spreco generazionale inaccettabile», cioè il dato che vede in crescita nelle regioni meridionali la quota dei giovani neet con alto livello di istruzione. Oltre un terzo dei laureati del Mezzogiorno under 34 è inattivo (36,6 per cento), rispetto al 21,9 per cento del Centro e al 15,5 per cento del Nord. Addirittura la differenza con le regioni settentrionali diventa enorme se si considera il tasso di inattività dei diplomati under 34. Al Sud la percentuale arriva addirittura al 38,5 per cento, al Centro è meno della metà (18,3 per cento), al Nord meno di un terzo (12,5 per cento);
un altro recente dossier Svimez, «La condizione e il ruolo delle donne per lo sviluppo del Sud», denuncia che nel 2010 nel Mezzogiorno ha lavorato regolarmente meno di una giovane su quattro, con un tasso di occupazione fermo al 23,3 per cento, e che le donne meridionali laureate, anziché essere oggetto di politiche di sviluppo, restano a casa con bambini e anziani, prigioniere di un welfare che ostacola la conciliazione lavoro-famiglia, nonostante, sempre nel 2010, le meridionali laureate sono state il 18,9 per cento sul totale della popolazione tra i 30 e i 34 anni, quasi 7 punti in più dei maschi (12,3 per cento);
i tassi di scolarizzazione in Italia presentano divari sfavorevoli al Meridione e sono accompagnati da un parallelo aumento del tasso di abbandono, dovuto alle condizioni di degrado sociale e familiare. Negative sono anche le evidenze in termini di «qualità» della formazione, dal momento che gli studenti meridionali che terminano la loro carriera accademica hanno maggiori difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro. Si genera così un ampio fenomeno migratorio dei «cervelli» (brain drain) che lasciano le regioni del Sud, provocando un depauperamento del capitale umano disponibile;
con riferimento alle imprese del Mezzogiorno, il sistema produttivo è legato a fattori strutturali di debolezza che riguardano le dimensioni piccole o piccolissime delle imprese di quest'area, spesso a gestione familiare, operanti prevalentemente in settori a basso valore aggiunto e con una conseguente scarsa propensione a investire nell'innovazione e in ricerca e sviluppo. Tra le condizioni di contesto capaci di favorire, nel medio periodo, la crescita del sistema economico meridionale c'è senza dubbio anche la crescita degli investimenti in ricerca ed innovazione, unica risposta lungimirante rispetto alla perdita di competitività delle produzioni e dei servizi rispetto a quelle dei Paesi emergenti e a quelle dei Paesi tecnologicamente più avanzati;
occorre, pertanto, mettere a regime forme di credito d'imposta automatico sugli investimenti in ricerca, innovazione e formazione, nell'ambito di un più vasto sistema di fisco premiale per le imprese disposte ad investire nel Mezzogiorno;
la mancata soluzione al problema della sicurezza complica ogni ipotesi di sviluppo per le regioni meridionali. Permane, infatti, una forte presenza della

criminalità organizzata, che tenta di infiltrarsi nei grandi appalti per opere pubbliche e tenta di condizionare l'attività d'impresa, e della microcriminalità, che peggiora la qualità della vita nei centri urbani, aumentando il disagio sociale. Questa situazione richiede un impegno forte da parte dello Stato per assicurare condizioni di legalità e di sicurezza alle imprese ed ai cittadini;
occorre salvaguardare e rilanciare il patrimonio produttivo meridionale, scongiurando la fuga dell'industria manifatturiera e l'ampliarsi dei fenomeni di delocalizzazione e intervenendo sulla promozione d'impresa, sostenendo con servizi innovativi i settori d'eccellenza, quali il turismo sostenibile, l'agroalimentare tipico, le attività ad alto contenuto tecnologico;
la capacità di realizzare politiche di sviluppo mirate, in particolare ottimizzando l'utilizzo dei fondi europei, è divenuta il principale motore della crescita di molti Paesi europei, simili al Mezzogiorno per storia, tradizioni, condizioni economiche e collocazione geografica;
il dualismo del sistema economico italiano continua ad essere una costante, che ha, però, assunto negli ultimi anni valenze differenti, in considerazione dei vincoli e delle opportunità connessi ai processi di integrazione europea e di globalizzazione;
tutti gli indicatori economici lasciano presagire che nel prossimo biennio le regioni centro-settentrionali saranno caratterizzate da un forte impulso produttivo, che permetterà loro di raggiungere le performance europee, mentre il Mezzogiorno resterà penalizzato, dati i ritardi strutturali che da sempre ne condizionano lo sviluppo economico;
oltre alla presenza di divari «verticali» a livello nazionale, anche all'interno dello stesso Mezzogiorno vi sono differenti livelli di crescita. Alcune regioni, infatti, traggono benefici dalle risorse turistiche e da forme d'industrializzazione leggera, mentre altre permangono in situazioni di carenza infrastrutturale o di diffusa criminalità che rendono difficile un percorso univoco di sviluppo;
si rende necessario individuare formule di intervento verso il Mezzogiorno efficaci e, soprattutto, capaci di supportare la ripresa di uno sviluppo durevole e non assistenzialistico,


impegna il Governo:


a promuovere una politica di sviluppo che, sulla base della rilevata inefficacia degli interventi effettuati per il Mezzogiorno nell'ultimo decennio, tenda a privilegiare interventi infrastrutturali in una logica di concentrazione settoriale delle risorse;
a concentrare nello strumento del credito d'imposta gli interventi rivolti ad aiutare le imprese del Sud e a superare le strozzature alla loro crescita, e a promuovere il ricorso alla fiscalità di vantaggio;
ad attuare un piano di recupero di efficienza e competitività territoriale delle regioni del Mezzogiorno, attraverso la realizzazione ed il completamento definitivo di opere infrastrutturali di indubitabile importanza sotto il profilo della riduzione dei costi logistici totali di mobilità di merci e persone, integrate con le reti infrastrutturali di regioni e Paesi del Mediterraneo, grazie alle quali il Mezzogiorno potrebbe realmente rappresentare un'area strategica di operatività logistica a servizio non solo del sistema endogeno meridionale ed italiano, ma principalmente quale territorio di concentrazione e smistamento di traffico lungo le direttrici Asia-Europa e Asia-Medio Oriente-Nord-Africa;
ad assumere iniziative per riformare i programmi regionali del fondo per le aree sottoutilizzate, modificando, al contempo, la governance dell'utilizzo dei fondi e introducendo lo strumento del contratto istituzionale di sviluppo che definisce tempi, modalità e responsabilità per l'attivazione degli investimenti finanziati con

i fondi europei e nazionali destinati alle politiche di sviluppo e coesione territoriale, così come delineato nei documenti della Commissione europea relativi all'approvanda riforma della politica regionale dell'Unione europea;
ad assumere iniziative volte a promuovere, all'interno delle regole del patto di stabilità interno, meccanismi premiali finanziati con le risorse del fondo europeo per lo sviluppo regionale a favore delle regioni meridionali che si impegnano a ridurre la spesa corrente a favore di quella in conto capitale;
ad assumere un impegno straordinario per sconfiggere la criminalità organizzata e tutti quei fenomeni di illegalità, dal lavoro sommerso alla microcriminalità, che determinano un ambiente sfavorevole agli investimenti ed allo sviluppo;
a favorire lo sviluppo nelle regioni meridionali di un sistema creditizio e finanziario che sia in grado di accompagnare e promuovere la crescita dimensionale delle imprese, l'innovazione e l'internazionalizzazione;
a qualificare e semplificare, per quanto di competenza, la pubblica amministrazione, specie nelle aree meridionali, in maniera tale che diventi fornitrice di servizi efficienti alle imprese e ai cittadini;
a definire progetti finalizzati al rientro nelle regioni di provenienza dei giovani ad alta ed altissima qualificazione universitaria e post-universitaria, contribuendo in tal modo ad invertire i consistenti flussi di emigrazione che coinvolgono in modo preoccupante le migliori energie intellettuali del Mezzogiorno.
(1-00934)
«Commercio, Lo Monte, Lombardo, Oliveri, Brugger».

La Camera,
premesso che:
nel corso di una recente audizione del presidente della Svimez in Commissione bilancio, tesoro e programmazione della Camera dei deputati, sono stati illustrati, da un lato, lo scenario che si sta delineando a partire dalla crisi del 2008 fino al 2011 e, dall'altro, la proiezione per i prossimi anni, alla luce delle manovre di finanza pubblica del 2011, in termini di sviluppo dell'economia e, quindi, di crescita del Nord e del Sud del Paese;
per il 2011 le previsioni a livello nazionale, a consuntivo, sono dello 0,5-0,6 per cento, il che conferma un ritardo di crescita rispetto a Paesi come la Germania, la Francia e la Spagna: si conferma ancora una differenza tra il Mezzogiorno - che rimane allo 0,1 per cento di crescita del prodotto interno lordo - e il Nord che, rispetto all'1,7 per cento del 2010, rallenta allo 0,8 per cento nel 2011;
per il 2012 le previsioni sono di una flessione generalizzata del prodotto interno lordo dell'1,5 per cento, che si aggiunge al 6 per cento circa dei due anni di crisi più intensa, e con un Centro-Nord anch'esso in flessione dell'1,3 per cento. I divari si accentuano, dunque, sia in crescita sia in riduzione;
se il Mezzogiorno continuasse, all'interno del sistema, a registrare variazioni negative di questo genere, potrebbe tornare a raggiungere i livelli del 2007 tra trenta o quarant'anni. Il sistema italiano, invece, li raggiungerebbe in sette o otto anni;
il quadro che emerge è, dunque, quello di una forte debolezza del sistema italiano - al Nord come al Sud - che si sta aggravando nel senso di un deterioramento delle parti più deboli del sistema, ma che lo coinvolge nel suo insieme. L'idea, che tuttora circola, che il Nord sia relativamente forte e viva una crisi per così dire «congiunturale», mentre il Sud sia debole e abbia problemi strutturali è un'idea estremamente pericolosa;
il presidente della Svimez ha ribadito che l'approccio al «problema Mezzogiorno» deve essere un approccio radicalmente diverso da quello degli ultimi anni. Bisogna considerare, cioè, quali siano gli

elementi che possono rendere il Mezzogiorno - che, a parole, è riconosciuto come il comparto dell'economia che ha più potenzialità di crescita - un attore della ripresa e della crescita a livello nazionale;
questo non avverrà spontaneamente. Ad avviso della Svimez, tutte le misure che passano sotto l'etichetta di «liberalizzazioni» sono genericamente coerenti con una razionalizzazione del contesto e quindi, indirettamente, sono elementi promotori di una potenziale accelerazione della crescita, ma, certamente, non inducono la stessa e, soprattutto, non rimuovono quei fattori strutturali che bloccano il sistema almeno da quindici anni. Non è facendo una bella cornice che il quadro cambia: occorre cambiare il quadro;
è necessaria, dunque, una sollecitazione a identificare forti elementi di potenzialità di crescita sui quali puntare, per passare, poi, alla seconda fase di cui si parla: il rilancio della crescita del sistema Italia. Peraltro, il pareggio di bilancio sarà veramente complicato da raggiungere se la crescita non riprende;
per quando riguarda la produttività del lavoro in Italia, la sua dinamica molto lenta e tutto ciò che è ad essa correlato, secondo la Svimez, molto dipende da un aspetto strutturale, cioè la specializzazione italiana e meridionale, che è particolarmente sfavorevole alla dinamica della produttività nel Mezzogiorno. Dunque, occorre puntare su settori nuovi, maggiormente capaci di produrre una dinamica di competitività nel complesso favorevole;
contemporaneamente, bisogna tener conto del fatto che oggi si ha un mercato del lavoro anche eccessivamente flessibile, prodotto da leggi che a partire dal 1998 e passando per la «legge Biagi», sono state fatte per garantire una maggiore flessibilità del mercato del lavoro. Tuttavia, la scelta di rincorrere il recupero di produttività con quei metodi non ha dato risultati, se non quello di far emergere una componente dell'economia sommersa, che necessariamente porta a contenere la dinamica della produttività;
occorre, dunque, avere alcune idee strategiche sulle quali puntare. Il Mezzogiorno è in prima fila per essere protagonista di questa svolta strategica, sia direttamente - con gli operatori locali - sia, soprattutto, come responsabilità di un Esecutivo che dovrebbe dare queste indicazioni;
ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, il Mezzogiorno è stato, nella sostanza, dimenticato dall'azione del Governo precedente. Sono state anche «contro» il Sud le scelte sbagliate di politica industriale e il cattivo utilizzo delle risorse registrato in tutti questi anni;
viceversa, serve una politica che affronti i problemi delle imprese e dell'occupazione, che ne rafforzi il tessuto, ma che, al contempo, agisca sul contesto. Lo Stato deve garantire nel Mezzogiorno innanzitutto legalità, sicurezza, una giustizia adeguata e tutte le forze politiche devono porsi come vera e propria priorità quella della riforma etica della politica e dello smantellamento delle reti clientelari veicoli della corruzione e dell'infiltrazione delle organizzazioni criminali nelle istituzioni;
la previsione del 2012, per quello che riguarda il prodotto interno lordo, è di una diminuzione del 2 per cento nel Mezzogiorno, dell'1,3 per cento al Centro-Nord e dell'1,5 per cento per l'intera Italia. Le unità di lavoro evidenziano un'ulteriore caduta, con una flessione pari all'1,6 per cento al Sud, allo 0,7 per cento al Centro-Nord, quindi di nuovo una caduta quasi doppia del Sud, e allo 0,5 per cento nell'intero Paese. Gli investimenti segnalano una previsione di caduta dell'8 per cento al Sud e del 6 per cento in media in Italia. Tenendo conto che si tratta di investimenti fissi lordi, se ne evince che il sistema sta «decumulando» capitale ben al di là dell'8 per cento, perché gli investimenti netti, cioè l'incremento di capitale, sarebbero negativi di ben più dell'8 per cento o del 6 per cento citati;

è un sistema bloccato in cui, su circa 600 mila posti di lavoro persi tra il 2008 e il 2010, oltre il 50 per cento sono unità di lavoro perse nel Mezzogiorno, il quale contribuisce al totale dell'occupazione nazionale con meno del 30 per cento. Si sta intaccando, quindi, la parte più debole del Paese, con conseguenze facilmente comprensibili, anche in termini di equilibri sociali che si stanno deteriorando;
facendo un computo della disoccupazione esplicita, ossia di quella rilevata formalmente dall'Istat, dei disoccupati impliciti, cioè quelli che non si presentano per l'effetto scoraggiamento, e di quelli in cassa integrazione guadagni, nel Mezzogiorno si raggiungono tassi di disoccupazione del 25-26 per cento, mentre il medesimo tasso nel Centro-Nord è del 10 per cento circa. A livello femminile, giovanile e così via, questi tassi sono molto diversificati tra Nord e Sud, con cifre negative estremamente più rilevanti nel Mezzogiorno;
rispetto al capitale umano, ad un Sud giovane in un Paese che invecchia, il Meridione rappresenta l'area in cui il potenziale di crescita sarebbe maggiore, in cui gli spazi di specializzazione, proprio nei settori innovativi, la mancanza dei quali rende meno competitivo il Paese, permetterebbero di affrontare e risolvere, finalmente insieme, i problemi dell'Italia e quelli del suo Mezzogiorno;
si deve considerare la necessità di soluzioni innovative, di nuove aziende, di nuovi prodotti, di un nuovo stimolo, di una «frustata» all'economia che non sia - non può esserlo, date le condizioni della finanza pubblica - un'iniezione di pura spesa pubblica, ma la visione di una strategia che nel medio periodo riporti il sistema alla crescita;
sarebbero necessari interventi che aprano a una strategia mirante ad alcuni grandi obiettivi che non possono essere conseguiti nell'immediato, ma che darebbero una prospettiva di modifica della debolezza italiana da un punto di vista strutturale:
a) vi sarebbe un'urgenza e un'ampia possibilità di avere risposte positive dal sistema sul terreno del contenimento dei costi dell'energia e, quindi, dell'avvio di un comparto produttivo nuovo e rilevante, che, curiosamente, è più presente al Sud che al Centro-Nord;
b) occorrerebbe intervenire sul tema della gestione delle risorse naturali, a partire dall'acqua, che è una risorsa da valorizzare, che comporta investimenti, razionalizzazioni ed effetti sulla produttività, sul reddito a livello locale e così via;
c) infine, è necessaria una razionale politica logistica del sistema, partendo dalla premessa che l'Italia dovrebbe essere il nucleo più rilevante, all'interno dell'Unione europea, di una politica rivolta al Mediterraneo, nel senso ampio, dalla Turchia al Nord Africa. Il Mezzogiorno può, invece, rappresentare la grande opportunità italiana, anche per la sua centralità geopolitica in un Mediterraneo destinato a divenire nei prossimi anni area di libero scambio ed economia sempre più integrata. L'Italia deve essere in prima linea nel processo di ridefinizione delle reti che collegheranno le due sponde;
anche gli interventi sul settore culturale, intesi come valorizzazione dei molteplici beni culturali e come sostegno ed qualificazione delle università e degli istituti di ricerca presenti nel Mezzogiorno, possono costituire stimolo al decollo di imprese innovative e rilanciare il turismo. Si tratta di dotare il Mezzogiorno delle infrastrutture culturali che oggi mancano, determinando arretratezza e impoverimento;
con riferimento alle energie rinnovabili - soprattutto dopo l'esito del recente referendum sul nucleare, che ha cancellato il precedente obiettivo del 25 per cento di energia prodotta da fonte nucleare - c'è un vuoto che non è stato ancora colmato da un'ipotesi di una qualche strategia. Guardando anche a competitori come la Germania, che già producono il 40 per cento della loro energia attraverso fonti rinnovabili e che stanno

abbandonando anche loro il settore energetico nucleare, l'Italia ha un ampio spazio di intervento in questo campo e questo ampio spazio fisicamente si colloca in tutto il Mezzogiorno continentale, soprattutto nella parte tirrenica, che implica interventi in tecnologia, investimenti, ricerca di attrazione di capitali, tutte cose che possono essere messe in atto abbastanza rapidamente;
occorrono, però, politiche attive: le energie rinnovabili non partono da sole o hanno grosse difficoltà a partire da sole, sebbene già ora il Sud sia il produttore più rilevante di energie rinnovabili. Si pensi, in particolare, alla valorizzazione della fonte geotermica, sfruttata in America latina e negli Stati Uniti, di cui l'Italia in Europa e, probabilmente, nel mondo è il più grande réservoir non sfruttato, tenendo conto che al Nord e al Sud il costo dell'energia per le imprese è di oltre il 30 per cento superiore ai competitori stranieri. La Sardegna vede una deindustrializzazione nel settore dell'alluminio, proprio perché tali industrie sono ad alta intensità energetica;
si deve agire sulle infrastrutture: il Sud registra un deficit infrastrutturale rispetto al Centro-Nord stimato intorno al 50 per cento. Gli investimenti in opere pubbliche sono assenti. L'infrastrutturazione del Mezzogiorno deve essere pesante e pensante: ferrovie, acque, strade, aeroporti e porti, ma anche fibre ottiche, telecomunicazioni, ricerca e sviluppo;
l'intervento «aggiuntivo» per le infrastrutture a favore del Mezzogiorno ha spesso, infatti, sostituito l'intervento ordinario. La spesa in conto capitale per il Mezzogiorno è rimasta praticamente costante negli ultimi anni: ad un aumento dei finanziamenti europei (compreso il cofinanziamento nazionale) ha corrisposto una diminuzione di circa il 20 per cento delle altre fonti;
la logistica comporta un ragionamento su aspetti esistenti da razionalizzare, che facciano sistema, e, chiaramente, occorre avere delle priorità. Se la priorità è la proiezione in modo nuovo sul Mediterraneo e non solo verso l'Est Europa o verso l'Est, il Mezzogiorno diventa centrale. La Svimez ha individuato sette filiere territoriali logistiche per il Sud, sette aree che mostrano potenzialità di sviluppo come filiere territoriali logistiche rivolte all'internazionalizzazione delle produzioni e alla maggiore apertura ai mercati esteri: area vasta dell'Abruzzo meridionale; area vasta del basso Lazio e dell'alto casertano; area vasta torrese-stabiese; area vasta pugliese Bari-Taranto-Brindisi; area vasta della piana di Sibari; area vasta catanese (Sicilia orientale); area vasta della Sardegna settentrionale;
con un compiuto sistema dei trasporti nel Mezzogiorno e una strategia di sviluppo basata su piattaforme logistiche «di filiera» a larga scala, nelle quali offrire servizi completi di cui necessitano le attività produttive e distributive per affrontare il mercato globale, sarà possibile innescare la ripresa, a partire proprio dal Sud;
la miopia culturale ed economica di una politica di tagli nei settori della formazione e della ricerca è stata denunciata già nel «Manifesto per la ricerca in Europa», promosso nel 1996 dall'Istituto italiano per gli studi filosofici di Napoli;
l'Italia possiede il più importante patrimonio culturale al mondo, ma la cultura nel nostro Paese contribuisce per poco più del 2 per cento al prodotto interno lordo, meno della metà di Francia e Germania. Il potenziale di crescita è enorme, ma mancano progetti, capacità e fondi;
per «cultura» si deve intendere una concezione allargata che implichi educazione, istruzione, ricerca scientifica e conoscenza; in questo senso il rapporto dialettico tra sviluppo economico e culturale rappresenta un volano per la crescita produttiva e sociale;
un fattore essenziale che concorre, inoltre, a formare il ritardo di sviluppo del Sud è il divario nella qualità della formazione

scolastica. Si deve, dunque, promuovere la qualità delle risorse umane attraverso un'offerta formativa all'altezza, migliorando in questo senso la capacità di spesa delle regioni e degli enti locali;
la strategia di crescita deve essere attivata con urgenza, anche con politiche pubbliche capaci di rimettere in moto questo protagonismo;
ad esempio, la Svimez ha prospettato un'analisi sulla gestione delle acque. Su indicazione dell'Unione europea, l'Italia ha organizzato una rivisitazione della gestione delle acque in due grandi comprensori, Nord e Mezzogiorno continentale. Anche in virtù del passato ruolo che la Cassa del Mezzogiorno ha avuto proprio in questo settore, il Mezzogiorno ha pronti progetti estremamente articolati, con costi ben definiti, immediatamente attivabili, a condizione che le regioni del Sud con le risorse dei fondi strutturali si diano da fare in questa direzione;
anche per la geotermia vale la stessa considerazione: le risorse ci sono, manca uno schema di programmazione, non indicativa in questo caso, in quanto si tratta di risorse pubbliche, su cui occorre riparametrare le priorità e le esigenze e calibrare l'intensità di questi interventi;
per quanto riguarda acque ed energia, pur non essendo risolutiva, se si mette in moto la valorizzazione del geotermico, non ci sarà necessità di finanziamenti statali dopo aver concesso le autorizzazioni e fissato i regolamenti, condizioni assolutamente assenti in questo momento. La regione Campania potrebbe essere paragonata ad un hub di questa questione, ma non c'è un regolamento, ci sono richieste di autorizzazione mai evase da anni e il capitale finanziario di tutto il mondo è perfettamente disponibile a entrare in un business di quel genere a certe condizioni, con certi regolamenti, per dare una risposta. Le risorse, infatti, si possono attrarre, oltre a quelle che si mettono a disposizione come risorse pubbliche;
la fiscalità di sviluppo è il complemento di queste cose, anche se il Governo - come ha rilevato il presidente della Svimez - è guidato da un tecnico che ha sempre duramente negato ogni forma di fiscalità differenziata a favore del Mezzogiorno quando era alla Commissione europea, ma che una volta al Governo ha cominciato con la differenziazione dell'applicazione dell'imposta irap e, quindi, ha abbandonato una posizione che è stato il credo e che per anni ha penalizzato il Sud, con l'inconsistente argomento che vi fosse una violazione dalla concorrenza, quando invece l'Italia è in un'unione monetaria dove esistono politiche fiscali diverse, con buona pace della concorrenza;
la collocazione derivante dall'insularità, che coinvolge un'ampia porzione del territorio meridionale, incide profondamente su tutti gli aspetti - siano essi economici o sociali - e ne rende «diversi» le comunità ed i territori, diversità che ha avuto un riconoscimento giuridico particolare;
in ambito europeo, anche se non c'è ancora stato un provvedimento comune, alcune realtà sono riuscite a ottenere benefici, come la Corsica e le isole britanniche. La questione dell'insularità è stata affrontata più volte nel Parlamento europeo, che, infatti, nel 1997 adottò una risoluzione per avviare «una politica integrata adeguata alla specificità delle regioni insulari dell'Ue» e poi, nel 1998, con il trattato di Amsterdam, con il quale l'Europa riconobbe il principio «che è necessario ridurre il divario esistente tra i livelli di sviluppo dei vari territori e colmare il ritardo delle regioni meno favorite, come le isole». Oltre non si è andati, nell'arco di oltre dieci anni;
l'Europa tiene conto delle variabili nel concedere politiche destinate ad aiutare le isole, proprio seguendo il principio del trattato di Amsterdam, ma ciò non basta, non è bastato agli Stati membri, quando gli stessi hanno deciso di soccorrere, con aiuti e provvedimenti specifici, i territori isolani svantaggiati, a non incappare nelle maglie dei veti in materia di aiuti di Stato;

gli svantaggi strutturali di tali territori sono evidenti - la dipendenza dai trasporti marittimi e aerei con i sovraccosti del tempo perso anche durante i processi produttivi - e l'economia insulare risente sempre della ristrettezza del mercato locale e di una scarsa diversificazione economica, che la rende vulnerabile alle fluttuazioni dei mercati;
occorre, dunque, trovare una soluzione in grado di superare tutti gli ostacoli di natura giuridico-legislativa, in particolare con riguardo ai principi del diritto comunitario;
non si tratterebbe, peraltro, di fiscalità differenziata. Oggi, data la condizione delle finanze pubbliche, si deve fare una fiscalità di attrazione, del tipo irlandese degli anni '90, cioè il greenfield, nuovi investimenti, zero tasse, in cui non si perde nulla, ma si guadagna in prospettiva; quindi, quel tipo di vantaggio fiscale non è un costo per le finanze pubbliche;
il presidente della Svimez, a questo proposito, ha ricordato che nella legge finanziaria per il 2010 ci sono due disposizioni che prevedono che chi fa investimenti, curiosamente aziende che vengono dall'estero, possa scegliere il regime fiscale che considera più appropriato nell'ambito dell'intera Unione europea. Opportunamente, è stato detto che occorre un regolamento, perché ciò sarebbe micidiale. Questo evidenzia come oggi il principio della fiscalità di vantaggio si possa declinare in molti modi;
infine, l'obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013 è un obiettivo molto ambizioso e potrebbe essere difficile da conseguire, se il sistema non manifesta una reattività adeguata in termini di crescita. I dati forniti dalla Svimez dimostrano che le scelte fatte per conseguire il pareggio non devono infierire sull'economia, come invece è stato fatto per mezzo delle ultime cinque manovre, in quanto determinano - guardando alle dinamiche del prodotto interno lordo e dell'occupazione per il 2011 e per il 2012, per il quale si hanno già delle stime abbastanza consolidate - una divergenza tra le aree del Paese;
il conseguimento del pareggio di bilancio e gli avanzi primari necessari per il pareggio del bilancio hanno, dal punto di vista italiano, in un sistema dualistico, una forte conseguenza redistributiva, che penalizza proprio le aree più deboli. Ciò richiede politiche di compensazione. A prescindere da tutto, la situazione di una previsione di lungo periodo di forti avanzi primari equivale a dire che ci sarà una redistribuzione finanziaria dal Sud verso il Nord molto rilevante, tanto più rilevante quanto più il debito italiano sarà in mano ai residenti,


impegna il Governo:


a porre in essere iniziative che favoriscano e incentivino il consolidamento di un tessuto imprenditoriale meridionale, creando un contesto favorevole allo sviluppo economico ed alla crescita dell'occupazione, rifinanziando in maniera adeguata il credito d'imposta, in particolare nelle regioni meridionali, a favore dei datori di lavoro che trasformano in contratti a tempo indeterminato quelli che non lo sono ed a sostegno degli investimenti nelle medesime regioni, utilizzando a tale fine anche le somme derivanti dalla riduzione della quota di cofinanziamento nazionale per l'utilizzo dei fondi strutturali da parte dell'Unione europea;
ad assumere iniziative per il reintegro delle somme sottratte al fondo per le aree sottoutilizzate dai provvedimenti promossi dal precedente Governo;
ad attuare pienamente le norme relative all'istituzione delle zone franche urbane;
a predisporre, per quanto di competenza, iniziative per aumentare l'efficienza dei servizi pubblici nel Mezzogiorno, con specifico riferimento all'Inps, ai centri per l'impiego ed agli organi ispettivi per il

contrasto del lavoro sommerso e per il controllo della sicurezza nei luoghi di lavoro;
ad assumere, nel rispetto delle prerogative delle regioni, iniziative volte alla razionalizzazione e all'orientamento della spesa per la formazione professionale, troppo spesso fonte di sprechi e clientelismo e non sempre finalizzata all'effettiva qualificazione per l'inserimento nel mondo del lavoro;
ad assumere una posizione chiara, netta ed univoca riguardo alla necessità di salvaguardare i siti produttivi presenti sul territorio meridionale;
ad assumere concrete e rapide iniziative normative volte a vincolare i finanziamenti pubblici stanziati in favore delle imprese alla presentazione e realizzazione di piani per lo sviluppo del territorio e la salvaguardia dei siti produttivi e dei livelli di occupazione, con particolare riferimento alle aree del Mezzogiorno;
a promuovere, attraverso un confronto nelle sedi dell'Unione europea, una revisione della normativa comunitaria in merito agli aiuti di Stato, al fine di ottenere la possibilità di applicare nelle regioni meridionali una fiscalità di vantaggio;
a elaborare, finanziare e realizzare progetti di rilancio dei poli museali nel Sud, intesi come azione di valorizzazione dei territori e come fattori di attrazione di investimenti, nonché un piano pluriennale di restauro e recupero dei beni culturali presenti nel Mezzogiorno, intesi come «attrattori culturali», fissando le dovute priorità, ad iniziare dal sito archeologico di Pompei, programmazione alla quale associare finanziamenti congrui e certi, nonché un piano straordinario di manutenzione ordinaria;
a programmare la costruzione - con particolare riguardo al Sud del nostro Paese - di un sistema integrato e trasversale, che coinvolga formazione, università, nuove tecnologie e linguaggi plurimediali, biblioteche, editoria, eventi, musei, valorizzazione del patrimonio artistico, start-up, turismo, infrastrutture, trasporti e comunicazione;
a coordinare e selezionare con le università, i centri di ricerca, le imprese del Mezzogiorno, i progetti di ricerca prioritari nei settori nei quali l'Italia può diventare leader e sui quali concentrare le risorse finanziarie ed umane, ed a favorire l'insediamento nei territori, anche sulla base dei risultati conseguiti da tali ricerche, di imprese innovative, con capitali reperiti sul mercato;
ad operare, partendo dall'esigenza di tutelare e valorizzare le produzioni tipiche del Mezzogiorno, per l'affermazione di una filiera agricola tutta italiana, che parta proprio dalla specifica vocazione del territorio e che voglia investire sulle positività, per garantire i livelli occupazionali e dare ai produttori la giusta remunerazione;
a sostenere le innovazioni in agricoltura e le produzioni tipiche, con particolare attenzione all'economia del Mezzogiorno, mettendo in evidenza i riferimenti culturali dei territori, per portare valore aggiunto alle stesse produzioni, aiutando la commercializzazione internazionale dei prodotti italiani di qualità.
(1-00935)
«Aniello Formisano, Leoluca Orlando, Barbato, Donadi, Borghesi, Evangelisti, Paladini, Palagiano, Palomba, Messina, Zazzera, Di Giuseppe, Di Stanislao».

La Camera,
premesso che:
l'8 dicembre 2011, la Banca centrale europea ha lanciato due rifinanziamenti straordinari in favore delle banche, della durata di 36 mesi, allo scopo di garantire l'accesso alle liquidità a favore degli istituti di credito;
le due aste di rifinanziamento si sono tenute rispettivamente il 21 dicembre

2011, con scadenza il 29 gennaio 2015, e il 29 febbraio 2012, con scadenza il 26 febbraio 2015, assegnando fondi a tasso dell'1 per cento con regole vantaggiose;
nella prima asta, la Banca centrale europea ha erogato, in totale, 489,19 miliardi di euro a favore delle banche, di cui ben 116 miliardi di euro in favore degli istituti di credito italiani, mentre nell'asta di febbraio 2012 sono stati assegnati 529,53 miliardi di euro, di cui oltre 100 miliardi di euro in favore delle banche italiane che ne hanno fatto richiesta, seguendo le indicazioni del presidente della Banca centrale europea Mario Draghi e delle banche centrali nazionali ad approfittare di tale opportunità per evitare il credit crunch in atto e riparare i bilanci e i mercati, abbreviando i tempi della ripresa;
nella seconda asta sono stati assegnati 529,53 miliardi di euro con un notevole incremento rispetto alla prima dovuto al fatto che, oltre alla partecipazione di banche medio piccole, vi è stata per la prima volta la partecipazione di soggetti non propriamente bancari;
infatti, da notizie assunte dagli organi di stampa del settore, alcune grosse aziende, per il tramite delle società finanziarie controllate e provviste di adeguate licenze bancarie, hanno partecipato, con profitto, alle suddette aste e non, come da loro ammissione, per un bisogno di liquidità ma solo ed esclusivamente per i tassi vantaggiosi praticati dalla Banca centrale europea;
pur trattandosi di operazioni regolari, in quanto hanno ottenuto prestiti istituzioni finanziarie che rispondono ai requisiti previsti dalle normative vigenti, in questo delicato momento economico, con una crisi ancora in atto in tutto il vecchio continente, appare discutibile, anche dal punto di vista etico, un loro coinvolgimento;
lo scopo delle aste, come detto dallo stesso presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, va nella direzione di immettere liquidità in modo da poter far fronte alle richieste di credito delle aziende e delle famiglie, cosa che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, non è garantita da tali istituzioni finanziarie, che, invero, utilizzano la liquidità a unico beneficio delle aziende stesse, le quali ottengono finanziamenti per potenziare non solo nuovo credito al consumo verso nuovi clienti a tassi certamente più alti dell'1 per cento che paga alla Banca centrale europea, ma anche operazioni di ristrutturazione, potenziamento, fusione o partnership;
quanto sopra illustrato non può che portare ad una reale alterazione dell'azione promossa dalla Banca centrale europea sottraendo fondi che dovrebbero essere destinati allo sviluppo delle imprese ed al sostegno alle famiglie;
inoltre, nonostante la Banca centrale europea abbia prestato svariati miliardi di euro agli istituti di credito italiani, allo stato attuale non c'è nessuna apertura alle imprese ed ai privati, disattendendo le indicazioni proprie dello stesso istituto centrale europeo;
è plausibile, quindi, uno scenario da vero credit crunch, che lo stesso presidente della Banca centrale europea Draghi vuol evitare, con un doppio shock sia sulla quantità di credito erogata sia sui tassi praticati. Nella simulazione del Cer, che è basata su un'ipotesi di flessione complessiva nel 2012 del 5 per cento e di un'ulteriore riduzione di un punto e mezzo nel 2013, l'andamento degli impieghi esprime una dinamica violenta: ad aprile 2012 andrà per la prima volta sotto zero, a luglio 2012 precipiterà a -5 per cento, a ottobre 2012 a -9 per cento, fino a sprofondare, a dicembre 2012, a -11 per cento,


impegna il Governo:


ad attivarsi presso le competenti sedi europee affinché le società finanziarie dei gruppi industriali vengano escluse da tali aste della Banca centrale europea, al fine

di evitare un'alterazione della concorrenza a danno di altri operatori, soprattutto italiani;
ad adottare ogni iniziativa di competenza affinché tra i requisiti per la partecipazione alle aste della Banca centrale europea figuri l'impegno da parte degli istituti di credito a fornire un reale sostegno alle imprese e alle famiglie italiane in questo delicato momento di congiuntura negativa, in particolare incentivando le banche a concedere mutui, con un tasso di particolare favore, per le giovani coppie ed evitando che al Sud si impongano tassi di gran lunga superiori rispetto al resto del Paese, mettendo in ginocchio un'economia già in difficoltà.
(1-00936)
«Iannaccone, Belcastro, Porfidia, Brugger».

La Camera,
premesso che:
le due aste di rifinanziamento della Banca centrale europea a favore delle banche che si sono tenute rispettivamente il 21 dicembre 2011, con scadenza il 29 gennaio 2015, e il 29 febbraio 2012, con scadenza il 26 febbraio 2015, hanno lo scopo di garantire l'accesso alle liquidità a favore degli istituti di credito, ampliando, altresì, la gamma di titoli che le banche possono fornire come collaterale, ossia come garanzia in cambio di liquidità, includendovi fra l'altro le abs (asset backed securities), i titoli garantiti da attivi come i mutui;
l'auspicio è che le banche utilizzino tale ingente liquidità pari a 1000 miliardi di euro al tasso agevolato dell'1 per cento nel sostegno all'economia reale, ossia alle famiglie e alle imprese;
si rileva che, mentre nella prima asta la Banca centrale europea ha erogato 489,19 miliardi di euro a favore delle banche commerciali che operano nell'area euro, nella seconda sono stati assegnati 529,53 miliardi di euro. Gli istituti che hanno fatto richiesta sono stati, rispettivamente, 523 e 800;
risulta, inoltre, che l'aumento delle richieste è dovuto non solo dalla partecipazione delle banche, comprese anche quelle medio-piccole, ma pure di soggetti non propriamente bancari. A tal proposito basta verificare i numeri della prima asta, dove la partecipazione delle controparti che aderiscono ad operazioni di finanziamento è stata di 523, quando di solito le controparti sono circa 200, annoverando tra loro soggetti che non avevano mai usufruito dei programmi della Banca centrale europea;
come, ad esempio, la casa automobilistica francese Peugeot, che controlla anche la Citroen, che ha avanzato una richiesta, attraverso la sua divisione bancaria Banque psa, di prestito collateralizzato alla Banca centrale europea, presentando a tal fine una garanzia superiore a 1 miliardo di euro per poter partecipare all'asta del 29 febbraio 2012;
le medesime finalità le hanno espresse Volkswagen, Bmw e Siemens, anch'esse dotate di licenze bancarie per il credito al consumo, ovvero per i servizi finanziari che offrono ai clienti che comprano i loro prodotti;
si segnala, inoltre, che la Renault ha confermato la partecipazione all'asta del 29 febbraio 2012 e ha acquisito un finanziamento di 350 milioni di euro circa attraverso la sua finanziaria Rci banque, un'operazione dettata, per stessa ammissione della società, non per bisogno di liquidità ma per approfittare di tassi vantaggiosi;
è chiaro che queste operazioni sono legali, in quanto si tratta di operatori finanziari che devono avere dei requisiti minimi di riserva attraverso i quali garantiscono il diritto a partecipare alle operazioni di finanziamento, ma non sono opportune in una crisi economica come quella attuale;

la competitività dell'asta ltro (long term refinancing operation) rappresenta uno strumento importante per la Banca centrale europea per la lotta contro la crisi economica, perché assegna prestiti triennali a buon mercato alle banche europee;
la Banca centrale europea ha sempre dichiarato che tali risorse erano vincolate ad una precisa finalizzazione: dare credito all'economia reale in modo da permettere alle banche di avere più liquidità ad un costo basso da mettere a disposizione di imprese e famiglie;
però, bisogna evitare comportamenti discorsivi, come quelli sopra descritti, da parte della Banca centrale europea nell'uso dei finanziamenti a favore degli istituti di credito, perché il finanziamento che ottengono queste aziende diverse dalle banche a un tasso d'interesse bassissimo non comporta credito ad aziende e famiglie, ma solo un unico beneficio per le aziende stesse, le quali usano il prestito per incrementare non solo il credito al consumo verso nuovi clienti, ma anche operazioni di ristrutturazione, potenziamento e fusione,


impegna il Governo:


ad attivarsi nelle competenti sedi decisionali dell'Unione europea al fine di evitare che le aste della Banca centrale europea vadano a sostenere le società finanziarie dei gruppi industriali, riservando tali aste esclusivamente agli istituti di credito;
ad attivarsi affinché l'erogazione dei prestiti che gli istituti bancari ricevono dalla Banca centrale europea al tasso agevolato dell'1 per cento siano subordinati alla loro effettiva destinazione al sostegno dell'economia reale.
(1-00937)
«Corsaro, Baldelli, Ventucci, Bernardo, Berardi, Del Tenno, Laboccetta, Leo, Misuraca, Pagano, Antonio Pepe, Savino».

La Camera,
premesso che:
nel primo mese del Governo Monti lo spread tra i btp italiani ed i bund tedeschi è sceso e poi risalito. Né il drastico prolungamento dell'età pensionabile, né le cosiddette liberalizzazioni, né il tentativo di abolire l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, hanno nulla a che vedere con la riduzione del debito pubblico italiano. Anzi, il rapporto debito/prodotto interno lordo è ancora cresciuto per via della recessione incalzante. Il Presidente del Consiglio dei ministri è arrivato a dichiarare che le misure di liberalizzazione faranno aumentare il prodotto interno lordo addirittura del 10 per cento: una valutazione, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, enfatica, non certo da «tecnico», in quanto non sembra avere basi affidabili di misurazione. Eppure lo spread è sceso e sta continuando a scendere;
ciò che ha veramente salvato l'Italia e l'euro dal default è stata, infatti, la decisione presa dalla Banca centrale europea due mesi fa di immettere liquidità, con il programma long term refinancing operation, nelle banche europee, sia per comprare i titoli di Stato dei rispettivi Paesi, sia per compensare le perdite subite. Oltre 1.000 miliardi di euro sono stati immessi ad un tasso dell'1 per cento nelle banche europee, oltre 200 miliardi di euro in quelle italiane, salvandole dal fallimento e permettendole di acquistare una parte rilevante dei titoli di Stato in scadenza. Lo stesso entusiasmo delle borse di inizio anno ha una sola vera ragione d'essere: è l'oceano di liquidità, determinato anche dal «quantitative easing» promosso dalla Federal reserve, in cui galleggia l'economia mondiale;
il rapporto debito/prodotto interno lordo tende a crescere in tutta Europa e la Banca centrale europea sarà costretta ad intervenire ancora. Non potendo la Banca centrale europea, nel quadro dei trattati attuali, agire come una banca centrale a pieno titolo, come garante di ultima istanza, agisce in parte come «prestatore di prima istanza», abbassando i tassi di interesse, e soprattutto come «prestatore di seconda istanza», comprando titoli sul mercato secondario e foraggiando, invece che gli Stati, gli intermediari finanziari, consentendo loro ampi guadagni. Si è, dunque, nuovamente scelta una politica monetarista e liberista;
si sta solo guadagnando tempo. Dovrà essere la crescita vera dell'economia a migliorare i bilanci delle banche, delle imprese e degli Stati. Entro tre anni, comunque, questi prestiti andranno rimborsati

e tale operazione sarà tanto più difficile quanto meno l'economia europea sarà uscita dall'attuale recessione, recessione aggravata dalle politiche di bilancio attuate in contemporanea da tutti i Paesi dell'Unione europea. Nemmeno i Paesi europei in avanzo commerciale, infatti, potranno contare su una «locomotiva» americana o cinese, tanto meno sulla capacità di assorbimento degli altri Paesi europei;
il rischio concreto è che l'onere di tale rimborso ricada sui contribuenti, stante che l'articolo 8 del decreto-legge n. 201 del 2011 (la cosiddetta manovra Monti «salva-Italia») ha fornito alle banche la garanzia dello Stato sui prestiti ottenuti;
si rinvia ancora la creazione di un fondo europeo per lo sviluppo e gli investimenti e non si pone il problema di una nuova qualità dello sviluppo, fondata sulla creazione di occupazione e rispetto per l'ambiente. Sarebbe, in definitiva, più efficace l'emissione di eurobond, che potrebbero essere emessi dal fondo europeo per gli investimenti, come previsto dal disegno originario della moneta comune e come richiesto da una risoluzione approvata recentemente a larga maggioranza dall'European economic and social Committee, dal nome Restarting growth in the Ue;
il 29 febbraio 2012 la Banca centrale europea ha prestato 530 miliardi di euro per tre anni alle banche europee, una somma simile a quella già elargita nel dicembre 2011. Soldi che non serviranno, l'esperienza del prestito della Banca centrale europea precedente lo attesta, a finanziare le imprese e le famiglie. Infatti, quell'operazione è servita soprattutto a sostenere la domanda di titoli di Stato;
l'operazione a tre anni del 21 dicembre 2011 vide una richiesta di prestiti per 489 miliardi di euro che furono tutti assegnati. I prestiti sono andati in parte a sostituire altre operazioni di politica monetaria, ragion per cui l'incremento netto di finanziamenti concessi dalla Banca centrale europea al sistema bancario europeo è stato in realtà molto inferiore: 193 miliardi di euro;
con riferimento al nostro Paese, le banche italiane usufruirono di un finanziamento di 116 miliardi di euro in quell'operazione, ma l'incremento netto di liquidità fornita dalla Banca d'Italia nel mese di dicembre 2011 è stato della metà, 57 miliardi di euro;
gli istituti di credito usufruiscono del notevole differenziale tra i tassi di approvvigionamento dei fondi (dalla Banca centrale europea all'1 per cento e dai privati con un tasso di poco superiore) e quelli a cui li offrono a prestito. Il problema del credito è diventato, sostanzialmente, più che un problema di costi, una questione di offerta carente in termini di qualità e di quantità, in particolare per le piccole e medie imprese e le famiglie;
si è passati dai salvataggi al finanziamento diretto delle banche di investimento, dall'acquisto dei titoli tossici alla ricapitalizzazione delle banche;
le banche italiane hanno in buona parte utilizzato i soldi presi a prestito dalla Banca centrale europea per acquistare titoli di Stato, contribuendo alla riduzione dei tassi d'interesse sul debito pubblico. Nello stesso tempo, hanno stretto l'offerta di credito, sia riducendo la quantità sia aumentando il costo dei finanziamenti;
le somme ricevute dalla Banca centrale europea sono state usate anche per rimborsare obbligazioni bancarie, un'operazione che sarebbe stata troppo costosa rinnovare ai tassi di mercato. Nel bimestre dicembre 2011-gennaio 2012, le banche italiane hanno acquistato titoli di Stato per 32,6 miliardi di euro. Nello stesso periodo, i prestiti bancari alle imprese e alle famiglie italiane si sono ridotti di 20 miliardi;
una parte del finanziamento ricevuto è stato depositato dagli istituti di credito presso la stessa Banca centrale

europea, sottraendo somme significative al sostegno delle famiglie e dell'economia produttiva;
rispetto alle loro consorelle europee le banche italiane soffrono di più, poiché risentono del rischio-Paese che grava sull'Italia: per questo motivo, la raccolta di finanziamenti è divenuta più scarsa e più cara e questo si riflette sui prestiti bancari. Tuttavia, le banche non fanno molto per aiutare la clientela, visto che hanno aumentato il margine che si prendono tra tassi attivi e passivi;
esse, come rilevano le associazioni dei consumatori, continuano ad applicare tassi di interesse più elevati dello 0,67 per cento sui mutui, in Italia al 4,6 per cento contro il 3,93 per cento della media dell'Unione europea. Nel gennaio 2012, in Italia il costo dei finanziamenti alle imprese (nuove operazioni) era di 1,3 punti percentuali più alto rispetto allo stesso mese del 2011 (passando dal 2,7 al 4 per cento), a parità di tasso di politica monetaria (1 per cento). Nello stesso periodo, il tasso d'interesse sui mutui immobiliari è salito di un punto percentuale (dal 3,15 al 4,15 per cento). Sempre nello stesso periodo, il differenziale tra il tasso medio sui prestiti a imprese e famiglie e il tasso medio sulla raccolta è aumentato di mezzo punto percentuale (dal 2,2 al 2,7 per cento);
c'è da considerare, inoltre, che se le banche impiegheranno queste risorse aumenteranno ulteriormente la loro leva e, quindi, entreranno clamorosamente in conflitto con le indicazioni di «Basilea 3» che obbligano ad una diminuzione del rapporto tra mezzi propri e credito erogato;
alle aste hanno partecipato istituti di credito legati a grandi aziende europee, in particolare automobilistiche, che mettono in atto una sorta di carry-trade nell'ambito del credito al consumo, come d'altronde gli istituti di credito tradizionali,


impegna il Governo:


a sostenere in tutte le sedi europee l'esclusione dalle aste della Banca centrale europea degli istituti di credito specializzati nel credito al consumo e collegati a gruppi industriali e che la partecipazione ad eventuali future aste a tasso agevolato, indette dalla Banca centrale europea, da parte di istituti di credito sia condizionato all'impegno di questi ultimi a destinare una quota non inferiore al 50 per cento delle somme prese in prestito dalla Banca centrale europea al credito, con un tasso di particolare favore, alle famiglie e alle piccole e medie imprese;
in tale ambito, a promuovere in sede europea l'esclusione della possibilità per gli istituti di credito di depositare presso la Banca centrale europea oltre un brevissimo periodo le somme ottenute in prestito a tasso agevolato dalla stessa Banca centrale europea, al fine di ampliare l'offerta di credito alle famiglie e alle imprese.
(1-00938)
«Borghesi, Barbato, Messina, Donadi, Zazzera, Cimadoro, Monai, Paladini».

La Camera,
premesso che:
la Banca centrale europea l'8 dicembre 2011 aveva lanciato il long term refinancing operation, cioè due rifinanziamenti straordinari della durata di 36 mesi, a favore delle banche, allo scopo di garantire loro l'accesso alle liquidità, ampliando la gamma di collaterali, cioè di titoli a garanzia che le banche possono fornire in cambio di liquidità, includendo le abs (asset backed securities), titoli garantiti da attivi come mutui;
due sono state le aste di assegnazione fondi a tasso fisso dell'1 per cento: la prima il 21 dicembre 2011, con scadenza 29 gennaio 2015, la seconda il 29 febbraio 2012, con scadenza 26 febbraio 2015;
nella prima asta la Banca centrale europea ha erogato circa 490 miliardi di

euro a favore di banche commerciali che operano nell'area euro. Nella seconda asta sono stati assegnati circa 530 miliardi di euro;
gli istituti bancari che hanno fatto richiesta sono stati rispettivamente 523 e 800, tutti motivati da nobili scopi: evitare il credit crunch, patrimonializzare le banche, ripianare i bilanci, aiutare le imprese per far ripartire la crescita;
a concorrere all'assegnazione di fondi hanno partecipato, però, anche soggetti diversi da veri e propri istituti bancari, quali la Peugeot attraverso la sua divisione finanziaria, Banque psa finance, la Renault che ha acquisito un finanziamento di 350 milioni di euro, attraverso la finanziaria Rci banque; la Volkswagen ed altre società;
operazioni consentite certamente, ma il fatto che operatori dell'economia reale e non del credito siano intervenuti direttamente in operazioni di rifinanziamento, farà incrementare la categoria di offerta collaterale e accettata dalla Banca centrale europea, abbassandone lo standard e alimentando il rischio di rialzo dell'inflazione nei Paesi dell'eurozona,


impegna il Governo


a farsi promotore, in sede europea, di interventi per evitare l'alterazione della concorrenza e un ingiusto drenaggio di risorse finanziarie destinate a garantire liquidità alle imprese e alle famiglie, assumendo iniziative dirette a fare in modo che le operazioni di finanziamento da parte della Banca centrale europea vadano unicamente a favore di veri e propri istituti di credito e non di gruppi industriali.
(1-00939)
«Cambursano, Brugger, Paladini».

La Camera,
premesso che:
nel Sud ormai sussiste un'emergenza lavoro ed in particolare per i giovani; secondo i dati raccolti nel rapporto Svimez 2011, due su tre sono senza occupazione, oltre il 30 per cento dei laureati under 34 non lavora e non studia;
nel Mezzogiorno, secondo i dati del rapporto Svimez 2011, il tasso di occupazione giovanile tra i 15 e i 34 anni, è giunto nel 2010 ad appena il 31,7 per cento, il dato medio del 2009 era del 33,3 per cento; per le donne nel 2010 non si raggiunge che il 23,3 per cento, segnando un divario di 25 punti con il nord del Paese che è al 56,5 per cento;
la questione generazionale italiana, segnala la Svimez, diventa quindi emergenza e allarme sociale nel Mezzogiorno; infatti, aumentano i giovani con alto livello di istruzione, quasi un terzo dei diplomati ed oltre il 30 per cento dei laureati meridionali under 34 non lavora e non studia. Sempre secondo Svimez, sono circa 167 mila i laureati meridionali fuori dal sistema formativo e dal mercato del lavoro, con situazioni critiche in Basilicata e in Calabria;
in sette anni dal 2003 al 2010, al Sud, gli inattivi, quindi né occupati né disoccupati, sono aumentati di oltre 750 mila unità;
nel Mezzogiorno d'Italia una persona su quattro non lavora, nel 2010 il tasso di disoccupazione nel Sud è stato del 13,4 per cento, contro il 12 per cento del 2008, più del doppio del Centro-Nord che è stato del 6,4 per cento e che nel 2008 era il 4,5 per cento;
se si dovessero considerare tra i non occupati anche i lavoratori che usufruiscono della cassa integrazione guadagni e che cercano lavoro non attivamente, il tasso di disoccupazione corretto salirebbe al 14,8 per cento, a livello nazionale, dall'11,6 per cento del 2008, con punte del 25,3 per cento nel Mezzogiorno, quasi 12 punti in più del tasso ufficiale, e del 10,1 per cento nel Centro-Nord;
negli ultimi due anni, secondo il rapporto Svimez 2011, il tasso di occupazione è sceso al Sud dal 46 per cento

del 2008 al 43,9 per cento del 2010, e al Centro-Nord dal 65,7 per cento al 64 per cento. Su 533 mila posti di lavoro in meno in tutto il Paese dal 2008 al 2010, ben 281 mila si sono persi nel Mezzogiorno. Con meno del 30 per cento degli occupati italiani, al Sud si concentra dunque il 60 per cento della perdita di posti di lavoro;
il prodotto interno lordo in Italia cresce meno della media nell'Unione europea, ma nel Sud si segnala un'evidente difficoltà; in base alle valutazioni della Svimez, nel 2010 il Mezzogiorno ha segnato rispetto all'anno precedente un modesto +0,2 per cento, ben lontano dal +1,7 per cento del Centro-Nord;
per i consumi relativi alle famiglie, nel 2010 l'incremento della spesa nel Mezzogiorno è stato un terzo del Centro-Nord, ovvero +0,4 per cento contro +1,3 per cento; dal 2000 al 2010 la spesa delle famiglie al Nord è cresciuta dello 0,5 per cento, al Sud è scesa dello 0,1 per cento;
il Mezzogiorno continua a scontare, inoltre, un deficit infrastrutturale che impedisce qualsiasi programmazione e idea di sviluppo economico e gli effetti, anche in presenza di una crisi economica che causa recessione, sono devastanti;
a rendere la situazione ancora più drammatica nel Sud è lo stato di dissesto idrogeologico del territorio che, ad ogni calamità o evento, produce danni ingenti e impone l'utilizzo di risorse per affrontare le emergenze, ma che diventa una sottrazione sostanziale di fondi destinati alla programmazione di interventi strutturali;
ad incidere sulle condizioni di vita, ma anche delle relazioni commerciali e della mobilità nel Mezzogiorno è il progressivo e continuo disimpegno da parte di Ferrovie dello Stato italiane spa. Questo, aggiunto al notevole ritardo nell'avvio e completamento di grandi opere, come, ad esempio, il ponte di Messina, che sconta anche una riduzione degli stanziamenti, diventa un ostacolo insormontabile che impedisce lo sviluppo, la nascita e il rafforzamento di piccole e medie imprese, creando di fatto un corto circuito economico;
il Mezzogiorno ha subito, negli ultimi anni, lo storno di ingenti risorse derivanti dai fondi per le aree sottoutilizzate; queste risorse sottratte al Sud e utilizzate per altri scopi risulterebbero essere pari a diverse decine di miliardi euro. Ciò ha inciso profondamente nelle politiche di sviluppo e frenato l'azione delle regioni meridionali interessate. A tal fine, devono essere utilizzate le nuove regole varate dalla Commissione europea in materia di utilizzo dei fondi strutturali;
altri elementi che hanno impedito al Sud di affrontare le problematiche strutturali e quelle derivanti dalla crisi economica sono stati l'arretramento avvenuto per quanto attiene alla possibilità di utilizzare il credito di imposta, in particolare per piccole e medie aziende, nonché la stretta operata dagli istituti di credito, che hanno sottratto alle imprese la possibilità di accedere a liquidità essenziali, in particolare nell'attuale momento vissuto dal nostro Paese. Anche in questo caso, in materia di credito di imposta per le imprese del Sud, va avviato l'utilizzo di fondi strutturali, tenuto conto della decisione in merito presa dalla Commissione europea,


impegna il Governo:


ad assumere iniziative volte ad reintegrare le risorse prelevate dal fondo per le aree sottoutilizzate ed utilizzate per altri scopi, al fine di sostenere i programmi infrastrutturali ormai improcrastinabili per il Mezzogiorno;
a prevedere l'avvio in tempi rapidi di iniziative di sostegno nel Mezzogiorno alle imprese, in particolare piccole e medie, nonché all'occupazione, attraverso il credito di imposta, utilizzando i fondi strutturali resisi disponibili alla luce delle decisioni della Commissione europea, e ad assumere ogni iniziativa di competenza

affinché il sistema creditizio supporti le imprese nel Mezzogiorno concedendo crediti, essenziali per la vita delle imprese stesse;
a verificare la possibilità di procedere ad un piano straordinario, dotato di un congruo finanziamento, per interventi strutturali di risanamento del territorio e di contrasto al dissesto idrogeologico nel Mezzogiorno, anche inteso come volano occupazionale;
ad attuare azioni efficaci nei confronti di Trenitalia affinché garantisca una maggiore e adeguata disponibilità di corse e di convogli per il trasporto di merci e persone tra il Nord e il Sud, evitando la politica di abbandono del Mezzogiorno fino ad oggi, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, pervicacemente attuata, anche al fine di garantire la continuità territoriale, tenuto conto che senza un adeguato sistema di trasporto ferroviario non può esserci alcuna forma di sviluppo economico che abbia basi solide.
(1-00940)
«Ruvolo, Moffa, Milo, Taddei, Calearo Ciman, Catone, Cesario, D'Anna, Grassano, Gianni, Guzzanti, Lehner, Marmo, Mottola, Orsini, Pionati, Pisacane, Polidori, Razzi, Romano, Scilipoti, Siliquini, Stasi».

La Camera,
premesso che:
la crisi economica che tuttora attanaglia l'Italia e l'Europa, seppure con alcuni segnali di lieve ripresa, ha mostrato, in tutta la sua drammatica realtà, il profondo divario economico e strutturale esistente tra il Nord e il Sud del Paese, due «Italie» distinte e separate da un ritardo territoriale accumulato nel corso degli anni e mai colmato;
nelle più alte sedi istituzionali è stata sottolineata l'importanza del contributo che le risorse umane e materiali del Mezzogiorno possono dare alla crescita dell'intero sistema Paese. Da ultimo, in occasione dell'incontro dal titolo «Il Nord e il Sud dell'Italia a 150 anni dall'Unità», promosso dall'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno (Svimez), è stato affermato che le prospettive di ripresa del processo di crescita dell'Italia sono strettamente legate alla piena valorizzazione di tutte le nostre risorse, a cominciare da quella del Mezzogiorno, e che tale consapevolezza deve guidare le azioni di risanamento e di riforma da promuovere nel quadro di una nuova visione di più avanzata integrazione e di solidale sviluppo dell'Europa;
ciò nonostante, i dati che costantemente vengono resi noti sulla situazione economica del Meridione mostrano un quadro allarmante;
il protrarsi della crisi e la mancanza di una reale ripresa hanno prodotto conseguenze dannose su molti settori, tra i quali l'occupazione, che già presentava bassi livelli di crescita prima dell'avvento della crisi economica;
secondo i dati del rapporto Svimez del 2011 nel Sud, tra il 2008 ed il 2010 si è registrata un calo dell'occupazione del 4,3 per cento, a fronte dell'1,5 per cento del Centro-Nord. Sono state 533 mila le unità di lavoro perse in Italia e di queste ben 281 mila solo nel Mezzogiorno. Pertanto, pur essendo presenti al Sud meno del 30 per cento degli occupati italiani, è nel Sud che si concentra il 60 per cento delle perdite di lavoro determinate dalla crisi;
i giovani e le donne rappresentano le categorie più penalizzate dalla crisi economica che ha colpito duramente il mercato del lavoro. Sarebbero uno su tre i giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni a non avere un'occupazione. Secondo l'Istat, il tasso di disoccupazione giovanile a gennaio è pari al 31,1 per cento, in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto a dicembre 2011. Da un'analisi svolta dal centro studi Datagiovani per Il Sole 24 ore, emerge che sono perlopiù i giovani e

residenti al Sud le persone che hanno smesso di lavorare nei primi nove mesi del 2011. In particolare, sono circa 300 mila i disoccupati che hanno dichiarato di aver perso il posto nel 2011, di questi circa 124 mila risultano residenti al Sud, il 41,5 per cento del totale, il 39,1 per cento al Nord e il 19,4 per cento al Centro;
è una vera e propria emergenza quella che riguarda i giovani del Sud del Paese: due su tre risultano essere senza un'occupazione. Ma dati ancor più inquietanti sono quelli che fotografano la realtà dell'occupazione femminile: il tasso di occupazione femminile raggiunge appena il 30,4 per cento, rispetto al 54,8 per cento del Centro-Nord; per una donna under 34 il tasso scende al 23,3 per cento, pari a meno di una su quattro. Il livello della disoccupazione, invece, se si considerano anche le diverse categorie di donne che si dividono tra ricerche saltuarie e lavoro sommerso, è pari al 30,6 per cento, una cifra doppia rispetto a quella ufficiale;
il 2011 ha segnato un periodo di profonda crisi economica per le piccole e medie imprese: il numero dei fallimenti è risultato il più alto dal 2006. Mentre il Nord-Est ha registrato un dato sostanzialmente stabile rispetto al 2010, l'aumento più forte delle procedure di fallimento ha riguardato il Sud e le isole, con l'11,2 per cento, seguiti dal Centro, con il 9,5 per cento, e dal Nord-Ovest, con l'8,4 per cento;
più dell'80 per cento delle imprese del Mezzogiorno ha subito i contraccolpi della crisi e ora, come nel resto d'Italia, le stesse imprese sono soffocate dalla stretta dei crediti bancari, a cui si sommano i ritardi strutturali e infrastrutturali dell'intera regione meridionale: tale ritardo infrastrutturale non riguarda solo il trasporto ferroviario, ma anche quello su gomma e le diverse infrastrutture per la fornitura dei servizi idrici, energetici e per il trasporto pubblico locale;
dopo un lungo periodo nel quale la questione meridionale sembrava essere stata rimossa dall'agenda nazionale, ci sono stati segnali importanti circa la disponibilità del nuovo Governo ad affrontare tale questione, nel tentativo di colmare quel divario non più tollerabile che separa il Nord dal Sud del Paese, attraverso l'individuazione di un piano di interventi prioritari,


impegna il Governo:


ad adottare tutte le opportune iniziative volte a sostenere l'occupazione nelle aree del Mezzogiorno, con particolare riferimento all'occupazione giovanile e femminile;
a prevedere l'opportunità di intraprendere azioni a favore delle imprese del Sud, anche attraverso misure che garantiscano maggiori possibilità di accesso al credito e sgravi fiscali;
ad avviare con estrema urgenza un piano di interventi strutturali e infrastrutturali a sostegno della crescita e dello sviluppo dell'intera regione meridionale.
(1-00941)
«Versace, Fabbri, Mosella, Pisicchio, Tabacci, Vernetti, Brugger».

La Camera,
premesso che:
l'8 dicembre 2011 il consiglio direttivo della Banca centrale europea ha deliberato di dar corso a due operazioni di rifinanziamento con scadenza a trentasei mesi, di particolare interesse per le condizioni economiche (tasso fisso dell'1 per cento) e normative (qualità di alcuni degli asset backed securities (abs) collaterali e decentramento sulle banche centrali nazionali dell'implementazione delle regole di garanzia con relativa assunzione di responsabilità);
gli obiettivi dichiarati della Banca centrale europea erano:
a) il sostegno dei prestiti bancari;

b) la liquidità nel mercato monetario dell'area euro;
le procedure di rifinanziamento contemplavano due aste, una per fine gennaio 2012 e l'altra a fine febbraio 2012;
nella prima, del 29 gennaio 2012, sono stati assegnati 489,19 miliardi di euro a fronte di 523 richiedenti; nella seconda, 529,53 miliardi di euro, con 800 richiedenti;
l'aumento della partecipazione è risultato notevole se si considera che, generalmente, in operazioni del genere si presentano circa 200 richiedenti;
dal punto di vista della composizione della domanda, si è riscontrato un maggiore accesso da parte delle banche medio-piccole;
in considerazione dei criteri di selezione delle domande che presiedevano ai due esperimenti d'asta, è da valutare il fatto che abbiano partecipato, oltre alle aziende bancarie vere e proprie, anche società finanziarie facenti capo a gruppi industriali e dedicate, anzitutto e in funzione strumentale, al finanziamento dei consumatori dei prodotti del gruppo di riferimento;
la stampa ha dato notizia di manifestazioni di interesse alle aste di rifinanziamento della Banca centrale europea da parte di aziende industriali attraverso proprie finanziarie, non mancando di sottolineare le favorevoli condizioni dei prestiti da poter utilizzare anche per obiettivi interni di gruppo: ristrutturazioni, ricomposizioni societarie ed altro, a condizioni certamente più vantaggiose rispetto a quelle ottenibili sui normali canali di provvista bancaria o sui mercati;
si può osservare che le condizioni e i risultati degli esperimenti d'asta potrebbero non determinare il pieno raggiungimento degli obiettivi perseguiti dalla Banca centrale europea, vale a dire il sostegno all'attività creditizia ordinaria delle banche e l'immissione di liquidità erga omnes nei mercati dell'eurozona, per le seguenti considerazioni:
a) le banche potranno destinare la metà circa dei rifinanziamenti concessi al rimborso di analoghi prestiti ottenuti dalla Banca centrale europea ed aventi scadenza nell'anno: circa 560 miliardi di euro (200 nel primo trimestre);
b) con ciò, se si è scongiurato un nuovo possibile rischio di default di alcune banche esposte verso la Banca centrale europea e un complessivo nuovo salvataggio del sistema, non tutto il potenziale d'intervento a sostegno dell'economia reale, riveniente dalle disponibilità, potrebbe essere destinato allo scopo;
c) le condizioni economiche dei rifinanziamenti (tasso e durata), con quelle normative che in materia di rischio attribuiscono responsabilità di ultima istanza alle banche centrali - cui è affidato il compito di autorizzare i criteri di regolamentazione della accettazione dei collaterali - hanno certamente favorito liquidità a prezzi di convenienza per il sistema bancario, il quale, però, potrebbe continuare a trovare preferibile dirottarla verso i più redditizi titoli del debito pubblico;
d) d'altro canto, l'avvenuta riduzione in termini quantitativamente importanti del nostro spread sui bund tedeschi potrebbe sottendere l'aspettativa dei mercati per investimenti delle banche in obbligazioni pubbliche, calmierandone, peraltro, ulteriormente i rendimenti;
e) a ciò devono aggiungersi i fondi che, ottenuti da espressioni dirette e strumentali di gruppi industriali, contribuiscono solo parzialmente al conseguimento degli obiettivi indicati l'8 dicembre 2011 dal consiglio direttivo della Banca centrale europea, sia per la liquidità generale del mercato che per il sostegno all'imprenditoria e alle famiglie in generale, risolvendosi piuttosto in un vantaggio, con provvista a prezzi di favore, da un lato per i clienti dell'azienda

soggetti di operazioni di credito al consumo, dall'altro per le proprie necessità di politica industriale,


impegna il Governo:


a considerare le criticità sopra indicate in ordine all'efficacia - rispetto alle finalità del sostegno creditizio alla crescita economica - di operazioni di rifinanziamento della Banca centrale europea, così come sono organizzate;
in tale prospettiva e, conseguentemente, ad operare nelle sedi istituzionali europee per assicurare che le operazioni di rifinanziamento destinate al sostegno in via generale di tutti gli operatori economici, imprese e famiglie, richiedenti credito alle banche, siano regolate da procedure che, fermi restando i requisiti tecnico-operativi in atto, consentano, in sede di definizione dei criteri di selezione delle controparti, l'esclusione di soggetti operanti con finalità industriali di parte proprietaria propria, anche al fine di non incidere, indirettamente, sul corretto dispiegarsi della concorrenza;
a seguire l'esito del monitoraggio che, sia a livello di Banca centrale europea che di Banca d'Italia, potrà essere disposto sulla rispondenza dell'utilizzo della provvista ottenuta con i rifinanziamenti di cui trattasi alle finalità per la quale è stata concessa.
(1-00942)
«Tabacci, Galletti, Della Vedova, Fabbri, Mosella, Pisicchio, Vernetti, Brugger, Occhiuto, Ciccanti, Calgaro, Moroni, Lo Presti».

La Camera,
premesso che:
la difficile congiuntura economica internazionale e lo stato critico dei conti pubblici italiani impongono serie politiche di rigore e di riqualificazione in ogni settore dello Stato e, quindi, anche per la quota di risorse destinata alla funzione difesa;
il Ministro della difesa, in occasione della presentazione delle linee di indirizzo programmatico del suo Ministero, ha apertamente dichiarato la necessità di pervenire ad una ridefinizione degli obiettivi e degli strumenti in materia di sicurezza e di difesa nazionale, riducendo progressivamente la spesa per il personale, al fine di riorientare le risorse così ottenute a vantaggio dei settori dell'operatività e degli investimenti in alta tecnologia;
l'obiettivo indicato dal Governo, per quanto riguarda gli investimenti nel settore dell'alta tecnologia, individua nel programma Joint Strike Fighter uno dei punti di maggiori impegno, sia finanziario che operativo;
in questo quadro è necessario avviare in Parlamento una seria discussione sui compiti che sono chiamate ad assolvere le Forze armate italiane e su quale possa essere lo strumento militare più adeguato per assicurare i livelli di operatività che Governo e Parlamento dovranno definire insieme attraverso una puntuale corrispondenza tra obiettivi e risorse;
dimensioni, quantità e qualità dello strumento militare debbono essere ridefinite tenendo conto delle risorse finanziarie disponibili e di quei mutamenti sopravvenuti a livello geopolitico che incidono sui temi della sicurezza nazionale e internazionale, mettendo in relazione gli aspetti prettamente militari con quelli di politica internazionale, di politica economica e sociale e di carattere industriale;
per quanto riguarda il programma F-35 e la sua sostenibilità, va tenuto presente, che aldilà della sua connotazione tecnologicamente avanzata, si tratta di un programma che deve ancora superare alcune criticità incontrate negli stessi Stati Uniti, che ne hanno ridimensionato gli ordinativi da parte delle proprie Forze armate, rinviando, inoltre, al 2017 decisioni quantitativamente più impegnative,


impegna il Governo:


ad assicurare la piena disponibilità ad approfondire il quadro delle scelte sommariamente enunciate dal Ministro

della difesa, scelte che riguardano funzioni fondamentali per il nostro Paese, che possono essere formalizzate soltanto con decisioni assunte in Parlamento e non possono essere delegate a sedi di carattere tecnico-amministrativo;
a rinviare qualunque decisione relativa all'assunzione di impegni per nuove acquisizioni nel settore dei sistemi d'arma, sino al termine del processo di ridefinizione degli assetti organici, operativi e organizzativi dello strumento militare italiano;
a dare impulso a tutte le iniziative utili a realizzare la progressiva integrazione delle Forze armate nell'ambito europeo della politica di sicurezza e difesa comune, considerandola un passaggio ormai ineludibile nel processo di riorganizzazione dello strumento militare italiano.
(1-00943)
«Pezzotta, Sarubbi, Marco Carra, Enzo Carra, De Pasquale, Bossa, Ruvolo, Giovanelli, Castagnetti, Fogliardi, Graziano, Rubinato, Delfino, Lucà, Marchioni, Bobba, Mattesini, Tassone, Codurelli, Gasbarra, Giulietti, Nicco, Colombo, De Torre, Rossa, D'Antona, Binetti, Calgaro».

La Camera,
premesso che:
il corridoio Est-Ovest, di cui la Torino-Lione è componente essenziale, rientra nell'obiettivo di crescita inclusiva e sostenibile proprio dell'Unione europea, essendo fondamentale per la coesione fra gli Stati membri e quindi per la riduzione della marginalità fra i cittadini;
la decisione di riconfermare la Torino-Lione fra le opere strategiche sottolinea il complesso processo decisionale avviato negli scorsi anni e portato a compimento con l'Accordo firmato a Roma, il 30 gennaio 2012, tra i Governi italiano e francese, tale Accordo è solo l'ultimo di una serie di tasselli posti dal 1996 fino ad oggi per la realizzazione del progetto;
la decisione 1962/96/CE del 23 luglio 1996, con cui la Comunità europea ha delineato gli orientamenti per lo sviluppo di una rete di trasporto trans europea (TEN-T), rappresenta un fondamentale e primo passo verso il raggiungimento del suddetto obiettivo;
nel 2001 Italia e Francia hanno siglato un primo Accordo per la realizzazione di una nuova linea ferroviaria Torino-Lione, successivamente ratificato dal Parlamento italiano e da quello francese. Nel 2003 il progetto preliminare viene consegnato dalla «Società per azioni semplificata» agli organi italiani competenti;
il progetto preliminare approvato dal CIPE prevede una realizzazione per fasi funzionali dell'infrastruttura, ossia la realizzazione del tunnel di base e gli interventi di adeguamento del nodo di Torino e solo in una seconda fase, qualora le dinamiche del traffico dovessero evidenziarne l'effettiva necessità, la tratta in bassa Valle di Susa;
l'importo dello opere verrà corrisposto per il 42,1 per cento dalla Francia e il 57,9 per cento dall'Italia, mentre l'Unione Europea potrebbe erogare fino al 40 per cento del costo complessivo;
l'opera è stata concertata con il territorio, tramite l'osservatorio che in sei anni ha tenuto 183 sessioni di lavoro e 300 audizioni;
la tratta costituisce un investimento strategico per il futuro dell'Italia in termini di maggiore competitività, di abbattimento delle distanze, di prospettive di sviluppo, in quanto il progetto porterà vantaggi economici agli operatori individuali e alle imprese, tanto che si stima che l'insieme dei benefici netti generati compenserà il costo dell'investimento e della gestione dell'opera;
la Francia è più avanti dell'Italia sui lavori di scavo, dove sono state realizzate le discenderie di 9 chilometri di lunghezza;

l'attuale collegamento ferroviario Italia-Francia, che raggiunge quota 1250 metri sul livello del mare, risulta essere una linea fuori mercato;
i cantieri per la nuova linea comporteranno duemila assunzioni dirette e quattromila occupati indiretti nonché a regime cinquecento posti di lavoro stabile in Italia;
la riduzione annuale di emissioni di gas CO2 corrisponde alle emissioni di una città di trecentomila abitanti;
il suolo occupato a regime dalla nuova tratta è metà di quello consumato dal comune di Vaie, il 30 per cento di quello consumato dal comune di Bussoleno e il 25 per cento meno di quello consumato dal comune di Susa e corrisponde alla quantità media consumata in un anno dal comune di Avigliana;
sono stati eseguiti 220 sondaggi per un totale di 64mila metri con risultati che escludono pericoli per la salute, in quanto la presenza di radioattività o di amianto risulta essere dello stesso ordine di grandezza di quanto trovato già in altre gallerie, come il Gottardo, e che le misure di sicurezza saranno dello stesso tipo;
tutti gli 87 comuni francesi e la stragrande maggioranza di quelli italiani non si sono opposti all'opera eccetto i due contrari di Chiusa San Michele e Sant'Ambrogio di Torino con 6500 abitanti;
nel 2006, con il proposito di assicurare una più ampia partecipazione alle comunità locali, viene deciso di stralciare il procedimento dalla «Legge Obiettivo» riconducendolo alla procedura ordinaria dell'articolo 81 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977, relativo alle opere di interesse statale, come si evince da un comunicato ufficiale di Palazzo Chigi del 29 giugno 2006, consentendo così che, da quella data in poi, ogni comunità locale avrebbe potuto impedire la costruzione della linea ferroviaria nel proprio territorio,


impegna il Governo:


a valutare la possibilità di applicare le norme contenute nella legge 21 dicembre 2001, n. 443 per facilitare la realizzazione dell'opera voluta dall'intera regione e dal Paese nel suo insieme;
a reperire i fondi necessari per realizzare gli investimenti relativi al nodo di Torino, previsti dall'accordo Stato-Regioni del 28 giugno 2008 e dall'atto aggiuntivo del 23 gennaio 2009.
(1-00944)
«Misiti, Fallica, Grimaldi, Iapicca, Miccichè, Pittelli, Pugliese, Soglia, Stagno d'Alcontres, Terranova».

...

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:

BORGHESI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
come è noto dopo una procedura assai discutibile è stato costituito il nuovo Imaie, che dovrebbe liquidare i diritti d'immagine degli artisti;
in data 24 dicembre 2011 un artista ha ricevuto comunicazione dalla nuova Imaie sui diritti maturati dal 15 luglio al 31 dicembre 2009 per un valore di euro 1,01 ovviamente al lordo;
per l'espletamento della pratica inoltre, l'Imaie chiede all'interessato l'invio di una serie di documenti;

considerato il costo della lavorazione della pratica e l'invio della comunicazione e considerato il fatto che non sono ammessi i documenti via fax, l'interessato dovrebbe fare una fotocopia del documento, andare in posta, acquistare affrancature e spedire la documentazione, e, nel caso fosse così ligio, avrebbe diritto a un bonifico con consti ulteriori;
un episodio del genere appare all'interrogante rivelatore della pessima ed inefficiente gestione dell'istituto -:
se i Ministri siano a conoscenza dei fatti sopra riportati;
se e quali iniziative intendano assumere al fine di migliorare l'efficienza di un'entità che sembra oggi persino peggiore di quella che, in modo discutibile, è stata soppressa.
(4-15356)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
sul settimanale L'espresso del 16 marzo 2012 un articolo dal titolo «Gli Spreconi di Air Spioni» descrive la gestione e le spese della «Compagnia aerea italiana» (CAI) in cui si legge «Raffaele Di Loreto, 64 anni: un funzionario dalla tripla vita e dai tripli privilegi. È un pensionato dell'Aeronautica militare, un dirigente della presidenza del Consiglio e l'amministratore della compagnia [...]»;
nell'articolo si legge anche che «[...] sottosegretari e parlamentari fanno la coda per salire sulla flotta più segreta: quella della Compagnia Aerea Italiana, omonima della nuova Alitalia ma molto più antica. Come spesso accade in Italia, si tratta di un'ottima idea gestita male. La Cai dei Servizi venne creata nel 1969: un paio di aerei, pochissimo personale superselezionato per ottimizzare costi e riservatezza. [...] la compagnia dei Servizi è una spa: formalmente registrata come una società charter per non tradirne la vera natura. I bilanci vengono approvati negli uffici distaccati di Palazzo Chigi, mentre gli atti raccontano la storia ufficiale del vettore di copertura. Con alcune scelte che lasciano sbalorditi, a partire dai professionisti ingaggiati. A presiedere il collegio dei sindaci che devono vigilare sui conti c'è un commercialista con parecchie grane giudiziare: Ascanio Turco, studio a Matera e buone entrature nella capitale, è stato condannato in primo grado a due anni e sei mesi di carcere per il crac della Hdc del sondaggista berlusconiano Luigi Crespi ed è finito nei guai in Molise per una storia di regali agli ispettori del Fisco. Per carità, nessuna sentenza definitiva: ma forse l'intelligence dovrebbe rivolgersi a figure al di sopra di ogni sospetto. Ed è inquietante rilevare chi è il notaio che da un decennio autentica gli atti della Air Spioni: Gianluca Napoleone, il professionista delle case della Cricca, incluso l'appartamento di Claudio Scajola con vista sul Colosseo. Stando alle indagini, Napoleone ha eseguito il rogito di altri immobili finanziati dal giro del costruttore Anemone, tra cui quello di un generale dei Servizi. Di soldi nella Cai ne girano tanti. Il capitale sociale è di 40 milioni, con quote date in pegno a Intesa Sanpaolo. [...]» -:
se i fatti narrati nell'articolo in premessa corrispondano al vero e in tale caso quali siano i bilanci della «Compagnia Aerea Italiana» citata nell'articolo riferiti agli ultimi 10 anni, quali siano gli organi statutari, quali siano i nomi dei componenti, quali siano i loro compensi;
quali immediate azioni intenda intraprendere per rendere trasparenti le attività della Compagnia.
(4-15360)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
il regio decreto 18 giugno 1931, n. 914, approvato dal Re Vittorio Emanuele

III ha previsto il «Testo unico delle disposizioni legislative sull'ordinamento dei Corpi reali equipaggi marittimi (C.R.E.M.) e sullo stato giuridico dei sottufficiali della Regia Marina»;
il Testo unico è stato modificato con il regio decreto legge 1o luglio 1938, n. 1368 e con il decreto legislativo luogotenenziale 1o febbraio 1945, n. 81;
l'articolo 95 della legge 31 luglio 1954, n. 599 ha abrogato «nelle parti regolate dalla presente legge o con questa in contrasto o incompatibili (...) il testo unico delle disposizioni legislative riguardanti l'ordinamento del Corpo equipaggi militari marittimi e lo stato giuridico dei sottufficiali della Marina, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 914, e successive modificazioni (...)»;
la legge 10 maggio 1983, n. 212 ha disposto le «Norme sul reclutamento, gli organici e l'avanzamento dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina, dell'Aeronautica e della Guardia di finanza» e all'articolo 1, comma 3, ha reiterato che «i sottufficiali continuano ad essere iscritti nei rispettivi ruoli distinti per gradi e, per la Marina, anche per categorie e specialità secondo quanto stabilito nel testo unico sull'ordinamento del Corpo equipaggi militari marittimi (C.E.M.M.) approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 914, e successive modificazioni» senza prevedere nessuna distinzione di sorta, negli articoli 25 e seguenti, ai fini delle procedure di avanzamento dei marinai;
l'articolo 2, comma 1, della legge 6 agosto 1991 n. 255 ha creato il Corpo delle capitanerie di porto separandolo dal Corpo equipaggi militari marittimi e prevedendo al successivo 8, comma 1 e 2, medesime modalità di stato giuridico e di avanzamento;
l'articolo 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, ha introdotto la delega al Governo per il riordino dei ruoli, delle attribuzioni e dei trattamenti economici allo scopo di conseguire una disciplina omogenea tra i ruoli del personale non direttivo dell'esercito, della marina e dell'Aeronautica senza prevedere peculiarità per il personale della marina;
il decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 196 ha attuato l'articolo 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216 e previsto all'articolo 14, comma 1, che «Per le procedure d'avanzamento del personale appartenente ai ruoli dei marescialli, dei sergenti e dei volontari di truppa in servizio permanente dell'Esercito (esclusa l'Arma dei carabinieri), della Marina e dell'Aeronautica si applicano o continuano ad applicarsi le norme della legge 10 maggio 1983, n. 212, e le altre disposizioni previste dalla normativa vigente non in contrasto con il presente decreto legislativo»;
la legge 28 novembre 2005, n. 246 all'articolo 14 comma 14, così come sostituito dall'articolo 4, comma 1, lettera a), della legge 18 giugno 2009, n. 69, ha conferito al Governo la delega ad adottare, con le modalità di cui all'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, i decreti legislativi che individuano le disposizioni legislative statali, pubblicate anteriormente al 1o gennaio 1970, anche se modificate con provvedimenti successivi, delle quali si ritiene indispensabile la permanenza in vigore, secondo i princìpi e criteri direttivi fissati dalla lettera a) alla lettera h) e al comma successivo dell'articolo 14 ha stabilito che i decreti legislativi provvedono, altresì, alla semplificazione o al riassetto della materia che ne è oggetto, nel rispetto dei principi e criteri direttivi di cui all'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, anche al fine di armonizzare le disposizioni mantenute in vigore con quelle pubblicate successivamente alla data del 1o gennaio 1970;
il decreto legislativo 1o dicembre 2009, n. 179 ha individuato le disposizioni legislative statali, pubblicate anteriormente al 1o gennaio 1970, anche se modificate con provvedimenti successivi, delle quali è indispensabile la permanenza in vigore, individuando nell'elenco il regio decreto legge 1o luglio 1938, n. 1368 e il decreto legislativo luogotenenziale 1o febbraio

1945, n. 81 quindi ha ribadito la vigenza delle sole modificazioni citate al regio decreto 18 giugno 1931, n. 914;
il codice dell'ordinamento militare, approvato con il decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, ha riprodotto - senza alcuna novazione - tutta la legislazione citata;
il decreto legislativo 24 febbraio 2012, n. 20 ha attuato svariate modifiche ed integrazioni al codice dell'ordinamento militare, a norma dell'articolo 14, comma 18, della legge 28 novembre 2005, n. 246 e in particolare all'articolo 4, comma 1, lettera s), ha stabilito nell'articolo 811, comma 2, lettera b) che "I sottufficiali, i graduati e i militari di truppa del Corpo degli equipaggi militari marittimi (CEMM) sono distinti per categorie e specialità e le relative procedure per l'avanzamento al grado superiore si effettuano distintamente nell'ambito di ciascuna categoria e specialità;
l'interrogazione a risposta scritta 4-13684 ancora priva di risposta ha già messo in risalto quella che gli interroganti ritengono l'illogicità dell'azione normativa adottata che di fatto vanifica lo sforzo del legislatore;
la modifica introdotta all'articolo 811 citato ha introdotto secondo gli interroganti nella disciplina relativa alle procedure di valutazione ai fini dell'avanzamento del personale del Corpo degli equipaggi militari marittimi una sostanziale differenziazione da quella adottata per il personale del Corpo delle capitaneria di porto nonché dei paritetici ruoli dell'esercito e dell'aeronautica -:
quali iniziative intenda adottare per armonizzare e rendere univoca la disciplina in merito alle procedure di avanzamento per il personale in premessa con quello degli altri Corpi armati dello Stato e delle Forze armate.
(4-15366)

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AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta scritta:

FEDI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
i tagli di spesa ai capitoli della direzione generale italiani all'estero e politiche migratorie del Ministero degli affari esteri hanno comportato una riduzione complessiva delle risorse pari al 78 per cento;
il capitolo 3103 in particolare, che finanzia i Comitati degli italiani all'estero (Com.It.Es.), è passato da una dotazione di euro 3.300.995,00 nel 2008 ad una dotazione di euro 356.356,00 nel 2012;
alcuni Comitati hanno evidenziato le gravissime difficoltà nel continuare l'attività ordinaria di rappresentanza delle locali comunità, in conseguenza della mancanza di risorse per poter effettuare il pagamento dell'affitto per la sede e dei compensi per il personale di segreteria;
i Comitati degli italiani all'estero sono strumenti di partecipazione democratica degli italiani che vivono nel mondo e costituiscono momento di rappresentanza delle locali istanze delle comunità italiane nel mondo;
i Comitati rappresentano una autentica risorsa, una diffusa rete di volontariato al servizio del Paese;
entro il 31 dicembre 2012 devono essere indette le consultazioni elettorali per il rinnovo degli organismi di rappresentanza, Comites e Cgie -:
quali urgentissime iniziative si intendano intraprendere per assicurare un aumento delle dotazioni di bilancio per l'attività ordinaria dei Comitati, intervenendo anche sui criteri di finanziamento, al fine di garantire a tutti i Comitati un livello

adeguato di finanziamento sia per l'affitto dei locali che per i compensi del personale di segreteria;
quali immediate iniziative si intendano assumere per assicurare il rinnovo dei Comitati alla scadenza prevista.
(4-15361)

MIGLIORI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
è in corso di svolgimento a Marsiglia (12-17 Marzo) il Forum mondiale dell'acqua alla presenza di oltre 140 delegazioni provenienti da tutto il mondo;
la nostra delegazione ha approntato - d'intesa con le regioni - uno stand espositivo nel quale sono conferite esperienze innovative del sistema delle aziende italiane del settore;
ovviamente il forum consiste in significativi dibattiti sulla cooperazione, anche d'ordine parlamentare, cui l'interrogante è stato invitato dai deputati francesi Oudin e Flajolet autori di un originale iniziativa legislativa in materia;
nella giornata del 14 marzo 2012 durante i lavori del Convegno dedicato ai meccanismi della solidarietà decentrata ha preso la parola il sindaco di Bagno a Ripoli (Firenze) Bartolini;
tale intervento è iniziato mostrando un grattacielo in frantumi che è stato paragonato alle attuali condizioni dell'Italia ed infarcito di offensivi giudizi politici e non sul governo Berlusconi e sulle scelte elettorali degli italiani;
il comizio del sindaco avrebbe suscitato tra i presenti sia ilarità che fastidio determinando tra l'altro l'uscita dall'aula dei lavori di rappresentanti della delegazione italiana presenti;
i lavori scientifici del convegno avrebbero dovuto far ravvisare l'opportunità di non avventurarsi su terreni impervi e comunque tali da offuscare l'immagine dell'Italia all'estero non per quanto detto ma per dove e da chi è stato detto;
l'interrogante ha provveduto a inoltrare le proprie scuse agli ospiti francesi -:
se il sindaco di Bagno a Ripoli Bartolini fosse o meno parte ufficiale della delegazione italiana ed a quale titolo;
se il sindaco Bartolini non fosse parte della delegazione italiana, da chi e come sia stato invitato, accreditato ed autorizzato ad intervenire al Forum mondiale dell'acqua;
se non si reputi opportuno, onde evitare in futuro che l'immagine dell'Italia possa essere compromessa, chiunque ne sia al Governo, invitare l'Anci, l'Upi e l'Aiccre a considerare con grande attenzione i rappresentanti da inviare in occasioni di eventi internazionali.
(4-15371)

TESTO AGGIORNATO AL 22 MARZO 2012

...

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:

CENNI, OLIVERIO, MARIANI, BRATTI, MARCO CARRA, TRAPPOLINO, FIORIO, SANI, MOTTA, REALACCI, BRANDOLINI e AGOSTINI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
il 17 novembre, intervenendo ad una trasmissione radiofonica a pochi giorni dal suo insediamento, il Ministro dell'ambiente Corrado Clini aveva dichiarato testualmente: «sono contrario agli organismi geneticamente modificati per produzioni agricole e alimentari»;
il 9 marzo 2012, nel corso di una conferenza stampa a margine del Consiglio dei ministri dell'ambiente dell'Unione europea in corso a Bruxelles, il Ministro dell'ambiente Corrado Clini ha affermato che in tema di ogm, l'Italia ha «una posizione più aperta rispetto al passato»;

giovedì 15 marzo in una intervista al Corriere della Sera, il Ministro Corrado Clini è intervenuto nuovamente in tema di organismi geneticamente modificati, dichiarando testualmente: «Alcuni Paesi, fra cui l'Italia, hanno accolto la proposta della presidenza danese, ovvero: il fatto che la Unione europea possa concedere sì le autorizzazioni agli organismi geneticamente modificati, ma che poi ogni singolo Stato membro ha il potere esplicito di vietarle al suo interno»; «Dico che in Italia bisogna aprire una seria riflessione che deve coinvolgere la ricerca e la produzione agricola sul ruolo dell'ingegneria genetica e di alcune possibili applicazioni degli Ogm»; «Senza l'ingegneria genetica oggi non avremmo alcuni fra i nostri prodotti più tipici. Il grano duro, il riso Carnaroli, il pomodoro San Marzano, il basilico ligure, la vite Nero D'Avola, la cipolla rossa di Tropea, il broccolo romanesco: sono stati ottenuti grazie agli incroci e con la mutagenesi sui semi»;
nella stessa intervista il Ministro ha ribadito come la «genetica può portare molti benefici» anche in tutta «l'agricoltura non alimentare» e «nelle specie con alto potere energetico», mentre «nei Paesi in via di sviluppo: si possono applicare semi di organismi geneticamente modificati per frutti o prodotti alimentari addittivati con vitamine o con vaccini»;
da tali dichiarazioni risulterebbe quindi evidente che la posizione del Ministro Corrado Clini risulterebbe favorevole all'utilizzo ed alla sperimentazione degli organismi geneticamente modificati anche in agricoltura;
va precisato che i prodotti tipici nominati dal Ministro nella sua intervista non sono frutto di recenti e moderne manipolazioni transgeniche di laboratorio, ma il risultato di incroci naturali e selezioni secolari. Non è quindi oggettivamente corretto, e francamente fuorviante, accostare alimenti tipici alle produzioni geneticamente modificate;
tale posizione contrasta palesemente non soltanto con la maggioranza dei produttori e dei consumatori italiani ma anche con gli indirizzi politici e programmati perseguiti fino ad oggi dall'Italia, anche in sede europea;
i precedenti Ministri delle politiche agricole, alimentari e forestali, hanno ribadito pubblicamente ed in più occasioni la loro contrarietà alla introduzione di colture di organismi geneticamente modificati sul territorio nazionale, a tutela delle produzioni agricole di qualità presenti in Italia (in particolare Luca Zaia e Saverio Romano);
le dichiarazioni del Ministro Corrado Clini contrastano con la posizione espressa il 15 marzo 2012 dal Ministro delle politiche agricole Mario Catania che ha dichiarato a mezzo stampa: «Dissento dalle dichiarazioni del Ministro Clini. Non è nell'interesse del sistema agricolo italiano, non vogliono gli organismi geneticamente modificati né i consumatori e né produttori, quindi credo che la nostra posizione debba restare negativa; questo non vuol dire che non si debba fare ricerca»;
è stata ribadita, in più occasioni, e risulta da atti ufficiali della Conferenza delle regioni, la posizione unanime delle regioni e delle province autonome di assoluta contrarietà rispetto all'autorizzazione della coltivazione degli organismi geneticamente modificati sul territorio nazionale. «Siamo sorpresi e francamente preoccupati per le dichiarazioni del Ministro Clini sulla possibilità di un utilizzo degli organismi geneticamente modificati in agricoltura. Più volte abbiamo espresso la nostra netta contrarietà all'impiego di materiali geneticamente modificati in agricoltura. Una posizione condivisa da tutto il sistema delle regioni e ribadita in tutti consessi, anche in quelli dell'Unione Europea»: ha affermato in una nota il Coordinatore nazionale della commissione politiche agricole nazionale, Dario Stefano, assessore regionale alle Risorse Agroalimentari della regione Puglia;
in sede europea è ancora in discussione la modifica della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e che per

tale ragione risulta del tutto evidente come, oltre al parere delle regioni, sia rilevante l'orientamento del Governo e del Parlamento nazionale;
secondo una indagine effettuata da Coldiretti/Swg «la contrarietà degli italiani agli organismi geneticamente modificati (ogm) negli alimenti riguarda il 71 per cento della popolazione, una percentuale che è rimasta stabile negli ultimi cinque anni»;
risulta del tutto evidente come la maggioranza del mondo agricolo, dei consumatori, delle associazioni impegnate sui temi dell'alimentazione, sia contraria all'utilizzo di semi e prodotti geneticamente modificati, non tanto per «ataviche ed ingiustificate paure», ma alla luce di autorevoli pareri tecnici e scientifici;
il 20 luglio 2010, proprio a Roma si sono svolti i lavori di un importante convegno sul tema dal titolo «Scienza incerta e dubbi dei consumatori. Il caso degli organismi geneticamente modificati», con autorevolissime competenze scientifiche in materia -:
se le notizie apprese dai media siano corrispondenti al vero e quale sia la reale posizione del Ministro interrogato in tema di organismi geneticamente modificati.
(5-06449)

Interrogazioni a risposta scritta:

COSENZA. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
in Italia il sistema delle discariche ha sempre funzionato in modo assai precario a causa dell'assenza di un piano organico di norme e modelli di pianificazione che consentisse la localizzazione dei siti in aree lontane dai centri abitati e nelle quali non venissero messe a rischio la tutela dell'ambiente, la salute dei cittadini e le possibilità di sviluppo in settori strategici come il turismo;
i frutti di questa situazione sono in particolare due: da un lato le crisi nella gestione dei rifiuti che hanno colpito drammaticamente la Campania e, a tratti e in modo assai meno grave, altre regioni italiane come la Sicilia, il Lazio e la Puglia; dall'altro lato l'emergere di un profondo malcontento, anche a causa di un altro grave problema rimasto senza soluzione (l'assenza di sistemi efficienti di compensazioni per i territori che subiscono il disagio della presenza di discariche), tra le popolazioni interessate dalla presenza delle discariche;
in tale difficile contesto va ad inserirsi la recente decisione della Commissione europea di avviare, in assenza di nuove e incisive misure, una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia per la presenza, sull'intero territorio nazionale, di 102 discariche, di cui tre di rifiuti pericolosi, non conformi alla direttiva dell'Unione europea del 1999. L'ampio numero di regioni interessate (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Campania, Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna e Umbria) dimostra come questo grave problema colpisca in modo trasversale tutto il Paese, a nord come nel centro-sud;
l'Italia, in particolare, è finita nel mirino per non essersi conformata all'articolo 14 di quella direttiva, secondo cui gli Stati membri avrebbero preso delle misure per assicurare che discariche non conformi con la direttiva europea avrebbero dovuto cessare le attività entro il luglio del 2009;
le deficienze finora riscontrate in molte parti d'Italia e i nuovi scenari aperti dall'azione della Commissione europea dimostrano chiaramente come ormai la situazione del sistema delle discariche nel nostro Paese sia complessivamente insostenibile e come quindi sia ormai improcrastinabile l'esigenza di varare misure organiche che ci facciano uscire dal perenne stato di emergenza;
significativo è quanto sta avvenendo nel territorio flegreo, dove la ventilata

apertura di una discarica a Quarto, in una cava localizzata in località Castagnaro, sta portando grande preoccupazione per le sue potenziali ricadute di tipo ambientale e sanitario poiché i Campi Flegrei sono un'area densamente popolata e tra le più importanti a livello europeo per concentrazione di beni archeologici e per bellezza dei paesaggi -:
quali urgenti iniziative di competenza anche normative, alla luce del quadro di sofferenza ormai cronica di cui soffre il sistema delle discariche di rifiuti in Italia descritto in premessa e della procedura d'infrazione da parte della Commissione europea, intenda assumere il Governo al fine di varare un piano nazionale di misure organiche che consentano:
a) di identificare criteri utili alla localizzazione, senza rischi per la salute e per l'ambiente, delle aree da adibire a sedi di discariche;
b) di dare avvio a un efficacie ed equo sistema di compensazioni per i territori penalizzati;
c) di provvedere alla chiusura delle discariche dichiarate fuori norma dalla Commissione europea e alla messa in sicurezza dei rispettivi territori;
d) di garantire reali meccanismi di tutela ambientale e paesaggistica per territori di particolar pregio e importanza (che è anche di carattere economico grazie alle attività turistiche) come per esempio i Campi Flegrei.
(4-15354)

MANCUSO, BARANI, DE LUCA, MANNUCCI e GIRLANDA. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
il capriolo, in Trentino, è una specie in grande sofferenza;
la riserva comunale di caccia Ronzo-Chienis, in occasione delle tre giornate dedicate alla mostra dei trofei, dal 23 al 25 marzo 2012, ha organizzato una lotteria al fine di raccogliere fondi per sostenere la riserva e, in parte, fare beneficenza;
i biglietti della lotteria vengono messi in vendita al costo di 1 euro ciascuno;
tra i 40 premi in palio vi è anche la possibilità di abbattere un capriolo;
l'abbattimento avverrebbe nell'ambito degli abbattimenti programmati;
fino a dieci anni fa ce n'erano 30 mila, oggi 9/10 mila;
la causa principale della diminuzione della popolazione dei caprioli è dovuta agli eccessivi abbattimenti;
dal punto di vista educativo, è senz'altro disdicevole considerare l'uccisione di un animale come un premio;
gli altri premi consistono in oggetti come buoni vacanze, carabine e un telescopio;
è davvero inopportuna e inammissibile l'equiparazione di un essere senziente con un oggetto inanimato;
l'Ispra svolge, tra l'altro, funzioni in materia di tutela del patrimonio costitutivo della fauna selvatica -:
se il Governo intenda assumere ogni iniziativa di competenza anche per il tramite dell'Ispra e con il coinvolgimento delle regioni e degli enti locali, per evitare iniziative, come quella di cui in premessa, che finiscono, in modo deplorevole, per utilizzare un essere senziente come un oggetto inanimato.
(4-15369)

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IV Commissione:

RUGGHIA, VILLECCO CALIPARI, LAGANÀ FORTUGNO, GIANNI FARINA e VICO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
al fine di dare realizzazione al programma pluriennale di cui all'articolo 297 del codice dell'ordinamento militare, il Ministro della difesa sta provvedendo all'alienazione della proprietà di alloggi non più ritenuti utili alle esigenze dell'amministrazione;
ai conduttori degli alloggi da alienare con età superiore a 65 anni e a quelli con reddito familiare annuo lordo non superiore a quello fissato annualmente con il decreto ministeriale ai sensi dell'articolo 306 del codice dell'ordinamento militare è offerta la possibilità di decidere per l'acquisto del semplice diritto di usufrutto;
impegni assunti in sede ministeriale da rappresentanti del Governo prevedevano che il conduttore che si trovasse nelle condizioni sopraindicate, avrebbe potuto esercitare il diritto all'acquisto dell'usufrutto in solido per sé e per il coniuge convivente;
le lettere inviate ai conduttori, che prevedono entro 60 giorni la decisione se esercitare l'opzione all'usufrutto non chiariscono questo aspetto assolutamente rilevante ai fini della scelta da esercitare -:
se il Ministro intenda assumere in tempo utile le necessarie iniziative per evitare ai conduttori che esercitano l'opzione di acquisto dell'usufrutto, di trovarsi nella spiacevole situazione, nell'eventualità di un loro decesso, di non poter dare continuità nell'esercizio dello stesso diritto e alle stesse condizioni a favore del coniuge superstite.
(5-06446)

PAGLIA. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 2010, n. 270, recante modifiche al testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, ha previsto la soppressione della Direzione generale della sanità militare (DIFESAN) con conseguente ridistribuzione delle sue competenze;
in particolare, le competenze tecnico-contrattuali, amministrative-gestionali in tema di materiali sanitari e farmaceutici vengono assegnate all'area del Segretariato generale e delle direzioni generali, (COMMISERVIZI, PREVIMIL, PERSOCIV, e altri) mentre quelle addestrative o di formazione, anche ai fini dell'apprestamento dei servizi della sanità militare negli scenari internazionali, alle strutture dipendenti dallo Stato maggiore della difesa;
con l'entrata in vigore del decreto ministeriale 22 giugno 2011, attuativo del citato decreto del Presidente della Repubblica, dal 31 dicembre 2011 presso il Ministero della difesa è stata resa operativa la soppressione della direzione generale della sanità militare (DIFESAN) - con conseguente soppressione di tutte le posizioni dirigenziali civili attestate presso la citata direzione generale - senza però aver prima costituito il nuovo organismo che ne avrebbe assorbito le funzioni;
la soppressione di un unico centro di responsabilità in materia di sanità militare sta comportando una serie di rischi e difficoltà per l'efficace svolgimento dei servizi, ivi compresi quelli relativi allo svolgimento delle missioni fuori area;
al momento nel settore regna una situazione di grave incertezza e confusione ove «non si sa chi deve fare cosa»;
ad aggravare la già complicata situazione vi è un ulteriore aspetto: diverse ed importanti competenze della disciolta direzione generale (come ad esempio le attività connesse con i rimborsi delle spese di degenza, di cura di militari all'estero, per concessione di protesi al personale

militare ferito o infermo per causa di servizio) sono state completamente ignorate sia dal decreto del Presidente della Repubblica, n. 270 del 2010 che dal decreto ministeriale 22 giugno 2011 e non è dato sapere a quale struttura amministrativa le stesse dovranno essere attribuite;
anche il piano per il reimpiego del personale civile in forza al disciolto ente è ancora da avviare da parte del competente segretariato generale della difesa che, finora, si è limitato ad emanare sterili quanto inutili note con cui si esortano Commiservizi e Previmil ad avvalersi - per le rispettive esigenze funzionali - delle professionalità della soppressa Difesan;
la riorganizzazione della sanità militare, quindi, per effetto dei tagli e trasferimenti di funzioni a diverse strutture, effettuato finora in maniera secondo l'interrogante approssimativa e lacunosa, non sembra che al momento stia conseguendo l'ottimale e ordinato svolgersi delle attività amministrative e sanitarie attribuite storicamente alla ex direzione generale, ora soppressa;
in tal modo risulta disatteso anche il parere sullo schema del citato decreto, approvato da questa commissione, la quale, nel valutarlo favorevolmente, aveva, comunque, esplicitamente indicato tra i rilievi l'esigenza che «sia mantenuta l'unitarietà di ciascuna funzione attualmente svolta dalla Direzione generale della sanità militare, in modo che sia assicurata - anche dopo la riorganizzazione che sarà disposta dal presente schema di regolamento - la continuità dei servizi» (recependo, così, un'osservazione della I Commissione (Affari costituzionali);
è evidente che con la soppressione di Difesan viene fortemente indebolito un delicato ed insostituibile servizio, quello sanitario militare, a favore delle forze armate che operano sia in patria che all'estero;
alla luce di tali considerazioni risulta quanto mai opportuno intervenire tempestivamente al fine di non compromettere ulteriormente, nell'ambito della sanità militare, la funzionalità generale dei servizi e di ripristinare, invece, le condizioni di assoluta regolarità ed efficacia dell'azione amministrativa e medico-sanitaria -:
quali urgenti iniziative intenda assumere onde conseguire un efficiente e razionale assetto organizzativo del servizio sanitario militare e se non ritenga opportuno ripristinare le funzionalità della disciolta DIFESAN, in attesa della completa e definitiva organizzazione della nuova struttura destinata alla sua sostituzione, al fine di assicurare livelli adeguati di correttezza e di efficienza amministrativa nel delicato settore della sanità militare.
(5-06447)

DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il decreto-legge n. 215 del 2011 proroga missioni internazionali, convertito con modificazioni dalla legge n. 13 del 2012, nonché disposizioni per l'attuazione delle risoluzioni 1970 e 1973 adottate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, misure urgenti antipirateria e interventi per il sostegno alla cooperazione allo sviluppo, ha introdotto con l'articolo 5 alcune misure di contrasto al fenomeno della pirateria in acque internazionali, incentrate sulla possibilità di ricorrere a forme di autodifesa a bordo delle imbarcazioni private destinate ad attraversare zone a rischio, mediante il dispiegamento di Nuclei militari di protezione (NMP) della Marina militare o di servizi di vigilanza privata;
altresì, con l'ultimo decreto in materia, all'articolo 6 si inseriscono misure di contrasto al fenomeno della pirateria in acque internazionali, attraverso alcune circoscritte modifiche relative al ricorso alle guardie giurate per la protezione di

navi mercantili battenti bandiera italiana che transitano in aree marittime a rischio con la possibilità di impiegare anche armi comuni da sparo a protezione delle persone, delle merci e dei valori su navi mercantili e da pesca battenti bandiera italiana;
in questo momento due dei sei militari della marina militare italiana che erano a bordo della nave commerciale italiana, Enrica Lexie, della società armatrice fratelli D'Amato Spa di Napoli, sono in prigione nello stato federale indiano del Kerala. I due specialisti di marina, parte di un nucleo militare di protezione, NMP, sono accusati di aver provocato la morte di due pescatori indiani, uccisi il 15 febbraio 2012 al largo delle coste meridionali indiane perché scambiati per pirati;
tenuto conto che non esiste un effettivo piano di contrasto alla pirateria marittima e considerando che il fenomeno è in notevole aumento non sembra che siano stati raggiunti risultati concreti finora;
fin dall'inizio si palesava l'incertezza circa le conseguenze dell'imbarco di soldati armati che avrebbero potuto aumentare la violenza e scatenare ulteriori scontri invece di provvedere ad aumentare i controlli e prevenire, per quanto possibile, gli assalti;
occorrerebbe una maggiore sinergia tra le due missioni internazionali a cui partecipa l'Italia - e tra queste e le altre singole missioni nazionali in atto - in modo da combinare la forza militare e l'intelligence al fine di realizzare un maggior coordinamento delle operazioni di pattugliamento -:
se il Governo intenda fornire informazioni su quanti militari attualmente sono imbarcati, nonché su costi, regole di ingaggio dei militari italiani e riparto di competenze rispettivamente del Ministero della difesa, Marina militare e armatori.
(5-06448)

Interrogazione a risposta in Commissione:

RUGGHIA, VILLECCO CALIPARI, GAROFANI e VICO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - permesso che:
il 18 gennaio 2012, il Comando scuole della 3a regione aerea ha intimato a 10 famiglie che utilizzano in concessione altrettante unità abitative situate nel villaggio azzurro «Gino Lisa» in via Ascoli, Foggia, l'immediato rilascio dell'alloggio «(...) rendendolo libero da persone e cose per la salvaguardia della relativa sicurezza ed incolumità»;
per giustificare tale richiesta si fa riferimento, da parte dello stesso Comando, ad «(...) opportuni accertamenti tecnici nel merito attuati» in base ai quali «l'alloggio in oggetto risulta inagibile in quanto il fabbricato di ubicazione, oltre che ad essere interessato da importanti problematiche-criticità igienico sanitarie ed impiantistiche, presenta condizioni di rilevanti deterioramenti e criticità stati strutturali, non sanabili con i normali interventi manutentivi»;
in sostanza, le condizioni igienico abitative per alcuni utenti e il rischio crolli per gli altri dovrebbero porre termine alla concessione che, proprio in relazione della condizione «sine titulo» dei suddetti utenti, era stata mantenuta in essere lo scorso ottobre con l'applicazione del canone di mercato, giustificato dallo stesso Comando dalla piena agibilità degli alloggi stessi -:
se il Ministro intenda sospendere l'esecutività degli atti indicati in premessa al fine di procedere, in maniera puntuale e circostanziata, ad opportune verifiche sulla natura, la validità e il soggetto che ha eseguito gli accertamenti tecnici cui fa riferimento il Comando territoriale, riferendo in merito agli stessi.
(5-06440)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:

FAENZI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
il comma 6 dell'articolo 12 della legge 15 gennaio 1992, n. 21, recante «Legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea» stabilisce con un successivo decreto l'obbligo di adottare un colore uniforme per tutte le autovetture adibite al servizio di taxi immatricolate, a partire dal 1o gennaio successivo alla data di pubblicazione del decreto medesimo;
l'articolo 1 del predetto decreto ministeriale del 19 novembre 1992, prevede infatti che la colorazione esterna delle autovetture da adibire a servizio taxi, immatricolate per la prima volta, deve essere bianca, con fattore di luminanza minimo 0,34 e coordinate tricromatiche comprese all'interno del quadrilatero definito da una indicata tabella mediante l'indicazione delle coordinate dei vertici;
numerose associazioni di categoria segnalano che le suesposte disposizioni, che obbligano la colorazione bianca delle proprie autovetture adibite al servizio di taxi, determinano una serie di problematiche di natura anche economica, nonché di ostacoli all'esercizio della propria attività, rappresentati in particolare dalle difficoltà nel reperimento di autovetture in caso di acquisto usato;
ulteriori profili di criticità, che, a giudizio dell'interrogante, accrescono ulteriormente se si valuta l'attuale periodo di crisi economica, si manifestano più specificatamente, secondo quanto sostengono le suesposte associazioni, per i comuni al di sotto dei 100 mila abitanti, a causa delle complessità nel trovare autovetture della suesposta colorazione, proprio in considerazione della dimensione delle città in cui operano -:
quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
se non ritenga opportuno conseguentemente prevedere una modifica al decreto ministeriale esposto in premessa, al fine di modificare l'articolo 1 del medesimo provvedimento e consentire, almeno per i comuni al di sotto dei 100 mila abitanti, la possibilità di scegliere liberamente il colore delle autovetture adibite al servizio di taxi da parte del proprio ente locale.
(5-06442)

Interrogazioni a risposta scritta:

MONTAGNOLI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
in questi giorni è pervenuta agli uffici della motorizzazione civile la circolare del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti n. 6878 del 9 marzo 2012, in cui si rende noto che, a causa dell'indisponibilità delle necessarie risorse economiche, l'erogazione della postalizzazione dei tagliandi relativi al rinnovo di validità della patente di guida, all'annotazione sulla stessa dell'avvenuto cambio di residenza, nonché di comunicazione dell'avvenuta decurtazione di punteggio, è sospesa;
il Ministero, prendendo atto dei disagi che questo arreca all'utenza che legittimamente reclama l'erogazione di un servizio dovuto, con la suddetta circolare dispone delle forme alternative per il rinnovo di validità della patente di guida ed annotazione cambio residenza sulla stessa;
in particolare, visto che non esiste alcuna documentazione alternativa a quella dell'emissione del rispettivo tagliando, che di fatto è emesso dal sistema informatico del CED ancorché non consegnato all'indirizzo di residenza del titolare della patente, il Ministero invita gli utenti

che hanno necessità o urgenza di regolarizzare la patente, a chiedere un duplicato del certificato di guida;
la medesima circolare specifica che, in tal caso, gli importi per diritti e tariffe dovuti per l'emissione del duplicato della patente di guida siano a carico dell'utente -:
quali iniziative il Ministro intenda intraprendere per mettere fine a questa grave e preoccupante situazione, in cui i cittadini utenti sono chiamati a compensare delle mancanze del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e sono costretti ad un esborso economico per un servizio che dovrebbe essere a carico delle amministrazioni pubbliche.
(4-15358)

MAGGIONI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
i pendolari della linea ferroviaria Pavia-Vercelli e Pavia-Alessandria sono state vittime, in data 13 marzo 2012, di gravi e spiacevoli disagi a causa di uno sciopero;
più di cento studenti sono stati fatti scendere a Vercelli dal treno su cui erano saliti per tornare a casa dopo una mattinata di studio, a causa dell'assenza del capotreno e sono stati quindi costretti a trovare mezzi alternativi per tornare a casa;
la linea ferroviaria in questione è gestita da Trenord, ma il personale di bordo su quella tratta è gestito da Ferrovie di Torino -:
se il Ministro, per quanto di sua competenza, non reputi opportuno assumere per quanto di competenza iniziative a beneficio e a tutela dei cittadini utenti che utilizzano il treno, soprattutto nei confronti dei pendolari di linee quali quelle ricordate in premessa, i quali sono costretti a servirsi quotidianamente del trasporto ferroviario per necessità lavorative e di studio.
(4-15359)

ROSATO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
la patente di guida civile ha una scadenza nel tempo, indicata sul documento stesso, stabilita in relazione alla categoria, all'età o fissata in un periodo delimitato dalla commissione medica locale;
in caso di patente di guida scaduta non è consentito al titolare del documento condurre il veicolo;
per il rinnovo della patente è necessaria la visita medica previo versamento su conto corrente postale apposito di una quota di 75 euro, la cui ricevuta va conservata per l'intero periodo di validità della patente stessa, e affrancatura della marca da bollo da 14,62 euro sulla modulistica da compilare;
conseguito il rinnovo l'Amministrazione rilascia un foglio provvisorio da allegare al documento della patente di guida in attesa dell'arrivo di un bollino adesivo, a conferma della rinnovata validità da applicarsi sul documento, che viene spedito direttamente dal Ministero nell'arco di 30 o 40 giorni;
l'applicazione di un bollino adesivo è prevista anche per la ridefinizione della residenza del titolare della patente di guida e per la comunicazione dell'avvenuta decurtazione del punteggio; nel periodo di validità del foglio provvisorio non è consentita la guida del veicolo al di fuori dei confini nazionali;
da qualche tempo, però, risulta anche da una circolare del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 9 marzo 2012, che l'erogazione del servizio di recapito dei tagliandi adesivi detto «postalizzazione» è sospeso a causa di forza maggiore e in mancanza di «assegnazione di nuove risorse»;
nella medesima circolare è disposto che, nell'ipotesi di rinnovo del documento o di cambio di residenza, nel caso un utente ravvisi una urgente necessità di

regolarizzare la patente di guida gli uffici debbano procedere all'emissione di un duplicato;
si precisa nella medesima circolare che la produzione del duplicato comporta a carico dell'utente che ne ha fatto richiesta il pagamento degli «importi di diritti e tariffe previste dalla legislazione vigente»;
l'utenza già colpita dal disagio, dopo aver versato delle somme non irrilevanti per la procedura di rinnovo della patente, si troverebbe a dover pagare ulteriori importi per delle mancanze non riconducibili ad essa -:
come mai presso il dipartimento non siano state stanziate le risorse necessarie per la copertura finanziaria per la spedizione dei tagliandi adesivi;
se in alternativa alla produzione del duplicato non si possa consentire la stampa di tagliandi adesivi direttamente presso gli uffici della motorizzazione civile;
posto che nelle ipotesi di disagi per l'Amministrazione sarebbe corretto disporre procedure straordinarie temporanee che non arrechino un maggiore onere a carico dell'utenza già colpita dal disagio, se, in deroga alla legislazione vigente, non sia possibile assumere iniziative anche normative per prevedere il pagamento a carico dell'Amministrazione di diritti e tariffe;
se il Ministro intenda definire un periodo di tempo entro il quale presumibilmente verranno meno i disagi, in considerazione del fatto che queste difficoltà, causate da una carenza di risorse economiche, possono comportare, invece, maggiori oneri per le casse pubbliche ed è, quindi, preferibile una immediata copertura finanziaria del capitolo di bilancio.
(4-15365)

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INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
sul sito http://www.gertahumanreports.org/blog/?p=l 169&preview=true viene riportata la notizia della morte di un richiedente asilo del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo di nome Anthony;
secondo quanto riferito da un suo amico, al Cara si sono presi cura di Anthony «portandolo in ospedale e poi riportandolo indietro» affermando che «stava bene», ma il giorno successivo Anthony «sentiva le gambe bloccate, le braccia bloccate» e solo in quel frangente la Croce Rossa lo ha riportato in ospedale dove è morto di lì a poco;
sempre secondo le testimonianze raccolte dal sito internet www.gertahumanreports.org, non si tratterebbe del primo morto, tanto che un ospite, di nome Idris afferma «L'altra volta era un pakistano... oggi è un ghanese... un'altra volta, penso mentre lo trasferivano, un nigeriano è morto. Quindi chi è il prossimo??? Chi? Sono io? O questo ragazzo?... O chi verrà?» -:
se corrisponda al vero la morte segnalata dal sito www.gertahumanreports.org;
se nel centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo si siano registrate altre morti, dal momento del suo insediamento;
quali siano le condizioni di assistenza sanitaria all'interno del Centro e come vengano affrontate eventuali emergenze.
(4-15353)

REALACCI, FONTANELLI e GATTI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
i ripetuti allarmi lanciati dall'amministrazione comunale di Pisa, con ripetute sollecitazioni e richieste di incontro da parte del sindaco Filippeschi alle più alte autorità regionali e nazionali, e anche secondo quanto riportato negli ultimi mesi dalla stampa locale descrivono la grave recrudescenza di fenomeni criminali nella città di Pisa;
negli ultimi tempi, come lamentato anche da spontanei gruppi di cittadini, si contano infatti numerosi reati dovuti ad episodi di microcriminalità tra cui furti e commercio illegale di stupefacenti ed episodi legati alla criminalità organizzata. Una criminalità diffusa un tempo sconosciuta per Pisa ma che sta trovando terreno fertile anche in zone centrali della città, ad esempio si pensi: a Piazza delle Vettovaglie o all'abusivismo commerciale e ai vigili malmenati in zone nevralgiche della città come piazza del Duomo, piazza Manin, largo Cocco Griffi;
a fronte di un aggravarsi della situazione di sicurezza urbana della città si registra paradossalmente una carenza di effettivi nel personale delle forze dell'ordine assegnate alla questura di Pisa, peraltro già riconosciuta dal Ministro dell'interno in un precedente atto di sindacato ispettivo, che, sebbene esse siano fortemente impegnate nel contrasto del crimine, risultano essere nettamente insufficienti per far fronte alla situazione dell'ordine pubblico a Pisa, che desta sempre più preoccupazione;
la ragione principale del sopraccitato squilibrio di agenti di pubblica sicurezza, più volte segnalata, è connessa al fatto che la città di Pisa in realtà ha una quantità di presenze quotidiane superiore di almeno un terzo rispetto ai cittadini residenti -:
se, anche in seguito ai numerosi appelli fatti dal prefetto di Pisa e dai sindacati di polizia della città, il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione sopradescritta e del livello di criminalità raggiunto in città e quali iniziative urgenti intenda prendere il Ministro interrogato per fronteggiare tale situazione;
se il Ministro interrogato non intenda poi da subito assegnare nuovi mezzi e nuovo personale per la Polizia di Stato sia nel capoluogo provinciale che nella provincia di Pisa, visto che anche da notizie sindacali risulta che Pisa sia stata esclusa dall'assegnazione di nuovi agenti usciti dai recenti concorsi di arruolamento della Polizia di Stato.
(4-15355)

BOCCHINO. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
nella serata di sabato 10 marzo 2012 a Pisa, un avvocato di 32 anni è stato aggredito, pestato a sangue e rapinato;
la situazione della sicurezza a Pisa è tornata prepotentemente alla ribalta a seguito di questo episodio che ha destato profondo sconcerto;
quale che sia il movente, certo è che a Pisa c'è un'ondata di nuova delinquenza e la città sta vivendo una seria emergenza legalità, con interi quartieri che rischiano di essere ostaggio della criminalità;
nonostante la volontà e la professionalità degli apparati di polizia, che tempestivamente agiscono per scovare gli autori dei delitti, molte parti della città di Pisa sono in preda alla delinquenza e vivono in un clima di illegalità;
su questo mancato controllo pesa come un macigno la carenza di organico delle forze dell'ordine a Pisa, essendo le stesse commisurate alla popolazione residente a fronte invece di una presenza annua di milioni di turisti nonché circa 30.000 studenti fuori sede ed un hinterland di 200.000 abitanti;
la Polizia di Stato nella città di Pisa ha in dotazione solo una macchina che, a seguito dell'individuazione della Torre come obiettivo sensibile di possibili attacchi

terroristici, staziona esclusivamente nella piazza del Duomo, venendo meno alla propria funzione di controllo del territorio;
se a ciò si aggiunge che a conclusione del 182o corso degli allievi della Polizia di Stato, fra le province destinatarie delle assegnazioni non risulta esservi la città di Pisa mentre sono contemplate realtà più piccole -:
quali risorse umane e finanziarie il Governo intenda destinare per affrontare l'emergenza sicurezza che interessa la città di Pisa, al fine di ridurre e prevenire la criminalità comune e organizzata;
quali siano stati i momenti individuati dopo gli attentati del 1993 per il presidio fisso di polizia e da allora per quali sia stata revocata tale misura.
(4-15357)

CONCIA. - Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nella notte tra sabato 17 e domenica 18 marzo 2012, a Luino, nel Varesotto, in una nota discoteca cittadina nella frazione di Germignaga, sette ragazzi, tra i quali Marco Coppola, presidente provinciale di Arcigay Verbania e componente della segreteria nazionale dell'associazione, sarebbero stati vittima di una aggressione omofoba ad opera del personale della security del locale;
pare che i ragazzi stessero ballando su un cubo tra di loro quando, «identificati» come omosessuali, sarebbero stati costretti a scendere, insultati, brutalmente pestati e infine allontanati dal locale;
i ragazzi hanno chiamato le forze dell'ordine, prontamente sono intervenuti i carabinieri;
presso il pronto soccorso dell'ospedale locale sono state prestate loro cure immediate e prodotti i relativi referti;
le notizie che stiamo riportando sono state rese note da Paolo Patanè, presidente nazionale di Arcigay;
questo, ennesimo, gravissimo episodio, segna davvero un limite insopportabile: il livello di odio e di intolleranza ha decisamente superato il livello di guardia per qualunque Paese voglia considerarsi civile, e non è, inoltre, più accettabile «il muro del silenzio ideologico» contro il quale la battaglia contro la violenza e la cultura omofoba che vi sottosta, finisce per infrangersi;
in Commissione giustizia alla Camera dei deputati è iniziata per la terza volta la discussione generale sulla legge contro l'omofobia e la transfobia -:
quali iniziative urgenti i Ministri competenti intendano adottare al fine di assicurare la sicurezza, la libertà e l'incolumità delle persone omosessuali e transessuali, nonché quali siano gli strumenti, normativi ma anche formativi e preventivi, che il Governo intenda predisporre al fine di arginare e contrastare con efficacia l'ondata di violenza omofoba che sta, oramai da troppo tempo, investendo il nostro Paese.
(4-15364)

LANZARIN. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
risulta all'interrogante, che il signor Velo Bruno abitante a Schio (Vicenza), di professione commerciante, titolare della ditta CIA sas (Centro italiano antincendio) di Schio (Vicenza), abbia inoltrato ben 17 esposti alla procura della Repubblica di Vicenza, denunciando la mancata applicazione del decreto 7 gennaio 2005, recante disposizioni tecniche e disciplina delle procedure per la classificazione e l'omologazione degli estintori portatili di incendio ai fini della prevenzione incendi, allo scopo sottolineando che il sistema delle manutenzioni periodiche dei presidi antincendio difetterebbe dei presupposti tecnico-professionali necessari per una

esaustiva applicazione delle norme allo scopo applicabili -:
se non ritengano di dover attivare le iniziative di competenza al fine di acquisire informazioni sulle questioni esposte in premessa e, se del caso, provvedere a far accertare, in via amministrativa e indipendentemente dall'attività della magistratura, in maniera più specifica i fatti descritti nelle denunce di cui trattasi.
(4-15370)

TESTO AGGIORNATO AL 26 APRILE 2012

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ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:

SIRAGUSA e COSCIA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il 14 febbraio 2012 il Corriere della Sera pubblica un articolo, a firma di Gian Antonio Stella, dal titolo «La preside e quel bidello trasformato nel suo autista»;
si legge nell'articolo «Siamo nel 2005 e i magistrati ricevono un esposto... La Guardia di Finanza, come spiegherà la sentenza, si apposta e nel giro di qualche giorno accerta che è proprio così: la preside Anna Maria Gammeri utilizza un collaboratore scolastico, Nicola Gennaro, come fosse un servitore personale messo dallo Stato a sua completa disposizione»;
Nicola Gennaro, come accertano gli investigatori, va a prendere la preside a casa la mattina e la riaccompagna al pomeriggio. Le fa la spesa e gliela porta a casa, le sbriga commissioni in banca e al supermercato. Lo stesso, dalle tabelle degli straordinari dell'istituto «risulta essere uno stakanovista infaticabile. Accumula ore su ore», si legge sempre sul Corriere della sera;
la preside e il bidello vengono rinviati a giudizio;
il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca non si costituisce parte civile nel processo;
sempre Stella, nell'articolo di cui sopra, aggiunge «finalmente, sei anni dopo la prima denuncia e cinque dopo il rinvio a giudizio, arriva sentenza. È il 24 ottobre 2011. Il giudice monocratico Bruno Sagone, ricordando che tutte le deposizioni dei testimoni "appaiono perfettamente sovrapponibili, concordando univoche nello stigmatizzare questa 'cosa un po' curiosa' che appariva prassi costante ('li vedevo sempre', 'tutte le mattine', era 'un'abitudine')" sancisce che la donna ha compiuto "artifici e raggiri" finalizzati a conseguire, tramite l'uso privatistico dei propri poteri e delle proprie funzioni, un ingiusto profitto. E condanna la preside a 10 mesi di reclusione e 400 euro di multa. Quanto al bidello, 7 mesi e 300 euro di pena pecuniaria. Pene evaporate per entrambi grazie al condono del 2006»;
da allora, la preside e il bidello sono sempre al loro posto mentre come riporta l'articolo «tutti i professori e i collaboratori che avevano testimoniato a carico della preside, sentendosi a torto o a ragione esposti ad ogni genere di ripicca, chiedono uno dopo l'altro il trasferimento in un'altra scuola» -:
se il Ministro sia al corrente di tale vicenda e se non ritenga, nell'interesse pubblico e per la serenità dell'istituto scolastico di cui sopra, di dover intervenire con urgenza per il ripristino della legalità.
(5-06436)

Interrogazione a risposta scritta:

STUCCHI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Per sapere - premesso che:
il gruppo gestione scuole, realtà privata con sede in Bergamo, sostiene scuole statali e paritarie di ogni ordine e grado per lo svolgimento dei percorsi d'istruzione e formazione professionale, garantendo la libertà di scelta delle famiglie e il

diritto allo studio di ciascuno, grazie al contributo della regione Lombardia per gli studenti;
a tale gruppo fanno capo vari istituti e licei, tra i quali l'istituto V. Alfieri per ragionieri e geometri, i licei E. Fermi, scientifico e linguistico, l'istituto G. Leopardi per periti turistici e il liceo della comunicazione «Giovanni XXIII»;
il gruppo gestione scuole deve pagare stipendi arretrati di tre mesi per un centinaio di insegnanti, alcuni dei quali si sono recentemente licenziati, tra cui il preside dei liceo E. Fermi;
i genitori dei 300 allievi delle scuole superiori sono allarmati per la possibile chiusura degli istituti -:
se si intendano attuare tempestivamente adeguati controlli e le opportune iniziative in relazione alla situazione descritta in premessa a garanzia dei diritti degli studenti coinvolti;
se non si ritengano necessario convocare l'azienda Gruppo gestione scuole e i rappresentanti dei lavoratori, al fine di individuare ogni utile soluzione che possa permettere ai dipendenti interessati di ottenere garanzie circa il loro futuro occupazionale.
(4-15367)

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LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:

DAL LAGO, FEDRIGA, MUNERATO, CAPARINI e BONINO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il comparto delle professioni, costituito da oltre 2 milioni di professionisti e 1,5 milioni di lavoratori e collaboratori, rappresenta un rilevante sbocco occupazionale di tutta evidenza non solo per il personale dipendente, ma anche per i giovani neolaureati che, tra mille difficoltà, vedono ancora nella carriera professionale un'alternativa al posto fisso;
la rilevante presenza di giovani (70,20 per cento di età inferiore ai 44 anni) e, in particolare, di donne (oltre 88 per cento) nella forza lavoro degli studi professionali, di per sé, dovrebbe essere motivo di particolare attenzione da parte del Governo, che dovrebbe creare le condizioni per un impiego stabile e duraturo, soprattutto per i più giovani;
gli ultimi provvedimenti normativi del Governo riferiti anche alle libere professioni scontano l'assenza di un preventivo confronto con le associazioni e confederazioni di rappresentanza delle categorie, fino a delineare in alcune disposizioni una sorta di indifferenza nei confronti dei liberi professionisti e dell'intero mondo professionale;
sul tema del lavoro, le parti sociali maggiormente rappresentative del comparto professionale rappresentate dalla Confprofessioni, firmataria dell'unico CCNL studi professionali (sottoscritto il 29 novembre 2011), non sono state convocate da parte del Governo, al tavolo sul lavoro, in modo del tutto arbitrario ed ingiustificato;
il riordino degli ammortizzatori sociali e della Cassa integrazione, le misure per il rilancio dell'occupazione (a cominciare dall'apprendistato) sono materie che investono a pieno titolo anche l'organizzazione e la gestione degli studi professionali -:
se i Ministri interrogati non ritengano opportuno, convocare per il seguito dei lavori del tavolo tecnico sul lavoro anche le parti sociali rappresentative del comparto produttivo delle libere professioni e se non ritengano altresì opportuno costruire un confronto e un dialogo strutturato con le suddette parti sociali, al fine di acquisire il contributo tecnico e di rappresentanza delle libere professioni per garantire la partecipazione ai processi di sburocratizzazione, ammodernamento e sviluppo del Paese.
(5-06438)

ESPOSITO, SANTAGATA, BOCCUZZI e DAMIANO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
nell'anno 2005 il Ministero dell'economia e delle finanze ha istituito il FIP (fondo immobiliare pubblico), con lo scopo di valorizzare il patrimonio immobiliare ad uso strumentale degli enti previdenziali;
l'INPS ha conferito gli immobili ubicati nella città di Torino, via XX Settembre 34, via Arcivescovado, via Amendola, via Arcivescovado angolo via Roma, via XX Settembre angolo via Frola e piazza CLN -:
se il Ministero sia a conoscenza dei valori di cessione da parte di INPS al FIP, che da informazioni raccolte a Torino risultano mediamente di euro 600 al metro quadrato;
se risponda al vero che parte di questi immobili siano in affitto all'INPS;
a quali valori e se corrisponda al vero che parte di detti immobili, ceduti dal FIP ad operatori privati, sono stati posti sul mercato della vendita a valori, per le civili abitazioni tra i 7.000 e gli 8.000 euro al metro quadrato e per la parte commerciale a 18.000 euro al metro quadrato;
a quali prezzi il FIP abbia ceduto gli immobili agli operatori privati e attraverso quali procedure di evidenza pubblica siano stati scelti gli acquirenti.
(5-06439)

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POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

NEGRO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
il ruolo di tutela ambientale e sanitaria svolto dall'agronomo è indispensabile a garantire la corretta gestione dei processi delle filiere agroalimentari vegetali che hanno dirette ripercussioni sulla tutela della sicurezza alimentare, della salute pubblica e dell'ambiente;
i lavori e gli incarichi di consulenza riguardanti la coltivazione delle piante, la difesa fitoiatrica, l'alimentazione e l'allevamento degli animali, nonché la conservazione, il commercio, l'utilizzazione e la trasformazione dei relativi prodotti, sono essenziali per l'attuazione delle norme agro ambientali comunitarie e nazionali a tutela dei diritti costituzionali;
la professione di agronomo assume quindi un'importanza fondamentale nella prescrizione dell'impiego di tutte le tecniche disponibili non pericolose per l'uomo e l'ambiente come risulta dall'atto fitoiatrico e risulta indispensabile alla verifica della sicurezza degli alimenti biologici posti in commercio posto che le frodi nelle importazioni di tali prodotti sono sempre più numerose;
l'adesione agro ambientale suggerita delle norme comunitarie con l'obiettivo ridurre l'impiego di pesticidi chimici richiede la riconversione di gran parte dell'agricoltura italiana al biologico e a tal fine potrebbero essere utilizzate le risorse dei piani di sviluppo rurale-PSR attraverso una riprogrammazione delle erogazioni a favore dell'impiego di tecniche biologiche come avviene in altri Paesi comunitari -:
di quali ulteriori elementi disponga il Ministro in relazione ai fatti espressi in premessa e se non ritenga opportuno incentivare l'agricoltura biologica, anche attraverso iniziative dirette ad una riprogrammazione degli interventi previsti nei piani di sviluppo rurale, ed incrementare la partecipazione degli agronomi, come tecnici specializzati, nelle istituzioni e negli organismi dedicati quali i tavoli verdi di concertazione e sorveglianza regionali e nazionali.
(5-06437)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
per la campagna vaccinale pubblica contro il virus responsabile del tumore alla cervice uterina, sono stati stanziati, con l'articolo 2, comma 372, della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008), 30 milioni di euro come contributo aggiuntivo alle risorse già previste nell'ambito dei fondi per l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA), mentre ulteriori 40 milioni di euro sono stati reperiti dai capitoli di bilancio del Ministero;
al fine di monitorare l'andamento della campagna e identificare tempestivamente eventuali aree di bassa copertura, il reparto di epidemiologia di malattie infettive del Centro nazionale di epidemiologìa sorveglianza e promozione della salute (CNESPOS), in collaborazione con il Gruppo sanità pubblica del Coordinamento interregionale della prevenzione, raccoglie semestralmente i dati di copertura vaccinale (CV) per regione, coorte di nascita e numero di dosi somministrate;
i dati sono aggiornati al 30 giugno 2011 ed evidenziano le situazioni regione per regione, per coorti di nascita (1997-1999), per numero di dosi somministrate;
il 2012 è l'anno del raggiungimento dell'obiettivo di copertura del 95 per cento nelle dodicenni per la vaccinazione anti-HPV;
al fine di identificare i fattori associati ad alte e basse coperture vaccinali e delineare le strategie «vincenti» per raggiungere una copertura ottimale, nel 2011 l'Istituto superiore di sanità ha avviato il progetto «Valore» a cui hanno aderito tutte le regioni tranne una;
il progetto si propone di raccogliere le esperienze delle regioni e delle aziende sanitarie locali in relazione agli aspetti organizzativi, logistici, comunicativi e sociali; indagare i motivi di mancata vaccinazione da parte delle ragazze; redigere un documento tecnico sul modo di condurre una campagna vaccinale che sia di supporto alle regioni e alle ASL per il futuro con lo scopo di migliorare le coperture vaccinali e ridurre al minimo le disomogeneità territoriali -:
se il Ministro interrogato non ritenga opportuno fornire elementi circa le iniziative da intraprendere per rilanciare una forte e incisiva campagna vaccinale contro il virus HPV per far sì che venga mantenuto e raggiunto l'obiettivo di CV del 95 per cento nel 2012 come previsto dalla Conferenza Stato-regioni;
se non ritenga importante rilanciare una campagna di informazione che raggiunga in modo capillare i genitori delle ragazze appartenenti alle coorti d'età interessate per favorire una maggiore conoscenza delle patologie sostenute da virus a trasmissione sessuale e dei benefici della vaccinazione;
quali iniziative intenda attuare per rilanciare la campagna vaccinale affinché essa continui anche nei prossimi anni;
se non ritenga opportuno fornire elementi circa lo stato di attuazione del progetto «Valore», e sui suoi possibili futuri sviluppi.
(5-06441)

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
in Italia più di 70,000 persone sono state contagiate tra gli anni settanta e novanta attraverso trasfusioni, vaccinazioni obbligatorie o emoderivati infetti,

contraendo malattie irreversibili quali l'Aids o l'epatite C e, tra il 1985 e il 2008, ci sono stati circa 2.600 decessi;
l'articolo 33, comma 1, del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, «Per le transazioni da stipulare con soggetti talassemici, affetti da altre emoglobinopatie o affetti da anemie ereditarie, emofilia ed emotrasfusi occasionali danneggiati da trasfusione con sangue infetto o da somministrazione di emoderivati infetti e con soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, che hanno instaurato azioni di risarcimento danni tuttora pendenti», prevedeva uno stanziamento di 150 milioni di euro per l'anno 2007;
l'articolo 2, comma 361, della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008), autorizzava per tali transazioni una spesa di 180 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2008, mentre il successivo comma 362 prevedeva l'adozione di un decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, in cui fossero fissati i criteri in base ai quali definire, nell'ambito di un piano pluriennale, le transazioni;
in data 28 aprile 2009 è stato emanato dal Ministero del lavoro, salute e politiche sociali pro tempore il decreto ministeriale n. 132, che determinava le regole per la stipula delle transazioni con soggetti danneggiati che avessero instaurato, anteriormente al 1o gennaio 2008, azioni di risarcimento danni ancora pendenti alla data di entrata in vigore del decreto stesso;
il Ministero della salute ha disciplinato altresì le «Modalità di presentazione delle domande di adesione alle transazioni ai sensi del decreto 28 aprile 2009, n. 132» attraverso una circolare pubblicata il 22 ottobre 2009, a seguito della quale, secondo quanto riportato sul sito dello stesso Ministero, sono state presentate 7.356 domande di adesione alla procedura transattiva;
il 5 maggio 2011 il Consiglio dei ministri ha rinviato la decisione definitiva ad un decreto-legge per il riconoscimento di indennizzi a quanti hanno contratto malattie a causa di una trasfusione di sangue, per approfondire alcuni aspetti tecnici, pur avendo in realtà tutta la copertura finanziaria; secondo il Comitato vittime da sangue infetto questo decreto-legge rappresenta un provvedimento di grande giustizia che pone fine a errori sanitari che hanno determinato la morte di tante persone e costringe alla malattia tanti emotrasfusi -:
quali iniziative intendano intraprendere i Ministri interrogati affinché il Consiglio dei ministri possa approvare il decreto-legge passo necessario per attuare la doverosa transazione nei confronti delle, purtroppo numerose, vittime del sangue infetto e delle loro famiglie.
(5-06443)

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
per quanto risulta agli interroganti: dalla riunione dei direttori generali degli assessorati regionali per la salute è scaturita - ed è in circolazione - la bozza di «proposta delle regioni per il patto per la salute 2013-2015», datata 24 gennaio 2012;
il presidente della Conferenza delle regioni, con una nota del 31 gennaio 2012, ha precisato che non esiste alcun documento della Conferenza delle regioni per il nuovo patto per la salute 2013-2015 e che la proposta suddetta costituisce un documento elaborato a livello tecnico ed istruttorio che non ha ricevuto neanche un primo vaglio da parte degli assessori per la salute e non rappresenta la base di discussione all'interno della discussione in Conferenza;
a prescindere dall'ufficialità, a quanto risulta agli interroganti la proposta dei direttori generali degli assessorati è un documento di carattere tecnico che presenta

molteplici profili di criticità ed è foriero di pregiudizi seri per le persone affette da diabete, per i soggetti celiaci e per i bambini in età pediatrica;
riguardo alla patologia diabetica, come emerge dalla nota che le società scientifiche e le associazioni dei pazienti hanno trasmesso in data 3 febbraio 2012 al Ministro interrogato e agli assessorati regionali per la salute, le criticità riguardano: 1) la mancata considerazione, in punto di realizzazione di strutture territoriali per le malattie croniche dell'attività specialistica integrata, che costituisce la naturale interfaccia per i nuovi esordi e i casi complessi che non possono essere oggetto di ricoveri ospedalieri; 2) l'ipotesi di un ticket sui presidi per l'autocontrollo della glicemia; 3) il passaggio all'età di 7 anni al medico di medicina generale;
riguardo ai pazienti celiaci, le criticità attengono all'introduzione di un ticket per gli alimenti senza glutine e il principio potrebbe essere che il servizio sanitario nazionale paga solo la differenza tra il prodotto normale e il prodotto specifico;
la mancata considerazione dell'attività specialistica integrata in ordine alla gestione territoriale delle malattie croniche comporterebbe il rischio che alle donne diabetiche in gravidanza, ai pazienti adulti, ai pazienti in età evolutiva e ai soggetti con complicanze evolutive sia offerto il ricovero come unica opzione assistenziale;
il servizio sanitario nazionale eroga ai cittadini affetti da patologia diabetica i presidi diagnostico-terapeutici essenziali e necessari per la terapia vitale del paziente e per il corretto decorso della patologia;
un controllo glicemico costante consente quelle modifiche terapeutiche che favoriscono una minore insorgenza delle complicanze, cause di ripetuti ricoveri ospedalieri che limitano il benessere vitale e la regolare attività professionale del soggetto diabetico, consentendo un risparmio economico a carico del servizio sanitario nazionale;
l'ipotesi di un ticket sui presidi per l'autocontrollo della glicemia potrebbe avere pesanti ricadute sul monitoraggio della malattia e quindi sullo sviluppo delle relative complicanze, determinando un peggioramento della qualità della vita dei pazienti e l'aumento dei costi per l'ospedalizzazione;
il pediatra è sicuramente il medico più qualificato per i bambini in quanto conosce perfettamente i dosaggi delle cure farmacologiche che variano a seconda del peso e delle dimensioni e, pertanto, il passaggio all'età di 7 anni al medico di medicina generale potrebbe causare rischi per la salute, sia fisica che psicologica del bambino;
secondo alcune stime, i potenziali celiaci sarebbero circa 600.000, quelli diagnosticati circa 60.000 e, ogni anno, sono circa 2.800 i nuovi casi diagnosticati;
l'inserimento di un ticket per gli alimenti senza glutine penalizzerebbe una vasta categoria di persone che versa in una situazione di svantaggio e di vulnerabilità, e potrebbe condizionare in senso negativo la liberalizzazione della distribuzione dei prodotti erogabili nella grande distribuzione;
gli elementi di criticità ravvisati nella proposta delle regioni per il patto della salute 2013-2015, elaborata dai direttori generali degli assessorati per la salute, potrebbero condurre all'erogazione di un'assistenza diabetologica qualitativamente inferiore a quella attualmente offerta, con il rischio di un aumento dei costi della malattia e di un aggravio di spesa per la cura a carico delle persone affette da diabete;
l'inserimento di un ticket per i celiaci ad avviso degli interroganti oltre a penalizzare fortemente una vasta categoria di persone che ha nella dieta senza glutine, l'unica terapia ad oggi conosciuta, potrebbe anche condizionare negativamente la liberalizzazione della distribuzione dei

prodotti erogabili nella grande distribuzione -:
se il Ministro sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali urgenti iniziative di competenza intenda adottare al fine di scongiurare il rischio che venga introdotto un ticket sia sugli ausili diabetici, che costituiscono strumenti essenziali per il monitoraggio della malattia nonché per la terapia vitale del paziente, sia sugli alimenti senza glutine, che rappresentano il salvavita per le perone affette da celiachia.
(5-06444)

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute, Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
in Italia sono oltre 1.200 i laureati in podologia dei quali circa 130 operanti nella regione Lombardia;
dopo il percorso universitario, sono tenuti a un tirocinio e gran parte di loro conseguono un master di specializzazione proprio sul piede diabetico;
i laureati podologi sono operatori sanitari cui competono le attribuzioni previste dal regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 14 settembre 1994, n. 666;
il Gruppo Multimedica della regione Lombardia ha organizzato per il 17 marzo 2012 un corso rivolto agli infermieri concernente la cura della complicanza del piede diabetico;
tale iniziativa formativa rientra nel sistema di accreditamento ECM che dovrebbe garantire al cittadino l'aggiornamento delle professioni sanitarie;
secondo i dati del Ministero della salute, la Lombardia è la regione dove si verifica il maggior numero di amputazioni: nel 2009 sono state registrate ben 1.605 amputazioni, con 25.884 giornate di degenza;
come dimostrato da un noto studio americano, l'impiego del podologo sul territorio garantisce, soprattutto attraverso la prevenzione e l'educazione sanitaria del paziente, una riduzione del numero delle amputazioni di circa il 60 per cento e dei ricoveri ospedalieri di circa il 24 per cento;
l'ordinamento non prevede la podologia fra le discipline riconosciute dal Servizio sanitario nazionale -:
se i Ministri non ritengano che le attività connesse alla cura della complicanza del piede diabetico, secondo il profilo professionale, siano di esclusiva competenza del podologo;
se non si ritenga opportuno strutturare un protocollo assistenziale terapeutico che comprenda necessariamente l'impiego attivo e continuo del podologo in regime ospedaliero oppure creare sul territorio una capillare rete di assistenza al fine di favorire l'occupazione di numerosi giovani che si sono specializzati proprio sul piede diabetico e, di conseguenza, evitare il dispendio di finanziamenti pubblici per formare nuove risorse;
quali iniziative di rispettiva competenza intendano intraprendere al fine di colmare questa lacuna normativa con l'inserimento del servizio podologico tra le prestazioni previste nell'ambito dei livelli essenziali di assistenza (LEA).
(5-06445)

Interrogazione a risposta scritta:

ANTONIONE. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il 10 per cento della popolazione in Italia è affetta da acufene, una patologia che si manifesta con una fastidiosa sensazione uditiva, un suono continuo, costante (es. fischi, ronzii, e altro) percepito in un orecchio o in entrambi o nella testa; questa patologia interferisce negativamente sull'aspetto psicologico ed emozionale, sul ritmo sonno-veglia, sul livello di attenzione e concentrazione, sulla vita di relazione;

questi fattori portano spesso ad uno stato di forte depressione, a volte con risvolti drammatici;
appare necessaria una maggiore attenzione della sanità pubblica nei confronti di tale quadro nosologico -:
se il Ministro intenda promuovere studi e ricerche riguardanti tale patologia per consentire di migliorare l'approccio terapeutico e, quindi, migliorare la qualità della vita delle numerose persone colpite.
(4-15362)

...

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:

GALLI. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
da circa dieci anni l'ente governativo Italiano GSE (gestore servizi energetici) richiede e controlla particolari certificati che attestano l'origine delle fonti rinnovabili utilizzate all'estero per produrre l'elettricità importata in Italia; si tratta di certificati di origine che nessun altro Stato membro richiede al momento di importare energia nel proprio Paese;
in Italia vengono fatti pagare ai consumatori fino a 2,50 euro per MWh per dimostrare all'Europa che ci si sta impegnando attivamente a favore dell'ambiente;
considerando la grande quantità di energia importata ogni anno, circa 40/50 TWh l'Italia dovrebbe essere il Paese europeo a più alto tasso di energia verde;
in contraddizione con ciò il Governo italiano nel 2010 ha chiesto alla Commissione europea di conteggiare solo 12 TWh di elettricità importata da fonti rinnovabili, mai però certificati dalla stessa Commissione;
da questo si deduce legittimamente che i certificati di origine, pagati a caro prezzo dai consumatori italiani, non sembrano avere dimostrato nessuna importazione di energia derivata da fonti rinnovabile e quindi che non siano utili a ridurre le emissioni e a migliorare l'ambiente;
si richiama quanto il Sottosegretario pro tempore Saglia ha in passato dichiarato, ovvero: «che ciò che viene contabilizzato come energia verde non lo è»;
dal momento che entro il 2020 l'Unione europea intende ridurre del 20 per cento le sue emissioni di gas a effetto serra, gli stati membri dovranno adottare le misure necessarie per raggiungere questo obiettivo - in Italia il 17 per cento dei consumi elettrici dovranno derivare da fonti rinnovabili - e per tale motivo in tutti i Paesi europei esistono finanziamenti più o meno vantaggiosi per promuovere l'utilizzo di energia pulita;
il Governo italiano, attraverso i certificati verdi, incentiva i cittadini a scegliere l'eolico o il fotovoltaico e nello stesso tempo acquista elettricità da Paesi terzi non avendo nessuna certezza della sua origine, anzi per la quasi totalità non proveniente da fonti rinnovabili;
il mercato dei contributi alle fonti rinnovabili, quali certificati verdi, hanno avuto uno sviluppo considerevole negli ultimi decenni, tanto che i cittadini italiani arrivano a sborsare ogni anno attraverso la bolletta elettrica la considerevole cifra di circa 6 miliardi di euro per tali politiche ambientali;
è doveroso tener conto che si sono diffuse in questo contesto pratiche apparentemente virtuose ma concretamente poco rispettose dell'ambiente e delle tasche dei cittadini, che danneggiano i consumatori sui quali gravano i costi finali -:
quali iniziative si intendano adottare affinché la salvaguardia dell'ambiente non diventi occasione per rincarare i prezzi dell'energia da parte delle società di settore,

e per far sì che i consumatori finali abbiano contezza di ciò che sono tenuti a pagare e sulla sua reale origine.
(3-02164)

Interrogazioni a risposta scritta:

BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
l'editoria televisiva privata locale ha rappresentato storicamente nel nostro Paese una pluralità di voci che hanno garantito, almeno per una minima parte, il pluralismo nell'informazione che il duopolio Rai e Mediaset hanno per decenni impedito;
il passaggio al digitale ha rappresentato per molte televisioni private un momento difficile, che piuttosto di promuovere il rilancio del settore ha creato ulteriori problemi;
il passaggio al digitale invece di incentivare una moltiplicazione delle voci ha finito per favorire ulteriormente RAI e Mediaset, le quali hanno moltiplicato le loro frequenze a scapito di altri;
in particolare nella regione Piemonte, dove il passaggio - avvenuto in due fasi distanziate di un anno una dall'altra (prima la provincia di Torino e poi tutto il resto della regione) -, si è creato un momento di grave crisi negli introiti pubblicitari che non potevano più essere presi per l'intero territorio regionale ma divisi tra la porzione di territorio dedicata al digitale e l'altra all'analogico;
i segnali del digitale terrestre non sono garantiti sul territorio regionale piemontese con ulteriore ricaduta negativa sulla pubblicità;
da alcune settimane molte trasmissioni di approfondimento delle televisioni private in crisi hanno cessato la loro attività per le difficoltà economiche, con danno evidente per i cittadini consumatori;
la situazione che stanno vivendo i lavoratori di alcune televisioni private in crisi (oltre un centinaio di persone a livello regionale) richiede un intervento capace di individuare possibili soluzioni e possibili vie di'uscita per evitare la perdita di professionalità affermate e posti di lavoro;
nei giorni scorsi il Corecom e l'assessore al lavoro della regione Piemonte, su sollecitazione dei radicali, hanno convocato un tavolo di confronto con tutte le emittenti private per discutere della questione;
la situazione del Piemonte è certamente tra le più gravi d'Italia, ma rappresenta comunque la punta di un iceberg che presto si paleserà in tutta Italia;
un piano di rilancio o di riconversione non può essere eluso a livello nazionale, ragionando anche delle enormi potenzialità non sfruttate delle piattaforme distributive satellitari -:
se sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa e, nell'eventualità positiva, quale sia l'orientamento del Governo in merito al ruolo assunto dalle televisioni private nell'ambito del panorama televisivo nazionale essendo per gli interroganti lesivo dei diritti di informazione dei cittadini il fatto che si spengano voci libere, anche in conseguenza di una pianificazione non oculata del passaggio al digitale;
se, ed eventualmente quali interventi abbia intenzione di porre in essere in collaborazione con le istituzioni regionali e se non ritenga necessario individuare possibili soluzioni, eventualmente anche di natura normativa, anche acquisendo informazioni dal Corecom.
(4-15363)

TOTO. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
l'U.N.C.I - Unione nazionale cooperative italiane è un'associazione di rappresentanza,

assistenza e tutela del movimento cooperativo, nonché di revisione, su delega del Ministero dello sviluppo economico, giuridicamente riconosciuta con decreto ministeriale 18 luglio 1975, iscritta al n. 299 del 1981 del registro delle personalità giuridiche presso la prefettura di Roma e sottoposta, ai sensi del decreto legislativo n. 220 del 2002 e dell'articolo 7 del Decreto del Presidente della Repubblica 28 novembre 2008, n. 197, alla vigilanza e al controllo del Ministero dello sviluppo economico;
l'Unione è articolata in federazioni regionali e provinciali e nel biennio ispettivo 2009-2010 ha sottoposto a revisione 4.992 cooperative, per un valore complessivo di produzione pari a 2.428.007.280,42 di euro e un numero di soci pari 195.597;
di diretta emanazione dell'U.N.C.I. sono le associazioni nazionali di settore: U.N.C.I.-pesca, che si avvale di finanziamenti stanziati nell'ambito di programmi nazionali e regionali di sviluppo del settore della pesca e dell'acquacoltura; ex ASCAT, che raggruppa le cooperative agricole e di trasformazione agroindustriale; ANCOS che aggrega i consorzi e le cooperative sociali aderenti a U.N.C.I.;
tra gli enti controllati da U.N.C.I., vi è il fondo per la promozione e lo sviluppo della cooperazione (Promocoop Spa), istituito ai sensi della legge n. 59 del 1993, sottoposto alla vigilanza del Ministero dello sviluppo economico, il cui oggetto esclusivo, è quello dello svolgimento di attività di promozione e finanziamento di nuove imprese e di iniziative di sviluppo della cooperazione;
il presidente pro-tempore di U.N.C.I., Luciano D'Ulizia, e il presidente pro-tempore di Coldiretti, Sergio Marini, nel mese di luglio 2009, sottoscrissero un accordo politico strategico, dichiaratamente teso a favorire la progressiva integrazione tra le due organizzazioni, seppur limitatamente al comparto agricolo, tanto a livello centrale quanto a livello periferico;
l'U.N.C.I. svolse il 7° congresso nazionale il 25-26 novembre 2009, che elesse il nuovo presidente, professor Paolo Galligioni, all'esito del quale, sulla base del regolamento congressuale, predisposto dal presidente uscente, Luciano D'Ulizia, scaturì una composizione degli organi volitivi, consiglio generale e consiglio di presidenza, a giudizio dell'interrogante inadeguata a rappresentare tutte le componenti territoriali dell'Unione, anche, probabilmente, per effetto dei contenuti del citato accordo, in particolare con riguardo agli assetti organizzativi e, più specificatamente, alle cariche da attribuire;
trentuno consiglieri sui sessanta che compongono il consiglio generale sono di espressione della federazione delle Marche, presieduta dal dottor Francesco D'Ulizia, figlio di Luciano D'Ulizia, a testimonianza del rilevato disequilibrio rappresentativo; la stessa maggioranza dei componenti del consiglio di presidenza, cinque su nove, era rappresentativa del medesimo territorio. D'altronde, già nel periodo precedente all'assemblea nazionale dell'anno 2009, rilevanti posizioni in seno all'U.N.C.I. privilegiarono quella matrice geografica di provenienza dei soggetti che le ricoprirono; esemplificativamente: presidente U.N.C.I. e presidente Promocoop spa Luciano D'Ulizia, direttore centrale dottor Francesco D'Ulizia, rappresentante U.N.C.I. in seno al CNEL, ancora il dottor Francesco D'Ulizia, presidente del comitato di commissariamento U.N.C.I.-pesca, ragionier Michele Marinelli, componente del collegio sindacale U.N.C.I., dottor Alberto Cavallaro tutti soggetti, alcuni plurincaricati, di riferimento della regione Marche;
dopo pochi mesi dal 7° congresso, i nuovi organismi associativi iniziarono a registrare difficoltà nel loro funzionamento viepiù crescenti tanto da condurre, rapidamente, l'U.N.C.I. a una stasi operativa, molto spesso determinata da contrasti nei quali si contrapponevano le principali cariche dell'Unione, tra le quali la presidenza d'onore, in accordo tra loro, alla presidenza effettiva di U.N.C.I. In proposito, giova evidenziare che, nel mese di giugno 2010, a sei mesi dalla celebrazione

dell'ultimo menzionato congresso, la presidenza di U.N.C.I. aveva sporto denuncia contro l'operato, dell'attuale presidenza, volta ad accertare una presunta appropriazione indebita di fondi dell'Unione, per un importo pari a 190.000,00 euro, a valere sul bilancio 2009;
è presumibile che, nei riporti interni, la menzionata denuncia giudiziaria abbia determinato le reazioni ostili verso la presidenza autrice della medesima. Di certo accadde, che il presidente d'onore, giusta i poteri statutari, così come attribuiti dalle modifiche apportate in sede congressuale, in data 23 giugno 2010, convocò un consiglio generale per deliberare la celebrazione di un nuovo congresso di U.N.C.I., funzionale al rinnovo anticipato delle cariche sociali e della presidenza in primis: detta convocazione fu sospesa dal tribunale di Roma a seguito di impugnazione, esperita da una cooperativa associata in quanto le modifiche statutarie che attribuivano la facoltà al presidente d'onore di convocare il congresso nazionale non erano state approvate dall'autorità prefettizia. Tali circostanze comportavano di fatto la reviviscenza dell'ultimo statuto regolarmente iscritto nel registro delle persone giuridiche, ossia quello approvato nell'anno del 2000, ritenuto dal tribunale di Roma l'unico valido ed efficace «sia inter partes sia verso i terzi», ma il cui testo non riconosceva, però, al presidente d'onore il potere di convocare gli organi associativi;
a giudizio dell'interrogante inopinatamente, anche su questa vicenda giurisdizionale, gli organi dell'Unione ebbero modo di scontrarsi, poiché, da un lato, lo statuto del 2000 riduceva le prerogative del presidente d'onore, già oggetto di inequivocabili perplessità da parte del Ministero dello sviluppo economico, con la nota protocollo n. 0039146 del 28 aprile 2010, in quanto non meramente onorifiche;
è da rilevare che la Promocoop società partecipata al 98 per cento da U.N.C.I. e il cui consiglio di amministrazione era presieduto dal presidente d'onore di U.N.C.I, ha esperito numerose azioni legali congiuntamente alla presidenza d'onore dell'Unione ad altri soggetti ed enti associati all'Unione;
la situazione sopra descritta, ha comportato una vera e propria frattura nella base associativa dell'U.N.C.I, con la formazione, di due gruppi di federazioni territoriali, antagonisti e contrapposti ed inevitabili, pesanti ripercussioni all'interno e all'esterno dell'organizzazione;
nella riunione del consiglio generale di U.N.C.I. del 6 luglio 2010 e del 27 luglio 2011, la maggioranza, ispirata dal presidente d'onore, Luciano D'Ulizia, non approvava il bilancio consuntivo 2009, relativo alla gestione D'Ulizia, cessata il 26 novembre 2009 sarebbero stati i vice-presidenti di U.N.C.I., dal canto loro, dapprima intervenivano sugli istituti di credito ottenendo il blocco cautelativo dei conti correnti di U.N.C.I sui quali aveva delega ad operare il suo presidente effettivo e, in pari tempo, convocavano, ad avviso dell'interrogante in violazione delle norme statutarie, più riunioni, indicate, rispettivamente, «consiglio di presidenza», ma nella composizione stabilita dallo statuto del 2009, inefficace, come sopra precisato, e «consiglio generale», nel corso delle quali, neglette le censure mosse da diversi componenti non intervenuti a dette riunioni, coloro che vi parteciparono diedero luogo alla costituzione, tra l'altro di un «comitato esecutivo» che, seduta stante, delegava un vice-presidente a partecipare, in sostituzione del presidente effettivo di U.N.C.I, all'assemblea di Promocoop spa che riconfermava l'onorevole Luciano D'Ulizia nella carica di presidente del consiglio di amministrazione, con ulteriore inasprimento del contenzioso già in essere;
di fatto, dunque, si è venuta a creare una complessa e, almeno apparentemente e sollecitamente, insanabile condizione di ingovernabilità di U.N.C.I, dapprima, con la neutralizzazione dell'organo amministrativo e, poi, con la creazione di quelli che all'interrogante appaiono dei veri e

propri «organi paralleli». Va evidenziato che il presidente d'onore, Luciano D'Ulizia, presidente, altresì, di Promocoop la società di gestione del fondo mutualistico per la promozione e lo sviluppo della cooperazione, con importanti disponibilità finanziarie rivenienti, annualmente, dagli stanziamenti della legge n. 59 del 1992, ancora oggi, avrebbe, a quanto consta all'interrogante, una indiretta ma significativa «influenza» sull'associazione nazionale di settore U.N.C.I-pesca. Il commissariamento dell'U.N.C.I-pesca fu deliberato dal consiglio generale del 26 aprile 2009;
il Ministero dello sviluppo economico, a seguito di un esposto del collegio sindacale dell'U.N.C.I, nel mese di luglio 2011, avviava un'ispezione sull'Unione, all'esito della quale era redatto, in data 25 ottobre 2011, un verbale il cui contenuto ha sostanziato la successiva diffida n. 0206489-2 del 2 novembre 2011, notificata a U.N.C.I., in persona del suo presidente pro-tempore, perché fossero rimosse, con effetto immediato, le gravi irregolarità rilevate nel verbale di ispezione, mediante l'esecuzione dei seguenti adempimenti: a) adeguamento, entro sessanta giorni e sulla base di un regolamento che tenga conto dell'effettiva rappresentatività della base sociale, dello statuto dell'associazione, secondo le raccomandazioni già precedentemente formulate nella nota protocollo n. 39146 del 28 aprile 2010, rimaste inosservate, «con riferimento all'aspetto dei poteri attribuiti al presidente d'onore e facendo venir meno ogni rischio di sovrapposizione e/o duplicazione con quelli del presidente effettivo e di qualunque altro organo operativo»; b) predisposizione e inoltro, entro trenta giorni, di un piano operativo, puntuale e circostanziato di aggiornamento e addestramento dei revisori, diretto al miglioramento della qualità della vigilanza; c) approvazione, entro trenta giorni, dei bilanci relativi agli esercizi 2009 e 2010, non ancora approvati, con espresso avvertimento che, in caso di inadempimento e, comunque, ove U.N.C.I non fosse stata in grado di rimuovere le irregolarità emerse, dando seguito alle attività nei termini e modi fissati, sarebbero stati adottati «i provvedimenti di rigore ritenuti più opportuni»;
successivamente alla notifica della diffida testé richiamata, si sono verificate le seguenti ulteriori vicende: 1) il presidente di U.N.C.I. convocò per il giorno 9 novembre 2011 un consiglio di presidenza, per l'approvazione delle modifiche statutarie richieste dal Ministero e, contestualmente, un consiglio generale, per il successivo 23 novembre 2011, per l'approvazione del bilancio consuntivo 2009, nella versione approvata dal consiglio di presidenza in data 13 maggio 2010, con il voto favorevole, è da notare, anche di due vice-presidenti, di U.N.C.I, e munito del parere favorevole del collegio sindacale di cui alla relazione del 4 giugno 2011, integralmente confermata in occasione del consiglio generale del 27 luglio 2011; 2) il presidente d'onore e i vice-presidenti di U.N.C.I., non presentandosi alla riunione del consiglio di presidenza del 9 novembre 2011, impedirono all'U.N.C.I. di ottemperare alla diffida ministeriale, in ordine all'adeguamento delle norme statutarie, di cui al superiore punto a); 3) molte federazioni, anche in considerazione delle convocazioni di dubbia legittimità di organi non previsti dallo Stato da parte del presidente d'onore D'Ulizia, rivolsero formale istanza al Ministero affinché, ricorrendone le condizioni, provvedesse alla nomina di un commissario ad acta, con il compito di condurre l'associazione al rinnovo degli organi, a salvaguardia dell'Unione e dei suoi associati; 4) a seguito di un incontro, svoltosi in data 16 novembre 2011, è promosso dai vice-presidenti di U.N.C.I., in presenza anche del direttore centrale, di un consigliere generale e del presidente effettivo, quest'ultimo, raccogliendo l'invito di uno dei vice-presidenti, rinviò, con formale comunicazione acquisita agli atti, la riunione del consiglio generale convocata per il 23 novembre 2011 avendo tutti concordemente proposto al direttore generale la nomina di un commissario ad acta, all'atto delle previe dimissioni di tutti i componenti del consiglio di presidenza; 5) nonostante ciò, su formale quanto inopinato invito del presidente

d'onore, il 23 novembre 2011 un gruppo di consiglieri si riuniva sotto la presidenza del dottor Francesco D'Ulizia, vicepresidente dell'U.N.C.I.; la riunione veniva auto-definita consiglio generale e stabiliva la decadenza del presidente effettivo pro-tempore di U.N.C.I. e ne affidava al dottor Francesco D'Ulizia le funzioni, ivi inclusa la legale rappresentanza. È di assoluto rilievo che l'auto-definitivo consiglio generale, contestualmente approvava un bilancio consuntivo 2009 difforme da quello regolarmente approvato in precedenza dal consiglio di presidenza e munito del parere favorevole del collegio sindacale. Le difformità vertevano sul punto dell'imputazione tra i costi, e non più tra i crediti, nel bilancio dell'Unione della somma, di euro 190 mila di cui alla vicenda più sopra accennata. La procedura di dubbia legittimità evidenziava, ad abundantiam, difformità con i rilievi già espressi dal collegio sindacale dell'U.N.C.I. e anomalie insanabili di procedure amministrative e contabili, oggettivamente scorrette; 6) il dottor Francesco D'Ulizia, auto-qualificandosi «legale rappresentante» dell'U.N.C.I., inviò al Ministero dello sviluppo economico-direzione generale piccole e medie imprese ed enti cooperativi alcune note su carta intestata dell'U.N.C.I. con le quali comunicò che gli «organi sociali» avevano posto in essere una serie di azioni e confezionato una pluralità di atti, quasi a lasciar intendere di avere, in tal modo, ottemperato alla menzionata diffida del dicastero, del 2 novembre 2001;
i più rilevanti atti compiuti dal dottor Francesco D'Ulizia nell'asserita qualità di nuovo legale rappresentante dell'U.N.C.I., risultano essere: a) invio al Ministero dello sviluppo economico del bilancio consuntivo 2009, nella redazione difforme di cui si è sopra detto, approvata dall'auto-definito consiglio generale riunitosi in data 23 novembre 2011 e ulteriori attività che suscitano forti dubbi sul piano della titolarità dei poteri e dell'esercizio delle competenze; b) approvazione deliberata, il 19 dicembre 2011 difforme da quella prevista dall'articolo 18 dello statuto vigente, di modifiche apportate, allo statuto del 2009 e non a quello vigente del 2000;
per una più esaustiva descrizione della grave situazione giuridico-societaria in cui versa l'U.N.C.I., si può aggiungere ulteriormente che: a) diversi consiglieri generali e numerose federazioni territoriali hanno aspramente, disconosciuto tutte le iniziative poste in essere dal dottor Francesco D'Ulizia, eccependone l'illegittimità, le violazioni statuarie e la loro configurazione contra legem; b) il collegio sindacale dell'Unione ha attestato di non poter avvalorare la posizione del vicepresidente D'Ulizia e che nello statuto non si rinvengono disposizioni applicabili alla situazione contingente che possano far ritenere decaduto Galligioni (presidente di U.N.C.I., eletto dal congresso); che deve ad oggi considerare quale legale rappresentante dell'U.N.C.I. il professor Paolo Galligioni che ad oggi il comitato esecutivo non risulta istituito secondo le previsioni dello statuto associativo; c) il 12 dicembre 2011 il vice-presidente dottor Franco Pasquali si è dimesso da tutte le cariche associative; d) con istanza protocollo n. 8/2012/PR del 17 gennaio 2012, il presidente eletto, professor Galligioni, su mandato del consiglio di presidenza, ha sollecitato un intervento ispettivo del Ministero dello sviluppo economico sulla Promocoop spa, già richiesto con nota protocollo n. 3607/11/PR del 15 settembre 2011, sul presupposto che, sotto la presidenza Luciano D'Ulizia, il fondo mutualistico, da un lato, avrebbe posto in essere alcuni atti impropri e, dall'altro, ne avrebbe omesso di dovuti, anche nei rapporti con U.N.C.I. Tra le situazioni in rilievo, è da segnalare che, da parte del presidente di Promocoop spa, si è dato luogo a richiesta di pareri legali su questioni giuridiche estranee all'oggetto sociale e, piuttosto, di suo evidente interesse ancorché nella diversa qualità di presidente d'onore dell'U.N.C.I. e, inoltre, che ha agito e resistito in plurimi giudizi volti a contrastare le attività del socio di maggioranza U.N.C.I., emergendone un evidentissimo conflitto di interessi tra le prerogative del presidente del consiglio di

amministrazione di Promocoop e quelle del presidente d'onore U.N.C.I.; che, come parrebbe risultare, la copertura delle spese per la tutela legale del presidente d'onore di U.N.C.I., Luciano D'Ulizia e del vice-presidente, dottor Francesco D'Ulizia, sarebbe assicurata dalle risorse vincolate derivanti dai versamenti del 3 per cento degli utili delle cooperative associate all'U.N.C.I., utilizzate, come altresì sembra, per la copertura delle spese legali nei giudizi promossi dai medesimi contro l'U.N.C.I.; che continua a rigettare le istanze dell'U.N.C.I. volte ad ottenere la convocazione di una nuova assemblea dei soci di Promocoop spa che potrebbero, eventualmente, valutare l'ipotesi di deliberare un'azione di responsabilità nei confronti del presidente Luciano D'Ulizia e provvedere revoca degli attuali sindaci, d'altronde considerando che il presidente del collegio sindacale, ragionier Michele Marinelli, in carica nonostante l'invito di U.N.C.I. a dimettersi, con nota protocollo n. 6021/11/0300 del 4 ottobre 2001, è stato condannato, con sentenza del 19 aprile 2011 del Tribunale di Viterbo, alla pena di otto anni di reclusione per il reato di concorso in bancarotta fraudolenta, per distrazione patrimoniale per un valore di oltre 5.000.000,00 di euro; e) il 19 gennaio 2012, sono pervenute all'U.N.C.I. e al Ministero dello sviluppo economico anche le dimissioni del presidente del collegio sindacale, dottor Alberto Cavallaro; f) con nota protocollo n. 11/2012/PR del 24 gennaio 2012, il presidente eletto di U.N.C.I., Galligioni, ha fornito al Ministero dello sviluppo economico-direzione generale per le piccole e medie imprese gli enti cooperativi parziale riscontro alla menzionata diffida del 2 novembre 2011, trasmettendo una serie di atti e documenti e, tra questi, la proposta di regolamento del congresso straordinario dell'U.N.C.I., avanzata dai rappresentanti di varie federazioni regionali e provinciali e il verbale di un'assemblea straordinaria delle federazioni regionali U.N.C.I. del giorno 14 dicembre 2011, precisando, nella circostanza, che sarebbe stato nuovamente riconvocato il consiglio di presidenza per la introduzione degli emendamenti statutari richiesti dall'autorità governativa e da adottare ai sensi e per gli effetti dell'articolo 30 dello statuto vigente, effettivamente introdotti in data 14 febbraio 2012; g) in data 26 gennaio 2012, il dottor Francesco D'Ulizia ha, ad avviso dell'interrogante, sorprendentemente, ottenuto dalla prefettura di Roma, già diffidata dal presidente effettivo di U.N.C.I., fin dal 24 novembre 2011 a non apportare alcuna modifica alle risultanze del registro delle persone giuridiche, l'iscrizione della delibera dell'auto-definita consiglio generale, convocato in data 23 novembre 2011, ed il rilascio di un certificato che, benché solo apparentemente, sembrava attestare la legale rappresentanza dell'U.N.C.I. in capo a sé medesimo. Detto certificato sarebbe stato utilizzato per operare nei confronti degli istituti di credito e dei fornitori, nelle veci del presidente effettivo eletto, Galligioni; h) in ordine a tale circostanza, in data 28 gennaio 2012, il presidente effettivo ha sporto denuncia-querela nei confronti del dottor Francesco D'Ulizia, con contestuale richiesta di sequestro del certificato a lui rilasciato e del registro delle persone giuridiche, per la parte relativa all'U.N.C.I.; i) con nota protocollo n. 16/2012/PR del 30 gennaio 2012, il presidente effettivo di U.N.C.I., Galligioni ha rappresentato alla prefettura di Roma, e per conoscenza al Ministero dello sviluppo economico che l'iscrizione di dubbia legittimità nel registro delle persone giuridiche della delibera dell'auto-definito consiglio generale del 23 novembre 2011 era stata operata malgrado il competente ufficio prefettizio fosse stato tempestivamente avvertito, fin dal 24 novembre 2011, della palese illegittimità formale e sostanziale di tale atto «non riferibile a U.N.C.I.» e, in ogni caso, formatosi in palese violazione delle previsioni civilistiche e statutarie vigenti; l) in data 1o febbraio 2012, eccependo l'esistenza della predetta certificazione, il dottor Francesco D'Ulizia, con l'ausilio di altri soggetti identificati, avrebbe finanche occupato l'immobile di via San Sotero n. 32, in Roma, sede degli uffici dell'U.N.C.I.; m) anche in relazione a siffatto abuso, il presidente effettivo

ha sporto denuncia-querela nei confronti del dottor Francesco D'Ulizia e i suoi presunti correi, anche paventando il rischio di alterazione detta documentazione associativa e di sottrazione di risorse materiali e patrimoniali dell'Unione; n) in data 7 febbraio 2012, il presidente effettivo veniva chiamato a sottoscrivere il verbale dell'accertamento effettuato dagli ispettori ministeriali, a seguito della diffida 2 novembre 2011. Il verbale evidenzia un peggioramento della situazione di stallo determinata dalla folte conflittualità tra i vari organi sociali e all'interno di essi, rilevata nel corso dell'ispezione conclusa in data 25 ottobre 2011, nonché «la comprovata difficoltà per l'UNCI di adempiere alla diffida irrogata con atto del 2 novembre 2011»; o) «risulta che in data 2 febbraio 2012 il Ministero dello sviluppo economico-direzione generale per le piccole e medie imprese e gli enti cooperativi, abbia reso alla Prefettura di Roma il parere protocollo n. 0024286, richiesto con istanza n. 34478/1618/2011 Area IV URPG del 29 dicembre 2011, con il quale sarebbe stata censurata la validità delle deliberazioni assunte dall'auto-definito consiglio generale del 23 novembre 2011, convocato e presieduto dal Francesco D'Ulizia»; p) «risulta inoltre che, sulla scorta del parere n. 0024286 del 2 febbraio 2012, la prefettura di Roma abbia provveduto di fatto sancendo l'inefficacia della delibera 23 novembre 2011 dal registro delle persone giuridiche, a certificare che il presidente e legale rappresentante dell'UNCI è il Paolo Galligioni «giusta delibera del congresso nazionale del 25-26 novembre 2011»; q) con avviso datato 8 febbraio 2012, il dottor Francesco D'Ulizia si è affrettato a convocare nuovamente l'auto-definito consiglio generale per il giorno 28 febbraio 2012 per l'approvazione del bilancio consuntivo 2010, evidentemente redatto sulla base del consuntivo 2009, ad avviso dell'interrogante, irregolarmente modificato in data 23 novembre 2011, da trasmettere, poi, al Ministero dello sviluppo economico, in apparente e definitiva ottemperanza alla diffida ministeriale del 2 novembre 2011; r) con ricorso depositato il 20 gennaio 2012, il dottor Francesco D'Ulizia, agendo in rappresentanza dell'U.N.C.I., ha infine chiesto al T.A.R. del Lazio l'annullamento del verbale di vigilanza 25 ottobre 2011 redatto dagli ispettori ministeriali della direzione generale per le PMI e gli enti cooperativi nonché del conseguente atto di diffida protocollo n. 0206489-2 del 2 novembre 2011, benché in precedenza avesse voluto rappresentare l'adempimento;
è appena il caso di evidenziare, per effetto dei rappresentati eventi, il delinearsi di un inequivocabile quadro di gravissima compromissione della vita associativa dell'UNCI, che, oggi, non è in grado, di poter ottemperare compiutamente alla diffida del Ministero dello sviluppo economico, con riferimento all'approvazione dei bilanci degli esercizi 2009 e 2010; soprattutto, non riuscirà a predisporre il rinnovo degli organi statutari, sulla base di un regolamento congressuale idoneo a garantire un'effettiva rappresentatività della base sociale, essendo detti adempimenti di competenza del consiglio generale, sul quale sono in grado di esercitare la loro decisiva influenza i due membri della famiglia D'Ulizia che, inoltre, mantenendo la gestione unilaterale delle risorse finanziarie di Promocoop s.p.a. e di U.N.C.I.-pesca, possono consentirsi di contrastare ogni atto o decisione, anche facendo leva su norme statutarie inadeguate a dirimere controversie di tale natura e portata e, spesso, anche suscettibili di contrastanti interpretazioni. Tutto ciò a dispetto dell'orientamento della maggioranza delle federazioni territoriali espressione della base associativa -:
se, approfondito, riscontrato e vagliato tutto quanto sopra premesso, il Ministro non intenda dar corso all'ispezione ministeriale sollecitata dalla presidenza dell'U.N.C.I. con nota protocollo n. 8/2012/PR del 17 gennaio 2012 e già richiesta con nota protocollo n. 3607/11/PR del 15 novembre 2011, sulle attività e sugli atti posti in essere da Promocoop s.p.a., al fine, in particolare, di accertare se si sia dato luogo, con utilizzo del fondo

mutualistico gestito dalla società, a richiesta di pareri legali su questioni giuridiche estranee all'oggetto sociale e, comunque, a vicende attinenti le attività societarie;
se il Ministro, anche sulla sorta dei contenuti recati dalla diffida in data 2 novembre 2011 e delle successive vicende che hanno coinvolto l'ufficio persone giuridiche della prefettura di Roma presso la quale è tenuto il relativo registro, non intenda disporre le opportune iniziative volte ad accertare le effettive e personali responsabilità di ogni atto compiuto od omesso, in violazione della normativa cogente, nelle attività di U.N.C.I. e di Promocoop s.p.a., in relazione agli scopi e agli obiettivi legali e statutari ai quali le attività medesime devono deve essere conformate e finalizzate, e ad assumere conseguenti provvedimenti.
(4-15368)

...

Apposizioni di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

La mozione Boccia ed altri n. 1-00902, pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 6 marzo 2012, deve intendersi sottoscritta anche dagli onorevoli Galletti, Calgaro, Ciccanti, Occhiuto e, conseguentemente, con il consenso del primo firmatario e degli altri sottoscrittori, l'ordine dei firmatari si intende così modificato: «Boccia, Galletti, Ventura, Maran, Baretta, Fluvi, Lulli, Gozi, Causi, Misiani, Marchi, Occhiuto, Ciccanti, Calgaro».

Apposizione di firme ad interrogazioni.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-05210, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-05213, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-05214, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-05215, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-05216, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-05217, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-05218, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-05219, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-05220, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-05221, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta in Commissione Motta Carmen e altri n. 5-06310, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o marzo 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rigoni.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-15340, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 marzo 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

Pubblicazione di un testo riformulato.

Si pubblica il testo riformulato dell'interrogazione a risposta in Commissione Siragusa n. 5-06385, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 603 del 13 marzo 2012.

SIRAGUSA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Per sapere - premesso che:
si fa riferimento anche ai fatti descritti nell'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06213;
in data 28 febbraio 2012 l'assessore all'istruzione della regione Sicilia, Mario Centorrino, con una nota stampa, comunica che «Il ministero dell'Istruzione ha concesso la prevista intesa alla proposta di piano di razionalizzazione e di dimensionamento della rete scolastica della Sicilia, elaborato dall'assessorato regionale. Entro pochi giorni - ha detto l'assessore Mario Centorrino - sarà definito il decreto di attuazione del piano, che sarà trasmesso all'Usr per i necessari adempimenti. Il Ministero ha preso atto di quanto deliberato dalla Regione nell'ambito della proprie autonome potestà istituzionali, evidenziando, comunque, qualora la Corte costituzionale dovesse respingere il ricorso della Regione - che rivendica a sé la determinazione dei parametri da osservare nel piano di dimensionamento - la necessità del più tempestivo allineamento ai parametri previsti dalla complessiva normativa di riferimento, e in particolare dall'articolo 19 del decreto-legge 98 del 6 luglio 2011, convertito nella legge 11 del 2011. Nel piano, al fine di consolidare l'offerta didattica e di assicurare una migliore contiguità territoriale, risultano effettuati circa 260 interventi di fusione, accorpamento e aggregazione»;
tale piano è stato approvato nonostante le proteste, di EE.LL, dirigenti scolastici, docenti e famiglie;
in particolare, si riporta di seguito il caso della mancata fusione della direzione didattica di Ganzirri e dell'I.C. «Petrarca» e la Costituzione di un Nuovo Istituto Comprensivo di Ganzirri;
con la circolare n. 28 del 5 ottobre 2011, firmata dall'Assessore Regionale Mario Centorrino e dal Dirigente Generale dell'Assessorato Ludovico Albert, si sono dettate precise disposizioni e precisi principi cui le proposte degli Enti locali dovevano ispirarsi nel proporre un loro piano di rivisitazione della rete scolastica negli ambiti territoriali di competenza;
in particolare si stabilisce che, nei casi di fusione o aggregazione di scuole del primo ciclo, nell'ottica di una valida razionalizzazione e di un riequilibrio dell'offerta scolastica sul territorio di riferimento, che preveda dimensioni ottimali per tutte le istituzioni scolastiche e la loro diffusione capillare nel territorio, va privilegiata la costituzione di Istituti comprensivi di scuola dell'infanzia, primaria e secondaria di primo grado con riferimento alla maggiore vicinanza territoriale dei plessi scolastici;
nel rispetto di tali criteri, il Consiglio di Istituto ed il Collegio dei docenti della direzione didattica di Ganzirri ha inviato al Comune le proprie delibere che suggerivano

la fusione di tale Direzione Didattica e dell'I.C. «Petrarca» e la Costituzione di un Nuovo Istituto Comprensivo di Ganzirri;
tale decisione è stata condivisa dall'amministrazione Comunale e adottata con delibera di Giunta nel mese di novembre 2011;
la proposta del Comune di Messina e la relativa delibera sono poi passate al vaglio del parere dell'Ufficio Scolastico Provinciale che l'ha fatta sua;
in occasione del tavolo Tecnico convocato dall'assessore Centorrino si è ratificata e verbalizzata l'accorpamento delle due scuole, alla presenza, peraltro, non solo degli enti locali, del provveditore e vice provveditore, del presidente del consiglio scolastico provinciale, delle organizzazioni sindacali territoriali e regionali, ma persino del Direttore generale dell'ufficio scolastico regionale;
prima di inviare il documento al Miur per l'intesa di rito, l'Assessorato Regionale ha effettuato, motu proprio e senza riconvocare il tavolo tecnico, diverse modifiche, addirittura definendo «errata corrige» la seconda tornata di modifiche, peraltro significative, al Piano approvato dal tavolo tecnico;
per esempio, nel documento inviato al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, l'accorpamento tra la direzione didattica di Ganzirri e del I.C. Petrarca sparisce; le due scuole vengono separate e, per «salvare» la presidenza dell'I.C Petrarca, viene coinvolta una terza direzione didattica, quella di via del Fante, la direzione didattica Paradiso, a cui vengono tolti i due plessi di Curcuraci per essere assegnati all'I.C. Petrarca affinché così raggiunga la quota di sicurezza in quanto ad alunni;
per comprendere bene i termini della vicenda, occorre sottolineare che sotto i 600 alunni le scuole, per normativa ministeriale, dal prossimo anno scolastico non dovrebbero più contare sulla titolarità di un dirigente scolastico e di un direttore dei servizi generali e amministrativi;
genitori, docenti, personale amministrativo, tecnico e ausiliario, direzione dei servizi generali e amministrativi e direzione scolastica e della direzione didattica Ganzirri hanno scritto a parlamentari e denunciato i fatti alla procura della Corte dei conti e a quella della Repubblica, convinti che si tratti di un abuso che provocherà anche un danno erariale, oltre che un'ingiustizia tanto più grave in quanto si tratta di questioni che attengono ad istituzioni il cui fine è quello di educare le giovani generazioni;
si è pertanto sollevato il dubbio che con tale operazione, nelle intenzioni dell'Assessorato Regionale della Sicilia, si avesse come unico scopo preservare la titolarità del posto di dirigenza per la dirigente dell'I.C. Petrarca, meno anziana in servizio rispetto al dirigente di Ganzirri: si sarebbero danneggiate due istituzioni scolastiche solo per salvaguardare la dirigente dell'I.C Petrarca;
con tale scelta, infatti, si danneggia in modo irreparabile non solo la direzione didattica di Ganzirri, il dirigente, ben più anziano di servizio della dirigente del «Petrarca», e la sua direttrice dei servizi, ma si danneggerebbe in modo irreparabile anche la direzione didattica di Paradiso, il relativo dirigente e la relativa direttrice dei servizi;
a seguito di quanto sopra illustrato un gruppo di genitori, docenti e personale amministrativo, tecnico e ausiliario della direzione didattica di Ganzirri ha presentato un esposto-denuncia nel quale si rileva come il Piano «avrebbe dovuto rispondere anche, se non soprattutto, a quella che è l'esigenza prioritaria e specifica di un Piano di razionalizzazione, ovvero sia quello di coniugare la qualità di un servizio pubblico, della continuità didattica e della territorialità dell'offerta scolastica con una più oculata attenzione al contenimento della spesa pubblica»;

nello stesso si rileva altresì che: «L'Assessore Centorrino, in primo luogo, ha sottolineato e rivendicato l'autonomia della regione Sicilia in merito alla determinazione dei parametri numerici per fissare l'autonomia delle istituzioni scolastiche sulla base della legge regionale n. 6 del 2000; legge regionale che fissa i detti parametri ad almeno 500 alunni di contro a quelli di non meno di 600 di cui alle leggi sopracitate. Orbene su tali parametri regionali risulta ininfluente dissertare, giacché è un dato che, semmai, nell'essere ostinatamente portato avanti non può che aggravare e di molto il danno economico. Deve infatti rilevarsi innanzitutto che le nomine nelle scuole delle due figure apicali del Dirigente e del Direttore dei Servizi Amministrativi sono di competenza del Ministero e, come ormai è certo che accadrà, tutte le scuole inutilmente e improvvidamente lasciate sotto i parametri delle citate leggi nazionali non potranno disporre della titolarità di tali professionalità con la ricaduta in termini di qualità del servizio che è fin troppo superfluo spiegare. Ma tale ovvia considerazione che attiene alla ridotta qualità (peraltro molto aggravata dal corposissimo numero di dirigenti che saranno collocati in quiescenza dal 1o settembre 2012), per quel che si desidera segnalare, non trova nemmeno una giustificazione in termini di spesa pubblica, anzi e semmai è proprio l'esatto contrario. Due scuole non dimensionate correttamente e, peraltro, secondo i criteri di territorialità e continuità didattica dettati proprio dall'Assessore Centorrino e dal Direttore Generale Albert comportano un aggravio di spese assai cospicuo in termini di organici classi (due scuole vicine fuse, per esempio, possono formare solamente tre classi prime elementari con 87 alunni, ma ne formano 4, due ciascuna, a scuole rimaste divise), in termini di organici docenti e di organici personale Ata, in termini di minor costi di gestione per gli E.E.L.L. che devono sopperire ad esigenze varie di due istituti vicini, ma autonomi (vedi anche reperimento classi per una scuola in presenza di aule libere nell'altra). Ogni due scuole non unificate, poi, deve provvedersi anche a due Collegi di Revisori dei Conti con relative spettanze, anziché ad un solo Collegio. E c'è da aggiungere che per le tante presidenze in tutta la Sicilia lasciate sotto i parametri numerici della legge n. 111 del 2011 e che andranno a reggenza vuoi per dirigenti che per i direttori si dovranno mettere in conto per lo Stato e solo per il prossimo a.s. 2012 del 2013 qualcosa come non meno di qualche milione di euro»;
il Piano di razionalizzazione, continua l'esposto-denuncia, così diventa irrazionale e comporterà aggravi e danno economico all'erario che i sottoscrittori non credono inferiore a qualche decina di milioni di euro l'anno, da moltiplicare, ovviamente, per il numero degli anni in cui si articola un corso di studi (5 anni elementare; tre anni scuola secondaria di primo grado, eccetera) e per il numero di scuole che potevano essere fuse e non lo sono state, in modo quantomeno del tutto inutile, improvvido e superficiale sotto il profilo delle spese per la comunità;
nel merito, la mancata «fusione» tra la direzione didattica di Ganzirri e TLC. «Petrarca» anch'esso di Ganzirri, lascia molto perplessi: si tratta di due scuole del medesimo villaggio, ubicate a solo qualche decina di metri l'una dall'altra, entrambe sotto i prescritti parametri numerici, con bambini che dalle elementari della prima si iscrivono da sempre - e diversamente non potrebbe essere - alla scuola media della seconda in una perfetta continuità didattica e in una territorialità già operanti nei fatti;
sotto tutti gli aspetti quindi anche per questa singola vicenda il piano di dimensionamento approvato dalla regione siciliana sembrerebbe pertanto privo di ogni logica -:
se il Ministro sia a conoscenza della vicenda di cui in premessa e in tal caso per quale motivo abbia concesso la propria intesa al piano di dimensionamento scolastico della regione Sicilia. (5-06385)

Ritiro di un documento di indirizzo.

Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore:
mozione Pezzotta n. 1-00408 dell'8 luglio 2010.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore:
interrogazione a risposta immediata in Commissione Rugghia n. 5-06104 del 7 febbraio 2012.