XVI LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di giovedì 19 aprile 2012

TESTO AGGIORNATO AL 20 APRILE 2012

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 19 aprile 2012.

Albonetti, Alessandri, Bindi, Bongiorno, Boniver, Bratti, Brugger, Buonfiglio, Buttiglione, Caparini, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Commercio, Gianfranco Conte, D'Alema, D'Ippolito Vitale, Dal Lago, Della Vedova, Donadi, Dozzo, Dussin, Fallica, Fava, Gregorio Fontana, Tommaso Foti, Franceschini, Garavini, Genovese, Giancarlo Giorgetti, Granata, Grassano, Iannaccone, Jannone, Leone, Lombardo, Lupi, Lusetti, Lussana, Marchi, Antonio Martino, Mazzocchi, Melchiorre, Migliavacca, Migliori, Milanato, Misiti, Moffa, Mussolini, Angela Napoli, Nucara, Andrea Orlando, Leoluca Orlando, Palumbo, Paolini, Pecorella, Piccolo, Pisicchio, Razzi, Stefani, Stucchi, Tenaglia, Valducci, Veltroni, Vitali, Volontè.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

Albonetti, Alessandri, Barbieri, Bergamini, Bindi, Bongiorno, Boniver, Bratti, Brugger, Buonfiglio, Buttiglione, Caparini, Capitanio Santolini, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Commercio, Gianfranco Conte, D'Alema, Dal Lago, De Biasi, Della Vedova, Donadi, Dozzo, Dussin, Fallica, Fava, Gregorio Fontana, Tommaso Foti, Franceschini, Frassinetti, Giancarlo Giorgetti, Granata, Grassano, Iannaccone, Jannone, Leone, Lombardo, Lupi, Lusetti, Lussana, Antonio Martino, Mazzocchi, Melchiorre, Mereu, Meta, Migliavacca, Migliori, Milanato, Misiti, Moffa, Monai, Mussolini, Angela Napoli, Nucara, Leoluca Orlando, Palumbo, Pecorella, Pionati, Pisicchio, Proietti Cosimi, Razzi, Stefani, Stucchi, Tenaglia, Toto, Valducci, Vitali, Volontè.

Annunzio di proposte di legge.

In data 18 aprile 2012 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
BRANDOLINI ed altri: «Istituzione della Lega ippica italiana e disposizioni per la promozione del settore ippico nonché in materia di scommesse ippiche» (5133);
GRAZIANO: «Disposizioni concernenti il finanziamento dei partiti e movimenti politici» (5134);
BENAMATI ed altri: «Disposizioni per la riduzione del debito pubblico mediante la dismissione del patrimonio immobiliare non strumentale di proprietà delle amministrazioni e degli enti pubblici» (5135);
MOFFA e CATONE: «Disposizioni concernenti il finanziamento dei partiti e movimenti politici e delle fondazioni operanti nel campo della cultura politica» (5136);
BARBARO e PERINA: «Disposizioni concernenti l'istituzione di un amministratore unico nelle società a totale partecipazione pubblica» (5137);
ANTONIONE ed altri: «Disposizioni concernenti il finanziamento dei partiti e movimenti politici» (5138);
GARAGNANI: «Istituzione della Festa della democrazia italiana nella data del 18 aprile» (5139);
FUCCI: «Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario» (5140).

Saranno stampate e distribuite.

Adesione di deputati a una proposta di legge.

La proposta di legge TOUADI ed altri: «Disposizioni in materia di disciplina e sanzioni relative al settore del gioco e delle scommesse, per la trasparenza della gestione, anche societaria, delle attività e per la prevenzione dell'evasione fiscale e delle infiltrazioni criminali» (4987) è stata successivamente sottoscritta dai deputati De Pasquale, D'Incecco e Sbrollini.

Ritiro di una proposta di legge.

Il deputato Garagnani ha comunicato di ritirare la seguente proposta di legge:
GARAGNANI: «Disposizioni per la celebrazione del 18 aprile 1948 quale "Giornata della democrazia italiana"» (192).

La proposta di legge sarà pertanto cancellata dall'ordine del giorno.

Trasmissione dal Ministero degli affari esteri.

Il Ministero degli affari esteri, con lettera in data 16 aprile 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 4 della legge 11 dicembre 1984, n. 839, gli atti internazionali firmati dall'Italia i cui testi sono pervenuti al medesimo Ministero entro il 15 marzo 2012.

Questa documentazione è trasmessa alla III Commissione (Affari esteri).

Trasmissione dal ministro per i rapporti con il Parlamento.

Il ministro per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 17 aprile 2012, ha inviato la relazione deliberata dal Consiglio dei ministri ai sensi dell'articolo 2, comma 4, quarto periodo, della legge 5 maggio 2009, n. 42, in ordine al decreto legislativo concernente ulteriori disposizioni recanti attuazione dell'articolo 24 della predetta legge n. 42 del 2009, in materia di ordinamento di Roma capitale.

Tale relazione è trasmessa, d'intesa con il Presidente del Senato della Repubblica, alla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale. Essa è altresì trasmessa alla V Commissione (Bilancio).

Comunicazioni di nomine ministeriali.

La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettere in data 17 aprile 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 19, comma 9, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le comunicazioni concernenti il conferimento, ai sensi del comma 4 del medesimo articolo 19, o la revoca di incarichi di livello dirigenziale generale, che sono trasmesse alla I Commissione (Affari costituzionali), nonché alle Commissioni sottoindicate:
alla II Commissione (Giustizia) le comunicazioni concernenti il conferimento dei seguenti incarichi nell'ambito del Ministero della giustizia:
al dottor Francesco Mele, l'incarico di vice capo del dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi;
al dottor Antonio Mungo, l'incarico di vice capo del dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi;
alla VII Commissione (Cultura) la comunicazione concernente il conferimento del seguente incarico nell'ambito del Ministero per i beni e le attività culturali:
alla dottoressa Maddalena Ragni, l'incarico di direttore della direzione generale per il paesaggio, le belle arti, l'architettura e l'arte contemporanee;
alla VIII Commissione (Ambiente) la comunicazione concernente il seguente incarico nell'ambito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti:
la revoca dell'incarico, conferito all'ingegner Eugenio Gaudenzi, di presidente della prima sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici.

Atti di controllo e di indirizzo.

Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell'Allegato B al resoconto della seduta odierna.

DISEGNO DI LEGGE: S. 3184 - CONVERSIONE IN LEGGE, CON MODIFICAZIONI, DEL DECRETO-LEGGE 2 MARZO 2012, N. 16, RECANTE DISPOSIZIONI URGENTI IN MATERIA DI SEMPLIFICAZIONI TRIBUTARIE, DI EFFICIENTAMENTO E POTENZIAMENTO DELLE PROCEDURE DI ACCERTAMENTO (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 5109-A/R)

A.C. - 5109-A/R - Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

La Camera,
premesso che:
la Camera dei deputati, in più occasioni, ha già chiesto al Governo di procedere alla abrogazione del cosiddetto «beauty contest» per l'assegnazione delle frequenze digitali;
il Governo ha positivamente accolto tale richiesta;
il mercato dei media è pesantemente condizionato dall'irrisolto conflitto di interesse e da un duopolio che rischia di impedire l'accesso ai nuovi entranti;
il medesimo Governo dovrà, entro 120 giorni dall'approvazione del presente disegno di legge, presentare i principi che dovranno ispirare la nuova asta,

impegna il Governo

a definire un regolamento di gara che tenga conto di queste «anomalie» e pertanto indichi una quota di frequenze, non inferiori al 30 per cento, riservata ai nuovi entranti, alla emittenza locale e comunitaria, a nuove forme proprietarie, e allo sviluppo dell'economia digitale in Italia.
9/5109-AR/1.Giulietti.

La Camera,
premesso che:
la Camera dei deputati, in più occasioni, ha già chiesto al Governo di procedere alla abrogazione del cosiddetto «beauty contest» per l'assegnazione delle frequenze digitali;
il Governo ha positivamente accolto tale richiesta;
il mercato dei media è pesantemente condizionato dall'irrisolto conflitto di interesse e da un duopolio che rischia di impedire l'accesso ai nuovi entranti;
il medesimo Governo dovrà, entro 120 giorni dall'approvazione del presente disegno di legge, presentare i principi che dovranno ispirare la nuova asta,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di definire un regolamento di gara che tenga conto di queste «anomalie» e pertanto indichi una quota di frequenze, non inferiori al 30 per cento, riservata ai nuovi entranti, alla emittenza locale e comunitaria, a nuove forme proprietarie, e allo sviluppo dell'economia digitale in Italia.
9/5109-AR/1.(Testo modificato nel corso della seduta) Giulietti.

La Camera,
premesso che:
con le modificazioni introdotte dalla lettera f) del comma 5 dell'articolo 4 (Fiscalità locale) del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, che modifica il comma 10 dell'articolo 13 (Anticipazione sperimentale dell'imposta municipale propria) del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni in legge 22 dicembre 2011, n. 214, la riserva della quota di imposta prevista dal comma 11 a favore dello Stato e quanto previsto dal comma 17 non si applicano agli istituti autonomi per le case popolari;
l'esclusione degli alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi case popolari pone un problema di equità nei confronti di quegli enti, appartenenti ad ordinamenti ad autonomia speciale, che non hanno la veste giuridica di Istituto autonomo per le case popolari, pur svolgendone compiti e funzioni analoghi nel relativo sistema;
lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige attribuisce alla Provincia autonoma di Trento, in particolare, la potestà legislativa primaria, e la correlativa potestà amministrativa, in materia di «edilizia comunque sovvenzionata, totalmente o parzialmente, da finanziamenti a carattere pubblico, comprese le agevolazioni per la costruzione di case popolari in località colpite da calamità e le attività che enti a carattere extra provinciale esercitano nelle province con finanziamenti pubblici» (articolo 8, n. 10), (articolo 16 St.);
le predette competenze sono state esercitate già con la legge provinciale 30 dicembre 1972, n. 31 (Riordinamento della disciplina in materia di edilizia abitativa e norme sulla espropriazione per pubblica utilità) in base alla quale l'allora esistente Istituto autonomo per le case popolari di Trento, fondato nel lontano 1922, assumeva la nuova denominazione di Istituto Trentino per l'edilizia abitativa (I.T.E.A.), quale ente funzionale preposto all'attuazione delle direttive provinciali nell'ambito dell'edilizia abitativa;
da ultimo, con la legge provinciale 7 novembre 2005, n. 15 (Disposizioni in materia di politica provinciale della casa e modificazioni della legge 13 novembre 1992, n. 21 recante la disciplina degli interventi provinciali in materia di edilizia abitativa), I.T.E.A. è stato trasformato in società per azioni (I.T.E.A. S.p.A.) e le relative azioni sono state poste in capo alla Provincia autonoma di Trento (articolo 7 legge provinciale n. 15 del 2005);
detta società esercita il servizio pubblico di edilizia abitativa ed opera per affidare in locazione a nuclei familiari, nell'ambito della provincia di Trento e per conservare ed incrementare la disponibilità di alloggi destinati ad essere condotti in locazione, in conformità alla legge provinciale n. 15 del 2005 e ai regolamenti di attuazione della stessa, nonché alle direttive ed agli atti di programmazione ed indirizzo della Provincia autonoma di Trento e, nelle materie da tale legge disciplinate, agli atti di programmazione degli enti locali;
I.T.E.A. S.p.A. rientra quindi tra le società partecipate e direttamente controllate dalla Provincia autonoma di Trento;
coerentemente con il predetto quadro normativo, l'articolo 33 della legge provinciale 16 giugno 2006, n. 3 (Norme in materia di governo dell'autonomia del Trentino) inserisce I.T.E.A. S.p.A. tra gli enti strumentali di cui la Provincia autonoma di Trento si avvale per l'esercizio di funzioni e per l'organizzazione e per la gestione di servizi pubblici riservati a livello provinciale nonché per lo svolgimento di attività di servizio strumentali alle attività istituzionali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare disposizioni interpretative di quanto previsto dal comma 10, penultimo periodo, dell'articolo 13 del decreto legge n. 201 del 2011, come modificato dalla lettera f) del comma 5 dell'articolo 4 (Fiscalità locale) del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, nel senso di includere nella previsione normativa gli alloggi destinati all'edilizia abitativa pubblica che appartengono al patrimonio, o sono comunque posseduti, da società in house che esercitano il servizio pubblico di edilizia abitativa.
9/5109-AR/2.Froner.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 34 della Costituzione, al primo comma, prevede che «La scuola è aperta a tutti» e l'articolo 53 stabilisce che «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività»;
il tema delle spese scolastiche è fra i più sentiti dalle famiglie che da anni ormai attendono un intervento anche economico da parte dello Stato per sostenere concretamente l'istruzione;
l'attuale situazioni di grave crisi economica impone una attenzione particolare alla risorsa più preziosa per lo sviluppo del Paese, ovvero il sapere;
oggi il contribuente, in sede di dichiarazione dei redditi, ha la possibilità di dedurre o detrarre dal proprio reddito imponibile, una vasta gamma di voci - di cui non sempre se ne comprende la logica sociale ed economica, e ancor meno quella tributaria - ma non può dedurre o detrarre il costo dei libri di testo che incide in maniera rilevante sul bilancio famigliare e crescente in base al numero dei figli a carico,

impegna il Governo

ad inserire tra le detrazioni contenute nel testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, le spese sostenute per l'acquisto di libri di testo, anche nelle forme miste e/o scaricabili, per le scuole di ogni ordine e grado, nonché per le facoltà universitarie e per l'Alta Formazione Artistica e Musicale, fino all'importo di 300 euro.
9/5109-AR/3.Siragusa, Antonino Russo, Ghizzoni, Coscia, De Pasquale, Rossa, Levi, Bachelet, De Biasi, Lolli.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 34 della Costituzione, al primo comma, prevede che «La scuola è aperta a tutti» e l'articolo 53 stabilisce che «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività»;
il tema delle spese scolastiche è fra i più sentiti dalle famiglie che da anni ormai attendono un intervento anche economico da parte dello Stato per sostenere concretamente l'istruzione;
l'attuale situazioni di grave crisi economica impone una attenzione particolare alla risorsa più preziosa per lo sviluppo del Paese, ovvero il sapere;
oggi il contribuente, in sede di dichiarazione dei redditi, ha la possibilità di dedurre o detrarre dal proprio reddito imponibile, una vasta gamma di voci - di cui non sempre se ne comprende la logica sociale ed economica, e ancor meno quella tributaria - ma non può dedurre o detrarre il costo dei libri di testo che incide in maniera rilevante sul bilancio famigliare e crescente in base al numero dei figli a carico,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di inserire tra le detrazioni contenute nel testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, le spese sostenute per l'acquisto di libri di testo, anche nelle forme miste e/o scaricabili, per le scuole di ogni ordine e grado, nonché per le facoltà universitarie e per l'Alta Formazione Artistica e Musicale, fino all'importo di 300 euro.
9/5109-AR/3.(Testo modificato nel corso della seduta) Siragusa, Antonino Russo, Ghizzoni, Coscia, De Pasquale, Rossa, Levi, Bachelet, De Biasi, Lolli.

La Camera,
premesso che:
la struttura sociale e le dinamiche demografiche sono molto cambiate negli ultimi anni; spesso la residenza di un cittadino è in posto diverso da quello in cui si trova l'immobile di proprietà;
molto spesso siamo in presenza di cittadini che sono emigrati per motivi di lavoro e che sono proprietari di una unica abitazione;
pur volendo mantenere la residenza a volte si è nelle condizioni di doverla cambiare ad esempio per avere l'assistenza sanitaria, molte regioni lo chiedono;
in questo caso il cittadino si vedrebbe applicare l'aliquota sull'immobile di proprietà come se fosse seconda casa;
poiché criterio di questo Governo dovrebbe essere l'equità è del tutto evidente che siamo in presenza di una misura non equa;
nel provvedimento in esame per chi è all'estero è stata introdotta una norma di salvaguardia che consente di veder applicata l'aliquota come prima casa,

impegna il Governo

ad emanare apposita circolare a seguito della conversione in legge del presente decreto, affinché sia consentito ai comuni di decidere quale aliquota applicare in casi come quelli esposti in premessa, che nel Mezzogiorno sono tanti.
9/5109-AR/4.Burtone.

La Camera,
premesso che:
la struttura sociale e le dinamiche demografiche sono molto cambiate negli ultimi anni; spesso la residenza di un cittadino è in posto diverso da quello in cui si trova l'immobile di proprietà;
molto spesso siamo in presenza di cittadini che sono emigrati per motivi di lavoro e che sono proprietari di una unica abitazione;
pur volendo mantenere la residenza a volte si è nelle condizioni di doverla cambiare ad esempio per avere l'assistenza sanitaria, molte regioni lo chiedono;
in questo caso il cittadino si vedrebbe applicare l'aliquota sull'immobile di proprietà come se fosse seconda casa;
poiché criterio di questo Governo dovrebbe essere l'equità è del tutto evidente che siamo in presenza di una misura non equa;
nel provvedimento in esame per chi è all'estero è stata introdotta una norma di salvaguardia che consente di veder applicata l'aliquota come prima casa,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di emanare apposita circolare a seguito della conversione in legge del presente decreto, affinché sia consentito ai comuni di decidere quale aliquota applicare in casi come quelli esposti in premessa, che nel Mezzogiorno sono tanti.
9/5109-AR/4.(Testo modificato nel corso della seduta) Burtone.

La Camera,
premesso che:
nell'attuale contesto socioeconomico, l'Italia si trova ad affrontare il problema della razionalizzazione della spesa pubblica senza, per contro, tentando anche di non ridurre la fruizione del welfare. I nuovi e maggiori rischi che derivano dall'invecchiamento della popolazione, dall'aumento delle spese sanitarie e dalla maggiore mobilità e flessibilità del mercato del lavoro rischiano così di lasciare scoperti i bisogni di miglioramento delle aspettative dei servizi per quelle categorie più deboli come gli anziani, i minori, i disabili. Esiste inoltre una vera emergenza nazionale relativa alla bassa partecipazione delle donne alla forza lavoro, soprattutto in alcune aree del Paese;
a risentire di questa situazione è principalmente il lavoratore dipendente, che vede erodersi costantemente il potere d'acquisto del suo salario senza per contro vedere un aumento dei servizi di cui poter usufruire per far fronte alle necessità della conciliazione tra lavoro e famiglia, o più semplicemente a tutti quei servizi di assistenza sociale che possono essere corrisposti dalle aziende ai propri dipendenti utilizzando le agevolazioni fiscali a tal scopo previste dall'Ordinamento;
per far fronte a queste difficoltà obiettive, aggravate nel nostro paese da una base di contribuenti attivi inferiore alla media europea, è necessario incentivare iniziative che diano possibilità agli attori del mercato del lavoro di poter utilizzare in maniera compiuta tutte le tipologie di servizi erogabili - a legislazione vigente - ai dipendenti;
il principale riferimento normativo del welfare aziendale è l'articolo 51 del testo unico delle imposte sui redditi (TUIR) che disciplina il novero dei beni, dei servizi e dei compensi percepiti dai lavoratore che non concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente. Tra questi figurano principalmente: I buoni pasto, le prestazioni di servizi di trasporto collettivo, le prestazioni di opere o servizi di cui all'articolo 100 per dipendenti e familiari, le somme per asili nido, colonie climatiche, borse di studio, i benefit fino a 258,23 eur/anno;
ci sono, tuttavia, degli ostacoli per aprire il più possibile lo sviluppo di un «secondo welfare» o «welfare aziendale» che si affianchi in maniera sussidiaria a quello pubblico. Alcune incertezze riguardano le condizioni di vantaggio fiscale per l'utilizzazione delle opere e dei servizi di utilità sociale: l'articolo 51, lettera f) in combinato disposto con l'articolo 100 del TUIR prevede che esse debbano essere volontariamente sostenute, e ciò sembra, assurdamente, escludere il vantaggio fiscale se il beneficio è contemplato da un accordo collettivo. In tal senso si è espressa la circolare dell'Agenzia delle entrate n. 34/E del 10 marzo 2004. Ciò si pone in stridente contraddizione con le previsioni in materia di previdenza complementare e assistenza sanitaria integrativa, per le quali, al contrario, la contrattazione collettiva è il requisito indispensabile per ottenere il vantaggio fiscale;
nella formulazione normativa attuale, risalta la difficoltà per aziende e parti sociali di utilizzare i vantaggi fiscali previsti dall'ordinamento per aiutare la corresponsione di servizi che possano soddisfare bisogni dei lavoratori, appianare o ridurre la difficoltà di conciliazione fra responsabilità lavorative e familiari, migliorare la fruizione dei benefit. Finora le aziende pagano a consuntivo, e con notevoli carichi amministrativi, beni e servizi erogati ai propri dipendenti come benefit, quali asilo nido, trasporti, libri di testo, sanità preventiva e complementare utilizzando quegli importi previsti dalla legge;
i buoni di servizio, o vouchers, costituiscono un efficiente strumento per le imprese che vogliono attuare misure di welfare aziendale, soprattutto quando la dimensione aziendale (piccole e medie imprese) e il limitato numero di dipendenti, non permette la creazione di servizi strutturati come ad esempio asili nido aziendali. Attribuire un titolo di legittimazione per la fruizione di un particolare servizio o bene permetterebbe all'azienda di sgravarsi da tutto il carico amministrativo del controllo documentale ex-post, e al dipendente di poter scegliere liberamente dove e quando spendere lo stesso per la tipologia di bene o servizio del quale è fatto beneficiario;
l'abrogazione del requisito della volontarietà previsto dall'articolo 100 TUIR aiuta altresì la diffusione, in una situazione di particolare complessità per il mercato del lavoro, della possibilità di accordi territoriali ed aziendali ulteriori, anche e soprattutto per quelle piccole e medie imprese per le quali - come si è detto - è oggi difficile attuare forme di welfare integrativo senza sostenere ingenti costi amministrativi;
la soluzione normativa descritta è adottata da una moltitudine di paesi europei e non comporta oneri aggiuntivi per lo Stato. L'utilizzo dello strumento del buono servizi consentirebbe altresì, per via della sua completa tracciabilità, una consistente emersione della base imponibile ed un relativo maggiore gettito fiscale e contributivo,

impegna il Governo

ad adottare le iniziative di natura legislativa ritenute più opportune al fine di perfezionare le norme del TUIR per consentire un ampliamento delle modalità di impiego dell'incentivazione esistente attraverso l'utilizzo dei buoni di servizio o vouchers.
9/5109-AR/5.Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Maurizio Turco, Zamparutti.

La Camera,
premesso che:
nell'attuale contesto socioeconomico, l'Italia si trova ad affrontare il problema della razionalizzazione della spesa pubblica senza, per contro, tentando anche di non ridurre la fruizione del welfare. I nuovi e maggiori rischi che derivano dall'invecchiamento della popolazione, dall'aumento delle spese sanitarie e dalla maggiore mobilità e flessibilità del mercato del lavoro rischiano così di lasciare scoperti i bisogni di miglioramento delle aspettative dei servizi per quelle categorie più deboli come gli anziani, i minori, i disabili. Esiste inoltre una vera emergenza nazionale relativa alla bassa partecipazione delle donne alla forza lavoro, soprattutto in alcune aree del Paese;
a risentire di questa situazione è principalmente il lavoratore dipendente, che vede erodersi costantemente il potere d'acquisto del suo salario senza per contro vedere un aumento dei servizi di cui poter usufruire per far fronte alle necessità della conciliazione tra lavoro e famiglia, o più semplicemente a tutti quei servizi di assistenza sociale che possono essere corrisposti dalle aziende ai propri dipendenti utilizzando le agevolazioni fiscali a tal scopo previste dall'Ordinamento;
per far fronte a queste difficoltà obiettive, aggravate nel nostro paese da una base di contribuenti attivi inferiore alla media europea, è necessario incentivare iniziative che diano possibilità agli attori del mercato del lavoro di poter utilizzare in maniera compiuta tutte le tipologie di servizi erogabili - a legislazione vigente - ai dipendenti;
il principale riferimento normativo del welfare aziendale è l'articolo 51 del testo unico delle imposte sui redditi (TUIR) che disciplina il novero dei beni, dei servizi e dei compensi percepiti dai lavoratore che non concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente. Tra questi figurano principalmente: I buoni pasto, le prestazioni di servizi di trasporto collettivo, le prestazioni di opere o servizi di cui all'articolo 100 per dipendenti e familiari, le somme per asili nido, colonie climatiche, borse di studio, i benefit fino a 258,23 eur/anno;
ci sono, tuttavia, degli ostacoli per aprire il più possibile lo sviluppo di un «secondo welfare» o «welfare aziendale» che si affianchi in maniera sussidiaria a quello pubblico. Alcune incertezze riguardano le condizioni di vantaggio fiscale per l'utilizzazione delle opere e dei servizi di utilità sociale: l'articolo 51, lettera f) in combinato disposto con l'articolo 100 del TUIR prevede che esse debbano essere volontariamente sostenute, e ciò sembra, assurdamente, escludere il vantaggio fiscale se il beneficio è contemplato da un accordo collettivo. In tal senso si è espressa la circolare dell'Agenzia delle entrate n. 34/E del 10 marzo 2004. Ciò si pone in stridente contraddizione con le previsioni in materia di previdenza complementare e assistenza sanitaria integrativa, per le quali, al contrario, la contrattazione collettiva è il requisito indispensabile per ottenere il vantaggio fiscale;
nella formulazione normativa attuale, risalta la difficoltà per aziende e parti sociali di utilizzare i vantaggi fiscali previsti dall'ordinamento per aiutare la corresponsione di servizi che possano soddisfare bisogni dei lavoratori, appianare o ridurre la difficoltà di conciliazione fra responsabilità lavorative e familiari, migliorare la fruizione dei benefit. Finora le aziende pagano a consuntivo, e con notevoli carichi amministrativi, beni e servizi erogati ai propri dipendenti come benefit, quali asilo nido, trasporti, libri di testo, sanità preventiva e complementare utilizzando quegli importi previsti dalla legge;
i buoni di servizio, o vouchers, costituiscono un efficiente strumento per le imprese che vogliono attuare misure di welfare aziendale, soprattutto quando la dimensione aziendale (piccole e medie imprese) e il limitato numero di dipendenti, non permette la creazione di servizi strutturati come ad esempio asili nido aziendali. Attribuire un titolo di legittimazione per la fruizione di un particolare servizio o bene permetterebbe all'azienda di sgravarsi da tutto il carico amministrativo del controllo documentale ex-post, e al dipendente di poter scegliere liberamente dove e quando spendere lo stesso per la tipologia di bene o servizio del quale è fatto beneficiario;
l'abrogazione del requisito della volontarietà previsto dall'articolo 100 TUIR aiuta altresì la diffusione, in una situazione di particolare complessità per il mercato del lavoro, della possibilità di accordi territoriali ed aziendali ulteriori, anche e soprattutto per quelle piccole e medie imprese per le quali - come si è detto - è oggi difficile attuare forme di welfare integrativo senza sostenere ingenti costi amministrativi;
la soluzione normativa descritta è adottata da una moltitudine di paesi europei e non comporta oneri aggiuntivi per lo Stato. L'utilizzo dello strumento del buono servizi consentirebbe altresì, per via della sua completa tracciabilità, una consistente emersione della base imponibile ed un relativo maggiore gettito fiscale e contributivo,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare le iniziative di natura legislativa ritenute più opportune al fine di perfezionare le norme del TUIR per consentire un ampliamento delle modalità di impiego dell'incentivazione esistente attraverso l'utilizzo dei buoni di servizio o vouchers.
9/5109-AR/5.(Testo modificato nel corso della seduta) Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Maurizio Turco, Zamparutti.

La Camera,
premesso che:
l'efficacia del sistema catastale nel rappresentare fedelmente i caratteri e la consistenza del patrimonio immobiliare nazionale, fondiario e edilizio, con la relativa titolarità e i valori reddituali cui deve far riferimento l'imposizione tributaria, è stata messa progressivamente in crisi nel corso degli anni dal 1939 in poi;
a tale negativo esito hanno contribuito vari fattori legati allo sviluppo economico e sociale del Paese che non sempre è stato accompagnato da una rigorosa attenzione degli organi preposti all'aggiornamento del catasto urbano e edilizio, sia alle conseguenze che tale sviluppo ha prodotto nelle città e nelle campagne sui valori di rendita fondiaria e urbana;
anche in conseguenza di tale inefficacia dell'azione pubblica non sempre i possessori di rendita hanno regolarmente assicurato l'aggiornamento, previsto dalla legge, del censimento originario sia in sede di nuova edificazione (accatastamento), sia in sede di ristrutturazione del patrimonio edilizio esistente (variazione), accentuando così una divaricazione tra consistenza fisica del patrimonio e la sua rappresentazione in catasto;
solo parzialmente ha potuto porre rimedio a tutto ciò l'iniziativa degli uffici catastali attraverso la ricognizione periodica delle trasformazioni urbanistico edilizie sia a causa degli inadeguati strumenti normativi, sia per l'utilizzo sempre più grande delle risorse disponibili per attività contingenti e cicliche legate all'afflusso devastante degli aggiornamenti legati ai condoni edilizi;
le rilevanti modificazioni del mercato immobiliare e dei valori degli immobili si sono determinate - in termini assoluti e differenziali - attraverso le diverse aree geografiche - senza che si sia verificato di fatto alcun aggiornamento fino agli anni Novanta e da ultimo in occasione della manovra economica e finanziaria del dicembre 2011;
le modalità tecnico-estimative sono ancora sostanzialmente ferme all'epoca della legge istitutiva del catasto nazionale del 1939 ed escludono quindi dalla valutazione complessiva del valore degli immobili la relazione con il contesto urbano, la dotazione dei servizi territoriali, l'inserimento urbanistico;
da lungo tempo si invoca una riforma del Catasto che punti ad una maggiore efficacia e giustizia tributaria del sistema di valutazione di imposizione legato al possesso degli immobili;
ancora oggi tutte le indagini specializzate disponibili segnalano sperequazioni eclatanti tra zone di grande pregio urbanistico e zone di più basso valore, tra centro e periferia delle grandi città che accrescono il giudizio negativo che i cittadini danno circa l'efficacia e l'equità del sistema fiscale italiano;
già da alcuni anni alcune categorie catastali ultrapopolari - come A5 e A6 - sono state abolite da specifiche disposizioni ministeriali ma continuano ad essere alla base dei calcoli di rendita di immobili pregiatissimi e di inestimabile valore, soprattutto nei centri storici delle città italiane;
tale stato di fatto non appare più sostenibile in linea generale e ancor meno in un momento di grave difficoltà economica e finanziaria che vede il Paese impegnato in un grande sforzo collettivo per superare tali difficoltà che deve necessariamente coniugarsi a criteri di maggiore equità e giustizia fiscale;
la riforma del catasto, nella direzione di un complessivo aggiornamento delle categorie di valutazione dei criteri estimativi, delle tecnologie di rilevazione territoriale, di un pieno decentramento delle attività costituisce uno dei temi irrisolti benché ripetutamente dibattuti e rinviati da almeno quindici annida vari Governi e legislature;
il Governo, in occasione dell'ultima manovra economico-finanziaria ha ritenuto nuovamente di accantonare il problema al fine di distinguere le misure strettamente finanziarie da quelle di carattere ordina mentale;
il Presidente del Consiglio dei Ministri ha tuttavia ribadito, anche in questi ultimi giorni pubblicamente, l'impegno ad affrontare con decisione il tema della riforma con atti specifici conseguenti ad una elaborazione già per larga parte predisposta;
tuttavia, in attesa di tale provvedimento presumibilmente operativo in un arco di tempo non troppo breve, si possono adottare misure immediate finalizzate ad un maggiore introito per la finanza pubblica coniugato ad una maggiore equità sociale,

impegna il Governo:

a promuovere in tempi brevi e comunque non oltre il 30 giugno 2012 una radicale riforma del sistema catastale non limitata ad una revisione dell'attuale sistema;
ad assicurare attraverso tale riforma i requisiti minimi di «oggettività delle stime» in funzione delle caratteristiche maggiormente incidenti sull'apprezzamento delle stesse da parte del mercato e sulla base di criteri e modelli tecnologici-estimativi trasparenti e garanti della uniformità applicativa a livello nazionale;
a porre alla base dei nuovi criteri la valutazione degli immobili in metri quadrati e non più in «vani»;
a perseguire per questa via una azione di riequilibrio del carico fiscale tra i contribuenti e una giusta valutazione dei patrimoni ai fini della più equa partecipazione allo sforzo nazionale di risanamento economico e finanziario del Paese;
a fornire agli organi parlamentari ogni elemento utile ai tempi ed ai contenuti della riforma;
in attesa del suddetto provvedimento organico di revisione dei criteri e delle categorie di classamento, ad applicare da subito quanto disposto dalla circolare della Direzione Generale del Catasto - Cl/1022/94 - che abolisce le categorie A5 e A6, anche ad unità immobiliari urbane per le quali non sia stata denunciata alcuna ristrutturazione e ad applicare in sostituzione e transitoriamente la categoria A2 - abitazioni di tipo civile - alle ex A5 e la categoria A4 alle ex A6, salvo attestata documentazione dei titolari che dimostrino il reale stato di consistenza delle U.I.U. stesse entro e non oltre il 31 maggio 2012 tramite presentazione, presso il Catasto provinciale, di relazione tecnica asseverata o richiesta di sopralluogo da parte degli uffici del Catasto;
a riclassificare le attuali categorie A4 in A2, salvo attestata documentazione dei titolari che dimostrino il reale stato di consistenza delle U.I.U. stesse entro e non oltre il 31 maggio 2012 tramite presentazione, presso il Catasto provinciale di relazione tecnica asseverata o richiesta di sopralluogo da parte degli uffici del Catasto;
ad aggiornare, conseguentemente, per le suddette U.I.U. il computo IMU, di cui al decreto legislativo del 14 marzo 2011, n. 23, come modificato dall'articolo 13 del decreto legge 6 dicembre del 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre, n. 214.
9/5109-AR/6.Morassut.

La Camera,
premesso che:
l'efficacia del sistema catastale nel rappresentare fedelmente i caratteri e la consistenza del patrimonio immobiliare nazionale, fondiario e edilizio, con la relativa titolarità e i valori reddituali cui deve far riferimento l'imposizione tributaria, è stata messa progressivamente in crisi nel corso degli anni dal 1939 in poi;
a tale negativo esito hanno contribuito vari fattori legati allo sviluppo economico e sociale del Paese che non sempre è stato accompagnato da una rigorosa attenzione degli organi preposti all'aggiornamento del catasto urbano e edilizio, sia alle conseguenze che tale sviluppo ha prodotto nelle città e nelle campagne sui valori di rendita fondiaria e urbana;
anche in conseguenza di tale inefficacia dell'azione pubblica non sempre i possessori di rendita hanno regolarmente assicurato l'aggiornamento, previsto dalla legge, del censimento originario sia in sede di nuova edificazione (accatastamento), sia in sede di ristrutturazione del patrimonio edilizio esistente (variazione), accentuando così una divaricazione tra consistenza fisica del patrimonio e la sua rappresentazione in catasto;
solo parzialmente ha potuto porre rimedio a tutto ciò l'iniziativa degli uffici catastali attraverso la ricognizione periodica delle trasformazioni urbanistico edilizie sia a causa degli inadeguati strumenti normativi, sia per l'utilizzo sempre più grande delle risorse disponibili per attività contingenti e cicliche legate all'afflusso devastante degli aggiornamenti legati ai condoni edilizi;
le rilevanti modificazioni del mercato immobiliare e dei valori degli immobili si sono determinate - in termini assoluti e differenziali - attraverso le diverse aree geografiche - senza che si sia verificato di fatto alcun aggiornamento fino agli anni Novanta e da ultimo in occasione della manovra economica e finanziaria del dicembre 2011;
le modalità tecnico-estimative sono ancora sostanzialmente ferme all'epoca della legge istitutiva del catasto nazionale del 1939 ed escludono quindi dalla valutazione complessiva del valore degli immobili la relazione con il contesto urbano, la dotazione dei servizi territoriali, l'inserimento urbanistico;
da lungo tempo si invoca una riforma del Catasto che punti ad una maggiore efficacia e giustizia tributaria del sistema di valutazione di imposizione legato al possesso degli immobili;
ancora oggi tutte le indagini specializzate disponibili segnalano sperequazioni eclatanti tra zone di grande pregio urbanistico e zone di più basso valore, tra centro e periferia delle grandi città che accrescono il giudizio negativo che i cittadini danno circa l'efficacia e l'equità del sistema fiscale italiano;
già da alcuni anni alcune categorie catastali ultrapopolari - come A5 e A6 - sono state abolite da specifiche disposizioni ministeriali ma continuano ad essere alla base dei calcoli di rendita di immobili pregiatissimi e di inestimabile valore, soprattutto nei centri storici delle città italiane;
tale stato di fatto non appare più sostenibile in linea generale e ancor meno in un momento di grave difficoltà economica e finanziaria che vede il Paese impegnato in un grande sforzo collettivo per superare tali difficoltà che deve necessariamente coniugarsi a criteri di maggiore equità e giustizia fiscale;
la riforma del catasto, nella direzione di un complessivo aggiornamento delle categorie di valutazione dei criteri estimativi, delle tecnologie di rilevazione territoriale, di un pieno decentramento delle attività costituisce uno dei temi irrisolti benché ripetutamente dibattuti e rinviati da almeno quindici annida vari Governi e legislature;
il Governo, in occasione dell'ultima manovra economico-finanziaria ha ritenuto nuovamente di accantonare il problema al fine di distinguere le misure strettamente finanziarie da quelle di carattere ordina mentale;
il Presidente del Consiglio dei Ministri ha tuttavia ribadito, anche in questi ultimi giorni pubblicamente, l'impegno ad affrontare con decisione il tema della riforma con atti specifici conseguenti ad una elaborazione già per larga parte predisposta;
tuttavia, in attesa di tale provvedimento presumibilmente operativo in un arco di tempo non troppo breve, si possono adottare misure immediate finalizzate ad un maggiore introito per la finanza pubblica coniugato ad una maggiore equità sociale,

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità:
di promuovere in tempi brevi e comunque non oltre il 30 giugno 2012 una radicale riforma del sistema catastale non limitata ad una revisione dell'attuale sistema;
di assicurare attraverso tale riforma i requisiti minimi di «oggettività delle stime» in funzione delle caratteristiche maggiormente incidenti sull'apprezzamento delle stesse da parte del mercato e sulla base di criteri e modelli tecnologici-estimativi trasparenti e garanti della uniformità applicativa a livello nazionale;
di porre alla base dei nuovi criteri la valutazione degli immobili in metri quadrati e non più in «vani»;
di perseguire per questa via una azione di riequilibrio del carico fiscale tra i contribuenti e una giusta valutazione dei patrimoni ai fini della più equa partecipazione allo sforzo nazionale di risanamento economico e finanziario del Paese;
di fornire agli organi parlamentari ogni elemento utile ai tempi ed ai contenuti della riforma;
in attesa del suddetto provvedimento organico di revisione dei criteri e delle categorie di classamento, di applicare da subito quanto disposto dalla circolare della Direzione Generale del Catasto - Cl/1022/94 - che abolisce le categorie A5 e A6, anche ad unità immobiliari urbane per le quali non sia stata denunciata alcuna ristrutturazione e ad applicare in sostituzione e transitoriamente la categoria A2 - abitazioni di tipo civile - alle ex A5 e la categoria A4 alle ex A6, salvo attestata documentazione dei titolari che dimostrino il reale stato di consistenza delle U.I.U. stesse entro e non oltre il 31 maggio 2012 tramite presentazione, presso il Catasto provinciale, di relazione tecnica asseverata o richiesta di sopralluogo da parte degli uffici del Catasto;
di riclassificare le attuali categorie A4 in A2, salvo attestata documentazione dei titolari che dimostrino il reale stato di consistenza delle U.I.U. stesse entro e non oltre il 31 maggio 2012 tramite presentazione, presso il Catasto provinciale di relazione tecnica asseverata o richiesta di sopralluogo da parte degli uffici del Catasto;
di aggiornare, conseguentemente, per le suddette U.I.U. il computo IMU, di cui al decreto legislativo del 14 marzo 2011, n. 23, come modificato dall'articolo 13 del decreto legge 6 dicembre del 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre, n. 214.
9/5109-AR/6.(Testo modificato nel corso della seduta) Morassut.

La Camera,
premesso che:
gli atti di liquidazione della Tariffa d'igiene ambientale, in quanto aventi natura tributaria (Cass. Sez. civile I, 05/03/09 n. 5299, 5298, 5297, Corte di Cass. SS.UU. 8/3/06 n. 4895 e 9/8/07 n. 1752, Corte Cost. n. 238/2009), non possono essere soggetti ad ulteriore tassazione, tra cui l'Iva al 10 per cento;
nel caso della TIA, come della TARSU, si tratta di un tributo pagato a fronte di un servizio pubblico che deve essere erogato e che per ciò non può essere soggetto ad un ulteriore tributo e, di conseguenza, all'Iva;
con sentenza n. 238/2009 la Corte Costituzionale ha riconosciuto la natura tributaria della Tariffa d'Igiene Ambientale, specificando che su di essa non si applica l'Iva, altrimenti si finirebbe per pagare «una tassa su una tassa»;
con la sentenza n. 3756 del 9 marzo scorso la Corte di Cassazione ha sancito nuovamente e definitivamente che «La tariffa rifiuti non deve essere assoggettata a Iva. Si tratta di un'entrata tributaria che, in quanto tale, non può mai costituire il corrispettivo di un servizio reso»;
l'articolo 49 comma 13 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, cosiddetto «legge Ronchi» afferma che «la tariffa è riscossa dal soggetto che gestisce il servizio»;
la natura della tariffa non è tributaria qualora il servizio di gestione dei rifiuti venga reso da una società o un soggetto privato, affidatario del servizio da parte dell'Amministrazione Comunale e richieda il corrispettivo direttamente agli utenti,

impegna il Governo:

ad adottare tutte le disposizioni necessarie per accelerare il rimborso dell'IVA versata nel caso della tariffa tributaria;
a provvedere alla definizione della natura del pagamento dell'utente per il servizio di igiene ambientale nel caso in cui questo sia reso da una società o soggetto privati.
9/5109-AR/7.Fontanelli, Albini, Marchignoli.

La Camera,
premesso che:
gli atti di liquidazione della Tariffa d'igiene ambientale, in quanto aventi natura tributaria (Cass. Sez. civile I, 05/03/09 n. 5299, 5298, 5297, Corte di Cass. SS.UU. 8/3/06 n. 4895 e 9/8/07 n. 1752, Corte Cost. n. 238/2009), non possono essere soggetti ad ulteriore tassazione, tra cui l'Iva al 10 per cento;
nel caso della TIA, come della TARSU, si tratta di un tributo pagato a fronte di un servizio pubblico che deve essere erogato e che per ciò non può essere soggetto ad un ulteriore tributo e, di conseguenza, all'Iva;
con sentenza n. 238/2009 la Corte Costituzionale ha riconosciuto la natura tributaria della Tariffa d'Igiene Ambientale, specificando che su di essa non si applica l'Iva, altrimenti si finirebbe per pagare «una tassa su una tassa»;
con la sentenza n. 3756 del 9 marzo scorso la Corte di Cassazione ha sancito nuovamente e definitivamente che «La tariffa rifiuti non deve essere assoggettata a Iva. Si tratta di un'entrata tributaria che, in quanto tale, non può mai costituire il corrispettivo di un servizio reso»;
l'articolo 49 comma 13 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, cosiddetto «legge Ronchi» afferma che «la tariffa è riscossa dal soggetto che gestisce il servizio»;
la natura della tariffa non è tributaria qualora il servizio di gestione dei rifiuti venga reso da una società o un soggetto privato, affidatario del servizio da parte dell'Amministrazione Comunale e richieda il corrispettivo direttamente agli utenti,

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità di adottare tutte le disposizioni necessarie per accelerare il rimborso dell'IVA versata nel caso della tariffa tributaria;
a valutare l'opportunità di provvedere alla definizione della natura del pagamento dell'utente per il servizio di igiene ambientale nel caso in cui questo sia reso da una società o soggetto privati.
9/5109-AR/7.(Testo modificato nel corso della seduta) Fontanelli, Albini, Marchignoli.

La Camera,
premesso che:
diversi Comuni hanno realizzato opere infrastrutturali in occasione di eventi speciali quali le Olimpiadi del 2006 o le opere previste per le celebrazioni del 150o anniversario dell'Unità d'Italia;
la gestione finanziaria di queste opere è avvenuta tramite contabilità speciale appositamente istituita nella quale sono confluite le somme liquidate dai soggetti finanziatori;
i Comuni hanno contribuito in maniera significativa al finanziamento di queste opere il cui costo ha determinato un consistente aggravio sul patto di stabilità;
tali spese non hanno consentito il rispetto dell'obiettivo imposto dal patto di stabilità, per il quale si è reso necessario, oltre al blocco dei pagamenti di tutti gli altri investimenti in corso di realizzazione, anche quello della spesa corrente determinando così una consistente riduzione dei servizi erogati a favore dei cittadini;
la fattispecie degli interventi in oggetto, rientranti fra le infrastrutture da realizzarsi per la celebrazione del 150o anniversario dell'Unità d'Italia, e per altri eventi eccezionali come le Olimpiadi del 2006 non possono andare a danno di altre opere programmate dai Comuni e dei servizi erogati ai cittadini,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative normative volte ad escludere per l'anno 2012 dal saldo finanziario in termini di competenza mista le spese sostenute dai Comuni per la opere previste per le celebrazioni del 150o anniversario dell'Unità d'Italia e per le Olimpiadi.
9/5109-AR/8.Albini, Marchignoli.

La Camera,
premesso che:
diversi Comuni hanno realizzato opere infrastrutturali in occasione di eventi speciali quali le Olimpiadi del 2006 o le opere previste per le celebrazioni del 150o anniversario dell'Unità d'Italia;
la gestione finanziaria di queste opere è avvenuta tramite contabilità speciale appositamente istituita nella quale sono confluite le somme liquidate dai soggetti finanziatori;
i Comuni hanno contribuito in maniera significativa al finanziamento di queste opere il cui costo ha determinato un consistente aggravio sul patto di stabilità;
tali spese non hanno consentito il rispetto dell'obiettivo imposto dal patto di stabilità, per il quale si è reso necessario, oltre al blocco dei pagamenti di tutti gli altri investimenti in corso di realizzazione, anche quello della spesa corrente determinando così una consistente riduzione dei servizi erogati a favore dei cittadini;
la fattispecie degli interventi in oggetto, rientranti fra le infrastrutture da realizzarsi per la celebrazione del 150o anniversario dell'Unità d'Italia, e per altri eventi eccezionali come le Olimpiadi del 2006 non possono andare a danno di altre opere programmate dai Comuni e dei servizi erogati ai cittadini,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare le opportune iniziative normative volte ad escludere per l'anno 2012 dal saldo finanziario in termini di competenza mista le spese sostenute dai Comuni per la opere previste per le celebrazioni del 150o anniversario dell'Unità d'Italia e per le Olimpiadi.
9/5109-AR/8.(Testo modificato nel corso della seduta) Albini, Marchignoli.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011 convertito con legge n. 214 del 2011, introducendo il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi, innova profondamente in merito alla connotazione giuridica della tariffa per il servizio di igiene ambientale e al soggetto titolare della relativa entrata;
sino al termine previsto dal richiamato decreto-legge n. 201 del 2011, il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 prima ed il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 poi hanno definito un contesto nel quale la tariffa per il servizio di igiene ambientale aveva chiaramente e dichiaratamente la natura di corrispettivo, ben riconoscibile nella prevista possibilità di affidamento dell'intero servizio, non solamente della parte operativa dello stesso, ad un soggetto societario distinto e separato dall'ente locale titolare della privativa;
a questo ordinamento, rispondente all'intento del legislatore quale traspare dalle note esplicative ai provvedimenti indicati, si è di tempo in tempo conformata l'azione dei soggetti gestori del servizio i quali, ove chiamati ad esercire il servizio comprensivo dell'applicazione e riscossione della tariffa ai sensi degli affidamenti ricevuti, hanno ravvisato nelle proprie attribuzioni lo svolgimento di una attività di carattere imprenditoriale, in forma commerciale, di prestazione di servizi da parte di un soggetto societario e pertanto, ai sensi dell'articolo 4, primo comma del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 hanno riconosciuto l'applicabilità dell'imposta sul valore aggiunto all'attività svolta, in quanto l'elemento soggettivo consistente nella connotazione giuridica del soggetto agente e l'elemento oggettivo consistente nella natura imprenditoriale e commerciale del servizio svolto, risultano rilevabili nell'attività in esame;
su questa impostazione - che aveva trovato concorde l'Agenzia delle Entrate e più recentemente l'Amministrazione Finanziaria la quale, con Circ. 3/2010 del Dipartimento per le Politiche fiscali, ha confermato la natura corrispettiva della TIA 1 (ex articolo 49 del decreto legislativo n. 22 del 1997) e della TIA 2 (ex articolo 238 del decreto legislativo n. 152 del 2006) - si sono inserite la Sent. 238/2009 della Corte Costituzionale e successivamente la Sent. 3756/2012 della Corte di Cassazione che ravvisando alcune componenti di carattere autoritativo della tariffa ne hanno dedotta la natura tributaria e la conseguente non assoggettabilità all'IVA, aprendo la strada a numerosissime richieste di restituzione dell'imposta pagata da parte degli utenti;
in tale situazione si rende necessario regolamentare quanto fatto dai precedenti soggetti gestori fino alla data di entrata in vigore del nuovo tributo poiché è impensabile che il sistema delle imprese di gestione del servizio possa restituire somme che ha, nel tempo, riscosso per conto dell'erario ed al quale le ha regolarmente versate e ciò anche nell'ipotesi che tale restituzione sia successivamente compensata da parte dell'erario stesso, per le forti ricadute economiche che i gestori dovrebbero sostenere, gravandone poi le future tariffe,

impegna il Governo:

ad intervenire con urgenza per chiarire che, a prescindere dal carattere autoritativo della sua applicazione - peraltro imprescindibile per alcune componenti di costo del servizio cui si riferisce - alla tariffa per il servizio di igiene ambientale, vuoi nella forma della Tariffa di Igiene Ambientale (TIA 1), vuoi nella forma, successiva, della Tariffa Integrata Ambientale (TIA 2) applicata dal concessionario in forma di soggetto societario distinto e separato dall'ente locale titolare della privativa, si rende applicabile l'imposta sul valore aggiunto secondo le previsioni contenute nell'articolo 4, primo comma del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, con l'aliquota prevista dal n. 127-sexiesdecies della Tabella A, Parte III allegata al medesimo decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, in quanto l'elemento soggettivo consistente nella connotazione giuridica del soggetto agente e l'elemento oggettivo consistente nella natura imprenditoriale e commerciale del servizio svolto, risultano rilevabili nell'attività in esame;
ad intervenire inoltre affinché tale disposizione si applichi anche ai contenziosi in atto, in assenza di sentenze passate in giudicato.
9/5109-AR/9.Marchi, Barbieri.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011 convertito con legge n. 214 del 2011, introducendo il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi, innova profondamente in merito alla connotazione giuridica della tariffa per il servizio di igiene ambientale e al soggetto titolare della relativa entrata;
sino al termine previsto dal richiamato decreto-legge n. 201 del 2011, il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 prima ed il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 poi hanno definito un contesto nel quale la tariffa per il servizio di igiene ambientale aveva chiaramente e dichiaratamente la natura di corrispettivo, ben riconoscibile nella prevista possibilità di affidamento dell'intero servizio, non solamente della parte operativa dello stesso, ad un soggetto societario distinto e separato dall'ente locale titolare della privativa;
a questo ordinamento, rispondente all'intento del legislatore quale traspare dalle note esplicative ai provvedimenti indicati, si è di tempo in tempo conformata l'azione dei soggetti gestori del servizio i quali, ove chiamati ad esercire il servizio comprensivo dell'applicazione e riscossione della tariffa ai sensi degli affidamenti ricevuti, hanno ravvisato nelle proprie attribuzioni lo svolgimento di una attività di carattere imprenditoriale, in forma commerciale, di prestazione di servizi da parte di un soggetto societario e pertanto, ai sensi dell'articolo 4, primo comma del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 hanno riconosciuto l'applicabilità dell'imposta sul valore aggiunto all'attività svolta, in quanto l'elemento soggettivo consistente nella connotazione giuridica del soggetto agente e l'elemento oggettivo consistente nella natura imprenditoriale e commerciale del servizio svolto, risultano rilevabili nell'attività in esame;
su questa impostazione - che aveva trovato concorde l'Agenzia delle Entrate e più recentemente l'Amministrazione Finanziaria la quale, con Circ. 3/2010 del Dipartimento per le Politiche fiscali, ha confermato la natura corrispettiva della TIA 1 (ex articolo 49 del decreto legislativo n. 22 del 1997) e della TIA 2 (ex articolo 238 del decreto legislativo n. 152 del 2006) - si sono inserite la Sent. 238/2009 della Corte Costituzionale e successivamente la Sent. 3756/2012 della Corte di Cassazione che ravvisando alcune componenti di carattere autoritativo della tariffa ne hanno dedotta la natura tributaria e la conseguente non assoggettabilità all'IVA, aprendo la strada a numerosissime richieste di restituzione dell'imposta pagata da parte degli utenti;
in tale situazione si rende necessario regolamentare quanto fatto dai precedenti soggetti gestori fino alla data di entrata in vigore del nuovo tributo poiché è impensabile che il sistema delle imprese di gestione del servizio possa restituire somme che ha, nel tempo, riscosso per conto dell'erario ed al quale le ha regolarmente versate e ciò anche nell'ipotesi che tale restituzione sia successivamente compensata da parte dell'erario stesso, per le forti ricadute economiche che i gestori dovrebbero sostenere, gravandone poi le future tariffe,

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità di intervenire con urgenza per chiarire che, a prescindere dal carattere autoritativo della sua applicazione - peraltro imprescindibile per alcune componenti di costo del servizio cui si riferisce - alla tariffa per il servizio di igiene ambientale, vuoi nella forma della Tariffa di Igiene Ambientale (TIA 1), vuoi nella forma, successiva, della Tariffa Integrata Ambientale (TIA 2) applicata dal concessionario in forma di soggetto societario distinto e separato dall'ente locale titolare della privativa, si rende applicabile l'imposta sul valore aggiunto secondo le previsioni contenute nell'articolo 4, primo comma del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, con l'aliquota prevista dal n. 127-sexiesdecies della Tabella A, Parte III allegata al medesimo decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, in quanto l'elemento soggettivo consistente nella connotazione giuridica del soggetto agente e l'elemento oggettivo consistente nella natura imprenditoriale e commerciale del servizio svolto, risultano rilevabili nell'attività in esame;
a valutare l'opportunità di intervenire inoltre affinché tale disposizione si applichi anche ai contenziosi in atto, in assenza di sentenze passate in giudicato.
9/5109-AR/9.(Testo modificato nel corso della seduta) Marchi, Barbieri.

La Camera,
premesso che:
l'Imposta Municipale Unica (IMU), così come la vecchia Imposta Comunale sugli Immobili (ICI), ha come presupposto il possesso di un immobile, sia esso un fabbricato o un'area edificabile. Il possesso di un'area edificabile (o fabbricabile), resa tale dalla strumentazione urbanistica vigente, comporta pertanto, alla stessa stregua di un fabbricato, il pagamento dell'IMU sulla base dell'aliquota stabilita dal Comune ove l'area ricade e del valore di mercato della stessa;
l'imprenditore edile che acquista un'area edificabile al solo scopo di trasformarla in fabbricato, con pertinente corte, durante il periodo della edificazione (dal rilascio della Concessione Edilizia, o titolo edilizio abilitativo equipollente, e fino all'ultimazione dei lavori) è tenuto a sopportare, oltre ai considerevoli costi propri dell'attività imprenditoriale, anche il peso di tale imposta;
nell'ambito di una ordinaria attività imprenditoriale edile, tuttavia, l'area edificabile non solo costituisce uno dei fattori della produzione, al pari delle materie prime, del lavoro e del capitale, ma il suo possesso oltre ad essere temporaneo è esclusivamente finalizzato al processo produttivo;
nel corso di un'operazione edificatoria l'imprenditore edile deve sostenere, tra gli altri e non in modo marginale, i cosiddetti oneri concessori, costituiti dagli oneri di urbanizzazione e dal contributo sul costo di costruzione, vere e proprie imposte che affluiscono alle casse degli Enti Locali e che nel concreto si configurano come una duplicazione d'imposta;
nel cosiddetto «decreto liberalizzazioni» il legislatore ha previsto agevolazioni per l'imprenditore edile in ordine al pagamento dell'IMU per gli immobili di nuova costruzione rimasti invenduti, limitatamente ai primi tre anni dalla loro ultimazione, ritenendo gli stessi non un vero e proprio patrimonio immobiliare, ma il prodotto finale della produzione, ossia beni da vendere,

impegna il Governo

a prevedere l'esonero dal pagamento dell'IMU per le aree edificabili per l'intera durata del processo produttivo di trasformazione dell'are, ossia dal rilascio della Concessione Edilizia all'ultimazione dei lavori.
9/5109-AR/10.Pagano, Gibiino.

La Camera,
premesso che:
l'Imposta Municipale Unica (IMU), così come la vecchia Imposta Comunale sugli Immobili (ICI), ha come presupposto il possesso di un immobile, sia esso un fabbricato o un'area edificabile. Il possesso di un'area edificabile (o fabbricabile), resa tale dalla strumentazione urbanistica vigente, comporta pertanto, alla stessa stregua di un fabbricato, il pagamento dell'IMU sulla base dell'aliquota stabilita dal Comune ove l'area ricade e del valore di mercato della stessa;
l'imprenditore edile che acquista un'area edificabile al solo scopo di trasformarla in fabbricato, con pertinente corte, durante il periodo della edificazione (dal rilascio della Concessione Edilizia, o titolo edilizio abilitativo equipollente, e fino all'ultimazione dei lavori) è tenuto a sopportare, oltre ai considerevoli costi propri dell'attività imprenditoriale, anche il peso di tale imposta;
nell'ambito di una ordinaria attività imprenditoriale edile, tuttavia, l'area edificabile non solo costituisce uno dei fattori della produzione, al pari delle materie prime, del lavoro e del capitale, ma il suo possesso oltre ad essere temporaneo è esclusivamente finalizzato al processo produttivo;
nel corso di un'operazione edificatoria l'imprenditore edile deve sostenere, tra gli altri e non in modo marginale, i cosiddetti oneri concessori, costituiti dagli oneri di urbanizzazione e dal contributo sul costo di costruzione, vere e proprie imposte che affluiscono alle casse degli Enti Locali e che nel concreto si configurano come una duplicazione d'imposta;
nel cosiddetto «decreto liberalizzazioni» il legislatore ha previsto agevolazioni per l'imprenditore edile in ordine al pagamento dell'IMU per gli immobili di nuova costruzione rimasti invenduti, limitatamente ai primi tre anni dalla loro ultimazione, ritenendo gli stessi non un vero e proprio patrimonio immobiliare, ma il prodotto finale della produzione, ossia beni da vendere,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere l'esonero dal pagamento dell'IMU per le aree edificabili per l'intera durata del processo produttivo di trasformazione dell'are, ossia dal rilascio della Concessione Edilizia all'ultimazione dei lavori.
9/5109-AR/10.(Testo modificato nel corso della seduta) Pagano, Gibiino.

La Camera,
premesso che:
il Paese sta vivendo un momento di forte recessione e la previsione per il futuro non è certo rosea;
solo con una forte e rapida azione mirata alla crescita, può superarsi la fase di crisi che oggi interessa l'Italia;
i diversi suicidi di questi ultimi mesi evidenziano il disagio che attualmente colpisce gli italiani;
il numero dei poveri in Italia è in crescita;
la pressione fiscale ha raggiunto livelli massimi;
preoccupa un eventuale aumento dell'IVA dal 21 al 23 per cento previsto per dopo il periodo estivo;
l'aumento dell'imposta, infatti, frenerebbe ancora i consumi e quindi la crescita;
non automaticamente ad un aumento di imposta seguono maggiori entrate,

impegna il Governo

a studiare atti e strumenti diretti a scongiurare il temuto aumento dell'Imposta sul valore aggiunto.
9/5109-AR/11.Antonio Pepe.

La Camera,
premesso che:
il Paese sta vivendo un momento di forte recessione e la previsione per il futuro non è certo rosea;
solo con una forte e rapida azione mirata alla crescita, può superarsi la fase di crisi che oggi interessa l'Italia;
i diversi suicidi di questi ultimi mesi evidenziano il disagio che attualmente colpisce gli italiani;
il numero dei poveri in Italia è in crescita;
la pressione fiscale ha raggiunto livelli massimi;
preoccupa un eventuale aumento dell'IVA dal 21 al 23 per cento previsto per dopo il periodo estivo;
l'aumento dell'imposta, infatti, frenerebbe ancora i consumi e quindi la crescita;
non automaticamente ad un aumento di imposta seguono maggiori entrate,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di studiare atti e strumenti diretti a scongiurare il temuto aumento dell'Imposta sul valore aggiunto.
9/5109-AR/11.(Testo modificato nel corso della seduta) Antonio Pepe.

La Camera,
premesso che:
occorre tener presente la situazione che si determina per effetto della norma che prevede, entro il 10 dicembre 2012, la possibilità di modificare l'aliquota da applicare ai fabbricati rurali ad uso strumentale e ai terreni agricoli, in modo da garantire che il gettito complessivo non superi quello previsto, delle norme sull'accatastamento dei fabbricati rurali nel catasto edilizio urbano, della possibilità dei comuni di variare le aliquote e della necessità di individuare i comuni ai quali si applica l'esenzione da imposta per i terreni agricoli ricadenti in aree montane o collinari;
sussistono rilevanti e contraddittorie valutazioni - da parte del Governo e da parte delle organizzazioni agricole - sul gettito atteso per l'IMU agricola;
la citata disposizione (lettera d) del comma 5 dell'articolo 4) - che affida ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la modifica dell'aliquota da applicare, in modo da garantire che il gettito complessivo non superi, per l'anno 2012, gli ammontari previsti dal Ministero dell'economia e delle finanze, rispettivamente, per i fabbricati rurali ad uso strumentale e per i terreni - (con l'analoga disposizione di cui alla lettera h) del comma 5) va valutata con riferimento all'articolo 23 della Costituzione, che prevede una riserva di legge ai fini dell'imposizione di una prestazione personale o patrimoniale, tenuto anche conto che il decreto-legge n. 201 del 2011 non aveva esplicitamente quantificato il gettito atteso dalla norma in commento, che trova la propria quantificazione nella sola relazione tecnica allegata al provvedimento;
richiamato il parere espresso dalla Commissione Agricoltura nella seduta del 12 aprile scorso,

impegna il Governo:

a verificare la possibilità - in linea con i criteri introdotti dal Senato e per le ragioni esposte in premessa - di prevedere che la rimodulazione della tassazione IMU relativa ai fabbricati rurali ad uso strumentale e ai terreni agricoli sia disposta anche in via anticipata e a porre in essere tutte le iniziative atte a valutare l'andamento del gettito, in modo da assicurare che il carico fiscale che effettivamente graverà sul mondo agricolo non sia superiore a quello atteso per effetto del decreto-legge n. 201 del 2011;
a valutare l'ulteriore possibilità di prevedere, ove ciò non fosse possibile, termini più ampi per il pagamento dell'imposta per l'anno 2012.
9/5109-AR/12.Beccalossi, Oliverio, Delfino, Ruvolo, Paolo Russo, Zucchi, Agostini, Bellotti, Biava, Brandolini, Marco Carra, Catanoso, Cenni, Cuomo, Dal Moro, De Camillis, Di Caterina, Dima, Faenzi, Fiorio, Marrocu, Martinelli, Naro, Nastri, Nola, Mario Pepe (PD), Romele, Rosso, Sani, Servodio, Taddei, Trappolino, Tommaso Foti.

La Camera,
premesso che:
in sede di esame degli emendamenti in Commissione Finanze alla Camera è stata giustamente soppressa la norma che sottoponeva a tassazione Irpef e Irap il corrispettivo percepito dai medici specializzandi;
peraltro, l'emendamento non affronta la problematica dei medici iscritti ai corsi di formazione specifica in medicina generale, corso triennale propedeutico per svolgere l'attività di medico cosiddetto di famiglia;
detti giovani percepiscono circa 11.000 euro annui e detto importo è soggetto a tassazione Irpef e Irap;
vi è, quindi, una ingiusta disparità tra medici specializzandi e detti medici corsisti,

impegna il Governo

a valutare quali strumenti introdurre per esentare da tassazione il corrispettivo percepito dai medici corsisti di cui in premessa.
9/5109-AR/13.Distaso, Fucci.

La Camera,
premesso che:
la mancata riscossione dei crediti vantati nei confronti della Pubblica amministrazione dalle piccole e medie imprese rappresenta un fenomeno che ha ormai raggiunto e superato i livelli di guardia, finendo con il trasferire alle stesse imprese fornitrici il problema di liquidità del settore pubblico;
la complessità dell'organizzazione delle procedure amministrative e dei criteri per il trasferimento dei fondi tra le varie strutture burocratiche (tra questi i vincoli del Patto di stabilità) e l'ampio potere di mercato della Pubblica Amministrazione, sono fattori determinanti che contribuiscono all'allungamento delle tempistiche di pagamento. La principale conseguenza di questi ritardi è la mancanza di liquidità nelle casse delle imprese fornitrici. Ne consegue, anzitutto, la difficoltà nell'onorare i pagamenti ai propri fornitori e, in subordine, l'impossibilità di porre in essere gli investimenti necessari;
inoltre, nonostante sia in difetto, lo Stato non manca di chiedere alle imprese massima regolarità nel pagamento dei contributi previdenziali, la qual cosa per molte aziende risulta quasi impossibile a causa della mancanza di liquidità, aggravata proprio dal ritardo nei pagamenti da parte della Pubblica amministrazione, e paradossalmente richiede, per ricevere il pagamento dei crediti accumulati con gli Enti pubblici, la presentazione del DURC (Documento unico di regolarità contributiva);
l'accumularsi progressivo di debiti delle amministrazioni pubbliche del nostro Paese nei confronti dei propri fornitori risulta inaccettabile anche in considerazione del fatto che le stesse imprese vengono, contestualmente, sollecitate all'adempimento delle proprie obbligazioni tributarie senza potersi avvalere della facoltà di compensare posizioni creditorie e debitorie;
quest'ultima facoltà non è infatti contemplata neanche dal meccanismo previsto dall'articolo 12, commi 11-quater e 11-quinquies del provvedimento in esame, che prevede che la certificazione di somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti da parte di regioni ed enti locali, che può essere ottenuta dal creditorie per crediti certi, liquidi ed esigibili, possa essere fatta valere anche al fine di consentire al creditore medesimo, oltre che la cessione «pro soluto», anche la cessione «pro solvendo» a favore di banche o intermediari finanziari riconosciuti dalla legislazione vigente;
occorre adottare provvedimenti per dare ossigeno alle imprese, aiutandole ad uscire dalla grave congiuntura economica,

impegna il Governo

ad adottare un provvedimento normativo che preveda che le imprese con un numero di dipendenti non superiore a 250, che vantano crediti esigibili da oltre sessanta giorni e non riscossi, nei confronti delle pubbliche amministrazioni a qualsiasi livello territoriale, possano differire all'anno d'imposta successivo a quello nel quale è previsto il pagamento, anche parzialmente, i pagamenti di ogni loro eventuale debito, compresi gli oneri previdenziali e tributari, nei confronti della pubblica amministrazione, in misura massima pari ai crediti da loro vantati, grazie ad una compensazione certificata.
9/5109-AR/14.Lombardo, Commercio, Lo Monte, Oliveri.

La Camera,
premesso che:
la mancata riscossione dei crediti vantati nei confronti della Pubblica amministrazione dalle piccole e medie imprese rappresenta un fenomeno che ha ormai raggiunto e superato i livelli di guardia, finendo con il trasferire alle stesse imprese fornitrici il problema di liquidità del settore pubblico;
la complessità dell'organizzazione delle procedure amministrative e dei criteri per il trasferimento dei fondi tra le varie strutture burocratiche (tra questi i vincoli del Patto di stabilità) e l'ampio potere di mercato della Pubblica Amministrazione, sono fattori determinanti che contribuiscono all'allungamento delle tempistiche di pagamento. La principale conseguenza di questi ritardi è la mancanza di liquidità nelle casse delle imprese fornitrici. Ne consegue, anzitutto, la difficoltà nell'onorare i pagamenti ai propri fornitori e, in subordine, l'impossibilità di porre in essere gli investimenti necessari;
inoltre, nonostante sia in difetto, lo Stato non manca di chiedere alle imprese massima regolarità nel pagamento dei contributi previdenziali, la qual cosa per molte aziende risulta quasi impossibile a causa della mancanza di liquidità, aggravata proprio dal ritardo nei pagamenti da parte della Pubblica amministrazione, e paradossalmente richiede, per ricevere il pagamento dei crediti accumulati con gli Enti pubblici, la presentazione del DURC (Documento unico di regolarità contributiva);
l'accumularsi progressivo di debiti delle amministrazioni pubbliche del nostro Paese nei confronti dei propri fornitori risulta inaccettabile anche in considerazione del fatto che le stesse imprese vengono, contestualmente, sollecitate all'adempimento delle proprie obbligazioni tributarie senza potersi avvalere della facoltà di compensare posizioni creditorie e debitorie;
quest'ultima facoltà non è infatti contemplata neanche dal meccanismo previsto dall'articolo 12, commi 11-quater e 11-quinquies del provvedimento in esame, che prevede che la certificazione di somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti da parte di regioni ed enti locali, che può essere ottenuta dal creditorie per crediti certi, liquidi ed esigibili, possa essere fatta valere anche al fine di consentire al creditore medesimo, oltre che la cessione «pro soluto», anche la cessione «pro solvendo» a favore di banche o intermediari finanziari riconosciuti dalla legislazione vigente;
occorre adottare provvedimenti per dare ossigeno alle imprese, aiutandole ad uscire dalla grave congiuntura economica,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare un provvedimento normativo che preveda che le imprese con un numero di dipendenti non superiore a 250, che vantano crediti esigibili da oltre sessanta giorni e non riscossi, nei confronti delle pubbliche amministrazioni a qualsiasi livello territoriale, possano differire all'anno d'imposta successivo a quello nel quale è previsto il pagamento, anche parzialmente, i pagamenti di ogni loro eventuale debito, compresi gli oneri previdenziali e tributari, nei confronti della pubblica amministrazione, in misura massima pari ai crediti da loro vantati, grazie ad una compensazione certificata.
9/5109-AR/14.(Testo modificato nel corso della seduta) Lombardo, Commercio, Lo Monte, Oliveri.

La Camera,
premesso che:
a partire dal 1o gennaio 2012 è entrato in vigore il nuovo regime dei contribuenti «minimi» o «regime fiscale di vantaggio per l'imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità», introdotto dalla sopra citata «Manovra correttiva», in sostituzione dell'attuale regime dei «minimi» di cui all'articolo 1, commi da 96 a 117, della legge n. 244 del 2007;
a decorrere dal 2012 il nuovo regime dei «minimi» è quindi applicabile esclusivamente alle persone fisiche che intraprendono un'attività d'impresa o di lavoro autonomo, o che l'hanno intrapresa a partire dal 1o gennaio 2008, per il periodo d'imposta di inizio dell'attività e per i 4 anni successivi;
l'applicazione è comunque ammessa anche oltre il 4o periodo d'imposta successivo a quello di inizio dell'attività, fino al compimento del 35o anno di età;
la norma stabilisce espressamente che tutti i contribuenti che hanno aperto la partita IVA prima del 1o gennaio 2008, a prescindere dalla loro età, non potranno comunque accedere al nuovo regime dei «minimi» in vigore dal 1o gennaio 2012;
inoltre il contribuente sceglie di applicare il nuovo regime dei «minimi» a partire dal 2012 deve essere in possesso di ulteriori requisiti: non deve aver esercitato, nei 3 anni precedenti l'inizio dell'attività, un'attività, professionale o d'impresa, anche in forma associata o familiare, e l'attività da esercitare non deve costituire, in nessun modo, mera prosecuzione di un'altra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo;
le condizioni che i contribuenti devono rispettare per rientrare nel regime diventano quindi più stringenti ed aggiuntive rispetto a quelle fissate dall'articolo 1, commi 96 e seguenti, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, che aveva introdotto il regime dei minimi;
si stima quindi che circa 500.000 soggetti fuoriescano dal «vecchio» regime, particolarmente favorevole sia in termini di riduzione degli adempimenti fiscali, sia in termini di riduzione del carico fiscale, e non rientrino nel «nuovo»;
questi ultimi potranno usufruire ancora di qualche semplificazione, ma avranno l'obbligo di applicare l'IRPEF con le regole ordinarie previste dal testo unico delle imposte sui redditi, comprese le addizionali regionali e comunali, e versare l'IVA entro il 16 marzo dell'anno successivo. Oltre a tali nuovi obblighi, i «fuoriusciti» dal regime dei minimi dovranno applicare gli studi di settore;
quest'ultimo adempimento sarà l'ostacolo più duro per chi fuoriesce dal regime dei minimi. Proprio a causa dei requisiti di accesso, quel regime era idoneo ad includere professionisti non iscritti ad albi, piccoli artigiani e commercianti con un volume d'affari ridotto e con un'attività poco strutturata, e una serie di altri contribuenti che già godono di altri redditi (magari da pensione) e svolgono un'attività residuale autonoma. L'applicazione a tali figure degli accertamenti basati sugli studi di settore, proprio per le caratteristiche di marginalità della loro attività, appare quindi priva di senso;
si tratta di un elevato numero di contribuenti che, visto anche il particolare momento di crisi economica, dovranno fuoriuscire da un regime particolarmente favorevole sia in termini di riduzione del carico fiscale sia per quanto riguarda gli adempimenti;
a sostegno di questi soggetti, lo scorso 28 febbraio la Camera dei Deputati ha votato, all'unanimità, una mozione con la quale s'impegna il Governo ad assumere iniziative per semplificare il trattamento tributario da riservare ai soggetti costretti a lasciare il regime cosiddetto dei contribuenti «minimi»,

impegna il Governo

ad attuare, in tempi celeri, la mozione numero 1-00895 votata nell'Aula della Camera dei Deputati lo scorso 28 febbraio al fine di assicurare ai contribuenti «minimi» semplificazioni contabili e meccanismi forfettari di determinazione delle imposte sui redditi, sull'IRAP e sull'IVA e di esentarli dagli studi di settore.
9/5109-AR/15.Commercio, Lo Monte, Lombardo, Oliveri.

La Camera,
premesso che:
a partire dal 1o gennaio 2012 è entrato in vigore il nuovo regime dei contribuenti «minimi» o «regime fiscale di vantaggio per l'imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità», introdotto dalla sopra citata «Manovra correttiva», in sostituzione dell'attuale regime dei «minimi» di cui all'articolo 1, commi da 96 a 117, della legge n. 244 del 2007;
a decorrere dal 2012 il nuovo regime dei «minimi» è quindi applicabile esclusivamente alle persone fisiche che intraprendono un'attività d'impresa o di lavoro autonomo, o che l'hanno intrapresa a partire dal 1o gennaio 2008, per il periodo d'imposta di inizio dell'attività e per i 4 anni successivi;
l'applicazione è comunque ammessa anche oltre il 4o periodo d'imposta successivo a quello di inizio dell'attività, fino al compimento del 35o anno di età;
la norma stabilisce espressamente che tutti i contribuenti che hanno aperto la partita IVA prima del 1o gennaio 2008, a prescindere dalla loro età, non potranno comunque accedere al nuovo regime dei «minimi» in vigore dal 1o gennaio 2012;
inoltre il contribuente sceglie di applicare il nuovo regime dei «minimi» a partire dal 2012 deve essere in possesso di ulteriori requisiti: non deve aver esercitato, nei 3 anni precedenti l'inizio dell'attività, un'attività, professionale o d'impresa, anche in forma associata o familiare, e l'attività da esercitare non deve costituire, in nessun modo, mera prosecuzione di un'altra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo;
le condizioni che i contribuenti devono rispettare per rientrare nel regime diventano quindi più stringenti ed aggiuntive rispetto a quelle fissate dall'articolo 1, commi 96 e seguenti, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, che aveva introdotto il regime dei minimi;
si stima quindi che circa 500.000 soggetti fuoriescano dal «vecchio» regime, particolarmente favorevole sia in termini di riduzione degli adempimenti fiscali, sia in termini di riduzione del carico fiscale, e non rientrino nel «nuovo»;
questi ultimi potranno usufruire ancora di qualche semplificazione, ma avranno l'obbligo di applicare l'IRPEF con le regole ordinarie previste dal testo unico delle imposte sui redditi, comprese le addizionali regionali e comunali, e versare l'IVA entro il 16 marzo dell'anno successivo. Oltre a tali nuovi obblighi, i «fuoriusciti» dal regime dei minimi dovranno applicare gli studi di settore;
quest'ultimo adempimento sarà l'ostacolo più duro per chi fuoriesce dal regime dei minimi. Proprio a causa dei requisiti di accesso, quel regime era idoneo ad includere professionisti non iscritti ad albi, piccoli artigiani e commercianti con un volume d'affari ridotto e con un'attività poco strutturata, e una serie di altri contribuenti che già godono di altri redditi (magari da pensione) e svolgono un'attività residuale autonoma. L'applicazione a tali figure degli accertamenti basati sugli studi di settore, proprio per le caratteristiche di marginalità della loro attività, appare quindi priva di senso;
si tratta di un elevato numero di contribuenti che, visto anche il particolare momento di crisi economica, dovranno fuoriuscire da un regime particolarmente favorevole sia in termini di riduzione del carico fiscale sia per quanto riguarda gli adempimenti;
a sostegno di questi soggetti, lo scorso 28 febbraio la Camera dei Deputati ha votato, all'unanimità, una mozione con la quale s'impegna il Governo ad assumere iniziative per semplificare il trattamento tributario da riservare ai soggetti costretti a lasciare il regime cosiddetto dei contribuenti «minimi»,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di attuare, in tempi celeri, la mozione numero 1-00895 votata nell'Aula della Camera dei Deputati lo scorso 28 febbraio al fine di assicurare ai contribuenti «minimi» semplificazioni contabili e meccanismi forfettari di determinazione delle imposte sui redditi, sull'IRAP e sull'IVA e di esentarli dagli studi di settore.
9/5109-AR/15.(Testo modificato nel corso della seduta) Commercio, Lo Monte, Lombardo, Oliveri.

La Camera,
premesso che:
il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214, istituisce in tutti i comuni del territorio nazionale il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni, e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni;
il decreto su citato al comma 15 dell'articolo 14 (Istituzione del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi) stabilisce che tramite l'emanazione di un regolamento i comuni possono prevedere riduzioni tariffarie nel caso di abitazioni occupate da soggetti che risiedano o abbiano la dimora, per più di sei mesi all'anno, all'estero;
il tributo è dovuto da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani;
la tariffa è commisurata alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte;
la stragrande maggioranza dei cittadini italiani iscritti all'AIRE proprietari di unità immobiliari in Italia risiede permanentemente all'estero e torna in Italia esclusivamente per passarci brevi periodi di vacanza;
la quantità media ordinaria dei rifiuti prodotti dai cittadini italiani che risiedono permanentemente all'estero e occupano la loro abitazione in Italia solo per brevi periodi di tempo è ovviamente molto ridotta se non trascurabile,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di predisporre una modifica alla disciplina dei tributi comunali sui rifiuti e sui servizi di cui al decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011 n. 214, che prescriva ai comuni di garantire ai cittadini italiani residenti permanentemente all'estero e proprietari di unità immobiliari in Italia non locate il pagamento di una tariffa commisurata all'effettiva quantità dei rifiuti prodotti e comunque non superiore al trenta per cento della tariffa che avrebbero pagato se fossero stati residenti in tale unità immobiliare.
9/5109-AR/16.Bucchino, Fedi, Porta, Garavini, Gianni Farina.

La Camera,
premesso che:
negli anni scorsi i dipendenti del Ministero degli affari esteri impiegati all'estero hanno potuto utilizzare, ai fini della presentazione della dichiarazione dei redditi e a seguito di precise istruzioni impartite dal Ministero stesso, il modello «730» anziché il modello «Unico», proprio in forza di tale rapporto di lavoro;
i predetti dipendenti, per contratto, non possono avere altro reddito anche se residenti all'estero e quindi producono reddito esclusivamente in Italia;
per la dichiarazione dei redditi relativa all'anno 2006, invece, l'utilizzo del modello «730» fu precluso ai dipendenti del Ministero degli affari esteri assunti all'estero;
la «Guida del contribuente» e le istruzioni per la compilazione del modello «730», e del modello «Unico» lasciavano ampi spazi a interpretazioni contrastanti rispetto alla modulistica da utilizzare;
in seguito, l'Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti in materia precludendo definitivamente l'utilizzo del modello «730» per i residenti all'estero;
i cittadini italiani residenti all'estero che producono un reddito soggetto a imposizione fiscale in Italia, sulla base della normativa nazionale o in conformità a convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni fiscali, dipendenti di pubbliche amministrazioni dello Stato italiano, devono avere gli stessi doveri e diritti e quindi devono poter accedere a procedure semplificate e a operazioni di conguaglio in sede di versamenti dell'imposta sul reddito delle persone fisiche da parte del sostituto d'imposta stesso,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di modificare l'articolo 37 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, consentendo, in una logica di piena equiparazione di diritti e di doveri per coloro i quali lavorano alle dipendenze di un'amministrazione pubblica italiana che agisca anche da sostituto d'imposta, la possibilità di utilizzare il modello «730» per la dichiarazione dei redditi a prescindere dalla residenza.
9/5109-AR/17.Fedi, Bucchino, Garavini, Narducci, Porta, Gianni Farina.

La Camera,
premesso che:
la soppressione dei commi 16-ter e 16-quater dell'articolo 3, i quali, introdotti durante l'esame al Senato, intendevano modificare il regime fiscale delle somme corrisposte a titolo di borse di studio, al fine di sottoporle ad Irpef per l'ammontare eccedente gli 11.500 euro, assimilandole ai redditi da lavoro dipendente, rappresenta un primo doveroso passo per la valorizzazione della ricerca in Italia;
in seguito alle numerose segnalazioni che hanno anticipato la suddetta modifica è stata denunciata da molti giovani medici la disparità nei confronti dei borsisti di medicina generale che, a differenza dei medici specializzandi, hanno sempre pagato sia l'IRPEF, sia la quota B dell'ENPAM sull'intero importo della borsa di studio e che, anche dopo l'approvazione del provvedimento in esame, continueranno a pagare,

impegna il Governo

a prevedere con una modifica legislativa ad hoc la detassazione dall'IRPEF e dalla quota B dell'ENPAM anche per le borse di studio dei borsisti di medicina generale.
9/5109-AR/18.Sarubbi, Pedoto, Ghizzoni, D'Incecco, Vassallo, Servodio, Barani, Calabria.

La Camera,
premesso che:
la soppressione dei commi 16-ter e 16-quater dell'articolo 3, i quali, introdotti durante l'esame al Senato, intendevano modificare il regime fiscale delle somme corrisposte a titolo di borse di studio, al fine di sottoporle ad Irpef per l'ammontare eccedente gli 11.500 euro, assimilandole ai redditi da lavoro dipendente, rappresenta un primo doveroso passo per la valorizzazione della ricerca in Italia;
in seguito alle numerose segnalazioni che hanno anticipato la suddetta modifica è stata denunciata da molti giovani medici la disparità nei confronti dei borsisti di medicina generale che, a differenza dei medici specializzandi, hanno sempre pagato sia l'IRPEF, sia la quota B dell'ENPAM sull'intero importo della borsa di studio e che, anche dopo l'approvazione del provvedimento in esame, continueranno a pagare,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere con una modifica legislativa ad hoc la detassazione dall'IRPEF e dalla quota B dell'ENPAM anche per le borse di studio dei borsisti di medicina generale.
9/5109-AR/18.(Testo modificato nel corso della seduta) Sarubbi, Pedoto, Ghizzoni, D'Incecco, Vassallo, Servodio, Barani, Calabria.

La Camera,
premesso che:
molte famiglie impegnano parte delle proprie entrate per il pagamento di un mutuo per l'acquisto della prima casa;
la capacità contributiva delle famiglie che sono gravate da un mutuo è sicuramente più limitata rispetto a chi non ne ha alcuno ed ha la piena proprietà di un immobile;
inoltre chi ha una casa gravata di mutuo non ha ancora la piena proprietà dell'immobile stesso e potrebbe non averla mai se non riuscisse a garantire il completo pagamento del mutuo stesso;
l'aggiunta del pagamento dell'imposta municipale propria (IMU) impegnerà economicamente molte famiglie costrette a far fronte a ulteriori sacrifici;
in un momento di restrizione e di continue richieste di sacrifici anche una piccola agevolazione può rappresentare un aiuto, soprattutto per le giovani famiglie,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, in coerenza con le spese di finanza pubblica, di prevedere agevolazioni sul pagamento dell'imposta municipale propria per la prima casa per coloro che sostengono il pagamento del mutuo sulla stessa.
9/5109-AR/19.De Pasquale.

La Camera,
premesso che:
la disciplina generale relativa all'imposta municipale unica (IMU) recata dal decreto legislativo n. 23 del 2011 stabiliva che l'aliquota dell'imposta municipale unica, prevista in via generale nella misura del 7,6 per mille, fosse ridotta alla metà (3,8 per mille) per gli immobili locati;
al contrario, la disciplina IMU introdotta in via sperimentale dall'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, demanda ai comuni la scelta se stabilire una aliquota differenziata per tali immobili, con possibilità di scendere fino al 4 per mille;
il settore delle locazioni, in particolare di quelle a canale concordato, dovrebbe costituire una componente fondamentale delle risposte necessarie e sempre più urgenti al grave problema del disagio abitativo nel nostro Paese, ulteriormente aggravato dagli effetti della crisi economica;
la riduzione per via legislativa dell'aliquota al 4 per mille dell'IMU sugli immobili locati, estendendo agli stessi la disciplina prevista per gli immobili destinati ad abitazione principale, costituirebbe una misura positiva per sostenere, in particolare, la componente della locazione a canale concordato, senza penalizzare ulteriormente le entrate spettanti ai Comuni, che, anzi, avrebbero interesse a promuovere accordi locali,

impegna il Governo

a valutare con urgenza l'opportunità di prevedere una aliquota IMU agevolata per gli immobili locati, con particolare riferimento a quelli a «canone concordato».
9/5109-AR/20.Braga, Gibiino.

La Camera,
premesso che:
nel provvedimento in esame, l'articolo 2, comma 5-bis, reca disposizioni sulla responsabilità solidale del committente, imprenditore o datore di lavoro, con l'appaltatore ed eventuali subappaltatori, in relazione al versamento all'Erario delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente e dell'IVA relativa alle fatture dei lavori realizzati;
tale responsabilità dura 2 anni dalla cessazione dell'appalto e non si applica qualora si dimostri di aver messo in atto tutte le cautele possibili per evitare l'inadempimento;
al momento, poiché non esiste una certificazione delle ritenute effettuate e dell'IVA incassata relativamente a ciascun appalto o subappalto, gli ulteriori obblighi che la norma pone in capo all'impresa risultano di difficile applicazione poiché, nella medesima norma, non sono individuati anche gli strumenti mediante i quali possa esercitarsi il controllo nei confronti dell'appaltatore e dei subappaltatori;
di fatto, i soggetti coobbligati in solido non hanno la possibilità di accedere all'esimente previsto dalla normativa stessa che prevede la non applicazione della responsabilità in solido qualora si dimostri di aver messo in atto tutte le cautele possibili per evitare l'inadempimento sanzionabile;
al riguardo, si sottolinea come la questione sia centrale per il settore delle costruzioni, in cui i lavoratori vengono spesso utilizzati contemporaneamente in più cantieri, mentre i versamenti delle ritenute sono, come noto, mensili e riferiti a tutti i dipendenti in forza presso l'impresa;
infine, risulta di fondamentale importanza evitare che siano introdotti ulteriori oneri burocratici documentali, connessi agli adempimenti per il rispetto delle disposizioni sulla responsabilità solidale del committente, utilizzando gli strumenti burocratici già esistenti,

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità di prorogare l'applicazione delle disposizioni sulla responsabilità solidale fino all'entrata in vigore di un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze che definisca le modalità per la verifica, da parte del committente o appaltatore, del corretto adempimento degli obblighi fiscali in tema di versamento delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e dell'IVA inerenti gli appalti;
ad evitare, in ogni caso, l'introduzione di nuovi obblighi documentali, rispetto a quelli già previsti dalla normativa vigente per l'attuazione della responsabilità solidale anche ipotizzando un Modello di versamento F24 «generale», accompagnato da un'eventuale autodichiarazione dell'appaltatore o subappaltatore che certifichi che, in tale modello, sono comprese le ritenute fiscali e l'IVA relative all'appalto;
a valutare l'opportunità di prevedere la possibilità, per i coobbligati in solido di eccepire il beneficio della preventiva escussione del patrimonio del responsabile dell'inadempimento e l'esclusione della responsabilità solidale per il pagamento delle sanzioni, per le quali resta obbligato il responsabile dell'inadempimento.
9/5109-AR/21.Mariani.

La Camera,
premesso che:
nel provvedimento in esame, l'articolo 2, comma 5-bis, reca disposizioni sulla responsabilità solidale del committente, imprenditore o datore di lavoro, con l'appaltatore ed eventuali subappaltatori, in relazione al versamento all'Erario delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente e dell'IVA relativa alle fatture dei lavori realizzati;
tale responsabilità dura 2 anni dalla cessazione dell'appalto e non si applica qualora si dimostri di aver messo in atto tutte le cautele possibili per evitare l'inadempimento;
al momento, poiché non esiste una certificazione delle ritenute effettuate e dell'IVA incassata relativamente a ciascun appalto o subappalto, gli ulteriori obblighi che la norma pone in capo all'impresa risultano di difficile applicazione poiché, nella medesima norma, non sono individuati anche gli strumenti mediante i quali possa esercitarsi il controllo nei confronti dell'appaltatore e dei subappaltatori;
di fatto, i soggetti coobbligati in solido non hanno la possibilità di accedere all'esimente previsto dalla normativa stessa che prevede la non applicazione della responsabilità in solido qualora si dimostri di aver messo in atto tutte le cautele possibili per evitare l'inadempimento sanzionabile;
al riguardo, si sottolinea come la questione sia centrale per il settore delle costruzioni, in cui i lavoratori vengono spesso utilizzati contemporaneamente in più cantieri, mentre i versamenti delle ritenute sono, come noto, mensili e riferiti a tutti i dipendenti in forza presso l'impresa;
infine, risulta di fondamentale importanza evitare che siano introdotti ulteriori oneri burocratici documentali, connessi agli adempimenti per il rispetto delle disposizioni sulla responsabilità solidale del committente, utilizzando gli strumenti burocratici già esistenti,

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità di prorogare l'applicazione delle disposizioni sulla responsabilità solidale fino all'entrata in vigore di un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze che definisca le modalità per la verifica, da parte del committente o appaltatore, del corretto adempimento degli obblighi fiscali in tema di versamento delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e dell'IVA inerenti gli appalti;
a valutare l'opportunità di evitare, in ogni caso, l'introduzione di nuovi obblighi documentali, rispetto a quelli già previsti dalla normativa vigente per l'attuazione della responsabilità solidale anche ipotizzando un Modello di versamento F24 «generale», accompagnato da un'eventuale autodichiarazione dell'appaltatore o subappaltatore che certifichi che, in tale modello, sono comprese le ritenute fiscali e l'IVA relative all'appalto;
a valutare l'opportunità di prevedere la possibilità, per i coobbligati in solido di eccepire il beneficio della preventiva escussione del patrimonio del responsabile dell'inadempimento e l'esclusione della responsabilità solidale per il pagamento delle sanzioni, per le quali resta obbligato il responsabile dell'inadempimento.
9/5109-AR/21.(Testo modificato nel corso della seduta) Mariani.

La Camera,
premesso che:
il sistema dei porti nazionale è essenziale supporto allo sviluppo economico e sociale dell'intero Paese. Pertanto è indispensabile salvaguardarne l'efficienza, l'economicità e la capacità competitiva, tanto più considerato il contesto concorrenziale in cui opera e la difficile congiuntura;
con la Risoluzione n. 3/DF in data 10 agosto 2009, del Ministero dell'Economia e delle Finanze - Dipartimento delle Finanze - Direzione Federalismo Fiscale, sono stati forniti chiarimenti interpretativi in ordine alla corretta applicazione dell'Imposta Comunale sugli Immobili - ICI - nelle aree portuali oggetto di concessioni demaniali del seguente tenore: «l'area demaniale è esente da ICI - ai sensi dell'articolo 7, comma 1, lettera h) del decreto legislativo n. 504 del 1992 - qualora faccia parte di un compendio destinato al traffico marittimo e/o ad operazioni strettamente necessarie alle attività portuali e, come tale, vada incorporata in un'unità immobiliare censita al Catasto Edilizio Urbano nella categoria E/1, specificamente individuata nella circolare n. 4/T del 13 aprile 2007 dell'Agenzia del Territorio. Qualora, invece, all'interno dell'area demaniale si realizzino interventi od opere non destinate agli usi suddetti ed aventi caratteristiche tali da far assumere all'area, o a porzione di essa, natura di un'autonoma unità immobiliare ai sensi del decreto ministeriale 2 gennaio 1998, n. 28, si deve procedere alla presentazione delle dichiarazioni in catasto, rappresentando le variazioni intervenute e quindi solo dette unità immobiliari potrebbero essere assoggettate al pagamento dell'ICI nell'eventualità in cui venissero accertate in una categoria diversa da quelle richiamate nel gruppo "E" del quadro di qualificazione catastale»;
nonostante le soprarichiamate inequivocabili indicazioni e chiarimenti interpretativi, non tutti gli uffici periferici della competente Agenzia del Territorio hanno tenuto in conto le indicazioni medesime, ritenendo che aree demaniali precedentemente censite in categorie diverse dalla E/1 non possono veder modificata la categoria già attribuita per ricondurla alla corretta categoria E/1;
non tenendo conto della risoluzione 3/DF del 10 agosto 2009 del Ministero dell'Economia e delle Finanze, diversi Uffici Territoriali dell'Agenzia del Territorio hanno notificato avvisi di accertamenti a carico di concessionari di aree demaniali (banchine, piazzali, parcheggi, aree operative), in ambito portuale, talora anche previa modifica delle categorie catastali del bene in concessione;
considerato che:
ciò ha dato origine a molteplici contenziosi;
l'ingiusta e immotivata pretesa si traduce in un aggravio di costi a carico del concessionario, tale da limitare la capacità competitiva dell'operatore portuale;
i difformi comportamenti dei vari Uffici Territoriali dell'Agenzia del Territorio, generando costi immotivatamente diversi per operatori localizzati in porti distanti tra loro anche pochi chilometri, e talvolta anche per operatori dello stesso porto (ovvero che agiscono in mercati omogenei), di fatto creano disparità palesi e alterano le rispettive capacità concorrenziali,

impegna il Governo:

a impartire specifiche direttive sicché tutti gli Uffici Territoriali dell'Agenzia del Territorio adottino comportamenti conformi alla Risoluzione n. 3/DF datata 10 agosto 2009 del Ministero dell'Economia e delle Finanze;
a introdurre nell'ordinamento, a fini di certezza, una specifica norma primaria, con finalità e contenuto sostanzialmente interpretativo, intesa a chiarire che le aree demaniali marittime dei porti, come delimitate dal Piano Regolatore portuale, ivi comprese le aree destinate alla produzione industriale, all'attività cantieristica e alle infrastrutture stradali e ferroviarie, in quanto compendi destinati al traffico marittimo e ad attività funzionali alle attività portuali, non sono assoggettate all'imposta comunale sugli immobili ed all'imposta municipale propria di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23.
9/5109-AR/22.Tullo.

La Camera,
premesso che:
il sistema dei porti nazionale è essenziale supporto allo sviluppo economico e sociale dell'intero Paese. Pertanto è indispensabile salvaguardarne l'efficienza, l'economicità e la capacità competitiva, tanto più considerato il contesto concorrenziale in cui opera e la difficile congiuntura;
con la Risoluzione n. 3/DF in data 10 agosto 2009, del Ministero dell'Economia e delle Finanze - Dipartimento delle Finanze - Direzione Federalismo Fiscale, sono stati forniti chiarimenti interpretativi in ordine alla corretta applicazione dell'Imposta Comunale sugli Immobili - ICI - nelle aree portuali oggetto di concessioni demaniali del seguente tenore: «l'area demaniale è esente da ICI - ai sensi dell'articolo 7, comma 1, lettera h) del decreto legislativo n. 504 del 1992 - qualora faccia parte di un compendio destinato al traffico marittimo e/o ad operazioni strettamente necessarie alle attività portuali e, come tale, vada incorporata in un'unità immobiliare censita al Catasto Edilizio Urbano nella categoria E/1, specificamente individuata nella circolare n. 4/T del 13 aprile 2007 dell'Agenzia del Territorio. Qualora, invece, all'interno dell'area demaniale si realizzino interventi od opere non destinate agli usi suddetti ed aventi caratteristiche tali da far assumere all'area, o a porzione di essa, natura di un'autonoma unità immobiliare ai sensi del decreto ministeriale 2 gennaio 1998, n. 28, si deve procedere alla presentazione delle dichiarazioni in catasto, rappresentando le variazioni intervenute e quindi solo dette unità immobiliari potrebbero essere assoggettate al pagamento dell'ICI nell'eventualità in cui venissero accertate in una categoria diversa da quelle richiamate nel gruppo "E" del quadro di qualificazione catastale»;
nonostante le soprarichiamate inequivocabili indicazioni e chiarimenti interpretativi, non tutti gli uffici periferici della competente Agenzia del Territorio hanno tenuto in conto le indicazioni medesime, ritenendo che aree demaniali precedentemente censite in categorie diverse dalla E/1 non possono veder modificata la categoria già attribuita per ricondurla alla corretta categoria E/1;
non tenendo conto della risoluzione 3/DF del 10 agosto 2009 del Ministero dell'Economia e delle Finanze, diversi Uffici Territoriali dell'Agenzia del Territorio hanno notificato avvisi di accertamenti a carico di concessionari di aree demaniali (banchine, piazzali, parcheggi, aree operative), in ambito portuale, talora anche previa modifica delle categorie catastali del bene in concessione;
considerato che:
ciò ha dato origine a molteplici contenziosi;
l'ingiusta e immotivata pretesa si traduce in un aggravio di costi a carico del concessionario, tale da limitare la capacità competitiva dell'operatore portuale;
i difformi comportamenti dei vari Uffici Territoriali dell'Agenzia del Territorio, generando costi immotivatamente diversi per operatori localizzati in porti distanti tra loro anche pochi chilometri, e talvolta anche per operatori dello stesso porto (ovvero che agiscono in mercati omogenei), di fatto creano disparità palesi e alterano le rispettive capacità concorrenziali,

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità di impartire specifiche direttive sicché tutti gli Uffici Territoriali dell'Agenzia del Territorio adottino comportamenti conformi alla Risoluzione n. 3/DF datata 10 agosto 2009 del Ministero dell'Economia e delle Finanze;
a valutare l'opportunità di introdurre nell'ordinamento, a fini di certezza, una specifica norma primaria, con finalità e contenuto sostanzialmente interpretativo, intesa a chiarire che le aree demaniali marittime dei porti, come delimitate dal Piano Regolatore portuale, ivi comprese le aree destinate alla produzione industriale, all'attività cantieristica e alle infrastrutture stradali e ferroviarie, in quanto compendi destinati al traffico marittimo e ad attività funzionali alle attività portuali, non sono assoggettate all'imposta comunale sugli immobili ed all'imposta municipale propria di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23.
9/5109-AR/22.(Testo modificato nel corso della seduta) Tullo.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame reca una serie di disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento;
durante l'esame del provvedimento al Senato, sono state introdotte, all'articolo 4, alcune modifiche e integrazioni alla disciplina dell'IMU di cui all'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 volte, principalmente, a garantire una maggiore equità sociale nella sua applicazione;
è opportuno, oltre che doveroso, nell'attuale momento di grave crisi economica che sta attraversando il nostro paese, che tutti i soggetti siano chiamati a partecipare equamente agli enormi sacrifici economici imposti;
in tale ottica, già il decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 è intervenuto, in particolare, in materia di esenzione dell'imposta comunale sugli immobili degli enti non commerciali, al fine di assicurare che le esenzioni di cui all'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 si applichino solo alle unità immobiliari o alle frazioni di unita immobiliari adibite esclusivamente alle attività di natura «non commerciale»;
il Sottosegretario Vieri Ceriani, nel motivare il parere contrario ad alcuni emendamenti presentati in Commissione finanze volti ad escludere dall'applicazione delle citate esenzioni gli immobili di proprietà delle fondazioni bancarie, si è limitato ad affermare che ad esse «si applica necessariamente lo stesso trattamento riservato agli enti non commerciali, avendo tale natura»;
le fondazioni bancarie - che, nel nostro ordinamento, sono riconosciute come soggetti non profit, privati e autonomi, dotati di piena autonomia statutaria e gestionale, che dovrebbero perseguire esclusivamente scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico del territorio - spesso sono gli «azionisti» più importanti di numerose banche e finiscono col gestire un patrimonio, anche immobiliare, di miliardi di euro;
anche alla luce delle recenti polemiche, è necessario fugare ogni dubbio in merito alla questione delle eventuali esenzioni dal pagamento dell'IMU per tali enti, fornendo chiari e concreti elementi di certezza al riguardo,

impegna il Governo

ad adottare tempestivamente tutte le misure di competenza - anche di carattere normativo - volte a chiarire e ad assicurare, in maniera inequivocabile, che le esenzioni di cui all'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, si applichino solo agli immobili e alle porzioni di immobili di proprietà delle fondazioni bancarie, che siano, in effetti, utilizzate esclusivamente per lo svolgimento, con modalità non commerciali, delle loro attività istituzionali.
9/5109-AR/23.Proietti Cosimi, Di Biagio.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame reca una serie di disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento;
durante l'esame del provvedimento al Senato, sono state introdotte, all'articolo 4, alcune modifiche e integrazioni alla disciplina dell'IMU di cui all'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 volte, principalmente, a garantire una maggiore equità sociale nella sua applicazione;
è opportuno, oltre che doveroso, nell'attuale momento di grave crisi economica che sta attraversando il nostro paese, che tutti i soggetti siano chiamati a partecipare equamente agli enormi sacrifici economici imposti;
in tale ottica, già il decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 è intervenuto, in particolare, in materia di esenzione dell'imposta comunale sugli immobili degli enti non commerciali, al fine di assicurare che le esenzioni di cui all'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 si applichino solo alle unità immobiliari o alle frazioni di unita immobiliari adibite esclusivamente alle attività di natura «non commerciale»;
il Sottosegretario Vieri Ceriani, nel motivare il parere contrario ad alcuni emendamenti presentati in Commissione finanze volti ad escludere dall'applicazione delle citate esenzioni gli immobili di proprietà delle fondazioni bancarie, si è limitato ad affermare che ad esse «si applica necessariamente lo stesso trattamento riservato agli enti non commerciali, avendo tale natura»;
le fondazioni bancarie - che, nel nostro ordinamento, sono riconosciute come soggetti non profit, privati e autonomi, dotati di piena autonomia statutaria e gestionale, che dovrebbero perseguire esclusivamente scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico del territorio - spesso sono gli «azionisti» più importanti di numerose banche e finiscono col gestire un patrimonio, anche immobiliare, di miliardi di euro;
anche alla luce delle recenti polemiche, è necessario fugare ogni dubbio in merito alla questione delle eventuali esenzioni dal pagamento dell'IMU per tali enti, fornendo chiari e concreti elementi di certezza al riguardo,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare tempestivamente tutte le misure di competenza - anche di carattere normativo - volte a chiarire e ad assicurare, in maniera inequivocabile, che le esenzioni di cui all'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, si applichino solo agli immobili e alle porzioni di immobili di proprietà delle fondazioni bancarie, che siano, in effetti, utilizzate esclusivamente per lo svolgimento, con modalità non commerciali, delle loro attività istituzionali.
9/5109-AR/23.(Testo modificato nel corso della seduta) Proietti Cosimi, Di Biagio.

La Camera,
premesso che:
il comma 2-quater dell'articolo 2 del decreto-legge n. 225 del 2010 ha inserito il comma 5-sexies nell'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225 che ha previsto la possibilità di utilizzare le risorse presenti sul Fondo di cui all'articolo 28 del decreto-legge 18 novembre 1966, n. 976, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 dicembre 1966, n. 1142, «anche per intervenire nei territori per i quali è stato deliberato lo stato di emergenza ai sensi del comma 1 del medesimo articolo»;
a questo scopo sono state conferite al predetto Fondo le disponibilità rivenienti dal Fondo di cui all'articolo 5 della legge 31 luglio 1997, n. 261;
il predetto Fondo è destinato prioritariamente alla concessione di garanzie su finanziamenti concessi nei territori nei quali è stato dichiarato lo stato di emergenza a seguito di eventi calamitosi ai sensi della legge 16 febbraio 1995, n. 35 e sue successive modificazioni e integrazioni;
risultano giacenti da oltre due anni istanze legittimamente presentate da imprese rientranti nei predetti dettami del Fondo di cui alle leggi n. 1142 del 1966 e successive modificazioni ed integrazioni, sulla base dei requisiti indicati ai sensi della legge n. 35 del 1995 e successive modificazioni ed integrazioni, istanze che, pur avendo tutti i requisiti, a causa della mancanza di risorse finanziarie sul fondo di garanzia per finanziamenti restano bloccate presso il Mediocredito Centrale;
molte delle succitate aziende, che avevano già avviato gli investimenti per rilocalizzare i loro siti produttivi fuori da aree a rischio di esondazione, hanno fermato i lavori per mancanza di risorse finanziarie e che il persistere di questa situazione metterebbe a rischio la sopravvivenza delle aziende stesse e del posto di lavoro per i loro dipendenti;
è importante che i decreti di natura non regolamentare previsti, la cui emanazione da parte del Ministero dell'Economia e delle Finanze è finalizzata ad individuare le aree di intervento ed a stabilire le condizioni e le modalità per la concessione delle garanzie, consentano di dare corretta attuazione alla norma approvata,

impegna il Governo:

a vigilare affinché vengano con sollecitudine emanati i decreti ministeriali previsti allo scopo di favorire una rapida attuazione della norma che permetterebbe di risolvere definitivamente i problemi riguardanti le succitate imprese che attendono da oltre due anni l'approvazione delle loro istanze;
a vigilare affinché i suddetti decreti, nell'individuare le aree di intervento e stabilendo le condizioni e le modalità dello stesso, siano emanati salvaguardando i principi delle norme stabiliti dalla legge n. 1142 del 1966, istitutiva del suddetto Fondo, evitando così il rischio di eventuali alterazioni del fondamento della legge stessa, alterazioni che potrebbero favorire disparità di trattamento nei confronti di soggetti aventi gli stessi diritti.
9/5109-AR/24.Costa.

La Camera,
premesso che:
il comma 2-quater dell'articolo 2 del decreto-legge n. 225 del 2010 ha inserito il comma 5-sexies nell'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225 che ha previsto la possibilità di utilizzare le risorse presenti sul Fondo di cui all'articolo 28 del decreto-legge 18 novembre 1966, n. 976, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 dicembre 1966, n. 1142, «anche per intervenire nei territori per i quali è stato deliberato lo stato di emergenza ai sensi del comma 1 del medesimo articolo»;
a questo scopo sono state conferite al predetto Fondo le disponibilità rivenienti dal Fondo di cui all'articolo 5 della legge 31 luglio 1997, n. 261;
il predetto Fondo è destinato prioritariamente alla concessione di garanzie su finanziamenti concessi nei territori nei quali è stato dichiarato lo stato di emergenza a seguito di eventi calamitosi ai sensi della legge 16 febbraio 1995, n. 35 e sue successive modificazioni e integrazioni;
risultano giacenti da oltre due anni istanze legittimamente presentate da imprese rientranti nei predetti dettami del Fondo di cui alle leggi n. 1142 del 1966 e successive modificazioni ed integrazioni, sulla base dei requisiti indicati ai sensi della legge n. 35 del 1995 e successive modificazioni ed integrazioni, istanze che, pur avendo tutti i requisiti, a causa della mancanza di risorse finanziarie sul fondo di garanzia per finanziamenti restano bloccate presso il Mediocredito Centrale;
molte delle succitate aziende, che avevano già avviato gli investimenti per rilocalizzare i loro siti produttivi fuori da aree a rischio di esondazione, hanno fermato i lavori per mancanza di risorse finanziarie e che il persistere di questa situazione metterebbe a rischio la sopravvivenza delle aziende stesse e del posto di lavoro per i loro dipendenti;
è importante che i decreti di natura non regolamentare previsti, la cui emanazione da parte del Ministero dell'Economia e delle Finanze è finalizzata ad individuare le aree di intervento ed a stabilire le condizioni e le modalità per la concessione delle garanzie, consentano di dare corretta attuazione alla norma approvata,

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità di vigilare affinché vengano con sollecitudine emanati i decreti ministeriali previsti allo scopo di favorire una rapida attuazione della norma che permetterebbe di risolvere definitivamente i problemi riguardanti le succitate imprese che attendono da oltre due anni l'approvazione delle loro istanze;
a valutare l'opportunità di vigilare affinché i suddetti decreti, nell'individuare le aree di intervento e stabilendo le condizioni e le modalità dello stesso, siano emanati salvaguardando i principi delle norme stabiliti dalla legge n. 1142 del 1966, istitutiva del suddetto Fondo, evitando così il rischio di eventuali alterazioni del fondamento della legge stessa, alterazioni che potrebbero favorire disparità di trattamento nei confronti di soggetti aventi gli stessi diritti.
9/5109-AR/24.(Testo modificato nel corso della seduta) Costa.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame reca una serie di disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento;
durante l'esame del provvedimento al Senato, sono state introdotte, all'articolo 4, alcune modifiche e integrazioni alla disciplina dell'IMU di cui all'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 volte, principalmente, a garantire una maggiore equità sociale nella sua applicazione, anche con riferimento ai beni immobili del settore agricolo - quali terreni e fabbricati rurali;
nonostante lo sforzo compiuto dal Governo per individuare una soluzione positiva all'eccesso del carico dell'IMU gravante sulle imprese agricole, permangono una serie di criticità e di preoccupazioni per quanto concerne il futuro di un settore già strutturalmente debole, dal punto di vista economico, e duramente penalizzato dalla grave crisi economica che sta investendo il nostro Paese;
la normativa, tra l'altro, crea delle obiettive difficoltà alle medesime imprese agricole che non saranno in grado fino alla fine dell'anno di determinare le somme effettivamente dovute, tanto più se si considera che viene demandato a decreti del Presidente del Consiglio dei ministri - un provvedimento di rango sub primario - rispettivamente il compito di modificare l'aliquota dell'imposta municipale propria da applicare ai fabbricati rurali e ai terreni agricoli nonché la possibilità di modificare le aliquote attualmente previste a regime per i fabbricati rurali e per gli immobili, le relative variazioni e la detrazione dell'imposta municipale propria (IMU) sugli immobili; sussistono, tra l'altro, rilevanti differenze di valutazione - da parte del Governo e da parte delle organizzazioni agricole - sul gettito atteso per l'IMU agricola;
anche la XIII Commissione (Agricoltura) ha espresso parere favorevole al provvedimento in esame con alcune osservazioni volte, in particolare, ad assicurare che il carico fiscale che effettivamente graverà sul mondo agricolo non sia superiore a quello atteso per effetto del decreto-legge n. 201 del 2011, e a garantire alcuni interventi specifici a sostegno dell'attività agricola;
è importante, soprattutto nell'attuale fase di congiuntura economica, riconoscere il valore fondamentale della produzione agricola ed adottare adeguate strategie di politica a sostegno delle produzioni italiane agroalimentari,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare - già a partire dai prossimi provvedimenti - tutte le misure di competenza - anche di carattere normativo - volte a dare una adeguata soluzione alle criticità evidenziate in premessa, soprattutto al fine di rilanciare e di rendere più competitivo il sistema produttivo agricolo nazionale, anche eventualmente attraverso un'ulteriore revisione complessiva della disciplina IMU per il settore agricolo.
9/5109-AR/25.Patarino.

La Camera,
premesso che:
il comma 5-octies dell'articolo 4 del decreto-legge in esame stabilisce che i fabbricati ubicati nelle zone del sisma che ha colpito l'Abruzzo il 6 aprile 2009 sono esenti da IRPEF, IRES e IMU purché siano distrutti, ovvero siano oggetto di ordinanze di sgombero in quanto inagibili. L'esenzione si applica sino alla definitiva ricostruzione ed agibilità degli stessi cespiti;
tale norma però crea una disparità di trattamento rispetto ad altri territori dell'Italia che sono stati colpiti dal sisma come ad esempio il Molise e Puglia che ancora devono completare la ricostruzione in particolare le abitazioni private di classe A;
i cittadini Abruzzesi debbano avere questa agevolazione, il provvedimento così come formulato, crea una disparità di trattamento tra cittadini e non tra Regioni, in quanto l'IMU (Imposta Municipale Unica) sugli immobili «colpisce» i cittadini;
è evidente che bisogna intervenire anche per gli altri cittadini che non debbono essere considerati di minor valore di fronte ad eventi calamitosi imprevedibili, che non hanno nessuna colpa e nulla a che vedere con la gestione delle risorse per la ricostruzione;
si ricorda che in Molise la ricostruzione è ferma al 30 per cento, quindi il restante 70 per cento dei cittadini che hanno una casa inagibile, sarà costretto a dover pagare l'IMU, se pur nella misura del 50 per cento anche se prima casa pur non potendoci abitare. È necessaria un'omogeneità della normativa in questione,

impegna il Governo

ad adottare un opportuno provvedimento al fine di estendere l'esenzione prevista dal comma 5-octies dell'articolo 4 del decreto-legge in esame anche per i territori del Molise e Puglia colpiti dal sisma 2002.
9/5109-AR/26.De Camillis, Antonio Pepe.

La Camera,
premesso che:
il comma 5-octies dell'articolo 4 del decreto-legge in esame stabilisce che i fabbricati ubicati nelle zone del sisma che ha colpito l'Abruzzo il 6 aprile 2009 sono esenti da IRPEF, IRES e IMU purché siano distrutti, ovvero siano oggetto di ordinanze di sgombero in quanto inagibili. L'esenzione si applica sino alla definitiva ricostruzione ed agibilità degli stessi cespiti;
tale norma però crea una disparità di trattamento rispetto ad altri territori dell'Italia che sono stati colpiti dal sisma come ad esempio il Molise e Puglia che ancora devono completare la ricostruzione in particolare le abitazioni private di classe A;
i cittadini Abruzzesi debbano avere questa agevolazione, il provvedimento così come formulato, crea una disparità di trattamento tra cittadini e non tra Regioni, in quanto l'IMU (Imposta Municipale Unica) sugli immobili «colpisce» i cittadini;
è evidente che bisogna intervenire anche per gli altri cittadini che non debbono essere considerati di minor valore di fronte ad eventi calamitosi imprevedibili, che non hanno nessuna colpa e nulla a che vedere con la gestione delle risorse per la ricostruzione;
si ricorda che in Molise la ricostruzione è ferma al 30 per cento, quindi il restante 70 per cento dei cittadini che hanno una casa inagibile, sarà costretto a dover pagare l'IMU, se pur nella misura del 50 per cento anche se prima casa pur non potendoci abitare. È necessaria un'omogeneità della normativa in questione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare un opportuno provvedimento al fine di estendere l'esenzione prevista dal comma 5-octies dell'articolo 4 del decreto-legge in esame anche per i territori del Molise e Puglia colpiti dal sisma 2002.
9/5109-AR/26.(Testo modificato nel corso della seduta) De Camillis, Antonio Pepe.

La Camera,
premesso che:
il decreto legislativo n. 23 del 2011 stabiliva che l'aliquota dell'Imu, prevista in via generale nella misura del 7,6 per mille, fosse ridotta alla metà (3,8 per mille) per gli immobili locati;
la disciplina dell'Imu sperimentale ha invece demandato ai comuni la facoltà di stabilire una aliquota differenziata per tali immobili, con possibilità di scendere fino al 4 per mille. Si tratterrebbe in verità di una scelta puramente teorica, a causa della norma che prevede l'attribuzione allo Stato della metà, comunque, del gettito determinato dall'applicazione dell'aliquota generale;
i comuni, in generale, stanno in effetti stabilendo aliquote sopra l'ordinaria. In alcuni comuni, addirittura, è stato stabilito che si applicherà l'aliquota del 10,6 per mille per tutti gli immobili locati;
ciò determinerà aumenti di imposizione che in alcuni casi arriveranno all'800 per cento inducendo molti proprietari a non locare e a cercare di vendere gli immobili (peraltro non trovando acquirenti in questo particolare momento negativo del mercato immobiliare),

impegna il Governo

in vista dell'esame del disegno di legge di delega fiscale e al fine di evitare conseguenze negative nel settore delle locazioni, a valutare l'opportunità di prevedere che la riduzione al 4 per mille dell'aliquota base del 7,6 per mille, non costituisca una mera facoltà concessa ai comuni ma sia trasformata in una disposizione di legge in caso di contratti concordati.
9/5109-AR/27.Compagnon.

La Camera,
premesso che:
le dimore storiche rappresentano oggi una categoria di immobili a sé stante, non comparabile con gli altri immobili, in ragione degli incisivi vincoli, limiti alla redditività, oneri e costi che gravano sugli stessi;
a causa dei costi di mantenimento e di ristrutturazioni le dimore storiche manifestano numerosi problemi che incidono, anzitutto, sulla redditività e, dunque, sulla loro rilevanza patrimoniale;
sarebbe pertanto opportuno prevedere un coerente ed efficace regime fiscale differenziato che consenta, altresì, l'attuazione del principio costituzionale di tutela del patrimonio culturale e delle dimore storiche ed una valorizzazione delle stesse dimore storiche, affinché esse possano rappresentare sempre più punto di riferimento dello sviluppo culturale, storico-artistico, ma anche sociale ed economico del nostro Paese,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere in sede di discussione del disegno di legge di delega fiscale, una specifica disciplina impositiva applicabile alla generalità delle dimore storiche, indipendentemente dalla loro destinazione d'uso e con la possibilità di adeguamento ISTAT, tramite la previsione di una imposizione più incisiva rispetto al passato sul modello della cosiddetta «cedolare secca».
9/5109-AR/28.Cera.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 6 dicembre 2011 convertito con modificazioni in legge n. 214 del 22 dicembre 2011 ha introdotto la nuova imposta municipale propria (IMU) abrogando la precedente normativa in materia di ICI;
con particolare riferimento all'abitazione principale, l'IMU ricalca con modifiche il sistema di detrazioni già previsto in sede di ICI sulla prima casa estendendo, in particolare, come in precedenza, le agevolazioni «prima casa» anche alle abitazioni concesse in usufrutto (ad esempio abitazione in nuda proprietà del figlio concessa in usufrutto ai genitori);
tuttavia la normativa IMU ha cancellato l'equiparazione delle case concesse in uso gratuito (comodato) a parenti in linea retta o collaterale alle abitazioni principali, ai fini delle detrazioni di imposta: tale detrazione era prima consentita dall'articolo 59 comma 1 del decreto legislativo 15 dicembre 1997 n. 446;
appare eccessivo non consentire ai Comuni di tassare con l'aliquota ordinaria IMU quelle abitazioni concesse in uso gratuito ai figli, genitori o comunque a parenti stretti, anche in considerazione del fatto che i suddetti immobili non costituiscono produzione di reddito per i proprietari,

impegna il Governo

in vista dell'esame del disegno di legge di delega fiscale, a valutare l'opportunità di prevedere di reintrodurre l'equiparazione all'abitazione principale per le case concesse in uso gratuito (comodato) a parenti in linea retta o collaterale, ai fini dell'applicazione delle detrazioni spettanti alle «prime case».
9/5109-AR/29.Galletti.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame, come modificato a seguito di emendamenti approvati alla Camera, prevede la possibilità di rateizzare l'IMU in tre tranche;
appare evidente che il passaggio da un'imposta pari a zero, per i cittadini possessori della sola prima casa di abitazione, oltretutto già oberati da rate mensili di mutuo, a un'imposta ancora non ben definita e passibile di revisione in sede di seconda rata su indicazione statale o regionale, non può che essere graduale;
appare altresì necessario che l'IMU per motivi di giustizia sociale non dovrebbe essere applicata per le seguenti categorie di contribuenti:
1) pensionati che percepiscono reddito inferiore a 12.000;
2) famiglie monoreddito o con reddito cumulativo inferiore ai 20.000;
3) soggetti monoreddito che percepiscono un importo annuo inferiore a 15.000;
4) famiglie con persone disabili al 100 per cento a carico,

impegna il Governo

a valutare la possibilità, attraverso successivi provvedimenti legislativi (di esentare dal pagamento dell'IMU le seguenti categorie: a) pensionati che percepiscono reddito inferiore a 12.000, b) famiglie monoreddito o con reddito cumulativo inferiore ai 20.000, c) soggetti monoreddito che percepiscono un importo annuo inferiore a 15.000, d) famiglie con persone disabili al 100 per cento a carico.
9/5109-AR/30.Scilipoti.

La Camera,
premesso che:
in Italia sono, purtroppo, molto numerosi gli ex artigiani, commercianti, le piccole partite Iva individuali, che sono state dichiarate fallite o che sono in attesa di sentenza da parte del Tribunale Fallimentare;
sono molti gli individui di cui sopra ad essere in età pensionabile e percettori di una pensione mensile superiore ai 1.000,00 (mille) euro;
alla luce del decreto cosidetto di «semplificazione fiscale» dal 1o luglio 2012 le pensioni superiori ai 1.000,00 (mille) euro/mese, possono essere incassate solo attraverso accredito su conto corrente bancario o postale;
considerato che:
in base ai contenuti del regio decreto 16 marzo 1942 (legge fallimentare) e successive modificazioni e integrazioni ed alle norme del Codice Civile in materia di revocatorie, ai soggetti dichiarati falliti il sistema bancario non concede l'apertura di conto corrente e qualora sia già in essere viene revocato;
quindi questa fattispecie di soggetti si vedrebbe impossibilitata a percepire la pensione mensile, magari unico mezzo di sostentamento,

impegna il Governo

a convocare un tavolo tecnico con i vertici di Abi e Bancoposta al fine di trovare una soluzione alla fattispecie di cui sopra.
9/5109-AR/31.Marmo, Taddei.

La Camera,
premesso che:
in Italia sono, purtroppo, molto numerosi gli ex artigiani, commercianti, le piccole partite Iva individuali, che sono state dichiarate fallite o che sono in attesa di sentenza da parte del Tribunale Fallimentare;
sono molti gli individui di cui sopra ad essere in età pensionabile e percettori di una pensione mensile superiore ai 1.000,00 (mille) euro;
alla luce del decreto cosidetto di «semplificazione fiscale» dal 1o luglio 2012 le pensioni superiori ai 1.000,00 (mille) euro/mese, possono essere incassate solo attraverso accredito su conto corrente bancario o postale;
considerato che:
in base ai contenuti del regio decreto 16 marzo 1942 (legge fallimentare) e successive modificazioni e integrazioni ed alle norme del Codice Civile in materia di revocatorie, ai soggetti dichiarati falliti il sistema bancario non concede l'apertura di conto corrente e qualora sia già in essere viene revocato;
quindi questa fattispecie di soggetti si vedrebbe impossibilitata a percepire la pensione mensile, magari unico mezzo di sostentamento,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di convocare un tavolo tecnico con i vertici di Abi e Bancoposta al fine di trovare una soluzione alla fattispecie di cui sopra.
9/5109-AR/31.(Testo modificato nel corso della seduta) Marmo, Taddei.

La Camera,
premesso che:
una settimana fa migliaia di lavoratori esodati convocati dalle organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil hanno manifestato per richiedere interventi urgenti su un tema delicato che interviene sul destino di decine di migliaia di famiglie;
nei giorni scorsi diversi partiti politici hanno dichiarato di voler rinunciare alla tranche relativa ai rimborsi elettorali venendo così incontro alle pressanti richieste provenienti dalla pubblica opinione al fine di dare segnali concreti di discontinuità;
dai sindacati confederali è venuta una forte critica al Governo e in particolare al Ministro del lavoro che non ha ancora sentito il dovere di convocare i sindacati per discutere della questione relativa ai lavoratori esodati;
al di la della stucchevole discussione relativa al numero di lavoratori esodati resta il problema che va affrontato senza indugi e azioni dilatorie;
il Governo dovrebbe prendere in seria considerazione sia la rinuncia manifestata dai partiti al rimborso elettorale sia la richiesta di incontro urgente da parte dei sindacati per evitare tensioni sociali,

impegna il Governo:

a prendere atto della decisione di alcuni partiti politici, nell'auspicio che diventi scelta complessiva di tutti i partiti aventi diritto al rimborso, di rinunciare ai rimborsi elettorali che possono liberare nell'immediato risorse che possono essere utilizzate per un fondo destinato a sostenere le iniziative;
a verificare con appositi incontri le volontà di quanti tra i partiti intendano concretamente procedere alla rinuncia del rimborso elettorale allo scopo di poter conoscere l'entità di risorse disponibili per l'eventuale fondo finalizzato agli esodati;
a compiere un monitoraggio di risorse disponibili da parte del Governo per istituire il fondo per gli esodati;
a convocare in tempi brevissimi i sindacati confederali dei lavoratori allo scopo di verificare se la proposta di utilizzo delle risorse provenienti dai rimborsi elettorali sia valida per i lavoratori esodati, ovvero se ci sono soluzioni alternative per gli esodati.
9/5109-AR/32.Gianni, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
una settimana fa migliaia di lavoratori esodati convocati dalle organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil hanno manifestato per richiedere interventi urgenti su un tema delicato che interviene sul destino di decine di migliaia di famiglie;
nei giorni scorsi diversi partiti politici hanno dichiarato di voler rinunciare alla tranche relativa ai rimborsi elettorali venendo così incontro alle pressanti richieste provenienti dalla pubblica opinione al fine di dare segnali concreti di discontinuità;
dai sindacati confederali è venuta una forte critica al Governo e in particolare al Ministro del lavoro che non ha ancora sentito il dovere di convocare i sindacati per discutere della questione relativa ai lavoratori esodati;
al di la della stucchevole discussione relativa al numero di lavoratori esodati resta il problema che va affrontato senza indugi e azioni dilatorie;
il Governo dovrebbe prendere in seria considerazione sia la rinuncia manifestata dai partiti al rimborso elettorale sia la richiesta di incontro urgente da parte dei sindacati per evitare tensioni sociali,

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità:
di prendere atto della decisione di alcuni partiti politici, nell'auspicio che diventi scelta complessiva di tutti i partiti aventi diritto al rimborso, di rinunciare ai rimborsi elettorali che possono liberare nell'immediato risorse che possono essere utilizzate per un fondo destinato a sostenere le iniziative;
di verificare con appositi incontri le volontà di quanti tra i partiti intendano concretamente procedere alla rinuncia del rimborso elettorale allo scopo di poter conoscere l'entità di risorse disponibili per l'eventuale fondo finalizzato agli esodati;
di compiere un monitoraggio di risorse disponibili da parte del Governo per istituire il fondo per gli esodati;
di convocare in tempi brevissimi i sindacati confederali dei lavoratori allo scopo di verificare se la proposta di utilizzo delle risorse provenienti dai rimborsi elettorali sia valida per i lavoratori esodati, ovvero se ci sono soluzioni alternative per gli esodati.
9/5109-AR/32.(Testo modificato nel corso della seduta) Gianni, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
il Governo all'interno del decreto-legge n. 201 del 2011 recante «disposizioni urgenti disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici» tra le diverse misure finalizzate, ha anche previsto la reintroduzione dell'imposta immobiliare sulla prima casa (ex ICI) congiuntamente alla rivalutazione delle rendite catastali, alla cui rivalutazione viene altresì applicato un moltiplicatore;
il Governo precedente aveva soppresso l'ICI sulla prima casa e la riforma federalista intrapresa con la legge delega n. 42 del 2009 aveva annunciato, a partire dal 2014, l'introduzione di una nuova imposta, l'IMU, che escludeva le prime abitazioni e il cui gettito sarebbe stato introitato dai comuni al fine di consentire di dare agli enti le risorse finanziarie ed economiche necessarie per conseguire quell'autonomia fiscale fondamentale per giungere alla piena realizzazione del federalismo fiscale e, pertanto, la reintroduzione dell'imposta sulla prima abitazione, oltre a non porsi nella prospettiva della riforma federalista, rappresenta un evidente aggravio economico per i cittadini, costretti a pagare un nuovo contributo;
a seguito della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del testo del decreto- legge del 24 gennaio 2012, n. 1, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività», all'articolo 35 sono previste disposizioni in materia di tesoreria unica che prevedono la sospensione fino al 31 dicembre 2014 del regime di tesoreria mista introdotto con il decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279 e l'applicazione del regime precedente di cui all'articolo 1 della legge 29 ottobre 1984, n. 720;
il regime di tesoreria mista, introdotta con il citato decreto legislativo n. 249 del 1997, ha rappresentato un punto fondamentale per la realizzazione di una maggiore autonomia delle amministrazioni territoriali e locali, dal momento che con tale regime è stato consentito agli enti di poter versare almeno le proprie entrate non più nei conti fruttiferi intestati all'ente presso la tesoreria provinciale dello Stato, ma presso i tesorieri dei singoli enti, permettendo così agli stessi di realizzare sulle disponibilità presso il proprio tesoriere interessi più elevati di quelli altresì riconosciuti dalla Banca d'Italia sulle giacenze depositate presso i conti fruttiferi;
la risoluzione dell'agenzia delle entrate (risoluzione 35/E) ha istituito i codici tributo del modello F24 attraverso i quali il contribuente verserà il contributo IMU e la risoluzione stessa prevede degli appositi codici tributo intestati al comune, così che le risorse destinate all'amministrazione comunale verranno versate direttamente nelle casse dell'ente locale,

impegna il Governo

a prevedere che il versamento della quota di IMU destinata al comune ed effettuata attraverso il modello F24 venga riversato nel conto del tesoriere comunale od eventualmente nel conto fruttifero dell'ente locale presso la Banca d'Italia.
9/5109-AR/33.Simonetti, Caparini, Bragantini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
il Governo all'interno del decreto-legge n. 201 del 2011 recante «disposizioni urgenti disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici» tra le diverse misure finalizzate, ha anche previsto la reintroduzione dell'imposta immobiliare sulla prima casa (ex ICI) congiuntamente alla rivalutazione delle rendite catastali, alla cui rivalutazione viene altresì applicato un moltiplicatore;
il Governo precedente aveva soppresso l'ICI sulla prima casa e la riforma federalista intrapresa con la legge delega n. 42 del 2009 aveva annunciato, a partire dal 2014, l'introduzione di una nuova imposta, l'IMU, che escludeva le prime abitazioni e il cui gettito sarebbe stato introitato dai comuni al fine di consentire di dare agli enti le risorse finanziarie ed economiche necessarie per conseguire quell'autonomia fiscale fondamentale per giungere alla piena realizzazione del federalismo fiscale e, pertanto, la reintroduzione dell'imposta sulla prima abitazione, oltre a non porsi nella prospettiva della riforma federalista, rappresenta un evidente aggravio economico per i cittadini, costretti a pagare un nuovo contributo;
a seguito della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del testo del decreto- legge del 24 gennaio 2012, n. 1, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività», all'articolo 35 sono previste disposizioni in materia di tesoreria unica che prevedono la sospensione fino al 31 dicembre 2014 del regime di tesoreria mista introdotto con il decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279 e l'applicazione del regime precedente di cui all'articolo 1 della legge 29 ottobre 1984, n. 720;
il regime di tesoreria mista, introdotta con il citato decreto legislativo n. 249 del 1997, ha rappresentato un punto fondamentale per la realizzazione di una maggiore autonomia delle amministrazioni territoriali e locali, dal momento che con tale regime è stato consentito agli enti di poter versare almeno le proprie entrate non più nei conti fruttiferi intestati all'ente presso la tesoreria provinciale dello Stato, ma presso i tesorieri dei singoli enti, permettendo così agli stessi di realizzare sulle disponibilità presso il proprio tesoriere interessi più elevati di quelli altresì riconosciuti dalla Banca d'Italia sulle giacenze depositate presso i conti fruttiferi;
la risoluzione dell'agenzia delle entrate (risoluzione 35/E) ha istituito i codici tributo del modello F24 attraverso i quali il contribuente verserà il contributo IMU e la risoluzione stessa prevede degli appositi codici tributo intestati al comune, così che le risorse destinate all'amministrazione comunale verranno versate direttamente nelle casse dell'ente locale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere che il versamento della quota di IMU destinata al comune ed effettuata attraverso il modello F24 venga riversato nel conto del tesoriere comunale od eventualmente nel conto fruttifero dell'ente locale presso la Banca d'Italia.
9/5109-AR/33.(Testo modificato nel corso della seduta) Simonetti, Caparini, Bragantini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
il Governo, con il decreto-legge n. 201 del 2011 riguardante «disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici» annovera, all'interno delle misure finalizzate, la reintroduzione dell'imposta immobiliare sulla prima casa (ex ICI) congiuntamente alla rivalutazione delle rendite catastali, alla cui rivalutazione viene altresì applicato un moltiplicatore, anticipando così di due anni, rispetto a quanto preventivamente previsto dal decreto sul federalismo municipale, l'introduzione della medesima IMU che, tuttavia, rispetto alla versione del decreto legislativo n. 23 del 2011, escludeva dalla sua applicazione gli edifici di prima abitazione;
a seguito della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del testo del decreto-legge del 24 gennaio 2012, n. 1, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività», all'articolo 35 sono previste disposizioni in materia di tesoreria unica che prevedono la sospensione fino al 31 dicembre 2014 del regime di tesoreria mista introdotto con il decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279 e l'applicazione del regime precedente di cui all'articolo 1 della legge 29 ottobre 1984, n. 720;
la risoluzione dell'agenzia delle entrate (risoluzione 35/E) ha istituito i codici tributo del modello F24 attraverso i quali il contribuente verserà il contributo IMU e come la risoluzione stessa non pare riportare l'indicazione del nome dei comuni accanto al codice alfa-numerico e già in passato tale mancanza ha dato luogo a degli errori, tale per cui l'ICI di un comune veniva accreditata da un altro comune,

impegna il Governo

a prevedere che il modello F24 riporti, accanto al codice alfanumerico, anche il nome del comune titolare dell'imposta.
9/5109-AR/34.Forcolin, Caparini, Bragantini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
il Governo, con il decreto-legge n. 201 del 2011 riguardante «disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici» annovera, all'interno delle misure finalizzate, la reintroduzione dell'imposta immobiliare sulla prima casa (ex ICI) congiuntamente alla rivalutazione delle rendite catastali, alla cui rivalutazione viene altresì applicato un moltiplicatore, anticipando così di due anni, rispetto a quanto preventivamente previsto dal decreto sul federalismo municipale, l'introduzione della medesima IMU che, tuttavia, rispetto alla versione del decreto legislativo n. 23 del 2011, escludeva dalla sua applicazione gli edifici di prima abitazione;
a seguito della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del testo del decreto-legge del 24 gennaio 2012, n. 1, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività», all'articolo 35 sono previste disposizioni in materia di tesoreria unica che prevedono la sospensione fino al 31 dicembre 2014 del regime di tesoreria mista introdotto con il decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279 e l'applicazione del regime precedente di cui all'articolo 1 della legge 29 ottobre 1984, n. 720;
la risoluzione dell'agenzia delle entrate (risoluzione 35/E) ha istituito i codici tributo del modello F24 attraverso i quali il contribuente verserà il contributo IMU e come la risoluzione stessa non pare riportare l'indicazione del nome dei comuni accanto al codice alfa-numerico e già in passato tale mancanza ha dato luogo a degli errori, tale per cui l'ICI di un comune veniva accreditata da un altro comune,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere che il modello F24 riporti, accanto al codice alfanumerico, anche il nome del comune titolare dell'imposta.
9/5109-AR/34.(Testo modificato nel corso della seduta) Forcolin, Caparini, Bragantini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
preso atto della difficile situazione nella quale si ritrovano numerosi enti locali, in virtù della grave crisi economica internazionale che ha notevolmente ridotto le risorse a disposizione, sia economiche che umane, a favore degli enti medesimi, determinando la conseguente riduzione del livello dei servizi in favore dei cittadini;
ricordato come, proprio a causa della gravità della situazione, gli enti locali, in ragione della medesima crisi oltre che dei stringenti vincoli adottati a livello europeo in materia di indebitamento pubblico e delle conseguenti riduzioni dei trasferimenti erariali, hanno dovuto rivedere completamente la loro pianificazione economica e finanziaria;
valutato che il Governo all'interno del decreto-legge n. 201 del 2011 recante «disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici» tra le diverse misure finalizzate, ha anche previsto la reintroduzione dell'imposta immobiliare sulla prima casa (ex ICI) congiuntamente alla rivalutazione delle rendite catastali, alla cui rivalutazione viene altresì applicato un moltiplicatore;
considerato che nel corso dell'esame del provvedimento di cui al titolo, il Governo è intervenuto a più riprese sulle modalità e le tempistiche per il pagamento dell'IMU, rivedendo, da ultimo, le decisioni precedentemente assunte nel corso dell'originale predisposizione del provvedimento e decidendo di frazionare ulteriormente il pagamento dell'imposta municipale;
valutato come le decisioni assunte in materia di pagamento dell'IMU hanno aumentato ulteriormente il grado di confusione per il contribuente e per gli studi commercialisti che nella maggioranza dei casi, a soli due mesi dal pagamento della prima rata dell'imposta, ancora non conoscono perfettamente il quadro normativo all'interno del quale si dovrà operare;
stimato come i continui cambiamenti normativi hanno determinato una estrema incertezza anche nei comuni i quali, non avendo certezza della norma né del gettito da essa derivante, non hanno potuto elaborare un bilancio previsionale per l'esercizio finanziario 2012 che, così come stabilito dalla norma specifica, dovrebbe essere approvato entro il 31 dicembre dell'esercizio precedente la cui approvazione tuttavia, anche quest'anno e soprattutto a seguito degli interventi normativi succedutisi, è stata differita temporalmente di sei mesi,

impegna il Governo

a prevedere, per l'esercizio finanziario 2013, una semplificazione nelle modalità di pagamento dell'imposta municipale unica e parimenti a provvedere, per il prossimo anno, alla elaborazione di un quadro normativo più chiaro di quello attualmente in vigore, così da permettere ai comuni di poter predisporre celermente l'approvazione dei bilanci preventivi 2013.
9/5109-AR/35.Bitonci, Caparini, Bragantini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
preso atto della difficile situazione nella quale si ritrovano numerosi enti locali, in virtù della grave crisi economica internazionale che ha notevolmente ridotto le risorse a disposizione, sia economiche che umane, a favore degli enti medesimi, determinando la conseguente riduzione del livello dei servizi in favore dei cittadini;
ricordato come, proprio a causa della gravità della situazione, gli enti locali, in ragione della medesima crisi oltre che dei stringenti vincoli adottati a livello europeo in materia di indebitamento pubblico e delle conseguenti riduzioni dei trasferimenti erariali, hanno dovuto rivedere completamente la loro pianificazione economica e finanziaria;
valutato che il Governo all'interno del decreto-legge n. 201 del 2011 recante «disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici» tra le diverse misure finalizzate, ha anche previsto la reintroduzione dell'imposta immobiliare sulla prima casa (ex ICI) congiuntamente alla rivalutazione delle rendite catastali, alla cui rivalutazione viene altresì applicato un moltiplicatore;
considerato che nel corso dell'esame del provvedimento di cui al titolo, il Governo è intervenuto a più riprese sulle modalità e le tempistiche per il pagamento dell'IMU, rivedendo, da ultimo, le decisioni precedentemente assunte nel corso dell'originale predisposizione del provvedimento e decidendo di frazionare ulteriormente il pagamento dell'imposta municipale;
valutato come le decisioni assunte in materia di pagamento dell'IMU hanno aumentato ulteriormente il grado di confusione per il contribuente e per gli studi commercialisti che nella maggioranza dei casi, a soli due mesi dal pagamento della prima rata dell'imposta, ancora non conoscono perfettamente il quadro normativo all'interno del quale si dovrà operare;
stimato come i continui cambiamenti normativi hanno determinato una estrema incertezza anche nei comuni i quali, non avendo certezza della norma né del gettito da essa derivante, non hanno potuto elaborare un bilancio previsionale per l'esercizio finanziario 2012 che, così come stabilito dalla norma specifica, dovrebbe essere approvato entro il 31 dicembre dell'esercizio precedente la cui approvazione tuttavia, anche quest'anno e soprattutto a seguito degli interventi normativi succedutisi, è stata differita temporalmente di sei mesi,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere, per l'esercizio finanziario 2013, una semplificazione nelle modalità di pagamento dell'imposta municipale unica e parimenti a provvedere, per il prossimo anno, alla elaborazione di un quadro normativo più chiaro di quello attualmente in vigore, così da permettere ai comuni di poter predisporre celermente l'approvazione dei bilanci preventivi 2013.
9/5109-AR/35.(Testo modificato nel corso della seduta) Bitonci, Caparini, Bragantini, Laura Molteni.

La Camera,
valutate negativamente le misure introdotte dal provvedimento in titolo;
considerato come l'articolo 13 del Decreto-Legge 201/2011 anticipa al 2012 l'applicazione dell'imposta municipale propria, prevedendo altresì come questa, a differenza del precedente decreto sul federalismo municipale, si applichi anche agli immobili censiti come abitazione principale precisando altresì come, al medesimo articolo 13, comma 2, «Per abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come mica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente», mentre «per pertinenze dell'abitazione principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un'unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all'unità ad uso abitativo»;
valutato come nel corso dell'esame del provvedimento di cui al titolo, il Governo è intervenuto a più riprese sulle modalità e le tempistiche per il pagamento dell'IMU, rivedendo, da ultimo, le decisioni precedentemente assunte nel corso dell'originale predisposizione del disposto normativo e decidendo di frazionare ulteriormente il pagamento dell'imposta municipale;
stimato come gli effetti della tassazione IMU sulla prima abitazione avranno un effetto fortemente recessivo per i cittadini in quanto il bene della prima abitazione rappresenta per gran parte degli italiani il bene primario del risparmio e che alla medesima unità abitativa, solitamente, sono connesse più unità pertinenziali,

impegna il Governo

a prevedere una revisione della normativa vigente in materia di IMU al fine di comprendere, nel pagamento dell'imposta sulla prima abitazione, tutte le unità pertinenziale iscritte in catasto unitamente all'unità ad uso abitativo.
9/5109-AR/36.Vanalli, Caparini, Bragantini, Laura Molteni.

La Camera,
valutate negativamente le misure introdotte dal provvedimento in titolo;
considerato come l'articolo 13 del Decreto-Legge 201/2011 anticipa al 2012 l'applicazione dell'imposta municipale propria, prevedendo altresì come questa, a differenza del precedente decreto sul federalismo municipale, si applichi anche agli immobili censiti come abitazione principale precisando altresì come, al medesimo articolo 13, comma 2, «Per abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come mica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente», mentre «per pertinenze dell'abitazione principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un'unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all'unità ad uso abitativo»;
valutato come nel corso dell'esame del provvedimento di cui al titolo, il Governo è intervenuto a più riprese sulle modalità e le tempistiche per il pagamento dell'IMU, rivedendo, da ultimo, le decisioni precedentemente assunte nel corso dell'originale predisposizione del disposto normativo e decidendo di frazionare ulteriormente il pagamento dell'imposta municipale;
stimato come gli effetti della tassazione IMU sulla prima abitazione avranno un effetto fortemente recessivo per i cittadini in quanto il bene della prima abitazione rappresenta per gran parte degli italiani il bene primario del risparmio e che alla medesima unità abitativa, solitamente, sono connesse più unità pertinenziali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere una revisione della normativa vigente in materia di IMU al fine di comprendere, nel pagamento dell'imposta sulla prima abitazione, tutte le unità pertinenziale iscritte in catasto unitamente all'unità ad uso abitativo.
9/5109-AR/36.(Testo modificato nel corso della seduta) Vanalli, Caparini, Bragantini, Laura Molteni.

La Camera,
valutato come il decreto-legge 201/2011 ha anticipato al 2012 l'istituzione dell'imposta municipale propria (IMU), stabilendo altresì come la stessa imposta non sostituisca altre imposte, come invece previsto dal Decreto legislativo sul federalismo fiscale, e prevedendo come il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla seconda casa e sugli altri immobili (non definibili come abitazione principale) spetterà allo Stato;
considerato che il provvedimento del Governo stabilisce prevede la possibilità da parte del Comune di poter modificare le aliquote, sia relativamente alla prima abitazione che sugli immobili diversi dalla prima abitazione, e che il contribuente dovrà effettuare il versamento della prima tranche dell'imposta alla data del 16 Giugno 2012;
considerato che ad oggi numerosi comuni, sulla base del fatto che il gettito IMU, nel suo complesso, appare di entità incerta e non precisamente definibile, non hanno ancora deliberato le aliquote IMU da adottare, così che la predisposizione dei bilanci preventivi 2012 risulta, anche a causa delle continue modifiche normative e alla luce delle recenti riduzioni ai trasferimenti, bloccata in numerosi comuni;
stimato come la precedente normativa sull'imposta comunale sugli immobili (ICI) concedeva ai comuni la possibilità di esentare dall'imposta gli immobili concessi dal soggetto passivo in comodato d'uso gratuito ai familiari,

impegna il Governo

a concedere ai comuni la possibilità di esentare dall'imposta municipale propria gli immobili concessi dal soggetto passivo in comodato d'uso gratuito ai familiari.
9/5109-AR/37.Bragantini, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
valutato come il decreto-legge 201/2011 ha anticipato al 2012 l'istituzione dell'imposta municipale propria (IMU), stabilendo altresì come la stessa imposta non sostituisca altre imposte, come invece previsto dal Decreto legislativo sul federalismo fiscale, e prevedendo come il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla seconda casa e sugli altri immobili (non definibili come abitazione principale) spetterà allo Stato;
considerato che il provvedimento del Governo stabilisce prevede la possibilità da parte del Comune di poter modificare le aliquote, sia relativamente alla prima abitazione che sugli immobili diversi dalla prima abitazione, e che il contribuente dovrà effettuare il versamento della prima tranche dell'imposta alla data del 16 Giugno 2012;
considerato che ad oggi numerosi comuni, sulla base del fatto che il gettito IMU, nel suo complesso, appare di entità incerta e non precisamente definibile, non hanno ancora deliberato le aliquote IMU da adottare, così che la predisposizione dei bilanci preventivi 2012 risulta, anche a causa delle continue modifiche normative e alla luce delle recenti riduzioni ai trasferimenti, bloccata in numerosi comuni;
stimato come la precedente normativa sull'imposta comunale sugli immobili (ICI) concedeva ai comuni la possibilità di esentare dall'imposta gli immobili concessi dal soggetto passivo in comodato d'uso gratuito ai familiari,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di concedere ai comuni la possibilità di esentare dall'imposta municipale propria gli immobili concessi dal soggetto passivo in comodato d'uso gratuito ai familiari.
9/5109-AR/37.(Testo modificato nel corso della seduta) Bragantini, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
ricordato come il decreto legislativo n. 23 del 2011 recante «Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale» all'articolo 8 aveva istituto, dal 2014, l'IMU (Imposta Municipale Propria) che andrà a sostituire - per la componente immobiliare - l'IRPEF e le addizionali sui redditi relativi ai beni non locati, escludendo dall'imposizione l'abitazione principale e le relative pertinenze;
considerato che la manovra finanziaria del Governo Monti (cosiddetto Decreto salva-Italia) ha anticipato al 2012 l'istituzione dell'imposta municipale propria (IMU), stabilendo altresì come la stessa imposta non sostituisca altre imposte, come invece previsto dal decreto legislativo sul federalismo fiscale, e prevedendo come il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla seconda casa e sugli altri immobili (non definibili come abitazione principale) spetterà allo Stato;
tenuto conto come il 90 per cento delle famiglie nel nostro Paese sono proprietarie dell'immobile in cui abitano, e che la crisi economica che ha colpito profondamente le famiglie e le imprese verrà ulteriormente aggravata dall'introduzione dell'IMU in un momento già difficile, senza aiutare la ripresa economica ma anzi comportando una ovvia contrazione, ancora più forte, dei consumi a svantaggio della paventata crescita;
stimato come il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, definiva l'abitazione principale come l'immobile ove il contribuente ed i suoi familiari dimorano abitualmente e che le assimilazioni di altri immobili all'unità abitativa principale, così come precisato dal decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, sono definite dal singolo Comune attraverso apposito regolamento o delibera vigenti alla data di entrata in vigore del decreto stesso,

impegna il Governo

ad adottare gli ulteriori opportuni provvedimenti al fine di specificare chiaramente come l'applicazione della tassazione IMU di prima abitazione venga obbligatoriamente estesa anche alla unità immobiliare posseduta a titolo di proprietà o di usufrutto da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente.
9/5109-AR/38.Fedriga, Caparini, Bragantini, Laura Molteni.

La Camera,
ricordato come il decreto legislativo n. 23 del 2011 recante «Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale» all'articolo 8 aveva istituto, dal 2014, l'IMU (Imposta Municipale Propria) che andrà a sostituire - per la componente immobiliare - l'IRPEF e le addizionali sui redditi relativi ai beni non locati, escludendo dall'imposizione l'abitazione principale e le relative pertinenze;
considerato che la manovra finanziaria del Governo Monti (cosiddetto Decreto salva-Italia) ha anticipato al 2012 l'istituzione dell'imposta municipale propria (IMU), stabilendo altresì come la stessa imposta non sostituisca altre imposte, come invece previsto dal decreto legislativo sul federalismo fiscale, e prevedendo come il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla seconda casa e sugli altri immobili (non definibili come abitazione principale) spetterà allo Stato;
tenuto conto come il 90 per cento delle famiglie nel nostro Paese sono proprietarie dell'immobile in cui abitano, e che la crisi economica che ha colpito profondamente le famiglie e le imprese verrà ulteriormente aggravata dall'introduzione dell'IMU in un momento già difficile, senza aiutare la ripresa economica ma anzi comportando una ovvia contrazione, ancora più forte, dei consumi a svantaggio della paventata crescita;
stimato come il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, definiva l'abitazione principale come l'immobile ove il contribuente ed i suoi familiari dimorano abitualmente e che le assimilazioni di altri immobili all'unità abitativa principale, così come precisato dal decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, sono definite dal singolo Comune attraverso apposito regolamento o delibera vigenti alla data di entrata in vigore del decreto stesso,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare gli ulteriori opportuni provvedimenti al fine di specificare chiaramente come l'applicazione della tassazione IMU di prima abitazione venga obbligatoriamente estesa anche alla unità immobiliare posseduta a titolo di proprietà o di usufrutto da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente.
9/5109-AR/38.(Testo modificato nel corso della seduta)Fedriga, Caparini, Bragantini, Laura Molteni.

La Camera,
valutato che il Governo all'interno del decreto-legge 201/2011 recante «disposizioni urgenti disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici» tra le diverse misure finalizzate, ha anche previsto la reintroduzione dell'imposta immobiliare sulla prima casa (ex ICI) congiuntamente alla rivalutazione delle rendite catastali, alla cui rivalutazione viene altresì applicato un moltiplicatore;
considerato che nel corso dell'esame del provvedimento di cui al titolo, il Governo è intervenuto a più riprese sulle modalità e le tempistiche per il pagamento dell'IMU, rivedendo, da ultimo, le decisioni precedentemente assunte nel corso dell'originale predisposizione del provvedimento e decidendo di frazionare ulteriormente il pagamento dell'imposta municipale;
tenuto conto di come, relativamente all'IMU sugli immobili diversi dalla prima abitazione, si continuano ad evidenziare problematiche, laddove, ad esempio, la tassazione media sugli immobili affidati sarà estremamente più elevata della precedente tassazione ICI, che invece prevedeva sia incentivi ad affittare appartamenti a canone concordato sia deterrenti a tenere sfitti gli appartamenti, e che la possibilità odierna di colpire in modo eccessivo il mercato degli affitti e i soggetti proprietari di seconde case con redditi bassi è concreta;
stabilito come il nuovo regime IMU, sopprimendo gli incentivi e i deterrenti della vecchia ICI in materia di canone concordato, potrebbe concretamente favorire coloro che mantengono gli immobili vuoti e che si potrebbero perciò determinare effetti negativi sull'intero settore immobiliare, già duramente colpito dalla crisi economica e dal calo della domanda,

impegna il Governo

ad adottare misure finalizzate a prevedere riduzioni dell'imposta municipale propria nei casi di locazione di immobili a canone concordato con contemporaneo aggravio di imposta per gli immobili non locati.
9/5109-AR/39.Pastore, Caparini, Bragantini, Laura Molteni.

La Camera,
valutato che il Governo all'interno del decreto-legge 201/2011 recante «disposizioni urgenti disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici» tra le diverse misure finalizzate, ha anche previsto la reintroduzione dell'imposta immobiliare sulla prima casa (ex ICI) congiuntamente alla rivalutazione delle rendite catastali, alla cui rivalutazione viene altresì applicato un moltiplicatore;
considerato che nel corso dell'esame del provvedimento di cui al titolo, il Governo è intervenuto a più riprese sulle modalità e le tempistiche per il pagamento dell'IMU, rivedendo, da ultimo, le decisioni precedentemente assunte nel corso dell'originale predisposizione del provvedimento e decidendo di frazionare ulteriormente il pagamento dell'imposta municipale;
tenuto conto di come, relativamente all'IMU sugli immobili diversi dalla prima abitazione, si continuano ad evidenziare problematiche, laddove, ad esempio, la tassazione media sugli immobili affidati sarà estremamente più elevata della precedente tassazione ICI, che invece prevedeva sia incentivi ad affittare appartamenti a canone concordato sia deterrenti a tenere sfitti gli appartamenti, e che la possibilità odierna di colpire in modo eccessivo il mercato degli affitti e i soggetti proprietari di seconde case con redditi bassi è concreta;
stabilito come il nuovo regime IMU, sopprimendo gli incentivi e i deterrenti della vecchia ICI in materia di canone concordato, potrebbe concretamente favorire coloro che mantengono gli immobili vuoti e che si potrebbero perciò determinare effetti negativi sull'intero settore immobiliare, già duramente colpito dalla crisi economica e dal calo della domanda,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare misure finalizzate a prevedere riduzioni dell'imposta municipale propria nei casi di locazione di immobili a canone concordato con contemporaneo aggravio di imposta per gli immobili non locati.
9/5109-AR/39.(Testo modificato nel corso della seduta)Pastore, Caparini, Bragantini, Laura Molteni.

La Camera,
valutato che l'attuale difficile situazione economica che oggi vivono gli enti locali e dovuta soprattutto alla complessa situazione relativa al rispetto dei vincoli imposti dal Patto di stabilità interno, sia per la oggettiva complessità economico-finanziaria, sia per il fatto che la modalità con la quale si chiede agli enti periferici di concorrere al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, crea notevoli difficoltà alle amministrazioni pubbliche, incapaci di pianificare per tempo e in modo corretto la realizzazione delle opere pubbliche necessarie al territorio;
considerato che la difficoltà delle amministrazioni stesse nel rispettare i vincoli del Patto, oltre ad impedire agli enti di poter investire adeguate risorse per la realizzazione di nuove opere, rallenta in maniera vistosa, altresì, il pagamento da parte degli enti stessi verso le aziende che hanno già realizzato le stesse opere e che ciò ha una forte valenza anche sociale, dal momento che, così come riportato da diversi organi di stampa locali e nazionali, numerosi imprenditori, soprattutto in Veneto, che vantavano dei crediti dalle pubbliche amministrazioni, esasperati dalla lunga attesa e angosciati al pensiero di non essere in grado di pagare, a loro volta, i propri fornitori o i propri dipendenti, hanno preferito soluzioni estreme come il suicidio;
stabilito come in sede di ultima valutazione del provvedimento di cui al titolo è stato previsto un ulteriore inasprimento della sanzione pecuniaria comminata agli enti inadempienti del Patto attraverso la eliminazione del limite massimo pari al 3 per cento delle entrate correnti dell'ultimo consuntivo e, contestualmente, la previsione per cui la riduzione sarebbe stata riportata nella misura di un terzo in ciascuno dei tre esercizi successivi, per cui oggi giorno l'ente che sfora i vincoli del Patto subirà per intero e in un solo anno il taglio pari alla differenza tra il risultato registrato e il rispettivo obiettivo programmatico;
valutato come tra le spese indifferibili che oggigiorno i comuni devono sostenere rientrano senz'altro le spese relative alle attività legate alla messa in sicurezza degli edifici scolastici,

impegna il Governo

a considerare la necessità di ripristinare la precedente normativa in materia di sanzioni per gli enti inadempienti del Patto e ad escludere per il 2012 le spese in conto capitale sostenute dai Comuni e rientranti nel computo dei vincoli imposti in termini di Patto di Stabilità per le risorse impiegate dagli enti locali per i lavori di realizzazione messa in sicurezza degli edifici scolastici.
9/5109-AR/40.Montagnoli, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
valutato che l'attuale difficile situazione economica che oggi vivono gli enti locali e dovuta soprattutto alla complessa situazione relativa al rispetto dei vincoli imposti dal Patto di stabilità interno, sia per la oggettiva complessità economico-finanziaria, sia per il fatto che la modalità con la quale si chiede agli enti periferici di concorrere al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, crea notevoli difficoltà alle amministrazioni pubbliche, incapaci di pianificare per tempo e in modo corretto la realizzazione delle opere pubbliche necessarie al territorio;
considerato che la difficoltà delle amministrazioni stesse nel rispettare i vincoli del Patto, oltre ad impedire agli enti di poter investire adeguate risorse per la realizzazione di nuove opere, rallenta in maniera vistosa, altresì, il pagamento da parte degli enti stessi verso le aziende che hanno già realizzato le stesse opere e che ciò ha una forte valenza anche sociale, dal momento che, così come riportato da diversi organi di stampa locali e nazionali, numerosi imprenditori, soprattutto in Veneto, che vantavano dei crediti dalle pubbliche amministrazioni, esasperati dalla lunga attesa e angosciati al pensiero di non essere in grado di pagare, a loro volta, i propri fornitori o i propri dipendenti, hanno preferito soluzioni estreme come il suicidio;
stabilito come in sede di ultima valutazione del provvedimento di cui al titolo è stato previsto un ulteriore inasprimento della sanzione pecuniaria comminata agli enti inadempienti del Patto attraverso la eliminazione del limite massimo pari al 3 per cento delle entrate correnti dell'ultimo consuntivo e, contestualmente, la previsione per cui la riduzione sarebbe stata riportata nella misura di un terzo in ciascuno dei tre esercizi successivi, per cui oggi giorno l'ente che sfora i vincoli del Patto subirà per intero e in un solo anno il taglio pari alla differenza tra il risultato registrato e il rispettivo obiettivo programmatico;
valutato come tra le spese indifferibili che oggigiorno i comuni devono sostenere rientrano senz'altro le spese relative alle attività legate alla messa in sicurezza degli edifici scolastici,

impegna il Governo

a considerare l'opportunità di ripristinare la precedente normativa in materia di sanzioni per gli enti inadempienti del Patto e ad escludere per il 2012 le spese in conto capitale sostenute dai Comuni e rientranti nel computo dei vincoli imposti in termini di Patto di Stabilità per le risorse impiegate dagli enti locali per i lavori di realizzazione messa in sicurezza degli edifici scolastici.
9/5109-AR/40.(Testo modificato nel corso della seduta)Montagnoli, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
valutato che l'attuale difficile situazione economica che oggi vivono gli enti locali e dovuta soprattutto alla complessa situazione relativa al rispetto dei vincoli imposti dai Patto di stabilità interno, sia per la oggettiva complessità economico-finanziaria, sia per il fatto che la modalità con la quale si chiede agli enti periferici di concorrere al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, crea notevoli difficoltà alle amministrazioni pubbliche, incapaci di pianificare per tempo e in modo corretto la realizzazione delle opere pubbliche necessarie al territorio;
considerato che la difficoltà delle amministrazioni stesse nel rispettare i vincoli del Patto, oltre ad impedire agli enti di poter investire adeguate risorse per la realizzazione di nuove opere, rallenta in maniera vistosa, altresì, il pagamento da parte degli enti stessi verso le aziende che hanno già realizzato le stesse opere con conseguenze anche a carattere sociale;
stabilito come in sede di ultima valutazione del provvedimento di cui al titolo, è stato previsto, per i Comuni una rimodulazione orizzontale dei vincoli di finanza pubblica su base nazionale, e non più soltanto regionale, laddove i comuni che accetteranno un peggioramento del proprio obiettivo riceveranno un contributo, non valido come entrata ai fini del Patto, pari agli spazi finanziari ceduti e finalizzato alla riduzione del debito, rendendo così possibile lo scambio compensativo di quote di Patto fra i comuni di tutto il territorio nazionale e non solo più, come fino a oggi possibile, all'interno di ciascun territorio regionale;
valutato come la necessità di far convivere il Patto orizzontale nazionale con il suo omologo regionale, previsto dall'articolo 1, comma 141, della legge 220/10, prevede una tempistica troppo stretta, in quanto i comuni dovranno comunicare alla Ragioneria generale dello stato le proprie necessità e le proprie disponibilità ad accettare un peggioramento temporaneo del proprio obiettivo di Patto entro il 30 giugno, stessa data prevista per l'approvazione del bilancio di previsione 2012;
considerato che l'articolo 4, comma 12-ter, del medesimo decreto-legge 16/2012, reca una modifica all'articolo l, comma 142, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (legge di stabilità 2011), relativamente ai termini per la verifica degli equilibri di bilancio nelle ipotesi in cui una regione e gli enti locali del relativo territorio abbiano proceduto alla «regionalizzazione» del patto di stabilità nell'anno 2012, laddove si prevede uno spostamento, dal 30 giugno al 31 ottobre, entro cui le regioni devono comunicare al Ministero dell'economia e delle finanze gli elementi informativi per la verifica degli equilibri di bilancio,

impegna il Governo

ad adottare ulteriori interventi normativi, al fine di rivedere la tempistica di adempimento dei Comuni al Patto di Stabilità nazionale orizzontale, allineando la scadenza oggi prevista con la omologa disciplina regionale.
9/5109-AR/41.Volpi, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
valutato che l'attuale difficile situazione economica che oggi vivono gli enti locali e dovuta soprattutto alla complessa situazione relativa al rispetto dei vincoli imposti dai Patto di stabilità interno, sia per la oggettiva complessità economico-finanziaria, sia per il fatto che la modalità con la quale si chiede agli enti periferici di concorrere al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, crea notevoli difficoltà alle amministrazioni pubbliche, incapaci di pianificare per tempo e in modo corretto la realizzazione delle opere pubbliche necessarie al territorio;
considerato che la difficoltà delle amministrazioni stesse nel rispettare i vincoli del Patto, oltre ad impedire agli enti di poter investire adeguate risorse per la realizzazione di nuove opere, rallenta in maniera vistosa, altresì, il pagamento da parte degli enti stessi verso le aziende che hanno già realizzato le stesse opere con conseguenze anche a carattere sociale;
stabilito come in sede di ultima valutazione del provvedimento di cui al titolo, è stato previsto, per i Comuni una rimodulazione orizzontale dei vincoli di finanza pubblica su base nazionale, e non più soltanto regionale, laddove i comuni che accetteranno un peggioramento del proprio obiettivo riceveranno un contributo, non valido come entrata ai fini del Patto, pari agli spazi finanziari ceduti e finalizzato alla riduzione del debito, rendendo così possibile lo scambio compensativo di quote di Patto fra i comuni di tutto il territorio nazionale e non solo più, come fino a oggi possibile, all'interno di ciascun territorio regionale;
valutato come la necessità di far convivere il Patto orizzontale nazionale con il suo omologo regionale, previsto dall'articolo 1, comma 141, della legge 220/10, prevede una tempistica troppo stretta, in quanto i comuni dovranno comunicare alla Ragioneria generale dello stato le proprie necessità e le proprie disponibilità ad accettare un peggioramento temporaneo del proprio obiettivo di Patto entro il 30 giugno, stessa data prevista per l'approvazione del bilancio di previsione 2012;
considerato che l'articolo 4, comma 12-ter, del medesimo decreto-legge 16/2012, reca una modifica all'articolo l, comma 142, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (legge di stabilità 2011), relativamente ai termini per la verifica degli equilibri di bilancio nelle ipotesi in cui una regione e gli enti locali del relativo territorio abbiano proceduto alla «regionalizzazione» del patto di stabilità nell'anno 2012, laddove si prevede uno spostamento, dal 30 giugno al 31 ottobre, entro cui le regioni devono comunicare al Ministero dell'economia e delle finanze gli elementi informativi per la verifica degli equilibri di bilancio,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ulteriori interventi normativi, al fine di rivedere la tempistica di adempimento dei Comuni al Patto di Stabilità nazionale orizzontale, allineando la scadenza oggi prevista con la omologa disciplina regionale.
9/5109-AR/41.(Testo modificato nel corso della seduta)Volpi, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
con il comma 3 dell'articolo 4 del decreto-legge si stabilisce l'aliquota di contribuzione che i comuni devono versare ogni anni a favore dell'IFEL, per finanziare i servizi correlati all'azione di accertamento dei comuni e il potenziamento dei servizi telematici con gli altri organi della pubblica amministrazione;
non tutti i comuni sono iscritti all'ANCI e non tutti i comuni hanno interesse ad avvalersi dei servizi prestati dall'IFEL,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative normative al fine di rendere la contribuzione suddetta facoltativa e non obbligatoria.
9/5109-AR/42.Cavallotto, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
con il comma 3 dell'articolo 4 del decreto-legge si stabilisce l'aliquota di contribuzione che i comuni devono versare ogni anno a favore dell'IFEL, per finanziare i servizi correlati all'azione di accertamento dei comuni e il potenziamento dei servizi telematici con gli altri organi della pubblica amministrazione;
nel testo iniziale del decreto-legge la suddetta aliquota è stata fissata nella misura dell'1 per mille del gettito spettante al comune;
durante l'iter nella Commissione Finanze della Camera, la suddetta aliquota è stata ridotta allo 0,8 per mille;
si ritiene che, dovendo essere calcolata l'aliquota su un gettito IMU più corposo, a seguito della revisione delle rendite catastali, anche la modificata aliquota allo 0,9 per mille potrebbe rivelarsi eccessiva,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, a parità di risorse da destinare all'IFEL, di adottare ulteriori iniziative normative volte a rivedere a ribasso l'aliquota dell'0,8 per mille, nel caso l'applicazione della medesima su un gettito IMU maggiore, a consuntivo, dovesse comportare un aumento non giustificato di contribuzione a carico dei comuni.
9/5109-AR/43.Fabi, Caparini, Bragantini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
il perdurare della fase di recessione e l'obbligatorietà di mantenere i saldi di finanza pubblica entro il limiti imposti dalla UE rendono sempre più difficile l'adozione di politiche dirette alla crescita dell'Italia, Paese la cui economia è ferma da dieci anni;
la mancanza di risorse da destinare all'obiettivo «crescita PIL» si aggiunge all'aumento della pressione fiscale, conseguenza degli ultimi provvedimenti economico-finanziari adottati dal Governo Monti;
di fatto, il potere d'acquisto delle fasce deboli dei contribuenti e delle fasce medie si è notevolmente ridotto;
il rilancio dell'economia non può che ripartire da un aumento della domanda di beni e servizi;
in realtà assistiamo alla continua contrazione della domanda delle famiglie a causa dell'aumento delle imposte, quali l'IMU sulla prima casa ed, in primis, l'aumento eccessivo ed insostenibile del costo dei carburanti;
l'elevato costo della benzina e del diesel, oltre ad erodere il potere d'acquisto dei salari e stipendi dei contribuenti, preoccupa perché è causa principale dell'aumento dei prezzi dei generi di prima necessità, per la lievitazione dei costi di distribuzione;
il quadro che si presenta desta forte preoccupazione per la ripresa dell'economia, ma soprattutto per la difficoltà di gran parte della popolazione di fronteggiare le spese necessarie basilari, quali alimentazione e spese mediche;
per questo motivo è auspicabile, in attesa di superare la fase di recessione, di evitare almeno l'aumento dei prezzi correlati ad una pressione fiscale eccessiva sui carburanti, destinata a deprimere i consumi sia necessari che voluttuari dei contribuenti,

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità di non ricorrere ulteriormente all'aumento dell'accisa sui carburanti per recuperare risorse finanziarie per l'erario;
nel rispetto dei saldi di finanza pubblica, a valutare l'opportunità di destinare eventuali nuove risorse, da conseguire mediante il riordino del sistema fiscale, alla riduzione del costo dei carburanti per sostenere il potere di acquisto degli stipendi e salari.
9/5109-AR/44.Maggioni, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
l'estensione dell'imposta IMU anche agli immobili destinati ad abitazione principale non accoglie il consenso della maggioranza degli elettori, in quanto la «prima casa» medesima deve essere considerata una necessità, il presupposto per la creazione dei nuclei familiari, e non un lusso;
la decisione assunta dal Governo Monti è accettabile pro-tempore e per l'evidente necessità di recuperare risorse destinate alla stabilizzazione dei saldi di finanza pubblica;
in occasione della riforma e revisione del sistema fiscale, si ritiene necessario adottare un diverso sistema impositivo caratterizzato da maggiore equità nella distribuzione del carico fiscale, l'eliminazione della «giungla» di agevolazioni per mantenere solo quelle idonee a rendere il sistema equo, «etico» fiscalmente e idoneo a sostenere la libera iniziativa all'attività imprenditoriale;
la grave crisi economica e la perdita di posti di lavoro, l'aumento della pressione fiscale, che ha eroso il potere d'acquisto dei salari e stipendi, rendono ancora più urgente provvedimenti finalizzati ad alleggerire il carico fiscale sugli scaglioni di reddito più bassi;
oggi è priorità assoluta destinare le risorse immediatamente disponibili per conseguire il pareggio di bilancio nel 2013, ridurre il debito pubblico ed, infine, come stabilisce l'articolo 2, comma 36, del decreto-legge 138 del 2011, destinare le risorse maggiori finanziarie conseguenti alle misure del decreto citato al Fondo per la riduzione strutturale della pressione fiscale e per la riduzione degli oneri fiscali e contributivi gravanti sulle famiglie e sulle imprese,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare iniziative normative, al fine di utilizzare prioritariamente le risorse del Fondo per la riduzione della pressione fiscale per ridurre la quota del gettito IMU riservata all'erario ed attribuirla ai comuni, affinché riducano, fino all'azzeramento, l'imposizione IMU sugli immobili destinati ad abitazione principale.
9/5109-AR/45.Allasia, Caparini, Bragantini, Laura Molteni.

La Camera,
esaminato il provvedimento in titolo;
preso atto della volontà del Governo di procedere con il presente decreto ad un'importante semplificazione del sistema tributario;
verificato che tale volontà non si è tradotta in concrete semplificazioni, ma, anzi, le misure introdotte sono state di rilevanza marginale e, in alcuni casi, hanno ulteriormente complicato il quadro del nostro sistema fiscale;
valutato, in particolare, il contenuto dell'articolo 1;
preso atto della difficoltà in cui versano le nostre imprese, a causa degli effetti della crisi economico-finanziaria che si stanno ancora manifestando in tutta la loro drammaticità e della possibilità di ottenere un piano di ammortamento dei debiti tributari più lungo e con rate variabili;
considerato che le imprese non hanno difficoltà ad assolvere ai soli debiti tributari, ma anche i debiti previdenziali, che costituiscono una grossa parte dei debiti complessivi;
preso atto che l'articolo 1 non prende in considerazione ulteriori facilitazioni o rateazioni per l'assolvimento dei debiti previdenziali;

impegna il Governo

ad estendere i benefici introdotti in materia di rateazione dei debiti tributari anche ai debiti previdenziali.
9/5109-AR/46.Buonanno, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
esaminato il provvedimento in titolo;
preso atto della volontà del Governo di procedere con il presente decreto ad un'importante semplificazione del sistema tributario;
verificato che tale volontà non si è tradotta in concrete semplificazioni, ma, anzi, le misure introdotte sono state di rilevanza marginale e, in alcuni casi, hanno ulteriormente complicato il quadro del nostro sistema fiscale;
valutato, in particolare, il contenuto dell'articolo 1;
preso atto della difficoltà in cui versano le nostre imprese, a causa degli effetti della crisi economico-finanziaria che si stanno ancora manifestando in tutta la loro drammaticità e della possibilità di ottenere un piano di ammortamento dei debiti tributari più lungo e con rate variabili;
considerato che le imprese non hanno difficoltà ad assolvere ai soli debiti tributari, ma anche i debiti previdenziali, che costituiscono una grossa parte dei debiti complessivi;
preso atto che l'articolo 1 non prende in considerazione ulteriori facilitazioni o rateazioni per l'assolvimento dei debiti previdenziali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di estendere i benefici introdotti in materia di rateazione dei debiti tributari anche ai debiti previdenziali.
9/5109-AR/46.(Testo modificato nel corso della seduta)Buonanno, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
esaminato il provvedimento in titolo;
valutate come insufficienti le misure introdotte, dal momento che incidono in maniera superficiale sul nostro sistema fiscale;
preso atto del pesante aumento delle accise sui carburanti, che, oltre al maggior costo diretto, comporta l'aumento dei costi dei beni di prima necessità, causando un doppio danno alle famiglie;
considerato che per i cittadini residenti nelle zone confinanti con la Confederazione Svizzera, in conseguenza dell'ulteriore aumento delle accise, nonostante le agevolazioni attualmente concesse dalle regioni tramite la carta sconto benzina, torna ad essere conveniente varcare il confine e riempire i serbatoi delle proprie vetture; la legge nazionale che autorizza le agevolazioni in Lombardia e Piemonte attualmente mette a disposizione 20 milioni di euro, chiaramente insufficienti per contrastare gli aumenti; l'attività dei gestori degli impianti è seriamente a rischio e centinaia di posti di lavoro rischiano di venire meno nelle sole province lombarde di confine;
considerato che è indispensabile aumentare il finanziamento delle agevolazioni, in modo da aumentare lo sconto sulla benzina e introdurre lo sconto anche sul gasolio, considerato che ormai il prezzo alla pompa di quest'ultimo è ormai prossimo a quello della benzina;
preso atto che l'attuale divario di prezzi causa, tenendo conto delle dinamiche dei consumi di benzina e di gasolio e della convenienza dei residenti ad approvvigionarsi in Svizzera, una pesante diminuzione delle vendite di carburante nelle province di confine; Confcommercio quantifica un'evasione dei consumi attorno ai 247 milioni di litri di carburante (207 di benzina e 40 di gasolio), con una perdita per l'erario italiano di circa 243 milioni di euro all'anno tra accise ed IVA;
preso atto che già il Governo si era impegnato a prendere in considerazione la problematica e aveva ipotizzato un rapido intervento;
rilevato che è paradossale aumentare le accise sui carburanti da un lato e non intervenire per evitare una pesante perdita di gettito dall'altro,

impegna il Governo

a prevedere un significativo aumento del finanziamento delle agevolazioni sul costo della benzina per le zone di confine con la Confederazione Svizzera, in modo da compensare il deciso aumento delle accise, che penalizza i gestori degli impianti, favorisce la «migrazione» dei cittadini lombardi e piemontesi oltre confine per rifornirsi di carburante e causa ingenti perdite per l'erario.
9/5109-AR/47.Rivolta, Nicola Molteni, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
esaminato il provvedimento in titolo;
valutate come insufficienti le misure introdotte, dal momento che incidono in maniera superficiale sul nostro sistema fiscale;
preso atto del pesante aumento delle accise sui carburanti, che, oltre al maggior costo diretto, comporta l'aumento dei costi dei beni di prima necessità, causando un doppio danno alle famiglie;
considerato che per i cittadini residenti nelle zone confinanti con la Confederazione Svizzera, in conseguenza dell'ulteriore aumento delle accise, nonostante le agevolazioni attualmente concesse dalle regioni tramite la carta sconto benzina, torna ad essere conveniente varcare il confine e riempire i serbatoi delle proprie vetture; la legge nazionale che autorizza le agevolazioni in Lombardia e Piemonte attualmente mette a disposizione 20 milioni di euro, chiaramente insufficienti per contrastare gli aumenti; l'attività dei gestori degli impianti è seriamente a rischio e centinaia di posti di lavoro rischiano di venire meno nelle sole province lombarde di confine;
considerato che è indispensabile aumentare il finanziamento delle agevolazioni, in modo da aumentare lo sconto sulla benzina e introdurre lo sconto anche sul gasolio, considerato che ormai il prezzo alla pompa di quest'ultimo è ormai prossimo a quello della benzina;
preso atto che l'attuale divario di prezzi causa, tenendo conto delle dinamiche dei consumi di benzina e di gasolio e della convenienza dei residenti ad approvvigionarsi in Svizzera, una pesante diminuzione delle vendite di carburante nelle province di confine; Confcommercio quantifica un'evasione dei consumi attorno ai 247 milioni di litri di carburante (207 di benzina e 40 di gasolio), con una perdita per l'erario italiano di circa 243 milioni di euro all'anno tra accise ed IVA;
preso atto che già il Governo si era impegnato a prendere in considerazione la problematica e aveva ipotizzato un rapido intervento;
rilevato che è paradossale aumentare le accise sui carburanti da un lato e non intervenire per evitare una pesante perdita di gettito dall'altro,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere un significativo aumento del finanziamento delle agevolazioni sul costo della benzina per le zone di confine con la Confederazione Svizzera, in modo da compensare il deciso aumento delle accise, che penalizza i gestori degli impianti, favorisce la «migrazione» dei cittadini lombardi e piemontesi oltre confine per rifornirsi di carburante e causa ingenti perdite per l'erario.
9/5109-AR/47.(Testo modificato nel corso della seduta)Rivolta, Nicola Molteni, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
esaminato il provvedimento in titolo;
preso atto della volontà del Governo di procedere con il presente decreto ad un'importante semplificazione del sistema tributario;
verificato che tale volontà non si è tradotta in concrete semplificazioni, ma, anzi, le misure introdotte sono state di rilevanza marginale e, in alcuni casi, hanno ulteriormente complicato il quadro del nostro sistema fiscale;
valutato, in particolare, il contenuto dell'articolo 3, che riprende il tema dei limiti all'uso del denaro contante, su cui il Governo Monti è intervenuto con vari provvedimenti, causando enormi disagi ai cittadini, anziani in particolare e aumentando i ricavi delle banche e degli istituti finanziari;
preso atto che si introduce una parziale deroga alla normativa introdotta dal Governo, consentendo il pagamento in contanti di servizi e forniture legate al turismo ai cittadini stranieri residenti al di fuori dell'Unione europea e dello Spazio economico europeo;
considerato che tale deroga è subordinata al versamento su un conto bancario da parte del cedente del servizio o del bene del denaro entro il giorno successivo e alla presentazione delle copie delle fatture;
considerato che tale provvedimento, oltre ad essere discriminatorio, penalizza le zone di confine del nostro Paese, che godono del flusso turistico dei cittadini stranieri, ma per la maggior parte residenti in Paesi UE o dello Spazio economico europeo,

impegna il Governo

a consentire il pagamento di beni e di servizi legati al turismo anche ai cittadini stranieri residenti in Paesi UE e dello Spazio economico europeo, in modo da non penalizzare le economie delle nostre zone di confine.
9/5109-AR/48.Chiappori, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
esaminato il provvedimento in titolo;
preso atto della volontà del Governo di procedere con il presente decreto ad un'importante semplificazione del sistema tributario;
verificato che tale volontà non si è tradotta in concrete semplificazioni, ma, anzi, le misure introdotte sono state di rilevanza marginale e, in alcuni casi, hanno ulteriormente complicato il quadro del nostro sistema fiscale;
valutato, in particolare, il contenuto dell'articolo 3, che riprende il tema dei limiti all'uso del denaro contante, su cui il Governo Monti è intervenuto con vari provvedimenti, causando enormi disagi ai cittadini, anziani in particolare e aumentando i ricavi delle banche e degli istituti finanziari;
preso atto che si introduce una parziale deroga alla normativa introdotta dal Governo, consentendo il pagamento in contanti di servizi e forniture legate al turismo ai cittadini stranieri residenti al di fuori dell'Unione europea e dello Spazio economico europeo;
considerato che tale deroga è subordinata al versamento su un conto bancario da parte del cedente del servizio o del bene del denaro entro il giorno successivo e alla presentazione delle copie delle fatture;
considerato che tale provvedimento, oltre ad essere discriminatorio, penalizza le zone di confine del nostro Paese, che godono del flusso turistico dei cittadini stranieri, ma per la maggior parte residenti in Paesi UE o dello Spazio economico europeo,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di consentire il pagamento di beni e di servizi legati al turismo anche ai cittadini stranieri residenti in Paesi UE e dello Spazio economico europeo, in modo da non penalizzare le economie delle nostre zone di confine.
9/5109-AR/48.(Testo modificato nel corso della seduta)Chiappori, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
esaminato il provvedimento in titolo;
preso atto della volontà del Governo di procedere con il presente decreto ad un'importante semplificazione del sistema tributario;
verificato che tale volontà non si è tradotta in concrete semplificazioni, ma, anzi, le misure introdotte sono state di rilevanza marginale e, in alcuni casi, hanno ulteriormente complicato il quadro del nostro sistema fiscale;
valutate, in particolare, le misure per il contrasto all'elusione e all'evasione fiscale;
considerato che tra le sanzioni accessorie per i casi di reiterata violazione dell'obbligo di emissione dello scontrino e della ricevuta fiscale c'è anche la sospensione della licenza per l'esercizio;
valutato che sarebbe più opportuno procedere con l'aumento delle sanzioni amministrative, che comunque avrebbero la funzione di deterrente, piuttosto che mettere a rischio l'attività dei commercianti e degli artigiani, considerando anche la fase di eccezionale crisi che la nostra economia sta vivendo,

impegna il Governo

a prevedere, nel caso di reiterata violazione dell'obbligo di emissione dello scontrino o della ricevuta fiscale, l'aumento delle sanzioni amministrative e l'abrogazione delle sanzioni accessorie consistenti nella sospensione della licenza o dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività.
9/5109-AR/49.Follegot, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
esaminato il provvedimento in titolo;
preso atto della volontà del Governo di procedere con il presente decreto ad un'importante semplificazione del sistema tributario;
verificato che tale volontà non si è tradotta in concrete semplificazioni, ma, anzi, le misure introdotte sono state di rilevanza marginale e, in alcuni casi, hanno ulteriormente complicato il quadro del nostro sistema fiscale;
valutate, in particolare, le misure per il contrasto all'elusione e all'evasione fiscale;
considerato che tra le sanzioni accessorie per i casi di reiterata violazione dell'obbligo di emissione dello scontrino e della ricevuta fiscale c'è anche la sospensione della licenza per l'esercizio;
valutato che sarebbe più opportuno procedere con l'aumento delle sanzioni amministrative, che comunque avrebbero la funzione di deterrente, piuttosto che mettere a rischio l'attività dei commercianti e degli artigiani, considerando anche la fase di eccezionale crisi che la nostra economia sta vivendo,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere, nel caso di reiterata violazione dell'obbligo di emissione dello scontrino o della ricevuta fiscale, l'aumento delle sanzioni amministrative e l'abrogazione delle sanzioni accessorie consistenti nella sospensione della licenza o dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività.
9/5109-AR/49.(Testo modificato nel corso della seduta)Follegot, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
esaminato il provvedimento in titolo;
preso atto della volontà del Governo di procedere con il presente decreto ad un'importante semplificazione del sistema tributario;
verificato che tale volontà non si è tradotta in concrete semplificazioni, ma, anzi, le misure introdotte sono state di rilevanza marginale e, in alcuni casi, hanno ulteriormente complicato il quadro del nostro sistema fiscale;
valutate, in particolare, le misure per il contrasto all'elusione e all'evasione fiscale;
considerato che l'obbligo di emissione dello scontrino e della ricevuta fiscale deve essere assolto da tutte le categorie per cui è previsto; tra queste parte importante sono gli esercenti ambulanti;
ritenuto doveroso che tutti gli esercenti ambulanti siano dotati di registratore di cassa per l'emissione degli scontrini fiscali,

impegna il Governo

a prevedere che l'autorizzazione all'esercizio dell'attività di vendita su aree pubbliche sia subordinata al possesso di idoneo misuratore fiscale per l'emissione degli scontrini.
9/5109-AR/50.Munerato, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
esaminato il provvedimento in titolo;
preso atto della volontà del Governo di procedere con il presente decreto ad un'importante semplificazione del sistema tributario;
verificato che tale volontà non si è tradotta in concrete semplificazioni, ma, anzi, le misure introdotte sono state di rilevanza marginale e, in alcuni casi, hanno ulteriormente complicato il quadro del nostro sistema fiscale;
valutate, in particolare, le misure per il contrasto all'elusione e all'evasione fiscale;
considerato che l'obbligo di emissione dello scontrino e della ricevuta fiscale deve essere assolto da tutte le categorie per cui è previsto; tra queste parte importante sono gli esercenti ambulanti;
ritenuto doveroso che tutti gli esercenti ambulanti siano dotati di registratore di cassa per l'emissione degli scontrini fiscali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere che l'autorizzazione all'esercizio dell'attività di vendita su aree pubbliche sia subordinata al possesso di idoneo misuratore fiscale per l'emissione degli scontrini.
9/5109-AR/50.(Testo modificato nel corso della seduta)Munerato, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
esaminato il provvedimento in titolo;
preso atto della volontà del Governo di procedere con il presente decreto ad un'importante semplificazione del sistema tributario;
verificato che tale volontà non si è tradotta in concrete semplificazioni, ma, anzi, le misure introdotte sono state di rilevanza marginale e, in alcuni casi, hanno ulteriormente complicato il quadro del nostro sistema fiscale; ne sono esempio la disciplina dell'IMU, le nuove imposte di sbarco, sugli aerotaxi e sugli aeromobili privati;
considerato che sarebbe opportuno ridare slancio all'economia reale anche attraverso una diminuzione della pressione fiscale sui giovani professionisti e sulla moltitudine di piccoli artigiani e commercianti, attraverso una rimodulazione del regime dei minimi che tante adesioni aveva avuto prima della riforma del 2011;
il nuovo regime dei minimi risulta troppo restrittivo, andando a ricomprendere solo i giovani sotto i 35 anni per un periodo determinato abbastanza breve,

impegna il Governo

a rivedere il regime dei minimi, andando a ricomprendere sia i beneficiari del regime introdotto con la legge finanziaria per il 2008, sia i giovani sotto i 35 anni, così come stabilito dal decreto-legge n. 98 del 2011.
9/5109-AR/51.Grimoldi, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
esaminato il provvedimento in titolo;
preso atto della volontà del Governo di procedere con il presente decreto ad un'importante semplificazione del sistema tributario;
verificato che tale volontà non si è tradotta in concrete semplificazioni, ma, anzi, le misure introdotte sono state di rilevanza marginale e, in alcuni casi, hanno ulteriormente complicato il quadro del nostro sistema fiscale; ne sono esempio la disciplina dell'IMU, le nuove imposte di sbarco, sugli aerotaxi e sugli aeromobili privati;
considerato che sarebbe opportuno ridare slancio all'economia reale anche attraverso una diminuzione della pressione fiscale sui giovani professionisti e sulla moltitudine di piccoli artigiani e commercianti, attraverso una rimodulazione del regime dei minimi che tante adesioni aveva avuto prima della riforma del 2011;
il nuovo regime dei minimi risulta troppo restrittivo, andando a ricomprendere solo i giovani sotto i 35 anni per un periodo determinato abbastanza breve,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di rivedere il regime dei minimi, andando a ricomprendere sia i beneficiari del regime introdotto con la legge finanziaria per il 2008, sia i giovani sotto i 35 anni, così come stabilito dal decreto-legge n. 98 del 2011.
9/5109-AR/51.(Testo modificato nel corso della seduta)Grimoldi, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
esaminato il provvedimento in titolo;
preso atto della volontà del Governo di procedere con il presente decreto ad un'importante semplificazione del sistema tributario;
verificato che tale volontà non si è tradotta in concrete semplificazioni, ma, anzi, le misure introdotte sono state di rilevanza marginale e, in alcuni casi, hanno ulteriormente complicato il quadro del nostro sistema fiscale;
valutato in particolare il contenuto degli articoli 8 e 12;
considerato che è fondamentale instaurare un rapporto collaborativo tra contribuente, Agenzia delle entrate e società di riscossione, improntato alla trasparenza ed alla celerità; un rapporto siffatto può sicuramente portare ad una più alta propensione al pagamento delle imposte e quindi ad un maggior gettito per l'erario e quindi ad una Mura diminuzione della pressione fiscale per tutti i contribuenti; per raggiungere questo obiettivo, l'Agenzia delle entrate dovrebbe iniziare un piano di valutazione di tutte le società di riscossione sul territorio nazionale per giungere all'attribuzione di un attestato di riconoscimento per le agenzie che si distinguono per la correttezza e l'efficienza nei rapporti con i contribuenti; tale attestazione, al fine di dare ampia visibilità alle agenzie più meritevoli e al fine di stimolare tutto il sistema delle società di riscossione a migliorare il rapporto con i contribuenti, dovrebbe essere esposto in modo visibile all'esterno dell'agenzia,

impegna il Governo

ad adottare ulteriori iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, volte ad avviare un piano di valutazione di tutte le società di riscossione sul territorio nazionale per giungere all'attribuzione di un attestato di riconoscimento, da esporre in modo visibile all'esterno al pubblico, per le agenzie che si distinguono per la correttezza e l'efficienza nei rapporti con i contribuenti.
9/5109-AR/52.Fugatti, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
esaminato il provvedimento in titolo;
preso atto della volontà del Governo di procedere con il presente decreto ad un'importante semplificazione del sistema tributario;
verificato che tale volontà non si è tradotta in concrete semplificazioni, ma, anzi, le misure introdotte sono state di rilevanza marginale e, in alcuni casi, hanno ulteriormente complicato il quadro del nostro sistema fiscale;
valutato in particolare il contenuto degli articoli 8 e 12;
considerato che è fondamentale instaurare un rapporto collaborativo tra contribuente, Agenzia delle entrate e società di riscossione, improntato alla trasparenza ed alla celerità; un rapporto siffatto può sicuramente portare ad una più alta propensione al pagamento delle imposte e quindi ad un maggior gettito per l'erario e quindi ad una Mura diminuzione della pressione fiscale per tutti i contribuenti; per raggiungere questo obiettivo, l'Agenzia delle entrate dovrebbe iniziare un piano di valutazione di tutte le società di riscossione sul territorio nazionale per giungere all'attribuzione di un attestato di riconoscimento per le agenzie che si distinguono per la correttezza e l'efficienza nei rapporti con i contribuenti; tale attestazione, al fine di dare ampia visibilità alle agenzie più meritevoli e al fine di stimolare tutto il sistema delle società di riscossione a migliorare il rapporto con i contribuenti, dovrebbe essere esposto in modo visibile all'esterno dell'agenzia,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, volte ad avviare un piano di valutazione di tutte le società di riscossione sul territorio nazionale per giungere all'attribuzione di un attestato di riconoscimento, da esporre in modo visibile all'esterno al pubblico, per le agenzie che si distinguono per la correttezza e l'efficienza nei rapporti con i contribuenti.
9/5109-AR/52.(Testo modificato nel corso della seduta)Fugatti, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
esaminato il provvedimento in titolo;
preso atto della volontà del Governo di procedere con il presente decreto ad un'importante semplificazione del sistema tributario;
verificato che tale volontà non si è tradotta in concrete semplificazioni, ma, anzi, le misure introdotte sono state di rilevanza marginale e, in alcuni casi, hanno ulteriormente complicato il quadro del nostro sistema fiscale;
valutato in particolare il contenuto dell'articolo 10, che introduce misure finalizzate al potenziamento dell'accertamento in materia di giochi;
ritenuto fondamentale contrastare la diffusione del gioco irregolare ed illegale, l'evasione, l'elusione fiscale ed il riciclaggio nel settore dei giochi;
ritenuto altrettanto importante assicurare l'ordine pubblico e la tutela dei giocatori;
ritenuto opportuno che le società emittenti carte di credito, gli operatori bancari, finanziari e postali collaborino con lo Stato per il raggiungimento di questo obiettivo;
ritenuto strategico che l'Amministrazione autonoma dei monopoli predisponga un elenco dei soggetti che offrono nel territorio dello Stato, attraverso reti telematiche o di telecomunicazione, giochi, scommesse o concorsi pronostici con vincite in denaro in difetto di concessione, autorizzazione, licenza o altro titolo autorizzatorio o abilitativo o, comunque, in violazione delle norme di legge o di regolamento o delle prescrizioni definite dall'AAMS;
ritenuto opportuno che le transazioni ed i trasferimenti in denaro verso questi soggetti vengano inibiti dagli intermediari finanziari,

impegna il Governo

a far sì che le società emittenti carte di credito, gli operatori bancari, finanziari e postali inibiscano per via telematica le transazioni ed i trasferimenti in denaro da e a favore dei soggetti, indicati in apposito elenco predisposto dall'AAMS, che offrono nel territorio dello Stato, attraverso reti telematiche o di telecomunicazione, giochi, scommesse o concorsi pronostici con vincite in denaro in difetto di concessione, autorizzazione, licenza o altro titolo autorizzatorio o abilitativo o, comunque, in violazione delle norme di legge o di regolamento o delle prescrizioni definite dall'AAMS.
9/5109-AR/53.Comaroli, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
esaminato il provvedimento in titolo;
preso atto della volontà del Governo di procedere con il presente decreto ad un'importante semplificazione del sistema tributario;
verificato che tale volontà non si è tradotta in concrete semplificazioni, ma, anzi, le misure introdotte sono state di rilevanza marginale e, in alcuni casi, hanno ulteriormente complicato il quadro del nostro sistema fiscale;
valutato in particolare il contenuto dell'articolo 10, che introduce misure finalizzate al potenziamento dell'accertamento in materia di giochi;
ritenuto fondamentale contrastare la diffusione del gioco irregolare ed illegale, l'evasione, l'elusione fiscale ed il riciclaggio nel settore dei giochi;
ritenuto altrettanto importante assicurare l'ordine pubblico e la tutela dei giocatori;
ritenuto opportuno che le società emittenti carte di credito, gli operatori bancari, finanziari e postali collaborino con lo Stato per il raggiungimento di questo obiettivo;
ritenuto strategico che l'Amministrazione autonoma dei monopoli predisponga un elenco dei soggetti che offrono nel territorio dello Stato, attraverso reti telematiche o di telecomunicazione, giochi, scommesse o concorsi pronostici con vincite in denaro in difetto di concessione, autorizzazione, licenza o altro titolo autorizzatorio o abilitativo o, comunque, in violazione delle norme di legge o di regolamento o delle prescrizioni definite dall'AAMS;
ritenuto opportuno che le transazioni ed i trasferimenti in denaro verso questi soggetti vengano inibiti dagli intermediari finanziari,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di far sì che le società emittenti carte di credito, gli operatori bancari, finanziari e postali inibiscano per via telematica le transazioni ed i trasferimenti in denaro da e a favore dei soggetti, indicati in apposito elenco predisposto dall'AAMS, che offrono nel territorio dello Stato, attraverso reti telematiche o di telecomunicazione, giochi, scommesse o concorsi pronostici con vincite in denaro in difetto di concessione, autorizzazione, licenza o altro titolo autorizzatorio o abilitativo o, comunque, in violazione delle norme di legge o di regolamento o delle prescrizioni definite dall'AAMS.
9/5109-AR/53.(Testo modificato nel corso della seduta)Comaroli, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
esaminato il provvedimento in titolo;
preso atto della volontà del Governo di procedere con il presente decreto ad un'importante semplificazione del sistema tributario;
verificato che tale volontà non si è tradotta in concrete semplificazioni, ma, anzi, le misure introdotte sono state di rilevanza marginale e, in alcuni casi, hanno ulteriormente complicato il quadro del nostro sistema fiscale;
valutato in particolare il contenuto dell'articolo 4;
valutata come prioritaria la tutela dello smisurato patrimonio architettonico e culturale del nostro Paese, in una fase economica in cui lo Stato non è in grado di accollarsi gli oneri della manutenzione, che sono quindi sulle spalle dei proprietari privati;
ritenuto che gli immobili storici sono indubbiamente una ricchezza per il Paese e che devono essere tutelati anche dal punto di vista fiscale, legittimando un diverso e più favorevole trattamento fiscale rispetto a tutti gli altri immobili;
preso atto che solo in Veneto ed in Friuli Venezia Giulia le ville storiche sono oltre 4.000, di cui metà vincolate dalla Sovrintendenza ai beni ambientali e architettonici; la gestione di questi immobili non può certo dirsi speculativa: i profitti derivanti dalle locazioni e dall'organizzazione di eventi sono marginali ed il diverso trattamento fiscale consente di reinvestire i risparmi in opere di manutenzione;
valutato come necessario limitare gli interventi normativi peggiorativi sugli immobili e ville storiche;

impegna il Governo

a conservare per gli immobili di interesse storico e artistico la previgente normativa in tema di ICI (articolo 2, comma 5, del decreto-legge n. 16 del 1993) ad oggi non abrogata e la tassazione catastale-forfetaria dei redditi immobiliari derivanti da tali immobili.
9/5109-AR/54.Gidoni, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
esaminato il provvedimento in titolo;
preso atto della volontà del Governo di procedere con il presente decreto ad un'importante semplificazione del sistema tributario;
verificato che tale volontà non si è tradotta in concrete semplificazioni, ma, anzi, le misure introdotte sono state di rilevanza marginale e, in alcuni casi, hanno ulteriormente complicato il quadro del nostro sistema fiscale;
valutato in particolare il contenuto dell'articolo 4;
valutata come prioritaria la tutela dello smisurato patrimonio architettonico e culturale del nostro Paese, in una fase economica in cui lo Stato non è in grado di accollarsi gli oneri della manutenzione, che sono quindi sulle spalle dei proprietari privati;
ritenuto che gli immobili storici sono indubbiamente una ricchezza per il Paese e che devono essere tutelati anche dal punto di vista fiscale, legittimando un diverso e più favorevole trattamento fiscale rispetto a tutti gli altri immobili;
preso atto che solo in Veneto ed in Friuli Venezia Giulia le ville storiche sono oltre 4.000, di cui metà vincolate dalla Sovrintendenza ai beni ambientali e architettonici; la gestione di questi immobili non può certo dirsi speculativa: i profitti derivanti dalle locazioni e dall'organizzazione di eventi sono marginali ed il diverso trattamento fiscale consente di reinvestire i risparmi in opere di manutenzione;
valutato come necessario limitare gli interventi normativi peggiorativi sugli immobili e ville storiche;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di conservare per gli immobili di interesse storico e artistico la previgente normativa in tema di ICI (articolo 2, comma 5, del decreto-legge n. 16 del 1993) ad oggi non abrogata e la tassazione catastale-forfetaria dei redditi immobiliari derivanti da tali immobili.
9/5109-AR/54.(Testo modificato nel corso della seduta)Gidoni, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
con l'aumento della benzina a due euro si supera il record storico del 1977, in una corsa senza freni della verde (+18 per cento da gennaio 2011) e del gasolio (+25,4 per cento). Secondo le stime, i rialzi costeranno quasi 400 euro all'anno a famiglia;
a trarne benefici è il fisco: le tasse pesano più del 50 per cento sul prezzo alla pompa e tra gennaio e febbraio, malgrado un calo del 9,6 per cento dei consumi, il caro-pieno ha regalato all'erario un miliardo di entrate in più rispetto al 2011;
i due euro per la benzina sono il risultato di una serie di tasse stabilite dall'erario, giacché il 52 per cento del prezzo della verde, 1 euro al litro circa, e il 56 per cento di quello del gasolio sono tasse, soldi pagati dai cittadini italiani e che finiscono nelle casse dello Stato;
passando in rassegna l'elenco dei balzelli legati al pieno appare evidente come gli automobilisti paghino due euro di benzina con motivazioni insostenibili: 1,03 millesimi di euro al litro per finanziare, 77 anni dopo, la guerra d'Etiopia; 7 millesimi per la crisi del Canale di Suez finita nel 1956;
vi sono accise per sovvenzionare fondi creati per catastrofi naturali e terremoti di decine e decine di anni fa, dal Belice (5 millesimi di euro) all'Irpinia (3,8 centesimi);
sono 4 i centesimi in più che vengono richieste per fronteggiare l'emergenza immigrati dalla Libia; due per il contratto degli autoferrotranvieri del 2004; e altri due stabiliti dal decreto Salva Italia del governo Monti per finanziare i trasporti pubblici locali;
a farne le spese ovviamente gli italiani, che comprano la benzina più cara d'Europa, a guadagnarci, invece, insieme all'Erario ci sono anche le grandi compagnie petrolifere e gli Stati produttori,

impegna il Governo

all'emanazione di un decreto di riduzione dell'accisa sui carburanti in attuazione della norma prevista dalla legge finanziaria per il 2008, al fine di compensare il maggior gettito IVA dovuto all'aumento dei prezzi dei prodotti petroliferi con la riduzione dell'aliquota delle accise sui carburanti, neutralizzando l'impennata del prezzo al consumo.
9/5109-AR/55.Fava, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
con l'aumento della benzina a due euro si supera il record storico del 1977, in una corsa senza freni della verde (+18 per cento da gennaio 2011) e del gasolio (+25,4 per cento). Secondo le stime, i rialzi costeranno quasi 400 euro all'anno a famiglia;
a trarne benefici è il fisco: le tasse pesano più del 50 per cento sul prezzo alla pompa e tra gennaio e febbraio, malgrado un calo del 9,6 per cento dei consumi, il caro-pieno ha regalato all'erario un miliardo di entrate in più rispetto al 2011;
i due euro per la benzina sono il risultato di una serie di tasse stabilite dall'erario, giacché il 52 per cento del prezzo della verde, 1 euro al litro circa, e il 56 per cento di quello del gasolio sono tasse, soldi pagati dai cittadini italiani e che finiscono nelle casse dello Stato;
passando in rassegna l'elenco dei balzelli legati al pieno appare evidente come gli automobilisti paghino due euro di benzina con motivazioni insostenibili: 1,03 millesimi di euro al litro per finanziare, 77 anni dopo, la guerra d'Etiopia; 7 millesimi per la crisi del Canale di Suez finita nel 1956;
vi sono accise per sovvenzionare fondi creati per catastrofi naturali e terremoti di decine e decine di anni fa, dal Belice (5 millesimi di euro) all'Irpinia (3,8 centesimi);
sono 4 i centesimi in più che vengono richieste per fronteggiare l'emergenza immigrati dalla Libia; due per il contratto degli autoferrotranvieri del 2004; e altri due stabiliti dal decreto Salva Italia del governo Monti per finanziare i trasporti pubblici locali;
a farne le spese ovviamente gli italiani, che comprano la benzina più cara d'Europa, a guadagnarci, invece, insieme all'Erario ci sono anche le grandi compagnie petrolifere e gli Stati produttori,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di emanare un decreto di riduzione dell'accisa sui carburanti in attuazione della norma prevista dalla legge finanziaria per il 2008, al fine di compensare il maggior gettito IVA dovuto all'aumento dei prezzi dei prodotti petroliferi con la riduzione dell'aliquota delle accise sui carburanti, neutralizzando l'impennata del prezzo al consumo.
9/5109-AR/55.(Testo modificato nel corso della seduta)Fava, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
considerato che il provvedimento in esame reca disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento;
rilevato che le finalità sottese al provvedimento in esame richiederebbero interventi di riforma sulla giustizia tributaria al fine di renderne più spedito ed efficiente il funzionamento;
considerato che tra le ragioni di scarsa efficienza della giustizia tributaria può annoverarsi l'attuale assetto pletorico delle commissioni tributarie;

impegna il Governo

a considerare l'opportunità di assumere iniziative volte a prevedere che le sezioni delle commissioni tributarie provinciali siano composte da un giudice monocratico.
9/5109-AR/56.Isidori, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
considerato che il provvedimento in esame reca disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento;
rilevato che nel luglio 2000 il Parlamento approvò la legge n. 212 recante disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente finalizzata a rendere migliori i rapporti tra il fisco e i contribuenti;
all'interno della normativa, una delle principali novità è senza dubbio quella relativa all'estensione al diritto all'interpello con la regola del silenzio-assenso, così che, qualora il contribuente abbia dei dubbi, può richiedere chiarimenti al fisco, che ha centoventi giorni per rispondere, decorsi i quali prevale l'interpretazione del contribuente;
è evidente come ai tempi della normativa, sia dello statuto del contribuente, che della legge n. 413 del 1991, la finalità e i termini entro cui il fisco avrebbe potuto rispondere al sollecito da parte del contribuente erano coerenti con la situazione socio-economica e con la struttura e l'apparato pubblici; oggi però, in un contesto economico che seppur a breve distanza temporale è profondamente e completamente mutato, si rende assolutamente necessario ripensare e rivedere la normativa, cercando invece di accelerare al fine di ridurre i tempi di risposta con cui la pubblica amministrazione è interpellata dal contribuente per favorire non solo una maggiore efficienza del sistema, ma anche e soprattutto per poter garantire al contribuente un sistema di risposta più coerente con un sistema produttivo dove il tempo è diventato una variabile critica di primaria importanza;

impegna il Governo

a considerare l'opportunità di assumere iniziative volte a ridurre i tempi di risposta dell'amministrazione finanziaria, previsti dall'articolo 11 della legge n. 212 del 2000, portandoli a trenta giorni.
9/5109-AR/57.Goisis, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
considerato che il provvedimento in esame reca disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento;
rilevato che le finalità sottese al provvedimento in esame richiederebbero interventi di riforma sulla giustizia tributaria al fine di renderne più spedito ed efficiente il funzionamento;
ritenuto che gli attuali termini previsti dalla disciplina del processo tributario siano eccessivamente lunghi e tali da determinare tempi di decisione non idonei a garantire al contribuente e agli operatori economici una adeguata risposta alle proprie istanze;

impegna il Governo

a considerare l'opportunità di assumere iniziative volte a ridurre i termini delle fasi del processo tributario, in modo che la sentenza venga emessa entro il termine massimo di sessanta giorni dalla data di deposito del ricorso da parte del contribuente, nel caso di procedimento dinanzi alla commissione provinciale, o dalla data di deposito dell'appello, nel caso di procedimento dinanzi alla commissione regionale.
9/5109-AR/58.Reguzzoni, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
considerato che il provvedimento in esame reca disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento;
rilevato che le finalità sottese al provvedimento in esame richiederebbero interventi di riforma sulla giustizia tributaria al fine di rendere più spedito ed efficiente il funzionamento;
una delle principali disfunzioni che attualmente si riscontrano nel funzionamento del sistema di giustizia tributaria è quello relativo alle rilevanti difformità tra le decisioni assunte dalle diverse Commissioni tributarie, con evidente sacrificio della certezza del diritto in una materia che tocca da vicino i diritti e gli interessi economici dei cittadini;

impegna il Governo

a considerare l'opportunità di assumere iniziative volte a prevedere l'istituzione di una banca dati unica che raccolga le sentenze di tutte le commissioni tributarie provinciali e regionali, accessibile a tutti i cittadini, in modo da garantire trasparenza ed uniformità di giudizio su tutto il territorio nazionale da parte degli organi della giurisdizione tributaria.
9/5109-AR/59.Rondini, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che,
il comma 5-bis dell'articolo 4 del provvedimento in esame dispone che con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, possono essere individuati i comuni nei quali si applica l'esenzione dell'IMU per i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina ai sensi della lettera h) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, sulla base della altitudine riportata nell'elenco dei comuni italiani predisposto dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), nonché, eventualmente, anche sulla base della redditività dei terreni;
il predetto articolo 7, comma 1, lettera h) del decreto legislativo n. 504/1992, dispone che sono esenti dall'imposta sugli immobili i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina delimitate ai sensi dell'articolo 15 della legge 27 dicembre 1977, n. 984 (Coordinamento degli interventi pubblici nei settori della zootecnia, della produzione ortoflorofrutticola, della forestazione, dell'irrigazione, delle grandi colture mediterranee, della vitivinicoltura e della utilizzazione e valorizzazione dei terreni collinari e montani);
in applicazione di tale ultima norma, con circolare 14 giugno 1993, n. 9, del ministero delle finanze, è stato approvato un elenco di 6.103 comuni che godono dell'esenzione dall'imposta ed a cui i Comuni hanno sempre fatto riferimento per disporre l'esenzione dall'ICI per i terreni agricoli montani;
numerosi comuni che hanno già provveduto ad applicare la nuova IMU disposta dall'articolo 13 decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, per quanto riguarda i beneficiari che possono godere delle esclusioni dall'IMU, hanno fatto specifico riferimento all'elenco dei comuni esenti previsto dalla stessa circolare n. 9 del 14 giugno 1993;
alla luce di quanto brevemente descritto, soprattutto ai fini di una più chiara interpretazione sulla eventuale portata innovativa del predetto articolo 4, comma 5-bis, rispetto alle attuali disposizioni che disciplinano la stessa materia delle esenzioni dell'IMU per i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina delimitate ai sensi dell'articoli 15 della legge 27 dicembre 1977, n. 984, sarebbe utile chiarire che fino a quando non sarà emanato l'eventuale decreto interministeriale che potrà individuare i comuni nei quali si applica l'esenzione dell'IMU per i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina, continua ad applicarsi la circolare n. 9/1993,

impegna il Governo

a chiarire, tramite opportuni provvedimenti esplicativi, che, nelle more dell'eventuale emanazione del decreto regolamentare previsto dall'articolo 4, comma 5-bis del decreto legge n. 16/2012 con cui potranno essere individuati comuni nei quali si applica l'esenzione dell'IMU per i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina, continua ad applicarsi la circolare 14 giugno 1993, n. 9, del Ministero delle finanze che reca l'elenco dei Comuni sul cui territorio i terreni agricoli sono esenti dall'IMU ai sensi dell'articolo 7, lettera h), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, in quanto aree montane o di collina delimitate ai sensi dell'articolo 15 della legge 27 dicembre 1977, n. 984.
9/5109-AR/60.Rainieri, Caparini, Bragantini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che,
il comma 5-bis dell'articolo 4 del provvedimento in esame dispone che con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, possono essere individuati i comuni nei quali si applica l'esenzione dell'IMU per i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina ai sensi della lettera h) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, sulla base della altitudine riportata nell'elenco dei comuni italiani predisposto dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), nonché, eventualmente, anche sulla base della redditività dei terreni;
il predetto articolo 7, comma 1, lettera h) del decreto legislativo n. 504/1992, dispone che sono esenti dall'imposta sugli immobili i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina delimitate ai sensi dell'articolo 15 della legge 27 dicembre 1977, n. 984 (Coordinamento degli interventi pubblici nei settori della zootecnia, della produzione ortoflorofrutticola, della forestazione, dell'irrigazione, delle grandi colture mediterranee, della vitivinicoltura e della utilizzazione e valorizzazione dei terreni collinari e montani);
in applicazione di tale ultima norma, con circolare 14 giugno 1993, n. 9, del ministero delle finanze, è stato approvato un elenco di 6.103 comuni che godono dell'esenzione dall'imposta ed a cui i Comuni hanno sempre fatto riferimento per disporre l'esenzione dall'ICI per i terreni agricoli montani;
numerosi comuni che hanno già provveduto ad applicare la nuova IMU disposta dall'articolo 13 decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, per quanto riguarda i beneficiari che possono godere delle esclusioni dall'IMU, hanno fatto specifico riferimento all'elenco dei comuni esenti previsto dalla stessa circolare n. 9 del 14 giugno 1993;
alla luce di quanto brevemente descritto, soprattutto ai fini di una più chiara interpretazione sulla eventuale portata innovativa del predetto articolo 4, comma 5-bis, rispetto alle attuali disposizioni che disciplinano la stessa materia delle esenzioni dell'IMU per i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina delimitate ai sensi dell'articoli 15 della legge 27 dicembre 1977, n. 984, sarebbe utile chiarire che fino a quando non sarà emanato l'eventuale decreto interministeriale che potrà individuare i comuni nei quali si applica l'esenzione dell'IMU per i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina, continua ad applicarsi la circolare n. 9/1993,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di chiarire, tramite opportuni provvedimenti esplicativi, che, nelle more dell'eventuale emanazione del decreto regolamentare previsto dall'articolo 4, comma 5-bis del decreto legge n. 16/2012 con cui potranno essere individuati comuni nei quali si applica l'esenzione dell'IMU per i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina, continua ad applicarsi la circolare 14 giugno 1993, n. 9, del Ministero delle finanze che reca l'elenco dei Comuni sul cui territorio i terreni agricoli sono esenti dall'IMU ai sensi dell'articolo 7, lettera h), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, in quanto aree montane o di collina delimitate ai sensi dell'articolo 15 della legge 27 dicembre 1977, n. 984.
9/5109-AR/60.(Testo modificato nel corso della seduta)Rainieri, Caparini, Bragantini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
i commi da 13 a 17 dell'articolo 8 intervengono sull'imposta sul valore degli immobili situati all'estero, da applicare dal 2011, che colpisce gli immobili posseduti da cittadini residenti in Italia e destinati a qualsiasi uso;
per effetto delle modifiche introdotte, si prevede che l'imposta, stabilita nella misura dello 0,76 per cento del valore degli immobili, non è dovuta se l'importo non supera 200 euro; il valore dell'immobile è costituito dal costo risultante dall'atto di acquisto o dai contratti e, in mancanza, secondo il valore di mercato rilevabile nel luogo in cui è situato l'immobile;
per gli immobili situati in Paesi appartenenti alla Unione europea o in Paesi aderenti allo Spazio economico europeo, che garantiscono un adeguato scambio di informazioni, il valore è quello utilizzato nel Paese estero per l'assolvimento di imposte sul patrimonio o sui trasferimenti;
lo scopo della norma è quello di tassare chi ha fatto investimenti immobiliari all'estero con risorse italiane;
l'attuale formulazione del testo non chiarisce se la norma si applichi anche a chi possiede la doppia cittadinanza ed adempie regolarmente alla dichiarazione dei redditi sia in Italia sia nel paese estero;
un'applicazione della norma in maniera bilaterale, obbligherebbe tali soggetti a dichiarare il Italia gli immobili posseduti nel Paese estero e pagare l'IMU in Italia, sottraendo dall'importo le imposte pagate nel Paese estero, e inoltre, a dichiarare nel Paese estero gli immobili posseduti in Italia e pagare le relative imposte nel Paese estero, sottraendo dall'importo l'IMU pagata in Italia. Proprio per questo motivo esistono convenzioni e accordi che evitano la doppia tassazione e le difficoltà di calcolare e applicare le imposte per i soggetti con doppia cittadinanza i quali vengono sottoposti alla tassazione di ciascun paese secondo le proprietà e i redditi posseduti in tale Paese;

impegna il Governo

a chiarire nelle prossime circolari applicative che la norma che sottopone all'IMU gli immobili posseduti all'estero non si applica anche ai cittadini che possiedono una doppia cittadinanza e che, secondo le convenzioni internazionali, sono sottoposti alla tassazione di ciascun paese secondo le proprietà e i redditi posseduti nel singolo Paese, presentando regolare dichiarazione dei redditi annuale in ciascun paese.
9/5109-AR/61.Crosio, Caparini, Bragantini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
i commi da 13 a 17 dell'articolo 8 intervengono sull'imposta sul valore degli immobili situati all'estero, da applicare dal 2011, che colpisce gli immobili posseduti da cittadini residenti in Italia e destinati a qualsiasi uso;
per effetto delle modifiche introdotte, si prevede che l'imposta, stabilita nella misura dello 0,76 per cento del valore degli immobili, non è dovuta se l'importo non supera 200 euro; il valore dell'immobile è costituito dal costo risultante dall'atto di acquisto o dai contratti e, in mancanza, secondo il valore di mercato rilevabile nel luogo in cui è situato l'immobile;
per gli immobili situati in Paesi appartenenti alla Unione europea o in Paesi aderenti allo Spazio economico europeo, che garantiscono un adeguato scambio di informazioni, il valore è quello utilizzato nel Paese estero per l'assolvimento di imposte sul patrimonio o sui trasferimenti;
lo scopo della norma è quello di tassare chi ha fatto investimenti immobiliari all'estero con risorse italiane;
l'attuale formulazione del testo non chiarisce se la norma si applichi anche a chi possiede la doppia cittadinanza ed adempie regolarmente alla dichiarazione dei redditi sia in Italia sia nel paese estero;
un'applicazione della norma in maniera bilaterale, obbligherebbe tali soggetti a dichiarare il Italia gli immobili posseduti nel Paese estero e pagare l'IMU in Italia, sottraendo dall'importo le imposte pagate nel Paese estero, e inoltre, a dichiarare nel Paese estero gli immobili posseduti in Italia e pagare le relative imposte nel Paese estero, sottraendo dall'importo l'IMU pagata in Italia. Proprio per questo motivo esistono convenzioni e accordi che evitano la doppia tassazione e le difficoltà di calcolare e applicare le imposte per i soggetti con doppia cittadinanza i quali vengono sottoposti alla tassazione di ciascun paese secondo le proprietà e i redditi posseduti in tale Paese;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di chiarire nelle prossime circolari applicative che la norma che sottopone all'IMU gli immobili posseduti all'estero non si applica anche ai cittadini che possiedono una doppia cittadinanza e che, secondo le convenzioni internazionali, sono sottoposti alla tassazione di ciascun paese secondo le proprietà e i redditi posseduti nel singolo Paese, presentando regolare dichiarazione dei redditi annuale in ciascun paese.
9/5109-AR/61.(Testo modificato nel corso della seduta)Crosio, Caparini, Bragantini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 12, ai commi da 8 a 11-ter, reca disposizioni riguardanti l'acquisto da parte della regione Campania del termovalorizzatore di Acerra;
in particolare il comma 8, riproducendo quanto originariamente previsto dal comma 4, dell'articolo 1 del decreto-legge 2/2012 (soppresso dalla legge di conversione n. 28/2012 con un emendamento al Senato), autorizza la regione Campania ad utilizzare le risorse del Fondo per lo sviluppo e coesione (FSC) 2007-2013 relative al Programma attuativo regionale, per l'acquisto del termovalorizzatore di Acerra, ai sensi di quanto disposto dall'articolo 7 del decreto-legge 195/2009 120;
tale articolo 7 stabilisce il trasferimento della proprietà del termovalorizzatore di Acerra entro il 30 giugno 2012 (sulla base del termine fissato da ultimo dall'articolo 1-bis, comma 4, del decreto-legge 2/2012), con una delle modalità seguenti: alla Regione Campania, previa intesa della regione stessa, al Dipartimento della protezione civile, ad un soggetto privato o ad altro ente pubblico anche non territoriale;
le nuove norme prevedono il trasferimento alla stessa Regione Campania delle risorse necessarie, quantificate in 355.550.240,84 euro, e trasferiscono inoltre alla Regione un contributo aggiuntivo di 30 milioni annui per 30 anni, pari al canone di affitto del termovalorizzatore;

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative per valutare, ai fini di un bilanciamento economico a favore degli interessi pubblici, tutte le opzioni alternative per la futura gestione del termovalorizzatore di Acerra rivedendo la posizione che obbliga la Regione Campania ad acquistare il termovalorizzatore.
9/5109-AR/62.Togni, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 12, ai commi da 8 a 11-ter, reca disposizioni riguardanti l'acquisto da parte della regione Campania del termovalorizzatore di Acerra;
in particolare il comma 8, riproducendo quanto originariamente previsto dal comma 4, dell'articolo 1 del decreto-legge 2/2012 (soppresso dalla legge di conversione n. 28/2012 con un emendamento al Senato), autorizza la regione Campania ad utilizzare le risorse del Fondo per lo sviluppo e coesione (FSC) 2007-2013 relative al Programma attuativo regionale, per l'acquisto del termovalorizzatore di Acerra, ai sensi di quanto disposto dall'articolo 7 del decreto-legge 195/2009 120;
tale articolo 7 stabilisce il trasferimento della proprietà del termovalorizzatore di Acerra entro il 30 giugno 2012 (sulla base del termine fissato da ultimo dall'articolo 1-bis, comma 4, del decreto-legge 2/2012), con una delle modalità seguenti: alla Regione Campania, previa intesa della regione stessa, al Dipartimento della protezione civile, ad un soggetto privato o ad altro ente pubblico anche non territoriale;
le nuove norme prevedono il trasferimento alla stessa Regione Campania delle risorse necessarie, quantificate in 355.550.240,84 euro, e trasferiscono inoltre alla Regione un contributo aggiuntivo di 30 milioni annui per 30 anni, pari al canone di affitto del termovalorizzatore;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare le iniziative per valutare, ai fini di un bilanciamento economico a favore degli interessi pubblici, tutte le opzioni alternative per la futura gestione del termovalorizzatore di Acerra rivedendo la posizione che obbliga la Regione Campania ad acquistare il termovalorizzatore.
9/5109-AR/62.(Testo modificato nel corso della seduta)Togni, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 12, ai commi da 8 a 11-ter, reca disposizioni riguardanti l'acquisto da parte della regione Campania del termovalorizzatore di Acerra;
le nuove norme, nel prevedere un implicito obbligo per la Regione Campania di acquisto del termovalorizzatore di Acerra, autorizzano la regione Campania ad utilizzare le risorse del Fondo per lo sviluppo e coesione (FSC) 2007-2013 relative al Programma attuativo regionale, per un importo pari a 355.550.240,84 euro, che vengono trasferite alla stessa Regione, e prevedono inoltre il trasferimento alla Regione di un contributo aggiuntivo di 30 milioni annui per 30 anni, pari al canone di affitto del termovalorizzatore;
secondo quanto indicato nel sito web dell'Osservatorio ambientale del termovalorizzatore di Acerra (istituito dall'O.P.C.M. 3730/2009) «Dall'inizio della sua attività a febbraio 2012, l'impianto di Acerra ha trattato oltre 1.341.000 tonnellate di rifiuti, producendo in tale periodo di tempo più di 1.307.000 megawatt di elettricità»;
dal momento che la Regione, quale proprietaria dell'impianto, potrà guadagnare dalla vendita dell'energia elettrica prodotta, non è chiaro perché lo Stato debba concedere un contributo annuo alla Regione pari al canone di affitto;

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative per poter riferire al Parlamento sul bilancio annuo di contabilizzazione delle risorse regionali, tenendo in considerazione le entrate provenienti dal contributo pubblico e dalla vendita di energia elettrica, nonché l'utilizzo di tali entrate da parte della Regione Campania.
9/5109-AR/63.Alessandri, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 12, ai commi da 8 a 11-ter, reca disposizioni riguardanti l'acquisto da parte della regione Campania del termovalorizzatore di Acerra;
le nuove norme, nel prevedere un implicito obbligo per la Regione Campania di acquisto del termovalorizzatore di Acerra, autorizzano la regione Campania ad utilizzare le risorse del Fondo per lo sviluppo e coesione (FSC) 2007-2013 relative al Programma attuativo regionale, per un importo pari a 355.550.240,84 euro, che vengono trasferite alla stessa Regione, e prevedono inoltre il trasferimento alla Regione di un contributo aggiuntivo di 30 milioni annui per 30 anni, pari al canone di affitto del termovalorizzatore;
secondo quanto indicato nel sito web dell'Osservatorio ambientale del termovalorizzatore di Acerra (istituito dall'O.P.C.M. 3730/2009) «Dall'inizio della sua attività a febbraio 2012, l'impianto di Acerra ha trattato oltre 1.341.000 tonnellate di rifiuti, producendo in tale periodo di tempo più di 1.307.000 megawatt di elettricità»;
dal momento che la Regione, quale proprietaria dell'impianto, potrà guadagnare dalla vendita dell'energia elettrica prodotta, non è chiaro perché lo Stato debba concedere un contributo annuo alla Regione pari al canone di affitto;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare le iniziative per poter riferire al Parlamento sul bilancio annuo di contabilizzazione delle risorse regionali, tenendo in considerazione le entrate provenienti dal contributo pubblico e dalla vendita di energia elettrica, nonché l'utilizzo di tali entrate da parte della Regione Campania.
9/5109-AR/63.(Testo modificato nel corso della seduta)Alessandri, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 12, ai commi da 8 a 11-ter, reca disposizioni riguardanti l'acquisto da parte della regione Campania del termovalorizzatore di Acerra;
le nuove norme, nel prevedere un implicito obbligo per la Regione Campania di acquisto del termovalorizzatore di Acerra, autorizzano la regione Campania ad utilizzare le risorse del Fondo per lo sviluppo e coesione (FSC) 2007-2013 relative al Programma attuativo regionale, per un importo pari a 355.550.240,84 euro, che vengono trasferite alla stessa Regione, prevedono il trasferimento alla Regione di un contributo aggiuntivo di 30 milioni annui per 30 anni, pari al canone di affitto del termovalorizzatore, e inoltre, escludono dal patto di stabilità le spese regionali sostenute per il termovalorizzatore e per il ciclo integrato dei rifiuti e della depurazione delle acque, nei limiti dei ricavi dalla vendita di energia e nel limite di 60 milioni annui, ed escludono inoltre dal patto di stabilità il contributo statale del canone di affitto;
l'esclusione dal patto di stabilità delle spese regionali sostenute per il termovalorizzatore e per il ciclo integrato dei rifiuti e della depurazione delle acque crea discriminazioni rispetto alle altre regioni e agli altri enti territoriali che con estrema difficoltà devono sottostare ai vincoli del patto di stabilità interno, addirittura limitando le proprie spese nonostante le disponibilità di cassa;

impegna il Governo

a valutare la possibilità di intervenire con un prossimo provvedimento di carattere normativo che possa modificare le norme che escludono dal patto di stabilità le spese della Regione Campania sostenute per il termovalorizzatore di Acerra e per il ciclo integrato dei rifiuti e della depurazione delle acque, ristabilendo equità, imparzialità e correttezza tra gli enti territoriali, in merito alle tipologie delle spese escluse dal computo ai fini dell'applicazione delle regole del patto di stabilità interno.
9/5109-AR/64.Lanzarin, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 12, comma 11-quater reca una modifica all'articolo 9, comma 3-bis, del decreto legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, in materia di certificazione dei crediti vantati dalle imprese nei confronti della Pubblica Amministrazione;
la norma stabilisce che la certificazione di somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti da parte di regioni ed enti locali può essere finalizzata a consentire al creditore oltre che la cessione pro soluto a favore di banche o intermediari finanziari anche la cessione pro solvendo, la quale implica per l'impresa cedente l'obbligo di rispondere per l'eventuale inadempienza del debitore;
l'introduzione delle cessione pro solvendo accanto a quella pro soluto rappresenta una soluzione che scarica tutti gli oneri e le responsabilità sulle imprese e non permette di risolvere il grave problema di liquidità che il sistema imprenditoriale si trova ad affrontare nell'attuale difficile fase congiunturale;
nella cessione pro solvendo, infatti, le imprese che cedono i propri crediti verso la Pubblica Amministrazione rimangono responsabili del pagamento dei crediti ceduti, con la conseguenza di continuare a subire il rischio che le regole del Patto di stabilità interno impediscano il corretto adempimento delle obbligazioni degli enti locali;
il risultato sarebbe quindi un ulteriore indebolimento della solidità finanziaria delle imprese, per le quali il vantaggio principale della cessione pro soluto è quello di liberare linee di credito, alleggerendo il loro castelletto fidi. Il pro solvendo, invece, non produce questi effetti e limita fortemente la loro capacità di indebitamento;
a beneficiare di questa modifica sarebbero, quindi, le banche che già hanno fortemente ridotto il credito alle imprese,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disposizione richiamata in premessa, al fine di adottare gli opportuni provvedimenti, anche di carattere normativo, volti a ripristinare la norma di cui all'articolo 9, comma 3-bis, del decreto legge 29 novembre 2008 n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, eliminando quindi il riferimento alla cessione pro solvendo dei crediti dovuti alle imprese da parte della Pubblica Amministrazione.
9/5109-AR/65.Torazzi, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 3, del decreto-legge in esame, prevede diverse misure agevolative a favore delle imprese e dei contribuenti;
in questa fase di recessione è necessario rafforzare gli impegni a sostegno delle imprese dando seguito alle istanze da queste provenienti;
il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, reca il testo unico delle imposte sui redditi, il TUIR, ed in particolare l'articolo 51, del predetto decreto disciplina l'istituto della trasferta;
alla luce delle difformità interpretative relative alla normativa da applicare all'istituto della trasferta, soprattutto per quei settori industriali caratterizzati da prestazioni lavorative che non sono abitualmente svolte al di fuori della sede di lavoro, o di assunzione, in ragione della particolare specializzazione dell'attività esercitata, occorre fornire un chiarimento univoco che dirima in via definitiva le criticità operative sinora rilevate dagli operatori economici;
in tali settori, quale ad esempio quello edile, infatti, per una più pratica gestione amministrativa, i lavoratori sono spesso assunti presso la sede legale dell'impresa, per svolgere generalmente la propria attività lavorativa nel comune in cui questa è ubicata e sono inviati in trasferta a seguito di specifiche occasioni di lavoro;
in tali casi si configura la fattispecie della «trasferta occasionale», disciplinata dal comma 5 dell'articolo 51 del TUIR, non realizzandosi i presupposti della «trasferta abituale», di cui al successivo comma 6, del medesimo articolo 51, che richiede, per contratto, «l'espletamento delle attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi»;
per i settori interessati si rende necessaria l'adozione di una norma d'interpretazione autentica che precisi l'applicabilità dell'articolo 51, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 917/1986, per tutte le attività lavorative effettuate al di fuori del territorio comunale ove è ubicata la sede di lavoro, o di assunzione, a condizione che, nel contratto individuale di lavoro, non sia espressamente stabilito che l'espletamento delle stesse debba avvenire in luoghi sempre variabili e diversi;
il mancato intervento normativo comporta una maggiore contribuzione sul costo del lavoro a carico delle imprese che sono in questo caso ingiustamente tassate,

impegna il Governo

ad adottare gli opportuni provvedimenti, anche di carattere normativo, volti a precisare che l'articolo 5, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 917/1986, si applichi per tutte le attività lavorative effettuate al di fuori del territorio comunale ove è ubicata la sede di lavoro o di assunzione, da intendere come trasferta occasionale, qualora nel contratto individuale di lavoro non sia espressamente stabilito che l'espletamento delle stesse debba avvenire in luoghi sempre variabili e diversi.
9/5109-AR/66.Meroni, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 3, del decreto-legge in esame, prevede diverse misure agevolative a favore delle imprese e dei contribuenti;
in questa fase di recessione è necessario rafforzare gli impegni a sostegno delle imprese dando seguito alle istanze da queste provenienti;
il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, reca il testo unico delle imposte sui redditi, il TUIR, ed in particolare l'articolo 51, del predetto decreto disciplina l'istituto della trasferta;
alla luce delle difformità interpretative relative alla normativa da applicare all'istituto della trasferta, soprattutto per quei settori industriali caratterizzati da prestazioni lavorative che non sono abitualmente svolte al di fuori della sede di lavoro, o di assunzione, in ragione della particolare specializzazione dell'attività esercitata, occorre fornire un chiarimento univoco che dirima in via definitiva le criticità operative sinora rilevate dagli operatori economici;
in tali settori, quale ad esempio quello edile, infatti, per una più pratica gestione amministrativa, i lavoratori sono spesso assunti presso la sede legale dell'impresa, per svolgere generalmente la propria attività lavorativa nel comune in cui questa è ubicata e sono inviati in trasferta a seguito di specifiche occasioni di lavoro;
in tali casi si configura la fattispecie della «trasferta occasionale», disciplinata dal comma 5 dell'articolo 51 del TUIR, non realizzandosi i presupposti della «trasferta abituale», di cui al successivo comma 6, del medesimo articolo 51, che richiede, per contratto, «l'espletamento delle attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi»;
per i settori interessati si rende necessaria l'adozione di una norma d'interpretazione autentica che precisi l'applicabilità dell'articolo 51, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 917/1986, per tutte le attività lavorative effettuate al di fuori del territorio comunale ove è ubicata la sede di lavoro, o di assunzione, a condizione che, nel contratto individuale di lavoro, non sia espressamente stabilito che l'espletamento delle stesse debba avvenire in luoghi sempre variabili e diversi;
il mancato intervento normativo comporta una maggiore contribuzione sul costo del lavoro a carico delle imprese che sono in questo caso ingiustamente tassate,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare gli opportuni provvedimenti, anche di carattere normativo, volti a precisare che l'articolo 5, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 917/1986, si applichi per tutte le attività lavorative effettuate al di fuori del territorio comunale ove è ubicata la sede di lavoro o di assunzione, da intendere come trasferta occasionale, qualora nel contratto individuale di lavoro non sia espressamente stabilito che l'espletamento delle stesse debba avvenire in luoghi sempre variabili e diversi.
9/5109-AR/66.(Testo modificato nel corso della seduta) Meroni, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
preso atto della volontà del Governo di procedere con il presente provvedimento ad una significativa semplificazione del sistema tributario;
verificato che tale volontà non si è tradotta in concrete semplificazioni, ma, anzi, le misure introdotte sono state di rilevanza assolutamente marginale soprattutto con riferimento al comparto primario;
visto che l'attuale crisi economica colpisce particolarmente il settore agricolo, già danneggiato dall'aumento dei costi di produzione, dalla fluttuazione dei prezzi, dalla instabilità dei mercati e dalla speculazione internazionale sulle materie prime; considerato che l'estensione dell'imposta municipale propria ai fabbricati rurali, sia ad uso abitativo che strumentale, e la rivalutazione dei terreni agricoli fino al 60 per cento del valore, ai fini del calcolo della base imponibile, disposte dal decreto legge 201/2011, convertito con modificazioni, dalla legge 214/2011, si traduce in un ulteriore incremento del peso fiscale a carico degli agricoltori con ricadute devastanti sui costi di produzione e conseguenti diminuzioni degli utili per l'intero settore;
ritenute assolutamente insufficienti le modifiche introdotte alla disciplina dell'IMU rurale, recate dall'articolo 4 del provvedimento in esame;
preso atto della contrarietà manifestata dal mondo agricolo e da tutte le parti politiche in merito alla nuova tassazione degli immobili rurali che, inopportunamente, penalizza un settore ad alta patrimonializzazione ma a bassa redditività, e che andrebbe invece favorito in quanto componente strategica, con oltre 240 prodotti DOP e IGP, della crescita economica del Paese,

impegna il Governo:

a valutare con urgenza la necessità di adottare le opportune iniziative normative volte ad esentare dal pagamento dell'IMU le abitazioni e i fabbricati rurali e a ripristinare le agevolazioni a favore dei terreni agricoli al fine di non danneggiare ulteriormente un settore già in forte crisi ed essenziale alla ripresa economica nazionale.
9/5109-AR/67.Fogliato, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
preso atto della volontà del Governo di procedere con il presente provvedimento ad una significativa semplificazione del sistema tributario;
verificato che tale volontà non si è tradotta in concrete semplificazioni, ma, anzi, le misure introdotte sono state di rilevanza assolutamente marginale soprattutto con riferimento al comparto primario;
visto che l'attuale crisi economica colpisce particolarmente il settore agricolo, già danneggiato dall'aumento dei costi di produzione, dalla fluttuazione dei prezzi, dalla instabilità dei mercati e dalla speculazione internazionale sulle materie prime; considerato che l'estensione dell'imposta municipale propria ai fabbricati rurali, sia ad uso abitativo che strumentale, e la rivalutazione dei terreni agricoli fino al 60 per cento del valore, ai fini del calcolo della base imponibile, disposte dal decreto legge 201/2011, convertito con modificazioni, dalla legge 214/2011, si traduce in un ulteriore incremento del peso fiscale a carico degli agricoltori con ricadute devastanti sui costi di produzione e conseguenti diminuzioni degli utili per l'intero settore;
ritenute assolutamente insufficienti le modifiche introdotte alla disciplina dell'IMU rurale, recate dall'articolo 4 del provvedimento in esame;
preso atto della contrarietà manifestata dal mondo agricolo e da tutte le parti politiche in merito alla nuova tassazione degli immobili rurali che, inopportunamente, penalizza un settore ad alta patrimonializzazione ma a bassa redditività, e che andrebbe invece favorito in quanto componente strategica, con oltre 240 prodotti DOP e IGP, della crescita economica del Paese,

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità di adottare le opportune iniziative normative volte ad esentare dal pagamento dell'IMU le abitazioni e i fabbricati rurali e a ripristinare le agevolazioni a favore dei terreni agricoli al fine di non danneggiare ulteriormente un settore già in forte crisi ed essenziale alla ripresa economica nazionale.
9/5109-AR/67.(Testo modificato nel corso della seduta) Fogliato, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
preso atto della volontà del Governo di procedere con il presente provvedimento ad una significativa semplificazione del sistema tributario;
verificato che tale volontà non si è tradotta in concrete semplificazioni, ma, anzi, le misure introdotte sono di rilevanza marginale soprattutto con riferimento al comparto primario;
considerato che la nuova tassazione sugli immobili rurali disposta dal decreto legge 201/2011, convertito con modificazioni, dalla legge 214/2011, si traduce in un ulteriore incremento del peso fiscale a carico degli agricoltori già penalizzate dalla crisi economica che colpisce il settore agricolo in maniera significativa e mette a rischio chiusura molte piccole aziende;
valutate insufficienti le misure introdotte dall'articolo 4 relativamente alla disciplina dell'IMU rurale e in particolare le limitazioni all'applicazione dell'imposta sui terreni agricoli posseduti e condotti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli professionali, commisurate al valore del terreno per la parte che eccede i 6000 euro,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di disporre che la riduzione dell'imposta municipale unica sui terreni posseduti e condotti da coltivatori diretti e da imprenditori agricoli professionali sia modulata tenendo conto sia del valore del terreno, sia del reddito imponibile lordo annuo dell'imprenditore.
9/5109-AR/68.Negro, Caparini, Bragantini, Laura Molteni.

La Camera,
preso atto della volontà del Governo di procedere con il presente provvedimento ad una significativa semplificazione del sistema tributario;
verificato che tale volontà non si è tradotta in concrete semplificazioni, ma, anzi, le misure introdotte sono state di rilevanza assolutamente marginale soprattutto con riferimento al comparto primario;
considerato che l'aumento continuo del prezzo del carburante sta facendo lievitare i già elevati costi di produzione a carico degli imprenditori agricoli, aumento non compensato da una uguale crescita degli utili conseguente alle criticità del mercato quali la volatilità dei prezzi e i fenomeni speculativi;
preso atto che la tassazione sui fabbricati rurali ad uso abitativo e strumentale, e l'incremento della base imponibile per i terreni agricoli, disposte dai recenti provvedimenti, comportano un ulteriore considerevole incremento del peso fiscale a carico degli agricoltori,

impegna il Governo

a non disporre ulteriori aumenti del gasolio per impieghi agricoli e a stabilire la riduzione dell'accisa prevista al fine di minimizzarne l'impatto sui costi di produzione e contribuire ad aumentare la produttività di un comparto che rappresenta un settore di estrema importanza per il nostro Paese leader mondiale di prodotti alimentari di eccellenza e di qualità.
9/5109-AR/69.Callegari, Caparini, Bragantini, Laura Molteni.

La Camera,
preso atto della volontà del Governo di procedere con il presente provvedimento ad una significativa semplificazione del sistema tributario;
verificato che tale volontà non si è tradotta in concrete semplificazioni, ma, anzi, le misure introdotte sono state di rilevanza assolutamente marginale soprattutto con riferimento al comparto primario;
considerato che l'aumento continuo del prezzo del carburante sta facendo lievitare i già elevati costi di produzione a carico degli imprenditori agricoli, aumento non compensato da una uguale crescita degli utili conseguente alle criticità del mercato quali la volatilità dei prezzi e i fenomeni speculativi;
preso atto che la tassazione sui fabbricati rurali ad uso abitativo e strumentale, e l'incremento della base imponibile per i terreni agricoli, disposte dai recenti provvedimenti, comportano un ulteriore considerevole incremento del peso fiscale a carico degli agricoltori,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di non disporre ulteriori aumenti del gasolio per impieghi agricoli e a stabilire la riduzione dell'accisa prevista al fine di minimizzarne l'impatto sui costi di produzione e contribuire ad aumentare la produttività di un comparto che rappresenta un settore di estrema importanza per il nostro Paese leader mondiale di prodotti alimentari di eccellenza e di qualità.
9/5109-AR/69.(Testo modificato nel corso della seduta) Callegari, Caparini, Bragantini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
il pagamento del canone di abbonamento, istituito con il Regio decreto n. 246 del 1938 quando ancora non esisteva la TV, è dovuto per la semplice detenzione di uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle diffusioni televisive, indipendentemente dai programmi ricevuti, a seguito di una sentenza della Corte costituzionale del 2002 che ha riconosciuto la sua natura sostanziale d'imposta per cui la legittimità dell'imposizione è fondata sul presupposto della capacità contributiva e non sulla possibilità dell'utente di usufruire del servizio pubblico radiotelevisivo al cui finanziamento il canone è destinato;
l'emittente pubblica si avvale dei proventi derivanti dal canone, pari a circa 1,6 miliardi di euro l'anno, per coprire i costi derivanti dall'esecuzione degli obblighi ad essa imposti per legge, ai quali va aggiunto un ulteriore miliardo di euro derivante dalla pubblicità, i cui proventi, per legge, assumono il valore di fonte accessoria;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di abolire il canone di abbonamento alla televisione nonché la relativa tassa di concessione governativa definendo una forma alternativa di finanziamento del servizio pubblico radiotelevisivo secondo criteri di equità, efficacia ed appropriatezza oppure, in alternativa, a far si che i proventi derivanti dal versamento del canone siano versati per il 90 per cento alle regioni, in conformità a quanto stabilito dalla legge 5 maggio 2009, n. 42 in materia di federalismo fiscale, e ripartiti tra le emittenti locali in base al regolamento che sarà emanato dal Ministro dello sviluppo economico entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore delle legge di conversione del presente decreto-legge.
9/5109-AR/70.Caparini, Fava, Crosio, Comaroli, Negro, Munerato, Rainieri, Lanzarin, Fugatti, Fedriga, Stucchi, Volpi, Pini, Consiglio, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
i Comuni avevano la possibilità di effettuare le attività di accertamento e riscossione delle entrate mediante affidamento ai soggetti di cui all'articolo 52, comma 5, lettera b) del Decreto Legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, nel rispetto della normativa dell'Unione Europea e delle procedure vigenti in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali;
un emendamento al Decreto Legge 13 maggio 2011, n, 70 (cosiddetto Decreto Sviluppo), ha sostanzialmente stravolto la delicata questione della riscossione delle entrate dei Comuni in quanto ha disposto di esautorare i soggetti affidatari dei servizi di accertamento e riscossione delle entrate dei Comuni dal compiere la riscossione spontanea;
tale disposizione ha generato un corto circuito in quanto l'esclusione dei soggetti affidatari da tali mansioni è stata controbilanciata dall'affidamento delle stesse agli uffici dei Comuni e delle società interamente partecipate che tuttavia non sono dotati delle professionalità e degli strumenti adeguati ad operare nel delicato ambito delle riscossioni;
anche l'attuale Governo ha riconosciuto l'illogicità di una simile disposizione, presentando un emendamento recepito nella legge di conversione al Decreto Legge 201/2011 che comunque eliminava solo in parte le storture;
nella quasi totalità dei contratti in corso la riscossione spontanea rappresenta un passaggio di una serie di attività inserite in un procedimento complesso che ha inizio con l'accertamento dei presupposti d'imposta, prosegue con l'emissione di avvisi ed atti di varia natura e si conclude con la riscossione coattiva dell'entrata;

impegna il Governo

a porre in essere le iniziative finalizzate a risolvere il groviglio normativo, consentendo ai Comuni di riassegnare ai soggetti di cui all'articolo 52, comma 5, lettera b), del Decreto Legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, le mansioni relative ad attività di accertamento e riscossione delle entrate dei Comuni.
9/5109-AR/71.Polledri, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
i Comuni avevano la possibilità di effettuare le attività di accertamento e riscossione delle entrate mediante affidamento ai soggetti di cui all'articolo 52, comma 5, lettera b) del Decreto Legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, nel rispetto della normativa dell'Unione Europea e delle procedure vigenti in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali;
un emendamento al Decreto Legge 13 maggio 2011, n, 70 (cosiddetto Decreto Sviluppo), ha sostanzialmente stravolto la delicata questione della riscossione delle entrate dei Comuni in quanto ha disposto di esautorare i soggetti affidatari dei servizi di accertamento e riscossione delle entrate dei Comuni dal compiere la riscossione spontanea;
tale disposizione ha generato un corto circuito in quanto l'esclusione dei soggetti affidatari da tali mansioni è stata controbilanciata dall'affidamento delle stesse agli uffici dei Comuni e delle società interamente partecipate che tuttavia non sono dotati delle professionalità e degli strumenti adeguati ad operare nel delicato ambito delle riscossioni;
anche l'attuale Governo ha riconosciuto l'illogicità di una simile disposizione, presentando un emendamento recepito nella legge di conversione al Decreto Legge 201/2011 che comunque eliminava solo in parte le storture;
nella quasi totalità dei contratti in corso la riscossione spontanea rappresenta un passaggio di una serie di attività inserite in un procedimento complesso che ha inizio con l'accertamento dei presupposti d'imposta, prosegue con l'emissione di avvisi ed atti di varia natura e si conclude con la riscossione coattiva dell'entrata;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di porre in essere le iniziative finalizzate a risolvere il groviglio normativo, consentendo ai Comuni di riassegnare ai soggetti di cui all'articolo 52, comma 5, lettera b), del Decreto Legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, le mansioni relative ad attività di accertamento e riscossione delle entrate dei Comuni.
9/5109-AR/71.(Testo modificato nel corso della seduta) Polledri, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
la lotta all'evasione è asse portante del processo di attuazione del federalismo fiscale. Un costante impegno di prevenzione e contrasto rivolto a tutte le forme di evasione o di elusione fiscale: dalle frodi internazionali al lavoro irregolare, dalle società di comodo ai paradisi fiscali;
l'impianto sanzionatorio deve essere commisurato all'entità del fenomeno evasivo o elusivo, senza pregiudicare l'attività di chi ha commesso una irregolarità, soprattutto nel caso in cui sia di lieve entità;
i commi da 2 a 2-quinquies dell'articolo 12 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 prevedono che «qualora siano state contestate ai sensi dell'articolo 16 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, nel corso di un quinquennio, quattro distinte violazioni dell'obbligo di emettere la ricevuta fiscale o lo scontrino fiscale compiute in giorni diversi, anche se non sono state irrogate sanzioni accessorie in applicazione delle disposizioni del citato decreto legislativo n. 472 del 1997, è disposta la sospensione della licenza o dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività ovvero dell'esercizio dell'attività medesima per un periodo da tre giorni ad un mese. In deroga all'articolo 19, comma 7, del medesimo decreto legislativo n. 472 del 1997, il provvedimento di sospensione è immediatamente esecutivo. Se l'importo complessivo dei corrispettivi oggetto di contestazione eccede la somma di euro 50.000 la sospensione è disposta per un periodo da un mese a sei mesi». Il comma 2-6/5 prosegue stabilendo che «La sospensione è disposta dalla direzione regionale dell'Agenzia delle entrate competente per territorio in relazione al domicilio fiscale del contribuente. Gli atti di sospensione devono essere notificati, a pena di decadenza, entro sei mesi da quando è stata contestata la quarta violazione»;
i commi 2-ter e 2-quater stabiliscono che l'esecuzione e la verifica dell'effettivo adempimento delle sospensioni è effettuata dall'Agenzia delle entrate ovvero dalla Guardia di finanza, con l'apposizione del sigillo dell'organo procedente;
il comma 1-quinquies include, poi, tra i soggetti nei confronti dei quali può essere disposta la sospensione, anche gli esercenti i posti e apparati pubblici di telecomunicazione e nei confronti dei rivenditori agli utenti finali dei mezzi tecnici di cui all'articolo 74, primo comma, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, ai quali, nel corso di dodici mesi, siano state contestate tre distinte violazioni dell'obbligo di regolarizzazione dell'operazione di acquisto di mezzi tecnici ai sensi del comma 9-ter dell'articolo 6;
in questi casi la sospensione della licenza appare come una sanzione spropositata rispetto alla violazione. Ancor più, e questo costituisce una ulteriore anomalia, quando l'ammontare degli scontrini non emessi è di pochi euro, o, addirittura, in qualche caso, di pochi centesimi di euro;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di una modifica normativa abrogando tali disposizioni sanzionatone previste dal decreto legislativo n. 47 del 1997 i cui effetti sono sproporzionati e draconiani.
9/5109-AR/72.Consiglio, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
l'IVA è un'imposta sui consumi con caratteristiche di un tributo «plurifase» applicato sul valore aggiunto che normalmente grava sul consumatore finale (contribuente di fatto), anche se adempimenti contabili e versamento all'Erario competono e gravano sui consumatori intermedi, titolari di partita IVA (contribuente di diritto). L'imposta viene quindi pagata in tutti i passaggi intermedi nella misura corrispondente all'incremento che il bene o il servizio subisce;
il criterio di applicazione dell'Iva «plurifase» è quello generalmente utilizzato in Italia in armonia alle direttive dell'Unione europea in materia;
nel settore dell'Editoria il pagamento dell'IVA spetta ad un solo soggetto, l'editore, restando valido il fatto che il consumatore finale sarà quello cui l'imposta farà carico;
nel commercio di prodotti editoriali la cessione soggetta ad IVA si realizza tra editore e consumatore finale, mentre i soggetti intermedi non sono né giuridicamente, né fiscalmente parti della compravendita;
l'aliquota ridotta del 4 per cento è prevista per giornali e notiziari quotidiani, dispacci delle agenzie di stampa, libri, periodici (anche in scrittura braille e su supporti audio-magnetici per non vedenti e ipovedenti; sono esclusi i giornali e i periodici pornografici e i cataloghi diversi da quelli di informazione libraria), edizioni musicali a stampa, carte geografiche (compresi i globi stampati), atti e pubblicazioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e carta occorrente per la stampa degli stessi, materiale tipografico e simile attinente alle campagne elettorali se commissionato dai candidati o dalle liste degli stessi o dai partiti o dai movimenti di opinione politica;
in base a quanto previsto dal decreto legislativo 313/1997, ferma restando l'eventuale aliquota ridotta prevista dalla Tabella, il regime speciale è applicabile a condizione che i prodotti ceduti siano classificabili in una delle categorie di prodotti editoriali «stampati» (necessità del supporto cartaceo), abbiano il prezzo di vendita in copertina (o in un allegato contenente anche il titolo dell'opera e l'indicazione dell'editore), siano giornali quotidiani, periodici, libri, relativi supporti integrativi o cataloghi;
con il diffondersi della tecnologia di nuova generazione che permette di poter comprare e leggere libri, anche su supporti diversi da quello cartaceo (tablet, smartphone etc.);

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di uniformare all'aliquota del 4 per cento tutti i libri anche se fissati su supporto diverso da quello cartaceo e distribuiti attraverso piattaforma telematica;
9/5109-AR/73.Stucchi, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
nel tentativo di contrastare le frodi fiscali nell'ambito dei cosiddetti «caroselli», l'articolo 8 comma 1 del decreto in conversione non solo apre varchi enormi a possibili ritorsioni tra aziende concorrenti e pone problemi di costituzionalità;
nella attuale formulazione il comma 1 dell'articolo 8 rischia infatti di diventare uno strumento repressivo talmente discrezionale da poter essere utilizzato come arma per colpire le imprese stesse: ad un qualsiasi soggetto sarebbe infatti sufficiente una denuncia anche anonima nei confronti di un proprio concorrente per impedire a quest'ultimo di dedurre costi di beni o servizi decretandone di fatto la morte aziendale; inoltre, a queste condizioni, anche un non luogo a procedere dovuto ai tempi lunghi della giustizia potrebbe lasciare aperto il vulnus e portare l'azienda al fallimento pur non avendo mai subito alcuna condanna;

impegna il Governo

ad adottare al più presto opportuni provvedimenti per chiarire in maniera esplicita che la indeducibilità dei costi di reato può essere tale solo dopo la disposizione di giudizio, anche se solo di primo grado, e che in qualsiasi altro caso, ivi compreso il non luogo a procedere per qualsivoglia motivo, non possono essere ascritte alle imprese costi indeducibili semplicemente sulla base di ipotesi accusatorie non provate in giudizio.
9/5109-AR/74.Giancarlo Giorgetti, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
nel tentativo di contrastare le frodi fiscali nell'ambito dei cosiddetti «caroselli», l'articolo 8 comma 1 del decreto in conversione non solo apre varchi enormi a possibili ritorsioni tra aziende concorrenti e pone problemi di costituzionalità;
nella attuale formulazione il comma 1 dell'articolo 8 rischia infatti di diventare uno strumento repressivo talmente discrezionale da poter essere utilizzato come arma per colpire le imprese stesse: ad un qualsiasi soggetto sarebbe infatti sufficiente una denuncia anche anonima nei confronti di un proprio concorrente per impedire a quest'ultimo di dedurre costi di beni o servizi decretandone di fatto la morte aziendale; inoltre, a queste condizioni, anche un non luogo a procedere dovuto ai tempi lunghi della giustizia potrebbe lasciare aperto il vulnus e portare l'azienda al fallimento pur non avendo mai subito alcuna condanna;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare provvedimenti per chiarire in maniera esplicita che la indeducibilità dei costi di reato può essere tale solo dopo la disposizione di giudizio, anche se solo di primo grado, e che in qualsiasi altro caso, ivi compreso il non luogo a procedere per qualsivoglia motivo, non possono essere ascritte alle imprese costi indeducibili semplicemente sulla base di ipotesi accusatorie non provate in giudizio.
9/5109-AR/74.(Testo modificato nel corso della seduta) Giancarlo Giorgetti, Caparini, Laura Molteni.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, recante «Disposizioni in materia di federalismo Fiscale municipale» prevede che, in alternativa facoltativa rispetto al regime ordinario vigente per la tassazione del reddito fondiario ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, il proprietario o il titolare di diritto reale di godimento di unità immobiliari abitative locate ad uso abitativo possa optare per il regime della cedolare secca;
il comma 2, dello stesso articolo, in esplicazione del regime applicabile, disciplina che, a decorrere dall'anno 2011, il canone di locazione relativo ai contratti aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e le relative pertinenze locate congiuntamente all'abitazione, può essere assoggettato, in base alla decisione del locatore, ad un'imposta, operata nella forma della cedolare secca in ragione di un'aliquota del 21 per cento, sostitutiva dell'IRPEF e delle relative addizionali, delle imposte di registro e di bollo sul contratto di locazione, nonché delle imposte di registro e di bollo sulla risoluzione e sulle proroghe del contratto di locazione;
l'articolo 4, comma 5, lettera b), del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, recante «Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento» si limita a modificare la nuova disciplina relativa all'IMU, di cui all'articolo 13, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nel senso della sola riduzione del 50 per cento della base imponibile per i fabbricati di interesse storico o artistico, di cui all'articolo 10, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;
l'articolo 4, comma 5-quater dello stesso decreto, prevede altresì l'abrogazione del comma 2, dell'articolo 11, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, secondo cui il reddito degli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico era determinato mediante l'applicazione della minore tra le tariffe d'estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale era situato l'immobile, a prescindere dall'eventuale locazione dello stesso;
mentre nella disciplina in vigore fino al 2011, gli immobili storico-artistici godevano di importanti agevolazioni sia ai fini IRPEF, sia ai fini ICI, in quanto si applicava loro la normativa sopra esposta, il regime Irpef predisposto per il 2012 non sembra neppure essere in perfetta sintonia con l'articolo 4, comma 1, della legge 27 luglio 2012, n. 212, recante «Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente», secondo cui non sarebbe possibile l'utilizzo dei decreto-legge né ai fini dell'istituzione di nuovi tributi, né per l'applicazione di tributi esistenti ad altre categorie di soggetti;
in deroga alla regola generale, il comma 2, dell'articolo 3, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, prevede che per i contratti stipulati secondo le disposizioni di cui agli articoli 2, comma 3 e 8, della legge 9 dicembre 1998, n, 431, relativi ad abitazioni ubicate nei comuni di cui all'articolo 1, comma 1, lettere a) e b), del decreto-legge 30 dicembre 1998, n. 551, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 1989, n. 61, interessati da un'eccezionale carenza di disponibilità abitative, e negli altri comuni ad alta tensione abitativa individuati dal CIPE, l'aliquota della cedolare secca calcolata sul canone pattuito dalle parti è ridotta al 19 per cento;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di introdurre l'applicazione di un'aliquota agevolata della cedolare secca calcolata sul canone pattuito dalle parti anche per gli immobili classificati di interesse storico-artistico, la cui manutenzione, per effetto dei vincoli previsti per i fabbricati dello stesso tipo destinati ad usi culturali di cui all'articolo 5-bis, del Decreto del Presidente della Repubblica, n. 601, del 1973, risulta essere particolarmente onerosa, estendendo l'opzione della cedolare secca anche a coloro che abbiano già effettuato la regolare registrazione del contratto degli immobili concessi in locazione.
9/5109-AR/75.Zeller, Brugger.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 2, comma 1, lettera b), del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, recante disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento, disciplina la fruizione di benefici di natura fiscale o l'accesso a regimi fiscali opzionali, subordinati all'obbligo di preventiva comunicazione ovvero ad altri adempimenti di natura formale, sempre che la violazione non sia già stata contestata e non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento;
la norma citata prevede che la mancata tempestiva effettuazione di adempimenti formali, come la preventiva comunicazione quando richiesta, non preclude necessariamente la fruizione di benefici fiscali o l'accesso a regimi opzionali laddove il contribuente:
1) abbia i requisiti sostanziali richiesti dalle norme di riferimento;
2) effettui la comunicazione ovvero esegua l'adempimento richiesto entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile;
3) versi contestualmente l'importo pari alla misura minima della sanzione stabilita dall'articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, pari a 258 euro, secondo le modalità stabilite dall'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni, esclusa la compensazione ivi prevista;
non è chiaro se, in riferimento all'adempimento formalmente richiesto, con la locuzione «entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile», si intenda il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi dell'anno in corso o, eventualmente, altra dichiarazione diversa da quella dei redditi il cui termine di scadenza è previsto successivamente all'avvenuta violazione;
la norma in esame, di carattere generale, si applica alle diverse ipotesi previste nel sistema tributario che consentono l'accesso ad alcuni regimi fiscali speciali o la fruizione di particolari benefici tributari, previa presentazione di specifica comunicazione oppure a seguito di un adempimento meramente formale;
nel caso, ad esempio, dell'agevolazione fiscale per interventi di razionalizzazione energetica sugli edifici con detrazione Irpef o Ires pari al 55 per cento, posto che l'adempimento amministrativo, concernente l'obbligo di comunicazione all'ENEA, è successivo al termine dei lavori e che il pagamento degli stessi risulta quindi inserito all'interno della dichiarazione dei redditi del relativo anno di effettuazione, qualora la disposizione in questione intenda riferirsi alla prima dichiarazione dei redditi, sarebbe di fatto impossibile sanare gli eventuali inadempimenti formali;

impegna il Governo

al fine di consentire l'avvalimento delle agevolazioni fiscali previste dal nostro sistema tributario, a chiarire il significato della disposizione e, in particolare, dell'inciso in esame, anche allo scopo di escludere che il termine di presentazione della prima dichiarazione utile sia da considerarsi unicamente con riferimento alla dichiarazione dei redditi dell'anno in corso, consentendo la sanatoria anche in caso di dichiarazioni dei redditi già presentate.
9/5109-AR/76.Nicco, Brugger, Zeller.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 2, comma 1, lettera b), del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, recante disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento, disciplina la fruizione di benefici di natura fiscale o l'accesso a regimi fiscali opzionali, subordinati all'obbligo di preventiva comunicazione ovvero ad altri adempimenti di natura formale, sempre che la violazione non sia già stata contestata e non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento;
la norma citata prevede che la mancata tempestiva effettuazione di adempimenti formali, come la preventiva comunicazione quando richiesta, non preclude necessariamente la fruizione di benefici fiscali o l'accesso a regimi opzionali laddove il contribuente:
1) abbia i requisiti sostanziali richiesti dalle norme di riferimento;
2) effettui la comunicazione ovvero esegua l'adempimento richiesto entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile;
3) versi contestualmente l'importo pari alla misura minima della sanzione stabilita dall'articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, pari a 258 euro, secondo le modalità stabilite dall'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni, esclusa la compensazione ivi prevista;
non è chiaro se, in riferimento all'adempimento formalmente richiesto, con la locuzione «entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile», si intenda il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi dell'anno in corso o, eventualmente, altra dichiarazione diversa da quella dei redditi il cui termine di scadenza è previsto successivamente all'avvenuta violazione;
la norma in esame, di carattere generale, si applica alle diverse ipotesi previste nel sistema tributario che consentono l'accesso ad alcuni regimi fiscali speciali o la fruizione di particolari benefici tributari, previa presentazione di specifica comunicazione oppure a seguito di un adempimento meramente formale;
nel caso, ad esempio, dell'agevolazione fiscale per interventi di razionalizzazione energetica sugli edifici con detrazione Irpef o Ires pari al 55 per cento, posto che l'adempimento amministrativo, concernente l'obbligo di comunicazione all'ENEA, è successivo al termine dei lavori e che il pagamento degli stessi risulta quindi inserito all'interno della dichiarazione dei redditi del relativo anno di effettuazione, qualora la disposizione in questione intenda riferirsi alla prima dichiarazione dei redditi, sarebbe di fatto impossibile sanare gli eventuali inadempimenti formali;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità al fine di consentire l'avvalimento delle agevolazioni fiscali previste dal nostro sistema tributario, di chiarire il significato della disposizione e, in particolare, dell'inciso in esame, anche allo scopo di escludere che il termine di presentazione della prima dichiarazione utile sia da considerarsi unicamente con riferimento alla dichiarazione dei redditi dell'anno in corso, consentendo la sanatoria anche in caso di dichiarazioni dei redditi già presentate.
9/5109-AR/76.(Testo modificato nel corso della seduta) Nicco, Brugger, Zeller.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento al nostro esame con il comma 5-bis dell'articolo 4, affida a un decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, la possibilità di individuare i comuni nei quali si applica l'esenzione da imposta per i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina di cui all'articolo 7, comma 1, lettera h) del decreto legislativo n. 502 del 1992, sulla base dell'altitudine riportata nell'elenco dei comuni italiani predisposto dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) nonché eventualmente anche sulla base della redditività dei terreni;
questa nuova disposizione comporterebbe l'imminente pericolo che i terreni agricoli nei territori montani vengano riqualificati e parti delle zone oggi montane ed esenti dall'IMU vengano qualificati come non montane;
si ricorda che il comma 8 dell'articolo 9 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n 23 riguardante l'Applicazione dell'imposta municipale propria, riporta esplicitamente il riferimento alle esenzioni che erano valide per l'Ici e che si applicheranno anche all'Imu, infatti l'ultimo periodo del comma 8 recita «Si applicano, inoltre, le esenzioni previste dall'articolo 1, comma 1, lettere b), c), d), e), f), h), ed i) del citato decreto legislativo n 504 del 1992»,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disposizione in premessa, al fine di valutare l'opportunità di sopprimere, con un prossimo provvedimento, questa pericolosa disposizione che introduce una norma in netto contrasto con quanto già stabilito per l'applicazione dell'imposta municipale propria.
9/5109-AR/77.Brugger, Zeller, Nicco.

La Camera,
premesso che:
il decreto legislativo relativo al federalismo fiscale municipale stabiliva che l'aliquota dell'Imu, prevista in via generale nella misura del 7,6 per mille, fosse ridotta alla metà (3,8 per mille) per gli immobili locati;
viceversa, con la disciplina dell'Imu sperimentale è stata demandata ai Comuni la scelta se stabilite o no una aliquota differenziata per tali immobili, con possibilità di scendete fino al 4 per mille;
la possibilità, per i Comuni, di ridurre l'aliquota per gli immobili locati è da considerarsi puramente teorica, a causa della norma che prevede l'attribuzione allo Stato della metà, comunque, del gettito determinato dall'applicazione dell'aliquota generale;
i Comuni, in generale, stanno in effetti stabilendo aliquote sopra l'ordinaria;
in alcuni Comuni, addirittura, è stato stabilito che si applicherà l'aliquota del 10,6 per mille per tutti gli immobili locati; ciò che determinerà aumenti di imposizione che in alcuni casi arriveranno all'800 per cento;
al fine di promuovere l'accesso all'abitazione ed evitare risvolti anche drammatici nel settore delle locazioni;

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative per fare in modo che la riduzione al 4 per mille dell'aliquota base del 7,6 per mille non costituisca una mera facoltà concessa ai Comuni ma sia trasformata - per lo meno in caso di contratti «concordati», a canone calmierato - in una previsione di legge.
9/5109-AR/78.Tommaso Foti, Gibiino.

La Camera,
premesso che:
il decreto legislativo relativo al federalismo fiscale municipale stabiliva che l'aliquota dell'Imu, prevista in via generale nella misura del 7,6 per mille, fosse ridotta alla metà (3,8 per mille) per gli immobili locati;
viceversa, con la disciplina dell'Imu sperimentale è stata demandata ai Comuni la scelta se stabilite o no una aliquota differenziata per tali immobili, con possibilità di scendete fino al 4 per mille;
la possibilità, per i Comuni, di ridurre l'aliquota per gli immobili locati è da considerarsi puramente teorica, a causa della norma che prevede l'attribuzione allo Stato della metà, comunque, del gettito determinato dall'applicazione dell'aliquota generale;
i Comuni, in generale, stanno in effetti stabilendo aliquote sopra l'ordinaria;
in alcuni Comuni, addirittura, è stato stabilito che si applicherà l'aliquota del 10,6 per mille per tutti gli immobili locati; ciò che determinerà aumenti di imposizione che in alcuni casi arriveranno all'800 per cento;
al fine di promuovere l'accesso all'abitazione ed evitare risvolti anche drammatici nel settore delle locazioni;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare iniziative per fare in modo che la riduzione al 4 per mille dell'aliquota base del 7,6 per mille non costituisca una mera facoltà concessa ai Comuni ma sia trasformata - per lo meno in caso di contratti «concordati», a canone calmierato - in una previsione di legge.
9/5109-AR/78.(Testo modificato nel corso della seduta) Tommaso Foti, Gibiino.

La Camera,
premesso che:
il decreto legge, all'articolo 12, comma 8, in materia di acquisto del termovalorizzatore di Acerra da parte della regione Campania, riproduce in maniera pressoché testuale il contenuto del comma 4 dell'articolo 1 del decreto legge n. 2 del 2012, soppresso nel corso dell'esame in sede parlamentare;
tale circostanza integra, secondo la giurisprudenza del Comitato per la legislazione, una violazione del limite posto dall'articolo 15, comma 2, lettera c) della legge n. 400 del 1988, secondo cui il Governo non può, mediante decreto-legge, «rinnovare le disposizioni di decreti-legge dei quali sia stata negata la conversione in legge con il voto di una delle due Camere», dovendosi intendere il suddetto limite di contenuto come riferito alla reiterazione non solo dell'intero decreto legge non convertito, ma anche di singole disposizioni del medesimo (sul punto, si veda la sentenza n. 360 del 1996 della Corte costituzionale);
la disposizione contenuta all'articolo 12, comma 8, inoltre, non appare riconducibile agli ambiti materiali sui quali incide il decreto legge (la materia fiscale e l'amministrazione tributaria) ed è altresì estranea ai contenuti dell'articolo 12, rubricato «Contenzioso in materia tributaria e riscossione»;
le prescrizioni contenute nell'articolo 15, comma 3, della legge n 400 del 1988, nell'intento di razionalizzare l'esercizio della potestà normativa del Governo, stabiliscono - in ragione delle peculiarità dello strumento - che il contenuto dei decreti-legge deve essere specifico e omogeneo, nonché rispondente al titolo;
la ratio della citata norma, oltre che ribadire quella sottesa all'articolo 77 della Costituzione, mira ad evitare che nei decreti-legge possano confluire interventi che non siano intrinsecamente correlati alle ragioni di straordinaria necessita ed urgenza che giustificano l'esercizio del potere di decretazione d urgenza nelle fattispecie concrete: la Corte Costituzionale ha infatti individuato tra gli indici alla stregua dei quali verificare «se risulti evidente o meno la carenza del requisito della straordinarietà del caso di necessità e di urgenza di provvedere», la «evidente estraneità» della norma rispetto alla materia disciplinata da altre disposizioni del decreto-legge in cui è inserita (sul punto, si vedano le sentenze n. 171 del 2007 e n. 128 del 2008);

impegna il Governo

ad esercitare il potere di decretazione d'urgenza nel rispetto delle disposizioni recate dall'articolo 15 della legge n. 400 del 1988.
9/5109-AR/79.Lo Moro.

La Camera,
premesso che:
il decreto legge, all'articolo 12, comma 8, in materia di acquisto del termovalorizzatore di Acerra da parte della regione Campania, riproduce in maniera pressoché testuale il contenuto del comma 4 dell'articolo 1 del decreto legge n. 2 del 2012, soppresso nel corso dell'esame in sede parlamentare;
tale circostanza integra, secondo la giurisprudenza del Comitato per la legislazione, una violazione del limite posto dall'articolo 15, comma 2, lettera c) della legge n. 400 del 1988, secondo cui il Governo non può, mediante decreto-legge, «rinnovare le disposizioni di decreti-legge dei quali sia stata negata la conversione in legge con il voto di una delle due Camere», dovendosi intendere il suddetto limite di contenuto come riferito alla reiterazione non solo dell'intero decreto legge non convertito, ma anche di singole disposizioni del medesimo (sul punto, si veda la sentenza n. 360 del 1996 della Corte costituzionale);
la disposizione contenuta all'articolo 12, comma 8, inoltre, non appare riconducibile agli ambiti materiali sui quali incide il decreto legge (la materia fiscale e l'amministrazione tributaria) ed è altresì estranea ai contenuti dell'articolo 12, rubricato «Contenzioso in materia tributaria e riscossione»;
le prescrizioni contenute nell'articolo 15, comma 3, della legge n 400 del 1988, nell'intento di razionalizzare l'esercizio della potestà normativa del Governo, stabiliscono - in ragione delle peculiarità dello strumento - che il contenuto dei decreti-legge deve essere specifico e omogeneo, nonché rispondente al titolo;
la ratio della citata norma, oltre che ribadire quella sottesa all'articolo 77 della Costituzione, mira ad evitare che nei decreti-legge possano confluire interventi che non siano intrinsecamente correlati alle ragioni di straordinaria necessita ed urgenza che giustificano l'esercizio del potere di decretazione d urgenza nelle fattispecie concrete: la Corte Costituzionale ha infatti individuato tra gli indici alla stregua dei quali verificare «se risulti evidente o meno la carenza del requisito della straordinarietà del caso di necessità e di urgenza di provvedere», la «evidente estraneità» della norma rispetto alla materia disciplinata da altre disposizioni del decreto-legge in cui è inserita (sul punto, si vedano le sentenze n. 171 del 2007 e n. 128 del 2008);

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di esercitare il potere di decretazione d'urgenza nel rispetto delle disposizioni recate dall'articolo 15 della legge n. 400 del 1988.
9/5109-AR/79.(Testo modificato nel corso della seduta) Lo Moro.

La Camera,
premesso che:
il contenimento del diffuso fenomeno dell'erosione fiscale rientra tra le misure che possono ulteriormente contribuire ad una semplificazione fiscale;
in particolare esistono numerose agevolazioni ed esenzioni fiscali che attengono alle accise sui combustibili fossili che oltre a nuocere alle casse dello Stato incidono pesantemente anche sull'ambiente;
tale fenomeno era stato oggetto di un approfondito studio ed analisi da parte di un gruppo di lavoro, costituito dal Ministero dell'economia e delle finanze prof. Giulio Tremonti, che aveva individuato tutte le agevolazioni ed esenzioni che attengono alle accise sui combustibili fossili e dal quale si ricava come queste incidano per oltre 3,5 miliardi di euro, violando i principi del libero mercato e contribuendo a sostenere settori che inquinano;

si impegna il Governo:

a rivedere, per abolire, le agevolazioni sulle accise a partire da quelle sui combustibili fossili a panare dal lavoro compiuto dal gruppo di lavoro sui fenomeno dell'erosione fiscale.
9/5109-AR/80.Zamparutti, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Maurizio Turco.

La Camera,
premesso che:
il contenimento del diffuso fenomeno dell'erosione fiscale rientra tra le misure che possono ulteriormente contribuire ad una semplificazione fiscale;
in particolare esistono numerose agevolazioni ed esenzioni fiscali che attengono alle accise sui combustibili fossili che oltre a nuocere alle casse dello Stato incidono pesantemente anche sull'ambiente;
tale fenomeno era stato oggetto di un approfondito studio ed analisi da parte di un gruppo di lavoro, costituito dal Ministero dell'economia e delle finanze prof. Giulio Tremonti, che aveva individuato tutte le agevolazioni ed esenzioni che attengono alle accise sui combustibili fossili e dal quale si ricava come queste incidano per oltre 3,5 miliardi di euro, violando i principi del libero mercato e contribuendo a sostenere settori che inquinano;

si impegna il Governo:

a valutare l'opportunità di rivedere, per abolire, le agevolazioni sulle accise a partire da quelle sui combustibili fossili a panare dal lavoro compiuto dal gruppo di lavoro sui fenomeno dell'erosione fiscale.
9/5109-AR/80.(Testo modificato nel corso della seduta) Zamparutti, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Mecacci, Maurizio Turco.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame, nell'introdurre misure dirette alla semplificazione dei rapporti tra i contribuenti e l'amministrazione finanziaria, è anche finalizzato a migliorare l'efficacia e la qualità del prelievo fiscale, rendendo più efficienti le procedure di accertamento e di riscossione dei tributi, in modo da assicurare maggiori introiti fiscali in favore del bilancio dello Stato;
i recenti aumenti di IVA in particolare, stante il meccanismo moltiplicativo che caratterizza il settore dei tabacchi, hanno causato una crescita dei prezzi delle sigarette pari a circa il 5 per cento, esponendo il settore al rischio di fenomeni quali il contrabbando e la contraffazione, con effetti distorsivi sul mercato legale e di elusione del gettito fiscale;

impegna il Governo

a considerare una rimodulazione dei vari elementi che compongono la tassazione del settore, al fine di evitare effetti distorsivi del mercato con conseguenti ricadute negative sul gettito fiscale.
9/5109-AR/81.Bergamini, Fava.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame, nell'introdurre misure dirette alla semplificazione dei rapporti tra i contribuenti e l'amministrazione finanziaria, è anche finalizzato a migliorare l'efficacia e la qualità del prelievo fiscale, rendendo più efficienti le procedure di accertamento e di riscossione dei tributi, in modo da assicurare maggiori introiti fiscali in favore del bilancio dello Stato;
i recenti aumenti di IVA in particolare, stante il meccanismo moltiplicativo che caratterizza il settore dei tabacchi, hanno causato una crescita dei prezzi delle sigarette pari a circa il 5 per cento, esponendo il settore al rischio di fenomeni quali il contrabbando e la contraffazione, con effetti distorsivi sul mercato legale e di elusione del gettito fiscale;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di considerare una rimodulazione dei vari elementi che compongono la tassazione del settore, al fine di evitare effetti distorsivi del mercato con conseguenti ricadute negative sul gettito fiscale.
9/5109-AR/81.(Testo modificato nel corso della seduta) Bergamini, Fava.

La Camera,
premesso che:
le nuove disposizioni in tema di IMU hanno differito i termini entro cui i Comuni devono provvedere a determinare le aliquote e detrazioni in eventuale variazione di quelle previste come base di riferimento dalle disposizioni di legge che regolano tale tributo;
in forza dell'anticipazione dell'entrata in vigore dell'IMU disposta dal decreto-legge 201/2011 e successiva conversione in legge, molti Comuni hanno già esercitato tale facoltà, con deliberazioni del competente organo consiliare che sono state poste anche a base delle previsioni di entrate tributarie in sede di bilancio previsionale per l'esercizio 2012;
il predetto differimento, evidentemente, non incide sulle situazioni giuridiche già regolate in data antecedente l'entrata in vigore delle disposizioni dilatorie;
tuttavia, l'entrata in vigore delle nuove disposizioni di legge in tema di IMU potrebbe determinare equivoci interpretativi in ordine al regime giuridico specificamente applicabile;
in tale deprecata ipotesi ne risentirebbe il necessario quadro di chiarezza entro cui dovranno svolgersi i previsti adempimenti a carico dei contribuenti, con effetti deleteri anche sulle previste entrate tributarie in favore dei Comuni interessati;
è imminente il versamento della prima rata di acconto (giugno 2012), per la quale si rende opportuno evitare qualsivoglia equivoco sulla corretta applicazione del regime tributario di specie;
il nuovo regime temporale di variazione delle aliquote e determinazione delle detrazioni di spettanza dei Comuni non esplica effetti per i Comuni che vi abbiano già provveduto, dovendo il contribuente fare doveroso ed esclusivo riferimento ai relativi atti comunali sia in sede di versamento delle rate di acconto che di saldo finale;
si rende opportuno ribadire tali principi mediante apposite istruzioni chiarificatrici da parte dei competenti organi del MEF, nell'interesse dei cittadini contribuenti e dei Comuni interessati;

impegna il Governo

a impartire, mediante atti di chiarificazione e d'indirizzo applicativo a cura dei competenti organi ministeriali, le Istruzioni utili alle finalità di cui in premessa.
9/5109-AR/82.Graziano, Bonavitacola, Iannuzzi, Cuomo.

La Camera,
premesso che:
le nuove disposizioni in tema di IMU hanno differito i termini entro cui i Comuni devono provvedere a determinare le aliquote e detrazioni in eventuale variazione di quelle previste come base di riferimento dalle disposizioni di legge che regolano tale tributo;
in forza dell'anticipazione dell'entrata in vigore dell'IMU disposta dal decreto-legge 201/2011 e successiva conversione in legge, molti Comuni hanno già esercitato tale facoltà, con deliberazioni del competente organo consiliare che sono state poste anche a base delle previsioni di entrate tributarie in sede di bilancio previsionale per l'esercizio 2012;
il predetto differimento, evidentemente, non incide sulle situazioni giuridiche già regolate in data antecedente l'entrata in vigore delle disposizioni dilatorie;
tuttavia, l'entrata in vigore delle nuove disposizioni di legge in tema di IMU potrebbe determinare equivoci interpretativi in ordine al regime giuridico specificamente applicabile;
in tale deprecata ipotesi ne risentirebbe il necessario quadro di chiarezza entro cui dovranno svolgersi i previsti adempimenti a carico dei contribuenti, con effetti deleteri anche sulle previste entrate tributarie in favore dei Comuni interessati;
è imminente il versamento della prima rata di acconto (giugno 2012), per la quale si rende opportuno evitare qualsivoglia equivoco sulla corretta applicazione del regime tributario di specie;
il nuovo regime temporale di variazione delle aliquote e determinazione delle detrazioni di spettanza dei Comuni non esplica effetti per i Comuni che vi abbiano già provveduto, dovendo il contribuente fare doveroso ed esclusivo riferimento ai relativi atti comunali sia in sede di versamento delle rate di acconto che di saldo finale;
si rende opportuno ribadire tali principi mediante apposite istruzioni chiarificatrici da parte dei competenti organi del MEF, nell'interesse dei cittadini contribuenti e dei Comuni interessati;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di impartire, mediante atti di chiarificazione e d'indirizzo applicativo a cura dei competenti organi ministeriali, le Istruzioni utili alle finalità di cui in premessa.
9/5109-AR/82.(Testo modificato nel corso della seduta) Graziano, Bonavitacola, Iannuzzi, Cuomo.

La Camera,
premesso che:
la trasformazione delle banche pubbliche in società per azioni, sancita nel 1993 con l'adozione del Testo Unico in materia bancaria e creditizia, ha segnato l'inizio di un percorso di orientamento verso la massimizzazione del profitto per sopravvivere in un mercato del credito a tassi crescenti di saturazione;
a fronte di una legittima ricerca dell'utile da parte delle banche, il cittadino, rivoltosi a queste in un periodo di profonda crisi dell'economia reale per chiedere prestiti e/o mutui, ha riscontrato una reale e crescente difficoltà di accesso al credito;
questa rigidità di sistema ha portato inevitabilmente all'aumento del ricorso all'usura, di conseguenza alla crescita di una cultura dell'illegalità legittimata dalla necessità contingente;
il rapporto tra banche e cittadini sembra non essere in equilibrio, anche alla luce di meccanismi operativi, come le segnalazioni presso la Centrale dei Rischi, che pur rispondendo alla necessità per le banche di abbattere i rischi connessi al prestito di denaro, finiscono per inibire qualsiasi attività della persona e con essa la possibilità di risanamento della propria condizione economica;
la tutela degli investimenti è necessaria - purché non si inneschino distorsioni ed inefficienze -, e deve essere perseguita nella consapevolezza che solo attraverso il confronto e la mediazione è possibile soddisfare una molteplicità di;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di aprire un tavolo tecnico di confronto al quale prendano parte il governo, i dirigenti della Banca d'Italia e quelli dell'Associazione Bancaria italiana, assieme ai rappresentanti di associazioni rappresentative delle problematiche dei cittadini nei rapporti con gli istituti creditizi, per valutare le criticità messe in luce in premessa.
9/5109-AR/83.Barbaro.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame reca disposizioni in materia di semplificazioni tributarie anche ai fini di un efficientamento degli adempimenti e delle comunicazioni formali tra contribuenti e pubbliche amministrazioni;
sul versante assistenziale e previdenziale, l'erogazione di indennità è subordinata alla corretta e completa acquisizione e registrazione, da parte delle pubbliche amministrazioni e degli enti deputati, come l'Inps, della documentazione e degli eventuali versamenti previdenziali effettuati dai contribuenti;
la mancata acquisizione da parte dell'amministrazione, per varie ragioni, della documentazione e dei versamenti citati potrebbe compromettere l'erogazione delle indennità e dei sussidi da parte dell'utente, introducendo farraginosità nelle dinamiche di accesso dei cittadini alla funzione delle prestazioni e dei benefici ad essi destinati, ledendo fondamentalmente un loro diritto;
un caso assai frequente interessa l'acquisizione dei contributi previdenziali e assistenziali e le conseguenti impasse nell'erogazione di assegni ed indennità di varia natura, tra le quali quelle relative a prestazioni a sostegno del reddito;

impegna il Governo

a consentire, nell'ambito delle proprie competenze, la definizione di tempistiche certe e congruenti per l'acquisizione e registrazione, in piena trasparenza, efficienza e correttezza, della documentazione e dei contributi evidenziati in premessa anche al fine di garantire ai cittadini la possibilità di fruire delle prestazioni, nel rispetto e nella tutela dei loro diritti.
9/5109-AR/84.Scanderebech, Di Biagio.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame reca disposizioni in materia di semplificazioni tributarie anche ai fini di un efficientamento degli adempimenti e delle comunicazioni formali tra contribuenti e pubbliche amministrazioni;
sul versante assistenziale e previdenziale, l'erogazione di indennità è subordinata alla corretta e completa acquisizione e registrazione, da parte delle pubbliche amministrazioni e degli enti deputati, come l'Inps, della documentazione e degli eventuali versamenti previdenziali effettuati dai contribuenti;
la mancata acquisizione da parte dell'amministrazione, per varie ragioni, della documentazione e dei versamenti citati potrebbe compromettere l'erogazione delle indennità e dei sussidi da parte dell'utente, introducendo farraginosità nelle dinamiche di accesso dei cittadini alla funzione delle prestazioni e dei benefici ad essi destinati, ledendo fondamentalmente un loro diritto;
un caso assai frequente interessa l'acquisizione dei contributi previdenziali e assistenziali e le conseguenti impasse nell'erogazione di assegni ed indennità di varia natura, tra le quali quelle relative a prestazioni a sostegno del reddito;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di consentire, nell'ambito delle proprie competenze, la definizione di tempistiche certe e congruenti per l'acquisizione e registrazione, in piena trasparenza, efficienza e correttezza, della documentazione e dei contributi evidenziati in premessa anche al fine di garantire ai cittadini la possibilità di fruire delle prestazioni, nel rispetto e nella tutela dei loro diritti.
9/5109-AR/84.(Testo modificato nel corso della seduta) Scanderebech, Di Biagio.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame reca una serie di disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento;
durante l'esame del provvedimento al Senato, sono state introdotte, all'articolo 4, alcune modifiche e integrazioni alla disciplina dell'IMU di cui all'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 volte, principalmente, a garantire una maggiore equità sociale nella sua applicazione;
in particolare - recependo un emendamento del Relatore presentato in commissione Finanze - è stata introdotta la possibilità per i comuni di considerare gli immobili posseduti da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari nonché da cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato adibiti ad abitazione principale -;
nonostante lo sforzo compiuto per individuare una soluzione positiva alla questione, appare opportuno adottare, in futuro, misure di equità e di protezione sociale più certe e stringenti in grado di assicurare un trattamento equo ed uniforme sull'intero territorio nazionale nonché di includere, altresì, le unità immobiliari possedute a titolo di proprietà o di usufrutto dal personale in servizio permanente appartenente alle Forze armate e alle Forze di polizia ad ordinamento militare, nonché da quello dipendente delle Forze di polizia ad ordinamento civile, acquistate ai sensi dell'articolo 66 della legge 21 novembre 2000, n. 342, a condizione che le stesse non siano locate

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare - già a partire dai prossimi provvedimenti e compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili - disposizioni volte ad introdurre una revisione complessiva della disciplina IMU per le unità immobiliari di cui in premessa volta a garantire l'applicazione dell'aliquota agevolata prevista per l'abitazione principale anche alle categorie di soggetti indicati in premessa.
9/5109-AR/85.Paglia, Di Biagio.

La Camera,
premesso che:
il decreto in esame prevede all'articolo 3-bis che nella produzione combinata di energia elettrica e calore ai combustibili impiegati si applichino le aliquote previste per la produzione di energia elettrica, rideterminate con decreto del Ministero dello sviluppo economico secondo coefficienti relativi all'efficienza media del parco cogenerativo nazionale, alle tipologie di impianto e alla normativa europea in materia di alto rendimento;
risponde all'interesse pubblico promuovere e incentivare fiscalmente la diffusione di impianti di cogenerazione ad alto rendimento, che assicurino la massima efficienza nell'utilizzo delle risorse energetiche;

impegna il Governo

a considerare l'opportunità di prevedere nel suddetto decreto che nelle unità ai cogenerazione ad alto rendimento, come definite dall'articolo 2, comma 1, lettera o) del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, si applichi l'aliquota di cui alla Tabella A per la produzione di energia elettrica.
9/5109-AR/86.Giorgio Conte, Di Biagio.

La Camera,
premesso che:
la proposta per una revisione dell'attuale disciplina del privilegio in materia di accise, nasce dalla esigenza di eliminare delle situazioni riscontrabili nella normativa vigente, che penalizzano ingiustificatamente i rivenditori all'ingrosso dei prodotti petroliferi;
l'attuale status di tali operatori è infatti una sorta di «ibrido» che, da un lato, li parifica alle compagnie petrolifere e, di conseguenza, li sottopone ad una serie di controlli stringenti da parte dell'amministrazione finanziaria e di obblighi in materia di tenuta di contabilità, senza riconoscere loro, dall'altro lato, i medesimo benefici, tra cui il riconoscimento del privilegio in materia di accisa;
la disciplina fiscale che attualmente interessa il settore è contenuta nel decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504. Il privilegio è riconosciuto esclusivamente a favore dei soggetti che materialmente assolvono il tributo (accise) al momento dell'immissione del prodotto (Compagnie Petrolifere);
analogo privilegio non è invece riconosciuto ai rivenditori dei prodotti petroliferi, i quali, pur essendo i soggetti nei confronti dei quali si perfeziona l'immissione in consumo, non possono certamente essere considerati consumatori finali. In altre parole al Rivenditore (esercente di deposito commerciale), pur trattandosi di soggetto che, al pari delle compagnie petrolifere, consente all'erario di attuare il meccanismo impositivo delle accise, essendo uno degli anelli della filiera di commercializzazione, non è riconosciuta alcuna tutela differenziata. Emerge quindi una situazione di ingiustificata discriminazione a danno dei rivenditori dei prodotti energetici che espongono il sistema ad una evidente censurabilità, almeno sotto due profili;
a) in primo luogo, l'attuale quadro normativo crea una disparità di trattamento che si pone in parte violazione dell'articolo 3 Cost., violando il generale principio di pari trattamento a fronte di situazione meritevole di analoga tutela;
b) in secondo luogo, e sotto altro profilo, il meccanismo attuale comporta inoltre una violazione delle regole della concorrenza in contrasto con gli indirizzi di politica legislativa forniti dall'Unione Europea.

l'introduzione di tale privilegio a favore degli operatori commerciali condurrebbe alla eliminazione delle discriminazioni richiamate e eviterebbe di creare una situazione di concorrenza falsata a favore delle società petrolifere. D'altra parte, si sottolinea che una simile previsione non creerebbe alcun aggravio a carico dell'erario statale essendo totalmente neutro per il bilancio dello Stato. Inoltre, attribuendo a questo privilegio un grado di secondo livello, 1 crediti dello Stato nelle procedure concorsuali avrebbero in ogni caso la priorità per il loro soddisfacimento,

impegna il Governo

ad adottare gli opportuni provvedimenti legislativi e/o d'interpretazione autentica al fine di assicurare che il privilegio di cui all'articolo 16, comma 3 del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 sia applicato altresì ai crediti vantati verso i cessionari dei prodotti dai titolari di licenza per l'esercizio di depositi commerciali di prodotti energetici ad imposta assolta, relativamente all'importo dell'accisa corrispondente ai prodotti ceduti, sempre che tale importo risulti separatamente evidenziato nella fattura relativa alla cessione del prodotto.
9/5109-AR/87.Menia, Di Biagio.

La Camera,
premesso che:
la proposta per una revisione dell'attuale disciplina del privilegio in materia di accise, nasce dalla esigenza di eliminare delle situazioni riscontrabili nella normativa vigente, che penalizzano ingiustificatamente i rivenditori all'ingrosso dei prodotti petroliferi;
l'attuale status di tali operatori è infatti una sorta di «ibrido» che, da un lato, li parifica alle compagnie petrolifere e, di conseguenza, li sottopone ad una serie di controlli stringenti da parte dell'amministrazione finanziaria e di obblighi in materia di tenuta di contabilità, senza riconoscere loro, dall'altro lato, i medesimo benefici, tra cui il riconoscimento del privilegio in materia di accisa;
la disciplina fiscale che attualmente interessa il settore è contenuta nel decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504. Il privilegio è riconosciuto esclusivamente a favore dei soggetti che materialmente assolvono il tributo (accise) al momento dell'immissione del prodotto (Compagnie Petrolifere);
analogo privilegio non è invece riconosciuto ai rivenditori dei prodotti petroliferi, i quali, pur essendo i soggetti nei confronti dei quali si perfeziona l'immissione in consumo, non possono certamente essere considerati consumatori finali. In altre parole al Rivenditore (esercente di deposito commerciale), pur trattandosi di soggetto che, al pari delle compagnie petrolifere, consente all'erario di attuare il meccanismo impositivo delle accise, essendo uno degli anelli della filiera di commercializzazione, non è riconosciuta alcuna tutela differenziata. Emerge quindi una situazione di ingiustificata discriminazione a danno dei rivenditori dei prodotti energetici che espongono il sistema ad una evidente censurabilità, almeno sotto due profili;
a) in primo luogo, l'attuale quadro normativo crea una disparità di trattamento che si pone in parte violazione dell'articolo 3 Cost., violando il generale principio di pari trattamento a fronte di situazione meritevole di analoga tutela;
b) in secondo luogo, e sotto altro profilo, il meccanismo attuale comporta inoltre una violazione delle regole della concorrenza in contrasto con gli indirizzi di politica legislativa forniti dall'Unione Europea.
l'introduzione di tale privilegio a favore degli operatori commerciali condurrebbe alla eliminazione delle discriminazioni richiamate e eviterebbe di creare una situazione di concorrenza falsata a favore delle società petrolifere. D'altra parte, si sottolinea che una simile previsione non creerebbe alcun aggravio a carico dell'erario statale essendo totalmente neutro per il bilancio dello Stato. Inoltre, attribuendo a questo privilegio un grado di secondo livello, 1 crediti dello Stato nelle procedure concorsuali avrebbero in ogni caso la priorità per il loro soddisfacimento,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare gli opportuni provvedimenti legislativi e/o d'interpretazione autentica al fine di assicurare che il privilegio di cui all'articolo 16, comma 3 del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 sia applicato altresì ai crediti vantati verso i cessionari dei prodotti dai titolari di licenza per l'esercizio di depositi commerciali di prodotti energetici ad imposta assolta, relativamente all'importo dell'accisa corrispondente ai prodotti ceduti, sempre che tale importo risulti separatamente evidenziato nella fattura relativa alla cessione del prodotto.
9/5109-AR/87.(Testo modificato nel corso della seduta) Menia, Di Biagio.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame reca una serie di disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento;
durante l'esame del provvedimento al Senato, sono state introdotte, all'articolo 4, alcune modifiche e integrazioni alla disciplina dell'IMU di cui all'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 volte, principalmente, a garantire una maggiore equità sociale nella sua applicazione;
in particolare, con riferimento ai beni immobili posseduti da anziani o disabili che acquisiscono la residenza in istituti di ricovero o sanitari nonché da cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato - recependo un emendamento del Relatore presentato in commissione Finanze - è stata introdotta la possibilità per i comuni di considerarli adibiti ad abitazione principale;
nonostante lo sforzo compiuto per individuare una soluzione positiva alla questione, appare opportuno adottare, in futuro, misure di equità e di protezione sociale più certe e stringenti in grado di assicurare un trattamento equo ed uniforme sull'intero territorio nazionale

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare - già a partire dai prossimi provvedimenti e compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili - disposizioni volte ad introdurre una revisione complessiva della disciplina IMU per le unità immobiliari di cui in premessa volta a garantire l'applicazione dell'aliquota agevolata prevista per l'abitazione principale.
9/5109-AR/88.Di Biagio, Menia.

La Camera,
premesso che:
la situazione di difficoltà dell'economia italiana sta manifestando un'incidenza rilevante sul settore agricolo e agroalimentare, nell'ottica di una programmazione a lungo termine l'aggravio del carico fiscale rischia di causare l'espulsione dal mercato delle nostre aziende e decretare la morte di un settore in forte crisi da tempo, già costretto a fare i conti con costi produttivi, contributivi e burocratici ingenti e ulteriormente appesantiti dai continui rincari del prezzo del gasolio agricolo, che ha raggiunto livelli insostenibili;
la nuova imposta sugli immobili, a differenza della vecchia ICI, si scarica fortemente sul comparto agricolo, in particolare sui terreni, non ne salvaguarda la natura di fattore della produzione per eccellenza e non ne prevede l'esenzione;
il provvedimento in titolo ha introdotto numerose modifiche e integrazioni alla disciplina dell'IMU, tra queste, per quanto riguarda il settore agricolo, l'esenzione per i fabbricati rurali ad uso strumentale di cui all'articolo 9, comma 2-bis, del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, ma solo per quelli di essi che sono ubicati nei comuni classificati montani o parzialmente montani;
le stime delle organizzazioni agricole sull'impatto dell'IMU sulle imprese del comparto appaiono preoccupanti e devono indurre ad una riflessione sulla sostenibilità di tale imposta per il fragile sistema agricolo italiano e sul rischio di abbandono da parte di numerosissime imprese che già versano in una situazione di crisi;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nell'ambito delle competenze sue proprie e di quelle disposte dal provvedimento in titolo - segnatamente all'articolo 4, comma 5, lettera d) -, di esentare dal pagamento dell'IMU i fabbricati rurali ad uso strumentale a prescindere dalla loro ubicazione ed i terreni agricoli.
9/5109-AR/89.Messina, Di Giuseppe, Rota, Paladini.

La Camera,
premesso che:
il decreto-legge n 16 del 2012 contiene misure di semplificazione in materia tributaria, al fine di assicurare una riduzione degli oneri amministrativi per i cittadini e le imprese, disposizioni per potenziare le procedure di accertamento e ulteriori misure di carattere finanziario;
in concreto non vi è alcuna disposizione che preveda agevolazioni per i giovani e soprattutto che agevolino l'ingresso dei giovani imprenditori nei mondo agricolo;
l'età media degli imprenditori agricoli italiani è, dopo il Portogallo, la più elevata dell'Unione europea, alla luce del rapporto elaborato da Inea sulla presenza dei giovani in agricoltura si conferma che, nel contesto comunitario, l'Italia conta una delle più basse presenze di giovani nel settore. Sempre secondo tale rapporto, i giovani sotto i 40 anni rappresentano appena il 7 per cento dei conduttori delle aziende agricole;
in Italia, la mobilità del fattore terra è, anche per cause di natura strutturale determinate da scelte politiche del passato, assai più ridotta rispetto a quanto si riscontra in altri Paesi dell'Unione europea e tali rigidità si riflettono, inevitabilmente, sui valori del mercato fondiario, la cui entità costituisce un oggettivo sbarramento all'ingresso dei giovani in agricoltura;
il ricambio generazionale in questo settore, infatti procede a rilento per una concomitanza di cause politiche, sociali, culturali ed economiche;
le ragioni che frenano l'ingresso imprenditoriale in agricoltura sono molte e di vario genere:
a) di natura economica, dovute al fatto che i redditi derivanti dal settore primario sono in media più bassi rispetto a quelli degli altri settori, nonostante i costi e i rischi di gestione siano gli stessi;
b) di natura sociale, legate alla qualità della vita degli agricoltori, fortemente condizionata dall'attività aziendale e dal luogo in cui vivono, spesso carente nell'offerta di servizi;
c) anche di carattere prettamente settoriale, con una lista lunghissima che va dal costo della terra, aggravata ancora di più dall'imposta municipale propria introdotta con il decreto «Salva Italia» è all'acquisizione di diritti di produzione, dai costi di successione a quelli di insediamento;
l'attuale situazione dell'economia e il dibattito sulla riforma della politica agricola comune evidenziano nuove sfide ed opportunità per il settore che può continuare ad offrire un contributo rilevante al rilancio economico ed allo sviluppo dei territori italiani;
in tale contesto assumono un'importanza strategica le misure connesse al rilancio degli investimenti dell'innovazione e della ricerca e le misure per agevolare il ricambio generazionale quale componente avanzata e qualificata, nel quadro di una politica agricola nazionale tesa a sviluppare un sistema agroalimentare di qualità capace di competere a livello mondiale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nell'ambito delle sue competenze, di assumere iniziative, anche legislative volte a facilitare l'avvio di nuove imprese agricole condotte da giovani agricoltori semplificando e velocizzando le pratiche burocratiche e prevedendo altresì incentivi di carattere fiscale.
9/5109-AR/90.Di Giuseppe, Rota, Messina, Paladini.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame reca disposizioni in materia di giochi;
uno studio pubblicato su Springer Science dell'Istituto di fisiologia clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Ifc-Cnr) ha lanciato l'allarme sulla diffusione del fenomeno del gioco d'azzardo in Italia;
è emersa la fotografia del giocatore tipo che è quella di un maschio, titolare di licenza media inferiore, bevitore di alcolici e fumatore. I soggetti più a rischio, però, sono i giovani giocatori, che abusano anche di farmaci tra i quali i tranquillanti;
la coordinatrice della ricerca dell'Ifc-Cnr ha specificato che la percentuale del 42 per cento della popolazione campionata di età compresa tra i 15 e i 24 anni ed i 25 e 64, risulta aver giocato somme di denaro almeno una volta nel corso degli ultimi 12 mesi;
tale cifra, rapportata al numero di residenti in Italia è sconvolgente se si può considerare che all'incirca 17 milioni di persone risultano essere coinvolte dal gioco d'azzardo, che a ragione può essere considerata una vera e propria epidemia sociale che condiziona la vita di troppe famiglie italiane;
le statistiche indicate nella ricerca sono eloquenti delle condizioni sociali in cui si diffonde il fenomeno e sulla particolare incidenza tra i giovani: il 36 per cento dei 15-24enni ha dichiarato di aver giocato almeno una volta negli ultimi dodici mesi e quindi per un totale 2,2 milioni di giovani adulti, di questi ben il 27 per cento sono i cosiddetti giocatori sociali e il 9 per cento di problematici, questi ultimi per un totale di 500 mila persone;
se i ragazzi, quindi, giocano di meno in generale, sono però i più esposti rispetto agli adulti a situazioni di gioco problematico. Tant'è che gli adulti che affermano di aver giocato almeno una volta negli ultimi dodici mesi sono il 45 per cento (per un totale di 15 milioni), tra il 37 per cento che non presenta criticità, mentre l'8 per cento può essere inserito nella categoria dei problematici;
come già sottolineato ad essere più soggetta, secondo un precedente studio del Cnr Ipsad-Italia tra il 2007-2008, è la popolazione maschile, in ciascuna delle fasce di età prese in considerazione: gli uomini giocatori sono il 56 per cento tra i 15-24enni e il 54 per cento tra gli adulti. Il 10 per cento dei giovani maschi giocatori rischia di sviluppare dipendenza da gioco d'azzardo, cioè cinque volte di più rispetto alle coetanee, anche se la popolazione femminile ha probabilità doppia di cadere nel gioco problematico rispetto agli uomini nella fascia 25-64;
secondo il CNR tra le ragioni per cui vi sia tale predominanza di genere debbano essere ricercata nel marketing, orientato soprattutto verso i maschi, con un'offerta vasta di scommesse sportive poker on-line, slot-machine. Solo di recente la pubblicità si rivolge alle donne con giochi come il bingo, gratta e vinci, lotto, superenalotto»;
si ricorda altresì che nel 2009 con il Decreto Abruzzo è stato disposto che una parte del gettito proveniente dalle lotterie, giochi e scommesse, ampliandone anche l'offerta, fossero stanziati per la ricostruzione post terremoto in Abruzzo. Dopo tre anni i giochi hanno prodotto un incremento di gettito di oltre 2 miliardi;

impegna il Governo

a verificare l'effettivo stanziamento e l'eventuale utilizzo, in termini di quantità, tempistica e modalità, delle risorse provenienti dai giochi destinate alle attività di ricostruzione post terremoto in Abruzzo;
ad avviare controlli più scrupolosi delle pratiche di richiesta di licenza per l'apertura di sale giochi e ad assumere iniziative finalizzate a predisporre precisi criteri restrittivi al fine di arginare i danni educativi determinati soprattutto nei giovani, dalla pratica eccessiva di distrazioni commesse ali utilizzo di apparecchi automatici per il gioco;
a valutare l'opportunità di introdurre maggiori restrizioni in materia di monopolio dei giochi e offerta via web in relazione ad obiettivi prioritari quali la tutela dei consumatori, la prevenzione delle frodi, il contrasto ad una spesa eccessiva dei cittadini collegata al gioco nonché la prevenzione di turbative all'ordine sociale.
9/5109-AR/91.Di Stanislao, Paladini.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento in esame reca disposizioni in materia di giochi;
uno studio pubblicato su Springer Science dell'Istituto di fisiologia clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Ifc-Cnr) ha lanciato l'allarme sulla diffusione del fenomeno del gioco d'azzardo in Italia;
è emersa la fotografia del giocatore tipo che è quella di un maschio, titolare di licenza media inferiore, bevitore di alcolici e fumatore. I soggetti più a rischio, però, sono i giovani giocatori, che abusano anche di farmaci tra i quali i tranquillanti;
la coordinatrice della ricerca dell'Ifc-Cnr ha specificato che la percentuale del 42 per cento della popolazione campionata di età compresa tra i 15 e i 24 anni ed i 25 e 64, risulta aver giocato somme di denaro almeno una volta nel corso degli ultimi 12 mesi;
tale cifra, rapportata al numero di residenti in Italia è sconvolgente se si può considerare che all'incirca 17 milioni di persone risultano essere coinvolte dal gioco d'azzardo, che a ragione può essere considerata una vera e propria epidemia sociale che condiziona la vita di troppe famiglie italiane;
le statistiche indicate nella ricerca sono eloquenti delle condizioni sociali in cui si diffonde il fenomeno e sulla particolare incidenza tra i giovani: il 36 per cento dei 15-24enni ha dichiarato di aver giocato almeno una volta negli ultimi dodici mesi e quindi per un totale 2,2 milioni di giovani adulti, di questi ben il 27 per cento sono i cosiddetti giocatori sociali e il 9 per cento di problematici, questi ultimi per un totale di 500 mila persone;
se i ragazzi, quindi, giocano di meno in generale, sono però i più esposti rispetto agli adulti a situazioni di gioco problematico. Tant'è che gli adulti che affermano di aver giocato almeno una volta negli ultimi dodici mesi sono il 45 per cento (per un totale di 15 milioni), tra il 37 per cento che non presenta criticità, mentre l'8 per cento può essere inserito nella categoria dei problematici;
come già sottolineato ad essere più soggetta, secondo un precedente studio del Cnr Ipsad-Italia tra il 2007-2008, è la popolazione maschile, in ciascuna delle fasce di età prese in considerazione: gli uomini giocatori sono il 56 per cento tra i 15-24enni e il 54 per cento tra gli adulti. Il 10 per cento dei giovani maschi giocatori rischia di sviluppare dipendenza da gioco d'azzardo, cioè cinque volte di più rispetto alle coetanee, anche se la popolazione femminile ha probabilità doppia di cadere nel gioco problematico rispetto agli uomini nella fascia 25-64;
secondo il CNR tra le ragioni per cui vi sia tale predominanza di genere debbano essere ricercata nel marketing, orientato soprattutto verso i maschi, con un'offerta vasta di scommesse sportive poker on-line, slot-machine. Solo di recente la pubblicità si rivolge alle donne con giochi come il bingo, gratta e vinci, lotto, superenalotto»;
si ricorda altresì che nel 2009 con il Decreto Abruzzo è stato disposto che una parte del gettito proveniente dalle lotterie, giochi e scommesse, ampliandone anche l'offerta, fossero stanziati per la ricostruzione post terremoto in Abruzzo. Dopo tre anni i giochi hanno prodotto un incremento di gettito di oltre 2 miliardi;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di verificare l'effettivo stanziamento e l'eventuale utilizzo, in termini di quantità, tempistica e modalità, delle risorse provenienti dai giochi destinate alle attività di ricostruzione post terremoto in Abruzzo;
a valutare l'opportunità di avviare controlli più scrupolosi delle pratiche di richiesta di licenza per l'apertura di sale giochi e ad assumere iniziative finalizzate a predisporre precisi criteri restrittivi al fine di arginare i danni educativi determinati soprattutto nei giovani, dalla pratica eccessiva di distrazioni commesse ali utilizzo di apparecchi automatici per il gioco;
a valutare l'opportunità di introdurre maggiori restrizioni in materia di monopolio dei giochi e offerta via web in relazione ad obiettivi prioritari quali la tutela dei consumatori, la prevenzione delle frodi, il contrasto ad una spesa eccessiva dei cittadini collegata al gioco nonché la prevenzione di turbative all'ordine sociale.
9/5109-AR/91.(Testo modificato nel corso della seduta) Di Stanislao, Paladini.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento in titolo stabilisce che i diritti d'uso delle frequenze in banda televisiva, di cui al bando pubblicato sulla G.U. serie speciale n. 80/2011 sono assegnati mediante pubblica gara, che verrà indetta dal Ministero dello sviluppo economico, entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge;
il bando che aveva indetto la gara secondo la procedura del beauty contest viene dunque annullato;
il 6 aprile scorso il Consiglio dei Ministri ha avviato l'esame preliminare dello schema di decreto legislativo recante «Attuazione della direttiva 2009/140/CE, che modifica le direttive 2002/21/CE che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica, 2002/19/CE relativa all'accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate e all'interconnessione delle medesime e 2002/2O/CE relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica»;
secondo indiscrezioni apparse sulla stampa nazionale, tale decreto, nel dare attuazione alla citata direttiva comunitaria n. 140 del 2009, consentirebbe a RAI, Mediaset e H3G di chiedere la trasformazione delle frequenze Dvb-H utilizzate per i videofonini e a loro già assegnate, in frequenze Dvb-T, ovvero frequenze utilizzabili per il digitale terrestre;
detta trasformazione sarebbe resa possibile attraverso l'applicazione del principio della c.d. «neutralità tecnologica», richiamato dallo schema di decreto legislativo in questione, secondo cui ad ogni operatore che detiene una frequenza potrà essere permesso di utilizzarla con tutte le tecnologie a disposizione, ivi compreso il digitale terrestre, chiedendo la conversione della frequenza già assegnata all'autorità per le Garanzie nelle comunicazioni e al Ministero dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti;
in buona sostanza, secondo quanto risulta al firmatario del presente atto di indirizzo, si verrebbero, di fatto, a creare le condizioni per offrire a Rai e a Mediaset l'opportunità di utilizzare ulteriori frequenze per il digitale terrestre, senza il bisogno di partecipare ad una vera e propria asta competitiva. Inoltre, qualora Rai e Mediaset chiedessero e ottenessero la conversione delle frequenze in questione in virtù del citato schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva europea n. 140 del 2009, raggiungerebbero il numero massimo di multiplex consentito dalla Commissione Europea e non potrebbero più partecipare alla nuova asta competitiva che il Governo SI appresta a bandire annullando la procedura del beauty contest;
l'articolo 12 dello schema di decreto in questione, in questione, secondo quanto si evince dalla lettura di alcuni testi non ufficiali diffusi su internet, ad avviso del firmatario del presente atto di indirizzo, suscita particolare perplessità in quanto consentirebbe ad ogni operatore che detiene una frequenza di chiederne la trasformazione non solo per la tecnologia in tecnica digitale terrestre ma anche utilizzare la frequenza per la telefonia mobile, con la conseguenza paradossale che chi attualmente detiene frequenze in tecnica digitale può chiederne la trasformazione per utilizzare le frequenze per la telefonia. Tutto questo, ovviamente, senza che venga bandita alcuna asta competitiva - come è invece accaduto lo scorso anno per l'assegnazione delle frequenze dei telefonini cellulari 800Mhz - ed in palese contrasto con gli indirizzi recentissimamente assunti dal Governo in materia valorizzazione economica dello spettro radio con il provvedimento in esame;
in particolare detto articolo 12 - recante disposizioni in materia di «Riesame delle limitazioni esistenti e trasferimento o affitto di diritti individuali d'uso delle radiofrequenze» - nell'integrare le disposizioni contenute nel Codice delle comunicazioni elettroniche di cui al decreto legislativo n 259 del 2003, prevede espressamente che:
«Sino al 25 maggio 2016, il Ministero (dello sviluppo economico) e l'Autorità, nell'ambito delle rispettive competenze, possono consentire ai titolari di diritti d'uso delle frequenze radio concesse prima della data di entrata in vigore del presente provvedimento e che rimarranno ancora validi per un periodo non inferiore a cinque anni dopo tale data, di presentare una richiesta di riesame delle Imitazioni ai loro diritti ai sensi dell'articolo 14, commi da 4 a 7. Prima di adottare una decisione, il Ministero e l'Autorità, nell'ambito delle rispettive competenze, informano il titolare del diritto del riesame delle limitazioni, precisando l'entità del diritto dopo il riesame e concede al richiedente un termine ragionevole per il ritiro della richiesta. Se il titolare del diritto ritira la sua richiesta, il diritto resta immutato fino alla sua scadenza o, se è anteriore, fino al termine del periodo di cinque anni.
2. Successivamente al 25 maggio 2016, il Ministero e l'Autorità, nell'ambito delle rispettive competenze, adottano tutte le misure adeguate per assicurare che l'articolo 14, comma da 3 a 7, si applichi a tutte le restanti autorizzazioni generali, ai diritti d'uso individuali e dalle attribuzioni di frequenze radio ai fini dei servizi di comunicazione elettronica esistenti alla data di entrata in vigore del presente provvedimento.
3. Nell'applicare il presente articolo, il Ministero e l'Autorità nell'ambito delle rispettive competenze, adottano disposizioni appropriate per promuovere eque condizioni di concorrenza.
4. Le misure adottate in applicazione del presente articolo non concedono alcun nuovo diritto d'uso e pertanto non sono soggette alle pertinenti disposizioni dell'articolo 27, del presente Codice.»;
considerato infine che:
qualora fosse vero quanto descritto dal presente atto di indirizzo verrebbe meno ogni possibilità per Il nostro Paese di assicurare non solo un reale pluralismo nell'uso dello spettro radio ma anche la possibilità di garantire attraverso lo svolgimento di un'asta competitiva la massima valorizzazione economica delle radiofrequenze;
sul tema del pluralismo nel sistema radiotelevisivo si evidenza come il recente rapporto dell'Open Society Foundations abbia sottolineato come, anche di fronte alle sfide della digitalizzazione le politiche messe in atto in Italia continuino ad essere orientate al mantenimento del duopolio «Rai-Mediaset» nella televisione in chiaro, così come nel mercato pubblicitario;
infine, si rammenta che, secondo le stime più recenti, l'incasso dell'asta delle nuove frequenze 700Mhz potrebbe corrispondere a 1,2 miliardi di euro e che il valore di ogni singola frequenza 700 Mhz che andrà all'asta potrebbe produrre un introito pari a 150 milioni di euro. Lo scorso anno, infine, l'asta per le frequenze dei telefonini cellulari 800Mhz ha fruttato un introito pari a 4 2 miliardi di euro;

impegna il Governo

a fornire con la massima sollecitudine elementi di chiarificazione su quanto descritto dal presente ordine del giorno;
a porre in essere ogni atto di competenza volto a mettere all'asta le frequenze che sino ad oggi Rai e Mediaset hanno utilizzato per la videofonia, così da evitare l'ennesima deprecabile situazione per cui tali operatori potrebbero, di fatto, vedersi assegnati in modo gratuito ulteriori multiplex per il digitale terrestre;
ad adottare ogni iniziativa finalizzata ad assicurare che il recepimento della direttiva 2009/140/CE nell'ambito del nostro ordinamento nazionale avvenga in maniera tale da garantire sempre e comunque sia il rigoroso rispetto dei principi del pluralismo e della concorrenza, sia la massima valorizzazione economica che l'uso delle frequenze già concesse può produrre, con conseguente maggior afflusso di risorse finanziarie per lo Stato.
9/5109-AR/92.Di Pietro, Borghesi, Paladini.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento in titolo stabilisce che i diritti d'uso delle frequenze in banda televisiva, di cui al bando pubblicato sulla G.U. serie speciale n. 80/2011 sono assegnati mediante pubblica gara, che verrà indetta dal Ministero dello sviluppo economico, entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge;
il bando che aveva indetto la gara secondo la procedura del beauty contest viene dunque annullato;
il 6 aprile scorso il Consiglio dei Ministri ha avviato l'esame preliminare dello schema di decreto legislativo recante «Attuazione della direttiva 2009/140/CE, che modifica le direttive 2002/21/CE che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica, 2002/19/CE relativa all'accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate e all'interconnessione delle medesime e 2002/2O/CE relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica»;
secondo indiscrezioni apparse sulla stampa nazionale, tale decreto, nel dare attuazione alla citata direttiva comunitaria n. 140 del 2009, consentirebbe a RAI, Mediaset e H3G di chiedere la trasformazione delle frequenze Dvb-H utilizzate per i videofonini e a loro già assegnate, in frequenze Dvb-T, ovvero frequenze utilizzabili per il digitale terrestre;
detta trasformazione sarebbe resa possibile attraverso l'applicazione del principio della c.d. «neutralità tecnologica», richiamato dallo schema di decreto legislativo in questione, secondo cui ad ogni operatore che detiene una frequenza potrà essere permesso di utilizzarla con tutte le tecnologie a disposizione, ivi compreso il digitale terrestre, chiedendo la conversione della frequenza già assegnata all'autorità per le Garanzie nelle comunicazioni e al Ministero dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti;
in buona sostanza, secondo quanto risulta al firmatario del presente atto di indirizzo, si verrebbero, di fatto, a creare le condizioni per offrire a Rai e a Mediaset l'opportunità di utilizzare ulteriori frequenze per il digitale terrestre, senza il bisogno di partecipare ad una vera e propria asta competitiva. Inoltre, qualora Rai e Mediaset chiedessero e ottenessero la conversione delle frequenze in questione in virtù del citato schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva europea n. 140 del 2009, raggiungerebbero il numero massimo di multiplex consentito dalla Commissione Europea e non potrebbero più partecipare alla nuova asta competitiva che il Governo SI appresta a bandire annullando la procedura del beauty contest;
l'articolo 12 dello schema di decreto in questione, in questione, secondo quanto si evince dalla lettura di alcuni testi non ufficiali diffusi su internet, ad avviso del firmatario del presente atto di indirizzo, suscita particolare perplessità in quanto consentirebbe ad ogni operatore che detiene una frequenza di chiederne la trasformazione non solo per la tecnologia in tecnica digitale terrestre ma anche utilizzare la frequenza per la telefonia mobile, con la conseguenza paradossale che chi attualmente detiene frequenze in tecnica digitale può chiederne la trasformazione per utilizzare le frequenze per la telefonia. Tutto questo, ovviamente, senza che venga bandita alcuna asta competitiva - come è invece accaduto lo scorso anno per l'assegnazione delle frequenze dei telefonini cellulari 800Mhz - ed in palese contrasto con gli indirizzi recentissimamente assunti dal Governo in materia valorizzazione economica dello spettro radio con il provvedimento in esame;
in particolare detto articolo 12 - recante disposizioni in materia di «Riesame delle limitazioni esistenti e trasferimento o affitto di diritti individuali d'uso delle radiofrequenze» - nell'integrare le disposizioni contenute nel Codice delle comunicazioni elettroniche di cui al decreto legislativo n 259 del 2003, prevede espressamente che:
«Sino al 25 maggio 2016, il Ministero (dello sviluppo economico) e l'Autorità, nell'ambito delle rispettive competenze, possono consentire ai titolari di diritti d'uso delle frequenze radio concesse prima della data di entrata in vigore del presente provvedimento e che rimarranno ancora validi per un periodo non inferiore a cinque anni dopo tale data, di presentare una richiesta di riesame delle Imitazioni ai loro diritti ai sensi dell'articolo 14, commi da 4 a 7. Prima di adottare una decisione, il Ministero e l'Autorità, nell'ambito delle rispettive competenze, informano il titolare del diritto del riesame delle limitazioni, precisando l'entità del diritto dopo il riesame e concede al richiedente un termine ragionevole per il ritiro della richiesta. Se il titolare del diritto ritira la sua richiesta, il diritto resta immutato fino alla sua scadenza o, se è anteriore, fino al termine del periodo di cinque anni.
2. Successivamente al 25 maggio 2016, il Ministero e l'Autorità, nell'ambito delle rispettive competenze, adottano tutte le misure adeguate per assicurare che l'articolo 14, comma da 3 a 7, si applichi a tutte le restanti autorizzazioni generali, ai diritti d'uso individuali e dalle attribuzioni di frequenze radio ai fini dei servizi di comunicazione elettronica esistenti alla data di entrata in vigore del presente provvedimento.
3. Nell'applicare il presente articolo, il Ministero e l'Autorità nell'ambito delle rispettive competenze, adottano disposizioni appropriate per promuovere eque condizioni di concorrenza.
4. Le misure adottate in applicazione del presente articolo non concedono alcun nuovo diritto d'uso e pertanto non sono soggette alle pertinenti disposizioni dell'articolo 27, del presente Codice.»;
considerato infine che:
qualora fosse vero quanto descritto dal presente atto di indirizzo verrebbe meno ogni possibilità per Il nostro Paese di assicurare non solo un reale pluralismo nell'uso dello spettro radio ma anche la possibilità di garantire attraverso lo svolgimento di un'asta competitiva la massima valorizzazione economica delle radiofrequenze;
sul tema del pluralismo nel sistema radiotelevisivo si evidenza come il recente rapporto dell'Open Society Foundations abbia sottolineato come, anche di fronte alle sfide della digitalizzazione le politiche messe in atto in Italia continuino ad essere orientate al mantenimento del duopolio «Rai-Mediaset» nella televisione in chiaro, così come nel mercato pubblicitario;
infine, si rammenta che, secondo le stime più recenti, l'incasso dell'asta delle nuove frequenze 700Mhz potrebbe corrispondere a 1,2 miliardi di euro e che il valore di ogni singola frequenza 700 Mhz che andrà all'asta potrebbe produrre un introito pari a 150 milioni di euro. Lo scorso anno, infine, l'asta per le frequenze dei telefonini cellulari 800Mhz ha fruttato un introito pari a 4 2 miliardi di euro;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di:
fornire con la massima sollecitudine elementi di chiarificazione su quanto descritto dal presente ordine del giorno;
porre in essere ogni atto di competenza volto a mettere all'asta le frequenze che sino ad oggi Rai e Mediaset hanno utilizzato per la videofonia, così da evitare l'ennesima deprecabile situazione per cui tali operatori potrebbero, di fatto, vedersi assegnati in modo gratuito ulteriori multiplex per il digitale terrestre;
adottare ogni iniziativa finalizzata ad assicurare che il recepimento della direttiva 2009/140/CE nell'ambito del nostro ordinamento nazionale avvenga in maniera tale da garantire sempre e comunque sia il rigoroso rispetto dei principi del pluralismo e della concorrenza, sia la massima valorizzazione economica che l'uso delle frequenze già concesse può produrre, con conseguente maggior afflusso di risorse finanziarie per lo Stato.
9/5109-AR/92.(Testo modificato nel corso della seduta) Di Pietro, Borghesi, Paladini.

La Camera,
premesso che:
durante l'esame del provvedimento in Commissione al Senato è stato approvato un emendamento con il quale le borse di studio, gli assegni e i sussidi per fini di studio o di addestramento professionale da chiunque corrisposti eccedenti gli 11.500 euro sarebbero state assimilate al lavoro dipendente e avrebbero scontato il prelievo fiscale del 20 per cento;
la VI Commissione della Camera ha invece soppresso i commi 16-ter e 16-quater dell'articolo 3 togliendo dall'imponibile Irpef le somme relative alle borse di studio;
nonostante lo stralcio della norma succitata, che avrebbe comportato una tassazione irpef di circa 300 euro al mese sui 1.500 percepiti, ma rinviando il tema alla discussione sulla delega fiscale, rimane il rischio che la tassazione Irpef sulle borse di studio degli assegni di ricerca e dei contratti di formazione possa tornare nella delega fiscale;
i medici specializzandi, con dottorandi, ricercatori e borsisti hanno voluto rivolgere un accorato appello alla politica per intervenire a riformare il sistema formativo professionalizzante e dell'accesso all'esercizio della professione;
di fronte a Montecitorio, si è tenuto un sit in di oltre 3000 giovani arrivati da tutta Italia per richiamare l'attenzione dell'Istituzioni nei confronti del divario esistente tra l'Italia e le altre realtà Europee, dove i giovani camici bianchi hanno migliori possibilità di acquisire una piena maturità professionale e in tempi più brevi hanno accesso al mondo del lavoro;
pertanto l'eliminazione della odiosa tassa sulle borse di studio non ha fermato la protesta dei medici specializzandi e i giovani dottori hanno sfilato a Roma, Milano e Bologna, Firenze, Bari e Cagliari per rivendicare i loro diritti, anche perché restano irrisolti molti altri problemi;
nell'ambito della protesta è stata posta l'attenzione su alcune tematiche ritenute fondamentali ai fini della tutela del Medico in formazione, quali l'assegnazione di un badge marcatempo, la possibilità di usufruire della mensa universitaria, il riconoscimento del rischio professionale, l'adeguamento delle tasse universitarie al coefficiente ISEE;
la posizione professionale dei medici specializzandi è già gravata da numerosi problemi di carattere formativo e professionalizzante a cui si aggiungono considerevoli oneri finanziari sia fiscali sia formativi infatti essi sono tra i medici meno pagati in Europa e nonostante per legge non debbano essere inseriti in alcuna turnistica, spesso sono tenuti a fare lo stesso lavoro dei medici strutturati;
essi si sono mostrati disponibili a pagare nuove tasse se ricevessero una migliore formazione dagli strutturati e dai tutor e se avessero le stesse garanzie contributive dei medici. Invece al momento rappresentano un ibrido: studenti per l'Università, lavoratori pieni di responsabilità perché co-firmano i referti medici, e persone da tassare acriticamente per il governo;
è più che mai necessario attuare politiche di sostegno anziché penalizzare i giovani che attraverso il loro lavoro, il loro studio e la loro ricerca, quotidianamente contribuiscono alla crescita del nostro paese, anche al fine di disincentivare la fuga all'estero dei nostri talenti migliori, stremati da un paese che non li valorizza;

impegna il Governo:

ad adottare le iniziative, anche legislative, necessarie a difesa della formazione dei giovani medici, siano essi in formazione specialistica sia in formazione di medicina generale, sia dottorandi che borsisti, e ad escludere in futuro interventi che prevedano tassazioni inique sulle borse di studio in generale.
9/5109-AR/93.Zazzera, Di Pietro, Palagiano, Borghesi, Paladini.

La Camera,
premesso che:
durante l'esame del provvedimento in Commissione al Senato è stato approvato un emendamento con il quale le borse di studio, gli assegni e i sussidi per fini di studio o di addestramento professionale da chiunque corrisposti eccedenti gli 11.500 euro sarebbero state assimilate al lavoro dipendente e avrebbero scontato il prelievo fiscale del 20 per cento;
la VI Commissione della Camera ha invece soppresso i commi 16-ter e 16-quater dell'articolo 3 togliendo dall'imponibile Irpef le somme relative alle borse di studio;
nonostante lo stralcio della norma succitata, che avrebbe comportato una tassazione irpef di circa 300 euro al mese sui 1.500 percepiti, ma rinviando il tema alla discussione sulla delega fiscale, rimane il rischio che la tassazione Irpef sulle borse di studio degli assegni di ricerca e dei contratti di formazione possa tornare nella delega fiscale;
i medici specializzandi, con dottorandi, ricercatori e borsisti hanno voluto rivolgere un accorato appello alla politica per intervenire a riformare il sistema formativo professionalizzante e dell'accesso all'esercizio della professione;
di fronte a Montecitorio, si è tenuto un sit in di oltre 3000 giovani arrivati da tutta Italia per richiamare l'attenzione dell'Istituzioni nei confronti del divario esistente tra l'Italia e le altre realtà Europee, dove i giovani camici bianchi hanno migliori possibilità di acquisire una piena maturità professionale e in tempi più brevi hanno accesso al mondo del lavoro;
pertanto l'eliminazione della odiosa tassa sulle borse di studio non ha fermato la protesta dei medici specializzandi e i giovani dottori hanno sfilato a Roma, Milano e Bologna, Firenze, Bari e Cagliari per rivendicare i loro diritti, anche perché restano irrisolti molti altri problemi;
nell'ambito della protesta è stata posta l'attenzione su alcune tematiche ritenute fondamentali ai fini della tutela del Medico in formazione, quali l'assegnazione di un badge marcatempo, la possibilità di usufruire della mensa universitaria, il riconoscimento del rischio professionale, l'adeguamento delle tasse universitarie al coefficiente ISEE;
la posizione professionale dei medici specializzandi è già gravata da numerosi problemi di carattere formativo e professionalizzante a cui si aggiungono considerevoli oneri finanziari sia fiscali sia formativi infatti essi sono tra i medici meno pagati in Europa e nonostante per legge non debbano essere inseriti in alcuna turnistica, spesso sono tenuti a fare lo stesso lavoro dei medici strutturati;
essi si sono mostrati disponibili a pagare nuove tasse se ricevessero una migliore formazione dagli strutturati e dai tutor e se avessero le stesse garanzie contributive dei medici. Invece al momento rappresentano un ibrido: studenti per l'Università, lavoratori pieni di responsabilità perché co-firmano i referti medici, e persone da tassare acriticamente per il governo;
è più che mai necessario attuare politiche di sostegno anziché penalizzare i giovani che attraverso il loro lavoro, il loro studio e la loro ricerca, quotidianamente contribuiscono alla crescita del nostro paese, anche al fine di disincentivare la fuga all'estero dei nostri talenti migliori, stremati da un paese che non li valorizza;

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità di adottare le iniziative, anche legislative, necessarie a difesa della formazione dei giovani medici, siano essi in formazione specialistica sia in formazione di medicina generale, sia dottorandi che borsisti, e ad escludere in futuro interventi che prevedano tassazioni inique sulle borse di studio in generale.
9/5109-AR/93.(Testo modificato nel corso della seduta) Zazzera, Di Pietro, Palagiano, Borghesi, Paladini.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 5, comma 7, capoverso 2, prevede che ai fini della applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono, per l'anno 2011, gli enti e i soggetti indicati a fini statistici nell'elenco oggetto del comunicato dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) in data 24 luglio 2010, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 171, nonché a decorrere dall'anno 2012 gli enti e i soggetti indicati a fini statistici dal predetto Istituto nell'elenco oggetto del comunicato del medesimo Istituto in data 30 settembre 2011, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 228 e successivi aggiornamenti ai sensi del comma 3 del presente articolo effettuati sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti dell'Unione europea, le Autorità indipendenti e, comunque, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni;
la relazione illustrativa posta a corredo del provvedimento evidenzia che trattasi di una disposizione volta a chiarire il rapporto funzionale che intercorre tra le attività di elencazione di enti e soggetti a fini statistici da parte di ISTAT e le manovre di finanza pubblica che riflettono i loro effetto anche su tali enti e soggetti;
pertanto viene specificato che la disposizione in esame chiarisce che tra i soggetti interessati dalle manovre di finanza pubblica rientrano anche le Autorità indipendenti e in ogni caso l'elenco delle amministrazioni pubbliche di cui al decreto legislativo n. 165 del 2001;
tenuto conto che trattasi di una disposizione finalizzata, quindi, al contenimento della spesa pubblica, posto che le classificazioni dell'ISTAT sono assunte dal legislatore come termine di riferimento per il controllo della spesa pubblica nel settore della Pubblica amministrazione e per il suo contenimento, è di tutta evidenza che la stessa possa trovare applicazione solo nei confronti di soggetti ricompresi, prima della data di entrata in vigore del presente decreto-legge, nell'elenco ISTAT ed in ogni caso nei confronti di quei soggetti che effettivamente sono a carico delle finanze pubbliche e quindi, nell'Ipotesi in cui le disponibilità finanziarie a tal fine rilevanti siano a carico solo in parte delle finanze pubbliche, gravando per il resto su contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, per la parte percentuale (calcolata sulla base dell'incidenza nel bilancio complessivo dell'amministrazione 0 ente interessati della contribuzione a carico delle finanze pubbliche) corrispondente all'incidenza della contribuzione in realtà a carico delle finanze pubbliche;
tale intervento interpretativo è di assoluto rilievo al fine di consentire il corretto svolgimento dell'azione di ogni amministrazione o enti i quali, in considerazione del fatto che possono contare anche su finanziamenti che non gravano interamente a carico delle finanze pubbliche, in quanto oggetto di contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, vedrebbero diversamente penalizzato il loro impegno istituzionale per effetto di una legge che andrebbe a comprimere, qualora diversamente applicata, anche soggetti la cui attività non grava a carico delle finanze pubbliche ovvero vi grava in misura del tutto marginale. Di tal che sarebbe del tutto iniquo un assoggettamento indiscriminato alla disposizione in esame, senza che venga preso In considerazione quanto effettivamente il singolo bilancio dell'amministrazione incide, in misura percentuale, sul bilancio dello Stato;
a tal fine è quindi opportuno chiarire che la disposizione in esame non trova applicazione nei confronti di quei soggetti che hanno una autonomia finanziaria pressoché completa (che si manifesta con la capacità degli stessi di provvedere con le proprie entrate a fronteggiare per intero, o in maniera rilevante, le spese sostenute per l'attività svolta) ovvero si applica nel confronti di tali soggetti per la parte percentuale del loro bilancio che effettivamente è a carico della finanza pubblica. Infatti manca il presupposto che, in coerenza con le finalità perseguite, potrebbe giustificare il loro inserimento nell'elenco Istat; e cioè un costo per la finanza pubblica e per il bilancio dello Stato che va contenuto;
l'autonomia finanziaria di taluni soggetti, le fonti dalle quali discendono le loro entrate, la possibilità di intervenire per garantirne nel tempo la corrispondenza alle uscite sono tutti elementi legislativamente fissati, e, quindi, incontestabili. Segue da ciò che non è configurabile una spesa che la finanza pubblica potrebbe in futuro essere costretta a sopportare per assicurare il pareggio di bilancio di tali soggetti atteso che a questo fine essi sono già stati forniti dal legislatore di strumenti propri per provvedere in via autonoma,

impegna il Governo

ad adottare ogni più adeguato intervento applicativo volto ad assicurare la coerenza nella fase di attuazione con quella che è l'effettiva volontà della disposizione normativa, in maniera da eliminare ogni eventuale possibile dubbio interpretativo circa il fatto che le disposizioni di cui all'articolo 5, comma 7, capoverso 2, vanno interpretate nel senso che esse si applicano solo ai soggetti ricompresi, prima della data di entrata in vigore del presente decreto-legge, nell'elenco ISTAT ed in ogni caso nei confronti di quei soggetti che effettivamente sono a carico delle finanze pubbliche e quindi, nell'Ipotesi in cui le disponibilità finanziarie a tal fine rilevanti siano a carico solo in parte delle finanze pubbliche, gravando per il resto su contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, per la parte percentuale (calcolata sulla base dell'incidenza nel bilancio complessivo dell'amministrazione o ente interessati della contribuzione a carico delle finanze pubbliche) corrispondente all'incidenza della contribuzione in realtà a carico delle finanze pubbliche.
9/5109-AR/94.Di Vizia, Caparini.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 5, comma 7, capoverso 2, prevede che ai fini della applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono, per l'anno 2011, gli enti e i soggetti indicati a fini statistici nell'elenco oggetto del comunicato dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) in data 24 luglio 2010, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 171, nonché a decorrere dall'anno 2012 gli enti e i soggetti indicati a fini statistici dal predetto Istituto nell'elenco oggetto del comunicato del medesimo Istituto in data 30 settembre 2011, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 228 e successivi aggiornamenti ai sensi del comma 3 del presente articolo effettuati sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti dell'Unione europea, le Autorità indipendenti e, comunque, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni;
la relazione illustrativa posta a corredo del provvedimento evidenzia che trattasi di una disposizione volta a chiarire il rapporto funzionale che intercorre tra le attività di elencazione di enti e soggetti a fini statistici da parte di ISTAT e le manovre di finanza pubblica che riflettono i loro effetto anche su tali enti e soggetti;
pertanto viene specificato che la disposizione in esame chiarisce che tra i soggetti interessati dalle manovre di finanza pubblica rientrano anche le Autorità indipendenti e in ogni caso l'elenco delle amministrazioni pubbliche di cui al decreto legislativo n. 165 del 2001;
tenuto conto che trattasi di una disposizione finalizzata, quindi, al contenimento della spesa pubblica, posto che le classificazioni dell'ISTAT sono assunte dal legislatore come termine di riferimento per il controllo della spesa pubblica nel settore della Pubblica amministrazione e per il suo contenimento, è di tutta evidenza che la stessa possa trovare applicazione solo nei confronti di soggetti ricompresi, prima della data di entrata in vigore del presente decreto-legge, nell'elenco ISTAT ed in ogni caso nei confronti di quei soggetti che effettivamente sono a carico delle finanze pubbliche e quindi, nell'Ipotesi in cui le disponibilità finanziarie a tal fine rilevanti siano a carico solo in parte delle finanze pubbliche, gravando per il resto su contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, per la parte percentuale (calcolata sulla base dell'incidenza nel bilancio complessivo dell'amministrazione 0 ente interessati della contribuzione a carico delle finanze pubbliche) corrispondente all'incidenza della contribuzione in realtà a carico delle finanze pubbliche;
tale intervento interpretativo è di assoluto rilievo al fine di consentire il corretto svolgimento dell'azione di ogni amministrazione o enti i quali, in considerazione del fatto che possono contare anche su finanziamenti che non gravano interamente a carico delle finanze pubbliche, in quanto oggetto di contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, vedrebbero diversamente penalizzato il loro impegno istituzionale per effetto di una legge che andrebbe a comprimere, qualora diversamente applicata, anche soggetti la cui attività non grava a carico delle finanze pubbliche ovvero vi grava in misura del tutto marginale. Di tal che sarebbe del tutto iniquo un assoggettamento indiscriminato alla disposizione in esame, senza che venga preso In considerazione quanto effettivamente il singolo bilancio dell'amministrazione incide, in misura percentuale, sul bilancio dello Stato;
a tal fine è quindi opportuno chiarire che la disposizione in esame non trova applicazione nei confronti di quei soggetti che hanno una autonomia finanziaria pressoché completa (che si manifesta con la capacità degli stessi di provvedere con le proprie entrate a fronteggiare per intero, o in maniera rilevante, le spese sostenute per l'attività svolta) ovvero si applica nel confronti di tali soggetti per la parte percentuale del loro bilancio che effettivamente è a carico della finanza pubblica. Infatti manca il presupposto che, in coerenza con le finalità perseguite, potrebbe giustificare il loro inserimento nell'elenco Istat; e cioè un costo per la finanza pubblica e per il bilancio dello Stato che va contenuto;
l'autonomia finanziaria di taluni soggetti, le fonti dalle quali discendono le loro entrate, la possibilità di intervenire per garantirne nel tempo la corrispondenza alle uscite sono tutti elementi legislativamente fissati, e, quindi, incontestabili. Segue da ciò che non è configurabile una spesa che la finanza pubblica potrebbe in futuro essere costretta a sopportare per assicurare il pareggio di bilancio di tali soggetti atteso che a questo fine essi sono già stati forniti dal legislatore di strumenti propri per provvedere in via autonoma,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ogni più adeguato intervento applicativo volto ad assicurare la coerenza nella fase di attuazione con quella che è l'effettiva volontà della disposizione normativa, in maniera da eliminare ogni eventuale possibile dubbio interpretativo circa il fatto che le disposizioni di cui all'articolo 5, comma 7, capoverso 2, vanno interpretate nel senso che esse si applicano solo ai soggetti ricompresi, prima della data di entrata in vigore del presente decreto-legge, nell'elenco ISTAT ed in ogni caso nei confronti di quei soggetti che effettivamente sono a carico delle finanze pubbliche e quindi, nell'Ipotesi in cui le disponibilità finanziarie a tal fine rilevanti siano a carico solo in parte delle finanze pubbliche, gravando per il resto su contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, per la parte percentuale (calcolata sulla base dell'incidenza nel bilancio complessivo dell'amministrazione o ente interessati della contribuzione a carico delle finanze pubbliche) corrispondente all'incidenza della contribuzione in realtà a carico delle finanze pubbliche.
9/5109-AR/94.(Testo modificato nel corso della seduta) Di Vizia, Caparini.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 8, comma 24, del provvedimento al nostro esame stabilisce che:
«24. Fermi i limiti assunzionali a legislazione vigente, in relazione all'esigenza urgente e inderogabile di assicurare la funzionalità operativa delle proprie strutture, volta a garantire una efficace attuazione delle misure di contrasto all'evasione di cui alle disposizioni del presente articolo, l'Agenzia delle dogane, l'Agenzia delle entrate e l'Agenzia del territorio sono autorizzate ad espletare procedure concorsuali da completare entro il 31 dicembre 2013 per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti, secondo le modalità di cui all'articolo 1, comma 530, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e all'articolo 2, comma 2, secondo periodo, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248. Nelle more dell'espletamento di dette procedure l'Agenzia delle dogane, l'Agenzia delle entrate e l'Agenzia del territorio, salvi gli incarichi già affidati, potranno attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso. Gli incarichi sono attribuiti con apposita procedura selettiva applicando l'articolo 19, comma 1-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Ai funzionari cui è conferito l'incarico compete lo stesso trattamento economico dei dirigenti. A seguito dell'assunzione dei vincitori delle procedure concorsuali di cui al presente comma, l'Agenzia delle dogane, l'Agenzia delle entrate e l'Agenzia del territorio non potranno attribuire nuovi incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 19 comma 6 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Agli oneri derivanti dall'attuazione del presente comma si provvede con le risorse disponibili sul bilancio dell'Agenzia delle entrate, dell'Agenzia delle dogane e dell'Agenzia del territorio. Alla compensazione degli effetti in termini di fabbisogno e di indebitamento netto, pari a 10,3 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013, per l'Agenzia delle dogane e per l'Agenzia del territorio si provvede mediante corrispondente utilizzo del Fondo di cui all'articolo 6, comma 2, del decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2008, n. 189. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio»;
la previsione suscita non pochi dubbi e porta con sé un'evidente contraddizione giacché se, da un lato, impone alle Agenzie fiscali di attuare le procedure selettive previste dall'articolo 1, comma 530, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e dell'articolo 2, comma 2, secondo periodo, del decreto- legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, per la copertura dei posti vacanti di Dirigente, dall'altro lato, la autorizza a continuare ad abusare del suo potere non soltanto facendo salvi gli incarichi già conferiti ma, cosa più grave, attribuendo incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, con il riconoscimento agli stessi del trattamento economico dei Dirigenti;
viene, quindi, stabilito proprio quanto è stato recentemente dichiarato illegittimo dalla giurisprudenza amministrativa, che ha annullato un provvedimento dell'Agenzia delle Entrate con cui era stata bandita una selezione-concorso per il reclutamento di personale dell'Amministrazione del Ministero dell'Economia e delle Finanze, compreso quello delle Agenzie fiscali, che può avvenire «con modalità speciali», con ciò, l'Amministrazione, adducendo di aver trovato una soluzione per "sanare" la posizione di una serie di suoi funzionari che, da svariati anni, svolgono «egregiamente» «incarichi dirigenziali» (T.A.R. Lazio, Sez. II, Sentenza n. 07636/2011) e che ha annullato la delibera del Comitato di gestione dell'Agenzia delle Entrate con cui era stato modificato l'articolo 24 del Regolamento di amministrazione dell'Agenzia delle Entrate, consentendo il conferimento, fino al 31 dicembre 2010, mediante la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato con l'attribuzione dello stesso trattamento economico dei Dirigenti, di incarichi dirigenziali (che, secondo i giudici amministrativi, non si configurano come «incarichi di temporanea reggenza»), in favore di funzionari non in possesso della qualifica dirigenziale, motivando che «l'espletamento di mansioni superiori da parte di dipendenti pubblici, al di fuori di ipotesi tassativamente previste, è vietato dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, all'articolo 56, nel testo sostituito dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, articolo 25, e successivamente modificato prima dal decreto legislativo 29 ottobre 1998, n. 387, articolo 15 e poi dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 52, con conseguente nullità dell'atto di conferimento illegittimo» (T.A.R. Lazio, Sezione II, n. 06884/2011);
il principio posto a fondamento delle menzionate sentenze e che, invece, appare negato dal decreto-legge, oggetto del nostro esame, è quello consacrato dall'articolo 52 del decreto legislativo n. 165 del 2001, che stabilisce il principio secondo il quale «il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti nell'ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi, ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive. L'esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore o dell'assegnazione di incarichi di direzione»;
si può, quindi, affermare che la norma non fa che consentire all'Amministrazione di continuare, indisturbata, a conferire incarichi dirigenziali a propri funzionari sprovvisti dei requisiti per accedere alla Dirigenza, laddove, viceversa, da tempo, l'Agenzia delle Entrate avrebbe potuto risolvere i problemi relativi alle carenze di organico dirigenziale con il doveroso riconoscimento del diritto di accesso alle funzioni dirigenziali a quei suoi dipendenti, che, in quanto appartenenti ai ruoli più elevati della carriera direttiva ordinaria, ed a quelli che già Vicedirigenti, appartenendo all'VIII qualifica funzionale o alla VII con una certa anzianità di servizio, ai sensi dell'articolo 109 della legge n. 312 del 1980, avevano ed hanno il diritto di ricoprire i posti di Dirigente;
il T.A.R. Lazio ha dichiarato l'illegittimità del conferimento di incarichi dirigenziali in quanto contrastanti con la normativa citata ed inficiati da svariate figure di eccesso di potere, il decreto-legge in argomento vanifica il principio affermato dalla giurisprudenza e consente all'Agenzia delle Entrate di conferire, a suo piacimento, incarichi dirigenziali a chi Dirigente non è. Il che lede i diritti di coloro che, per le ragioni esposte, hanno il diritto di ricoprire i posti di Dirigente, con il conseguente ed inevitabile proliferare di azioni giudiziari con un inutile dispendio di denaro pubblico;
l'estensione della facoltà di espletare procedure concorsuali per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti anche air Agenzia del Territorio, delle Dogane e Amministrazione autonoma dei Monopoli, difficilmente potrà avvenire senza maggiori oneri a carico della finanza pubblica così come sostiene la clausola di invarianza degli oneri inserita,

impegna il Governo

a fare sì che le Agenzie fiscali risolvano i problemi relativi alle carenze di organico dirigenziale con il doveroso riconoscimento del diritto di accesso alle funzioni dirigenziali a quei suoi dipendenti, che, in quanto appartenenti ai ruoli più elevati della carriera direttiva ordinaria, ed a quelli che già Vice dirigenti, avevano ed hanno il diritto di ricoprire i posti di dirigente.
9/5109-AR/95.Paladini, Aniello Formisano.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 8, comma 24, del provvedimento al nostro esame stabilisce che:
«24. Fermi i limiti assunzionali a legislazione vigente, in relazione all'esigenza urgente e inderogabile di assicurare la funzionalità operativa delle proprie strutture, volta a garantire una efficace attuazione delle misure di contrasto all'evasione di cui alle disposizioni del presente articolo, l'Agenzia delle dogane, l'Agenzia delle entrate e l'Agenzia del territorio sono autorizzate ad espletare procedure concorsuali da completare entro il 31 dicembre 2013 per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti, secondo le modalità di cui all'articolo 1, comma 530, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e all'articolo 2, comma 2, secondo periodo, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248. Nelle more dell'espletamento di dette procedure l'Agenzia delle dogane, l'Agenzia delle entrate e l'Agenzia del territorio, salvi gli incarichi già affidati, potranno attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso. Gli incarichi sono attribuiti con apposita procedura selettiva applicando l'articolo 19, comma 1-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Ai funzionari cui è conferito l'incarico compete lo stesso trattamento economico dei dirigenti. A seguito dell'assunzione dei vincitori delle procedure concorsuali di cui al presente comma, l'Agenzia delle dogane, l'Agenzia delle entrate e l'Agenzia del territorio non potranno attribuire nuovi incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 19 comma 6 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Agli oneri derivanti dall'attuazione del presente comma si provvede con le risorse disponibili sul bilancio dell'Agenzia delle entrate, dell'Agenzia delle dogane e dell'Agenzia del territorio. Alla compensazione degli effetti in termini di fabbisogno e di indebitamento netto, pari a 10,3 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013, per l'Agenzia delle dogane e per l'Agenzia del territorio si provvede mediante corrispondente utilizzo del Fondo di cui all'articolo 6, comma 2, del decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2008, n. 189. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio»;
la previsione suscita non pochi dubbi e porta con sé un'evidente contraddizione giacché se, da un lato, impone alle Agenzie fiscali di attuare le procedure selettive previste dall'articolo 1, comma 530, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e dell'articolo 2, comma 2, secondo periodo, del decreto- legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, per la copertura dei posti vacanti di Dirigente, dall'altro lato, la autorizza a continuare ad abusare del suo potere non soltanto facendo salvi gli incarichi già conferiti ma, cosa più grave, attribuendo incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, con il riconoscimento agli stessi del trattamento economico dei Dirigenti;
viene, quindi, stabilito proprio quanto è stato recentemente dichiarato illegittimo dalla giurisprudenza amministrativa, che ha annullato un provvedimento dell'Agenzia delle Entrate con cui era stata bandita una selezione-concorso per il reclutamento di personale dell'Amministrazione del Ministero dell'Economia e delle Finanze, compreso quello delle Agenzie fiscali, che può avvenire «con modalità speciali», con ciò, l'Amministrazione, adducendo di aver trovato una soluzione per "sanare" la posizione di una serie di suoi funzionari che, da svariati anni, svolgono «egregiamente» «incarichi dirigenziali» (T.A.R. Lazio, Sez. II, Sentenza n. 07636/2011) e che ha annullato la delibera del Comitato di gestione dell'Agenzia delle Entrate con cui era stato modificato l'articolo 24 del Regolamento di amministrazione dell'Agenzia delle Entrate, consentendo il conferimento, fino al 31 dicembre 2010, mediante la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato con l'attribuzione dello stesso trattamento economico dei Dirigenti, di incarichi dirigenziali (che, secondo i giudici amministrativi, non si configurano come «incarichi di temporanea reggenza»), in favore di funzionari non in possesso della qualifica dirigenziale, motivando che «l'espletamento di mansioni superiori da parte di dipendenti pubblici, al di fuori di ipotesi tassativamente previste, è vietato dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, all'articolo 56, nel testo sostituito dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, articolo 25, e successivamente modificato prima dal decreto legislativo 29 ottobre 1998, n. 387, articolo 15 e poi dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, articolo 52, con conseguente nullità dell'atto di conferimento illegittimo» (T.A.R. Lazio, Sezione II, n. 06884/2011);
il principio posto a fondamento delle menzionate sentenze e che, invece, appare negato dal decreto-legge, oggetto del nostro esame, è quello consacrato dall'articolo 52 del decreto legislativo n. 165 del 2001, che stabilisce il principio secondo il quale «il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti nell'ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi, ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive. L'esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore o dell'assegnazione di incarichi di direzione»;
si può, quindi, affermare che la norma non fa che consentire all'Amministrazione di continuare, indisturbata, a conferire incarichi dirigenziali a propri funzionari sprovvisti dei requisiti per accedere alla Dirigenza, laddove, viceversa, da tempo, l'Agenzia delle Entrate avrebbe potuto risolvere i problemi relativi alle carenze di organico dirigenziale con il doveroso riconoscimento del diritto di accesso alle funzioni dirigenziali a quei suoi dipendenti, che, in quanto appartenenti ai ruoli più elevati della carriera direttiva ordinaria, ed a quelli che già Vicedirigenti, appartenendo all'VIII qualifica funzionale o alla VII con una certa anzianità di servizio, ai sensi dell'articolo 109 della legge n. 312 del 1980, avevano ed hanno il diritto di ricoprire i posti di Dirigente;
il T.A.R. Lazio ha dichiarato l'illegittimità del conferimento di incarichi dirigenziali in quanto contrastanti con la normativa citata ed inficiati da svariate figure di eccesso di potere, il decreto-legge in argomento vanifica il principio affermato dalla giurisprudenza e consente all'Agenzia delle Entrate di conferire, a suo piacimento, incarichi dirigenziali a chi Dirigente non è. Il che lede i diritti di coloro che, per le ragioni esposte, hanno il diritto di ricoprire i posti di Dirigente, con il conseguente ed inevitabile proliferare di azioni giudiziari con un inutile dispendio di denaro pubblico;
l'estensione della facoltà di espletare procedure concorsuali per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti anche air Agenzia del Territorio, delle Dogane e Amministrazione autonoma dei Monopoli, difficilmente potrà avvenire senza maggiori oneri a carico della finanza pubblica così come sostiene la clausola di invarianza degli oneri inserita,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di fare sì che le Agenzie fiscali risolvano i problemi relativi alle carenze di organico dirigenziale con il doveroso riconoscimento del diritto di accesso alle funzioni dirigenziali a quei suoi dipendenti, che, in quanto appartenenti ai ruoli più elevati della carriera direttiva ordinaria, ed a quelli che già Vice dirigenti, avevano ed hanno il diritto di ricoprire i posti di dirigente.
9/5109-AR/95.(Testo modificato nel corso della seduta).Paladini, Aniello Formisano.

La Camera,
premesso che:
il comma 2 dell'articolo 6 del provvedimento al nostro esame incide sulla disciplina del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES);
permane l'esigenza di modificare la disciplina di legge vigente in materia di gestione dei rifiuti nella regione Campania in modo da riattribuire espressamente anche ai comuni campani la competenza, non solo per le attività di raccolta, di spazzamento, di trasporto dei rifiuti e di smaltimento e recupero inerente alla raccolta differenziata, ma anche per quelle di accertamento e riscossione della TARSU e della TIA,

impegna il Governo

a prendere le opportune iniziative normative - anche in considerazione dell'entrata in vigore, a partire dal 1o gennaio 2013, della citata tassa comunale sui rifiuti - per la soppressione del comma 5-quater dell'articolo 11 del decreto-legge n. 195 del 2009, considerato che il mantenimento, anche se prorogato, del regime vigente delle competenze delle società provinciali in materia di accertamento e riscossione di TARSU e TIA, non è in linea con il riconoscimento ai comuni campani delle competenze in materia di gestione dei rifiuti nella fase transitoria.
9/5109-AR/96.Aniello Formisano, Palagiano, Barbato, Paladini.

La Camera,
premesso che:
il comma 2 dell'articolo 6 del provvedimento al nostro esame incide sulla disciplina del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES);
permane l'esigenza di modificare la disciplina di legge vigente in materia di gestione dei rifiuti nella regione Campania in modo da riattribuire espressamente anche ai comuni campani la competenza, non solo per le attività di raccolta, di spazzamento, di trasporto dei rifiuti e di smaltimento e recupero inerente alla raccolta differenziata, ma anche per quelle di accertamento e riscossione della TARSU e della TIA,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prendere le opportune iniziative normative - anche in considerazione dell'entrata in vigore, a partire dal 1o gennaio 2013, della citata tassa comunale sui rifiuti - per la soppressione del comma 5-quater dell'articolo 11 del decreto-legge n. 195 del 2009, considerato che il mantenimento, anche se prorogato, del regime vigente delle competenze delle società provinciali in materia di accertamento e riscossione di TARSU e TIA, non è in linea con il riconoscimento ai comuni campani delle competenze in materia di gestione dei rifiuti nella fase transitoria.
9/5109-AR/96.(Testo modificato nel corso della seduta).Aniello Formisano, Palagiano, Barbato, Paladini.

La Camera,
premesso che:
mentre la disciplina generale relativa all'imposta municipale unica (IMU) recata dal decreto legislativo n. 23 del 2011 stabiliva che l'aliquota dell'imposta municipale unica, prevista in via generale nella misura del 7,6 per mille, fosse ridotta alla metà (3,8 per mille) per gli immobili locati, la disciplina in via sperimentale, di cui all'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, demanda ai comuni la scelta se stabilire una aliquota differenziata per tali immobili, con possibilità di scendere fino al 4 per mille;
la riduzione dell'aliquota al 4 per mille dell'IMU sugli immobili locati potrebbe aiutare un settore come quello delle locazioni che risente in misura significativa della congiuntura economica negativa;
le disposizioni di cui al comma 5 dell'articolo 4 escludono, tra l'altro, dal gettito IMU spettante allo Stato la quota di imposta dovuta sugli immobili delle cooperative edilizie a proprietà indivisa adibiti ad abitazione principale dei soci assegnatari, sugli alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di novellare l'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante la disciplina sperimentale dell'IMU, prevedendo in luogo della facoltà riconosciuta ai comuni, la riduzione ex lege dell'aliquota dell'imposta per gli immobili locati, con particolare riferimento a quelli a «canone concordato».
9/5109-AR/97.Piffari, Mura, Paladini.

La Camera,
premesso che:
per gli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, il provvedimento al nostro esame dopo le modifiche apportate all'articolo 4, commi 5, lettera b) e comma 5-septies, lettere a) e b) prevede la riduzione dell'imponibile IMU che passa dal 25 per cento (deciso dal Senato) al 35 per cento, così come la base imponibile per l'imposta sostitutiva sui canoni di locazione dei medesimi immobili;
le dimore storiche vincolate ai sensi della legge 1089 del 1939, che sino ad oggi hanno goduto di importanti benefìci:
sull'applicazione dell'ICI in misura ridotta;
sull'IRPEF che veniva applicata sulla rendita catastale e non sul reddito reale;
tutto ciò ha fatto sì che le dimore storiche in mano ai privati, dagli anni '90 in poi hanno potuto mantenersi innescando un processo di restauro e valorizzazione degli immobili che erano lentamente precipitati nel degrado e nell'abbandono, dando inizio ad un processo occupazionale di rilevanza nazionale che ha visto impegnato un notevole numero di specialisti in gran parte giovani (soprattutto restauratori eccetera) cosicché ad oggi la maggior parte degli edifici di pregio si presenta in discrete condizioni di mantenimento;
il possesso di un immobile vincolato presenta grossi problemi: nessuno è infatti proprietario al 100 per cento del bene, che sottoposto alla tutela dello Stato, tramite le Soprintendenze, viene limitato nell'uso e nell'adeguamento dello stesso a quelli che sono gli standard odierni di vivibilità e commercializzazione. Ad esempio, capita che venga impedito di installare un ascensore;
i costi che i proprietari devono affrontare e per la vivibilità stessa del bene e per il suo mantenimento, non sono certo quelli che un comune cittadino affronta per mantenere un appartamento anche se di lusso, in quanto sono commisurati alle dimensioni delle dimore stesse ed alla loro stessa natura;
il vincolo colpisce poi tutte le parti dell'immobile, anche quelle di nessun pregio architettonico così che anche le parti commerciali non possono facilmente essere adeguate alle esigenze degli affittuari, penalizzando i proprietari e limitandoli nelle locazioni. Peraltro la maggior parte degli immobili vincolati non si trovano in zone di pregio, la maggior parte di essi si trova nei centri storici ed in piccole strade con scarsa appetibilità commerciale. Il patrimonio artistico italiano, che tutti ci invidiano, è composto da un grande numero di immobili di pregio sparsi su tutto il territorio nazionale che i privati mantengono e restaurano in continuazione sacrificando il reddito, spesso anche modesto, che da essi deriva;
si deve rilevare una diversità di trattamento con le Fondazioni Bancarie, che in quanto ONLUS sono esentate dal pagamento dell'IMU,

impegna il Governo

a prendere tutte le possibili iniziative di carattere anche fiscali per agevolare i proprietari delle dimore storiche allo scopo di aiutarli nella loro opera di mantenimento di un prezioso patrimonio storico e culturale del nostro Paese.
9/5109-AR/98.Leoluca Orlando, Messina, Zazzera, Paladini.

La Camera,
premesso che:
per gli immobili riconosciuti di interesse storico o artistico, il provvedimento al nostro esame dopo le modifiche apportate all'articolo 4, commi 5, lettera b) e comma 5-septies, lettere a) e b) prevede la riduzione dell'imponibile IMU che passa dal 25 per cento (deciso dal Senato) al 35 per cento, così come la base imponibile per l'imposta sostitutiva sui canoni di locazione dei medesimi immobili;
le dimore storiche vincolate ai sensi della legge 1089 del 1939, che sino ad oggi hanno goduto di importanti benefìci:
sull'applicazione dell'ICI in misura ridotta;
sull'IRPEF che veniva applicata sulla rendita catastale e non sul reddito reale;
tutto ciò ha fatto sì che le dimore storiche in mano ai privati, dagli anni '90 in poi hanno potuto mantenersi innescando un processo di restauro e valorizzazione degli immobili che erano lentamente precipitati nel degrado e nell'abbandono, dando inizio ad un processo occupazionale di rilevanza nazionale che ha visto impegnato un notevole numero di specialisti in gran parte giovani (soprattutto restauratori eccetera) cosicché ad oggi la maggior parte degli edifici di pregio si presenta in discrete condizioni di mantenimento;
il possesso di un immobile vincolato presenta grossi problemi: nessuno è infatti proprietario al 100 per cento del bene, che sottoposto alla tutela dello Stato, tramite le Soprintendenze, viene limitato nell'uso e nell'adeguamento dello stesso a quelli che sono gli standard odierni di vivibilità e commercializzazione. Ad esempio, capita che venga impedito di installare un ascensore;
i costi che i proprietari devono affrontare e per la vivibilità stessa del bene e per il suo mantenimento, non sono certo quelli che un comune cittadino affronta per mantenere un appartamento anche se di lusso, in quanto sono commisurati alle dimensioni delle dimore stesse ed alla loro stessa natura;
il vincolo colpisce poi tutte le parti dell'immobile, anche quelle di nessun pregio architettonico così che anche le parti commerciali non possono facilmente essere adeguate alle esigenze degli affittuari, penalizzando i proprietari e limitandoli nelle locazioni. Peraltro la maggior parte degli immobili vincolati non si trovano in zone di pregio, la maggior parte di essi si trova nei centri storici ed in piccole strade con scarsa appetibilità commerciale. Il patrimonio artistico italiano, che tutti ci invidiano, è composto da un grande numero di immobili di pregio sparsi su tutto il territorio nazionale che i privati mantengono e restaurano in continuazione sacrificando il reddito, spesso anche modesto, che da essi deriva;
si deve rilevare una diversità di trattamento con le Fondazioni Bancarie, che in quanto ONLUS sono esentate dal pagamento dell'IMU,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prendere tutte le possibili iniziative di carattere anche fiscali per agevolare i proprietari delle dimore storiche allo scopo di aiutarli nella loro opera di mantenimento di un prezioso patrimonio storico e culturale del nostro Paese.
9/5109-AR/98.(Testo modificato nel corso della seduta).Leoluca Orlando, Messina, Zazzera, Paladini.

La Camera,
premesso che:
con il decreto-legge n. 70 del 2011 (cosiddetto «decreto sviluppo») diventato legge n. 106 del 2011 e il decreto-legge n. 98 del 2011 (cosiddetto «decreto stabilizzazione») diventato legge n. 111 del 2011, che hanno modificato l'articolo 29 del decreto-legge n. 78 del 2010 diventato legge n. 122 del 2010 l'avviso di accertamento diviene titolo esecutivo al pari della cartella esattoriale;
entrambi danno luogo a riscossione coattiva e possono essere oggetto di impugnazione e richiesta di sospensiva con differenti termini. Stante questa nuova disciplina, la cartella esattoriale non è più un atto obbligatorio per la riscossione del credito, l'amministrazione potrebbe limitarsi alla sola notifica dell'avviso di accertamento;
il contribuente che propone ricorso è tenuto ad anticipare il 30 per cento dell'importo oggetto di contestazione (quota ridotta dal 50 per cento previsto prima della riforma);
con l'attuale procedimento, risulta penalizzato il diritto di difesa, in quanto l'anticipo del 30 per cento della sanzione entro il termine di 60 giorni è un presupposto per propone ricorso, incompatibile con la presunzione d'innocenza;
il procedimento non prevede deroghe al pagamento: né a posteriori la facoltà di presentare un istanza di sospensione per danno grave e irreparabile (contemplata per le sole azioni esecutive) ne a priori un tetto massimo all'importo da anticipare in relazione al reddito dichiarato del contribuente, o presumibile da riferimenti normativi di settore;
viceversa, chi non propone ricorso, può chiedere all'agente di riscossione una dilazione e rateizzazione dei pagamenti;
in secondo luogo, caso unico nell'ordinamento, la legislazione introduce un termine di prescrizione alla durata dei ricorsi che si pone a svantaggio della difesa, in quanto si preclude al contribuente la sospensione delle azioni esecutive qualora il giudice tributario non si pronunci entro 180 giorni dalla presentazione dell'istanza,

impegna il Governo

a prendere le oppone iniziative, anche normative, per fare sì che qualora il contribuente vinca il primo grado di giudizio le somme versate (il 30 per cento del richiesto) siano rimborsate previa presentazione di un idonea fideiussione al fine di non penalizzare eccessivamente quei contribuenti che hanno molte probabilità di non dovere in definitiva pagare le somme richieste dall'Agenzia delle entrate.
9/5109-AR/99.Cimadoro, Borghesi, Piffari, Paladini.

La Camera,
premesso che:
con il decreto-legge n. 70 del 2011 (cosiddetto «decreto sviluppo») diventato legge n. 106 del 2011 e il decreto-legge n. 98 del 2011 (cosiddetto «decreto stabilizzazione») diventato legge n. 111 del 2011, che hanno modificato l'articolo 29 del decreto-legge n. 78 del 2010 diventato legge n. 122 del 2010 l'avviso di accertamento diviene titolo esecutivo al pari della cartella esattoriale;
entrambi danno luogo a riscossione coattiva e possono essere oggetto di impugnazione e richiesta di sospensiva con differenti termini. Stante questa nuova disciplina, la cartella esattoriale non è più un atto obbligatorio per la riscossione del credito, l'amministrazione potrebbe limitarsi alla sola notifica dell'avviso di accertamento;
il contribuente che propone ricorso è tenuto ad anticipare il 30 per cento dell'importo oggetto di contestazione (quota ridotta dal 50 per cento previsto prima della riforma);
con l'attuale procedimento, risulta penalizzato il diritto di difesa, in quanto l'anticipo del 30 per cento della sanzione entro il termine di 60 giorni è un presupposto per propone ricorso, incompatibile con la presunzione d'innocenza;
il procedimento non prevede deroghe al pagamento: né a posteriori la facoltà di presentare un istanza di sospensione per danno grave e irreparabile (contemplata per le sole azioni esecutive) ne a priori un tetto massimo all'importo da anticipare in relazione al reddito dichiarato del contribuente, o presumibile da riferimenti normativi di settore;
viceversa, chi non propone ricorso, può chiedere all'agente di riscossione una dilazione e rateizzazione dei pagamenti;
in secondo luogo, caso unico nell'ordinamento, la legislazione introduce un termine di prescrizione alla durata dei ricorsi che si pone a svantaggio della difesa, in quanto si preclude al contribuente la sospensione delle azioni esecutive qualora il giudice tributario non si pronunci entro 180 giorni dalla presentazione dell'istanza,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prendere le oppone iniziative, anche normative, per fare sì che qualora il contribuente vinca il primo grado di giudizio le somme versate (il 30 per cento del richiesto) siano rimborsate previa presentazione di un idonea fideiussione al fine di non penalizzare eccessivamente quei contribuenti che hanno molte probabilità di non dovere in definitiva pagare le somme richieste dall'Agenzia delle entrate.
9/5109-AR/99.(Testo modificato nel corso della seduta).Cimadoro, Borghesi, Piffari, Paladini.

La Camera,
premesso che:
la contabilità semplificata consente delle agevolazioni per i contribuenti sotto il profilo degli adempimenti contabili. Sono previste, infatti, delle semplificazioni rispetto al regime ordinario quali, ad esempio, l'esonero dall'obbligo di redigere il bilancio di esercizio e della tenuta del libro giornale;
sono obbligatori il registro IVA (fatture emesse, corrispettivi e fatture di acquisto), il registro dei beni ammortizzabili e il libro unico del lavoro, qualora il contribuente si avvalga, nell'attività d'impresa, di lavoratori dipendenti o assimilati;
ulteriori libri o registri possono essere richieste da leggi speciali con riferimento a specifiche attività svolte;
il regime di contabilità semplificata si applica fino a 600 milioni di lire di ricavi, per le imprese di servizi, e a un miliardo di lire di ricavi per le altre imprese;
il limite entro il quale scatta l'obbligo della tenuta della contabilità ordinaria è stato aggiornato l'ultima volta nel 2001,

impegna il Governo

a prendere le opportune iniziative legislative per innalzare i limiti dei ricavi sotto i quali i contribuenti possono accedere alla contabilità semplificata.
9/5109-AR/100.Mura, Borghesi, Paladini.

La Camera,
premesso che:
la contabilità semplificata consente delle agevolazioni per i contribuenti sotto il profilo degli adempimenti contabili. Sono previste, infatti, delle semplificazioni rispetto al regime ordinario quali, ad esempio, l'esonero dall'obbligo di redigere il bilancio di esercizio e della tenuta del libro giornale;
sono obbligatori il registro IVA (fatture emesse, corrispettivi e fatture di acquisto), il registro dei beni ammortizzabili e il libro unico del lavoro, qualora il contribuente si avvalga, nell'attività d'impresa, di lavoratori dipendenti o assimilati;
ulteriori libri o registri possono essere richieste da leggi speciali con riferimento a specifiche attività svolte;
il regime di contabilità semplificata si applica fino a 600 milioni di lire di ricavi, per le imprese di servizi, e a un miliardo di lire di ricavi per le altre imprese;
il limite entro il quale scatta l'obbligo della tenuta della contabilità ordinaria è stato aggiornato l'ultima volta nel 2001,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prendere le opportune iniziative legislative per innalzare i limiti dei ricavi sotto i quali i contribuenti possono accedere alla contabilità semplificata.
9/5109-AR/100.(Testo modificato nel corso della seduta).Mura, Borghesi, Paladini.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 7 della legge 29 novembre 2008, n. 185, «Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale», norma il pagamento dell'IVA al momento dell'effettiva riscossione del corrispettivo;
tale modalità di pagamento dell'IVA si applica ai soggetti con un volume d'affari annuo massimo di 200mila euro, e l'imposta diviene, comunque, esigibile dopo il decorso di un anno dal momento di effettuazione dell'operazione;
il pagamento dell'IVA che di norma avviene all'emissione della fattura, è una delle cause delle difficoltà economiche incontrate in questa fase di crisi economica dalle piccole e medie imprese che conoscono serie difficoltà a farsi accordare crediti dagli istituti bancari, che comunque hanno costi elevati;
nel gennaio di quest'anno, in Italia, il costo dei finanziamenti alle imprese (nuove operazioni) era di 1,3 punti percentuali più alto rispetto allo stesso mese del 2011 (passando dal 2,7 al 4 per cento), a parità di tasso di politica monetaria (1 per cento);
la procedura dei rimborsi IVA che le società maturano trimestralmente nei confronti dell'Erario attualmente risulta troppo articolata e molto onerosa per le aziende. La vigente legislazione in materia di crediti IVA, infatti, prevede, in virtù dell'articolo 8, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 542 del 1999, la possibilità di compensare il proprio credito IVA con le altre imposte dovute. Il limite di compensazione ammesso, già dall'anno 2001 e tuttora vigente, ha un plafond di 516.456,90 euro fissato dall'articolo 34 della legge n. 388 del 2000;
inoltre, a seguito di recenti introduzioni legislative entrate in vigore dal 1o gennaio 2010, detta procedura è stata resa ancora più onerosa, sia in termini di costi che in termini di tempi rendendoli ancora più diluiti, obbligando le aziende con crediti IVA superiori a 15 mila euro alla certificazione del credito da parte di professionisti abilitati i quali, al fine di rilasciare detta certificazione, debbono acquisire in azienda un grande volume di documenti fiscali da controllare. In sintesi, per i crediti IVA maturati nel corso dell'anno, l'attuale normativa consente di utilizzare in compensazione solo fino al tetto citato, mentre la differenza viene chiesta a rimborso la cui liquidazione, una volta completata la presentazione della documentazione prevista, corredata di apposita ed onerosa polizza fideiussoria atta a garantire il credito chiesto a rimborso, genera tempi di attesa enormi che attualmente si aggirano intorno ai 18-24 mesi, tempi che penalizzano fortemente le aziende costringendole ad anticipare le proprie risorse finanziarie, o a dover ricorrere al credito bancario per far fronte agli impegni gestionali;
un altro elemento che penalizza fortemente le PMI in termini di liquidità disponibile concerne il pagamento dell'IVA su fatture emesse ma non effettivamente riscosse. Occorre, dunque, rendere permanente per i piccoli operatori economici il pagamento dell'IVA al momento dell'effettiva riscossione del corrispettivo modificando l'articolo 7 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, che prevedeva la sospensione del pagamento dell'IVA solo per un anno, ed aumentare il volume d'affari massimo (200 mila euro) previsto per l'applicazione della norma,

impegna il Governo:

a provvedere ad una riforma strutturale di tutta la procedura dei rimborsi dei crediti IVA, prendendo in considerazione l'ipotesi di aumentare l'attuale limite della compensazione almeno per quelle imprese che abitualmente, proprio in virtù del meccanismo suddetto, si trovano sistematicamente con un credito IVA infrannuale;
a prendere le opportune iniziative, anche normative, per rendere permanente per i piccoli operatori economici il pagamento dell'IVA al momento dell'effettiva riscossione del corrispettivo, e ad aumentare il volume d'affari massimo per questa modalità di pagamento dell'IVA.
9/5109-AR/101.Monai, Cimadoro, Paladini.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 7 della legge 29 novembre 2008, n. 185, «Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale», norma il pagamento dell'IVA al momento dell'effettiva riscossione del corrispettivo;
tale modalità di pagamento dell'IVA si applica ai soggetti con un volume d'affari annuo massimo di 200mila euro, e l'imposta diviene, comunque, esigibile dopo il decorso di un anno dal momento di effettuazione dell'operazione;
il pagamento dell'IVA che di norma avviene all'emissione della fattura, è una delle cause delle difficoltà economiche incontrate in questa fase di crisi economica dalle piccole e medie imprese che conoscono serie difficoltà a farsi accordare crediti dagli istituti bancari, che comunque hanno costi elevati;
nel gennaio di quest'anno, in Italia, il costo dei finanziamenti alle imprese (nuove operazioni) era di 1,3 punti percentuali più alto rispetto allo stesso mese del 2011 (passando dal 2,7 al 4 per cento), a parità di tasso di politica monetaria (1 per cento);
la procedura dei rimborsi IVA che le società maturano trimestralmente nei confronti dell'Erario attualmente risulta troppo articolata e molto onerosa per le aziende. La vigente legislazione in materia di crediti IVA, infatti, prevede, in virtù dell'articolo 8, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 542 del 1999, la possibilità di compensare il proprio credito IVA con le altre imposte dovute. Il limite di compensazione ammesso, già dall'anno 2001 e tuttora vigente, ha un plafond di 516.456,90 euro fissato dall'articolo 34 della legge n. 388 del 2000;
inoltre, a seguito di recenti introduzioni legislative entrate in vigore dal 1o gennaio 2010, detta procedura è stata resa ancora più onerosa, sia in termini di costi che in termini di tempi rendendoli ancora più diluiti, obbligando le aziende con crediti IVA superiori a 15 mila euro alla certificazione del credito da parte di professionisti abilitati i quali, al fine di rilasciare detta certificazione, debbono acquisire in azienda un grande volume di documenti fiscali da controllare. In sintesi, per i crediti IVA maturati nel corso dell'anno, l'attuale normativa consente di utilizzare in compensazione solo fino al tetto citato, mentre la differenza viene chiesta a rimborso la cui liquidazione, una volta completata la presentazione della documentazione prevista, corredata di apposita ed onerosa polizza fideiussoria atta a garantire il credito chiesto a rimborso, genera tempi di attesa enormi che attualmente si aggirano intorno ai 18-24 mesi, tempi che penalizzano fortemente le aziende costringendole ad anticipare le proprie risorse finanziarie, o a dover ricorrere al credito bancario per far fronte agli impegni gestionali;
un altro elemento che penalizza fortemente le PMI in termini di liquidità disponibile concerne il pagamento dell'IVA su fatture emesse ma non effettivamente riscosse. Occorre, dunque, rendere permanente per i piccoli operatori economici il pagamento dell'IVA al momento dell'effettiva riscossione del corrispettivo modificando l'articolo 7 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, che prevedeva la sospensione del pagamento dell'IVA solo per un anno, ed aumentare il volume d'affari massimo (200 mila euro) previsto per l'applicazione della norma,

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità di:
provvedere ad una riforma strutturale di tutta la procedura dei rimborsi dei crediti IVA, prendendo in considerazione l'ipotesi di aumentare l'attuale limite della compensazione almeno per quelle imprese che abitualmente, proprio in virtù del meccanismo suddetto, si trovano sistematicamente con un credito IVA infrannuale;
prendere le opportune iniziative, anche normative, per rendere permanente per i piccoli operatori economici il pagamento dell'IVA al momento dell'effettiva riscossione del corrispettivo, e ad aumentare il volume d'affari massimo per questa modalità di pagamento dell'IVA.
9/5109-AR/101.(Testo modificato nel corso della seduta).Monai, Cimadoro, Paladini.

La Camera,
premesso che:
la nuova imposta sugli immobili, inaugurata dal primo decreto-legge dell'attuale Governo e modificata dal provvedimento in titolo, prevede per quelli adibiti a primaria abitazione una riduzione forfetaria di 200 euro per tutti i proprietari e un'ulteriore riduzione per il nucleo familiare dotato di figli ivi residenti, i quali «valgono», ciascuno, 50 euro, fino ad un massimo di quattro figli;
la riduzione forfetaria agisce, per così dire, indistintamente sui soggetti passivi dell'imposta, mentre quella ulteriore tiene conto degli abitanti dell'immobile, agevolando esclusivamente il nucleo familiare con figli, a scapito, tra gli altri, dei soggetti passivi anziani, per i quali la presenza di figli residenti entro il 26o anno di età si fa remota;
la natura della nuova imposta, mutuata dalla vecchia ICI, nulla ha a che vedere con il reddito dei proprietari né con il loro patrimonio ma è una tassa sulla proprietà che, ove si intenda applicarla, deve prescindere da tutto il «contorno»: dunque, gli unici interventi agevolativi ammissibili dovrebbero avere a che fare esclusivamente con il valore degli immobili, determinato dalla loro rendita catastale; anche l'accatastamento nelle varie categorie non dà sufficientemente il valore di un immobile - l'esempio classico è la categoria A/3, anziché A/1 (la categoria più alta per gli immobili residenziali) di tante bellissime case dei centri storici delle grandi città, Roma in primis, che invece hanno una rendita catastale altissima;
in ordine alla determinazione di sgravi dall'imposta, è possibile prevedere, per gli immobili «prima casa», una distribuzione più equa, più in linea con le peculiarità dell'IMU e che mantenga il criterio della progressività cui è improntato il nostro ordinamento fiscale,

impegna il Governo

nell'ambito delle competenze sue proprie e di quelle disposte dal Parlamento ai sensi dell'articolo 4, comma 5, lettera h) del provvedimento in titolo, a valutare l'opportunità di procedere alla modifica dell'aliquota IMU sulle prime case attraverso una riduzione percentuale della medesima aliquota che tenga conto del valore delle rendite catastali degli immobili, prevedendo una riduzione decrescente dell'aliquota al crescere delle rendite catastali.
9/5109-AR/102.Porcino, Piffari, Favia, Paladini.

La Camera,
premesso che:
con una modifica all'articolo 4 del provvedimento al nostro esame, si prevede che, limitatamente all'anno 2012, i contribuenti effettuino il pagamento dell'imposta dovuta per l'abitazione principale e per le relative pertinenze in tre rate di cui la prima e la seconda in misura ciascuna pari ad un terzo dell'imposta calcolata applicando l'aliquota di base e la detrazione previste, da corrispondere rispettivamente entro il 16 giugno e il 16 settembre; la terza rata è versata, entro il 16 dicembre, a saldo dell'imposta complessivamente dovuta per l'intero anno con conguaglio sulle precedenti rate;
la rateizzazione in tre tranche del pagamento dell'IMU è senz'altro un vantaggio per le famiglie, però essa determina un minor flusso finanziario per i Comuni che può creare molti problemi come denunciato dall'ANCI e da numerosi sindaci;
secondo alcuni di loro, servirebbero meccanismi compensativi che consentano ai comuni di avere una certezza di flussi finanziari. Essi suggeriscono, ad esempio, che la prima rata sia trattenuta al 100 per cento dai comuni, la seconda al 50 per cento e la terza direttamente alla Stato a conguaglio;
queste misure consentirebbe ai comuni di affrontare i problemi con più serenità,

impegna il Governo

a prendere le opportune iniziative al fine di non penalizzare l'attività dei comuni garantendo loro i necessari flussi finanziari per l'anno 2012.
9/5109-AR/103.Favia, Mura, Borghesi, Paladini.

La Camera,
premesso che:
con una modifica all'articolo 4 del provvedimento al nostro esame, si prevede che, limitatamente all'anno 2012, i contribuenti effettuino il pagamento dell'imposta dovuta per l'abitazione principale e per le relative pertinenze in tre rate di cui la prima e la seconda in misura ciascuna pari ad un terzo dell'imposta calcolata applicando l'aliquota di base e la detrazione previste, da corrispondere rispettivamente entro il 16 giugno e il 16 settembre; la terza rata è versata, entro il 16 dicembre, a saldo dell'imposta complessivamente dovuta per l'intero anno con conguaglio sulle precedenti rate;
la rateizzazione in tre tranche del pagamento dell'IMU è senz'altro un vantaggio per le famiglie, però essa determina un minor flusso finanziario per i Comuni che può creare molti problemi come denunciato dall'ANCI e da numerosi sindaci;
secondo alcuni di loro, servirebbero meccanismi compensativi che consentano ai comuni di avere una certezza di flussi finanziari. Essi suggeriscono, ad esempio, che la prima rata sia trattenuta al 100 per cento dai comuni, la seconda al 50 per cento e la terza direttamente alla Stato a conguaglio;
queste misure consentirebbe ai comuni di affrontare i problemi con più serenità,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prendere iniziative al fine di non penalizzare l'attività dei comuni garantendo loro i necessari flussi finanziari per l'anno 2012.
9/5109-AR/103.(Testo modificato nel corso della seduta).Favia, Mura, Borghesi, Paladini.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento in titolo stabilisce che il bando che aveva indetto la gara secondo la procedura del beauty contest viene annullato ed i diritti d'uso delle frequenze in banda televisiva, di cui al bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale serie speciale n. 80/2011 sono assegnati mediante pubblica gara, che verrà indetta dal Ministero dello sviluppo economico, entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge;
il provvedimento in titolo rimette, altresì, all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il compito di adottare le nuove regole di gara, sentiti i competenti Uffici dell'Unione Europea;
in particolare si prevede che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dovrà attenersi ai seguenti principi criteri e principi direttivi: 1) aggiudicazione all'offerta economica più elevata, anche mediante rilanci competitivi; 2) separazione verticale fra i fornitori di programmi e gli operatori di rete assegnatari, tenuti a consentire l'accesso dei primi a condizioni eque e non discriminatorie; 3) fissazione dei criteri e delle priorità per favorire i fornitori di programmi nuovi entranti e l'innovazione tecnologica; 4) composizione ottimale dei diversi lotti di frequenze messe a gara e modulazione della durata dei diritti d'uso delle singole frequenze, in modo da garantire la tempestiva destinazione delle frequenze interessate secondo la disciplina dello spettro radio stabilita dalla Commissione europea, con particolare riguardo agli obiettivi della agenda digitale e quindi della banda ultra larga mobile;
il provvedimento in titolo, quindi, assegna all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - come anche al Ministero dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti - responsabilità di fondamentale rilevanza al fine di garantire la concorrenza, l'uso efficiente e la valorizzazione dello spettro radio;
alla luce di quanto precede appare quanto mai urgente porre in essere ogni atto di competenza affinché la nomina dei componenti dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sia rappresentativa di un organo realmente indipendente;
come noto, il principio fondamentale alla base dell'idea degli enti di controllo esterni è che essi siano, come si è detto, indipendenti, soprattutto da interessi politici ed economici rilevanti. Tuttavia, nel nostro Paese, i membri di questi enti sono scelti direttamente dal Parlamento e persino direttamente dal Governo, venendo meno, di fatto, il principio di «indipendenza»;
l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni non fa eccezione. Infatti i suoi commissari sono eletti per metà dalla Camera dei Deputati e per metà dal Senato della Repubblica, mentre il Presidente viene proposto direttamente dal Presidente del Consiglio. Per questo motivo, una parte autorevole della dottrina ha qualificato l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni come un'autorità semindipendente. Infatti, un'autorità amministrativa indipendente è tale se non è subordinata gerarchicamente né politicamente ai Ministeri;
nelle more di una riforma delle norme vigenti che disciplinano la nomina dei Commissari e del Presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è necessario evitare che un puro e semplice rinnovo dei suoi componenti si traduca nell'automatica ripetizione di quanto accaduto in passato;
al contrario, è ancora possibile dare al Paese un importante segnale di discontinuità, mettendo in primo piano l'esigenza di una forte trasparenza nel procedimento di nomina rispetto ai rituali e ai conciliaboli che sono stati da sempre lo strumento attraverso cui Governo e Parlamento si sono garantiti sempre il controllo dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;
al riguardo, sarebbe auspicabile procedere al rinnovo degli attuali componenti secondo modalità analoghe a quelle previste dal Parlamento europeo per l'esame dei candidati designati a membri della Commissione europea. A tal fine, il Parlamento dovrebbe essere posto in condizione di esaminare, previa selezione delle candidature pervenute, i curricula di esponenti provenienti dalla società civile, affinché possa procedere con audizioni al fine di verificare che i candidati siano in possesso dei necessari, requisiti di professionalità, competenza, esperienza, autorevolezza e prestigio, e che i medesimi non si trovino in situazioni di conflitto di interessi con l'incarico che sarebbero chiamati a ricoprire. Analoghe procedure di terzietà e trasparenza dovrebbe seguire il Governo, e segnatamente il Presidente del Consiglio, per esprimere la proposta di nomina di propria competenza;
in tale contesto appare altresì improcrastinabile un impegno di tutti i soggetti interessati affinché non siano indicate a ricoprire la carica di componente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni persone che ricoprano, o abbiano ricoperto, incarichi politici, parlamentari o di Governo;
sarebbe pertanto indispensabile l'avvio, in tempi rapidi e nelle opportune sedi parlamentari, di una procedura selettiva delle candidature per il rinnovo delle nomine dei componenti all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni a tutti i cittadini aventi i requisiti per la nomina a giudice costituzionale ai sensi dell'articolo 135, secondo comma, della Costituzione o, comunque, a personalità di riconosciuto prestigio e competenza professionale nel settore e di notoria indipendenza di comportamenti, che si siano distinte in attività economiche, scientifiche, giuridiche, della cultura umanistica o della comunicazione sociale, maturandovi significative esperienze manageriali, valutando l'opportunità di escludere quanti, in ogni caso, abbiano ricoperto o ricoprano incarichi partitici, parlamentari o governativi, onde dare un segnale chiaro di trasparenza,

impegna il Governo

ad adottare con la massima sollecitudine iniziative, anche normative, atte a rendere possibile quanto enunciato in premessa e comunque a consentire, in tempi brevissimi, il rinnovo delle nomine dei componenti dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni di sua competenza secondo modalità di esame trasparente delle candidature.
9/5109-AR/104.Evangelisti, Borghesi, Di Pietro, Paladini.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento in titolo stabilisce che il bando che aveva indetto la gara secondo la procedura del beauty contest viene annullato ed i diritti d'uso delle frequenze in banda televisiva, di cui al bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale serie speciale n. 80/2011 sono assegnati mediante pubblica gara, che verrà indetta dal Ministero dello sviluppo economico, entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge;
il provvedimento in titolo rimette, altresì, all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il compito di adottare le nuove regole di gara, sentiti i competenti Uffici dell'Unione Europea;
in particolare si prevede che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dovrà attenersi ai seguenti principi criteri e principi direttivi: 1) aggiudicazione all'offerta economica più elevata, anche mediante rilanci competitivi; 2) separazione verticale fra i fornitori di programmi e gli operatori di rete assegnatari, tenuti a consentire l'accesso dei primi a condizioni eque e non discriminatorie; 3) fissazione dei criteri e delle priorità per favorire i fornitori di programmi nuovi entranti e l'innovazione tecnologica; 4) composizione ottimale dei diversi lotti di frequenze messe a gara e modulazione della durata dei diritti d'uso delle singole frequenze, in modo da garantire la tempestiva destinazione delle frequenze interessate secondo la disciplina dello spettro radio stabilita dalla Commissione europea, con particolare riguardo agli obiettivi della agenda digitale e quindi della banda ultra larga mobile;
il provvedimento in titolo, quindi, assegna all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - come anche al Ministero dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti - responsabilità di fondamentale rilevanza al fine di garantire la concorrenza, l'uso efficiente e la valorizzazione dello spettro radio;
alla luce di quanto precede appare quanto mai urgente porre in essere ogni atto di competenza affinché la nomina dei componenti dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sia rappresentativa di un organo realmente indipendente;
come noto, il principio fondamentale alla base dell'idea degli enti di controllo esterni è che essi siano, come si è detto, indipendenti, soprattutto da interessi politici ed economici rilevanti. Tuttavia, nel nostro Paese, i membri di questi enti sono scelti direttamente dal Parlamento e persino direttamente dal Governo, venendo meno, di fatto, il principio di «indipendenza»;
l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni non fa eccezione. Infatti i suoi commissari sono eletti per metà dalla Camera dei Deputati e per metà dal Senato della Repubblica, mentre il Presidente viene proposto direttamente dal Presidente del Consiglio. Per questo motivo, una parte autorevole della dottrina ha qualificato l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni come un'autorità semindipendente. Infatti, un'autorità amministrativa indipendente è tale se non è subordinata gerarchicamente né politicamente ai Ministeri;
nelle more di una riforma delle norme vigenti che disciplinano la nomina dei Commissari e del Presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è necessario evitare che un puro e semplice rinnovo dei suoi componenti si traduca nell'automatica ripetizione di quanto accaduto in passato;
al contrario, è ancora possibile dare al Paese un importante segnale di discontinuità, mettendo in primo piano l'esigenza di una forte trasparenza nel procedimento di nomina rispetto ai rituali e ai conciliaboli che sono stati da sempre lo strumento attraverso cui Governo e Parlamento si sono garantiti sempre il controllo dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;
al riguardo, sarebbe auspicabile procedere al rinnovo degli attuali componenti secondo modalità analoghe a quelle previste dal Parlamento europeo per l'esame dei candidati designati a membri della Commissione europea. A tal fine, il Parlamento dovrebbe essere posto in condizione di esaminare, previa selezione delle candidature pervenute, i curricula di esponenti provenienti dalla società civile, affinché possa procedere con audizioni al fine di verificare che i candidati siano in possesso dei necessari, requisiti di professionalità, competenza, esperienza, autorevolezza e prestigio, e che i medesimi non si trovino in situazioni di conflitto di interessi con l'incarico che sarebbero chiamati a ricoprire. Analoghe procedure di terzietà e trasparenza dovrebbe seguire il Governo, e segnatamente il Presidente del Consiglio, per esprimere la proposta di nomina di propria competenza;
in tale contesto appare altresì improcrastinabile un impegno di tutti i soggetti interessati affinché non siano indicate a ricoprire la carica di componente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni persone che ricoprano, o abbiano ricoperto, incarichi politici, parlamentari o di Governo;
sarebbe pertanto indispensabile l'avvio, in tempi rapidi e nelle opportune sedi parlamentari, di una procedura selettiva delle candidature per il rinnovo delle nomine dei componenti all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni a tutti i cittadini aventi i requisiti per la nomina a giudice costituzionale ai sensi dell'articolo 135, secondo comma, della Costituzione o, comunque, a personalità di riconosciuto prestigio e competenza professionale nel settore e di notoria indipendenza di comportamenti, che si siano distinte in attività economiche, scientifiche, giuridiche, della cultura umanistica o della comunicazione sociale, maturandovi significative esperienze manageriali, valutando l'opportunità di escludere quanti, in ogni caso, abbiano ricoperto o ricoprano incarichi partitici, parlamentari o governativi, onde dare un segnale chiaro di trasparenza,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare con la massima sollecitudine iniziative, anche normative, atte a rendere possibile quanto enunciato in premessa e comunque a consentire, in tempi brevissimi, il rinnovo delle nomine dei componenti dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni di sua competenza secondo modalità di esame trasparente delle candidature.
9/5109-AR/104.(Testo modificato nel corso della seduta).Evangelisti, Borghesi, Di Pietro, Paladini.

La Camera,
premesso che:
i dati Istat sulla pressione fiscale che attanaglia il Paese analizzati dalla Cgia di Mestre per il 2012 lasciano intravedere una crescita esponenziale che, in Italia, porterà il carico fiscale a toccare quota 45 per cento;
con una incidenza sul Pil passata dai 31,4 punti percentuali registrati nel 1980 al 42,5 per cento nell'anno 2011, il carico su contribuenti e imprese di casa nostra è aumentato di oltre 11 punti percentuali rendendo, di fatto, l'Italia una delle nazioni più sottoposte a pressione fiscale d'Europa;
ad incidere su queste previsioni, l'introduzione dell'Imu, il ritocco delle addizionali Irpef, l'aumento delle accise sui carburanti ma anche dell'Iva e del prelievo sui Titoli di Stato che, stando alle analisi condotte, contribuiranno a rendere il 2012 ancor più pesante dell'anno 1997, da molti ricordato per una pressione fiscale «fuori controllo» al 43,4 per cento;
per converso, l'Agenzia delle entrate stima l'evasione fiscale in Italia in 120 miliardi di euro l'anno e non di imponibile evaso, ma di imposte evase;
secondo le stime dell'Unione europea quasi un quarto dell'imposta sul valore aggirato (IVA), che può rappresentare il termometro dell'evasione nel suo complesso, in Italia viene evaso. Per dare un'idea del raffronto con gli altri principali Paesi europei, a fronte del quarto di IVA evaso in Italia, siamo al 10 per cento evaso in Germania, al 7 per cento evaso in Francia e al 3 per cento, inarrivabile, evaso in Olanda;
è evidente che, in un momento di straordinaria crisi economica quale è quella che stiamo vivendo, con sacrifici crescenti e pesantissimi che si stanno chiedendo a tutti i cittadini italiani, ai lavoratori, alle famiglie e ai pensionati, non intervenire da parte del Governo e del Parlamento con ancora maggiori decisione e determinazione nello stroncare la piaga dell'evasione fiscale sarebbe oggi incomprensibile e intollerabile;
l'evasione fiscale in Italia rappresenta una gravissima alterazione del mercato e dell'intero sistema economico e provoca danni ingenti alle imprese, che si trovano, di fatto, a competere in un mercato gravemente distorto, alle famiglie che devono fare i conti con un prelievo eccessivo e servizi scadenti e, in definitiva, allo stesso Stato;
nella situazione presente di crisi e di necessità per il nostro Paese di ridurre il deficit ed il debito dei conti pubblici con misure drastiche e pesanti per tutti i cittadini, i costi dell'evasione fiscale e della corruzione divengono ancor più insopportabili;
la lotta all'evasione non deve rappresentare, però, uno strumento per aumentare il gettito, ma per la redistribuzione dell'incremento del gettito fiscale a favore di chi le tasse le paga. Solo restituendo gli introiti dell'evasione recuperata, in forma di minori aliquote, si può dare un senso di maggior equità. Deve essere scritto un nuovo patto d'onore tra lo Stato ed i contribuenti, inserendo una norma-quadro vincolante nello Statuto dei diritti del contribuente: ogni euro di maggiore entrata derivante dalla lotta all'evasione deve corrispondere ad un euro di minor imposta,

impegna il Governo

a prendere le opportune iniziative, anche legislative, per fare sì che le maggiori entrate derivanti dal contrasto all'evasione confluiscano interamente, a decorrere dall'anno fiscale 2013, nel fondo per la riduzione strutturale della pressione fiscale (previsto dal comma 36 dell'articolo 2 del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011), finalizzato alla riduzione degli oneri fiscali e contributivi gravanti sulle famiglie e sulle imprese, dando la priorità alla riduzione della pressione fiscale nei confronti delle famiglie e dei lavoratori dipendenti, e alla graduale deduzione del costo del lavoro dall'imponibile Irap.
9/5109-AR/105.Donadi, Borghesi, Evangelisti, Paladini.

La Camera,
premesso che:
i dati Istat sulla pressione fiscale che attanaglia il Paese analizzati dalla Cgia di Mestre per il 2012 lasciano intravedere una crescita esponenziale che, in Italia, porterà il carico fiscale a toccare quota 45 per cento;
con una incidenza sul Pil passata dai 31,4 punti percentuali registrati nel 1980 al 42,5 per cento nell'anno 2011, il carico su contribuenti e imprese di casa nostra è aumentato di oltre 11 punti percentuali rendendo, di fatto, l'Italia una delle nazioni più sottoposte a pressione fiscale d'Europa;
ad incidere su queste previsioni, l'introduzione dell'Imu, il ritocco delle addizionali Irpef, l'aumento delle accise sui carburanti ma anche dell'Iva e del prelievo sui Titoli di Stato che, stando alle analisi condotte, contribuiranno a rendere il 2012 ancor più pesante dell'anno 1997, da molti ricordato per una pressione fiscale «fuori controllo» al 43,4 per cento;
per converso, l'Agenzia delle entrate stima l'evasione fiscale in Italia in 120 miliardi di euro l'anno e non di imponibile evaso, ma di imposte evase;
secondo le stime dell'Unione europea quasi un quarto dell'imposta sul valore aggirato (IVA), che può rappresentare il termometro dell'evasione nel suo complesso, in Italia viene evaso. Per dare un'idea del raffronto con gli altri principali Paesi europei, a fronte del quarto di IVA evaso in Italia, siamo al 10 per cento evaso in Germania, al 7 per cento evaso in Francia e al 3 per cento, inarrivabile, evaso in Olanda;
è evidente che, in un momento di straordinaria crisi economica quale è quella che stiamo vivendo, con sacrifici crescenti e pesantissimi che si stanno chiedendo a tutti i cittadini italiani, ai lavoratori, alle famiglie e ai pensionati, non intervenire da parte del Governo e del Parlamento con ancora maggiori decisione e determinazione nello stroncare la piaga dell'evasione fiscale sarebbe oggi incomprensibile e intollerabile;
l'evasione fiscale in Italia rappresenta una gravissima alterazione del mercato e dell'intero sistema economico e provoca danni ingenti alle imprese, che si trovano, di fatto, a competere in un mercato gravemente distorto, alle famiglie che devono fare i conti con un prelievo eccessivo e servizi scadenti e, in definitiva, allo stesso Stato;
nella situazione presente di crisi e di necessità per il nostro Paese di ridurre il deficit ed il debito dei conti pubblici con misure drastiche e pesanti per tutti i cittadini, i costi dell'evasione fiscale e della corruzione divengono ancor più insopportabili;
la lotta all'evasione non deve rappresentare, però, uno strumento per aumentare il gettito, ma per la redistribuzione dell'incremento del gettito fiscale a favore di chi le tasse le paga. Solo restituendo gli introiti dell'evasione recuperata, in forma di minori aliquote, si può dare un senso di maggior equità. Deve essere scritto un nuovo patto d'onore tra lo Stato ed i contribuenti, inserendo una norma-quadro vincolante nello Statuto dei diritti del contribuente: ogni euro di maggiore entrata derivante dalla lotta all'evasione deve corrispondere ad un euro di minor imposta,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prendere iniziative, anche legislative, per fare sì che le maggiori entrate derivanti dal contrasto all'evasione confluiscano interamente, a decorrere dall'anno fiscale 2013, nel fondo per la riduzione strutturale della pressione fiscale (previsto dal comma 36 dell'articolo 2 del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011), finalizzato alla riduzione degli oneri fiscali e contributivi gravanti sulle famiglie e sulle imprese, dando la priorità alla riduzione della pressione fiscale nei confronti delle famiglie e dei lavoratori dipendenti, e alla graduale deduzione del costo del lavoro dall'imponibile Irap.
9/5109-AR/105.(Testo modificato nel corso della seduta).Donadi, Borghesi, Evangelisti, Paladini.

La Camera,
premesso che:
in ordine all'imposta definita «IMU», l'articolo 4 del provvedimento al nostro esame - segnatamente al comma 5, lettere d ed h) - affida ad una fonte di rango secondario (o «subprimario») successivi decreti del presidente del Consiglio dei ministri la modifica, rispettivamente, dell'aliquota da applicare ai fabbricati rurali ed ai terreni agricoli e la modifica delle aliquote, delle relative variazioni e della detrazione stabilite dalla normativa vigente sugli immobili adibiti ad abitazione principale;
il successivo intervento del Governo è potenziale, in quanto subordinato ai risultati di gettito derivanti dalla prima rata della medesima imposta e dall'accatastamento dei fabbricati rurali, risultati non debitamente quantificati, solo menzionati nella relazione del Governo;
l'articolo 23 della Costituzione italiana stabilisce che «Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.»: la riserva di legge assolve una funzione garantistica, in quanto è solo la legge, volontà del Parlamento, che può pretendere le imposte dai cittadini, è solo la legge che ha il potere di imporre un tributo; la riserva di legge assolve una funzione strutturale, in quanto sono solo i rappresentanti dei cittadini, da lui democraticamente scelti, che determinano la distribuzione politica del carico fiscale;
i provvedimenti del Governo possono intervenire a specificare la norma di legge negli aspetti tecnici: nel caso di riserva di legge relativa, quale è il caso dell'articolo 23 della Costituzione e, dunque, delle prestazioni patrimoniali, la legge disciplina gli aspetti essenziali - presupposto, ambito soggettivo, aliquote, base imponibile - mentre la disciplina di grado inferiore potrà integrare gli aspetti squisitamente tecnici; si può arrivare a prevedere che il legislatore preveda dei limiti massimi e minimi per la determinazione delle aliquote, mentre i provvedimenti del Governo potranno stabilirle nello specifico, ma neanche a tale fattispecie può ascriversi il dettato di cui al suddetto comma 5, lettera h), che affida ad uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri la potestà di introdurre anche nuove aliquote e di modificarne l'ambito soggettivo;
ne risultano: una prestazione patrimoniale affidata, nella definizione della sua entità e nel suo ambito, ad un organo privo della debita potestà; il contribuente sottoposto all'irritualità dell'incertezza circa l'entità della prestazione patrimoniale che gli sarà richiesta, la violazione della riserva di legge relativa di cui all'articolo 23 della Costituzione in ordine alla potestà assegnata al Governo di determinare la distribuzione politica del carico fiscale,

impegna il Governo

alla luce della riserva di legge sancita dall'articolo 23 della Costituzione, a prendere le opportune iniziative anche normative, al fine di specificare ulteriormente i limiti entro i quali è possibile modificare l'importo delle aliquote di base dell'IMU e della relativa detrazione con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 4, commi da 5 a 5-octies.
9/5109-AR/106.Palomba, Favia, Donadi, Paladini.

La Camera,
premesso che:
in ordine all'imposta definita «IMU», l'articolo 4 del provvedimento al nostro esame - segnatamente al comma 5, lettere d ed h) - affida ad una fonte di rango secondario (o «subprimario») successivi decreti del presidente del Consiglio dei ministri la modifica, rispettivamente, dell'aliquota da applicare ai fabbricati rurali ed ai terreni agricoli e la modifica delle aliquote, delle relative variazioni e della detrazione stabilite dalla normativa vigente sugli immobili adibiti ad abitazione principale;
il successivo intervento del Governo è potenziale, in quanto subordinato ai risultati di gettito derivanti dalla prima rata della medesima imposta e dall'accatastamento dei fabbricati rurali, risultati non debitamente quantificati, solo menzionati nella relazione del Governo;
l'articolo 23 della Costituzione italiana stabilisce che «Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.»: la riserva di legge assolve una funzione garantistica, in quanto è solo la legge, volontà del Parlamento, che può pretendere le imposte dai cittadini, è solo la legge che ha il potere di imporre un tributo; la riserva di legge assolve una funzione strutturale, in quanto sono solo i rappresentanti dei cittadini, da lui democraticamente scelti, che determinano la distribuzione politica del carico fiscale;
i provvedimenti del Governo possono intervenire a specificare la norma di legge negli aspetti tecnici: nel caso di riserva di legge relativa, quale è il caso dell'articolo 23 della Costituzione e, dunque, delle prestazioni patrimoniali, la legge disciplina gli aspetti essenziali - presupposto, ambito soggettivo, aliquote, base imponibile - mentre la disciplina di grado inferiore potrà integrare gli aspetti squisitamente tecnici; si può arrivare a prevedere che il legislatore preveda dei limiti massimi e minimi per la determinazione delle aliquote, mentre i provvedimenti del Governo potranno stabilirle nello specifico, ma neanche a tale fattispecie può ascriversi il dettato di cui al suddetto comma 5, lettera h), che affida ad uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri la potestà di introdurre anche nuove aliquote e di modificarne l'ambito soggettivo;
ne risultano: una prestazione patrimoniale affidata, nella definizione della sua entità e nel suo ambito, ad un organo privo della debita potestà; il contribuente sottoposto all'irritualità dell'incertezza circa l'entità della prestazione patrimoniale che gli sarà richiesta, la violazione della riserva di legge relativa di cui all'articolo 23 della Costituzione in ordine alla potestà assegnata al Governo di determinare la distribuzione politica del carico fiscale,

impegna il Governo

alla luce della riserva di legge sancita dall'articolo 23 della Costituzione, a valutare l'opportunità di prendere le opportune iniziative anche normative, al fine di specificare ulteriormente i limiti entro i quali è possibile modificare l'importo delle aliquote di base dell'IMU e della relativa detrazione con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 4, commi da 5 a 5-octies.
9/5109-AR/106.(Testo modificato nel corso della seduta).Palomba, Favia, Donadi, Paladini.

La Camera,
premesso che:
contrariamente al recente passato, negli ultimi tempi l'evasione fiscale viene segnalata come un problema reale dalle istituzioni governative, dai media e da numerosi esponenti della politica e della cultura;
questa trasformazione, però, non può prodursi solamente per effetto della propaganda e della comunicazione di massa: ha bisogno di pratiche, comportamenti e interventi normativi precisi che da un lato mostrino ai cittadini l'effettivo impegno delle istituzioni preposte nel combattere l'evasione, dall'altro ottengano risultati concreti e tangibili nella prevenzione, nel contrasto e nel recupero dell'evasione;
questo Governo se non vuole al riguardo essere in sostanziale continuità con la politica di tolleranza dell'evasione del Governo precedente, deve decidere se davvero vuole mettere in campo una strategia d'attacco, o se si vuole continuare con i redditometri, una forma sotterranea di forfetizzazione;
quanto ai blitz, fanno parte di un apparato dimostrativo, utili a parte il fatto che non sono decisivi;
non si deve però continuare a confondere le persone, per esempio asserendo di avere recuperati dagli evasori 12-15 miliardi di euro. Queste somme recuperate non sono altro che il frutto dell'azione ordinaria dell'amministrazione. Accade ogni anno, e per metà è il risultato degli incroci telematici. In molti casi non si tratta di evasione, ma di errori dei contribuenti. Se fosse vero recupero non ci ritroveremmo ogni anno ad indignarci;
questo Governo non ha reintrodotto tutte le misure antievasione introdotte durante il Governo Prodi, ma solo l'elenco clienti e fornitori;
per una lotta efficace all'evasione ed all'elusione fiscale serve molto di più: le norme sulle costruzioni, quelle sulle professioni. La strategia deve essere ad ampio raggio: occorre scrutinare milioni di persone, che in media evadono somme medio-basse;
se si leggono gli andamenti degli ultimi 20 anni si scopre che molto è stato fatto dopo il '95, con il recupero di 4 punti di Pil, e nel 2007 con l'emersione di 3 punti di Pil solo dell'Iva. Dunque se si vuole si può fare;
occorre dunque ripristinare una serie di norme di lotta all'evasione e all'elusione fiscale abrogate nel corso dell'attuale legislatura e, segnatamente, le disposizioni relative:
1) alla responsabilità solidale tra appaltatore e subappaltatore;
2) all'elenco di clienti e fornitori;
3) alla trasmissione telematica all'Agenzia delle entrate dei corrispettivi giornalieri da parte delle imprese esercenti il commercio;
4) alle compensazioni effettuate dai titolari di partita IVA;
5) alla memorizzazione su supporto elettronico delle operazioni di cessione di beni e prestazioni di servizi tramite distributori automatici,

impegna il Governo:

a prendere le opportune iniziative normative al fine di ripristinare le norme di contrasto all'evasione illustrate in premessa.
9/5109-AR/107.Borghesi, Barbato, Messina, Paladini.

La Camera,
premesso che:
contrariamente al recente passato, negli ultimi tempi l'evasione fiscale viene segnalata come un problema reale dalle istituzioni governative, dai media e da numerosi esponenti della politica e della cultura;
questa trasformazione, però, non può prodursi solamente per effetto della propaganda e della comunicazione di massa: ha bisogno di pratiche, comportamenti e interventi normativi precisi che da un lato mostrino ai cittadini l'effettivo impegno delle istituzioni preposte nel combattere l'evasione, dall'altro ottengano risultati concreti e tangibili nella prevenzione, nel contrasto e nel recupero dell'evasione;
questo Governo se non vuole al riguardo essere in sostanziale continuità con la politica di tolleranza dell'evasione del Governo precedente, deve decidere se davvero vuole mettere in campo una strategia d'attacco, o se si vuole continuare con i redditometri, una forma sotterranea di forfetizzazione;
quanto ai blitz, fanno parte di un apparato dimostrativo, utili a parte il fatto che non sono decisivi;
non si deve però continuare a confondere le persone, per esempio asserendo di avere recuperati dagli evasori 12-15 miliardi di euro. Queste somme recuperate non sono altro che il frutto dell'azione ordinaria dell'amministrazione. Accade ogni anno, e per metà è il risultato degli incroci telematici. In molti casi non si tratta di evasione, ma di errori dei contribuenti. Se fosse vero recupero non ci ritroveremmo ogni anno ad indignarci;
questo Governo non ha reintrodotto tutte le misure antievasione introdotte durante il Governo Prodi, ma solo l'elenco clienti e fornitori;
per una lotta efficace all'evasione ed all'elusione fiscale serve molto di più: le norme sulle costruzioni, quelle sulle professioni. La strategia deve essere ad ampio raggio: occorre scrutinare milioni di persone, che in media evadono somme medio-basse;
se si leggono gli andamenti degli ultimi 20 anni si scopre che molto è stato fatto dopo il '95, con il recupero di 4 punti di Pil, e nel 2007 con l'emersione di 3 punti di Pil solo dell'Iva. Dunque se si vuole si può fare;
occorre dunque ripristinare una serie di norme di lotta all'evasione e all'elusione fiscale abrogate nel corso dell'attuale legislatura e, segnatamente, le disposizioni relative:
1) alla responsabilità solidale tra appaltatore e subappaltatore;
2) all'elenco di clienti e fornitori;
3) alla trasmissione telematica all'Agenzia delle entrate dei corrispettivi giornalieri da parte delle imprese esercenti il commercio;
4) alle compensazioni effettuate dai titolari di partita IVA;
5) alla memorizzazione su supporto elettronico delle operazioni di cessione di beni e prestazioni di servizi tramite distributori automatici,

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità di prendere le opportune iniziative normative al fine di ripristinare le norme di contrasto all'evasione illustrate in premessa.
9/5109-AR/107.(Testo modificato nel corso della seduta).Borghesi, Barbato, Messina, Paladini.

La Camera,
premesso che:
negli ultimi anni stiamo assistendo ad un'estesa fase di incentivazione e legalizzazione del gioco d'azzardo. Tutte queste forme di gioco sono ammesse nella maggior parte dei Paesi del mondo: l'indotto economico prodotto è colossale, con un sensibile impatto sociale, e costituisce a tutti gli effetti una fiorente industria (una della maggiori del pianeta per volume di denaro) soprattutto in Europa, Asia e Stati Uniti d'America;
anche in Italia il gioco d'azzardo e lo scommettere in generale (corse, lotterie eccetera) rappresentano un'attività assai praticata; non di meno, tale diffusione ha inevitabilmente comportato un incremento di soggetti precipitati nel vortice delle patologie legate a tale pratica;
infatti, quello che era stato inventato come un piacevole passatempo ha purtroppo prodotto in alcune persone forme di dipendenza patologiche del tutto simili all'abuso di alcolici o sostanze stupefacenti;
questi fenomeni sono influenzati sia dalla disponibilità del gioco d'azzardo che dalla durata della disponibilità. Ne consegue che con l'aumento dell'offerta e della disponibilità del gioco d'azzardo legalizzato vi è un correlato aumento di forme di gioco d'azzardo patologico;
non può non sollevare preoccupazioni la circostanza che negli ultimi 10-15 anni, anche per effetto dell'introduzione di sempre nuove forme di scommesse, lotterie e giochi elettronici, il fenomeno in Italia ha conosciuto una costante e forte espansione;
sarebbe opportuno introdurre il divieto di installazione dei sistemi di gioco d'azzardo elettronico (cosiddette slot-machine) in luoghi pubblici, o aperti al pubblico e nei circoli ed associazioni, nell'intento di rispondere a una pluralità di esigenze;
a livello individuale il divieto porrebbe rimedio ai gravi effetti che l'assuefazione a queste forme di gioco d'azzardo produce;
le frequenti ripetizioni di partite e di manovre sempre uguali rischiano di alienare il giocatore dalla realtà, assecondando lo strutturarsi nella sua psiche di comportamenti di natura compulsiva che si accompagnano a:
una crescente necessità di aumentare la disponibilità del denaro con cui si gioca per raggiungere i livelli di eccitazione desiderati;
ansia e irritabilità in mancanza di gioco d'azzardo;
un ricorso a comportamenti illegali quali furti, frodi eccetera;
una richiesta ad altri di denaro per affrontare i debiti da gioco;
perdita di relazioni importanti a causa del gioco;

a livello collettivo il tollerare queste forme di gioco d'azzardo non fa che assecondare la creazione di ambienti, che instaurano pericolosi legami con una criminalità organizzata che si è ormai impossessata della gestione di questa proficua attività, che genera essa stessa quella richiesta di liquidità che diviene poi facile preda di quell'usura gestita e controllata dalla criminalità organizzata medesima,

impegna il Governo

a prendere le opportune iniziative normative al fine di vietare l'installazione e l'utilizzo di slot machine all'interno dei locali pubblici e di prevedere la confisca per gli apparecchi e congegni per il gioco d'azzardo e per quelli per i quali non siano stati rilasciati i titoli autorizzatori previsti dalla normativa vigente o non rispondenti alle caratteristiche indicate dalla legge.
9/5109-AR/108.Palagiano, Barbato, Porcino, Paladini.

La Camera,
premesso che:
negli ultimi anni stiamo assistendo ad un'estesa fase di incentivazione e legalizzazione del gioco d'azzardo. Tutte queste forme di gioco sono ammesse nella maggior parte dei Paesi del mondo: l'indotto economico prodotto è colossale, con un sensibile impatto sociale, e costituisce a tutti gli effetti una fiorente industria (una della maggiori del pianeta per volume di denaro) soprattutto in Europa, Asia e Stati Uniti d'America;
anche in Italia il gioco d'azzardo e lo scommettere in generale (corse, lotterie eccetera) rappresentano un'attività assai praticata; non di meno, tale diffusione ha inevitabilmente comportato un incremento di soggetti precipitati nel vortice delle patologie legate a tale pratica;
infatti, quello che era stato inventato come un piacevole passatempo ha purtroppo prodotto in alcune persone forme di dipendenza patologiche del tutto simili all'abuso di alcolici o sostanze stupefacenti;
questi fenomeni sono influenzati sia dalla disponibilità del gioco d'azzardo che dalla durata della disponibilità. Ne consegue che con l'aumento dell'offerta e della disponibilità del gioco d'azzardo legalizzato vi è un correlato aumento di forme di gioco d'azzardo patologico;
non può non sollevare preoccupazioni la circostanza che negli ultimi 10-15 anni, anche per effetto dell'introduzione di sempre nuove forme di scommesse, lotterie e giochi elettronici, il fenomeno in Italia ha conosciuto una costante e forte espansione;
sarebbe opportuno introdurre il divieto di installazione dei sistemi di gioco d'azzardo elettronico (cosiddette slot-machine) in luoghi pubblici, o aperti al pubblico e nei circoli ed associazioni, nell'intento di rispondere a una pluralità di esigenze;
a livello individuale il divieto porrebbe rimedio ai gravi effetti che l'assuefazione a queste forme di gioco d'azzardo produce;
le frequenti ripetizioni di partite e di manovre sempre uguali rischiano di alienare il giocatore dalla realtà, assecondando lo strutturarsi nella sua psiche di comportamenti di natura compulsiva che si accompagnano a:
una crescente necessità di aumentare la disponibilità del denaro con cui si gioca per raggiungere i livelli di eccitazione desiderati;
ansia e irritabilità in mancanza di gioco d'azzardo;
un ricorso a comportamenti illegali quali furti, frodi eccetera;
una richiesta ad altri di denaro per affrontare i debiti da gioco;
perdita di relazioni importanti a causa del gioco;

a livello collettivo il tollerare queste forme di gioco d'azzardo non fa che assecondare la creazione di ambienti, che instaurano pericolosi legami con una criminalità organizzata che si è ormai impossessata della gestione di questa proficua attività, che genera essa stessa quella richiesta di liquidità che diviene poi facile preda di quell'usura gestita e controllata dalla criminalità organizzata medesima,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prendere le opportune iniziative normative al fine di vietare l'installazione e l'utilizzo di slot machine all'interno dei locali pubblici e di prevedere la confisca per gli apparecchi e congegni per il gioco d'azzardo e per quelli per i quali non siano stati rilasciati i titoli autorizzatori previsti dalla normativa vigente o non rispondenti alle caratteristiche indicate dalla legge.
9/5109-AR/108.(Testo modificato nel corso della seduta).Palagiano, Barbato, Porcino, Paladini.

La Camera,
premesso che:
all'articolo 4, comma 5-octies, del provvedimento in titolo sono stati introdotti opportuni benefici esentativi dell'imposta IMU per gli immobili del territorio abruzzese resi inagibili dal sisma dell'aprile 2009;
la giusta volontà di preservare cittadini già gravemente colpiti e di esentare dall'imposta immobili di proprietà inabitabili per cause di calamità scontra con la portata della norma, limitata, nell'applicazione, ad una esclusiva porzione di territorio nazionale;
le stesse problematiche si pongono per i cittadini molisani e pugliesi colpiti dal terremoto dell'ottobre 2002, in quanto la ricostruzione copre appena il 30 per cento degli edifici e la stragrande maggioranza degli immobili colpiti sono tutt'ora inagibili;
occorre evitare disparità di trattamento tra comuni e inique disuguaglianze tra cittadini che si trovano in condizioni identiche,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative, anche legislative, volte ad estendere i benefici disposti dall'articolo 4, comma 5-octies, del provvedimento in titolo ai territori molisani e pugliesi colpiti dal sisma del 31 ottobre 2002, individuati nell'OPCM n. 3253 del medesimo anno.
9/5109-AR/109.Rota, Di Pietro, Di Giuseppe, Paladini.

La Camera,
premesso che:
all'articolo 4, comma 5-octies, del provvedimento in titolo sono stati introdotti opportuni benefici esentativi dell'imposta IMU per gli immobili del territorio abruzzese resi inagibili dal sisma dell'aprile 2009;
la giusta volontà di preservare cittadini già gravemente colpiti e di esentare dall'imposta immobili di proprietà inabitabili per cause di calamità scontra con la portata della norma, limitata, nell'applicazione, ad una esclusiva porzione di territorio nazionale;
le stesse problematiche si pongono per i cittadini molisani e pugliesi colpiti dal terremoto dell'ottobre 2002, in quanto la ricostruzione copre appena il 30 per cento degli edifici e la stragrande maggioranza degli immobili colpiti sono tutt'ora inagibili;
occorre evitare disparità di trattamento tra comuni e inique disuguaglianze tra cittadini che si trovano in condizioni identiche,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare iniziative, anche legislative, volte ad estendere i benefici disposti dall'articolo 4, comma 5-octies, del provvedimento in titolo ai territori molisani e pugliesi colpiti dal sisma del 31 ottobre 2002, individuati nell'OPCM n. 3253 del medesimo anno.
9/5109-AR/109.(Testo modificato nel corso della seduta).Rota, Di Pietro, Di Giuseppe, Paladini.

La Camera,
premesso che:
il quadro normativo relativo alla disciplina delle concessioni per la gestione telematica degli apparecchi di gioco risulta particolarmente complesso, ed è stato oggetto di numerose modifiche;
l'accavallarsi dei predetti interventi normativi rende quindi necessario eliminare ogni dubbio in merito alla disciplina vigente in materia, in particolare per quanto riguarda il rinnovo delle concessioni;
il settore, come denunciato dalla Commissione antimafia, è pesantemente infiltrato dalle organizzazioni criminali;
occorre dunque una normativa severa e che non dia spazio alle infiltrazioni delle organizzazioni mafiose;
nei bandi per le concessioni occorre prevedere:
il divieto di partecipazione alle gare di appalto per le società i cui soggetti controllanti o partecipanti siano residenti negli Stati o territori non appartenenti alla Comunità economica europea aventi un regime fiscale privilegiato (cosiddetti «Paradisi fiscali»), oppure non siano residenti negli Stati indicati nel decreto ministeriale 4 settembre 1996 (cosiddetta «white list»);
che la partecipazione alle gare delle società residenti negli altri paesi sia subordinata alla piena trasparenza dei soggetti proprietari delle medesime società, certificata dalle autorità locali;
il divieto di partecipazione alle gare di trust, di società fiduciarie e di società off-shore, o comunque l'obbligo per le società fiduciarie, i trust e i fondi di investimento che detengono, anche indirettamente, partecipazioni al capitale od al patrimonio di società concessionarie di giochi pubblici, di dichiarare l'identità del soggetto mandante;

bisogna inoltre, con riferimento ai controlli relativi ai requisiti previsti per l'accesso alle concessioni in materia di gioco pubblico ovvero per il mantenimento dei requisiti stessi da parte di soggetti con domicilio, sede o comunque stabiliti in Paesi esteri, che l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato possa avvalersi:
a) degli ordinari canali di polizia e diplomatici, per il controllo dei requisiti in materia di antimafia e di quelli concernenti i precedenti penali ed i carichi pendenti;
b) dei predetti canali di polizia e diplomatici o, in mancanza, di primarie società di revisione, scelte con procedure ad evidenza pubblica, per il controllo dei requisiti di natura economica e finanziaria,

impegna il Governo

a prendere le opportune iniziative normative al fine di attuare le disposizioni illustrate in premessa.
9/5109-AR/110.Barbato, Messina, Paladini.

La Camera,
premesso che:
il quadro normativo relativo alla disciplina delle concessioni per la gestione telematica degli apparecchi di gioco risulta particolarmente complesso, ed è stato oggetto di numerose modifiche;
l'accavallarsi dei predetti interventi normativi rende quindi necessario eliminare ogni dubbio in merito alla disciplina vigente in materia, in particolare per quanto riguarda il rinnovo delle concessioni;
il settore, come denunciato dalla Commissione antimafia, è pesantemente infiltrato dalle organizzazioni criminali;
occorre dunque una normativa severa e che non dia spazio alle infiltrazioni delle organizzazioni mafiose;
nei bandi per le concessioni occorre prevedere:
il divieto di partecipazione alle gare di appalto per le società i cui soggetti controllanti o partecipanti siano residenti negli Stati o territori non appartenenti alla Comunità economica europea aventi un regime fiscale privilegiato (cosiddetti «Paradisi fiscali»), oppure non siano residenti negli Stati indicati nel decreto ministeriale 4 settembre 1996 (cosiddetta «white list»);
che la partecipazione alle gare delle società residenti negli altri paesi sia subordinata alla piena trasparenza dei soggetti proprietari delle medesime società, certificata dalle autorità locali;
il divieto di partecipazione alle gare di trust, di società fiduciarie e di società off-shore, o comunque l'obbligo per le società fiduciarie, i trust e i fondi di investimento che detengono, anche indirettamente, partecipazioni al capitale od al patrimonio di società concessionarie di giochi pubblici, di dichiarare l'identità del soggetto mandante;

bisogna inoltre, con riferimento ai controlli relativi ai requisiti previsti per l'accesso alle concessioni in materia di gioco pubblico ovvero per il mantenimento dei requisiti stessi da parte di soggetti con domicilio, sede o comunque stabiliti in Paesi esteri, che l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato possa avvalersi:
a) degli ordinari canali di polizia e diplomatici, per il controllo dei requisiti in materia di antimafia e di quelli concernenti i precedenti penali ed i carichi pendenti;
b) dei predetti canali di polizia e diplomatici o, in mancanza, di primarie società di revisione, scelte con procedure ad evidenza pubblica, per il controllo dei requisiti di natura economica e finanziaria,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prendere le opportune iniziative normative al fine di attuare le disposizioni illustrate in premessa.
9/5109-AR/110.(Testo modificato nel corso della seduta).Barbato, Messina, Paladini.

La Camera,
premesso che:
la condizione abitativa in Italia è divenuta negli ultimi anni un'emergenza sociale;
il disagio abitativo è un fenomeno territoriale, fortemente concentrato nelle aree metropolitane ma anche differenziato a livello regionale, che investe in misura differente anche le diverse tipologie familiari, colpendo in modo particolare le famiglie atipiche in forte crescita nell'ultimo decennio ovvero i nuclei formati da anziani, giovani in famiglia, famiglie monogenitoriali e immigrati le cui spese abitative incidono in misura più rilevante;
secondo gli ultimi dati dell'Osservatorio Fillea Casa, le famiglie hanno speso nell'anno 2010 per l'abitazione e l'energia il 33,7 per cento del totale della spesa media mensile;
nel 2010 l'affitto medio pagato dalle famiglie è cresciuto di circa il 10 per cento rispetto alla rilevazione 2009 attestandosi a 4.393 euro all'anno;
circa l'8 per cento delle famiglie italiane sperimenta un disagio economico connesso con le condizioni abitative, sostenendo una spesa, legata al pagamento dell'affitto o della rata del mutuo, superiore al 30 per cento del reddito familiare; il fenomeno è concentrato presso le famiglie in affitto, il 31 per cento delle quali registra nel 2010 condizioni di disagio;
sulla base di dati del Ministero dell'economia e finanze - Agenzia del territorio, solo l'8,6 per cento dei circa 30,1 milioni di unità intestate a persone fisiche risulta locato (era il 9,2 per cento nel 2008);
considerando le caratteristiche reddituali delle famiglie che oggi sono in affitto nel mercato privato, circa 1,7 milioni di nuclei percepiscono un reddito che non supera i 20 mila euro annui netti, con un'incidenza dell'affitto che mediamente, nei grandi centri, si attesta sul 50 per cento, oltre la soglia ritenuta critica per l'equilibrio familiare;
il comma 2 dell'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, individua come presupposto dell'imposta il possesso di immobili, ivi comprese l'abitazione principale e le pertinenze della stessa fornendo altresì una definizione di abitazione principale su cui grava una aliquota ridotta ai sensi del successivo comma 7 dello stesso articolo;
l'unità immobiliare concessa in uso gratuito a parenti e affini in linea retta o collaterale, di primo grado di parentela dovrebbe essere ricompresa nella definizione di abitazione principale;
non sembra infatti corrispondere a criteri di equità l'attuale normativa che prevede l'imposizione ad aliquota base del 7,6 per mille prevista per le seconde case (anziché all'aliquota ridotta del 4 per mille prevista per l'abitazione principale) applicata ai casi di assegnazione in nuda proprietà ai figli di casa dei genitori (che rimangono usufruttuari) o di comodato tra gli stessi soggetti,

impegna il Governo

a prevedere, nel prossimo provvedimento utile, ad inserire nella definizione di abitazione principale di cui al comma 2, dell'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, anche l'unità immobiliare concessa in uso gratuito a parenti e affini in linea retta o collaterale, di primo grado di parentela prevedendo altresì che l'intero onere rimanga a carico del bilancio dello Stato.
9/5109-AR/111.Rubinato, Codurelli, Benamati.

La Camera,
premesso che:
la condizione abitativa in Italia è divenuta negli ultimi anni un'emergenza sociale;
il disagio abitativo è un fenomeno territoriale, fortemente concentrato nelle aree metropolitane ma anche differenziato a livello regionale, che investe in misura differente anche le diverse tipologie familiari, colpendo in modo particolare le famiglie atipiche in forte crescita nell'ultimo decennio ovvero i nuclei formati da anziani, giovani in famiglia, famiglie monogenitoriali e immigrati le cui spese abitative incidono in misura più rilevante;
secondo gli ultimi dati dell'Osservatorio Fillea Casa, le famiglie hanno speso nell'anno 2010 per l'abitazione e l'energia il 33,7 per cento del totale della spesa media mensile;
nel 2010 l'affitto medio pagato dalle famiglie è cresciuto di circa il 10 per cento rispetto alla rilevazione 2009 attestandosi a 4.393 euro all'anno;
circa l'8 per cento delle famiglie italiane sperimenta un disagio economico connesso con le condizioni abitative, sostenendo una spesa, legata al pagamento dell'affitto o della rata del mutuo, superiore al 30 per cento del reddito familiare; il fenomeno è concentrato presso le famiglie in affitto, il 31 per cento delle quali registra nel 2010 condizioni di disagio;
sulla base di dati del Ministero dell'economia e finanze - Agenzia del territorio, solo l'8,6 per cento dei circa 30,1 milioni di unità intestate a persone fisiche risulta locato (era il 9,2 per cento nel 2008);
considerando le caratteristiche reddituali delle famiglie che oggi sono in affitto nel mercato privato, circa 1,7 milioni di nuclei percepiscono un reddito che non supera i 20 mila euro annui netti, con un'incidenza dell'affitto che mediamente, nei grandi centri, si attesta sul 50 per cento, oltre la soglia ritenuta critica per l'equilibrio familiare;
il comma 2 dell'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, individua come presupposto dell'imposta il possesso di immobili, ivi comprese l'abitazione principale e le pertinenze della stessa fornendo altresì una definizione di abitazione principale su cui grava una aliquota ridotta ai sensi del successivo comma 7 dello stesso articolo;
l'unità immobiliare concessa in uso gratuito a parenti e affini in linea retta o collaterale, di primo grado di parentela dovrebbe essere ricompresa nella definizione di abitazione principale;
non sembra infatti corrispondere a criteri di equità l'attuale normativa che prevede l'imposizione ad aliquota base del 7,6 per mille prevista per le seconde case (anziché all'aliquota ridotta del 4 per mille prevista per l'abitazione principale) applicata ai casi di assegnazione in nuda proprietà ai figli di casa dei genitori (che rimangono usufruttuari) o di comodato tra gli stessi soggetti,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere, nel prossimo provvedimento utile, ad inserire nella definizione di abitazione principale di cui al comma 2, dell'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, anche l'unità immobiliare concessa in uso gratuito a parenti e affini in linea retta o collaterale, di primo grado di parentela prevedendo altresì che l'intero onere rimanga a carico del bilancio dello Stato.
9/5109-AR/111.(Testo modificato nel corso della seduta).Rubinato, Codurelli, Benamati.

La Camera,
premesso che:
il decreto legislativo 4 maggio 2001, n. 207, nell'ambito di riordino del sistema delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB) prevede che le Aziende di Servizi alla Persona (ASP) da personalità giuridica di diritto pubblico possano assumere una capacità di diritto privato che conferisce una serie di benefici previsti per le Onlus (esempio erogazioni liberali) nonché tutti i negozi funzionali al perseguimento dei propri scopi istituzionali e all'assolvimento degli impegni assunti in sede di programmazione regionale;
le IPAB non trasformate in soggetti privati conservano pertanto la personalità giuridica di diritto pubblico e risultano a tuffi gli effetti enti no-profit che realizzano i fini statutari senza alcun scopo di lucro ed in regime di sussidiarietà orizzontale esclusivamente nell'interesse pubblico;
il patrimonio immobiliare di questi Istituti, frutto di lasciti e donazioni, è totalmente impiegato a scopi di assistenza e beneficenza rappresentando l'unica forma diretta di erogazione dei servizi sociali e per il raggiungimento degli scopi statutari coincidenti principalmente con lo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie;
il comma 5, lettera f) dell'articolo 4 del decreto-legge in via di conversione integra il comma 10, penultimo periodo, dell'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, al fine di disporre che la riserva di parte del gettito in favore dello Stato non trova applicazione per l'IMU dovuta sulle unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa adibite ad abitazione principale dei soci assegnatari, nonché sugli alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari;
il comma 5, lettera g) dell'articolo 4 del decreto-legge in via di conversione integra il comma 11 dell'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, in materia di Imposta municipale propria (IMU), escludendo dalla quota di gettito spettante allo Stato la quota di imposta relativa agli immobili posseduti dai comuni siti sul proprio territorio;
la Relazione tecnica motiva tale esclusione in relazione alla circostanza che esenzione da imposta (disposta dall'articolo 9, comma 8 del decreto legislativo n. 23 del 2011) è riferita ai soli immobili dei comuni posseduti nel proprio territorio destinati esclusivamente ai compiti istituzionali; il dispositivo introdotto correggerebbe quindi la norma escludendo l'assoggettamento a IMU degli immobili comunali destinati a compiti non esclusivamente istituzionali;
essendo le Ipab non trasformate ai sensi del citato decreto legislativo 207/2001, soggetti no-profit con personalità giuridica di diritto pubblico, sembrerebbe auspicabile anche ai fini del perseguimento degli scopi statutari legati alle attività di welfare, l'esenzione dall'imposta municipale propria per gli immobili posseduti dagli Istituti e assegnati ai destinatari affetti da varie patologie,

impegna il Governo

a prevedere, nel prossimo provvedimento utile, l'esenzione dall'imposta municipale propria per gli immobili di proprietà delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza non trasformate ai sensi del decreto legislativo n. 207/2001 al pari delle proprietà dei comuni;
in subordine a prevedere che nei successivi provvedimenti sia prevista l'esenzione dall'imposta municipale propria (Imu) per gli immobili che sono stati locati ai destinatari dei lasciti.
9/5109-AR/112.Carella, Morassut.

La Camera,
premesso che:
il decreto legislativo 4 maggio 2001, n. 207, nell'ambito di riordino del sistema delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB) prevede che le Aziende di Servizi alla Persona (ASP) da personalità giuridica di diritto pubblico possano assumere una capacità di diritto privato che conferisce una serie di benefici previsti per le Onlus (esempio erogazioni liberali) nonché tutti i negozi funzionali al perseguimento dei propri scopi istituzionali e all'assolvimento degli impegni assunti in sede di programmazione regionale;
le IPAB non trasformate in soggetti privati conservano pertanto la personalità giuridica di diritto pubblico e risultano a tuffi gli effetti enti no-profit che realizzano i fini statutari senza alcun scopo di lucro ed in regime di sussidiarietà orizzontale esclusivamente nell'interesse pubblico;
il patrimonio immobiliare di questi Istituti, frutto di lasciti e donazioni, è totalmente impiegato a scopi di assistenza e beneficenza rappresentando l'unica forma diretta di erogazione dei servizi sociali e per il raggiungimento degli scopi statutari coincidenti principalmente con lo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie;
il comma 5, lettera f) dell'articolo 4 del decreto-legge in via di conversione integra il comma 10, penultimo periodo, dell'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, al fine di disporre che la riserva di parte del gettito in favore dello Stato non trova applicazione per l'IMU dovuta sulle unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa adibite ad abitazione principale dei soci assegnatari, nonché sugli alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari;
il comma 5, lettera g) dell'articolo 4 del decreto-legge in via di conversione integra il comma 11 dell'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, in materia di Imposta municipale propria (IMU), escludendo dalla quota di gettito spettante allo Stato la quota di imposta relativa agli immobili posseduti dai comuni siti sul proprio territorio;
la Relazione tecnica motiva tale esclusione in relazione alla circostanza che esenzione da imposta (disposta dall'articolo 9, comma 8 del decreto legislativo n. 23 del 2011) è riferita ai soli immobili dei comuni posseduti nel proprio territorio destinati esclusivamente ai compiti istituzionali; il dispositivo introdotto correggerebbe quindi la norma escludendo l'assoggettamento a IMU degli immobili comunali destinati a compiti non esclusivamente istituzionali;
essendo le Ipab non trasformate ai sensi del citato decreto legislativo 207/2001, soggetti no-profit con personalità giuridica di diritto pubblico, sembrerebbe auspicabile anche ai fini del perseguimento degli scopi statutari legati alle attività di welfare, l'esenzione dall'imposta municipale propria per gli immobili posseduti dagli Istituti e assegnati ai destinatari affetti da varie patologie,

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità di:
prevedere, nel prossimo provvedimento utile, l'esenzione dall'imposta municipale propria per gli immobili di proprietà delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza non trasformate ai sensi del decreto legislativo n. 207/2001 al pari delle proprietà dei comuni;
in subordine, prevedere che nei successivi provvedimenti sia prevista l'esenzione dall'imposta municipale propria (Imu) per gli immobili che sono stati locati ai destinatari dei lasciti.
9/5109-AR/112.(Testo modificato nel corso della seduta).Carella, Morassut.

La Camera,
premesso che:
comma 11-novies dell'articolo 12 del decreto in esame stabilisce che i 425 milioni di euro, destinati, per il 2011, al trasporto pubblico locale regionale ferroviario, ai sensi dell'articolo 30, comma 2, del decreto-legge n. 201/2011, siano ripartiti tra le Regioni a statuto ordinario secondo i criteri e le percentuali stabiliti dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome del 22 settembre 2011 e che le somme non ancora erogate siano versate direttamente a Trenitalia spa mediante decreto del Ministero dell'economia e delle finanze;
considerato che:
appare necessario ridurre il divario infrastrutturale, coerentemente con le linee di indirizzo per le politiche di coesione dettate dall'Unione europea; e per questo occorre riorganizzare gli investimenti, potenziare e riqualificare le infrastrutture esistenti e i servizi a queste collegati, garantendo una «riallocazione equa e coesiva delle risorse»;
occorre altresì interrompere «il circolo vizioso del sottosviluppo»: sistemi di comunicazione inadeguati scoraggiano l'utenza (in particolare gli utenti pendolari e le imprese che hanno bisogno di contare per i collegamenti e il trasporto merci su un servizio regolare ed affidabile) sicché - considerato il basso livello di domanda, scoraggiata dall'inefficienza, dalla precarietà e dall'insicurezza del servizio - tendono ad essere sempre più sacrificati dai soggetti - quali ANAS, Ferrovie - che danno impulso alla realizzazione di infrastrutture solo se stimolati da una forte domanda dei potenziali utilizzatori di quell'opera;
domanda e offerta di infrastrutture sono legate da una forte interdipendenza: da un lato, l'assenza, la scarsità o l'inaccessibilità delle infrastrutture di trasporto e per la logistica sono un vincolo rilevante allo sviluppo economico e alla domanda di infrastrutturazione; dall'altro, sono le stesse dinamiche di sviluppo che agiscono da stimolo ad ulteriore crescita che genera domanda di infrastrutturazione;
valutato che:
sia per i territori meridionali che per le aree sviluppate occorre programmare gli interventi infrastrutturali necessari a colmare il deficit esistente e a superare, per rafforzare la competitività della produzione nazionale, gli svantaggi di contesto, primo fra tutti l'inefficienza delle comunicazioni,

impegna il Governo

a prevedere che le somme non ancora erogate da assegnare direttamente a Trenitalia spa mediante decreto del Ministero dell'economia e delle finanze siano effettivamente destinate alle Regioni a statuto ordinario individuate dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome del 22 settembre 2011 secondo i criteri e le percentuali stabiliti dalla Conferenza, per il miglioramento e l'efficientamento del servizio ferroviario nelle medesime regioni.
9/5109-AR/113.Lovelli, Codurelli.

La Camera,
premesso che:
comma 11-novies dell'articolo 12 del decreto in esame stabilisce che i 425 milioni di euro, destinati, per il 2011, al trasporto pubblico locale regionale ferroviario, ai sensi dell'articolo 30, comma 2, del decreto-legge n. 201/2011, siano ripartiti tra le Regioni a statuto ordinario secondo i criteri e le percentuali stabiliti dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome del 22 settembre 2011 e che le somme non ancora erogate siano versate direttamente a Trenitalia spa mediante decreto del Ministero dell'economia e delle finanze;
considerato che:
appare necessario ridurre il divario infrastrutturale, coerentemente con le linee di indirizzo per le politiche di coesione dettate dall'Unione europea; e per questo occorre riorganizzare gli investimenti, potenziare e riqualificare le infrastrutture esistenti e i servizi a queste collegati, garantendo una «riallocazione equa e coesiva delle risorse»;
occorre altresì interrompere «il circolo vizioso del sottosviluppo»: sistemi di comunicazione inadeguati scoraggiano l'utenza (in particolare gli utenti pendolari e le imprese che hanno bisogno di contare per i collegamenti e il trasporto merci su un servizio regolare ed affidabile) sicché - considerato il basso livello di domanda, scoraggiata dall'inefficienza, dalla precarietà e dall'insicurezza del servizio - tendono ad essere sempre più sacrificati dai soggetti - quali ANAS, Ferrovie - che danno impulso alla realizzazione di infrastrutture solo se stimolati da una forte domanda dei potenziali utilizzatori di quell'opera;
domanda e offerta di infrastrutture sono legate da una forte interdipendenza: da un lato, l'assenza, la scarsità o l'inaccessibilità delle infrastrutture di trasporto e per la logistica sono un vincolo rilevante allo sviluppo economico e alla domanda di infrastrutturazione; dall'altro, sono le stesse dinamiche di sviluppo che agiscono da stimolo ad ulteriore crescita che genera domanda di infrastrutturazione;
valutato che:
sia per i territori meridionali che per le aree sviluppate occorre programmare gli interventi infrastrutturali necessari a colmare il deficit esistente e a superare, per rafforzare la competitività della produzione nazionale, gli svantaggi di contesto, primo fra tutti l'inefficienza delle comunicazioni,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere che le somme non ancora erogate da assegnare direttamente a Trenitalia spa mediante decreto del Ministero dell'economia e delle finanze siano effettivamente destinate alle Regioni a statuto ordinario individuate dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome del 22 settembre 2011 secondo i criteri e le percentuali stabiliti dalla Conferenza, per il miglioramento e l'efficientamento del servizio ferroviario nelle medesime regioni.
9/5109-AR/113.(Testo modificato nel corso della seduta).Lovelli, Codurelli.

La Camera,
premesso che:
il mercato dei giochi, in particolare quello d'azzardo, sia cosiddetto legale che quello illegale, costituisce la terza impresa del Paese, con i suoi 76,1 miliardi di euro di fatturato legale, cui vanno aggiunti i circa 10 miliardi derivanti dal gioco illegale. L'industria dei giochi è l'unica a non risentire della crisi, attirando l'attenzione della criminalità organizzata che si accredita ad essere, di fatto, l'undicesimo concessionario occulto del Monopolio di Stato - sono 41 i clan che gestiscono il business mafioso dei giochi in tutto il territorio italiano;
il disegno di legge di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, recante disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento, contempla alcune disposizioni volte a potenziare i controlli in materia di giochi pubblici, in considerazione dei particolari interessi coinvolti e della necessità di contrastare in modo più efficace il pericolo di infiltrazioni criminali in tale settore;
l'articolo 10 del presente provvedimento introduce alcuni rafforzamenti alla disciplina vigente nel settore, subendo nel corso del suo esame numerose modifiche, alcune delle quali hanno introdotto innovazioni importanti, volte a potenziare positivamente la disciplina vigente e tra queste rilevano: la previsione del divieto di effettuare ogni tipo di versamento in contanti per tutte le figure a vario titolo operanti nella «filiera» del settore dei giochi e obbligo di effettuare, in funzione antiriciclaggio, modalità che assicurino la tracciabilità di ogni pagamento e dei flussi di denaro (mediante modifica dell'articolo 24 del decreto-legge n. 98 del 2011); l'introduzione di una disposizione che obbliga all'apertura di conti correnti bancari e postali esclusivamente dedicati, tutti i soggetti che gestiscono, anche con mezzi telematici, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all'estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere, con l'obbligo di far transitare su tali conti le spese, le erogazioni di oneri economici e i proventi finanziari relativi a concorsi o scommesse (in accoglimento dell'emendamento a prima firma Garavini che modifica il comma 2 dell'articolo 10);
altre modifiche introdotte all'articolo 10 e risultanti nel testo definitivo rischiano invece di attenuare il livello dei controlli finalizzati ad acquisire maggiori informazioni rilevanti ai fini di una verifica della solidità patrimoniale e dei requisiti riguardanti i soggetti e le società concessionarie, e dunque a ridurre le possibilità di contrasto delle infiltrazioni mafiose nell'esercizio dei giochi pubblici, veicolate anche in forme indirette mediante soci occulti. Per quanto attiene alla verifica e ai controlli, infatti, se da una parte la disposizione in esame estende la certificazione antimafia al settore dei giochi prendendo in considerazione anche il coniuge non separato, dall'altro non contempla più (rispetto al testo originario del decreto-legge) un'applicazione estensiva anche ai gradi di parentela e affinità fino al terzo grado; per quanto concerne poi le verifiche in sede di partecipazione a gare, rilascio, rinnovo e mantenimento, relativamente alle concessioni in materia di giochi pubblici, il divieto opera solo in considerazione di imputazione o di condanna e non anche con riferimento alla condizione di indagato, neppure qualora il soggetto si trovasse ad essere sottoposto a misure di prevenzione personale gravi come la detenzione;
è necessario adottare strumenti di reazione efficaci, flessibili e tempestivi, idonei a rilevare e a contrastare il pericolo di infiltrazioni mafiose in un settore come quello dei giochi che costituisce spesso l'indotto sotterraneo di un business pervasivo (tra cui rilevano usura, truffa, estorsione, criminalità organizzata e riciclaggio), rafforzando altresì i poteri di accertamento, controllo e vigilanza, anche mediante l'estensione applicativa della certificazione antimafia nei confronti anche di altri soggetti posti in relazione di parentela e affinità o di contiguità cosiddetto «compiacente» o «soggiacente» con organizzazioni mafiose in grado di condizionare l'attività del soggetto o della società concessionaria o richiedente analogamente a quanto già previsto nella legislazione antimafia in materia di appalti pubblici,

impegna il Governo:

a valutare la possibilità di intervenire successivamente con un provvedimento normativo di riforma organica, nell'ambito del quale predispone disposizioni volte a contrastare il gioco d'azzardo, a riconoscere la patologia della ludopatia nei livelli essenziali di assistenza, a rafforzare il divieto di partecipazione dei minori, a vietare la pubblicità, a rafforzare la disciplina sanzionatoria e a contrastare il riciclaggio dei proventi di attività illecite derivanti dal gioco;
valutare, altresì, la possibilità di estendere il controllo, la verifica e la certificazione antimafia anche ad altri soggetti in rapporti di contiguità o di parentela con soggetti malavitosi, tali da ravvisare tentativi di infiltrazione mafiosa, tendenti a condizionare scelte ed indirizzi delle società o delle imprese interessate alle concessioni dei giochi pubblici, prevedendo la facoltà in capo all'AAMS di esercitare forme analoghe di verifica e di controllo quali quelle esercitate dai prefetti per il contrasto delle infiltrazioni mafiose in materia di appalti pubblici.
9/5109-AR/114.Garavini, Fluvi, Bordo, Bossa, Burtone, Genovese, Marchi, Andrea Orlando, Piccolo, Veltroni, Codurelli.

La Camera,
premesso che:
la legge 22 dicembre 2011, n. 214 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 27 dicembre 2011, n. 300) di conversione del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, cosiddetto «Salva Italia», ha introdotto, con due anni di anticipo ed in veste sperimentale rispetto a quella delineata nel decreto istitutivo del federalismo comunale (decreto legislativo 23/2011), una nuova tassa, l'Imposta Municipale Unica (Imu), che sostituisce sia l'Irpef sui redditi fondiari delle seconde case, sia l'Ici, introdotta nel 1992;
gli immobili che sono gravati dal pagamento IMU sono, oltre ai fabbricati, anche i terreni agricoli e le aree edificabili;
con l'IMU si introduce ai fini fiscali il concetto di abitazione principale che è «l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente»; tale abitazione ai fini IMU può beneficiare di agevolazioni fiscali;
per gli italiani residenti all'estero, e quindi iscritti AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all'Estero), che posseggono un'abitazione in Italia non locata, nel decreto-legge 16/2012 recante «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, recante disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento», si rimanda ai comuni la decisione se considerare tale abitazione come abitazione principale, quindi assoggettabile ad un regime agevolato;
tenendo conto della grave situazione economico-finanziaria in cui versa la maggioranza dei comuni italiani, in enorme difficoltà anche in ragione del rispetto dei vincoli del Patto di stabilità, la misura in oggetto risulterà di difficile applicazione, i comuni non potranno privarsi di una entrata sicura e maggiormente cospicua derivante dall'applicazione dell'aliquota maggiorata prevista per le seconde case;
ai sensi dell'articolo 1, comma 4-ter, della legge 16-1993 le abitazioni dei cittadini italiani residenti all'estero erano equiparate a quelle degli italiani residenti entro i confini nazionali e quindi fino al 31 dicembre 2011 erano assoggettate all'aliquota agevolata, in accordo con il regolamento dei comuni interessati. Al riguardo si deve anche considerare che per i cittadini italiani all'estero iscritti AIRE, al loro rientro in Italia l'abitazione non locata costituisce obiettivamente l'abitazione principale;
per i cittadini italiani residenti oltre confine l'abitazione posseduta in Italia, nonché il terreno ereditato di proprietà, rappresenta un legame con le radici e l'eccessivo peso fiscale sta spingendo molti italiani all'estero appartenenti alle nuove generazioni a disfarsi dell'immobile, lo stesso immobile che costituiva il luogo della memoria storica della famiglia di origine che rischia così di svanire,

impegna il Governo

valutare la possibilità, nel momento in cui si ritenga superata la difficile fase di emergenza economica, di predisporre un successivo provvedimento volto a riconoscere e ad applicare in modo diretto e automatico anche per i cittadini italiani all'estero e iscritti AIRE le agevolazioni fiscali derivanti dal riconoscimento di possesso di abitazione principale, analogamente a quanto già previsto per i cittadini italiani residenti nel territorio dello Stato, e a condizione che l'unità immobiliare posseduta a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia dagli italiani all'estero risulti non locata; nonché a valutare la possibilità di estendere le agevolazioni fiscali previste per i fondi posseduti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli anche a quelli posseduti dagli italiani residenti all'estero iscritti nell'apposito registro AIRE e concessi in affitto, mezzadria, colonia parziaria e soccida con conferimento di pascolo ai medesimi coltivatori diretti e imprenditori agricoli.
9/5109-AR/115.Narducci.

La Camera,
premesso che:
il 15 dicembre 2009 il comune di Marsciano, in provincia di Perugia, e sette frazioni limitrofe sono stati colpiti (la un terremoto che, fortunatamente, non ha causato vittime ma ha prodotto ingenti danni alle abitazioni, agli edifici pubblici e alle attività produttive;
il disegno di legge 5109, su cui è stato poco fa espresso il voto di fiducia, prevede che i fabbricati distrutti a seguito di ordinanze, perché dichiarati inagibili, dopo il terremoto del 2009 che ha colpito i comuni dell'Abruzzo, sono esenti dall'Irpef, dall'Ires e dall'Imu «fino alla definitiva ricostruzione e agibilità dei fabbricati stessi»;
nel comune di Marsciano e nelle frazioni limitrofe sono ancora presenti numerosi immobili inagibili o inaccessibili a seguito di ordinanza sindacale a causa di calamità naturale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di estendere le esenzioni previste per i comuni abruzzesi anche ai comuni colpiti dal terremoto ubicati in Umbria e, in particolare, al comune di Marsciano.
9/5109-AR/116.Bocci.

La Camera,
premesso che:
con una modifica all'articolo 4 introdotta dalla Commissione, viene stabilito che, per l'anno 2012, il pagamento dell'IMU sull'abitazione principale e relative pertinenze sarà effettuato in tre rate: la prima e la seconda, pari a un terzo dell'imposta con aliquota di base e detrazione, da corrispondere rispettivamente entro il 16 giugno e il 16 settembre; la terza, entro il 16 dicembre, verrà versata a saldo con conguaglio sulle rate precedenti;
la soluzione individuata circa la possibilità del pagamento in tre rate rischia di mettere in sofferenza la gestione di cassa dei comuni, aumentando ulteriormente i problemi di liquidità legati alla reintroduzione della Tesoreria unica;
i comuni hanno bisogno di certezze sul profilo temporale degli incassi delle entrate di loro spettanza nel corso dell'anno, atteso che il gettito della nuova IMU si sostituisce a preesistenti trasferimenti statali (fondo sperimentale di riequilibrio) il cui profilo infrannuale era più uniforme al confronto di quello dell'IMU,

impegna il Governo

ad effettuare un monitoraggio sui dati relativi al primo versamento dell'IMU del 16 giugno e a predispone appositi interventi di regolazione contabile nel caso di comuni in cui si dovessero manifestare specifiche difficoltà di liquidità aventi origine dal nuovo profilo temporale degli incassi dell'IMU al confronto con quelli dei previgenti trasferimenti.
9/5109-AR/117.Causi, Sereni, Rossomando.

La Camera,
premesso che:
con una modifica all'articolo 4 introdotta dalla Commissione, viene stabilito che, per l'anno 2012, il pagamento dell'IMU sull'abitazione principale e relative pertinenze sarà effettuato in tre rate: la prima e la seconda, pari a un terzo dell'imposta con aliquota di base e detrazione, da corrispondere rispettivamente entro il 16 giugno e il 16 settembre; la terza, entro il 16 dicembre, verrà versata a saldo con conguaglio sulle rate precedenti;
la soluzione individuata circa la possibilità del pagamento in tre rate rischia di mettere in sofferenza la gestione di cassa dei comuni, aumentando ulteriormente i problemi di liquidità legati alla reintroduzione della Tesoreria unica;
i comuni hanno bisogno di certezze sul profilo temporale degli incassi delle entrate di loro spettanza nel corso dell'anno, atteso che il gettito della nuova IMU si sostituisce a preesistenti trasferimenti statali (fondo sperimentale di riequilibrio) il cui profilo infrannuale era più uniforme al confronto di quello dell'IMU,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di effettuare un monitoraggio sui dati relativi al primo versamento dell'IMU del 16 giugno e a predispone appositi interventi di regolazione contabile nel caso di comuni in cui si dovessero manifestare specifiche difficoltà di liquidità aventi origine dal nuovo profilo temporale degli incassi dell'IMU al confronto con quelli dei previgenti trasferimenti.
9/5109-AR/117.(Testo modificato nel corso della seduta).Causi, Sereni, Rossomando.

La Camera,
premesso che:
nel corso dell'esame in Commissione è stato approvato un emendamento al testo del presente decreto che, integrando il decreto-legge n. 39 del 2009, stabilisce che i fabbricati ubicati nelle zone del sisma che ha colpito l'Abruzzo il 6 aprile 2009 sono esenti da IRPEF, IRES e IMU purché siano distrutti, ovvero siano oggetto di ordinanze di sgombero in quanto inagibili;
altre zone del Paese sono state colpite da calamità a seguito delle quali molti fabbricati sono stati distrutti o gravemente danneggiati;
poiché sarebbe gravemente lesivo del principio di uguaglianza non considerare situazioni identiche (case distrutte ovvero oggetto di ordinanze di sgombero in quanto inagibili) nello stesso modo dal punto di vista fiscale,

impegna il Governo

ad estendere la disciplina stabilita per i fabbricati ubicati nelle zone interessate dal sisma che ha colpito l'Abruzzo il 6 aprile 2009 a tutti i fabbricati, distrutti od oggetto di ordinanze sindacali di sgombero in quanto inagibili totalmente o parzialmente, ricadenti nei territori dei comuni per i quali è stato dichiarato lo stato di emergenza a seguito di calamità naturali avvenute successivamente al 31 dicembre 2008.
9/5109-AR/118.Sereni, Verini, Mariani, Marchi, Marchignoli, Andrea Orlando, Vannucci, Trappolino.

La Camera,
premesso che:
nel corso dell'esame in Commissione è stato approvato un emendamento al testo del presente decreto che, integrando il decreto-legge n. 39 del 2009, stabilisce che i fabbricati ubicati nelle zone del sisma che ha colpito l'Abruzzo il 6 aprile 2009 sono esenti da IRPEF, IRES e IMU purché siano distrutti, ovvero siano oggetto di ordinanze di sgombero in quanto inagibili;
altre zone del Paese sono state colpite da calamità a seguito delle quali molti fabbricati sono stati distrutti o gravemente danneggiati;
poiché sarebbe gravemente lesivo del principio di uguaglianza non considerare situazioni identiche (case distrutte ovvero oggetto di ordinanze di sgombero in quanto inagibili) nello stesso modo dal punto di vista fiscale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di estendere la disciplina stabilita per i fabbricati ubicati nelle zone interessate dal sisma che ha colpito l'Abruzzo il 6 aprile 2009 a tutti i fabbricati, distrutti od oggetto di ordinanze sindacali di sgombero in quanto inagibili totalmente o parzialmente, ricadenti nei territori dei comuni per i quali è stato dichiarato lo stato di emergenza a seguito di calamità naturali avvenute successivamente al 31 dicembre 2008.
9/5109-AR/118.(Testo modificato nel corso della seduta).Sereni, Verini, Mariani, Marchi, Marchignoli, Andrea Orlando, Vannucci, Trappolino.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 5, comma 7, capoverso 2, prevede che ai fini della applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono, per l'anno 2011, gli enti e i soggetti indicati a fini statistici nell'elenco oggetto del comunicato dell'istituto nazionale di statistica (ISTAT) in data 24 luglio 2010, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 171, nonché a decorrere dall'anno 2012 gli enti e i soggetti indicati a fini statistici dal predetto Istituto nell'elenco oggetto del comunicato del medesimo Istituto in data 30 settembre 2011, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 228 e successivi aggiornamenti ai sensi del comma 3 del presente articolo effettuati sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti dell'unione europea, le Autorità indipendenti e, comunque, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni;
la relazione illustrativa posta a corredo del provvedimento evidenzia che trattasi di una disposizione volta a chiarire il rapporto funzionale che intercorre tra le attività di elencazione di enti e soggetti a fini statistici da parte di ISTAT e le manovre di finanza pubblica che riflettono i loro effetto anche su tali enti e soggetti;
pertanto viene specificato che la disposizione in esame chiarisce che tra i soggetti interessati dalle manovre di finanza pubblica rientrano anche le Autorità indipendenti e in ogni caso l'elenco delle amministrazioni pubbliche di cui al decreto legislativo n. 165 del 2001;
tenuto conto che trattasi di una disposizione finalizzata, quindi, al contenimento della spesa pubblica, posto che le classificazioni dell'ISTAT sono assunte dal legislatore come termine di riferimento per il controllo della spesa pubblica nel settore della Pubblica amministrazione e per il suo contenimento, è di tutta evidenza che la stessa possa trovare applicazione solo nei confronti di quei soggetti ricompresi, prima della data di entrata in vigore del presente decreto-legge, nell'elenco ISTAT ed in ogni caso nei confronti di quei soggetti che effettivamente sono a carico delle finanze pubbliche. Infatti, nell'ipotesi in cui le disponibilità finanziarie a tal fine rilevanti siano a carico solo in minima parte delle finanze pubbliche, gravando per il resto su contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, manca il presupposto che, in coerenza con le finalità perseguite, potrebbe giustificare il loro inserimento nell'elenco Istat, e cioè un costo per la finanza pubblica e per il bilancio dello Stato che va contenuto;
tale intervento interpretativo è di assoluto rilievo al fine di consentire il corretto svolgimento dell'azione di ogni amministrazione o ente i quali, in considerazione del fatto che possono contare anche su finanziamenti che non gravano interamente a carico delle finanze pubbliche, in quanto oggetto di contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, vedrebbero diversamente penalizzato il loro impegno istituzionale per effetto di una legge che andrebbe a comprimere, qualora diversamente applicata, anche soggetti la cui attività non grava a carico delle finanze pubbliche ovvero vi grava in misura del tutto marginale. Di tal che sarebbe del tutto iniquo un assoggettamento indiscriminato alla disposizione in esame, senza che venga preso in considerazione quanto effettivamente il singolo bilancio dell'amministrazione incide sul bilancio dello Stato;
a tal fine è quindi opportuno chiarire che la disposizione in esame non trova applicazione nei confronti di quei soggetti che hanno una autonomia finanziaria pressoché completa, che si manifesta con la capacità degli stessi di provvedere con le proprie entrate a fronteggiare per intero, o in maniera rilevante, le spese sostenute per l'attività svolta. Infatti, in tale condizione manca il presupposto che, in coerenza con le finalità perseguite, potrebbe giustificare il loro inserimento nell'elenco Istat, e cioè un costo per la finanza pubblica e per il bilancio dello Stato che va contenuto;
l'autonomia finanziaria di taluni soggetti, le fonti dalle quali discendono le loro entrate, la possibilità di intervenire per garantirne nel tempo la corrispondenza alle uscite sono tutti elementi legislativamente fissati, e, quindi, incontestabili. Segue da ciò che non è configurabile una spesa che la finanza pubblica potrebbe in futuro essere costretta a sopportare per assicurare il pareggio di bilancio di tali soggetti atteso che a questo fine essi sono già stati forniti dal legislatore di strumenti propri per provvedere in via autonoma,

impegna il Governo

ad adottare ogni più adeguato intervento applicativo volto ad assicurare la coerenza nella fase di attuazione con quella che è l'effettiva volontà della disposizione normativa, in maniera da eliminare ogni eventuale possibile dubbio interpretativo circa il fatto che le disposizioni di cui all'articolo 5, comma 7, capoverso 2, vanno interpretate nel senso che esse si applicano solo ai soggetti ricompresi, prima della data di entrata in vigore del presente decreto-legge, nell'elenco ISTAT ed in ogni caso nei confronti di quei soggetti che effettivamente sono a carico delle finanze pubbliche. Infatti, anche nell'ipotesi in cui le disponibilità finanziarie a tal fine rilevanti siano a carico solo in minima parte delle finanze pubbliche, gravando per il resto su contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, manca il presupposto che, in coerenza con le finalità perseguite, potrebbe giustificare il loro inserimento nell'elenco Istat, e cioè un costo per la finanza pubblica e per il bilancio dello Stato che va contenuto.
9/5109-AR/119.Fogliardi.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 5, comma 7, capoverso 2, prevede che ai fini della applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono, per l'anno 2011, gli enti e i soggetti indicati a fini statistici nell'elenco oggetto del comunicato dell'istituto nazionale di statistica (ISTAT) in data 24 luglio 2010, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 171, nonché a decorrere dall'anno 2012 gli enti e i soggetti indicati a fini statistici dal predetto Istituto nell'elenco oggetto del comunicato del medesimo Istituto in data 30 settembre 2011, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 228 e successivi aggiornamenti ai sensi del comma 3 del presente articolo effettuati sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti dell'unione europea, le Autorità indipendenti e, comunque, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni;
la relazione illustrativa posta a corredo del provvedimento evidenzia che trattasi di una disposizione volta a chiarire il rapporto funzionale che intercorre tra le attività di elencazione di enti e soggetti a fini statistici da parte di ISTAT e le manovre di finanza pubblica che riflettono i loro effetto anche su tali enti e soggetti;
pertanto viene specificato che la disposizione in esame chiarisce che tra i soggetti interessati dalle manovre di finanza pubblica rientrano anche le Autorità indipendenti e in ogni caso l'elenco delle amministrazioni pubbliche di cui al decreto legislativo n. 165 del 2001;
tenuto conto che trattasi di una disposizione finalizzata, quindi, al contenimento della spesa pubblica, posto che le classificazioni dell'ISTAT sono assunte dal legislatore come termine di riferimento per il controllo della spesa pubblica nel settore della Pubblica amministrazione e per il suo contenimento, è di tutta evidenza che la stessa possa trovare applicazione solo nei confronti di quei soggetti ricompresi, prima della data di entrata in vigore del presente decreto-legge, nell'elenco ISTAT ed in ogni caso nei confronti di quei soggetti che effettivamente sono a carico delle finanze pubbliche. Infatti, nell'ipotesi in cui le disponibilità finanziarie a tal fine rilevanti siano a carico solo in minima parte delle finanze pubbliche, gravando per il resto su contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, manca il presupposto che, in coerenza con le finalità perseguite, potrebbe giustificare il loro inserimento nell'elenco Istat, e cioè un costo per la finanza pubblica e per il bilancio dello Stato che va contenuto;
tale intervento interpretativo è di assoluto rilievo al fine di consentire il corretto svolgimento dell'azione di ogni amministrazione o ente i quali, in considerazione del fatto che possono contare anche su finanziamenti che non gravano interamente a carico delle finanze pubbliche, in quanto oggetto di contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, vedrebbero diversamente penalizzato il loro impegno istituzionale per effetto di una legge che andrebbe a comprimere, qualora diversamente applicata, anche soggetti la cui attività non grava a carico delle finanze pubbliche ovvero vi grava in misura del tutto marginale. Di tal che sarebbe del tutto iniquo un assoggettamento indiscriminato alla disposizione in esame, senza che venga preso in considerazione quanto effettivamente il singolo bilancio dell'amministrazione incide sul bilancio dello Stato;
a tal fine è quindi opportuno chiarire che la disposizione in esame non trova applicazione nei confronti di quei soggetti che hanno una autonomia finanziaria pressoché completa, che si manifesta con la capacità degli stessi di provvedere con le proprie entrate a fronteggiare per intero, o in maniera rilevante, le spese sostenute per l'attività svolta. Infatti, in tale condizione manca il presupposto che, in coerenza con le finalità perseguite, potrebbe giustificare il loro inserimento nell'elenco Istat, e cioè un costo per la finanza pubblica e per il bilancio dello Stato che va contenuto;
l'autonomia finanziaria di taluni soggetti, le fonti dalle quali discendono le loro entrate, la possibilità di intervenire per garantirne nel tempo la corrispondenza alle uscite sono tutti elementi legislativamente fissati, e, quindi, incontestabili. Segue da ciò che non è configurabile una spesa che la finanza pubblica potrebbe in futuro essere costretta a sopportare per assicurare il pareggio di bilancio di tali soggetti atteso che a questo fine essi sono già stati forniti dal legislatore di strumenti propri per provvedere in via autonoma,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ogni più adeguato intervento applicativo volto ad assicurare la coerenza nella fase di attuazione con quella che è l'effettiva volontà della disposizione normativa, in maniera da eliminare ogni eventuale possibile dubbio interpretativo circa il fatto che le disposizioni di cui all'articolo 5, comma 7, capoverso 2, vanno interpretate nel senso che esse si applicano solo ai soggetti ricompresi, prima della data di entrata in vigore del presente decreto-legge, nell'elenco ISTAT ed in ogni caso nei confronti di quei soggetti che effettivamente sono a carico delle finanze pubbliche. Infatti, anche nell'ipotesi in cui le disponibilità finanziarie a tal fine rilevanti siano a carico solo in minima parte delle finanze pubbliche, gravando per il resto su contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, manca il presupposto che, in coerenza con le finalità perseguite, potrebbe giustificare il loro inserimento nell'elenco Istat, e cioè un costo per la finanza pubblica e per il bilancio dello Stato che va contenuto.
9/5109-AR/119.(Testo modificato nel corso della seduta).Fogliardi.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 5, comma 7, capoverso 2, prevede che ai fini della applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono, per l'anno 2011, gli enti e i soggetti indicati a fini statistici nell'elenco oggetto del comunicato dell'istituto nazionale di statistica (ISTAT) in data 24 luglio 2010, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 171, nonché a decorrere dall'anno 2012 gli enti e i soggetti indicati a fini statistici dal predetto Istituto nell'elenco oggetto del comunicato del medesimo istituto in data 30 settembre 2011, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 228 e successivi aggiornamenti ai sensi del comma 3 del presente articolo effettuati sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti dell'unione europea, le Autorità indipendenti e, comunque, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni;
la relazione illustrativa posta a corredo del provvedimento evidenzia che trattasi di una disposizione volta a chiarire il rapporto funzionale che intercorre tra le attività di elencazione di enti e soggetti a fini statistici da parte di ISTAT e le manovre di finanza pubblica che riflettono i loro effetto anche su tali enti e soggetti;
pertanto viene specificato che la disposizione in esame chiarisce che tra i soggetti interessati dalle manovre di finanza pubblica rientrano anche le Autorità indipendenti e in ogni caso l'elenco delle amministrazioni pubbliche di cui al decreto legislativo n. 165 del 2001;
tenuto conto che trattasi di una disposizione finalizzata, quindi, al contenimento della spesa pubblica, posto che le classificazioni dell'ISTAT sono assunte dal legislatore come termine di riferimento per il controllo della spesa pubblica nel settore della Pubblica amministrazione e per il suo contenimento, è di tutta evidenza che la stessa possa trovare applicazione solo nei confronti di quei soggetti ricompresi, prima della data di entrata in vigore del presente decreto-legge, nell'elenco ISTAT ed in ogni caso nei confronti di quei soggetti che effettivamente sono a carico delle finanze pubbliche. Infatti, nell'ipotesi in cui le disponibilità finanziarie a tal fine rilevanti siano a carico solo in minima parte delle finanze pubbliche, gravando per il resto su contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, manca il presupposto che, in coerenza con le finalità perseguite, potrebbe giustificare il loro inserimento nell'elenco Istat, e cioè un costo per la finanza pubblica e per il bilancio dello Stato che va contenuto;
tale intervento interpretativo è di assoluto rilievo alfine di consentire il corretto svolgimento dell'azione di ogni amministrazione o ente i quali, in considerazione del fatto che possono contare anche su finanziamenti che non gravano interamente a carico delle finanze pubbliche, in quanto oggetto di contribuzioni esterne ai perimetro della pubblica amministrazione, vedrebbero diversamente penalizzato il loro impegno istituzionale per effetto di una legge che andrebbe a comprimere, qualora diversamente applicata, anche soggetti la cui attività non grava a carico delle finanze pubbliche ovvero vi grava in misura del tutto marginale. Di tal che sarebbe del tutto iniquo un assoggettamento indiscriminato alla disposizione in esame, senza che venga preso in considerazione quanto effettivamente il singolo bilancio dell'amministrazione incide sul bilancio dello Stato;
a tal fine è quindi opportuno chiarire che la disposizione in esame non trova applicazione nei confronti di quei soggetti che hanno una autonomia finanziaria pressoché completa, che si manifesta con la capacità degli stessi di provvedere con le proprie entrate a fronteggiare per intero, o in maniera rilevante, le spese sostenute per l'attività svolta. Infatti, in tale condizione manca il presupposto che, in coerenza con le finalità perseguite, potrebbe giustificare il loro inserimento nell'elenco Istat, e cioè un costo per la finanza pubblica e per il bilancio dello Stato che va contenuto;
l'autonomia finanziaria di taluni soggetti, le fonti dalle quali discendono le loro entrate, la possibilità di intervenire per garantirne nel tempo la corrispondenza alle uscite sono tutti elementi legislativamente fissati, e, quindi, incontestabili. Segue da ciò che non è configurabile una spesa che la finanza pubblica potrebbe in futuro essere costretta a sopportare per assicurare il pareggio di bilancio di tali soggetti atteso che a questo fine essi sono già stati forniti dal legislatore di strumenti propri per provvedere in via autonoma,

impegna il Governo

ad adottare ogni più adeguato intervento applicativo volto ad assicurare la coerenza nella fase di attuazione con quella che è l'effettiva volontà della disposizione normativa, in maniera da eliminare ogni eventuale possibile dubbio interpretativo circa il fatto che le disposizioni di cui all'articolo 5, comma 7, capoverso 2, vanno interpretate nel senso che esse si applicano solo ai soggetti ricompresi, prima della data di entrata in vigore del presente decreto-legge, nell'elenco ISTAT ed in ogni caso nei confronti di quei soggetti che effettivamente sono a carico delle finanze pubbliche. Infatti, anche nell'ipotesi in cui le disponibilità finanziarie a tal fine rilevanti siano a carico solo in minima parte delle finanze pubbliche, gravando per il resto su contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, manca il presupposto che, in coerenza con le finalità perseguite, potrebbe giustificare il loro inserimento nell'elenco Istat, e cioè un costo per la finanza pubblica e per il bilancio dello Stato che va contenuto.
9/5109-AR/120.Berardi.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 5, comma 7, capoverso 2, prevede che ai fini della applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono, per l'anno 2011, gli enti e i soggetti indicati a fini statistici nell'elenco oggetto del comunicato dell'istituto nazionale di statistica (ISTAT) in data 24 luglio 2010, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 171, nonché a decorrere dall'anno 2012 gli enti e i soggetti indicati a fini statistici dal predetto Istituto nell'elenco oggetto del comunicato del medesimo istituto in data 30 settembre 2011, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 228 e successivi aggiornamenti ai sensi del comma 3 del presente articolo effettuati sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti dell'unione europea, le Autorità indipendenti e, comunque, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni;
la relazione illustrativa posta a corredo del provvedimento evidenzia che trattasi di una disposizione volta a chiarire il rapporto funzionale che intercorre tra le attività di elencazione di enti e soggetti a fini statistici da parte di ISTAT e le manovre di finanza pubblica che riflettono i loro effetto anche su tali enti e soggetti;
pertanto viene specificato che la disposizione in esame chiarisce che tra i soggetti interessati dalle manovre di finanza pubblica rientrano anche le Autorità indipendenti e in ogni caso l'elenco delle amministrazioni pubbliche di cui al decreto legislativo n. 165 del 2001;
tenuto conto che trattasi di una disposizione finalizzata, quindi, al contenimento della spesa pubblica, posto che le classificazioni dell'ISTAT sono assunte dal legislatore come termine di riferimento per il controllo della spesa pubblica nel settore della Pubblica amministrazione e per il suo contenimento, è di tutta evidenza che la stessa possa trovare applicazione solo nei confronti di quei soggetti ricompresi, prima della data di entrata in vigore del presente decreto-legge, nell'elenco ISTAT ed in ogni caso nei confronti di quei soggetti che effettivamente sono a carico delle finanze pubbliche. Infatti, nell'ipotesi in cui le disponibilità finanziarie a tal fine rilevanti siano a carico solo in minima parte delle finanze pubbliche, gravando per il resto su contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, manca il presupposto che, in coerenza con le finalità perseguite, potrebbe giustificare il loro inserimento nell'elenco Istat, e cioè un costo per la finanza pubblica e per il bilancio dello Stato che va contenuto;
tale intervento interpretativo è di assoluto rilievo alfine di consentire il corretto svolgimento dell'azione di ogni amministrazione o ente i quali, in considerazione del fatto che possono contare anche su finanziamenti che non gravano interamente a carico delle finanze pubbliche, in quanto oggetto di contribuzioni esterne ai perimetro della pubblica amministrazione, vedrebbero diversamente penalizzato il loro impegno istituzionale per effetto di una legge che andrebbe a comprimere, qualora diversamente applicata, anche soggetti la cui attività non grava a carico delle finanze pubbliche ovvero vi grava in misura del tutto marginale. Di tal che sarebbe del tutto iniquo un assoggettamento indiscriminato alla disposizione in esame, senza che venga preso in considerazione quanto effettivamente il singolo bilancio dell'amministrazione incide sul bilancio dello Stato;
a tal fine è quindi opportuno chiarire che la disposizione in esame non trova applicazione nei confronti di quei soggetti che hanno una autonomia finanziaria pressoché completa, che si manifesta con la capacità degli stessi di provvedere con le proprie entrate a fronteggiare per intero, o in maniera rilevante, le spese sostenute per l'attività svolta. Infatti, in tale condizione manca il presupposto che, in coerenza con le finalità perseguite, potrebbe giustificare il loro inserimento nell'elenco Istat, e cioè un costo per la finanza pubblica e per il bilancio dello Stato che va contenuto;
l'autonomia finanziaria di taluni soggetti, le fonti dalle quali discendono le loro entrate, la possibilità di intervenire per garantirne nel tempo la corrispondenza alle uscite sono tutti elementi legislativamente fissati, e, quindi, incontestabili. Segue da ciò che non è configurabile una spesa che la finanza pubblica potrebbe in futuro essere costretta a sopportare per assicurare il pareggio di bilancio di tali soggetti atteso che a questo fine essi sono già stati forniti dal legislatore di strumenti propri per provvedere in via autonoma,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ogni più adeguato intervento applicativo volto ad assicurare la coerenza nella fase di attuazione con quella che è l'effettiva volontà della disposizione normativa, in maniera da eliminare ogni eventuale possibile dubbio interpretativo circa il fatto che le disposizioni di cui all'articolo 5, comma 7, capoverso 2, vanno interpretate nel senso che esse si applicano solo ai soggetti ricompresi, prima della data di entrata in vigore del presente decreto-legge, nell'elenco ISTAT ed in ogni caso nei confronti di quei soggetti che effettivamente sono a carico delle finanze pubbliche. Infatti, anche nell'ipotesi in cui le disponibilità finanziarie a tal fine rilevanti siano a carico solo in minima parte delle finanze pubbliche, gravando per il resto su contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, manca il presupposto che, in coerenza con le finalità perseguite, potrebbe giustificare il loro inserimento nell'elenco Istat, e cioè un costo per la finanza pubblica e per il bilancio dello Stato che va contenuto.
9/5109-AR/120.(Testo modificato nel corso della seduta).Berardi.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 5, comma 7, capoverso 2, prevede che ai fini della applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono, per l'anno 2011, gli enti e i soggetti indicati a fini statistici nell'elenco oggetto del comunicato dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) in data 24 luglio 2010, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 171, nonché a decorrere dall'anno 2012 gli enti e i soggetti indicati a fini statistici dal predetto Istituto nell'elenco oggetto del comunicato del medesimo Istituto in data 30 settembre 2011, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 228 e successivi aggiornamenti ai sensi del comma 3 del presente articolo effettuati sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti dell'unione europea, le Autorità indipendenti e, comunque, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni;
la relazione illustrativa posta a corredo del provvedimento evidenzia che trattasi di una disposizione volta a chiarire il rapporto funzionale che intercorre tra le attività di elencazione di enti e soggetti a fini statistici da parte di ISTAT e le manovre di finanza pubblica che riflettono i loro effetto anche su tali enti e soggetti;
pertanto viene specificato che la disposizione in esame chiarisce che tra i soggetti interessati dalle manovre di finanza pubblica rientrano anche le Autorità indipendenti e in ogni caso l'elenco delle amministrazioni pubbliche di cui al decreto legislativo n. 165 del 2001;
è necessario, tuttavia, chiarire che anche a seguito della disposizione di cui all'articolo 5, comma 7, capoverso 2, resta comunque fermo il legame con la Banca d'Italia che l'articolo 2, comma 3 del decreto-legge 8 aprile 1974, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 giugno 1974, n. 216, fissa per la Consob prevedendo che «il trattamento giuridico ed economico del personale e l'ordinamento delle carriere sono stabiliti (...) in base ai criteri fissati dai contratto collettivo di lavoro in vigore per la Banca d'Italia, tenuto conto delle specifiche esigenze funzionali ed organizzative della Commissione.»;
tale condizione si traduce in un'autonomia organizzativa, istituzionale e funzionale della Consob - sancita dalla legge istitutiva e a tutt'oggi preservata - che trova piena legittimazione, oltre che nell'adeguato svolgimento della proprie competenze a tutela del pubblico risparmio, anche in una sana, efficace ed efficiente gestione delle risorse finanziarie occorrenti per il proprio funzionamento;
in tal senso ha avuto modo di esprimersi, con riguardo a tale ultimo profilo, anche la Presidenza del Consiglio che, con nota prot. DAGL/178/2009/1 del 3 febbraio 2011 - in relazione ad una serie di questioni interpretative emergenti da disposizioni contenute nella manovra finanziaria di cui al decreto-legge n. 78/2010 convertito, con modificazioni, nella legge n. 122/2010 - ha rilevato che «benché la CONSOB rientri fra gli enti cui fa riferimento il citato articolo 3 del decreto legislativo n. 165/2001, non può non considerarsi che la legge istitutiva della CONSOB, con riferimento alla disciplina del trattamento giuridico ed economico del personale e dell'ordinamento delle carriere, ha previsto una sostanziale omogeneizzazione tra la Commissione e la Banca d'Italia. In particolare, l'articolo 2 del decreto-legge n. 95/74, convertito dalla legge n. 216/74, ha stabilito che la CONSOB con proprio regolamento disciplini i predetti ambiti in base ai criteri fissati dal contratto collettivo di lavoro in vigore per la Banca d'Italia...», quest'ultimo essendo il parametro normativo di riferimento con riguardo al trattamento giuridico-economico ed all'ordinamento delle carriere del personale di questo Istituto;
né ciò potrebbe essere inteso quale segnale di scarsa attenzione istituzionale all'attuale perdurante grave congiuntura economica del Paese, essendo infatti la Consob fortemente impegnata nel porre in essere efficaci misure di contenimento delle proprie spese di funzionamento ancorché di non diretto e immediato impatto a beneficio delle finanze pubbliche. Sul punto è sufficiente evidenziare da un lato che, comunque, la Consob, in sede di recepimento delle analoghe iniziative assunte in Banca d'Italia, ha già recepito l'applicazione di talune misure di contenimento della spesa pubblica vigenti, come ad esempio il taglio degli stipendi per la quota eccedente gli importi di 90 mila euro e 150 mila euro per il triennio 2011/2013, e dall'altro che il bilancio di previsione 2012, approvato dalla Consob nel dicembre scorso, ha comportato tagli alla spesa corrente per 9,76 milioni, con un decremento nell'ordine del 10 per cento rispetto all'omologo dato 2011, riflettutosi in una riduzione della pressione contributiva a carico degli operatori di mercato di oltre l'8 per cento rispetto al precedente esercizio,

impegna il Governo

ad adottare ogni più adeguato intervento applicativo volto ad assicurare la coerenza nella fase di attuazione con quella che è l'effettiva volontà della disposizione normativa in esame, in maniera da eliminare ogni eventuale possibile dubbio interpretativo circa il fatto che anche alla luce della disposizione di cui all'articolo 5, comma 7, capoverso 2, resta comunque ed in ogni caso fermo il legame con la Banca d'Italia che l'articolo 2, comma 3 del decreto-legge 8 aprile 1974, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 giugno 1974, n. 216, fissa per la Consob, prevedendo che «il trattamento giuridico ed economico dei personale e l'ordinamento delle carriere sono stabiliti (...) in base ai criteri fissati da contratto collettivo di lavoro in vigore per la Banca d'Italia, tenuto conto delle specifiche esigenze funzionali ed organizzative della Commissione.».
9/5109-AR/121.Alberto Giorgetti.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 5, comma 7, capoverso 2, prevede che ai fini della applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono, per l'anno 2011, gli enti e i soggetti indicati a fini statistici nell'elenco oggetto del comunicato dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) in data 24 luglio 2010, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 171, nonché a decorrere dall'anno 2012 gli enti e i soggetti indicati a fini statistici dal predetto Istituto nell'elenco oggetto del comunicato del medesimo Istituto in data 30 settembre 2011, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 228 e successivi aggiornamenti ai sensi del comma 3 del presente articolo effettuati sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti dell'unione europea, le Autorità indipendenti e, comunque, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni;
la relazione illustrativa posta a corredo del provvedimento evidenzia che trattasi di una disposizione volta a chiarire il rapporto funzionale che intercorre tra le attività di elencazione di enti e soggetti a fini statistici da parte di ISTAT e le manovre di finanza pubblica che riflettono i loro effetto anche su tali enti e soggetti;
pertanto viene specificato che la disposizione in esame chiarisce che tra i soggetti interessati dalle manovre di finanza pubblica rientrano anche le Autorità indipendenti e in ogni caso l'elenco delle amministrazioni pubbliche di cui al decreto legislativo n. 165 del 2001;
è necessario, tuttavia, chiarire che anche a seguito della disposizione di cui all'articolo 5, comma 7, capoverso 2, resta comunque fermo il legame con la Banca d'Italia che l'articolo 2, comma 3 del decreto-legge 8 aprile 1974, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 giugno 1974, n. 216, fissa per la Consob prevedendo che «il trattamento giuridico ed economico del personale e l'ordinamento delle carriere sono stabiliti (...) in base ai criteri fissati dai contratto collettivo di lavoro in vigore per la Banca d'Italia, tenuto conto delle specifiche esigenze funzionali ed organizzative della Commissione.»;
tale condizione si traduce in un'autonomia organizzativa, istituzionale e funzionale della Consob - sancita dalla legge istitutiva e a tutt'oggi preservata - che trova piena legittimazione, oltre che nell'adeguato svolgimento della proprie competenze a tutela del pubblico risparmio, anche in una sana, efficace ed efficiente gestione delle risorse finanziarie occorrenti per il proprio funzionamento;
in tal senso ha avuto modo di esprimersi, con riguardo a tale ultimo profilo, anche la Presidenza del Consiglio che, con nota prot. DAGL/178/2009/1 del 3 febbraio 2011 - in relazione ad una serie di questioni interpretative emergenti da disposizioni contenute nella manovra finanziaria di cui al decreto-legge n. 78/2010 convertito, con modificazioni, nella legge n. 122/2010 - ha rilevato che «benché la CONSOB rientri fra gli enti cui fa riferimento il citato articolo 3 del decreto legislativo n. 165/2001, non può non considerarsi che io legge istitutiva della CONSOB, con riferimento alla disciplina del trattamento giuridico ed economico del personale e dell'ordinamento delle carriere, ha previsto una sostanziale omogeneizzazione tra la Commissione e la Banca d'Italia. In particolare, l'articolo 2 del decreto-legge n. 95/74, convertito dalla legge n. 216/74, ha stabilito che la CONSOB con proprio regolamento disciplini i predetti ambiti in base ai criteri fissati dal contratto collettivo di lavoro in vigore per la Banca d'Italia...», quest'ultimo essendo il parametro normativo di riferimento con riguardo al trattamento giuridico-economico ed all'ordinamento delle carriere del personale di questo Istituto;
né ciò potrebbe essere inteso quale segnale di scarsa attenzione istituzionale all'attuale perdurante grave congiuntura economica del Paese, essendo infatti la Consob fortemente impegnata nel porre in essere efficaci misure di contenimento delle proprie spese di funzionamento ancorché di non diretto e immediato impatto a beneficio delle finanze pubbliche. Sul punto è sufficiente evidenziare da un lato che, comunque, la Consob, in sede di recepimento delle analoghe iniziative assunte in Banca d'Italia, ha già recepito l'applicazione di talune misure di contenimento della spesa pubblica vigenti, come ad esempio il taglio degli stipendi per la quota eccedente gli importi di 90 mila euro e 150 mila euro per il triennio 2011/2013, e dall'altro che il bilancio di previsione 2012, approvato dalla Consob nel dicembre scorso, ha comportato tagli alla spesa corrente per 9,76 milioni, con un decremento nell'ordine del 10 per cento rispetto all'omologo dato 2011, riflettutosi in una riduzione della pressione contributiva a carico degli operatori di mercato di oltre l'8 per cento rispetto al precedente esercizio,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ogni più adeguato intervento applicativo volto ad assicurare la coerenza nella fase di attuazione con quella che è l'effettiva volontà della disposizione normativa in esame, in maniera da eliminare ogni eventuale possibile dubbio interpretativo circa il fatto che anche alla luce della disposizione di cui all'articolo 5, comma 7, capoverso 2, resta comunque ed in ogni caso fermo il legame con la Banca d'Italia che l'articolo 2, comma 3 del decreto-legge 8 aprile 1974, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 giugno 1974, n. 216, fissa per la Consob, prevedendo che «il trattamento giuridico ed economico dei personale e l'ordinamento delle carriere sono stabiliti (...) in base ai criteri fissati da contratto collettivo di lavoro in vigore per la Banca d'Italia, tenuto conto delle specifiche esigenze funzionali ed organizzative della Commissione.».
9/5109-AR/121.(Testo modificato nel corso della seduta).Alberto Giorgetti.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 5, comma 7, capoverso 2, prevede che ai fini dell'applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono, per l'anno 2011, gli enti e i soggetti indicati a fini statistici nell'elenco oggetto del comunicato dell'istituto nazionale di statistica (ISTAT) in data 24 luglio 2010, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 171, nonché a decorrere dall'anno 2012 gli enti e i soggetti indicati a fini statistici dal predetto Istituto nell'elenco oggetto del comunicato del medesimo Istituto in data 30 settembre 2011, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 228 e successivi aggiornamenti ai sensi del comma 3 del presente articolo effettuati sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti dell'unione europea, le Autorità indipendenti e, comunque, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni;
la relazione illustrativa posta a corredo del provvedimento evidenzia che trattasi di una disposizione volta a chiarire il rapporto funzionale che intercorre tra le attività di elencazione di enti e soggetti a fini statistici da parte di ISTAT e le manovre di finanza pubblica che riflettono i loro effetto anche su tali enti e soggetti;
pertanto viene specificato che la disposizione in esame chiarisce che tra i soggetti interessati dalle manovre di finanza pubblica rientrano anche le Autorità indipendenti e in ogni caso l'elenco delle amministrazioni pubbliche di cui al decreto legislativo n. 165 del 2001;
trattasi, quindi, di una disposizione resasi necessaria al fine di chiarire, ai fini della predisposizione dell'elenco ISTAT, quali soggetti vi debbano essere inseriti, anche a seguito di alcune pronunce del TAR Lazio (ex pluris sentenza TAR Lazio, Sez. III Quater, n. 224 dell'11 gennaio 2012, sentenza TAR Lazio, Sez. III Quater, del 3 marzo 2008, n. 1938) che hanno sancito l'illegittimità dell'inclusione in tale elenco di soggetti che non gravano sul bilancio dello Stato;
è di tutta evidenza quindi che l'intervento operato con l'articolo 5, comma 7, capoverso 2, del presente decreto-legge è volto, anche in considerazione delle pronunce giurisprudenziali sopra richiamate, a dare il necessario supporto normativo a quegli atti adottati con riferimento ai soggetti ed alle Autorità indipendenti già ricomprese nell'elenco predisposto dall'ISTAT prima della data di entrata in vigore del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16,

impegna il Governo

ad adottare ogni più adeguato intervento applicativo volto ad assicurare la coerenza nella fase di attuazione con quella che è l'effettiva volontà della disposizione normativa, in maniera da eliminare ogni eventuale possibile dubbio interpretativo circa il fatto che le disposizioni di cui all'articolo 5, comma 7, capoverso 2, vanno interpretate nel senso che esse si riferiscono solo ai soggetti ed alle Autorità indipendenti ricomprese, prima della data di entrata in vigore del presente decreto-legge, negli elenchi predisposti dall'ISTAT.
9/5109-AR/122.Bonciani.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 5, comma 7, capoverso 2, prevede che ai fini dell'applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono, per l'anno 2011, gli enti e i soggetti indicati a fini statistici nell'elenco oggetto del comunicato dell'istituto nazionale di statistica (ISTAT) in data 24 luglio 2010, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 171, nonché a decorrere dall'anno 2012 gli enti e i soggetti indicati a fini statistici dal predetto Istituto nell'elenco oggetto del comunicato del medesimo Istituto in data 30 settembre 2011, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 228 e successivi aggiornamenti ai sensi del comma 3 del presente articolo effettuati sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti dell'unione europea, le Autorità indipendenti e, comunque, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni;
la relazione illustrativa posta a corredo del provvedimento evidenzia che trattasi di una disposizione volta a chiarire il rapporto funzionale che intercorre tra le attività di elencazione di enti e soggetti a fini statistici da parte di ISTAT e le manovre di finanza pubblica che riflettono i loro effetto anche su tali enti e soggetti;
pertanto viene specificato che la disposizione in esame chiarisce che tra i soggetti interessati dalle manovre di finanza pubblica rientrano anche le Autorità indipendenti e in ogni caso l'elenco delle amministrazioni pubbliche di cui al decreto legislativo n. 165 del 2001;
trattasi, quindi, di una disposizione resasi necessaria al fine di chiarire, ai fini della predisposizione dell'elenco ISTAT, quali soggetti vi debbano essere inseriti, anche a seguito di alcune pronunce del TAR Lazio (ex pluris sentenza TAR Lazio, Sez. III Quater, n. 224 dell'11 gennaio 2012, sentenza TAR Lazio, Sez. III Quater, del 3 marzo 2008, n. 1938) che hanno sancito l'illegittimità dell'inclusione in tale elenco di soggetti che non gravano sul bilancio dello Stato;
è di tutta evidenza quindi che l'intervento operato con l'articolo 5, comma 7, capoverso 2, del presente decreto-legge è volto, anche in considerazione delle pronunce giurisprudenziali sopra richiamate, a dare il necessario supporto normativo a quegli atti adottati con riferimento ai soggetti ed alle Autorità indipendenti già ricomprese nell'elenco predisposto dall'ISTAT prima della data di entrata in vigore del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ogni più adeguato intervento applicativo volto ad assicurare la coerenza nella fase di attuazione con quella che è l'effettiva volontà della disposizione normativa, in maniera da eliminare ogni eventuale possibile dubbio interpretativo circa il fatto che le disposizioni di cui all'articolo 5, comma 7, capoverso 2, vanno interpretate nel senso che esse si riferiscono solo ai soggetti ed alle Autorità indipendenti ricomprese, prima della data di entrata in vigore del presente decreto-legge, negli elenchi predisposti dall'ISTAT.
9/5109-AR/122.(Testo modificato nel corso della seduta).Bonciani.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 5, comma 7, capoverso 2, prevede che ai fini della applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono, per l'anno 2011, gli enti e i soggetti indicati a fini statistici nell'elenco oggetto del comunicato dell'istituto nazionale di statistica (ISTAT) in data 24 luglio 2010, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 171, nonché a decorrere dall'anno 2012 gli enti e i soggetti indicati a fini statistici dai predetto Istituto nell'elenco oggetto del comunicato del medesimo Istituto in data 30 settembre 2011, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 228 e successivi aggiornamenti ai sensi dei comma 3 dei presente articolo effettuati sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti dell'unione europea, le Autorità indipendenti e, comunque, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni;
la relazione illustrativa posta a corredo del provvedimento evidenzia che trattasi di una disposizione volta a chiarire il rapporto funzionale che intercorre tra le attività di elencazione di enti e soggetti a fini statistici da parte di ISTAT e le manovre di finanza pubblica che riflettono i loro effetto anche su tali enti e soggetti;
pertanto viene specificato che la disposizione in esame chiarisce che tra i soggetti interessati dalle manovre di finanza pubblica rientrano anche le Autorità indipendenti e in ogni caso l'elenco delle amministrazioni pubbliche di cui al decreto legislativo n. 165 del 2001;
tenuto conto che trattasi di una disposizione finalizzata, quindi, al contenimento della spesa pubblica, posto che le classificazioni dell'ISTAT sono assunte dal legislatore come termine di riferimento per il controllo della spesa pubblica nel settore della Pubblica amministrazione e per il suo contenimento, è di tutta evidenza che la stessa possa trovare applicazione solo nei confronti di soggetti ricompresi, prima della data di entrata in vigore del presente decreto-legge, nell'elenco ISTAT ed in ogni caso nei confronti di quei soggetti che effettivamente sono a carico delle finanze pubbliche e quindi, nell'ipotesi in cui le disponibilità finanziarie a tal fine rilevanti siano a carico solo in parte delle finanze pubbliche, gravando per il resto su contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, per la parte percentuale (calcolata sulla base dell'incidenza nel bilancio complessivo dell'amministrazione o ente interessati della contribuzione a carico delle finanze pubbliche) corrispondente all'incidenza della contribuzione in realtà a carico delle finanze pubbliche;
tale intervento interpretativo è di assoluto rilievo al fine di consentire il corretto svolgimento dell'azione di ogni amministrazione o enti i quali, in considerazione del fatto che possono contare anche su finanziamenti che non gravano interamente a carico delle finanze pubbliche, in quanto oggetto di contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, vedrebbero diversamente penalizzato il loro impegno istituzionale per effetto di una legge che andrebbe a comprimere, qualora diversamente applicata, anche soggetti la cui attività non grava a carico delle finanze pubbliche ovvero vi grava in misura del tutto marginale. Di tal che sarebbe del tutto iniquo un assoggettamento indiscriminato alla disposizione in esame, senza che venga preso in considerazione quanto effettivamente il singolo bilancio dell'amministrazione incide, in misura percentuale, sul bilancio dello Stato;
a tal fine è quindi opportuno chiarire che la disposizione in esame non trova applicazione nei confronti di quei soggetti che hanno una autonomia finanziaria pressoché completa (che si manifesta con la capacità degli stessi di provvedere con le proprie entrate a fronteggiare per intero, o in maniera rilevante, le spese sostenute per l'attività svolta) ovvero si applica nei confronti di tali soggetti per la parte percentuale del loro bilancio che effettivamente è a carico della finanza pubblica. Infatti manca il presupposto che, in coerenza con le finalità perseguite, potrebbe giustificare il loro inserimento nell'elenco Istat, e cioè un costo per la finanza pubblica e per il bilancio dello Stato che va contenuto;
l'autonomia finanziaria di taluni soggetti, le fonti dalle quali discendono le loro entrate, la possibilità di intervenire per garantirne nel tempo la corrispondenza alle uscite sono tutti elementi legislativamente fissati, e, quindi, incontestabili. Segue da ciò che non è configurabile una spesa che la finanza pubblica potrebbe in futuro essere costretta a sopportare per assicurare il pareggio di bilancio di tali soggetti atteso che a questo fine essi sono già stati forniti dal legislatore di strumenti propri per provvedere in via autonoma,

impegna il Governo

ad adottare ogni più adeguato intervento applicativo volto ad assicurare la coerenza nella fase di attuazione con quella che è l'effettiva volontà della disposizione normativa, in maniera da eliminare ogni eventuale possibile dubbio interpretativo circa il fatto che le disposizioni di cui all'articolo 5, comma 7, capoverso 2, vanno interpretate nel senso che esse si applicano solo ai soggetti ricompresi, prima della data di entrata in vigore del presente decreto-legge, nell'elenco ISTAT ed in ogni caso nei confronti di quei soggetti che effettivamente sono a carico delle finanze pubbliche e quindi, nell'ipotesi in cui le disponibilità finanziarie a tal fine rilevanti siano a carico solo in parte delle finanze pubbliche, gravando per il resto su contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, per la parte percentuale (calcolata sulla base dell'incidenza nel bilancio complessivo dell'amministrazione o ente interessati della contribuzione a carico delle finanze pubbliche) corrispondente all'incidenza della contribuzione in realtà a carico delle finanze pubbliche.
9/5109-AR/123.Romele, Marinello.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 5, comma 7, capoverso 2, prevede che ai fini della applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono, per l'anno 2011, gli enti e i soggetti indicati a fini statistici nell'elenco oggetto del comunicato dell'istituto nazionale di statistica (ISTAT) in data 24 luglio 2010, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 171, nonché a decorrere dall'anno 2012 gli enti e i soggetti indicati a fini statistici dai predetto Istituto nell'elenco oggetto del comunicato del medesimo Istituto in data 30 settembre 2011, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 228 e successivi aggiornamenti ai sensi dei comma 3 dei presente articolo effettuati sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti dell'unione europea, le Autorità indipendenti e, comunque, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni;
la relazione illustrativa posta a corredo del provvedimento evidenzia che trattasi di una disposizione volta a chiarire il rapporto funzionale che intercorre tra le attività di elencazione di enti e soggetti a fini statistici da parte di ISTAT e le manovre di finanza pubblica che riflettono i loro effetto anche su tali enti e soggetti;
pertanto viene specificato che la disposizione in esame chiarisce che tra i soggetti interessati dalle manovre di finanza pubblica rientrano anche le Autorità indipendenti e in ogni caso l'elenco delle amministrazioni pubbliche di cui al decreto legislativo n. 165 del 2001;
tenuto conto che trattasi di una disposizione finalizzata, quindi, al contenimento della spesa pubblica, posto che le classificazioni dell'ISTAT sono assunte dal legislatore come termine di riferimento per il controllo della spesa pubblica nel settore della Pubblica amministrazione e per il suo contenimento, è di tutta evidenza che la stessa possa trovare applicazione solo nei confronti di soggetti ricompresi, prima della data di entrata in vigore del presente decreto-legge, nell'elenco ISTAT ed in ogni caso nei confronti di quei soggetti che effettivamente sono a carico delle finanze pubbliche e quindi, nell'ipotesi in cui le disponibilità finanziarie a tal fine rilevanti siano a carico solo in parte delle finanze pubbliche, gravando per il resto su contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, per la parte percentuale (calcolata sulla base dell'incidenza nel bilancio complessivo dell'amministrazione o ente interessati della contribuzione a carico delle finanze pubbliche) corrispondente all'incidenza della contribuzione in realtà a carico delle finanze pubbliche;
tale intervento interpretativo è di assoluto rilievo al fine di consentire il corretto svolgimento dell'azione di ogni amministrazione o enti i quali, in considerazione del fatto che possono contare anche su finanziamenti che non gravano interamente a carico delle finanze pubbliche, in quanto oggetto di contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, vedrebbero diversamente penalizzato il loro impegno istituzionale per effetto di una legge che andrebbe a comprimere, qualora diversamente applicata, anche soggetti la cui attività non grava a carico delle finanze pubbliche ovvero vi grava in misura del tutto marginale. Di tal che sarebbe del tutto iniquo un assoggettamento indiscriminato alla disposizione in esame, senza che venga preso in considerazione quanto effettivamente il singolo bilancio dell'amministrazione incide, in misura percentuale, sul bilancio dello Stato;
a tal fine è quindi opportuno chiarire che la disposizione in esame non trova applicazione nei confronti di quei soggetti che hanno una autonomia finanziaria pressoché completa (che si manifesta con la capacità degli stessi di provvedere con le proprie entrate a fronteggiare per intero, o in maniera rilevante, le spese sostenute per l'attività svolta) ovvero si applica nei confronti di tali soggetti per la parte percentuale del loro bilancio che effettivamente è a carico della finanza pubblica. Infatti manca il presupposto che, in coerenza con le finalità perseguite, potrebbe giustificare il loro inserimento nell'elenco Istat, e cioè un costo per la finanza pubblica e per il bilancio dello Stato che va contenuto;
l'autonomia finanziaria di taluni soggetti, le fonti dalle quali discendono le loro entrate, la possibilità di intervenire per garantirne nel tempo la corrispondenza alle uscite sono tutti elementi legislativamente fissati, e, quindi, incontestabili. Segue da ciò che non è configurabile una spesa che la finanza pubblica potrebbe in futuro essere costretta a sopportare per assicurare il pareggio di bilancio di tali soggetti atteso che a questo fine essi sono già stati forniti dal legislatore di strumenti propri per provvedere in via autonoma,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ogni più adeguato intervento applicativo volto ad assicurare la coerenza nella fase di attuazione con quella che è l'effettiva volontà della disposizione normativa, in maniera da eliminare ogni eventuale possibile dubbio interpretativo circa il fatto che le disposizioni di cui all'articolo 5, comma 7, capoverso 2, vanno interpretate nel senso che esse si applicano solo ai soggetti ricompresi, prima della data di entrata in vigore del presente decreto-legge, nell'elenco ISTAT ed in ogni caso nei confronti di quei soggetti che effettivamente sono a carico delle finanze pubbliche e quindi, nell'ipotesi in cui le disponibilità finanziarie a tal fine rilevanti siano a carico solo in parte delle finanze pubbliche, gravando per il resto su contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, per la parte percentuale (calcolata sulla base dell'incidenza nel bilancio complessivo dell'amministrazione o ente interessati della contribuzione a carico delle finanze pubbliche) corrispondente all'incidenza della contribuzione in realtà a carico delle finanze pubbliche.
9/5109-AR/123.(Testo modificato nel corso della seduta).Romele, Marinello.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento di conversione contiene misure di semplificazione in materia tributaria, al fine di assicurare una riduzione degli oneri amministrativi per i cittadini e le imprese, nonché disposizioni per potenziare le procedure di accertamento e ulteriori misure di carattere finanziario;
l'articolo 4 in particolare prevede una serie di disposizioni alcune delle quali costituiscono modifiche e integrazioni alla disciplina dell'imposta municipale propria (IMU), la cui applicazione sperimentale è stata prevista, per gli anni 2012-2014, dall'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201;
la lettera d) del comma 5 del suesposto articolo, per effetto delle modifiche apportate durante l'esame al Senato, introduce alcune deroghe alle ordinarie modalità di versamento dell'IMU per quanto riguarda l'imposta dovuta, nel 2012, sui fabbricati rurali ad uso strumentale;
la predetta disposizione per quanto condivisibile, non appare sufficiente per riequilibrare il sistema della tassazione di un'imposta quale l'IMU iniqua e sproporzionate che colpisce anche i beni strumentali in agricoltura, penalizzando notevolmente un comparto su cui gravano pesantemente gli effetti della crisi economica;
occorrono conseguentemente ulteriori interventi in grado di adottare e assicurare una migliore sostenibilità e gradualità nell'imposizione dell'IMU nell'ambito agricolo e in particolare a favore della produzione nazionale agricola d'eccellenza che rappresenta la peculiarità del comparto agricolo italiano,

impegna il Governo

ad adottare un opportuno provvedimento al fine di sostenere la produzione nazionale agricola d'eccellenza, attraverso mirati benefìci fiscali.
9/5109-AR/124.Savino.

La Camera,
premesso che:
il provvedimento di conversione contiene misure di semplificazione in materia tributaria, al fine di assicurare una riduzione degli oneri amministrativi per i cittadini e le imprese, nonché disposizioni per potenziare le procedure di accertamento e ulteriori misure di carattere finanziario;
l'articolo 4 in particolare prevede una serie di disposizioni alcune delle quali costituiscono modifiche e integrazioni alla disciplina dell'imposta municipale propria (IMU), la cui applicazione sperimentale è stata prevista, per gli anni 2012-2014, dall'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201;
la lettera d) del comma 5 del suesposto articolo, per effetto delle modifiche apportate durante l'esame al Senato, introduce alcune deroghe alle ordinarie modalità di versamento dell'IMU per quanto riguarda l'imposta dovuta, nel 2012, sui fabbricati rurali ad uso strumentale;
la predetta disposizione per quanto condivisibile, non appare sufficiente per riequilibrare il sistema della tassazione di un'imposta quale l'IMU iniqua e sproporzionate che colpisce anche i beni strumentali in agricoltura, penalizzando notevolmente un comparto su cui gravano pesantemente gli effetti della crisi economica;
occorrono conseguentemente ulteriori interventi in grado di adottare e assicurare una migliore sostenibilità e gradualità nell'imposizione dell'IMU nell'ambito agricolo e in particolare a favore della produzione nazionale agricola d'eccellenza che rappresenta la peculiarità del comparto agricolo italiano,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare un provvedimento al fine di sostenere la produzione nazionale agricola d'eccellenza, attraverso mirati benefìci fiscali.
9/5109-AR/124.(Testo modificato nel corso della seduta).Savino.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011 è stata anticipata al corrente anno l'operatività dell'imposta municipale propria unica (IMU), sostitutiva, per la componente immobiliare, dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, e dell'imposta comunale sugli immobili;
con la medesima norma è stato, inoltre, disposto che l'IMU si applichi anche alle abitazioni principali, definite come l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente;
l'aliquota di base dell'imposta municipale propria unica è pari allo 0,76 per cento, mentre per l'abitazione principale l'aliquota è ridotta allo 0,4 per cento e i comuni possono modificarla, in aumento o in diminuzione, sino a 0,2 punti percentuali; in favore dei soggetti che risiedono nell'immobile adibito ad abitazione principale è altresì prevista una detrazione di duecento euro, che è maggiorata di 50 euro per ciascun figlio di età non superiore a ventisei anni, purché dimorante abitualmente e residente anagraficamente nell'unità immobiliare, fino ad un importo complessivo massimo della detrazione di 400 euro;
il Governo Berlusconi con il decreto-legge 98/2008 aveva abolito l'imposta sulla prima casa perché riteneva che tale imposta fosse iniqua perché la prima casa non può rappresentare una fonte di reddito in quanto essa rappresenta il luogo primario dove si svolge la vita familiare;
tassare l'abitazione principale è profondamente ingiusto perché significa colpire un bene primario incidendo due volte sul frutto del lavoro e del risparmio in netta violazione del principio costituzionale di cui all'articolo 53 che sancisce che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva secondo il criterio della progressività;
si evidenzia che le misure adottate finora colpiscono il ceto medio della popolazione tutta quella fascia di cittadini (lavoratori dipendenti pubblici e privati) che vive del proprio stipendio;
va sottolineato ancora una volta che è quella fascia di popolazione (non la grande industria) a far girare l'economia. Ebbene, oggi, soffocata dal carico fiscale, non è in grado di assumere nessuno, ma anzi è costretta a licenziare i propri dipendenti. Non ci può essere sviluppo nel Paese se si blocca il ciclo produttivo;
a ciò si aggiunge i cittadini che vivono del proprio stipendio, magari l'unico della famiglia, o della propria pensione (sono parte sempre più ampia della popolazione) che rischiano la povertà o vi sono già dentro e che, peraltro, i dati statistici ci dicono essere sempre in aumento,

impegna il Governo

ad individuare le risorse necessarie:
per adottare un opportuno provvedimento al fine di prevedere che l'imposta municipale propria unica sull'abitazione principale sia un tributo una tantum da applicare solo per l'anno 2012;
per ridurre già da quest'anno l'aliquota prevista sull'abitazione principale dell'imposta municipale propria unica.
9/5109-AR/125.Bernardo, Gibiino, Tommaso Foti.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011 è stata anticipata al corrente anno l'operatività dell'imposta municipale propria unica (IMU), sostitutiva, per la componente immobiliare, dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, e dell'imposta comunale sugli immobili;
con la medesima norma è stato, inoltre, disposto che l'IMU si applichi anche alle abitazioni principali, definite come l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente;
l'aliquota di base dell'imposta municipale propria unica è pari allo 0,76 per cento, mentre per l'abitazione principale l'aliquota è ridotta allo 0,4 per cento e i comuni possono modificarla, in aumento o in diminuzione, sino a 0,2 punti percentuali; in favore dei soggetti che risiedono nell'immobile adibito ad abitazione principale è altresì prevista una detrazione di duecento euro, che è maggiorata di 50 euro per ciascun figlio di età non superiore a ventisei anni, purché dimorante abitualmente e residente anagraficamente nell'unità immobiliare, fino ad un importo complessivo massimo della detrazione di 400 euro;
il Governo Berlusconi con il decreto-legge 98/2008 aveva abolito l'imposta sulla prima casa perché riteneva che tale imposta fosse iniqua perché la prima casa non può rappresentare una fonte di reddito in quanto essa rappresenta il luogo primario dove si svolge la vita familiare;
tassare l'abitazione principale è profondamente ingiusto perché significa colpire un bene primario incidendo due volte sul frutto del lavoro e del risparmio in netta violazione del principio costituzionale di cui all'articolo 53 che sancisce che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva secondo il criterio della progressività;
si evidenzia che le misure adottate finora colpiscono il ceto medio della popolazione tutta quella fascia di cittadini (lavoratori dipendenti pubblici e privati) che vive del proprio stipendio;
va sottolineato ancora una volta che è quella fascia di popolazione (non la grande industria) a far girare l'economia. Ebbene, oggi, soffocata dal carico fiscale, non è in grado di assumere nessuno, ma anzi è costretta a licenziare i propri dipendenti. Non ci può essere sviluppo nel Paese se si blocca il ciclo produttivo;
a ciò si aggiunge i cittadini che vivono del proprio stipendio, magari l'unico della famiglia, o della propria pensione (sono parte sempre più ampia della popolazione) che rischiano la povertà o vi sono già dentro e che, peraltro, i dati statistici ci dicono essere sempre in aumento,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di individuare le risorse necessarie per adottare un opportuno provvedimento al fine di prevedere che l'imposta municipale propria unica sull'abitazione principale sia un tributo una tantum da applicare solo per l'anno 2012.
9/5109-AR/125.(Testo modificato nel corso della seduta).Bernardo, Gibiino, Tommaso Foti.

La Camera,
considerato che:
il provvedimento in esame dispone al comma 11-sexies dell'articolo 12 che, un quota pari a un miliardo di euro delle risorse stabilite dall'articolo 35 del decreto-legge n. 1 del 2012 (che reiscriveva a bilancio 2 miliardi di residui passivi di parte corrente e 700 milioni di conto capitale, con lo scopo di incrementare i pagamenti della Pubblica amministrazione, è destinata agli enti locali, con priorità ai comuni, per il pagamento dei predetti crediti. La norma specifica che l'utilizzo delle suddette somme non deve comportare, secondo i criteri di contabilità nazionale, peggioramento dell'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni;
negli ultime settimane diversi imprenditori italiani si sono tolti la vita, oppressi dal peso dell'imposizione fiscale e contributiva cui non riuscivano più a fare fronte; in taluni casi questi imprenditori erano un possesso di un credito nei confronti della Pubblica amministrazione, che questa non ha provveduto ad onorare, non concedendo nemmeno la compensazione tra crediti e debiti fiscali;
il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato, il 16 febbraio 2011, un'importante direttiva (2011/7/UE) relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali la direttiva prevede che gli enti pubblici dovranno pagare le imprese entro trenta giorni (e solo in circostanze del tutto eccezionali entro sessanta), mentre i pagamenti tra imprese private dovranno essere effettuati entro sessanta giorni;
presso la Cassa depositi e prestiti esiste un fondo destinato a pagare i debiti della Pubblica amministrazione e più in generale il principio della compensazione tra crediti verso la Pubblica amministrazione e debiti fiscali e contributivi non è estraneo al nostro ordinamento;
attualmente la Pubblica amministrazione deve al sistema delle imprese oltre 70 miliardi di euro,

impegna il Governo

nell'ambito del previsto provvedimento di rilancio della politica economica, a potenziare gli strumenti già in essere e ad introdurne di nuovi al fine di accelerare i pagamenti della Pubblica amministrazione nei confronti delle imprese.
9/5109-AR/126.Garagnani.

La Camera,
considerato che:
il provvedimento in esame dispone al comma 11-sexies dell'articolo 12 che, un quota pari a un miliardo di euro delle risorse stabilite dall'articolo 35 del decreto-legge n. 1 del 2012 (che reiscriveva a bilancio 2 miliardi di residui passivi di parte corrente e 700 milioni di conto capitale, con lo scopo di incrementare i pagamenti della Pubblica amministrazione, è destinata agli enti locali, con priorità ai comuni, per il pagamento dei predetti crediti. La norma specifica che l'utilizzo delle suddette somme non deve comportare, secondo i criteri di contabilità nazionale, peggioramento dell'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni;
negli ultime settimane diversi imprenditori italiani si sono tolti la vita, oppressi dal peso dell'imposizione fiscale e contributiva cui non riuscivano più a fare fronte; in taluni casi questi imprenditori erano un possesso di un credito nei confronti della Pubblica amministrazione, che questa non ha provveduto ad onorare, non concedendo nemmeno la compensazione tra crediti e debiti fiscali;
il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato, il 16 febbraio 2011, un'importante direttiva (2011/7/UE) relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali la direttiva prevede che gli enti pubblici dovranno pagare le imprese entro trenta giorni (e solo in circostanze del tutto eccezionali entro sessanta), mentre i pagamenti tra imprese private dovranno essere effettuati entro sessanta giorni;
presso la Cassa depositi e prestiti esiste un fondo destinato a pagare i debiti della Pubblica amministrazione e più in generale il principio della compensazione tra crediti verso la Pubblica amministrazione e debiti fiscali e contributivi non è estraneo al nostro ordinamento;
attualmente la Pubblica amministrazione deve al sistema delle imprese oltre 70 miliardi di euro,

impegna il Governo

nell'ambito del previsto provvedimento di rilancio della politica economica, a valutare l'opportunità di potenziare gli strumenti già in essere e ad introdurne di nuovi al fine di accelerare i pagamenti della Pubblica amministrazione nei confronti delle imprese.
9/5109-AR/126.(Testo modificato nel corso della seduta).Garagnani.

La Camera,
considerato che:
nel provvedimento in esame sono state introdotte disposizioni per favorire il diritto allo studio, con riferimento alla detassazione (articoli 3, 16-ter e 16-quater soppressi) o l'esclusione dalla formazione del reddito delle somme corrisposte a titolo di borse di studio (articolo 3 comma 6-quinquies);
le norme si inquadrano nel processo di generale rinnovo e svecchiamento delle università, avviato 30 dicembre 2010, n. 240,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di proseguire con maggiore decisione nel processo di riforma dell'Università e di rinnovo del corpo docente e dei gruppi dirigenti, al fine di favorire un più spedito accesso dei giovani nelle posizioni di maggior rilievo degli atenei e, in definitiva, di ridurre gli oneri a carico della finanza pubblica.
9/5109-AR/127.Mario Pepe (Misto-R-A).

La Camera,
considerato che:
nel provvedimento in esame l'articolo 4-ter introduce il «Patto di stabilità orizzontale» con il quale, tra l'altro, si consente in favore degli enti «virtuosi» di elevare il numero delle assunzioni dall'attuale 20 per cento al 40 per cento, in particolare nei settori dell'istruzione, dei servizi sociali e della polizia locale, fermo restando il criterio di calcolo delle spese di personale ai fini della verifica del rispetto dei parametri di virtuosità;
le disposizioni sui limiti di assunzione negli enti locali hanno portato all'impossibilità di fornire, in taluni comuni, di fornire servizi classificati come essenziali, quali quello della scuola dell'infanzia; nei mesi scorsi si è tentato, senza risultato di introdurre norme «ponte» per consentire ai comuni di offrire il suddetto servizio essenziale, con criteri di temporaneità in attesa di rientrare nei parametri di virtuosità o di aver accesso alle assunzioni del personale necessario,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di consentire l'offerto di un servizio essenziale quale è la scuola dell'infanzia, mediante utilizzo di personale temporaneo, i cui oneri possano venir coperti mediante introduzione di specifica imposizione fiscale locale.
9/5109-AR/128.Giammanco.

La Camera,
considerato che:
la Commissione finanze ha opportunamente soppresso i commi 16-ter e 16-quater dell'articolo 3, come introdotti al Senato, in materia di tassabilità delle borse di studio, in forza dei quali i medici specializzandi, gli assegnisti di ricerca i dottorandi si sarebbero trovati a pagare l'IRPEF sulla quota eccedente gli 11.500 euro;
la soppressione della norma ha quindi lasciato in vita le disposizioni derogatorie in favore delle citate categorie di medici, ai sensi dell'articolo 6 comma 6 della legge n. 398 del 1989, dell'articolo 41, comma 1 del decreto legislativo n. 368 del 1999, nonché dell'articolo 11, comma 6 della legge n. 240 del 2010;
viceversa sono rimasti fuori dall'esenzione e pagano per intero le imposte su tutto il reddito i borsisti di medicina generale; paradossalmente la norma soppressa li favoriva, in quanto avrebbe escluso dalla tassazione la quota di reddito sotto gli 11.500 euro;
oltre all'Irpef la suddetta categoria paga le ritenute previdenziali (cosiddetta quota B dell'EMPAM),

impegna il Governo

a sanare in un prossimo provvedimento l'ingiustificata disparità di trattamento fiscale e contributivo tra medici specializzandi, assegnisti di ricerca e dottorandi da un lato e i borsisti di medicina generale dall'altro.
9/5109-AR/129.Marinello, Calabria.

La Camera,
considerato che:
la Commissione finanze ha opportunamente soppresso i commi 16-ter e 16-quater dell'articolo 3, come introdotti al Senato, in materia di tassabilità delle borse di studio, in forza dei quali i medici specializzandi, gli assegnisti di ricerca i dottorandi si sarebbero trovati a pagare l'IRPEF sulla quota eccedente gli 11.500 euro;
la soppressione della norma ha quindi lasciato in vita le disposizioni derogatorie in favore delle citate categorie di medici, ai sensi dell'articolo 6 comma 6 della legge n. 398 del 1989, dell'articolo 41, comma 1 del decreto legislativo n. 368 del 1999, nonché dell'articolo 11, comma 6 della legge n. 240 del 2010;
viceversa sono rimasti fuori dall'esenzione e pagano per intero le imposte su tutto il reddito i borsisti di medicina generale; paradossalmente la norma soppressa li favoriva, in quanto avrebbe escluso dalla tassazione la quota di reddito sotto gli 11.500 euro;
oltre all'Irpef la suddetta categoria paga le ritenute previdenziali (cosiddetta quota B dell'EMPAM),

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di sanare in un prossimo provvedimento l'ingiustificata disparità di trattamento fiscale e contributivo tra medici specializzandi, assegnisti di ricerca e dottorandi da un lato e i borsisti di medicina generale dall'altro.
9/5109-AR/129.(Testo modificato nel corso della seduta).Marinello, Calabria.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 5, comma 7, capoverso 2, prevede che ai fini della applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono, per l'anno 2011, gli enti e i soggetti indicati a fini statistici nell'elenco oggetto del comunicato dell'istituto nazionale di statistica (ISTAT) in data 24 luglio 2010, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 171, nonché a decorrere dall'anno 2012 gli enti e i soggetti indicati a fini statistici dal predetto istituto nell'elenco oggetto del comunicato del medesimo Istituto in data 30 settembre 2011, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 228 e successivi aggiornamenti ai sensi del comma 3 del presente articolo effettuati sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti dell'Unione europea, le Autorità indipendenti e, comunque, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni;
la relazione illustrativa posta a corredo del provvedimento evidenzia che trattasi di una disposizione volta a chiarire il rapporto funzionale che intercorre tra le attività di elencazione di enti e soggetti a fini statistici da parte di ISTAT e le manovre di finanza pubblica che riflettono i loro effetto anche su tali enti e soggetti;
pertanto viene specificato che la disposizione in esame chiarisce che tra i soggetti interessati dalle manovre di finanza pubblica rientrano anche le Autorità indipendenti e in ogni caso l'elenco delle amministrazioni pubbliche di cui al decreto legislativo n. 165 del 2001;
è necessario, tuttavia, chiarire che anche a seguito della disposizione di cui all'articolo 5, comma 7, capoverso 2, resta comunque fermo il legame con la Banca d'Italia che l'articolo 2, comma 3 del decreto-legge 8 aprile 1974, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 giugno 1914, n. 216, fissa per la Consob prevedendo che «il trattamento giuridico ed economico del personale e l'ordinamento delle carriere sono stabiliti (...) in base ai criteri fissati dal contratto collettivo di lavoro in vigore per la Banca d'Italia, tenuto conto delle specifiche esigenze funzionali ed organizzative della Commissione.»;
tale condizione si traduce in un'autonomia organizzativa, istituzionale e funzionale della Consob sancita dalla legge istitutiva e a tutt'oggi preservata - che trova piena legittimazione, oltre che nell'adeguato svolgimento della proprie competenze a tutela del pubblico risparmio, anche in una sana, efficace ed efficiente gestione delle risorse finanziarie occorrenti per il proprio funzionamento;
in tal senso ha avuto modo di esprimersi, con riguardo a tale ultimo profilo, anche la Presidenza del Consiglio che, con nota prot. DAGL/178/2009/1 del 3 febbraio 2011 - in relazione ad una serie di questioni interpretative emergenti da disposizioni contenute nella manovra finanziaria di cui al decreto-legge n. 18/2010 convertito, con modificazioni, nella legge n. 122/2010 - ha rilevato che «benché la CONSOB rientri fra gli enti cui fa riferimento il citato articolo 3 dei decreto legislativo n. 165/2001, non può non considerarsi che la legge istitutiva della CONSOB, con riferimento alla disciplina del trattamento giuridico ed economico del personale e dell'ordinamento delle carriere, ha previsto una sostanziale omogeneizzazione tra la Commissione e la Banca d'Italia. In particolare, l'articolo 2 del decreto-legge n. 95/74, convertito dalla legge n. 216/74, ha stabilito che la CONSOB con proprio regolamento disciplini i predetti ambiti in base ai criteri fissati dal contratto collettivo di lavoro in vigore per la Banca d'Italia...», quest'ultimo essendo il parametro normativo di riferimento con riguardo al trattamento giuridico-economico ed all'ordinamento delle carriere del personale di questo Istituto;
né ciò potrebbe essere inteso quale segnale di scarsa attenzione istituzionale all'attuale perdurante grave congiuntura economica del Paese, essendo infatti la Consob fortemente impegnata nel porre in essere efficaci misure di contenimento delle proprie spese di funzionamento ancorché di non diretto e immediato impatto a beneficio delle finanze pubbliche. Sul punto è sufficiente evidenziare da un lato che, comunque, la Consob, in sede di recepimento delle analoghe iniziative assunte in Banca d'Italia, ha già recepito l'applicazione di talune misure di contenimento della spesa pubblica vigenti, come ad esempio il taglio degli stipendi per la quota eccedente gli importi di 90 mila euro e 150 mila euro per il triennio 2011/2013, e dall'altro che il bilancia di previsione 2012, approvato dalla Consob nel dicembre scorso, ha comportato tagli alla spesa corrente per 9,76 milioni, con un decremento nell'ordine del 10 per cento rispetto all'omologo dato 2011, riflettutosi in una riduzione della pressione contributiva a carico degli operatori di mercato di oltre l'8 per cento rispetto al precedente esercizio,

impegna il Governo

ad adottare ogni più adeguato intervento applicativo volto ad assicurare la coerenza nella fase di attuazione con quella che è l'effettiva volontà della disposizione normativa in esame, in maniera da eliminare ogni eventuale possibile dubbio interpretativo circa il fatto che anche alla luce della disposizione di cui all'articolo 5, comma 7, capoverso 2, resta comunque ed in ogni caso fermo il legame con la Banca d'Italia che l'articolo 2, comma 3 del decreto-legge 8 aprile 1974, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 giugno 1914, n. 216, fissa per la Consob, prevedendo che «Il trattamento giuridico ed economico del personale e l'ordinamento delle carriere sono stabiliti (...) in base ai criteri fissati dal contratto collettivo di lavoro in vigore per la Banca d'Italia, tenuto conto delle specifiche esigenze funzionali ed organizzative della Commissione.
9/5109-AR/130.Pini, Caparini.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 5, comma 7, capoverso 2, prevede che ai fini della applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono, per l'anno 2011, gli enti e i soggetti indicati a fini statistici nell'elenco oggetto del comunicato dell'istituto nazionale di statistica (ISTAT) in data 24 luglio 2010, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 171, nonché a decorrere dall'anno 2012 gli enti e i soggetti indicati a fini statistici dal predetto istituto nell'elenco oggetto del comunicato del medesimo Istituto in data 30 settembre 2011, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 228 e successivi aggiornamenti ai sensi del comma 3 del presente articolo effettuati sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti dell'Unione europea, le Autorità indipendenti e, comunque, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni;
la relazione illustrativa posta a corredo del provvedimento evidenzia che trattasi di una disposizione volta a chiarire il rapporto funzionale che intercorre tra le attività di elencazione di enti e soggetti a fini statistici da parte di ISTAT e le manovre di finanza pubblica che riflettono i loro effetto anche su tali enti e soggetti;
pertanto viene specificato che la disposizione in esame chiarisce che tra i soggetti interessati dalle manovre di finanza pubblica rientrano anche le Autorità indipendenti e in ogni caso l'elenco delle amministrazioni pubbliche di cui al decreto legislativo n. 165 del 2001;
è necessario, tuttavia, chiarire che anche a seguito della disposizione di cui all'articolo 5, comma 7, capoverso 2, resta comunque fermo il legame con la Banca d'Italia che l'articolo 2, comma 3 del decreto-legge 8 aprile 1974, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 giugno 1914, n. 216, fissa per la Consob prevedendo che «il trattamento giuridico ed economico del personale e l'ordinamento delle carriere sono stabiliti (...) in base ai criteri fissati dal contratto collettivo di lavoro in vigore per la Banca d'Italia, tenuto conto delle specifiche esigenze funzionali ed organizzative della Commissione.»;
tale condizione si traduce in un'autonomia organizzativa, istituzionale e funzionale della Consob sancita dalla legge istitutiva e a tutt'oggi preservata - che trova piena legittimazione, oltre che nell'adeguato svolgimento della proprie competenze a tutela del pubblico risparmio, anche in una sana, efficace ed efficiente gestione delle risorse finanziarie occorrenti per il proprio funzionamento;
in tal senso ha avuto modo di esprimersi, con riguardo a tale ultimo profilo, anche la Presidenza del Consiglio che, con nota prot. DAGL/178/2009/1 del 3 febbraio 2011 - in relazione ad una serie di questioni interpretative emergenti da disposizioni contenute nella manovra finanziaria di cui al decreto-legge n. 18/2010 convertito, con modificazioni, nella legge n. 122/2010 - ha rilevato che «benché la CONSOB rientri fra gli enti cui fa riferimento il citato articolo 3 dei decreto legislativo n. 165/2001, non può non considerarsi che la legge istitutiva della CONSOB, con riferimento alla disciplina del trattamento giuridico ed economico del personale e dell'ordinamento delle carriere, ha previsto una sostanziale omogeneizzazione tra la Commissione e la Banca d'Italia. In particolare, l'articolo 2 del decreto-legge n. 95/74, convertito dalla legge n. 216/74, ha stabilito che la CONSOB con proprio regolamento disciplini i predetti ambiti in base ai criteri fissati dal contratto collettivo di lavoro in vigore per la Banca d'Italia...», quest'ultimo essendo il parametro normativo di riferimento con riguardo al trattamento giuridico-economico ed all'ordinamento delle carriere del personale di questo Istituto;
né ciò potrebbe essere inteso quale segnale di scarsa attenzione istituzionale all'attuale perdurante grave congiuntura economica del Paese, essendo infatti la Consob fortemente impegnata nel porre in essere efficaci misure di contenimento delle proprie spese di funzionamento ancorché di non diretto e immediato impatto a beneficio delle finanze pubbliche. Sul punto è sufficiente evidenziare da un lato che, comunque, la Consob, in sede di recepimento delle analoghe iniziative assunte in Banca d'Italia, ha già recepito l'applicazione di talune misure di contenimento della spesa pubblica vigenti, come ad esempio il taglio degli stipendi per la quota eccedente gli importi di 90 mila euro e 150 mila euro per il triennio 2011/2013, e dall'altro che il bilancia di previsione 2012, approvato dalla Consob nel dicembre scorso, ha comportato tagli alla spesa corrente per 9,76 milioni, con un decremento nell'ordine del 10 per cento rispetto all'omologo dato 2011, riflettutosi in una riduzione della pressione contributiva a carico degli operatori di mercato di oltre l'8 per cento rispetto al precedente esercizio,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ogni più adeguato intervento applicativo volto ad assicurare la coerenza nella fase di attuazione con quella che è l'effettiva volontà della disposizione normativa in esame, in maniera da eliminare ogni eventuale possibile dubbio interpretativo circa il fatto che anche alla luce della disposizione di cui all'articolo 5, comma 7, capoverso 2, resta comunque ed in ogni caso fermo il legame con la Banca d'Italia che l'articolo 2, comma 3 del decreto-legge 8 aprile 1974, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 giugno 1914, n. 216, fissa per la Consob, prevedendo che «Il trattamento giuridico ed economico del personale e l'ordinamento delle carriere sono stabiliti (...) in base ai criteri fissati dal contratto collettivo di lavoro in vigore per la Banca d'Italia, tenuto conto delle specifiche esigenze funzionali ed organizzative della Commissione.
9/5109-AR/130.(Testo modificato nel corso della seduta).Pini, Caparini.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 5, comma 7, capoverso 2, prevede che ai fini della applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono, per l'anno 2011, gli enti e i soggetti indicati a fini Statistici nell'elenco oggetto del comunicato dell'istituto nazionale di statistica (ISTAT) in data 24 luglio 2010, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 171, nonché a decorrere dall'anno 2012 gli enti e i soggetti indicati a fini statistici dal predetto Istituto nell'elenco oggetto del comunicato del medesimo Istituto in data 30 settembre 2011, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale delta Repubblica italiana n. 228 e successivi aggiornamenti ai sensi del comma 3 del presente articolo effettuati sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti dell'Unione europea, le Autorità indipendenti e, comunque, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni;
la relazione illustrativa del provvedimento evidenzia che trattasi di una disposizione volta a chiarire il rapporto funzionale che intercorre tra le attività di elencazione di enti e soggetti a fini statistici da parte di ISTAT e le manovre di finanza pubblica che riflettono i loro effetto anche su tali enti e soggetti;
pertanto viene specificato che la disposizione in esame chiarisce che tra i soggetti interessati dalle manovre di finanza pubblica rientrano anche le Autorità indipendenti e in ogni caso l'elenco delle amministrazioni pubbliche di cui al decreto legislativo n. 165 del 2001;
tenuto conto che trattasi di una disposizione finalizzata, quindi, al contenimento della spesa pubblica, posto che le classificazioni dell'ISTAT sono assunte dal legislatore come termine di riferimento per il controllo della spesa pubblica nel settore della Pubblica amministrazione e per il suo contenimento, è di tutta evidenza che la stessa possa trovare applicazione solo nei confronti di quei soggetti ricompresi, prima della data di entrata in vigore del presente decreto-legge, nell'elenco ISTAT ed in ogni caso nei confronti di quei soggetti che effettivamente sono a carico delle finanze pubbliche. Infatti, nell'ipotesi in cui le disponibilità finanziarie a tal fine rilevanti siano a carico solo in minima parte delle finanze pubbliche, gravando per il resto su contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, manca il presupposto che, in coerenza con le finalità perseguite, potrebbe giustificare il loro inserimento nell'elenco Istat, e cioè un costo per la finanza pubblica e per il bilancio della Stato che va contenuto;
tale intervento interpretativo è di assoluto rilievo al fine di consentire il corretto svolgimento dell'azione di ogni amministrazione o ente i quali, in considerazione del fatto che possono contare anche su finanziamenti che non gravano interamente a carico delle finanze pubbliche, in quanto oggetto di contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, vedrebbero diversamente penalizzato il loro impegno istituzionale per effetto di una legge che andrebbe a comprimere, qualora diversamente applicata, anche soggetti la cui attività non grava a carico delle finanze pubbliche ovvero vi grava in misura del tutto marginale. Di tal che sarebbe del tutto iniquo un assoggettamento indiscriminato alla disposizione in esame, senza che venga preso in considerazione quanto effettivamente il singolo bilancio dell'amministrazione incide sul bilancio dello Stato;
a tal fine è quindi opportuno chiarire che la disposizione in esame non trova applicazione nei confronti di quei soggetti che hanno una autonomia finanziaria pressoché completa, che si manifesta con la capacità degli stessi di provvedere con le proprie entrate a fronteggiare per intero, o in maniera rilevante, le spese sostenute per l'attività svolta. Infatti, in tale condizione manca il presupposto che, in coerenza con le finalità perseguite, potrebbe giustificare il loro inserimento nell'elenco Istat, e cioè un costo per la finanza pubblica e per il bilancio dello Stato che va contenuto;
l'autonomia finanziaria di taluni soggetti, le fonti dalle quali discendono le loro entrate, la possibilità di intervenire per garantirne nel tempo la corrispondenza alle uscite sono tutti elementi legislativamente fissati, e, quindi, incontestabili. Segue da ciò che non è configurabile una spesa che la finanza pubblica potrebbe in futuro essere costretta a sopportare per assicurare il pareggio di bilancio di tali soggetti atteso che a questo fine essi sono già stati forniti dal legislatore di strumenti propri per provvedere invia autonoma,

impegna il Governo

ad adottare ogni più adeguato intervento applicativo volto ad assicurare la coerenza nella fase di attuazione con quella che è l'effettiva volontà della disposizione normativa, in maniera da eliminare ogni eventuale possibile dubbio interpretativo circa il fatto che le disposizioni di cui all'articolo 5, comma 7, capoverso 21 vanno interpretate nel senso che esse si applicano solo ai soggetti ricompresi, prima della data di entrata in vigore del presente decreto-legge, nell'elenco ISTAT ed in ogni caso nei confronti di quei soggetti che effettivamente sono a carico delle finanze pubbliche. Infatti, anche nell'ipotesi in cui le disponibilità finanziarie a tal fine rilevanti siano a carico solo in minima parte delle finanze pubbliche, gravando per il resto su contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, manca il presupposto che, in coerenza con le finalità perseguite, potrebbe giustificare il loro inserimento nell'elenco Istat, e cioè un tosto per la finanza pubblica e per il bilancio dello Stato che va contenuto.
9/5109-AR/131.Bonino, Caparini.

La Camera,
premesso che:
l'articolo 5, comma 7, capoverso 2, prevede che ai fini della applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono, per l'anno 2011, gli enti e i soggetti indicati a fini Statistici nell'elenco oggetto del comunicato dell'istituto nazionale di statistica (ISTAT) in data 24 luglio 2010, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 171, nonché a decorrere dall'anno 2012 gli enti e i soggetti indicati a fini statistici dal predetto Istituto nell'elenco oggetto del comunicato del medesimo Istituto in data 30 settembre 2011, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale delta Repubblica italiana n. 228 e successivi aggiornamenti ai sensi del comma 3 del presente articolo effettuati sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti dell'Unione europea, le Autorità indipendenti e, comunque, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni;
la relazione illustrativa del provvedimento evidenzia che trattasi di una disposizione volta a chiarire il rapporto funzionale che intercorre tra le attività di elencazione di enti e soggetti a fini statistici da parte di ISTAT e le manovre di finanza pubblica che riflettono i loro effetto anche su tali enti e soggetti;
pertanto viene specificato che la disposizione in esame chiarisce che tra i soggetti interessati dalle manovre di finanza pubblica rientrano anche le Autorità indipendenti e in ogni caso l'elenco delle amministrazioni pubbliche di cui al decreto legislativo n. 165 del 2001;
tenuto conto che trattasi di una disposizione finalizzata, quindi, al contenimento della spesa pubblica, posto che le classificazioni dell'ISTAT sono assunte dal legislatore come termine di riferimento per il controllo della spesa pubblica nel settore della Pubblica amministrazione e per il suo contenimento, è di tutta evidenza che la stessa possa trovare applicazione solo nei confronti di quei soggetti ricompresi, prima della data di entrata in vigore del presente decreto-legge, nell'elenco ISTAT ed in ogni caso nei confronti di quei soggetti che effettivamente sono a carico delle finanze pubbliche. Infatti, nell'ipotesi in cui le disponibilità finanziarie a tal fine rilevanti siano a carico solo in minima parte delle finanze pubbliche, gravando per il resto su contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, manca il presupposto che, in coerenza con le finalità perseguite, potrebbe giustificare il loro inserimento nell'elenco Istat, e cioè un costo per la finanza pubblica e per il bilancio della Stato che va contenuto;
tale intervento interpretativo è di assoluto rilievo al fine di consentire il corretto svolgimento dell'azione di ogni amministrazione o ente i quali, in considerazione del fatto che possono contare anche su finanziamenti che non gravano interamente a carico delle finanze pubbliche, in quanto oggetto di contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, vedrebbero diversamente penalizzato il loro impegno istituzionale per effetto di una legge che andrebbe a comprimere, qualora diversamente applicata, anche soggetti la cui attività non grava a carico delle finanze pubbliche ovvero vi grava in misura del tutto marginale. Di tal che sarebbe del tutto iniquo un assoggettamento indiscriminato alla disposizione in esame, senza che venga preso in considerazione quanto effettivamente il singolo bilancio dell'amministrazione incide sul bilancio dello Stato;
a tal fine è quindi opportuno chiarire che la disposizione in esame non trova applicazione nei confronti di quei soggetti che hanno una autonomia finanziaria pressoché completa, che si manifesta con la capacità degli stessi di provvedere con le proprie entrate a fronteggiare per intero, o in maniera rilevante, le spese sostenute per l'attività svolta. Infatti, in tale condizione manca il presupposto che, in coerenza con le finalità perseguite, potrebbe giustificare il loro inserimento nell'elenco Istat, e cioè un costo per la finanza pubblica e per il bilancio dello Stato che va contenuto;
l'autonomia finanziaria di taluni soggetti, le fonti dalle quali discendono le loro entrate, la possibilità di intervenire per garantirne nel tempo la corrispondenza alle uscite sono tutti elementi legislativamente fissati, e, quindi, incontestabili. Segue da ciò che non è configurabile una spesa che la finanza pubblica potrebbe in futuro essere costretta a sopportare per assicurare il pareggio di bilancio di tali soggetti atteso che a questo fine essi sono già stati forniti dal legislatore di strumenti propri per provvedere invia autonoma,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ogni più adeguato intervento applicativo volto ad assicurare la coerenza nella fase di attuazione con quella che è l'effettiva volontà della disposizione normativa, in maniera da eliminare ogni eventuale possibile dubbio interpretativo circa il fatto che le disposizioni di cui all'articolo 5, comma 7, capoverso 21 vanno interpretate nel senso che esse si applicano solo ai soggetti ricompresi, prima della data di entrata in vigore del presente decreto-legge, nell'elenco ISTAT ed in ogni caso nei confronti di quei soggetti che effettivamente sono a carico delle finanze pubbliche. Infatti, anche nell'ipotesi in cui le disponibilità finanziarie a tal fine rilevanti siano a carico solo in minima parte delle finanze pubbliche, gravando per il resto su contribuzioni esterne al perimetro della pubblica amministrazione, manca il presupposto che, in coerenza con le finalità perseguite, potrebbe giustificare il loro inserimento nell'elenco Istat, e cioè un tosto per la finanza pubblica e per il bilancio dello Stato che va contenuto.
9/5109-AR/131.(Testo modificato nel corso della seduta).Bonino, Caparini.

La Camera,
premesso che:
l'anticipo dell'istituzione dell'imposta municipale propria, prevista dal decreto-legge n. 201 del 2011, ha introdotto un ulteriore elemento di criticità nel quadro, già molto complesso, del sistema tributario italiano;
in particolare, l'applicazione della nuova IMU anche alle case di prima abitazione, nonché l'ampliamento della relativa base imponibile, e la facoltà, riconosciuta ai comuni, di incrementare, anche significativamente, la relativa aliquota, rischia di colpire in modo serio talune categorie di contribuenti, già gravemente messe in difficoltà dall'attuale crisi economico-finanziaria;
tale questione si pone soprattutto per le famiglie e per i pensionati a basso reddito, nonché per gli anziani non autosufficienti, rispetto ai quali la reintroduzione del tributo e l'incremento dei relativi oneri rischia di pregiudicare le stesse condizioni di sopravvivenza;
parimenti, si paventano gravi conseguenze anche sul settore produttivo, segnatamente per quanto riguarda il settore agricolo, il quale sta già attraversando una profonda crisi legata alla concorrenza internazionale ed all'incremento dei costi;
inoltre, occorre evidenziare come i molteplici, ravvicinati interventi normativi sulla disciplina dell'imposta abbiano creato un quadro legislativo assai complesso e, per molti aspetti, confuso;
a tale ultimo riguardo, sebbene siano da valutarsi con favore alcuni interventi di razionalizzazione recati dal provvedimento in esame, si evidenzia un incremento degli oneri burocratici richiesti ai contribuenti, i quali saranno costretti ad effettuare calcoli complessi per la determinazione dell'imposta dovuta, a seguito delle modifiche normative intervenute;
un ulteriore elemento di complessità, sia per i contribuenti, sia per i comuni che dovrebbero essere destinatari naturali del gettito di tale tributo, è rappresentato dal fatto che quota parte delle relative entrate sono attribuite all'erario statale;
in tale contesto si evidenzia altresì come le problematiche concernenti l'IMU si inquadrino in un progressivo inasprimento della pressione fiscale, che acuisce evidentemente le problematiche appena segnalate;
inoltre, occorre tener presente l'impatto che in tale materia sarà determinato dalla prospettata revisione dei meccanismi di calcolo del valore catastale degli immobili, il quale costituisce uno degli aspetti principali del disegno di legge di delega in materia fiscale recentemente predisposto dal Governo;
appare dunque quanto mai urgente che il Governo avvii in tempi rapidi un'approfondita riflessione sui temi della fiscalità immobiliare, anche alla luce della prossima presentazione alle Camere del predetto disegno di legge recante la delega in materia fiscale, al fine di definire un quadro complessivo più stabile e chiaro in merito, nonché per venire incontro alle legittime esigenze di taluni settori sociali e categorie,

impegna il Governo

ad adottare tutte le necessarie iniziative normative volte a prevedere la sostituzione dell'IMU con altra forma di imposizione immobiliare reale, o, quantomeno, a rivedere complessivamente la relativa disciplina, al fine di fornire ai contribuenti un quadro normativo più semplice e stabile, nonché per realizzare prioritariamente i seguenti obiettivi:
1) introdurre elementi atti mitigare l'impatto dell'imposta su talune categorie di soggetti meritevoli di sostegno quali, in particolare, le famiglie ed i pensionati a basso reddito, gli anziani, soprattutto se non autosufficienti, gli invalidi;
2) ampliare il regime agevolativo previsto per gli imprenditori agricoli, con particolare riferimento ai fabbricati rurali ad uso strumentale;
3) semplificare il più possibile i meccanismi di versamento del tributo, al fine di minimizzare gli adempimenti richiesti ai contribuenti;
4) introdurre correttivi per il settore delle imprese, relativamente agli immobili strumentali, tenendo conto del difficile quadro congiunturale e della condizione di restrizione della liquidità in cui esse si trovano ad operare;
5) fare chiarezza circa l'effettivo gettito dell'imposta per i comuni, al fine di consentire a questi ultimi di effettuare la propria programmazione finanziaria in un quadro di maggiori certezze;
6) verificare con attenzione se il meccanismo di revisione delle aliquote previsto dal decreto-legge in esame per il 2012, risulti razionale e sia in grado di assicurare che l'esazione e la complessiva gestione del tributo avvengano in un quadro di garanzie per gli enti locali e di chiarezza per i contribuenti;
7) favorire la massima pubblicità, presso i contribuenti, circa le deliberazioni dei singoli comuni concernenti modifiche delle aliquote e delle detrazioni;
8) stabilizzare a regime il quadro normativo in materia, evitando continui interventi ed aggiustamenti, spesso dettati da esigenze di gettito.
9/5109-AR/132.Ventucci, Berardi, Del Tenno, Laboccetta, Misuraca, Pagano, Antonio Pepe.

La Camera,
premesso che:
l'anticipo dell'istituzione dell'imposta municipale propria, prevista dal decreto-legge n. 201 del 2011, ha introdotto un ulteriore elemento di criticità nel quadro, già molto complesso, del sistema tributario italiano;
in particolare, l'applicazione della nuova IMU anche alle case di prima abitazione, nonché l'ampliamento della relativa base imponibile, e la facoltà, riconosciuta ai comuni, di incrementare, anche significativamente, la relativa aliquota, rischia di colpire in modo serio talune categorie di contribuenti, già gravemente messe in difficoltà dall'attuale crisi economico-finanziaria;
tale questione si pone soprattutto per le famiglie e per i pensionati a basso reddito, nonché per gli anziani non autosufficienti, rispetto ai quali la reintroduzione del tributo e l'incremento dei relativi oneri rischia di pregiudicare le stesse condizioni di sopravvivenza;
parimenti, si paventano gravi conseguenze anche sul settore produttivo, segnatamente per quanto riguarda il settore agricolo, il quale sta già attraversando una profonda crisi legata alla concorrenza internazionale ed all'incremento dei costi;
inoltre, occorre evidenziare come i molteplici, ravvicinati interventi normativi sulla disciplina dell'imposta abbiano creato un quadro legislativo assai complesso e, per molti aspetti, confuso;
a tale ultimo riguardo, sebbene siano da valutarsi con favore alcuni interventi di razionalizzazione recati dal provvedimento in esame, si evidenzia un incremento degli oneri burocratici richiesti ai contribuenti, i quali saranno costretti ad effettuare calcoli complessi per la determinazione dell'imposta dovuta, a seguito delle modifiche normative intervenute;
un ulteriore elemento di complessità, sia per i contribuenti, sia per i comuni che dovrebbero essere destinatari naturali del gettito di tale tributo, è rappresentato dal fatto che quota parte delle relative entrate sono attribuite all'erario statale;
in tale contesto si evidenzia altresì come le problematiche concernenti l'IMU si inquadrino in un progressivo inasprimento della pressione fiscale, che acuisce evidentemente le problematiche appena segnalate;
inoltre, occorre tener presente l'impatto che in tale materia sarà determinato dalla prospettata revisione dei meccanismi di calcolo del valore catastale degli immobili, il quale costituisce uno degli aspetti principali del disegno di legge di delega in materia fiscale recentemente predisposto dal Governo;
appare dunque quanto mai urgente che il Governo avvii in tempi rapidi un'approfondita riflessione sui temi della fiscalità immobiliare, anche alla luce della prossima presentazione alle Camere del predetto disegno di legge recante la delega in materia fiscale, al fine di definire un quadro complessivo più stabile e chiaro in merito, nonché per venire incontro alle legittime esigenze di taluni settori sociali e categorie,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare tutte le necessarie iniziative normative volte a prevedere la sostituzione dell'IMU con altra forma di imposizione immobiliare reale, o, quantomeno, a rivedere complessivamente la relativa disciplina, al fine di fornire ai contribuenti un quadro normativo più semplice e stabile, nonché per realizzare prioritariamente i seguenti obiettivi:
1) introdurre elementi atti mitigare l'impatto dell'imposta su talune categorie di soggetti meritevoli di sostegno quali, in particolare, le famiglie ed i pensionati a basso reddito, gli anziani, soprattutto se non autosufficienti, gli invalidi;
2) ampliare il regime agevolativo previsto per gli imprenditori agricoli, con particolare riferimento ai fabbricati rurali ad uso strumentale;
3) semplificare il più possibile i meccanismi di versamento del tributo, al fine di minimizzare gli adempimenti richiesti ai contribuenti;
4) introdurre correttivi per il settore delle imprese, relativamente agli immobili strumentali, tenendo conto del difficile quadro congiunturale e della condizione di restrizione della liquidità in cui esse si trovano ad operare;
5) fare chiarezza circa l'effettivo gettito dell'imposta per i comuni, al fine di consentire a questi ultimi di effettuare la propria programmazione finanziaria in un quadro di maggiori certezze;
6) verificare con attenzione se il meccanismo di revisione delle aliquote previsto dal decreto-legge in esame per il 2012, risulti razionale e sia in grado di assicurare che l'esazione e la complessiva gestione del tributo avvengano in un quadro di garanzie per gli enti locali e di chiarezza per i contribuenti;
7) favorire la massima pubblicità, presso i contribuenti, circa le deliberazioni dei singoli comuni concernenti modifiche delle aliquote e delle detrazioni;
8) stabilizzare a regime il quadro normativo in materia, evitando continui interventi ed aggiustamenti, spesso dettati da esigenze di gettito.
9/5109-AR/132.(Testo modificato nel corso della seduta).Ventucci, Berardi, Del Tenno, Laboccetta, Misuraca, Pagano, Antonio Pepe.

La Camera,
premesso che:
la condizione abitativa continua, in Italia, ad assumere i caratteri dell'emergenza, e gli indicatori socio economici che la misurano si mantengono su livello critici;
l'emergenza assume una valenza economica, per la forte incidenza delle spese abitative sui redditi familiari, ma anche sociale, a causa dell'esiguità del patrimonio residenziale pubblico del nostro paese, inadeguato a rispondere alla domanda sociale e privo delle risorse-finanziarie necessarie ad un ampliamento dello «stock, ma anche alla stessa manutenzione dell'esistente;
il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, nell'audizione del 15 dicembre alla Camera, sulle linee programmatiche del suo dicastero, aveva sottolineato la rilevanza del tema della casa;
il 29 febbraio scorso l'VIII Commissione della Camera ha votato una risoluzione sulle politiche abitative che impegna il Governo ad avviare il confronto con le parti sociali al fine di affrontare il problema abitativo con un'adeguata politica che costituisca una componente fondamentale del quadro di risposte alle esigenze di sviluppo e coesione sociale del nostro Paese;
il 27 marzo scorso si è svolto l'incontro al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, cui hanno partecipato anche SUNIA, SICET, UNIAT, dove i sindacati hanno sollecitato un intervento del Governo per affrontare da subito il problema derivante dagli sfratti per morosità, vera emergenza nazionale, e una politica fiscale che rilanci il mercato dell'affitto concordato, unico strumento in grado di calmierare il mercato degli affitti;
fra le misure più urgenti, i sindacati hanno proposto: a) l'istituzione di un fondo con modalità da definire per affrontare le morosità; b) l'implementazione delle Agenzia per la casa regionali che in alcuni casi già ci sono; c) incentivazioni fiscali per immettere alloggi sul mercato a canone calmierato e agevolare il passaggio da casa a casa, confermando la richiesta dell'IMU al 4 per cento sulle seconde case affittate a canone calmierato; l'accelerazione degli interventi di housing sociale con i fondi disponibili;
secondo i dati Nomisma, attualmente il mercato degli affitti concordati si aggira attorno al 15 per cento delle offerte di locazione;
solo il 4,2 per cento delle famiglie (un milione di inquilini, circa un quinto del totale) ha affittato una casa popolare a canone agevolato; in altri paesi UE si registra una maggiore quota di famiglie che vivono in case popolari: i Paesi Bassi (34,6 per cento), la Svezia e il Regno Unito (21 per cento) e la Danimarca (20 per cento);
l'articolo 8 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, recante disposizioni in materia di federalismo municipale, che istituisce a decorrere dall'anno 2014, l'imposta municipale propria (IMU), al comma 6 prevede, nel caso in cui l'immobile sia locato, che l'aliquota Imu di base del 7,6 per mille sia ridotta alla metà (3,8 per mille);
l'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha anticipato l'applicazione dell'imposta in via sperimentale per gli anni 2012-2014, (l'applicazione a regime dell'IMU è invece fissata al 2015) demandando ai comuni, ai sensi dei commi 6 e 9, la possibilità di stabilire sia una modifica in aumento o in diminuzione della citata aliquota di base (7,6 per mille) sino a 0,3 punti percentuali (tra 4,6 e 10,6 per mille) sia nel caso di immobili locati, una riduzione dell'aliquota di base fino al 4 per mille;
il comma 11 del citato articolo 13, riserva allo Stato la quota di imposta pari alla metà dell'importo calcolato applicando l'aliquota del 7,6 per mille alla base imponibile di tutti gli immobili non soggetti ad aliquota ridotta (escludendo quindi le abitazioni principali e i fabbricati rurali);
in considerazione della facoltà concessa ai comuni dal comma 6, molti consigli comunali hanno deliberato l'aumento dell'aliquota al 10,6 per mille anche agli immobili locati; implicando aumenti di imposizione, in alcuni casi, fino all'800 per cento;
molti proprietari hanno scelto di non locare e cercano di vendere gli immobili in una fase depressiva del mercato;
sarebbero necessarie ulteriori misure volte a prevedere delle agevolazioni IMU per le seconde case date in affitto, al fine di evitare che sugli inquilini si riversi una parte dell'imposta, attraverso aumenti di canoni, nonché una differenziazione tra le case date in affitto a canone libero e a canone concordato,

impegna il Governo

a prevedere, nel prossimo provvedimento utile, una riduzione dell'aliquota al 4 per mille, anche per gli immobili concessi in locazione a canone concordato, prevedendo altresì che l'intero onere rimanga a carico del bilancio dello Stato.
9/5109-AR/133.Marchignoli, De Micheli, Codurelli.

La Camera,
premesso che:
la condizione abitativa continua, in Italia, ad assumere i caratteri dell'emergenza, e gli indicatori socio economici che la misurano si mantengono su livello critici;
l'emergenza assume una valenza economica, per la forte incidenza delle spese abitative sui redditi familiari, ma anche sociale, a causa dell'esiguità del patrimonio residenziale pubblico del nostro paese, inadeguato a rispondere alla domanda sociale e privo delle risorse-finanziarie necessarie ad un ampliamento dello «stock, ma anche alla stessa manutenzione dell'esistente;
il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, nell'audizione del 15 dicembre alla Camera, sulle linee programmatiche del suo dicastero, aveva sottolineato la rilevanza del tema della casa;
il 29 febbraio scorso l'VIII Commissione della Camera ha votato una risoluzione sulle politiche abitative che impegna il Governo ad avviare il confronto con le parti sociali al fine di affrontare il problema abitativo con un'adeguata politica che costituisca una componente fondamentale del quadro di risposte alle esigenze di sviluppo e coesione sociale del nostro Paese;
il 27 marzo scorso si è svolto l'incontro al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, cui hanno partecipato anche SUNIA, SICET, UNIAT, dove i sindacati hanno sollecitato un intervento del Governo per affrontare da subito il problema derivante dagli sfratti per morosità, vera emergenza nazionale, e una politica fiscale che rilanci il mercato dell'affitto concordato, unico strumento in grado di calmierare il mercato degli affitti;
fra le misure più urgenti, i sindacati hanno proposto: a) l'istituzione di un fondo con modalità da definire per affrontare le morosità; b) l'implementazione delle Agenzia per la casa regionali che in alcuni casi già ci sono; c) incentivazioni fiscali per immettere alloggi sul mercato a canone calmierato e agevolare il passaggio da casa a casa, confermando la richiesta dell'IMU al 4 per cento sulle seconde case affittate a canone calmierato; l'accelerazione degli interventi di housing sociale con i fondi disponibili;
secondo i dati Nomisma, attualmente il mercato degli affitti concordati si aggira attorno al 15 per cento delle offerte di locazione;
solo il 4,2 per cento delle famiglie (un milione di inquilini, circa un quinto del totale) ha affittato una casa popolare a canone agevolato; in altri paesi UE si registra una maggiore quota di famiglie che vivono in case popolari: i Paesi Bassi (34,6 per cento), la Svezia e il Regno Unito (21 per cento) e la Danimarca (20 per cento);
l'articolo 8 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, recante disposizioni in materia di federalismo municipale, che istituisce a decorrere dall'anno 2014, l'imposta municipale propria (IMU), al comma 6 prevede, nel caso in cui l'immobile sia locato, che l'aliquota Imu di base del 7,6 per mille sia ridotta alla metà (3,8 per mille);
l'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha anticipato l'applicazione dell'imposta in via sperimentale per gli anni 2012-2014, (l'applicazione a regime dell'IMU è invece fissata al 2015) demandando ai comuni, ai sensi dei commi 6 e 9, la possibilità di stabilire sia una modifica in aumento o in diminuzione della citata aliquota di base (7,6 per mille) sino a 0,3 punti percentuali (tra 4,6 e 10,6 per mille) sia nel caso di immobili locati, una riduzione dell'aliquota di base fino al 4 per mille;
il comma 11 del citato articolo 13, riserva allo Stato la quota di imposta pari alla metà dell'importo calcolato applicando l'aliquota del 7,6 per mille alla base imponibile di tutti gli immobili non soggetti ad aliquota ridotta (escludendo quindi le abitazioni principali e i fabbricati rurali);
in considerazione della facoltà concessa ai comuni dal comma 6, molti consigli comunali hanno deliberato l'aumento dell'aliquota al 10,6 per mille anche agli immobili locati; implicando aumenti di imposizione, in alcuni casi, fino all'800 per cento;
molti proprietari hanno scelto di non locare e cercano di vendere gli immobili in una fase depressiva del mercato;
sarebbero necessarie ulteriori misure volte a prevedere delle agevolazioni IMU per le seconde case date in affitto, al fine di evitare che sugli inquilini si riversi una parte dell'imposta, attraverso aumenti di canoni, nonché una differenziazione tra le case date in affitto a canone libero e a canone concordato,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di prevedere, nel prossimo provvedimento utile, una riduzione dell'aliquota al 4 per mille, anche per gli immobili concessi in locazione a canone concordato, prevedendo altresì che l'intero onere rimanga a carico del bilancio dello Stato.
9/5109-AR/133.(Testo modificato nel corso della seduta).Marchignoli, De Micheli, Codurelli.

La Camera,
attesa la necessità di chiarire la portata delle modifiche approvate, nel corso dell'esame in sede referente presso la Commissione finanze del decreto-legge, all'articolo 10, comma 9-quater, ove si introducono previsioni atte ad ampliare l'ambito di applicazione delle norme sui bandi di gara relativi ai giochi;
considerato che, dalla formulazione della citata disposizione, sembra emergere un disallineamento tra le disposizioni del medesimo comma, in quanto, mentre la prima parte ne limita l'applicabilità ad epoca successiva all'entrata in vigore della legge n. 73 del 2010, l'ultima parte del comma potrebbe essere erroneamente interpretata nel senso di anticiparne gli effetti in via retroattiva, per le concessioni già in essere alla predetta data;
considerato che il principio di irretroattività delle norme costituisce uno dei capisaldi dello Stato di diritto, sul quale trova fondamento la certezza dei rapporti giuridici che intercorrono tra soggetti privati e tra questi e lo Stato, nelle varie forme e modalità previste dall'ordinamento;
rilevata la necessità di operare in via di interpretazione autentica, al fine di ripristinare l'esatta portata della volontà del legislatore,

impegna il Governo

a chiarire, con un prossimo provvedimento normativo, che le disposizioni contenute nel citato articolo 10, comma 9-quater, del decreto-legge in esame, si interpretano, in ogni caso, nel senso che la disposizione di cui all'articolo 2, comma 2, primo periodo, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73, trova applicazione esclusivamente alle concessioni i cui bandi di gara sono stati pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore della predetta legge n. 73 del 2010, nel rispetto del principio giuridico di irretroattività.
9/5109-AR/134.Del Tenno.

La Camera,
attesa la necessità di chiarire la portata delle modifiche approvate, nel corso dell'esame in sede referente presso la Commissione finanze del decreto-legge, all'articolo 10, comma 9-quater, ove si introducono previsioni atte ad ampliare l'ambito di applicazione delle norme sui bandi di gara relativi ai giochi;
considerato che, dalla formulazione della citata disposizione, sembra emergere un disallineamento tra le disposizioni del medesimo comma, in quanto, mentre la prima parte ne limita l'applicabilità ad epoca successiva all'entrata in vigore della legge n. 73 del 2010, l'ultima parte del comma potrebbe essere erroneamente interpretata nel senso di anticiparne gli effetti in via retroattiva, per le concessioni già in essere alla predetta data;
considerato che il principio di irretroattività delle norme costituisce uno dei capisaldi dello Stato di diritto, sul quale trova fondamento la certezza dei rapporti giuridici che intercorrono tra soggetti privati e tra questi e lo Stato, nelle varie forme e modalità previste dall'ordinamento;
rilevata la necessità di operare in via di interpretazione autentica, al fine di ripristinare l'esatta portata della volontà del legislatore,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di chiarire, con un prossimo provvedimento normativo, che le disposizioni contenute nel citato articolo 10, comma 9-quater, del decreto-legge in esame, si interpretano, in ogni caso, nel senso che la disposizione di cui all'articolo 2, comma 2, primo periodo, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73, trova applicazione esclusivamente alle concessioni i cui bandi di gara sono stati pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore della predetta legge n. 73 del 2010, nel rispetto del principio giuridico di irretroattività.
9/5109-AR/134.(Testo modificato nel corso della seduta).Del Tenno.

La Camera,
rilevato come gli aumenti delle accise sui carburanti per autotrazione introdotti con i più recenti provvedimenti abbiano determinato un'evidente diminuzione dei consumi;
considerato che tale riduzione risulta accentuata nelle regioni di confine dal momento che l'aumento del prezzo alla pompa nel territorio nazionale rende più favorevole, per il consumatore, l'acquisto del carburante presso le stazioni di servizio ubicate nel paese limitrofo;
ricordato che le regioni interessate hanno, in più occasioni, denunciato le conseguenze di tale fenomeno che, invece di aumentare il gettito a favore dello stato, finisce paradossalmente per favorire le entrate erariali dei paesi confinanti;
rammentato, altresì, che detta situazione si accompagna, molto spesso, anche all'acquisto di altri generi in commercio alcuni dei quali soggetti anche ad altre imposte come accade, ad esempio, per quelli di monopolio;
preso atto del verificarsi, in alcune aree di confine - come quella friulgiuliana - di diverse violazioni alle disposizioni in materia di contrabbando per alcuni dei prodotti in commercio dotati di regimi fiscali più favorevoli rispetto a quello nazionale;
ritenuto opportuno procedere ad un monitoraggio degli effetti determinati dall'aumento delle accise sui carburanti per autotrazione in modo da verificare in che misura essi incidano fisiologicamente sui minori consumi riscontrabili a livello nazionale ed in che misura, invece, essi determinino ulteriori cali della domanda in conseguenza del minor costo di quei prodotti nei paesi limitrofi,

impegna il Governo

a verificare la possibilità di istituire, con la collaborazione delle regioni interessate, un sistema permanente di monitoraggio che consenta di accertare gli effetti distorsivi che l'aumento delle accise sui carburanti per autotrazione produce sul consumo dei prodotti nazionali a causa del differenziale con il prezzo praticato nei paesi di oltre confine ed a valutare, conseguentemente, la possibilità di adottare misure correttive che permettano di ovviare o, quantomeno, di limitare gli effetti negativi denunciati.
9/5109-AR/135.Contento.

INTERPELLANZE URGENTI

Iniziative per tutelare il patrimonio storico e culturale della Biblioteca del monumento nazionale dei Girolamini di Napoli, con particolare riferimento all'idoneità dell'attuale direttore della biblioteca - 2-01455

A)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per i beni e le attività culturali, per sapere - premesso che:
la Biblioteca del monumento nazionale dei Girolamini è la più antica biblioteca di Napoli, un'istituzione culturale statale con un'importantissima dotazione libraria; è stata aperta al pubblico nel 1586, è specializzata in filosofia e teologia cristiana ed è parte del complesso della chiesa dei Girolamini;
l'edificio che la ospita fu ridisegnato nel Settecento; il suo status attuale di biblioteca statale è lo stesso fin dal Cinquecento, quando fu destinata alla frequentazione e consultazione pubblica; è nota, tra l'altro, per essere stata assiduamente frequentata da Giambattista Vico, le cui spoglie riposano nell'attigua chiesa;
la biblioteca custodisce circa 159 mila titoli, prevalentemente antichi, tra cui 120 incunaboli, 5.000 cinquecentine, numerosi manoscritti, di cui circa 6.500 riguardanti composizioni e opere musicali dal XVI al XIX secolo;
il patrimonio comprende anche il ricchissimo fondo librario della collezione privata di Giuseppe Valletta (18.000 volumi circa, con edizioni rare del XVI e XVII: classici della letteratura greca e latina, storia e filosofia), un'acquisizione che i padri oratoriani portarono a termine proprio su consiglio di Giambattista Vico; altri fondi librari pregevoli conservati al suo interno sono il Fondo Agostino Gervasio, il Fondo Filippino e il Fondo Valeri;
il terremoto del 1980 determinò l'utilizzo di locali come ricovero per sfollati; da allora è iniziata un'epoca di abbandono; l'istituzione versa attualmente in stato di grave degrado, così come denunciato più volte dagli organi di stampa e dagli operatori culturali;
secondo una stima approssimativa, con varie denunce di giornali e studiosi, tra il 1960 e il 2007 sarebbero spariti dalla biblioteca migliaia di volumi; più di recente, l'attuale direttore della biblioteca, Marino Massimo De Caro, ha denunciato la scomparsa di 1500 volumi;
nei giorni scorsi, sul quotidiano Il Fatto Quotidiano è comparso un articolo dello studioso Tomaso Montanari, che denunciava di aver visitato la Biblioteca dei Girolamini, oggi chiusa al pubblico per necessità di riordino, e di averla trovata in condizioni di totale abbandono: disordine, polvere, libri antichi e preziosi accatastati;
dall'articolo è scaturita una petizione indirizzata al Ministro per i beni e le attività culturali e firmata da duemila di illustri esponenti del mondo della cultura (tra loro il premio Nobel Dario Fo, Carlo Ginzburg, Salvatore Settis, Tullio Gregory, Gustavo Zagrebelsky, Gioacchino Lanza Tomasi, Adriano La Regina, Gian Giacomo Migone, Alessandra Mottola Molfino, Lamberto Maffei, Dacia Maraini, Stefano Parise, Stefano Rodotà, Rosario Villari), con cui si denuncia «lo stranissimo e increscioso affare che riguarda l'attuale direzione della Biblioteca Nazionale dei Girolamini a Napoli» chiedendo «come sia possibile che la direzione dei Girolamini sia stata affidata a un uomo (Marino Massimo De Caro) che non ha i benché minimi titoli scientifici e la benché minima competenza professionale per onorare quel ruolo»;
nella petizione, si fa esplicito riferimento anche ad altri aspetti del profilo personale e professionale dell'attuale direttore De Caro, considerato dai firmatari del documento «del tutto estraneo al mondo della biblioteconomia e della funzione pubblica, con curiose implicazioni con i libri, che lo portano tuttavia nel mondo del commercio»; e si chiede di «riconsiderare con molta attenzione la scelta di De Caro come direttore dei Gerolamini, e di creare una commissione pubblica d'inchiesta sull'amministrazione passata e recente di questa biblioteca, prima che la memoria storica dei Gerolamini rimanga affidata soltanto a una maestosa architettura ferita e umiliata, tragicamente solitaria nel cuore di una rete mondiale di traffici rapaci»;
anche il Corriere della Sera, con un articolo di Gian Antonio Stella, è tornato sul tema, associandosi alla denuncia del docente Tomaso Montanari; Stella si chiede come sia possibile che a dirigere uno dei santuari della cultura italiana sia uno dei mediatori nell'affare del petrolio venezuelano, titolare di una libreria antiquaria a Verona, e socio della libreria antiquaria a Buenos Aires (la «Imago Mundi») di Daniel Guido Pastore, coinvolto in Spagna in un'inchiesta su una serie di furti alla Biblioteca Nazionale di Madrid e alla Biblioteca di Saragozza;
l'articolo del Corriere della Sera denuncia anche che il direttore De Caro, diversamente da quanto da lui dichiarato, non risulta laureato presso l'università di Siena, dove «si iscrisse a Giurisprudenza nel 1992-1993, restando iscritto fino al 2002», senza terminare gli studi; allo stesso modo il direttore De Caro, secondo la denuncia del giornalista Stella, non risulterebbe essere mai stato docente all'università di Verona, come avrebbe invece dichiarato -:
come si intenda intervenire per garantire e tutelare l'immenso patrimonio storico e culturale della Biblioteca del monumento nazionale dei Girolamini di Napoli, attualmente in condizioni di intollerabile degrado;
se il Ministro interpellato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa sulla denuncia di alcuni importanti giornali italiani rispetto alle condizioni di degrado della Biblioteca e rispetto alla presunta inadeguatezza del direttore De Caro, se esista una stima dei danni e dei furti subiti negli anni dalla Biblioteca, con la conseguente scomparsa di antichi e pregiatissimi libri, e quali siano le ragioni che lo hanno spinto a dare fiducia al sopra menzionato De Caro per un ruolo di così grande importanza;
se e come Ministro interpellato intenda rispondere all'appello degli studiosi italiani rispetto alla necessità di una guida più autorevole e di un progetto di tutela della biblioteca.
(2-01455)
«Bossa, Andrea Orlando, Lenzi, Sarubbi, Gozi, Amici, De Biasi, Pes, Madia, Murer, Gatti, Albini, Cenni, Zaccaria, Sereni, Vaccaro, Piccolo, De Micheli, Bachelet, Coscia, Picierno, Rossa, Zampa, Lo Moro, Codurelli, Giulietti, Ginefra, Marini, Colombo, Concia, Mario Pepe (PD), Giorgio Merlo, Nannicini, Strizzolo, De Torre, Servodio, Lulli, Ciriello, Mazzarella, Cuomo, Iannuzzi, Farina Coscioni, Capano, D'Antona, De Pasquale, Miotto, Levi, La Forgia, Oliverio, Rampi, Tempestini, Boffa, Bonavitacola».

Iniziative volte ad evitare fughe di notizie relative ad atti di indagine da parte delle procure - 2-01442

B)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere - premesso che:
da giorni il deputato Luigi Vitali è vittima di una violentissima campagna di stampa diffamatoria portata avanti con particolare livore da due quotidiani locali, Il Quotidiano di Brindisi e Senza Colonne, che fanno riferimento ad atti di un'indagine preliminare per corruzione, per la quale la locale procura della Repubblica ha ritenuto, peraltro, di avanzare richiesta di archiviazione e di cui, ad oggi 27 marzo 2012, l'interessato è totalmente all'oscuro, pur essendo evidentemente nota al resto del mondo;
la stampa riporta, con dovizia di particolari, colloqui intercorsi tra l'avvocato e imprenditore Giovanni Faggiano, poi arrestato nell'ambito dell'inchiesta napoletana sui rifiuti, e l'onorevole Vitali secondo cui quest'ultimo avrebbe chiesto l'assunzione di persone in cambio di un interessamento per la costruzione di un carcere, fatti di cui evidentemente sono stati informati i giornalisti, ma non il medesimo interessato, ad oggi ancora in attesa di conoscere e leggere i documenti che lo riguardano;
la richiesta di archiviazione si fonderebbe, sempre secondo i virgolettati riportati dai giornali, non sull'insussistenza dei fatti ma perché, trattandosi di un parlamentare, l'attivazione della richiesta di autorizzazione a procedere alla Camera dei deputati per le intercettazioni necessarie all'indagine di fatto vanifica l'attività investigativa, in quanto il soggetto monitorato è ormai a conoscenza di essere sottoposto al controllo; più precisamente il pubblico ministero scrive: «pur consapevole che solo l'attivazione di esso (richiesta di autorizzazione alla Camera dei deputati) avrebbe permesso di fare piena luce sulla vicenda, sia nel senso di poter raggiungere la prova dell'accordo criminoso al fine di poter utilmente esercitare l'azione penale, sia nel senso di acclarare come l'originaria ipotesi di reato fosse in realtà inesistente perché sconfessata dai fatti»;
il pubblico ministero ha, dunque, ritenuto di optare per l'archiviazione del caso non volendo attivare la procedura di richiesta di autorizzazione per procedere ad ulteriori intercettazioni di un deputato;
il messaggio che emerge sembra essere quello che, piuttosto che arrivare alla verità dei fatti, non è conveniente intercettare i deputati se bisogna chiedere l'autorizzazione;
la scelta di non chiedere l'autorizzazione ha non solo lasciato ombre e sospetti sulla condotta di Luigi Vitali (con conseguenti gravissimi danni d'immagine e di reputazione) ma, ad avviso degli interpellanti, comporta, di fatto, anche una rinuncia a indagare, se per proseguire le indagini occorre intercettare il deputato, perché, secondo il magistrato, ciò significa avvertire l'indagato, rendendo di conseguenza inutili le ulteriori indagini;
ancora una volta sembra essere stato violato il segreto imposto sulle indagini preliminari, con la pubblicazione sulla stampa di atti e intercettazioni prima ancora che gli interessati ne siano a conoscenza con le debite forme previste dai codici;
occorrerebbe chiarire come sia possibile che terzi, estranei alle indagini, come i giornalisti, possano ottenere, senza averne diritto, copie di atti il cui contenuto non può essere divulgato e avviare, ancora una volta, la ormai nota macchina del «fango», per fini scandalistici o politico-elettorali, in violazione delle disposizioni di cui all'articolo 684 del codice penale nonché di quanto previsto dall'articolo 326 dello stesso codice, letti alla luce degli articoli 114 e 329 del codice di procedura penale;
emerge un'esigenza di tutela dei cittadini comuni da simili comportamenti che segnano a vita la loro reputazione e il loro onore, a prescindere dall'esito delle indagini, ormai cannibalizzati dalla pubblica opinione informata malamente e influenzata dagli organi di stampa in possesso di notizie che non dovrebbero avere -:
quali iniziative di competenza, anche normative, il Ministro interpellato intenda assumere per combattere questa diffusa prassi contra legem delle procure di divulgare o per lo meno non custodire notizie e documenti relativi a indagini ancora in corso e quindi riservati;
se il Ministro interpellato non intenda adottare le iniziative di competenza per verificare, sul piano disciplinare, la correttezza della condotta del magistrato di rinuncia ad accertare la verità dei fatti su cui indagava con la motivazione, riportata nella richiesta di archiviazione, secondo cui chiedere l'autorizzazione al Parlamento equivale ad avvertire gli interessati delle indagini in corso e, quindi, a vanificare le stesse, rendendole inutili.
(2-01442)
«Lazzari, Simeoni, Lainati, Fucci, De Corato, Crosetto, Lisi, Savino, Formichella, Garagnani, Galati, Golfo, Pianetta, Stanca, Saglia, Torrisi, Mancuso, Di Caterina, Traversa, Di Stanislao, Cassinelli, Pizzolante, Mazzuca, Minardo, Garofalo, Girlanda, Bocciardo, Abelli, Ghiglia, Di Cagno Abbrescia, Aracri, Vignali, Romani, Paniz, Scelli, Stagno d'Alcontres, Gottardo».

Misure volte a reintegrare la pianta organica della Corte di appello di Bari, al fine di assicurarne la funzionalità ed operatività - 2-01450

C)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere - premesso che:
la corte di appello di Bari è divisa in tre sezioni civili, a cui sono ora addetti 17 consiglieri (che diventeranno 19 tra pochi giorni con l'immissione in servizio di due presidenti di sezione) con carichi di lavoro e con ritmi di produzione di provvedimenti noti e più volte ufficialmente rappresentati, non ultimo nella nota del 2 aprile 2012 a firma del presidente di sezione della corte di appello di Bari, dottor Luigi Di Lalla;
sono addetti alle cancellerie delle tre sezioni tre soli impiegati per 17 magistrati;
sulla corte di appello di Bari incombe una mole di lavoro insostenibile che, nell'attuale contingenza e in difetto di adeguate misure correttive, determina oggettivamente una situazione di affanno, destinata ad aggravarsi ulteriormente, con il rischio di compromettere la realizzazione degli obbiettivi indicati ai fini tabellari per il dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, nonché nel programma annuale delle attività dell'ex articolo 4 del decreto legislativo n. 240 del 2006, e nel programma di gestione dei procedimenti civili ex articolo 37 del decreto legislativo n. 98 del 2011, come si legge nella nota del presidente della corte di appello di Bari, dottor Vito Marino Caferra, in data 22 febbraio 2012, protocollo n. 2324;
al 31 dicembre 2011 il settore penale registrava una pendenza di 12.169 processi;
il contenzioso ordinario del settore civile registrava 8.545 processi pendenti e quello del settore lavoro 15.520;
nell'anno 2010, la pianta organica della corte di appello di Bari era ridotta a 118 unità (con uno scoperto allora del 17,79 per cento e, per sole ragioni di contenimento della spesa pubblica, ne ha perse 6; nel 2011 ne sono state perse altre 6 e nel corso del 2012 si prevede il collocamento in quiescenza di 11 unità);
l'evidente sotto organico, come evidenziato anche dal presidente di sezione penale, dottor Michele Petrizzelli, in data 26 settembre 2011, comporta, soprattutto nel periodo postferiale, il costante rinvio di numerosi processi per tardività delle notifiche;
l'assenza dal servizio del funzionario della prima sezione civile, che, di fatto, lascia solo un addetto alle funzioni, in coincidenza con la ripresa delle attività della stessa per effetto della copertura dei posti vacanti da consigliere, ha determinato un rallentamento, ai limiti della paralisi - si legga la nota del presidente Caferra del 6 febbraio 2012 - delle attività di pubblicazione degli innumerevoli provvedimenti camerali;
anche le cancellerie della seconda e terza sezione civile registrano una situazione di affanno talmente grave da sfociare in situazioni di paralisi;
la cancelleria della prima sezione è anch'essa sotto organico e causa di gravi disservizi;
in data 23 febbraio 2010, il presidente della corte di appello di Bari, dottor Caferra, chiedeva che un funzionario della cancelleria fosse trattenuto in servizio ai sensi dell'articolo 16 del decreto legislativo n. 503 del 1992, modificato dal decreto-legge n. 112 del 2008, articolo 72, convertito dalla legge 6 agosto 2008, 133; lo stesso funzionario, in data 29 marzo 2012, è stato collocato a riposo per raggiunti limiti di età, lasciando la cancelleria completamente priva di funzionari;
sia il presidente delle sezioni civili sia quello delle sezioni penali hanno più volte richiesto di coprire i posti vacanti nei rispettivi uffici al fine di garantire il corretto svolgimento della giustizia nei tempi e nei modi che la Costituzione garantisce;
in particolare, il presidente Caferra ha richiesto, nella nota sopra citata, di provvedere a procedure mirate alla copertura dei posti vacanti (n. 2 direttori amministrativi, n. 1 funzionario contabile, n. 7 funzionari giudiziari, n. 1 funzionario bibliotecario, n. 1 cancelliere, n. 1 contabile, n. 2 assistenti giudiziari, n. 9 operatori giudiziari, n. 1 autista, n. 1 ausiliario, per un totale di 27 posti vacanti + 11 nel 2012) -:
quali atti ed in quali tempi il Ministro interpellato intenda adottare per riorganizzare in maniera efficiente gli uffici giudiziari baresi, assicurando l'immediato ripristino della loro funzionalità ed operatività.
(2-01450)«Sisto, Baldelli».

Chiarimenti in merito alla questione dei cosiddetti lavoratori esodati - 2-01454

D)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere - premesso che:
la questione dei lavoratori cosiddetti «salvaguardati», esodati e mobilitati, che si configurano come coloro che hanno risolto il contratto di lavoro, su richiesta delle proprie aziende con accordi individuali di esodo o collettivi di mobilità, rappresenta uno dei nodi ancora irrisolti della riforma previdenziale definita nel decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011;
la sopra indicata categoria comprende i lavoratori collocati in mobilità ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, a seguito di dichiarazione aziendale di esuberi e sulla base di accordi collettivi sottoscritti presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, finalizzati all'accompagnamento alla pensione, e nel contempo alla salvaguardia della posizione dei lavoratori collocati in mobilità lunga ai sensi dell'articolo 7, commi 6 e 7, della legge 23 luglio 1991, n. 223, e i soggetti all'esodo incentivato della dichiarazione aziendale di esubero e finalizzato all'accompagnamento alla quiescenza;
nello specifico, con il comma 14 dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 214 del 2011, sono stati esclusi dalle deroghe della riforma quei lavoratori - appartenenti alla categoria della mobilità ordinaria - che non maturano i requisiti di accesso al pensionamento durante il periodo di mobilità, ma che avevano accettato il licenziamento con la prospettiva di ottenere la pensione dopo un breve periodo di attesa a fine mobilità. Sono stati esclusi anche gli esodati non rientranti nella maturazione dei requisiti a 24 mesi contemplati all'articolo 2-ter del decreto-legge n. 216 del 2011, cosiddetto «Milleproroghe»;
fin dall'entrata in vigore del decreto-legge «Salva Italia» la confusione circa il numero esatto degli appartenenti alle sopra indicate categorie è stata palese: se in un primo momento il Ministero del lavoro e delle politiche sociali aveva fissato - al comma 14 - il limite «del numero di 50.000 lavoratori beneficiari» della deroga di cui allo stesso comma, successivamente aveva indicato i lavoratori in 65 mila unità, dato messo poi in discussione oltre che dai referenti sindacali, anche dall'Inps e dallo stesso Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
in un comunicato diramato in data 12 aprile 2012, dopo diversi e criticati tentennamenti, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha comunicato il numero dei cosiddetti «salvaguardati»: secondo la nota «il numero delle persone complessivamente interessate è di circa 65 mila e, pertanto, l'importo finanziario individuato dalla riforma delle pensioni, attuata con decreto "Salva Italia", è adeguato a corrispondere a tutte le esigenze senza dover ricorrere a risorse aggiuntive»;
paradossalmente, i dati diramati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali non collimano con quanto riferito - poche ore prima - dal direttore generale dell'Inps in occasione di un'audizione presso la Commissione lavoro della Camera dei deputati;
nello specifico, il direttore generale dell'Inps ha parlato di 130 mila lavoratori, in 4 anni, ma agli interpellati sorge il dubbio di come siano distribuiti questi numeri tra le categorie in deroga sancite dalle lettere del comma 14 dell'articolo 24 del decreto-legge «Salva Italia» e sorge ulteriormente il dubbio che esistano molti «salvaguardati», esodati anche oltre i 4 anni (soprattutto donne dimessesi con accordi a 50-53 anni, che puntavano alla pensione di vecchiaia a 60 anni);
le informazioni contenute nella nota ministeriale non sembrano fornire molti dettagli circa i criteri di individuazione di coloro che rientrano nei 65 mila, lasciando emergere il dubbio che il numero di lavoratori indicati dal Ministero altro non sia che quello finanziariamente sostenibile dallo stesso, in armonia con quanto già stabilito attraverso gli stanziamenti del decreto «Salva Italia»;
a conferma di quanto sopra indicato, appare opportuno ricordare il portato del comma 15 dell'articolo 24 del decreto «Salva Italia», nel quale si evidenziava, tra l'altro, che «Qualora dal predetto monitoraggio risulti il raggiungimento del limite numerico delle domande di pensione, (...) i predetti enti non prenderanno in esame ulteriori domande di pensionamento finalizzate ad usufruire dei benefici previsti»; a tal riguardo, se le cifre evidenziate di recente dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali fossero rispondenti alla realtà, quanto riferito nel predetto comma dovrebbe essere abrogato, in considerazione del fatto che le coperture aggiuntive necessarie per gli «esodati» dovrebbero essere attinte anno per anno;
quanto riportato dal sopra citato comma 15 si configura, ad avviso degli interpellanti, di dubbia legittimità, in quanto crea una discriminazione all'interno della medesima categoria di cittadini, motivata da una ventilata scarsità di risorse;
a rendere ancora più critico lo scenario entro il quale dovrebbe strutturarsi un auspicato intervento del Governo sul «fronte esodati» sono state le parole del Ministro interpellato che, in un recente intervento, ha evidenziato che «gli esodati li creano le imprese che mandano fuori i dipendenti a carico del sistema pensionistico pubblico e della collettività», quasi a voler relegare, ad avviso degli interpellanti, il comparto dei lavoratori «esodati» ad una sottocategoria la cui gestione non spetta al Governo, ma alle imprese, attuando un rovesciamento improvviso e di dubbia legittimità del patto sociale tra Stato, imprese e cittadini garantito dalle norme previgenti, retroattivamente mutate per gli «esodati»;
è opportuno evidenziare che gli esodati rappresentano quei lavoratori che hanno sottoscritto con le aziende - prima dell'entrata in vigore del decreto-legge «Salva Italia», convertito dalla legge n. 214 del 2011 - accordi individuali in sede sindacale finalizzati alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro;
i lavoratori appartenenti alla sopra indicata categoria (in buona parte operanti presso realtà ben strutturate come Poste, Telecom, Ibm, Enel, Wind) hanno maturato contributi da 30 a 39 anni e la risoluzione del rapporto di lavoro è stata contraddistinta da una buonuscita pari ad un numero di mensilità ritenuto sufficiente per compensare la mancata erogazione dello stipendio e al versamento - a volte parziale - dei contributi volontari necessari fino all'ottenimento dei requisiti pensionistici vigenti al momento della sottoscrizione dell'accordo. Tale buonuscita è stata insufficiente per molti esodati del biennio 2009-2010 che si sono visti aumentare le «finestre» da 3 a 6 a 12 mesi (in virtù di quanto sancito dal decreto-legge n. 78 del 2010) e poi per aspettativa di vita ulteriori 3 mesi per anno (in virtù di quanto sancito dal decreto-legge n. 98 del 2011); le aziende non hanno integrato i mesi scoperti - anche 9 mesi per il 2012 - per anni successivi;
risulta, agli interpellanti, che, per quanto riguarda i mobilitati, la maggior parte di questi ha risolto il proprio rapporto di lavoro in maniera volontaria ai sensi della normativa vigente, alla luce di due imprescindibili presupposti: il primo è che a termine del periodo di mobilità avrebbero avuto accesso alla quiescenza ai sensi della normativa vigente al momento della cessazione del rapporto di lavoro, come nel caso dell'accordo sottoscritto per i 3.700 esuberi della società Telecom Italia il 4 agosto 2010 nell'ambito del piano industriale 2010-2012; il secondo è che il dimissionamento avrebbe concesso la permanenza lavorativa dei giovani, evitandone in tal modo il licenziamento;
risulta agli interpellanti che ai sensi dell'articolo 1, comma 1189, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è stato esteso il beneficio di mobilità lunga di cui all'articolo 1-bis del decreto-legge 14 febbraio 2003, n. 23, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 aprile 2003, n. 81, finalizzato all'accompagnamento alla pensione di anzianità, alle condizioni di cui alla normativa vigente al momento dell'entrata in vigore delle norme stesse;
risulta agli interpellanti - alla luce di quanto sopra indicato - che la normativa attualmente vigente rischia di modificare in maniera retroattiva una norma speciale, disattendendo di fatto quanto evidenziato dallo stesso Ministero del lavoro e delle politiche sociali nella nota 14/0000196 dell'11 gennaio 2005, nella quale veniva evidenziato che «poiché le norme in materia di mobilità lunga, fanno specificamente riferimento alla disciplina in materia di pensioni vigente alla data di entrata in vigore delle norme medesime, si può senz'altro ritenere applicabile il principio che la legge speciale deroga alla legge generale anche successiva»;
stando alla discutibile normativa introdotta nel decreto «Salva Italia», oltre ad essere introdotto un chiaro principio di discriminazione, privo di alcun tipo di fondamento se non quello finanziario - i cui aspetti continuano a essere ancora poco chiari - si rischia di creare una vera e propria impasse sociale poiché non si fornisce alcun tipo di salvaguardia per coloro che non rientrano nelle deroghe del medesimo provvedimento, dinanzi al quale non appare chiara la volontà del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di trovare una soluzione;
in una recente intervista, il Ministro interpellato ha snocciolato un'ulteriore serie di numeri: sono stati forniti i numeri dei lavoratori in mobilità, quelli in mobilità lunga, quelli a carico dei fondi di solidarietà dei settori bancari, e quelli autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione, rispondenti alle diverse categorie «derogate» dall'articolo 24, comma 14, del decreto «Salva Italia». Purtroppo, ci si è dimenticati di quelli appartenenti alla lettera e) del medesimo comma, vale a dire quelli che, alla data del 4 dicembre 2011, avevano in corso l'istituto dell'esonero dal servizio, e quelli contemplati dall'articolo 2-ter del decreto-legge «Milleproroghe», lasciando, di fatto, un complesso vuoto informativo da parte dell'amministrazione;
fra i 65 mila lavoratori, stando a quanto risulta agli interpellanti, sarebbero compresi gli esodati che, stando alla normativa previgente, avrebbero dovuto attendere meno di due anni per arrivare alla quiescenza. Sussiste, al momento, un'assoluta mancanza di dati per quanto riguarda il numero preciso di «esodati» a cui mancherebbero tre, quattro o più anni alla maturazione dei requisiti pensionistici di cui alla norma previgente;
alla luce di quanto evidenziato, attualmente un numero non ben definito di lavoratori italiani si colloca in una sorta di limbo previdenziale contraddistinto dalla mancanza dei requisiti pensionistici e delle coperture finanziarie (ai sensi del decreto-legge «Salva Italia») e dalla mancanza di una collocazione lavorativa (in virtù dei pregressi accordi di esodo e mobilità) che potrebbe durare diversi anni e in base alla quale un'intera generazione viene messa in ginocchio -:
se intenda chiarire i dubbi espressi in premessa, anche evidenziando se trovino conferma le contraddizioni normative e procedurali che risultano agli interpellanti, e quali criteri di individuazione, monitoraggio e conteggio siano stati adottati nell'ambito del tavolo tecnico ministeriale per la «determinazione» dei 65 mila lavoratori «salvaguardabili», specificandone la suddivisione per le categorie previste dal comma 14 dell'articolo 24 del decreto-legge «Salva Italia» e dall'articolo 2-ter del decreto-legge «Milleproroghe» e precisando - nel contempo - la suddivisione in categorie dei lavoratori «esclusi» dal citato conteggio.
(2-01454)
«Muro, Di Biagio, Della Vedova».

Iniziative per un confronto tecnico con i rappresentanti degli enti locali ai fini della determinazione delle aliquote Imu - 2-01424

E)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere - premesso che:
il decreto legislativo n. 23 del 2011, recante «Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale», all'articolo 8 aveva istituto, dal 2014, l'imu (imposta municipale unica) che andrà a sostituire - per la componente immobiliare - l'irpef e le addizionali sui redditi relativi ai beni non locati, escludendo dall'imposizione l'abitazione principale e le relative pertinenze;
il decreto-legge n. 201 del 2011 ha anticipato al 2012 l'istituzione dell'imposta municipale unica (imu), stabilendo, altresì, come la stessa imposta non sostituisca altre imposte, come invece previsto dal decreto legislativo sul federalismo fiscale e prevedendo come il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito imu sulla seconda casa e sugli altri immobili, non definibili come abitazione principale, spetterà allo Stato;
tale normativa prevede, allo stesso tempo, la possibilità da parte del comune di poter modificare le aliquote, sia relativamente alla prima abitazione che sugli immobili diversi dalla prima abitazione, e stabilisce anche come le eventuali modifiche dovranno essere fatte dall'ente locale precedentemente al 16 giugno 2012, quando, così come previsto dalla medesima disposizione, il contribuente dovrà effettuare il versamento della prima tranche dell'imposta;
ad oggi numerosi comuni, sulla base del fatto che il gettito imu nel suo complesso appare di entità incerta e non precisamente definibile, non hanno ancora deliberato le aliquote imu da adottare, così che la predisposizione dei bilanci preventivi 2012 risulta, anche a causa delle continue modifiche normative e alla luce delle recenti riduzioni ai trasferimenti, bloccata in numerosi comuni -:
se non ritenga opportuno, nell'ambito delle proprie competenze, avviare un confronto tecnico con i rappresentanti degli enti locali, al fine di verificare la correttezza del gettito complessivo dell'imposta municipale unica e di permettere ai comuni di valutare, a loro volta, la correttezza delle stime per poter così prevedere le aliquote dell'imposta municipale unica.
(2-01424)
«Negro, Dozzo, Bitonci, Buonanno, Chiappori, D'Amico, Forcolin, Lanzarin, Montagnoli, Vanalli, Alessandri, Allasia, Bonino, Bragantini, Callegari, Caparini, Cavallotto, Comaroli, Consiglio, Crosio, Dal Lago, Desiderati, Di Vizia, Dussin, Fabi, Fava, Fedriga, Fogliato, Follegot, Fugatti, Gidoni, Giancarlo Giorgetti, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lussana, Maggioni, Maroni, Martini, Meroni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Munerato, Paolini, Pastore, Pini, Polledri, Rainieri, Reguzzoni, Rivolta, Rondini, Simonetti, Stefani, Stucchi, Togni, Torazzi, Volpi».

Chiarimenti in merito all'applicazione della normativa sulla tutela della concorrenza e sulle partecipazioni personali incrociate nei mercati del credito e finanziari - 2-01452

F)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere - premesso che:
l'articolo 36 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, vieta ai titolari di cariche negli organi gestionali, di sorveglianza e di controllo ed ai funzionari di vertice di imprese o gruppi di imprese operanti nei mercati del credito, assicurativi e finanziari, di «assumere o esercitare analoghe cariche (ad eccezione delle cariche infra-gruppo) in imprese o gruppi di imprese concorrenti»;
il comma 2-bis dell'articolo 36 impone a coloro che si trovino in una situazione di incompatibilità di «optare» per una carica nel termine di 90 giorni dalla nomina. Decorso inutilmente tale termine, i titolari decadono «da entrambe le cariche e la decadenza è dichiarata dagli organi competenti degli organismi interessati nei trenta giorni successivi alla scadenza del termine o alla conoscenza dell'inosservanza del divieto. In caso di inerzia, la decadenza è dichiarata dall'Autorità di vigilanza competente»;
in sede di prima applicazione, il termine per esercitare l'opzione scadrà il 26 aprile 2012;
approssimandosi tale scadenza, molte società rientranti nel perimetro di applicazione della norma saranno chiamate a procedere al rinnovo delle cariche che si renderanno eventualmente vacanti a causa della sopravvenuta incompatibilità introdotta con il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214;
tale disposizione, introdotta nel nostro ordinamento al fine di disciplinare il fenomeno delle partecipazioni personali incrociate nei mercati del credito, assicurativi e finanziari, pur chiara negli obiettivi, è lacunosa sotto vari aspetti, soprattutto in termini sia dei destinatari del divieto sia delle condotte a questi richieste per uniformarsi al dettato normativo;
le stesse autorità di vigilanza (Banca d'Italia, Consob e Isvap), chiamate a dichiarare la decadenza e ad assumere un ruolo suppletivo qualora non vi provveda il singolo esponente o il relativo consiglio di amministrazione, non risulta siano state investite di delega normativa per emanare disposizioni regolamentari di attuazione;
deve ritenersi responsabilità degli organi legislativi e segnatamente del Governo, dalla cui iniziativa trae origine la norma in questione, quello di fornire indicazioni utili agli intermediari interessati e agli esponenti degli organi di questi per valutare e adottare il comportamento giuridicamente e professionalmente più corretto -:
quali provvedimenti il Governo intenda adottare per fornire chiarezza in ordine alle diverse criticità sollevate dalla norma e non dar luogo a dimissioni arbitrarie, in quanto espressione di obblighi normativi poco chiari tanto sul piano dei contenuti quanto su quello delle eventuali conseguenze, anche sanzionatorie.
(2-01452)«Pezzotta, Galletti».

Iniziative volte a prevedere il trasferimento, a titolo gratuito e di diritto, delle aree dell'ex salina di Stato a favore del comune di Margherita di Savoia (Barletta-Andria-Trani) - 2-01453

G)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere - premesso che:
il territorio del comune di Margherita di Savoia (Barletta-Andria-Trani), delimitato dal mare e dalla salina, ha un'estensione di circa 3.650 ettari a fronte dei 3.900 circa occupati dalla salina;
la presenza della salina ha rappresentato per il comune di Margherita di Savoia, dunque, un ostacolo naturale sia allo sviluppo industriale ed occupazionale che a quello dell'urbanizzazione generale del territorio, generando condizioni di salubrità ambientale e di circolazione che hanno impedito o scarsamente incentivato l'insediamento di attività industriali;
nel corso degli anni il comune ha emanato numerosi decreti di occupazione d'urgenza riferiti al territorio della ex salina di Stato, ritenuti «indifferibili, urgenti e necessari» in quanto destinati ad uso di pubblica utilità;
una parte di detti suoli fu destinata alla «edilizia economica e popolare», per la realizzazione di alloggi necessari per una popolazione in aumento ed un'altra parte alla realizzazione di opere di urbanizzazione (strade, fogne, acqua, opere sanitarie e altro);
le aree occupate, insistenti a ridosso del centro abitato, riguardavano bacini ritenuti non più idonei alla produzione del sale e dichiarati, pertanto, fuori produzione, in stato di abbandono e suscettibili di arrecare grave pregiudizio alla salute pubblica per la carenza di controlli igienici e per il fatto che molti erano divenuti depositi abusivi di rifiuti;
i citati decreti non sono stati definitivamente perfezionati ai fini amministrativi e fiscali e di notorietà immobiliare presso i competenti uffici territoriali;
l'articolo 2-quinquies del decreto-legge n. 392 del 2000, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2001, n. 26, prevede che: «I beni immobili compresi nelle saline già in uso all'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e all'Ente tabacchi italiani, non più necessari, in tutto o in parte, alla produzione del sale, costituiscono aree prioritarie di reperimento di riserve naturali ai sensi della legge 6 dicembre 1991, n. 394, recante la disciplina delle aree protette. I provvedimenti istitutivi delle aree protette e gli atti di concessione concernenti beni compresi nei predetti territori sono emanati di concerto con il Ministro delle finanze. Tali concessioni possono essere rilasciate, anche a titolo gratuito, a favore delle regioni o degli enti locali nel cui territorio ricadono i predetti beni. I beni immobili di cui al presente comma, in quanto non destinabili a riserva naturale, sono trasferiti, a titolo gratuito, con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro dell'ambiente, ai comuni sul cui territorio i medesimi insistono»;
il comune di Margherita di Savoia, con nota del 2 aprile 2001, richiedeva al Ministero delle finanze, Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, l'acquisizione dei beni immobili compresi nelle saline in esecuzione del decreto-legge n. 392 del 2000;
il Ministero delle finanze, Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, con nota del 15 giugno 2001, protocollo n. 5/71107/PA, comunicava al comune che la suddetta richiesta era oggetto di valutazione da parte della stessa amministrazione;
l'articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, recante: utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico, dispone che: «1. Valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni (...) 6. Salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, nei casi previsti nei precedenti commi il risarcimento del danno (...)»;
la sentenza 8 ottobre 2010 n. 293, della Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità del sopra citato articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001;
l'Agenzia del demanio, con decreto direttoriale 1o dicembre 2003, n. 46181, procedeva all'individuazione dei beni immobili ritenuti dall'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato non strumentali alla propria attività, tra cui le aree sopra richiamate oggetto dei decreti di occupazione d'urgenza;
a seguito dell'istituzione dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, il demanio cedeva in piena proprietà al direttore della regia salina di Margherita di Savoia, in qualità di rappresentante dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, una lunga serie di immobili tra i quali erano ricompresi anche quelli espropriati dal comune per la realizzazione di opere pubbliche e di alloggi economici e popolari;
successivamente all'istituzione dell'Ente nazionale tabacchi, parte delle aree vennero trasferite al nuovo ente mentre quelle non trasferite ad esso rimanevano nella disponibilità giuridica dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato;
il Ministero dell'economia e delle finanze, Amministrazione autonoma di monopoli di Stato, tramite l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Bari, nel 2005 presentava al Tar Puglia 8 ricorsi per l'accertamento della responsabilità civile del comune per i sopra citati decreti di occupazione ed urgenza. Tuttavia, ad oggi, non è stata fissata alcuna udienza;
il comune di Margherita di Savoia, con delibera del consiglio comunale n. 66 del 12 dicembre 2006, acquisiva gratuitamente al patrimonio comunale gli appezzamenti di terreno già di proprietà dell'Amministrazione di monopoli di Stato, ossia quelli oggetto dei decreti di occupazione d'urgenza sopra richiamati e, in data 1o febbraio 2007, notificava agli enti interessati la deliberazione avente ad oggetto l'acquisizione delle aree di proprietà ex salina di Stato e destinati al patrimonio comunale;
con determinazione n. 359 del 19 maggio 2009 lo stesso comune provvedeva, in esecuzione della delibera del consiglio comunale n. 66 del 2006, ad acquisire definitivamente al patrimonio di questo comune le aree di cui sopra e a trascrivere la stessa determina alla conservatoria, previa registrazione presso la competente Agenzia delle entrate;
gli immobili di un ente pubblico, anche se destinati ad un pubblico servizio e, quindi, sottoposti al regime proprio del patrimonio indisponibile, possono formare oggetto di atti espropriativi per il conseguimento di un fine, di un interesse generale e, una volta venuta meno la destinazione del bene allo svolgimento del pubblico servizio, esso perde la sua «indisponibilità»;
dal combinato disposto delle norme di cui sopra deriva, secondo gli interpellanti, la conferma della titolarità del comune di Margherita di Savoia ad acquisire, a titolo gratuito, le aree citate già di proprietà dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato;
l'Avvocatura dello Stato, con note protocollo n. 64120 e 64121 del 27 dicembre 2010, acquisite al protocollo n. 172 e 175 del 5 gennaio 2011, richiedeva al comune, per conto dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, 1.150.000 euro e 20.000 euro a titolo di risarcimento dei danni derivante dall'occupazione illegittima in relazione ai decreti di occupazione d'urgenza di cui sopra;
da qualche anno si va nella direzione del federalismo (demaniale e fiscale) che prevede anche il trasferimento agli enti territoriali dei beni statali secondo criteri di sussidiarietà, adeguatezza, territorialità, semplificazione e correlazione di competenze, al fine di procedere ad una valorizzazione funzionale del bene nell'interesse della collettività rappresentata;
a seguito dell'acquisto, da parte del comune, della proprietà delle predette aree per la realizzazione di pubblica utilità e non esiste più l'obbligo di provvedere al risarcimento del danno arrecato all'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, a seguito dell'illegittimità dichiarata dalla Corte costituzionale dell'articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001 -:
se non si ritenga di procedere al trasferimento, al patrimonio del comune di Margherita di Savoia a titolo gratuito e di diritto, di tutte le aree ex Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato oggetto dei decreti di occupazione d'urgenza, senza alcun onere aggiuntivo diretto ed indiretto a carico dello stesso comune, così superando tutto il contenzioso insorto tra il comune di Margherita di Savoia e l'Amministrazione dei monopoli di Stato.
(2-01453)«Carlucci, Galletti».

Stato dell'attività di recupero dei territori calabresi colpiti dall'alluvione dello scorso autunno e iniziative per la messa in sicurezza dell'intero territorio nazionale - 2-01429

H)

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere - premesso che:
lo scorso autunno violenti nubifragi si sono abbattuti nelle estreme regioni meridionali, interessando fortemente anche la provincia di Catanzaro, provocando allagamenti e frane e creando notevoli problemi e disagi alla popolazione, in particolar modo tra Feroleto e Marcellinara, dove si è verificata anche la perdita di vite umane;
la violenza dell'evento calamitoso ha contribuito, inoltre, ad aggravare la situazione di particolare gravità e degrado in cui versa la rete infrastrutturale nel territorio calabrese, in particolare le linee ferrate, provocando, inoltre, un tragico deragliamento di un treno con il crollo di un ponte delle ferrovie tra Catanzaro e Lamezia Terme;
quello segnalato risulta essere l'ultimo per tempo di una lunga serie di eventi calamitosi di grande portata che si sono abbattuti in Calabria recentemente, evidenziando, come già denunciato da più parti e dalle amministrazioni locali in passato, la necessità di interventi nella zona che permettano la messa in sicurezza delle zone montane e dei bacini idrici;
vi è necessità di un'azione strategica e straordinaria attraverso programmi che possano contribuire a giungere ad un recupero delle situazioni compromesse, ad una compatibile pianificazione ambientale e ad un'attenta gestione antropica del territorio e che permetta all'intera area di dotarsi di sistemi che proteggano le popolazioni e i territori al verificarsi di successivi eventi calamitosi;
recentemente in risposta ad un'interpellanza urgente sottoscritta dal primo firmatario del presente atto di sindacato ispettivo sulla materia, il Governo ha dato rassicurazioni di un intervento quanto più rapido possibile, compatibile con la difficoltà di intervenire in questo territorio e con le poche risorse disponibili in bilancio, per dare luogo ad una politica non di emergenza ma strategica di messa in sicurezza del territorio calabrese, auspicando un impegno specifico sulla questione del dissesto idrogeologico del territorio calabrese e in generale di tutto il territorio nazionale, anche attraverso il coordinamento tra le varie amministrazioni coinvolte;
oggi a distanza di qualche mese le sollecitazioni in materia sono rimaste inevase e ancora non si riscontrano chiari segnali per dare seguito alle rassicurazioni fornite dal Governo, mentre è necessario predisporre una reale azione strategica di messa in sicurezza di tutto il territorio nazionale, e calabrese nello specifico, fortemente compromesso dalla furia degli eventi calamitosi e dal dissesto idrogeologico -:
quali urgenti misure, per quanto di competenza, intenda adottare per risolvere la problematica emergenziale sotto il profilo ambientale e infrastrutturale in cui versa la regione Calabria;
quale sia allo stato attuale l'effettiva azione di recupero dei territori colpiti dall'alluvione dello scorso autunno e se non intenda attivarsi per sviluppare e realizzare un piano strategico d'azione per il potenziamento delle infrastrutture e per la messa in sicurezza delle aree del territorio calabrese interessate dagli eventi calamitosi verificatisi nel tempo, impegnando risorse finanziarie, umane e mezzi tecnici e strumentali.
(2-01429)
«Tassone, Adornato, Binetti, Bonciani, Bosi, Buttiglione, Calgaro, Capitanio Santolini, Carlucci, Enzo Carra, Cera, Ciccanti, Compagnon, De Poli, Delfino, Dionisi, D'Ippolito Vitale, Anna Teresa Formisano, Galletti, Libè, Lusetti, Mantini, Marcazzan, Mereu, Ricardo Antonio Merlo, Mondello, Naro, Occhiuto, Pezzotta, Poli, Rao, Ria, Ruggeri, Nunzio Francesco Testa, Volontè, Zinzi».