XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di giovedì 22 marzo 2012

TESTO AGGIORNATO AL 17 MAGGIO 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:

La Camera,
premesso che:
il 28 marzo 2012 ha termine il mandato dell'attuale consiglio di amministrazione della RAI-Radiotelevisione italiana spa;
l'articolo 20, comma 5, della legge n. 112 del 2004 prevede che la nomina del presidente della RAI, che compete al socio di maggioranza detentore del capitale sociale, divenga efficace; solo dopo il parere della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi di cui alla legge 14 aprile 1975, n. 103, e successive modificazioni, espresso a maggioranza dei due terzi;
il medesimo articolo 20, al comma 7, stabilisce che, fino alla completa alienazione della partecipazione dello Stato, il rappresentante del Ministero dell'economia e delle finanze presenti in assemblea, in sede di nomina dei membri del consiglio di amministrazione, una lista di candidati, indicando un numero massimo di candidati proporzionale al numero di azioni di cui è titolare lo Stato; tale lista è formulata sulla base delle delibere della Commissione parlamentare di vigilanza e delle indicazioni del Ministero dell'economia e delle finanze;
l'articolo 20, al comma 9, prevede, altresì, che fino a che le azioni della RAI di proprietà statale alienate non superino il 10 per cento del capitale, la Commissione elegga sette membri della lista di candidati per il consiglio d'amministrazione. Le modalità di eiezione dei candidati per il consiglio d'amministrazione della RAI da parte della Commissione sono definite dall'articolo 12-bis (approvato il 19 aprile 2005) del regolamento interno;
l'articolo 49, comma 2, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, recante il testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, stabilisce che la RAI, cui è affidata, la concessione del servizio pubblico generale radiotelevisivo, per quanto non diversamente previsto dal medesimo Testo unico, è assoggettata alla disciplina generale delle società per azioni, anche per quanto concerne l'organizzazione e l'amministrazione. Ai sensi del comma 3, il consiglio di amministrazione della RAI-Radiotelevisione italiana spa, composto da nove membri, è nominato dall'assemblea. Ai sensi del comma 4, possono essere nominati membri del consiglio di amministrazione i soggetti aventi i requisiti per la nomina a giudice costituzionale ai sensi dell'articolo 135, secondo comma, della Costituzione o, comunque, persone di riconosciuto prestigio e competenza professionale e di notoria indipendenza di comportamenti, che si siano distinte in attività economiche, scientifiche, giuridiche, della cultura umanistica o della comunicazione sociale, maturandovi significative esperienze manageriali. Il mandato dei membri del consiglio di amministrazione dura, tre anni e i membri sono rieleggibili una sola volta;
la nomina del presidente del consiglio di amministrazione è effettuata dal consiglio nell'ambito dei suoi membri e diviene efficace dopo l'acquisizione del parere favorevole, espresso a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi (articolo 49, comma 5);
l'elezione degli amministratori della RAI avviene mediante voto di lista (articolo 49, comma 6). Il rappresentante del Ministero dell'economia e delle finanze nell'assemblea, in sede di nomina dei membri del consiglio di amministrazione e fino alla completa alienazione della partecipazione dello Stato, presenta un'autonoma lista di candidati, indicando un numero massimo di candidati proporzionale al numero di azioni di cui è titolare lo Stato. Tale lista è formulata sulla base delle delibere della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza

dei servizi radiotelevisivi e delle indicazioni del Ministero dell'economia e delle finanze per l'immediata presentazione secondo le modalità e i criteri proporzionali di cui al comma 9 (articolo 49, comma 7). Tale comma stabilisce che fino a che il numero delle azioni alienato non superi la quota del 10 per cento del capitale della RAI-Radiotelevisione italiana, in considerazione dei rilevanti ed imprescindibili motivi di interesse generale connessi allo svolgimento del servizio pubblico generale radiotelevisivo da parte della concessionaria, ai fini della formulazione dell'unica lista di cui al comma 7, la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi indica sette membri eleggendoli con il voto limitato a uno; i restanti due membri, tra cui il presidente, sono invece indicati dal socio di maggioranza. La nomina del presidente diviene efficace dopo l'acquisizione del parere favorevole, espresso a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi;
ai sensi del medesimo decreto legislativo 31 luglio 2005 n. 177, il direttore generale della RAI-Radiotelevisione italiana è nominato dal consiglio di amministrazione, d'intesa con l'assemblea ed il suo mandato ha la stessa durata di quello del consiglio (articolo 49, comma 11);
alla luce degli appelli e delle richieste che provengono da molteplici settori dell'opinione pubblica e della società civile, vi è la necessità di imprimere urgentemente al servizio pubblico radiotelevisivo una decisa inversione di rotta, che lo liberi dal peso e dalle interferenze sempre più soffocanti dei partiti e dei Governi e da ogni forma di conflitto di interessi, attribuendo ai cittadini che lo finanziano con il canone e la fiscalità generale un reale potere di intervento nella definizione degli organi di governo;
nelle more di una riforma profonda delle norme vigenti che disciplinano la governance della RAI e la nomina del consiglio di amministrazione, è necessario evitare che un puro e semplice rinnovo con le regole attuali si traduca nell'automatica ripetizione di quanto accaduto in passato o che, in alternativa, si finisca per prorogare gli attuali assetti di vertice della RAI. Al contrario, è ancora possibile dare al Paese un importante segnale di discontinuità, mettendo in primo piano l'esigenza, di una forte trasparenza nel procedimento di nomina rispetto ai rituali e ai conciliaboli che sono stati da sempre lo strumento attraverso cui Governi, partiti e potentati si sono garantiti il controllo della RAI;
è auspicabile procedere al rinnovo del consiglio d'amministrazione della RAI secondo modalità analoghe a quelle previste dal Parlamento europeo per l'esame dei candidati designati a membri della Commissione europea. A tal line, la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi pubblici radiotelevisivi dovrebbe essere posta in condizione di esaminare, previa selezione delle candidature pervenute, i curricula di esponenti provenienti dalla società civile, affinché possa procedere nell'esercizio della sua autonomia e nel rispetto delle norme regolamentari che ne regolano l'attività, con audizioni al fine di verificare che i candidati siano in possesso dei necessari, requisiti di professionalità, competenza, esperienza, autorevolezza e prestigio, e che i medesimi non si trovino in situazioni di conflitto di interessi con l'incarico che sarebbero chiamati a ricoprire. Analoghe procedure di terzietà e trasparenza dovrebbe seguire il Governo per le nomine di propria competenza;
in tale contesto appare altresì improcrastinabile un impegno di tutti i soggetti interessati affinché non siano indicate a ricoprire la carica di consigliere di amministrazione della RAI persone che ricoprano, o abbiano ricoperto, incarichi politici, parlamentari o di Governo;
sarebbe pertanto indispensabile l'avvio, in tempi rapidi e nelle opportune

sedi parlamentari, di una procedura selettiva delle candidature per il rinnovo del consiglio di amministrazione della RAI aperta a tutti i cittadini aventi i requisiti per la nomina a giudice costituzionale ai sensi dell'articolo 135, secondo comma, della Costituzione o, comunque, a personalità di riconosciuto prestigio e competenza professionale nel settore e di notoria indipendenza di comportamenti, che si siano distinte in attività economiche, scientifiche, giuridiche, della cultura umanistica o della comunicazione sociale, maturandovi significative esperienze manageriali, valutando l'opportunità di escludere quanti, in ogni caso, abbiano ricoperto o ricoprano incarichi partitici, parlamentari o governativi, onde dare un segnale chiaro di un passo indietro della politica dalla RAI,


impegna il Governo


e in particolare il Ministro dell'economia e delle finanze nella sua qualità di azionista della RAI, ad adottare con sollecitudine iniziative atte a rendere possibile quanto enunciato in premessa e comunque a consentire, in tempi brevissimi, la nomina del nuovo consiglio di amministrazione nella composizione prevista dalla legge n. 112 del 2004 secondo modalità di esame trasparente delle candidature.
(1-00954)
«Donadi, Di Pietro, Monai, Zazzera, Borghesi, Evangelisti, Barbato, Cimadoro, Di Giuseppe, Di Stanislao, Favia, Aniello Formisano, Messina, Mura, Leoluca Orlando, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Porcino, Rota, Giulietti».

La Camera,
premesso che:
l'articolo 21 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha disposto la soppressione degli enti Inpdap e Enpals e attribuito le relative funzioni all'Inps, dando vita al più grande ente previdenziale d'Europa, con un bilancio di 700 miliardi di euro, 35.000 dipendenti e una platea di 24,5 milioni di iscritti;
anche sul fronte delle procedure per l'accertamento, la verifica e il riconoscimento dei trattamenti legati alla disabilità, nel corso degli ultimi anni, il ruolo dell'Inps si è rafforzato e le attività affidate all'ente sono notevolmente aumentate determinando un ulteriore onere funzionale e organizzativo in capo all'Istituto;
le informazioni che pervengono in merito alla trattativa tra Governo e parti sociali attribuiscono all'ente nuovi rilevanti compiti in tema di ammortizzatori sociali in particolare l'ente si troverebbe a gestire ulteriori risorse derivanti dalla assicurazione obbligatoria posta in capo alle imprese;
il nuovo Inps è chiamato nei prossimi mesi ad una impegnativa e profonda riorganizzazione per ottenere i risparmi previsti, per integrare al meglio gli enti assorbiti, per garantire efficacia ed efficienza al sistema previdenziale, ragione fondante della riunificazione;
l'incorporazione di Inpdap e Enpals ha ulteriormente aumentato il già rilevante patrimonio immobiliare dell'ente, mentre le partecipazioni in altri enti pubblici - in particolare rilevano le quote (49 per cento) della holding di Equitalia e il 100 per cento di Sispi, società per la previdenza integrativa - ne fanno una delle realtà economiche più significative del panorama nazionale;
la governance del nuovo istituto è affidata ad una carica monocratica nella figura del presidente dell'Inps, il cui incarico è stato prolungato fino al 31 dicembre 2014, nonostante la Corte dei conti nella sua relazione del novembre 2011 avesse già espresso perplessità circa la concentrazione dei poteri determinatasi a seguito delle disposizioni del decreto-legge n. 78 del 2010, che aveva trasferito al solo presidente le attribuzioni del soppresso

consiglio di amministrazione. La Relazione sottolineava «il potenziamento del tutto singolare dell'organo monocratico di vertice dell'istituto cui vengono riconosciute oltre a quelle di rappresentanza, le attribuzioni di indirizzo gestionale e tutte le competenze non conferite ad altri organi che non trova riscontri nell'assetto degli enti pubblici non economici e neanche nel modello societario». Perplessità che a fronte dell'annessione di Inpdap e Enpals risultano ulteriormente rafforzate;
nei confronti della attuale dirigenza, sempre la citata relazione della Corte dei conti dello scorso novembre segnalava: «è tuttora in corso l'azione di ristrutturazione organizzativa, condotta per altro in assenza di un compiuto piano unitario e di una previa analisi costi benefici, in modo settoriale e per successive approssimazioni, facendo ampio ricorso a consulenze esterne, onerose e pervasive»;
anche gli enti previdenziali, ora tutti confluiti nella nuova Inps, sono proprietari di un ingente patrimonio destinato a rappresentare un investimento a garanzia della tenuta del sistema pensionistico. Dal 2001 ad oggi, parte di questo patrimonio è stato messo in vendita, e alcune operazioni secondo i firmatari del presente atto di indirizzo discutibili messe in campo da precedenti Governi quali le Scip sono state poi revocate (legge n. 14 del 27 febbraio 2009), ma a fronte della chiara indicazione data dal precedente Governo con la direttiva ministeriale del 10 febbraio 2011 a vendere agli inquilini che ne hanno fatto richiesta e a chiudere il contenzioso proprio l'Inps è risultato essere inadempiente. Nel frattempo, al momento dell'incorporazione di Inpdap ed Enpals, il presidente dell'Inps ha assunto l'incarico di presidente della Idea Fimit Sgr, società di gestione del risparmio, attiva nel settore dei fondi comuni di investimento immobiliari con la mission di promuovere e gestire strumenti di finanza immobiliare in linea con le esigenze degli investitori nazionali ed internazionali. Tale incarico si somma ai molti altri di cui il presidente dell'ente è già titolare;
si segnala, inoltre, come particolarmente grave quanto evidenziato nella relazione del collegio sindacale dell'Inps sul bilancio consuntivo del 2010, nel quale si è richiamata l'attenzione sul «significativo peggioramento della gestione del patrimonio immobiliare da reddito per il quale non si rinvengono nelle relazioni di bilancio utili elementi informativi»;
l'Inps, ente pubblico secondo solo allo Stato per dimensione di bilancio, è chiamato a svolgere una funzione sociale di straordinaria importanza come quella della tutela dalla vecchiaia, in primo luogo gestendo le risorse derivanti dalla contribuzione dei lavoratori pubblici, privati e autonomi e delle imprese, soggetti a cui dovrebbe essere riconosciuto un prioritario ruolo attivo nel governo dell'ente. Parimenti, chi viene chiamato a guidare l'ente assume ad un ruolo di grande responsabilità sociale;
la gran parte delle risorse finanziarie gestite dall'Istituto proviene dalla contribuzione di lavoratori ed imprese e tale circostanza non appare sufficientemente riconosciuta e assolta dalle attuali funzioni e competenze del Comitato di indirizzo e vigilanza dell'Inps,


impegna il Governo:


a intervenire, soprattutto in questa fase così delicata e impegnativa, anche con iniziative di carattere normativo, al fine di garantire una «governance» dell'ente equilibrata, collegiale e trasparente, che preveda la compresenza di un organismo di vertice costituito da personalità di comprovata esperienza, autonomia e indipendenza, affiancato da un Comitato di indirizzo e vigilanza dai poteri rafforzati, così superando l'attuale fase di gestione straordinaria e riportando la stessa ad un assetto più appropriato per un ente pubblico, come autorevolmente indicato dalla Corte dei conti;

a verificare la compatibilità operativa, funzionale e gestionale dell'attuale situazione di contemporanea coesistenza di numerosi incarichi in altre società del presidente dell'Inps, nel quadro della richiamata ridefinizione dell'assetto di governance dell'ente.
(1-00955)
«Lenzi, Fioroni, Damiano, Giovanelli, Bellanova, Berretta, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Gnecchi, Madia, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata, Schirru, Baretta, Motta, Mattesini».

La Camera,
premesso che:
la violenza contro le donne continua a rappresentare nel nostro Paese un fenomeno di pesantissima gravità e purtroppo in continua crescita. Secondo gli ultimi dati «ufficiali» disponibili, anche se di certo non sufficientemente recenti (elaborati dall'Istat nel 2007 e riferiti al 2006), sono 6 milioni e 743 mila le donne dai sedici ai settant'anni che sono rimaste vittime di molestie o violenze fisiche, psichiche o sessuali nel corso della vita (una donna su tre tra i 16 ed i 70 anni); circa 1 milione di donne ha subito stupri o tentati stupri (il 4,8 per cento della popolazione femminile globale); il 14,3 per cento delle donne ha subito almeno una violenza fisica o sessuale dal proprio partner; il 24,7 per cento delle donne ha subito violenze da un altro uomo, 2 milioni e 77 mila donne hanno subito comportamenti persecutori (stalking), dai partner al momento della separazione. Va inoltre aggiunto che moltissimi episodi di violenza (circa il 96 per cento delle violenze da un non partner e il 93 per cento di quelle da partner) non vengono comunque denunciati;
da un rapporto della Casa delle donne di Bologna, risultano 120 omicidi solo nel 2011: i media, invece, proprio in queste ultime settimane hanno riportato dati, citando fonti ONU, che riferiscono di 101 donne uccise nel 2009, di 127 nel 2010, e di 97 solo nei primi mesi del 2011; va, inoltre, considerato che non trattandosi di dati ufficiali c'è un rilevante «sommerso», che riguarda, ad esempio, i delitti di donne vittime della tratta o legate al mondo della prostituzione. Sommerso destinato a crescere se si considera la presenza in Italia di donne senza permesso di soggiorno, la cui eventuale scomparsa non viene denunciata, a meno che non venga ritrovato il corpo della vittima;
la violenza riguarda, in Europa, secondo alcune stime, tra il 20 ed il 25 per cento delle donne che avrebbero nel corso della loro vita subito episodi di violenza fisica o sessuale. A tale cifra va poi aggiunto che statisticamente le autorità competenti riescono ad assicurare alla giustizia, per molteplici cause, solamente un aggressore ogni 35 casi;
a livello internazionale, i dati forniti dall'Organizzazione mondiale della sanità stimano che sono dal 45 al 70 per cento i casi di violenza da collocare nel contesto familiare o nella coppia;
occorre, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, dare concretamente una piena e vera attuazione al piano nazionale antiviolenza e questo tramite un approccio che non si limiti all'aspetto repressivo, ma investa soprattutto su una rete integrata di politiche fondate sulla prevenzione, protezione e rieducazione e quindi da proposte immediate, quali ad esempio l'inquadramento giuridico e il potenziamento dei centri antiviolenza. Centri che non solo non sono presenti capillarmente su tutto il territorio nazionale ma che hanno subito tagli pesantissimi, che sopravvivono grazie a finanziamenti una tantum che al momento ne possono garantire un'operatività limata all'incirca di un anno o poco più, e che pertanto richiedono un adeguato rifinanziamento;
ad oggi, come denunciato dal rapporto ombra elaborato dalla piattaforma italiana «Lavori in corsa: 30 anni Cedaw» si è di fatto nell'impossibilità di ricostruire

un quadro dettagliato e specifico sia globale che territoriale. Da qui deriva la necessità e l'opportunità di istituire un Osservatorio nazionale sulla violenza di genere, che si avvalga anche delle competenze maturate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), nell'ambito delle proprie risorse e competenze istituzionali ed in collaborazione con il Ministero dell'interno, della giustizia e del lavoro e delle politiche sociali con delega alle pari opportunità, quale supporto per lo svolgimento di rapporti statistici periodici e sistematici relativi alle diverse forme di violenza sulle donne;
alla luce di quanto sopra richiamato numerose risoluzioni delle Nazioni Unite, del Parlamento europeo, di organismi sovranazionali hanno sancito impegni degli Stati e dei Governi tesi a combattere tale piaga individuando comuni obiettivi e misure da attuare;
il Parlamento italiano si è più volte occupato della materia con la discussione e l'approvazione di mozioni (1-00070 Pollastrini, 1-00083 Mura, 1-00085 gennaio 2009, 1-00512 Amici, 1-00534 Binetti, 1-00538 Saltamartini del 25 gennaio 2011), nonché in occasione di risposte del Ministro per le pari opportunità pro tempore ad interrogazioni, impegnando il Governo ad atti concreti in materia di lotta alla violenza (come ad esempio piani di azione nazionale, un osservatorio pubblico, il sostegno all'accoglienza, la formazione degli operatori);
nel mese di maggio del 2011 si sono svolti a Istanbul i lavori che hanno varato la «Convenzione europea per la prevenzione e la lotta alla violenza sulle donne», trattato che rappresenterebbe il primo strumento giuridicamente vincolante in Europa per la creazione di un quadro giuridico completo per combattere la violenza tramite la prevenzione, l'azione giudiziaria, il supporto alle vittime. Nel testo sono indicate una serie di misure che gli Stati devono adottare per prevenire la violenza, proteggere le vittime e perseguire gli autori dei reati. In particolare, la convenzione prevede che siano sanzionati le violenze contro le donne, i matrimoni forzati, le mutilazioni genitali, lo stalking, le violenze fisiche, psicologiche e sessuali. Nel documento è inoltre prevista la creazione di un sistema di monitoraggio;
la convenzione, frutto di due anni di lavoro ed attiva se ratificata da almeno 10 Paesi, è stata approvata ad Istanbul l'11 maggio 2011. Tale documento è stato firmato ad oggi da 18 stati, tra cui Turchia, Austria, Germania, Grecia, Islanda, Montenegro, Portogallo, Finlandia, Francia, Spagna, Svezia, Slovacchia, Lussemburgo, Macedonia, Norvegia e Slovenia;
tale convenzione rappresenta il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che si prefigge di creare un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza, grazie a misure di prevenzione, di tutela in sede giudiziaria, di sostegno alle vittime;
in particolare, il testo della convenzione definisce la violenza sulle donne come una violazione dei diritti umani fondamentali e una forma di discriminazione da contrastare, istituendo un collegamento diretto di estremo valore e di segno innovativo tra l'impegno a sradicare il fenomeno della violenza sulle donne e l'obiettivo di conseguire un'eguaglianza di genere, di fatto e di diritto;
la convenzione intende contribuire all'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne e a promuovere un'eguaglianza sostanziale tra donne e uomini;
nel testo sono indicate specifiche misure che gli Stati firmatari devono adottare per prevenire la violenza, proteggere le vittime e perseguire gli autori dei reati;
nel corso della XIII Conferenza internazionale contro la violenza sulle donne, che si è svolta a Roma dall'11 al 13 ottobre 2011 ed a cui hanno preso parte circa 500 donne da tutta Europa, rappresentanti istituzionali, centri antiviolenza, esperte del settore, è stato chiesto al

Governo italiano, con un documento, di rafforzare e sostenere la rete dei centri antiviolenza e di firmare la «Convenzione per la prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne»;
Rashida Manjoo, relatrice speciale dell'Onu per la violenza contro le donne, ha affermato recentemente, nel corso di una visita ufficiale nel nostro Paese, che l'Italia deve fare di più contro la violenza sulle donne e intervenire sulle cause strutturali della disuguaglianza di genere e della discriminazione. Questa relazione sarà presentata in dettaglio nel mese di giugno 2012 alla 20esima sessione dello «Human Rights Council» di Ginevra;
recentemente atti di sindacato ispettivo hanno interpellato il Governo rispetto alla mancata ratifica della suddetta convenzione (ad esempio, con l'interrogazione a risposta orale numero 3/01893, a prima firma del deputato Susanna Cenni, ancora in attesa di risposta);
il 2 febbraio 2012, alcune parlamentari (l'onorevole Mogherini Rebesani, la senatrice Carloni, l'onorevole Nirenstein, l'onorevole Bergamini), in qualità di membri dell'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, hanno inviato una lettera al Governo italiano con l'invito a firmare la «Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne e alla violenza domestica», anche al fine di consentire al Parlamento italiano di procedere alla sua successiva ratifica;
il riscontro è stato decisamente positivo in termini di intenti;
inoltre, il 2 febbraio 2012 la Camera dei deputati ha approvato a larghissima maggioranza, un ordine del giorno alla legge comunitaria per il 2011, a prima firma Villecco Calipari (9/04623-A/009) che impegna testualmente il Governo «ad adottare ogni iniziativa utile nelle opportune sedi europee al fine di favorire in tempi brevi la firma e la ratifica da parte dell'Unione europea della suddetta Convenzione, provvedendo altresì ad apporre la firma italiana e conseguentemente a sottoporre il provvedimento al Parlamento italiano per la sua ratifica»;
in seguito, il 7 marzo 2012, in Commissione affari esteri alla Camera, il Governo, tramite la Sottosegretaria agli affari esteri, Maria Dassù, in risposta ad un'interrogazione (la 5-06315 a prima firma Villecco Calipari), ha affermato che: «malgrado il ritardo maturato dal nostro Paese rispetto alla firma della Convenzione, il Governo riconosce carattere prioritario a questo strumento di diritto internazionale e provvederà al più presto alla sua sigla»;
appare, dunque, necessario e urgente, anche alla luce dell'iter avviato con la firma della convenzione, che Governo e Parlamento uniscano sforzi ed intenti al fine di addivenire, nei tempi più ristretti possibili, alla predisposizione di una vera e propria legge quadro sul tema della violenza contro le donne, che in particolare definisca la violenza di genere e violenza assistita (in presenza di minori) conformemente agli standard internazionali, che contempli e coordini sia interventi di tipo penale e repressivo sia azioni integrate volte alla prevenzione culturale e sociale del fenomeno, alla rimozione di stereotipi, alla formazione permanente di tutti gli operatori coinvolti, e al sostegno reale alle vittime della violenza,


impegna il Governo:


ad assumere le iniziative di competenza per ratificare in tempi brevi la «Convenzione per la prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne», sottoponendo conseguentemente il relativo disegno di legge al Parlamento alla luce delle motivazioni esposte in premessa, al fine di rispettare i numerosi impegni assunti dal Governo in Parlamento in materia di lotta alla violenza sulle donne;
ad adottare iniziative volte all'inquadramento giuridico, al potenziamento e al finanziamento dei centri antiviolenza su tutto il territorio nazionale, nonché ad

emanare le relative linee guida anche nell'ambito di una necessaria revisione e implementazione del piano nazionale contro la violenza sulle donne, revisione che deve inevitabilmente mirare, anche, alla creazione di una sorta di «cabina di regia» che si avvalga della sinergia tra Governo, Parlamento, regioni, enti locali, centri antiviolenza e associazioni impegnate sul tema, basata su azioni positive che facciano leva sulla prevenzione e sulla protezione delle vittime, che siano in grado di contrastare e di combattere gli stereotipi culturali e che scardinino finalmente alla radice la cultura che rappresenta la base della violenza sulle donne;
ad istituire e rendere operativo l'Osservatorio nazionale sulla violenza di genere, al fine di raccogliere, organizzare e mettere a sistema dati aggiornati sulla violenza di genere, anche avvalendosi delle competenze e professionalità maturate dall'Istat, assicurando la redazione di un rapporto statistico annuale, da presentare al Parlamento.
(1-00956)
«Cenni, Villecco Calipari, Mogherini Rebesani, Amici, Lenzi, Pollastrini, Albini, Livia Turco, Miotto, Castagnetti, Madia, Samperi, De Biasi, Rossa, Murer, D'Incecco, Fedi, Rossomando, Gnecchi, Schirru, Gatti, Zampa, Lucà, Picierno, Velo, Bobba, Motta, Coscia, Brandolini, Servodio, Tullo, Siragusa, Marchi, Mattesini, Sbrollini, Grassi, Froner, Farinone, Ghizzoni, Pes, Laganà Fortugno, Braga, Boccuzzi, Marco Carra, Fiorio, De Pasquale, Graziano, Laratta, Ferranti, Ventura».

La Camera,
premesso che:
il 30 gennaio 2012 è stato presentato il libro bianco 2011 sulla salute dei bambini curato dall'OsservaSalute dell'Università Cattolica e dalla Società italiana di pediatria, una pubblicazione che ha ribadito che il numero delle nascite è precipitato a livelli impensabili: in un secolo e mezzo la natalità si è ridotta di tre quarti;
la storia d'Italia unita è caratterizzata da una drammatico fenomeno di crisi demografica, una crisi silenziosa ma sotto gli occhi di tutti, censurata, dimenticata, con le dovute eccezioni che confermano la regola. Tra il 1871 e il 2009, la natalità è crollata fino a registrare un calo del 74,25 per cento con il rovesciamento della piramide anagrafica che riversa ora sui nonni l'onere di mantenere i nipoti senza lavoro;
i nuovi nati sono appena 9,5 ogni mille abitanti rispetto ai 12,8 della Francia e del Regno Unito, gli 1,2 della Svezia e della Germania. Non si vedono all'orizzonte segnali di una inversione di tendenza. Più precisamente, a partire dagli anni 70, la fecondità italiana è scesa a livelli inimmaginabili.Nell'anno '95, e il dato è essenzialmente stabile, il valore medio è di 1,18 figli per donna, cioè 118 figli per ogni 200 genitori. È il valore più basso mai registrato nella storia dell'umanità per una popolazione di grandi dimensioni; un declino annunciato perché 118 figli ogni 200 genitori comportano un declino della popolazione di circa il 40 per cento a ogni intervallo generazionale, cioè circa ogni 30 anni;
diminuiscono i giovani, aumentano i vecchi anche per l'allungamento della vita media e così l'Italia oggi si trova con la più bassa proporzione al mondo di popolazione con meno di 15 anni (il 14 per cento cioè 1 su 7), con la più alta proporzione al mondo di popolazione over 60 (il 24 per cento cioè 1 su 4), con il più elevato rapporto al mondo tra anziani inattivi e forze di lavoro, quasi il 48 per cento, valori destinati ad aumentare nel tempo. Tutto questo comporta una enorme rivoluzione in tema di integrazione, di lavoro, di casa, di salute, di scuola, di mobilità sociale, di pace sociale,

di economia e sviluppo, soprattutto in una situazione comparativa internazionale (World Population Prospects, The 2006 Revision, United Nations, NY 2007 Oecd Factbook 2008 Organization economic cooperation and development);
è vero che dietro a questi fenomeni ci sono aspetti culturali decisivi, per cui i giovani si sposano meno, si separano di più o convivono di più anche a causa di una sfiducia profondamente radicata, ma tutto questo non può rappresentare un alibi per la classe politica, che è chiamata a fare la propria parte e a dare risposte serie ad un fenomeno che è davvero allarmante;
nel 1981 (professor Giancarlo Blangiardo dal libro «La famiglia al centro» a cura di Luisa Santolini)i giovani under 19 erano più di 17 milioni, oggi sono poco più di 11 milioni, ovvero mancano all'appello più di 6 milioni di giovani. Di contro gli over 65 sono passati dai 5 milioni degli anni '80 ai quasi 12 milioni di oggi, con un aumento di oltre 6 milioni di individui. Esiste dunque un gap in Italia caratterizzato da una minore incidenza di giovani e una maggiore incidenza di anziani;
in questi anni i genitori italiani si sono trasformati in soggetti economici (le principali azioni e decisioni di consumo, investimento e risparmio vengono prese in famiglia) e di fronte alla rigidità del mercato si sono trasformati lentamente ma inesorabilmente in formidabili ammortizzatori sociali: la fonte di reddito per i giovani tra i 20 e i 30 anni è, per il 77 per cento, proveniente dalla famiglia, contro il 45 per cento della media europea (il fenomeno della famiglia lunga tipico italiano), mentre per il sostegno alla famiglia va l'1 per cento della spesa sociale (che in Italia è il 3,4 per cento del prodotto interno lordo) contro il 69,9 per cento delle pensioni. In altre parole chi investe sui figli è «punito» con una pressione fiscale iniqua tanto è vero che la povertà in Italia è correlata al numero dei figli, visto che le famiglie numerose a parità di reddito sono percentualmente più povere delle famiglie con un figlio solo;
da una comparazione di diversi sistemi fiscali (anno 2007) emerge che su 27 Paesi della Unione europea l'Italia è al 25o posto per la spesa per la famiglia rispetto prodotto interno lordo: si va dal 3,9 per cento della Danimarca al 3 per cento di Svezia e Germania, al 2,5 per cento della Francia e Ungheria fino all'1 per cento dell'Italia e questo 1 per cento non è costituito da politiche prettamente familiari ma da una serie di provvidenze che non fanno la differenza tra chi ha figli e chi non ne ha;
il 28 gennaio 2012, la Repubblica ha pubblicato un articolo nel quale è scritto: «Ben venuti nel secolo dei nonni» e anche le maggiori testate economiche ogni tanto lanciano l'allarme, che rimane senza risposta. Tutti hanno vissuto momenti di preoccupazione, perché lo spread dei bot italiani rispetto a quelli tedeschi aveva superato i 500 punti, inoltre il tasso di interesse dei bot superiore al 7 per cento era considerato una sorta di punto di non ritorno oltre al quale c'era il default: ebbene i demografi indicano in 1,3 il valore minimo di numero di figli per donna a ridosso del quale si gioca la stessa esistenza della comunità nazionale nel giro di pochi decenni. Oggi l'Italia è molto vicina a questi valori e la media delle famiglie italiane è costituita da 2,4 persone, cioè meno di «mezzo figlio a coppia». Da tempo, l'Italia oscilla attorno alla soglia del rischio ed è doveroso porsi e porre il problema per trovare insieme soluzioni condivise. La riforma delle pensioni del 1995 ha stabilito una riallocazione delle risorse per contributi al fondo pensioni lavoratori dipendenti, passando da una aliquota del 27,5 per cento ad una del 32,7 per cento. Per non aumentare il costo del lavoro, l'aliquota per gli assegni familiari passò dal 6,2 per cento al 2,4 per cento, quella per la maternità dall'1,23 per cento allo 0,6 per cento: una diminuzione in euro di 4,6 miliardi per gli assegni familiari, di 0,6 miliardi per la maternità, di 1,4 miliardi per asili nido ed edilizia

sociale: in totale una sottrazione di 20 miliardi di euro che non merita commenti;
il premio Nobel per l'economia nel 2000, James J. Heckman afferma «contro la crisi investiamo sui bambini. Il risultato in termini non solo sociali e politici, ma anche economici sarà eccellente>. Anche il professore Campiglio dichiara che «Dobbiamo salvaguardare il presente, ma non possiamo dimenticare il futuro che dipende dalle famiglie e dai bambini. Invece, il nostro Paese soffre in termini demografici ed economici per la mancanza di tutele alla famiglia». Gotto Teseschi sostiene: «Sulla correlazione tra crescita e demografia, l'economia classica non ha mai avuto dubbi, tutti conoscono questa realtà ma dagli anni 70 rifiutano di venderla»;
occorre un approccio al tema della famiglia sostenuto da politiche serie e non solo a parole; occorre passare da politiche ad ampio respiro con il passaggio dal welfare State, uno Stato che tutto fa e a tutto provvede, ad una welfare commununity family friendly, in modo tale da coinvolgere le famiglie investendo su di esse nella convinzione che quello che si «spende per le famiglie» è un vantaggio per l'intera società;
la crisi è una crisi di tipo antropologico che sarà molto più difficile risolvere rispetto alla crisi finanziaria di questi anni: che in ogni caso non sarà risolta dalle ferree leggi del mercato e degli economisti, ma dalle prospettive future di vita che si stanno preparando per i nostri figli e dal tipo di società che si vuole consegnare alle generazioni future;
the Wall Street Journal nel 2011 ha scritto che nel 2050 il 60 per cento degli italiani non avranno fratelli, sorelle, cugini, zii e zie. Se poi si guarda quello che avviene nel resto dell'Europa la situazione dell'Italia è ancora più allarmante: lo Stato francese assiste economicamente le madri sole e le giovani famiglie a basso reddito attraverso 123 casse per i sussidi familiari, il contributo si chiama «prestazione di accoglienza del neonato» e comprende un versamento di 1000 euro alla nascita e un mensile di 178 euro per i primi tre anni di vita del bambino, più due aiuti complementari a scelta, o per pagare la baby sitter in caso di madre lavoratrice o per compensare il mancato salario in caso di rinuncia al lavoro per assistere il nuovo arrivato. Ne hanno diritto tutti i genitori soli con un reddito inferiore ai 44.500 euro l'anno e le coppie monoreddito con introiti inferiori a 33.700 euro l'anno. In caso di altri figli, le soglie di reddito aumentano in proporzione. Sono previsti inoltre integratori al reddito come assegni familiari per coppie con due figli o più, contributi per il pagamento dell'affitto, contributi erogati dall'assistenza sociale per redditi bassi;
è chiaro che la situazione è certamente complessa e occorre individuare soluzioni condivise per agire sulla sorta di un patto generazionale che può dare una svolta decisiva al futuro della famiglia in Italia. Istituzioni, imprese e sindacati, famiglie con le loro associazioni, con ruoli diversi ma complementari, possono lavorare insieme come sta accadendo in alcune città d'Italia che fanno da battistrada e come si sta facendo in Germania da tempo;
in Italia una donna su tre è «costretta» a non avere figli perché costano troppo, cioè più che non volere figli le donne italiane non se li possono permettere come rilevano tutti i sondaggi. In Italia il costo di un bambino oscilla tra gli 8.000 e i 18.000 euro nel solo primo anno di vita. Una donna su due ritarda l'arrivo di un figlio fino a 5 anni dopo il matrimonio. Il 57 per cento delle donne ritiene responsabile lo Stato per le difficoltà della maternità, perché non prende soluzioni adeguate per proteggere e promuovere la maternità. Le altre ritengono responsabile la cultura dominante che spinge alla carriera, ai soldi, al lavoro frenetico, oltre ad altre ragioni di tipo personale e psicologico;
inoltre, non si può trascurare il mutato quadro socio economico degli ultimi

anni, caratterizzato da una diminuzione crescente dei componenti del nucleo familiare e da un aumento del numero dei nuclei: sta esplodendo, infatti, una fascia di reddito che non trova risposte nel mercato. Si tratta delle famiglie monoparentali con minori a carico, le coppie giovani, i pensionati, i precari, che si situano subito sopra la soglia di povertà ma il cui reddito non è sufficiente ad assicurare una vita decorosa;
la crisi finanziaria sta comportando un peggioramento della situazione dei genitori soli in genere e nello specifico, attualmente, il 5 per cento della popolazione femminile in Europa è una madre sola. L'85 per cento dei genitori soli in Europa è rappresentato dalle madri di età compresa tra i 25 e i 64 anni. Se la crisi economica e finanziaria ha colpito tutta la popolazione europea, a farne particolarmente le spese sono state le donne. L'impatto, poi, è stato ancor più duro per la stragrande maggioranza delle madri sole che si trovano all'inizio della loro carriera professionale, tra i 25 e i 40 anni;
secondo recenti ricerche statistiche condotte in ambito europeo i genitori soli rappresentano una buona percentuale nel quadro delle nuove tipologie di famiglie. Si parla del 14 per cento in Europa, un dato che arriva addirittura al 23 per cento in Inghilterra, dove si stima che una famiglia su quattro sia formata da un adulto e un bambino. Secondo rilevazioni Istat, anche in Italia le famiglie monoparentali, quelle composte da un figlio e un solo genitore, costituiscono una buona quota anche se largamente minoritaria in rapporto alle famiglie in cui sono presenti entrambi i genitori. La dimostrazione di ciò è che, mentre nel 1983 i genitori soli erano un 1.371.000, nel 2000 sono diventati 1.787.000. Per la maggior parte si tratta di donne, spesso con figli piccoli, che lavoravo per far fronte alle spese necessarie per mandare avanti la famiglia;
la famiglia è una realtà che precede e va oltre lo Stato: la famiglia, come la persona, non deve la sua «soggettività» allo Stato e non trova in esso la propria definizione. La famiglia è la prima e fondamentale forma di socialità e a partire da essa devono essere in qualche modo pensate e strutturate tutte le altre dimensioni della vita sociale. La politica mondiale e locale deve promuovere tale scelta e non può ignorare quali pericoli incombono sul sistema Italia per l'assenza di politiche familiari;
nel 1993 l'ONU ha indetto il 1994 quale anno internazionale della famiglia e in quella occasione ha stabilito che il 15 maggio sia la giornata internazionale della famiglia, da celebrarsi in tutti i Paesi membri;
tale giornata viene celebrata presso la sede delle Nazioni Unite e in tutto il mondo, per ribadire la necessità di mettere la famiglia al centro dell'attenzione delle politiche dei Governi, come cellula fondamentale per la crescita ed il miglioramento della società,


impegna il Governo:


ad individuare soluzioni condivise atte a coinvolgere i diversi soggetti della scena pubblica, al fine di agire attraverso un patto generazionale in grado di dare una svolta decisiva al futuro della famiglia in Italia;
a promuovere interventi che coinvolgano istituzioni, imprese e sindacati, famiglie con le loro associazioni con ruoli diversi ma complementari, con l'obiettivo di lavorare insieme per individuare politiche integrate a tutela della famiglia, come sta accadendo in alcune città d'Italia che fanno da battistrada e come si sta facendo in Germania da tempo;
a tutelare e promuovere la famiglia attraverso:
a) politiche familiari applicate in ogni occasione e ad ogni livello in chiave sussidiaria e non assistenziale, posto che la solidarietà è fine dell'azione politica ma non può mai essere disgiunta dalla sussidiarietà;

b) politiche familiari non individualistiche, ma in grado di prendere in considerazione il nucleo familiare per se stesso, agendo di conseguenza perché esso non sia penalizzato, ma anzi sia oggetto di politiche eque e giuste;
c) politiche universali e non legate al reddito come ristrutturazioni edilizie, le detrazioni per le spese veterinarie, incentivazioni per le auto;
a promuovere politiche aziendali family-friendly in grado di assicurare la compatibilità dei tempi della famiglia e dei tempi del lavoro e ad attivare tavoli di contrattazione tra sindacati e imprese che tengano conto dell'esigenza dettata dalla presenza di figli, offrendo, di concerto con le regioni, a livello locale e nazionale, possibilità occupazionali flessibili, come il part-time, il telelavoro e i lavori online, che consentano di conciliare la vita privata e la vita professionale, soprattutto nei periodi di massima «compressione» della famiglia;
ad adottare ogni utile iniziativa, di carattere normativo, volta ad introdurre nel sistema fiscale italiano meccanismi di chiara equità orizzontale per l'attuazione di una reale giustizia nel trattamento fiscale delle famiglie con figli come il fattore famiglia proposto dal Forum delle associazioni familiari;
ad assumere iniziative volte a modificare gli attuali parametri della scala Isee, sul modello introdotto dal cosiddetto quoziente Parma;
a promuovere una riforma dei consultori atta restituire loro il ruolo di servizio alla famiglia, alla persona, alla coppia, al minore, facendoli rientrare nei livelli essenziali dell'assistenza sociale, oltre che sanitaria;
ad includere l'associazionismo familiare nelle politiche attive di Governo, dando ad esso piena cittadinanza e sostenendolo nella sua azione con ogni risorsa economica e sociale disponibile;
a promuovere, d'accordo con la Conferenza Stato-regioni, agevolazioni per l'assistenza sanitaria attraverso incentivi per quelle regioni che offrono un'assistenza sanitaria gratuita alle madri e ai bambini che vivono con un reddito inferiore alla media nazionale;
ad assumere ogni iniziativa di competenza per elaborare una nuova riqualificazione della spesa sociale, intervenendo soprattutto, d'intesa con gli enti locali e regionali, laddove gli squilibri territoriali sono maggiori.
(1-00957)
«Capitanio Santolini, Carlucci, Galletti, Buttiglione, Volontè, Binetti, D'Ippolito Vitale, Delfino, Anna Teresa Formisano, Compagnon, Pezzotta, Bosi, Calgaro, Enzo Carra, Mereu, Occhiuto, Tassone, Renato Farina, Pagano, Lupi, Polledri».

Risoluzioni in Commissione:

L'VIII e la X Commissione,
premesso che:
l'articolo 15, comma 7, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, stabilisce come termine ultimo per il completamento degli adeguamenti antincendio la data del 31 dicembre 2013 per le strutture ricettive turistico-alberghiere con oltre venticinque posti letto, esistenti alla data di entrata in vigore del decreto del Ministro dell'interno del 9 aprile 1994, che non abbiano completato l'adeguamento alle disposizioni di prevenzione incendi e siano ammesse, a domanda, al piano straordinario biennale di adeguamento antincendio, approvato con decreto del Ministro dell'interno da adottarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto-legge 216/2011;
il 28 febbraio 2012, il Comitato centrale tecnico-scientifico per la prevenzione incendi, organo del Ministero dell'interno che elabora e aggiorna le norme

tecniche e procedurali in materia di prevenzione incendi, oltre a fornire il necessario apporto tecnico-scientifico per l'elaborazione delle relative norme, ha approvato lo schema di decreto attuativo del citato piano straordinario biennale di adeguamento alle disposizioni di prevenzione incendi;
l'iter del citato schema di decreto prevede la firma del Ministro dell'interno e l'entrata in vigore dopo 30 giorni dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale che si presume possa situarsi intorno alla fine del mese di maggio del corrente anno;
l'ammissione al piano, che consente la prosecuzione dell'esercizio dell'attività, è consentita alle strutture ricettive, in possesso, alla data di entrata in vigore del citato decreto del Ministro dell'interno, dei requisiti di sicurezza antincendio indicati all'articolo 5 della bozza del decreto medesimo, approvato dal Comitato tecnico scientifico, il quale reca numerose innovazioni in materia di requisiti di sicurezza;
le principali modifiche apportate riguardano la realizzazione dei rivelatori di fumo, le vie di fuga, la gestione della sicurezza;
quanto ai rivelatori di fumo, nei due mesi circa entro i quali prevedibilmente gli albergatori interessati dovranno adeguarsi alla nuova disciplina, è da considerare impossibile la realizzazione di una serie di impianti che comporterebbero, in molte località, l'esistenza di un numero sufficiente di tecnici per progettare gli impianti medesimi e di artigiani disponibili a eseguire nell'immediato i necessari lavori per tutte le strutture interessate;
quanto alle vie di fuga, nei casi nei quali sia prevista l'installazione della seconda scala sia per l'intera struttura che per le sole sale da pranzo poste ad un livello superiore al piano terra, la loro realizzazione in due mesi è impensabile, in quanto non sussistono i tempi tecnici per la loro ordinazione, la preparazione fisica dell'oggetto e la successiva installazione, così come per le opere murarie indispensabili a rendere consona l'ampiezza delle vie di fuga;
quanto alla gestione della sicurezza, le misure integrative, richiamate nello schema di decreto, prevedono un servizio interno di sicurezza, permanentemente presente durante l'esercizio e ricompreso nel piano di emergenza, costituito da un numero minimo di addetti di una unità oltre i 25 e fino a 100 posti letto, due unità oltre 100 e fino a 300 posti letto, con l'aggiunta di una ulteriore unità per ogni incremento della capacità ricettiva di 150 posti letto;
è previsto inoltre che gli addetti del servizio di gestione della sicurezza debbano aver conseguito l'attestato di idoneità tecnica previsto dall'articolo 3 della legge 28 novembre 1996, n. 609, previa frequentazione del corso di cui all'allegato IX del decreto Ministro dell'interno 10 marzo 1998, rispettivamente:
di tipo B, per le strutture ricettive oltre 25 posti letto e fino a 50 posti letto e per le strutture ricettive oltre 50 posti letto e fino a 100 posti letto;
di tipo C, per le strutture ricettive oltre 100 posti letto;
anche per quanto riguarda le misure integrative relative alla gestione della sicurezza, non sussisterebbero i tempi tecnici per il rilascio degli attestati alle predette figure per l'impossibilità di organizzare un numero congruo e sufficiente di corsi per tutti gli addetti che dovrebbero prenderne parte;
conseguenza del decreto in questione è che, in piena stagione turistica, le strutture alberghiere si vedrebbero costrette a ridurre il numero di posti letto, portandoli a non più di 25, e il numero dei posti nelle sale da pranzo, con relativa caduta delle presenze turistiche e riduzione del giro d'affari per le strutture ricettive interessate;
tale costoso escamotage non potrebbe comunque essere applicato nelle

strutture cedute in affitto, in quanto il relativo contratto specifica sia il numero di camere che il numero di persone alloggiabili;
in un momento di difficoltà per il settore turistico ed in generale per l'intero Paese non sembra opportuno obbligare gli operatori a ridurre la propria capacità ricettiva;
l'attuale situazione deriva dal fatto che l'Italia, a suo tempo, ha recepito in toto la raccomandazione del Consiglio dell'unione europea del 22 dicembre 1986 per la protezione antincendio degli alberghi già esistenti, di per sé non cogente, senza porsi il problema delle effettive modalità di applicazione;
molti altri Paesi hanno recepito la medesima raccomandazione solo per le nuove strutture, permettendo a quelle esistenti di adeguarsi solo in occasione di ristrutturazioni, modifiche o ampliamenti che sono periodicamente necessari;
la normativa italiana non ha peraltro tenuto conto dell'intrinseca sicurezza della stragrande maggioranza dei nostri alberghi, i quali, diversamente da quelli di molti Paesi europei, dove il problema è sicuramente maggiore e più impellente, sono realizzati in muratura e non in legno e non fanno largo uso di moquette o simili;
da quanto premesso si deduce che il decreto ministeriale 9 aprile 1994, da un lato ha stabilito obiettivi troppo viziosi e inattuabili, tanto da essere successivamente modificato per gli alberghi esistenti con il decreto ministeriale 6 ottobre 2003, dall'altro non ha previsto norme transitorie, facendo tabula rasa delle situazioni preesistenti, al punto che, anche gli adeguamenti effettuati dalle strutture in regola in base alla previgente legislazione, sono stati annullati;
le proroghe che si sono succedute, in conseguenza di tale situazione, sono state sempre troppo brevi, al massimo due o tre anni, o di anno in anno, e non hanno consentito una effettiva programmazione degli investimenti e degli interventi, considerando che gli oneri per l'adeguamento, specie per le piccole attività, sono rilevanti e non possono essere ammortizzati nel corso di un anno e che gli interventi di adeguamento implicano altre autorizzazioni che hanno tempistiche a loro volta molto lunghe ed, in alcuni casi, possono contrastare con le stesse scadenze delle normative antincendio;
infine, la stessa Unione europea si è posta il problema della disapplicazione della propria raccomandazione per gli alberghi esistenti ed ha incaricato l'HOTREC - associazione che rappresenta gli alberghi, i ristoranti e i bar europei - di sviluppare «linee guida» più flessibili che consentano, con interventi differenziati a seconda delle caratteristiche dell'albergo, di raggiungere il medesimo livello di sicurezza,


impegna il Governo:


a sospendere l'adozione del decreto approvato dal Comitato centrale tecnico-scientifico per la prevenzione incendi, considerata l'obiettiva impossibilità da parte degli operatori del settore di adeguarsi ai nuovi requisiti ivi previsti nei brevissimi tempi richiesti;
a rivedere i contenuti del decreto medesimo, alla luce di quanto sopra esposto, prevedendo tempi congrui per l'adeguamento delle strutture ricettive e comunque ben oltre la conclusione della stagione estiva, che si colloca normalmente alla fine del mese di settembre;
a valutare la possibilità di assumere iniziative normative per introdurre, a favore dei gestori delle strutture ricettive interessate, agevolazioni volte ad accelerare il processo di adeguamento alle norme di prevenzione incendi secondo scadenze realisticamente collegate alle tempistiche tecniche e burocratiche necessarie ai richiesti adempimenti.
(7-00815)
«Marchioni, Mariani, Lulli, Froner, Brandolini, Marchignoli, Marchi, Albonetti, Motta, Anna Teresa Formisano, Scarpetti, Mastromauro, Vico, Peluffo, Mondello».

L'VIII e X Commissione,
premesso che:
per fonti energetiche rinnovabili o fonti rinnovabili, si intendono tutte quelle fonti di energia che non hanno un'origine fossile. In particolare, le fonti energetiche rinnovabili sono ricomprese nell'ambito di quelle di origine eolica, solare, geotermica, del moto ondoso, maremotrice, idraulica, biomasse, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas;
in particolare, per biomassa si intende la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall'agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali) e dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani;
biomassa vergine, inoltre, è la parte biodegradabile dei prodotti legnosi e vegetali provenienti da colture appositamente coltivate o specificamente dedicate all'ottenimento di tale biomassa o anche di materiale cellulosico;
le più importanti tipologie di biomassa da recupero sono i residui forestali, gli scarti dell'industria di trasformazione del legno (trucioli, segatura, eccetera), delle aziende zootecniche e i rifiuti solidi urbani;
i combustibili solidi, liquidi o gassosi derivati da questi materiali (direttamente o in seguito a processi di trasformazione) sono definiti biocombustibili o bioliquidi se utilizzati per generare calore (per il riscaldamento o il raffreddamento), o energia elettrica, nonché biocarburanti se utilizzati nei trasporti, mentre qualsiasi forma di energia ottenuta con processi di conversione dai bio-combustibili è definita bio-energia;
i conversione in energia da biomasse avviene attraverso processi di combustione, gassificazione e degradazione termica (pirolisi);
i principali vantaggi delle biomasse sono l'abbondanza, la facilità di estrazione energetica, il bassissimo costo economico, il suo potenziale fertilizzante;
ma la caratteristica fondamentale è l'esiguo impatto ambientale connesso: la CO2 rilasciata al momento della combustione delle biomasse è infatti commisurata a quella immagazzinata durante la loro crescita, al netto delle emissioni provocate per gli eventuali trasporti e per le necessarie manipolazioni e trasformazioni industriali;
l'impiego delle biomasse in Europa e in Italia soddisfa, ad oggi, una quota abbastanza marginale dei consumi di energia primaria, rispetto alla sua potenzialità;
circa il 5 per cento del consumo totale di energia in Europa è oggi basato sull'uso delle biomasse: in Finlandia, Svezia e Austria, dove sono state messe a punto politiche energetiche di promozione delle biomasse, queste quote raggiungono il 15-20 per cento. Il recente fenomeno della crescita incontrollabile del prezzo del petrolio in combinazione con la scarsità di risorse energetiche sicure, hanno reso le fonti energetiche locali molto più appetibili;
l'Italia, con il 2,5 per cento del proprio fabbisogno coperto dalle biomasse, è al di sotto della media europea;
da quanto emerge dalla nuova analisi di mercato dell'Unione europea, «Strategie Assessment for European Biomass Energy Markets», le biomasse prenderanno sempre più piede nel settore energetico europeo, andando a un ruolo cruciale nel conseguimento dell'obiettivo europeo, il «20-20-20» (20 per cento di riduzione di emissioni di CO2 20 per cento di risparmio energetico, 20 per cento di energia rinnovabile);
le biomasse attualmente rappresentano la fonte energetica rinnovabile a più largo impiego in grado di offrire in modo sostenibile ed economico una risposta alla domanda energetica nazionale. Grazie ad un prezzo competitivo, questa costituisce, infatti, due terzi dell'offerta energetica da fonti rinnovabili offrendo anche l'opportunità di ridurre le emissioni di CO2;

una linea di prodotti energetici diversificata e contenente le energie rinnovabili, segnatamente la biomassa, distribuite sul territorio e prodotte in cogenerazione è essenziale al buon funzionamento del mercato energetico nazionale;
a far da deterrente allo sviluppo delle biomasse è invece il costo del capitale teso alla costruzione delle centrali energetiche: gli investimenti iniziali sono così sostanziali che ne rendono ancora molto complicato lo sviluppo anche per i potenziali consumatori di medio livello;
per sfruttare a pieno il potenziale della biomassa, Stato e regioni, nell'ambito delle loro competenze, dovrebbero promuovere un maggior ricorso alle coltivazioni di legno esistenti e allo sviluppo di nuovi sistemi di silvicoltura, oltre che incentivare l'utilizzo della biomassa da recupero da scarti, sottoprodotti e rifiuti ma senza recare pregiudizio alle altre attività economiche che ne fanno già uso;
d'altro canto va tenuta in debita considerazione la necessità di non compromettere le prioritarie finalità dell'agricoltura che sono quelle di garantire la produzione di derrate alimentari per soddisfare i fabbisogni alimentari delle persone e per assicurare la continuità delle attività zootecniche. In tali circostanze, pertanto, si deve evitare che la crescita della domanda di colture agro energetiche vada ad incidere sui terreni più fertili e già dedicati alle produzioni agroalimentari e zootecniche, orientandosi, invece, al ripristino di terreni gravemente degradati o fortemente contaminati che, allo stato attuale, non possono essere utilizzati per scopi agricoli;
si tratta quindi di osservare determinati regimi di sostenibilità per le fonti energetiche rinnovabili provenienti dal settore agricolo, segnatamente per la biomassa;
il predetto regime di sostenibilità dovrebbe promuovere l'utilizzo di terreni degradati ripristinati, dato che la promozione dei biocarburanti e dei bioliquidi contribuirà alla crescita della domanda di materie prime agricole e ciò potrebbe incidere negativamente sui terreni che presentano un elevato stock di carbonio, conducendo a dannose perdite di riserve di carboni;
a tal fine si dovrebbero incentivare i biocarburanti sostenibili, che riducono al minimo l'impatto del cambiamento di destinazione dei terreni e migliorano la sostenibilità dei biocarburanti riguardo al cambiamento indiretto di destinazione dei terreni;
va segnalato che la partecipazione dell'agricoltura all'approvvigionamento energetico del nostro Paese risponde ad un duplice vantaggio: da un lato alla esigenza ormai pressante di ridurre gli oneri finanziari e l'impatto ambientale che gravano sull'Italia per la dipendenza da fonti non rinnovabili di provenienza estera, dall'altro può fornire a quello stesso mondo una fonte di integrazione del reddito in molti casi indispensabile per garantire la continuità delle proprie attività;
una prima, specifica, disciplina di settore che ha regolamentato in maniera puntuale il regime degli incentivi alle fonti energetiche di origine agricola, è stata la norma contenuta nell'articolo 26, comma 4-bis, del decreto-legge n. 159 del 2007, che novellando l'articolo 1, comma 382, della legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007) e aggiungendovi i commi da 382-bis a 382-septies, ha definito una nuova disciplina dei meccanismi di incentivazione della produzione di energia elettrica mediante impianti alimentati da biomasse e biogas derivanti da prodotti agricoli, di allevamento e forestali. Tale disciplina ha riguardato gli impianti autorizzati in data successiva al 31 dicembre 2007 ed è stata espressamente limitata alle biomasse e biogas ottenuti nell'ambito di intese di filiera o contratti-quadro, oppure nell'ambito di filiere corte (ottenuti cioè entro un raggio di 70 chilometri dall'impianto utilizzatore). Questa nuova disciplina per la promozione della produzione di energia elettrica con l'utilizzo di fonti rinnovabili

di origine agricola, zootecnica e forestale ha riservato dunque il nuovo sistema di incentivazione ai soli impianti che utilizzano materie prime ottenute nell'ambito di intese di filiera o contratti quadro (come definiti dagli articoli 9 e 10 del decreto legislativo n. 102 del 2005).
con il decreto 2 marzo 2010, del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, di attuazione della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sulla tracciabilità delle biomasse per la produzione di energia elettrica, sono state definite le modalità con le quali gli operatori della filiera di produzione e distribuzione di biomasse e biogas derivanti da prodotti agricoli (ma anche di allevamento o forestali) devono garantire la tracciabilità e la rintracciabilità della filiera;
con il decreto legislativo n. 28 del 2010, che ha recepito la direttiva 2009/28/CE sulle energie rinnovabili, sono state ridefiniti tutti meccanismi incentivanti per le energie rinnovabili ma sono stati mantenuti i previgenti criteri per il sostegno alle biomasse di origine agricola. Tali nuovi meccanismi incentivanti entreranno in vigore a decorrere dal 1o gennaio 2013;
i nuovi regimi di incentivazione, relativamente all'energia elettrica ottenuta da fonti rinnovabili, in materia di criteri di sostegno prevedono (articolo 24 comma 2), tra l'altro, che:
a) per biogas, biomasse e bioliquidi sostenibili l'incentivo tiene conto della tracciabilità e della provenienza della materia prima, nonché dell'esigenza di destinare prioritariamente:
1) le biomasse legnose trattate per via esclusivamente meccanica all'utilizzo termico;
2) i bioliquidi sostenibili all'utilizzo per i trasporti;
3) il biometano all'immissione nella rete del gas naturale e all'utilizzo nei trasporti;
b) per biogas, biomasse e bioliquidi sostenibili, in aggiunta ai criteri di cui alla lettera a) l'incentivo è finalizzato a promuovere:
1) l'uso efficiente di rifiuti e sottoprodotti, di biogas da reflui zootecnici o da sottoprodotti delle attività agricole, agro-alimentari, agro-industriali, di allevamento e forestali, di prodotti ottenuti da coltivazioni dedicate non alimentari, nonché di biomasse e bioliquidi sostenibili e biogas da filiere corte, contratti quadri e da intese di filiera;
2) la realizzazione di impianti operanti in cogenerazione;
3) la realizzazione e l'esercizio, da parte di imprenditori agricoli, di impianti alimentati da biomasse e biogas asserviti alle attività agricole, in particolare di micro e minicogenerazione, nel rispetto della disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato;
lo stesso decreto legislativo n. 28 del 2011, assicura nuovi incentivi pubblici anche per la produzione di calore da fonte rinnovabile. In particolare (articolo 28), gli interventi di produzione di energia termica da fonti rinnovabili e di incremento dell'efficienza energetica di piccole dimensioni, realizzati in data successiva al 31 dicembre 2011, sono incentivati sulla base dei seguenti criteri generali:
a) l'incentivo ha lo scopo di assicurare una equa remunerazione dei costi di investimento ed esercizio ed è commisurato alla produzione di energia termica da fonti rinnovabili, ovvero ai risparmi energetici generati dagli interventi;
b)il periodo di diritto all'incentivo non può essere superiore a dieci anni e decorre dalla data di conclusione dell'intervento;
c)l'incentivo resta costante per tutto il periodo di diritto e può tener conto del valore economico dell'energia prodotta o risparmiata;
d) l'incentivo può essere assegnato esclusivamente agli interventi che

non accedono ad altri incentivi statali, fatti salvi i fondi di garanzia, i fondi di rotazione e i contributi in conto interesse;
e) gli incentivi sono assegnati tramite contratti di diritto privato fra il Gestore del servizio elettrico e il soggetto responsabile dell'impianto, sulla base di un contratto-tipo definito dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del primo dei decreti che il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e, per i profili di competenza, con il Ministro delle politiche agricole e forestali, previa intesa con Conferenza unificata, deve adottare entro sei mesi dall'entrata in vigore del decreto legislativo n. 28 del 2011, ed in cui sono fissate, tra l'altro, le modalità per l'attuazione delle nuove norme e per l'avvio dei nuovi meccanismi di incentivazione;
il 31 gennaio 2011, la Commissione europea ha presentato una comunicazione (COM(2011)31) che, attribuisce alle tecnologie legate allo sfruttamento della biomassa un ruolo dominante verso l'obiettivo Unione europea del 20 per cento di energie rinnovabili entro il 2020, sottolineando come il 50 per cento della crescita di qui al 2020 riguarderà energia prodotta a partire da tale fonte (metà nel settore del riscaldamento, un terzo nel settore dei trasporti e il resto in elettricità);
in effetti si sta iniziando solo ora a valutare la possibilità di ottenere riscaldamento su larga scala a partire da fonti rinnovabili, in parte anche perché questo aspetto è stato inserito solo ora nel quadro normativo europeo (l'obiettivo del 20 per cento). Occorre pertanto favorire in via prioritaria le reti di riscaldamento urbane e consentire l'utilizzo più vasto della biomassa per questi fini;
dal punto di vista delle politiche di sviluppo delle energie rinnovabili e della relativa tutela ambientale, merita ricordare il ruolo che in questo campo giocano le regioni. Le regioni sotto la spinta della riforma amministrativa del 2001 e della riforma Costituzionale del 2003, nonché degli obiettivi ambientali fissati in applicazione del Protocollo di Kyoto, si sono infatti dotate in questi anni di strumenti di governo dell'energia;
non si sono invece adeguatamente sviluppati i raccordi fra gli atti di governo nazionali e gli atti di governo regionali e locali;
l'ENEA a tal proposito ha pubblicato specifici rapporti su tale argomento rilevando come l'importanza della definizione dei Piani energetico-ambientali regionali sia stata richiamata nel giugno 2001 nel «Protocollo d'intesa della Conferenza dei Presidenti delle regioni e delle province Autonome per il coordinamento delle politiche finalizzate alla riduzione delle emissioni di gas serra nell'atmosfera», noto come «Protocollo di Torino», che si prefigge lo scopo di «pervenire alla riduzione dei gas serra, così contribuendo all'impegno assunto dallo Stato italiano nell'ambito degli obblighi dell'Unione Europea stabiliti dagli accordi internazionali e programmato nella delibera CIPE 137/98 del 19 novembre 1998»;
a tal fine nel Protocollo è indicata una serie di impegni diretti ad assicurare lo sviluppo sostenibile. Fra questi vi è l'impegno all'elaborazione dei piani energetico-ambientali come strumenti quadro flessibili, dove sono previste azioni per lo sviluppo delle fonti rinnovabili, la razionalizzazione della produzione energetica ed elettrica in particolare, la razionalizzazione dei consumi energetici: in sostanza tutte quelle azioni di ottimizzazione delle prestazioni tecniche dal lato dell'offerta e dal lato della domanda. Nel Protocollo di Torino le regioni individuano nella pianificazione energetico ambientale lo strumento per indirizzare, promuovere e supportare gli interventi regionali nel campo dell'energia assumendo a livello di regione impegni ed obiettivi congruenti con quelli assunti per Kyoto dall'Italia in ambito comunitario;
il Piano energetico regionale è dunque il principale strumento attraverso il

quale le regioni possono programmare ed indirizzare gli interventi, anche strutturali, in campo energetico nei propri territori e regolare le funzioni degli enti locali, armonizzando le decisioni rilevanti che vengono assunte a livello regionale e locale. Il Piano energetico regionale costituisce il quadro di riferimento per i soggetti pubblici e privati che assumono iniziative in campo energetico nel territorio di riferimento. Esso contiene gli indirizzi, gli obiettivi strategici a lungo, medio e breve termine, le indicazioni concrete, gli strumenti disponibili, i riferimenti legislativi e normativi, le opportunità finanziarie, i vincoli, gli obblighi e i diritti per i soggetti economici operatori di settore, per i grandi consumatori e per l'utenza diffusa;
la programmazione energetica regionale va attuata anche per «regolare» ed indirizzare la realizzazione degli interventi determinati principalmente dal mercato libero dell'energia;
la pianificazione energetica si accompagna a quella ambientale per gli effetti diretti ed indiretti che produzione, trasformazione, trasporto e consumi finali delle varie fonti tradizionali di energia producono sull'ambiente;
il legame tra energia e ambiente è indissolubile e le soluzioni possono essere trovate insieme, nell'ambito del principio della sostenibilità del sistema energetico. Il Piano pertanto può essere guidato anche da funzioni «obiettivo» tipicamente ambientali e deve contenere le misure relative al sistema di offerta e di domanda dell'energia;
relativamente all'offerta nel Piano sono rappresentate e valutate le possibili soluzioni, da quelle tradizionali a quelle basate sulle fonti alternative e rinnovabili, con attenzione agli aspetti di disponibilità nel territorio, di economicità, di potenzialità per lo sviluppo di specifiche industrie locali, di impatto ambientale sia per l'assetto del territorio sia per le emissioni;
la gestione della domanda è altrettanto importante, in quanto la facoltà di intervento della regione è molto ampia e la razionalizzazione dei consumi può apportare un grande vantaggio a livello regionale e locale;
per quanto detto, appare evidente che bacini di domanda e offerta dovrebbero incontrarsi sul territorio (casi tipici sono il teleriscaldamento, la cogenerazione industriale e per grandi servizi pubblici);
i piani regionali, pur con obiettivi e scadenze precise, risultano avere un carattere aperto e scorrevole in maniera da poter recepire tutte le nuove situazioni, le opportunità positive, le modifiche economiche, sia strutturali che congiunturali, o vincoli e condizioni, che possono venire dall'interno e dall'esterno;
infine, la pianificazione energetica deve recepire ed utilizzare le disposizioni governative (decreti dei Ministeri dello sviluppo economico e dell'ambiente), cui si aggiungono i possibili interventi finanziabili con i Fondi strutturali europei, mediante le misure per l'energia e per l'ambiente. I risultati che si possono ottenere con l'attuazione dei decreti, sono anche piuttosto consistenti;
la definizione, la stesura e l'attuazione del Piano energetico-ambientale è di totale competenza dell'amministrazione regionale. Non sono definibili metodi e contenuti per la realizzazione del Piano che possano essere ritenuti obbligati, poiché ogni amministrazione può adottare le soluzioni che più ritiene adatte alle proprie caratteristiche politiche, territoriali, economiche, sociali, energetiche ed ambientali;
il Piano è innanzitutto un atto «politico», il cui corpo centrale è costituito dalle scelte strategiche che vengono operate dalla regione;
con la legge finanziaria 2008, legge 24 dicembre 2007 n. 244, con i commi da 158 a 174 del relativo comma 2, sono state fissate nuove disposizioni per facilitare la diffusione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili;

il comma 167 di tale normativa, in particolare, ha previsto che il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, emani uno o più decreti per definire la ripartizione fra regioni e province autonome di Trento e di Bolzano della quota minima di incremento dell'energia prodotta con fonti rinnovabili per raggiungere l'obiettivo del 17 per cento del consumo interno lordo entro 2020;
in tali circostanze, come previsto dal comma 168, per concorrere al raggiungimento dell'obiettivo minimo fissato ai sensi del predetto comma 167, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano avrebbero dovuto adeguare i propri piani o programmi in materia di promozione delle fonti rinnovabili e dell'efficienza energetica negli usi finali o, in assenza di tali piani o programmi, avrebbero dovuto provvedere a definirli;
il successivo comma 170 ha altresì stabilito che nel caso di inadempienza dell'impegno delle regioni relativamente a quanto previsto al comma 168, ovvero nel caso di provvedimenti delle medesime regioni ostativi al raggiungimento dell'obiettivo di pertinenza di cui al comma 167, il Governo invii un motivato richiamo a provvedere e quindi, in caso di ulteriore inadempienza nei sei mesi successivi all'invio del richiamo, provveda entro gli ulteriori sei mesi con le modalità di cui all'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 relativamente all'attuazione dell'articolo 120 della Costituzione sul potere sostitutivo;
ai fini del raggiungimento dei rispettivi obiettivi in materia di fonti rinnovabili, come definiti in attuazione del predetto articolo 2, comma 167, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e successive modificazioni, l'articolo 37 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, ha stabilito che le regioni e le Province autonome possono concludere accordi per il trasferimento statistico di determinate quantità di energia rinnovabile, burden sharing, senza però pregiudicare il conseguimento dell'obiettivo della regione che effettua il trasferimento.
in tale ambito, la Conferenza Stato-Regioni, il 22 febbraio 2012, ha approvato lo schema di decreto sul predetto burden sharing, ovvero sulla ripartizione tra le regioni e le province autonome della quota minima di incremento dell'energia prodotta con fonti rinnovabili. Il decreto per la ripartizione degli obiettivi rinnovabili al 2020, così come previsto dall'articolo 37, comma 6, del decreto legislativo n. 28 del 2011, quindi essere definitivamente approvato dal Ministro dello sviluppo economico e dell'ambiente, recuperando così il ritardo accumulato nello sviluppo delle fonti rinnovabili nel nostro Paese;
vale la pena ricordare che la direttiva europea 2009/28/CE, stabilisce che entro il 2020 l'Italia utilizzi almeno il 17 per cento di energia da fonti rinnovabili sul totale del consumo energetico nazionale lordo comprendente quindi non solo l'elettricità, ma anche l'energia termica e quella per i trasporti. Attualmente la l'Italia ha raggiunto solo l'8,3 per cento e la percentuale che manca è stata appunto suddivisa tra le varie amministrazioni regionali;
il decreto, a seguito dell'intesa raggiunta, oltre ad indicare gli obiettivi per singola regione, fornisce gli strumenti di intervento in caso di inadempimento, prevedendo anche il commissariamento delle amministrazioni regionali che non raggiungono gli obiettivi. Le amministrazioni regionali avranno 3 mesi di tempo dall'entrata in vigore del provvedimento, per raggiungere gli obiettivi indicati nei rispettivi piani energetici regionali;
alla luce del quadro esposto, è possibile affermare che l'assetto normativo nazionale in tema di sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili sia quasi completamente definito, a parte, purtroppo, i decreti attuativi previsti dal decreto legislativo n. 28 del 2011, relativi alle nuove

forme di incentivi pubblici specifici per le differenti fonti energetiche rinnovabili e per le diverse taglie di potenza degli impianti, mentre mancano gli atti di coordinamento tra le disposizioni regionali e quelle nazionali e soprattutto si sente l'esigenza di indirizzi che permettano la crescita armoniosa e sostenibile delle differenti tipologie di fonti energetiche rinnovabili, come anche di criteri che ne differenzino la valorizzazione a seconda del loro sistema di appartenenza così da sostenere in maniera disgiunta ed in rapporto alla loro sostenibilità socio ambientale, da un lato le fonti rinnovabili derivanti dal recupero dei rifiuti e dei sottoprodotti e dall'altro lato le fonti rinnovabili ottenibili da produzioni agro energetiche allo scopo dedicate e nell'ottica della valorizzazione delle vocazioni locali, delle filiere corte e possibilmente a chilometro zero, nonché della produzione forestale e vegetale che abbia anche e soprattutto una valenza di difesa e prevenzione dei fenomeni di dissesto idrogeologico e di diversificazione delle attività rurali e forestali,


impegna il Governo


ad adottare i decreti attuativi sugli incentivi pubblici per le energie rinnovabili di cui agli articoli 24, 28 e 33 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, relativi, rispettivamente, ai regimi di sostegno per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, ai contributi per la produzione di energia termica da fonti rinnovabili e per interventi di efficienza energetica di piccole dimensioni ed ai regimi di sostegno per l'utilizzo delle fonti rinnovabili nei trasporti;
ad adottare provvedimenti di sostegno di semplificazione amministrativa volti a favorire lo sviluppo dell'uso della biomassa, solida e liquida, allo scopo fissando criteri di priorità e condizioni di maggior favore quando tale biomassa è destinata alla produzione di energia termica per il riscaldamento ed il raffreddamento degli ambienti e degli insediamenti produttivi, per il teleriscaldamento e per la produzione di fluidi termici (acqua, vapore, e altro) utilizzati nei processi e nelle attività produttive, nonché per la produzione di biogas, biocombustibili e biocarburanti per i trasporti;
a prevedere linee di sostegno differenziate per le fonti energetiche rinnovabili che derivano dal recupero dei rifiuti e dei sottoprodotti e per quelle che si ottengono da attività agricole e forestali specificamente dedicate a tale scopo,fissando in tale ultimo caso ulteriori sostegni diretti allo sviluppo delle fonti agroenergetiche rinnovabili da utilizzare nell'ambito delle filiere corte o a chilometro zero e tenendo conto della necessità di scoraggiare comportamenti in grado di alterare gli equilibri di mercato delle produzioni agricole destinate alle produzioni agroalimentari e zootecniche e di incoraggiare le pratiche agricole e forestali in cui le produzioni di fonti energetiche rinnovabili, in particolare la biomassa vergine, i biocarburanti ed i biocombustibili, rappresentano fattori complementari e di multifunzionalità per le aziende agricole e soprattutto si inseriscono nelle buone pratiche volte alla tutela del paesaggio, alla conservazione in sicurezza del territorio, alla prevenzione dei fenomeni di dissesto idrogeologico, alla valorizzazione del patrimonio forestale soprattutto delle aree interne, montane e più marginali, nonché alla riforestazione delle aree agricole più fortemente sfruttate e già sede di coltivazioni intensive maggiormente impattanti per quanto riguarda i processi di desertificazione dei territori rurali e di impoverimento dei suoli;
a prevedere maggiori benefici per le energie rinnovabili ottenute da impianti che abbiano caratteristiche di territorialità e siano asserviti alle utenze locali o all'autoconsumo secondo modelli di tipo distribuito così da incoraggiare la creazione di sistemi diffusi e possibilmente a carattere di distretto che richiedano minori di servizi di rete per la trasmissione e la distribuzione dell'energia (dove si

disperde fino al 20 per cento dell'energia immessa) e generino indotti economici locali duraturi e sostenibili;
ad adottare i necessari provvedimenti volti a rendere esecutiva, nell'immediato, la disciplina relativa al burden sharing, ovvero alla ripartizione tra le regioni e le province autonome della quota minima di incremento dell'energia prodotta con fonti rinnovabili in tal senso prevedendo anche atti di coordinamento e di raccordo tra i provvedimenti di governo nazionali e quelli di governo regionali e locali, segnatamente i Piani energetici ambientali approvati dalle regioni e dalle province autonome, e, ove le regioni tardassero a definire o ad adeguare i loro piani e programmi in materia di promozione delle fonti rinnovabili e dell'efficienza energetica negli usi finali diretti a concorrere al raggiungimento dell'obiettivo minimo fissato nel PAN (Piano d'azione nazionale per le energie rinnovabili), ad inviare il previsto motivato richiamo con l'invito a provvedervi e, in caso di ulteriore inadempienza successivamente all'invio del richiamo, a provvedere con i poteri sostitutivi di cui all'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 relativamente all'attuazione dell'articolo 120 della Costituzione.
(7-00817)
«Lanzarin, Torazzi, Dussin, Alessandri, Togni».

L'VIII e X Commissione,
premesso che:
in tema di regolamentazione, autorizzazione, controllo e vigilanza in campo nucleare, all'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), come in precedenza all'Agenzia per la protezione dell'ambiente, e ancor prima all'ANPA, sono stati attribuiti dalla legislazione vigente, da ultimo dal decreto-legge n. 201 del 2011, le funzioni e i compiti di autorità di regolamentazione e di controllo per la sicurezza nucleare e per la radioprotezione delle installazioni nucleari e delle attività di impiego delle sorgenti di radiazioni ionizzanti;
il comma 15 dell'articolo 21 del decreto-legge 6 dicembre 2011 n. 201, convertito con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, ha disposto la soppressione dell'Agenzia per la sicurezza nucleare (a sua volta istituita ai sensi della legge n. 99 del 2009), assegnando alcune funzioni autorizzative ai Ministeri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di fatto provocando la necessità di un riordino funzionale del settore;
nelle more della predetta fase di riordino in materia di autorizzazioni, vigilanza, controlli e pareri in materia nucleare, il comma 20-bis del predetto decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, ha stabilito che, in via transitoria, le funzioni e i compiti che facevano capo alla soppressa Agenzia per la sicurezza nucleare, sono attribuiti all'ISPRA;
l'Ispra svolge questi compiti attraverso la formulazione di pareri tecnici vincolanti per le autorizzazioni, in particolare nei confronti del Ministero dello sviluppo economico, nell'ambito dei procedimenti autorizzatori previsti dalla legislazione vigente e, in particolare, dalla legge n. 1860 del 1962, dal decreto legislativo n. 230 del 1995 e dalle successive modifiche. Tali funzioni sono svolte anche attraverso controlli mirati effettuati tramite ispezioni condotte dagli ispettori dell'ISPRA, che rivestono qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria;
in campo di gestione operativa dei rifiuti radioattivi e di smantellamento degli impianti nucleari italiani opera la Sogin SpA. La Sogin è la società di Stato incaricata della bonifica ambientale dei siti nucleari italiani e della messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi provenienti dalle attività nucleari industriali, mediche e di ricerca. Essa, inoltre, ha il compito di localizzare, realizzare e gestire il parco tecnologico, comprensivo del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi;

in tema di sicurezza nucleare, quando riferita a rifiuti radioattivi da combustibile irraggiato presenti presso le installazioni nucleari, si applicano le previsioni della direttiva 2009/71/Euratom del Consiglio del 25 giugno 2009, recepita nel nostro ordinamento ai sensi del decreto legislativo n. 185/2011, che istituisce un quadro comunitario per la sicurezza nucleare degli impianti;
la direttiva si applica a qualsiasi impianto nucleare civile ancorché nella fase di disattivazione e che nella definizione ricomprende non solo le centrali nucleari, ma anche gli impianti di arricchimento e di fabbricazione di combustibile nucleare, di riprocessamento, i reattori di ricerca, le strutture di stoccaggio del combustibile irraggiato nonché le strutture di deposito dei rifiuti radioattivi ubicate nello stesso sito e direttamente connesse agli impianti nucleari stessi;
al riguardo va precisato che le strutture di deposito e smaltimento dei rifiuti radioattivi non direttamente connesse agli impianti nucleari suddetti e ubicati in altri siti, saranno oggetto dell'attuazione della direttiva 2011/70/Euratom del Consiglio del 19 luglio 2011, che istituisce un quadro comunitario per la gestione responsabile e sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi, che dovrà essere recepita entro il 23 agosto del 2013;
i rifiuti radioattivi attualmente presenti in Italia derivano in gran parte dal pregresso programma nucleare nazionale e si trovano nelle installazioni gestite dalla SOGIN SpA, nelle centrali nucleari di Trino, del Garigliano, di Latina e di Caorso, definitivamente spente negli anni Ottanta, degli impianti ex ENEA Eurex di Saluggia e di ITREC della Trisaia, provincia di Matera, degli impianti plutonio OPEC presso il centro della Casaccia a Roma, nel deposito Avogadro di Saluggia, a Vercelli, nelle installazioni del Centro comune di ricerca di ISPRA di Varese della Commissione europea;
questi rifiuti, classificati in relazione alla tipologia dei radionuclidi presenti secondo i criteri di classificazione definiti nella guida tecnica n. 26 dell'Ispra, ammontano a circa 21.600 metri cubi per la prima e seconda categoria e a 1.700 metri cubi per la terza;
sono definiti rifiuti radioattivi di prima categoria quelli che decadono in tempi dell'ordine dei mesi, di seconda quelli che decadono in alcune centinaia di anni, e di terza quelli che decadono in tempi nell'ordine delle centinaia di migliaia di anni;
a tali rifiuti devono sommarsi circa 30.000 metri cubi, prevalentemente di seconda categoria, che derivano dalle operazioni di disattivazione delle installazioni. Vi è, inoltre, combustibile nucleare irraggiato derivante dall'esercizio delle centrali nucleari in gran parte già trasferito all'estero, soprattutto Regno Unito e Francia, per il riprocessamento, a seguito del quale, è previsto che rientrino in Italia alcune decine di metri cubi di rifiuti condizionati ad alta attività. Restano da trasferire in Francia circa 45 tonnellate, attualmente stoccate nella centrale di Trino e nel deposito Avogadro di Saluggia;
vanno considerate, inoltre, ulteriori 2 tonnellate di combustibile presenti nell'impianto ITREC della Trisaia, per le quali, in assenza di un accordo che ne preveda il rientro negli Stati Uniti, è previsto uno stoccaggio a secco sul sito presso un'idonea struttura di deposito da realizzare;
ai rifiuti che derivano dal pregresso programma nucleare si aggiungono i rifiuti di origine medica, industriale e di ricerca per circa 5.000 metri cubi, per i quali si registra una produzione di alcune centinaia di metri cubi l'anno. Tali rifiuti sono allocati presso le installazioni di alcuni operatori nazionali, le più rilevanti delle quali sono quelle della NUCLECO presso il centro ENEA della Casaccia;
la situazione in questione evidenzia come a quasi 25 anni dalla chiusura del pregresso programma nucleare il processo della messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi

che allora furono prodotti e quello della dismissione delle installazioni nucleari, il cosiddetto decommissioning, sono ancora lontani dal vedere una soluzione definitiva e richiedono in modo necessario un'accelerazione decisa nei prossimi anni;
i rifiuti immagazzinati presso i rispettivi siti di produzione sopra citati, ossia centrali nucleari, impianti sperimentali, centri di ricerca, sono per la gran parte ancora da sottoporre a operazioni di trattamento e condizionamento necessari per la loro trasformazione in manufatti durevoli che assicurino un idoneo isolamento della radioattività dall'ambiente per il trasporto, lo stoccaggio e lo smaltimento definitivo;
per alcune di queste operazioni vi sono già piani operativi e progetti autorizzati, mentre l'iter istruttorio è già in corso in un quadro di attenzione prioritaria da parte dell'Ispra rispetto alle verifiche tecniche e procedurali che l'istituto ha il compito di effettuare;
per quanto riguarda il combustibile irraggiato, per la gran parte è in atto la campagna di trasferimento in Francia nel quadro definito dall'accordo intergovernativo stipulato nel 2006. Nell'ambito di tale campagna sono state già trasferite 190 tonnellate di combustibile dalla centrale di Caorso ed è in corso il trasferimento delle rimanenti 45 tonnellate presenti nel deposito Avogadro e nella centrale di Trino;
purtroppo, dopo i primi due trasporti, che si sono svolti nei primi mesi del 2011, le operazioni si sono interrotte per problemi di ordine pubblico nelle aree di transito della Val di Susa;
l'importanza della ripresa di tali operazioni deriva, oltre che dalla natura chiaramente propedeutica che l'allontanamento del combustibile nucleare dei siti riveste per le attività successive di decommissioning, anche dal fatto che per l'impianto deposito Avogadro, in particolare, vige una prescrizione emanata dal Ministero dello sviluppo economico su parere dell'Ispra affinché si procedesse in un periodo temporale di riferimento di tre anni dal giugno 2007 all'allontanamento del combustibile stante la vetustà della struttura e la sua non idoneità allo stoccaggio di combustibile stesso nel lungo termine;
la perdurante assenza di una chiara prospettiva per la disponibilità di un deposito nazionale rende, peraltro, necessaria la realizzazione di nuove strutture di deposito sui siti sia per fare fronte all'esigenza di migliorare le attuali condizioni di stoccaggio dei rifiuti sia per rendere possibile la prosecuzione dell'attività di decommissioning attraverso la disponibilità di strutture idonee di stoccaggio di rifiuti che da queste sono tipicamente prodotte. Infatti, anche quando si procede a smantellare e ad effettuare operazioni di decommissioning si generano ulteriori quantità di rifiuti;
l'indisponibilità del deposito nazionale impone, ai fini della disattivazione, di attuare la strategia finale di rilascio del sito senza vincoli di natura radiologica, il cosiddetto green field, attraverso una fase ulteriore intermedia di stoccaggio temporaneo sul sito stesso dei rifiuti prodotti, brown field;
per queste motivazioni, in attesa della disponibilità del deposito nazionale, è quindi oggi necessario procedere alla realizzazione di nuove strutture di stoccaggio temporaneo presso le installazioni rispondenti ai requisiti di sicurezza più avanzati attraverso nuove realizzazioni;
in relazione alla necessità del deposito nazionale, occorre, inoltre, considerare che nei prossimi anni rientreranno in Italia dall'Inghilterra e dalla Francia i rifiuti condizionati che derivano dalle operazioni di riprocessamento del combustibile irraggiato e vi sono impegni internazionali che il nostro Paese dovrà rispettare e che derivano dalla Convenzione congiunta sulla sicurezza della gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi e dall'accordo con la Francia per il riprocessamento del combustibile irraggiato,

che pone termini temporali precisi all'individuazione del sito dove potranno essere stoccate le scorie che torneranno in Italia al termine delle operazioni;
va evidenziato al riguardo che per la realizzazione di nuove centrali, una delle caratteristiche tecniche fondamentali è la presenza di corsi d'acqua, mentre per la realizzazione di un deposito, vale esattamente il contrario, ossia non deve essere presente acqua;
il problema che si pone è che al ritorno di questi rifiuti processati, in mancanza del deposito nazionale, essi vanno rimessi esattamente nello stesso luogo dove erano prima le centrali e anche a livello di caratteristiche tecniche qualche difficoltà esiste. Tali rifiuti, se non vi saranno novità in seno all'apertura del deposito, andranno forzatamente ricollocati in luoghi strutturalmente, morfologicamente, geologicamente non idonei a ospitare rifiuti, quali le centrali in cui erano stati prodotti;
in assenza del deposito nazionale tutti gli esercenti, grandi e piccoli, diventano direttamente responsabili dell'intera gestione a lungo termine dei rifiuti di loro pertinenza dovendo con ciò garantire, oltre al condizionamento dei rifiuti, la conservazione a lungo termine con la realizzazione in ciascuno dei loro siti di strutture idonee per lo stoccaggio, in alternativa, evidentemente, alla soluzione del deposito nazionale;
l'articolo 25 del decreto legislativo 15 febbraio 2010 n. 31 ha riproposto il tema del deposito nazionale indicando una procedura trasparente e partecipata per dei siti idonei alla localizzazione dell'autorizzazione al Deposito nazionale nell'ambito di un parco tecnologico;
in particolare, il decreto legislativo 15 febbraio 2010 n. 31 ha affidato alla Sogin SpA la responsabilità di realizzare e gestire il parco tecnologico, comprensivo del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi italiani;
la Sogin S.p.A a tal fine ha il compito di:
a) gestire le attività finalizzate alla localizzazione del sito per il parco tecnologico;
b) curare le attività connesse al procedimento autorizzativo relativo alla realizzazione ed esercizio del parco tecnologico e al trattamento ed allo smaltimento dei rifiuti radioattivi;
c) provvedere alla realizzazione ed all'esercizio del parco tecnologico;
d) erogare agli enti locali le quote ad essi spettanti;
e) promuovere diffuse e capillari campagne di informazione e comunicazione alla popolazione in ordine alle attività da essa svolte;
lo stesso decreto fornisce anche le modalità di un percorso decisionale di partecipazione e coinvolgimento delle parti interessate a livello istituzionale, regioni ed enti locali;
con la soppressione dell'Agenzia per la sicurezza nucleare e il trasferimento temporaneo dei suoi compiti all'ISPRA, tale Istituto è diventato l'amministrazione responsabile della predisposizione dei criteri e per lo svolgimento del successivo iter istruttorio;
per quanto riguarda i piani di disattivazione, le autorizzazioni sono rilasciate ai sensi degli articoli 55 e 57 del decreto legislativo n. 230 del 1995 e successive modifiche sulla base della presentazione di un piano globale di disattivazione da parte dell'esercente;
le disposizioni del decreto legislativo n. 230 del 1995 prevedono, altresì, all'articolo 148, comma 1-bis, che per impianti per i quali è stata presentata l'istanza di disattivazione ai sensi dell'articolo 55 possono essere autorizzate, nelle more dell'ottenimento dell'autorizzazione alla disattivazione ai sensi della legge n. 1860 del 1962, particolari operazioni e specifici interventi ancorché attinenti alla

disattivazione atti a garantire nel modo più efficace la radioprotezione dei lavoratori e della popolazione;
a oggi la SOGIN spa ha presentato le istanze di disattivazione relativa alle quattro centrali nucleari, Garigliano, Latina, Trino a Caorso, all'impianto di fabbricazione nucleare di Bosco Marengo in provincia di Alessandria e, di recente, per l'impianto di riprocessamento ITREC di Matera;
con riferimento ai piani globali di disattivazione presentati nel corso degli anni, è stata necessaria la predisposizione di alcuni aggiornamenti in relazione al prolungarsi delle attività di condizionamento dei rifiuti pregressi e di allontanamento del combustibile irraggiato, laddove ancora presente, nonché alle incertezze connesse alla realizzazione del Deposito nazionale;
nel 2008 è stata rilasciata l'autorizzazione alla disattivazione dell'impianto di Bosco Marengo. Nei prossimi mesi si prevede di concludere l'iter, istruttorio per il rilascio dell'autorizzazione alla disattivazione delle centrali di Trino e Garigliano;
è in fase istruttoria l'autorizzazione del piano globale di disattivazione della centrale di Caorso, ma riguardo a questa centrale va evidenziato che già nel 2000 era stata rilasciata un'autorizzazione per l'esecuzione di un insieme di attività connesse alla disattivazione dell'impianto. Nel quadro di tale autorizzazione, che comunque sarà ulteriormente rivista ai sensi del piano globale di disattivazione, sono ancora da completare alcune attività, come il condizionamento dei rifiuti pregressi presenti in centrale;
per la centrale di Latina, nel 2009 la SOGIN spa ha aggiornato la propria istanza a causa di un cambiamento della strategia temporale sulla gestione della grafite, soprattutto, anche in questo caso, in relazione alla situazione di incertezza che si era venuta a creare rispetto al deposito nazionale. Per i suddetti impianti tutte le attività già svolte e in corso sono state autorizzate ai sensi dell'articolo 148 del decreto legislativo n. 230;
per le centrali nucleari la legislazione vigente prevede l'assoggettamento alla procedura di valutazione di impatto ambientale. Nell'ottobre 2011 è stato emanato l'ultimo decreto di compatibilità ambientale relativo alla centrale di Latina;
al fine di accelerare le attività di disattivazione, l'articolo 24 del decreto-legge 24 gennaio 2012 n. 1, sulle liberalizzazioni, oltre che confermare la necessità di realizzare il deposito nazionale, ha stabilito nuove procedure per ridurre la tempistica delle fasi autorizzative sempre nell'ambito dell'osservanza dei criteri della sicurezza ambientale, della salute e della partecipazione di competenza degli enti locali interessati;
vi è poi un altro settore che riguarda i rifiuti radioattivi di fonte non energetica. Sono quelli che derivano da applicazioni mediche, industriali e di ricerca, i quali continuano ad accumularsi presso i diversi operatori immagazzinati senza un adeguato processo di condizionamento presso strutture non idonee, in particolare dal punto di vista della localizzazione, a una gestione di lungo termine;
a questo proposito si citiamo le installazioni della NUCLECO nel centro della Casaccia presso Roma;
in tale contesto sono emerse negli anni alcune situazioni di particolare criticità connesse allo stoccaggio di rifiuti che, in particolare, derivano dal venir meno dei titolari delle strutture che, in relazione alla vetustà delle strutture stesse, all'assenza di un soggetto responsabile e qualificato deputato alla loro gestione in sicurezza, richiedono interventi di bonifica;
infine, va segnalata nell'ambito di rifiuti radioattivi non energetici, la problematica delle sorgenti orfane con una certa frequenza rinvenute all'interno di rottami metalli importati dall'estero;

in relazione a questo quadro di problematiche, l'Ispra indirizza le proprie attività di controllo ai seguenti obiettivi: mantenimento di un elevato livello di sicurezza nei siti; trattamento e condizionamento dei rifiuti esistenti e miglioramento delle condizioni di stoccaggio; svolgimento di operazioni connesse alla disattivazione che migliorino la sicurezza sul sito; ottenimento di manufatti finali qualificati; esecuzione di tutte le operazioni nel rispetto dei requisiti di sicurezza e radioprotezione;
rispetto alle prospettive per le funzioni di controllo, va segnalata l'importanza di risolvere al più presto l'individuazione di un quadro istituzionale e organizzativo stabile e definito a valle di un periodo di transitorietà e di incertezza che ha visto comunque i soggetti competenti continuare ad assicurare, in un assetto rispettoso dei requisiti di indipendenza posti dagli standard internazionali e delle direttive comunitarie, le funzioni di controllo nell'attesa della nuova struttura istituzionale essendo stata soppressa l'apposita Agenzia;
come in precedenza indicato, la Sogin S.p.A., tenendo conto dei criteri indicati dall'AIEA e dal soggetto che sostituirà la soppressa agenzia se del caso dall'Ispra, dovrà definire una proposta di Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee alla localizzazione del parco tecnologico, proponendone contestualmente un ordine di idoneità sulla base di caratteristiche tecniche e socio-ambientali delle suddette aree, nonché un progetto preliminare per la realizzazione del Parco stesso;
purtroppo su tale attività di individuazione delle aree potenzialmente idonee, spesso sono circolate voci e notizie, tutte successivamente puntualmente mai confermate se non addirittura smentite, sull'avvenuta puntuale identificazione di supposti luoghi confondi in cui realizzare il predetto deposito nazionale. Ciò giustamente ha creato allarmi e disappunto nelle popolazioni direttamente interessate che hanno temuto di vedersi coinvolte senza neppure essere state informate, in processi e scelte la cui definizione richiede delicate ed inderogabili fasi di valutazione, condivisione e partecipazione;
andrebbe celermente portata a compimento la fase di ridefinizione dell'assetto organizzativo in tema di funzioni e compiti per la regolamentazione tecnica, il controllo e l'autorizzazione ai fini della sicurezza delle attività concernenti la gestione e la sistemazione dei rifiuti radioattivi e dei materiali nucleari provenienti da attività mediche ed industriali, la protezione dalle radiazioni, nonché le funzioni e i compiti di vigilanza sulla salvaguardia degli impianti e dei materiali nucleari, comprese le loro infrastrutture e la logistica, oltre che per la regolamentazione tecnica, il controllo e la vigilanza in materia di sicurezza nucleare degli impianti nucleari;
sarebbe necessario imprimere un forte impulso alle attività di messa in sicurezza definitiva di tutti i rifiuti radioattivi presenti e prodotti sul territorio nazionale, allo scopo mettendo in atto le prescritte procedure di consultazione pubblica, di valutazione scientifica e di aperta concertazione istituzionale necessarie per conseguire l'autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio del parco tecnologico, allo scopo disciplinate dall'articolo 27 del decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31,


impegnano il Governo:


ad adottare nell'immediato tutti i provvedimenti di competenza necessari alla definizione dell'assetto organizzativo in campo di sicurezza nucleare ai sensi del comma 20-bis dell'articolo 21 del decreto legge n. 201 del 2011 nel testo vigente, allo scopo individuando, possibilmente nell'ISPRA, l'unico soggetto pubblico cui conferire le competenze della soppressa agenzia per la sicurezza nucleare;
a porre in atto tutte le azioni di propria competenza volte ad assicurare il

completamento della messa in sicurezza definitiva dei rifiuti radioattivi in tal senso provvedendo ad attuare le disposizioni relative al conseguimento dell'autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio del parco tecnologico di cui all'articolo 27 del decreto legislativo n. 31 del 2010 e contestualmente ad attivare i previsti procedimenti di consultazione pubblica per informare i cittadini sugli esiti conseguiti e per ricevere i loro commenti di merito.
(7-00819)«Alessandri, Torazzi, Togni».

La IV Commissione,
premesso che:
lo scenario geo-strategico internazionale - e in particolare l'area del Mediterraneo allargato di nostro più diretto interesse - continua, e prevedibilmente continuerà, a essere caratterizzato da fattori di elevato rischio per la stabilità e la sicurezza internazionale, cui si aggiungono gli effetti della perdurante grave contingenza economico-finanziaria globale;
la politica di sicurezza e difesa dell'Italia è ancorata ai consolidati riferimenti rappresentati dalle Nazioni Unite, dall'Unione europea e dall'Alleanza Atlantica, nel cui ambito il Paese è chiamato a responsabilità commisurate con il ruolo che gli compete nella comunità internazionale;
la prevenzione e la gestione delle situazioni d'instabilità e di crisi richiede un approccio multinazionale e multidisciplinare, ovvero una forte sinergia d'iniziative politiche, diplomatiche, economiche, di cooperazione e, quando necessario, di carattere militare, con l'intervento delle Forze armate;
le Forze armate, in particolare con il perdurante impegno nelle missioni internazionali, si confermano uno strumento efficace ed insostituibile per la difesa e la tutela degli interessi e della sicurezza nazionale, oltre che per il sostegno del ruolo dell'Italia quale membro affidabile della comunità internazionale;
nelle istituzioni e nell'opinione pubblica si è ormai consolidata la consapevolezza che la nazione deve accettare il peso delle proprie responsabilità a livello internazionale e nell'ambito delle organizzazioni di riferimento, in particolare quella europea e atlantica, per la sicurezza e la stabilità globale;
le Forze armate saranno chiamate sempre più frequentemente a intervenire in contesti operativi caratterizzati da una spiccata dimensione multidisciplinare per la prevenzione e gestione delle crisi, interagendo con organizzazioni civili, nonché per interventi umanitari e di soccorso alla popolazione in caso di calamità naturali;
il processo di consolidamento della coesione politica europea e d'integrazione economica e istituzionale dell'Unione europea potrà ricevere un impulso significativo da un rafforzamento della politica di sicurezza e difesa comune, nell'ottica del consolidamento del rapporto transatlantico;
una più decisa iniziativa d'integrazione delle politiche nazionali di difesa dei Paesi europei può portare innegabili vantaggi al sistema di sicurezza comune;
in termini di operatività e capacità - da sviluppare in coerenza con i più importanti Paesi partner che sono alle prese con significativi processi di revisione dei rispettivi sistemi di difesa;
è indispensabile l'avvio immediato di una revisione dello strumento militare che consenta al Paese di continuare a disporre di uno strumento operativo efficiente ed efficace, dimensionato in modo adeguato a corrispondere alle esigenze di sicurezza e difesa, prioritariamente nell'ambito delle organizzazioni internazionali di riferimento;
in assenza di un incremento del bilancio della Difesa, difficilmente ipotizzabile nel breve-medio termine, un'efficace revisione è peraltro subordinata alla disponibilità di risorse certe e costanti nel tempo;

l'Italia è chiamata ad affrontare e a risolvere un'emergenza nazionale - verosimilmente di non breve orizzonte temporale - che si colloca nell'ambito di una congiuntura economica internazionale di estrema complessità;
nel quadro delle misure adottate per il contenimento della spesa pubblica, il bilancio della Difesa ha subito, negli ultimi anni, una considerevole riduzione degli stanziamenti con effetti negativi sull'intero sistema di difesa;
la cosiddetta «funzione difesa», riferita all'anno 2012, risulta pari allo 0,84 per cento del PIL (prodotto interno lordo), ben al di sotto dei valori degli altri Paesi europei cui si fa tradizionalmente riferimento;
nell'ambito della «funzione difesa» si è progressivamente consolidata una situazione di forte criticità determinata dallo squilibrio della ripartizione delle risorse fra i tre settori del personale, dell'esercizio e dell'investimento, ben lontana dai livelli percentuali considerati ottimali e adottati in ambito europeo e atlantico;
lo strumento militare, nella sua attuale configurazione, non risulta più sostenibile a fronte delle risorse assegnate - e prevedibilmente disponibili - e, a causa dello sbilanciamento della ripartizione delle risorse che penalizza fortemente i settori dell'esercizio e dell'ammodernamento, è destinato a una progressiva riduzione delle attuali capacità operative;
il Consiglio supremo di difesa ha considerato che:
a) è necessario avviare, in tempi contenuti, la razionalizzazione del sistema Difesa, al fine di eliminare ridondanze e inefficienze e correggere con ogni possibile urgenza l'attuale sbilanciamento delle componenti strutturali di spesa, che penalizza fortemente i settori dell'esercizio e dell'ammodernamento;
b) occorre procedere alla definizione dei lineamenti per la riorganizzazione generale dello strumento militare, da avviare comunque in tempi ravvicinati, per adeguarlo allo scenario odierno e prevedibile nel futuro, finalizzandone la strategia, la struttura e i mezzi agli specifici compiti di prevenzione e di contrasto delle minacce emergenti incrementandone l'efficacia complessiva rispetto alle crisi con le quali il nostro Paese potrebbe realisticamente doversi confrontare;
c) si debba guardare alla progressiva integrazione multinazionale delle Forze armate nell'ambito europeo della politica della difesa e sicurezza comune come a un passaggio ormai ineludibile nel processo di riorganizzazione e di potenziamento delle capacità d'intervento del nostro strumento militare;
si prende atto, altresì, delle comunicazioni rese dal Ministro della difesa nelle sedute congiunte delle Commissioni Difesa del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati il 15 febbraio e il 29 febbraio 2012;
si ritiene di condividere le prospettive e le valutazioni esposte dal Ministro della difesa nelle sue comunicazioni e le linee di indirizzo a cui intende conformare la propria azione per la revisione dello strumento militare,


impegna il Governo:


a) garantire la stabilità programmatica per le risorse da destinare al bilancio della Difesa, assicurando un più razionale equilibrio delle voci di spesa destinate rispettivamente al personale, all'esercizio e agli investimenti;
b) a garantire, altresì, la gestione semplificata, anche con l'introduzione di forme innovative, di flessibilità gestionale, amministrativa e programmatica, tali da favorire l'efficace perseguimento degli obiettivi prefissati, attraverso l'aderente rimodulazione delle spese, degli impegni e dei programmi, nonché il reindirizzo degli stanziamenti di bilancio disponibili verso i settori di spesa destinati al mantenimento

in efficienza dello strumento militare e del sostegno delle capacità operative prioritarie;
c) a presentare ogni anno alle Commissioni parlamentari competenti, con congruo anticipo rispetto all'avvio della sessione di bilancio, un documento programmatico pluriennale da aggiornare annualmente che - tenendo conto degli specifici contributi resi dal Ministero dello sviluppo economico e dal Ministero dell'economia e delle finanze, riguardo, rispettivamente, alle risorse destinate alla ricerca e al complessivo ammontare delle risorse disponibili - esponga in un contesto unitario e dinamico il quadro strategico, le risorse disponibili, i programmi di armamento in corso e quelli da avviare, ponendo in evidenza le modifiche programmatiche più rilevanti intervenute in sede attuativa rispetto alla precedente situazione, con particolare riferimento a sensibili modifiche agli importi inizialmente programmati, ovvero a significativi differimenti, rimodulazioni o rinunce parziali o totali di programmi d'armamento su cui le Commissioni hanno già espresso il loro parere;
d) a operare, in rigorosa coerenza con tali proposte programmatiche, una revisione della struttura e dell'organizzazione dell'intero strumento militare nazionale articolando tale intervento, principalmente, attraverso misure che realizzino:
1) il ridimensionamento dell'intera struttura della Difesa, centrale e periferica, anche riducendo i comandi e le unità, inclusi gli stati maggiori, razionalizzando le funzioni formative, addestrative, operative e logistiche, in una prospettiva interforze e di ottimale impiego delle risorse;
2) la contrazione dell'articolazione territoriale, mediante soppressioni e accorpamenti, sempre in una prospettiva interforze, tenendo conto dell'esigenza di garantire una equilibrata distribuzione degli enti e dei reparti delle Forze armate sul territorio nazionale, in relazione alle mutate esigenze dello scenario politico-militare internazionale;
e) a perseguire l'interoperabilità, l'integrazione e la proiettabilità dello strumento necessarie nel contesto geostrategico di riferimento, anche attraverso la revisione dei programmi d'investimento, nel rispetto dell'impegno di cui al punto sub c), in aderenza alla nuova configurazione e privilegiando le capacità tecnologicamente più avanzate, mantenendo comunque attivi e stabili i relativi interventi;
f) ad operare un'incisiva, seppur graduale, riduzione dei volumi organici del personale militare e civile della Difesa, con l'obiettivo di una contrazione generale coerente con le risorse assegnate per perseguire le finalità che lo Stato assegna allo strumento militare, anche attraverso un sinergico coinvolgimento delle pubbliche amministrazioni:
1) apprestando adeguate garanzie economiche, pensionistiche e di reimpiego;
2) facendo ricorso a un insieme coordinato di istituti, fra i quali:
a) la mobilità volontaria del personale militare e civile in altre amministrazioni pubbliche;
b) l'istituzione a regime di riserve e preferenze nelle procedure di reclutamento del personale delle pubbliche amministrazioni, ivi compresa la riserva assoluta per l'accesso nelle carriere iniziali delle forze di polizia ad ordinamento civile e militare e della polizia municipale;
c) il ricollocamento nel mondo del lavoro dei militari in ferma prefissata/congedati, mediante il riconoscimento della pregressa esperienza nelle Forze armate, come requisito necessario ai fini dell'approvazione prefettizia di cui all'articolo 138 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, nonché per lo svolgimento di specifiche mansioni, quali ad esempio, quelle di cui all'articolo 5, comma 4, del decreto-legge n. 107 del 2011, convertito dalla legge n. 130 del 2011;
d) il transito volontario del personale militare nei ruoli civili dell'amministrazione della Difesa;

e) l'aspettativa per riduzione di quadri per il personale militare;
f) l'agevolazione di forme di rapporto di lavoro a tempo parziale per il personale civile;
3) accompagnando e agevolando le misure di transito e di ricollocamento anche con la previsione di corsi di riqualificazione del citato personale, programmati e sviluppati d'intesa con le amministrazioni e gli enti di previsto reimpiego, nonché con disposizioni finalizzate all'inserimento del personale in altre attività lavorative, agevolate, nel quadro della compatibilità delle politiche di governo, dalla previsione di sgravi degli oneri previdenziali, assistenziali e fiscali a carico dei datori di lavoro;
4) introducendo, in materia di reclutamenti, avanzamenti, ruoli e stato giuridico, le varianti necessarie ad armonizzare, con adeguato periodo transitorio, tali settori con il nuovo assetto prefigurato per lo strumento militare nazionale;
5) assicurando che tali azioni siano perseguite in modo coerente anche dalla emananda disciplina in materia di trattamenti pensionistici, ai sensi dell'articolo 24, comma 18, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, e che tale disciplina sia coerente con le finalità della revisione dello strumento militare;
g) ad introdurre misure di valorizzazione della professionalità del personale militare e civile in un'ottica di efficienza e produttività aderenti alla riconfigurazione dell'assetto organizzativo della Difesa;
h) a prevedere una sostanziale devoluzione al Ministero della difesa, per le finalità della complessiva revisione dello strumento militare, delle risorse derivanti dalle dismissioni degli immobili che si renderanno disponibili a seguito dell'attuazione della medesima revisione, e di quelle necessarie per il ristoro dei servizi e delle prestazioni resi dalle Forze armate, nonché, ove necessarie, altre specifiche misure di semplificazione dei relativi procedimenti di cessione, direttamente a cura dello stesso Dicastero;
i) a rafforzare l'unità di intenti fra i Ministeri interessati al fine di sviluppare una politica industriale tesa a conferire competitività al Paese, in particolare nei settori ad alta tecnologia;
l) ad individuare possibili sinergie con altre amministrazioni e agenzie dello Stato, anche mediante revisione e redistribuzione delle funzioni attribuite;
m) a prospettare gli ulteriori interventi che si rivelino necessari o comunque utili al fine di agevolare la delineata revisione;
n) a dispiegare un'innovativa iniziativa per rilanciare il processo di integrazione europea in materia di difesa e di sicurezza, promuovendo un dialogo con i Paesi membri sugli interessi strategici dell'Unione europea e sugli obiettivi e le strutture della politica di sicurezza e di difesa comune, nell'ottica di un consolidamento del rapporto transatlantico;
o) a valutare analoga riorganizzazione e razionalizzazione in tutti i settori del comparto difesa e sicurezza, e in tutti gli altri dicasteri dello Stato;
p) a rendere comunicazioni alle Commissioni parlamentari competenti ogni sei mesi in merito alle iniziative amministrative e organizzative concretamente assunte per dare attuazione agli impegni contenuti alle precedenti lettere, fino alla completa attuazione degli stessi.
(7-00816) «Cirielli».

La VIII Commissione,
premesso che:
la strada statale S.S. 64 «Porrettana», è un fondamentale asse-viario per la provincia di Bologna e, costituisce un'imperante arteria nazionale di collegamento tra l'Emilia-Romagna e la Toscana;

la Porrettana, nel tratto di competenza del compartimento ANAS per la viabilità dell'Emilia-Romagna, può essere suddivisa in due differenti tratte:
a) la prima, in territorio montano, dal chilometro 31+100 (confine con la Toscana) al chilometro 82+700 (Bologna);
b) la seconda, in territorio di pianura, dal chilometro 100+103 (Bologna) al chilometro 137+580 (Ferrara);
per quanto alla parte montana si rileva che:
la strada statale S.S. 64 «Porrettana», particolarmente sul versante bolognese, attraversa importanti comuni dell'Alta Valle del Reno, significativi sia per la presenza realtà produttive e commerciali di grande importanza, sia per le attività turistiche (invernali ed estive) e termali che inducono notevoli spostamenti di persone e di merci;
la «Porrettana» collega direttamente le città di Bologna e Pistoia e costituisce l'unica valida alternativa, in special modo per il traffico pesante, al tratto appenninico della A1;
per queste ragioni tale strada è stata annoverata tra le arterie di valenza nazionale ed è gestita dall'ANAS, così com'è d'interesse nazionale l'ammodernamento delle tratte che presentano ancora caratteristiche inadeguate;
l'arteria presenta una sezione stradale di circa 7,5 metri con una corsia per ogni direzione di marcia; fanno eccezioni i tratti già assoggettati ad adeguamenti della sezione - ricadenti tutti nel tratto montano - dove la larghezza diviene di 10,50 metri;
tali tratti si trovano nella variante a Porretta Terme dal chilometro 33+100 al chilometro 37+800, nella variante compresa tra Riola e Vergato dal chilometro 45+900 al chilometro 51+400 e nel tratto preso in carico da Autostrade dal chilometro 75+900 al chilometro 85+020;
nel programma di riqualificazione viaria e strutturale della S.S. 64 «Porrettana» è inserito il lotto (dal chilometro 38+470 al chilometro 45+814) dell'intervento di ammodernamento del tratto tra Silla e Marano;
il tracciato di intervento, dello sviluppo totale di circa 5.200 metri, si articola in n. 6 viadotti (della lunghezza complessiva di circa 2.400 metri e in n. 2 gallerie artificiali (della lunghezza complessiva di circa 420 metri oltre ai tratti in rilevato e trincea;
nell'ambito del progetto in argomento sono previsti, inoltre, interventi di stabilizzazione del movimento gravitativo di versante che coinvolge l'attuale sede della S.S. 64 Porrettana al chilometro 41+700 circa;
nel progetto sono previsti anche interventi complementari quali sistemazione a verde, impianti di illuminazione, segnaletica orizzontale e verticale, barriere di sicurezza;
ad oggi sono in esecuzione lavori di ammodernamento della tratta soggetta a movimenti franosi fra le località Silla e Marano in comune di Gaggio Montano, con uno stralcio fra le località Cà dei Ladri e Marano;
l'impresa esecutrice è la Coopsette soc. coop. e l'importo lavori è di euro 61.122.842,00 (di cui euro 57.391.931,37 per lavori, euro 2.032.674,12 per oneri di sicurezza e euro 745.000,00 per spese progettazione);
a fine 2011 erano stati eseguiti lavori sulla tratta soggetta a movimenti franosi per circa euro 33.000.000,00, (oltre oneri progettazione e di sicurezza) pari al 57 per cento dell'importo contrattuale. I lavori sono stati consegnati all'impresa in data 9 ottobre 2008 e, in base al tempo contrattuale di giorni 900, la loro ultimazione era prevista per il 27 marzo 2011;
a causa dei ritardi accumulati dagli enti gestori nella rimozione delle interferenze e delle difficoltà incontrate nell'ottenimento

delle necessarie autorizzazioni da parte di RFI (attraversamento di linee ferroviarie), i lavori risultano in ritardo. Tali difficoltà risultano, alla data odierna, parzialmente risolte e i lavori dovrebbero concludersi entro la fine dell'anno 2012;
per quanto riguarda, invece, lo stralcio fra le località Cà dei Ladri e Marano i lavori sono stati consegnati alla medesima impresa Coopsette soc. coop. in data 21 aprile 2011 con ultimazione prevista il 19 aprile 2013;
attualmente sono in corso le operazioni propedeutiche al concreto inizio dei lavori, quali accantieramento e tracciamenti; l'importo dei lavori è di euro 9.705.838,68 (di cui euro 450.417,07 per oneri di sicurezza);
il progetto esecutivo in argomento costituisce il completamento dell'originario intervento eseguito solamente in parte dell'impresa Mambrini Costruzioni srl e si è reso necessario a seguito della risoluzione di tale contratto;
il progetto prevede il completamento delle opere previste originariamente, e non realizzate dall'impresa, con alcuni interventi di miglioramento di dettaglio al fine di accogliere le esigenze emerse nel corso delle lavorazioni principali e manifestate dagli enti territoriali, quali:
a) innesto di inizio lotto mediante soluzione a rotatoria e conseguente adeguamento di un accesso privato;
b) ottimizzazione dell'innesto diretto alla caserma Vigili del fuoco e alla sede della Protezione civile, in relazione alla semaforizzazione già originariamente prevista in sede di progetto originari;
i lavori di fornitura e posa di barriere fonoassorbenti, barriere di sicurezza, pavimentazione e segnaletica varia sono finanziati da Autostrada S.p.a. nell'ambito della convenzione per il trasferimento del tratto dismesso, (denominato «nuova Porrettana» dell'Autostrada stessa) ad ANAS e che i lavori previsti solo nel tratto da Bologna al confine con la Toscana, affidati all'A.T.I: C.M.L. - Edilsama con il 37,706 per cento. L'importo dei lavori è di euro 2.000.000,00;
nell'ambito di un appalto generale di manutenzione del piano viabile erano previsti nell'anno 2011 ulteriori interventi per circa euro 175.000,00 mentre altri piccoli interventi di manutenzione, per circa euro 65.000,00, erano previsti sempre sul tratto Bologna Ferrara;
quanto sopra esposto trova la sua ragione, come esplicitato, nell'ammodernamento di questo tratto fondamentale di struttura viaria statale, ma resterebbe un'opera incompleta se non si terminasse il tratto più importante del collegamento Bologna-Firenze, denominato fin dagli anni '70 «Nodo di Casalecchio»;
questo nuovo tratto di infrastruttura che collegherà la tangenziale di Bologna con il tracciato del tratto di «nuova Porrettana» realizzato nel comune di Sasso Marconi in parallelo all'autostrada A1 nell'ambito dei lavori della variante di valico, consentirà di bypassare il tratto urbano di Casalecchio di Reno (attualmente attraversato da circa 30.000 veicoli al giorno) rendendo così la statale «Porrettana» vera infrastruttura a servizio dell'intera vallata del Reno e unica vera alternativa all'autostrada A1;
il «nodo di Casalecchio» consiste nella realizzazione ex novo di circa 4.500 metri di infrastruttura di cui è già stato redatto il progetto definitivo e approvato in linea tecnica dal Cda di Anas in data 22 dicembre 2010;
la nuova strada verrà realizzata in parte in doppia corsia, in parte a quattro corsie, con un tratto interrato di circa 1.200 metri in corrispondenza dell'abitato di Casalecchio di Reno;
questa opera trova il suo finanziamento (162 milioni di euro) definito nell'intesa generale quadro tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la regione Emilia Romagna, sottoscritta il 19 febbraio 2003 e confermato nell'atto aggiuntivo

generale quadro del 17 dicembre 2007 come facente parte delle opere necessarie per la risoluzione del nodo di Bologna;
appare quindi fondamentale il suo inserimento nell'elenco delle opere prioritarie, già oggi cantierabili,


impegna il Governo


a verificare la possibilità di rimodulare il quadro delle risorse finanziarie al fine di disporre dei fondi necessari al completamento degli interventi di ammodernamento e messa in sicurezza strada statale S.S. 64 «Porrettana» attivando al più presto tutte le procedure tecniche per l'avvio dei lavori.
(7-00818)
«Benamati, Lenzi, La Forgia, Zampa».

La XII Commissione,
premesso che:
l'Organizzazione mondiale della sanità definisce la violenza contro le donne come «l'uso intenzionale della forza fisica o del potere, o della minaccia di tale uso, rivolto contro se stessi, contro un'altra persona... che produca o sia molto probabile che possa produrre lesioni fisiche, morte, danni psicologici, danni allo sviluppo, privazioni»;
l'ultima indagine ISTAT risalente all'ormai lontano 2006, condotta in seguito a una convenzione con il Ministero per i diritti e le pari opportunità, ha dimostrato che le donne italiane tra i 16 e i 70 anni vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della vita sono stimate in 6.743.000 e, in particolare, circa un milione di donne ha subìto stupri o tentati stupri e che il 14,3 per cento delle donne, che abbiano o abbiano avuto un rapporto di coppia, ha subìto almeno una violenza fisica o sessuale dal partner;
come rivela l'indagine le più numerose ad essere colpite sono le donne più giovani, quelle tra i 16 e i 24 anni, ma nella quasi totalità dei casi le violenze non sono denunciate: il 96 per cento delle donne non parla con nessuno delle violenze subite. I maggiori responsabili delle aggressioni sono i partner, artefici della quota più elevata di tutte le forme di violenza fisica, mentre tra le violenze in famiglia, i maggiori responsabili risultano gli zii;
nel marzo 2010, il Parlamento europeo ha approvato una relazione sulla violenza contro le donne in Europa, nella quale sono formulate una serie di proposte. In particolare, il Parlamento europeo ha considerato come spesso la violenza sessuale avviene tra le mura domestiche, in famiglia, e come in tali casi quasi mai la vittima ha la forza di denunciare il proprio compagno;
solo quando la violenza arriva ai figli il muro d'omertà si rompe e la donna esce allo scoperto. Ma il danno indiretto recato ai bambini, nell'arco dei primi 15 anni di vita, è tale da indurre i figli a negare il desiderio di formare una famiglia e di avere una relazione sana di coppia;
la violenza contro le donne è una violenza di genere riconosciuta oggi dalla comunità internazionale come una violazione fondamentale dei diritti umani, dal semplice schiaffo all'omicidio, le donne continuano ad essere vittime di violenza secondo numeri che mal si conciliano con la nostra ambiziosa pretesa di considerarci un popolo civile;
in molti Stati, Italia inclusa, lo stupro è, salvo poche eccezioni, perseguito solo su querela di parte e non d'ufficio. Così, se una donna è ricoverata in ospedale ed i medici arrivano alla conclusione che è stata violentata, anche se le evidenze scientifiche sono chiare, senza una denuncia la magistratura avrà le mani legate e lo stupratore la farà franca, libero di stuprare ancora. Eppure, la violenza non è mai un fatto privato tra aggressore e vittima, perché chi compie un atto di violenza sessuale spesso lo ripeterà o proverà a ripeterlo mettendo a repentaglio la vita e la libertà di altre donne. Per questo,

in sede europea, sono sempre più numerosi coloro che si battono affinché in tutta Europa la violenza sessuale sia sempre perseguibile d'ufficio indipendentemente da una denuncia della vittima,


impegna il Governo:


ad individuare tutte le risorse finanziarie atte a ripristinare la dotazione del fondo contro la violenza alle donne, istituito dall'articolo 2, comma 463, della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008), finalizzato alla prevenzione, all'informazione, alla sensibilizzazione nei confronti del fenomeno della violenza contro le donne, nonché al sostegno dei centri antiviolenza e delle case-rifugio;
a promuovere, insieme alle regioni, ognuno per le proprie competenze, un piano formativo uniforme su tutto il territorio nazionale e corsi d'aggiornamento, avvalendosi anche di formatrici e formatori provenienti dalle realtà istituzionali (sanitarie, giudiziarie, sociali) già operanti e dai centri antiviolenza, dall'associazionismo femminile e dal privato sociale, che abbiano come obiettivo la sensibilizzazione di tutti gli operatori sanitari ospedalieri e territoriali per il riconoscimento e per una adeguata accoglienza delle vittime, al fine di indurre una minore tolleranza nei confronti di questo tipo di sopruso, predisponendo un atteggiamento protettivo nei confronti delle vittime ed una maggiore propensione alle azioni per limitare la diffusione e le conseguenze della violenza (morti e lesioni evitabili);
alla luce della diffusione del fenomeno, ad avviare un'organica risposta, rendendo omogeneo lo sviluppo di servizi idonei all'assistenza alle vittime di violenza sessuale e domestica presso i pronto soccorso ospedalieri come ambito privilegiato per l'apertura di sportelli dedicati e a promuovere la formazione capillare del personale sanitario nonché a delineare linee guida che definiscano le modalità di assegnazione del triage che consenta una presa in carico delle vittime con tempi di attesa ridotta e con modalità specifiche che salvaguardino e proteggano la persona vittima di violenza che abbia avuto la forza di rivolgersi ad una struttura ospedaliera;
a promuovere, insieme alle regioni e alle aziende ospedaliere, l'apertura in tutti i pronto soccorso di portelli in cui siano presenti gruppi di operatrici/operatori (mediche/ci, infermiere/i, ostetriche/ci, psicologhe/i e assistenti sociali e/o operatrici/operatori dell'accoglienza provenienti dal terzo settore), dedicati alla presa in carico delle vittime di violenza, in stretto collegamento con la rete territoriale e che ne costituiscano il punto di riferimento nell'emergenza;
a predisporre tutte le iniziative necessarie, per quanto di competenza, affinché i medici di medicina generale siano uno degli interlocutori qualificati alla presa in carico delle persone vittime di violenza capaci di fornire tutti gli strumenti informativi necessari, quali i numeri di riferimento dei centri antiviolenza presenti sul territorio, il numero nazionale 1522 e i numeri delle case protette, promuovendo altresì corsi di formazione professionale.
(7-00820)
«Murer, Livia Turco, Miotto, Bossa, D'Incecco, Pedoto, Sbrollini».

...

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:

GALLI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
in data 15 marzo 2012 la quasi totalità delle agenzie di stampa ha diffuso le dichiarazioni del sottosegretario all'economia

Gianfranco Polillo, secondo il quale il Governo modificherà il decreto liberalizzazioni intervenendo sulla norma che prevede la gratuità dei conti correnti per i pensionati che percepiscono una pensione fino a 1.500 euro al mese;
secondo tali agenzie, l'esecutivo dovrebbe intervenire con un successivo provvedimento per rivedere le commissioni bancarie: Polillo avrebbe, infatti, rilevato che tali norme «si risolverebbero in una riduzione dei ricavi, per le banche con effetti indiretti anche sul gettito fiscale».
durante la riunione del 14 marzo 2012 della commissione bilancio di Montecitorio, il sottosegretario all'economia e alle finanze avrebbe confermato l'ipotesi di un intervento sulle norme che hanno provocato le dimissioni dei vertici dell'Abi, ipotizzando che non si interverrà dunque con un emendamento ai decreti attualmente all'esame del Parlamento ma con altro provvedimento;
Polillo avrebbe ricordato che la contrarietà del governo alle norme che cancellano le commissioni bancarie sugli scoperti e impongono la gratuità dei conti per le pensioni sino a 1.500 euro era dovuta a ragioni di metodo, e per quanto riguarda i conti correnti gratuiti per i pensionati, Polillo avrebbe osservato che la disposizione «porrebbe anche problemi di natura applicativa, non essendo espressamente prevista l'esclusione dei soggetti che percepiscono altri redditi tali da fare superare, magari largamente, la soglia dei 1.500 euro mensili»;
il sottosegretario all'economia e alle finanze avrebbe, quindi, dichiarato che le norme citate porterebbero «un notevole danno per le banche» e «potrebbero causare un'ulteriore stretta creditizia che si riverbererebbe inevitabilmente sulle imprese e le famiglie»;
nel pomeriggio dello stesso giorno il sottosegretario allo sviluppo economico Claudio De Vincenti avrebbe smentito il collega sull'intenzione del Governo di modificare la norma del decreto-legge liberalizzazioni sui conti correnti gratuiti, ed all'inizio dei lavori diversi parlamentari avrebbero chiesto chiarimenti a De Vincenti sulle parole di Polillo in commissione bilancio; «Sulla norma sui conti correnti - avrebbe replicato il sottosegretario - assolutamente il Governo ha dato parere positivo. Di ciò che riporta un lancio d'agenzia non ci importa nulla». Incalzato da altri deputati, il sottosegretario avrebbe ribadito: «Vale ciò che il Parlamento ha deciso»;
è indispensabile tenere conto del fatto che la ripresa economica del Paese vede certamente al primo posto il risanamento dei conti pubblici, ma che tale risanamento non può e non deve colpire le fasce più deboli dei cittadini, in particolare quelle dei pensionati che già faticano a condurre una vita appena dignitosa con 1500 euro al mese, e che togliere agevolazioni di lieve entità per le banche corrisponde invece ad un grave disagio per tali pensionati, che di contro diminuiranno ulteriormente i propri consumi;
va inoltre ricordato che, recentemente, si è conclusa la maxi asta promossa dalla Bce finalizzata alla concessione di nuovi fondi alle banche europee: nelle casse degli istituti di credito arriveranno 529,531 miliardi di euro attraverso finanziamenti a tasso agevolato dell'1 per cento da rimborsare entro 3 anni e che, per quanto concerne l'Italia, secondo alcune indiscrezioni le banche della penisola avrebbero ottenuto fondi per oltre 70 miliardi di euro, anche se la Bce non ha reso noti i nomi degli istituti bancari che hanno preso parte alla Ltro (Long term refinancing operation), e che gli istituti di credito italiani non appaiono in così grave sofferenza da non poter rinunciare alle commissioni sui conti correnti dei pensionati al di sotto dei 1500 euro mensili;
i depositi di conto corrente sono operazioni di provvista fondi che vengono utilizzate per operazioni di impiego fondi sulle quali gli interessi percepiti sono nettamente superiori alle partite derivanti dalle commissioni conti correnti o in investimenti

speculativi diretti anche a brevissimo termine, anch'essi nettamente remunerativi, tanto da compensare ampiamente il mancato introito derivante dai conti correnti gratuiti;
è tuttavia corretto presumere, anche alla luce delle esperienze passate, che nel caso di conferma della norma che prevede la gratuità per i conti correnti in oggetto, gli istituti bancari non tarderanno ad aumentare, per compensare il mancato introito, le commissioni su altre categorie di correntisti -:
quali siano le reali intenzioni del Governo alla luce delle discordanti dichiarazioni dei sottosegretari Polillo e De Vincenti;
se non sia opportuno assumere iniziative per coniugare la necessità di risanamento dei conti pubblici con misure tese ad agevolare le condizioni economiche dei cittadini, come pensionati e famiglie, confermando un orientamento favorevole al mantenimento della norma oggetto della presente interrogazione e valutando ulteriori interventi della stessa natura, di modo da far corrispondere ai rigori e ai sacrifici chiesti ai cittadini una serie di agevolazioni in grado di incrementare il risparmio e il consumo;
se non ritenga opportuno assumere iniziative affinché a seguito della diminuzione delle entrate su commissioni bancarie che gli istituti di credito lamentano in previsione a causa della norma citata non si verifichi un ingiusto aumento delle commissioni a carico di altre categorie di correntisti valutando anche la possibilità di effettuare un monitoraggio sugli effetti della medesima norma.
(3-02168)

Interrogazioni a risposta scritta:

DE ANGELIS. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, al comma 10 dell'articolo 12 stabilisce «con effetto sulle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1o gennaio 2011, per i lavoratori alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, per i quali il computo dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, in riferimento alle predette anzianità contributive non è già regolato in base a quanto previsto dall'articolo 2120 del codice civile in materia di trattamento di fine rapporto, il computo dei predetti trattamenti di fine servizio si effettua secondo le regole di cui al citato articolo 2120 del codice civile, con applicazione dell'aliquota del 6,91 per cento»;
la citata norma impone che il computo dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, in riferimento alle predette anzianità contributive deve avvenire secondo la disciplina del codice civile (articolo 2120), stabilendo un accantonamento del 6,91 per cento sull'intera retribuzione;
ne consegue l'illegittimità del cumulo dei due istituti (ossia la perdurante trattenuta del 2,50 per cento sull'80 per cento dei redditi del dipendente, in aggiunta all'istituto di nuova introduzione per effetto della norma in esame);
fino al 31 dicembre 2010 la normativa imponeva al datore di lavoro pubblico un accantonamento complessivo del 9,60 per cento sull'80 per cento della retribuzione lorda, con una trattenuta a carico del dipendente pari al 2,50 per cento sempre sull'80 per cento della retribuzione;
in ordine alla percentuale complessiva della ritenuta, l'articolo 18 della legge 20 marzo 1980, n. 75 ha poi stabilito che «Ferma restando la rivalsa del 2,50 per cento a carico dei dipendenti, la scala crescente della misura dei contributi previdenziali obbligatori di cui all'articolo 37

del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032, è ulteriormente prorogata fino a raggiungere il 9,60 per cento dal 1o gennaio 1984»;
alla luce di tale premessa l'intero complesso normativo da ultimo riportato è da intendersi implicitamente abrogato dal predetto comma 10 dell'articolo 12 «con effetto sulle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1o gennaio 2011». Invero, la disposizione da ultimo citata possiede ed esplica un chiaro effetto novativo dell'istituto, dal momento che disciplina ex novo la medesima materia, in costanza dei medesimi presupposti di fatto che erano presi in esame nella normativa precedentemente in vigore, introducendo una differente modulazione del contributo (diversa percentuale sull'intera base stipendiale), esaustivamente regolata, e richiamando la disciplina dell'articolo 2120 del codice civile, e dunque la disciplina civilistica del trattamento di fine rapporto, nell'ambito della quale la rivalsa del 2,50 per cento a carico dei dipendenti non è praticata, perché non prevista in alcun modo;
non a caso, il comma 10 dell'articolo 12 citato non fa salva la rivalsa del 2,50 per cento come, invece, aveva chiarito lo stesso legislatore nei precedenti interventi modificativi della disciplina preesistente, conformemente al noto brocardo «ubi lex voluit, dixit». Secondo i consueti principi in tema di successione delle leggi nel tempo, la legge posteriore abroga la legge anteriore e, dunque, a decorrere dal 1o gennaio 2011 la ritenuta per il trattamento di fine servizio non sarà più del 9,60 sull'80 per cento della retribuzione (gravante nella misura del 7,10 per cento sul datore di lavoro e del 2,50 per cento sul lavoratore), bensì, esaustivamente, del 6,91 per cento sull'intera retribuzione: ne consegue che a decorrere dalla suddetta data del 1o gennaio 2011 non ha più titolo ad essere effettuata la ritenuta del 2,50 per cento sull'80 per cento della retribuzione a carico dei dipendenti pubblici;
la giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, V, 30 ottobre 1997 n. 1207; Corte Costituzionale 15 luglio 2005 n. 282; Corte Costituzionale 23 ottobre 2009, n. 263) ha costantemente affermato che, tra più possibili interpretazioni, deve essere sempre preferita quella conforme alla (o non contrastante con la) Costituzione;
consta all'interrogante che diverse organizzazioni sindacali rappresentative del personale appartenente alle Forze di Polizia abbiano chiesto ai Ministeri competenti di sospendere il prelievo del 2,50 per cento sull'80 per cento della retribuzione per l'intervenuta abrogazione della disciplina sull'indennità di buonuscita, disposta - a decorrere dal 1o gennaio 2011 - dal comma 10 dell'articolo 12 («Interventi in materia previdenziale») del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni della legge 30 luglio 2010 n. 122, in modo conforme a quanto enunciato anche nella sentenza n. 564 del 18 gennaio 2012 del TAR Calabria -:
quali urgenti iniziative intenda porre in essere affinché la norma citata in premessa venga correttamente applicata nei confronti del personale del comparto sicurezza e difesa e dei dipendenti pubblici in generale secondo la recente interpretazione data dalla giurisprudenza amministrativa.
(4-15428)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
dall'articolo «La procura di Roma indaga sul conto dello IOR in Germania» apparso su Il fatto quotidiano del 21 marzo a firma di Marco Lillo si apprende che:
il 6 settembre del 2010 lo IOR (Istituto per le Opere di religione) presieduto da Ettore Gotti Tedeschi ha ordinato al Credito Artigiano di trasferire 23 milioni alla Jp Morgan di Francoforte (20 milioni) e alla Banca del Fucino per 3

milioni. Lo IOR pretendeva che la banca omettesse le comunicazioni previste dalla normativa antiriciclaggio italiana;
per questa ragione la procura chiese il sequestro e da allora indaga il presidente e il direttore generale dello IOR. Per sbloccare i fondi c'è voluto di fatto un motu proprio del Papa del dicembre del 2010. La nuova legge creava l'AIF, l'Autorità di informazione finanziaria che avrebbe dovuto collaborare con l'UIF italiano utilizzando propri poteri di ispezione sullo IOR e gli altri enti vaticani;
inizialmente sembrava filare tutto liscio: la prima richiesta di informazioni inoltrata dall'UIF ottenne una risposta a tempo di record dall'AIF, presieduta da un cardinale autorevole come Attilio Nicora. Per premiare il cambio di direzione i pm romani nel giugno del 2011 diedero il loro parere favorevole al dissequestro dei 23 milioni. Da quel momento però la collaborazione non ha più dato risultati;
lo IOR non ha più fornito informazioni all'AIF sulle informazioni relative a rapporti precedenti all'aprile del 2011, data di entrata in vigore della legge della Santa Sede. Poi il 25 gennaio un secondo colpo di scena: con un decreto il Vaticano, su input del Segretario di Stato Tarcisio Bertone, ingrana la retromarcia: l'AIF perde i poteri di ispezione che tornano sotto il dominio della Segreteria di Stato;
nel frattempo la Banca d'Italia impone agli istituti italiani di chiedere allo IOR il nome del reale titolare dei soldi movimentati e con una serie di bonifici per decine e decine di milioni di euro i soldi del Vaticano lasciano le banche italiane, come l'Unicredit ex Banca di Roma, e volano a Francoforte alla banca Jp Morgan;
lo IOR, per effettuare i suoi bonifici milionari che alimentano l'attività delle Congregazioni usa un conto acceso presso l'unico sportello della banca americana Jp Morgan in Italia. Il conto 1365 presso la filiale di Milano però si muove in modo particolare: in forza di una clausola contrattuale il saldo di fine giornata deve essere sempre riportato a zero e il suo contenuto refluisce sul conto IOR a Francoforte;
di fatto è il cavallo di Troia attraverso il quale lo IOR opera in Italia: i movimenti nell'arco di un anno e mezzo superano il miliardo e mezzo. Nell'ottobre 2011, la Procura di Roma scopre l'inghippo e chiede all'UIF - l'Unità di informazione finanziaria della Banca d'Italia - di intervenire;
gli ispettori della Banca d'Italia chiedono informazioni sui reali intestatari dei soldi movimentati dallo IOR. Jp Morgan gira le richieste allo IOR che risponde negativamente. Il 15 febbraio, per evitare guai, Jp Morgan comunica a IOR la chiusura definitiva del conto a far data dal 30 marzo 2012;
i pm romani vogliono conoscere tutti i movimenti del conto corrente dello IOR presso la Jp Morgan di Francoforte e quindi hanno inoltrato una prima richiesta di rogatoria internazionale alle autorità tedesche tramite il Ministero della giustizia;
quattro mesi fa però le autorità federali tedesche hanno negato la loro collaborazione con una risposta cortese ma ferma, ispirata probabilmente più da ragioni politiche che tecniche. I magistrati romani non si sono dati per vinti e stanno tentando di ottenere il medesimo risultato utilizzando un canale alternativo: l'UIF, cioè l'Ufficio di informazione finanziaria della Banca d'Italia, che ha già inoltrato la sua richiesta al corrispondente organismo tedesco -:
se sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
se e quali iniziative possa o intenda assumere e in particolare se non intenda adottare ogni iniziativa sul piano diplomatico perché da una parte lo Stato Vaticano e, per altro verso quello tedesco, offrano la più ampia collaborazione all'autorità giudiziaria italiana.
(4-15447)

BORGHESI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
per le prossime elezioni, nella provincia di Bolzano, la SVP sta progettando di cambiare i meccanismi di ripartizione dei seggi in consiglio provinciale. Poiché rischia di perdere la maggioranza assoluta in consiglio provinciale, sta facendo di tutto per fare in modo che ciò non avvenga. Per questo è disposta a portare avanti proposte come il metodo d'Hondt che le consentirebbe di avere 3 consiglieri in più rispetto a quelli che avrebbe applicando l'attuale «proporzionale» (che non è comunque un proporzionale puro in quanto è previsto un mini premio di maggioranza di un consigliere «regalato» per il partito che ottiene più voti in assoluto). Oltretutto, potrebbe trovare sponda nel maggior partito di lingua italiana che, con questo «metodo» otterrebbe un consigliere in più, perché tutti i partiti del centro sinistra sarebbero costretti a convergere per evitare di disperdere voti;
in provincia di Bolzano, per via della presenza di 3 gruppi linguistici, la giunta provinciale deve avere rappresentanti italiani, tedeschi e ladini. Le proporzioni «etniche» in giunta devono rispecchiare le proporzioni che ci sono in consiglio. In pratica se, come adesso, il consiglio provinciale ha 8 consiglieri italiani su 35, la giunta dovrà rispettare questo equilibrio. Ciò significa che gli 8/35 (ovvero il 22,8 per cento) della giunta saranno espressione del gruppo linguistico italiano;
allo stato attuale ci sono 9 assessori in totale (compreso il presidente) di cui 2 sono espressione «italiana», 6 «tedesca» e uno «ladina». Con il metodo d'hondt tuttavia, visto che si basa su un meccanismo completamente diverso dal proporzionale, il gruppo linguistico italiano andrebbe a perdere praticamente 2 consiglieri provinciali, riducendo quindi la sua presenza in giunta poiché solo il 17 per cento del consiglio è costituito da rappresentanti di lingua italiana. Il 17 per cento di 9 è 1,53 e quindi, verosimilmente, verrebbe a mancare un assessore di lingua italiana e ci sarebbe solo un membro in giunta provinciale;
in pratica la SVP, con il metodo d'hondt, andrebbe ad assorbire tutti i consiglieri che, fino ad adesso, sono stati espressione di gruppi «piccoli», capaci di raggiungere il 2 per cento in tutta la provincia. Il 16 febbraio 2012 inoltre, un giornale di lingua tedesca avanzava l'ipotesi che la proposta del metodo d'hondt fosse solo un diversivo per poi imporre il vincolo del mandato pieno che escluderebbe i partiti sotto la soglia del 2,85 dal calcolo dei resti. C'è inoltre da segnalare che nella provincia di Bolzano la particolarità linguistica della popolazione è tale che non può essere compreso il diritto di rappresentanza a chi esprime il 2 per cento dell'elettorato -:
se il Governo non intenda monitorare attentamente l'iter della riforma, anche al fine di poter compiutamente valutare, in caso di approvazione, l'eventuale promozione della questione di legittimità costituzionale ai sensi dell'articolo 47, terzo comma, dello statuto della provincia autonoma di Bolzano.
(4-15449)

...

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:

PORTA, GIANNI FARINA, BUCCHINO, GARAVINI, FEDI e NARDUCCI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
i Comitati per gli italiani all'estero (COMITES), sono stati riformati con la legge 23 ottobre 2003 n. 286, all'indomani della approvazione delle modifiche costituzionali che hanno introdotto la Circoscrizione estero e della normativa sul voto per corrispondenza, con l'intento di realizzare un nuovo equilibrio nel sistema di

rappresentanza rafforzando le istanze di base della partecipazione democratica;
tali organismi, tramite indispensabile tra le istituzioni e l'amministrazione dello Stato italiano e la vita delle nostre comunità all'estero, hanno subito un progressivo depotenziamento di funzioni e di capacità operative sia per una loro non sempre adeguata valorizzazione da parte delle autorità consolari che per la contrazione degli investimenti per le politiche migratorie, tra i quali anche le risorse destinate al funzionamento dei COMITES;
tali finanziamenti sono passati da 3.300.000 euro circa dell'inizio della legislatura a 1.900.000 del 2011 e a 1.316.000 euro di quest'anno, con una riduzione complessiva di oltre il 60 per cento, un livello di sostegno che, come testimoniano le numerose dichiarazioni dei rappresentanti di tali organismi in diverse parti del mondo, nella maggior parte dei casi non consente di soddisfare nemmeno le esigenze più elementari di funzionamento;
il duplice rinvio delle elezioni per il rinnovo di COMITES e CGIE, che di fatto ha spostato di tre anni la possibilità di operare un ricambio di energie in organismi fondati sul volontariato dei singoli e del mondo associativo, ha contribuito a svuotare di energie e di positiva tensione le istanze di rappresentanza di base e intermedie, incidendo sulle possibilità di animazione civile e culturale delle comunità e sulle opportunità di dialogo del Paese con la sua rete di riferimenti nel mondo;
è urgente invertire questa spirale critica della vita dei COMITES prima che la loro crisi diventi irreversibile e assumere, quindi, misure d'emergenza capaci di preservarne l'attività e di salvaguardarne i livelli operativi minimi, a beneficio delle comunità e del sistema di relazioni dell'Italia nel mondo -:
se non ritenga indispensabile ricercare nel corso del corrente anno finanziario le occasioni per riportare il livello minimale di finanziamento dei COMITES almeno a quello, pur limitato, dello scorso esercizio finanziario;
se, in via di assoluta emergenza e con comprensibile urgenza, non voglia disporre in via amministrativa che i COMITES che hanno la loro sede in strutture di proprietà o in gestione dello Stato italiano siano completamente liberati dagli oneri di affitto e di partecipazione alle spese di protezione e condominiali, in modo che le scarse risorse attribuite possano essere destinate non agli oneri di mera sopravvivenza ma a spese di attività;
se non consideri necessario disporre un'operazione di monitoraggio della reale condizione dei COMITES nelle diverse aree del mondo e delle situazioni di insolvenza finora maturate a causa della caduta dei contributi ministeriali, allo scopo di evitare che molte di tali situazioni si trasferiscano sul piano giudiziario, con seri danni finanziari e d'immagine, e al fine di predisporre un piano straordinario di risanamento e normalizzazione finanziaria degli organismi di rappresentanza degli italiani all'estero;
se abbia disposto la convocazione delle operazioni elettorali di rinnovo dei COMITES e del CGIE che si devono svolgere per legge entro dicembre del corrente anno, in modo da avere l'auspicato ricambio di tali organismi entro l'autunno.
(4-15444)

...

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:

TULLO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
da oltre 16 mesi il parco delle Cinque Terre a seguito delle note vicende giudiziarie

è sottoposto ad una gestione commissariale;
a causa delle difficoltà economiche manifestate dal parco, la regione Liguria ha dovuto ad esempio, con fidejussioni proprie, garantire il pesante debito nei confronti di Trenitalia;
le difficoltà si sono scaricate anche nei confronti delle cooperative che operano nel parco, con pesanti ritardi sul pagamento degli stipendi dei lavoratori, non è stata ancora firmata la transazione che contempli un corretto rapporto con le cooperative Vernazza 2000 e Le ragazze del parco a fronte del piano di rientro concordato, così come si è ritardata l'assunzione dei sette lavoratori che avevano vinto una causa lavorativa;
tali difficoltà possono essere ricondotte ovviamente anche alla fase che ha preceduto il commissariamento;
il parco ha nel suo organico figure e competenze per proseguire la gestione del territorio e delle attività, ciò nonostante e viste le difficoltà economiche citate, sarebbero state concesse consulenze tecniche per oltre 300.000 euro ad un professionista e nel corso del 2011 la società SIA Group Srl di Avezzano (Aquila) avrebbe ottenuto incarichi per oltre 660.000 euro in particolare per svolgere: monitoraggio attività economiche del parco, supporto operativo alla comunità del parco, istituzione ed avviamento ufficio contabilità, traduzione testi, verifica bilanci Cooperativa via dell'Amore, supporto amministrativo e contabile ente parco -:
se sia a conoscenza delle scelte compiute;
se e per quali motivi siano state compiute queste scelte, con quali motivazioni si sia deciso di non utilizzare risorse interne, e con quali criteri siano stati scelte professionisti e società coinvolte;
se non si ritenga di superare, e in quali tempi la fase di gestione commissariale del parco delle Cinque Terre.
(5-06479)

Interrogazioni a risposta scritta:

JANNONE. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il 72,4 per cento dell'alluminio presente in Italia proviene dal riciclo di imballaggi: lattine, barattoli, tubetti, scatole, sottili fogli per confezionare il cibo. Dopo la raccolta, un'accurata selezione, la fusione e la liquefazione, sono trasformati in lingotti ed in seguito venduti, generando altri oggetti. «Le aziende automobilistiche tedesche acquistano l'alluminio per componenti dei loro modelli. Il riciclo è un percorso industriale e manifatturiero sia a valle, quando pensiamo alla raccolta, alla selezione e al lavoro fatto nelle fonderie, dov'è prodotto il nuovo materiale, sia a monte visto che il fatturato del settore degli imballaggi in alluminio, industrie specializzate in laminati con i quali si realizzano, ad esempio, le lattine, è pari a 12 miliardi di euro», spiega Gino Schiona, direttore generale del Cial (Consorzio imballaggi alluminio). «Sono proprio gli industriali del settore, 211 imprese consorziate con 35 mila dipendenti, a promuovere la raccolta differenziata. Che nel 2010 ha segnato la cifra record di oltre 46.500 tonnellate raccolte, pari al 72,4 per cento dell'immesso sul mercato. Nel 2011 immetteremo circa il 60 per cento: al momento è una stima perché stiamo chiudendo i bilanci», aggiunge Schiona;
«Il boom del 2010 è dipeso dal fatto che nel 2009 il valore dell'alluminio primario, cioè i rottami, era crollato a 1.300 dollari alla tonnellata, e i rottamatori per smaltire hanno aspettato l'anno successivo e la risalita della quotazione, che è tornata a 2.270 dollari a tonnellata. I dati del riciclo sono commisurati all'andamento dei consumi, risentono della crisi», spiega il direttore generale del consorzio. Raccolta differenziata e riciclo di 46.500 tonnellate di imballaggi in alluminio significano anche emissioni di gas serra evitate, per un totale di 371 mila tonnellate di CO2 e risparmio di energia per oltre 160 mila tonnellate equivalenti petrolio (tep);

l'andamento produttivo di alluminio riciclato pone l'Italia al primo posto in Europa con oltre 806 mila tonnellate di rottami (non solo da imballaggi, ma anche da edilizia, arredo urbano, trasporto) trattati nelle fonderie nel 2010. «La produzione nazionale di alluminio è per l'80 per cento riciclata e solo il 20 per cento da prodotto primario. Siamo terzi al mondo, dopo Giappone e Stati Uniti. La raccolta fa risparmiare il 95 per cento dell'energia rispetto alla produzione da materiale estrattivo. A livello economico riciclare non solo crea occupazione ma è un'attività particolarmente importante nel nostro Paese, storicamente carente di materie prime», aggiunge il direttore generale del Cial. «E la tecnologia utilizzata oltre a quella per le piattaforme di recupero e gli impianti che separano la frazione secca da quella umida, oggi ci permette di recuperare le scorie di incenerimento di alluminio dall'indifferenziata. Si tratta di un progetto sviluppato dal Politecnico di Milano». Questo significa che le parti di alluminio buttate nell'indifferenziata - ad esempio le carte stagnole che proteggono lo yogurt o che avvolgono la cioccolata, e gli imballaggi sottili in genere - vengono salvate, recuperate attraverso la termovalorizzazione e reinserite nel ciclo produttivo: una volta che i materiali sono stati selezionati sulle piattaforme di cernita, vengono pressati in balle poi inviate alle fonderie dove vengono aperte e controllate. Un primo passaggio a 500 gradi elimina la parte residuale, non di alluminio, mentre a 700 gradi avviene la fusione: l'alluminio diventa liquido e trasformato in lingotti. Pronto per essere immesso sul mercato;
edilizia, elettrotecnica, trasporti, arredamento, impiantistica: le applicazioni di questo versatile metallo sono pressoché infinite. Per creare una bicicletta occorrono 800 lattine. Per una caffettiera moka da tre tazze 37. Per un cerchione di auto ne servono 600, mentre per un paio di occhiali ne bastano tre. Il Cial raggiunge 47 milioni di cittadini attraverso i 5.800 Comuni italiani che partecipano alla raccolta degli imballaggi in alluminio (raccolto con la plastica oppure con il vetro), e il Consiglio di amministrazione del consorzio (oltre 370 operatori, 170 piattaforme, quindici fonderie sul territorio nazionale che garantiscono la raccolta, il trattamento, il riciclo) ha premiato nel 2011 con 400 mila euro i Comuni che si sono distinti per le migliori performance: Milano, Asti, Pordenone, Padova, Chieti, Benevento, Salerno, Lecce e Sassari tra le città modello -:
quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di informare le famiglie e le aziende italiane, dell'importanza del riciclo dell'alluminio e dell'utilizzo dei prodotti da esso derivati;
quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di incrementare l'attività relativa al riciclo dell'alluminio e alla post-lavorazione del prodotto da essa ottenuto.
(4-15417)

JANNONE. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
la zeolite è un minerale che emana calore: occorre semplicemente spruzzarla di acqua per ottenere una temperatura che arrivano fino a 80 gradi, per poi asciugarsi e tornare rapidamente allo stato di partenza, pronta a surriscaldarsi di nuovo. Il suo nome significa, infatti, «pietra che bolle». Si comporta così perché, strutturalmente, presenta al proprio interno minuscole cavità che intrappolano le particelle d'acqua e, frenandole, fanno sì che l'energia che le molecole possiedono si trasformi in calore. A scoprire questa singolare pietra, fu il mineralogista svedese Axel Fredrik Cronstedt che alla metà del 1700 tra le altre cose scoprì il nichel, diede il nome al tungsteno. In realtà lo scienziato fu attratto dal processo inverso, quello per cui bastava scaldare la zeolite per farle emettere grandi quantità di vapore. In un mondo sempre più affamato di fonti di energia pulita, una caratteristica come quella di emettere calore senza

sforzo non poteva passare inosservata e così la zeolite adesso potrebbe entrare nelle nostre case, dato che l'azienda Vaillant, leader nel settore delle caldaie, sta per mettere in commercio un modello di impianto che ha battezzato ZeoTherm e che funzionerà, almeno in parte, grazie alla zeolite;
i laboratori di ricerca e sviluppo del colosso tedesco si sono messi al lavoro e in otto anni sono riusciti a ottenere una zeolite sintetica che riproduce in tutto e per tutto la straordinaria caratteristica della pietra naturale, con il vantaggio però di non doverla estrarre sottraendo risorse alla natura e di poter disporre di un materiale puro. Perché, in realtà, dal punto di vista chimico la zeolite è persino molto semplice: è un composto di silicio e alluminio, un alluminosilicato che si comporta in maniera «hot» grazie alla sua struttura interna. Così la zeolite sintetica si presenta con un'aria alquanto anonima: piccole sfere bianche del diametro più o meno di un millimetro. Molto diverse dalle pietre che si trovano in natura che formano cristalli con colori dal rosa al verde, grazie agli altri minerali con cui silicio e alluminio si combinano nel lungo processo di formazione geologica. La zeolite è infatti formata da tante pietre diverse che cambiano nome, e colore, a seconda del minerale che incorporano. La zeolite sintetica promette di mantenere intatto il suo straordinario potere per circa 300 anni;
ZeoTherm è un sistema integrato, che comprende pannelli solari, pompe di calore a gas e zeolite. Alla quale è affidato il compito di aumentare l'efficienza del sistema, facendo risparmiare energia, con una conseguente diminuzione di spesa. «I rendimenti energetici dei nuovi impianti energetici sono già altissimi, ma con la zeolite siamo riusciti ad arrivare al 135 per cento», racconta Gherardo Magri, amministratore delegato di Vaillant Italia. Il vantaggio non è piccolo: se all'improvviso tutti gli impianti di riscaldamento di una città come Milano adottassero questo sistema, hanno calcolato, l'effetto sarebbe di 150.000 tonnellate di CO2 in meno all'anno. Tuttavia, ad oggi, la zeolite da sola ancora non riesce a far funzionare un impianto di riscaldamento. Quando viene bagnata emette calore, ma poi deve asciugarsi per potere ripetere la performance, ma il suo ruolo in un ciclo di produzione come quello di una caldaia, può essere strategico. E la Vaillant sta pensando a come utilizzarla anche nelle piccole caldaie domestiche a gas. «Siamo solo all'inizio di un nuovo viaggio», promette Magri. Anche perché la Vaillant non è l'unica impresa che sta pensando o ha pensato a come usare la zeolite. C'è chi la sta utilizzando nelle lavatrici e chi negli impianti di condizionamento. Ma in realtà questo materiale ha anche un'altissima capacità filtrante. Quindi può essere usata per trattenere sostanze inquinanti e depurare. La Tepco, per esempio, l'ha usata nel mare antistante Fukushima per assorbire materiale radioattivo dopo il disastro di un anno fa nella sua centrale nucleare , mentre ci sono molte aziende che la producono per filtrare l'acqua delle piscine o degli acquari. Un materiale davvero particolare, insomma, che nella quotidiana ricerca di soluzioni per l'inquinamento e per la produzione di energia potrebbe riservare altre sorprese grazie alla propria versatilità -:
quali iniziative i Ministri intendano adottare o promuovere al fine di favorire e incentivare lo sfruttamento delle proprietà della zeolite per un futuro utilizzo del materiale sia in ambito aziendale che privato.
(4-15422)

NASTRI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
in occasione della giornata mondiale dell'acqua, sulla base delle rilevazioni dell'Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche, è emerso come in Italia finora sia caduto il 10 per cento di acqua in meno che nel 2011 e che i cambiamenti si verificano anche con la distribuzione della

pioggia, con il problema della siccità che colpisce in particolare il Nord Italia, dove nell'inverno appena concluso le precipitazioni si sono addirittura dimezzate;
la Coldiretti sulla base di quanto suesposto ha osservato, che i cambiamenti climatici, impongono una nuova sfida per le imprese agricole che devono interpretare le novità segnalate dalla meteorologia e gli effetti sui cicli delle colture, sulla gestione delle acque e sulla sicurezza del territorio;
secondo la predetta associazione agricola, occorrono interventi di manutenzione, di risparmio, di recupero e di riciclaggio delle acque con le opere infrastrutturali del piano irriguo nazionale, unitamente a campagne d'informazione ed educazione sull'uso corretto dell'acqua e un maggiore impegno per la diffusione di sistemi di irrigazione a basso consumo, ma anche ricerca e innovazione per lo sviluppo di coltivazioni a basso fabbisogno idrico;
la carenza idrica primaverile, sostiene la Coldiretti, si evidenzia nella magra straordinaria della maggior parte dei corsi d'acqua del Nord, dove i grandi laghi di Como, Maggiore e Garda, sono circa 30 centimetri al di sotto del livello medio del periodo -:
quale orientamento intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
quali iniziative intendano intraprendere, compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili e i vincoli di bilancio, in considerazione della stagione primaverile appena iniziata e dell'imminente avvio di quella estiva, a favore del settore agricolo, al fine di potenziare il piano irriguo nazionale affinché il medesimo comparto già afflitto da una serie di problematiche economiche e finanziarie, non sia ulteriormente penalizzato nel corso delle stagioni estive, in cui si verificano periodi di siccità che causano danni alle colture e alle piantagioni.
(4-15441)

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BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazioni a risposta scritta:

VACCARO. - Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro per gli affari europei. - Per sapete - premesso che:
nella città di Ravello, centro turistico a 350 metri d'altezza sulla Costiera amalfitana, nel 2006 sono stati avviati i lavori di costruzione dell'auditorium Oscar Niemeyer, terminati nel 2009;
l'auditorium, realizzato su progetto dell'architetto brasiliano da cui prende il nome e donato da questi al Comune di Ravello, è costato 18,5 milioni di euro, finanziati dalla regione Campania con fondi europei;
l'auditorium è sorto per migliorare e accrescere il turismo culturale, principale voce di entrata economica nella città di Ravello durante i mesi estivi, e soprattutto incentivare una sua destagionalizzazione;
l'Auditorium, inaugurato il 29 gennaio 2010, è rimasto inizialmente chiuso, poi utilizzato sporadicamente e attualmente viene utilizzato solo nei fine settimana come sala cinematografica;
lo stesso architetto Oscar Niemeyer si è recentemente detto rammaricato e risentito per lo stato di abbandono in cui versa la sua opera, la quale si sta lentamente degradando per scarsa manutenzione;
anche la stampa nazionale è recentemente tornata a occuparsi di questo caso di mala gestione, così come ha ribadito la sua richiesta di intervento urgente il professore Domenico De Masi, ex presidente della fondazione Ravello e incaricato ufficialmente dallo stesso Niemeyer di «supervisionare e controllare in permanenza lo stato di manutenzione e di estetica dell'intero complesso architettonico, nonché

la congruenza degli arredi in esso adottati e degli eventi in esso programmati»;
se venisse adeguatamente sfruttato, l'Auditorium permetterebbe un'offerta culturale che darebbe nuova vita al settore turistico della città, garantendo l'occupazione diretta di decine di giovani, senza considerare i riflessi positivi sull'intera economia della città, la quale si avvantaggerebbe durante tutto l'anno di un flusso di turisti attualmente strettamente circoscritto ai mesi estivi;
su questo tema sono state effettuate interrogazioni indirizzate ai Ministeri competenti - beni e attività culturali e affari europei - e ad oggi non è stata ancora fornita alcuna risposta -:
se i Ministri interrogati intendano, per quanto di competenza, agire affinché questa situazione trovi presto soluzione, istituendo un tavolo di confronto con le istituzioni coinvolte e vagliando in tale sede, eventualmente, la possibilità di affidare la manutenzione e la gestione dell'Auditorium a un ente terzo che garantisca serietà e continuità in tale compito.
(4-15429)

VACCARO. - Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
la città di Paestum custodisce la necropoli del Gaudo, un vero tesoro archeologico testimonianza di una civiltà dell'età eneolitica trovata per caso fortuito dall'esercito americano alla fine della seconda guerra mondiale;
la necropoli è attualmente a malapena visibile in quanto versa nel più assoluto degrado e viene, di fatto, utilizzata come discarica a cielo aperto: oltre alla vegetazione che ha ormai quasi ricoperto le tombe, simbolo dell'incuria e dell'abbandono, sono infatti ammassati vecchi copertoni, materassi, elettrodomestici, addirittura lastre di eternit;
una delle cause principali di questo degrado è che la necropoli appartiene solo in parte allo Stato: dei 120 ettari dove sono presenti templi e tombe, infatti, ben 100 sono in mano a privati che, per giunta, non si curano minimamente del mantenimento della zona;
il problema della predominanza della proprietà privata in un sito archeologico che dovrebbe essere ricchezza di tutti - come testimonia il riconoscimento, da parte dell'UNESCO, del titolo di «Patrimonio dell'Umanità» - si aggrava a causa del diffuso abusivismo: in violazione della legge 5 marzo 1957, n. 220, sono state costruite 3.000 abitazioni entro il raggio di un chilometro dai templi di Paestum -:
quali provvedimenti e iniziative intendano adottare per eliminare il degrado intollerabile in cui versa la città di Paestum e per tutelare e valorizzare il sito archeologico della necropoli del Gaudo.
(4-15435)

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
come riferisce l'agenzia AdN Kronos in un suo lancio del 21 marzo 2012, il celebre e prezioso «Autoritratto» di Leonardo Da Vinci risulta essere gravemente lesionato, e rischia, se non si interviene con un accurato restauro, di essere danneggiato irreparabilmente;
l'allarme arriva dall'Istituto centrale di restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario, che ha realizzato sul grande capolavoro un'indagine con tecnologie molto sofisticate -:
se non si ritenga, nell'ambito delle proprie competenze e prerogative, assicurare tutte le risorse umane, tecnologiche, scientifiche, economiche possibili per salvare detta opera d'arte;
per quale motivo il celebre «autoritratto» risulti essere gravemente lesionato, e in particolare se ciò debba essere attribuito

a per quella che non potrebbe che essere definita una colpevole e ingiustificabile incuria.
(4-15436)

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DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:

NACCARATO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
negli ultimi 12 mesi all'interno di alcune installazioni militari in uso all'Aeronautica militare italiana sono stati effettuati diversi rilevamenti finalizzati a monitorare la presenza e la relativa concentrazione di sostanze ed elementi nocivi alla salute del personale che presta, o ha prestato servizio in tali strutture. In particolare, tra le installazioni sottoposte alle analisi sopra citate risultano i seguenti presidi: Teleposto dell'Aeronautica militare in via del Terminillo a Rieti; Teleposto dell'Aeronautica militare in località Monterado a Bagnoregio (Viterbo) e 1 Roc (Regional Operational Center) dell'Aeronautica militare sul Monte Venda, in provincia di Padova;
l'interrogante, al fine di approfondire l'attuale situazione relativamente alla presenza di sostanze nocive alla salute, ha già presentato al Ministero della difesa la richiesta di conoscere i risultati dei rilevamenti di cui sopra, unitamente agli esiti di analoghe analisi effettuate all'interno delle medesime installazioni militari nell'ultimo decennio;
la presenza e la relativa concentrazione di sostanze ed elementi nocivi alla salute del personale che presta, o ha prestato servizio nelle installazioni sopra descritte sta provocando un clima di significativa preoccupazione nelle popolazioni che risiedono nelle vicinanze di tali strutture, e nel personale che presta, o ha prestato servizio negli stessi presidi dell'Aeronautica militare italiana -:
se il Ministro sia al corrente dei fatti esposti in premessa;
a quanto corrisponda il numero complessivo dei rilevamenti effettuati nelle installazioni di cui sopra, quali siano le medie relative alle concentrazioni di elementi nocivi alla salute espressi in Bq/m3, e a quale periodo si riferiscano le citate analisi;
quali misure concrete, nell'ambito delle proprie competenze, il Ministro intenda porre in essere al fine di rispondere alla preoccupazione espressa dalle popolazioni che risiedono nelle vicinanze delle installazioni militari sopra descritte, e del personale che presta, o ha prestato servizio in tali strutture.
(4-15442)

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ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere - premesso che:
il decreto legislativo n. 23 del 2011 recante «Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale» all'articolo 8 aveva istituto, dal 2014, l'IMU (imposta municipale unica) che andrà a sostituire - per la componente immobiliare - l'IRPEF e le addizionali sui redditi relativi ai beni non locati, escludendo dall'imposizione l'abitazione principale e le relative pertinenze;
il decreto-legge n. 201 del 2011 ha anticipato al 2012 l'istituzione dell'imposta municipale unica (IMU) stabilendo altresì come la stessa imposta non sostituisca altre imposte, come invece previsto dal decreto legislativo sul federalismo fiscale, e prevedendo come il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla seconda casa e sugli altri immobili, non definibili come abitazione principale, spetterà allo stato;

tale normativa prevede, allo stesso tempo, la possibilità da parte del comune di poter modificare le aliquote, sia relativamente alla prima abitazione che sugli immobili diversi dalla prima abitazione, e stabilisce anche come le eventuali modifiche dovranno essere fatte dall'ente locale precedentemente al 16 giugno, quando, così come previsto, dalla medesima disposizione, il contribuente dovrà effettuare il versamento della prima tranche dell'imposta;
ad oggi numerosi comuni, sulla base del fatto che il gettito IMU nel suo complesso, appare di entità incerta e non precisamente definibile, non hanno ancora deliberato le aliquote IMU da adottare, così che la predisposizione dei bilanci preventivi 2012 risulta, anche a causa delle continue modifiche normative e alla luce delle recenti riduzioni ai trasferimenti, bloccata in numerosi comuni -:
se non ritenga opportuno, nell'ambito delle proprie competenze, avviare un confronto tecnico con i rappresentanti degli enti locali al fine di verificare la correttezza del gettito complessivo dell'IMU al fine di permettere ai comuni di valutare, a loro volta, la correttezza delle stime per poter così prevedere le aliquote IMU.
(2-01424)
«Negro, Dozzo, Bitonci, Buonanno, Chiappori, D'Amico, Forcolin, Lanzarin, Montagnoli, Vanalli, Alessandri, Allasia, Bonino, Bragantini, Callegari, Caparini, Cavallotto, Comaroli, Consiglio, Crosio, Dal Lago, Desiderati, Di Vizia, Dussin, Fabi, Fava, Fedriga, Fogliato, Follegot, Fugatti, Gidoni, Giancarlo Giorgetti, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lussana, Maggioni, Maroni, Martini, Meroni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Munerato, Paolini, Pastore, Pini, Polledri, Rainieri, Reguzzoni, Rivolta, Rondini, Simonetti, Stefani, Stucchi, Togni, Torazzi, Volpi».

Interpellanza:

Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro della salute, per sapere - premesso che:
il cosiddetto decreto-legge «liberalizzazioni» n. 1 del 2012 ha disposto la possibilità di costituire 5.000 nuove farmacie una ogni 3.300 abitanti;
le modalità di assegnazione danno la possibilità per i giovani sino a 40 anni di associarsi tra loro per poter concorrere, ed alla fascia d'età compresa tra i 50 ed i 67 anni di partecipare al concorso per soli titoli;
i più attempati farmacisti con anni di servizio, sia nel pubblico sia nel privato, accumulano titoli, corsi e master anche molto costosi ad un certo punto per inerzia e su concessione soprattutto da parte di case farmaceutiche che gliene fanno dono;
il concorso non prevede esami né quiz a verifica della preparazione vera e non data per presunta;
il decreto esclude nella pratica una fascia consistente di giovani tra i 40 ed i 50 anni non abbastanza giovani per associarsi, né abbastanza vecchi per partecipare al concorso per soli titoli non avendo avuto il tempo materiale per acquisirli;
tali decisioni che di fatto non agevolano ma escludono i giovani laureati dal mercato ed agevolano farmacisti in età pensionabile, che hanno smesso di studiare da anni e a cui si consente di accedere facilmente alla acquisizione di una nuova farmacia sono secondo l'interrogante assai inopportuni;
non si comprende come mai i giovani abbiano a patire condizioni penalizzanti piuttosto che agevolazioni ed opportunità al punto da metterli in minoranza e fuori del tutto dal mercato;
né perché non si sia tenuto in conto la possibilità di introdurre prove d'esame in qualsiasi forma ma in grado di garantire

una preparazione effettiva, costante, non presunta e che avrebbe coinvolto anche i farmacisti di età compresa tra i 40 e 50 attraverso una prova d'esame -:
se il Governo non intenda assumere iniziative normative nel senso indicato in premessa.
(2-01422)«Razzi».

Interrogazioni a risposta scritta:

MOSELLA, BINETTI e CALGARO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
in questi giorni i Monopoli di Stato hanno inviato a 70.000 studenti un DVD per una campagna d'informazione sui rischi del gioco d'azzardo;
l'iniziativa sarebbe stata utile, ma appare, invece, controproducente e rischiosa per gli incredibili contenuti dei messaggi presenti nel DVD, che, invece, di fare opera di dissuasione, sembrano indirizzare e stimolare il giovane verso un gioco di azzardo «moderato»;
non è chiaro chi abbia scritto i testi del DVD ma certamente questi testi non solo non raggiungono l'obiettivo di allontanare i giovani dal gioco, ma sembrano spingere verso di esso;
frasi come «Evolve chi si prende una giusta dose di rischio, mentre è punito chi non rischia mai o rischia troppo» o «ci si attacca alla rete, al cellulare, alla slot machine o ai videopoker parcheggiati nei bar per dare risposta al primordiale bisogno di vincite che l'essere umano ha in sé», non solo non appaiono utili alla dissuasione, ma anzi sembrano incoraggiare apertamente il gioco d'azzardo;
anche le risposte ad un test interattivo presente nel DVD non possono non lasciare sconcertati. Chi non apprezza il gioco d'azzardo, infatti, si sente dire «lo spirito del bacchettone aleggia sulla tua testa (...); il gioco è rischio e a te i rischi non piacciono. Meglio aggirare l'ostacolo. Così facendo, però, perdi tutte le sfumature della vita»; chi, invece, mostra di apprezzare il gioco può leggere che «tutto sommato hai una buona idea di cosa sia il gioco (...). Poco non fa male nemmeno il veleno», ed altre assurdità simili;
con questa campagna assurda lo Stato si fa promotore o complice di indicazioni fuorvianti nei confronti dei minori;
infatti, i giovani, soprattutto quelli meno scolarizzati, sono i più esposti al rischio di sviluppare dipendenze patologiche dal gioco d'azzardo, come dimostrano anche le statistiche, che evidenziano come i giovani siano la seconda categoria a rischio di ludopatia, dopo i disoccupati;
è certo positivo che i Ministri per la cooperazione internazionale e l'integrazione e della salute si siano detti pronti ad intervenire per vietare, o almeno ridurre, gli spot pubblicitari televisivi che invitano al gioco d'azzardo;
questa volontà, però, cozza con una iniziativa come quella riportata dall'interrogante, che non può non confondere i giovani, i quali, invece, necessitano di parole di grande chiarezza e linearità per la loro educazione -:
se il Ministro interrogato non intenda, per quanto di sua competenza, agire per individuare le responsabilità all'interno dei Monopoli di Stato che sono all'origine di questo sconcertante episodio che, benevolmente, si potrebbe definire di «superficialità» e di scarsa sensibilità ad un problema gravissimo e che non può essere trattato con ambiguità o in modo confuso.
(4-15424)

ZAZZERA, MONAI, MURA e PALAGIANO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato da associazioni ambientaliste, l'area della caserma «Campo Marzio» della Guardia di Finanza di via Fiamme Gialle a Trieste è sottoposta a bonifica durante gli anni

1999-2002 per la presenza di diverse tonnellate di materiali contenenti amianto compatto e friabile;
tuttavia, a causa del malfunzionamento delle macchine che effettuavano il trattamento dell'aria della caserma, l'amianto delle coibentazioni presenti, risalenti agli anni cinquanta è stato per diversi anni immesso negli uffici amministrativi del terzo piano, generando un inquinamento ambientale oltre i limiti previsti dalla legge;
come confermato dalla CTU ordinata dal giudice nell'ambito di un procedimento per il riconoscimento della patologia professionale per esposizione all'amianto, il livello di inquinamento presso la caserma «Campo Marzio» è molto alto, e ciò comporterebbe l'obbligo dell'impiego dei dispositivi di protezione individuale;
ciò considerato, alla luce della circolare protocollo n. 15/SEGR/0001940 del 25 gennaio 2011 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Comando della guardia di finanza avrebbe dovuto dar corso ai protocolli di informazione sul rischio e di sorveglianza sanitaria;
ciononostante agli interroganti risulta che i finanzieri impiegati presso la suddetta caserma continuino a prestare servizio in locali contaminati, mentre altri si sono ammalati di patologie asbesto-correlate, anche gravi;
si sarebbero infine già verificati decessi legati all'amianto, visto che tale sostanza può uccidere anche dopo 50/60 anni dall'esposizione -:
se quanto riportato nella presente interrogazione corrisponda al vero e se ai Ministri interrogati risulti che la procedura di bonifica dall'amianto della caserma «Campo Marzio» della Guardia di Finanza di Trieste sia stata effettuata secondo quanto previsto dalla normativa in materia o se risultino eventuali irregolarità;
se dalla caserma di cui in premessa sia stata completamente rimossa la presenza di amianto e siano state adottate tutte le precauzioni per tutelare la salute del personale della Guardia di Finanza;
se dagli anni settanta ad oggi, ai Ministri risultino casi di pneumoconiosi o, comunque, di patologie asbesto-correlate tra i finanzieri della caserma «Campo Marzio» di Trieste o tra altro personale impiegato.
(4-15427)

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GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere - premesso che:
la legge 14 settembre 2011, n. 148, all'articolo 1 stabilisce che «Il Governo (...) è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza».
tale riorganizzazione comporterà, secondo il dettato della legge, soppressioni e accorpamenti di uffici giudiziari.
il tribunale di Tolmezzo risulterebbe essere tra gli uffici giudiziari in via di soppressione e/o accorpamento; essendo per così dire «inghiottito» dal tribunale di Udine. La decisione appare, ictu oculi, contravvenire, stante il singolare carattere del circondario e la situazione di confine, al principio inderogabile del buon senso e della logica per il buon funzionamento della giustizia e per la necessità di una presenza visibile dello Stato. La soppressione, ad avviso degli interroganti, negherebbe oltretutto il presupposto della legge in ordine ai «risparmi di spesa e incremento di efficienza»;

la particolarità territoriale del circondario di Tolmezzo si evidenzia con la presenza di una linea confinaria assai vasta, di circa 110 chilometri, con l'Austria, 60 con la Slovenia, la quale è attraversata da 7 valichi, dei quali 5 stradali di 1a categoria, uno autostradale ed uno ferroviario, ed è collocata sulle direttrici dei traffici illeciti verso l'Est Europa. Ciò determina l'accertamento di un elevato numero di reati legati al traffico degli stupefacenti, alla immigrazione clandestina ed alla ricettazione organizzata (cosiddetto riciclaggio), e, necessariamente, una specializzazione della polizia giudiziaria, della magistratura inquirente e di quella giudicante in ordine a tale genere di crimini. È ragionevole ritenere che l'accorpamento delle funzioni in Udine, oltre a determinare maggiori difficoltà di collegamento con la polizia giudiziaria, provocherebbe la necessità di creare una specializzazione sia negli uffici inquirenti che giudicanti in ordine a quelle particolari specie di reati, vanificando così i miglioramenti organizzativi che si prospettano con l'accorpamento. Oltre a ciò sono palesi le conseguenze negative che seguirebbero all'allontanamento del presidio giudiziario (da Tolmezzo a Udine) rispetto ai confini, ove tale genere di reati viene scoperto, sia in termini di collegamento della procura generale con gli uffici della procura, sia di prevenzione nelle zone di confine interessate;
la valutazione di efficienza e produttività espressa dall'ispettorato generale del Ministero è assolutamente positiva, ciò che rende superflua qualsiasi riorganizzazione in altra sede delle medesime funzioni. Si sottolineano «impegno e diligenza, con adeguata risposta agli adempimenti demandati»;
la delega conferita al Governo per la revisione della geografia giudiziaria è stata esplicitamente motivata dalla grave crisi economico-finanziaria in cui versa nazione e dalla necessità di ridurre gli oneri per la finanza pubblica. Nel caso di Tolmezzo un tale risultato non potrà essere raggiunto; anzi, la soppressione porterà ad un sensibile aumento di oneri per la finanza pubblica;
in dettaglio: la soppressione inciderebbe sulle spese «logistiche», ossia su quelle necessarie a mantenere le sedi ove gli uffici sono collocati. È utile ricordare che queste spese vengono interamente anticipate dagli enti locali e rimborsate in parte dall'amministrazione centrale a consuntivo. Esse ammontano per il Tribunale di Tolmezzo, con riferimento all'anno 2010, escluse quelle di natura eccezionale relative agli affitti dei locali della procura in attesa dell'ultimazione dei lavori di riatto della sede storica, ad euro 170.169,90 (la media annuale dei Tribunali sub-provinciali è pari ad euro 500.000,00 - Commissione CNF 29 novembre 2011). In caso di soppressione e di accorpamento degli uffici nel tribunale e nella procura di Udine questa spesa, relativamente modesta, non sarebbe destinata a sparire dal bilancio del Ministero ma verrebbe sostituita da quella necessaria al reperimento in Udine di sedi adeguate, mancando negli attuali locali la necessaria ricettività, tenuto anche conto del fatto che la soppressione delle sedi distaccate di Palmanova e di Cividale del Friuli determinerà l'afflusso del personale distaccato nella sede centrale. Considerato che i costi di acquisto/affitto di immobili in Udine è sensibilmente superiore a quelli in Tolmezzo, è ragionevole concludere che questa spesa aumenterà;
l'aumento della spesa per la finanza pubblica (trasferte): oltre ad altri oneri sulla cui lievitazione occorrerebbe eseguire calcoli più complessi, sicuramente l'accorpamento degli uffici nel capoluogo provinciale determinerebbe per la pubblica finanza l'aumento dei costi legato alle trasferte delle entità dislocate sul territorio del circondario che gravitano intorno agli uffici giudiziari. Esse infatti dovranno rapportarsi non più alla sede di Tolmezzo posta al centro del territorio, bensì scendere sino ad Udine. Per ogni accesso agli uffici giudiziari, limitandoci al costo/automezzo rapportato ad un quinto del costo del carburante per ogni chilometro moltiplicato

per il maggior tratto di percorso Tolmezzo/Udine andata/ritorno pari a circa 100 chilometri si rilevano i seguenti risultati, riferiti all'anno 2010 per il tribunale ed all'anno 2011 per la procura che ha fornito dati più aggiornati: tribunale: 22 rogatorie in carcere, 47 interrogatori in carcere, 32 videoconferenze, 211 traduzioni di detenuti negli uffici, 300 trasferte del personale dell'ufficio tavolare di Pontebba per un costo stimato di 20.196,00 euro;
per la procura: deposito notizie di reato (considerando che dal 1o gennaio 2011 al 30 novembre 2011 sono state depositate 3.430 notizie di reato, che peraltro è possibile per la procura generale depositare più notizie di reato con unico accesso) stimati prudenzialmente n. 3.000 accessi; per colloqui con il pubblico ministero e per direttive accessi procura generale stimati in 1.000; ricezione di provvedimenti di convalida perquisizione e/o sequestro da notificare, misure cautelari personali o reali da eseguire e restituzione atti eseguiti stimati in 600; monitoraggio operazioni di intercettazioni telefoniche stimati in 100; trasferte magistrati per interrogatori in carcere stimate in 300. Complessivamente un costo stimato pari a circa 165.000,00 euro;
solo per costo automezzi complessivamente quindi 185.196,00 euro;
a questo fattore deve sommarsi quello relativo al costo/tempo del personale impiegato durante la trasferta, tempo stimato in ore 1 e mezza durante il quale il medesimo non potrà occuparsi degli adempimenti d'ufficio. Attenendosi ad un criterio assolutamente minimale pari ad 30,00/ora euro (si pensi che le traduzioni dal carcere impegnano almeno 4 agenti per volta) si avrebbe un costo stimato pari a 225.000,00 euro;
l'aumento degli oneri di spesa per la finanza pubblica è quindi stimabile, per difetto, in circa complessivi 410.196,00 euro annui. Questo onere finanziario è destinato ad aumentare ulteriormente in misura significativa, allo stato non stimabile, per gli effetti che produrrà il cosiddetto decreto «svuota carceri» in via di approvazione, che porterà la polizia giudiziaria a tradurre in aula di udienza, per la celebrazione delle direttissime, gli arrestati che andranno custoditi nell'attesa negli uffici di polizia e non in carcere;
sotto l'aspetto propriamente giudiziario, si sguarnirebbe altresì del necessario presidio locale il territorio sul quale è insediata una delle 14 carceri italiane dotate di una sezione cosiddetta di massima sicurezza (per la custodia dei detenuti in regime 41-bis) sulle quali va mantenuta una costante attenzione atta a scongiurare infiltrazioni della criminalità organizzata legata ai gruppi di appartenenza dei detenuti;
il trasferimento del tribunale danneggerebbe gravemente, con conseguenze sullo stesso bilancio dello Stato. Dallo studio sviluppato dalla CISL Alto Friuli nel 2009 sull'inquadramento economico del territorio emerge che tutti comuni compresi nel circondario sono inclusi nella zona «C» classificata ai sensi della legge regionale Friuli-Venezia Giulia n. 13 del 2000 ad «alto svantaggio economico», e che a livello economico/produttivo il territorio presenta un rilevante scarto negativo rispetto ai valori medi regionali riconducibili alle caratteristiche territoriali. Le prospettive di sviluppo socio-economico sono fortemente messe in discussione dalla forte attrattività, anche culturale, esercitata dalla pianura favorita da un sistema infrastrutturale particolarmente robusto, specie nella permanente minaccia di ulteriore riduzione dell'accessibilità ai servizi di base;
non può sfuggire quale impatto devastante sotto il profilo socio/economico avrebbe l'accorpamento del tribunale e anche solo della procura in Udine per il territorio dell'Alto Friuli, né come una tale soluzione si ponga in aperto contrasto con le direttive politiche di supporto allo sviluppo dei territori montani dettate a livello regionale, nazionale ed europeo. Risulta chiarificatore, in tal senso, l'elaborato redatto

dall'ordine dei dottori Commercialisti ed esperti Contabili, il quale evidenzia un rilevante onere economico a carico della comunità (almeno 2 milioni di euro l'anno), dovuto sia alla spesa per maggiori distanze da percorrere da parte dei cittadini dell'Alto Friuli per raggiungere gli uffici giudiziari, che dalla riduzione di introiti per l'indotto della zona -:
quali intendimenti manifesti il Governo riguardo al tribunale di Tolmezzo.
(2-01425)
«Di Centa, Renato Farina, Fabbri, Papa, Luciano Rossi, Pelino, Dima, Castellani, Galli, Scelli, Landolfi, Razzi, Barani, Palumbo, Rotondi, Baccini, Pagano, Garofalo, Vincenzo Antonio Fontana, Scandroglio, Mazzocchi, Nirenstein, Scilipoti, Monai, Compagnon, Pescante, Crimi, Antonio Martino, Malgieri, Aprea, Mussolini, Barbieri, La Russa, Valducci, Gianni, Paglia, Milanato, Contento, Gottardo».

Interrogazione a risposta orale:

STRIZZOLO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
sulla base di una legge delega è in atto la definizione di una ampia riorganizzazione del sistema giudiziario italiano che, comunque, non appare, secondo l'interrogante, essere sufficientemente supportata da criteri di razionalità e di oggettività riferite ai singoli territori;
tra i centri sede di tribunale vi è la città di Tolmezzo che potrebbe rientrare nell'elenco dei presidi giudiziari destinati ad essere accorpati;
il tribunale di Tolmezzo, oltre ad aver svolto ed a svolgere la propria funzione, con le sue articolate attività requirenti e giudicanti, con efficacia e tempestività riconosciute ed apprezzate dalle istituzioni locali, dalle associazioni di categoria e dagli ordini professionali, è anche sede di circoscrizione elettorale ai sensi dell'articolo 13, secondo comma dello Statuto di autonomia della regione Friuli Venezia Giulia approvato con Legge Costituzionale n. 1 del 31 gennaio 1963;
nel territorio del comune di Tolmezzo è ubicato un carcere realizzato in tempi recenti sulla base di una intesa tra il Ministero e le istituzioni locali che prevede il mantenimento del tribunale quale presidio per l'esercizio dell'attività giudiziaria al servizio di un territorio vasto che confina anche con due Stati esteri quali l'Austria e la Slovenia;
lo svolgimento della delicata e importante funzione posta in capo all'amministrazione giudiziaria richiede organici, risorse e dislocazioni territoriali che assicurino una erogazione del servizio ai cittadini adeguata ed efficiente, tenendo anche conto della configurazione geografica e del tipo di insediamento delle comunità locali;
alla luce della ipotizzata soppressione del tribunale di Tolmezzo, vi è una ampia e condivisa opposizione manifestata dalle istituzioni locali e dalle rappresentanze economiche, sociali, politiche e culturali che evidenziano le pesanti ricadute negative che deriverebbero dalla eventuale chiusura del tribunale di Tolmezzo -:
quali siano gli intendimenti del Ministro interrogato circa l'evidente e razionale necessità che il tribunale di Tolmezzo non venga soppresso;
quali siano gli effettivi criteri che il Ministro interrogato intenda seguire nell'attuazione del programma di riorganizzazione del sistema giudiziario italiano con l'auspicio che non escluda - penalizzandoli ulteriormente - i territori di montagna e quelli con servizi pubblici di rilevante interesse sociale già gravemente compromessi.
(3-02167)

Interrogazione a risposta in Commissione:

PILI e MURGIA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 1, commi da 2 a 5, della legge 14 settembre 2011, n. 148, reca delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza;
tali disposizioni rientrano in un più ampio contesto di razionalizzazione della spesa delle amministrazioni dello Stato, ai sensi dell'articolo 9 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111;
tra i principi e criteri direttivi della delega all'articolo 1, comma 2, della citata legge n. 148 del 2011 sono, in particolare, indicati i seguenti: alla lettera a), ridurre gli uffici giudiziari di primo grado, ferma la necessità di garantire la permanenza del tribunale ordinario nei circondari di comuni capoluogo di provincia alla data del 30 giugno 2011; alla lettera b), ridefinire, anche mediante attribuzione di porzioni di territori a circondari limitrofi, l'assetto territoriale degli uffici giudiziari secondo criteri oggettivi e omogenei che tengano conto dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze, della specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale, e del tasso d'impatto della criminalità organizzata, nonché della necessità di razionalizzare il servizio giustizia nelle grandi aree metropolitane; alla lettera d), procedere alla soppressione ovvero alla riduzione delle sezioni distaccate di tribunale, anche mediante accorpamento ai tribunali limitrofi, nel rispetto dei criteri di cui alla lettera b); alla lettera f), garantire che, all'esito degli interventi di riorganizzazione, ciascun distretto di corte d'appello, incluse le sue sezioni distaccate, comprenda non meno di 3 degli attuali tribunali con relative procure della Repubblica; alla lettera l), prevedere la riduzione degli uffici del giudice di pace dislocati in sede diversa da quella circondariale, da operare tenendo in specifico conto, in coerenza con i criteri di cui alla lettera b), la specificità del territorio, con particolare riferimento alla sua orografia ed al deficit strutturale, la distribuzione della popolazione;
le garanzie costituzionali in favore della regione autonoma della Sardegna costituiscono elementi imprescindibili per una corretta valutazione del processo riorganizzativo della giustizia nell'isola;
la sede distaccata di Macomer, facente capo al tribunale di Oristano, risulta ubicata a 60 chilometri dal più vicino tribunale, in un territorio che anche scelte come questa, tendenti a ridurre la presenza dello Stato, stanno avviando verso un inesorabile spopolamento. È risaputo che il sistema dei trasporti pubblici in Sardegna, terra di 24.000 chilometri quadrati con una popolazione di soli 1.600.000 abitanti, è assolutamente antieconomico, per cui la presenza dello Stato e il presidio di giustizia, per ragioni sociali, appaiono quantomeno necessario;
l'ipotesi di una possibile chiusura di questa sede rappresenterebbe un evidente danno all'intero territorio, oltre che al corretto funzionamento dei servizi e degli uffici giudiziari;
l'esigenza di mantenere in attività la sede distaccata di Macomer nasce non solo dall'esame del carico di lavoro della stessa struttura ma anche e soprattutto dall'elevata domanda di giustizia e da una particolare intensità dei servizi resi ad imprese e famiglie;
la sezione distaccata di Macomer del tribunale civile di Oristano ha complessivamente 1.371 procedimenti pendenti al 31 dicembre 2011 tra contenzioso, esecuzioni e non contenzioso;
i procedimenti pendenti nel tribunale penale di Macomer al 31 dicembre 2011 sono complessivamente 329;
l'ufficio del giudice di pace ha complessivamente 216 procedimenti civili pendenti al 31 dicembre 2011, mentre i procedimenti penali sono 70;

i dati evidenziano un'attività costante che, se non svolta nella sede decentrata, finirebbe per gravare integralmente sulla struttura centrale di Oristano, già di per sé costretta in spazi angusti e insufficienti;
la soppressione per legge di questo importante servizio statale, senza tener conto delle peculiarità della Sardegna, comporta per il comprensorio territoriale del Marghine, Planargia, Montiferro ed alto Oristanese un ulteriore impoverimento sociale, culturale ed economico;
la sede distaccata di Macomer dispone di uno stabile adeguatamente dimensionato tale da poter continuare a fornire i servizi di giustizia sia per il tribunale che per il giudice di pace;
la richiesta finalizzata alla salvaguardia della sezione distaccata di Macomer giunge dal mondo forense isolano in genere, stante la centralità della struttura, dalle istituzioni a tutti i livelli, da associazioni e organizzazioni datoriali e sindacali;
il servizio «giustizia» si svolge tanto meglio quanto migliore è il tessuto connettivo che lo lega con il territorio circostante e la sua realtà socio-economica -:
se non ritenga di valutare positivamente la richiesta proveniente da istituzioni, associazioni e ordini professionali di mantenere in attività la sede distaccata di Macomer;
se non ritenga necessario valutare la sede distaccata di Macomer, posta a cavallo fra tre Province storiche, come area geografico-sociale caratterizzata da un'elevata domanda di giustizia e da una particolare intensità dei servizi resi ad imprese e famiglie;
se non ritenga di dover coinvolgere la regione autonoma della Sardegna, perché si pronunci ufficialmente sul riassetto degli uffici giudiziari nell'isola;
se non ritenga di dover convocare all'incontro in programma nella prima settimana del mese di aprile 2012 con il responsabile del Ministero per la valutazione della situazione degli uffici giudiziari della Sardegna e nello specifico del tribunale di Oristano anche gli enti locali e in particolar modo il sindaco di Macomer.
(5-06481)

Interrogazioni a risposta scritta:

JANNONE. - Al Ministro della giustizia, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
in Italia ufficialmente gran parte dei reati resta impunito (81 per cento), mentre 150 mila gravi violazioni di legge, ogni anno vanno in prescrizione. Un omicidio su due non ha colpevoli e solo nel 3 per cento dei casi c'è un responsabile per i furti denunziati. Un record del mondo in negativo. Gli uffici giudiziari del nostro Paese rischiano di collassare da un momento all'altro sotto il peso complessivo di 9 milioni di processi pendenti e di 2 milioni e mezzo di reati denunciati annualmente. Una macchina farraginosa che potrebbe avvantaggiarsi dei sistemi informatici, come previsto da decreti, regolamenti e linee guida, garantendo maggior efficienza, trasparenza e qualità;
l'Istituto di ricerca sui sistemi giudiziari (Irsig) del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna ha svolto un'indagine per comprendere la situazione delle amministrazioni giudiziarie italiane ed europee, nell'utilizzo delle nuove tecnologie. I risultati sono stati pubblicati nel volume «tecnologie per la giustizia». «Dal punto di vista tecnologico - attesta il professor Giuseppe Di Federico, direttore dell'Irsig - il Ministero della giustizia ha fatto passi in avanti nella realizzazione delle infrastrutture di base, grazie soprattutto ai cospicui e crescenti fondi investiti durante gli anni novanta. Tuttavia, se si guarda alle tecnologie di supporto al lavoro di cancellieri e magistrati, per non parlare dell'e-justice, cioè dell'utilizzo delle reti informatiche per scambiare dati e documenti giudiziari, i risultati sono assai poco soddisfacenti».

Secondo Davide Carnevali - che con Marco Fabri e Francesco Contini ha svolto questa ricerca - «Fra gli applicativi funzionanti, ma che necessiterebbero di radicali aggiornamenti, vi è il Re.Ge (registro generale) per la gestione di procedimenti penali, installato in tutti i 165 tribunali, nelle relative procure della Repubblica e nelle 26 corti d'Appello. Però, nei rari casi in cui si è cercato di migliorare l'applicativo, abbozzando utili integrazioni con i programmi di videoscrittura per la creazione automatica dei provvedimenti, la Direzione generale sistemi informativi automatizzati del Ministero ha disincentivato tali iniziative». Contini non ha dubbi: «La posta elettronica è diffusa, ma non essendo considerata mezzo ufficiale di comunicazione è ancora limitata a preannunciare documenti inviati poi via fax o per posta». Il protocollo informatico, invece, è stato attivato ma solo come registro e perciò non consente l'archiviazione e lo scambio di documenti. «Un progetto è in cantiere dal 2000 - ripete Fabri - che mira ad un procedimento civile senza carta in cui tutte le transazioni fra le parti e l'ufficio giudiziario (giudice, personale di cancelleria, ufficiale giudiziario) avvengano elettronicamente dando vita al cosiddetto fascicolo elettronico. I programmi del Ministero prevedono la sperimentazione in 7 uffici giudiziari pilota (Bari, Bergamo, Bologna, Catania, Genova, Lamezia Terme e Padova) e il successivo sviluppo in almeno altri 50». Questo progetto ha comportato una spesa di quasi 5 milioni di euro nel 2003, di 3.800.000 euro nel 2004, ma ancora non decolla nonostante un successivo stanziamento nel 2007 pari a 20 milioni di euro;
«Migliaia di cittadini si rivolgono ogni anno alla Corte europea dei diritti dell'uomo - argomenta Michele Ainis, ordinario di diritto pubblico - denunziando quasi sempre i tempi biblici dei nostri tribunali». Il rimedio consisterebbe nel portale europeo della giustizia elettronica. La soluzione concreta per i 10 milioni di europei che ogni anno devono ricorrere alla giustizia in altri Paesi della comunità. È per questo che la Commissione europea ha varato il portale Internet «E-giustizia». Entro il 2013, sarà possibile avviare direttamente on line pratiche inerenti a controversie minori. È già disponibile un servizio informazioni sulle 12 mila pagine web, in ventidue lingue, con le informazioni sui diritti delle vittime per ogni Stato membro dell'Unione europea -:
quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di informatizzare il comparto giuridico italiano, favorendo, in questo modo, lo snellimento di molte pratiche burocratiche.
(4-15420)

BARBIERI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
in data 20 marzo 2012 si è dimessa - a poco più di un mese dalla nomina - il capo del dipartimento della giustizia minorile, Manuela Romei Pasetti;
la notizia delle dimissioni ha trovato conferma al Ministero della giustizia ed è stata resa nota dalla Uil penitenziari che peraltro ha rivolto al Ministro «fervida preghiera di rivolgere la massima attenzione al mondo della Giustizia Minorile che è, e resta, un caposaldo della nostra civiltà giuridica e del sistema penale»;
tali dimissioni «sono il segno tangibile di una rifondazione complessiva che deve interessare il mondo della giustizia minorile» come ha dichiarato il segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, che altresì ha aggiunto che «un settore delicato come quello della giustizia minorile non può rimanere senza una guida autorevole e soprattutto salda»;
erano nell'aria segnali di insofferenza del personale per alcune esternazioni del dimissionario capo dipartimento;
non può non considerarsi la cronica carenza di organico del personale, in un settore estremamente delicato come questo, che ha in carico soggetti particolarmente vulnerabili, per lo più privi di

concreti punti di riferimento affettivi, familiari, educativi -:
come pensi il Ministro di rispondere all'appello lanciato dagli operatori del settore e dai sindacati allarmati per una non adeguata attenzione del Governo alla giustizia minorile;
quali iniziative urgenti il Ministro intenda assumere per dimostrare la giusta considerazione per la giustizia minorile da parte del Governo e atte a risolvere almeno in parte i noti problemi;
quali provvedimenti urgenti intenda assumere per assicurare tutte le risorse necessarie, in termini di personale e mezzi, per garantire dignità delle condizioni di lavoro per chi opera nel settore della giustizia minorile, in quanto, se è vero che una giustizia veloce ed efficiente dovrebbe essere garantita a tutti i cittadini, questa appare ancora più necessaria quando essa è rivolta ai minori, dato che l'incertezza derivante da una situazione giudiziaria indefinita rischia di turbare permanentemente la loro crescita e il loro sviluppo psichico;
se, apprezzata la criticità del momento, non intenda avvalersi, per ricoprire le diverse posizioni dirigenziali, delle risorse e delle esperienze già presenti all'interno del dipartimento.
(4-15433)

...

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanze:

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere - premesso che:
il sistema delle strade provinciali, non gestite da ANAS spa, rappresenta una parte rilevante dei trasporti in Sicilia e svolge un ruolo strategico di interconnessione fra le diverse aree del territorio regionale e spesso rappresenta l'unico sistema di collegamento fra il territorio di più province;
le condizioni meteo particolarmente avverse, registrate lo scorso anno, hanno ulteriormente aggravato la situazione già precaria della viabilità secondaria in Sicilia;
a solo titolo esemplificativo citiamo il caso della strada provinciale 23 che rappresenta l'unico collegamento fra le province di Ragusa e Siracusa;
la legge n. 296 del 2006, considerata l'importanza strategica svolto dal sistema della viabilità secondaria, aveva previsto un piano straordinario per l'ammodernamento ed il potenziamento della viabilità secondaria esistente in Sicilia prevedendo, per tale piano, la somma di 350 milioni l'anno, per tre annualità assegnate in sede di riparto delle somme stanziate sul Fondo per le aree sottoutilizzate;
con il decreto legge 27 maggio 2008, n. 93 i 1.050 milioni, in tre annualità, destinati alla viabilità secondaria in Sicilia sono stati utilizzati per altre finalità;
in più occasioni pubbliche ed in numerosi incontri con il presidente della regione siciliana, il Presidente del Consiglio pro tempore Silvio Berlusconi si era impegnato a ripristinare tali risorse -:
se non ritenga di assumere un'iniziativa normativa che, come già previsto dalla legge n. 296 del 2006, preveda un piano straordinario per l'ammodernamento ed il potenziamento della viabilità secondaria esistente in Sicilia, prevedendo per tale piano la somma di 350 milioni l'anno, per tre annualità assegnate in sede di riparto delle somme stanziate sul Fondo per le aree sottoutilizzate.
(2-01421)
«Causi, Capodicasa, Cardinale, Antonino Russo, Siragusa».

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti - per sapere premesso che:
dal 12 dicembre 2011 con l'entrata in vigore dell'orario invernale, Trenitalia ha

proceduto alla soppressione dei treni notturni a lunga percorrenza che collegano la Sicilia al resto del Paese;
il depotenziamento della rete ferroviaria sta già causando un aumento del traffico su gomma a carico di infrastrutture stradali deficitarie ed insicure;
tale provvedimento ha procurato l'effetto immediato di strozzare i già carenti collegamenti dell'isola con il conseguente aumento delle tariffe per le altre modalità di trasporto;
le categorie di viaggiatori maggiormente penalizzate sono gli anziani, i diversamente abili e le famiglie numerose, specie quelle con bambini piccoli, costretti ad affrontare numerosi trasbordi per raggiungere la destinazione desiderata;
è facile prevedere un abbandono definitivo, già in parte in atto, da parte dei viaggiatori di questa modalità di trasporto, non potendosi sobbarcare i gravissimi disagi a cui andrebbero incontro, dovendo prima raggiungere Messina, con pullman o con mezzi propri, quindi imbarcarsi su un traghetto per attraversare lo Stretto, ed infine a Villa San Giovanni salire sui treni diretti verso il Nord;
una ulteriore perdita di utenti non potrebbe che comportare poi, ulteriori riduzioni di collegamenti in una spirale che può avere come sbocco la riduzione drastica del traffico ferroviario in controtendenza rispetto agli indirizzi europei che invece stimolano ed obbligano gli atti membri ad incentivare il trasporto ferroviario come modalità di trasporto più economica e meno inquinante;
un incontro bilaterale con il Presidente della regione Siciliana, il Presidente del Consiglio si è impegnato ad intervenire presso Trenitalia affinché venga ripristinato almeno un treno notturno a lunga percorrenza fra la Sicilia ed il resto del Paese;
la soppressione, da parte di Trenitalia, dei treni notturni a lunga percorrenza, che collegano la Sicilia al resto del Paese non appare agli interpellanti una scelta pertinente;
la soppressione dei treni notturni a lunga percorrenza appare agli interpellanti in contrasto con le decisioni in sede Europea della rete TEN-T di cui fa parte il «corridoio uno» Berlino-Palermo -:
se sia o meno al corrente di un orientamento di Trenitalia che prevede il ripristino di almeno un treno notturno a lunga percorrenza fra la Sicilia ed il resto del Paese;
alla luce della riconsiderazione del progetto del ponte sullo Stretto, quali iniziative intenda assumere al fine di interconnettere la Sicilia al resto del Paese in maniera economica, efficiente, e frequente;
come intenda utilizzare le risorse, precedentemente destinate alla realizzazione del ponte sullo Stretto, per potenziare il sistema dei trasporti che collegano la Sicilia al resto del Paese;
quali iniziative intenda eventualmente adottare per impedire un impoverimento del sistema dei trasporti ai danni, non solo dei siciliani, ma dell'intero Paese.
(2-01423)
«Causi, Capodicasa, Cardinale, Antonino Russo, Siragusa».

Interrogazioni a risposta in Commissione:

MONTAGNOLI e DESIDERATI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
il comparto dei trasporti eccezionali nel nostro Paese conta circa 130 aziende strutturate e specializzate, di dimensioni molto diverse fra loro, con fatturati che possono variare dai 3-4 milioni di euro l'anno a oltre 60 milioni di euro l'anno;
mentre nel panorama europeo il servizio di trasporto eccezionale è considerato di tipo ordinario ed è erogato a costo zero, le nostre aziende sono vittime di

un'eccessiva burocrazia e di costi ingiustificati, che impediscono una competizione leale nel settore;
attualmente, sono 150 gli enti che hanno competenza in materia di autorizzazioni per il trasporto eccezionale: le 120 province, alle quali spettano la competenza e la manutenzione di moltissime strade statali prima gestite dall'ente nazionale per le strade (ANAS S.p.A.), i compartimenti dell'ANAS S.p.A., le società autostradali, le aree portuali, le aree industriali e così via;
il precedente Governo ha ritenuto necessario intervenire a favore di questo settore, rendendo le procedure più armoniche con le esigenze operative della categoria al fine di ottimizzare i servizi e sostenere la ripresa operativa delle imprese di trasporti eccezionali;
l'articolo 10 del codice della strada, così come modificato da ultimo dalla legge di stabilità 2012, prevede che il Governo modifichi i parametri di definizione delle autorizzazioni periodiche, multiple e singole richieste ai trasporti eccezionali, prevedendo che la validità della stessa autorizzazione non sia vincolata alla natura del materiale e alla tipologia della merce trasportata;
questa modifica, da attuare tramite regolamento, doveva essere apportata entro 60 giorni dall'approvazione della disposizione, così come previsto dal succitato articolo 10, ma ancora oggi non è stato emanato alcun regolamento in merito e pertanto le aziende non possono godere delle semplificazioni introdotte dalla legge di stabilità 2012;
le aziende italiane di questo settore, con un fatturato complessivo di circa 3 miliardi di euro, con 7.000 addetti e con 6.000 mezzi, non sono tuttora nelle condizioni di poter svolgere il proprio lavoro nel migliore dei modi, a causa della mancanza di regolamento attuativo -:
se il Ministro non ritenga urgente intervenire tempestivamente, con gli appositi strumenti normativi, per attuare le modifiche all'articolo 10 del codice della strada apportate dalla legge di stabilità 2012, al fine di rendere competitive le nostre aziende di trasporto eccezionale nel panorama europeo.
(5-06475)

IANNUZZI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
l'autostrada A3, Salerno-Pompei-Napoli, in concessione alla Società Autostrade Meridionali (SAM), costituisce una infrastruttura fondamentale e di primaria rilevanza per il collegamento fra la città di Salerno, l'Agro Sarnese e Nocerino, l'area Stabiese e l'area Torrese e la città di Napoli;
si tratta di un collegamento essenziale anche per l'innesto sul sistema autostradale meridionale e verso Roma;
questa autostrada attraversa e collega territori e città popolate da più di due milioni di abitanti;
da troppi anni sono in corso lungo la tratta napoletana dell'autostrada lavori indispensabili di ammodernamento, di messa in sicurezza, di ampliamento della sede stradale con la realizzazione in alcuni tratti della terza corsia;
è necessario che tali lavori siano finalmente definiti e conclusi in tempi certi e ravvicinati, considerando il fortissimo pregiudizio che obiettivamente finiscono per arrecare alla circolazione ed alla sicurezza degli utenti, attesi il pericoloso restringimento della carreggiata in alcuni tratti e le lunghe code ed intasamenti di traffico che assai spesso si vengono a creare;
i lavori vanno definitivamente ultimati anche perché la concessione ANAS-SAM verrà a scadenza il 31 dicembre 2012;
fra l'altro, lungo la direzione Pompei-Scafati e San Giorgio a Cremano, in diversi tratti, pure ultimati con tre corsie funzionanti, rimangono i cartelli del limite di velocità a 60 chilometri, che

invece è pienamente giustificato ed indispensabile in quei tratti con due corsie ed a lavori in corso e con pericolosi restringimenti di carreggiata;
troppi ritardi e troppi rinvii si sono accumulati nel corso di questi lavori;
in diverse occasioni l'interrogante ha presentato atti di sindacato ispettivo su questa specifica e così rilevante questione -:
quale sia la situazione effettiva dei lavori sino ad oggi svolti lungo l'autostrada Salerno-Pompei-Napoli, quale sia il programma ed il calendario aggiornato dei lavori in corso e di quelli ulteriori da eseguire, i relativi tempi di esecuzione, le scadenze previste, la data finale preventivata per l'ultimazione di tutte le opere, le risorse finanziarie sino ad oggi impiegate ed il costo totale previsto per la realizzazione dell'intero progetto di ammodernamento, adeguamento e messa in sicurezza dell'autostrada;
quali iniziative si intendano adottare visto che per diversi tratti della autostrada, fra Scafati-Pompei e San Giorgio a Cremano rimangono fermi i cartelli del limite di velocità a 60 chilometri benché quei tratti siano ultimati e quindi dispongono di tre corsie funzionanti.
(5-06477)

Interrogazione a risposta scritta:

TOTO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
ANAS predispose un progetto infrastrutturale viario, per la realizzazione di una variante esterna alla città di Venafro, in Molise con lo scopo di creare un'alternativa all'attraversamento della città per i veicoli provenienti sia da Napoli che da Roma, il cui transito genera un traffico intenso e prevalentemente costituito da mezzi pesanti;
del progetto in questione è stato realizzato un primo lotto, in direzione Campobasso-Isernia-Napoli; relativamente, invece, alle tratte: Campobasso-Isernia-Roma e direzione opposta, si appalesava la necessità di realizzare anche un raccordo con la strada statale n. 6, diramazione Casilina, programmata dal piano di investimenti di ANAS 2007-2011 e denominata «bretella variante di Venafro-Nunziata Lunga», con previsione di costo di 19 milioni di euro, da finanziare, quanto a 15 milioni, mediante un contratto di programma con ANAS e quanto a 4 milioni, mediante l'utilizzo di fondi FAS di cui alla deliberazione del CIPE n. 35/2005;
non avendo impedimenti burocratici e procedurali consentito di appaltare l'opera nei tempi stabiliti dal contratto di programma, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con decreto direttoriale 25 settembre 2008, n. 4218, ha rimodulato il contratto di programma stipulato nel 2008, stornando le somme stanziate e destinandole ad altro intervento; analogamente, la regione Molise ha destinato la quota di fondi FAS impegnati per la residua copertura dei costi dell'infrastruttura a un'altra opera;
precedentemente alla rimodulazione del contratto di programma del 2008, precisamente nel gennaio dello stesso anno 2008, fu costituita la società mista denominata «Autostrada del Molise Spa», tra regione Molise e ANAS S.p.a., con lo scopo di realizzare il nuovo collegamento autostradale Termoli-San Vittore (A 14-A1), la cui posa in esercizio è prevista nell'anno 2018, che, oltre ad avere un'indiscutibile funzione strategica per la viabilità nazionale e per quella della regione Molise, assorbirebbe anche tutto il traffico in transito da Campobasso verso Isernia-Roma e quella nella direzione opposta;
per la realizzazione della prima tratta: San Vittore-Venafro-Isernia-Boiano-Campobasso la società «Autostrada del Molise spa» ha approvato, il 1o febbraio 2011, il relativo progetto preliminare, già trasmesso a tutti gli altri enti interessati, per gli adempimenti previsti dalla cosiddetta «legge Obiettivo»;
orbene, nel contesto delle progettazioni sopra delineato, risulta che il comune

di Venafro ed il compartimento ANAS di Campobasso, di concerto tra loro, sulla base di convenzione intercorrente, abbiano ripreso la progettazione della «bretella», in corso di definizione, prevedendone un nuovo tracciato, il cui costo, totalmente a carico di ANAS, raggiungerebbe l'importo di 30 milioni di euro, circa 10 in più rispetto alla previsione relativa all'originaria progettazione dell'opera;
il progetto si presta a forti critiche perché, con la progettata realizzazione della tratta autostradale San Vittore-Campobasso, verrebbe meno la finalità per la quale la «bretella» fu concepita, di fatto assorbendo, la nuova autostrada, quella funzione di variante della città di Venafro, per il traffico in transito nella direzione Campobasso-Isernia-Roma e nella direzione opposta, che si era immaginato di far assolvere alla «bretella» medesima. Ne consegue, dunque, che la realizzazione di quest'ultima costituirebbe un inutile sperpero di denaro pubblico e un inopportuno pregiudizio per le risorse naturali ed ambientali;
rilevanti, inoltre, appaiono ulteriori, oggettive criticità derivanti, anzitutto, dalla scarsa funzionalità dell'opera, a fronte di un incremento di costo più oneroso di 10 milioni di euro rispetto a tracciati alternativi. In particolare, non si realizzerebbe, in contrasto con gli obiettivi dell'opera, un tracciato validamente alternativo all'attuale attraversamento della città di Venafro che, anche a opera realizzata, risulterebbe, addirittura, comunque, più conveniente, per tempo ed economicità, in entrambe le direzioni, rispetto alla «bretella». Infatti, gli innesti raccordati alla strada statale diramazione Casilina ed alla strada statale n. 81, determinano, clamorosamente, un arretramento del tracciato viario da e per Roma; verrebbero, inoltre, abbattuti alberi d'ulivo secolari il cui contesto paesaggistico è illustrato meritevolmente nel Catalogo nazionale dei paesaggi rurali storici, pubblicato da Laterza -:
se la «bretella» di variante della città di Venafro sia già stata ammessa a finanziamento e per quale importo;
se il Governo non intenda, nel caso in cui lo stanziamento dei fondi abbia avuto luogo, adottare iniziative volte a evitare uno spreco di risorse finanziarie pubbliche, meglio e più utilmente impiegabili per altre opere viarie, pur necessarie, nella stesso territorio provinciale di Isernia;
se il Governo, ove ritenga ancora valida la programmazione dell'opera in sindacato e, nel contempo, i tempi di realizzazione della progettata tratta autostradale risultassero molto lunghi, non intenda, piuttosto, dare disposizioni perché sia ridefinito il tracciato della «bretella», al fine di garantire la realizzazione di un percorso effettivamente e funzionalmente alternativo all'attraversamento della città di Venafro.
(4-15426)

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INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere - premesso che:
l'incubo dei furti in abitazione si estende a macchia d'olio dalla piana del Sele fino alla zona degli Alburni, aree della provincia di Salerno considerate sino ad oggi tranquille e lontane dagli obiettivi della malavita organizzata. Nelle ultime settimane si stanno moltiplicando i furti in appartamenti, nei centri urbani ma soprattutto nelle zone agricole dove, con la complicità del buio e la minore attenzione dei cittadini, i malviventi sempre più spesso si introducono nelle proprietà altrui facendo razzia di beni di ogni genere. Il fenomeno sta creando allarme tra i cittadini, che temono per la propria incolumità;

il comune più colpito è quello di Postiglione dove, gli episodi delittuosi si stanno verificando con sempre maggiore frequenza, nelle ultime due settimane, senza che nessuno degli autori sia stato ancora assicurato alla giustizia. Martedì 13 marzo 2011 una donna è stata aggredita con colpi di spranga nella sua abitazione;
i sindaci della zona hanno deciso di chiedere l'intervento del prefetto e la convocazione urgente del «comitato provinciale per la sicurezza e l'ordine pubblico». Inoltre hanno deciso di coinvolgere la polizia municipale, i carabinieri, le guardie ambientali della comunità montana degli Alburni, che a turno sono impegnati in ronde notturne. «Invitiamo tutti i nostri concittadini - conclude il vicesindaco - a collaborare con le forze dell'ordine segnalando auto sospette e/o persone sconosciute che si aggirano per il paese con fare ambiguo»;
tuttavia la vastità e la scarsa popolazione del territorio non consentono di difendere adeguatamente le abitazioni e le attività produttive isolate; il timore è che le aggressioni sfocino presto in qualcosa di più grave; a tal fine, diversi sindaci hanno da tempo chiesto al Ministro interrogato di accedere alle risorse stanziate per la sicurezza locale, in particolare per l'installazione di telecamere nelle aree sensibili e nelle strade di accesso ai comuni della zona in modo da poter risalire, in caso di eventi delittuosi, ai possibili autori; tuttavia nessuno dei progetti presentati ha ottenuto il finanziamento del Ministero;
occorre infine ricordare la piaga dei furti nei campi, posta in essere a quanto consta agli interroganti soprattutto da rom e slavi, che sta assumendo contorni endemici e preoccupanti; in tale ambito si registra l'assoluta impotenza delle istituzioni, assolutamente non in grado perseguire numerosi reati di piccola portata in un'area tanto vasta -:
quali provvedimenti intenda adottare per affrontare la situazione esposta in premessa;
se non ritenga opportuno favorire l'accesso dei comuni dell'area degli Alburni e, più in generale, dei comuni del Cilento, alle risorse destinate alla sicurezza locale, secondo quanto previsto nei diversi progetti già presentati o in corso di presentazione da parte dei comuni, anche in concorso tra loro, con particolare riferimento all'installazione di telecamere di sorveglianza, collegate con le centrali operative di polizia e carabinieri, nelle strade, nei punti di snodo e nelle aree più sensibili.
(2-01426)
«Mario Pepe (Misto-R-A), Brugger».

Interrogazione a risposta scritta:

BERTOLINI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
si apprende da un quotidiano locale del 21 febbraio 2012, che a Bologna un marocchino di 30 anni Mahfoud Bahi, ha tentato di decapitare la sua compagna, perché «si sentiva impuro» per la sua fede islamica quando aveva rapporti sessuali con lei, di fede cristiana;
la vittima, un'ucraina di 45 anni, che frequentava da tre anni, accoltellata più volte alla gola, è stata operata presso l'ospedale Maggiore e si è salvata, ma rischia lesioni permanenti;
il trentenne è stato riconosciuto dagli inquilini del palazzo dove viveva la vittima ed è stato arrestato per tentato omicidio volontario, aggravato dalla premeditazione;
al momento dell'arresto, il marocchino era convinto di aver ucciso la compagna ed ha spiegato il suo violento gesto utilizzando un episodio narrato dalla Bibbia, riconosciuto anche dall'Islam, dichiarando di aver voluto immolare la compagna così come aveva fatto Abramo con l'unico figlio maschio Isacco;
nel nostro Paese i casi di violenza da parte di stranieri, soprattutto di religione islamica, nei confronti delle mogli o compagne,

compiuti in nome del fondamentalismo e dell'oscurantismo religioso sono sempre più numerosi;
i tanti episodi di violenza compiuti nei confronti delle donne musulmane e cattoliche, oltre a suscitare indignazione e ferma condanna, devono anche far riflettere sul fatto che la maggior parte di essi sono compiuti tra le mura domestiche, luogo dove invece si dovrebbe essere al sicuro -:
se il Ministro sia a conoscenza di tale episodio;
se sia in grado di fornire dati relativi a vicende che vedono coinvolte donne islamiche, vittime di violenze e soprusi all'interno dei propri nuclei famigliari, avvenuti nel nostro Paese negli ultimi cinque anni;
se non ritenga necessario avviare, con la collaborazione degli enti locali, un'indagine approfondita per verificare quante situazioni analoghe, non denunciate, ci siano nel nostro Paese e per verificare la reale situazione delle donne straniere che vivono in Italia.
(4-15440)

...

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:

BINETTI. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
le università italiane vivono da tempo una grande difficoltà economica e di gestione;
a seguito della riforma Gelmini, legge n. 240 del 2010, i maggiori problemi degli atenei riguardano soprattutto la riorganizzazione delle strutture di ateneo, l'organizzazione di nuovi dipartimenti, degli statuti, l'adeguamento ad un nuovo sistema di valutazione che possiamo accostare a quello inglese ma molto più complesso;
inoltre, i Programmi di ricerca di rilevante interesse nazionale (PRIN), volti a sostenere proposte di ricerca libere e autonome, senza obbligo di riferimenti a tematiche predefinite a livello centrale, rappresentano il principale strumento di finanziamento dell'attività di ricerca esercitabile nelle diverse facoltà italiane, privilegiando le proposte che integrano varie competenze e apporti provenienti da Università diverse;
riguardo a questi fondi occorre rilevare la assoluta inadeguatezza e limitatezza dei soldi distribuiti complessivamente;
infatti, la somma totale che tutti gli atenei italiani ricevono attraverso i fondi PRIN è di 175 milioni di euro;
tale cifra è largamente inferiore ai soldi elargiti dallo Stato italiano a diversi partiti ormai scomparsi ma che continuano a ricevere finanziamenti in maniera incontrollata -:
se non ritenga opportuno assumere iniziative normative nonché utile stabilire che almeno una quota parte dei fondi destinati a partiti che non esistono più vada destinata alla attività di ricerca svolta nei nostri atenei, secondo metodi meritocratici che premino i nostri giovani ricercatori.
(3-02166)

Interrogazione a risposta in Commissione:

SIRAGUSA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
nella circolare n. 15 protocollo n. AOODGPER1507 del 22 febbraio 2011, del Ministero dell'università e della ricerca, direzione generale per il personale scolastico, avente per oggetto «dottorato di ricerca e problematiche connesse» si legge: «si ritiene opportuno un richiamo alla normativa prevista dall'articolo 19 del vigente CCNL, riguardante "Ferie, permessi ed assenze del personale assunto a tempo determinato", intendendosi come

personale a tempo determinato, il personale destinatario di contratto durata annuale o fino al 30 giugno, il cui primo comma dispone che "Al personale assunto a tempo determinato, al personale di cui (...) si applicano, nei limiti della durata del rapporto di lavoro, le disposizioni, in materia di ferie, permessi ed assenze stabilite dal presente contratto per il personale assunto a tempo indeterminato" e pertanto anche a tale tipologia di personale "si ritiene debbano essere applicate, nei limiti previsti dalla richiamata norma, le disposizioni riguardanti i congedi per il personale ammesso alla frequenza dei dottorati di ricerca: si ritiene comunque opportuno precisare che le predette disposizioni esplicano, la propria validità esclusivamente sotto il profilo giuridico (riconoscimento del servizio ai fini previsti delle vigenti disposizioni) non ritenendosi che le stesse possano esplicare la validità sotto il profilo economico (conservazione della retribuzione per il periodo di frequenza del dottorato)"»;
si è quindi previsto, modificando di fatto quanto previsto dal CCNL di cui sopra, che non sia più possibile, per un docente precario, mettersi in aspettativa mantenendo il proprio stipendio come gli insegnanti di ruolo o gli altri dipendenti della pubblica amministrazione;
con sentenza n. 360 del 26 maggio 2011, il giudice del lavoro del tribunale di Verona, a cui si era rivolto un insegnante precario - risultato idoneo ad un concorso per dottorato di ricerca senza borsa - impugnando la circolare, si è espresso in modo favorevole al ricorrente -:
se il Ministro non ritenga di dover modificare quanto prima il contenuto della circolare di cui sopra che, di fatto, discrimina i docenti precari vincitori di concorso di dottorato di ricerca.
(5-06478)

Interrogazioni a risposta scritta:

JANNONE. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
è il Lazio la regione che conquista più fondi europei per la ricerca: quasi un quarto dei finanziamenti destinati al nostro Paese entrano nei laboratori e nei centri di ricerca di Roma e dintorni. Ma le migliori performance vengono registrate ogni anno dai ricercatori della Liguria: sono loro in proporzione i più bravi e capaci ad ottenere fondi europei per l'innovazione. Ognuno di loro attrae in media oltre 12mila euro di stanziamenti targati Unione europea. Le «classifiche» regionali sulla corsa ai fondi che l'Unione europea ha messo sul piatto con il settimo programma quadro che fino a tutto il 2013 stanzia 50 miliardi sono contenute nell'indagine che il Ministero dell'istruzione, università e ricerca ha appena realizzato per fotografare le performance, non proprio invidiabili, del nostro Paese nei confronti del resto Europa. Il confronto interno nella gara ai fondi europei mostra, invece, un Paese a più velocità con un drappello di sole nove regioni capaci di competere in Europa;
il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca mette sotto la lente i bandi del progetto «cooperazione» che con i suoi 32 miliardi di budget complessivo è il più importante del settimo programma quadro. Dei fondi assegnati finora da Bruxelles per fare innovazione su dieci settori strategici - dalla salute alle biotech, dall'Ict alle nanotecnologie, dall'energia all'ambiente, ai trasporti, allo spazio e alla sicurezza - l'Italia è riuscita a conquistare quasi il 9 per cento di quanto messo a disposizione: poco meno di 2 miliardi in tutto. Soldi, questi, che arrivano però solo in poche regioni. Il Lazio è, infatti, capace di attrarre da solo - grazie soprattutto alla rete di enti e centri di ricerca pubblici sul territorio - ben il 23,64 per cento delle risorse Unione europea conquistate dal nostro Paese. Una performance, questa, di poco superiore a quella della Lombardia che assorbe il 21,45 per cento dei fondi assegnati al nostro Paese. Più lontani il Piemonte

(10,65 per cento), la Toscana (con il 9,55 per cento), l'Emilia Romagna (8,31 per cento). Seguono, poi, Veneto, Liguria e Campania intorno al 6 per cento mentre la Puglia assorbe circa il 5 per cento. Modeste o quasi nulle le performance delle altre regioni. Ma se dalla quantità si passa alla qualità - l'efficienza, cioè, nel conquistare i fondi europei calcolato in base al numero di ricercatori sul territorio - i risultati cambiano. A guidare la classifica della produttività è infatti la Liguria visto che ogni ricercatore incassa oltre 12mila euro, seguito dai «cervelli» trentini (poco più di 10mila euro pro-capite), dai toscani e dai ricercatori del Lazio (circa 9mila euro). In coda, invece, il Sud dove ogni addetto alla R&S riesce a racimolare dai bandi Unione europea solo poche migliaia di euro;
l'indagine del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca fotografa, infine, le eccellenze e i giacimenti scientifici del nostro territorio proprio in base alla capacità di farsi valere in Europa. Confermando, a esempio, la leadership della Lombardia sulle biotecnologie: imprese (soprattutto Pmi), università e centri di ricerca lombardi incassano, infatti, un terzo dei fondi Unione europea destinati all'Italia per questo settore. Sempre la Lombardia, stavolta insieme al Piemonte, ottiene quasi metà dei finanziamenti dedicati alle nanotecnologie dei materiali e dei sistemi di produzione e processo. Qui - spiega il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca - conta soprattutto la presenza di importanti soggetti industriali e di centri di ricerca a servizio del settore industriale. Sul fronte dell'Ict il Lazio, grazie alla presenza di grandi enti di ricerca pubblica e Pmi molto attive, «vince» più del 34 per cento dei fondi complessivi destinati all'Italia. Anche il palmares per i settori energia, ambiente e spazio, è sempre del Lazio. Infine l'eccellenza della ricerca nei trasporti spetta al Piemonte e «con densità minore» a Lazio, Lombardia e Campania;
«Dopo anni di caccia alle streghe l'Italia deve fare un passo in avanti sugli Ogm, ricreando un clima favorevole per la ricerca e la sperimentazione dove eravamo leader fino agli anni Novanta». Alessandro Sidoli, presidente di Assobiotec, l'Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie (oltre 120 associati tra aziende e parchi scientifici e tecnologici), vuole passare dalle parole («con un approccio scientifico e, dunque, d'apertura del Ministro dell'ambiente, Corrado Clini») ai fatti. Le biotecnologie offrono enormi opportunità di sviluppo sia per la salvaguardia dei prodotti tipici italiani a rischio di estinzione, sia nella messa a punto di nuove varietà utili a fini non alimentari, come le biomasse da cui ricavare le bioenergie e i bioprodotti dai quali ci si attende energie e produzioni più sostenibili per l'ambiente e il nostro futuro. Per non parlare dell'intero capitolo della ricerca sulle piante a fini farmaceutici. Dietro tutto questo c'è un intero comparto industriale in grado di garantire competitività al nostro Paese;
ciò che oggi veramente manca al nostro sistema è un disegno complessivo che metta al centro l'investimento in ricerca e innovazione per creare valore nel tempo, rilanciando la competitività del Paese. Dati recenti, inoltre, mostrano che mediamente le imprese biotecnologiche investono circa il 24 per cento del proprio fatturato o costi operativi in ricerca e sviluppo, percentuale che sale al 45 per cento per le imprese dedicate, cioè quelle per cui il biotech è core business. Sono numeri che attestano quanto adeguate risorse finanziarie e misure fiscali siano necessarie per i settori ad alta innovazione, in grado di favorire lo sviluppo competitivo delle imprese. Secondo il Presidente Sidoli «c'è un 30 per cento di consumatori che valuta positivamente l'utilizzo delle biotecnologie mentre un sondaggio condotto tra i produttori di mais del Nord Italia registra il 66 per cento di opinioni favorevoli. Poi c'è il paradosso incredibile dell'import: il 90 per cento dei mangimi importati sono biotech e vanno ad alimentare la filiera zootecnica,

compresa la produzione dei formaggi e prosciutti Dop» -:
quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di monitorare l'importazione di prodotti biotech in Italia, destinati soprattutto all'agricoltura e alla filiera zootecnica;
quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di creare una normativa adeguata per quanto riguarda la ricerca e lo sviluppo di prodotti biotech da utilizzare all'interno della filiera agricola italiana, in grado anche di poter attirare investimenti europei nel nostro Paese.
(4-15418)

JANNONE. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
nei giorni scorsi il quotidiano Il Sole 24 Ore ha pubblicato una classifica degli atenei «fuorilegge» per il carico di tasse imposto agli studenti. Al top di questa classifica (al secondo posto) si trova l'università di Bergamo, che richiede il 35,5 per cento di contribuzione agli studenti rispetto al finanziamento dello Stato. La legge imporrebbe che le tasse non superino una somma pari al 20 per cento del contributo ricevuto dall'ateneo sotto forma di finanziamento ordinario;
l'ateneo di Bergamo è al secondo posto anche di un'altra classifica, quella degli atenei che ricevono meno contributi dallo Stato per ogni studente: 2.422 euro a studente contro una media di 4.000 euro a livello nazionale (Sassari 5.376 euro, Siena 7.131 euro). Il sottofinanziamento è dovuto al fatto che il Fondo di finanziamento ordinario (FFO) viene calcolato su parametri fermi da almeno un decennio; in questo periodo l'ateneo orobico è cresciuto sia in termini di numero di studenti, di docenti, che di offerta formativa e spazi. Dalle stime fatte, lo Stato dovrebbe provvedere a finanziare 15 milioni di euro dei 35 totali del bilancio del suddetto ateneo;
l'università di Bergamo si pone tra gli atenei più virtuosi del nostro Paese, sempre dalle classifiche stilate da Il Sole 24 Ore. Le imposte pagate dagli studenti potrebbero essere ridotte se lo Stato finanziasse in modo adeguato l'ateneo; inoltre, con le risorse adeguate, si potrebbe ampliare ulteriormente l'offerta formativa. Lo stesso rettore Paleari ha denunciato più volte l'iniquità dei finanziamenti relativi all'ateneo bergamasco, pertanto si rende necessario l'intervento del Ministro interrogato, innanzitutto per adeguare il fondo FFO ai parametri attuali, compensando così il finanziamento dell'Università di Bergamo -:
quali interventi il Ministro intenda adottare al fine di dare subitanea applicazione all'articolo 11 «Interventi perequativi per le università statali» della legge n. 240 del 2010 recante «Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario»;
quali interventi il Ministro intenda adottare al fine di convocare un tavolo di confronto fra le istituzioni (comune di Bergamo, provincia, università), che possa affrontare la tematica in modo collegiale.
(4-15419)

BINETTI, CALGARO e MOSELLA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
in questi giorni i Monopoli di Stato hanno inviato a 70.000 studenti un DVD per una campagna d'informazione sui rischi del gioco d'azzardo;
l'iniziativa in teoria meritoria risulta inficiata dagli incredibili contenuti dei messaggi presenti nel DVD, che, invece, di fare opera di dissuasione, sembrano indirizzare e stimolare il giovane verso un gioco di azzardo «moderato»;

non è chiaro chi abbia scritto i testi del DVD ma certamente questi testi non solo non raggiungono l'obiettivo di allontanare i giovani dal gioco, ma sembrano spingere verso di esso;
frasi come «Evolve chi si prende una giusta dose di rischio, mentre è punito chi non rischia mai o rischia troppo» o «ci si attacca alla rete, al cellulare, alla slot machine o ai videopoker parcheggiati nei bar per dare risposta al primordiale bisogno di vincite che l'essere umano ha in sé», non solo non appaiono utili alla dissuasione, ma anzi sembrano incoraggiare apertamente il gioco d'azzardo;
anche le risposte ad un test interattivo presente nel DVD non possono non lasciare sconcertati. Chi non apprezza il gioco d'azzardo, infatti, si sente dire «lo spirito del bacchettone aleggia sulla tua testa (...); il gioco è rischio e a te i rischi non piacciono. Meglio aggirare l'ostacolo. Così facendo, però, perdi tutte le sfumature della vita»; chi, invece, mostra di apprezzare il gioco può leggere che «tutto sommato hai una buona idea di cosa sia il gioco (...). Poco non fa male nemmeno il veleno», ed altre assurdità simili;
appare, quindi, evidente che con questa campagna lo Stato si fa promotore o complice di indicazioni fuorvianti nei confronti dei minori;
infatti, i giovani, soprattutto quelli meno scolarizzati, sono i più esposti al rischio di sviluppare dipendenze patologiche dal gioco d'azzardo, come dimostrano anche le statistiche, che evidenziano come i giovani siano la seconda categoria a rischio di ludopatia dopo i disoccupati;
è certo positivo che i Ministri Riccardi e Balduzzi si siano detti pronti ad intervenire per vietare, o almeno ridurre, gli spot pubblicitari televisivi che invitano al gioco d'azzardo;
questa volontà, però, cozza con una iniziativa come quella riportata dagli interroganti, che non può non confondere i giovani, i quali, invece, necessitano di parole di grande chiarezza e linearità per la loro educazione -:
se il Ministro interrogato non intenda, per quanto di sua competenza, intervenire per far ritirare il DVD dalle scuola, o, comunque, per impedirne l'ulteriore diffusione, in modo almeno da limitare i danni di una pubblicazione che non si esita a definire scriteriata.
(4-15425)

PALAGIANO, DI GIUSEPPE e ZAZZERA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il comma 622 della legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007), relativamente all'obbligatorietà dell'istruzione scolastica, stabilisce il regime di gratuità della stessa «ai sensi degli articoli 28, comma 1, e 30, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226»;
di conseguenza sul portale istituzionale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si legge che «in ragione dei principi di obbligatorietà e di gratuità, non è dunque consentito imporre tasse o richiedere contributi obbligatori alle famiglie di qualsiasi genere o natura per l'espletamento delle attività curriculari e di quelle connesse all'assolvimento dell'obbligo scolastico (fotocopie, materiale didattico o altro) fatti salvi i rimborsi delle spese sostenute per conto delle famiglie medesime (quali ad esempio assicurazione individuale degli studenti per RC e infortuni, libretto delle assenze, gite scolastiche, ecc...). Eventuali contributi per l'arricchimento dell'offerta culturale e formativa degli alunni possono dunque essere versati dalle famiglie solo ed esclusivamente su base volontaria»;
negli ultimi anni, a causa dei drastici tagli all'istruzione pubblica messi in atto dal Governo centrale, molti istituti non riescono a garantire un servizio scolastico efficiente e si fa sempre maggiore ricorso ai contributi economici delle famiglie;

molte, però, sono le irregolarità segnalate sulle modalità di richiesta di tali contributi che sembrano minacciare, più o meno velatamente, ritorsioni sul voto degli studenti e sulla promozione in caso di mancato pagamento;
la denuncia è arrivata dal portale Skuola.net che, per il secondo anno consecutivo, ha segnalato, con tanto di dettagliato dossier, al Ministro interrogato diversi episodi di singolari richieste di contributi scolastici;
in particolare dall'inchiesta di Skuola.net - ripresa da diversi organi di stampa nazionali - è emerso che, ad esempio, all'istituto tecnico Fazzini Mercantini di Grottammare (Ascoli Piceno), si richiede un contributo di 80 euro per l'iscrizione e nella stessa domanda si legge che «la mancata presentazione sarà considerata un'infrazione disciplinare a tutti gli effetti, con ripercussioni sulla valutazione del comportamento e quindi, sulla media dei voti e sull'ammissione alla classe successiva»;
la dirigente scolastica del suddetto istituto ha smentito tale pericolo di infrazione disciplinare, ma l'avviso arrivato alle famiglie non era evidentemente troppo chiaro in proposito;
in altre scuole il contributo richiesto arriva a cifre molto più alte, fino a picchi di 300 euro come - sempre secondo l'indagine di Skuola.net - all'Ipsar Tor Carbone di Roma, che prevede addirittura una doppia tariffazione: 240 euro per tutti, che diventano 300 euro per i ripetenti;
all'istituto alberghiero Stringher di Udine si richiedono 250 euro, nei quali non sono comprese le divise, che si pagano a parte e costano altri 160 euro;
quelli segnalati non sembrano essere gli unici tre casi e già lo scorso anno il Ministero interrogato, per voce del capo dipartimento per le risorse umane e finanziarie, Giovanni Biondi, aveva affermato con forza che le scuole non hanno alcun diritto di chiedere denaro in forma obbligatoria alle famiglie. Chi lo farà verrà segnalato dal Ministero agli uffici scolastici regionale perché si prendano i provvedimenti necessari per eliminare la richiesta;
è evidente che tale monito non è stato ascoltato da tutti gli istituti italiani e che la richiesta di contributo - che sembra, a tutti gli effetti, un'imposizione - specie in un momento di grave crisi economica come quella che si sta attraversando, rischia di mettere in difficoltà numerose famiglie e soprattutto di compromettere il diritto allo studio sancito dalla nostra Costituzione;
pur comprendendo la difficoltà degli istituti scolastici a garantire un servizio adeguato a causa del taglio dei fondi messo in opera dal precedente Governo, agli occhi degli interroganti, appare quanto mai illegittima, nonché potenzialmente discriminatoria, la richiesta di contributi economici obbligatori alle famiglie -:
se sia a conoscenza della situazione esposta in premessa e quali iniziative intenda disporre, in base alle proprie competenze, per mettere fine a questa spiacevole ed imbarazzante situazione, che lede il diritto allo studio dei cittadini italiani.
(4-15439)

ROSATO. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
sono molte le criticità nell'ambito della scuola a seguito del taglio del personale docente di 20.000 unità, del personale non docente di 14.000 e l'aumento del numero di alunni per classe, disposti con circolare ministeriale 21 del 14 marzo 2011;
le difficoltà sono molteplici perché il taglio disposto per l'anno scolastico in corso è seguito a due precedenti degli anni scorsi di 67.000 e 43.000 posti;
nella provincia di Pordenone si è costituito un comitato spontaneo di genitori che segue e segnala le problematiche che emergono nelle scuole del territorio;

le carenze segnalate in un incontro presso la prefettura di Pordenone nel mese di luglio 2011, riguardavano per le sole scuole primarie e secondarie di primo grado: il taglio di 104 posti docenza, l'aumento delle classi fino a 31 unità, la riduzione di 16 amministrativi, 4 tecnici e 56 bidelli, la riduzione del tempo scuola caro soprattutto alle famiglie dei comuni minori della provincia;
nelle scuole dell'infanzia si evidenziavano 290 bambini in lista d'attesa, molti dei quali anticipatari, e alcune sezioni nelle quali era presente una sola maestra anziché due;
sono molti gli atti di protesta e dimostrativi portati avanti dai genitori del comitato spontaneo, tra i quali: una raccolta firme sottoscritta da oltre 3.000 famiglie, il ricorso presentato al TAR del Lazio avverso la circolare ministeriale 21 che ha visto l'adesione di 2.049 genitori e uno sciopero della fame di tre giorni, nel giugno 2012 effettuato all'ingresso dell'ufficio scolastico provinciale di Pordenone;
il comitato è stato accolto e ascoltato da molte istituzioni o non del pordenonese primi fra tutti i sindacati della scuola e il prefetto, ma non sono mai stati ricevuti dal direttore dell'ufficio scolastico regionale per il Friuli Venezia Giulia nemmeno su loro esplicita richiesta;
dopo l'incontro svolto in prefettura, durante il quale le famiglie hanno potuto depositare le firme raccolte tra i genitori, è stato lo stesso prefetto a scrivere una lettera con un elenco di doglianze, la lista dei problemi raccolti al tavolo di confronto con sindacati e comitato spontaneo, al direttore dell'ufficio scolastico regionale per il Friuli Venezia Giulia;
il comitato spontaneo ha portato avanti delle proteste anche contro il direttore dell'ufficio scolastico regionale che non aveva ascoltato e non aveva ricevuto una rappresentanza di questi genitori che chiedevano un tavolo di confronto e delle risposte alle criticità sollevate;
durante l'evento di «Pordenone legge 2011», il 18 settembre 2011, due mamme del comitato hanno sostato in piazza XX settembre a Pordenone con due cartelli che riportavano due immagini del direttore dell'ufficio scolastico regionale, Daniela Beltrame, alterate con l'innesto di due orecchie d'asino;
risulta all'interrogante che il direttore dell'ufficio scolastico regionale abbia presentato querela nei confronti delle due mamme per il reato di diffamazione per le immagini alterate e per le frasi «di dileggio» riportate attorno alla figura;
posto che il diritto a manifestare il proprio pensiero è costituzionalmente tutelato e che, talvolta, l'esasperazione di alcune famiglie può portare la protesta ad atti dimostrativi sensazionali che hanno l'obiettivo, però, non di denigrare ma di attirare l'attenzione o di criticare alcune posizioni,appare all'interrogante inopportuno che il direttore di un ufficio scolastico regionale stia in giudizio, seppure in veste personale, proprio contro alcuni genitori di un comitato spontaneo della scuola;
sarebbe anzi auspicabile che il direttore dell'ufficio scolastico regionale, proprio per il ruolo di rappresentanza del Ministero sul territorio che svolge, ritiri la querela alle due mamme manifestanti in ragione del fatto che il Ministero ha interesse che sul territorio non vi siano contrasti tra le istituzioni e i cittadini -:
quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato, per quanto di propria competenze, per riportare un clima di maggiore serenità favorendo così il superamento della situazione descritta nelle premesse.
(4-15448)

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LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:

CAVALLOTTO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello

sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il Golden Palace, unico hotel di lusso a 5 stelle nel centro di Torino, una delle eccellenze della «Torino Olimpica 2006», sta languendo nell'indifferenza generale della città e delle istituzioni locali;
a seguito delle vicende giudiziarie che hanno coinvolto l'imprenditore Amato Ramondetti, tutte le società del Gruppo THI sono fallite e tanti lavoratori hanno perso il lavoro; solo il Golden Palace è riuscito a rimanere aperto, grazie soprattutto all'impegno ed al lavoro dei propri dipendenti, nella speranza che si facesse avanti qualche imprenditore che rilevasse la struttura;
purtroppo così non è stato e la MAPI SpA ha ottenuto la gestione dell'esercizio alberghiero, aggiudicandosi l'asta pubblica per soli euro 180.000;
tale società sarebbe stata creata in occasione dell'asta pubblica, stabilendo la propria sede presso l'albergo stesso (come da visura camerale), peraltro addirittura prima della formale aggiudicazione, costituita da due imprenditori e facente capo ad una società immobiliare (Antoitalia Networking), specializzata nell'intermediazione, consulenza e gestione relative a vendite e frazionamenti di immobili;
il piano di ristrutturazione della MAPI prevede numerosi tagli occupazionali, licenziando 15 dipendenti qualificati, chiudendo la Spa eliminando i reparti interni di manutenzione, dell'economato e dell'amministrazione, la terziarizzazione del reparto housekeeping (che ad oggi conta 13 dipendenti), affidandoli a cooperative esterne e rinegoziando al ribasso il contratto del personale rimanente;
dalla scorsa settimana i lavoratori del Golden Palace hanno proclamato lo sciopero -:
quali iniziative ritengano opportuno adottare, anche in termini di moral suasion, a salvaguardia dei livelli occupazionali dei dipendenti interessati nonché di una struttura simbolo della città di Torino.
(5-06474)

FEDRIGA e CAPARINI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
Italcementi, gruppo che opera nel settore della produzione leganti idraulici occupando complessivamente 2.448 unità lavorative, il 12 gennaio 2012 ha presentato istanza di esame congiunto per richiesta di cassa integrazione guadagni straordinaria per crisi aziendale della durata di 12 mesi;
la crisi che investe la società è correlata alla crisi del settore edilizio e dei materiali da costruzione, che nell'ultimo triennio ha registrato una caduta di volumi di commercializzazione del 30 per cento ed una riduzione delle vendite dei leganti idraulici intorno ai 3.000.000 di tonnellate annue;
Italcementi, per fronteggiare le difficoltà derivanti dalla contrazione di mercato, ha proceduto finora ad una razionalizzazione della matrice distributiva, chiudendo 7 centri di macinazione ed 8 centri di consegna; inoltre ha fermato le linee di cotture di Bordo San Dalmazzo e proceduto a diverse sospensioni temporanee presso le varie sedi;
tali interventi, tuttavia, non sono stati sufficienti ad un riequilibrio accettabile dell'andamento economico-gestionale dell'azienda e, pertanto, in accordo con le parti, la società ha optato per il ricorso alla cassa integrazione guadagni straordinaria, quale strumento più consono per un piano di risanamento e per la gestione delle eccedenze;
il verbale di accordo prevede la cassa integrazione guadagni straordinaria per 198 unità lavorative distribuite sul territorio nazionale ed i lavoratori da sospendere a zero ore settimanali, e in rotazione,

verranno individuati in base alle specifiche esigenze tecnico-organizzative e produttive aziendali;
l'azienda, dal canto suo, nel periodo di cassa integrazione guadagni straordinaria si è impegnata a ricollocare i lavoratori presso altre imprese presenti sul territorio, a formare e riqualificare il personale, ad attivare procedure di mobilità, a realizzare progetti di autoimprenditorialità e al raggiungimento dei requisiti pensionistici -:
se e quali iniziative urgenti di propria competenza il Governo intenda attuare per sostenere il rilancio del settore dell'edilizia e quali iniziative ritenga opportuno adottare, anche in termini di moral suasion, a salvaguardia dei livelli occupazionali di tutti gli stabilimenti di Italcementi, tenendo prioritariamente in considerazione quei lavoratori che, terminato il periodo di cassa integrazione guadagni straordinaria rischiano di rimanere disoccupati e privi di alcuna copertura reddituale se non accompagnati da una precisa pianificazione di ricollocazione aziendale.
(5-06476)

Interrogazione a risposta scritta:

VACCARO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
dalla prima indagine condotta dall'Istat per indagare il fenomeno della violenza fisica e sessuale contro le donne, effettuata nel 2006 attraverso interviste telefoniche su un campione di 25.000 donne tra i 16 e i 70 anni su tutto il territorio nazionale e pubblicata nel 2007, emerge che le donne vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della loro vita sono stimate in 6 milioni 743 mila, corrispondenti al 31,9 per cento della classe di età considerata;
nella stessa indagine emerge come dato preoccupante l'alta percentuale di violenza domestica: 2 milioni 938 mila donne hanno subito violenza fisica o sessuale dal partner attuale o dall'ex partner, pari al 14,3 per cento delle donne che hanno o hanno avuto un partner nel corso della vita. Nella maggior parte dei casi la violenza subita nel corso della vita è stata solo fisica (57,0 per cento), nel 15,8 per cento solo sessuale, nel 27,2 per cento fisica e sessuale;
la maggioranza delle donne vittime di violenza domestica sceglie di non denunciarla: il violenze fisiche e sessuali rimangono, infatti, occultate;
i dati sono impressionanti anche per quanto riguarda la violenza commessa non dal partner, che riguarda 5 milioni 221 donne, il 24,7 per cento della popolazione femminile. Circa il 28 per cento delle violenze da non partner si verifica sui mezzi pubblici, in stazioni o aeroporti, il 16,8 per cento in strada, il 14,6 per cento in un'abitazione, in particolare l'8,9 per cento a casa della vittima, il 3,6 per cento in casa dell'autore della violenza e il 2,1 per cento in casa di altri. Inoltre, l'11 per cento delle violenze si verifica al lavoro, il 12,7 per cento in un pub, discoteca, cinema o teatro, il 4,3 per cento in automobile o in un parcheggio, il 4,5 per cento in spazi aperti come un parco, un giardino pubblico, al mare, il 2,5 per cento a scuola o negli spazi attinenti, l'1,3 per cento in negozi o uffici pubblici e l'1,1 per cento presso studi medici o strutture sanitarie;
anche per quanto riguarda le violenze commesse non dal partner la percentuale di chi resta in silenzio è altissima: solo il 4 per cento ha denunciato gli abusi alle forze dell'ordine, mentre un quarto (1 milione 23 mila donne) delle donne sceglie addirittura di non parlarne con nessuno;
2 milioni 77 mila donne (il 18,8 per cento del totale) sono vittime di stalking da parte dell'ex partner; l'Osservatorio nazionale sullo stalking ha reso noto che, poiché uno stalker su tre continua a perseguitare la vittima, spesso con maggiore intensità, le denunce da parte delle donne sono in calo del 25 per cento;
l'allarme violenza colpisce anche le giovanissime: 1 milione 400 mila donne

hanno subito violenza sessuale prima dei 16 anni, il 6,6 per cento del totale;
su 10 casi di violenza, 7,5 sono stati preceduti da denunce a forze dell'ordine o agli operatori sociali, evidenziando una forte e grave inadeguatezza da parte dello Stato -:
quali iniziative urgenti intenda adottare per fermare quello che le Nazioni Unite, riferendosi al nostro Paese, hanno definito «femminicidio» e quali misure intenda promuovere per dar vita a un profondo cambiamento culturale che educhi al rispetto della donna e alla parità di genere in tutte le sfere della società.
(4-15437)

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POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta scritta:

JANNONE. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
da molto tempo l'agricoltura italiana è afflitta dalla volatilità dei prezzi e dall'aumento dei costi a danno della redditività. La diversificazione delle attività ha rappresentato la risposta per adattarsi ai mutamenti del mercato. Dapprima con i prodotti innovativi (IV/V gamma), i prodotti salutistici, l'agriturismo. Oggi con l'energia. Tutte attività complementari per integrare il reddito e preservare il patrimonio. La creazione di una robusta filiera agroenergetica infittisce, infatti, le interdipendenze con gli altri settori dell'economia nazionale e dà una risposta concreta al rischio di abbandono di terreni, particolarmente nel Meridione. Investire nel campo delle biomasse serve a mettere l'agricoltura in regime di sicurezza economica in un'ottica di salvaguardia ambientale, grazie al bassissimo impatto inquinante di questo tipo di produzione energetica;
in Italia esistono circa 12,8 milioni di ettari di superficie agricola utilizzata, di cui 7,3 di superficie seminativa (dati Istat 2010): per il biogas a fine 2012 si prevedono circa 800 megawatt installati. L'obiettivo, secondo il Piano energetico nazionale, è di arrivare al 2020 a 1.200 megawatt. Ne mancano, quindi, 400. Ipotizzando che, di questi, circa 300 saranno alimentati da colture dedicate, e utilizzando il parametro di circa 300 ettari per megawatt, la superficie complessiva necessaria sarà di 90 mila ettari (corrispondenti allo 0,7 per cento della superficie agricola utilizzata e all'1,2 per cento di quella a seminativo); per le biomasse il Piano nazionale prevede 1.640 megawatt contro i 1.100 del 2011. La quota alimentata con colture dedicate è previste in circa 350 megawatt (escludendo quelle alimentate da rifiuti). Una produzione che richiede circa 140 mila ettari (l'1,1 per cento della superficie agricola e l'1,9 per cento di quella seminativa). Sullo scenario delle filiere agro-energetiche si manifestano alcuni preconcetti. Il primo è che la produzione di energia sottrae terra alle coltivazioni destinate all'alimentazione. In alcune limitate, e specifiche, aree, si sono create situazioni di stress, derivanti dal numero di impianti e dalle attività zootecniche a cui si riferiscono. Queste distorsioni, tuttavia, non devono influenzare la definizione degli incentivi. Una scelta «al ribasso» limiterebbe la diffusione degli impianti a biomassa soprattutto nel centro-sud, pregiudicando alternative colturali stabili e importanti. Il secondo pregiudizio si basa sull'affermazione che la filiera agro-energetica assorbe ingenti incentivi. Il costo d'incentivazione della produzione nazionale di energia elettrica, stimato per il periodo compreso tra il 2010 e il 2020, è pari a 100 miliardi di euro, mentre si stima che nel 2020 la spesa prevista per le rinnovabili inciderà per un valore compreso tra i 10 e i 12 miliardi. Gli incentivi previsti per la filiera agro-energetica sono i seguenti: 540 milioni di euro all'anno per

il biogas, 537 per le biomasse. Per un totale di 1,08 miliardi di euro, meno del 10 per cento degli incentivi dedicati alle rinnovabili;
il fabbisogno teorico di superficie consiste in 90 mila ettari per il biogas e altri 140 mila per le biomasse per un totale di 230 mila ettari, pari all'1,8 per cento della superficie agricola utilizzabile e al 3,1 per cento di quella seminativa. A livello nazionale, quindi, le filiere agro-energetiche non risultano impattanti sulle produzioni alimentari; bloccarne l'incentivazione significherebbe rinunciare a investimenti importanti per il settore industriale nazionale e ancor più per quello agricolo. Inoltre lo sviluppo delle filiere agro-energetiche nel nostro Paese presenta rilevanti benefici in termini di ricadute occupazionali nel comparto industriale e agricolo: si prevede infatti la creazione di circa 75 mila nuovi posti di lavoro entro il 2020. Non investire nel settore delle rinnovabili esporrebbe l'Italia ad una permanente dipendenza energetica. Infine, il crescente dissesto idrogeologico dei nostri territori impone di creare condizioni di permanenza sugli stessi delle popolazioni rurali. Lo sviluppo delle fonti rinnovabili può costituire un'indispensabile forma di integrazione reddituale per gli operatori, stabilizzandone l'attività a beneficio dell'intera collettività -:
quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di incentivare la creazione di impianti per la generazione di energie alternative, preservando il territorio e gli insediamenti in esso esistenti.
(4-15421)

NASTRI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
alla vigilia del Vinitaly di Verona, che rappresenta un appuntamento di livello internazionale per i produttori, importatori, distributori, ristoratori, tecnici, giornalisti e opinionisti del settore provenienti da tutto il mondo, il Ministro interrogato, secondo quanto pubblicato dal quotidiano: «Il Giorno», il data odierna, ha evidenziato come il sistema agroalimentare rappresenti nel complesso il 15 per cento del Pil, sviluppando un fatturato di quasi 250 miliardi di euro all'anno e il Governo, seppure in un contesto difficile, stia intervenendo a favore del settore;
nel medesimo articolo, il Ministro interrogato, ha nuovamente confermato come sia necessario intervenire sull'Imu (l'Imposta municipale unica) agricola, in considerazione che tale misura tributaria di carattere emergenziale, che ha imposto pesanti sacrifici al comparto agricolo, stia gravando pesantemente sulla pressione fiscale complessiva delle imprese interessate;
il Ministro ha inoltre affermato che il prossimo aumento dell'Iva previsto di 2 punti in percentuale, a partire dal 1o ottobre del 2012 rientri tra le misure adottate, in un contesto altrettanto emergenziale, che il Governo ha dovuto affrontare a cui certamente dovranno essere escogitate soluzioni per stimolare i consumi e tutelare le famiglie;
il settore vinicolo conseguentemente sarà direttamente colpito dall'ulteriore aggravio fiscale, la cui aliquota ordinaria, attualmente pari al 20 per cento, rientra tra la tipologia dei beni voluttuari, che mortifica a giudizio dell'interrogante, un prodotto di consumo quotidiano, che da secoli è parte della nostra tradizione e che oltretutto è inserito a pieno titolo nella dieta mediterranea, riconosciuta patrimonio mondiale dell'umanità;
secondo l'interrogante, occorre non soltanto rivedere la norma che stabilisce l'aumento dell'imposta sul valore aggiunto nel settore agroalimentare con particolare riferimento al settore vinicolo, sopprimendo l'imminente aumento, ma ridurre definitivamente la medesima imposta quanto meno al 10 per cento, il cui effetto si rifletterebbe positivamente sui consumatori, oltre a dare un tangibile segno di attenzione nei confronti di un settore che, con i suoi 4 miliardi di euro di fatturato

export rappresenta uno di pochi in attivo della bilancia agroalimentare, e che garantisce occupazione per oltre 1,2 milioni di persone che quotidianamente valorizzano il comparto vitivinicolo nazionale che costituisce una delle eccellenze mondiali del made in Italy in campo agroalimentare -:
quali orientamenti nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
se non ritengano opportuno, compatibilmente con le risorse finanziarie a disposizione e i vincoli di bilancio nazionali, nonché le disposizioni previste dall'ordinamento comunitario in ambito di applicazione di regime fiscale agevolato, assumere un'iniziativa normativa volta a rivedere la categoria del settore vitivinicolo, affinché l'aliquota Iva a favore del comparto vinicolo, possa rientrare nell'aliquota del 10 per cento come previsto per la maggior parte dei generi del settore alimentare.
(4-15434)

RAMPI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
in data 16 giugno 2011 l'interrogante ha presentato interrogazione a risposta scritta 4-12353 al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali avente come oggetto la situazione di sofferenza in cui versa il comando provinciale di Novara del Corpo forestale dello Stato a causa della forte carenza di personale e di risorse, evidenziando le condizioni estreme in cui gli uomini del Corpo sono costretti ad operare, nonché il conseguente rischio di chiusura dei comandi stazione;
nel corso di un incontro svoltosi presso la prefettura di Novara nel mese di luglio dello scorso anno, il sottosegretario alle politiche agricole, onorevole Rosso, ha fornito ampie rassicurazioni circa la volontà del Governo di sanare la situazione e garantire il rafforzamento delle suddette strutture;
in data 7 novembre 2011 nell'allegato B della seduta n. 546 è stata pubblicata la risposta scritta fornita dal Ministro pro tempore Francesco Saverio Romano, all'interrogazione 4-12353;
ad oggi la situazione risulta aggravata da ulteriori vuoti di organico determinati da trasferimenti di personale, con pesanti ricadute sullo svolgimento del servizio e sul controllo del territorio che non può essere garantito in modo adeguato;
in data 1o marzo 2012 si è concluso il corso di formazione per vice ispettore forestale tenutosi presso la scuola di formazione di Cittaducale (Rieti), ma dei 182 ispettori forestali che hanno completato la prevista formazione, nessuno è stato assegnato al comando di Novara -:
se, a fronte della situazione estrema evidenziata in premessa e denunciata anche dalle organizzazioni sindacali del settore, come si evince dal comunicato stampa del coordinamento provinciale Uil pubblica amministrazione - comparto sicurezza - del 5 marzo 2012, il Ministro intenda intervenire;
quali siano le azioni che intenda compiere nell'immediato per sopperire, almeno in parte, alle criticità presenti nell'area geografica oggetto della presente interrogazione per evitare che i livelli minimi di dotazione organica raggiunti possano minare alle radici la missione e la ragion d'essere del Corpo forestale dello Stato nella provincia di Novara.
(4-15443)

TESTO AGGIORNATO AL 4 APRILE 2012

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SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:

IANNUZZI. - Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
la costituzione della facoltà di medicina e chirurgia presso l'università degli

studi di Salerno è stata, dopo anni di lavoro e di vive attese della comunità locali, il risultato di un lungo qualificato e tenace percorso, che si è svolto nel segno della intesa e preziosa collaborazione istituzionale fra l'università salernitana, i Governi nazionali che si sono susseguiti, la regione Campania, la provincia di Salerno, il comune capoluogo ed altre istituzioni locali, la Camera di commercio e l'azienda ospedaliera di Salerno, l'ordine dei medici di Salerno;
la nuova facoltà si è subito segnalata nel panorama universitario nazionale per il prestigio del corpo docente, per la qualità delle attività didattiche, per l'elevato livello di formazione degli studenti con una progressiva, significativa e rilevante crescita del numero di posti per i corsi di laurea, assegnati dal Ministero alla facoltà salernitana, che sono saliti negli anni da 50 agli attuali 200;
nel prossimo giugno i primi laureati completeranno il corso di studio e conseguiranno le prime lauree in medicina e chirurgia presso la facoltà Salernitana;
ciononostante, non è ancora intervenuto il decreto interministeriale, adottato di concerto fra i Ministri della salute, dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dell'economia e delle Finanze, necessario - alla stregua delle previsioni del decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517, «Disciplina dei rapporti fra Servizio Sanitario Nazionale ed Università, a norma dell'articolo 6 della legge 30 novembre 1998, n. 419» - per la creazione dell'azienda ospedaliera, attraverso la trasformazione dell'azienda ospedaliera «San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona» di Salerno, nella quale insiste la prevalenza del predetto corso di laurea in medicina e chirurgia;
infatti, ai sensi dell'articolo 2, comma 2, lettera b) del suddetto decreto legislativo n. 517/1999, la collaborazione fra l'università e sistema sanitario nazionale si realizza attraverso aziende ospedaliere universitarie aventi autonoma personalità giuridica, denominate, nella ipotesi che interessa la facoltà di medicina dell'Università di Salerno, azienda ospedaliera integrata con l'università;
per la nascita dell'azienda ospedaliera universitaria di Salerno occorre, ai sensi dell'articolo 8, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, l'adozione di specifico Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro della salute di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca; tale concerto, nel caso del regime di commissariamento operante per la sanità nella regione Campania, è esteso al Ministro dell'economia e delle finanze;
la richiesta (avanzata sia dall'università di Salerno, sia dalla regione Campania) di adozione del Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è rimasta inevasa e non ne ha avuta risposta risolutiva e positiva da circa due anni;
il protrarsi ulteriore e con altri ritardi, che sarebbero del tutto ingiustificati, di questa situazione di stallo penalizzerebbe e pregiudicherebbe gravemente il processo di crescita così ben iniziato in questi anni, e lo sviluppo complessivo delle attività della facoltà di medicina di Salerno, sia dal punto di vista didattico e scientifico, sia da quello organizzativo ed operativo -:
quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere per l'adozione tempestiva e senza ulteriori, gravi e ingiustificati ritardi, del Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri necessario per la costituzione dell'azienda ospedaliera universitaria di Salerno, ai sensi del decreto legislativo n. 517 del 1999 ed attraverso la trasformazione dell'azienda ospedaliera «San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona» di Salerno essendo a tal fine indispensabile l'immediata proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ed il Ministro dell'economia e delle finanze.
(5-06480)

Interrogazioni a risposta scritta:

GRANATA. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
nel mese di febbraio era previsto l'arrivo in Italia di 900 scimmie provenienti dalla Cina e destinate alla sperimentazione in laboratorio presso la società Harlan di Correzzana (Monza e Brianza);
agli occhi dell'interrogante l'accaduto è apparso, fin da subito, non degno di un Paese civile e quanto mai in contrasto con la nostra cultura della vita;
secondo quanto dichiarato dal Ministero della salute, già in data 21 febbraio 2012, un primo gruppo di 104 esemplari è stato trasferito nello stabilimento di Correzzana, centro che si occupa di allevamento e vendita di animali destinati a laboratori di vivisezione, università pubbliche e private e a centri di ricerca per fini scientifici o sperimentali;
l'autorizzazione all'importazione delle scimmie è stata rilasciata dal Ministero della salute in data 31 gennaio 2012, ha durata annuale e prevede l'importazione in Italia di 900 scimmie in «lotti» di massimo 156 esemplari per volta;
dopo le vibranti proteste di associazioni di animalisti, mobilitatesi contro la vivisezione, cui si sono aggiunte le critiche di un parte significativa del mondo scientifico (da segnalare l'opposizione del professor Umberto Veronesi), il Ministro della salute ha disposto una verifica immediata del rispetto delle procedure previste dalla vigente normativa per quanto riguarda l'ingresso in Italia di primati destinati alla sperimentazione scientifica, in relazione sia alle condizioni di viaggio sia al trattamento degli animali in Italia;
sulla vicenda dei macachi destinati alla sperimentazione in laboratorio è stata peraltro avviata un'inchiesta conoscitiva dalla procura di Monza la quale ha aperto un fascicolo a modello 45, senza ipotesi di reato né indagati;
secondo notizie di stampa, le proteste avrebbero provocato la decisione della Harlan di interrompere l'importazione dei primati;
dopo questo ennesimo episodio, risulta ad oggi quanto mai necessario aprire in Italia una seria riflessione sulla opportunità di mettere fine alla riprovevole pratica della sperimentazione e della vivisezione animale, con ogni probabilità neanche più necessaria ai fini scientifici -:
quali siano le condizioni di salute, il trattamento attualmente riservato ai 104 esemplari già importati dalla Harlan, quali siano gli esiti dei controlli effettuati presso lo stabilimento di Correzzana e come intenda operare il Governo in futuro per affrontare casi simili e più in generale la tematica della sperimentazione su animali.
(4-15430)

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riferito da agenzie di stampa e siti internet di informazioni un uomo di 68 anni è morto nella notte al pronto soccorso dell'ospedale del ceppo di Pistoia, a causa di un errore commesso da un'infermiera, che avrebbe reciso erroneamente con le forbici con cui stava tagliando i pantaloni anche il cavo esterno che alimenta il dispositivo di supporto ventricolare Vad (Ventricular assestement device) che gli era stato impiantato da tempo al San Raffaele di Milano;
secondo quanto ricostruito, l'anziano cardiopatico era arrivato al pronto soccorso con difficoltà respiratorie e scompenso cardiaco. Come prevede il protocollo, gli stato inserito un catetere: durante questa operazione, sarebbe stato reciso il cavo del macchinario che teneva in vita il 68enne -:
quale sia l'esatta dinamica del grave incidente e se intenda, nell'ambito delle proprie responsabilità e prerogative, acquisire elementi in relazione a quanto descritto in premessa per quanto accaduto.
(4-15431)

MORONI. - Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il 1o agosto 1990 i responsabili politici di oltre 30 Paesi adottavano a Firenze la dichiarazione degli innocenti sulla protezione, promozione e sostegno dell'allattamento materno che prevedeva, esplicitamente l'istituzione di un Comitato nazionale multisettoriale per l'allattamento al seno;
l'Italia ha sottoscritto la dichiarazione citata ed il Ministero della salute ha istituito il Comitato nazionale multisettoriale per l'allattamento materno con il decreto 15 aprile 2008, integrato successivamente per permettere la partecipazione di due membri del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
il Comitato, nelle intenzioni del legislatore, ha la funzione di proposta e di orientamento allo scopo di facilitare il buon funzionamento di una rete nazionale di protezione, promozione e sostegno all'allattamento materno;
il Comitato ha durata triennale, si è insediato per la prima volta a febbraio del 2009, presso la direzione generale della sicurezza degli alimenti e della nutrizione, e scadrà ad aprile del 2012;
i membri del Comitato sono indicati dall'articolo 2 dell'integrazione del decreto ministeriale 15 aprile 2008 e il rinnovo del Comitato dovrà avvenire attraverso un nuovo decreto ministeriale che potrà essere di semplice proroga o di rinnovo;
il tema dell'allattamento al seno riguarda aspetti molto delicati legati alla protezione della salute del bambino e della mamma ma anche alla libertà di scelta della donna. Nel nostro Paese evidenziare l'esistenza di criticità per l'allattamento al seno è un tabù. Se una madre decide di non allattare viene additata come una cattiva madre. Ma, così, viene taciuto, colpevolmente, il dolore di allattamenti difficili, il dolore dei sensi di colpa, il dolore di dover rinunciare a scegliere la propria indipendenza -:
se si intenda prorogare o rinnovare il presente Comitato in considerazione di una valutazione dell'operato del Comitato in questi 3 anni, dei costi ad esso collegato, della politica che il Ministero della salute intende perseguire non solo in difesa dell'allattamento al seno ma anche della libertà di scelta per la donna che si trova in condizioni fisiche o psicologiche o in contingenze lavorative che non permettono l'allattamento;
se si intenda aprire il Comitato nazionale multisettoriale per l'allattamento materno anche a uno o più rappresentanti del dipartimento delle pari opportunità per dare corretta rappresentanza alla posizione della libertà di scelta per la donna;
se si intenda aprire il Comitato nazionale multisettoriale per l'allattamento materno anche a uno o più rappresentanti del Ministero dello sviluppo economico per rappresentare il mondo dell'industria e ottemperare in modo più equilibrato ad uno degli obiettivi del Comitato di vigilare sulla corretta applicazione del «Codice internazionale sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno» comprensivo delle successive pertinenti risoluzioni dell'assemblea mondiale della sanità, nonché delle norme nazionali pertinenti.
(4-15438)

TESTO RIFORMULATO

MORONI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il professor Paolo Zamboni, direttore del centro malattie vascolari dell'università di Ferrara, ed il suo gruppo di ricerca hanno avviato studi nel campo della eziopatogenesi e trattamento della sclerosi multipla (SM) concentrandosi in particolare sull'associazione con l'insufficienza venosa cerebro-spinale (CCSVI);
il Consiglio superiore di sanità (CSS), su richiesta del Ministro interrogato, si è espresso il 25 febbraio 2011 su «Insufficienza venosa cerebro-spinale cronica (CCSVI) e sclerosi multipla (SM)»; detto parere del Consiglio superiore di sanità è stato successivamente trasmesso con circolare del Ministro agli assessori regionali alla sanità in data 4 marzo 2011, «affinché se ne tenga conto nella predisposizione delle connesse attività di studio e assistenza»; con tale parere il Consiglio superiore di sanità ritiene: a) che la insufficienza venosa cerebrospinale non possa essere riconosciuta come entità nosologica; b) che, ad oggi, non sia dimostrata la sua correlazione epidemiologica con la sclerosi multipla e, pertanto, l'intervento

di correzione vascolare non può essere indicato nei pazienti affetti da tale patologia; c) che sia necessaria, invece, un'indicazione clinica chiara e netta, indipendentemente dalla presenza o meno di sclerosi multipla, per l'erogazione di misure atte a diagnosticare, monitorare e correggere anomalie dell'apparato vascolare venoso, qualora indicato, a causa di condizioni patologiche ad esse sicuramente riferibili; altresì, ritiene necessario che eventuali procedure di correzione di patologia venosa in pazienti con sclerosi multipla siano effettuate solo ed esclusivamente nell'ambito di studi clinici controllati e randomizzati, approvati da comitati etici;
il Consiglio superiore di sanità ritiene opportuno che sia contrastata ogni finalità puramente speculativa ed economica e che debba essere fatto tutto il possibile per proteggere i pazienti da facili entusiasmi, da speculazioni economiche e dai rischi connessi al trattamento stesso;
il Comitato scientifico della Fondazione italiana sclerosi multipla (FISM) - chiamato a pronunciarsi sul protocollo dello studio Brave Dreams del professor Zamboni - si è espresso con parere negativo sul finanziamento di questo progetto a valle del recepimento delle valutazioni di 4 referee nazionali e internazionali esperti nelle aree della neurologia, sonologia, chirurgia vascolare e neuro-riabilitazione. Il Comitato scientifico della FISM ritiene in sintesi che: a) non c'è evidenza scientifica sul nesso causale tra insufficienza venosa cerebro-spinale e sclerosi multipla tale da giustificare uno studio interventistico; b) non è giustificato condurre una sperimentazione clinica su un gran numero di persone senza aver condotto preliminarmente, come da prassi scientifica, sperimentazioni con un numero più limitato di soggetti; c) non è giustificato sottoporre un gran numero di persone ai possibili rischi di esposizione alle radiazioni di procedure invasive, come la flebografia, o al rischio di altri eventi avversi legati al trattamento di venoplastica;
nonostante la mancanza di evidenze scientifiche la regione Emilia-Romagna avrebbe già da tempo attivato un'azione di fattivo sostegno (assegnazione di euro 2.742.404,63 a titolo di finanziamento a copertura delle spese per la realizzazione della sperimentazione Brave Dreams) all'attività di ricerca del professor Paolo Zamboni, in particolare per rendere rapidamente possibili le ulteriori ricerche cliniche necessarie a valutare l'efficacia clinica del trattamento da quest'ultimo proposto -:
quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministero della salute intenda perseguire per dare concrete risposte ad una comunità di oltre 61 mila malati di sclerosi multipla ad oggi disorientata tra potenziali speranze e il venir meno delle certezze sui più corretti piani terapeutici da adottare;

quali iniziative il Ministero della salute intenda perseguire per l'appropriato utilizzo delle risorse del Sistema sanitario nazionale a fini di ricerca e di supporto a sperimentazioni che non hanno alcuna evidenza scientifica, nonché di verifica che tali risorse non siano distolte da altri capitoli di spesa sanitaria ben più importanti;
quali iniziative di competenza il Ministero della salute intenda attuare per garantire in modo uniforme ed adeguato l'accesso alle cure e alla riabilitazione per le persone con sclerosi multipla su tutto il territorio nazionale. (4-15445)

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SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:

GALLI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
a seguito della segnalazione da parte dell'associazione dei consumatori Asso-Consum di Caltanissetta e da Asso-Consum Calabria nonché da quanto riportato da varie agenzie stampa, si evince che alcune grandi agenzie assicurative tra cui in particolare Ina-Assitalia, stanno abbandonando le regioni del Mezzogiorno d'Italia;
dalle fonti citate in premessa risultano essere state attivate, da parte di alcuni agenti assicurativi, delle azioni di carattere penale nei confronti di Ina-Assitalia, in quanto costretti a non potere stipulare o rinnovare polizze assicurative nel settore automobilistico ai propri clienti anche dal comportamento ineccepibile;
esiste l'obbligo di legge alla copertura assicurativa per tutti i mezzi a motore circolanti;
occorrerebbe attivare tutte le procedure necessarie per evitare che un comportamento per lo meno anomalo non assuma sempre più anche le fattezze di un comportamento discriminante, in quanto attuato da parte di alcuni istituti assicurativi, tra cui Ina-Assitalia, in virtù della regione di appartenenza della propria clientela;
dette scelte aziendali ai sensi del codice del consumo potrebbero rientrare in un ambito di possibile comportamento vessatorio nei confronti dei clienti -:
si intendano assumere iniziative normative volte a dare effettività all'obbligo di contratto, anche attraverso l'inasprimento del sistema sanzionatorio per eventuali violazioni da parte delle compagnie assicuratrici.
(3-02169)

Interrogazioni a risposta scritta:

DAL MORO, BORGHESI, MONTAGNOLI, MARTINI, BRAGANTINI, FOGLIARDI, ALBERTO GIORGETTI, NEGRO, FEDERICO TESTA. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'azienda Compometal srl di Verona produce caldaie e radiatori in ghisa da circa 40 anni, occupando 130 lavoratori;
nel 2009 l'imprenditore storico, Famiglia Biasi, ha ceduto l'azienda ad un nuovo soggetto, signor Garro del Gruppo Zen;
al momento della cessione furono presi i seguenti impegni: la Compometal (Garro) avrebbe dovuto produrre per i successivi 2 anni esclusivamente per Fondver (Gruppo Biasi) mentre la stessa Compometal si impegnava ad effettuare investimenti per ampliare la produzione di prodotti rivolti al mercato dell'automotive;
a fronte di questi impegni i lavoratori accettavano il progetto riducendosi lo stipendio di circa 300 euro lordi mensili e si impegnavano a non rivendicare aumenti salariali collettivi per i successivi 2 anni;
al mese di marzo 2012 la Fondver non è riuscita a mantenere le quote di

mercato. Infatti risultano volumi prodotti per all'incirca 11 mila tonnellate (7 mila tonnellate nel 2011), con un break-even stimato in 15-16 mila tonnellate;
la Fondver ha ritardato pagamenti di fatture, rallentando di conseguenza la disponibilità di cassa della Compometal per l'acquisto di materie prime, produzione e consegna;
il gruppo Garro non ha effettuato gli investimenti previsti, mentre la Fondver ha dato disdetta al rapporto commerciale con la stessa Compometal;
il prodotto, pur condizionato dalla crisi, mantiene comunque una quota di mercato sufficiente a sostenere l'organico attuale;
i lavoratori sono in cassa integrazione guadagni straordinari a zero ore dal 1o gennaio 2012 e dopo aver fatto gli ultimi tre mesi del 2011 in cassa integrazione guadagni ordinaria e cassa in deroga sempre a zero ore;
i lavoratori sono disponibili a operazioni di riqualificazione professionale e contrattazione di percorsi che portino a ottimizzare ulteriormente il processo di produzione;
la chiusura definitiva delle attività della Compometal srl esporrebbe 130 lavoratori altamente specializzati ma con difficili prospettive di ricollocazione, oltre a comportare una grave perdita in termini occupazionali per il territorio del veronese ed uno dei suoi settori produttivi trainanti, quello della termo-meccanica;
le parti sindacali hanno sollecitato senza successo i due gruppi imprenditoriali a trovare un accordo per continuare la produzione e garantire i posti di lavoro;
la provincia di Verona, in accordo con i sindacati, ha già posto in essere azioni di sostegno ai lavoratori, in termini di orientamento e proposta di percorsi formativi e lavorativi, ed è disponibile a cofinanziare iniziative in tal senso -:
quali iniziative, e in quali tempi, i Ministri ritengano di poter adottare, per quanto di competenza, e anche in considerazione della particolare congiuntura economica che sta attraversando il Paese, al fine sia di favorire una soluzione positiva della vertenza che di contribuire al sostegno dei lavoratori in mobilità;
se il Ministro dello sviluppo economico intenda verificare se a livello nazionale o internazionale si possano individuare imprenditori disposti a investire nell'azienda e se, contestualmente, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali ritenga di potersi attivare per quanto di competenza per elaborare processi di reinserimento occupazionale dei lavoratori sul territorio, attraverso strumenti per finanziare outplacement, formazione e altro durante l'utilizzo dei lavoratori dell'ammortizzatore della cassa integrazione straordinaria, per prevenire le difficoltà reddituali e di inserimento lavorativo conseguenti alla mobilità.
(4-15423)

REALACCI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
negli ultimi anni la società Poste italiane Spa ha avviato un processo di razionalizzazione del servizio, procedendo alla chiusura degli uffici postali, alla riduzione degli orari di apertura degli sportelli in diverse aree del territorio nazionale, specie quelle geograficamente più svantaggiate, e infine alla sospensione del servizio «porta-lettere» del sabato;
in particolare sono sempre più numerose segnalazioni da parte dei sindaci di molti comuni toscani, delle comunità montane della regione, dell'Anci Toscana e i disservizi di Poste italiane. Le segnalazioni risultano in prevalenza fatte dagli abitanti dei comuni montani, in particolare quelli piccoli, che storicamente sono i più difficili da servire, ma seri disagi sono segnalati sempre più spesso anche in aree più vaste. Le tipologie più frequenti dei disagi lamentati dall'utenza sono, come già

detto: la riduzione dell'orario di ufficio, la drastica riduzione del servizio di distribuzione della posta, la definiva chiusura dell'ufficio;
è questo il caso dell'ufficio postale della frazione di Ponte a Egola nel comune di San Miniato in provincia di Pisa;
come riportato da articoli recentemente pubblicati sui quotidiani locali Il Tirreno e la Nazione e lamentato anche dall'amministrazione comunale di San Miniato, a partire dal 19 marzo 2012, l'ufficio postale di Ponte a Egola non osserverà più l'apertura pomeridiana dell'ufficio successivamente ad un razionamento del servizio deciso da Poste italiane Spa;
Ponte a Egola è un paese di 6.000 abitanti circa, ma l'ufficio postale in questione effettua servizio anche per le frazioni di San Donato di 2.000 abitanti circa. Molino a Egola di 1.000 circa, Stibbio-San Romano per altri 1.300 abitanti circa. Inoltre questo era l'unico ufficio postale con apertura pomeridiana a servizio di tutta la Val d'Egola, poiché i piccoli uffici presenti il pomeriggio restano chiusi già da diversi anni. A Ponte a Egola risultano infatti due ufficio postali: il primo sito in via della gioventù, il cui orario è stato da poco ridotto, il secondo, in via Gramsci, che conserva l'apertura pomeridiana ma riservato solo alla clientela «PT-Business»;
il contratto di programma tra lo Stato e Poste italiane Spa per l'espletamento del servizio postale universale prevede, quale dovere per la società, quello di conseguire determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste;
la riduzione dell'orario di ufficio sopraccitato, del servizio di distribuzione della posta, per non parlare della chiusura dell'ufficio, comportano spesso un calo incolmabile della qualità del servizio, che, rientrando nel cosiddetto «servizio universale dovrebbe» essere garantito a tutta la cittadinanza -:
come il Ministro intenda intervenire, anche favorendo una concertazione fra la direzione regionale toscana di Poste italiane Spa, e le istituzioni coinvolte, per evitare che decisioni unilaterali assunte dall'azienda arrechino seri disagi agli abitanti dei comuni della regione Toscana al fine di garantire l'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità nel rispetto del contratto di servizio postale universale;
se non ritenga poi utile verificare le negative conseguenze pratiche previste dalle deroghe alla continuità del servizio postale inserite nel contratto di servizio per le realtà più piccole.
(4-15432)

SCANDROGLIO e CASSINELLI. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
la direttiva 2006/123/CE, recepita definitivamente dall'ordinamento italiano con il decreto legislativo 26 marzo 2010 n. 59, in materia di servizi del mercato interno, meglio nota come «direttiva Bolkestein», reca disposizioni miranti a regolamentare la libera circolazione dei servizi tra gli Stati membri e la libertà di stabilimento delle attività economiche di servizi;
le disposizioni sopra citate, con l'obiettivo di salvaguardare l'impatto del commercio ambulante sulle aree pubbliche, introducono significativi limiti all'accesso e all'operatività nel settore, basato sul principio della disponibilità di suolo pubblico destinata dagli strumenti urbanistici all'esercizio dell'attività stessa;
il provvedimento irrigidisce il sistema autorizzatorio, in particolare all'articolo 16, comma 4, del decreto legislativo n. 59 del 2010, in cui non viene riconosciuta la dinamica di proroga automatica ai titoli autorizzatori scaduti, creando delle oggettive difficoltà operative agli oltre 160.000 operatori ambulanti e microimprese operanti nel settore;

le disposizioni in materia di regolamentazione del commercio al dettaglio sulle aree pubbliche, introdotte dalla direttiva sopraindicata, creano un'impasse normativa rispetto a quanto già sancito dalla normativa nazionale e regionale in materia, segnatamente sul versante della tutela delle piccole imprese, della chiarezza delle procedure operative e autorizzative e del rapporto con gli enti locali;
il precedente Governo aveva accolto l'ordine del giorno 9/4059 con il quale si impegnava ad assumere le necessarie iniziative dirette a modificare il decreto legislativo n. 59 del 2010;
sulla questione gli interroganti avevano già presentato in data 5 ottobre 2011 una interrogazione ai Ministri competenti, priva al momento di risposta -:
quali iniziative siano state ad oggi assunte per modificare l'articolo 16 del decreto legislativo n. 59 del 2010;
quali provvedimenti o iniziative siano stati adottati per riconoscere l'estraneità della categoria degli operatori ambulanti dalle disposizioni della direttiva europea;
quali iniziative siano state assunte per modificare l'articolo 70 del decreto legislativo n. 59 del 2010 del 2010, al fine di prevedere che l'attività di commercio al dettaglio su aree pubbliche sia riservata esclusivamente alle imprese individuali e alle società di persone.
(4-15446)

...

Apposizione di una firma ad una mozione.

La mozione Boccia e altri n. 1-00902, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 marzo 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Marco Carra.

Apposizione di firme a risoluzioni.

La risoluzione in Commissione Moffa e altri n. 7-00791, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 febbraio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Santori.

La risoluzione in Commissione Paolo Russo e Mario Pepe (pd) n. 7-00812, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 marzo 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Beccalossi, Di Caterina e Delfino.

La risoluzione in Commissione Fugatti e altri n. 7-00813, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 marzo 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bitonci.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

L'interpellanza urgente Boccia e altri n. 2-01420, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 marzo 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Codurelli.

Apposizione di firme a interrogazioni.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04185, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04186, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04190, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04194, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04195, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04196, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni 4-04197, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04198, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04229, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04231, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 settembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta in Commissione Rivolta n. 5-04313, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 marzo 2011, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cavallotto.

L'interrogazione a risposta in Commissione Froner e altri n. 5-06350, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 marzo 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cimadoro.

L'interrogazione a risposta in Commissione Cenni e altri n. 5-06449, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 marzo 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Agostini.

L'interrogazione a risposta scritta Montagnoli n. 4-15388, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 marzo 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bitonci.

L'interrogazione a risposta in Commissione Zucchi n. 5-06451, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 marzo 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Farinone.

L'interrogazione a risposta in Commissione Torazzi e altri n. 5-06454, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 marzo 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bitonci.

L'interrogazione a risposta scritta Giovanelli e altri n. 4-15402, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 marzo 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bocci, D'Incecco.

...

ERRATA CORRIGE

Risoluzione in Commissione Viola e altri n. 7-00794 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 592 del 24 febbraio 2012. Alla pagina 28256, seconda colonna, alla riga quinta deve leggersi: «La VIII e la X Commissione,» e non «La VIII Commissione,», come stampato.
Alla pagina 28259, prima colonna, dalla riga ventitreesima alla riga ventisettesima deve leggersi: «(7-00794) «Viola, Martella, Mariani, Bocci, Braga, Bratti, Esposito, Ginoble, Iannuzzi, Marantelli, Margiotta, Morassut, Motta, Benamati, Realacci».» e non «(7-00794) «Viola, Mariani, Bocci, Braga, Bratti, Esposito, Ginoble, Iannuzzi,

Marantelli, Margiotta, Morassut, Motta, Benamati, Realacci, Martella».», come stampato.

Interrogazione a risposta in Commissione Iannuzzi n. 5-06456 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 607 del 20 marzo 2012. Alla pagina 29073, seconda colonna: - dalla riga seconda alla riga terza deve leggersi «nuovo svincolo di Padula-Buonabitacolo, in provincia di Salerno,» e non «nuovo svincolo di Sala Consilina (località Trinità), in provincia di Salerno,», come stampato; - alla riga trentunesima deve leggersi «somme occorrenti (26 milioni di euro) per», e non «somme occorrenti (21 milioni di euro) per», come stampato.