XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 26 aprile 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


      La Camera,
          premesso che:
              mercoledì 11 aprile 2012, si è svolta – dinanzi a palazzo Montecitorio – la manifestazione organizzata dall'UGL polizia di Stato in favore dei vincitori di concorso nella polizia, il cui arruolamento è subordinato al completamento della ferma quadriennale nelle Forze armate;
          si tratta complessivamente di ben 1.659 giovani ai quali è stato negato il diritto al lavoro sebbene, è il caso di ribadirlo, idonei vincitori di concorso pubblico;
          l'articolo 16 della legge n.  226 del 23 agosto 2004 che disciplinava i concorsi per il reclutamento nelle carriere iniziali delle forze di polizia ad ordinamento civile e militare e del corpo militare della Croce Rossa, è stato abrogato e la nuova disciplina è contenuta nell'articolo 2199 del decreto legislativo n.  66 del 15 marzo 2010 (codice dell'ordinamento militare) che recita:
                  «1. [...] fino al 31 dicembre 2020 [...] per il reclutamento del personale nelle carriere iniziali delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare, i posti messi annualmente a concorso, determinati sulla base di una programmazione quinquennale scorrevole predisposta annualmente da ciascuna delle amministrazioni interessate e trasmessa entro il 30 settembre al Ministero della difesa, sono riservati ai volontari in ferma prefissata di un anno ovvero in rafferma annuale, di cui al capo II della presente legge, in servizio o in congedo, in possesso dei requisiti previsti dai rispettivi ordinamenti per l'accesso alle predette carriere. [...]
              4. Dei concorrenti giudicati idonei e utilmente collocati nelle graduatorie di cui al comma 3:
                  a) una parte è immessa direttamente nelle carriere iniziali di cui al comma 1, secondo l'ordine delle graduatorie e nel numero corrispondente alle seguenti misure percentuali:
                      [...]
                      3) 55 per cento per il ruolo degli agenti e assistenti della Polizia di Stato;
                      [...]
                      b) la restante parte viene immessa nelle carriere iniziali di cui al comma 1 dopo avere prestato servizio nelle Forze armate in qualità di volontario in ferma prefissata quadriennale, nel numero corrispondente alle seguenti misure percentuali:
                          [...]
                      3) 45 per cento per il ruolo degli agenti e assistenti della Polizia di Stato;
                          [...].»;
              in ottemperanza all'accennata normativa, con decreti ministeriali del 30 ottobre 2006, del 21 novembre 2008 e del 30 luglio 2010 sono stati indetti concorsi pubblici, per titoli ed esami, per il reclutamento rispettivamente di:
                  1.507 allievi agenti (di cui 976 posti con immissione immediata in ruolo e 531 posti con assunzione differita e subordinata al completamento della ferma quadriennale nelle Forze armate);
                  di 907 allievi agenti (di cui 499 posti con immissione immediata in ruolo e 408 con assunzione differita);
                  di 1.600 allievi agenti (di cui 880 posti con immissione immediata nei ruoli e 720 posti con immissione nei predetti ruoli al termine della ferma quadriennale nelle Forze armate);
              come già anticipato, il totale dei tre contingenti – per i quali l'immissione in ruolo era subordinata al completamento della ferma quadriennale nelle Forze armate – è di ben 1.659 unità;
              sebbene l'amministrazione della pubblica sicurezza avesse delle aliquote di candidati risultati idonei vincitori delle richiamate procedure concorsuali da poter assumere immediatamente, ha ritenuto di procedere ad indire un nuovo concorso per il reclutamento di 2.800 allievi agenti;
              con l'inopinata emanazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri rispettivamente in data 19 ottobre 2009, 19 novembre 2009 e 21 settembre 2010, sono stati chiamati in servizio gli idonei non vincitori dei precedenti concorsi;
              sul piano dell'ordinamento positivo, si è, ormai, realizzata, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, la sostanziale inversione del rapporto tra l'opzione per un nuovo concorso e la decisione di scorrimento della graduatoria preesistente ed efficace e, infatti, quest'ultima modalità di reclutamento rappresenta ormai la regola generale, mentre l'indizione del nuovo concorso costituisce l'eccezione e richiede un'apposita e approfondita motivazione, che dia conto del sacrificio imposto ai concorrenti idonei e delle preminenti esigenze di interesse pubblico,

impegna il Governo:

          ad adottare sollecitamente ogni iniziativa utile all'assunzione dei 1.659 giovani di cui in premessa;
          a porre comunque in essere tutte le misure necessarie a tutelare la posizione degli idonei vincitori, attualmente impiegati in qualità di volontari in ferma prefissata quadriennale nelle Forze armate che, ad oggi, si sono visti scavalcare dai non vincitori dei precedenti concorsi;
          a realizzare scelte politiche e gestionali, per il futuro, che non comportino oneri aggiuntivi per lo Stato a causa del continuo ripetersi di concorsi la cui indizione e svolgimento dovrebbero essere oggetto di un'attenta programmazione, finalizzata ad un contenimento dei costi e ad evitare casi come quello evidenziato.
(1-01020) «Santori, Antonione, Gava, Mistrello Destro, Sardelli, Brugger».


      La Camera,
          premesso che:
              AnsaldoBreda s.p.a., controllata da Finmeccanica s.p.a., è la principale società italiana di costruzioni di rotabili per il trasporto su ferro e si occupa di progettazione e costruzione di treni completi ad alta velocità, di elettrotreni metropolitani/suburbani (TAF e TSR) e di tram (Sirio), di progettazione e costruzione di equipaggiamenti elettrici di trazione e ausiliari (convertitori e circuiti di controllo) e di apparecchiature di sicurezza e segnalamento ferroviario;
              la strategica importanza storica ed economica dell'azienda, a livello nazionale, vede coinvolte quattro regioni (Toscana, Campania, Calabria e Sicilia), occupando 2.500 addetti e impiegando inoltre, con l'indotto, ulteriori 4.000 lavoratori dislocati in oltre 150 imprese;
              recentemente sono circolate notizie sulla ipotetica vendita di Ansaldo Breda, tali da causare scioperi, manifestazioni e forti preoccupazioni dal mondo del lavoro, delle istituzioni e della politica in generale;
              a partire dal 2 ottobre 2009 e fino a tutto il gennaio 2010 si sono succeduti degli incontri tra le segreterie nazionali e territoriali dei sindacati RSU FIM-FIOM-UILM di Ansaldo Breda con la direzione aziendale, nei quali la stessa azienda ha provveduto ad illustrare le linee generali e gli specifici contenuti del piano industriale;
              sempre nello stesso anno gli impianti di Ansaldo Breda sono stati oggetto di un piano di investimenti di milioni di euro in linea con la politica di investimenti infrastrutturali e tecnici alla base degli accordi sottoscritti dalle rappresentanze sindacali e dall'azienda;
              l'analisi complessiva dei dati del mercato internazionale ferrotranviario è positiva, anche se sussistono dei problemi strutturali del mercato, quali la bassa produttività degli impianti, la competitività dei costi, i tempi di consegna, forte indebitamento finanziario, evoluzione costante delle tecnologie impiegate: per questi motivi i grandi player internazionali del settore hanno avviato da tempo un profondo processo di ristrutturazione aziendale, con lo scopo di ottimizzare e modernizzare l'attività di produzione, in molti casi decentrando gli impianti di produzione verso Paesi a basso costo di manodopera;
              le aziende di medie dimensioni stanno revisionando i propri progetti industriali ed i piani economici ad essi connessi, diventando veri e propri operatori autonomi, in grado di rivolgersi a «nicchie» di mercato, offrendo così prodotti strutturati e specifici molto competitivi rispetto ai grandi player internazionali;
              nell'ottica di rilancio in questa strutturazione e con le esigenze di mercato, Ansaldo Breda ha avviato l'attuazione di un piano industriale, denominato «piano 2010-2014», volto al miglioramento delle filiere produttive, dei processi e dei modelli di organizzazione (alta velocità, attività «regionale» con i prodotti EMU a due piani TSR, prodotti IC4, Mass transit, MLA, street car);
              l'accordo stilato tra la direzione aziendale e le rappresentanze sindacali mirava al raggiungimento di obbiettivi di efficienza, razionalizzazione e riorganizzazione di tutti i processi produttivi sopraelencati e prevedeva anche le linee di sviluppo del piano, ovvero il risparmio energetico delle produzioni, l'impiego di materiali eco-compatibili, il miglioramento tecnologie costruttive, l'impiego di motori a magneti permanenti e l'utilizzazione di materiali compositi per le sottostrutture;
              l'attuazione del piano di sviluppo prodotti aveva l'intento di superare le cause che determinavano le inefficienze aziendali al fine del raggiungimento degli obbiettivi di riorganizzazione aziendale;
              in tale accordo era altresì contenuto l'impegno a mantenere il centro di eccellenza delle tecnologie e delle produzioni meccaniche di Pistoia e di Napoli e, in coerenza con il piano di acquisizioni commerciali, si ribadiva la necessità della strategica sussistenza degli impianti di Reggio Calabria e Palermo;
              la Ansaldo Breda riconosceva tuttavia un gap negativo dei prezzi dei propri prodotti di circa il 25-30 per cento nonostante quanto sopraesposto, perdendo competitività nel mercato globale: di qui l'esigenza del rilancio del piano di produttività, il cui complesso di azioni dovrebbe determinare un recupero significativo dei margini di produttività nella misura del 35 per cento entro fine 2011;
              tale scelta consentirebbe alla Ansaldo Breda di provvedere ad un riequilibrio economico produttivo industriale che possa costituire la premessa per una successiva fase di sviluppo dell'azienda a partire già dal 2012;
              le delegazioni sindacali e le Rappresentanze sindacali unitarie hanno dichiarato in modo unanime la loro richiesta di attuare questo percorso di rilancio dell'azienda, ma è necessario riprendere il cammino di attuazione dell'accordo siglato con l'azienda il 4 marzo 2010, dando piena applicazione ad esso, mantenendo gli attuali livelli occupazionali e concretizzando a tutti gli effetti quel recupero di competitività che oggi più che mai è necessario a dare un futuro all'azienda e al Paese;
              è condivisa la necessità, come emerso dalla riunione unitaria delle delegazioni sindacali degli stabilimenti Breda di Toscana, Calabria, Sicilia e Campania e di alcuni esponenti politici promotori di tale incontro, di dichiarare il settore produttivo per i trasporti strategico per il Paese, compatibilmente con le necessità legate al particolare momento di crisi internazionale ed in special modo del sistema economico europeo;
              tale passaggio, in modo unitario e condiviso, rappresenta un atto fondamentale per continuare a dare slancio e futuro a questo importante comparto;
              è altrettanto strategico che Finmeccanica mantenga una quota maggioritaria in Ansaldo-Breda in un'ottica di rilancio del progetto industriale dell'azienda;
              allo stesso tempo è importante mantenere aperta l'opportunità di sviluppare partnership con altri operatori del settore che possano ridare piena competitività in tempi rapidi alla filiera produttiva di Ansaldo-Breda in tutti gli stabilimenti del Paese;
              è da ritenere come fondamentale riuscire a convocare velocemente un tavolo nazionale di confronto presso il Ministero dello sviluppo economico sul futuro dell'azienda e sulla questione sociale ed occupazionale ad essa collegata, alla quale possano prender parte i rappresentanti del Governo, dell'azienda, delle rispettive Rappresentanze sindacali unitarie degli stabilimenti e delle regioni coinvolte,

impegna il Governo:

          a promuovere quanto prima la convocazione presso il Ministero dello sviluppo economico di un tavolo di confronto sul futuro della Ansaldo Breda per quanto riguarda gli stabilimenti presenti in Italia, coinvolgendo in primis l'azienda, le regioni interessate e le rappresentanze sindacali degli stabilimenti;
          a dichiarare il settore industriale produttivo del comparto del trasporto pubblico strategico per il futuro del Paese e fondamentale per il rilancio economico dell'Italia.
(1-01021) «Migliori, Martinelli, Bergamini, Mazzoni, Toccafondi, Massimo Parisi, Bianconi, Faenzi, Picchi, Barani».


      La Camera,
          premesso che:
              il 23 ottobre 2008 la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza ha deliberato un'indagine conoscitiva volta ad approfondire la condizione dei minori stranieri non accompagnati e a ricostruirne il percorso, a partire dal momento in cui abbandonano i centri di prima accoglienza per gli immigrati (dopo essere stati identificati come minori e pertanto esclusi dalla procedura di espulsione dal territorio italiano), fino al momento in cui trovano una residenza stabile (ove questo avvenga), all'interno del sistema dell'accoglienza familiare previsto anche per i minori italiani in stato di temporaneo abbandono;
              nell'ambito dell'indagine sono stati auditi: il Ministro dell'interno pro tempore Roberto Maroni, il presidente dell'organismo centrale di raccordo minori comunitari non accompagnati prefetto Mario Ciclosi, il prefetto di Agrigento Umberto Postiglione, il presidente del Comitato per i minori stranieri Giuseppe Silveri, il delegato dell'ANCI alle politiche migratorie Fabio Sturani, il già sostituto procuratore presso il tribunale per i minorenni di Roma Simonetta Matone, l'assessore della regione Sicilia con delega alla famiglia, politiche sociali e autonomie locali Francesco Scoma, rappresentanti dell'Associazione Telefono azzurro, di Save the children – Italia e dell'Associazione Giovanni XXIII, il direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali Natale Forlani e infine Ernesto Tomei, professore associato di radiologia dell'università degli studi di Roma «La Sapienza»;
              l'articolo 22 della convenzione di New York prevede che «gli Stati parti adottano misure adeguate affinché il fanciullo il quale cerca di ottenere lo statuto di rifugiato, oppure è considerato come rifugiato ai sensi delle regole e delle procedure del diritto internazionale o nazionale applicabile, solo o accompagnato dal padre o dalla madre o da ogni altra persona, possa beneficiare della protezione e della assistenza umanitaria necessarie per consentirgli di usufruire dei diritti che gli sono riconosciuti della presente Convenzione e dagli altri strumenti internazionali relativi ai diritti dell'uomo o di natura umanitaria di cui detti Stati sono parti»;
              l'articolo 37 della convenzione di New York recita fra l'altro che: «gli Stati parti vigilano affinché nessun fanciullo sia sottoposto a tortura o a pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, o sia privato di libertà in maniera illegale o arbitraria; l'arresto, la detenzione o l'imprigionamento di un fanciullo devono essere effettuati in conformità con la legge, costituire un provvedimento di ultima risorsa e avere la durata più breve possibile; ogni fanciullo privato di libertà sia trattato con umanità e con il rispetto dovuto alla dignità della persona umana e in maniera da tener conto delle esigenze delle persone della sua età». In particolare, ogni fanciullo privato di libertà «sarà separato dagli adulti, a meno che si ritenga preferibile di non farlo nell'interesse preminente del fanciullo; i fanciulli privati di libertà hanno il diritto ad avere rapidamente accesso a un'assistenza giuridica o a ogni altra assistenza adeguata, nonché il diritto di contestare la legalità della loro privazione di libertà dinanzi un Tribunale o altra autorità competente, indipendente e imparziale»;
              a partire dagli inizi del 2011, in relazione all'esplodere della cosiddetta «primavera araba», che ha interessato gran parte della fascia dei Paesi nordafricani (in particolare Tunisia e Egitto), i flussi migratori provenienti dal Maghreb sono aumentati notevolmente di volume profilando una vera e propria emergenza umanitaria. Se nel 2010 il totale dei minori giunti nel nostro Paese ammontava a 1.035, di cui 698 non accompagnati, dal primo gennaio 2011 al 24 settembre, cioè in nove mesi, ne sono arrivati 4.012, di cui ben 3.739 non accompagnati. Alla data del 27 settembre 2011 i minori non accompagnati segnalati al Comitato per i minori stranieri erano 6.946, di cui 926 identificati e 6.020 non identificati;
              la maggioranza dei minori stranieri non accompagnati proviene dal territorio africano, ma negli ultimi anni sono aumentate le presenze di minori egiziani e afghani, mentre per quanto riguarda i marocchini la crescita è stata più contenuta; inoltre, è aumentato il numero di minori palestinesi (o sedicenti tali) e dei minori provenienti dal Corno d'Africa, somali ed eritrei, o dal Sudan;
              un'altra consistente categoria di minori stranieri non accompagnati proviene invece dall'Asia centrale (in particolare dall'Afghanistan) e raggiunge l'Italia attraverso la Grecia e la Turchia, via mare (a bordo di navi per il trasporto merci, in condizione di clandestinità) o via terra (spesso nascondendosi a bordo di camion). Questi adolescenti fuggono da fame e persecuzioni e hanno pertanto tutti i requisiti giuridici per vedersi riconosciuto lo status di rifugiato e diritto a tutta la protezione loro dovuta, in quanto minori, presso le autorità italiane. Nella realtà purtroppo nulla di tutto ciò avviene;
              per quanto riguarda l'età media di questi ragazzi, la fascia più alta d'età dichiarata è 17 anni e rappresenta il 37 per cento degli arrivi. La seconda fascia di età, che rappresenta il 20-21 per cento dei ragazzi, è quella dei 16 anni, mentre i ragazzi di 15 anni rappresentano l'11 per cento. Pertanto, è possibile concludere che la maggior parte dei ragazzi appartiene ad una fascia medio-alta di minore età;
              in occasione della grave emergenza umanitaria verificatasi nei primi mesi del 2011 un alto numero di minori nordafricani è stato temporaneamente ospitato all'interno delle strutture del centro di identificazione ed espulsione di Lampedusa, dove è stato rilevato, anche da parlamentari, l'estrema precarietà delle condizioni di permanenza riservate a questi adolescenti (spesso privi di spazi adeguati o in condizioni di promiscuità che non tenevano adeguatamente conto del loro specifico status di minori) incompatibili pertanto con il dettato succitato dell'articolo 37 della convenzione di New York: permanenza per periodi di tempo indeterminati, assimilabili per molti versi ad una forma di detenzione, senza la garanzia di un alloggio separato e consono alle necessità dei minori, spesso in condizioni di promiscuità con gli adulti;
              è emersa inoltre una situazione di grave allarme sociale che riguarda i bambini o adolescenti stranieri privi di riferimenti familiari, una volta superata la fase della prima accoglienza e prima del successivo smistamento disposto dal magistrato competente verso la comunità familiare deputata a prendere in carico il minore. Fin dal momento dello sbarco (nella maggior parte dei casi si tratta di minori sbarcati nei porti siciliani, pugliesi o marchigiani) i minori sono condotti nei centri di prima accoglienza dove ha luogo la procedura di identificazione. Successivamente, la questura ne comunica la presenza all'autorità giudiziaria (tribunale dei minori), che li affida direttamente ad una struttura allogiativa: dopo questa prima fase (coordinata dal Ministero dell'interno e di recente affidata al soggetto attuatore delle misure di accoglienza per i minori stranieri non accompagnati del Ministero del lavoro e delle politiche sociali), il magistrato competente – con tempi variabili e commisurati al numero dei minori destinatari di analoghi provvedimenti – nomina il tutore, che normalmente è il dirigente del servizio sociale del comune dove ha sede la comunità alloggio. Successivamente a questa ulteriore fase, una parte di questi minori si allontana in molti casi senza lasciare traccia dalle comunità alloggio che li ospitano. Si tratta spesso di adolescenti arrivati in Italia senza una famiglia al seguito, ma non di rado con riferimenti telefonici di familiari o conoscenti disposti ad indirizzarli per la ricerca di un lavoro o di una qualche forma di inserimento sul territorio italiano o – più frequentemente – in altri Paesi europei, come la Francia o la Germania;
              questo passaggio nella loro permanenza sul nostro territorio è quello che presenta i maggiori profili di vulnerabilità, poiché è in questa fase che questi minori sono esposti maggiormente a seri pericoli di sfruttamento da parte della criminalità organizzata o a gravi rischi per la loro stessa incolumità. La sparizione dei minori costituisce un fenomeno particolarmente concentrato nelle aree del Sud Italia, e specialmente in Sicilia: poiché in quelle zone non vi sono grandi opportunità di integrazione né contesti cosiddetti «familiari» che possano accogliere questi adolescenti. In questo percorso di allontanamento i minori fanno rapidamente perdere traccia di sé, anche grazie alla loro incerta identità, non attestata da alcun documento e spesso non adeguatamente verificata per mancanza di riferimenti certi;
              secondo il presidente del Comitato per i minori stranieri, Giuseppe Silveri sul numero totale dei minori censiti sul nostro territorio (ovvero segnalati al Comitato dalle questure, dai comuni e dai tribunali) soltanto il 30 per cento risulta identificato. Pertanto, finché non si conoscono provenienza, età ed identità di questi minori, non solo diventa imponibile tutelarli, ma anche gestirne la presenza, favorirne l'integrazione, proteggerli dal lavoro irregolare e da ogni forma di sfruttamento;
              prima dell'emergenza relativa ai movimenti della «Primavera araba» un alto numero di minori veniva infatti smistato da Lampedusa verso l'entroterra siciliano, gravando integralmente sul territorio e sulle limitate risorse finanziarie di comuni molto piccoli, del tutto impreparati a svolgere questa funzione di inserimento. Anche questo stato di cose ha probabilmente favorito, in alcuni casi, l'allontanamento degli adolescenti dalle comunità alloggio di questi comuni, non adeguate a garantire la loro integrazione, se non addirittura interessate (per ragioni di convenienza economica) a favorire un continuo ricambio dei minori già ospitati con nuovi arrivi. Nelle comunità alloggio dove sono ospitati questi minori peraltro non può vigere alcun regime di restrizione della libertà personale, per cui i ragazzi non subiscono alcun tipo di controlli. L'indagine ha posto in luce il fatto che, per finanziare le comunità alloggio in cui vengono ospitati i minori stranieri, i comuni dei territori limitrofi alle aree di sbarco degli immigrati senza regolare permesso di soggiorno subiscono un pesante carico finanziario in relazione alle loro limitate dimensioni;
              anche dal IV rapporto dell'ANCI arriva la conferma che la pronta accoglienza è un momento cruciale in cui è necessario intervenire tempestivamente con servizi di qualità, con risorse dedicate e professionalità specifiche, anche alla luce dei dati che dimostrano che è nei primi giorni che si verifica il maggior numero degli allontanamenti di questi minori dalle strutture di accoglienza. L'Anci ha avviato nel 2008 un programma che ha previsto l'inserimento lavorativo e l'affidamento familiare di questi minori non accompagnati grazie al coinvolgimento di ben 32 comuni. Al 31 dicembre nel programma 2011 hanno trovato ospitalità oltre 2750 minori, sia presso strutture ad essi destinate sia presso famiglie italiane e straniere, per un totale di più di 160.000 giornate di accoglienza complessivamente erogate. Nonostante il successo del programma, il suo finanziamento, concluso il 31 dicembre 2011, non è stato rinnovato,

impegna il Governo:

          a garantire una efficace tutela dei diritti dei minori stranieri non accompagnati attraverso una tempestiva procedura di identificazione di questi soggetti fin dal momento della prima accoglienza ed una gestione coordinata delle presenze così verificate da parte di una vera e propria task force, formata da personale specializzato e rappresentanti delle organizzazioni non governative accreditate;
          a creare una vera e propria task force, formata da personale specializzato e rappresentanti delle organizzazioni non governative accreditate, in grado di procedere tempestivamente all'identificazione dei minori stranieri non accompagnati fin dal momento della prima accoglienza, al fine di garantire un'efficace tutela dei diritti di questi soggetti;
          ad espletare una procedura certa e uniforme su tutto il territorio nazionale, attestata dal rilascio di un vero e proprio documento d'identità e registrata nelle banche dati degli organi competenti alla gestione delle presenze dei minori stranieri, che si avvalga inoltre di tecnologie non invasive, utilizzate da personale specializzato, come il riconoscimento biometrico del minore straniero non accompagnato;
          a promuovere collaborazioni bilaterali tra l'Italia e i Paesi di provenienza dei minori stranieri non accompagnati, al fine di conoscere gli specifici motivi che li spingono a migrare nonché le situazioni socioeconomiche di partenza è per poter attivare risposte nei Paesi di emigrazione (adozioni a distanza, percorsi di migrazione accompagnata, mantenimento dei rapporti con la famiglia di origine anche in vista di una eventuale opzione di ritorno nel proprio Paese, e altro);
          a favorire una collaborazione a livello europeo per promuovere politiche a favore dei minori stranieri non accompagnati che attuino gli accordi internazionali, che siano coordinate tra i vari Paesi dell'Unione europea e diano risposte adeguate alle aspirazioni e ai diritti di scelta dei minori;
          ad assumere iniziative per trasformare parte dei sussidi per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, in particolare di quelli provenienti dalla Libia, in borse lavoro per minori ultrasedicenni al fine di favorire l’«inserimento socio-lavorativo di minori e giovani adulti (15-21 anni) a rischio di devianza e criminalità»;
          ad assumere iniziative per rifinanziare il programma nazionale di protezione dei minori stranieri non accompagnati gestito dall'ANCI al fine favorire una valorizzazione ed un ampliamento di questa esperienza;
          a attivare procedure di affidamento familiare temporaneo per i minori stranieri non accompagnati secondo le norme previste in materia dall'ordinamento;
          a predisporre iniziative di formazione ad hoc per il personale (militare e non) impiegato presso i luoghi più strategici per i flussi migratori come porti e frontiere, in collaborazione con il personale delle organizzazioni non governative accreditate, facendo sì che tale formazione preveda la presa in carico del minore straniero non accompagnato, da parte del personale preposto, in base alle normative esistenti (diritto all'accoglienza da parte del minore, status di rifugiato per particolari nazionalità, divieto di respingimenti coatti e altro);
          a prevedere procedure di gara pubblica per l'accreditamento delle comunità alloggio cui possono essere affidati i minori stranieri non accompagnati assicurando che tali procedure fissino requisiti oggettivi sia di carattere economico-gestionale che in termini di risorse umane;
          a creare, in collaborazione con le organizzazioni non governative accreditate, percorsi di emigrazione assistiti per quei minori non accompagnati che transitano attraverso l'Italia, manifestando l'intenzione di raggiungere altri Paesi europei dove hanno residenza loro familiari.
(1-01022) «Zampa, Mussolini, Capitanio Santolini, Pagano, Di Giuseppe, Livia Turco, De Torre, Schirru, Mattesini, Sbrollini, Brandolini».

Risoluzioni in Commissione:


      La VII Commissione,
          premesso che:
              le disparità di trattamento, in termini di opportunità e prospettive professionali, tra le donne e gli uomini sono fortemente presenti e persistenti nelle arti dello spettacolo;
              occorre analizzare seriamente i meccanismi e le cause che producono tali disparità;
              il principio di parità tra entrambi i sessi deve applicarsi a tutti gli operatori del settore delle arti dello spettacolo, in tutte le discipline, in tutti i tipi di struttura, quali la produzione, la diffusione e l'insegnamento, e nei settori artistico, tecnico e amministrativo;
              considerato inoltre che gli uomini e le donne non esercitano proporzionatamente i tanti mestieri delle arti dello spettacolo e che a questa forma di disparità si aggiungono anche quelle delle condizioni di lavoro e di reddito;
              l'obiettivo egalitario nei mestieri delle arti dello spettacolo presuppone il passaggio attraverso la parità tra i sessi;
              le disparità constatate lasciano inutilizzate competenze e talenti e sono pregiudizievoli per la dinamica artistica, l'evoluzione e lo sviluppo economico di questo settore;
              la protezione sociale degli artisti è particolarmente lacunosa e deficitaria, sia per gli uomini che per le donne, e da ciò consegue, sopratutto per queste ultime, una situazione reddituale più sfavorevole;
              occorre promuovere e incoraggiare l'accesso delle donne a tutte le professioni artistiche in cui si trovano in minoranza;
              la discriminazione nei confronti delle donne penalizza lo sviluppo del settore culturale privandolo di talenti e competenze,

impegna il Governo:

          a promuovere misure volte a migliorare la presenza delle donne alla testa delle organizzazioni culturali;
          a migliorare altresì la condizione professionale e sociale di coloro che lavorano nel mondo della cultura e dell'arte.
(7-00846) «Carlucci».


      La VII Commissione,
          premesso che:
              con legge n.  296 del 2007 il Governo ha trasformato le graduatorie permanenti in graduatoria ad esaurimento;
              tuttavia gli studenti di Scienze della formazione primaria immatricolatisi nell'anno accademico 2007/2008 hanno avuto la possibilità di iscriversi con riserva, in quanto con l'articolo 5-bis della legge 30 ottobre 2008 il Governo ha riaperto le graduatorie ai circa 21.000 docenti immatricolati con i corsi attivati dal Ministero dell'istruzione, università e ricerca nell'anno accademico 2007/2008;
              gli studenti iscritti negli anni accademici successivi (2008/2009, 2009/2010, 2010/2011) al Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria e al terzo corso biennale di secondo livello finalizzato alla formazione dei docenti di strumento musicale nella scuola media della classe di concorso 77/A invece, pur avendo l'abilitazione del vecchio ordinamento non hanno potuto iscriversi con riserva nelle graduatorie ad esaurimento;
              nel decreto mille proroghe è stato approvato un emendamento di dubbia interpretazione che di fatto consentirebbe solo agli abilitati in scienze di formazione primaria e alla classe di concorso 77/A di essere inseriti in una IV fascia di graduatoria ad esaurimento, tramite un successivo decreto ministeriale;
              il Parlamento nella medesima occasione ha anche preso l'impegno, tramite l'accoglimento di un ordine del giorno (ODG n.  9/4865/B/21 approvato il 23/02/2012) di consentire agli abilitandi l'inserimento con riserva nella IV fascia delle graduatorie ad esaurimento, consentendo l'inclusione anche degli insegnanti abilitati con i corsi ex decreti ministeriali 21 e 83 nonché gli esclusi per mancata ripresentazione della domanda nel 2007;
              tuttavia ad oggi, per gli abilitandi in scienze della formazione primaria non ci sarebbero sbocchi professionali visto che di fatto non possono entrare nelle graduatorie ad esaurimento, a differenza dei colleghi degli anni precedenti;
              ciò rappresenta una ingiustizia per la categoria e viola la direttiva del Consiglio del 28 giugno 1999, n.  1999/70/CE relativa all'accordo quadro CES, UNICE, CEEP sul lavoro a tempo determinato;
              peraltro vi sarebbero condizioni di evidente disparità di trattamento in violazione dell'articolo 3 della Costituzione, essendo l'inserimento delle graduatorie un diritto per tutti legato all'anno di immatricolazione al corso di laurea, e non alla data di conseguimento dell'abilitazione,

impegna il Governo

a inserire con riserva nella fascia aggiuntiva delle graduatorie ad esaurimento prevista nell'articolo 14, comma 2-ter del decreto-legge 29 dicembre 2011 n.  216, convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 24 febbraio 2012, n.  14, gli abilitandi ovvero coloro che si sono iscritti in scienze della formazione primaria negli anni accademici 2008/2009, 2009/2010, 2010/2011, riserva che verrà sciolta al momento del conseguimento dell'abilitazione.
(7-00847) «Zazzera, Di Giuseppe».


      La IX Commissione,
          premesso che:
              la crisi del comparto dell'autotrasporto, che si inserisce in quella globale e perdurante dell'economia nazionale, ha raggiunto livelli di esasperazione e attanaglia in maniera sempre più stringente gli operatori del settore;
              le criticità in atto sono così profonde e dilaganti che proprio in questi ultimi giorni è stata annunciata una nuova mobilitazione degli autotrasportatori che comprenderà azioni quali manifestazioni di protesta e un fermo di cinque giorni a partire dal 28 maggio 2012;
              l'attenzione che deve essere dedicata ad un settore vitale per l'economia del Paese non può che essere massima, considerato che il trasporto merci notoriamente avviene ancora per il 90 per cento su gomma;
              occorre, dunque, confermare e dare vigore alle misure già previste a favore del comparto allo scopo di risolvere le problematicità e centrare obiettivi sanciti anche a livello europeo come quello del contenimento dei consumi energetici nel comparto dei trasporti;
              in linea con tale obiettivo, il programma nazionale di riforma allegato al documento di economia e finanza 2012 dà garanzia dell'impegno del Governo ad assumere «un immediato approccio responsabile finalizzato all'ottimizzazione dell'uso delle varie modalità di trasporto» poiché l'incidenza del trasporto sulla bilancia energetica supera il 40 per cento, e a dare «concreta attuazione ad iniziative incisive capaci di ridimensionare, in modo sostanziale, questi consumi anomali e dannosi per la crescita e lo sviluppo»;
              trova, pertanto, conferma la necessità di ricorrere al trasporto via mare attraverso il sistema delle «autostrade del mare»;
              il ricorso maggiore all'intermodalità, indicato dal piano della logistica come obiettivo chiave della economia italiana, consentirà di migliorare le prestazioni ambientali dei sistemi di trasporto e di ridurre la congestione sulle strade, considerato il livello di saturazione raggiunto dalle infrastrutture che, soprattutto nel Mezzogiorno, sono scarsamente idonee a sopportare il traffico delle merci in transito;
              nell'ambito del futuro delle reti transeuropee dei trasporti (TEN-T), i collegamenti marittimi concentrati nell'area mediterranea, in considerazione delle realtà emergenti del sistema logistico italiano, possono rappresentare inoltre un volano fondamentale per la ripresa dell'economia nazionale, in termini d'incremento della produttività e di risorse umane, a condizione che si evitino interventi di marginalizzazione delle regioni periferiche;
              uno strumento essenziale al perseguimento dei suddetti scopi è costituito dall’«ecobonus», incentivo nazionale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 aprile 2006, destinato a sostenere le imprese di autotrasporto che trasferiscono quote di merci che viaggiano su mezzi pesanti dalla strada alle vie del mare;
              tale misura, pur rappresentando un aiuto di Stato, è stata autorizzata dalla Commissione europea per il triennio 2007-2009 ed è stata valutata dalla stessa come best practice avendo determinato un esponenziale incremento dell'utilizzo del sistema combinato strada-mare;
          lo strumento «ecobonus» è, infatti, risultato efficace rispetto agli obiettivi fissati nel Libro bianco del 2001 sulla politica europea dei trasporti che evidenziava la priorità dell'adozione di misure volte a promuovere l'armonizzazione tecnica e l'interoperabilità fra i diversi sistemi, con particolare riguardo al traffico di container;
          le misure di accompagnamento previste sono destinate ad incoraggiare le forme di associazione tra imprese di piccole dimensioni aventi l'obiettivo specifico di utilizzare in modo efficiente le alternative marittime al trasporto su gomma, nonché di agevolare misure di formazione finalizzate a promuovere l'accesso alle rotte marittime e il loro utilizzo e l'acquisto di attrezzature elettroniche (hardware) e programmi informativi (software), volti ad ottimizzare la catena del trasporto in condizioni di massima sicurezza;
          per il perseguimento di tale scopo a livello europeo sono stati definiti programmi di sostegno come «Marco Polo» e, poi, «Marco Polo II» relativi alla concessione di contributi finanziari comunitari per migliorare le prestazioni ambientali del sistema di trasporto merci, che dovrebbero essere efficacemente integrati con altri programmi che prevedano misure incentivanti, quali l’«ecobonus» ed il «ferrobonus»;
          la Conferenza delle regioni periferiche marittime europee, nel settembre del 2011 in coerenza il documento della Commissione europea, approvato nel marzo dello stesso anno, attraverso il Libro bianco sulla politica europea dei trasporti dal titolo «Tabella di marcia per uno spazio europeo dei trasporti – Verso un sistema di trasporti competitivo nelle risorse», si è impegnata a promuovere proposte di strumenti comunitari adeguati allo sviluppo del trasporto marittimo a breve e medio raggio, all'interno dei quali figurano per l'appunto i suesposti programmi di sostegno;
          proprio per l'efficacia e l'indispensabilità dell'incentivo «ecobonus», di cui usufruiscono per quasi l'80 per cento le imprese siciliane costrette a sostenere costi molto più elevati di quelli di aziende con sedi operative meno periferiche, derivanti dalle distanze che separano l'isola dalle destinazioni del continente nonché dalle oggettive difficoltà scaturenti dall'inadeguato livello di infrastrutturazione della Sicilia, il Governo ha inteso correttamente prorogare la misura anche per i viaggi effettuati negli anni 2010 e 2011;
          il decreto ministeriale n.  27 del 31 gennaio 2011, ha, infatti, già definito le modalità per la presentazione delle istanze per il 2010 e, da ultimo, il decreto interministeriale n.  55 del 24 febbraio 2012, relativo alla ripartizione dei fondi a favore del settore dell'autotrasporto, ha destinato 30 milioni di euro come contributi alle imprese di autotrasporto per interventi volti a realizzare l'utilizzo di modalità di trasporto alternative al trasporto stradale;
          tuttavia, l'erogazione delle somme stanziate per le annualità 2010-2011 è, ad oggi, bloccata in attesa dell'autorizzazione della Commissione europea alla proroga di detti incentivi, in corso di approfondimento presso gli uffici competenti;
          il paventato rischio di diniego della proroga da parte dell'Unione europea sta generando un gravissimo allarme tra gli operatori dell'autotrasporto, soprattutto siciliani, che hanno assunto impegni finanziari per sostenere la costosa modalità del trasporto combinato strada-mare e che nutrono legittime aspettative circa il parziale rimborso dei costi di traghettamento sostenuti;
          le imprese di autotrasporto siciliane, in un momento di crisi come quella in atto, in caso di mancata erogazione delle somme stanziate per pregresse annualità ma anche in assenza di analoghe misure da assumere per l'anno in corso e per quelli a venire, lungi dal divenire realtà competitive, rischiano la sopravvivenza, così come a repentaglio sarebbe l'intera filiera dell'agroalimentare,

impegna il Governo:

a garantire l'erogazione in tempi celeri degli incentivi «ecobonus» per gli anni 2010-2011, intraprendendo ogni ulteriore iniziativa volta a sbloccare, in sede comunitaria, l'autorizzazione della proroga della misura, e ad individuare per il triennio 2012-2014 specifici strumenti d'incentivo a favore delle imprese di autotrasporto che utilizzino il trasporto intermodale strada-mare.
(7-00848) «Garofalo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          il Fatto quotidiano e la Repubblica del 19 aprile 2012 hanno riportato la notizia che il direttore de La Nazione, Mauro Tedeschini, è stato allontanato dal posto di direttore del quotidiano «per libertà di informazione e diritto di cronaca», sostituito dall'editore Andrea Riffeser Monti con Gabriele Canè, vicedirettore del QN e già direttore del Resto del Carlino e candidato alle elezioni regionali del 2000 per il centrodestra;
          all'origine della decisione sembra vi siano gli articoli relativi ad alcune vicende interne al Monte dei Paschi di Siena che non sarebbero state gradite al gruppo di controllo della banca e che questo abbia premuto con la proprietà del giornale, il petroliere Riffeser, per ottenere la rimozione del direttore;
          questo fatto farebbe seguito a un precedente scontro della proprietà del giornale con la Menarini, la grande società farmaceutica, che non avrebbe in passato apprezzato i riflettori della cronaca del quotidiano fiorentino. In tale occasione, infatti, il vicedirettore Canè si sarebbe, a leggere le notizie di stampa, dimostrato assai sensibile alle pressione del gruppo Menarini e questo gli darebbe titolo oggi per ingraziarsi i gruppi imprenditoriali e assicurare flussi pubblicitari;
          quello che una democrazia non può accettare è il condizionamento della libera informazione e l'intimidazione dei giornalisti. La comunità nazionale si scandalizzò giustamente quando Indro Montanelli fu «cacciato» dal Giornale da Berlusconi, ma quello scandalo deve valere sempre non solo quando se ne rende colpevole Berlusconi, altrimenti, a parere dell'interpellante, non servirebbe essercene liberati;
          il comitato di redazione, in solidarietà del direttore licenziato, ha indetto immediatamente un giorno di sciopero e pubblicato una nota in cui si denunciano «le pressioni di una lobby politica e bancari»;
          sempre nella nota si legge che «La decisione, improvvisa e assolutamente inattesa, assunta da un editore che peraltro si erge a paladino della diffusione della stampa quotidiana tra i giovani, offende profondamente l'autonomia e la dignità di tutti i giornalisti di un quotidiano protagonista di tutta la storia d'Italia, fino dalla costruzione della unità nazionale»;
          forte è stata la reazione critica del mondo della stampa; si è registrato anche lo sconcerto della Fnsi e della Consulta delle Assostampa con una netta condanna di tale decisione a difesa della libertà d'informazione: «La Giunta Esecutiva della Fnsi e l'Associazione Stampa toscana, insieme con la Consulta delle Associazioni Regionali di Stampa, esprimono la più viva protesta e grande sconcerto per l'inaudito licenziamento del direttore della Nazione Isauro Tedeschini, sacrificato dall'editore a seguito di contrasti sulle autonome e libere scelte di informazione a lobby politica e bancaria»;
          la vicenda del quotidiano La Nazione appare, a parere dell'interpellante, una preoccupante spia e un'intollerabile offesa all'autonomia dell'intero corpo redazionale di un giornale storico del nostro Paese ma anche un grave colpo alla dignità di un direttore che aveva condotto il giornale a conseguire significativi successi nelle vendite  –:
          quali siano gli intendimenti del Governo in merito a quanto evidenziato in premessa con riferimento ai gravissimi rischi di ingerenza che minano le autonomie editoriali attraverso la sovrapposizione di poteri di condizionamento;
          quale sia politica del Governo, della cui unità d'indirizzo, ai sensi del dell'articolo 95 della Costituzione, è responsabile, in materia di diritto all'informazione di concentrazioni imprenditoriali;
          quali informazioni intenda assumere dal dipartimento dell'editoria preposto all'area funzionale relativa al coordinamento delle attività di comunicazione istituzionale e delle politiche relative all'editoria e ai prodotti editoriali;
          quali e quanti fondi abbia assegnato il predetto dipartimento al Quotidiano nazionale negli ultimi 5 anni.
(2-01464) «Evangelisti».

Interpellanza:


      Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
          negli ultimi tempi il Parlamento ha votato leggi istitutive di festività nazionali, per ricordare eventi che hanno segnato la storia del nostro Paese quali la legge 30 marzo 2004 «istituzione del giorno del ricordo in memoria delle vittime delle foibe», la legge n.  61 del 2005 «istituzione del giorno della Libertà» e altri;
          l'anniversario del 18 aprile 1948, data che segnò la sconfitta elettorale della sinistra con la grande vittoria della democrazia cristiana di Alcide De Gasperi e dei partiti laici ad essa alleati merita una menzione particolare nonostante il silenzio di questi anni, forse a causa della distanza cronologica dagli eventi, ma rimane un punto di svolta fondamentale della storia italiana;
          a parere dell'interpellante la vittoria della democrazia cristiana, il 18 aprile 1948, permise all'Italia di stabilire definitivamente la democrazia e di raggiungere livelli di diffuso benessere economico ineguagliati nella sua storia, evitando il destino riservato ai Paesi dell'Est europeo;
          manca un pieno riconoscimento del significato di quella vittoria, e anche nelle scuole italiane si trascura per lo più di accennare a quest'evento che salvò la democrazia;
          è necessario che le giovani generazioni mantengano il ricordo dei momenti più significativi della storia italiana, al di là di affermazioni retoriche che diffondono con superficialità o malafede preconcetti non rispettosi della realtà storica: in ciò risulta centrale la funzione delle scuole, molte delle quali, purtroppo, in questi anni hanno proposto spesso visioni tendenziose e parziali degli eventi dai quali sono nate l'odierna comunità nazionale, la sua identità e le sue istituzioni;
          occorre collocare finalmente nella giusta evidenza l'importanza del 18 aprile 1948 come data fondamentale e fondante della democrazia italiana, che fu salvata grazie all'impegno della democrazia cristiana di De Gasperi e dei partiti laici minori, aiutati e stimolati soprattutto dall'impegno della Chiesa cattolica, fattasi promotrice della difesa di duemila anni di storia cristiana del nostro Paese  –:
          se e come intenda procedere per il riconoscimento della solennità civile del 18 aprile sulla base di quanto fatto per altri anniversari importanti della storia italiana ovviamente essa non determinerà riduzioni dell'orario di lavoro degli uffici pubblici né, qualora cada in giorno feriale, costituisce giorno di vacanza o comporta riduzione di orario per le scuole di ogni ordine e grado, ai sensi degli articoli 2 e 3 della legge 5 marzo 1977, n.  54.
(2-01461) «Garagnani».

Interrogazione a risposta in Commissione:


      FRONER, QUARTIANI, GNECCHI e MOTTA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
          il Corpo nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico (CNSAS) opera grazie a contributi statali che sono stanziati dalla Presidenza del Consiglio in favore del dipartimento del turismo, da cui il CNSAS dipende;
          nel bilancio dello Stato sono tuttora vigenti tre autorizzazioni di spesa per il funzionamento del CNSAS: legge n.  388 del 2000, articolo 145, comma 17; legge n.  289 del 2002, articolo 80, comma 38; legge n.  119 del 2007, articolo 1;
          a seguito del trasferimento di competenze in materia di turismo dal Ministero delle attività produttive alla Presidenza del Consiglio dei ministri tutte le autorizzazioni di spesa considerate nel settore «Turismo» sono state ricomprese nel bilancio dello Stato nel capitolo 2107 dello stato di previsioni del Ministero dell'economia e delle finanze, denominato «somme da corrispondere alla Presidenza del Consiglio dei ministri per le politiche di sviluppo e competitività del turismo», e sono peraltro esposte nella tabella C della legge di stabilità;
          le riduzioni di tabella C disposte dalle successive manovre per l'esercizio 2012 ammontano a circa il 38,5 per cento;
          nel bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri le risorse destinate al funzionamento del CNSAS sono allocate sul capitolo 867: nel bilancio di previsione per il 2011 la dotazione di tale capitolo era pari a 1.061.302 euro; nel bilancio di previsione per il 2012 la dotazione del capitolo 867 viene indicata in 230.275 euro, con una riduzione dell'80,6 per cento rispetto all'esercizio precedente;
          tale eccessiva riduzione appariva dovuta ad una errata valutazione delle diverse autorizzazioni di spesa da apporre in bilancio;
          la scure sugli stanziamenti ha costretto il CNSAS, a prevedere nel suo bilancio 2012 tagli e riduzioni pesantissime in tutte le voci a cominciare dalla formazione, a fronte di una attività di soccorso alpino che risulta, anche nell'ultima stagione sciistica, in continuo aumento;
          nel decreto-legge n.  216 del 2011 convertito, con modificazioni dalla legge n.  14 del 2012 è stato previsto, ma per il solo 2012, un contributo di 250.000 euro destinato al pagamento dell'assicurazione dei volontari del CNSAS e del CAI;
          durante la discussione della legge di conversione il Governo ha accolto un ordine del giorno dell'onorevole Quartiani che impegna il Governo «a procedere ad una attenta ricognizione di tutte le autorizzazioni di spesa attualmente vigenti (legge n.  388 del 2000, articolo 145, comma 17; legge n.  289 del 2002), articolo 145, comma 17; legge n.  289 del 2002, articolo 80, comma 38; legge 119 del 2007, articolo 1) destinate al funzionamento del CNSAS, affinché gli uffici della Presidenza del Consiglio – dipartimento del turismo e ufficio del bilancio possano correttamente esporre nel bilancio di previsioni 2012 le risorse allocate sul capitolo 867  –:
          se sia stata completata tale ricognizione e quali conseguenti iniziative intenda assumere. (5-06678)

Interrogazione a risposta scritta:


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          il settimanale di Liberoreporter online «WEEK» sui numeri 2, del 6 aprile 2012, e poi sui numeri 3 e 4 è stata pubblicata una interessante inchiesta giornalistica sulla marineria commerciale italiana suddivisa in tre distinti articoli, tutti a firma del giornalista Ferdinando Pelliccia;
          nel primo degli articoli dal titolo «I marittimi italiani e il Crew Shortage», si legge che «Diventa sempre di più un'ardua impresa per i marittimi italiani trovare un imbarco sulle navi commerciali di bandiera, come mai ? Eppure gli italiani sono tradizionalmente un popolo di navigatori, partendo da chi ha fatto la storia della nostra marineria. Oggi forse siamo costretti ad archiviare la tradizione e il mestiere che dalla notte dei tempi è stato perno dell'economia costiera di un Paese bagnato da 3/4 dal mare» Infatti, inspiegabilmente, sembra che le compagnie di navigazione italiane siano costrette a ricorrere a personale marittimo straniero per sopperire alla penuria di marittimi italiani. Almeno questo è quanto verrebbe sostenuto delle società di navigazioni italiane e la Confederazione Armatori, Confitarma, principale espressione associativa dell'Industria Italiana della Navigazione che raggruppa Imprese di Navigazione e Gruppi Armatoriali che operano in tutti i settori del trasporto merci e passeggeri, nelle crociere e nei servizi ausiliari del traffico. Il fenomeno è chiamato «Crew Shortage», ossia carenza di personale qualificato da impiegare a bordo delle navi commerciali dato da una cronica crisi di vocazione tra i giovani. Per cui, di fatto, a bordo delle navi di bandiera si formano equipaggi multietnici, si usano lingue, religioni, modi di lavorare, modi di agire e di mangiare differenti, ma in primis salario e diritti diversi. Infatti, il ricorso a lavoratori del mare stranieri o meglio extra comunitari oltre a problemi contrattuali, evidenzia anche altri problemi molto più delicati legati ad esempio alla convivenza. Per non parlare di quelli relativi alla sicurezza. In Italia i marittimi sono tenuti a seguire dei corsi e la loro certificazione viene rilasciata con severità. Mentre per i marittimi stranieri è facile dubitare dell'attendibilità dei loro certificati di frequenza ai corsi. Non va sottovalutato il fatto che lavoratori del mare stranieri lavorino per gli Armatori italiani, ciò comporta che ogni mese milioni di euro, invece che entrare nel circuito monetario nazionale finiscono in quello di altri Paesi. Da una nostra inchiesta pubblicata sul settimanale WEEK, non risulterebbe però che non vi siano lavoratori del mare italiani disponibili, anzi abbiamo preso nota della disperazione di questi marittimi che non riescono a trovare collocamento e non ci risulterebbe nemmeno che siano pochi i giovani che vorrebbero intraprendere il mestiere di marittimo. Il sistema marittimo italiano costituisce uno dei soggetti economici dello sviluppo, come rilevato dal Censis nel 45’ Rapporto Annuale presentato lo scorso mese di dicembre a Roma e a Milano, e produce complessivamente beni e servizi per un valore di 39,5 miliardi di euro (2,6 per cento del PIL). L'Italia è prima in Europa nell'interscambio via mare con 240 milioni di tonnellate di merci e nel turismo crocieristico con 6,7 milioni di passeggeri, nonché nel mondo nella costruzione di navi passeggeri e motoryacht di lusso, fornendo occupazione a circa il 2 per cento della forza lavoro del Paese (480 mila addetti). La stessa Federazione del mare, che riunisce il cluster marittimo italiano, nel suo rapporto 2011 riferito al 2009 sull'economia del mare indicando le cifre degli occupati rivela che i livelli degli occupati è cresciuto rispetto agli anni precedenti. A questo punto è necessario capire come mai vi sia tanta disoccupazione nel settore marittimo italiano e perché invece gli armatori si dicano costretti ad assumere personale extracomunitario. Già nel 2007 da un'indagine ISFORT/Federazione del mare risultava che in quell'anno i marittimi stranieri imbarcati sulla flotta italiana erano circa 12.678. Nel 2011 risulta che sono 9500 i marittimi stranieri effettivamente imbarcati sulle navi italiane. Si tratta del 34,6 per cento dei 27.450 posti di lavoro nella flotta italiana, con un avvicendamento di 35.600 lavoratori, di cui oltre 12.000 stranieri. Secondo la Fit-Cisl, i marittimi stranieri costituiscono invece, l'80 per cento degli equipaggi o del settore alberghiero delle navi da crociera. Un esempio recente quello della Costa Concordia a bordo della quale vi erano imbarcati 296 filippini, di cui 120 membri dell'equipaggio, mentre gli altri lavoravano nell'hotel della nave. Va anche fatta una riflessione in merito alla tutela sindacale dei lavoratori del mare offerta dalle tre principali sigle CGIL CISL UIL e sarebbe indicativo andare a vedere in che percentuali questi tre sindacati rappresentino i lavoratori del mare. Sembra che alcune compagnie abbiano l'usanza di far firmare ai marittimi l'iscrizione al sindacato insieme al contratto di lavoro. Ma tutto questo si tramuterebbe in una beffa se si analizzasse che un marittimo nell'arco di 5 anni non riuscisse a svolgere almeno 12 mesi di navigazione, rischierebbe di non ottenere il rinnovo della certificazione, quindi non gli sarebbe più consentito svolgere l'attività; insomma il marittimo italiano esce dal mercato. Il marittimo sarebbe legalmente eliminato. Emergono posizioni nettamente contrastanti che vogliamo sottolineare tra lavoratori e armatori. I primi denunciano il fatto che non riescono più a imbarcarsi, i secondi lamentano di non trovare personale e quindi debbono rivolgersi al mercato extracomunitario. Confitarma come già precedentemente accennato, liquida la questione denunciando una crisi di vocazione tra i giovani. Ma è vero anche che nel settore marittimo inspiegabilmente si investe poco. Infatti sono le politiche armatoriali dirette al risparmio, nel non investire nella formazione di giovani, non imbarcando di fatto il cadetto, ritenuto per moltissime compagnie solo una spesa. Il non imbarcare per anni allievi ufficiali, ha fatto si che le varie generazioni non vedendo sbocchi per il futuro, optando per altri corsi scolastici, hanno messo in crisi gli Istituti tecnici nautici italiani che hanno visto anno dopo anno diminuire i propri iscritti. I 37 istituti nautici italiani formano mediamente ogni anno 1200 diplomati per cui la crisi nel tempo sarebbe dovuta diminuire ed invece, già nel 2008, la “lungimirante” Confitarma, lanciava un allarme: nel 2012 i posti vacanti da ufficiali sarebbero stati circa 12 mila. Come faceva a prevederlo ? Sul sito della Confederazione Italiana Armatori si legge che: “la formazione scolastica di base, i percorsi formativi aziendali, l'applicazione degli istituti previsti dalla riforma del mercato del lavoro, l'addestramento prescritto dalle normative internazionali sono le materie che Confitarma segue nell'intento di favorire l'adeguamento degli standard professionali degli equipaggi ai fabbisogni delle aziende armatoriali». In virtù di questa filosofia è nata l'Accademia del Mare di Genova istituita dallo Stato italiano, che ne copre i costi per l'80 per cento. L'Accademia è però anche “sostenuta” da moltissime compagnie di navigazione e dalla stessa CONFITARMA. (http://www.accademiamarinamercantile.it). Sul sito web dell'Accademia si legge che i posti per i cadetti sono definiti di anno in anno in accordo con CONFITARMA. Questo dovrebbe voler dire che a seconda della disponibilità d'imbarco resa nota dagli Armatori vengono predisposti i corsi per determinato numero di allievi. Sembrerebbe secondo nostre fonti, che l'Accademia ogni anno sia costretta a respingere iscritti in quanto la domanda eccede sempre l'offerta. Come è possibile una cosa del genere ? Un fatto davvero strano è incomprensibile in quanto se già nel 2008 gli armatori hanno previsto che nel 2012 i posti vacanti per ufficiali sarebbero stati 12 mila perché il numero dei posti messi a disposizione ai corsi all'Accademia sono ridotti ai minimi termini ? In sostanza, c’è o non c’è questa crisi di vocazione ? Inoltre, in questo modo, si rischia che chi ha tentato di iscriversi all'Accademia e ne è rimasto escluso, nel 99 per cento dei casi non ci riproverà l'anno successivo, facendosi scappare così un potenziale ufficiale. In questo modo l'effetto ottenuto è il contrario di quello che si vuole: si disincentivano le vocazioni dei giovani alla carriera in mare anziché incentivarla. A meno che non sia questo il vero obiettivo, si deve porre rimedio al più presto. Se effettivamente si tratta del “Crew Shortage” tanto sbandierato dagli Armatori italiani, il problema sarebbe facilmente risolvibile, basterebbe aumentare i corsi, il numero dei posti per gli aspiranti allievi all'Accademia di Genova e addirittura creare anche nuove scuole di formazione a livello universitario in Italia. È strano che in un Paese con forti tradizioni marinare vi sia un numero così esiguo di scuole di formazione a livello universitario. Forse sarebbe più giusto parlare non di assenza di vocazioni, ma di scelte ben precise, mirate verso i lavoratori stranieri. Qui è obbligatoria una riflessione. Se gli armatori italiani sostengono l'Accademia del Mare di Genova, questi dovrebbero imbarcare di certo senza problemi anche i suoi allievi, che per legge, per concludere il ciclo di studi e conseguire il patentino di terzo ufficiale, devono oggi compiere 12 mesi di navigazione. E per far questo hanno anche delle agevolazioni dallo Stato italiano. A molti giovani diplomati degli Istituti Tecnici Nautici viene di fatto preclusa ogni strada. Sarebbe interessante andare a vedere quanti diplomati dell'istituto nautico il giorno dopo il diploma hanno perso la vocazione o hanno tentato la carriera, ma sono stati “respinti”. In merito è interessante leggere sul sito dell'SDM (sindacato dei marittimi) quanto si scrive...: neppure tanto apparentemente da quanto esposto sembra che in Italia si cerchi di affossare la formazione dei giovani che vogliono seguire la carriera in mare. In Paesi come l'America la formazione avviene seguendo un percorso di laurea, come anche in Paesi emergenti come l'India; nelle Filippine, a Manila, addirittura è stata inaugurata di recente un'Accademia del mare a percorso universitario e a Dubai sta nascendo un'Accademia a livello mondiale (http://www.dubaimaritimecity.com). Si tratta di fatto di percorsi universitari che condurranno tanti giovani di questi Paesi a formarsi e a diventare ufficiali della Marina Mercantile. Stranamente in Italia sembra che si punti su una formazione che è sicuramente meno qualificante. A proposito dell'Accademia del mare a percorso universitario inaugurata nel settembre 2007 nelle Filippine che si chiama “Italian Maritime Academy Phils., Inc.” (http://imaphilsinc.com) c’è da dire che a costituirla è stata Confitarma e la Rina (http://www.rina.org/en/index.aspx). Questo dimostrerebbe che questi due attori della marineria italiana hanno importanti interessi in quel lontano Paese asiatico. Tutto ciò rende palese il vero interesse: quello di imbarcare a minor costo i marittimi, usando personale extracomunitario... Altro che crisi di vocazione...»;
          nel secondo articolo «La Gente di mare e gli affari degli armatori» si legge «Continua la nostra ricerca per far luce su due fenomeni nettamente contrastanti: la disoccupazione a dir poco allarmante dei marittimi italiani e il “crew shortage” comprensivo di carenza di vocazioni invece sostenuto da Confitarma. Come già dicevamo nel numero precedente, a Manila (Filippine) dal 24 settembre 2007, è operativa l’Italian Maritime Academy, una scuola per formare ufficiali di coperta, ufficiali di macchina, equipaggi, personale qualificato (elettricisti, saldatori), Staff (Safety/ Security Officer), destinati soprattutto per le rotte internazionali. Di concerto con RINA, il Registro Italiano Navale, CONFITARMA ha messo in piedi una struttura fatta di aule, simulatori, insegnanti, per corsi ed esami rivolti agli aspiranti marinai filippini che rappresentano il più ampio mercato del lavoro marittimo. Il tutto sotto la supervisione di un comitato scientifico italiano di cui fa parte oltre a IPSEMA e RINA, anche l'Associazione Italiana dell'Armamento di Linea, Associazione Italiana degli Agenti Raccomandatari Mediatori Marittimi, Federazione Italiana Trasporti, le Accademie del Mare di Genova Venezia e ForMare di Napoli, Ministero dei Trasporti e Corpo delle Capitanerie di Porto, come membri di diritto. I nomi dei maggiori responsabili della formazione dei marittimi filippini, sono gli stessi protagonisti della marineria italiana che dovrebbero formare e dare lavoro ai giovani italiani. Di fatto, quella in corso, sembra invece una manovra per scoraggiare le possibili “vocazioni” italiane dal voler affrontare la carriera in mare. Una sensazione che è sostenuta anche leggendo che in Italia sono stati presentati progetti alternativi. Sarebbe infatti stata proposta l’European Merchant Marine Academy (link al documento) pressoché ignorata in Italia, ma molto apprezzata in Europa. Agli armatori italiani però fa molto comodo bussare alle porte della classe dirigente del paese e chiedere aiuti economici allo Stato, lamentando l'impossibilità di imbarcare personale italiano, cioè il Crew Shortage. La Tonnage Tax ad esempio, rappresenta la principale agevolazione per gli Armatori. Ha la finalità di permettere il rilancio dell'industria marittima comunitaria che negli ultimi anni ha subito la pressante concorrenza di Paesi terzi. Una grave crisi del settore, che ha portato come conseguenza principale la diffusione del “flagging out”, cioè il passaggio delle navi da una bandiera nazionale ad alto costo, ai registri “open”, più competitivi sul piano dell'attività armatoriale e meno vincolati alle norme e procedure che disciplinano nei registri tradizionali gli aspetti fiscali e societari, gli standard di sicurezza e la scelta degli equipaggi delle imprese di navigazione. L'UE nel “Libro bianco 2002” ha riconosciuto che l'unico modo per assicurare il ritorno, sotto bandiera comunitaria, del massimo numero possibile di navi, è la tassazione commisurata al tonnellaggio. Pertanto ha introdotto misure fiscali finalizzate ad agevolare le imprese marittime. Questo a condizione che ci siano però dei presupposti, come la distinzione tra attività marittime e commerciali, la riferibilità delle agevolazioni soltanto alle attività di trasporto marittimo e a quelle connesse, la stretta correlazione tra l'impresa e la bandiera dello Stato comunitario. Cioè, ha indicato agli Stati membri, la via di una agevolazione fiscale per le imprese marittime purché osservino alcune regole. Quindi gli armatori utilizzano le agevolazioni previste ma non utilizzano più di tanto il personale italiano. Abbiamo potuto constatare che le agenzie marittime inviano delle e-mail ai marittimi in attesa di collocamento, dove viene spiegato in modo diplomatico che sulle navi verrà impiegato sempre meno personale nazionale. Alle agenzie verrebbe richiesto, dagli armatori, personale extra comunitario, soprattutto filippino. Non stiamo parlando solo di Ufficiali, ma di tutti i professionisti, gente che naviga da anni, con grande esperienza. Un fatto gravissimo questo, visto che sono proprio le agenzie a comporre gli equipaggi delle navi commerciali italiane, su mandato dell'armatore. È importante sapere che le Agenzie altro non sono, in buona parte, che società dello stesso gruppo armatoriale. Per esempio: la “Sirius Ship Management Srl Italia” che gestisce equipaggi (crew management) a bordo di navi passeggeri, petroliere e navi mercantili, fa parte della holding D'Amico. Paolo D'Amico è il presidente di Confitarma, cioè il “presidente” di coloro che lamentano la mancanza di marittimi italiani. Sul sito della Sirius (http://www.siriusship.com/) si legge a chiare lettere: «La Sirius agisce nel rispetto della politica aziendale del Cliente, differenziando i propri criteri di selezione e gestione che vengono personalizzati sulla base delle necessità del singolo Cliente che stabilisce numero, nazionalità e caratteristiche del proprio equipaggio, dando mandato a Sirius di trattare le risorse umane, il loro avvicendamento e la loro retribuzione secondo precisi parametri». Nella holding di D'Amico poi, troviamo anche la D'Amico Ship India, la D'Amico Ship Singapore e così via. Queste sono le società che compongono gli equipaggi delle navi italiane sostituendo i marittimi italiani con quelli extra comunitari. È un fatto evidente, basta osservare gli elenchi degli equipaggi delle navi italiane, composti in maggioranza da filippini e indiani. A bordo delle navi di bandiera i lavoratori del mare italiani sono, compreso il capitano, al massimo 5 o 6 su un totale di 19-25 membri d'equipaggio. A questo punto la domanda è d'obbligo: perché lo Stato deve continuare ad aiutare una compagnia italiana che su una propria nave imbarca solo 5 italiani su 25 uomini di equipaggio ? Sebbene l'attività di mediazione sia ancor oggi vietata, l'agenzia trova una legittimazione all'esercizio dell'attività se agisce come mandatario dell'armatore nella veste giuridica di raccomandatario marittimo in base alla legge n.  135 del 4 aprile 1977. La disciplina del raccomandatario marittimo, con riferimento all'arruolamento dell'equipaggio, si applica quando il luogo di ingaggio è in Italia o quando la nave batte bandiera italiana. Il raccomandatario marittimo riceve un compenso, per l'esercizio dell'attività di ricerca ed ingaggio di personale, secondo tariffe minime e massime fissate con Decreto del ministro dei trasporti e della navigazione 27 dicembre 2000. La agenzie stipulano contratti anche attraverso un secondo formulario BIMCO il «Crewman B – Lump Sum». In base a questo l'agenzia arruola l'equipaggio e agisce a proprio nome operando, in tal modo, una separazione tra datore di lavoro ed utilizzatore della prestazione lavorativa. Essa diventa un fornitore di manodopera forse in contrasto o almeno incompatibile con le norme inderogabili del codice della navigazione. In poche parole le agenzie marittime detengono un grande potere in quanto gestiscono il personale navigante, in nome e per conto dei propri clienti-Armatori, e inevitabilmente finiscono per gestirne anche le loro turnazioni, le pratiche e tutti i relativi adempimenti, a volte, anche gli stipendi. È chiaro che queste società devono per forza di cose operare nel rispetto della «politica aziendale del proprio cliente-Armatore», il quale stabilisce numero, nazionalità e caratteristiche del personale navigante, lasciando però all'agenzia il compito di trattare le risorse umane secondo le normative nazionali ed internazionali e i requisiti di legge previsti per il personale di bordo. Esistono anche agenzie poco collaborative nel reperire personale extra comunitario, ma in questo caso l'Armatore italiano può cambiare agenzia marittima, oppure come già avviene, può rivolgersi direttamente in loco mettendo inserzioni in siti e blog filippini e indiani. Grazie ad un database messo a disposizione da «Informare» è possibile ricercare quali sono le agenzie che operano in Italia e con quali Armatori, (link al sito) Nel 2010 sulle agenzie marittime ha indagato anche l'Antitrust, oggetto di attenzione sono state: Agenzia Marittima Le Navi Spa, APL Italia Agencies Srl, Banchero Costa & C. Agenzia Marittima Spa, China Shipping Italy Agency Co. Srl, CMA CGM Italia Srl, Coscon Italy Srl, Gastaldi & C.Spa, Hapag Lloyd Italy Srl, K-Line Italia Srl, Maersk Italia Spa, Medov Srl, Safmarine ItaliaSrl, Paolo Scerni Spa, Yang Ming Italy Spa, Zim Italia Srl. Inoltre, l'inchiesta interessa anche le associazioni Assagenti e Spediporto, L'Antitrust ha avviato un'indagine ad ampio raggio sul mondo delle agenzie marittime, in seguito ad una segnalazione ricevuta nel dicembre 2009 per comportamenti lesivi della concorrenza attuati tra il 2007 ed il 2009. Secondo l'Autorità, le 14 agenzie marittime indagate (alcune delle quali sono emanazioni dirette di compagnie marittime) avrebbero concordato gli importi delle Manual Documentation Fees e delle Open Documentation Fees nella sede genovese di Assagenti. Quest'ultima avrebbe poi concordato le tariffe con Spediporto e diramato gli importi attraverso circolari agli iscritti. Tali condotte violerebbero, secondo l'Antitrust, la normativa comunitaria e, in particolare, l'articolo 101 del TFUE. Ma non è finita qui. Sul prossimo numero troverete la terza parte. Siamo certi, vi lasceranno stupiti.»;
          nella terza e ultima parte dell'inchiesta, dal titolo «Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare» si legge «Nel 1994 nasce la Federazione del Mare. Si tratta di un istituto che riunisce gran parte delle organizzazioni del settore il cui presidente (per il biennio 2011-2012) è Paolo D'Amico, nello stesso tempo presidente anche di CONFITARMA; mentre il vicepresidente è Umberto Masucci già presidente di Federagenti, Federazione Nazionale degli Agenti Raccomandatari e Mediatori Marittimi. La Federazione del Mare che costituisce il maritime cluster italiano, secondo quanto si legge sul sito web, «ha il fine di dare rappresentanza unitaria al mondo marittimo del Paese, per consentirne l'apprezzamento come fattore di sviluppo ed affermarne la comunanza di valori, di cultura e di interessi, che scaturisce anche dal costante confronto con l'esperienza internazionale». Per meglio capire come mettono in atto questa rappresentanza unitaria è interessante dare un'occhiata alla sua composizione, se si mettono in fila tutte le varie sigle ne esce fuori un interessante schema (box in fianco) Esiste poi, il Comitato Nazionale Welfare per la Gente di Mare, che dovrebbe coordinare le azioni dei singoli soggetti fondatori, ossia il Ministero dei Trasporti, il Comando Generale delle Capitanerie di porto, Armatori di Confitarma e Fedarmare, Agenti marittimi della Federagenti, Sindacati Marittimi internazionali dell'ITF, Federazione Nazionale Stella Maris, IPSEMA ovvero Organismo Istituzionale per la Previdenza Marittima. Venne istituito in Italia nel maggio del 2006 con lo scopo secondo quanto dichiarato dai componenti, di porre istituzioni e volontariato sullo stesso piano mettendo al centro la gente di mare e riconoscendo l'associazionismo come parte integrale delle strutture portuali stesse per l'accoglienza ed assistenza dei marittimi in transito. Il punto di partenza e d'arrivo è dunque il «benessere dell'uomo viator» rispetto al quale leggi, strutture e dinamiche economiche vanno orientate a fornirgli servizi, ma secondo alcune fonti non sarebbe stato così (leggi Agoravox). Il suo primo presidente è stato l'Ammiraglio Raimondo Pollastrini eletto nel giugno del 2006, il quale pur ricoprendo la carica di Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di porto e Guardia Costiera, ha continuato a ricoprire contemporaneamente anche quella di presidente del Comitato Nazionale Welfare per la Gente di Mare. Una nomina, la sua, celebrata dalla CEI (http://www.chiesacattolica.it/pls/cci new v3/www.chiesacattolica.it/pls/cci new v3/ccivd doc.edit documento ?p id=11916) I Comitati del Welfare, che vedono coinvolti tutti i principali protagonisti del cluster Marittimo ed Enti assistenziali, hanno come obiettivo principale – si leggeva in una nota del tempo – il supporto amministrativo, ma anche umano, a tutti gli uomini di mare, affinché quella forma di «inevitabile isolamento, nel quale il marittimo è costretto a vivere, termini ogni qualvolta la sua nave tocchi un porto italiano, garantendo un adeguato ponte con la famiglia». Da qui emerge un significativo rapporto della Chiesa, attraverso la CEI, con i lavoratori marittimi. Il Sindacato dei Marittimi (SDM) scrive sul suo sito web «chi “siede” nell'Apostolato del Mare ? La CONFITARMA. La maggior parte degli armatori ha a poppa delle proprie navi, bandiera di convenienza (o comodo) e perché si usano tali bandiere ? Beh, queste bandiere un buon cristiano o un vero Uomo non dovrebbe usarle, perché servono a far si che: il proprietario della nave (sia esso una persona fisica o una giuridica) può evitare, forte dell'anonimato e di un regime offshore garantito dai Paesi cedenti, il pagamento delle imposte di iscrizione della nave, ridurre o eliminare le tasse sul reddito dei trasporti, ottenere una più agevole iscrizione nelle matricole presso gli appositi registri dei pubblici uffici, ottenere l'abilitazione alla navigazione e le nazioni compiacenti, di contro, ottengono una remunerazione per aver fornito la giurisdizione di comodo, un (seppur minimo) gettito fiscale, la possibilità di creare nuovi posti di lavoro impiegando nelle navi personale residente in Paesi extracomunitari. L'equipaggio è spesso composto da lavoratori bisognosi comunque disposti ad accettare dure condizioni, un impiego poco remunerato e scarse tutele.» Il fatto che CONFITARMA ha buoni rapporti con l'Apostolato del Mare e il fatto che quest'ultimo non prende mai posizione a tutela del marittimo, lascia perplessi. Infatti si parla sempre e solo di marittimi abbandonati, cosa disumana ma problema comunque ristretto e mai di argomenti seri che toccano in larga scala la vita degli uomini di mare, non condanna mai pubblicamente l'armamento che invece copre sempre e santifica. Il nome di Raimondo Pollastrini in molte occasioni si lega a quello di CONFITARMA e Apostolato del mare. Come anche si lega con la Women's International Shipping and Trading Association (Wista). La moglie del Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di porto e Guardia Costiera e presidente del Comitato Nazionale Welfare per la Gente di Mare, Maria Gloria Giani, in Pollastrini, è stata dal 2009 il presidente di Wista Italia, la sezione italiana dell'associazione mondiale delle donne dell'industria marittima. Wista Italia nel 2009 premiò l'ammiraglio Pollastrini come personalità dell'anno. In sostanza la moglie premiava il marito. Nella motivazione del riconoscimento conferito a Pollastrini si legge: «Per il suo costante impegno profuso verso la gente di mare, per il forte credo nella formazione del settore, per la dedizione alla salvaguardia della vita umana e dell'ambiente marino e per il continuo supporto donato alle professioniste e professionisti del mare» (link al documento). Maria Gloria Giani Pollastrini è l'Amministratore Delegato della azienda di famiglia, la casa di spedizioni internazionali Pilade Giani, storica agenzia marittima fondata dal bisnonno nel 1887 a Livorno. Segue in particolare il settore marketing, naturalmente le pubbliche relazioni e l'area finanza. In area formazione è stata docente all'Accademia della Marina Mercantile di Genova, e di corsi in inglese per ass. spedizionieri promossi dal Fondo FOR.TE. Dal giugno 2010 Maria Gloria è l'unico membro italiano della Task Force creata appositamente dalla Commissione EU (DG MOVE) per varare le nuove politiche di ingaggio dei marittimi nella flotta EU fino al 2018. Per il costante impegno nella diffusione della cultura imprenditoriale marittima in Italia e per la sua dedizione all'associazionismo femminile legato al mondo del mare e non, Maria Gloria Giani ha ricevuto dal 2005 ad oggi, il Premio Minerva, il Premio Navigare Informati, il premio Profilo Donna 2009 e il premio Alghero Donna nel Maggio 2010, Il suo credo, dopo la sua azienda, è quello di incentivare costantemente la formazione femminile nel settore marittimo. (il profilo su Linkedin) Nel giugno del 2010, c’è un giro di poltrone, così il presidente di WISTA Italia diventa la dottoressa Daniela Fara che era il direttore dell'Accademia del Mare di Genova, che di fatto va a sostituire la signora Maria Gloria Giani Pollastrini mentre quest'ultima si dedica alla Task Force creata appositamente dalla Commissione EU (DG MOVE). In sostanza, tutti si occupano dei marittimi ma l'evidenza dimostra, come dicevamo anche negli articoli precedenti, che la disoccupazione dei professionisti del mare si è trasformata in un cancro che sta uccidendo definitivamente la marineria italiana. Alla già difficile situazione si aggiungono i guai provocati dalla pirateria somala a cui pare non si riescano a trovare delle valide soluzioni per debellarla e per proteggere il naviglio. Proprio in questi giorni leggiamo in Shipping On Line «Perseveranza di Navigazione di Giuseppe D'Amato e la Marnavi di Mimmo Ievoli, hanno ritenuto necessario sostituire la bandiera italiana a quelle navi che solcano le rotte pericolose infestate dai pirati, È più semplice e meno oneroso». E poi ancora «E proprio dalla fragilità dimostrata in questi ultimi tempi dalle navi italiane, rivelatesi particolarmente appetibili per i pirati, è nata la decisione degli armatori partenopei, da un lato, del cambio di bandiera e dall'altro, di non imbarcare più marittimi italiani sulle rotte a rischio. Per due motivi; non esporli a pericoli maggiori rispetto agli equipaggi di altre nazionalità e poi perché, obiettivamente, molti marittimi dopo i recenti episodi di prigionia durata svariati mesi, non sarebbero più disposti a percorrere quelle rotte». Q chiediamo tutte queste blasonatissime organizzazioni, Enti, Associazioni, e personaggi illustri cosa abbiano fatto fino ad oggi concretamente per il lavoro marittimo. Ora, la musica è finita, i suonatori se ne vanno... delusi e affamati.»;
          a margine degli articoli è riportato l'organigramma della «FEDERAZIONE DEL MARE – Federazione del sistema marittimo italiano:
              Presidente: Paolo d'Amico, presidente CONFITARMA;
              Presidente d'onore: Corrado Antonini, presidente ASSONAVE;
              Vicepresidenti: Umberto Masucci, past-president FEDERAGENTI, Francesco Nerli, presidente ASSOPORTI
              Consiglieri: Giorgio Berlingieri, presidente AIDIM, Roberto Rubboli, presidente ANCIP, Angelo Ansaldo e Nazareno Cerni, delegati ANIA, Nereo Marcucci, presidente ASSOLOGISTICA, Stefano Silvestroni, vice-presidente ASSONAVE, Mario Mattioli, presidente ASSORIMORCHIATORI, Sandro Scarone presidente CETENA, Romano Grandi delegato COLLEGIO CAPITANI, Emanuele Grimaldi, vicepresidente CONFITARMA, Giuseppe Balzano, amministratore delegato CONSAR, Filippo Gallo, presidente FEDERAGENTI, Pietro Russo, presidente FEDEPILOTI, Emanuele Sciacovelli e Nicolò Lisma, vice-presidente e consigliere FEDERPESCA, Raimondo Soria vicepresidente FEDESPEDI, Marco Fabio Sartori, presidente INAIL, Gaspare Ciliberti e Claudio Campana, presidente e vicepresidente Registro Italiano Navale (RINA), Ugo Salerno, amministratore delegato RINA SPA, Anton Francesco Albertoni, presidente UCINA.»  –:
          se il Presidente del Consiglio interrogato sia a conoscenza di quanto in premessa;
          quali siano le politiche d'istruzione e formazione del personale da impiegarsi nel settore marittimo e come intenda eventualmente svilupparle per garantire il soddisfacimento della rilevante domanda di lavoro in ambito nazionale al fine di limitare o eliminare il fenomeno del Crew Shortage e se non ritenga opportuno aderire alla proposta formulata dal giornalista nel senso di valutare l'opportunità di istituire anche in Italia adeguati percorsi di formazione universitaria nel settore marittimo anche favorendo la formazione di nuove scuole;
          quali siano stati gli esiti della citata indagine svolta dall'Antitrust e quali le eventuali sanzioni adottate e nei confronti di chi;
          quali siano state le attività svolte dall'ammiraglio ispettore capo (CP) Raimondo Pollastrini durante il suo periodo di comando del Corpo delle capitanerie di porto nell'ambito dell'incarico ricoperto in seno Comitato Nazionale Welfare per la gente di mare e se queste siano compatibili con l'incarico di comando rivestito, se vi siano stati, o vi sono, altri alti ufficiali del medesimo Corpo che abbiano rivestito, o rivestano attualmente, l'incarico di Presidente del citato comitato e se detto incarico sia retribuito e quale sia l'eventuale importo;
          quali gli importi delle eventuali somme erogate dallo Stato a favore del Comitato nazionale Welfare per la gente di mare, dell'Accademia italiana della marina mercantile e di Confitarma, dalla data della loro costituzione ad oggi. (4-15829)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      RENATO FARINA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il Falun Gong è una disciplina spirituale tradizionale cinese fondata da Li Hongzhi nel 1992, che consiste di insegnamenti spirituali, religiosi e morali per la vita quotidiana, e di meditazione ed esercizi basati sui principi di verità, compassione e tolleranza;
          secondo il Rapporto annuale 2008 della Commissione congressuale-esecutiva sulla Cina, «negli anni 90 decine di milioni di cittadini cinesi praticavano il Falun Gong e gli aderenti al movimento spirituale all'interno della Cina vengono stimati ancora nel numero di centinaia di migliaia nonostante la repressione in corso da parte del governo»;
          altre stime pubblicate sulla stampa occidentale fissano il numero degli aderenti al Falun Gong attualmente in Cina a decine di milioni;
          nel 1996, i libri del Falun Gong vennero proibiti in Cina ed i media di stato iniziarono una campagna di diffamazione del Falun Gong;
          nel 1999, la polizia cinese iniziò ad interrompere gli esercizi mattutini nei parchi pubblici e iniziò a cercare nelle case dei praticanti del Falun Gong;
          il 25 aprile 1999, oltre 10.000 praticanti del Falun Gong si radunarono davanti al palazzo del Consiglio di Stato per gli appelli a Pechino, accanto alla residenza della leadership del Partito Comunista, per chiedere che i praticanti arrestati fossero rilasciati e autorizzati a riprendere la loro attività senza interferenze governative e, che il divieto di pubblicazione dei libri del Falun Gong fosse rimosso;
          lo stesso giorno, subito dopo che l'allora premier Zhu Rongji aveva incontrato i rappresentanti del Falun Gong nel suo ufficio e aveva accordato il rilascio dei praticanti arrestati, il segretario del Partito Comunista Jiang Zemin criticò le azioni di Zhu e ordinò la repressione del Falun Gong;
          nel giugno del 1999, Jiang Zemin ordinò l'istituzione dell'Ufficio 6-10, un apparato di sicurezza extragiudiziale, con il mandato di «sradicare» il Falun Gong;
          nel luglio 1999, la polizia cinese iniziò ad arrestare i portavoce dei praticanti del Falun Gong;
          il 22 luglio 1999, i media di Stato cinesi iniziarono una grande campagna di propaganda per vietare il Falun Gong con l'accusa di «sovvertire l'ordine sociale» e avvisarono i cittadini cinesi che la pratica del Falun Gong era stata vietata;
          nell'ottobre 1999, il segretario del partito Jiang Zemin, secondo articoli di stampa occidentali, «ordinò che il Falun Gong fosse marchiato come un “culto”, e poi chiese di approvare una legge che proibisse i “culti”»;
          le autorità cinesi hanno dedicato molto tempo e risorse negli ultimi dieci anni a livello mondiale per la distribuzione di falsa propaganda, sostenendo che il Falun Gong è una «setta malvagia» suicida e militante, piuttosto che un movimento spirituale, che attinge ai concetti tradizionali cinesi di meditazione e di esercizio;
          il 10 ottobre 2004, la Camera dei Rappresentanti ha adottato la risoluzione House Concurrent 304, che aveva 75 promotori bipartisan, dal titolo «Esprimendo il senso del Congresso per quanto riguarda l'oppressione del Falun Gong da parte del governo della Repubblica Popolare Cinese negli Stati Uniti e in Cina», e il testo di questa risoluzione ha osservato che «il governo cinese ha anche tentato di mettere a tacere il movimento Falun Gong e dei gruppi pro-democrazia cinesi all'interno degli Stati Uniti»;
          il 18 ottobre 2005, lo stimatissimo avvocato per i diritti umani Gao Zhisheng ha scritto una lettera al presidente del Partito Comunista Cinese Hu Jintao e al premier Wen Jiabao, chiedendo la fine della persecuzione del Falun Gong e le autorità cinesi, in risposta, hanno chiuso il suo studio legale e hanno portato via la sua licenza in legge; le forze di sicurezza cinesi sono inoltre sospettate di essere direttamente coinvolte nella scomparsa del signor Gao, il 4 febbraio 2009;
          in relazione alle accuse di espianto di organi sui corpi dei praticanti del Falun Gong da parte del regime cinese, secondo il rapporto dell'ispettore speciale sulla tortura e altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti delle Nazioni Unite, Manfred Nowak, del 19 febbraio 2008 afferma che «la discrepanza tra gli organi disponibili e i numeri delle fonti identificabili si spiega con organi prelevati da praticanti del Falun Gong, e che l'aumento dei trapianti dal 2000 coincide e si correla con l'inizio della persecuzione di queste persone»;
          il rapporto Annuale 2008 di Amnesty International afferma che i praticanti del Falun Gong sono stati particolarmente a rischio di tortura e altri maltrattamenti durante la detenzione; nel corso del 2007 e oltre 100 praticanti del Falun Gong sono stati segnalati morti durante la detenzione o poco dopo il rilascio a seguito di torture, privazione del cibo o cure mediche, e altre forme di maltrattamenti;
          secondo il rapporto 2008 del dipartimento di Stato per i diritti umani in Cina, «alcuni osservatori stranieri hanno stimato che gli aderenti del Falun Gong costituiscono almeno la metà dei 250.000 detenuti ufficialmente nei campi di rieducazione attraverso il lavoro (RTL), mentre le fonti del Falun Gong all'estero affermano un numero ancora maggiore»;
          secondo il Rapporto annuale 2008 della commissione congressuale esecutiva sulla Cina «il governo centrale (cinese) ha intensificato la campagna di nove-anni di persecuzione contro i praticanti del Falun Gong nei mesi precedenti alle Olimpiadi estive di Pechino 2008»;
          i siti web relativi al Falun Gong rimangono tra i più sistematicamente ed ermeticamente bloccati dal firewall internet in Cina;
          secondo il Falun Dafa Information Center, con sede a New York, almeno 3526 sono morti in carcere  –:
          se il Governo sia a conoscenza della cronologia dei fatti riportati e se essi corrispondano al vero;
          se non intenda attivarsi attraverso i canali diplomatici e le opportune sedi internazionali affinché il Governo della Repubblica popolare cinese possa cessare immediatamente le persecuzioni, desistere da quella che appare una campagna di intimidazione, detenzione e tortura dei praticanti del Falun Gong, questo anche abolendo l'ufficio 6-10, e rilasciare i praticanti del Falun Gong detenuti unicamente per le loro convinzioni nelle carceri e nei campi di rieducazione attraverso il lavoro (RTL), compresi quei praticanti che sono parenti dei cittadini e dei residenti permanenti degli Stati Uniti;
          se il Governo, in occasione del tredicesimo anniversario della ufficiale repressione cinese del movimento spirituale Falun Gong, non intenda, in modo appropriato ed efficace, esprimere solidarietà ai perseguitati in Cina, e, incontrando i praticanti del Falun Gong quando e dove possibile, ribadire che la difesa della libertà di religione resta un principio fondamentale, in conformità all'impegno preso con l'approvazione della risoluzione Mazzocchi e altri approvata il 12 gennaio 2011. (5-06680)

Interrogazioni a risposta scritta:


      PICCHI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          gli sportelli consolari di Manchester e Bedford servono una comunità rispettivamente di oltre 35.000 e 27.000 cittadini italiani e garantiscono i servizi amministrativi per tutti i connazionali residenti;
          lo sportello consolare di Bedford deve trovare una nuova sede essendo l'attuale sovradimensionata rispetto alle reali esigenze;
          il consolato generale di Londra è oberato di lavoro e ancora non operativo per molti mesi nella nuova sede;
          il Ministero degli affari esteri ha ribadito il congelamento di ogni piano di chiusura di sedi consolari  –:
          se sia vero che si paventi la chiusura degli sportelli consolari;
          nel caso che ciò non corrisponda al vero, quali azioni intenda porre in essere per individuare la nuova sede dello sportello di Bedford e garantire allo sportello di Manchester la piena operatività. (4-15818)


      CIMADORO e PIFFARI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          nell'area di Bedford (UK) vivono oltre ventimila famiglie italiane;
          il vice consolato di Bedford è stato chiuso il 30 giugno 2008, sostituito da uno sportello consolare, con le competenze di sede distaccata dell'ufficio consolare di Londra. Vi operano tre dipendenti locali a contratto, collegati telematicamente con il consolato;
          i principali compiti cui assolve lo sportello consistono in genere: nel fornire informazioni al pubblico (ad esempio, in materia di assistenza sociale o di cittadinanza); nel raccogliere la documentazione da inoltrare al consolato di Londra (ad esempio, per i passaporti); nell'iscrivere i connazionali all'anagrafe consolare; nel rilasciare documenti (per esempio, un'autentica di firme); nell'assistere i connazionali in caso di incidenti; nell'apposizione dei sigilli per rimpatrio di salme in Italia; nell'autenticazione della firma per i moduli di esistenza in vita ai pensionati;
          la chiusura di questo sportello comporterebbe un grosso aggravio in termini economici per i molti italiani residenti a Bedford e nelle zone circostanti (Cambridge, Peterborough, Northampton, Kettering, Milton Keynes, Bletchley, Luton, Leighton Buzzard, Ipswich e altro) e un risparmio meno che nullo per il Ministero, poiché i tre impiegati verrebbero spostati su Londra, a costi nettamente superiori;
          per fare solo un esempio della maggiorazione dei costi a carico degli italiani che vivono nell'ex area consolare di Bedford, basta considerare che se oggi spendono 69,20 sterline per un passaporto valido per tutti i Paesi e una tassa annuale successiva per Paesi non aderenti all'Unione europea di 33,70 sterline, con la chiusura dello sportello spenderebbero 105 sterline per il passaporto e circa 70 sterline per la tassa annuale, in quanto al costo del documento si aggiungerebbe lo spostamento su Londra;
          ne consegue che in molti sarebbero costretti a optare per il passaporto inglese, spingendo vecchie e nuove generazioni a cambiare nazionalità. In particolare, diecimila connazionali, che hanno al momento la doppia cittadinanza, rinuncerebbero al passaporto italiano, con una perdita per le entrate stimabile in 690mila sterline (circa 820mila euro), rendendo di conseguenza completamente diseconomico la chiusura dello sportello. Le stesse spese per gli affitti del locale per 10 anni sono molto al disotto di questa cifra;
          inoltre, con l'assegnazione da parte dell'Inps al gruppo Citi dei pagamenti delle pensioni, si richiede con scadenza annuale l'autenticazione della firma al certificato d'esistenza in vita, dopo una certa età anche due volte l'anno. Questo servizio attualmente è offerto gratuitamente dallo sportello, cosa che non viene fatta da altre istituzioni in loco (ad esempio, dal medico di famiglia, che chiede circa 25 sterline);
          infine, sono migliaia gli anziani della prima generazione d'emigrati presenti nell'area che esprimono il desiderio di essere tumulati in Italia. In questo caso è necessaria l'apposizione dei sigilli al trasporto delle salme. Per far ciò, in caso di chiusura dello sportello di Bedford, bisognerà portare la cassa con la salma in consolato a Londra, con costi molto elevati di trasporto e d'ingresso nella città con l'automobile. Anche in termini di tempo c’è un aggravio sostanziale, in quanto per sbrigare il tutto presso il consolato di Londra sono richiesti un minimo di 15 giorni, in un momento di particolare stress per i famigliari. Allo stato attuale, invece, lo sportello di Bedford attua procedure veloci ed efficienti, con costi quasi nulli  –:
          di quali elementi disponga il Ministro interrogato in merito alla chiusura di tale sportello e se intenda compiere ogni possibile passo per garantire alle oltre ventimila famiglie italiane residenti nell'ex area consolare di Bedford un equivalente servizio. (4-15846)


      CIMADORO e PIFFARI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          tra gli enti presenti in Gran Bretagna che ricevono contributi statali per corsi di lingua e cultura italiana extracurricolari, si è venuto a creare un palese stato di non conformità alla legge inglese sull'assunzione di personale docente in loco;
          lo stesso ente COASIT (Comitato assistenza scuole italiane) e la direzione scolastica di Londra, ammettono, anche con dichiarazioni scritte, che i docenti assunti sul posto, anche dopo 4 anni, non hanno nessuno status di permanenza e possono essere semplicemente sostituiti, in qualsiasi momento, da insegnanti del Ministero degli affari esteri. Ciò secondo quanto risulta agli interroganti è in palese violazione della vigente legislazione inglese sul lavoro, per la quale, dopo 4 anni lavorativi (o 4 contratti temporali successivi presso lo stesso ente), dovrebbero venire automaticamente assunti con un contratto permanente, assimilabile – in parte – a quello degli insegnanti di ruolo in Italia;
          attualmente, invece, i contratti, praticati da questi enti, sono di diverse tipologie, normalmente in uso nel Regno Unito, quali il fixed-term (contratto in relazione alla durata dell'anno scolastico), il temporary (contratto a tempo determinato) e il hourly paid (contratto ad ore), ma inadeguati a questo tipo di lavoro;
          in ogni caso le nuove norme inglesi in materia di lavoro del 10 luglio 2002 affermano che i contratti a termine non possono essere riproposti per più di 4 volte consecutive. Dopo la quarta, deve scattare un contratto di tipo permanente. Quindi dopo 4 anni gli enti non potrebbero licenziare un docente, salvo nei casi previsti dalla legge, così come sarebbero obbligati a pagare tutti i contributi pensionistici, al pari di altri docenti che lavorano istituzioni simili in Gran Bretagna;
          anche con gli attuali contratti, il COASIT sarebbe stato tenuto a pagare o tutte le ferie e le festività, cosa che è stata fatta solo in parte dal 2008, ma non per gli anni precedenti;
          inoltre, i docenti COASIT sono costretti a svolgere anche la funzione di esaminatori, il che comporta molte ore di lavoro extra, soltanto in parte retribuite, forfettariamente e secondo calcoli che appaiono poco chiari. Non è oltremodo retribuito il tempo destinato alla preparazione e all'organizzazione dei corsi stessi;
          gli insegnanti in loco, che sono nella maggioranza dei casi italiani all'estero, vengono in tal ottica discriminati e messi da parte a tutto vantaggio degli insegnanti del Ministero degli affari esteri. In questo modo si tradisce lo spirito della legge, per cui l'Italia manda in missione docenti italiani, allo scopo di promuovere la lingua e di far nascere in loco un processo di sviluppo autonomo dell'italiano. Di fatto, ad avviso degli interroganti si allontanano e demotivano gli insegnanti in loco, al fine di garantire composizioni di cattedre per gli insegnanti del Ministero degli affari esteri, con indubbi maggiori costi per lo Stato italiano. Gli insegnanti del Ministero degli affari esteri, infatti, percepiscono un doppio stipendio, il primo viene pagato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che deduce solo l'indennità integrativa speciale. Il secondo viene pagato dal Ministero degli affari esteri. Si chiama assegno di sede, con una maggiorazione del 20 per cento per il coniuge e del 5 per cento per ogni figlio. Quindi con un costo elevatissimo rispetto ai fondi che precedentemente venivano erogati agli enti, che invece hanno subito negli ultimi anni drastici tagli. Mandare un docente del Ministero degli affari esteri all'estero costa più del doppio rispetto a un insegnate in loco. Senza considerare che spesso vengono create cattedre in scuole dove solo una piccola percentuale degli alunni è d'origine italiana. Si tratta per lo più di istituti molto ricchi, che potrebbero provvedere tranquillamente da sé ad assumere insegnanti d'italiano;
          infine la legge inglese viene ignorata rispetto ad altre tre questioni molto importanti: la prima riguarda i controlli penali, che ogni ente deve fare su tutti i dipendenti, anche se sono stati controllati da altri enti o istituzioni (il cosiddetto «CRB checks); la seconda riguarda l'obbligo di fare il child protection training da parte di ogni insegnante; la terza verte sulla sicurezza degli studenti e degli insegnanti stessi, soprattutto quelli dei corsi serali. Questi obblighi di legge naturalmente riguardano tutti i docenti, in loco e del Ministero degli affari esteri, ma spesso a quanto consta agli interroganti vengono elusi  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza di queste ambiguità in cui versano gli enti erogatori di corsi di lingua italiana all'estero;
          se intenda compiere ogni possibile passo, nell'ambito delle proprie competenze, per ripristinare uno stato di maggiore conformità alla normativa vigente e di rispetto nei confronti sia degli italiani all'estero, che vorrebbero maggiori opportunità di lavoro e d'inserimento, sia dei contribuenti italiani che pagano per questi servizi. (4-15858)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


      LAGANÀ FORTUGNO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          dalle numerose denunce dei cittadini e da vari articoli apparsi sulla stampa appare evidente la situazione drammatica in cui versa tutto il settore della depurazione delle acque calabrese. Le inadeguatezze impiantistiche e l'incapacità dapprima della gestione commissariale e poi della regione, cui è da circa tre armi la competenza del settore, di sviluppare un organico piano d'intervento e di ammodernamento dei depuratori presenti nel territorio calabrese, hanno fatto sì che od oggi, gravi siano le condizioni in cui versano i corsi d'acqua e le acque litoranee calabresi nelle quali si riversano liquami non trattati e, nel migliore dei casi, sottoposti solo ad un trattamento primario di tipo meccanico in grado di rimuovere solo in minima parte gli inquinati presente nelle acque reflue;
          è utile ricordare che la Commissione europea dichiarava nel gennaio del 2011 ben 22 comuni calabresi inadempimenti in materia di depurazione della acque. Il documento contesta la mancanza di un adeguato sistema di fognatura, la mancanza di un sistema di depurazione conforme alla direttiva, cioè almeno un trattamento di tipo secondario, e soprattutto lungo la costa, il sottodimensionamento degli impianti rispetto alle forti variazioni stagionali di presenze;
          in una regione quale la Calabria dove la stagione estiva rappresenta una risorsa importante e strategica, la mancanza dei requisiti di balneazione delle acque costiere è cagione di grave danno non solo all'economia del territorio, ma e soprattutto alla salute dei cittadini che lo abitano  –:
          se non ritenga necessario predisporre, in accordo con gli enti locali, un piano d'intervento immediato in grado di evitare le sanzioni che potrebbero essere irrogate dall'Unione europea mitigando nell'immediato gli effetti negativi sull'ambiente della mancata depurazione delle acque e supportando per quanto di competenze i comuni calabresi nell'attuazione degli interventi mirati alla risoluzione del problema, così da garantire, la necessaria sicurezza della salute pubblica dei cittadini. (4-15833)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta orale:


      STRIZZOLO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          la città di Cividale del Friuli è patrimonio dell'umanità come proclamato dall'Unesco il 27 giugno del 2011 segnando per l'Italia il quarantacinquesimo ingresso (record mondiale) nella world heritage list;
          tale risultato è anche dovuto, oltre che all'impegno profuso dalle istituzioni locali, che si sono attivate sin dal 1996 per ottenere tale importante riconoscimento per le opere di pregio del periodo longobardo, anche alla presenza sul territorio di antichi insediamenti di epoca romana che rafforzano il valore storico, archeologico e culturale dell'intero compendio cividalese;
          in particolare, in Cividale del Friuli, si segnala la presenza delle mura patriarcali, risalenti all'epoca tardo-romana e oggetto di vincolo per effetto del decreto ministeriale del 5 maggio 1954, emesso ai sensi della legge n.  1089 del 1939;
          nell'area sottoposta a vincolo, nello specifico al mappale n.  164, foglio n.  16, il comune di Cividale del Friuli, nel corso dell'anno 1962, rilasciò una concessione – senza chiedere preventivamente l'autorizzazione alle Belle arti – per la costruzione di un fabbricato ad uso abitazione che, negli anni seguenti, si è elevato di due piani ed è diventato un «hard discount», oggi risultante chiuso ma che lede fortemente la godibilità e il decoro dell'ex Castello Craigher, nel frattempo divenuto fondazione Niccolò Canussio, adiacente al fabbricato costruito in area vincolata;
          sulla base di sopralluoghi effettuati da esperti incaricati dal Ministero per i beni e le attività culturali nel mese di aprile del 2011, anche in vista del pronunciamento dell'UNESCO sulla tutela del patrimonio storico, artistico ed archeologico presente in Cividale del Friuli, risulterebbe che resti delle antiche mura romaniche potrebbero essere rintracciabili al di sotto del piano di calpestio e ancora inglobati nel fabbricato costruito nell'area vincolata;
          il comune di Cividale del Friuli ha recentemente approvato il PAC (piano attuativo comunale) che prevede interventi di salvaguardia su tutti i circuiti murari della città, ivi compreso quello antistante l'odierno castello Canussio in relazione al quale la omonima fondazione, da tempo, sta sollecitando un adeguato e tempestivo intervento delle autorità competenti per riportare i resti delle fondazioni della cinta muraria al legittimo godimento della comunità cividalese e di tutti i cittadini italiani e stranieri appassionati di storia e di archeologia;
          nel piano attuativo comunale, il comune di Cividale del Friuli ha individuato il fabbricato esistente (conosciuto come «hard discount») sul mappale vincolato quale «edificio di contrasto» e, pertanto, «soggetto alla promozione ed incentivazione della sostituzione dell'edificio mediante demolizione totale o parziale dello stesso con applicazione della perequazione e compensazione urbanistica attraverso stipula di convenzione tra amministrazione e soggetto proponente» e tale previsione urbanistica può consentire, finalmente, un intervento risolutivo per il recupero e la tutela delle cinte murarie tardo romane;
          la direzione generale per il paesaggio, le belle arti, l'architettura e l'arte contemporanee, servizio II – tutela del patrimonio architettonico del Ministero per i beni e le attività culturali, risulta abbia indirizzato, in data 30 gennaio 2012, con prot. n.  3040 cl. 34.34.01, una specifica segnalazione alla soprintendenza del Friuli Venezia-Giulia e alle istituzioni locali per sbloccare il problema sopra sinteticamente descritto  –:
          quali siano gli esiti di tale comunicazione e quali concrete e tempestive iniziative intenda promuovere il Ministro interrogato per far rispettare il vincolo più sopra indicato e, conseguentemente, salvaguardare e tutelare le cinte murarie tardo romaniche di Cividale del Friuli.
(3-02232)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      ZAZZERA e PALAGIANO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          a poche settimane dall'inizio della stagione estiva, si ripropone insistente l'annoso dilemma dell’«ecomostro di Alimuri», il rudere di una struttura alberghiera – cinque piani, 2 mila metri quadrati e 18 mila metri cubi di cemento – che si trova sul tratto di costa di Seiano, tra i comuni di Vico Equense e Meta di Sorrento;
          iniziati nel 1964, i lavori per la realizzazione di questo mastodontico albergo hanno subito un'interruzione nel 1971 da parte della soprintendenza e nel 1976 la regione Campania ha annullato il permesso di costruire. In seguito, il Tar e il Consiglio di Stato hanno accolto i ricorsi presentati dai proprietari, ma i lavori sono stati sospesi definitivamente nel 1986 per la pericolosità della zona;
          il costone a ridosso del quale è stato costruito l'ecomostro è, infatti, uno dei più instabili della zona, a continuo e pericoloso rischio di caduta massi;
          nel 2004 è stata stilata una bozza di accordo, per l'abbattimento del manufatto, tra i proprietari della struttura, lo Stato e la regione Campania;
          in seguito, nel luglio 2007, è stato siglato un patto tra l'allora Ministro per i beni culturali Francesco Rutelli, la regione Campania, il comune di Vico Equense e la società Sa.An.  – che ha rilevato il rudere circa 10 anni fa;
          tale accordo prevedeva l'abbattimento dello scheletro di cemento entro il 31 ottobre 2007 e impegnava Stato e regione Campania a contribuire per oltre la metà dell'importo, alle spese previste per l'eliminazione dell'ecomostro. I costi previsti si aggiravano intorno a 1,1 milioni di euro, ripartiti, in base all'accordo di cui sopra, in questo modo: 500.000 a carico della società proprietaria Sa.An.  e 600.000 euro a carico del Ministero e della regione;
          l'accordo prevedeva inoltre per la stessa società, la possibilità di costruire un albergo della stessa cubatura nel comune di Vico Equense e la gestione di uno stabilimento balneare localizzato nell'attuale posizione del rudere da abbattere;
          da allora, però, è seguito solo silenzio e ad oggi l'ecomostro che deturpa la bellissima penisola Sorrentina – patrimonio dell'Unesco – è ancora lì, sopravvissuto a tre inchieste giudiziarie, agli interventi della Goletta Verde di Legambiente e a numerosi cambi di proprietà: nel 1988 viene rilevato, per 240 milioni di lire, da La Conca srl, che nel dicembre 1993 lo cede alla Sa.An.  per un importo nel frattempo lievitato a 2 miliardi e 700 milioni di lire. Nell'ottobre 2006 subentra la Sica srl. Sia in Sa.An.  che in Sica srl figura una stretta parente di un noto politico ed amministratore campano, attualmente eurodeputato;
          dal 2007 ad oggi, molti sono stati gli atti parlamentari presentati per risolvere questo problema che da oltre 40 anni affligge una della località più belle del nostro Paese. Tra queste quella presentata proprio dall'onorevole Palagiano nel giugno 2010 che, nonostante i due solleciti (dicembre 2010 e giugno 2011), resta ancora senza risposta;
          nulla di concreto è mai stato fatto e l'ecomostro di Alimuri permane nella sua ingombrante e quanto fatiscente presenza;
          oggi, questo scheletro di cemento, è meta di spacciatori, tossicodipendenti e – specie in estate – di ragazzi spericolati che si arrampicano sulla pericolante struttura per poi tuffarsi in mare;
          negli ultimi anni tre ragazzi sono finiti in ospedale in gravi condizioni. L'ultimo caso risale all'inizio nell'estate 2009: un giovane è precipitato sugli scogli e ha rischiato di rimanere paralizzato in seguito al cedimento di un solaio di un balcone del secondo piano del rudere;
          purtroppo soltanto di fronte ad episodi gravi come questi si torna a parlare di Alimuri  –:
          quali iniziative intenda intraprendere al fine di garantire l'effettivo abbattimento della pericolosa struttura, al fine di tutelare l'ambiente, le bellezze naturalistiche e paesaggistiche, il patrimonio del Paese e allo stesso tempo la sicurezza dei cittadini e se non ritenga necessario rivedere l'accordo – del quale non si conoscono le evoluzioni – siglato nel 2007, disatteso e, comunque, troppo palesemente sbilanciato a favore della società proprietaria dell'immobile, assicurando, in ogni caso, che nel più breve tempo possibile sarà raggiunto l'obiettivo principale: l'abbattimento dell'ecomostro. (5-06677)

Interrogazione a risposta scritta:


      ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          secondo il piano rifiuti della regione Campania presentato all'Unione europea per evitare la multa da 500 mila euro, tra gli 8 siti individuati vi è la discarica nella cava del Castagnaro nel comune di Quarto, nonostante la zona interessata si trovi tra campi e vigneti, sia ricca di coltivazioni medio piccole e densamente popolata;
          sull'insediamento della discarica in località Castagnaro si è espressa in maniera categorica anche la sovrintendenza archeologica dei Campi Flegrei, che in una nota ha informato che nell'area individuata della cava ci sono importanti testimonianze storiche da portare alla luce;
          in segno di protesta, nella giornata del 18 aprile, gruppi di circa 50 persone dalla mattina alle 7.30 hanno bloccato le principali vie d'accesso alla cittadina dell'area flegrea, perché non si fidano delle istituzioni che promettono solo scarti controllati e temono l'arrivo di spazzatura indifferenziata;
          il commissario straordinario Annunziato Vardè ha avuto modo di dichiarare in merito che: «[...] E poi si è sempre detto che non si tratta di una discarica nel senso tradizionale del termine ma di un sito di smaltimento di un rifiuto biostabilizzato con le moderne tecnologie, in modo tale da essere il meno possibile impattante con il territorio e comunque non inquinante». [...] tuttavia agli interroganti non risulta che in Campania esistano impianti di Tmb (trattamento meccanico biologico) che per la discarica produrrebbero Fos (frazione organica stabilizzata) e sovvalli (scarti), ma solo sette impianti Stir che non hanno funzione stabilizzatrice per cui il rifiuto che poi va in discarica produce percolato ed emana odori nauseabondi;
          oltre a immondizia e cassonetti per impedire ogni accesso è stato anche posizionato un bus di traverso e tre camion per chiudere l'ingresso dalla statale che poi va verso il litorale domizio;
          notizie stampa hanno riferito che l'indomani sarebbe dovuto intervenire l'esercito a scortare i tecnici per il carotaggio dell'area, come ha confermato il primo cittadino di Quarto, Massimo Caradente Giarusso, che è venuto a conoscenza della ferma volontà di procedere, nonostante tutti i pareri negativi degli esperti consultati dal comune, in base ad una convocazione in prefettura;
          nella notte è proseguito il blocco da parte dei manifestanti fino al 20 aprile, quando il prefetto, Andrea De Martino, nella riunione del comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica, ha allentato le tensioni che per il terzo giorno si addensavano su Quarto decidendo la sospensione dei carotaggi nella cava del Castagnaro, già programmati per il fine settimana;
          dopo questa decisione, il comitato antidiscarica ha allentato la pressione ponendo fine al blocco del traffico in entrata ed in uscita lasciando solo un presidio attivo e con una presenza massiccia di aderenti, quello di Montagna Spaccata nei pressi della strada di accesso al sito mentre la città rimane, comunque, sotto il presidio delle forze di polizia che sono schierate sul perimetro del comune e sulle principali arterie di accesso all'area del Castagnaro e a Quarto  –:
          se e quali azioni si intendano promuovere in relazione alle prerogative riconosciute allo Stato per la tutela dei beni archeologici e di tutela dell'ordine pubblico per risolvere le problematiche emerse in relazione alla individuazione di una discarica nella Cava del Castagnaro per non compromettere i valori culturali dell'area e l'ordine pubblico. (4-15830)

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata:


      CALGARO, BOSI, MARCAZZAN, NUNZIO FRANCESCO TESTA, BINETTI, COMPAGNON, CICCANTI, MEREU, NARO, VOLONTÈ, LIBÈ, OCCHIUTO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          con decreto del Ministro della difesa del 16 settembre 2003, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 17 ottobre 2003, n.  242, è stato stabilito l’«Elenco delle imperfezioni ed infermità che sono causa di non idoneità ai servizi di navigazione aerea e criteri da adottare per l'accertamento e la valutazione ai fini dell'idoneità»;
          il suddetto decreto viene applicato al seguente personale dell'Aeronautica militare, nonché delle altre Forze armate, dei Corpi armati dello Stato e dei vigili del fuoco:
              a) piloti e navigatori;
              b) personale impiegato a bordo di aeromobili, in base alla normativa vigente, con mansioni diverse da quelle di pilota e navigatore;
              c) assistenti e controllori del traffico aereo, assistenti e controllori della difesa aerea limitatamente alle imperfezioni ed infermità afferenti la neurologia, la psichiatria, l'oftalmologia e l'otorinolaringoiatria;
          all'articolo 21 del citato decreto, vengono elencate le imperfezioni in materia di oftalmologia. In particolare, la lettera g) del medesimo articolo stabilisce che la chirurgia refrattiva, a determinate condizioni, è ammessa per il personale in servizio, ad esclusione di piloti e navigatori;
          alla luce anche di specifici studi sulla materia, è concorde opinione che la chirurgia refrattiva con tecnica laser, nel consentire il totale recupero delle imperfezioni eventualmente presenti, non arreca nessun tipo di pregiudizio in termini di salute in generale e dell'apparato oculare in particolare, per il soggetto che se ne avvale. Tale tesi è ufficialmente avvalorata anche dalle posizioni assunte al riguardo dall'Ente spaziale americano (Nasa) e dalla Forza aerea degli Stati Uniti d'America (US Air force);
          lo stesso ente Nasa, infatti, nell'ambito delle severissime regole previste per la concessione dell'idoneità a soggetti che vengono chiamati a svolgere l'attività di astronauta, ammette al servizio, concedendo quindi l'idoneità, anche i soggetti che si siano sottoposti a chirurgia refrattiva con tecnica laser (prk e lasik);
          anche la US Air force ha ammesso la chirurgia refrattiva con tecnica laser (prk) già dal 2001 e dal 2007 consente anche l'utilizzo della più recente tecnica lasik, essendo state superate le restrizioni inizialmente applicate in funzione delle alte quote e delle particolari performance richieste per la navigazione aerea;
          va tenuto conto della necessità di un adeguamento periodico dei parametri di idoneità (così come avvenuto in precedenza con i provvedimenti del 1990, del 1994, del 1996, del 2000 e del 2003)  –:
          se il Ministro interrogato intenda predisporre idonee iniziative atte a consentire il necessario aggiornamento del suddetto decreto ministeriale del 16 settembre 2003, affinché, in relazione all'intervenuta evoluzione delle esigenze operativo-funzionali e della scienza medica, sia ammessa la chirurgia refrattiva per mezzo di tecniche non incisionali (prk) anche per i piloti e navigatori, posto che tale aggiornamento consentirebbe di omologare i criteri selettivi di idoneità vigenti in Italia a quelli previsti nelle altre nazioni, consentendo ai nostri militari di rimanere al passo con le realtà internazionali con cui quotidianamente ormai si confrontano. (3-02228)


      CICU e BALDELLI. Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          è in corso un ampio dibattito sulle prospettive di riforma nel settore della difesa;
          su questi aspetti nel mese di febbraio 2012 il Ministro interrogato ha illustrato le linee di indirizzo di una profonda revisione dello strumento militare prima in Consiglio supremo di difesa, poi in Consiglio dei ministri e, quindi, ne ha dato comunicazione alle commissioni parlamentari;
          nella giornata del 31 marzo 2012 anche il Sottosegretario per la difesa, Gianluigi Magri, ha dichiarato alla stampa che il suo ministero sta approntando uno studio per la ristrutturazione dello strumento militare e che nelle prossime settimane è prevista la presentazione di un disegno di legge di delega che definisca obiettivi e modalità della suddetta ristrutturazione;
          in base alle dichiarazioni rese dal Ministro interrogato, il progetto di riforma sarà particolarmente articolato e dovrebbe condurre ad assicurare al settore nel tempo un livello stabile di risorse ed a ridurre l'organico di circa 33.000 militari e 10.000 civili, anche mediante procedure di mobilità e di collocamento in aspettativa  –:
          se il Ministro interrogato ritenga di fornire informazioni sull’iter endogovernativo del disegno di legge, chiarendo, in particolare, se sia stato già raggiunto l'accordo, per quanto detto in premessa, con i Ministeri dell'economia e delle finanze e del lavoro e delle politiche sociali, e se si intenda coinvolgere le rappresentanze militari prima dell'adozione del suddetto disegno di legge in Consiglio dei ministri. (3-02229)


      DOZZO, BOSSI, LUSSANA, FOGLIATO, MONTAGNOLI, FEDRIGA, FUGATTI, ALESSANDRI, ALLASIA, BITONCI, BONINO, BRAGANTINI, BUONANNO, CALLEGARI, CAPARINI, CAVALLOTTO, CHIAPPORI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, D'AMICO, DAL LAGO, DESIDERATI, DI VIZIA, DUSSIN, FABI, FAVA, FOLLEGOT, FORCOLIN, GIDONI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, GRIMOLDI, ISIDORI, LANZARIN, MAGGIONI, MARONI, MARTINI, MERONI, MOLGORA, LAURA MOLTENI, NICOLA MOLTENI, MUNERATO, NEGRO, PAOLINI, PASTORE, PINI, POLLEDRI, RAINIERI, REGUZZONI, RIVOLTA, RONDINI, SIMONETTI, STEFANI, STUCCHI, TOGNI, TORAZZI, VANALLI e VOLPI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          la cosiddetta transition strategy adottata dalla Nato a Lisbona sta producendo apprezzabili risultati, come prova la prestazione resa dalle forze di sicurezza afgane in occasione degli assalti a Kabul del 15 aprile 2012;
          ciò nonostante, è evidente una tendenza degli Stati partecipanti alla missione Isaf ad assumere decisioni sul futuro del proprio impegno al di fuori di qualsiasi concertazione. Il Premier australiano, ad esempio, ha annunciato la scorsa settimana l'intenzione del proprio Governo di ritirare in anticipo le truppe, salvo poi correggersi in un successivo momento, mentre la Norvegia si accingerebbe a chiudere il proprio gruppo di ricostruzione provinciale (prt) nella regione settentrionale;
          tali argomenti – futuro della missione Isaf e transition strategy – sono stati oggetto di un recente vertice ministeriale Nato  –:
          se stiano maturando i presupposti di una consistente riduzione del nostro contingente dispiegato in Afghanistan.
(3-02230)

Interrogazioni a risposta scritta:


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          consta all'interrogante che il colonnello dell'Aeronautica militare G.A.r.n. Roberto Faraglia, a decorrere dal 1° gennaio 2012, ha assunto l'incarico di direttore dei lavori del genio in sede vacante, del comando generale dell'Arma dei carabinieri, mantenendo congiuntamente il proprio incarico di comandante del reparto lavori genio nord;
          l'interrogante non comprende quali siano state le ragioni poste a base della scelta di affidare l'incarico citato ad un ufficiale appartenente all'Aeronautica militare e non, invece, a un appartenente all'Arma dei carabinieri  –:
          se nell'ambito del ruolo tecnico logistico (R.T.L) dell'Arma del carabinieri vi siano altre figure con adeguate professionalità e grado gerarchico che siano idonee a svolgere tale delicato incarico di direttore dei lavori del genio e se preliminarmente sia stata effettuata una ricerca per individuare tra i militari appartenenti al medesimo ruolo l'ufficiale a cui assegnare detto l'incarico di comando. (4-15825)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          la risposta scritta, fornita dal Ministro della difesa all'interrogazione 4-10538 e pubblicata il 12 aprile 2012 nell'allegato B della seduta n.  620, stabilisce che: «L'ordine di temporaneo imbarco a bordo di un'unità navale della Marina militare si configura astrattamente, quale missione isolata fuori dall'ordinaria sede di servizio, con l'unica differenza che i militari interessati percepiscono il trattamento economico previsto per il personale militare imbarcato su unità nel quadro del naviglio militare di cui all'articolo 4, legge 23 marzo 1983, n.  78 (indennità d'imbarco) e non invece quello di cui al titolo I della citata legge n. 836 del 1973 (trattamento economico di missione) (...) il trattamento economico di missione risulta incompatibile con l'indennità operativa di imbarco di cui alla legge n. 78 del 1983 che, tra l'altro, risulta nettamente più favorevole per il personale; il trattamento economico di trasferimento non può essere corrisposto, in quanto la norma pertinente postula un cambio permanente della sede di servizio, nel caso che qui ne occupa, invece, il personale destinatario di un provvedimento di temporaneo imbarco viene impiegato su un'unità navale per soddisfare esigenze estemporanee ed eccezionali della Forza armata»;
          i dati forniti, relativamente al numero dei militari interessati da provvedimenti di temporaneo imbarco nel biennio 2009-2010, evidenziano che l'istituto è utilizzato in via strutturale e non per soddisfare esigenze estemporanee ed eccezionali della Forza armata;
          la risposta del Ministro postula l'incumulabilità tra il trattamento economico cosiddetto accessorio e quello cosiddetto eventuale senza preoccuparsi di citare a supporto alcuna disposizione di legge e nonostante lo sforzo per allinearsi ai dettami della giustizia amministrativa (TAR per la Lombardia-Milano, sezione III nella sentenza 18 febbraio 2010, n.  986/2010; TAR per la Calabria-Catanzaro, sezione I nella sentenza 17 dicembre 2010, n.  133/2011 e del Consiglio di Stato, sezione IV, nella sentenza 18 maggio 2004, n.  7627/2004), laddove ha precisato che il temporaneo imbarco si configura quale missione isolata fuori dall'ordinaria sede di servizio, tace sui periodi di lunga durata (per assurdo si potrebbe cassare l'istituto del trasferimento);
          la compensazione per gli oneri e i disagi per il mutamento della sede di servizio consiste in un trattamento economico cosiddetto eventuale, nell'ipotesi di «missione fuori dall'ordinaria sede di servizio» come previsto dagli articoli 1 e seguenti della legge 18 dicembre 1973, n.  836 e dagli articoli 1 e seguenti della legge 26 luglio 1978, n.  417, e successive modificazioni, ovvero nell'ipotesi di «trasferimento ad altra sede di servizio» come previsto dagli articoli 17 e seguenti della legge 18 dicembre 1973, n.  836, dagli articoli 11 e seguenti della legge 26 luglio 1978, n.  417 e dall'articolo 1 della legge 29 marzo 2001, n.  86, e successive modificazioni;
          le indennità di impiego operativo, disciplinate dalla legge 23 marzo 1983, n.  78 e successive modificazioni, consistono – come esplicitato nell'articolo 1 – in un trattamento economico cosiddetto accessorio «per il rischio, per i disagi e per le responsabilità connessi alle diverse situazioni di impiego derivanti dal servizio» e nel caso di specie consistono – come palesato nel seguente articolo 4 – nell'attribuzione degli assegni di imbarco per il personale della Marina, dell'Esercito e dell'Aeronautica imbarcato su navi di superficie su sommergibili, in armamento o in riserva, con le modalità previste nel successivo articolo 17, comma 10, ove è richiamato il «regolamento sugli assegni di imbarco approvato con regio decreto 15 luglio 1938, n.  1156, e successive modificazioni»;
          il decreto legislativo 15 marzo 2010, n.  66 all'articolo 2268, comma 1, ha statuito che «a decorrere dall'entrata in vigore del Codice e del Regolamento, sono o restano abrogati i seguenti atti normativi primari e le successive modificazioni» e individua nell'elenco al punto 151) il «regio decreto 15 luglio 1938, n.  1156, esclusi articoli 5, 9 e 19»  –:
          se non ritenga necessario ed urgente impartire le opportune disposizioni affinché siano correttamente attuati tutti i contenuti del rapporto di impiego del personale delle Forze armate di cui all'articolo 5, comma 1, lettere a) e g) del decreto legislativo 12 maggio 1995, n.  195 e successive modificazioni, ove è netta la distinzione tra il trattamento economico cosiddetto «accessorio» e quello cosiddetto «eventuale». (4-15826)


      DI STANISLAO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il 21 aprile 2012 sul Cityrumors.it, un portale di informazione abruzzese, è apparso un articolo dal titolo «Campo Imperatore, esercitazioni militari nel parco nazionale» dal quale emerge l'episodio avvenuto due giorni prima, il 19 aprile, riguardante due elicotteri militari Mangusta che hanno effettuato esercitazioni militari nella zona del Parco nazionale del Gran Sasso, a Campo Imperatore, terrorizzando gli escursionisti presenti e la fauna selvatica;
          all'interno del parco risultano due aree di addestramento militare, monte Ruzza e monte Stabiata, ma da quanto appreso dalla fonte giornalistica citata con foto annesse, le esercitazioni tali esercitazioni risultano essere state effettuate al di fuori di queste aree sconfinando i limiti consentiti; altresì, le fonti dichiarano che si è trattato di un episodio non solitario, anzi frequente;
          nel parco vivono circa 2.300 specie vegetali superiori, oltre un quinto dell'intera flora europea, e più di un terzo del patrimonio floristico italiano. Per quanto riguarda il regno animale, emblematico è il caso degli anfibi, presenti con ben quattordici specie tra cui, unico caso in Italia, ben quattro specie di tritoni;
          inoltre, le montagne del parco costituiscono una vera e propria soglia biogeografica tra il nord e il sud del Paese; qui, infatti, alcune specie mediterranee raggiungono il limite settentrionale di distribuzione, mentre altre, in particolare piante e animali di origine artico-alpina, quello meridionale;
          si tratta, altresì, di un parco di 150.000 ettari che comprende 3 regioni, 5 province e 44 comuni. Al suo interno sono presenti 51 emergenze floristiche, 59 orchidee spontanee, 2 piante carnivore, 2.364 piante censite, 139 endemiche italiane, 12 endemiche del parco, 6 coppie di aquile reali, 150 cervi, 420 camosci appenninici 80 lupi e 13 nuclei riproduttivi  –:
          se non intendano, per la parte di propria competenza, verificare quanto esposto in premessa e rivedere la decisione di far effettuare esercitazioni militari all'interno del Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. (4-15843)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
          il decreto legislativo n.  141 del 2010 recante «Attuazione della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, nonché modifiche del titolo VI del testo unico bancario (decreto legislativo n.  385 del 1993), in merito alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi» dovrebbe portare, a breve, ad una riforma dell'intermediazione finanziaria che si spera incida positivamente su alcune lacune e criticità emerse, nel tempo su tale materia;
          lo stesso decreto legislativo, però ha già perfettamente delineato uno scenario, che investirà tutti gli operatori della mediazione creditizia e che gli interpellanti giudicano profondamente critico;
          tale categoria, in genere, è formata da imprenditori organizzati in piccole società (società in accomandita semplice, società a responsabilità limitata, società in nome collettivo, società cooperative) che, con professionalità, partecipano attivamente alla realtà delle piccole e medio imprese che, come è noto, rappresentano il motore produttivo nel nostro Paese;
          tale disposizione infatti, impone 120.000 euro di capitale sociale interamente versato, costituzione di un consiglio di amministrazione, la stipula di un'onerosa assicurazione, nonché la presenza di un collegio di revisori dei conti che porterà la gestione amministrativa di tali società, a costi talmente elevati che non potranno essere assolutamente da queste sostenuti dalle piccole società che operano nel campo;
          conseguentemente si rischia la chiusura di migliaia di piccole società;
          inoltre saranno colpiti anche centinaia di migliaia di operatori, non costituiti in società, e saranno travolti da tali effetti, i dipendenti ed i collaboratori di tutti questi soggetti giuridici;
          si rischia così di assistere a quello che, qualcuno ha già definito come il più grande «licenziamento collettivo» della storia d'Italia che colpirà, secondo stime prudenziali, circa 250.000 operatori del settore, escludendo i dipendenti che ciascuna società dovrà necessariamente licenziare;
          il provvedimento, in questione, porterà, fin dal prossimo mese di giugno, ad un serio problema occupazionale, in un momento in cui la crisi del mercato del lavoro e la disoccupazione sono al centro della preoccupazione di tutti;
          in tale contesto, non si è certamente tenuto conto che le piccole società in argomento hanno impegnato risorse finanziarie, acceso debiti finalizzati all'investimento nell'azienda stessa e/o per fronteggiare la corrente crisi e non si è neanche tenuto conto di come tali società, potranno onorare i debiti assunti a seguito della chiusura conseguente all'attuazione della normativa citata;
          sebbene nello spirito degli accordi di Basilea I II e III, vi fosse anche l'obbiettivo di una maggiore concorrenza, gli effetti del decreto legislativo n.  141 del 2010, eliminando «di fatto» l'intermediazione creditizia delle piccole imprese, saranno l'egemonia delle banche e dei grandi intermediari finanziari;
          in tal modo si viola il principio della concorrenza, oggi messo in atto dal mediatore, e la «libera scelta» del cliente che attualmente, per la soluzione delle sue esigenze, può rivolgersi a più figure professionali;
          tutto ciò premesso non si comprendono i motivi che hanno portato a comprendere molti settori con la recente liberalizzazione mentre per l'intermediazione creditizia si è intrapresa la strada opposta ovvero, si è aperta la strada del «plurimonopolio» costituito da banche e pochi altri mediatori intermediari di grandi dimensioni, magari partecipati dalle banche stesse, come peraltro già accade attualmente  –:
          come si intenda affrontare la grave problematica in oggetto che rischia di portare al fallimento, con i relativi problemi occupazionali, le numerose piccole società che operano nel settore;
          se non si ritenga opportuno assumere iniziative dirette a rivisitare la normativa in oggetto consentendo anche ai piccoli imprenditori di potere continuare ad operare in questo campo;
          se e come, qualora non fossero attuati miglioramenti nelle norme previste dal decreto in oggetto, si intenda intervenire per far sì che tali società possano risolvere le situazioni debitorie in capo alle società stesse, situazioni debitorie che non sarebbero in grado di onorare per le ragioni sopra esposte;
          se si intenda, in ogni caso, assumere iniziative urgenti di sostegno, anche finanziario, affinché tali società possano riconvertirsi, evitando così, il disastroso scenario fin qui descritto.
(2-01463) «Scilipoti, Moffa».

Interrogazione a risposta immediata:


      DI PIETRO, DONADI, BORGHESI, EVANGELISTI e MURA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 20 della legge n.  112 del 2004, recante «Norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della Rai-Radiotelevisione italiana s.p.a., nonché delega al Governo per testo unico della radiotelevisione» (cosiddetta legge Gasparri), e l'articolo 49 del decreto legislativo n.  177 del 2005, recante il «Testo Unico dei servizi media audiovisivi e radiofonici», recano disposizioni in materia di disciplina della Rai-Radiotelevisione italiana s.p.a.;
          tali norme, con riferimento alla costituzione del consiglio di amministrazione della Rai, composto da nove membri, prevedono una disciplina transitoria fino alla completa privatizzazione della Rai. In particolare, si dispone che qualora il numero delle azioni alienato non superi la quota del 10 per cento del capitale della Rai, la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi indica sette membri eleggendoli con il voto limitato a uno, mentre i restanti due membri, tra cui il presidente, sono invece indicati dal Ministero dell'economia e delle finanze. Fino alla completa alienazione della partecipazione dello Stato, il rappresentante del Ministero dell'economia e delle finanze presenta un'autonoma lista di candidati, formulata sulla base delle delibere della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi e delle indicazioni del Ministero, in numero proporzionale al numero delle quote possedute. Infine, una volta completato il processo di privatizzazione, il consiglio di amministrazione è nominato dall'assemblea, mediante voto di lista;
          come ampiamente rilevato dalla stampa nazionale, il consiglio di amministrazione della Rai è ormai scaduto da più di due settimane ed il silenzio generale che circonda questa scadenza non fa presagire nulla di positivo;
          ad avviso degli interroganti, è da considerarsi inammissibile che la più grande azienda editoriale del Paese rischi di incorrere in una paralisi decisionale a tutto vantaggio della concorrenza e, soprattutto, appare quanto mai urgente modificare le norme che disciplinano la nomina dei membri del consiglio di amministrazione della Rai;
          appare, altresì, fondamentale superare tutte quelle regole che in questi ultimi dieci anni hanno rafforzato il controllo dei Governi e dei partiti sul servizio pubblico radiotelevisivo e, in particolare, garantire la costituzione di un organo di vertice credibile, competente e sopratutto libero da ogni forma di dipendenza dai partiti e dai conflitti di interesse;
          sino ad oggi l'Esecutivo non ha assunto alcuna iniziativa per modificare in tal senso la normativa vigente, né tanto meno per evitare, di fatto, un dannoso regime di prorogatio dello già scaduto consiglio di amministrazione della Rai;
          il prolungarsi di questa dannosa situazione, ad avviso degli interroganti, sta infliggendo al servizio pubblico radiotelevisivo rilevanti danni di immagine, di competitività ed innovazione, di equilibrio economico, oltre che di possibilità di assolvere al meglio la sua funzione di garante del pluralismo televisivo e del diritto dei cittadini ad una informazione libera  –:
          se il Governo intenda assumere ogni iniziativa di competenza per risolvere le problematiche descritte dalla presente interrogazione, con quali modalità e tempi, e se, in particolare, intenda avanzare proposte di riforma dei meccanismi vigenti di nomina del consiglio di amministrazione della Rai, ovvero intenda procedere alla definizione delle nomine di propria competenza secondo le disposizioni dettate dalla legislazione vigente e, in tal caso, sia disponibile a fornire i curricula delle persone indicate. (3-02227)

Interrogazioni a risposta scritta:


      DI PIETRO. —Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'introduzione dell'imposta cosiddetta imposta municipale unica, aggrava, in un periodo di perdurante crisi e di affanno economico dei cittadini, il carico fiscale in generale e in particolare quello già gravante nel nostro Paese sul «mattone»;
          ancor più gravosa e drammatica appare la situazione di quanti versano in condizioni di disagio a causa di eventi calamitosi, per i quali il nostro ordinamento disciplina l'introduzione temporanea di opportuni benefici ad ampio spettro per i cittadini e per i loro beni che ne sono colpiti;
          esentare dal pagamento dell'imposta municipale unica i redditi dei fabbricati danneggiati da eventi calamitosi, inagibili o sgomberati da puntuali ordinanze emesse dalle autorità competenti, fino al ripristino del loro uso originario appare una misura in linea con i princípi del nostro ordinamento e con le misure sempre adottate in tali casi, volte ad alleviare carichi che risulterebbero insostenibili per cittadini oltremodo gravati  –:
          quale sia l'orientamento del Ministro interrogato in ordine a quanto indicato e con quali strumenti, eventualmente, intenda darvi corso. (4-15816)


      JANNONE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'Inps (Istituto nazionale per la previdenza sociale) ha da tempo avviato una mirata strategia per la gestione e la valorizzazione del proprio patrimonio. Tuttavia la situazione normativa che avrebbe dovuto regolamentare tale ottimizzazione, risulta alquanto confusa. Mediante l'articolo 43-bis del decreto-legge n.  207 del 2008 convertito, con modificazioni, dalla legge n.  14 del 2009 e recante «Interventi nelle operazioni di cartolarizzazione di immobili pubblici», le operazioni di cartolarizzazione in precedenza avviate sono state chiuse, e i beni ivi residuati hanno trovato retrocessione agli enti, con l'obbligo di prosecuzione dei processi di vendita. Con determinazione commissariale n.  109 del 25 giugno 2009, avente ad oggetto «Valorizzazione del patrimonio immobiliare da reddito mediante costituzione di un Fondo Immobiliare ad apporto privato» l'istituto ha quindi avviato la costituzione di un apposito Fondo immobiliare ad apporto privato ai sensi del decreto ministeriale n.  228 del 1999, e la devoluzione al medesimo del proprio patrimonio da reddito, secondo le prescrizioni programmatiche e di dettaglio progressivamente stabilite, anche al fine di regimentare gli effetti del rientro presso l'ente del patrimonio già oggetto di cartolarizzazione;
          in seguito, con la determinazione commissariale n.  62 dell'11 marzo 2010, l'Istituto ha approvato il programma di lavoro relativo alle attività propedeutiche all'implementazione dell'operazione di costituzione del Fondo. Nel contempo, con l'articolo 8 comma 15, del decreto-legge n.  78 del 2010 recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica» convertito con modificazioni, dalla legge n.  122 del 2010 il legislatore è intervenuto in materia di razionalizzazione e risparmi di spesa della Pubblica Amministrazione e ha disposto che «Le operazioni di acquisto e vendita di immobili da parte degli enti pubblici e privati che gestiscono forme obbligatorie di assistenza e previdenza, nonché le operazioni di utilizzo, da parte degli stessi enti, delle somme rivenienti dall'alienazione degli immobili o delle quote di fondi immobiliari, sono subordinate alla verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica da attuarsi con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali»;
          con successiva determinazione presidenziale n.  27 del 21 giugno 2010 l'Istituto ha, tra l'altro, approvato: la strategia di gara per la selezione della SGR di gestione del fondo, la trasmissione degli atti ai Ministeri vigilanti per l'approvazione alla luce del sopracitato articolo 8, comma 15, nonché la prosecuzione delle vendite programmate dei beni già cartolarizzati restituiti all'Inps ai sensi dell'articolo 43-bis del decreto-legge n.  207 del 2008. La documentazione di gara per la selezione della SGR è stata quindi sottoposta ai Ministeri vigilanti per le verifiche del caso, e con successiva nota del 15 ottobre 2010 n.  DT 81342/2010 il Ministero dell'economia e delle finanze ha espresso i propri rilievi tecnici sugli atti trasmessi, suggerendo nel contempo di sottoporre gli atti di gara al vaglio dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (AVCP) e dell'Autorità garante per la Concorrenza ed il mercato (AGCM), per quanto di rispettiva competenza, stante il carattere inedito e innovativo dell'oggetto dell'affidamento pubblico (selezione di SGR). Nelle more della pubblicazione del decreto di cui al predetto comma 15 dell'articolo 8 del decreto-legge n.  78 del 2010, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, in data 7 dicembre 2010, ha trasmesso agli enti previdenziali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, la Direttiva del 7 dicembre 2010 inerente «all'applicazione dell'articolo 8, commi 4, 8, 9 e 15 del decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n.  122», al fine di dettare i criteri generali applicabili agli enti pubblici che gestiscono forme obbligatorie di assistenza e previdenza in ordine alle decisioni sull'investimento dei fondi disponibili (gestione dei flussi) e sulla gestione del patrimonio accumulato fino ad oggi;
          l'articolo 2, comma 1, del decreto interministeriale del 10 novembre 2010 (Ministero dell'economia e delle finanze, Ministero del lavoro e delle politiche sociali) prevede: la predisposizione da parte degli enti previdenziali, entro il 30 novembre di ogni anno, di un «piano triennale di investimento» volto ad evidenziare, per ciascun anno, l'ammontare delle operazioni di acquisto e di vendita degli immobili, di cessione delle quote di fondi immobiliari, nonché delle operazioni di utilizzo delle disponibilità liquide provenienti dalla vendita di immobili o da cessione di quote di fondi immobiliari, ed inoltre, la possibilità per gli enti di aggiornare il piano triennale di investimento entro il 30 giugno di ogni anno. Al comma 3 dell'articolo 2 del medesimo decreto, è stato chiarito che «L'efficacia dei singoli piani è subordinata alla verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica, da effettuarsi con decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze di concerto con il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di cui all'articolo 8, comma 15, del decreto-legge 31 maggio 2010, n.  122, da adottarsi entro trenta giorni dalla presentazione dei piani, salvo per le operazioni di cui all'allegato A che, non avendo impatto sui saldi strutturali di finanza pubblica, potranno essere poste in essere trascorsi trenta giorni dalla comunicazione senza che i Ministeri vigilanti abbiano formulato osservazioni». Secondo quanto predisposto, quindi, le operazioni che non hanno impatto sui saldi strutturali sono: sottoscrizione di titoli pubblici utilizzando somme rivenienti dalla vendita di immobili; sottoscrizione di quote di fondi immobiliari o costituzione di fondi immobiliari di natura privata utilizzando somme rivenienti dalla vendita di immobili o dalle quote di fondi immobiliari costituiti anche mediante apporto di immobili, in quanto trattasi di vendite immobiliari indirette; vendita diretta di immobili a privati; vendita diretta di immobili a ente o cassa previdenziale della pubblica amministrazione;
          sulla scorta dei chiarimenti ufficialmente resi mediante il suddetto decreto, l'Istituto ha proseguito le attività di gestione del patrimonio immobiliare da reddito e, in data 31 gennaio 2011, ha elaborato il Piano degli investimenti e disinvestimenti per gli anni 2011-2013 che descrive la strategia che l'ente intende perseguire in riferimento al proprio patrimonio immobiliare e mobiliare, strumentale e da reddito, fornendo indicazioni sulle azioni previste e le relative modalità di attuazione. Il Piano degli investimenti e disinvestimenti al 31 gennaio 2011 è stato quindi formalmente approvato con determinazione presidenziale n.  68 del 1o marzo 2011, con successiva trasmissione al Consiglio di indirizzo e vigilanza e ai Ministeri vigilanti. Nel contempo, l'Istituto ha provveduto ad inserire nel portale del Ministero dell'economia e delle finanze le informazioni inerenti gli immobili strumentali ed agli immobili da reddito, e ad inviare le stesse, mediante posta elettronica certificata – protocollo n.  69 in data 30 dicembre 2010 – al medesimo Ministero, all'Agenzia del demanio e al Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Nelle more delle operazioni di avvio del Fondo, stante la necessità di assicurare la continuità gestionale del patrimonio in previsione della scadenza dei relativi contratti di gestione, mediante bando trasmesso alla G.U.C.E. in data 28 marzo 2011, l'Istituto ha avviato una procedura ristretta per l'affidamento del servizio di gestione amministrativa, tecnica e di supporto alla vendita del proprio patrimonio immobiliare da reddito, in attuazione dei principi di trasparenza, concorrenzialità e imparzialità, economicità ed efficacia statuiti nella richiamata Direttiva. La procedura in questione, finalizzata alla selezione di un operatore che gestisca il patrimonio da reddito in modo unitario, è in corso di svolgimento;
          da ultimo, l'articolo 33-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98, convertito con modificazioni dalla legge n.  111 del 2011 come introdotto dall'articolo 27 del decreto-legge n.  201/2011, convertito con modificazioni dalla legge n.  214/2011, prevede che «Per la valorizzazione, trasformazione, gestione e alienazione del patrimonio immobiliare pubblico di proprietà dei comuni, province, città metropolitane, regioni, Stato e degli enti vigilati dagli stessi, nonché dei diritti reali relativi ai beni immobili, anche demaniali, il ministero dell'economia e delle Finanze – Agenzia del demanio, promuove, anche ai sensi del presente decreto, iniziative idonee per la costituzione, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di società, consorzi o fondi immobiliari, ponendo la necessità di svolgere approfondimenti giuridici sulla portata della disposizione in questione in relazione agli obiettivi di costituzione dell'apposito fondo ad opera dell'Istituto. Inoltre, con l'articolo 21, comma 1, del decreto-legge n.  201/2011, è stata disposta la soppressione dell'INPDAP e dell'ENPALS a far data dal 1o gennaio 2012 e l'attribuzione delle relative funzioni all'Istituto, con successione di quest'ultimo in tutti i rapporti attivi e passivi facenti capo agli enti soppressi, ivi compresi dunque anche quelli inerenti agli immobili in proprietà. È pervenuta quindi la Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali prot. n.  31/0001922/MA002.A001 del 28 dicembre 2011 che stabilisce, relativamente alle attività dei soppressi INPDAP ed ENPALS, lo svolgimento di una ricognizione di tutto il corrispondente patrimonio mobiliare ed immobiliare;
          l'integrazione tra gli enti soppressi e l'Istituto rende necessarie delle opportune verifiche sulle formule di gestione attualmente operanti presso gli enti predetti e sui relativi effetti della soppressione, con particolare ma non esclusivo riguardo alla SGR già incaricata della gestione del compendio immobiliare degli Enti in questione attraverso fondo, la Idea Fimit s.g.r. A causa del complesso e problematico scenario normativo sopra tracciato, il presidente dell'istituto, dottor Mastrapasqua, ha in questi giorni espresso la necessità di convocare un apposito tavolo tecnico congiunto, nell'ambito del quale possa essere declinata una strategia univoca e definitiva per le iniziative di valorizzazione e dismissione del patrimonio da reddito in questione, anche attraverso l'adozione degli interventi normativi indispensabili a far chiarezza sulle questioni sopra segnalate  –:
          quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di rendere finalmente operativa, ed attuare in tempi brevi, una normativa compiuta che definisca in modo chiaro i passaggi e le metodologie relative alla gestione del patrimonio immobiliare di pertinenza dell'istituto. (4-15820)


      FAENZI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dal quotidiano «Il Sole 24 Ore», di giovedì 19 aprile, l'imposta municipale unica-IMU introdotta con il decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214, cosiddetto salva-Italia, nell'ambito della sua applicazione per i terreni agricoli, sarà più pesante rispetto alla soppressa ICI, in quanto il coefficiente moltiplicatore del reddito dominicale rivalutato del 25 per cento risulta nettamente superiore a quello che si applicava in precedenza;
          il nuovo coefficiente previsto pari a 135, seppure ridotto a 110 per i terreni posseduti e diretti da Coldiretti e imprenditori agricoli professionali iscritti nella gestione previdenziale, è infatti quasi il doppio del precedente pari a 75;
          l'applicazione del coefficiente 110 contenuto all'interno del decreto-legge n.  16 del 2012 in materia di semplificazione tributaria, prevede che il parametro si applica sia ai terreni agricoli che a quelli non coltivati, che in genere dovrebbero essere i terreni incolti, posseduti e condotti dai proprietari in possesso delle predette qualifiche;
          viene introdotta pertanto la novità della conduzione diretta che genererà, a giudizio dell'interrogante, non pochi problemi applicativi, in considerazione che nel settore agricolo infatti, sono molti i casi in cui i proprietari del terreno, iscritti regolarmente nelle gestioni previdenziali, non figurano giuridicamente intestati nella conduzione del fondo;
          la suddetta situazione si verifica, ad esempio, quando il terreno è intestato a persone legate da vincolo di parentela e coltivato dai medesimi proprietari sotto forma di società semplice e pertanto la conduzione è giuridicamente della società anche se di fatto svolta dalle persone fisiche proprietarie del terreno;
          in altri casi all'interno della famiglia del coltivatore diretto alcuni familiari proprietari risultano solo coadiuvanti del soggetto titolare della partita IVA;
          l'auspicio è che i comuni in sede interpretativa possano valorizzare l'aspetto sostanziale, ovvero quello relativo a chi effettua la conduzione del terreno, e non quello, formale, ossia quello riguardante l'intestatario della partita IVA;
          l'articolo 9 del decreto legislativo n.  228 del 2001 estende le agevolazioni tributarie anche ai coltivatori diretti ed agli imprenditori agricoli professionali soci di società di persone;
          occorre evidenziare, a giudizio dell'interrogante, che per i terreni posseduti e coltivati direttamente dalle società agricole con l'iscrizione al registro degli imprenditori agricoli professionali e nella gestione previdenziale, l'applicazione del suesposto coefficiente 110 non è in discussione;
          il decreto-legge n.  16 del 2012 estende le agevolazioni previste per le aree fabbricabili anche alle società agricole in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale;
          l'articolo 2 del decreto legislativo n.  504 del 1992 che ha istituito l'ICI dispone che le aree edificabili si considerano terreni agricoli e pertanto non si valutano in base al prezzo di mercato, qualora siano possedute e coltivate da coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali;
          la suddetta norma non fa più riferimento alla gestione previdenziale ai fini pensionistici, la quale escludeva automaticamente le società, ma alla semplice qualifica professionale, che può essere acquisita anche dalle società agricole;
          l'onere dell'IMU in agricoltura sarà più pesante, secondo quanto riporta l'articolo del «Sole 24 Ore», anche perché le riduzioni della base imponibile sono inferiori a quelle previste ai fini ICI;
          la novità assoluta nel settore agricolo, inoltre, riguarda l'assoggettamento ad imposta per i fabbricati rurali e in questo caso si tratta di nuova imposizione;
          le abitazioni rurali saranno infatti assoggettate ad imposta come quelle civili e possono usufruire della riduzione dell'aliquota al 4 per mille relativamente all'abitazione principale del proprietario; le altre abitazioni rurali scontano l'imposta nella misura ordinaria del 7,6 per mille, mentre per le costruzioni rurali strumentali l'aliquota è pari al 2 per mille;
          a giudizio dell'interrogante, l'imposta municipale unica in agricoltura così com’è attualmente configurata è iniqua e determinerà la chiusura di numerose imprese del comparto, il cui carico fiscale, unitamente ad una serie di cause altamente penalizzanti quali l'elevato costo del gasolio e l'inarrestabile aumento della contraffazione agroalimentare dei prodotti made in Italy, rende sempre più difficile la resistenza di tanti imprenditori  –:
          quali orientamenti nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
          se sia vero quanto riportato dall'articolo del «Sole 24 Ore» secondo cui il coefficiente previsto per il calcolo della nuova imposta municipale unica in agricoltura risulta raddoppiato rispetto alla precedente imposta dell'ICI;
          in caso affermativo, se gli effetti derivanti in conseguenza di quanto suesposto, contribuiranno ad aggravare ulteriormente il settore agricolo, su cui grava pesantemente una tassazione sugli immobili e i fabbricati rurali iniqua e squilibrata;
          se non ritengano opportuno, infine, prevedere iniziative volte a rivedere il coefficiente moltiplicatore del reddito domenicale rivalutato del 25 per cento, superiore a quello che si applicava in precedenza e favorire di conseguenza il settore agricolo, particolarmente colpito dalla crisi economica e finanziaria degli ultimi anni. (4-15834)


      NICOLUCCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'ultimo rapporto di SVIMEZ, pubblicato nei giorni scorsi, evidenzia un dato significativo sul modo in cui il peso dei tributi locali è, facendo un raffronto tra il Mezzogiorno e il resto del Paese, particolarmente forte nelle regioni meridionali;
          infatti, se tra il 1991 e il 2010, le entrate tributarie pro-capite nei comuni del Centro-Nord sono quasi raddoppiate, nel medesimo periodo nel Sud Italia esse sono addirittura triplicate;
          tale dato fa riflettere anche sul fatto che, nel medesimo periodo, la qualità dei servizi offerti dal settore pubblico si è sviluppata in modo assai differenziato con il Mezzogiorno che, come noto, è penalizzato da un grado di efficienza oggettivamente minore;
          vi è quindi una evidente sperequazione, come evidenziato da SVIMEZ, tra Centro-Nord e Sud del Paese con il primo che ha visto la pressione tributaria a livello locale crescere in misura inferiore rispetto al secondo, ma allo stesso tempo con un diverso sviluppo dei servizi pubblici tra le due aree;
          tale situazione deve essere modificata attraverso nuove misure strutturali anche alla luce del fatto che il principio della perequazione tra i territori dell'Italia rappresenta un valore costituzionalmente riconosciuto e tutelato  –:
          quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere in merito a quanto esposto in premessa. (4-15839)


      NICOLUCCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          nello scorso dicembre la Commissione europea ha presentato una Comunicazione dal titolo: «Futuro dell'IVA – Verso un sistema dell'IVA più semplice, solido ed efficiente adattato al mercato unico», nella quale si evidenzia come la crisi finanziaria abbia posto gli Stati membri dinanzi a una duplice sfida di politica economica: promuovere la crescita economica sostenibile consolidando al tempo stesso le finanze pubbliche;
          la Commissione europea evidenzia dati eloquenti sul peso e sulla farraginosità, con conseguenze evidenti sulla competitività soprattutto delle micro e piccole imprese, dell'attuale sistema IVA generalmente in vigore negli Stati membri della UE, affermando che in generale «i costi di conformità per le imprese sono elevati, con stime che variano dal 2 per cento all'8 per cento dell'importo dell'IVA riscossa. Le imprese più piccole sono oberate al di sopra delle loro capacità e i costi non diminuiranno nel tempo senza un intervento mirato»;
          è evidente come il tema del peso dell'IVA (sia in termini contabili che in termini burocratici) sia molto importante per la struttura economica del nostro Paese, con particolare riferimento al Mezzogiorno dove le conseguenze della crisi economica internazionali sono già assai gravi  –:
          quali iniziative, anche alla luce delle indicazioni provenienti dalla Commissione europea in direzione di una maggiore semplificazione degli oneri fiscali e burocratici gravanti sulle imprese, il Governo intenda assumere in merito a quanto esposto in premessa in materia di IVA;
          più nello specifico, quali eventuali misure si ritenga opportuno avviare in materia di disciplina dell'IVA con riferimento alle regioni meridionali. (4-15840)


      BARBATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il 29 dicembre del 2004, a seguito di apposito decreto ministeriale di trasferimento, il fondo immobili pubblici (Fip), è diventato proprietario di un portafoglio di 394 immobili già di proprietà dello Stato e di altri enti pubblici ad uso non residenziale, occupati prevalentemente da uffici del Ministero dell'economia e delle finanze, da Agenzie fiscali, da caserme della Guardia di finanza;
          il Fip, gestito dalla Sgr (società di gestione del risparmio) investire immobiliare, controllata da Banca Finnat, ha poi stipulato un contratto di affitto con l'Agenzia del demanio per l'intero compendio immobiliare rilevato dallo Stato, della durata di nove anni, rinnovabile automaticamente per altri nove anni, e del valore complessivo di 270 milioni di euro;
          secondo sommarie informazioni disponibili sul sito internetwww.fondoimmobilipubblici.it il predetto contratto prevede che l'Agenzia del demanio possa liberare una serie di immobili facenti parte del compendio (diritto di recesso), a condizione che il canone non si riduca in misura superiore al 20 per cento, secondo la seguente articolazione (su base cumulativa): dal quarto al sesto anno fino al 5 per cento; dal settimo all'ottavo anno fino al 10 per cento; dal nono al decimo anno fino al 15 per cento; dall'undicesimo anno fino al 20 per cento, salvo che, entro il termine dei primi nove anni di contratto (31 dicembre 2013), l'Agenzia del demanio non dia disdetta e liberi l'intero compendio immobiliare;
          secondo quanto riportato dal quotidiano Milano Finanza del 28 febbraio 2012, nell'articolo dal titolo: «La Chiesa paga l'Ici, il Fip no», gli immobili facenti parte del patrimonio del Fondo sarebbero stati esentati dal pagamento dell'imposta comunale sugli immobili  –:
          quanti immobili di proprietà del suddetto fondo siano stati esentati dal pagamento dell'ICI e in base a quale normativa;
          nel caso in cui si verificasse la sussistenza dell'esenzione, quali iniziative intenda assumere per eliminare tale improprio beneficio, nonché per recuperare le minori entrate determinate dell'esenzione medesima;
          se il Ministero stia valutando la possibilità di dare la disdetta del contratto d'affitto firmato con il Fip alla scadenza dei nove anni;
          se ritenga di trasmettere copia del contratto di affitto sottoscritto dall'Agenzia del demanio e dal Fip, nonché copia dell'accordo di indennizzo e garanzia stipulato tra il Ministero dell'economia e delle finanze ed il Fip in data 29 dicembre 2004. (4-15844)


      BORGHESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          gli istituti bancari (nel caso UNICREDIT BANCA SpA) che effettuano il servizio di tesoreria degli enti pubblici, a quanto consta all'interrogante, si dicono esonerati dall'osservanza del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n.  11, articolo 20, adducendo la motivazione che la norma non è chiara e non è stata espressamente prevista per i tesorieri;
          quindi dall'ordinativo di pagamento dell'ente pubblico territoriale (ad esempio, il comune) alla disponibilità effettiva del beneficiario lucrano ben 14 giorni di valuta;
          nella normale prassi bancaria l'accredito di somme dà luogo a valuta più ridotta persino per assegno fuori piazza;
          i giorni di valuta hanno la funzione di compensare la banca per l'attività di incasso dell'assegno, cosa che non appare logica nel caso di ordinativo di enti locali e non è neppure in linea con la previsione del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n.  11, che prevede il divieto di applicazione al beneficiario della data di valuta successiva a quella in cui i soldi sono stati accreditati sul suo conto  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra riportati;
          se non ritenga di assumere le iniziative di competenza, anche normative, affinché le banche riducano drasticamente i giorni di valuta nel caso prospettato.
(4-15856)

GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro per i beni e le attività culturali, per sapere – premesso che:
          l'Isola di Pianosa nell'Arcipelago toscano è stata per decenni sede di un penitenziario, successivamente dismesso, e che oggi rientra nel patrimonio affidato alla gestione dell'Agenzia del demanio;
          da notizie di stampa si apprende che il Ministero della giustizia starebbe valutando l'ipotesi del ripristino della funzione carceraria;
          l'Isola di Pianosa è ubicata nell'area dell'ente parco nazionale dell'Arcipelago toscano, il quale svolge su di essa una funzione di controllo e sovrintendenza;
          gli edifici, le infrastrutture, e anche alcuni manufatti di sicuro interesse archeologico, versano in stato di degrado e di incuria, accentuatosi negli ultimi tempi anche per eventi a carattere alluvionale e tutto ciò costituisce un danno grave a strutture di grande interesse storico e culturale  –:
          se si intenda riattivare effettivamente l'uso carcerario dell'isola di Pianosa;
          come si intenda intervenire a salvaguardia del patrimonio archeologico ed ambientale di Pianosa;
          come intenda disciplinare la gestione di Pianosa dal punto di vista della fruizione delle infrastrutture, considerato che soprattutto, nella stagione estiva, parrebbe che l'ente parco ospiti numerose persone in base a criteri per gli interpellanti poco chiari.
(2-01462) «Bosi, Bonciani, Poli, Adornato, Binetti, Calgaro, Capitanio Santolini, Carlucci, Enzo Carra, Cera, Ciccanti, Compagnon, De Poli, Delfino, Dionisi, D'Ippolito Vitale, Anna Teresa Formisano, Galletti, Libè, Lusetti, Mantini, Marcazzan, Mereu, Ricardo Antonio Merlo, Mondello, Naro, Occhiuto, Pezzotta, Rao, Ria, Ruggeri, Tassone, Nunzio Francesco Testa, Volontè, Zinzi».

Interrogazioni a risposta immediata:


      GIULIETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il tragico fenomeno delle morti sul lavoro continua a far rilevare numeri non degni di una qualsiasi nazione civile;
          su questo tema si sono ripetuti più volte i solenni richiami delle più autorevoli voci del mondo istituzionale, civile e religioso;
          oltre 100 parlamentari di ogni schieramento hanno reclamato una pubblica discussione su questo tema e hanno chiesto la istituzione di una «procura nazionale contro gli incidenti sul lavoro»;
          la medesima richiesta, peraltro, è stata avanzata anche da molte associazioni dei familiari delle vittime e dai giudici di Torino che, in questi ultimi mesi, hanno portato a conclusione i processi per il rogo alla Thyssen e per i decessi causati dall'amianto nella zona di Casale Monferrato;
          le indagini sulle cause di tanti infortuni, spesso mortali, richiedono sempre più un incrocio tra competenze e professionalità diverse  –:
          se il Governo non ritenga di valutare la possibilità, sentito il competente organo di autogoverno della magistratura e nel pieno rispetto delle diverse competenze, di adottare iniziative normative per l'istituzione della suddetta procura e comunque per promuovere forme di coordinamento che rendano più efficace il lavoro di prevenzione e contrasto, salvaguardando quel prezioso patrimonio di competenze accumulato in questi anni. (3-02223)


      ROSSOMANDO, FERRANTI, PEDOTO, REALACCI, MARAN, AMICI, QUARTIANI e GIACHETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          è ormai un dato acquisito che il fenomeno della corruzione danneggia non solo l'etica pubblica e la correttezza dei rapporti tra cittadino e Stato, ma produce un danno economico enorme al Paese, sia come danno erariale, quantificato in almeno 60 miliardi di euro all'anno (come ha affermato il procuratore generale aggiunto della Corte dei conti, Maria Teresa Arganelli, nella sua relazione per l'inaugurazione dell'anno giudiziario), sia come danno alla competitività dei settori della nostra economia, anche a causa dell'alterazione del regime della libera concorrenza;
          oggi ancora più acutamente che nel passato, nell'attuale crisi economica che attraversa il Paese, pesa la sottrazione di risorse alla pubblica amministrazione;
          nella XV legislatura era stata presentata una proposta di legge (Atto Camera n.  1358 a firma Spini e Realacci del 13 luglio 2006), che aveva l'obiettivo di ampliare le ipotesi di confisca e, quindi, di sequestro preventivo già previste dall'articolo 322-ter del codice penale, estendendo anche ai reati più gravi contro la pubblica amministrazione la disciplina contenuta nell'articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n.  306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n.  356;
          tale normativa veniva trasfusa tramite un emendamento nella legge 27 dicembre 2006, n.  296 (legge finanziaria 2007), (articolo 1, commi 220-221);
          in particolare, veniva così disposto che ai beni confiscati per reati contro la pubblica amministrazione si applichi la stessa disciplina di quelli confiscati per reati di mafia e che i proventi dell'affitto, della vendita e della liquidazione dei beni siano versati nelle entrate del bilancio dello Stato per essere riassegnati in qual misura al finanziamento degli interventi per l'edilizia scolastica e per l'informatizzazione del processo;
          come per l'utilizzo per fini sociali dei beni confiscati alla mafia, anche in questo caso l'attuazione della normativa citata ha un alto valore di sensibilizzazione sul significato civile del recupero e del riutilizzo dei patrimoni accumulati illecitamente  –:
          quale sia lo stato di attuazione delle norme contenute nell'articolo 1, commi 220-221, della legge 27 dicembre 2006, n.  296 (legge finanziaria 2007) e, in particolare, quale sia il numero dei processi per corruzione a cui risultano essere state applicate, quale sia l'entità e la tipologia dei beni confiscati e se, e in che misura, sia stata data attuazione all'impiego delle somme ricavate per interventi per l'edilizia scolastica e per l'informatizzazione del processo o, comunque, in quale fondo tali somme siano confluite. (3-02224)

Interrogazione a risposta orale:


      MEREU. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          lo schema di decreto legislativo (455) attuativo della legge 14 settembre 2011, n.  148, recante la delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, schema all'esame delle competenti commissioni parlamentari e in attesa del prescritto parere del CSM comporta pesanti ricadute nella regione Sardegna;
          infatti, 37 uffici del giudice di pace sono stati soppressi, le competenze territoriali di 42 sedi trasferite al tribunale circondariale, 10 tribunali locali cancellati dalla carta geografica del Ministero della giustizia, centinaia di lavoratori costretti a viaggiare tutti i giorni per raggiungere il luogo di lavoro;
          con la soppressione degli uffici giudiziari, in particolare di tribunali e procure, potrebbero di conseguenza venir meno anche gli stessi presidi delle forze dell'ordine: un fatto questo particolarmente grave per i territori mal collegati come quelli di montagna o dell'entroterra;
          gli eventuali uffici accorpanti nella maggior parte dei casi non hanno le strutture per ricevere il personale e gli atti processuali, anche archiviati sarà perciò inevitabile accollarsi ulteriori spese per reperire ed utilizzare spazi aggiuntivi, mentre vi sono uffici suscettibili di chiusura che non costano nulla allo Stato, in quanto utilizzano immobili in comodato gratuito;
          il Sulcis Iglesiente, non escluso dalla riorganizzazione proposta dal Ministero, è pronto a eclatanti proteste per salvare almeno una delle due sezioni staccate del tribunale presenti nel territorio (Carbonia o Iglesias) e due dei quattro giudici di pace in attività (Carbonia, Iglesias, Santadi, Sant'Antioco);
          è talmente forte la preoccupazione delle istituzioni locali sull'amministrazione della giustizia nel territorio, ove si procedesse alla soppressione degli uffici del giudice di pace e delle sezioni del tribunale, che la provincia ha manifestato la propria disponibilità a contribuire finanziariamente ai costi dei servizi, al fine di evitarne lo smantellamento  –:
          se si intenda procedere alla riformulazione dello schema di decreto legislativo in considerazione di quanto indicato in premessa in modo che la macchina giudiziaria non subisca ulteriori rallentamenti. (3-02233)

Interrogazioni a risposta scritta:


      JANNONE. — Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il problema dei bambini in carcere investe da molto tempo il sistema penitenziario italiano. Nonostante le denunce sia degli operatori sociali, che delle stesse madri, nessuna normativa è stata in grado di predisporre la realizzazione di strutture in grado di accogliere i minori che vivono in una simile condizione. Nell'ultima inchiesta condotta da Il Corriere della sera, si afferma che i bambini di notte vengono trasferiti in infermeria perché nelle celle con la mamma non c’è posto per la notte. Le strutture carcerarie che ospitano i minori, non presentano migliori condizioni igieniche di quelle predisposte all'accoglimento dei detenuti maggiorenni: muffa che scende dalle pareti, bagni delle stanze puzzolenti, giochi messi posticci per camuffare la tetra presenza delle inferriate ovunque. Nelle carceri italiane ci sono circa 70 bambini reclusi. Il numero è costante negli anni. «Lo so, è brutto, ma lontani non possiamo stare, né io né lui» dice una detenuta del carcere Gazzi di Messina. Lo stesso Ministro della giustizia Paola Severino ha ammesso di recente che «il carcere anche nelle situazioni migliori, è un luogo incompatibile con le esigenze di socializzazione e di corretto sviluppo psico-fisico del bambino»;
          in alcuni casi la legge n.  40 del 2001 (che offre alternative alla detenzione proprio a tutela del rapporto tra detenute e figli minori), si trasforma in una serie di ostacoli insormontabili per le detenute straniere, soprattutto se nomadi. E così, dietro le sbarre ci restano soprattutto loro, senza alternativa. Impedimenti che conosce bene anche Serenella Pesarin, che è a capo della direzione generale per l'attuazione dei provvedimenti giudiziari del dipartimento giustizia minorile: «Se non trovano un lavoro, se sono discriminati, se non possono avere i documenti, se passano una vita per avere un rinnovo, se vengono guardati come nemici, cosa gli resta ? Se non gli diamo un'identità, non li strappiamo alle organizzazioni criminali che li stanno sfruttando». L'associazione «a Roma insieme», fondata dall'ex onorevole Leda Colombini, da anni si occupa di ordinarie storie di emarginazione in carcere e ogni giorno fa i conti con le storture del sistema. Con le foto scattate da Giuseppe Aliprandi all'interno di alcune carceri, è stata realizzata una pubblicazione. Si tratta di istantanee di una attesa e poi di una gioia settimanale, il sabato. Li chiamano «Sabati di libertà». È l'unico giorno, infatti, in cui l'associazione può prelevare i bambini e farli uscire dalla segregazione. Per il resto della settimana c’è il carcere con le sue dure regole. Anche quando un bambino si ammala, anche quando deve andare in ospedale o deve subire un'operazione grave, la mamma non può seguirlo, non è autorizzata. Può solo chiedere informazioni agli assistenti penitenziari. È quello che è successo anche a Grcjela, una rom che un'alternativa l'ha trovata. Grazie al volontariato si è ribellata al campo e ha trovato il coraggio di allontanare chi la costringeva a rubare;
          a Pontremoli, è stato realizzato un carcere per sole donne, anzi, per sole donne minorenni, dove entrano in maggioranza rom dedite a piccoli furti. Una struttura che, inserita nelle montagne toscane della Lunigiana, avrebbe dovuto essere un esempio di integrazione; ma, in realtà, il direttore Fiorenzo Cerruto, afferma: «sono qui da pochi mesi e sono riuscito a venire sul posto di lavoro appena 17 volte. Da Firenze ci sono solo intercity che a volte impiegano anche 4 ore ad arrivare. La verità è che trovo enormi difficoltà a radicare le ragazze in un territorio dove non c’è nulla, dove pure portare un'associazione di volontariato come la “Misericordia” di Firenze diventa un'impresa». Cerruto è già direttore al carcere di Firenze e da qualche mese si sta occupando anche di Pontremoli. «Di ragazze che lavorano ? Qui non ce ne sono e credo non ce ne siano mai state. Solo sulla carta». Eppure doveva essere la specialità dell'istituto, il modo per consentire a queste giovani di reintegrarsi, di essere viste come parte della società;
          l'inchiesta de Il Corriere della Sera riporta anche le parole di una volontaria dell'associazione «L'altro diritto», Alba Dedja. «Più che di emarginazione parlerei di esclusione. La società in questo caso non si prende la responsabilità di questa realtà, la esclude e le tratta come un mondo a parte. In questo modo l'integrazione successiva sarà ancora più difficile». Di fatti, la quasi totalità delle ragazze detenute a Pontremoli non resta sul territorio ma, tornano nelle grandi città, da dove sono venute: Milano, Firenze, Napoli e Roma, a fare esattamente quello che facevano prima»  –:
          quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di promuovere una corretta normativa attinente il problema dei minori che vivono, con le madri, all'interno delle carceri italiane, prevedendo la creazione di strutture apposite;
          quali interventi i Ministri intendano adottare affinché sperimentazioni di strutture carcerarie, come quella di Pontremoli, rappresentino effettivamente un'occasione di recupero e di reintegro nella società, per le detenute ivi accolte.
(4-15822)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, lo scorso 18 aprile un detenuto croato avrebbe tentato di togliersi la vita nel carcere di Canton Mombello;
          sulla vicenda il Sindacato nazionale di polizia penitenziaria ha diramato il seguente comunicato: «È accaduto nel tardo pomeriggio di ieri presso il carcere di Canton Mombello. A porre in essere il gesto estremo un giovane detenuto croato, ma la prontezza dei poliziotti penitenziari in servizio ha evitato il peggio. Un tentativo di impiccagione attuato con una corda rudimentale ricavata da brandelli di lenzuola agganciata a tubi che attraversano la stanza detentiva. Nonostante si lavori in un continuo clima emergenziale, in una struttura fatiscente ed inadeguata, con una carenza di uomini che definirei «patologica» possiamo affermare con orgoglio che l'indiscussa professionalità dei poliziotti penitenziari affastella giorno dopo giorno gesti eroici di cui quasi nessuno parla. È solo grazie alla prontezza e alla competenza della polizia penitenziaria che oggi parliamo di un tentativo di suicidio e non dell'ennesima vittima di questo sistema penitenziario «indecente». Diciotto i suicidi in carcere solo in questo primo quadrimestre dell'anno in corso: e di certo la causa di questa mattanza non può non ricercarsi nel sovraffollamento delle carceri che ospitano circa 21.000 detenuti in più rispetto ai posti letto regolamentari. È ora di dire basta  –:
          quali misure di sorveglianza siano state disposte nei confronti dell'uomo dopo il tentato suicidio;
          quante siano le unità dell’equipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Canton Mombello;
          se e come dopo il tentativo di suicidio l'uomo sia seguito dalla equipe degli psicologi del carcere;
          quali siano le condizioni umane e sociali del carcere di Canton Mombello e quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di rendere le condizioni di detenzione delle persone ivi recluse conformi al dettato costituzionale e alle norme dell'ordinamento penitenziario.
(4-15827)


      BORGHESI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          si fa riferimento agli effetti giuridici della comunione legale nella dichiarazione di successione e alla prassi notarile nonché alla semplificazione dei relativi adempimenti e alla corretta trascrizione e individuazione dei titoli di proprietà;
          gli articoli 178 e seguenti del codice civile disciplinano il regime patrimoniale della comunione legale tra coniugi;
          vi è l'obbligo di presentazione della dichiarazione in presenza di almeno un immobile ai sensi del testo unico delle imposte di successione n.  346 del 1990;
          la circolare n.  128 del 2 maggio 1995 del dipartimento territorio del Ministero delle finanze recita: «Nel caso di acquisto compiuto separatamente da uno solo dei coniugi in regime di comunione legale, la trascrizione, come chiarito dal Ministero di grazia e giustizia con risoluzione n.  5/1824/060/1 del 7 luglio 1983, dovrà essere richiesta esclusivamente a favore del coniuge acquirente intervenuto in atto. Non è consentita, pertanto, la trascrizione a favore dell'altro coniuge non intervenuto in atto, né è ammissibile la sua specificazione nel quadro D»;
          l'istituto della comunione legale dei beni in costanza di matrimonio pone dei dubbi interpretativi sulla effettiva e piena titolarità, in capo ad entrambi i coniugi, del diritto reale che viene acquisito in atti ove risulti assente uno dei coniugi;
          non vi è infatti alcuna norma che preveda in modo esplicito l'acquisto del titolo di proprietà anche per il coniuge non intervenuto in atto e ciò crea difficoltà interpretative in ordine ad alcuni obblighi civilistici e fiscali in occasione della caduta in successione del bene;
          per una migliore illustrazione si espongono i seguenti casi:
              la signora Maria moglie del signor Claudio, in regime di comunione legale, acquista la piena proprietà di un immobile stipulando un rogito in assenza del marito. Consolidata prassi e interpretazione notarile vuole che la trascrizione della piena proprietà del bene vada effettuata rilevando il 50 per cento di ogni coniuge; invece l'Agenzia del territorio trascrive in virtù della citata circolare 128/95 la piena proprietà al solo coniuge presente al rogito;
              il signor Claudio muore e consolidata prassi e interpretazione notarile vuole che venga presentata la successione per la quota del 50 per cento, prevedendo così il pagamento delle relative imposte e tasse. A quel punto l'Agenzia delle entrate acquisirà la successione con una visura catastale che non mostra la titolarità del bene in capo al de cuius ed effettuerà una richiesta di trascrizione senza coincidenza con la base dei dati della conservatoria;
              la signora Maria muore e consolidata prassi e interpretazione notarile vuole che venga presentata la successione per la quota del 50 per cento (e non del 100 per cento), precedendo così il pagamento delle relative imposte. A quel punto l'Agenzia delle entrate acquisirà la successione con una visura catastale che mostra la titolarità del bene in capo al de cuius al 100 per cento ed effettuerà una richiesta di trascrizione senza coincidenza con la base dei dati della conservatoria;
              la prassi notarile è però applicata a garanzia dei successivi aventi causa in assenza di una norma chiara ed arriva sino al rifiuto di stipula dei successivi atti di compravendita in assenza di questi titoli di proprietà;
          se però nel caso non venisse presentata la dichiarazione di successione in seguito al decesso del coniuge non intervenuto in atto, l'Agenzia delle entrate non avrebbe la possibilità di contestare l'omessa dichiarazione anche perché non riuscirebbe a «vedere» tale proprietà, e non esiste la norma che regola il comportamento dell'Agenzia delle entrate in questo caso. Per contro, ne consegue che, nel caso di decesso di colui che è intervenuto in atto, l'amministrazione finanziaria avrebbe il dovere di contestare una dichiarazione non corretta essendo stato dichiarata solo la quota di metà;
          occorre pertanto capire quale sia il comportamento corretto da adottare da parte di ogni attore chiamato ad operare in questi ambiti, sia per non effettuare adempimenti non necessari, sia per una corretta attribuzione e devoluzione dei diritti reali, nonché per consentire all'amministrazione finanziaria, intesa in tutte le sue diramazioni, di bene operare  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra riportati;
          se la normativa in questo campo sia pienamente esaustiva, se la prassi o l'interpretazione della norma abbiano creato di volta in volta adempimenti non previsti dalla legge e che hanno effetti distorsivi nella devoluzione dei diritti e nell'applicazione delle imposte, o se sia in errore l'amministrazione dell'Agenzia del territorio allorquando prevede di trascrivere il bene solo in capo al coniuge intervenuto in atto, e quali iniziative di competenza si intendano assumere al riguardo. (4-15850)


      BOCCHINO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il Ministero della giustizia sta predisponendo, in attuazione della legge delega, la revisione della geografia giudiziaria delle Marche, con la chiusura di numerose sedi distaccate di tribunale e di giudice di pace;
          la regione Marche consta di diverse sedi distaccate, che con molta probabilità verranno chiuse in un numero non ancora definito;
          la chiusura di molti uffici giudiziari avverrà in base a dei requisiti dimensionali attinenti al numero degli abitanti, al numero dei magistrati, al numero dei procedimenti, e altro;
          tale ristrutturazione deve avvenire nel rispetto del principio di efficienza e funzionalità delle sedi principali di tribunali  –:
          se il Ministro intenda assicurare che la revisione della geografia giudiziaria delle Marche conservi la sede distaccata di Civitanova Marche, tenendo conto dei seguenti parametri oggettivi già contenuti nella legge delega: a) carico di lavoro esistente e svolto negli ultimi anni; b) popolazione residente nei comuni di competenza; c) funzionalità territoriale della sede in rapporto alla mobilità, privilegiando aggregazioni ottimali di bacino fra i comuni asserviti, oltre che del fatto che le sedi principali di tribunali delle Marche non risultano essere adeguate strutturalmente all'assorbimento di tutte o di parte sostanziale delle sedi distaccate.
(4-15859)


      DIVELLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legge n.  138 del 2011 convertito, con modificazioni dalla legge n.  148 del 2011 (articolo 1, comma 2) delega il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della stessa, provvedimenti per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza;
          lo schema di decreto legislativo attuativo della predetta norma – licenziato dal Consiglio dei ministri in data 16 dicembre 2011 e oggi all'esame delle competenti Commissioni parlamentari, in attesa del prescritto parere e del Consiglio superiore della magistratura – prevede anche la soppressione dell'ufficio del giudice di pace di Rutigliano;
          vi sono però validi ed oggettivi criteri – sulla base dell'estensione del territorio, del numero di abitanti, dei carichi di lavoro, della specificità territoriale del bacino di utenza – per considerare errata la decisione di chiudere il giudice di pace di Rutigliano;
          peraltro il tribunale di Rutigliano è stato recentemente oggetto di opere di ristrutturazione e di ampliamento, finanziate dal Ministero della giustizia e dallo stesso comune, con notevole miglioramento degli ambienti destinati all'attività giudiziaria rendendo la struttura più funzionale ed adeguata alle esigenze degli operatori del settore;
          la soppressione del detto ufficio giudiziario e il suo accorpamento presso la sede del capoluogo di provincia costituiscono non solo un grave danno di immagine ed economico, ma determinano nei confronti della cittadinanza un accesso più disagevole per la giustizia  –:
          se alla luce delle considerazioni esposte in premessa, si ritenga di riformulare lo schema di decreto legislativo, salvaguardando così un presidio come quello del giudice di pace di Rutigliano tanto importante, anche per i risvolti economici legati alla sua presenza, per il territorio in questione. (4-15860)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata:


      MARMO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          Trenitalia ha eliminato numerosi collegamenti ferroviari notturni tra il Nord e il Sud del Paese;
          tale provvedimento ha determinato notevoli disagi ai tanti cittadini che per svariate ragioni scelgono i treni notturni e un contestuale sovraffollamento dei convogli usati per effettuare le poche corse ancora operative;
          tale sovraffollamento ha provocato, oltre i prevedibili disagi all'utenza in particolare pendolare, l'ulteriore peggioramento delle già precarie condizioni di pulizia dei vagoni e l'aggravarsi delle condizioni di sicurezza;
          tale situazione ha suscitato una corale reazione di protesta da parte di numerose associazioni di consumatori, che hanno ripetutamente e inutilmente posto a Trenitalia la questione della sicurezza nei convogli notturni;
          ad esempio, in data 19 marzo 2012 un numero ingente di immigrati tunisini provenienti da tutta Europa, fuorviati dalla falsa notizia di una sanatoria che avrebbe consentito ad una onlus romana di rilasciare permessi di soggiorno con facilità, ha letteralmente invaso i treni notturni; tale flusso straordinario di immigrati, molti dei quali in condizioni di ebbrezza, ha arrecato notevoli disagi ai passeggeri, in particolar modo sul treno notturno che collega Torino a Roma;
          dalle amministrazioni locali e dai pendolari provengono pressanti richieste di ammodernamento e ulteriore incremento dell'offerta di treni locali capaci di soddisfare l'enorme richiesta di trasporto ferroviario locale, alla quale Trenitalia non riesce a fare fronte  –:
          quali iniziative intenda assumere, nei confronti del management di Trenitalia per garantire una maggiore sicurezza sui treni notturni, assicurare ai collegamenti adeguati standard di igiene e di sicurezza, rivedere la decisione di ridurre i collegamenti notturni e, al contempo, incrementare l'offerta di treni locali e l'ammodernamento di quelli in servizio, attesa la crescente richiesta proveniente, in particolar modo, dalle amministrazioni locali, dai pendolari e da chi non può permettersi i prezzi dei collegamenti ad alta velocità. (3-02225)


      RAISI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il 16 aprile 2012 scadeva la seconda proroga, concessa in data 16 gennaio 2012, alla carica di commissario straordinario dell'Aero Club d'Italia del senatore Giuseppe Leoni;
          nonostante gli esposti depositati alla procura della Repubblica ed alla Corte dei conti, il clamore suscitato dagli articoli di stampa e dai servizi radiotelevisivi, il fallimento della proposta statutaria del commissario straordinario rilevato, altresì, dal Consiglio di Stato, nonché la pubblica petizione sottoscritta da numerosi piloti (alla quale lo stesso Leoni avrebbe reagito con lettere di richiamo e «ritorsioni» professionali nei confronti di alcuni firmatari), il Ministro interrogato ha ritenuto di riconfermare il senatore Leoni nella carica di commissario straordinario;
          in passato sono state presentate numerose interrogazioni volte a chiarire molti aspetti della complessa vicenda, nonché a valutare l'opportunità di adeguati controlli, anche con riferimento ad episodi di spreco di denaro pubblico a fini privati;
          il 21 febbraio 2012 l'interrogante presentava un'interrogazione a risposta immediata in Assemblea al Ministro interrogato (la n.  3-02122) sull'argomento, evidenziando che il senatore Leoni è stato più volte nominato commissario dell'Aero Club in aperta violazione di una disposizione di legge: l'articolo 7 della legge n.  340 del 1954 limita, infatti, ad un anno la durata massima dei casi di commissariamento dell'Aero Club d'Italia, per cui non si comprendono le motivazioni per cui il Ministro interrogato confermi, per la terza volta consecutiva, il senatore Leoni nella predetta carica;
          l'interrogante chiedeva, quindi, se il Governo, considerato che i fatti sopra evidenziati creano un vulnus irreparabile nel rapporto fiduciario e di garanzia di buon andamento cui il ruolo di commissario straordinario dovrebbe essere informato, intendesse confermare o revocare al senatore Giuseppe Leoni l'incarico di commissario straordinario dell'ente e se, in ottemperanza ai principi costituzionali che regolano l'accesso agli uffici pubblici ed alle cariche elettive pubbliche in condizioni di uguaglianza (articolo 51 della Costituzione) e agli opportuni principi di correttezza istituzionale, trasparenza e uguaglianza condivisi ed applicati anche nella pubblica amministrazione (articolo 60 del testo unico sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo n.  267 del 2000), non si ritenesse conveniente inserire nell'emanando statuto dell'Aero Club d'Italia, ovvero emettendo altro provvedimento, una disposizione normativa per la quale colui che ha svolto la funzione di commissario straordinario dell'ente stesso risulti, in seguito, ineleggibile a qualsiasi carica e/o funzione elettiva all'interno dell'Aero Club d'Italia;
          il Ministro per i rapporti con il Parlamento, che interveniva nella seduta dell'Assemblea dedicata allo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata in sostituzione del Ministro dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti, rispondeva che «le modifiche statutarie proposte dal commissario straordinario sono tuttora all'esame dei Ministeri vigilanti e che è imminente l'approvazione del nuovo statuto», ma «in ogni caso, considerata la delicatezza della vicenda sottoposta all'attenzione del Governo», assicurava che sarebbero stati «portati a termine gli approfondimenti del caso al fine di accertare la correttezza dell'operato degli organi dell'ente»;
          in quella sede l'interrogante replicava sostenendo, tra l'altro, l'evidenza documentale del reato di peculato e si impegnava a trasmettere al Ministero la documentazione comprovante l'ipotesi di reato;
          successivamente emergeva anche la prova documentale, già trasmessa al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che l'aumento della quota di iscrizione dell'Aero Club d'Italia alla Federazione aeronautica internazionale, lungi dal costituire una questione di prestigio e di buon andamento dell'ente, è stata deliberata al solo fine (riportato nella documentazione della Federazione aeronautica internazionale) di pagare un debito contratto da un comitato privato nei confronti della Federazione aeronautica internazionale stessa, con l'indebito utilizzo e distrazione del denaro pubblico dell'Aero Club d'Italia con riferimento a sprechi e distrazioni di denaro pubblico a fini privati;
          sulla base delle evidenze documentali che confermavano l'esistenza del reato di peculato, l'interrogante presentava un esposto-denuncia alla procura della Repubblica di Bologna;
          nei mesi di febbraio, marzo ed aprile 2012 su alcune riviste specializzate del settore («Volare» e «Volo Sportivo») sono stati pubblicati degli articoli che portavano in evidenza lo scandalo della gestione dell'Aero Club d'Italia da parte del commissario straordinario: i fatti venivano ampiamente diffusi su scala nazionale, suscitando pubblico scandalo a seguito della trasmissione «Le Iene» del canale televisivo Italia1 (il servizio nel quale appare il commissario straordinario estremamente imbarazzato ed incapace di dar conto delle ipotesi di peculato contestategli dai giornalisti è ad oggi ancora visibile su internet);
          il Consiglio di Stato, con decisione del 22 marzo 2012, sospendeva l'approvazione dello statuto e, in accoglimento delle istanze del professor avvocato Caputi Jambrenghi, rilevava vari profili di abnormità sia nell’iter formale di approvazione, sia sotto il profilo sostanziale, richiedendo di conseguenza numerosi adempimenti da parte dei ministeri interessati. In particolare, veniva evidenziato dal Consiglio di Stato che lo statuto proposto dal commissario straordinario presentava numerose innovazioni non previste e non richieste dai criteri direttivi della delega conferita al commissario straordinario, tanto da non integrare le semplici modifiche richieste dal decreto legislativo, ma addirittura costituire una riscrittura totale «ex novo» dello statuto stesso con rilevanti modifiche non richieste all'assetto dell'ente;
          l’iter di approvazione dello statuto, pertanto, secondo il Consiglio di Stato, dovrà sostanzialmente essere rivisto completamente. Al contrario di quanto riferito dal Ministro per i rapporti con il Parlamento, si è dunque ben lungi da un'imminente approvazione, tanto che ben 16 mesi sono stati sprecati dal commissario straordinario dell'Aero Club d'Italia, il quale avrebbe dovuto, a norma del decreto di nomina, completare il lavoro in 90 giorni;
          l'avvocato Luca Biagi provvedeva a depositare un esposto alla Corte dei conti a seguito dei fatti anzi evidenziati e, in particolare, con riguardo alla distrazione di denaro pubblico evidenziatasi nelle seguenti delibere:
              a) delibera commissariale dell'Aero Club d'Italia n.  234 del 20 luglio 2011, con la quale i fondi dell'ente venivano distratti al fine di pagare la parcella professionale di avvocati per una causa civile intentata personalmente dal senatore Leoni, nella quale l'Aero Club d'Italia non era né parte sostanziale, né parte avente alcun interesse ad agire (come attestato nella sentenza stessa del tribunale);
              b) delibera commissariale dell'Aero Club d'Italia n.  48 del 9 febbraio 2011, con la quale il commissario straordinario provvedeva, attraverso un escamotage di volontario aumento di quote di iscrizione alla Federazione aeronautica internazionale da parte dell'Aero Club d'Italia, a pagare con il denaro pubblico dell'ente stesso un debito contratto da un comitato privato;
              c) delibera commissariale dell'Aero Club d'Italia n.  321 del 15 giugno 2011, con la quale si provvedeva all'acquisto di un costoso orologio (dal valore di 3.700,00 euro), al fine di regalarlo ad un attore cinematografico, il quale ha poi dichiarato di non aver mai ricevuto tale oggetto;
          in data 12 aprile 2012 il professor avvocato Caputi Jambrenghi depositava al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, presso la direzione generale del dottor Pelosi, un'istanza ampiamente motivata con la quale rappresentava, attesa la situazione di vera e propria sofferenza nella quale versa la vita associativa dell'Aero Club d'Italia, l'urgenza di non investire per la quarta volta consecutiva il senatore Leoni del compito commissariale, bensì altra persona che ispiri la propria attività unicamente alle finalità istituzionali dell'ente  –:
          quali ragioni abbiano condotto il Governo a prorogare ulteriormente la gestione commissariale da parte del senatore Giuseppe Leoni e se, anche alla luce di quanto evidenziato in premessa, il Governo intenda revocare o confermare allo stesso l'incarico di commissario straordinario dell'ente. (3-02226)

Interrogazione a risposta orale:


      DELFINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il 19 aprile 2012 si è riunita, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la conferenza di servizi relativamente agli interventi necessari alla realizzazione dell'autostrada Asti-Cuneo;
          alla presenza dei rappresentanti degli enti locali interessati, della società concessionaria e dell'Anas, la conferenza ha espresso parere favorevole alla realizzazione degli interventi previsti per il lotto 2.6 (Roddi-Verduno);
          con il parere positivo, a breve, l'Anas dovrebbe autorizzare l'avvio dei lavori previsti;
          stando a quanto riportato dagli organi di stampa, l'importo dei lavori comprese le opere complementari, sarebbe superiore agli 800 milioni di euro;
          dopo anni di rinvii, il via libera della conferenza di servizi rappresenta indubbiamente un importante passo avanti per la realizzazione di un'infrastruttura fondamentale per la viabilità e lo sviluppo dei territori interessati, ma altrettanto importante è verificare che l'autorizzazione per l'avvio dei lavori da parte dell'Anas arrivi in tempi certi senza inutili ritardi  –:
          quale sia lo stato dell’iter tecnico-amministrativo, quale sia il crono-programma definitivo per la realizzazione del lotto 2.6 (Roddi-Verduno), e quali siano i tempi previsti per il completamento dell'autostrada;
          quale sia l'entità delle risorse disponibili necessarie sia per la realizzazione dei lotti autostradali sia per le opere complementari previste. (3-02231)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      DI BIAGIO e MADIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la tragedia della nave da crociera Concordia, protagonista di un drammatico incidente al largo dell'Isola del Giglio, nell'arcipelago toscano, ha evidenziato l'importanza della professione subacquea nell'espletamento di interventi delicati e complessi come la ricerca ed il recupero dei dispersi, lo scandaglio della struttura incidentata e la messa in sicurezza della stessa e dell'area circostante;
          decine di operatori subacquei sono stati coinvolti immediatamente dopo i tragici fatti della nave e il loro complesso lavoro rappresenta uno degli elementi determinanti delle operazioni di intervento delle autorità competenti;
          purtroppo, secondo l'interrogante, si tende a considerare questa categoria di lavoratori soltanto in occasioni tragiche, come quella che ha visto protagonista la nave Concordia, sminuendone di fatto la rilevanza e limitando gli interventi di natura regolamentare ed operativa di cui la stessa necessita;
          nella fattispecie, al momento sussistono molteplici criticità di natura normativa in capo alla disciplina delle attività subacquee, sia sotto il profilo della sicurezza che quello organizzativo e previdenziale tale da rendere complessa addirittura l'esplicazione delle stesse attività e da limitarne in maniera drastica la competitività e la validità a livello internazionale;
          l'Italia rimane l'unico Paese in Europa a non aver predisposto un quadro unitario e onnicomprensivo alla base della disciplina delle attività subacquee finalizzato a identificare, oltre che tutelare, la categoria degli operatori subacquei e iperbarici;
          infatti, in Italia molte aziende operanti nel settore, qualora impegnate su aree internazionali, spesso al fine di espletare attività di questo tipo fanno riferimento a società estere più rispettose della normativa europea in materia, anche se meno valide;
          la prassi, drammaticamente consolidatasi, mette in evidenza che ciascun comparto dell'attività industriale fa riferimento a operatori subacquei inquadrandoli però sotto il profilo contrattuale in categorie fortuite, del tutto slegate al tipo di attività e responsabilità in capo all'operatore stesso, e dunque in assenza di adeguata tutela legislativa;
          dal novembre 2009 è pendente in Parlamento un'ipotesi di testo unificato recante disciplina delle attività subacquee ed iperbariche, punto di approdo normativo di tre proposte di legge e del lavoro di un tavolo tecnico che ha visto partecipi attivi e trasversali deputati, organizzazioni di settore e tecnici specialisti;
          dalle informazioni a disposizione dell'interrogante, risulta che l’impasse al momento sussistente in relazione al proseguo dell’iter è causata da un rallentamento delle attività del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che al momento non risulta aver ancora elaborato la necessaria relazione tecnica propedeutica al parere della ragioneria di Stato, della Commissione bilancio e dunque necessaria a garantire il prosieguo dell’iter;
          dal 2009 ad oggi l’impasse burocratica che vincola il prosieguo dell’iter parlamentare ha di fatto consentito il permanere nell'ambiente delle attività subacquee di una sorta di anarchia e confusione tale da condurre a molteplici incidenti, talvolta mortali, che potevano essere sicuramente evitati  –:
          se intenda adottare ogni adempimento di competenza al fine di favorire il rapido svolgimento dell’iter parlamentare di cui in premessa. (5-06670)


      LOVELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la regione Piemonte e Trenitalia hanno recentemente comunicato l'intenzione di procedere alla soppressione di 12 linee ferroviarie sul territorio regionale e alla loro successiva sostituzione con collegamenti tramite autobus;
          in particolare, dal piano di riorganizzazione del trasporto pubblico ferroviario piemontese risultano essere state interessate dalla conversione da rotaia a gomma le linee: Alba-Asti; Alba-Alessandria; Asti-Casale-Mortara; Cuneo-Mondovì; Cuneo-Saluzzo-Savigliano; Novi Ligure-Tortona; Alessandria-Ovada; Casale-Vercelli; Santhià-Arona; Pinerolo-Torre Pellice; Chivasso-Asti; Ceva-Ormea;
          alla base della decisione regionale vi sarebbe la non remuneratività degli attuali collegamenti ferroviari, dalla cui soppressione deriverebbe un risparmio stimato in 15 milioni di euro, il cui successivo riutilizzo non parrebbe essere vincolato all'impiego nel settore del trasporto ferroviario locale;
          in particolare per quanto riguarda le linee gravitanti sulla provincia di Alessandria si rileva che la prevista soppressione della Novi-Tortona e della Alessandria-Ovada vanno ad incidere su collegamenti fra alcuni dei centri più importanti della provincia in contraddizione con progetti di sviluppo ferroviario che caso della Novi-Tortona prevedono il raddoppio dei binari in relazione al progetto per il terzo valico dei Giovi;
          dai previsti tagli ai collegamenti deriverebbe, inoltre, particolare disagio per la linea «Asti-Casale-Mortara», la quale parrebbe destinata da un abbandono definitivo non solo da parte dei treni di Trenitalia, ma anche da parte del gestore della rete, RFI, che presumibilmente procederà alla sua completa disabilitazione, sgravandosi così dei costi di gestione;
          la decisione annunciata dalla regione Piemonte e da Trenitalia, senza preavviso e senza una preventiva consultazione con gli utenti che utilizzano quotidianamente il servizio, potrebbe provocare una serie di disagi per quanto concerne l'aumento dei tempi di percorrenza nel passaggio da rotaia a gomma ed in relazione alla capienza dei mezzi sostitutivi. Gli autobus hanno infatti una capienza massima di 50 posti ed in caso di situazioni di affollamento, potrebbe quindi non essere garantito il diritto degli utenti a viaggiare sul mezzo, pur avendo pagato il biglietto;
          la conversione delle 12 linee piemontesi «minori» da rotaia a gomma comporterà inoltre conseguenze negative in merito all'emissione di gas inquinanti connaturati al trasporto su mezzi a motore. Fattispecie questa nettamente in contrasto con gli obiettivi definiti a livello europeo con l'adozione nel 1998 del «Pacchetto clima-energia 20-20-20» volto conseguire gli obiettivi entro il 2020 di ridurre del 20 per cento le emissioni di gas a effetto serra, di portare al 20 per cento il risparmio energetico e di aumentare al 20 per cento il consumo di fonti rinnovabili e a quanto disposto dal Protocollo internazionale di Kyoto, a cui anche l'Italia ha aderito  –:
          se, anche in qualità di azionista di Ferrovie dello Stato italiano, sia a conoscenza della decisione finalizzata alla sostituzione delle 12 linee ferroviarie di cui in premessa con collegamenti tramite autobus;
          se non ritenga che il provvedimento sia antitetico agli indirizzi in materia di tutela ambientale imposti a livello comunitario ed internazionale. (5-06681)

Interrogazioni a risposta scritta:


      TASSONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          Taranto è discostata solo di 172 m.n. dalla rotta Suez – Gibilterra, godendo di una eccellente posizione geografica nel mediterraneo;
          la capitaneria di porto – guardia costiera, di fatto sono «forza di polizia» oltre che autorità marittima, con specifiche competenze di dipendenze funzionali in particolare dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti piuttosto che da quelli dell'ambiente e della tutela territorio e del mare, dell'interno, delle politiche agricole, alimentari e forestali, per i beni e le attività culturali e della difesa;
          negli ultimi tre anni a Taranto vi sono state diverse decine di arresti, e tuttora, l'attività in materia marittima sia sotto l'aspetto penale che amministrativo è incessante e di alta qualità;
          il porto di Taranto negli ultimi anni è il secondo/terzo porto d'Italia per traffico mercantile ed è considerato dal diritto internazionale baia storica; è facilmente presumibile che sia il porto più inquinato d'Europa, visto il colore rosso dei minerali che è presente sulle strade nel porto e sulle scrivanie degli uffici, oltre ai cattivi odori; le stesse rappresentanze militari e le autorità marittime e militari ben quattro mesi fa hanno chiesto il monitoraggio continuo dell'aria nel porto, senza che ancora l'autorità portuale e l'ARPA vi abbiano provveduto;
          il compartimento marittimo ha una distensione di 180 chilometri di costa. Non vi è un solo ufficio circondariale. A fronte di tutto ciò, vi è una forte scarsità di personale; vi è infatti solo una motovedetta di guardia h24 in 180 chilometri di costa, oltre alle squadre che escono quando vi sono attività di polizia ed in determinate circostanze;
          vi sono molti interventi a supporto della marina militare derivante dalla importante presenza del primo porto militare in Italia;
          il 26 marzo 2012 il vice Ministro delle infrastrutture e di trasporti Ciaccia ha inaugurato i lavori della cosiddetta «piastra logistica», che potrebbe portare prestigio e benefici alla città. Ci saranno ampliamenti considerevoli di moli, strade ed impianti per circa 220 milioni di euro  –:
          se sia intenzione del Governo innalzare il rango della capitaneria di porto di Taranto a direzione marittima dello «Jonio e del Salento» e al contempo valutare di innalzare il rango di locamare Policoro e Marina di Maruggio a circomare;
          se non si intendano aumentare gli organici della capitaneria di porto e dei locamare dipendenti;
          se non si ritenga opportuno dislocare nella base di Taranto, almeno uno dei quattro pattugliatori «classe 900» di prossima assegnazione, in considerazione della presenza del porto militare che consentirebbe gli ormeggi e il sostegno logistico per il personale dell'unità navale. (4-15845)


      MARMO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la linea ferroviaria Asti-Alba è una tratta molto importante di collegamento per il tessuto astigiano-albese, utilizzata da giovani studenti, lavoratori e pensionati;
          tale linea, rispondente alle esigenze del territorio e degli enti locali, fu resa possibile, anche attraverso un cospicuo investimento per la realizzazione di un viadotto ferroviario;
          ora la linea è interrotta dal 2010 nel tratto compreso tra Castagnole delle Lanze ed Alba (e viceversa);
          negli ultimi tempi anche la porzione di tratta Castagnole delle Lanze/Asti è fatta oggetto di sostituzioni con pullman, aggiungendo caos al caos;
          i lavori riguardanti la galleria Gherzi (comune di Alba), secondo il cronoprogramma avrebbero dovuto terminare nell'estate 2012, ma, a quanto risulta all'interrogante, sono state realizzate solo opere di manutenzione, mentre, mancherebbero ancora la progettazione definitiva dei lavori strutturali e la certezza della loro finanziabilità;
          tutto ciò rende incerti la fine dei lavori e il ritorno alla normalità;
          in termini generali le tratte ferroviarie permettono di rendere più agevole e più decongestionato il traffico su gomma ed una notevole riduzione dell'inquinamento atmosferico;
          i sindaci del territorio, ove insiste la tratta Asti/Alba, hanno già espresso tutte le loro preoccupazioni alle autorità competenti  –:
          se intenda promuovere un tavolo di confronto con la partecipazione della regione Piemonte, di RFI e di Trenitalia, al fine di agevolare la definizione di un piano concordato e di un cronoprogramma definitivo dei lavori necessari per rispondere alle esigenze del territorio e degli Enti locali. (4-15851)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      CALVISI, PALOMBA, MEREU, FADDA, MARROCU, MELIS, ARTURO MARIO LUIGI PARISI, PES, SCHIRRU e SORO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 2 febbraio 2012 il coordinamento provinciale di Cagliari dell'Anpi ha scritto al prefetto, al questore e al sindaco per chiedere che non venisse autorizzata la manifestazione neofascista che ormai da anni si tiene a Cagliari nel pomeriggio della giornata del 25 aprile;
          opportunamente, in tale documento si rileva come tali iniziative, svolte in contrasto e in concomitanza con quelle che si celebrano il giorno della Festa nazionale della Liberazione, da parte di ben noti gruppi neofascisti, abbiano ad oggetto la «commemorazione della repubblica di Salo», con un evidente intento provocatorio il quale, oltre ledere la memoria storica della Resistenza al fascismo e, da cui origina la Repubblica italiana, possono costituire motivo di incontrollabili contrasti e di turbamento dell'ordine pubblico;
          il 22 febbraio 2012, il prefetto ha risposto affermando di non avere il potere di vietare la manifestazione se non per motivi di ordine pubblico;
          va sicuramente ribadito il saldo riferimento al principio costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero e di riunione pacifica e senz'armi, è da osservarsi che in passato la concomitante provocatoria rievocazione dell'esperienza repubblichina nella medesima giornata della Festa della Liberazione, ha dato luogo nella città di Cagliari a tafferugli e scontri;
          il nostro ordinamento preveda altresì, in particolare con la legge n.  645 del 1952, nota come «Legge Sceiba», di attuazione della XII disposizione transitoria (comma primo) della Costituzione, il divieto di ricostituzione del partito fascista configurandolo in una serie di condotte che possono essere sanzionate, tra le quali «... quando esaltando, minacciando o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista»;
          a parere degli interpellanti, non sembrano esserci dubbi sui reali intendimenti degli organizzatori della iniziativa dei gruppi neofascisti;
          anche su istanza del sindaco di Cagliari, il prefetto non ha autorizzato il corteo neofascista per le strade della città, ritenendo tuttavia di non vietare un lungo sit-in nel centro di Cagliari;
          proprio in riferimento ai motivi di sicurezza pubblica, presupposto che la Costituzione individua per vietare riunioni pubbliche, si ricorda che già il 25 aprile del 2009 (in occasione di una manifestazione neofascista della stessa indole) vi furono disordini culminati da scontri tra la polizia e manifestanti antifascisti scesi in piazza per contestare il presidio delle camicie nere;
          le celebrazioni della Liberazione stanno registrando preoccupanti segnali di denigrazione e provocazione in più parti d'Italia  –:
          se non ritenga opportuno impartire le dovute direttive utili a garantire il sereno svolgimento della festa nazionale della Liberazione nel capoluogo della Sardegna, verificando che i neofascisti antagonisti rispettino la legge 645 del 1952, impedendo – per i motivi previsti dall'articolo 17, ultimo comma della Costituzione – concomitanti «celebrazioni» della repubblica di Salò, che potranno legittimamente tenersi in altra giornata;
          quali urgenti iniziative intenda assumere al fine di assicurare che la festività del 25 aprile non risulti condizionata da iniziative provocatorie di gruppi ampiamente minoritari, ma pericolosi sul piano della tutela dell'ordine pubblico, volte a creare un clima di tensione e di oltraggio della memoria della Resistenza e dei valori fondanti della nostra democrazia.
(5-06672)


      FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il Presidente della Repubblica in data 18 aprile 2011 ha decretato lo scioglimento del consiglio comunale di Platì (Reggio Calabria) ai sensi degli articoli 53, comma 3, e 141, comma 1, lettera b), n.  2 del decreto legislativo 18 agosto n.  267 a seguito delle dimissioni rassegnate dal sindaco;
          nel suddetto decreto del Presidente della Repubblica, diffuso dal Ministero dell'interno, il comune di Platì è stato inserito nell'elenco dei comuni chiamati al voto per il prossimo 6 e 7 maggio;
          a seguito di ciò in data 21 maggio 2012 sono stati convocati i Consigli elettorali ed avviate le procedure di rito per il rinnovo del consiglio comunale;
          dal momento in cui si è appreso, dalla pubblicazione sul sito ufficiale del Ministero dell'interno che il comune di Platì rientrava fra quelli interessati alla tornata elettorale del 6/7 maggio 2011, si è messo in moto il meccanismo naturale di organizzazione di candidature a sindaco e di presentazione di liste;
          in data 22 marzo 2012 il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto di proroga della gestione commissariale del comune di Platì bloccando, così, un importante processo democratico che si era positivamente avviato  –:
          quali ragioni e quali nuovi ed ulteriori elementi abbiano determinato il provvedimento di rinvio delle elezioni democratiche nel comune di Platì. (5-06674)


      DE CAMILLIS. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          da numerose notizie di stampa si apprende che la procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, in Campania, ha terminato nei giorni scorsi una inchiesta sulle infiltrazioni della camorra nel settore delle energie rinnovabili e in particolare nel settore dell'eolico;
          dalle indagini risulta anche nella regione Molise operano due società che hanno tutt'ora interessi nel settore, sono legate a doppio filo con il clan camorristico dei Schiavone di Casal Di Principe;
          il pubblico ministero che si sta occupando dell'inchiesta non ha voluto rivelare i nomi delle due società per ovvie ragioni di segretezza, ma risulta che le aziende intendevano fare affari con l'energia eolica, sfruttando fondi pubblici ma senza benefici per il territorio;
          il settore dell'eolico in Italia fosse tra i settori della green economy a più alto rischio infiltrazioni mafiose era risaputo, com'era risaputo anche che lo stesso settore dell'eolico fosse tra quelli in cui la corruzione è a livelli altissimi, infatti, diverse procure della Repubblica in Italia hanno iniziato a indagare su strani intrecci tra politica, mafie ed economia, una di queste è proprio la procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere;
          si rileva che la regione Molise è fortemente interessata dall'installazione di impianti eolici tant’è vero l'interrogante ha presentato un'interrogazione al Ministro per i beni e le attività culturali e al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in quanto le pale eoliche venivano installate in zone importanti da un punto di vista storico-architettonico e paesaggistico del territorio;
          è evidente che il settore dell'eolico è un investimento molto appetibile per la criminalità organizzata, bisogna evitare anche per questo indotto la speculazione mafiosa  –:
          se sia a conoscenza del fatto suesposto;
          quali iniziative intenda adottare al fine di verificare che le società che operano in Molise nel comparto eolico non abbiano infiltrazioni della criminalità organizzata. (5-06675)


      GINEFRA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          come si è appreso dal servizio della trasmissione «Le Iene», andato in onda mercoledì 18 Aprile, il 5 agosto 2012 il signor Fabrizio Corona noleggiava nella città di Bolzano un'automobile, per un durata di tre giorni;
          alla scadenza del periodo concordato, l'automobile non veniva restituita al noleggiatore;
          la restituzione del mezzo avveniva dopo più di un mese e dopo diverse sollecitazioni del noleggiatore che nelle more della stessa – da quanto si è appreso nel medesimo servizio – si vedeva recapitare oltre venti contravvenzioni per infrazioni al codice della strada con la contestazione di quaranta punti di sanzione accessoria a quella pecuniaria;
          dopo aver provato invano a contattare in più di un'occasione il signor Corona per la restituzione del mezzo e per la corresponsione del canone di noleggio, nonché degli importi delle contravvenzioni, il noleggiatore si vedeva costretto ad intimargli con sms di provvedere con sollecitudine alla stessa altrimenti avrebbe denunciato il tutto alle autorità competenti;
          solo a seguito della suddetta intimazione il signor Corona si manifestava annunciando la restituzione del mezzo per mezzo di un suo collaboratore;
          questa avveniva nelle giornate successive all'invio dell'sms. Il soggetto incaricato dal Corona all'atto della consegna dell'auto chiedeva al noleggiatore di inviare la fattura presso la residenza dello stesso signor Corona. Questi, seguendo tale prescrizione, inviava il tutto per mezzo postale ma, dopo qualche giorno, si vedeva restituire la fattura in quanto Corona risultava trasferito;
          il noleggiatore si rivolgeva, dunque, alla redazione de «Le Iene» che incaricavano il signor Andrea Agresti di occuparsi del caso. Questi, insieme al noleggiatore, realizzava un videomessaggio che recapitava al signor Corona in un ristorante milanese. In tale video il noleggiatore manifestava le sue rimostranze per un comportamento a suo dire scorretto; il signor Corona visionato il videomessaggio non rilasciava alcuna dichiarazione, ma prontamente contattava telefonicamente il comandante della stazione dei carabinieri di via Moscova a Milano, chiedendogli di recarsi immediatamente nel ristorante dove si trovava a pranzo;
          il comandante Enrico Guastini, da quanto si evince dalla visione del video mandato in onda dalle Iene, sopravveniva con sollecitudine e precisava che a sua avviso, il reato di appropriazione indebita non sussisteva;
          dopo aver avuto tale rassicurazioni il signor Corona aggrediva a telecamere accese e senza che il comandante Guastini intervenisse in alcun modo l'inviato delle Iene; non solo, dunque, Guastini è sembrato obbedire prontamente al signor Corona mostrando un atteggiamento inspiegabilmente dimesso, ma ha anche sostenuto che il suddetto Corona non aveva commesso alcun reato nei confronti dell'autonoleggiatore;
          tale comportamento ha giustamente destato le proteste di tanti telespettatori che hanno assistito alla trasmissione, indignati per il fatto che un comandante dei carabinieri fosse apparso così remissivo e obbediente alle richieste del signor Corona, nonché, da quanto è dato vedere, indifferente all'aggressione subita dal signor Agresti  –:
          quali iniziative intendano promuovere per la valutazione della condotta del luogotenente Guastini e, nel contempo, quali eventuali provvedimenti disciplinari ritengano di assumere per tutelare l'onore dell'arma dei Carabinieri. (5-06679)

Interrogazioni a risposta scritta:


      JANNONE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          nella Locride, la criminalità organizzata ha recapitato due chiarissimi messaggi intimidatori a un giornalista specializzato in cronaca nera e giudiziaria. Nei giorni scorsi, infatti, ad Ilario Filippone, cronista di Calabria Ora e corrispondente dell'agenzia Reuters, è stata distrutta l'auto e forzata la cassetta della posta della sua abitazione, La vettura, parcheggiata sotto casa e acquistata da Filippone appena sette mesi fa, è saltata in aria mentre il giornalista non era in casa. L'esplosione dell'auto ha richiamato l'attenzione della mamma e della sorella del giornalista, che hanno chiamato carabinieri e vigili del fuoco e avvertito Filippone. Le indagini, coordinate dalla procura di Locri, sono condotte dai carabinieri e della polizia. Gli inquirenti hanno sentito il cronista e hanno acquisito le immagini di una telecamera del circuito di videosorveglianza di un distributore di carburante nelle vicinanze dell'abitazione di Filippone. Sono in corso accertamenti scientifici per verificare se l'esplosione dell'auto sia dovuta al posizionamento di un ordigno oppure se è stato appiccato un incendio all'auto e sia conseguenza del contatto tra le fiamme e il serbatoio;
          il direttore di Calabria Ora, Piero Sansonetti, si è detto «molto vicino a Ilario Filippone, un giornalista di primissimo piano che non ha paura e fa inchieste che scottano». Il vicedirettore Davide Varì: «Siamo molto preoccupati. Ilario è un giornalista molto bravo, che fa inchieste. E la ’ndrangheta ha paura della vera informazione. Ma è bene che si sappia che noi non faremo nessun passo indietro». Anche Alfredo Citrigno, presidente del gruppo editoriale di Calabria Ora, ha espresso vicinanza a Filippone e «alla sua famiglia. Questo gesto dimostra che con il suo lavoro sta toccando i nervi scoperti di qualcuno». Il presidente del Consiglio regionale, Francesco Talarico ha così commentato: «Gesti così eclatanti, che colpiscono la libera informazione, ci preoccupano per la loro pericolosità e, nello stesso tempo, ci avvertono che in Calabria l'emergenza ordine pubblico ormai ha assunto toni gravi. La nostra sta diventando una democrazia condizionata dalle intimidazioni: amministratori locali quotidianamente minacciati, al punto da indurli a lasciare anzitempo il mandato come nel caso di Monasterace, e giornalisti che, in conseguenza dell'esercizio del loro diritto-dovere d'informazione, sono presi di mira. L'auspicio è che insieme si possa resistere a queste pressioni abnormi, sperando in una reazione più serrata e incisiva dello Stato»;
          a pochi giorni dall'ennesimo atto intimidatorio subito dal sindaco di Monasterace, Maria Carmela Lanzetta, quindi, il territorio della locride è costretto a registrare pesanti intimidazioni della ’ndrangheta, che colpisce quella parte del giornalismo calabrese che con coraggio porta avanti pesanti inchieste. Il presidente della regione, Giuseppe Scopelliti, invita Ilario Filippone ad «andare avanti, consapevole che le Istituzioni sono al suo fianco e con la certezza che magistratura e forze dell'ordine faranno piena luce sull'accaduto». «Si tratta – ha aggiunto Scopelliti – di un episodio preoccupante, nei confronti di un professionista che si occupa di un territorio molto delicato come la Locride e svolge il proprio lavoro con grande impegno e onestà intellettuale». Lo stesso invito è stato rivolto al giornalista e a Calabria Ora da Agazio Loiero, coordinatore nazionale Mpa-Ad, per una «informazione libera da qualsivoglia condizionamento»  –:
          quali interventi il Ministro intenda adottare al fine di rafforzare il controllo del territorio nella locride, anche alla luce degli attentati che si sono succeduti nel breve periodo. (4-15821)


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          Radio radicale ha mandato in onda un'intervista il cui contenuto è secondo gli interroganti incredibile se la veridicità dei fatti fosse confermata;
          un imprenditore veneto, Mario Bortoletto, imprenditore edile a capo della ditta Bortoletto Engineering, una piccola impresa di 15 dipendenti e 3 milioni e mezzo di euro di fatturato, è il protagonista di un episodio iniziato nel 2009, quando il Ministero degli Interni (FEC) gli propone, per conto di uno sponsor, la ristrutturazione di un appartamento a Venezia in Campo San Paolo e il restauro della facciata di una chiesa di Roma. Lo sponsor, con il ricavato di cartelloni pubblicitari che doveva esporre sui ponteggi della chiesa a Roma, avrebbe pagato le due imprese edili esecutrici delle opere a Venezia e a Roma;
          vengono, quindi, convocati al Viminale: i due titolari delle imprese edili (tra cui la Bortoletto Engineering) e lo sponsor, per sottoscrivere la Convenzione predisposta dallo stesso Ministero e i contratti d'appalto. All'articolo 12 della stessa Convenzione viene dichiarato che il Ministero, con la firma di detta Convenzione, aveva ricevuto dallo sponsor una fideiussione a garanzia del finanziamento dei lavori;
          garantito e referenziato dal Ministero, Bortoletto inizia i lavori dell'opera secondo il contratto stipulato e, dopo quasi due mesi, viene portato a termine l'85 per cento del restauro;
          i giorni passano, scadono i pagamenti con lo sponsor che rifiuta di pagare il credito e, avvisato il Vice Prefetto, Bortoletto chiede di escutere la fideiussione prevista dall'articolo 12 della Convenzione;
          una fideiussione che, a quanto pare, il Ministero ancora non aveva e che, secondo varie rassicurazioni, avrebbe immediatamente richiesto allo sponsor;
          tempo perso, perché la società sponsorizzata durante i lavori fallisce, facendo cadere ogni speranza sul credito da incassare. A questo punto il Ministero decide di trovare un altro sponsor, in grado di subentrare al posto del precedente andato in fallimento;
          il nuovo sponsor viene individuato in una nuova ditta, la quale si sarebbe impegnata a pagare i lavori della facciata della chiesa a Roma ottenendo uno sconto sul totale dei lavori da eseguire e ad esporre sul ponteggio pubblicità per 24 mesi anziché 18 mesi, come previsto nella Convenzione precedente, garantendosi così un notevole maggior utile;
          a questo punto il FEC pretendeva che Mario Bortoletto sottoscrivesse una nuova Convenzione, escludendo la fideiussione a garanzia del finanziamento dei lavori e pertanto esponendo la ditta Bortoletto Engineering ad un ulteriore rischio: lavorare senza un'adeguata garanzia; un passo che l'imprenditore veneto ha decisamente rifiutato di compiere;
          il nuovo sponsor ha eseguito il ripristino della facciata della Chiesa di Roma e ha pagato il Ministero secondo quanto convenuto nella nuova convenzione. Il Ministero, dunque, ha incassato il credito dello sponsor ma non ha pagato l'impresa Bortoletto Engineering, la quale è ancora in attesa dei crediti vantati confronti dello Stato per il servizio fornito;
          crediti che non sono mai stati rispettati e che hanno portato l'azienda sull'orlo di una drammatica crisi finanziaria;
          l'imprenditore, sollecitando l'amministrazione centrale per ricevere il compenso della propria opera lavorativa, si è sentito rispondere che i crediti da lui vantati non erano a carico del Ministero perché la fideiussione a garanzia del creditore non sarebbe mai stata sottoscritta  –:
          se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, con chi l'amministrazione abbia sottoscritto il contratto di locazione dell'abitazione restaurata dalla Bortoletto Engineering in Venezia e, soprattutto, quali iniziative gravi e urgenti intendano assumere per dare soluzione alla vicenda narrata. (4-15832)


      DI PIETRO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'interrogante ha presentato, in data 3 febbraio 2010, l'atto di sindacato ispettivo 4-05995, cui peraltro non è giunta alcuna risposta, relativo al completamento dei lavori per il risanamento antisismico dell'edificio scolastico del comune di Fossalto;
          nelle more di quanto evidenziato nel citato atto, va ulteriormente specificato che l'ingegner Maurizio Nerilli è stato incaricato dalla giunta comunale, con deliberazione n.  194 del 6 novembre 2009, al controllo statico dell'intero edificio scolastico; con la relazione del 11 novembre 2009 prima e con la relazione del 8 gennaio 2010 poi, documenti contenenti valutazioni sullo stato dei luoghi nonché sul grado di miglioramento sismico conseguito, lo stesso Nerilli ha riferito che non sussistono le condizioni di sicurezza tali da poter modificare l'ordinanza di inagibilità dell'edificio scolastico del 5 novembre 2009;
          i lavori eseguiti, da quanto si legge nella relazione del 8 gennaio 2010, non solo non hanno permesso di aumentare il grado di sicurezza dello stabile nei riguardi di un sisma di forte intensità, ma, addirittura hanno posto in essere condizioni di pericolosità maggiori rispetto alla situazione preesistente;
          il sindaco del comune di Fossalto, con ordinanza n.  1 del 15 gennaio 2010 ha decretato, viste le relazioni tecniche sopra citate, la chiusura definitiva dell'edificio scolastico e lo spostamento delle attività presso altro edificio di proprietà del comune, al fine di tutelare l'incolumità degli alunni, del personale docente e di quello ausiliario;
          il consulente tecnico del PM, non avrebbe confutato le affermazioni dell'ingegner Nerilli ma non si sarebbe neanche espresso in merito all'effettivo raggiungimento degli obbiettivi di adeguamento del plesso scolastico fissati anche dal decreto di finanziamento del commissario delegato alla ricostruzione post-sisma Michele Iorio;
          il Sindaco riferisce che alcune opere, come i pilastri perimetrali del sottotetto ed i plinti di fondazione, benché riportate negli atti di contabilità, non risultano realizzate e che, agli atti del comune, non esistono documenti progettuali che definiscono le opere realizzate come parte di un «progressivo adeguamento sismico»;
          nel richiamato decreto di finanziamento del commissario Michele Iorio viene ribadito che «con l'intervento finanziato si raggiungerà il definitivo adeguamento sismico dell'edificio scolastico»  –:
          se non ritenga di dover intervenire presso le autorità competenti al fine dell'accertamento definitivo delle concrete mancanze relative al completamento dei lavori per il risanamento antisismico dell'edificio scolastico di Fossalto. (4-15841)


      GRANATA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          l'amministrazione comunale delle isole Tremiti, attualmente retta dal commissario prefettizio Carmela Palumbo, ha deliberato di vendere all'asta sette ettari di terreni edificabili delle isole Tremiti;
          l'area rientra nel piano di edilizia economica e popolare ed in vendita ci sono 31.585 metri quadrati a San Domino, con una base d'asta di 370.536 euro, e 37.046 a San Nicola; in questo caso si parte da 363.825 euro;
          l'asta si sarebbe dovuta svolgere con «il criterio – come è scritto nella delibera – dell'offerta economicamente più vantaggiosa rispetto all'importo di base per l'alienazione degli immobili»;
          la commissione esaminatrice delle domande – si legge ancora nella delibera – si riunirà il giorno 28 aprile 2012, alle ore 9, in seduta pubblica per l'apertura delle buste contenenti le offerte;
          alla data del 26 aprile però, termine ultimo per la presentazione delle offerte, non ne è stata presentata nessuna;
          i terreni in vendita sono «terreni edificabili di proprietà comunale» che ricadono nei Piani di edilizia economica popolare approvati dalla regione, ma proprio la regione si è fortemente opposta all'operazione;
          l'assessore al territorio della regione Puglia, l'urbanista Angela Barbanente, ha infatti spiegato come su quei suoli dovevano sorgere case popolari, e quindi, a rigore di legge, una volta che siano stati venduti, il Comune dovrebbe poi espropriare i terreni;
          è di tutta evidenza che tale operazione mette in serio pericolo di edificazione selvaggia un ambiente unico, una riserva marina di pregio, area a forte vincolo e bandiera blu per la bellezza del mare, perennemente minacciato da trivellazioni petrolifere o speculazioni edilizie;
          tra l'altro l'area è sottoposta a vincoli ben definiti, perché rientra in una zona di interesse pubblico  –:
          se il bando di gara con cui il terreno suindicato delle isole Tremiti è stato messo all'asta sia conforme alla legge ed, in ogni caso, quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere per evitare che tale bando venga riproposto e che quindi un territorio che fa parte del patrimonio naturale e paesaggistico dell'Italia venga venduto all'asta con il rischio di consegnare le isole nelle mani dei costruttori. (4-15847)


      BOBBA. —Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'interrogante in diversi atti di sindacato ispettivo interrogava il Ministro dell'interno per sapere quali iniziative, anche di carattere normativo, si intendevano porre in essere al fine di evitare episodi gravi di abusi sull'utilizzo della fascia tricolore da parte di amministratori pubblici, così come previsto dalla normativa vigente e, in particolar modo dalla circolare 5/1998 emanata dal Ministro dell'interno Rosa Russo Iervolino, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.  270 del 18 novembre 1998;
          in occasione delle prossime elezioni comunali di Varallo, provincia di Vercelli, del 6-7 maggio 2012, il sindaco Gianluca Buonanno ha ritenuto opportuno posare con la fascia tricolore su volantini elettorali, pubblicizzati anche a mezzo stampa, con il candidato a sindaco Eraldo Botta, anch'egli con la fascia tricolore con la scritta «Varallo l'unica Città al mondo con “2 sindaci”»;
          la circolare sopra citata è alquanto chiara quando puntualizza: «Il Sindaco in quanto tale può utilizzare la fascia tricolore, anzi deve utilizzarla, nell'adempimento delle proprie funzioni istituzionali, tutte le volte in cui la propria veste di partecipazione alle manifestazioni pubbliche venga interpretata come appunto espletamento del proprio ruolo ed assuma ufficialità; diversamente, nell'ipotesi di partecipazione a titolo privato, o comunque non ufficiale, si dubita fortemente non solo della opportunità, ma anche della legittimità dell'utilizzo di tale simbolo distintivo»;
          come già espresso dall'interrogante in precedente atto di sindacato ispettivo (5-02650) e sempre, a parere dello stesso, anche in questa situazione «l'uso improprio della fascia tricolore mina i fondamenti democratici dello Stato italiano e comporta superficialità nell'espletare il ruolo del sindaco, configurando anche un abuso delle proprie peculiari funzioni»;
          appare all'interrogante urgente e doveroso che i volantini sopra ricordati così come predisposti siano opportunamente rimossi  –:
          se non si ritenga doveroso e urgente porre in essere le opportune iniziative normative al fine di evitare l'uso improprio e, nel caso in premessa strumentale, della fascia tricolore. (4-15848)


      PIZZOLANTE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          i marinai di salvataggio dipendenti delle cooperative e dei consorzi dei titolari degli stabilimenti balneari della provincia di Rimini durante le stagioni estive 2009 e 2011 hanno proclamato più volte lo stato di agitazione per il rinnovo del contratto collettivo provinciale;
          le cooperative ed i consorzi interessati, durante io sciopero dei propri dipendenti, non potendoli sostituire, hanno issato la bandiera rossa, prevista dall'ordinanza balneare della regione Emilia Romagna (articolo 5, lettera c), punto 5) per i casi di assenza del servizio ed hanno posizionato, dandone la massima visibilità, cartelli in cui informavano gli utenti dello stato di agitazione e dell'assenza del servizio;
          la regione Emilia Romagna ed i comuni costieri hanno ritenuto che tali misure non fossero sufficienti e che, se le cooperative ed i consorzi non fossero state in grado di effettuare il servizio, a questo avrebbero dovuto provvedere i singoli titolari degli stabilimenti balneari;
          in conseguenza di ciò, durante i giorni delle manifestazioni sindacali, gli organi di polizia sono scesi in spiaggia per elevare le contravvenzioni agli operatori, che non svolgevano essi stessi il servizio di salvamento;
          la regione Emilia Romagna, quest'anno, per rafforzare questo suo orientamento, ha inserito per la prima volta, nell'ordinanza balneare n.  1 del 2012 emessa in data 28 marzo 2012, l'obbligo, in capo ai titolari degli stabilimenti balneari, di garantire il servizio di salvataggio «anche in presenza di vertenze sindacali degli addetti al salvamento» (articolo 5 lettera, c), n.  1);
          l'assessore regionale del turismo, con dichiarazioni apparse sulla stampa locale, ha minacciato la chiusura degli stabilimenti balneari nel caso in cui i loro titolari, nell'eventualità di sciopero degli addetti al salvamento, non avessero provveduto all'espletamento del servizio;
          la norma dell'ordinanza balneare regionale sopra menzionata contrasta con legge del 12 giugno 1990 n.  146, contenente la disciplina di esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, poiché il servizio, che svolgono i marinai di salvataggio, rientra nel campo di applicazione di questa legge;
          la Commissione di garanzia dell'attuazione della legge n.  146 del 1990 ha espressamente stabilito che il servizio di salvamento in mare costituisca un servizio pubblico essenziale, essendo preordinato alla «tutela della vita, della salute, della libertà e della sicurezza della persona»;
          la legge n.  146 del 1990 citata prevede le regole da rispettare e le procedure da seguire in caso di conflitto collettivo, nel settore dei servizi pubblici essenziali, allo scopo che sia contemperato l'esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati, in quanto essa in particolare richiede che:
              a) il diritto di sciopero sia esercitato nel rispetto di misure dirette a consentire l'erogazione delle prestazioni indispensabili per garantire il contemperamento sopra descritto (articolo 2, 1° comma);
              b) qualora tali misure non siano previste dai contratti o accordi collettivi, la Commissione di garanzia adotti una regolamentazione provvisoria delle prestazioni indispensabili, delle procedure di raffreddamento e di conciliazione nel rispetto di detto contemperamento (articolo 2, 2° comma);
              c) «nella provvisoria regolamentazione le prestazioni indispensabili devono, salvo casi particolari, essere contenute in misura non eccedente mediamente il 50 per cento delle prestazioni normalmente erogate e riguardare quote strettamente necessarie di personale non superiori mediamente ad un terzo del personale normalmente utilizzato per la piena erogazione del servizio nel tempo interessato dallo sciopero, tenuto conto delle condizioni tecniche e della sicurezza» (articolo 13, 1° comma lettera a);
              d) quando sussista il fondato pericolo di un pregiudizio grave ed imminente ai diritti della persona costituzionalmente tutelati che potrebbe essere cagionato dall'interruzione o dalla alterazione del funzionamento dei servizi pubblici conseguente all'esercizio dello sciopero dei lavoratori, su segnalazione della commissione di garanzia o, nei casi di necessità ed urgenza, di propria iniziativa il prefetto, nel caso di sciopero a rilevanza locale, invita le parti a desistere dai comportamenti che determinano la situazione di pericolo, esperisce un tentativo di conciliazione, da esaurire nel più breve tempo possibile, e, se il tentativo non riesce, adotta con ordinanza le misure necessarie a prevenire il pregiudizio ai diritti della persona costituzionalmente tutelati (cosiddetti precettazione) (articolo 8 legge n.  146 1990);
          l'obbligo imposto dalla regione Emilia Romagna nell'ordinanza balneare secondo l'interrogante:
              a) lede il diritto di sciopero dei lavoratori in quanto annulla gli effetti che gli stessi si prefiggono con la proclamazione dello stato di agitazione, ove, come l'ordinanza prevede, gli operatori balneari fossero obbligati ad assicurare anche in presenza dello stato di agitazione, le prestazioni che vengono normalmente erogate: infatti, il servizio di salvamento in forma collettiva viene espletato mediante l'utilizzo di un assistente bagnanti ogni 150 metri, quello in forma individuale, mediamente uno ogni 30-40 metri;
              b) pone esclusivamente a carico dei titolari degli stabilimenti il peso dello sciopero;
              c) non tiene conto che mentre i titolari degli stabilimenti balneari sono tenuti ad istituire un servizio di salvamento, solo i marinai di salvataggio, svolgendo una prestazione qualificata per la quale è necessario conseguire un apposito brevetto, sono in grado di poterla porre in essere e di poter assicurare quel servizio minimo essenziale che può evitare un pregiudizio alla collettività;
          in conseguenza di quanto sopra esposto, l'interrogante non ritiene che la regione e i comuni possano disciplinare il servizio di salvamento, in occasione dello sciopero dei marinai di salvataggio, imponendo ai titolari degli stabilimenti balneari le misure da tenere, in quanto ciò introduce una procedura che appare in contrasto con la legge n.  146 del 1990, che a detti enti non riconosce alcuna competenza in materia;
          è la commissione di garanzia di cui alla legge n.  146 del 1990, in assenza di specifiche previsioni negli accordi collettivi, a dover adottare ai sensi dell'articolo 13 della legge n.  146 del 1990 una regolamentazione provvisoria delle prestazioni indispensabili, delle procedure di raffreddamento e di conciliazione, che devono essere assunte in caso di sciopero degli addetti al salvamento e, in ogni caso, sussistendo le condizioni di cui all'articolo 8, è il prefetto, nel caso di sciopero a livello locale, ad adottare con ordinanza le misure necessarie a prevenire il pregiudizio ai diritti della persona costituzionalmente tutelati  –:
          quali iniziative di competenza abbiano assunto o intendano assumere in relazione alla situazione rappresentata in premessa. (4-15852)


      BIANCONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          è in corso da alcuni mesi una forte aggressione mediatica nei confronti del commissariato della polizia di Stato di Forte Dei Marmi. L'azione volta alla chiusura del commissariato e alla contestuale assegnazione del personale al commissariato di Viareggio, denota una frammentaria e incompleta conoscenza delle competenze e dell'organizzazione della polizia di Stato, nonché delle attività di ordine, sicurezza, soccorso pubblico e di controllo del territorio, svolte dalla stessa nell'area versiliese;
          tale iniziativa ha suscitato allarme e forte preoccupazione fra la popolazione della Versilia che da circa sette anni usufruisce di servizio pubblico di eccellenza. Il commissariato di Forte è diventato, in questi anni di attività, per i residenti nel territorio versiliese un riferimento imprescindibile, nell'attività di controllo del territorio con la presenza di una volante h24 e di servizio al cittadino. I dati parlano chiaro, nel contrasto alla criminalità 121 persone arrestate, 788 persone denunciate, 51604 persone controllate, 29865 automezzi controllati; nell'attività Amministrativa con 2290 rilascio di porto d'armi, 9008 passaporti rilasciati, 2974 certificati di espatrio, 1402 N.O./licenze/autorizzazioni/denunce/controlli Amministrativi 3660 rilascio permessi di soggiorno, 120 espulsioni T.N. extracomunitari, 50 allontanamenti Amministrativi T.N. comunitari;
          anche le organizzazioni sindacali di polizia stanno promuovendo iniziative volte alla sensibilizzazione delle istituzioni al fine di scongiurare una eventuale determinazione governativa di chiusura del commissariato, in particolare l'iniziativa del SIAP Lucca che ha incontrato il Prefetto di Lucca 3 novembre 2011 ricevendo assicurazioni di assoluta imprescindibilità sulla presenza del commissariato di Forte sul territorio della Versilia e, di impegno con richiesta scritta, congiunta con il questore, indirizzata al Ministro dell'interno di rinforzare l'organico di almeno 5 operatori di polizia nel ruolo agenti e assistenti per coprire la diminuzione di personale degli ultimi mesi dovuta a congedi e riforme;
          si constata l'abbassamento di attenzione sulla realtà di Forte dei Marmi in materia di sicurezza, volta alla diminuzione di personale con conseguente chiusura del commissariato  –:
          quali iniziative intenda adottare al fine di rinforzare l'organico del commissariato di almeno 5 operatori del ruolo agenti e assistenti, come auspicato anche dal prefetto di Lucca e sostituire l'obsoleto parco veicolare, con l'assegnazione e sostituzione di almeno due autovetture di colore istituto, per il controllo del territorio e di due auto vetture, colore serie, per l'attività investigativa. (4-15855)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      SIRAGUSA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il decreto del Ministro del 10 settembre 2010, n.  249, definisce le modalità di formazione degli insegnanti, e attribuisce, in particolare, ai corsi di tirocinio formativo attivo (TFA), di durata annuale, attivati dalle università in collaborazione con le istituzioni scolastiche e conclusi da un esame finale, il valore abilitante all'insegnamento in una delle classi di concorso previste dal decreto ministeriale n.  39 del 1998;
          tale decreto stabilisce altresì che l'accesso ai tirocini formativi attivi è a numero programmato con una prova di selezione;
          esso è riservato in via generale ai candidati in possesso del diploma di laurea magistrale nelle classi specifiche per l'insegnamento, ma nella fase transitoria possono partecipare alle prove di selezione sia coloro che erano già in possesso, alla data del 15 febbraio 2011, dei titoli e dei diplomi di laurea specialistica (o magistrale corrispondente) e dei crediti in determinati settori scientifico-disciplinari, previsti per ciascuna classe di abilitazione dal decreto ministeriale n.  22 del 2005 (ex «requisiti SSIS»), ovvero dei requisiti previsti dalla normativa previgente, sia coloro che nell'anno accademico 2010/2011 erano iscritti a corsi finalizzati al conseguimento degli stessi titoli e requisiti, inclusi eventuali corsi volti al recupero di crediti necessari (nota ministeriale 29 aprile 2011 n.  1065) una volta portati a termine tali percorsi;
          la normativa attualmente in vigore in materia di accesso del personale docente al tirocinio formativo attivo propedeutico all'abilitazione si configura come complessa e non prevede alcun tipo di percorso differenziato tra quei docenti che già da anni insegnano nelle classi e chi vi si accinge per la prima volta;
          per i docenti non abilitati ma con servizio, il tirocinio formativo attivo risulta al momento l'unica via percorribile per conseguire l'abilitazione;
          nonostante l'esperienza pluriennale di insegnamento già maturata, la normativa impone a questi docenti il superamento delle prove selettive a numero chiuso per accedere al tirocinio formativo attivo, senza che il periodo di servizio svolto gli venga riconosciuto. La stessa cosa è prevista anche per gli insegnanti tecnico-pratici (ITP) e i diplomati magistrali inseriti in III fascia di istituto, che hanno accumulato oltre 360 giorni di servizio;
          gli insegnanti tecnico-pratici sono ad oggi l'unica categoria di docenti esclusa dalla possibilità di conseguire l'abilitazione;
          il decreto ministeriale n.  85 del 2005 concedeva a coloro che avessero accumulato almeno 360 giorni di servizio nelle scuole entro il 6 giugno 2004 l'accesso ai corsi abilitanti della durata di un solo anno, con un esame finale ma senza un test di ammissione;
          il 27 febbraio 2012 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca annuncia con una nota stampa che «Il tirocinio di preparazione all'insegnamento partirà entro giugno, e coinvolgerà circa 20 mila aspiranti insegnanti. Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca prevede di avviare le prove di accesso al TFA entro e non oltre giugno 2012. Per l'anno accademico 2011/2012 i posti disponibili per le immatricolazioni al TFA per l'insegnamento nella scuola secondaria di primo grado sono 4.275, definiti in ambito regionale per ciascun ateneo, mentre per la scuola secondaria i posti disponibili sono 15.792»;
          con il decreto ministeriale 14 marzo 2012, n.  31, si sono definiti i posti disponibili a livello nazionale per le immatricolazioni ai corsi di tirocinio formativo attivo per l'abilitazione all'insegnamento nella scuola secondaria di primo e di secondo grado per l'anno accademico 2011-12;
          il decreto associa ogni classe di concorso all'ateneo dove si svolgerà il corso;
          la definizione dei posti disponibili per il tirocinio formativo attivo è tuttavia caratterizzata da distribuzioni anomale: in alcuni ampi territori mancano del tutto previsioni per alcune classi di concorso, per alcune delle quali ci sarebbe ampia necessità, perché esaurite in molte province, in altri, si assiste ad un eccesso di posti messi a bando, in classi di concorso che sono in esubero perfino a livello nazionale;
          non si spiega ad esempio perché l'università di Napoli, abbia ricevuto il beneplacito dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dagli uffici periferici dell'ATP di Napoli per l'attivazione di ben 15 posti di tirocinio formativo attivo nella classe di concorso A071, nonostante questa classe di concorso sia stata molto penalizzata in tutti questi anni per effetto dei tagli dovute alle cosiddette riforme, né per quale motivo l'università di Padova terrà dei corsi per il tirocinio formativo attivo con 15 posti per la classe di concorso A016 ed altri 15 per la classe di concorso A072 quando vi sono docenti che da circa due anni non possono insegnare nella propria classe di concorso, in quanto in esubero, nella A016 e nella classe di concorso A072 molti insegnanti di ruolo sono sovrannumerari e si dividono in due o tre scuole;
          è poi particolarmente grave la mancata attivazione del TFA per tutte le discipline artistiche e musicali che afferiscono all'AFAM;
          infine, un gruppo di docenti ha partecipato al corso abilitante speciale indetto dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ex lege n.  143 del 2004 – decreto ministeriale 85 del 2005, giusto provvedimento del giudice amministrativo, ed è stato inserito con riserva nelle graduatorie provinciali ad esaurimento, poiché al momento della presentazione della domanda di partecipazione al corso (22 dicembre 2005), non avevano maturato i 360 giorni di servizio, come previsto dall'articolo 36, comma 1-bis, del decreto-legge 27 febbraio 2009, n.  14, ma li avevano maturati successivamente e comunque prima dell'inizio dei corsi;
          pur essendo stati ammessi con riserva, hanno frequentato i corsi, per un totale di 600 ore, suddivise in moduli di didattica frontale e laboratori. Hanno pagato una tassa di iscrizione di euro 1.750, hanno sostenuto con profitto gli esami in itinere (diciannove), nonché l'esame finale di Stato. Dunque hanno concluso il loro percorso di formazione all'insegnamento, seppure senza un'abilitazione riconosciuta;
          oggi questi docenti sarebbero costretti a concorrere per il TFA e a ricominciare un percorso formativo già completato;
          è necessario che la formazione iniziale sia affrontata contestualmente al reclutamento  –:
          se il Ministro sia a conoscenza di tali problematiche e se non intenda rivedere i tirocini formativi attivi autorizzati e la loro effettiva corrispondenza con il fabbisogno reale;
          se non ritenga necessario differenziare i percorsi dei giovani neolaureati da quelli di coloro che da anni insegnano, seppure senza abilitazione, e se non ritenga un inutile spreco di risorse far ripetere la formazione per coloro che hanno già superato seppure con riserva gli esami finali del corso abilitante bandito nel 1985. (5-06668)


      SIRAGUSA, GHIZZONI, COSCIA, DE BIASI e DE PASQUALE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il Partito democratico ha ritenuto e ritiene sbagliata la manovra sulla scuola effettuata sulla base dei tagli previsti dall'articolo 64, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112, convertito, con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n.  133: le riforme della scuola, infatti, non possono essere guidate unicamente dal contenimento della spesa pubblica, che in questi anni ha colpito in modo eccessivo il sistema scolastico italiano causando un profondo impoverimento dell'offerta formativa;
          il citato decreto-legge n.  112 del 2008 modificato le previsioni riguardo alle assunzioni decise dal governo Prodi, disattendendo le aspettative di stabilizzazione dei lavoratori precari inseriti nelle graduatorie ad esaurimento;
          in questo contesto, il Partito democratico ha ritenuto insufficiente e inadeguata la disposizione cosiddetta salva precari, introdotta dall'allora Ministro Gelmini nel decreto-legge 25 settembre 2009 n.  134;
          ad oggi, non si prospettano, però, soluzioni per fare fronte ai licenziamenti di massa operati nella scuola, mentre è necessario garantire ai precari la continuità lavorativa, la maturazione del punteggio di servizio e il percepimento del sussidio di disoccupazione;
          il decreto-legge, 13 maggio 2011, n.  70 ha prorogato gli effetti del cosiddetto «salvaprecari» per l'anno scolastico in corso  –:
          se il Ministro intenda assumere le necessarie iniziative per predisporre una specifica disposizione a tutela dei precari, analogo al salvaprecari attualmente in vigore, per l'anno scolastico 2012/2013;
(5-06669)


      SAGLIA e BECCALOSSI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 33 della Costituzione detta l'obbligo per lo Stato di istituire scuole statali per tutti gli ordini e gradi: ormai da anni, però, lo Stato non versa alle scuole i fondi che sarebbero effettivamente necessari a un adeguato funzionamento delle strutture, venendo meno ai propri obblighi sia giuridici, sia morali;
          tutto ciò sta generando una situazione di estrema difficoltà per le scuole primarie e secondarie di primo grado della città di Brescia e non solo: infatti i debiti che lo Stato ha accumulato nei confronti degli istituti comprensivi bresciani ammontano complessivamente a 1.555.000 euro, con riferimento in particolare agli anni dal 2006 al 2011;
          tale condizione è assolutamente insostenibile in quanto le scuole non hanno più fondi per pagare i supplenti, far funzionare i fotocopiatori, acquistare i prodotti indispensabili per la pulizia degli ambienti e per l'igiene personale;
          l'unica percezione sarà che lo Stato ha deciso di abbandonare al degrado le scuole dei loro figli, rubando il futuro alle giovani generazioni e minando alle fondamenta le basi della convivenza civile nella città;
          negli ultimi 4 anni il comune di Brescia aveva cercato di supplire alle deficienze dello Stato versando nelle casse delle scuole, come contributi per il diritto allo studio, complessivamente più di 1.800.000 euro;
          quest'anno non sarà più possibile svolgere tale funzione di supplenza, a causa dei vincoli posti dal patto di stabilità e che gli interroganti ritengono assurdi e dalla drastica contrazione degli utili delle nostre società partecipate  –:
          quali iniziative intenda porre in atto per dare soluzione al grave problema sopra illustrato e quando intenda onorare i debiti e versare alle scuole bresciane la somma di 1.555.000 euro, dovuti da anni.
(5-06673)

Interrogazioni a risposta scritta:


      NASTRI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato da un articolo pubblicato dal quotidiano: Il Sole 24 Ore in data 23 aprile 2012, le firme digitali qualificate, ovvero quelle avente lo stesso valore della firma autografa, attualmente in circolazione, la cui disciplina è stata introdotta dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n.  82 che ha istituito il «Codice dell'amministrazione digitale» e successivamente modificato dal decreto legislativo 30 dicembre 2010, n.  235, sarebbero illegali da sei mesi a causa di un errore legislativo, avvenuto all'inizio del novembre 2011 e tuttora non risolto, nonostante le soluzioni più volte annunciate;
          il suesposto quotidiano rileva inoltre che il rimedio sarebbe stato escogitato attraverso un decreto, che tuttavia non è stato ancora definito da parte dei Ministeri direttamente competenti;
          la vicenda in realtà riporta l'articolo, risale a circa dieci armi fa, quando in coincidenza con il debutto delle sottoscrizioni elettroniche, si iniziò a parlare anche della certificazione europea degli strumenti che generano le firme digitali;
          inizialmente fu concessa un'autocertificazione al fine di regolarizzare la posizione, in attesa che si apprestassero le misure volte alla concessione delle patente europea, alle tre aziende produttrici degli strumenti di generazione delle firme;
          a causa delle continue proroghe, il rimedio contingente è finito per diventare strutturale, fino allo scorso autunno, quando un decreto pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 31 ottobre del 2011, ha annunciato che dal giorno dopo, l'autocertificazione sarebbe stata concessa per altri due anni, solo alle aziende che avessero già presentato la domanda per ottenere la certificazione europea;
          la suesposta formalità era stata espletata soltanto da un'azienda e le altre due, anche nel caso avessero voluto procedere, non avrebbero potuto, in considerazione che non c'era il tempo necessario, in quanto l'obbligo scattava il 1° novembre, giorno festivo;
          in conseguenza di quanto predetto, da quella data le firme digitali rilasciate dalle due aziende sono risultate irregolari;
          il Ministero della pubblica amministrazione all'epoca responsabile anche dell'innovazione e la DigitPa, l'ente pubblico non economico, che opera nell'ambito della pubblica amministrazione con competenze nel settore delle tecnologie dell'informazione, hanno cercato di rimediare, ma l'avvicendamento del Governo, ha rallentato il tentativo di soluzione;
          la responsabilità è successivamente passata al ministero interrogato, che come precedentemente esposto, ha ipotizzato un riparo attraverso un decreto in grado di sanare le firme generate dopo il 1° novembre 2011 dalle aziende non in regola e di riaprire anche per loro i termini dell'autocertificazione, senza far perdere il vantaggio competitivo all'impresa virtuosa, che alla suddetta data era in regola;
          sono trascorsi quasi quattro mesi del presente anno e il decreto suesposto non è stato tuttora ufficialmente entrato in vigore  –:
          quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
          quali siano i tempi necessari, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di rendere operativo il decreto necessario per regolarizzare le migliaia di firme digitali qualificate come riportato in premessa, attualmente in circolazione senza averne i requisiti, ed evitare eventuali criticità che potrebbero emergere dal prolungarsi del periodo di mancata introduzione del provvedimento citato in premessa. (4-15824)


      DI GIUSEPPE e ZAZZERA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          nel mese di novembre 2011, il Ministro pro tempore Gelmini ha riaperto la graduatoria di terza fascia ATA, con scadenza a metà dicembre ed a tutt'oggi non risulta che le graduatorie definitive siano state pubblicate;
          di conseguenza le scuole hanno provveduto a coprire i posti non assegnati con contratti a tempo determinato, lasciando in sospeso le sorti del personale nominato che rischia di dover tornare a casa dopo pochi mesi di servizio;
          come riportato da un comunicato stampa della Uil Scuola di Como, nonché da svariati articoli di giornale del 23 aprile 2012, il giudice del lavoro di Como, dottoressa Cao, ha sancito il riconoscimento dei mesi estivi per il personale precario ATA con supplenze annuali;
          nel merito, il giudice del lavoro di Como, dottoressa Cao, ha sancito il diritto di 24 precari ATA al riconoscimento dei mesi estivi nelle supplenze annuali sui posti vacanti fino al 31 agosto;
          dalla sentenza si evince che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e i dirigenti scolastici hanno da sempre contravvenuto alle più comuni norme contrattuali apponendo il termine al 30 giugno e determinando un danno economico ai lavoratori;
          ciò comporta, per i precari ricorrenti, il riconoscimento del diritto ad un risarcimento pari a due mensilità di stipendio, oltre alla maturazione del punteggio e alla condanna del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca al pagamento delle spese legali;
          infine, alla luce dell'accertato riconoscimento del diritto dei precari da parte del giudice del lavoro, le sopravvenienze giudiziarie contro il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sono destinate ad aumentare considerevolmente  –:
          se il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca intenda assumere iniziative, ed in quali tempi, al fine di riconoscere questi diritti, evidentemente negati, in primis il riconoscimento degli scatti di anzianità e la conversione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato dopo tre contratti su posto vacante;
          quali iniziative si intendano adottare al fine di evitare che il sistema giudiziario sia sovraccaricato da ulteriori sopravvenienze a causa di comportamenti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca non conformi alla legge.
(4-15853)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      DI BIAGIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la legge del 8 agosto 1995 n.  335, introducendo una riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare ha definito un cambiamento normativo dei trattamenti previdenziali con il passaggio dal calcolo retributivo a quello contributivo;
          il personale delle forze di polizia e delle forze armate arruolato dal 1° gennaio 1996, nonché quello che alla data del 31 dicembre 1995 non poteva vantare un'anzianità retributiva pari o superiore a diciotto anni, hanno subito sensibili conseguenze previdenziali dalla riforma suddetta;
          la legge 23 dicembre 1998, n.  448, all'articolo 26, comma 20 – similmente a quanto avvenuto per altri comparti – ha previsto l'istituzione di forme pensionistiche integrative per il personale del comparto sicurezza e difesa, attraverso procedure di concertazione;
          il problema in argomento, a distanza di anni, non è stato ancora risolto con conseguenze e ripercussioni negative per il personale delle forze di polizia ed armate;
          l'articolo 19 della legge 4 novembre 2010, n.  183, ha riconosciuto la specificità delle forze armate, delle forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco «ai fini della definizione degli ordinamenti, delle carriere e dei contenuti del rapporto di impiego e della tutela economica, pensionistica e previdenziale»;
          il decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214, all'articolo 24, comma 18, ha previsto che siano adottate, «con regolamento da emanare entro il 30 giugno 2012», «le relative misure di armonizzazione dei requisiti di accesso al sistema pensionistico, tenendo conto delle obiettive peculiarità ed esigenze dei settori di attività nonché dei rispettivi ordinamenti»  –:
          se si intendano adottare – previo confronto con le organizzazioni sindacali firmatarie di contratto, le rappresentanze militari e i Ministeri competenti – iniziative, anche di natura normativa (valutando la possibilità di inserire disposizioni ad hoc nel regolamento da emanare), volte a prevedere l'istituzione di forme pensionistiche integrative per i lavoratori del comparto sicurezza-difesa e a salvaguardare nel contempo le loro peculiarità nei trattamenti previdenziali. (5-06671)


      PELUFFO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          da tempo nel Corsichese (Milano) si assiste alla chiusura di molte delle aziende che hanno caratterizzato lo sviluppo della zona a partire dagli anni ’60;
          l'ultima grave crisi è quella relativa alla Safosa spa, una delle aziende leader nella produzione conto terzi di prodotti cosmetici e personal care, fondata nel 1983 tramite l'acquisizione del settore cosmetico di una delle più antiche società farmaceutiche italiane. Durante gli anni ’90 Safosa spa è costantemente cresciuta aumentando i clienti e i settori produttivi, arrivando a diventare leader del settore, collocandosi tra le aziende più importanti produttori europei per la produzione conto terzi;
          dal 2007 al 2009 vengono messi in mobilità 150 lavoratori e dal 2009 si utilizza senza interruzione la Cassa integrazione guadagni straordinaria per ristrutturazione;
          il 9 gennaio 2012, si è tenuto un incontro tra i sindacati e la proprietà; in quell'occasione la società ha illustrato la situazione di mercato in cui opera caratterizzata dal perdurare di una pesante diminuzione delle commesse, comportante mancanza di lavoro, ed ha evidenziato la conseguente necessità di fare ricorso alla cassa integrazione Guadagni Ordinaria (CIGO) da attuarsi nell'entità seguenti: lavoratori interessati: 160; entità: sospensione da 40 a 0 ore; durata prevedibile: 13 settimane a decorrere dal 9 gennaio 2012;
          dal 14 febbraio del 2012 la Safosa viene messa in liquidazione dopo aver riscontrato un debito totale di circa 50 milioni di euro a fronte di un fatturato che dovrebbe attestarsi intorno ai 30 milioni di euro secondo le notizie apprese dalla stampa;
          con l'avvio della liquidazione voluta principalmente dai creditori per evitare la bancarotta fraudolenta e con la cessazione definitiva dell'erogazione della cassa integrazione ordinaria per dipendenti che ne usufruivano, oggi la crisi coinvolge 279 persone, a cui vanno ad aggiungersi anche le cooperative, dislocate all'interno della fabbrica e tutto il personale che si occupa delle pulizie e altro arrivando quindi ad un numero di circa 500 persone che perderebbero definitivamente il lavoro;
          in occasione della messa in liquidazione i soci della Safosa designano liquidatore della stessa azienda il dottor Adelmo Fraccaro, amministratore delegato della stessa in carica fino al giorno prima di tale decisione; dopo l'annuncio della messa in liquidazione dell'azienda, sembrerebbe che lo stesso liquidatore non abbia ritenuto opportuno richiedere la cassa integrazione straordinaria, poiché lo stesso ha proposto ai dipendenti l'accettazione di un piano già avviato con un ipotetico acquirente che rileverebbe solo una delle linee più produttive dell'azienda;
          in seguito si è appreso che il dottor Fraccaro si è dimesso ed è stato nominato come liquidatore il dottor Paolo Cecchetti che, dimostratosi più disponibile al confronto, è stato incontrato dalle rappresentanze sindacali dell'azienda e territoriali in data 6 aprile 2012;
          in data 13 aprile 2012 è stato firmato presso l'ARIFL, Agenzia regionale per la formazione e il lavoro, un accordo sindacale che prevede l'utilizzo della cassa integrazione guadagni straordinaria per cessazione attività per 12 mesi a decorrere dal 2 aprile per un numero massimo di 279 dipendenti;
          si segnala infine che i lavoratori pur di mantenere il lavoro si sono diminuiti il salario per il mese di maggio 2012: ciò per non gravare sulla procedura di liquidazione in corso che si concluderà con la chiusura dell'azienda a partire dal 1o giugno 2012 se non interverrà un acquirente entro tale data  –:
          se risultino corrispondenti al vero le notizie apparse sulla stampa e quali iniziative si intendano intraprendere affinché si faccia chiarezza sulle reali condizioni di crisi dichiarate dal management dell'azienda;
          quali iniziative si intendano intraprendere affinché vi sia una soluzione positiva che sia di rilancio di un azienda come sopra detto leader di un settore come quello della cosmesi, che secondo un'indagine commissionata dal centro studi di Unipro (associazione italiana delle imprese cosmetiche di Confidustria), non ha registrato nel 2011 segnali negativi, registrando un incremento del 4,6 per cento del fatturato. (5-06684)

Interrogazioni a risposta scritta:


      MISEROTTI. —Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          numerose segnalazioni da parte della cittadinanza evidenziano disparità ed incongruenze nelle procedure di accertamento dei requisiti per il riconoscimento dell'invalidità civile da parte delle commissioni sanitarie istituite presso le ASL e, conseguentemente, per l'erogazione dei benefici da parte dell'INPS;
          in occasione del primo formale riconoscimento dei requisiti sanitari per il diritto alla pensione o assegno di invalidità civile, alcune commissioni sanitarie istituite presso le ASL prevedono, per qualsiasi tipo di patologia ed indipendentemente dalla gravità dell'invalidità, una successiva visita di revisione dopo un periodo di tempo variabile e apparentemente non legato a criteri specifici;
          fino ad alcuni mesi fa la procedura adottata per le visite di revisione consisteva in una chiamata a visita di controllo per la verifica della permanenza della percentuale di invalidità necessaria. Solo in caso di esito negativo della verifica, le commissioni mediche trasmettevano all'INPS il nuovo verbale di accertamento e l'INPS provvedeva alla revoca del beneficio;
          da alcuni mesi, invece, l'INPS procede alla sospensione dell'erogazione della pensione e degli assegni di invalidità, senza attendere l'esito della visita di controllo da parte delle ASL, salvo rimborsare, in caso di persistenza dei requisiti e quindi di conferma dei benefici, gli arretrati agli aventi diritto;
          a fronte del nuovo indirizzo di gestione, centinaia di aventi diritto si vedono privati per mesi dell'unica fonte di sostentamento e cura della propria situazione di inabilità  –:
          in base a quali criteri l'INPS disponga la sospensione dell'erogazione delle previdenze di invalidità civile, privando per diversi mesi numerosi cittadini, totalmente inabili e/o con indennità di accompagnamento, dell'unico sostentamento economico per vivere e curarsi;
          se il Governo intenda adottare iniziative affinché siano ripristinate le precedenti procedure per l'accertamento dei requisiti per l'invalidità, secondo la consuetudine che prevedeva la sospensione della pensione solo in caso di esito negativo, al termine della verifica dei requisiti stessi. (4-15814)


      MISEROTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          sono sempre più numerosi i casi in cui l'INPS non risponde alle richieste effettuate dai cittadini;
          tra le segnalazioni più frequenti si riscontrano quelle relative a casi di omonimia e di interpretazione incerta delle circolari emanate dall'INPS da parte dei dirigenti all'uopo preposti dall'Ente stesso, come nei casi di seguito descritti;
          in particolare la circolare numero 125 del 30 giugno 2000 dell'INPS, al punto 4.2, dispone, tra l'altro, che: «Per le situazioni di plurititolarità già in essere al 14 giugno 2000, l'eventuale trasferimento del trattamento minimo sulla base di criteri di cui al precedente punto 4.1. deve essere effettuato solo a seguito di richiesta da parte degli interessati. Il trasferimento ha effetto dalla data di insorgenza della situazione di plurititolarità»;
          nel primo caso un cittadino residente a Chiusi della Verna (Arezzo), erede legittimo della madre pensionata vedova, deceduta senza lasciare disposizioni testamentarie il 20 novembre 2009, il quale, delegato anche dalla sorella, residente a Pieve S. Stefano (Arezzo), altra erede legittima, ha fatto richiesta all'INPS, in data 22 gennaio 2011, della riscossione dei ratei maturati e non riscossi della pensione INPS di cui la madre era titolare e, nonostante la suddetta circolare, non si è avuta ancora alcuna risposta da parte dell'INPS;
          nel secondo caso, invece, un cittadino residente a Cagliari, in data 14 settembre 2011 ha proposto ricorso all'INPS contro ingiusto indebito. Infatti l'INPS, in data 3 agosto 2011, comunicava al ricorrente l'obbligo di rimborso della somma di 10.302,85 euro allo stesso ente, consistente dalla somma pagata in più sulla pensione di cui lo stesso era titolare, dal 1o gennaio 2011 al 31 agosto 2011, a causa dell'omessa comunicazione dei dati reddituali diversi dalla pensione e rilevati presso l'Agenzia delle entrate dal 1998 al 2010. Nel ricorso l'interessato ha comunicato di essere titolare, così come la coniuge soltanto di pensione erogata dall'INPS e di non aver mai presentato dal 1998 al 2010 modello 730 all'Agenzia delle entrate poiché esonerati dall'obbligo di presentazione, evidenziando la possibilità della sussistenza di un caso di omonimia. Anche in questo caso ad oggi il ricorrente non ha avuto alcuna risposta da parte dell'INPS  –:
          se il Ministro in indirizzo non ritenga opportuno sollecitare l'INPS affinché renda più efficiente il sistema di comunicazione con i cittadini in modo tale da fornire loro risposte, celeri e tempestive al fine anche di evitare il contenzioso che già grava sull'ente e che nella maggior parte dei casi lo vede soccombente. (4-15837)


      BORGHESI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le notizie di questi giorni portano a conoscenza che enti per la previdenza di libere professioni hanno acquistato immobili ad altissimo prezzo, peraltro, in qualche occasione ingiustificato;
          ora accade che un professionista che versa nelle casse dell'ente di appartenenza contributi, in certi casi anche sostanziosi, per un periodo minore di cinque anni, secondo la legge attuale, rivede i suoi fondi, dietro presentazione di apposita domanda e solamente allo scadere dei 65 anni;
          è il caso dell'Enpapi, ente per le attività professionali infermieristiche, che ha nel proprio statuto quanto sopradetto;
          ad avviso dell'interrogante, sarebbe meglio, invece, dato anche il momento critico delle «finanze personali» dei cittadini, prevedere la restituzione di detti contributi, immediatamente all'atto dell'uscita dalla libera professione;
          ci sono liberi professionisti che terminano la loro attività, senza avere troppe risorse, e ci sono anche liberi professionisti che diventano dipendenti; ci si chiede per quale ragione questi soldi devono restare agli enti fino al compimento del 65o anno di età degli interessati, creando un vasto serbatoio di risorse così a disposizione dell'ente  –:
          se i Ministri siano a conoscenza dei fatti sopra riportati;
          se non ritengano di assumere le iniziative di competenza affinché i contribuenti possano ottenere la restituzione del versato all'atto dell'uscita dalla libera professione. (4-15849)


      BORGHESI. – Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'Inps è sempre più in affanno e alla ricerca di fondi come tutti gli enti, e ciò potrebbe anche essere comprensibile. Ma a volte si sfiora il ridicolo come nel caso seguente;
          l'Inps nei giorni scorsi avrebbe scritto ad un lavoratore che con riferimento alla malattia iniziata il 5 luglio 1997 non era ancora pervenuto il modulo A.S.1;
          si sta parlando di una malattia che risale a 15 anni fa, cioè all'anno 1997; e come questa richiesta ne sono arrivate tante altre, dello stesso tenore minaccioso e di tanti anni fa;
          ci si chiede il motivo per cui l'Inps non tenga conto che esistono le prescrizioni. È vero che il campo delle prescrizioni è vasto come si evince da uno dei siti che ne riporta un elenco http://www.studio-angeli.it/ita/prescrizioni.htm, ma il punto non è questo;
          se esistono, come tutti sanno, le prescrizioni, ci si chiede perché l'Inps esige in modo perentorio il modulo e se si tratta di un errore o di un modo per recuperare risorse;
          intanto però il lavoratore/cittadino corre, telefona, usa l'auto, cerca il parcheggio per le delucidazioni del caso e spende tempo e denaro per una richiesta che al massimo doveva essere fatta entro qualche mese dall'evento  –  :
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra riportati;
          quali iniziative intenda assumere per evitare in futuro situazioni grottesche come quella illustrata, che tuttavia fanno pagare ai cittadini quelle che appaiono all'interrogante evidenti incapacità della dirigenza dell'Inps. (4-15857)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      FIORIO, CENNI, OLIVERIO, TRAPPOLINO, SANI, ZUCCHI, AGOSTINI e BRANDOLINI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          il settore del vino, per varietà, qualità e fatturato, rappresenta una delle eccellenze del «Made in Italy» ed è un volano insostituibile per la crescita sociale, occupazionale ed economica del nostro Paese;
          il regime dei diritti di impianto dei vigneti rappresenta lo strumento principale per gestire le produzioni nazionali, in ambito comunitario, del settore vitivinicolo. Tale strumento assicura la salvaguardia degli investimenti qualitativi portati avanti dai produttori e conseguentemente i livelli occupazionali del comparto oltre all'equilibrio quantitativo delle produzioni, soprattutto di pregio, rispetto alle richieste del mercato;
          l'Ocm vino (Organizzazione comune di mercato del vino) attualmente in vigore a livello comunitario ha fissato il divieto di impiantare nuovi vigneti fino alla data del 31 dicembre 2015 (articolo 90 del regolamento CE numero 479 del 2008), lasciando la facoltà ai paesi membri di prolungare tale data fino al termine dell'anno 2018. Conseguentemente dal 2019 verrà attuata la completa liberalizzazione delle superfici vitate;
          il Governo ed in particolare il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha, in numerose occasioni, contrastato i contenuti e gli effetti di tale liberalizzazione. Il sottosegretario di Stato Roberto Rosso (rispondendo alla interrogazione numero 5/04519, a prima firma del deputato Massimo Fiorio in data 30 maggio 2011) ha segnalato la volontà dello stesso dicastero di «intervenire nell'ambito della discussione della riforma dell'Ocm vino, per sollevare la questione a livello di Consiglio e Parlamento europeo, coinvolgendo anche gli altri grandi Paesi produttori affinché sia mantenuto l'attuale sistema di “blocco” degli impianti post 2015 per tutti i paesi dell'Unione europea e per tutte le tipologie di vino»;
          lo stesso Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali Saverio Romano, il 15 aprile 2011, affermava a mezzo stampa che la «liberalizzazione dei diritti di impianto a partire dal 2015, disposta dalla regolamentazione comunitaria vigente, rischia di compromettere in modo irreparabile quanto di buono è stato fatto negli ultimi decenni dal comparto nazionale. Il sistema attualmente in vigore regola l'impianto delle nuove vigne, evitando che una repentina impennata degli investimenti possa destabilizzare gli equilibri di mercato, con effetti negativi sui redditi dei viticoltori e sulla qualità del prodotto. L'obiettivo comune è, e deve rimanere, la qualità delle nostre produzioni e la garanzia del reddito per i nostri vitivinicoltori, finalità certamente non perseguibili attraverso l'aumento incontrollato del prodotto immesso al consumo. Da parte mia prendo fin da ora l'impegno a sollevare e sostenere questo tema in tutte le sedi opportune a livello comunitario»;
          i Ministri dell'agricoltura di 10 Stati europei (Italia, Francia, Germania, Ungheria, Romania, Cipro, Portogallo, Grecia, Austria e successivamente la Spagna) hanno inviato, nel mese di aprile 2011, una lettera al Commissario dell'Unione europea all'agricoltura Dacian Ciolos, per chiedere di rivedere i termini di entrata in vigore della soppressione dei «diritti di impianto» nel settore vitivinicolo;
          in merito a tale richiesta la Commissione europea ha successivamente dichiarato, in una nota stampa del 20 aprile 2011, che «prima della fine dell'anno prossimo la Commissione Ue presenterà un'analisi più precisa dell'impatto della riforma. A quel momento vedremo se tutte le condizioni sono riunite per garantire che ogni segmento dei mercati dei vini potrà, nei prossimi anni, esprimere tutto il suo potenziale, in particolare dal punto di vista della qualità dei prodotti»;
          la Commissione agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo, il 25 maggio 2011, nell'ambito dell'approvazione della relazione sulla Pac (Politica agricola comune) verso il 2020, ha adottato un emendamento per il mantenimento del sistema dei diritti di impianto di nuovi vigneti;
          le associazione italiane del settore hanno espresso forti preoccupazioni rispetto alla liberalizzazione dei diritti di impianto: «Eliminare i diritti di impianto – ha dichiarato Mario Guidi, presidente di Confagricoltura – avrebbe conseguenze gravissime: aumento incontrollato delle superfici a denominazione d'origine, eccedenze nell'offerta, concentrazione nelle aree con costi di produzione più bassi, flessione del valore del vigneto, affermazione di una viticoltura lontana dalla nostra storia. Senza il sistema dei diritti crollerebbe la base della piramide qualitativa del nostro sistema di denominazioni. Il senso di responsabilità verso i nostri produttori ci impone di difendere quanto da loro storicamente creato e valorizzato, in primis il patrimonio territoriale e ampelografico»; la Cia ha poi rimarcato la necessità di rafforzare «il fronte contrario ad un provvedimento che rischia di annullare anni di lavoro in Italia per costruire un sistema vitivinicolo di qualità, fondato sulle denominazioni di origine e sul ruolo dei Consorzi di tutela per la loro gestione e valorizzazione» sollecitando «che su questa materia ci sia, in ambito comunitario, un'attenta riflessione e valutazione. Bisogna scongiurare il pericolo di una sovrapproduzione, di un ulteriore calo dei prezzi e di una diminuzione della qualità»;
          per Riccardo Ricci Curbastro, presidente Efow (European federation of origin wines–Bruxelles) e Federdoc (Federazione italiana consorzi tutela vini Doc) «la liberalizzazione totale dei diritti di impianto dal 2016 avrebbe conseguenze drammatiche sul settore dei vini di qualità, tra cui sovrapproduzioni e conseguenti crolli dei prezzi, delocalizzazioni e perdita dei posti di lavoro, industrializzazione del prodotto e perdita della qualità». Gli effetti della eliminazione dei diritti di impianto, che esistevano per la Francia dal 1953 e per gli altri Paesi europei dal 1976, secondo Federdoc, potrebbero essere devastanti, con probabili aumenti delle superfici vitate, solo per citare alcuni esempi, per la Cotes du Rhone (Francia) da 61.000 ettari a 120.000 ettari, per la Rioja (Spagna) da 60.000 a 350.000 ettari, per il Chianti (Italia) da 17.000 a 35.000 ettari;
          è stato inoltre rimarcato che la liberalizzazione dei diritti di impianto dei vigneti potrebbe mettere a rischio anche il patrimonio paesaggistico e naturale di molte zone italiane ed europee;
          anche il settore vitivinicolo sta risentendo della profonda crisi economica in atto: l'offerta del vino prevale sulla domanda e la produzione è superiore alla capacità di assorbimento. La liberalizzazione potrebbe aggravare quindi la sostenibilità economica ed occupazionale dell'intero comparto;
          la Commissione agricoltura della Camera dei deputati il 13 luglio 2011 ha approvato all'unanimità una risoluzione (numero 8/00134, a prima firma del deputato Massimo Fiorio) che impegna, nello specifico, il Governo «ad intervenire, in sede comunitaria, al fine di pervenire ad una revisione delle disposizioni previste dal regolamento (CE) 479/2008, che stabiliscono, a partire dal 1o gennaio 2016, la liberalizzazione dei diritti di impianto, i cui effetti negativi e penalizzanti esposti in premessa rischiano di determinare evidenti danni economici sull'intera filiera vitivinicola italiana, con innegabili ripercussioni sul piano occupazionale del comparto interessato»;
          secondo quanto riportato da fonti stampa il 26 marzo 2012 il Commissario europeo per l'agricoltura e lo sviluppo rurale Dacian Ciolos ha dichiarato la riapertura del dossier sulla liberalizzazione dei vigneti annunciando «l'insediamento il prossimo 19 aprile di un Gruppo di Alto livello deputato a valutare la questione», anche in seguito alla protesta di «15 Stati membri che temono che si metta a rischio il valore aggiunto delle denominazioni legate al territorio». Un'apertura quindi dovuta al dissenso di numerosi Paesi europei: «compito del Gruppo di Alto livello – sempre secondo le indicazioni di Dacian Ciolos – sarà quello di capire se ci sono nuovi elementi per implementare la riforma del vino»  –:
          se il Governo sia a conoscenza del programma di lavoro, delle indicazioni emerse, dei risultati o di documenti prodotti, fino ad oggi, dal «Gruppo di Alto livello» annunciato dal Commissario europeo per l'agricoltura e lo sviluppo rurale;
          quali provvedimenti urgenti abbia assunto fino ad oggi e quali intenda intraprendere in futuro il Governo italiano in sede comunitaria, soprattutto rispetto ai contenuti della risoluzione numero 8/00134, citata in premessa, per assicurare una revisione delle disposizioni previste dal regolamento (CE) 479/2008. (5-06667)

Interrogazione a risposta scritta:


      NASTRI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto denuncia la Confagricoltura di Torino, in occasione della «Giornata della Terra» celebrata il 22 aprile 2012, nella regione Piemonte in circa 20 anni si sono persi circa 26 mila ettari di terreno e in provincia di Torino, in particolare tra il 2000 e il 2006, si sono persi 7.650 ettari, con un incremento dell'occupazione del suolo del 17,2 per cento;
          i suesposti dati, a giudizio dell'associazione agricola torinese, confermano che l'agricoltura in tale ambito è stata fortemente penalizzata, rafforzando tra l'altro la convinzione che la situazione locale riflette quella nazionale;
          tra il 1982 ed il 2010 la superficie agricola utilizzata (SAU) in Italia, si è ridotta di quasi del 20 per cento, passando da oltre 15,7 milioni di ettari a poco più di 12,6 con 3 milioni di ettari, pari al 10 per cento del territorio nazionale, cementificati, abbandonati o desertificati;
          gli ettari perduti negli ultimi otto anni, in particolare sono stati oltre 300 mila destando forte preoccupazione, per gli operatori del settore, per lo sfruttamento dei suoli per uso abitativo, industriale o dovuto all'espansione della rete di trasporti;
          a giudizio della Confagricoltura torinese, occorrerebbe intervenire, attraverso scelte urbanistiche, preservando e riservando le migliori superfici agricole alla produzione alimentare, rispettando alcune norme, quali il recupero edilizio dell'esistente dismesso, degradato e non utilizzato e limitare le espansioni urbanistiche, prevedendo l'inedificabilità dei terreni di maggiore pregio agricolo;
          a livello europeo inoltre, la riforma della politica agricola comune PAC, il cui documento evidenzia i profili di criticità suesposti, ribadendo le componenti della polifunzionalità dell'impresa agricola, si conferma che l'attività agricola deve rispondere a più ampie finalità economiche, sociali, ambientali e territoriali, garantendo contemporaneamente maggiore produzione per soddisfare i fabbisogni alimentari dell'umanità;
          occorre prevedere, secondo quanto sostiene la suesposta associazione agricola, un impegno prioritario volto a definire un equilibrio tra crescita delle produzioni e sostenibilità dei processi, produttivi, quali: riduzioni delle emissioni, dell'impiego dei fertilizzanti di origine chimica e dei prodotti fitosanitari  –:
          quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
          se non ritenga opportuno, nell'ambito delle proprie competenze, tutelare il settore agricolo, in sede europea, che stabilirà prossimamente le linee guida della riforma della PAC, al fine di fronteggiare le criticità esposte in premessa, valutando l'opportunità di intraprendere azioni a tutela del comparto come quelle sostenute dalla Confagricoltura di Torino e precedentemente esposte. (4-15835)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


      DE POLI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          da numerose fonti giornalistiche e dall'intervento di una nota trasmissione televisiva è stato messo in evidenza uno dei malcostumi che attanagliano l'Italia, l'assenteismo durante l'orario di lavoro; nello specifico si tratta di alcuni dipendenti dell'Usl veneta finiti già al centro di una indagine ispettiva regionale;
          si sta occupando del caso anche la regione Veneto; in particolare il consiglio regionale che ha proposto l'applicazione di un modello statistico, basato su un'analisi delle presenze e delle assenze dei dipendenti delle 24 aziende sanitarie del Veneto attraverso il quale scoprire coloro i quali timbrano il cartellino e poi lasciano l'ufficio per recarsi a fare la spesa, al bar, alla posta... L'idea è di effettuare un monitoraggio a campione su diverse Usl scelte in modo tale da rappresentare l'intero sistema sanitario regionale, quindi il modello si baserà su indicatori capaci di evidenziare quelle che sono le assenze fisiologiche da quelle che dovrebbero indurre qualche sospetto;
          mai come questa volta possiamo definire il caso un reato punito dal codice penale: truffa ai danni dello Stato (...) ma ancor più ai danni dell'intera cittadinanza ! Sulla vicenda è intervenuto anche il Governatore del Veneto Zaia che giustamente ha sottolineato che la maggioranza dei lavoratori sono estremamente corretti e ligi al senso del dovere e che sui responsabili si userà il pugno duro. Occorre agire su due fronti: difendere i contribuenti sia dal punto di vista economico che da quello dell'efficienza del servizio pubblico che questi uffici devono svolgere con la massima trasparenza;
          l’iter legale che si intraprenderà non sarà breve. Le norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, se pur semplificate dal Ministro Brunetta, sono molto complesse e comportano lungaggini procedurali che rischiano di far decadere l'azione disciplinare  –:
          se il Ministro interrogato alla luce dell'attuale situazione ritenga opportuno, vista la gravità delle azioni, di poter intervenire a livello nazionale con gli organi competenti per poter arginare questo fenomeno che danneggia non solo la regione Veneto ma tutto il Paese. (4-15828)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      CODURELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          in data 4 agosto 2011 il Ministro della salute ha relazionato in missione sull'attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria di gravidanza. Dalla relazione si evince che l'incidenza del fenomeno della interruzione volontaria di gravidanza, dalla introduzione della legge n.  194 ad oggi, è in progressiva e costante diminuzione;
          la legge n.  194 prevede che: lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio, lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l'aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite;
          la legge n.  405 del 29 luglio 1975 istituisce i consultori familiari; il servizio di assistenza alla famiglia e alla maternità ha come scopi:
              a) l'assistenza psicologica e sociale per la preparazione alla maternità ed alla paternità responsabile e per i problemi della coppia e della famiglia, anche in ordine alla problematica minorile;
              b) la somministrazione dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte dalla coppia e da singolo in ordine alla procreazione responsabile nel rispetto delle convinzioni etiche e dell'integrità fisica degli utenti;
              c) la tutela della salute della donna e del prodotto del concepimento;
              d) la divulgazione delle informazioni idonee a promuovere ovvero a prevenire la gravidanza;
          nel 2010, su tutto il territorio nazionale, in linea con gli anni precedenti, è stato rilevato un decremento del 2,7 per cento rispetto al 2009, ed un decremento del 50,9 per cento rispetto al 1982, anno in cui si è registrato il più alto ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza e dal 1983 i tassi di abortività sono diminuiti in tutti i gruppi di età, più marcatamente in quelli centrali;
          a fronte di una costante diminuzione, dopo l'entrata un vigore della legge n.  194, purtroppo nel corso degli anni è cresciuto il ricorso all'interruzione volontaria di gravidanza da parte delle donne con cittadinanza estera, raggiungendo nel 2009 il 33,4 per cento del totale delle interrogazioni volontarie di gravidanza e tale fenomeno, dovuto anche al costante incremento della loro presenza nel Paese, rappresenta una criticità importante, anche se vanno sottolineati comportamenti differenti per nazionalità e cultura di provenienza, anche a causa di diversi approcci ed accessi alla procreazione responsabile ed all'interruzione volontaria di gravidanza nei Paesi di origine;
          è allarmante anche l'aumento del ricorso all'interruzione di gravidanza da parte delle minorenni, passato dal 2,7 per cento sul totale dell'interruzione volontaria di gravidanza del 2000, al 3,2 per cento del 2009;
          a fronte di queste criticità nel 2010 il Ministero della salute ha promosso e finanziato un progetto sulla prevenzione delle interruzioni volontarie di gravidanza tra le donne straniere, coordinato dalla regione Toscana, in collaborazione con l'istituto superiore di sanità e l'Università La Sapienza di Roma, che aveva come finalità la formazione degli operatori socio-sanitari finalizzata ad approcci interculturali per la tutela della salute sessuale e riproduttiva, nonché l'organizzazione dei servizi per favorire l'accesso ed il loro coinvolgimento nella prevenzione dell'interruzione volontaria di gravidanza e la promozione di una diffusa e capillare informazione per la popolazione immigrata anche attraverso il coinvolgimento delle comunità di donne immigrate. A questo progetto hanno aderito 12 regioni (Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte, Lazio, Abruzzo, Umbria, Campania, Puglia, Sicilia, Toscana, Emilia Romagna, Provincia Autonoma di Trento), mentre la Lombardia non ha aderito anche a fronte di una richiesta contenuta in una mozione del Partito Democratico (novembre 2010) in consiglio regionale. Una mozione con la quale impegnava la giunta ad aderire al progetto succitato, ma la maggioranza non ha ritenuto nemmeno di aprire un dibattito su un tema assolutamente importante rispetto alla piena applicazione delle leggi n.  194 e n.  405;
          si tratta di leggi fondamentali per la procreazione libera e responsabile e la prevenzione; infatti, i consultori familiari pubblici hanno finalità importanti soprattutto dal punto di vista della prevenzione e non solo, ma purtroppo risultano drammaticamente in diminuzione: 0,7 consultori ogni 20.000 abitanti, valore inferiore a quanto previsto dalla legge n.  34 del 1996;
          inoltre nel corso degli ultimi anni è enormemente aumentata l'obiezione di coscienza tra i ginecologi e gli anestesisti. A livello nazionale si è passati, per i ginecologi, dal 58,7 per cento del 2005, al 70,5 per cento del 2007 al 71,5 per cento del 2008 ed al 70,7 per cento nel 2009; per gli anestesisti negli stessi anni, dal 45,7 per cento al 51,7 per cento. Per il personale non medico si è osservato un ulteriore incremento, con valori che sono passati dal 38,6 per cento nel 2005 al 44,4 per cento nel 2009;
          come denunciato da LEIGA (Libera associazione italiana ginecologici per l'applicazione della legge n.  194) il rischio è che nei prossimi 5 anni, considerati i pensionamenti dei medici obbiettori, in tutta Italia rimangano poco più di 150 obbiettori non obiettori;
          i pochi medici ginecologi non obbiettori oggi vivono quella che all'interrogante appare una «segregazione professionale», costretti a fare solo aborti, con turni massacranti, non potendo di fatto occuparsi di parti o di altri interventi, e penalizzati nella carriera, con la conseguenza che aumentano le obiezioni, svuotando di fatto i servizi e favorendo l'emigrazione delle donne che rischiano di nuovo di approdare a cliniche clandestine;
          nel 2008 è stata effettuata una stima aggiornata degli aborti clandestini, dalla quale si evince che nel 2005 gli aborti clandestini erano circa 15.000, rispetto ai 100.000 del 1983, ma la preoccupazione è che siano di nuovo in aumento, soprattutto in quelle zone di Italia dove l'obiezione di coscienza rende difficile anche l'attivazione del percorso di certificazione e di interruzioni volontarie di gravidanza;
          in Lombardia la situazione dei consultori pubblici è ancora più critica; ai sensi della legge n 34 del 1996 dovrebbero essere 496 (1x20.000), mentre il rapporto di oggi è di uno ogni 41.846 abitanti contando anche quelli privati, 1 ogni 65.248 considerando solo quelli pubblici. I consultori privati, 85, sono esonerati dall'applicazione della legge n.  194, fatto gravissimo, ma essendo strutture accreditate ricevono quindi fondi, senza fare consulenza per l'interruzione volontaria di gravidanza;
          infatti, nel 2010 e 2011 l'attività del consultorio è stata unicamente quella di gestire il progetto Nasko, mentre nessuna attività di informazione o prevenzione tra le donne straniere e minorenni, come ad esempio sull'utilizzo dei principali metodi contraccettivi o il rafforzamento del percorso di interruzione volontaria di gravidanza in un'ottica di continuità assistenziale tra territorio ed ospedale, è stata portata avanti;
          sempre in Lombardia i ginecologi obbiettori sono 560 pari al 66,9 gli anestesisti obiettori sono 607 pari al 47,1 per cento; il personale non medico obiettore consta di 1.001 addetti pari al 40,3. Inoltre secondo i dati diffusi il 1° febbraio 2012 sulla base di una rilevazione della regione effettuata nel 2011, il picco massimo è all'azienda ospedaliera Sant'Antonio Abate di Varese, dove i non obiettori sono appena 2 su un totale di 23. Seguono a ruota Como e Sondrio, con soli 3 non obiettori su un totale di 26 e 19 operatori rispettivamente; l'ospedale Niguarda di Milano, dove si contano soltanto 4 non obiettori su 24; l'ospedale di Cremona, con 4 non obiettori su 19, e Treviglio con 4 su 28;
          nella lista degli ospedali con un boom di ginecologi e ostetrici obiettori rientra anche l'azienda ospedaliera di Crema con 4 non obiettori su 12 operatori. Spiccano anche i casi del policlinico San Matteo di Pavia, con soli 5 non obiettori su un totale di 16 fra ginecologi e ostetrici; l'azienda ospedaliera di Lecco con 6 non obiettori su 21, i Riuniti di Bergamo e il San Paolo di Milano con 7 non obiettori su un totale rispettivamente di 27 e di 19. Nel varesino le donne che hanno bisogno di interrompere una gravidanza hanno anche altri due ospedali a cui rivolgersi, oltre a quello con il record di obiettori (il Sant'Antonio Abate di Gallarate con 21 obiettori su un totale di 23 operatori): l'azienda ospedaliera di Busto Arsizio (ospedale di circolo) dove gli ostetrici e ginecologi non obiettori sono 10 su 34, e l'azienda ospedaliera Macchi (ospedale di Circolo) di Varese con 12 non obiettori su 43. Nella città di Sondrio invece le difficoltà diventano enormi visto che nell'azienda ospedaliera della Valtellina i non obiettori sono solo 3 su 19. In situazioni estreme dove si registrano picchi di obiezione di coscienza fra ginecologi e ostetrici, considerando anche i turni, si rischia di avere un solo camice bianco disponibile a praticare un'interruzione volontaria di gravidanza; in moltissime occasioni, a fronte di tassi così alti di obiezione di coscienza, viene messa in discussione non solo la funzionalità stessa dell'ospedale ma anche la corretta applicazione della legge n.  194, che rientra fra le funzioni che un ospedale pubblico deve espletare, non garantendo il diritto previsto dalla legge mettendo in serio pericolo la salute della donna;
          nel giugno del 2010 sono state diramate le linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza e sull'utilizzo della pillola RU 486, che non hanno evidentemente valore vincolante  –:
          quali siano i risultati del progetto sulla prevenzione dell'interruzione volontaria di gravidanza le donne straniere attivato nel 2010 e se siano stati individuati specifici percorsi;
          quali iniziative di competenza intenda assumere affinché venga garantita la piena applicazione della legge n.  194 e il diritto delle donne all'interruzione volontaria di gravidanza, nei modi e nei tempi stabiliti dalla legge;
          quali iniziative intenda assumere il Governo in merito alla necessità di potenziare la rete dei consultori pubblici, come previsto dalla legge n.  405, che sono in primo luogo lo strumento essenziale per le politiche di prevenzione, oggi più che mai rese necessarie per i giovani e gli immigrati, e di promozione della maternità/paternità libera e consapevole, nonché servizio essenziale per l'inizio del percorso per l'interruzione volontaria di gravidanza;
          quali siano i dati in relazione all'applicazione della pillola RU 486. (5-06676)

Interrogazioni a risposta scritta:


      ROSATO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il progetto cosiddetto della «cittadella della salute» prevede l'accorpamento dei due principali ospedali di Trieste l'Irccs Burlo Garofalo e l'ospedale di Cattinara;
          il piano prevede, anche, la realizzazione presso Cattinara di una nuova struttura di 80 mila metri quadrati per l'Irccs Burlo, la realizzazione di un volume di collegamento tra le torri di degenza con i nuovi parcheggi e la nuova viabilità, la collocazione delle funzioni cliniche assistenziali del Centro di medicina molecolare e innovazione, l'attività didattica universitaria in una struttura di 816 mila metri quadrati e la riqualificazione di due aree verdi;
          la struttura destinata ad ospitare l'Irccs Burlo potrebbe, anche, fungere da reparto degenza provvisorio consentendo finalmente la realizzazione dei lavori di ristrutturazione delle torri dell'ospedale di Cattinara;
          lo studio di fattibilità dell'opera della cosiddetta «Cittadella della salute» è già stato redatto e sottoscritto dal gruppo di progetto il 27 dicembre 2009, mentre l'accordo di programma quale strumento urbanistico per la realizzazione dell'opera è stato stipulato il 27 marzo 2009 tra la regione autonoma, comune di Trieste, provincia di Trieste, ospedali riuniti, IRCCS Burlo e ANAS spa;
          con delibera di giunta regionale n.  1134/2010 la giunta della regione autonoma Friuli Venezia Giulia ha proposto allo Stato un accordo di programma per la ristrutturazione e l'ampliamento dell'ospedale di Cattinara e la nuova sede dell'IRCCS Burlo tramite la modalità dell'appalto diretto;
          la proposta prevede un impegno economico a carico di regione autonoma per euro 93.336.420,00 e a carico dello Stato per euro 32.533.579,00 ai quali vanno ad aggiungersi quelli già stanziati per la sola ristrutturazione dell'IRCCS Burlo ammontanti a euro 14.100.000,00;
          la cifra stanziata dalla regione autonoma potrebbe ridursi di 37 milioni di euro qualora si preferisse l'istituto del project finance quale strumento per la realizzazione dell'opera anziché l'appalto diretto e consentirebbe di non far rientrare il costo dell'opera nel patto di stabilità;
          ad oggi Stato e regione autonoma non hanno ancora sottoscritto l'accordo nonostante nulla osti allo sblocco dei fondi da parte ministeriale per l'avvio dell'opera;
          la nuova struttura ospedaliera è stata progettata e riprogrammata più volte, ma ora gode della copertura finanziaria della regione autonoma e attende il solo finanziamento di parte statale  –:
          posto che l'edilizia ospedaliera è ritenuta infrastruttura la cui cantierizzazione è in grado di muovere l'economia, a quale punto sia la procedura governativa per la sottoscrizione di un accordo di programma con la regione autonoma Friuli Venezia Giulia;
          quali tempistiche il Ministro preveda per la sottoscrizione dell'accordo di programma e lo stanziamento dei fondi.
(4-15817)


      DI BIAGIO. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'acufene è una patologia devastante, i cui aspetti non sono molto conosciuti dall'opinione pubblica. Si tratta di una disfunzione del sistema uditivo che porta alla percezione di un suono in assenza di una stimolazione sonora, che ha un impatto molto negativo sulla qualità della vita;
          chi è affetto da questa patologia percepisce i rumori sotto forma di fischi, ronzii, percependo i soffi o pulsazioni che si originano all'interno del corpo umano oppure dell'apparato uditivo stesso;
          l'acufene è uno dei disturbi più comuni della popolazione che può colpire in età pediatrica anche se il rischio di manifestazione aumenta con l'età, maggiormente dopo i 40 anni senza differenze tra i sessi;
          diversamente da quello che si crede, questa patologia non è semplicemente un «disturbo spiacevole», ma una vera e propria malattia invalidante che affligge in Italia il 10 per cento della popolazione, secondo i dati forniti per l'Associazione italiana Tinnitus-Acufene;
          gli affetti da questa malattia, oltre 5 milioni di cittadini italiani, sono obbligati a vivere sentendo ininterrottamente rumori irritanti, che provocano disturbi nel sonno, ed effetti negativi non solo sulla capacità di concentrazione e attenzione, ma anche nella vita di relazione;
          sebbene per il 60 per cento dei casi ancora non è possibile individuare lo specifico fattore scatenante, la persistenza nel tempo e la dimensione fortemente invalidante hanno portato a stati di estrema depressione che hanno avuto anche drammatiche conseguenze, come il suicidio;
          nei soggetti colpiti, questo disturbo provoca un cambio di abitudini, di condotte e sullo stile di vita (per esempio, non frequentano i locali affollati e rumorosi, e nei casi più gravi, richiede l'interruzione dell'attività lavorativa);
          l'associazione Italiana Tinnitus-Acufene (A.I.T. onlus) è composta ad oggi da circa 2.000 iscritti e riceve ogni giorno numerose telefonate da parte di persone affette da questa malattia per chiedere informazioni. Sono molti i social network che si occupano della questione e che riuniscono i pazienti affetti da tale disturbo;
          al momento la ricerca scientifica risulta molto limitata sul versante dell'approfondimento di questo disturbo  –:
          quali siano i risultati della ricerca raggiunti fino ad ora sul versante della conoscenza del disturbo di cui in premessa;
          quali iniziative si intenda intraprendere al fine di dare la giusta attenzione alla suindicata patologia, anche attraverso ulteriori studi e ricerche al fine di riconoscere una maggiore consapevolezza scientifica e orientare in maniera adeguata le cure ai pazienti affetti. (4-15819)


      JANNONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          nella struttura ospedaliera di Pavia, sono in cura pazienti molto giovani, alcuni addirittura di 13 anni, affetti di «gioco d'azzardo». Sono 100 mila, secondo le stime di Alea, associazione per lo studio del gioco, i minorenni che non riescono a stare lontani dalle slot machine, da partite on line, schedine e numeri. L'avanguardia di un esercito drammaticamente in crescita nel nostro Paese, dove un teenager su quattro compra un gratta e vinci a settimana e l'11 per cento è a rischio di gioco compulsivo. Sono infatti più di 500 mila i giocatori patologici in Italia (dati Cnr), un paese dove in azzardo tra schedine e on line, macchinette e gratta e vinci, ogni anno si spendono 80 miliardi di euro, duemila euro a persona in media. Un record che mette l'Italia tra i primi posti al mondo, unica ad aumentare il numero delle giocate da quando è scoppiata la crisi: più 25 per cento ogni anno, mentre nel resto del mondo diminuisce del 5 per cento;
          quasi la metà degli «schiavi» del rischio (40 per cento) sono pensionati, casalinghe, disoccupati, fasce deboli della popolazione che cercano emozione, compensazioni affettive e soldi per arrivare alla fine mese. Tra loro alcuni hanno deciso di curarsi, di chiedere aiuto dopo che il loro castello di bugie, mezze verità si è dissolto. «È un anno che ci sto lontano – racconta Fabio, minorenne –, che cambio strada per non entrare nel bar e non vederla. Se tocco quella maledetta macchinetta sono fregato, ho paura mi torni la voglia di giocare come prima e tutta questa fatica finisca in niente. Come un drogato in astinenza di eroina, mi sto curando». Nei giorni scorsi lo stesso Ministro Renato Balduzzi, rilevata la gravità della situazione, ha dichiarato che in futuro i giocatori patologici devono essere curati gratuitamente dalle Asl. La realtà è che da più di un anno già seimila malati sono in terapia nei 197 centri per le dipendenze pubblici (Serd), che si occupano anche dei gambler oltre che di alcolisti, tossicomani o dipendenti dallo shopping. Altri ancora si appoggiano ad associazioni di volontariato come il gruppo Abele di don Ciotti a Torino che solo in un quartiere cittadino ha decine di giocatori in cura. Affrontano uno, due anni di terapia, di incontri settimanali singoli e con la famiglia, come racconta il professor Maurizio Fea, psichiatra che segue il progetto «Gioco responsabile» e coordina il servizio per tutti i Serd italiani. Lottano per ricominciare a sperare, per non sentirsi in balia di una carta, un numero, un pulsante, col pensiero fisso sulla scommessa. Gli esperti, psicologi, medici, applicano tecniche cognitivo-comportamentali che puntano a cambiare le abitudini, cercando di capire qual è l'occasione che scatena il desiderio. «Il brivido di emozione della scommessa o che da la vincita – spiega Fea – scatena un meccanismo neurobiologico uguale a quello della droga: rilascio di una fortissima dose di dopamina, la sostanza che trasmette una sensazione di piacere, di benessere». E così, ricercando quel piacere, ci si lega alla ripetizione del gesto, della scommessa sperando ogni volta di rifarsi delle perdite. Una discesa che rischia di portare nelle mani degli usurai o, come quell'operaio di Rovereto, a fingere una rapina per giustificare alla moglie i soldi giocati e persi alle macchinette;
          questa malattia colpisce le tipologie di persone più disparate, da casalinghe a disoccupati, da minori, a giovani laureati: Maria è una casalinga sola; racconta che, in quell'oretta alle macchinette del bar dopo aver accompagnato la figlia a scuola, cercava «un momento tutto per me prima delle faccende, una distrazione, un modo per occuparmi di me stessa visto che nessuno lo faceva». All'inizio è una giocata dopo il caffè, poi diventano 50 euro al giorno bruciati alle slot o cancellando i tagliandi della fortuna. «E così comincio a mentire, a fare la cresta sulla spesa, sui soldi che mi dà mio marito per giocare. Fa l'impiegato, si fida o è distratto da altre storie per cui non se ne accorge». Passa un anno, poi i soldi della spesa non bastano più e Maria finisce per svuotare il conto comune. Quando arriva la telefonata della banca è l'inizio della fine. «O forse un nuovo inizio. Adesso ci provo, col gruppo Abele, a capire perché, a cercare di limitarmi, ma è dura, tanto». Secondo alcuni dati, sono centomila i minorenni giocatori compulsivi, un'età in cui sarebbe vietato anche solo giocare una volta. La Casa del Giovane di Pavia ha distribuito a 300 ragazzi di terza media un questionario: è emerso che il 25 per cento ha giocato nell'ultima settimana, il 53 per cento nell'ultimo mese. Il motore è la ricerca di sensazioni estreme. «Sono come in preda a un raptus. Se chiedi loro quanto hanno scommesso non te lo sanno dire», spiega lo psicologo. «Era iniziata bene – racconta Fabio – 150 euro vinti con la macchinetta, la soddisfazione, il brivido dei soldi facili, gli amici che ti guardano come un vero figo. Poi però non è più successo, ma io sono convinto che il mio momento tornerà e continuo a giocare. I soldi non li ho, li prendo dai portafogli dei miei, sono separati. A mia nonna ho arraffato un po’ di soldi della pensione. È un prestito, mi dico, poi glieli rendo, domani vinco, mi ripeto». Ma quel domani vittorioso non arriva mai e Fabio continua tra furtarelli e macchinette fino al giorno in cui il padre lo scopre. Ora sono tutti in cura, sedute singole e familiari da più di un anno. «Passo davanti al bar e tiro dritto, ma è come se fossi un drogato in astinenza, come uno che cerca di smettere di fumare. Troppi tabaccai in giro»;
          tra quei seimila in cura nei Serd il 40 per cento sono precari, disoccupati, pensionati, casalinghe, che ai medici raccontano di essere capaci di spendere dai 100 ai 1.000 euro a settimana. Ma anche cifre più alte che non hanno, impegnandosi passato e futuro. Come Stefano, impiegato torinese sulla soglia della pensione. Prima al massimo aveva giocato la schedina. Poi gli anni sono passati, sono cresciute le delusioni, il senso di insoddisfazione, poca voglia di tornare in famiglia, mentre le soste al bar o alla sala giochi diventano sempre più lunghe. «Non so cosa cercavo – spiega – l'emozione che non trovavo a casa, quel momento in cui ti senti vivo, vincente. Ho sempre pensato adesso gira giusta, adesso riguadagno quello che ho perduto. Niente. Mi sono bruciato la liquidazione, a mia moglie ho detto che l'avevo investita. E quando ha scoperto il mio ammasso di bugie, mi è andata bene: è rimasta al mio fianco, anche se il giorno prima stavo per vendere la casa dove abitavamo pur di continuare a giocare. Adesso siamo tutti in cura. Sperando di farcela, insieme»  –:
          quali interventi il Ministro intenda adottare, al fine di creare delle strutture simili al Serd o alla casa del giovane di Pavia, in grado di aiutare i malati di gioco d'azzardo compulsivo;
          quali interventi il Ministro intenda adottare, al fine di migliorare la normativa relativa al gioco, evitando che i minori si trovino in situazioni di emarginazione sociale e di impedimento psicologico. (4-15823)


      DI BIAGIO e PATARINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la polineuropatia cronica infiammatoria demielinizzante (CIDP), è una patologia che coinvolge il sistema nervoso periferico con risvolti dolorosi e invalidanti e genera una progressiva paralisi degli arti, che al momento affligge centinaia di cittadini italiani;
          la sopraindicata questione è stata oggetto di un'interrogazione del sottoscritto a risposta immediata in Assemblea n.  3/01447 dell'8 febbraio 2011 che ha ricevuto una risposta favorevole da parte del Ministero competente che si è impegnato a istituire un tavolo tecnico per valutare l'introduzione delle IVIg (immunoglobuline per via endovenosa) nell'ambito dei livelli essenziali di assistenza nel trattamento della patologia;
          occorre indicare che la polineuropatia cronica infiammatoria demielinizzante si trova iscritta nell'elenco delle malattie rare del Ministero della salute – allegato 1 del decreto ministeriale n.  279 del 2001 – codice di esenzione RF0180;
          le ricerche sul tema e il fatto che in USA la polineuropatia cronica infiammatoria demielinizzante è stata inserita tra le patologie aventi come indicazione di trattamento le immunoglobuline dimostrano che non solo nel territorio nazionale ma anche nell'ambito internazionale il trattamento con IVIg si trova in prima linea nella cura di neuropatologie autoimmuni e, in particolare, della polineuropatia cronica infiammatoria demielinizzante;
          sfortunatamente dal sito polineuropatia cronica infiammatoria demielinizzante si può scorgere che negli ultimi mesi, ci sono stati tagli sul versante del budget sui servizi sanitari in alcune regioni, soprattutto per quanto riguarda l'erogazione dei suddetti farmaci, tanto da spingere i pazienti a spostarsi in altre regioni. In virtù di questa «chiusura» sanitaria, in questo momento si parla di emigranti della salute tra regioni e regioni;
          di fatto i tagli aumentano la difficoltà per i pazienti di polineuropatia cronica infiammatoria demielinizzante, poiché molti non riescono a fare il previsto ciclo di questo farmaco derivato dal sangue, e vivono in condizioni precarie;
          risulta all'interrogante che la regione Lazio, nell'ambito del citato ridimensionamento di budget, ha inteso vietare la somministrazione di immunoglobuline ai pazienti con questa malattia, lasciando emergere in questa regione una grave impasse sanitaria e assistenziale che rischia di inficiare in maniera ancora più vistosa la salute dei malati di polineuropatia cronica infiammatoria demielinizzante;
          i pazienti a cui le cure sono negate, assistono ad una riduzione delle proprie capacità fisiche. In ragione di tali aspetti appare inaccettabile che centinaia di malati, cittadini italiani, si ritrovino a dover lottare con l'amministrazione per poter avere accesso a farmaci così importanti.
Una lotta che si ripete ciclicamente ma che – purtroppo – non conduce ad una risoluzione definitiva del problema  –:
          quali iniziative a carattere di urgenza intenda predisporre – nell'ambito delle proprie competenze – al fine di intervenire a sostegno dei pazienti direttamente coinvolti dalle deficienze budgetarie delle regioni nelle quali esistano piani di rientro dal deficit sanitario per evitare che la sopraindicata situazione di drammatica criticità, comprometta i livelli essenziali di assistenza per questi pazienti. (4-15831)


      NICOLUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il gioco d'azzardo, negli ultimi anni, ha avuto in Italia un incremento sorprendente, con il nostro Paese che detiene il primato europeo per la maggior cifra giocata ai tavoli da gioco: una media di circa 2.000 euro a persona;
          è dunque comprensibile come si siano moltiplicate le occasioni di gioco e come si cerchi di «reclutare» più giocatori possibili attraverso campagne pubblicitarie sempre più allettanti;
          nelle ultime settimane è diventato di sempre maggiore attualità, come dimostrato dal risalto che la stampa gli sta dando e dalle numerose iniziative parlamentari provenienti da tutti i gruppi politici in materia, la tematica attinente alla cosiddetta ludopatia, cioè la patologia derivante dalla dipendenza dal gioco d'azzardo che nella maggior parte dei casi porta il giocatore e la sua famiglia alla rovina socio-economica;
          il gioco legale conta circa 31 milioni di persone di cui, secondo il Censis, almeno 100mila sono colpite da ludopatia grave e, secondo il CNR, circa tre milioni sono ad alto rischio;
          non bisogna cadere nel rischio di demonizzare a priori un intero settore, quale è quello dei giochi, che oggettivamente ha molta importanza nel nostro Paese sia per le sue ricadute occupazionali che per i generosi proventi fiscali garantiti all'erario, ma prendere atto che in Italia stanno crescendo situazioni di rischio e di dipendenza patologica dal gioco  –:
          quali iniziative di competenza intenda assumerseli Governo in merito a quanto esposto in premessa;
          se, come ipotizzato da molti parti, sia possibile riconoscere la ludopatia come una patologia da inserire nei livelli essenziali di assistenza e quindi da curare nell'ambito dei servizi forniti ai cittadini dal Servizio sanitario nazionale. (4-15838)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      GRAZIANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          Firema Trasporti spa è una società leader che opera nel settore metalmeccanico e svolge attività di progettazione, costruzione e riparazione di locomotive, treni, metropolitane e tram. Il gruppo occupa circa 900 dipendenti, dislocati nei siti di Milano, Spello, Tito e Caserta. In quest'ultimo territorio è situata l'unità produttiva più importante con circa 400 addetti;
          a partire dal 2 agosto 2010 Firema è stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria per ristrutturazione economica e finanziaria, ai sensi del decreto-legge n.  347 del 2003, convertito, con modificazioni, in legge n.  39 del 2004, cosiddetta legge Marzano, ed è stato nominato un commissario straordinario. Di qui, successivamente, è stato previsto il trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria di 12 mesi, che dopo una ulteriore proroga, sarebbe scaduto insieme alla procedura di amministrazione controllata, il 18 marzo 2012;
          in data 24 febbraio 2012, il Ministero dello sviluppo economico ha concesso una proroga dell'amministrazione controllata per ulteriori 12 mesi, quindi fino al 18 marzo 2013, finalizzata alla vendita ovvero al rilancio della società. Nel contempo, l'azienda ha presentato al Ministero del lavoro e delle politiche sociali istanza di proroga della cassa integrazione guadagni straordinaria per l'ulteriore periodo di commissariamento;
          dalla data di insediamento, il commissario straordinario, verificata l'effettiva capacità produttiva dell'azienda, ha permesso di continuare l'attività sulle commesse in essere, ritenendo sussistenti le condizioni operative di un'azienda capace di produrre;
          invero, grazie al patrimonio tecnologico e al proprio know-how, l'azienda ha ricevuto dai suoi clienti attestati di affidabilità e credibilità. Le attività svolte nel periodo di commissariamento si riferiscono a commesse della regione Lombardia, delle metropolitane Meneghino e dei treni regionali TSR per le ferrovie Le Nord, nonché a quelle di subappalto da parte di Ansaldo Breda, e alla costante e puntale consegna della commessa brasiliana, la Fortaleza;
          l'operatività dell'azienda e, la situazione occupazionale ed economica dei suoi dipendenti sono state oggetto di una precedente interrogazione n.  4-11027. Rispetto alle problematiche segnalate nell'atto e alla situazione rappresentata allora, resta inevaso il problema cruciale dell'azienda, cioè quale prospettiva di crescita dare al gruppo. Il paradosso è che rischia di chiudere una delle eccellenze dell'industria italiana;
          oggi Firema si trova nella fase di completamento delle citate commesse, che a stento potranno protrarsi per i prossimi mesi. Lo stato di inattività potrebbe ripercuotersi sui lavoratori in cassa integrazione guadagni straordinaria e potrebbe risultare vana la proroga commissariale, poiché l'azienda di fatto sarà ferma;
          le commesse che potrebbero dare immediata continuità a Firema sono quelle della regione Campania-Metrocampania NORD EST (MCNE) e SEPSA. Nel merito, la regione interessata, pur avendo rinegoziato da circa un anno gli accordi con il commissario straordinario, non ha ancora deliberato i pagamenti di lavori già eseguiti dall'azienda, in particolare quelli necessari a riattivare la produzione di treni che possano consentire ai campani di viaggiare in condizioni non più disagevoli;
          in questa situazione preoccupa che il comitato di sorveglianza Firema, presso il Ministero, chieda alla società di presentare un piano di lavoro al Ministero entro il 14 maggio 2012. Pertanto, la non attivazione immediata delle commesse regionali o la mancata acquisizione di ulteriori commesse potrebbero indurre la società a una procedura fallimentare definitiva;
          la speranza dei lavoratori è che prima della data indicata il destino dell'azienda possa trovare un esito positivo;
          l'assenza di una politica nazionale del settore ferroviario che non integri anche Firema nel progetto di ristrutturazione e rilancio di Ansaldo Breda rischia di segnare la fine del gruppo, restando Firema oggi il secondo produttore ferroviario italiano, e dello stesso settore, nonché di comportare un'altra desertificazione industriale sul territorio nazionale e, in particolare, su quello casertano, dove il tessuto industriale cede sempre più terreno alla speculazione per future iniziative commerciali  –:
          quale siano gli interventi del Governo sul futuro di Firema in particolare e in generale sulla politica settore ferroviario, una politica che possa valorizzare le competenze dell'azienda, come dimostrato anche nella gestione commissariale, istituendo in proposito un tavolo istituzionale aperto a tutti i livelli di interesse;
          se non si intenda assumere ogni iniziativa di competenza, anche in collaborazione con le istituzioni regionali, al fine di rilanciare il tessuto industriale della regione, già fortemente compromesso;
          quali iniziative si intendano assumere per sostenere con impegni concreti il prolungamento della cassa integrazione guadagni straordinaria a tutti i dipendenti.
(5-06682)


      CODURELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          nel territorio del lecchese frequenti sono gli episodi di malfunzionamento del servizio postale, riportati anche sugli organi di stampa e segnalati dai cittadini, dagli amministratori comunali e dai sindaci che hanno scritto al prefetto. Disservizi che determinano inefficienze e disagi che si ripercuotono pesantemente per i ritardi di consegna. Oltre alla posta normale, infatti, anche bollette e utenze non vengono consegnate in modo da rispettare le scadenze di pagamento, con conseguenze gravi;
          si sono registrati inoltre casi di mancata consegna della corrispondenza così come di lunghe file agli sportelli anche per il banale pagamento di bollette. Addirittura nel mese di febbraio 2012 a causa del maltempo un ufficio postale nel comune di Casatenovo non ha aperto al pubblico, lasciando i cittadini senza servizio come oramai avviene spesso, a causa della sospensione del collegamento in rete nel sistema informatico, senza avere un servizio alternativo per l'emergenza. Altrettanto significativa è la mancanza di informazione agli sportelli come è avvenuto ad Olgiate Molgora, dove alla richiesta di delucidazioni sull'apertura di un conto bancoposta Click sarebbe stato risposto che l'ufficio non essendo competente non poteva adempiere all'operazione;
          un portalettere mandellese è stato scoperto nei gironi scorsi dai carabinieri e denunciato per truffa, interruzione di pubblico servizio, violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza perché aveva in casa migliaia di lettere, raccomandate, riviste, bollette da pagare non recapitate e nascoste in capienti scatoloni, ben 11.600 chili tra lettere spedite da istituti di credito, bollette di diverse società ed altro materiale indirizzato a residenti nei comuni di Abbadia Lariana, Lecco e Mandello. Atto gravissimo al quale Poste Italiane non ha ancora dato risposte né si è scusata con gli utenti come ha giustamente richiesto il sindaco di Mandello;
          al disservizio quotidiano va quindi ad aggiungersi quella che appare all'interrogante la totale mancanza di controllo da parte dei responsabili dell'azienda;
          i cittadini e gli enti pubblici continuano a denunciare la vergognosa situazione nella quale grava un servizio pubblico. Ultimo in ordine di tempo il sindaco di Osnago, Paolo Strina, che in una missiva ufficiale indirizzata al prefetto di Lecco, segnala una situazione di mancato recapito della corrispondenza nel suo comune, che dal mese di dicembre ad oggi ha subito una parabola discendente, che è diventata ad oggi insostenibile per i cittadini che si trovano a ricevere con notevole ritardo missive e bollette sulle quali si trovano incolpevolmente a sostenere la spese delle conseguenti sanzioni;
          pur apprezzando la disponibilità individuale del responsabile delle Poste Italiane di zona, permangono a detta del sindaco gravi inadempienze nel servizio che trovano ragione d'essere nei continui tagli effettuati dall'azienda, nella riduzione del personale, nelle mancate prospettive di crescita a cui il personale viene relegato e nella pericolosa strada di un impoverimento graduale delle risorse destinate che inevitabilmente si ripercuotono sulla qualità e sull'immagine del servizio e dell'ente Poste Italiane;
          in concomitanza con i gravi fatti citati in premessa, a fine gennaio c’è stata la riorganizzazione degli orari in seguito ad una scelta di razionalizzazione dell'ente che ha colpito diverse regioni italiane tra cui la Lombardia e la provincia di Lecco, in modo unilaterale e senza accordi con sindacati ed amministrazioni. Gli uffici hanno subito una riduzione dell'orario di apertura comunicato con ampio ritardo al pubblico con conseguenti disagi provocati e sulla quale in data 1o febbraio 2012 era stata presentata un'interrogazione (n.  5-06078 ancora senza risposta) al Ministro dello sviluppo economico proprio per sottolineare l'incongruenza fra la riduzione del personale, la riduzione degli orari e la sempre maggior inefficienza del servizio postale, sia esso il servizio di sportello o il servizio di recapito della posta;
          l'interrogante ha presentato numerosi atti di sindacato ispettivo per segnalare tali disservizi, ma, nonostante le risposte di miglioramento in atto e le promesse annunciate, la situazione non fa che peggiorare. Le risposte avute dal Governo sono state infatti molto generiche e in alcuni aspetti si sono verificate non corrispondenti ai fatti. Secondo la risposta resa dal Governo in Commissione il 27 luglio 2011 «La società Poste Italiane precisa che il rallentamento nello svolgimento del servizio nelle predette aree è stato causato dall'implementazione del nuovo modello organizzativo e dalla connessa ridefinizione delle zone di competenza dei portalettere, che ha comportato la necessità di procedere ad un aggiornamento della formazione del personale, al fine di permettere una conoscenza approfondita della nuova ripartizione della logistica (...)» e «che le fasi iniziali della nuova organizzazione sono state rese particolarmente difficoltose dalla concomitanza di lunghi periodi di malattia che hanno riguardato tre addetti al recapito». Inoltre per l'azienda la situazione, denunciata dall'interrogante nei mesi precedenti «è stata prontamente fronteggiata con l'immediato ricorso all'impiego di personale a tempo determinato e l'applicazione di opportune iniziative di carattere gestionale che hanno favorito un progressivo smaltimento delle giacenze, permettendo un graduale ritorno al regolare svolgimento del servizio». Dalle denunce oramai quotidiane, si intravede alcuna normalità;
          nonostante la drammatica situazione suddetta l'amministratore delegato di Poste Italiane, dottor Sarmi, si vanta dei profitti ottenuti, realizzati però, a scapito del servizio universale rivolto ai cittadini come previsto dal contratto di programma e dalle direttive europee;
          infatti il decreto legislativo n.  58 del 31 maggio 2011 di recepimento della direttiva 2008/6/CE, che modifica la direttiva 96/67/CE per quanto riguarda il pieno completamento del mercato interno dei servizi postali, dispone che «è assicurata la fornitura del servizio universale e delle prestazioni in esso ricomprese, di qualità determinata, da fornire permanentemente in tutti i punti del territorio nazionale, incluse le situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali e montane, a prezzi accessibili all'utenza» e che «il servizio universale è affidato a Poste Italiane S.p.A. per un periodo di quindici anni, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di attuazione della direttiva 2008/6/CE. Ogni cinque anni il Ministero dello sviluppo economico verifica, sulla base di un'analisi effettuata dall'autorità di regolamentazione, che l'affidamento del servizio universale a Poste Italiane S.p.A. sia conforme ai criteri di cui alle lettere da a) ad f) del comma 11 dell'articolo 3 e che nello svolgimento dello stesso si registri un miglioramento di efficienza, sulla base di indicatori definiti e quantificati dall'autorità. In caso di esito negativo della verifica di cui al periodo precedente, il Ministero dello sviluppo economico dispone la revoca dell'affidamento»;
          con ordine del giorno n.  9/54-A3 accolto dal Governo nella seduta del 5 aprile 2011, in sede di esame della proposta di legge A.C. n.  54 «Disposizioni per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni», approvato dalla Camera in data 5 aprile 2011, si impegnava il Governo «a tutelare il diritto dei cittadini italiani ad avere un servizio postale universale, ossia diffuso su tutto il territorio nazionale a prezzi accessibili, mediante un rigoroso e costante controllo del rispetto degli obblighi sottoscritti dalle parti in causa con il contratto di programma per quel che riguarda l'erogazione del servizio postale e la sua rimodulazione, in modo tale che venga tutelato il primario e ineludibile interesse dei cittadini»;
          la Commissione europea ha inviato una lettera al Governo italiano pervenuta il 14 ottobre 2011, nella quale si rileva la mancata attuazione di quanto previsto dal decreto legislativo n.  58 citato, in particolare per quanto concerne l'avvio dell’iter per l'istituzione dell'Agenzia di regolazione ivi prevista, tra i cui compiti dovrebbe rientrare la verifica del pieno adempimento del contratto di programma agli obblighi del servizio universale affidato a Poste italiane spa  –:
          se sia a conoscenza della situazione in cui grava il servizio suddetto e come intenda intervenire, con sollecitudine, al fine di garantire alla cittadinanza un servizio universale come previsto dalla normativa;
          se abbia provveduto ad adempiere agli obblighi imposti dall'Unione europea nonché a dare attuazione all'impegno assunto a seguito dell'ordine del giorno 9/54-A3 in premessa citato. (5-06683)

Interrogazioni a risposta scritta:


      RIGONI e EVANGELISTI. —Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il cantiere di Nuovi Cantieri Apuania (Nca), di proprietà di Invitalia, a partecipazione interamente pubblica si trova attualmente in una situazione molto difficile: tra un mese e mezzo, infatti, sarà varata la nave delle Ferrovie, che è l'ultima commessa in essere presso i cantieri di Marina di Carrara;
          se non verranno presto rinnovati i carichi di lavoro, i lavoratori saranno costretti alla cassa integrazione e addirittura il cantiere rischierà di chiudere entro la fine del 2012; sebbene la seconda commessa di Rete ferroviaria italiana (Rfi) non si possa ritenere una soluzione definitiva, rappresenta comunque una boccata d'ossigeno fondamentale per permettere a Invitalia di verificare la consistenza del progetto industriale presentato nei giorni scorsi da una società italiana operante nel settore della nautica, che potrebbe andare a sostituire la Nca;
          purtroppo, dal tavolo riunito il 18 aprile 2012 presso il Ministero non è emerso nulla di concreto se non la conferma che Invitalia dismetterà la sua partecipazione a fine anno in assenza di commesse; tra l'altro, a tale incontro non erano presenti esponenti del Governo;
          per tale motivo, gli interroganti hanno ritenuto di incontrare personalmente il Ministro titolare per sollecitarlo a prendere atto di questa grave e urgente situazione di difficoltà e spingere Invitalia ad avvalersi dell'opzione sulla seconda commessa di Rfi;
          sull'argomento sono stati già presentati diversi atti di sindacato ispettivo da parte degli interroganti  –:
          con quali concrete iniziative intenda affrontare la situazione esposta in premessa sia per quanto riguarda la seconda commessa, sia per l'individuazione di un nuovo imprenditore al fine di assicurare un futuro industriale e occupazionale certo ai Nuovi Cantieri Apuania. (4-15815)


      REALACCI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          negli ultimi anni la società Poste italiane spa ha avviato un processo di razionalizzazione del servizio, procedendo alla chiusura degli uffici postali, alla riduzione degli orari di apertura degli sportelli in diverse aree del territorio nazionale, specie quelle geograficamente più svantaggiate, e infine alla sospensione del servizio «porta-lettere» del sabato;
          in particolare sono sempre più numerose le segnalazioni di disservizi di Poste italiane da parte dei sindaci di molti comuni toscani, delle comunità montane della regione, dell'Anci Toscana. Le segnalazioni risultano oramai diffuse e non più lamentate solo dai comuni più piccoli, ovvero quelli che storicamente sono i più difficili da servire, ma seri disagi sono segnalati sempre più spesso anche in aree più vaste e in città capoluogo. Le tipologie più frequenti dei disagi dall'utenza sono, come già detto: la riduzione dell'orario di ufficio, la drastica riduzione del servizio di distribuzione della posta, la definiva chiusura dell'ufficio e carenza di postini che coprono sempre meno zone della regione;
          è questo l'ennesimo caso dell'ufficio postale e centro di smistamento di Pisa Ospedaletto: il cui personale sarà ridotto, da quanto si apprende dalla stampa locale e dalla protesta del sindaco di Pisa Marco Filippeschi, di altre 130 unità entro poco tempo;
          per quanto sopraddetto gli ultimi tagli di personale annunciati in Toscana arriveranno a 600 unità; rendendo anche secondo quanto lamentato da tutte le organizzazioni sindacali di categorie, precario l'intero servizio postale regionale, a fronte paradossalmente di conti in ordine di Poste italiane spa se non addirittura di utili di bilancio  –:
          come il Ministro intenda intervenire, anche favorendo una concertazione fra la direzione regionale toscana di Poste italiane spa, e le istituzioni coinvolte, per evitare che decisioni unilaterali assunte dall'azienda arrechino seri disagi agli abitanti dei comuni della regione Toscana, e di Pisa nel caso sopraccitato, al fine di garantire l'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità nel rispetto del contratto di servizio postale universale.
(4-15836)


      MARMO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la società Poste italiane spa nei giorni 13 e 14 aprile 2012 ha presentato la riorganizzazione del settore servizi postali sostanziatasi nel progetto denominato «interventi servizi postali»;
          detto progetto prevede provvedimenti che, se attuati, produrrebbero 1.763 esuberi nelle prime regioni di applicazione, e cioè Toscana, Piemonte, Marche, Emilia Romagna e Basilicata, nonostante Poste italiane spa abbia recentemente festeggiato un incremento di utili;
          stando ai dati diffusi da Poste italiane spa, il piano genererebbe un taglio del 20 per cento che, riprodotto su scala nazionale, si sostanzia in circa 12.000 esuberi;
          il succitato progetto di riordino sarebbe dettato, stando a quanto sostenuto dal management di Poste italiane spa, dalla riduzione della corrispondenza e dalla conseguente necessità di provvedere al taglio del personale in esubero;
          per la provincia di Asti la ricaduta in termini occupazionali si concretizzerà con 21 esuberi, su un organico di 204 addetti con la possibile eliminazione di 18 zone di recapito;
          il nuovo piano di riorganizzazione dei servizi postali è del tutto privo di una prospettiva di crescita da attuare attraverso nuovi investimenti in termini di risorse finanziarie e umane, né tantomeno sono indicate delle soluzioni ai problemi della diminuzione dei flussi e di un ulteriore supporto allo sviluppo e alla concorrenza;
          già nel mese di luglio del 2010 la società Poste italiane spa aveva delineato un nuovo modello organizzativo razionalizzando 24 zone di recapito su tutta la provincia, da cui scaturirono ben 25 esuberi, tutti scongiurati grazie all'impegno sindacale fondamentale per conseguire la rivisitazione delle scelte aziendali di Poste spa;
          da presidente della provincia di Asti, per due mandati, l'interrogante ha affrontato spesso la crisi del servizi postali locali attraverso la convocazione di tavoli di discussione su orari degli sportelli periferici, sulla chiusura delle sedi sparse per la provincia, sull'efficienza dei servizi resi, trovando accordi per evitare ricadute negative sul territorio;
          grazie a questo impegno e alla dedizione delle forze sindacali, 13 dei 25 lavoratori dichiarati in esubero transitarono nel settore bancoposta mentre gli altri 12, in vista di accordi precisi e condivisi, decisero di accedere alla pensione anticipata attraverso l'esodo incentivato che, fino al 31 dicembre 2011, era valutabile dai lavoratori interessati;
          nel caso specifico, il management di Poste italiane spa non ha ritenuto necessario indicare quale futuro attende i 21 dipendenti dichiarati in esubero, dimostrando così secondo l'interrogante una sconcertante indifferenza per il futuro dei propri lavoratori;
          a giudizio dell'interrogante, l'ipotesi di tagli prospettati da Poste italiane spa è figlia di politiche gestionali poco avvedute di un ente che avrebbe potuto – e può ancora – essere il fiore all'occhiello del servizio di consegna della corrispondenza nazionale e che invece preferisce scaricare sui dipendenti le colpe dei manager;
          a giudizio dell'interrogante, l'Esecutivo dovrebbe chiedersi, ad esempio, cosa Poste italiane abbia fatto per adeguarsi al nuovo modo di comunicare, fatto sempre meno di lettere e pacchi e sempre di più di mail, podcast, blog e siti internet, e perché Poste italiane non abbia pensato ad aprire Internet-point nelle sue filiali in modo da permettere a tutti gli utenti, anche quelli in età avanzata e poco avvezzi ad usare le nuove tecnologie, di accedere a Internet con tutti i servizi conseguenti che significano non solo comunicazione scritta, ma anche fonìa e video;
          a giudizio dell'interrogante, il Ministro dello sviluppo economico dovrebbe interrogarsi sul perché Poste italiane spa non abbia pensato di avviare corsi di alfabetizzazione tecnologica rivolti ad anziani, giovani e stranieri e quali strumenti il management aziendale abbia elaborato per andare incontro alle esigenze, sempre più drammatiche, dei pensionati, una fascia sociale sempre più ampia in Italia;
          è necessario, pertanto, che l'Esecutivo chieda al management di Poste italiane spa cosa intenda fare per diventare un'azienda moderna che accetta le sfide future senza usare la scorciatoia della riduzione di personale per salvare i bilanci;
          il piano «interventi servizi postali» mal si concilia con i provvedimenti introdotti dal Governo con il decreto-legge n.  201 del 6 dicembre 2011, il cosiddetto «Salva Italia», che ha disposto che le pensioni di importo superiore a mille euro debbano essere erogate con strumenti di pagamento elettronici, bancari o postali, intensificando la necessità di una maggiore diffusione territoriale degli uffici e dei servizi postali, in particolare a favore delle persone anziane  –:
          quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare alla luce di quanto suesposto e se intenda avallare il piano di riorganizzazione aziendale approvato da Poste italiane spa denominato «interventi servizi postali», in particolare per quanto riguarda la provincia di Asti;
          se non ritenga necessario avviare un confronto sulle strategie future della società Poste italiane spa, anche alla luce delle riforme recentemente introdotte dall'Esecutivo. (4-15842)


      DI PIETRO e MONAI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          la storia della Stock ha inizio nel lontano 1884 con la nascita di un primo laboratorio artigianale di «cognac» commercializzato con l'appellativo di «medicinal». Da quel momento si assiste a una continua crescita di questa realtà industriale fino ad arrivare agli anni 1960-70 in cui la società dava lavoro a oltre un migliaio di dipendenti. Lo sviluppo del business ha trovato i suoi punti di forza nella ricerca di nuovi prodotti e nella forte immagine promossa con campagne pubblicitarie efficaci. Nel 1995 la Stock viene ceduta al gruppo tedesco Eckes e nel 2007, con la cessione degli stabilimenti e del marchio al fondo finanziario d'investimento di diritto statunitense Oaktree, che controlla stabilimenti anche in Polonia e Repubblica Ceca, inizia la trasformazione dell'assetto organizzativo e produttivo;
          il fondo americano Oaktree infatti, dopo un anno di studio e verifiche, ha avviato una fase di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale per ridurre i costi di produzione e migliorare le performance dei cicli amministrativi e produttivi: nel 2008 è stata aperta una prima mobilità per poter attuare il trasferimento della direzione generale e degli uffici amministrativi a Milano con una conseguente riduzione di 30 dipendenti; nel 2009 è stata aperta una seconda mobilità per la riduzione delle linee di produzione da tre a una, con ulteriore riduzione di 40 dipendenti; nel 2011 dopo due anni di cassa integrazione straordinaria è stata aperta la terza mobilità per 15 dipendenti;
          tali ristrutturazioni hanno drasticamente ridotto la forza lavoro del sito triestino da 126 dipendenti (109 tra operai e impiegati e 17 dirigenti) a soli 30 occupati (28 tra operai e impiegati e 2 dirigenti). Nonostante l'importante ridimensionamento, lo stabilimento ha continuato a produrre lo stesso quantitativo nelle stesse modalità senza alcuna flessione nei volumi. Tale risultato è stato possibile grazie alla disponibilità delle maestranze, che hanno accettato modifiche dell'orario e dei turni di lavoro, oltre a modifiche dei ruoli e delle mansioni, al fine di assecondare le richieste della proprietà di maggiore flessibilità e di riduzione dei costi;
          il giorno 11 aprile 2012 presso la sede della Confindustria di Trieste i vertici aziendali, senza nessun preavviso, hanno comunicato alle rappresentanze sindacali la decisione irrevocabile di chiudere lo stabilimento di Trieste e di delocalizzare tutta la produzione nello stabilimento in Repubblica Ceca. La motivazione addotta nella comunicazione sarebbe la crisi dei consumi interni;
          lo stabilimento di Trieste, pur nei progressivi ridimensionamenti, è sempre stato in grado di produrre tutte le referenze del marchio Stock, sia per la distribuzione sul mercato italiano che internazionale. Si tratta di prodotti apprezzati e molto conosciuti in Italia e nel mondo;
          la decisione dell'azienda di chiudere lo stabilimento e delocalizzare la produzione ha colto tutti di sorpresa, lavoratori e organizzazioni sindacali, in quanto nelle ultime settimane erano in corso l'attività di sviluppo ed ammodernamento degli impianti con la messa in sicurezza del sito, la ristrutturazione del magazzino prodotti finiti, l'acquisto di macchinari complessi il cui montaggio era previsto per agosto 2012, l'organizzazione di corsi di formazione, le verifiche di legge programmate, l'incontro annuale sulla sicurezza, compresa la verifica dello stress correlato al lavoro tenutasi solo due settimane prima della comunicazione da parte della proprietà. Nella recente visita del 14-15 marzo, il manager responsabile della produzione europea avrebbe espresso soddisfazione per l'impegno e il raggiungimento degli standard richiesti;
          l'azienda, quindi, a quanto consta all'interrogante senza presentare alcun dato ufficiale o statistico a supporto, a fronte di una generica affermazione sul calo della domanda, di un temuto inasprimento della tassazione e di un ventilato rincaro delle materie prime, ha ritenuto che l'unica cosa da fare fosse chiudere, senza lasciare margini di trattativa e senza prendere neppure in considerazione alcuna ipotesi alternativa di intervento;

          Trieste e l'Italia intera non si possono permettere ulteriori fuoriuscite di attività produttive. Un territorio senza industria e senza artigianato non può sopravvivere  –:

          se e in che modo intendano intervenire, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze, per evitare che l'ennesima società e un altro marchio prestigioso, a causa dell'inaffidabilità del sistema Italia decidano di chiudere in Italia e delocalizzare la produzione;

          se e in che modo intendano, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze, combattere l'eccessiva burocrazia, l'incertezza del diritto, l'eccessiva pressione erariale e la complessità del sistema fiscale stesso che contribuisce a determinare la decisione per le aziende di spostare le produzioni dove risulti più conveniente, nonostante l'alta professionalità e le competenze delle maestranze italiane;

          se non si intenda convocare urgentemente un tavolo nazionale presso il Ministero dello sviluppo economico con la proprietà della Stock, il fondo americano Oaktree, le organizzazioni sindacali e gli enti locali per fermare le procedure di licenziamento e avviare un più attento esame di ogni possibile alternativa alla chiusura del sito, la salvaguardia dei livelli occupazionali e un auspicabile rilancio dell'azienda. (4-15854)

Apposizione di una firma ad una mozione.

      La mozione Motta e altri n.  1-01017, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 aprile 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Paolo Russo.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

      La risoluzione in Commissione Alessandri e Torazzi n.  7-00819, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 marzo 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Togni.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

      L'interrogazione a risposta in Commissione Madia e altri n.  5-04980, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 giugno 2011, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Codurelli.

      L'interrogazione a risposta in Commissione Ghizzoni e altri n.  5-06200, pubblicata nell'allegato B ai, resoconti della seduta del 20 febbraio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Pasquale.

      L'interrogazione a risposta in Commissione Siragusa n.  5-06436, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 marzo 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Coscia.

      L'interrogazione a risposta in Commissione Dal Moro e altri n.  5-06528, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 marzo 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Pasquale.

      L'interrogazione a risposta in Commissione Pedoto e altri n.  5-06532, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 marzo 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Vaccaro.

      L'interrogazione a risposta in Commissione Velo n.  5-06663, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 aprile 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Cenni, De Pasquale, Gatti, Mattesini, Rigoni.

Apposizione di una firma ad una interrogazione a risposta scritta e cambio presentatore.

      Interrogazione a risposta scritta Di Giuseppe n.  4-15813, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 aprile 2012, è da intendersi sottoscritta dal deputato Di Pietro che ne diventa il primo firmatario.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
          interrogazione a risposta scritta Calgaro n.  4-13778 del 3 novembre 2011;
          interpellanza Rossomando n.  2-01414 del 20 marzo 2012;
          interrogazione a risposta scritta Marmo n.  4-15535 del 29 marzo 2012;
          interrogazione a risposta scritta Di Pietro n.  4-15718 del 16 aprile 2012;
          interrogazione a risposta scritta Evangelisti n.  4-15800 del 20 aprile 2012.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo (ex articolo 134, comma 2, del Regolamento).

      I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
          interrogazione a risposta scritta Di Biagio e Madia n.  4-14607 del 24 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-06670;
          interrogazione a risposta scritta Di Biagio n.  4-14954 del 16 febbraio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-06671.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

      Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Lovelli n.  4-15762 del 18 aprile 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-06681.

ERRATA CORRIGE

      Mozione Delfino e altri n.  1-00982 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n.  614 del 29 marzo 2012.
      Alla pagina 29445, prima colonna, dalla riga quindicesima alla riga sedicesima deve leggersi: «a promuovere una revisione del meccanismo di» e non «se non ritenga altresì necessario promuovere una revisione del meccanismo di», come stampato.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


      ALESSANDRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          un'agenzia di stampa (ANSA) del 12 luglio 2011 rende noto che la guardia di finanza di Modena ha scoperto 23 persone straniere che fingevano di avere la residenza in provincia in modo da percepire l'assegno sociale di 417,30 euro mensili erogato dall'Inps;
          gli agenti delle Fiamme Gialle, compiendo verifiche sul territorio, hanno accertato come diversi beneficiari della prestazione assistenziale – originari di Marocco, Albania, Argentina, Estonia, Brasile, Polonia e Spagna – continuassero a percepire la quota pur non abitando più in Italia. Senza aver comunicato il cambio di residenza all'Inps, avevano infatti delegato altre persone a riscuotere indebitamente l'assegno sociale;
          su questo fenomeno, già dal 2009, la Lega Nord di Modena aveva chiesto particolari controlli da parte delle istituzioni locali competenti, in particolare l'allora consigliere comunale Mauro Manfredini aveva presentato un ordine del giorno volto a far sì che il comune di Modena effettuasse periodici controlli sulla residenza degli immigrati stranieri in quanto risultava frequente il caso di stranieri che, benché se ne tornassero nel loro Paese d'origine, o comunque andassero a vivere all'estero, continuavano ad incassare il suddetto sussidio;
          nello specifico, il predetto consigliere comunale, chiedeva alla relativa giunta di attivarsi ad intraprendere immediatamente le opportune iniziative, affinché gli organi amministrativi e di controllo competenti provvedessero ad effettuare un censimento periodico dei cittadini extracomunitari residenti sul territorio comunale, a far attuare un sistema di verifica efficace di ogni variazione di residenza e ad impegnare l'ufficio anagrafe a comunicare tempestivamente e periodicamente all'Inps i risultati di tali controlli;
          già l'atto in questione evidenziava come ogni mese, 13.800 immigrati ricevessero dall'Inps un assegno sociale per un totale di 6.190.930 euro e che in Emilia-Romagna i cittadini extracomunitari che percepivano il sussidio sono 1.710;
          va rimarcato che a tale assegno sociale hanno diritto tutti gli stranieri con regolare permesso di soggiorno ed in possesso di determinati requisiti, in particolare devono avere conseguito il compimento del sessantacinquesimo anno d'età, devono altresì essere privi di reddito o comunque avere un reddito inferiore ai limiti fissati dalla legge e risiedere «legalmente e continuativamente» da almeno dieci anni sul territorio italiano;
          gli extracomunitari con carta di soggiorno e i neocomunitari che lavorano in Italia da almeno tre mesi possono inoltre chiedere il ricongiungimento di parenti, dichiarando di averli in carico. Questi non appena compiono 65 anni, essendo privi di reddito, o comunque con un reddito basso, dal momento che quello dei figli non è cumulabile, hanno diritto all'assegno sociale;
          il caso accertato dalla Guardia di finanza di Modena potrebbe riguardare altri territori non solo dell'Emilia Romagna, ma di altre regioni italiane, soprattutto quelle del nord del Paese  –:
          se non intendano attivare un monitoraggio su tutto il territorio nazionale, con particolare riguardo alla regione Emilia Romagna, volto a verificare l'esistenza di casi di stranieri che inizialmente in regola con i requisiti per ottenere l'assegno sociale, abbiano successivamente continuato a percepire la quota del sussidio pur non abitando più in Italia, in ipotesi senza aver comunicato il cambio di residenza all'Inps e delegando altre persone a riscuotere indebitamente l'assegno sociale.
(4-12659)

      Risposta. — L'interrogazione parlamentare in esame concerne la percezione dell'assegno sociale da parte di cittadini extracomunitari che, inizialmente in possesso dei requisiti richiesti per il conseguimento del beneficio, trasferiscono in seguito la residenza all'estero omettendo di comunicarlo all'Inps e continuando a riscuotere l'assegno tramite un delegato.
      Al riguardo, si evidenzia che l'assegno sociale, istituito dall'articolo 3, comma 6, della legge n.  335 del 1995, con effetto dal 1° gennaio 1996, è una prestazione di carattere assistenziale, non reversibile, che prescinde del tutto dal pagamento di contributi e che spetta ai residenti in Italia che abbiano 65 anni di età, (66 anni a partire dal 1° gennaio 2018, ai sensi del comma 8 dell'articolo 24 del decreto-legge n.  201 del 2011), e che si trovino in disagiate condizioni economiche.
      In particolare, l'assegno viene erogato alle seguenti categorie di persone:
          1) cittadini italiani;
          2) cittadini della Repubblica di San Marino;
          3) stranieri o apolidi ai quali è stato riconosciuto lo status di rifugiati politici o di protezione sussidiaria ed i rispettivi coniugi ricongiunti;
          4) apolidi o stranieri extracomunitari, lavoratori e non lavoratori, inclusi i famigliari ricongiunti, in possesso di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo;
          5) cittadini comunitari, lavoratori e non lavoratori, inclusi i famigliari ricongiunti, che siano iscritti all'anagrafe del comune di residenza ai sensi del decreto legislativo n.  30 del 2007.
          Inoltre, ai sensi dell'articolo 20, comma 10, del decreto-legge n.  112 del 2008, convertito dalla legge n.  133 del 2008, con decorrenza dal 1° gennaio 2009, il beneficio è corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano soggiornato legalmente, in via continuativa, per almeno dieci anni nel territorio nazionale.
      L'assegno sociale, in quanto prestazione di carattere assistenziale, è inesportabile fuori dal territorio nazionale, con la conseguenza che il beneficio viene meno nel momento in cui non sussiste più il requisito della residenza stabile in Italia.
      Al riguardo, l'Inps ha fatto sapere di monitorare costantemente il fenomeno mediante controlli periodici, al fine di verificare la permanenza dei requisiti di concessione, anche con specifico riferimento all'effettiva residenza in Italia, provvedendo alla sospensione e/o alla revoca del beneficio laddove ne riscontri la mancanza.
      L'Istituto ha rappresentato di aver fornito alle proprie Sedi sul territorio apposite disposizioni circa la necessità di vigilare, in particolare, sulle situazioni di concessione dell'assegno sociale a cittadini stranieri soggiornanti in Italia e ai loro famigliari ricongiunti che, dopo aver ottenuto il beneficio, potrebbero rientrare nel Paese d'origine, delegando contestualmente altri alla riscossione del trattamento.
      A tal fine, le sedi Inps sono state invitate ad attivare ogni forma di collaborazione con le Autorità competenti sul territorio per lo svolgimento delle verifiche, attivando i controlli ritenuti più opportuni per riscontrare quanto dichiarato dai percettori dell'assegno.
      Nello specifico, è opportuno richiamare il messaggio Inps n.  12886 del 6 giugno 2008, con il quale l'Istituto previdenziale ha chiarito che, salvo gravi motivi sanitari opportunamente documentati da parte dell'interessato, le Sedi territoriali devono procedere alla sospensione dell'assegno sociale in caso di permanenza all'estero per un periodo superiore ad un mese. Decorso un anno dalla sospensione dell'assegno sociale, le Sedi Inps competenti, previa verifica del permanere di tale situazione, provvedono a revocare il beneficio.
      Il medesimo messaggio prevede che le verifiche debbano comunque essere effettuate periodicamente nei casi in cui il pagamento delle prestazioni avvenga a mezzo delegato o con accredito su conto corrente bancario o postale e, comunque, a campione, sulle autocertificazioni che riguardano le prestazioni assistenziali, come previsto dalle vigenti disposizioni normative.
      Inoltre, con la circolare n.  102 del 2 dicembre 2008, l'Inps ha, tra l'altro, precisato che la disposizione di cui all'articolo 20, comma 10, della legge n.  133 del 2008 (requisito del soggiorno legale, in via continuativa, per almeno dieci anni nel territorio nazionale) si applica, con decorrenza 1° gennaio 2009, anche nei confronti dei familiari ricongiunti.
      In conclusione, nel ribadire che per tutti i richiedenti ed i titolari dell'assegno sociale, sia italiani che stranieri, la residenza effettiva, stabile e continuativa in Italia, al pari degli altri requisiti, rappresenta un elemento costitutivo del diritto alla prestazione assistenziale, con la conseguenza che il suo venir meno determina la cessazione del beneficio, si conferma che l'Inps sta compiendo, su tutto il territorio nazionale e quindi anche nella Regione Emilia Romagna, un costante monitoraggio sulla permanenza dei requisiti di fruizione del beneficio, intervenendo con la revoca o la sospensione laddove ne riscontri la mancanza.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Cecilia Guerra.


      ASCIERTO. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          il 12 novembre 2011 il Parlamento ha approvato, in via definitiva, la cosiddetta «legge di stabilità» che contiene un preciso riferimento alla cosiddetta «mobilità orizzontale» da applicare al personale della pubblica amministrazione risultante in posizione di esubero;
          concordemente con gli obiettivi economico-finanziari esplicitati nella suddetta «legge di stabilità», il Ministro della difesa, ammiraglio Di Paola, ha annunciato il 6 dicembre 2011 l'intento del Governo di giungere ad un rapido ridimensionamento, in senso riduttivo, del personale effettivo delle Forze Armate;
          tutti i settori della pubblica amministrazione, con particolare riferimento a quello della giustizia, sono sottoposti a sempre più gravi disfunzioni amministrative ed organizzative derivanti dalla persistente mancata applicazione, nel corso degli ultimi anni, del cosiddetto turn over con il personale collocato progressivamente in quiescenza/riposo, tali da degradare in maniera quasi irreversibile l'efficacia organizzativa e l'efficienza amministrativa e di alcuni importanti settori/articolazioni della pubblica amministrazione;
          nell'ambito del personale effettivo delle Forze armate si riscontrano consistenti posizioni di esubero (quantificabili in migliaia di unità) soprattutto nelle categorie/gradi di maresciallo e tenente colonnello  –:
          se il Ministro interrogato far conoscere quali iniziative intenderà adottare per consentire al personale delle Forze armate di poter usufruire (su base volontaria e con il vincolo del mantenimento del trattamento economico e del livello funzionale acquisiti nell'amministrazione della Difesa) della cosiddetta «mobilità orizzontale» prevista dalla legge nell'ambito della pubblica amministrazione.
(4-14284)

      Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in oggetto indicato, concernente la possibilità di estendere l'istituto della mobilità orizzontale anche al personale delle Forze Armate, si rappresenta quanto segue.
      L'istituto in questione è disciplinato dall'articolo 4, comma 96, della legge 12 novembre 2011, n.  183 (legge di stabilità 2012), ai sensi del quale è stabilito che «per il triennio 2012-2014, gli ufficiali fino al grado di tenente colonnello compreso e gradi corrispondenti, e i sottufficiali dell'esercito, della Marina e dell'Aeronautica possono presentare domanda di trasferimento presso altre pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165, e successive modificazioni. Il trasferimento è condizionato al preventivo parere favorevole del Ministero della difesa e all'accettazione da parte dell'amministrazione di destinazione ed è autorizzato secondo le modalità e nei limiti delle facoltà assunzionali annuali della medesima amministrazione, previsti dalle disposizioni vigenti. Al personale trasferito, che viene inquadrato nell'area funzionale del personale non dirigenziale individuata dall'amministrazione di destinazione sulla base di apposite tabelle di equiparazione approvate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, si applica il trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi per il personale non dirigente vigenti nel comparto dell'amministrazione di destinazione».
      Sulla base di quanto previsto dalla citata disposizione, il passaggio ad altre amministrazioni del personale appartenente alle Forze Armate è, pertanto, subordinato alla sussistenza di determinati requisiti.
      In primo luogo, è necessario il preventivo parere favorevole del Ministero della difesa nonché l'accettazione da parte dell'amministrazione ricevente.
      In secondo luogo, il trasferimento deve avvenire esclusivamente in conformità dei criteri e delle modalità, nonché nei limiti delle facoltà assunzionali annuali proprie dell'amministrazione ricevente, previsti dalle vigenti disposizioni; in particolare, la mobilità di detto personale deve avvenire nel rispetto dei limiti della disponibilità di posti vacanti nella dotazione organica e mediante l'utilizzo delle risorse finanziarie già a disposizione della medesima amministrazione.
      In merito infine alla possibilità che il personale mantenga il trattamento economico ed il livello funzionale acquisiti nell'amministrazione difesa – così come auspicato dall'interrogante – si precisa che al personale trasferito non può attribuirsi trattamento giuridico ed economico, compreso quello accessorio, diverso da quello previsto nei contratti collettivi per il personale non dirigente in vigore nel comparto dell'amministrazione di destinazione.
      A tal fine, come previsto dall'articolo 4, comma 96, della legge di stabilità 2012, è in corso di predisposizione a cura dei dipartimento della funzione pubblica, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri recante le apposite tabelle di equiparazione ai fini dell'inquadramento del personale trasferito.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione: Filippo Patroni Griffi.


      BARBIERI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la direttiva 2002/92/CE relativa alla intermediazione assicurativa riafferma il ruolo centrale degli intermediari professionali nella distribuzione dei prodotti assicurativi e riassicurativi, con lo scopo primario di permettere il corretto funzionamento del mercato unico delle assicurazioni, attraverso la libera operatività degli intermediari nell'Unione europea. Ulteriore scopo della direttiva è anche quello di provvedere alla tutela dei consumatori sia nella fase di offerta del prodotto assicurativo, che in quella più specifica del servizio post vendita;
          il Codice delle assicurazioni, adottato in Italia con decreto legislativo 7 settembre 2005, n.  209, recepisce detta normativa comunitaria;
          il Regolamento ISVAP n.  5 del 16 ottobre 2008 ha disciplinato in via amministrativa l'attività, di intermediazione assicurativa di cui al titolo IX e di cui all'articolo 183 del citato Codice delle Assicurazioni;
          con l'emanazione di citato Regolamento Isvap la categoria degli Agenti di assicurazioni, costituita da oltre 22.500 intermediari professionali, che danno lavoro a circa 180.000 addetti al settore, è stata sommersa da numerose ed ad avviso dell'interrogante inutili incombenze amministrative e procedurali che hanno dimostrato nel tempo la loro inutilità in termini di beneficio agli assicurati (modulistica relativa alle iscrizioni, impossibilità per gli agenti di poter svolgere attività di secondo livello professionale o, applicazione di tempi di istruttoria lunghissimi – 90 giorni – che impediscono l'immediata attività degli agenti e dei loro collaboratori iscritti al RUI);
          i numerosi oneri prescrittivi contenuti nel Regolamento Isvap e la struttura stessa del Registro intermediari impediscono inoltre la collaborazione professionale tra agenti, con ciò ostacolando il corretto dispiegarsi dei princìpi di liberalizzazione e tutela del consumatore, così come previsto dalla legge 40 del 2007;
          in tale contesto di criticità si sottolinea l'assoluta iniquità di un impianto sanzionatorio, che oltre a lasciare ampi margini di discrezionalità, al Collegio di Garanzia ISVAP, impedisce lo svolgimento di una serena attività imprenditoriale;
          in altri termini il Regolamento ISVAP n.  5 del 2006, proprio per la sua complessità e ad avviso dell'interrogante per il suo impianto alquanto difficile e confuso costituisce un serio ostacolo alla mobilità degli intermediari assicurativi ed un grave impedimento alla concorrenza;
          contro il citato Regolamento Isvap il sindacato degli Agenti assicurativi (SNA) e l'Associazione delle imprese assicuratrici ANIA hanno presentato ricorso al TAR del Lazio, ed ora è pendente l'Appello al Consiglio di Stato;
          tale Organo è chiamato a pronunciarsi sulla legittimità complessiva del Regolamento ISVAP o sulla opportunità della stessa azione amministrativa dell'Isvap, che a giudizio dei ricorrenti è andata oltre i poteri regolamentari delegati all'Istituto del Codice delle Assicurazioni, senza tenere conto delle ricadute sul mercato assicurativo ed in particolare sulla intermediazione professionale  –:
          se intenda convocare un tavolo di concertazione con le Organizzazioni sindacali degli Agenti e Imprese di assicurazione, per porre rimedio ad una situazione non più procrastinabile;
          se il governo intenda procedere ad una modifica del Codice delle Assicurazioni, adeguandolo alle mutate esigenze del mercato assicurativo, predisponendo a tal fine, una migliore classificazione degli intermediari e chiarezza nei rapporti tra gli stessi e le imprese di assicurazione. (4-03118)

      Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
      L'Isvap ha disciplinato, con il regolamento n.  5 del 16 ottobre 2006, l'attività di intermediazione assicurativa e riassicurativa sulla base della disciplina primaria contenuta nel «Codice delle assicurazioni private» (decreto legislativo 7 settembre 2005 n.  209: in particolare titolo IX «intermediari di assicurazione e riassicurazione» e articolo 183 «regole di comportamento»).
      Il predetto regolamento è stato oggetto di impugnazione dinnanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, da parte di 84 imprese di assicurazione e di quattro associazioni di categoria: Associazione nazionale imprese di assicurazioni (Ania), Associazione italiana broker di assicurazione (Aiba), Sindacato Nazionale agenti (Sna) e Associazione italiana del credito al consumo e immobiliare (Assofin).
      Oggetto della controversia, nello specifico, è stato il procedimento di formazione del regolamento e alcune norme dello stesso.
      I ricorsi presentati dallo Sna, dall'Aiba e dall'Ania, sono stati respinti dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con sentenze del 18 giugno 2007 che hanno confermato la piena legittimità del provvedimento impugnato.
      Avverso le sentenze del Tribunale amministrativo regionale del Lazio nel dicembre 2007 è stato presentato appello al Consiglio di Stato da parte dell'Ania più 52 imprese e dallo Sna.
      Il Consiglio di Stato, con decisioni 5026 del 2008 e 5621 del 2008 ha respinto l'appello dichiarando infondate tutte le censure proposte dall'Ania più 52 imprese, e ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dallo Sna.
      In particolare, il Consiglio di Stato, con la decisione 5026 del 2008, condividendo il pronunciamento del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ha avuto modo di esprimersi nel senso della legittimità e della razionalità dell'impianto regolamentare dell'atto normativo impugnato.
      In relazione all'eventuale modifica del Codice delle assicurazioni private, prospettata nell'interrogazione medesima, al fine di un adeguamento della normativa alle mutate esigenze del mercato assicurativo e di una migliore classificazione degli intermediari operanti nel settore, si richiama l'attenzione sull'avvio a livello comunitario di un'attività di revisione della direttiva 2002/ 92/CE sull'intermediazione assicurativa, le cui risultanze dovrebbero essere rese note a breve termine.
      Si menziona, infine, che sono in corso anche valutazioni interne tendenti a considerare eventuali modifiche, in sintonia con la normativa Ce, sulla tenuta del registro degli intermediari assicurativi.
Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          fonti di stampa hanno reso noto che quattro cittadini veneti sono stati individuati dalla guardia di finanza locale e denunciati per aver utilizzato il sito d'aste di eBay per realizzare i loro profitti, al riparo dalla tassazione italiana;
          essi hanno realizzato ingenti profitti senza dichiarare un euro al fisco italiano, la questione tasse sugli eBayer, sollevata dal fisco e da alcuni commercianti statunitensi, dimostra come sia più facile, in qualsiasi luogo del mondo, eludere le normative fiscali creando un negozio online diventando imprenditori virtuali utilizzando le tecnologie del web;
          le Fiamme Gialle hanno scoperto un giro di vendite pari a 25 mila prodotti nuovi ed usati acquistati nel noto sito d'aste evadendo il fisco per circa 800 mila di euro di fatturato;
          i prodotti messi all'asta virtuale, sia nuovi che usati, erano di varie tipologie: mobili antichi, orologi, quadri e oggetti tecnologici, fino ad arrivare alla vendita di cucine complete;
          i tre imprenditori sono stati accusati di omissioni di dichiarazioni all'erario di ricavi, mentre una quarta persona è stata sempre scoperta e denunciata per la mancata dichiarazione di una somma pari a 140 mila euro provenienti dal suo negozio virtuale  –:
          se siano a conoscenza dei fatti narrati e nell'eventualità positiva quali iniziative gravi ed urgenti intendano porre in essere per evitare il ripetersi di simili comportamenti a partire dalla promozione di un diverso impianto normativo che disciplini le vendite on-line in modo da perseguire tali reati ed assicurare il potenziamento del personale della guardia di finanza, oltre al potenziamento di mezzi fisici ed economici messi a loro disposizione, al fine di rendere sempre più efficiente la lotta all'evasione fiscale, anche on-line. (4-11615)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame si chiede di conoscere «se, in relazione ad alcuni articoli di stampa, è vero che la Guardia di finanza ha scoperto sul sito d'aste Ebay la vendita di prodotti commerciali nuovi e usati da parte di 4 imprenditori veneti sia avvenuta in violazione della tassazione italiana. Con riferimento a tale episodio l'onorevole interrogante chiede di conoscere quali iniziative, anche di carattere normativo, si intendono prendere per arginare il fenomeno dei prodotti venduti per così dire «in nero» sui siti on line.
      Al riguardo, il Comando generale della Guardia di finanza riferisce che i fatti narrati negli articoli di stampa sono sostanzialmente veritieri in quanto indagini condotte da reparti del Corpo. Il risultato conseguito dal reparto ha permesso di accertare violazioni per compensi non dichiarati pari a 337.000 euro e 79.000 euro in evasione dell'Iva nonché 385.000 euro in evasione dell'Irap.
      Il Corpo riferisce, inoltre, che a seguito di diversi interventi mirati a individuare l'evasione perpetrata a mezzo della rete internet, tra cui il progetto (attività di analisi e valutazione centralizzata eseguita dai reparti specializzati del Corpo) e-commerce, è stato possibile accertare circa 158 evasori totali, recuperare basi imponibili sottratte tassazione per oltre 54 milioni di euro, Iva evasa per 10,2 milioni e rilievi Irap per circa 35 milioni di euro.
Il Sottosegretario di Stato per l'economia e per le finanze: Vieri Ceriani.


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto dichiarato dal direttore dell'Agenzia delle entrate, in linea con quanto già espresso in occasione di Telefisco 2011, probabilmente saranno escluse dall'obbligo di comunicazioni per le operazioni sopra i 3.600 euro le transazioni con moneta elettronica o altro mezzo di pagamento già tracciato;
          questa correzione porterebbe a ridurre l'impatto del nuovo obbligo di comunicazione delle operazioni rilevanti, coerentemente con quanto disposto dal decreto-legge n.  78 del 2010, secondo cui l'introduzione del nuovo adempimento dovrebbe limitare al massimo l'aggravio per i contribuenti;
          è quindi presumibile che l'obbligo delle comunicazioni sopra i 3.600 euro resterà solo per la transazione in contante, mentre saranno escluse quelle con mezzo di pagamento già tracciato  –:
          se i fatti ricostruiti in premessa corrispondano al vero, se ritenga l'interpretazione corretta e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti intenda porre in essere per rendere potenzialmente conoscibile il fatto al maggior numero di consociati. (4-11807)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede, in estrema sintesi, conferma delle dichiarazioni rese dal direttore dell'agenzia delle entrate relativamente all'eventualità di escludere dall'obbligo di comunicazione – previsto dall'articolo 21 del decreto-legge n.  78 del 2010 – le transazioni con moneta elettronica o altro mezzo di pagamento già tracciato.
      Al riguardo, sentiti i competenti uffici dell'amministrazione finanziaria, si fa presente quanto segue.
      La disciplina di cui al citato articolo 21 del decreto-legge n.  78 del 2010, come è noto, è finalizzata a rafforzare gli strumenti a disposizione dell'amministrazione finanziaria per il contrasto e la prevenzione dei comportamenti fraudolenti soprattutto in materia di Iva, mediante l'analisi e l'incrocio dei dati acquisiti tramite l'invio telematico, che permetterà una rapida ed efficace individuazione di soggetti a rischio frode ed evasione per una mirata ed immediata azione di controllo.
      La limitazione dell'obbligo di comunicazione telematica alle sole cessioni e prestazioni di importo unitario superiore a 3.000 euro è peraltro coerente con le finalità della norma, consentendo di circoscrivere gli adempimenti ad una ristretta platea dei titolari di partita IVA escludendo in specie milioni di soggetti di minori dimensioni per i quali gli oneri connessi all'adempimento dell'obbligo in questione appaiono non proporzionati alla pur importante finalità della disposizione.
      In seguito, mediante l'articolo 7, comma 2, lettera o), del decreto-legge n.  70 del 2011, il predetto articolo 21 è stato modificato inserendo l'esclusione dall'obbligo di comunicazione delle operazioni effettuate nei confronti di contribuenti non soggetti passivi ai fini Iva, qualora il pagamento dei corrispettivi avvenga mediante carte di credito, di debito o prepagate emesse da operatori finanziari soggetti all'obbligo di comunicazione dei rapporti e delle operazioni con la clientela, previsto dall'articolo 7, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.  605.
      Per effetto dell'ulteriore modifica recata dall'articolo 23, comma 41, del decreto-legge n.  98 del 2011, infine, gli operatori finanziari soggetti all'obbligo di cui si è fatto innanzi cenno che emettono carte di credito, di debito o prepagate, con le quali avvenga il pagamento dei corrispettivi relativi alle transazioni medesime, sono tenuti a comunicare all'Agenzia delle entrate le operazioni in relazione alle quali il pagamento dei corrispettivi sia avvenuto mediante carte di credito, di debito o prepagate emesse dagli operatori finanziari stessi.
      Restano quindi soggette all'obbligo di comunicazione di cui al più volte citato articolo 21 del decreto-legge n.  78 del 2010 le operazioni il cui pagamento avviene in contanti ovvero con mezzi di pagamento quali assegni, bonifici bancari, conti correnti postali.
Il Sottosegretario di Stato per l'economia e per le finanze: Vieri Ceriani.


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          fonti di stampa hanno rilevato che l'Agenzia delle entrate e la Guardia di finanza hanno avviato un piano di controlli sulle aziende in «perdita sistematica»;
          tali controlli riguarderanno, in particolare, il 20 per cento della platea dei cosiddetti «contribuenti di seconda fascia» che non rientrano né negli studi di settore né nel tutoraggio;
          si tratterebbe di aziende di medie dimensioni che presentano un fatturato o ricavi tra i 5 e i 100 milioni di euro, nei confronti delle quali saranno realizzati circa 12mila controlli  –:
          se le notizie di cui in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, se non ritenga necessario potenziare l'attività di controllo fiscale, al fine di ridurre l'endemica evasione fiscale che rende nulla la previsione di numerose norme costituzionali, a partire degli articoli 3, 23, 36, 38, 47 e 53 della Costituzione. (4-11810)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame si chiede di conoscere «se le notizie apparse sugli organi di stampa in merito ad un piano di controllo sulle aziende cosiddette di seconda fascia in «perdita sistematica» da parte della Guardia di Finanza siano veritiere e se in relazione a ciò si ritenga opportuno potenziare l'attività di controllo fiscale, al fine di ridurre l'endemica evasione fiscale che rende nulla la previsione di numerose norme costituzionale».
      Al riguardo, il Comando generale della Guardia di finanza riferisce che l'articolo 24 del decreto-legge 31 maggio 2010 n.  78, convertito dalla legge n.  122 del 2010 ha previsto:
          una vigilanza sistematica da parte della Guardia di finanza e dell'Agenzia delle entrate, sulla base di specifiche analisi di rischio nei confronti delle imprese che presentano dichiarazioni in perdita sistematica. Perdita che non deve essere determinata da compensi dati ad amministratori o soci e che dura per più di un periodo d'imposta senza che sia stato deliberato un aumento di capitale almeno pari alle perdite fiscali;
          la realizzazione di un piano d'intervento coordinato tra la Guardia di finanza e l'agenzia delle entrate nei confronti dei contribuenti non soggetti agli studi di settore.

      Al termine dello studio le due amministrazioni hanno concordato che la previsione di cui all'articolo 24 del citato decreto-legge si riferisce ai contribuenti di 2a fascia o di medie dimensioni con volume d'affari compreso da euro 5.164.569 a euro 100.000.000; la vigilanza nei confronti delle imprese in perdita sistematica viene assicurata per i soggetti di 3a fascia mediante attuazione del piano di controllo di cui all'articolo 27, commi da 9 a 11 del decreto-legge n.  185 del 2008 secondo cui le imprese di più rilevanti dimensioni sono destinatarie di un controllo sostanziale di norma entro l'anno successivo a quello della presentazione della dichiarazione; la vigilanza nei confronti dei contribuenti di 2a fascia di volume d'affari, si esercita con l'esecuzione dei piani d'intervento annuali su un decimo della platea di riferimento a livello nazionale, regionale e provinciale; nei confronti dei soggetti di 1a fascia la vigilanza viene esercitata tenendo conto dei fattori di rischio predetti ovvero in presenza di perdite sistematiche non giustificate.
      Al fine di rendere maggiormente aderente il sistema di controllo alla normativa in esame; l'agenzia delle entrate ha, inoltre, fornito istruzioni operative alle proprie articolazioni attraverso la circolare n.  21/E evidenziando che la presenza di perdite sistematiche da parte delle aziende costituisce un parametro di valutazione e di rischio idoneo per procedere alla selezione dei contribuenti da sottoporre a verifica fiscale.
      Per quanto sopra si ritiene che il dispositivo di contrasto sia adeguato da un punto di vista normativo e operativo.
Il Sottosegretario di Stato per l'economia e per le finanze: Vieri Ceriani.


      BERTOLINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della gioventù. — Per sapere – premesso che:
          da un articolo di stampa dell'11 luglio 2011 si apprende un notizia sconcertante: una bambina, che oggi ha 9 anni, di Bari, è ridotta a vivere in una situazione di degrado terribile;
          la bambina, nell'ottobre del 2009, scomparve e a dare l'allarme furono i genitori, il papà di 57 anni, invalido civile e disoccupato, e la mamma di 46 anni, con problemi psichici, che percepisce una pensione con cui mantiene la famiglia;
          gli agenti del 112 e del 113 trovarono la bambina, dopo una serie di ricerche con lampadine tascabili, perché in casa la corrente non c'era, chiusa in un armadio in mezzo ad escrementi e materassi sporchi, che dormiva abbracciata al suo cagnolino;
          gli agenti si accorsero con sconcerto che la bambina non parlava, ma abbaiava come il suo cane e mangiava in una ciotola posta sul pavimento;
          a seguito di ricovero in ospedale, per un sospetto di scabbia e pidocchi, fu affidata ad una casa famiglia ove tutt'ora vive: va a scuola, siede a tavola per mangiare, ma non sa ancora parlare, infatti si esprime solo a gesti;
          da questi gesti gli assistenti desumono che abbia subito abusi anche di tipo sessuale;
          il pubblico ministero della procura di Bari, Angela Morea, che segue il caso, ha deciso di archiviarlo, perché la bimba non sa parlare e quindi non può sporgere denuncia, senza la quale non si possono perseguire i genitori. Violenza non dimostrabile, in quanto non ci sarebbero lesioni. Mancano le prove, mancano i capi d'imputazione e gli indagati;
          si attende ancora la pronuncia del giudice per le indagini preliminari per procedere all'archiviazione, che rappresenterebbe comunque un significativo fallimento della giustizia;
          più grave ancora è il fatto che la famiglia era assistita dagli assistenti sociali, che inspiegabilmente non si erano accorti di nulla, come pare di nulla si fosse accorto il sistema scolastico, che pare non avesse rilevato l'esistenza della bambina;
          tutta la storia appare, oltreché grave, anche assurda: è capitata a Bari, una tra le città più moderne del sud Italia; tutte le istituzioni che dovevano intervenire non lo hanno fatto, come se fosse impossibile rendere a questa bambina giustizia;
          non è accettabile che in una città come Bari possano accadere fatti così tragici, nell'indifferenza generale delle istituzioni preposte  –:
          se siano a conoscenza di tale fatto;
          se non ritengano di intervenire, per quanto di competenza, per verificare le eventuali responsabilità di tutte le istituzioni coinvolte in questa vicenda, a partire dalla scuola;
          quali iniziative di competenza intendano assumere sul piano delle politiche sociali e del sostegno alle famiglie per evitare che si verifichino casi di assoluto degrado come quello di cui in premessa. (4-12861)

      Risposta. — L'interrogazione in esame si riferisce alla grave situazione di disagio che ha visto coinvolta una bambina residente a Bari. In proposito, nel rispondere ai primi due quesiti, si riportano in questa sede gli elementi acquisiti dall'ufficio dei servizi sociali del comune di Bari che hanno attualmente in carico la piccola D.C.
      I servizi sociali comunali hanno appreso della vicenda relativa alla minore nel mese di novembre 2006, quando il tribunale dei minorenni di Bari ha richiesto un'indagine sociale sulla minore, sfuggita al controllo dei genitori il 13 novembre del 2006. La bambina è stata ritrovata per strada dai Carabinieri che, dopo aver faticosamente individuato la sua abitazione, a causa dei
problemi linguistico-espressivi della piccola, hanno segnalato al tribunale dei minorenni le fatiscenti condizioni abitative, nonché le precarie condizioni igieniche in cui la stessa viveva.
      Nel premettere che il nucleo familiare era già conosciuto e seguito da anni dal servizio di igiene mentale, a causa dei disturbi psichici di entrambi i genitori della bimba, risulta che l'unità operativa di neuropsichiatria infantile del Policlinico di Bari, il 19 agosto 2005 aveva diagnosticato alla bambina un «Disturbo misto dell'espressione e della ricezione del linguaggio in soggetto con irrequietezza motoria e deprivazione socio-ambientale».
      Dalla relazione inviata al tribunale dei minorenni si rileva che le assistenti sociali recatesi presso l'abitazione – che si presentava, oltre che umida e fredda, in disordine ed igienicamente poco curata – hanno trovato la piccola completamente priva dei vestiti ed in compagnia del solo padre, poiché la madre aveva aderito ad una gita organizzata dal servizio di igiene mentale.
      Il padre ha spiegato loro che era abitudine della bambina liberarsi dei vestiti appena poteva e che risultava difficile convincerla a rivestirsi: in effetti, sono risultati vani anche i tentativi delle assistenti sociali di convincere la piccola D. a rivestirsi. Le assistenti sociali, inoltre, pur non avendo a disposizione alcuna documentazione riguardante lo stato di salute della minore e le sue eventuali patologie, hanno avuto modo di riscontrare il ritardo mentale della piccola.

      Il giorno successivo, le assistenti sociali hanno incontrato anche la madre della piccola, che ha fatto presente che la bambina frequentava la scuola materna e che ha giustificato la scarsa cura per l'abitazione e l'igiene con lo stato di stress in cui versava, anche a seguito dell'episodio del 13 novembre 2006.
      Le assistenti sociali hanno chiuso la relazione ritenendo indispensabile l'adozione di «una forma di tutela della minore, da ricercare nella cerchia dei parenti, se possibile, o rivalendosi all'esterno in situazioni comunitarie o familiari che fossero in grado di occuparsi della situazione problematica della minore» pur «salvaguardando il rapporto affettivo con i genitori con una frequentazione assidua degli stessi».
      Il Tribunale dei minorenni nell'estate del 2007 ha richiesto un'ulteriore indagine sociale finalizzata alla verifica della capacità educativa genitoriale.

      Il dipartimento di salute mentale, nel riscontrare tale richiesta (inviandone copia anche ai servizi sociali comunali), ha comunicato che la piccola D., successivamente all'episodio di allontanamento, ha cominciato a ricevere attenzioni più evidenti da parte della famiglia, che l'avrebbe iscritta anche a varie attività ludiche e ricreative estive (nuoto ed equitazione), nonché avanzato richiesta di insegnante di sostegno in vista della frequenza della prima classe elementare. La relazione conclude che «...si può ritenere che, nel medio-lungo periodo, ci siano le premesse per miglioramenti comportamentali e sociali della minore».
      Con provvedimento del 16 gennaio 2008 il tribunale dei minorenni ha disposto «l'affidamento della piccola D.C. al servizio sociale della VI circoscrizione del Comune di Bari affinché elabori un programma di sostegno psicologico e scolastico in favore della suddetta (anche mediante l'intervento di un tutor educativo) e delle figure genitoriali in vista di un recupero della loro capacità educativa nei riguardi della stessa» ed ha prescritto «ai genitori di osservare le indicazioni degli operatori e di continuare a frequentare con regolarità ed impegno il competente Centro di salute mentale».
      Nel mese di marzo 2009 risulta che il comune di Bari ha appreso dal circolo didattico «Monte San Michele» delle numerose assenze e del perenne ritardo a scuola della minore, del mancato ritiro da parte della madre della scheda di valutazione relativa al 1° quadrimestre, nonché del fatto che «la bambina appare sempre in precarie e malsane condizioni igieniche, indossa abiti sporchi e maleodoranti, non è curata nella pulizia personale, ha spesso il viso e i capelli sporchi. Le scarpe e lo zaino sono spesso sporche di escrementi e di urina, presumibilmente del cane in loro possesso che vive nel loro stesso ambiente familiare».
      Inoltre, numerosi centri socio-educativi hanno risposto negativamente alla richiesta di inserimento della minore, a causa della complessità delle condizioni psico-fisiche della bambina che necessita di «trattamento in strutture specializzate» e «con operatori sociali e sanitari adeguati».
      La piccola, a seguito del ritrovamento nell'armadio, è stata inserita nella comunità educativa «Battito D'Ali», in concomitanza con la dimissione dall'ospedale pediatrico Giovanni XXIII, avvenuta il 28 ottobre 2009, da cui è seguita ancora oggi.

      La relazione del 26 novembre 2009 della comunità «Battito D'Ali», che nel paventare l'ipotesi di abusi sessuali ha dato l'avvio di indagini da parte della procura della Repubblica, ha moltiplicato l'attenzione per D. e ha visto una piena e assidua collaborazione fra i servizi sociali comunali, la Comunità, i genitori, lo spazio neutro «Elicando» fornito dall'associazione Famiglia dovuta, il curatore nominato dal tribunale dei minorenni, il tribunale dei minorenni, l'ospedale Giovanni XXIII, oltre ai vari sostegni alla famiglia costituiti sia dalla frequenza del servizio di igiene mentale che dall'assistenza domiciliare.
      Tutto ciò ha comportato un deciso miglioramento delle condizioni e delle capacità di D., riconosciuto unanimemente e verificabile attraverso le numerosissime relazioni scambiate fra i diversi soggetti operanti, che unanimemente ritengono – anche se la mamma insiste per riavere l'affidamento della figlia, soprattutto adesso che è rimasta vedova – che la bimba debba continuare a vivere in comunità o, in alternativa, essere affidata (anche se fino ad oggi non si è trovata una famiglia che possa farlo), pur continuando a incontrare, con sempre maggiore frequenza, sia la mamma che la sorella maggiore Valentina, riavvicinatasi alla famiglia dopo la scomparsa del padre, nonché la nipotina I. (figlia di Valentina), con cui D. ha instaurato ottime relazioni.
      In merito al terzo quesito formulato nell'interrogazione, si ritiene opportuno segnalare le iniziative promosse e sostenute dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali finalizzate al sostegno delle famiglie multiproblematiche in modo da prevenire, ove è possibile, il rischio di allontanamento dei loro figli minori:
          1. Il programma di intervento per la prevenzione dell'istituzionalizzazione (P.I.P.P.I.), promosso in collaborazione con l'Università di Padova – dipartimento Scienze dell'educazione, consiste in un intervento multidisciplinare ed integrato rivolto ad un numero limitato di nuclei familiari con figli in età 0-16 anni a grave rischio di allontanamento ed è attualmente in atto sul territorio delle città di Bari, Bologna, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Torino, Venezia.
      Il suddetto progetto intende individuare, sperimentare, monitorare, valutare e codificare un approccio intensivo, continuo, flessibile e strutturato di presa in carico del nucleo familiare, per ridurre i rischi di allontanamento del minore da quest'ultimo stesso o limitarlo nel tempo.
          2. Il progetto «Un percorso nell'affido», progetto di promozione dell'affidamento familiare avviato nel 2008 con la collaborazione fra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Coordinamento nazionale dei servizi affido (Cnsa) facente capo al Comune di Genova ed un'ampia rete di organismi istituzionali.
      Il progetto è proteso a valorizzare sempre più la genitorialità affidataria, come la capacità di accudire, crescere ed educare i bambini e gli adolescenti allontanati dal nucleo familiare d'origine in momentanea difficoltà e di affiancare quest'ultima nel recupero delle capacità educative e di cura per il reinserimento del minore in seno alla famiglia biologica nel più breve tempo possibile. Lo stesso ha anche l'obiettivo di determinare una maggiore conoscenza dei servizi e delle esperienze esistenti in Italia in questo ambito ed è prevista la prosecuzione fino al 2012 per la realizzazione delle seguenti finalità.
          3. Le linee guida, rivolte ai decisori e agli amministratori locali per indirizzare, sostenere e disciplinare l'affidamento come modalità, condivisa e omogenea a livello nazionale, di tutela, protezione e intervento in favore del minore.
          4. Il sussidiario rivolto agli operatori del pubblico e del privato sociale e alle reti/associazioni di famiglie affidatarie per l'affidamento familiare.

      Questi programmi sono peraltro in linea con quanto previsto dal III piano biennale nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, approvato con decreto del Presidente della Repubblica del 21 gennaio 2011.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Cecilia Guerra.


      BITONCI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il regio decreto n.  246 del 1938, all'articolo 1, recita espressamente: «Chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni, è obbligato al pagamento del canone di abbonamento». La presenza di un impianto aereo atto alla captazione o trasmissione di onde elettriche o di un dispositivo idoneo a sostituire l'impianto aereo, ovvero di linee interne per il funzionamento di apparecchi radioelettrici, fa presumere la detenzione o l'utenza di un apparecchio radioricevente;
          secondo una libera interpretazione di tale norma, la Rai, ha deciso di chiedere il pagamento del canone speciale a tutte quelle imprese che detengono dispositivi video destinati agli usi più vari e disparati, monitor, computer, videofonini, finanche i sistemi di videosorveglianza;
          pare che il canone Rai dovrà essere pagato persino da possessori di personal computer, iphone e videofonini, compresi i professionisti con personal computer collegati a più reti;
          in tutto il Paese di sono levate ovvie proteste da parte dei detentori di queste apparecchiature, ai quali Rai ha richiesto il pagamento del canone; l'esborso previsto per le aziende risulterebbe di quasi un miliardo di euro;
          le associazioni dei consumatori hanno confermato che la Rai sta chiedendo il pagamento del canone a studi professionali e aziende diverse anche per il solo uso di reti aziendali collegate a personal computer via internet  –:
          se il Governo sia a conoscenza della situazione e non intenda assumere ogni iniziativa di competenza al fine di evitare che venga introdotto un obbligo non previsto dalle norme per estendere il pagamento del canone, come una nuova tassa, a tutte le azienda e studi professionali detentori di computer collegati a reti. (4-15049)

      Risposta. — Risale all'articolo 1 del regio-decreto n.  246 del 1938 l'obbligo del pagamento del canone di abbonamento per tutti gli «apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni».
      La questione sollevata nei giorni scorsi e ripresa dagli interroganti – su quali debbano essere gli apparecchi soggetti al pagamento dei canoni speciali della Rai – ha reso necessario un celere chiarimento.

      Per questa ragione il Ministero dello sviluppo economico ha già provveduto a fornire all'Agenzia delle entrate elementi esplicativi in merito.
      La questione sta in questi termini.
      La normativa in esame porta a riferire il pagamento del canone solo al servizio di radiodiffusione. Pertanto, non è possibile includere altre forme di distribuzione del segnale audio video (per esempio Web Radio, Web Tv) che sono basate, come dicono i tecnici, su portanti fisici diversi.
      In linea generale sono, quindi, esclusi i personal computer, fissi o portatili, i tablet (come gli iPad) e gli smartphone, cioè gli strumenti suscettibili, di per sé, di connessione alla rete internet.
      È però necessario, per essere più chiari, qualche ulteriore specificazione tecnica. In altre parole, dobbiamo circoscrivere il campo degli apparecchi soggetti al pagamento del canone a quelli utili alla ricezione di segnali televisivi su piattaforma terrestre e piattaforme satellitare. Tali apparecchi sono quelli caratterizzati da un sintonizzatore, che ha la funzione essenziale di prelevare il segnale di antenna nelle bande destinate al servizio di radiodiffusione e la capacità autonoma di erogare il servizio di radiodiffusione (o come veniva chiamato nel regio-decreto di radioaudizione).
      Devo dire che abbiamo trovato la Rai già in linea con questa interpretazione, tanto che si è impegnata a fare tutte le necessarie azioni di chiarimento in questo senso.
      L'applicazione della norma in questi termini è tra l'altro in sintonia con la strategia che questo Governo ha già iniziato ad adottare sui temi dell'agenda digitale: come sapete, infatti, ogni sforzo sarà fatto per permettere all'Italia di essere all'avanguardia del mondo digitalizzato.
      Quanto all'articolo 17 del cosiddetto decreto «salva Italia», con il quale è stato introdotto l'obbligo, per le imprese e le società, di indicare nella dichiarazione dei redditi il numero dell'abbonamento speciale alla radio e alla televisione e la categoria di appartenenza, va da sé che tale obbligo ricorre nella misura in cui sussiste il correlativo obbligo di pagare il canone speciale, nei limiti sopra accennati.
Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      BORGHESI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 9, primo comma, della legge 16 gennaio 2003, n.  3, introduce la possibilità dell'utilizzazione degli idonei nei concorsi pubblici da parte di altre amministrazioni, affermando testualmente che: «con regolamento emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n.  400, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono stabiliti le modalità e i criteri con i quali le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e gli enti pubblici non economici possono ricoprire i posti disponibili, nei limiti della propria dotazione organica, utilizzando gli idonei delle graduatorie di pubblici concorsi approvate da altre amministrazioni del medesimo comparto di contrattazione»;
          la possibilità di procedere all'utilizzazione di idonei in concorsi pubblici indetti dalle amministrazioni statali e dagli enti pubblici non economici si configura come una rilevante economia di spesa in tema di assunzione di personale, evitando il ricorso all'indizione di nuove procedure di reclutamento con il relativo aggravio in termini di costi e di tempi per l'entrata in servizio del nuovo personale a copertura dei posti vacanti;
          in materia, da ultimo, l'articolo 1, quarto comma, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n.  216 (cosiddetto milleproroghe) ha previsto l'ulteriore proroga fino al 31 dicembre 2012 dell'efficacia delle graduatorie concorsuali per assunzioni a tempo indeterminato approvate successivamente al 31 dicembre 2005, relative alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni;
          a distanza di circa nove anni dall'entrata in vigore della citata previsione della legge 16 gennaio 2003, n.  3, non si è ancora provveduto all'adozione del regolamento disciplinante i termini e le modalità per consentire in concreto alle amministrazioni statali e agli enti pubblici non economici di coprire i posti vacanti utilizzando gli idonei delle graduatorie di concorsi pubblici approvate da altre amministrazioni del medesimo comparto, impedendo così l'implementazione di una norma che consente un significativo contenimento della spesa per l'assunzione del personale alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, vieppiù nell'attuale congiuntura economica  –:
          se il Ministro interrogato intenda sollecitamente provvedere all'adozione del citato regolamento previsto dall'articolo 9, primo comma, della legge 16 gennaio 2003, n.  3, onde consentire la piena operatività della norma di utilizzo delle graduatorie degli idonei per la copertura dei posti disponibili in amministrazioni diverse da quelle che le hanno approvate, nell'ambito dei comparti Ministeri ed enti pubblici non economici;
          se e quali iniziative intenda assumere al fine di estendere anche alle amministrazioni dei restanti comparti di contrattazione, quali da ultimo risultano dal contratto collettivo quadro per la definizione dei comparti di contrattazione dell'11 giugno 2007, la citata possibilità di utilizzo degli idonei delle graduatorie dei concorsi pubblici in amministrazioni diverse da quelle che le hanno approvate ai fini della copertura dei posti vacanti. (4-14688)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione in oggetto indicata, con la quale l'interrogante chiede al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione alcuni chiarimenti in merito alla possibilità di utilizzare coloro che sono risultati «idonei» in concorsi pubblici da parte di amministrazioni diverse da quelle che hanno indetto il relativo bando, si rappresenta quanto segue.
      In via preliminare, è d'uopo segnalare che la disciplina concernente la vigenza delle graduatorie dei concorsi pubblici è recata dall'articolo 35, comma 5-
ter, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165.
      La norma citata, introdotta dalla legge finanziaria per il 2008 e successivamente modificata dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.  150, prevede che «le graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche rimangono vigenti per un termine di tre anni dalla data di pubblicazione». Si tratta di una regola generale motivata da fondamentali esigenze di certezza del diritto nonché dalla necessità di assicurare alle pubbliche amministrazioni la possibilità di rinnovare le procedure di reclutamento al fine di acquisire le migliori risorse umane.
      Come rilevato dall'interrogante, sono state previste in più occasioni norme di proroga a tale precetto di portata generale; ciò in considerazione di esigenze eccezionali di reclutamento non altrimenti fronteggiabili, viste le stringenti limitazioni poste alle assunzioni dalle leggi finanziarie degli ultimi anni con riferimento al cosiddetto «
turn-over», nonché gli impegni assunti in sede europea al fine del contenimento della spesa per il personale pubblico.
      Al riguardo, occorre, tuttavia sottolineare che, come confermato da consolidata giurisprudenza, le norme di «ultra-attività» delle graduatorie non creano di per sé un obbligo dell'amministrazione di coprire i posti liberi e un corrispondente diritto degli idonei in graduatoria all'assunzione. Una diversa interpretazione delle norme sulla «ultra-attività» delle graduatorie di concorso si esporrebbe alla denuncia d'illegittimità costituzionale per violazione del principio di buona ed efficiente amministrazione sancito dall'articolo 97 della Costituzione: il principio costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione, infatti, risponde a finalità ed esigenze che prescindono dall'interesse del soggetto risultato idoneo, riguardando, piuttosto, l'interesse generale alla corretta gestione della finanza pubblica. Le amministrazioni pubbliche devono, infatti, organizzarsi in funzione del servizio pubblico ad esse affidato, che deve essere svolto al minor costo compatibile col miglior risultato.
      Fatte queste debite precisazioni, occorre segnalare, ciononostante, che la situazione rappresentata dall'interrogante configura una problematica assai importante e cogente che grava sul sistema assunzionale alle dipendenze della Pubblica amministrazione.
      Difatti, sono migliaia i giovani che, vincitori di un concorso pubblico, attendono da tempo di essere assunti nell'organico dell'amministrazione che ha bandito il relativo concorso. Tale situazione, che riguarda tutti i comparti della pubblica amministrazione, è sicuramente resa ancor più difficile dalle reiterate disposizioni concernenti il cosiddetto «
turn over». In tal senso il decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133, ha disposto, all'articolo 66 – in una logica di riduzione del personale pubblico – l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di contenere le assunzioni dimezzando le percentuali previste dalla legge n.  244 del 2007 (legge finanziaria 2008). Con l'articolo 74 dello stesso decreto si è, poi, stabilito per tutte le amministrazioni statali un ridimensionino degli assetti organizzativi esistenti secondo principi di efficienza, razionalità ed economicità, con conseguente riduzione delle dotazioni organiche: al tempo stesso alle amministrazioni inadempienti è l'atto divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsiasi contratto.
      Tali disposizioni, con provvedimenti successivi, sono state poi ulteriormente prorogate fino al 2013.
      Sul tema oggetto del presente atto di sindacato ispettivo è, altresì, da segnalare un progetto di legge di iniziativa parlamentare attualmente in discussione presso la XI Commissione lavoro della Camera dei deputati. Si tratta dell'atto Camera 4116, recante – «Disposizioni per il superamento del blocco delle assunzioni nelle pubbliche amministrazioni e per la chiamata dei vincitori e degli idonei nei concorsi», il cui testo – adottato il 25 gennaio scorso a seguito dei lavori di un comitato ristretto – è la risultante dell'unificazione di alcune proposte di legge presentate da parlamentari appartenenti ai gruppi PD (onorevole  Damiano atto Camera 4116) PdL (onorevole Cazzola AC 4366) e IdV (onorevole Di Pietro atto Camera 4455).
      Il provvedimento in questione, intervenendo sulla questione dei vincitori di concorso non assunti, prevede che per il triennio 2012-2014, le amministrazioni pubbliche, nel rispetto dei vincoli finanziari previsti in materia di assunzioni a tempo indeterminato e di contenimento della spesa per il personale, ferme restando le disposizioni vigenti in materia di reclutamento speciale e di mobilità, utilizzino, in relazione al proprio fabbisogno, le graduatorie vigenti dei concorsi pubblici per il reclutamento di personale a tempo indeterminato quando si tratti di assumere pari o analoghe figure professionali previste nei bandi dei concorsi ai quali si riferiscono le graduatorie medesime. Inoltre, qualora le amministrazioni non dispongano di proprie graduatorie utili, potranno attingere alle predette graduatorie anche in caso di reclutamento a tempo determinato (articolo 36 del decreto legislativo n.  165 del 2001), fermo restando che il reclutamento avviene a scorrimento decrescente e non pregiudica l'eventuale assunzione a tempo indeterminato.
      Si stabilisce, altresì, la proroga al 31 dicembre 2014 dell'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato, approvate successivamente al 30 settembre 2003. Lo stesso testo, al comma 2 dell'articolo 1, prescrive che le amministrazioni pubbliche provvedano alle assunzioni di personale a tempo indeterminato attraverso il reclutamento, per il triennio 2012-2014, dei vincitori di concorso e, limitatamente al biennio 2012-2013, degli idonei inseriti nelle graduatorie di concorso, nel rispetto dei principi di trasparenza e d'imparzialità.
      Solo per l'anno 2014, lo scorrimento degli idonei presenti nelle graduatorie vigenti avviene in misura non inferiore al cinquanta per cento delle risorse finanziarie disponibili per le assunzioni ed è contestualmente autorizzata l'indizione di nuovi bandi di concorso, nel rispetto dei vincoli finanziari esistenti.
      Al comma è poi prevista, entro il 31 dicembre 2013, la trasmissione alle Camere di una relazione, predisposta dal dipartimento della funzione pubblica, contenente il monitoraggio delle assunzioni effettuate sulla base della presente disposizioni.
      I commi 4 e 5 dispongono, poi, che a decorrere dal 1° gennaio 2015 il reclutamento dei dirigenti e delle figure professionali comuni a tutte le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 35, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165 (amministrazioni statali, agenzie, enti pubblici non economici e enti di ricerca con più di 200 dipendenti), con esclusione di specifiche professionalità, si svolga mediante concorsi pubblici unici, nel rispetto dei principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento. I concorsi unici sono organizzati dal dipartimento della funzione pubblica, previa ricognizione del fabbisogno presso le amministrazioni interessate, nel rispetto dei vincoli finanziari in materia di assunzioni a tempo indeterminato e ferme restando le disposizioni vigenti in materia di mobilità.
      È data poi facoltà alle regioni e agli enti locali di aderire alla suddetta ricognizione e, in caso di adesione, i medesimi enti hanno l'obbligo di attingere alle relative graduatorie per il proprio fabbisogno, nel rispetto dei vincoli finanziari in materia di assunzioni.
      Al fine di assicurare la massima trasparenza delle procedure, è garantita dal dipartimento della funzione pubblica – mediante pubblicazione sui proprio sito istituzionale – la diffusione di ogni informazione utile sullo stato della procedura di reclutamento e selezione.
      Infine, vengono modificati i requisiti di accesso e le modalità di svolgimento del corso-concorso della scuola superiore della pubblica amministrazione per l'accesso alla qualifica di dirigente.
      In conclusione, l'attuale testo, frutto di una positiva convergenza tra i diversi gruppi parlamentari, è ampiamente condiviso dal Governo: difatti, si ritiene che il medesimo – in quanto volto a rendere «effettivi» i concorsi pubblici già svolti che abbiano graduatorie ancora aperte, a prevedere l'introduzione «a regime» di un diverso sistema di reclutamento basato su concorsi unici per qualifiche comuni, nonché a garantire, al contempo, la tutela degli idonei – possa configurarsi come un utile e proficuo strumento ai lini del superamento delle istanze formulate dall'interrogante e in tal senso se ne auspica una rapida approvazione.

Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione: Filippo Patroni Griffi.


      BRIGUGLIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          il consiglio comunale di Sant'Alfio in provincia di Catania, ha richiesto lo stato di calamità naturale per i danni provocati al settore agricolo dagli eccezionali eventi atmosferici dei mesi di marzo, aprile, maggio e prima metà del mese di giugno 2011;
          l'economia del comune di Sant'Alfio è prevalentemente fondata sull'agricoltura, specificatamente le colture frutticole, e la gravità dei danni causati, sebbene ancora da quantificare, ha determinato per gli agricoltori della zona, che traggono appunto il loro sostentamento reddituale proprio da queste produzioni, uno stato di notevole disagio economico  –:
          quali iniziative il Governo ed il Ministro interrogato intenda adottare per fronteggiare questa grave e pregiudizievole situazione;
          se intendano accogliere, con la massima urgenza, la richiesta del comune di Sant'Alfio di avere riconosciuto lo stato di calamità naturale per le ragioni suesposte. (4-13491)

      Risposta. — In merito all'interrogazione in esame, concernente gli eventi calamitosi che nei mesi di marzo, aprile, maggio e la prima metà di giugno 2011 hanno causato, tra l'altro, danni alle produzioni agricole nei territori della provincia di Catania, evidenzio che gli interventi compensativi previsti dal Fondo di solidarietà nazionale a sostegno delle imprese agricole colpite da avversità atmosferiche eccezionali possono essere attivati a condizione che il danno sulla produzione lorda vendibile risulti superiore al 30 per cento ed esclusivamente per quelle avversità e colture danneggiate che non sono comprese nel piano assicurativo annuale per la copertura dei rischi con polizze assicurative (peraltro, agevolate per l'esistenza di un contributo statale fino all'80 per cento della spesa premi sostenuta).
      Tuttavia, in presenza di offerte di mercato insufficienti a coprire la domanda assicurativa delle produzioni, la regione interessata può chiedere la modifica delle previsioni assicurative previste dal piano assicurativo in vigore e, con mio decreto, può essere consentita l'attivazione degli interventi compensativi del Fondo di solidarietà nazionale.
      Colgo l'occasione per far presente che, ai sensi della vigente normativa, per le colture, strutture e avversità non assicurabili al mercato agevolato possono essere concessi contributi in conto capitale fino all'80 per cento del danno sulla produzione lorda vendibile ordinaria; prestiti ad ammortamento quinquennale per le maggiori esigenze di conduzione aziendale nell'anno in cui si è verificato l'evento ed in quello successivo nonché una proroga delle rate relative alle operazioni di credito in scadenza nell'anno in cui si è verificato l'evento calamitoso.
      Ciò premesso evidenzio che, alla data odierna, nessuna richiesta formale d'intervento è pervenuta alla mia amministrazione da parte della regione Sicilia.
      Pertanto, considerato il notevole lasso di tempo intercorso, è verosimile ritenere che gli eventi segnalati non abbiano provocato danni di entità tale da consentire l'attivazione degli interventi del Fondo di solidarietà nazionale.

Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Mario Catania.


      CAPARINI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          il Corpo forestale dello Stato, ai sensi dell'articolo 2 della legge n.  36 del 2004, assicura la vigilanza, la prevenzione e la repressione delle violazioni compiute in danno dell'ambiente, con specifico riferimento alla tutela del patrimonio faunistico e, in quanto Forza di polizia, interviene e si attiva per assicurare all'autorità giudiziaria i responsabili di reati;
          il Nucleo operativi antibracconaggio (NOA) del Corpo forestale dello Stato è la struttura incaricata di dirigere e coordinare le grandi operazioni antibracconaggio di rilievo nazionale, organizzate, con cadenza annuale, nelle zone maggiormente coinvolte in tale pratica illecita, al fine di garantire il rispetto della relativa normativa comunitaria e nazionale;
          numerose sono state le attività poste in essere dal Nucleo e, per quanto concerne l'ambito territoriale interessato dalle principali rotte migratorie dell'avifauna tra cui le valli della provincia di Brescia, un rilievo particolare ha assunto l'operazione Pettirosso effettuata dal 29 settembre al 28 ottobre 2010 da un contingente suddiviso in due turni operativi composti, ciascuno, da 29 operatori con qualifiche di Polizia giudiziaria, incluso un funzionario responsabile che ha comportato una spesa aggiuntiva di trasferta pari a circa 50.000 euro come dichiarato dal Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali;
          per procedere alla perquisizione di iniziativa (articolo 252), nel rispetto delle norme vigenti e delle prerogative connesse alle qualifiche rivestite, secondo procedure ormai consolidate, devono sussistere fondati motivi per ritenere che sulla persona o nel veicolo si trovino occultati oggetti pertinenti all'illecito riscontrato il personale operante (che ha qualifica di Polizia giudiziaria, ex articolo 57 del codice di procedura penale);
          il Ministro in risposta all'interrogazione Senato 4-03817 ha altresì confermato l'esistenza di una «attività di controllo “a campione”, in strade di montagna e in aree ove è più intenso il fenomeno del bracconaggio» e che tale tipologia di verifiche «propria di ciascuna Forza di polizia al fine di un più efficace servizio di controllo del territorio e, nel caso specifico, di contrasto al fenomeno del bracconaggio» assuma i contorni di veri e propri controlli indiscriminati ai danni dei cacciatori che esercitano l'attività venatoria in forma di appostamento fisso alla selvaggina migratoria nel rispetto delle norme di legge;
          il Corpo forestale dello Stato (CFS) ha comunicato che durante il periodo intercorrente tra la fine del mese di settembre e gli inizi del mese di novembre, allorché il flusso migratorio dell'avifauna proveniente dal Paesi del Nord Europa è più intenso, nelle valli bresciane e bergamasche si riversano numerosi volontari iscritti a varie associazioni ambientalistiche e animaliste, tra cui presumibilmente anche gli appartenenti alla Lega per l'abolizione della caccia (LAC) che ha lanciato sul proprio sito la notizia del via al cosiddetto «Campo antibracconaggio» nelle valli bresciane in collaborazione con il «Komitee gegen den vogehnord»;
          da quanto riportato nell'articolo pubblicato sul sito della LAC alcune decine di volontari giunti da tutta Italia e da Germania, Polonia, Gran Bretagna e Stati Uniti avrebbero percorso le valli bresciane e bergamasche e, contrariamente a quanto sostenuto dal Corpo forestale dello Stato l'attività di questi gruppi di volontari si è svolta in collaborazione e raccordo col Nucleo operativo antibracconaggio (NOA) del Corpo forestale dello Stato;
          già nel 2006 il prefetto di Brescia avrebbe ricevuto una denuncia-esposto da parte dell'Associazione cacciatori lombardi (ACL) che segnalava la presenza nelle valli bresciane dei citati «volontari» della LAC;
          a seguito di detta denuncia-esposto la prefettura avrebbe inibito ogni attività alla LAC;
          le valli bresciane e i valichi di provincia sono già adeguatamente presidiati sia dai componenti di stanza a livello locale del Corpo forestale dello Stato sia dai numerosi agenti di Polizia provinciale e locale che, quotidianamente e proficuamente, svolgono le loro mansioni  –:
          quali siano i motivi e i criteri in base ai quali si è proceduto all'invio di agenti dei NOA sul territorio nazionale;
          quale sia l'onere economico per detti trasferimenti di agenti in aggiunta a quelli già operanti sul territorio;
          se e quali azioni siano state intraprese al fine di evitare che le attività svolte dalla citata LAC interferissero con quelle degli organi di vigilanza e di polizia preposti e quali provvedimenti intendano porre in essere al fine di evitare che episodi analoghi a quello descritto abbiano a ripetersi;
          se risulti che da parte di alcuni agenti dei NOA si proceda ad indiscriminate perquisizioni personali e domiciliari, come sopra riportato, e con quali esiti;
          se risultino casi di agenti dei NOA sanzionati per eventuali comportamenti difformi rispetto alla norma. (4-13509)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, concernente le attività di controllo svolte nelle valli della provincia di Brescia tra il 29 settembre e il 28 ottobre 2010, preciso che il Nucleo operativo antibracconaggio (NOA) è una struttura dell’Ispettorato generale del forestale dello Stato che assolve, in piena autonomia, i compiti di direzione tecnica e coordinamento delle grandi operazioni antibracconaggio di rilievo nazionale, organizzate con cadenza annuale nelle zone maggiormente interessate dal fenomeno.
      Tra gli interventi nazionali eseguiti negli ambiti territoriali interessati dalle principali rotte migratorie dell'avifauna, un rilievo particolare assume la cosiddetta «operazione pettirosso» che coinvolge le valli della provincia di Brescia ed è finalizzata alla tutela dei piccoli passeriformi. In particolare, si tratta di un'operazione volta a contrastare il fenomeno del bracconaggio e a garantire il rispetto della normativa comunitaria e nazionale, anche a tutela dei cittadini che esercitano l'attività venatoria nel pieno rispetto della legalità.
      L'operazione pettirosso è posta in essere da un solo contingente, suddiviso in due turni, ciascuno dei quali è costituito da 29 operatori con qualifica di P.G., coordinati da un funzionario responsabile che si raccorda con i reparti territoriali del Corpo forestale dello Stato e, talvolta, con altre Forze di polizia.
      Dai controlli eseguiti nel periodo suddetto è emerso che il bracconaggio, nell'area considerata, riveste ancora un ruolo significativo, come dimostrato dalle 93 informative di reato e dalle 97 persone deferite all'Autorità giudiziaria.
      Vorrei, tuttavia, evidenziare che i relativi controlli non necessitano di costi aggiuntivi rispetto agli ordinari stanziamenti di bilancio sui pertinenti capitoli di spesa relativi a missioni all'interno e a compensi per lavoro straordinario. In particolare, nel caso in esame, la spesa complessiva è stata di circa euro 50.000.
      Per quanto concerne la presenza di associazioni ambientaliste o animaliste nel territorio della provincia di Brescia durante il periodo dell'operazione in questione, tengo a precisare che la presenza di persone riconducibili a dette associazioni non ha creato disturbo o interferenza all'attività di controllo del Corpo forestale dello Stato, essendosi limitate le stesse a svolgere autonomamente attività di sensibilizzazione contro tale fenomeno.
      Al riguardo, vorrei evidenziare che il Corpo forestale dello Stato procede alle verifiche esclusivamente con proprio personale, senza alcun «supporto» operativo esterno, anche nel caso in cui gli appartenenti alle dette associazioni dovessero segnalare presunte illegalità.
      In proposito, ritengo utile ricordare che il Corpo forestale dello Stato, ai sensi dell'articolo 2 della legge n.  36 del 2004 assicura anche la «vigilanza, prevenzione e repressione delle violazioni compiute in danno dell'ambiente, con specifico riferimento alla tutela patrimonio faunistico...» e, in quanto Forza di polizia, interviene e si attiva per assicurare all'Autorità giudiziaria i responsabili di reati.
      Per concludere, assicuro che il personale del Corpo forestale dello Stato ivi operante, lungi dal porre in essere indiscriminate perquisizioni personali e domiciliari, è sempre intervenuto con professionalità e capacità nel pieno rispetto delle procedure indicate dalle norme vigenti.

Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Mario Catania.


      CAZZOLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          con nota 30 marzo 2010 il direttore amministrativo dell'università degli studi di Bologna, dottor Giuseppe Colpani, inoltrava un «quesito in merito alla eleggibilità alla carica di preside della Facoltà di un docente di I fascia in regime di tempo definito», accompagnandolo con «un articolato parere reso dal professor G. della Cananea il quale conclusivamente depone per la eleggibilità di un professore ordinario a tempo definito alla carica di Preside di Facoltà». A detta nota rispondeva il Capo del dipartimento per l'università e l'A.F.A.M. del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dottor Antonello Masia, con proprio parere espresso in data 22 aprile 2010;
          non è dato sapere se nel quesito si dava notizia della facoltà interessata, cioè di giurisprudenza, per la quale il regolamento didattico era appena stato approvato con, a verbale, l'esplicita previsione di una siffatta ineleggibilità; e neppure se si precisava la provenienza del parere del professor G. della Cananea, del tutto privato, perché a quanto consta all'interrogante, richiesto dallo stesso interessato all'eleggibilità, fatto, peraltro deducibile dal non esserne destinatario il rettore o altra autorità accademica dell'università degli studi di Bologna;
          il parere 22 aprile 2010 del Capo del dipartimento recita come segue: «In merito lo scrivente, tenuto conto di quanto disposto dall'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica n.  382/80 la materia di incompatibilità tra regime a tempo pieno e a tempo definito dei professori, nonché delle pertinenti disposizioni statutarie dell'Ateneo di Bologna, ritiene che il predetto regime d'impegno del docente non possa ostare alla eleggibilità del medesimo alla carica di Preside di facoltà essendo la relativa disciplina rimessa all'autonomia dei singoli statuti universitari attualmente regolati dalla legge n.  168 del 1989 e dalle norme che vi fanno espresso riferimento»;
          a giudizio dell'interrogante il parere fornito rischia di apparire approssimativo ed in contraddizione con la legislazione vigente, nonché con la giurisprudenza di merito. Va dunque segnalato quanto segue:
              a) il richiamato articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica n.  382 del 1980, al comma quarto, lettera a) stabiliva esplicitamente che il regime di tempo definito fosse «incompatibile con le funzioni di Rettore, Preside, membro elettivo del Consiglio di Amministrazione, Direttore di Dipartimento, Direttore dei corsi di Dottorato di ricerca»; ed al comma settimo, aggiungeva che «le incompatibilità di cui al comma quarto, lettera a), operano al momento dell'assunzione di una delle funzioni ivi previste, con il contestuale automatico passaggio al regime di impegno a tempo pieno. A tal fine, è necessario che l'interessato, all'atto della presentazione della propria candidatura, produca una preventiva dichiarazione di opzione per il regime di impegno a tempo pieno in caso di nomina»;
              b) lo statuto dell'università degli studi di Bologna non introduce alcuna deroga all'articolo 11 citato, limitandosi a stabilire articolo 17, comma secondo, che «il Preside viene eletto tra i professori di prima fascia del Consiglio di Facoltà», nulla prevedendo né qui né altrove in merito all'ineleggibilità, dando, dunque, per scontata la vigenza dell'articolo 11. Né l'articolo 33 della Costituzione, né la richiamata legge n.  168 del 1989 sono in grado di smentire questa conclusione, dato che in base al primo l'autonomia universitaria deve esercitarsi «nei limiti stabiliti dalla legge»; ed in forza della seconda l'autonomia può riguardare l'organizzazione, ma non lo status dei professori;
              c) chiarissima in tal senso è la giurisprudenza costituzionale: Corte costituzionale 14 maggio 1985, n.  145, e Corte costituzionale 26 ottobre 1988, n.  1017, da cui si deduce non solo la piena legittimità costituzionale dell'articolo 11, comma quarto, lettera a), perché rispondente alla necessità di assicurare che il preside possa espletare la sua attività senza doverla sacrificare a quella professionale, ben più impellente e pressante (Corte costituzionale n.  145 del 1985); ma anche l'appartenenza di tale materia a «norme generali» dettate dalla Repubblica, in specie per il sistema universitario in quanto costituito da «ordinamenti autonomi» nei limiti stabiliti da leggi dello Stato: pertanto la «riserva di legge assicura il monopolio del legislatore nelle materie indicate dalla Costituzione, sia escludendo la concorrenza di autorità normative secondarie, sia imponendo all'autorità normativa primaria di non sottrarsi al compito che solo ad essa è affidato» (Corte costituzionale n.  383 del 1988);
              d) data tale giurisprudenza costituzionale, per cui l'articolo 33 della Costituzione escluderebbe che l'autorità primaria possa sottrarsi «al compito che solo ad essa è affidato», la legge n.  168 del 1989 non avrebbe potuto delegare la fonte statutaria, né, contrariamente a quanto asserito nel parere citato, l'ha fatto: il suo articolo 16, comma quarto, lettera d), disponeva che gli statuti sono tenuti alla «osservanza delle norme sullo stato giuridico del personale docente, ricercatore e non docente»: su questa base si è più volte affermato che «la materia dell'elettorato attivo e passivo a cariche accademiche nell'Università degli studi inerisce allo stato giuridico degli appartenenti alle singole categorie di volta in volta interessate (docenti di prima e seconda fascia, ricercatori, personale non docente) e in quanto tale, è sottratta alla normativa statutaria ed è rimessa alla competenza esclusiva della fonte statale di rango primario» (Consiglio della giustizia amministrativa della Regione Calabria n.  564 del 14 ottobre 1999; Consiglio di Stato, n.1269 del 23 settembre 1998, Tar Marche-Ancona, n.  5 del 10 gennaio 2002);
              e) esemplare in tal senso è la sentenza del Tar Lazio, sezione III, 14 aprile 2005, n.  2744, secondo cui l'impossibilità per gli statuti d'intervenire sulla materia dell'elettorato, in quanto rientrante per intero nella disciplina dello status giuridico del personale è corroborata dalla «stessa legge n.  56 del 2002 di conversione del decreto-legge n.  8 del 2002», che «costituisce conferma del principio esposto (circa i limiti della autonomia statutaria), consentendo – evidentemente sul presupposto della insussistenza di una specifica competenza – agli Statuti delle Università di intervenire (soltanto) in materia di elettorato attivo (l'articolo 4, comma 2, decreto-legge 7 febbraio 2002, n.  8, convertito in legge 4 aprile 2002, n.  56, dispone che “gli statuti delle università disciplinano l'elettorato attivo per le cariche accademiche e la composizione egli organi collegiali. Nel caso d'indisponibilità di professori di ruolo di prima fascia, l'elettorato passivo per la carica di direttore di dipartimento è esteso ai professori di seconda fascia”)». Quindi «emerge in tutta evidenza che le norme statutarie non possono interferire, ampliandone o diminuendone la portata, sull'elettorato passivo dei professori universitari, trattandosi di materia che, inerendo allo stato giuridico, è sottratta alla normativa statutaria ed è rimessa alla competenza esclusiva della fonte statale di rango primario»;
          l'interrogante ritiene che il parere sopra citato si discosti dal disposto dell'articolo 6, comma 12 della legge 30 dicembre 2010, n.  240 «Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema Universitario», la dove dispone che «La condizione di professore a tempo definito è incompatibile con l'esercizio di cariche accademiche»  –:
          se il Ministro interrogato non ritenga opportuno, nell'ambito delle proprie competenze e prerogative, attivarsi al fine di verificare la piena rispondenza del parere fornito con la normativa vigente al tempo della formulazione del parere, dato l'effetto negativo da esso prodotto sullo svolgimento dell'elezione del preside della Facoltà di Giurisprudenza, verificando nel contempo i requisiti e le competenze professionali del personale apicale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca incaricato di rispondere ai quesiti proposti da soggetti terzi, come legittimati. (4-13981)

      Risposta. — Con l'interrogazione in oggetto l'interrogante chiede chiarimenti sul parere reso da questo Ministero (a firma dell'allora capo dipartimento per l'università, l'AFAM e la ricerca) in data 22 aprile 2010 nei confronti dell'università degli studi di Bologna, in merito all'eleggibilità alla carica di preside di facoltà di un docente di prima fascia in regime di tempo definito. In particolare, l'interrogante non condivide la soluzione all'epoca prospettata (secondo cui il regime d'impegno del docente non potesse ostare all'eleggibilità del medesimo alla carica di preside di facoltà, essendo la relativa disciplina rimessa all'autonomia dei singoli statuti universitari) e, pertanto, chiede se non si ritenga opportuno verificare la correttezza giuridica del citato parere, considerato che lo stesso avrebbe prodotto un effetto negativo sullo svolgimento dell'elezione a preside della facoltà di giurisprudenza del menzionato ateneo.
      Al riguardo, l'Università di Bologna, espressamente interpellata sul punto, ha riferito che la posizione assunta dal Ministero non ha prodotto, nei fatti, alcun effetto pratico, dal momento che il confronto elettorale si è svolto tra candidati in regime di tempo pieno e che in tale condizione versa l'attuale preside della facoltà di giurisprudenza.
      Più in generale, la questione della compatibilità o meno tra la condizione di professore a tempo definito e l'esercizio di cariche accademiche, in passato oggetto di interpretazioni non sempre coincidenti, è oggi del tutto superata per effetto di quanto previsto dall'articolo 6, comma 12, secondo periodo, legge 30 dicembre 2010, n.  240, secondo cui «la condizione di professore a tempo definito è incompatibile con l'esercizio di cariche accademiche».
      Il citato articolo stabilisce, inoltre, che «gli statuti di ateneo disciplinano il regime della predetta incompatibilità» e in tal senso ha disposto il nuovo statuto dell'università di Bologna (adottato con decreto rettorale n.  123 del 13 dicembre 2011), recante puntuale attuazione di detto principio (cfr. articolo 37, comma 5, ai sensi del quale «la condizione di professore a tempo definito è incompatibile con l'esercizio delle cariche di: rettore, prorettore, componente del Senato accademico, del Consiglio di amministrazione, del nucleo di valutazione, del Comitato unico di garanzia per le pari opportunità, del Collegio di disciplina, nonché con le cariche di direttore di dipartimento, preside di scuola, coordinatore del consiglio di Campus, in quanto integranti cariche accademiche»).

Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Francesco Profumo.


      CICCANTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il recapito della corrispondenza nelle province di Ascoli e Fermo, da parte di Poste italiane, presenta gravi difficoltà di smaltimento;
          l'accordo del 15 settembre 2006 tra Poste italiane e le organizzazioni sindacali prevedeva una copertura organica del 100 per cento, al fine di garantire la fruizione delle ferie estive degli operatori del settore;
          tale impegno non è stato mantenuto, nonostante siano stati trasferiti con funzioni di sportellista molti addetti ai CPD (centri primari di distribuzione) senza essere rimpiazzati, ovvero le sostituzioni sono state pari ad un decimo dei trasferimenti;
          i settori in difficoltà sono quelli relativi al recapito ed alla video-codifica, ai cui carichi di lavoro si rimedia con mesi e mesi di prestazioni straordinarie aggiuntive;
          dopo la riduzione degli addetti ai turni notturni, si prevede addirittura la eliminazione del turno antimeridiano;
          si lamentano forti disservizi alla clientela, con evidenti arretrati di corrispondenza da recapitare  –:
          quali siano le iniziative più opportune e congrue che Poste Italiane intenda assumere per porre rimedio ai disservizi lamentati, anche in vista dell'approssimarsi della liberalizzazione del servizio postale;
          per quanto tempo ancora dovrà durare questa situazione di carenza di per sonale, nei settori del recapito e della video-codifica, nell'area corrispondente alle province di Fermo ed Ascoli Piceno. (4-14796)

      Risposta. — Si risponde all'atto in esame sulla base delle informazioni acquisite presso la società poste italiane che, in merito alle problematiche relative allo svolgimento del servizio di recapito nelle province di Ascoli e Fermo, ha evidenziato come, con l'accordo di riorganizzazione dei servizi postali sottoscritto il 27 luglio 2010 con i rappresentanti di tutte le organizzazioni sindacali nazionali è stato avviato un piano di complessiva revisione dell'assetto logistico e del recapito al fine di soddisfare le esigenze sempre più diversificate della clientela, fornendo servizi «su misura» ad alto valore aggiunto e migliorando l'efficienza del servizio.
      La società poste italiane ha, inoltre, precisato come, specificamente per la regione Marche, è stato sottoscritto in data 11 ottobre 2010 un accordo regionale che ha posto le basi per l'implementazione in ambito territoriale nelle province di Ascoli e Fermo della nuova organizzazione prevista nel citato accordo del luglio 2010.
      Nell'accordo regionale l'Azienda e le organizzazioni sindacali hanno condiviso, in apposite commissioni tecniche paritetiche, specifiche soluzioni in ambito provinciale al fine di migliorare il servizio di recapito in relazione alle caratteristiche territoriali.
      Particolare riguardo è stato riservato all'operatività dei centri di distribuzione ed agli interventi necessari ad una ottimale organizzazione del servizio.
      In sede di monitoraggio regionale paritetico, sono state esaminate le tempistiche e gli ulteriori aspetti tesi all'individuazione di soluzioni organizzative in funzione della «partenza» dei singoli centri, prevedendo anche un periodo di osservazione e di conseguente verifica, al fine di intervenire su eventuali criticità e valutare azioni migliorative, laddove necessarie.
      Le parti si sono incontrate nel giugno 2011 per un'analisi complessiva della riorganizzazione effettuata, sia nel settore di recapito che nella logistica, con verifica degli aspetti tecnico-organizzativi e gestionali delineatisi.
      La società ha confermato che i cicli di lavorazione presso i centri di distribuzione delle province in esame si svolgono regolarmente e secondo tempi che rientrano pienamente negli standard di qualità previsti.
      Per ciò che concerne il personale applicato, Poste italiane ha reso noto che l'attuale copertura strutturale, a fronte di quella minima prevista dall'accordo nazionale del 27 luglio 2010, pari al 111 per cento (compreso il personale di riserva) raggiunge per Ascoli Piceno, il 121,7 per cento per la provincia di Fermo il 114 per cento.
      Con riferimento agli altri temi di interesse dell'interrogante, l'azienda ha precisato che nel corso del 2009 e del 2010 nei centri di recapito delle predette province, non sono stati effettuati trasferimenti di personale con mansioni di portalettere verso attività di sportello, quindi non sono state distolte risorse dall'attività di recapito, chiarendo che l'assegnazione ai servizi di sportelleria ha interessato solo personale proveniente dal settore video-codifica di Ascoli Piceno.
      La video-codifica della corrispondenza è svolta dal centro servizi codifica di Ascoli Piceno che, insieme ai centri di Pesaro e Reggio Emilia, cura tale attività per la corrispondenza diretta a qualsiasi destinazione che, per motivazioni tecniche, non possa essere sottoposta a lavorazione negli impianti di smistamento automatizzato dai Centri di meccanizzazione postale (CMP) di Ancona e Bologna.
      Al riguardo, la concessionaria del servizio postale universale ha confermato che l'attività presso il centro di Ascoli Piceno risulta regolarmente svolta e che, nel rispetto di quanto previsto dal progetto di riorganizzazione del servizio di recapito, le lavorazioni si articolano in turni antimeridiani e pomeridiani.

Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      CRISTALDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          nel territorio di Mazara del Vallo esiste un cantiere aperto da 40 anni per la realizzazione di un'arteria sopraelevata come raccordo tra la statale 115 ed il porto della città;
          il completamento dell'opera è stato finanziato con i piani ufficiali Accordo di programma quadro Sicilia 2007-2011 (fondi ordinari piano decennale 2003-2012, rimodulazione piano decennale 2003-2012);
          il bando di gara per il completamento dell'opera è stato pubblicato il 29 febbraio 2008 con un importo lavori a base d'asta di 11.800.000 euro circa;
          aggiudicataria della gara è risultata la ditta Deanco srl di Ganci (Palermo) (aggiudicazione definitiva nel giugno 2009);
          il 14 luglio 2009 i lavori sono iniziati e che si sarebbero dovuti concludere in 720 giorni e, quindi, entro il 4 luglio 2011;
          nella primavera del 2010 sono state effettuate delle sospensioni dei lavori e che alla ditta Deanco srl è stato revocato l'affidamento dei lavori;
          l'Anas ha proceduto a redigere un nuovo progetto di completamento dell'opera per un importo pari a 9.077.124,59 euro, prevedendosi il completamento dei lavori in 600 giorni;
          questo ultimo bando di gara è stato pubblicato il 6 aprile 2011 e la gara si sarebbe svolta il 21 giugno 2011. Alla data del 18 ottobre 2011 il procedimento risulterebbe chiuso ma l'esito non risulta pubblicato sul sito web dell'Anas;
          il mancato completamento dell'opera, oltre a costituire danno ingente per il territorio, è un esempio perverso delle tante opere italiane incomplete che non contribuiscono alla buona immagine del nostro Paese  –:
          quali notizie abbia il Governo sulla questione;
          se non ritenga il Governo di avviare un'indagine al fine di verificare la legittimità dei vari passaggi anche al fine di accertare eventuali responsabilità su quanto si sta verificando intorno al completamento dell'opera pubblica in questione;
          quali urgenti iniziative il Governo intenda assumere per la definitiva soluzione del problema. (4-13668)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
      Come è noto i lavori per il completamento della strada di collegamento tra la strada statale 115 ed il porto di Mazara del Vallo risulta inserito nel piano degli investimenti Anas 2007-2011. I lavori sono stati aggiudicati con procedura ristretta in data 28 aprile 2009 all'impresa Deanco costruzioni Srl la consegna dei lavori è avvenuta il 25 giugno 2009, con il termine di 720 giorni per il completamento dell'opera. L'importo totale dell'investimento ammonta a 10.033.914,61 euro comprensivo di 597.000,00 euro per l'attuazione dei piani di sicurezza.
      In data 11 febbraio 2010, a seguito di una informativa emessa dalla prefettura di Roma e ai sensi dell'articolo 10, comma 7 del decreto del Presidente della Repubblica n.  252 del 3 giugno 1998, l'Anas ha disposto il recesso del contratto all'impresa aggiudicatrice. La stessa impresa presentava, quindi, ricorso per l'annullamento del citato provvedimento al tribunale amministrativo regionale del Lazio, che con ordinanza n.  2321/2010 del 26 giugno 2010, accoglieva l'istanza di sospensiva.
      Alla luce di quanto esposto, l'Anas procedeva alla revoca del provvedimento di recesso del contratto di appalto e disponeva, in data 11 giugno 2010, la riconsegna e la ripresa delle lavorazioni.
      A seguito di impugnazione dell'ordinanza del Tar n.  2321 del 2010, il Consiglio di Stato, accoglieva l'appello cautelare del ricorrente e respingeva l'istanza di sospensiva avanzata in primo grado dall'impresa DEANCO costruzioni Srl.
      Il 17 agosto 2010, l'Anas confermava il provvedimento di rescissione del contratto, disponendo tutti gli atti consequenziali per la sospensione dei lavori in attesa della sentenza definitiva del Tar.
      A seguito della sentenza definitiva del Tar n.  CPA-76224-I del 16 dicembre 2010, l'Anas disponeva il recesso contrattuale.
      Alla luce di quanto esposto, veniva redatto un nuovo progetto esecutivo di completamento, mediante lo stralcio delle opere già realizzate nell'ambito dell'appalto rescisso, adeguando alcuni interventi alle sopravvenute esigenze in ordine alla viabilità locale.
      Il progetto esecutivo n.  6440 del 31 gennaio 2011 relativo ai lavori suddetti, per un importo complessivo di euro 11.500.000,00 e con un tempo utile per l'esecuzione dei lavori di 600 giorni, è stato approvato con dispositivo Anas n.  32674 del 4 marzo 2011, con il quale, tra l'altro, la direzione regionale Anas per la Sicilia è stata autorizzata ad esperire la gara mediante procedura aperta con il criterio del minor prezzo.
      Il bando di gara è stato pubblicato in data 6 aprile 2011 e nella seduta del 23 giugno 2011 la commissione di gara ha provveduto all'esame della documentazione prodotta dalle ditte partecipanti alla gara, procedendo, quindi, alla determinazione della graduatoria e della soglia di anomalia.
      Le offerte sono state inviate alla commissione di verifica dell'anomalia, che a seguito dei controlli effettuati e della documentazione integrativa pervenuta, ha dichiarato congrua, con verbale del 12 ottobre 2011, l'offerta dell'impresa consorzio opere speciali.
      Successivamente, in data 27 ottobre 2011, è stata disposta l'aggiudicazione definitiva dell'appalto a favore dell'impresa Consorzio opere speciali con un ribasso pari al 38,464 per cento.
      Ad oggi si è conclusa la verifica dei requisiti richiesti dall'articolo 11, comma 8, del decreto legislativo 163 del 2006 e a breve Anas procederà all'emissione del dispositivo di aggiudicazione definitivo con la successiva contrattualizzazione e la consegna dei lavori.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Corrado Passera.


      DI BIAGIO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          in data 23 novembre 2011 il Ministero degli affari esteri ha provveduto notificare alle Organizzazioni sindacali del Ministro degli affari esteri, alle organizzazione italiane nel mondo nonché al Consiglio generale degli italiani all'estero il nuovo piano di razionalizzazione della rete consolare che andrà in vigore nel 2012;
          il suindicato piano prevede la chiusura di 17 sedi in totale e una in declassamento: 13 nel territorio dell'Unione europea e 4 nei Paesi extra europei;
          le citate dinamiche di razionalizzazione rientrano in un programma definito dal precedente Governo e che ha visto la sua realizzazione in diversi step esecutivi a partire dal 2008;
          la razionalizzazione, con le sue discutibili conseguenze sul piano dell'efficienza e dell'organizzazione del nostra rete diplomatico-consolare oltre confine, è stata oggetto di discussione, approfondimenti e confronti in sede parlamentare fin dalle prime battute dell'attuale legislatura;
          è stata pertanto oggetto di note ministeriali, atti di indirizzo e di controllo in entrambe le Camere del Parlamento: in talune circostanze il Governo si è impegnato a rivedere alcuni aspetti della citata dinamica riorganizzativa oltre confine;
          il programma di razionalizzazione della rete estera del Ministro degli affari esteri, sebbene formulato al fine di ridurre le spese in capo all'Amministrazione, – a detta dell'interrogante – non sembra aver seguito alcuna logica riorganizzativa, comportando nel corso degli anni difficili con-seguenze sul versante del supporto ai nostri connazionali e alle nostre imprese oltre confine;
          a detta dell'interrogante le chiusure fin'ora autorizzate dal Ministro degli affari esteri, non sembrerebbero aver condotto ad una significativa riduzione della spesa, considerando i costi esorbitanti che l'amministrazione è stata chiamata a sostenere per smantellare le sue strutture, riorganizzare il personale e in talune circostanze sostenere i contenziosi che ne sono derivati;
          appaiono del tutto non trascurabili anche i riflessi politico-diplomatici che tali «razionalizzazioni» hanno determinato: segnatamente in quei Paesi dove le autorità locali hanno tenacemente insistito affinché non si procedesse con la chiusura delle sedi individuate come riferimento imprescindibile delle buone relazioni bilaterali;
          alla luce delle nuove determinazioni, risulta particolarmente complessa la decisione di chiudere l'ufficio consolare di Tolosa, in Francia, e quelli di Adelaide e Brisbane in Australia considerando che le sedi riceventi di tali strutture risultano particolarmente lontane da quelle in chiusura e materialmente non in grado di sostenere la mole di lavoro che ne deriverebbe, anche in considerazione dell'alta densità di cittadini italiani ivi residenti;
          in virtù degli aspetti suindicati sarebbe ragionevole procedere con l'istituzione di agenzie consolari, in grado di far fronte all'elevata domanda di servizi ed assistenza in loco  –:
          se si intenda rivedere gli aspetti di questo ultimo step di razionalizzazione della rete consolare oltre confine, anche alla luce di eventuali nuove dinamiche organizzative che potrebbero derivare dall'insediamento del nuovo Governo;
          se non si ritenga auspicabile procedere con l'istituzione di Agenzie consolari nelle città di Tolosa, Brisbane e Adelaide, anche al fine di garantire un adeguato quanto doveroso supporto amministrativo ai tanti connazionali residenti. (4-14025)

      Risposta. — In merito a quanto rappresentato dall'interrogante circa gli ultimi sviluppi relativi al piano di razionalizzazione della rete diplomatico-consolare, si forniscono i seguenti elementi di informazione.
      Il Ministro degli affari esteri Terzi di Sant'Agata ha disposto di congelare l'adozione di qualsiasi chiusura di uffici consolari e culturali all'estero, sino a che non sia stato presentato e discusso in Parlamento un complessivo piano di revisione della spesa e delle risorse (spending review) dell'amministrazione degli affari esteri.
      A tal fine è stato istituito alla Farnesina un gruppo di lavoro chiamato ad approfondire la riflessione sulle modalità per ottimizzare l'impiego delle risorse attribuite all'amministrazione degli affari esteri con l'obiettivo di salvaguardare e valorizzare ulteriormente la rete dei nostri uffici all'estero.
      Come indicato dal Ministro Terzi di Sant'Agata le conclusioni che matureranno nell'ambito del gruppo di lavoro verranno condivise con il Parlamento per valutare ogni futura ipotesi di rimodulazione della rete diplomatico-consolare.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Marta Dassù.


      DI PIETRO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          un gruppo di candidati notai al concorso notarile bandito il 1° settembre 2004 con termine correzione elaborati 16 marzo 2007 non furono ammessi a sostenere le prove orali poiché conseguirono la sufficienza (punteggi dal 90 al 104) e non l'eccellenza (105) nelle tre prove scritte (c.d. novantini);
          l'articolo 11 del decreto legislativo n.  166 del 2006 ha modificato la vigente disciplina valutativa delle prove scritte del concorso notarile ed ha «equiparato, ai fini dell'ammissione all'orale, il voto di sufficienza a quello di idoneità»;
          il comma 2 dell'articolo 16 decreto legislativo n.  166 del 2006 ha previsto che «le disposizioni di cui agli articoli (...) 11 (...) si applicano con decorrenza dalla data di emanazione del prossimo bando di concorso per la nomina a notaio»;
          la legge n.  233 del 2010, approvata su input del Consiglio nazionale del notariato, ha consentito l'accesso alla professione, pur non avendone alcun diritto secondo le nuove regole, anche agli «idonei-non vincitori» del concorso 2007 (candidati che seppur idonei risultano in graduatoria oltre la soglia del numero delle sedi messe a concorso) giustificando in questo caso il superamento delle regole in corso, ciò che, invece, non è avvenuto, per i candidati che hanno superato la prova di preselezione e le tre prove scritte secondo la novella del 2006 (cosiddetti novantini);
          la legge n.  69 del 2009 ha abolito la prova di preselezione informatica che era il requisito fondamentale per accedere al concorso notarile. Tale prova poteva essere superata solo rispondendo in modo corretto alla totalità dei quiz cosicché coloro che hanno superato le prove scritte nel periodo precedente l'entrata in vigore della suindicata legge hanno superato difficoltà ben superiori rispetto ai successivi concorrenti;
          nelle tabelle che determinano il numero dei notai per ciascuna sede notarile, attualmente, sono libere oltre 1.000 sedi;
          il notariato nel decennio 1999-2009 è l'unica categoria professionale che è regredita di 200 unità considerati i tempi medi dell’iter di un concorso notarile;
          il decreto liberalizzazioni prevede 500 nuove nomine per i notai e che uno dei punti fondamentali e imprescindibili per il rilancio della nostra economia – come dichiarato dal Presidente del Consiglio dei ministri, professor Monti e dal Ministro dello sviluppo economico dottor Passera – è l'incremento dei livelli occupazionali;
          i cosiddetti novantini hanno dimostrato di essere soggetti preparati che potrebbero, una volta superato l'esame orale, coprire le sedi notarili attualmente vacanti;
          per alcuni candidati al concorso del 2004 questa era l'ultima possibilità per poter partecipare visto il raggiunto limite di età  –:
          se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda intraprendere al fine, eventualmente, di consentire ai candidati che, nel concorso del 2004 avevano ottenuto un punteggio da 90 a 104, di sostenere la prova orale.
(4-14769)

      Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo indicato in oggetto, si fa presente quanto segue, sulla base delle notizie acquisite dal competente dipartimento per gli affari di giustizia.
      L'interrogante evidenzia taluni aspetti riguardanti il concorso notarile indetto con decreto del direttore generale della giustizia civile del 1° settembre 2004, segnalando in particolare il fatto che gli elaborati scritti di alcuni candidati furono valutati in termini di sufficienza dalla commissione esaminatrice, senza tuttavia raggiungere il punteggio richiesto per l'ammissione alla prova orale.
      Va precisato, in proposito, che all'epoca della pubblicazione del bando di concorso in esame, la disciplina riguardante lo svolgimento e la correzione delle prove concorsuali era contenuta nel regio decreto 14 novembre 1926, n.  1953 e, in particolare, nell'articolo 24, che così testualmente disponeva al secondo comma: «Non è ammesso agli orali il concorrente che non abbia riportato almeno trenta punti in ciascuna delle prove scritte e non meno di centocinque nel complesso delle prove stesse».
      Per l'ammissione alla prova orale era pertanto necessario riportare non soltanto una votazione minima o sufficiente, ma una media superiore, con la conseguenza che il candidato che avesse conseguito un punteggio minimo o appena sufficiente in una prova scritta, avrebbe dovuto compensare tale esito ottenendo votazioni di eccellenza nelle altre prove scritte. Ciò, per evitare margini di casualità nel risultato ottenuto e a garanzia dell'effettiva preparazione del concorrente.
      Nel corso delle procedure di correzione delle prove scritte del concorso in questione, fu approvata, con decreto legislativo 22 aprile 2006, n.  166, la riforma della disciplina del concorso notarile. Detta normativa, per risolvere i problemi applicativi insorti in numerosi concorsi precedenti, ha equiparato, ai fini dell'ammissione all'esame orale, il voto di sufficienza a quello l'esame orale, il voto di sufficienza a quello di idoneità (35 punti).
      Ciò premesso, va rilevato, al riguardo, che l'argomento portato a sostegno della posizione dei cosiddetti «novantini» – evidenziata nell'interrogazione - si basa sostanzialmente sul fatto che l'articolo 16 del decreto legislativo 22 aprile 2006, n.  166 ha disposto che la nuova disciplina debba trovare applicazione solo dalla data di emanazione del nuovo bando di concorso per la nomina a notaio. Tale limite temporale (fondato sull'irretroattività della «novella») ha comportato l'esclusione dall'applicazione della nuova (e più favorevole) normativa, riguardante il voto richiesto (quello della sufficienza) per l'ammissione alle prove orali, dei candidati del concorso notarile bandito nel 2004. Questi ultimi, infatti, pur avendo raggiunto il voto della sufficienza nelle prove scritte non sono stati ammessi a sostenere le prove orali, in considerazione della normativa all'epoca vigente, e ciò anche se la correzione dei loro elaborati era avvenuta dopo il bando di un nuovo concorso.
      L'interpretazione favorevole ai «novantini» (sostenuta nell'atto di sindacato ispettivo), rilevando l'iniquità delle conseguenze cui darebbe luogo una rigida applicazione delle disposizioni dell'articolo 16 del decreto legislativo n.  166 del 2006, sostiene che il nuovo (e più favorevole) criterio di valutazione debba essere esteso anche alle operazioni di correzione relative al concorso del 2004, con la conseguenza di dover ammettere gli istanti a sostenere le prove orali.
      Tale argomento, seppure suggestivo, non appare condivisibile, come rilevato anche dalla giurisprudenza che ha avuto modo di occuparsi della vicenda.
      Con sentenza n.  4687/2006 il Consiglio di Stato, infatti, ha escluso radicalmente l'applicabilità della riforma ai concorsi già banditi «Tale nuova disciplina (il decreto legislativo 22 aprile 2006, n 166, n.d.r.) è però ovviamente inapplicabile ai concorsi sin qui svolti i quali restano governati dall'articolo 24 del regio decreto 14 novembre 1926, n.  1953».
      Il Consiglio di Stato ha poi correttamente ritenuto, da ultimo con sentenza n.  124/2011 di non doversi discostare dal consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale, in materia di applicazione ai concorsi pubblici del principio «tempus regit actum», le disposizioni normative sopravvenute in materia di ammissione dei candidati, di valutazione dei titoli o di svolgimento delle prove e di votazioni, non trovano applicazione per le procedure in corso di svolgimento alla data della loro entrata in vigore.
      Pertanto, mentre le norme vigenti al momento dell'indizione della procedura devono essere applicate anche se non espressamente richiamate nel bando, per un rinvio implicito formulato dalla
lex specialis, ciò non può valere per le norme sopravvenienti, a meno che non sia espressamente stabilito dalle norme stesse.
      Ciò che nel caso di specie non è accaduto.
      Va osservato, infine, che, ove si accedesse ad una diversa interpretazione, si darebbe luogo all'utilizzazione di diversi criteri di valutazione, e di idoneità dei concorrenti – partecipanti tutti alla medesima procedura di concorso – fondata sulla sola circostanza, del tutto casuale ed accidentale, della data di correzione degli elaborati scritti.

Il Ministro della giustizia: Paola Severino Di Benedetto.


      DI STANISLAO. — Al Ministro della difesa, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          Taranto risulta essere la città con la più alta presenza numerica di militari. Il portale Grnet.it riporta la notizia secondo cui nei giorni scorsi i consigli della rappresentanza militare a livello di base della Guardia di finanza e a livello nazionale della guardia costiera, attraverso specifiche delibere, hanno espresso «la loro preoccupazione per l'allarmante situazione ambientale» e le sue conseguenze;
          Taranto, infatti, è la città più inquinata d'Europa e quella dalla quale viene prodotto il 90 per cento della diossina italiana;
          i due consigli di rappresentanza chiedono ai loro rispettivi vertici, di avviare «indagini cliniche, nonché ambientali, più specifiche in modo tale da poter disporre di uno screening sullo stato di salute dei militari che prestano servizio nell'ambito dell'area portuale»;
          in particolare il consiglio della rappresenta militare a livello nazionale della guardia costiera chiede all'ARPA Puglia e enti locali, attraverso i propri vertici militari, il «monitoraggio in continuo» in merito alla presenza nell'aria dei pericolosi agenti cancerogeni;
          i militari svolgono servizio a Taranto in particolare nell'area portuale, che è di fatto all'interno della zona industriale. Il personale in servizio durante le notti, avverte un forte senso di bruciore agli occhi e alla gola. Solo per spirito di servizio, dichiarano, i militari rimangono al proprio posto di lavoro e non ricorrono agli immediati accertamenti medici;
          da internet sono reperibili filmati e fotografie degli orribili fumi che si vedono e che si respirano e le strade di color rosso. Questi militari, insieme alla popolazione civile, sono esposti costantemente a rischio di inalazione anche delle polveri, scaricate giorno e notte, quale materia prima per il funzionamento degli altiforni dell'Ilva;
          il personale della guardia costiera, in qualità di «uomini di Stato», rivendica verso le istituzioni il preciso diritto di conoscere il livello di inquinamento presente nell'aria che si respira durante i servizi svolti;
          ci troviamo dinanzi ormai da anni ad un disastro ambientale e sanitario  –:
          se il Governo sia a conoscenza della grave situazione riportata in premessa e come intenda intervenire immediatamente per sostenere le legittime richieste dei rappresentanti militari e tutelare al massimo la salute dei militari e dei cittadini tutti e l'ambiente che li circonda.
(4-12826)

      Risposta. — Ritengo opportuno, in primo luogo, precisare che la problematica illustrata nell'interrogazione in titolo non può essere riferibile allo specifico ambiente di lavoro (in questo caso, portuale), tantomeno al solo personale militare delle capitanerie di porto o della guardia di finanza, in quanto, in realtà, coinvolge tutto il territorio della città di Taranto, caratterizzata dalla presenza di grandi impianti industriali e, pertanto, s'inquadra nel più generale ambito della tutela della salute pubblica.
      Chiarito questo aspetto, per quanto concerne la tutela della salute del personale militare del corpo delle Capitanerie di porto in servizio a Taranto – il cui impiego, peraltro, avviene, per lo più, nell'ambito delle dipendenze funzionali facenti capo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti o ad altri dicasteri – la locale Capitaneria di porto ha riferito di non avere, allo stato, evidenze documentate di problematiche sanitarie correlabili allo specifico contesto ambientale, in cui opera soprattutto il personale della sede distaccata in ambito portuale (circa 30 unità).
      La stessa Capitaneria ha fatto presente, altresì, di aver già avviato sia una indagine conoscitiva interna – dalla quale è emerso che i disturbi lamentati dai militari in servizio a Taranto sono, sostanzialmente, gli stessi di cui soffrono gli abitanti dell'area tarantina (fastidi agli occhi e alle vie respiratorie, a volte molto acuti, dovuti a cattivi odori e alle polveri disperse nell'aria, tra cui, in particolare, il pulviscolo di carbone) – sia di avere investito della problematica l'autorità portuale di Taranto e la locale azienda sanitaria (dipartimento di prevenzione), chiedendo alle stesse di valutare l'opportunità di effettuare un apposito monitoraggio ambientale nell'area portuale – come già avvenuto in passato – proprio allo scopo precipuo di verificarvi la sussistenza di potenziali, pericoli per la salute.
      Con particolare riferimento, invece, alla richiamata delibera del Consiglio centrale di rappresentanza (Co.Ce.R.) della Marina militare, si fornisce ampia assicurazione che la Forza armata è molto sensibile alle problematiche correlate alla tutela dell'ambiente nei luoghi di lavoro e, in generale, alla salute del personale dipendente.
      In tale contesto, il capo di Stato Maggiore della Marina militare ha disposto che gli alti comandi competenti per territorio prendano contatti con le autorità locali, al fine di valutare l'opportunità di predisporre, a cura delle citate competenti autorità, l'effettuazione di appositi monitoraggi/campionamenti ambientali nei pressi delle strutture militari.
      Per quanto afferisce agli aspetti sanitari, si segnala che, ad oggi, non risulta disponibile un protocollo di
screening finalizzato ad una diagnosi precoce di patologie correlate con le sostanze inquinanti in questione.
      Al momento, comunque, non si ha evidenza, tra il personale militare, di patologie correlabili con le sostanze citate nella delibera.
      Ad ogni buon conto, il capo di Stato Maggiore di Forza armata ha dato disposizioni agli organi sanitari di prestare la massima attenzione ai fine di verificare se, nell'ambito dei previsti controlli periodici o in qualsiasi altro momento dell'attività lavorativa del personale dipendente, dovessero sorgere indizi di patologie correlabili all'ambiente di lavoro.
      Con riferimento, poi, alle altre Forze armate, faccio presente che non sono emersi o non si ha notizia, ad oggi, di casi riguardanti il personale militare dell'Aeronautica militare e dell'Arma dei carabinieri destinato a Taranto, mentre, per quanto riguarda l'Esercito italiano, lo stesso non ha Enti stanziati nel territorio tarantino che – vorrei evidenziare – è sottoposto a continuo monitoraggio da parte dell'agenzia regionale protezione ambiente (ARPA) per le problematiche connesse ai rischi ambientali.
      Rendo noto, in ultimo, che è in corso un'indagine delegata dall'autorità giudiziaria al nucleo operativo ecologico carabinieri di Lecce, i cui sviluppi, sono sottoposti al segreto istruttorio previsto nella fase delle indagini preliminari.
      Contestualmente, il giudice per le indagini preliminari di Taranto ha affidato a un
pool di esperti l'incarico di redigere una perizia in merito all'incidenza sulla salute delle sostanze chimiche provenienti dai grandi impianti industriali localmente presenti.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      DI STANISLAO. – Al Ministro della difesa. – Per sapere – premesso che:
          gli organismi di protezione sociale (OPS) hanno lo scopo di favorire l'efficienza psico-fisica, l'aggregazione sociale, l'arricchimento culturale nonché rapporti di democratica interazione con la collettività esterna per il pieno sviluppo della persona umana dedicata al bene comune della difesa della Patria. Inoltre hanno lo scopo di conservare vincoli di solidarietà militare tra ufficiali, sottufficiali e sottocapi;
          a Taranto, è stato indetto un avviso di gara per «affidamento della gestione dei servizi degli O.P.S.» delle spiagge dei sottufficiali e sottocapi in località San Vito e Isola di San Pietro, esternalizzando nei «fatti» tutti i singoli servizi, serate danzanti comprese, cambiando nella sostanza il sistema di gestione;
          tutto ciò avviene, senza il coinvolgimento della rappresentanza militare, nonostante sia deputata per legge a trattare materie riguardanti il benessere del personale e quindi anche gli OPS;
          in un contesto di tagli sugli stipendi, questi organismi diventano indispensabili per il benessere del personale, le loro famiglie e per il funzionamento dello strumento militare;
          nell'avviso di gara non è specificato se l'affidamento di tali servizi è annuale e, se si intende mantenere le cifre dei fruitori come gli anni precedenti;
          attualmente si discute di esuberi del personale militare;
          la ditta appaltatrice introiterà la quasi totalità degli introiti, che oggi vanno all'amministrazione difesa;
          in città vi è un esempio a livello nazionale che è il castello Aragonese, dove 7 dipendenti civili e 5 sottufficiali stanno facendo splendere, con il loro quotidiano lavoro, un tesoro di inestimabile valore, al quale stile si potrebbero uniformare in particolare gli organismi di protezione sociale;
          il bando è stato pubblicato sul sito ufficiale della Marina militare il 22 dicembre 2011 alla vigilia (lavorativa) delle festività natalizie. Il termine è stato fissato 28 giorni dopo, cioè la vigilia della partenza dell'attuale comandante in capo del dipartimento marittimo, non dando la possibilità a tutti di organizzarsi (associazioni militari comprese), creando perplessità e disagio fra il personale  –:
          se il Governo intenda, alla luce di quanto esposto in premessa, sospendere immediatamente il bando;
          quali siano i motivi del mancato coinvolgimento della rappresentanza in considerazione del fatto che nella sostanza vi è un cambiamento della gestione di tali organismi;
          quali siano i motivi per i quali il bando ha fissato soli 28 giorni per concorrervi in considerazione del fatto che ricadevano a pieno nel periodo natalizio;
          se il Governo intenda disporre a riguardo, l'apertura di un tavolo di lavoro presso lo Stato Maggiore con le rappresentanze;
          se il Governo intenda disporre a breve termine, per la sede di Taranto, il coinvolgimento delle rappresentanze e le associazioni d'arma o di categorie, così come richiamato dall'articolo 465 del nuovo codice dell'ordinamento militare. (4-14449)

      Risposta. — La direzione di commissariato della Marina militare di Taranto ha pubblicato un avviso di gara informale (non un bando di gara) per l'affidamento in gestione di alcune attività erogate dagli organismi di particolare protezione sociale (OPPS) dello stabilimento elioterapico sottufficiali di San Vito e dello stabilimento elioterapico ufficiali, sottufficiali e truppa di Isola San Pietro, al fine di sondare l'interesse di possibili operatori economici del settore, relativamente ai servizi di balneazione, salvamento, pulizia, ristorazione, bar, gestione impianti sportivi e gestione attività ricreative.
      All'affidatario della gestione dei suddetti servizi sarà contestualmente richiesta la realizzazione di opere infrastrutturali basilari per il buon funzionamento degli stessi stabilimenti elioterapici.
      Ciò posto, si osserva che il presumibile ulteriore decremento per l'esercizio finanziario 2012 delle risorse destinate alla gestione ordinaria e straordinaria degli stabilimenti (risorse che nei precedenti esercizi finanziari sono state in costante decrescita ed appena sufficienti ad assicurare il mantenimento a norma delle infrastrutture esistenti), impone la ricerca di soluzioni tecnico amministrative alternative in grado di realizzare alcuni interventi, in mancanza dei quali sarebbe a rischio l'apertura degli stabilimenti balneari di Forza armata per la prossima stagione estiva.
      Va specificato, a fronte di tale esigenza, che non necessariamente l'affidamento a ditte esterne è suscettibile di provocare automaticamente un innalzamento dei prezzi; infatti, gli investimenti per la realizzazione delle opere, unitamente ai costi derivanti dalla manutenzione ordinaria e straordinaria delle infrastrutture esistenti, dovranno essere inseriti nel piano economico finanziario di ammortamento costi/ricavi, presentato dalle ditte in sede di gara (ai sensi del decreto legislativo n.  163 del 2006 recante il «codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture»), proprio al fine di mantenere invariati i costi a carico degli utenti.
      Con riferimento, invece, ai «motivi del mancato coinvolgimento della rappresentanza», si specifica che, nel caso in esame, l'emissione di un avviso di gara informale, come già evidenziato in premessa, rappresenta solo un'attività propedeutica, in quanto intesa ad acquisire necessari elementi di cognizione per l'affidamento in gestione di attività e/o servizi a soggetti estranei all'Amministrazione militare.
      In tale fase non risulta sussistere alcun obbligo di consultazione preventiva degli organi della rappresentanza militare da parte dell'Amministrazione procedente.
      Tuttavia, l'azione avviata prevede senz'altro, a valle di un progetto organico di gestione che dovrà essere presentato da eventuali Imprese partecipanti alla gara, una illustrazione agli organismi di rappresentanza, prima dell'adozione della delibera finale.
      Avuto riguardo, infine, alla questione relativa agli «esuberi del personale militare», di cui è cenno nell'interrogazione in esame, si rappresenta che gli organismi di particolare protezione sociale in argomento non prevedono una dotazione organica di personale, anche per la ridotta durata degli impegni legati alla stagione balneare.
      Il personale impiegato per la fase di approntamento e funzionamento dello stabilimento, tra l'altro, fornito su base volontaria dai singoli comandi, negli ultimi anni si è notevolmente ridimensionato per sopravvenuta indisponibilità.
      Avuto riguardo, infine, al quesito relativo all'intenzione del Governo di disporre «l'apertura di un tavolo tecnico presso lo Stato Maggiore con le rappresentanze», desidero sottolineare che la Difesa – per nulla insensibile alla tematica – ha mostrato, da sempre, un deciso
favor per l'azione di tali organismi rappresentativi, la cui attività è indirizzata principalmente a sostenere la dialettica, all'interno delle Forze armate, nell'esclusivo interesse del personale rappresentato.
      Al riguardo, preciso che la direzione di commissariato di Taranto ha mantenuto costanti contatti con l'organo di verifica degli organismi di particolare protezione sociale di cui trattasi, nominato con ordine del giorno del 13 giugno 2011 del comando in capo del dipartimento della Marina militare di Taranto, di cui fa parte un membro della rappresentanza militare, designato dal COIR dello stesso dipartimento.

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      DI STANISLAO. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 9, primo comma, della legge 16 gennaio 2003, n.  3, introduce la possibilità dell'utilizzazione degli idonei nei concorsi pubblici da parte di altre amministrazioni, affermando testualmente che: «con regolamento emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n.  400, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono stabiliti le modalità e i criteri con i quali le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e gli enti pubblici non economici possono ricoprire i posti disponibili, nei limiti della propria dotazione organica, utilizzando gli idonei delle graduatorie di pubblici concorsi approvate da altre amministrazioni del medesimo comparto di contrattazione»;
          la possibilità di procedere all'utilizzazione di idonei in concorsi pubblici indetti dalle amministrazioni statali e dagli enti pubblici non economici si configura come una rilevante economia di spesa in tema di assunzione di personale, evitando il ricorso all'indizione di nuove procedure di reclutamento con il relativo aggravio in termini di costi e di tempi per l'entrata in servizio del nuovo personale a copertura dei posti vacanti;
          in materia, da ultimo, l'articolo 1, quarto comma, del decreto legge 29 dicembre 2011, n.  216 (cosiddetto mille proroghe) ha previsto l'ulteriore proroga fino al 31 dicembre 2012 dell'efficacia delle graduatorie concorsuali per assunzioni a tempo indeterminato approvate successivamente al 31 dicembre 2005, relative alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni;
          sulla scorta di quanto sopra, a distanza di circa nove anni dall'entrata in vigore della citata previsione della legge 16 gennaio 2003, n.  3, non si è ancora provveduto all'adozione del regolamento disciplinante i termini e le modalità per consentire in concreto alle amministrazioni statali e agli enti pubblici non economici di coprire i posti vacanti utilizzando gli idonei delle graduatorie di concorsi pubblici approvate da altre amministrazioni del medesimo comparto, impedendo così l'implementazione di una norma che consente un significativo contenimento della spesa per l'assunzione del personale alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, vieppiù nell'attuale congiuntura economica  –:
          se il Ministro interrogato intenda sollecitamente provvedere all'adozione del citato regolamento previsto dall'articolo 9, primo comma, della legge 16 gennaio 2003, n.  3, onde consentire la piena operatività della norma di utilizzo delle graduatorie degli idonei per la copertura dei posti disponibili in amministrazioni diverse da quelle che le hanno approvate, nell'ambito dei comparti Ministeri ed enti pubblici non economici;
          se e quali iniziative intenda assumere al fine di estendere anche alle amministrazioni dei restanti comparti di contrattazione, quali da ultimo risultano dal contratto collettivo quadro per la definizione dei comparti di contrattazione dell'11 giugno 2007, la citata possibilità di utilizzo degli idonei delle graduatorie dei concorsi pubblici in amministrazioni diverse da quelle che le hanno approvate ai fini della copertura dei posti vacanti. (4-14543)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione in oggetto indicata, con la quale interrogante chiede al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione alcuni chiarimenti in merito alla possibilità di utilizzare coloro che sono risultati «idonei» in concorsi pubblici da parte di amministrazioni diverse da quelle che hanno indetto il relativo bando, si rappresenta quanto segue.
      In via preliminare, è d'uopo segnalare che la disciplina concernente la vigenza delle graduatorie dei concorsi pubblici è recata dall'articolo 35, comma 5-
ter, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165.
      La norma citata, introdotta dalla legge finanziaria per il 2008 e successivamente modificata dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.  150, prevede che «le graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche rimangono vigenti per un termine di tre anni dalla data di pubblicazione». Si tratta di una regola generale motivata da fondamentali esigenze di certezza del diritto nonché dalla necessità di assicurare alle pubbliche amministrazioni la possibilità di rinnovare le procedure di reclutamento al fine di acquisire le migliori risorse umane.
      Come rilevato dall'interrogante, sono state previste in più occasioni norme di proroga a tale precetto di portata generale: ciò in considerazione di esigenze eccezionali di reclutamento non altrimenti fronteggiabili, viste le stringenti limitazioni poste alle assunzioni dalle leggi finanziarie degli ultimi anni con riferimento al cosiddetto «
turn-over», nonché gli impegni assunti in sede europea al fine del contenimento della spesa per il personale pubblico.
      Al riguardo, occorre, tuttavia sottolineare che, come confermato da consolidata giurisprudenza, le norme di «ultra-attività» delle graduatorie non creano di per sé un obbligo dell'amministrazione di coprire i posti liberi e un corrispondente diritto degli idonei in graduatoria all'assunzione. Una diversa interpretazione delle norme sulla «ultra-attività» delle graduatorie di concorso si esporrebbe alla denuncia d'illegittimità costituzionale per violazione del principio di buona ed efficiente amministrazione sancito dall'articolo 97 della Costituzione: il principio costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione, infatti, risponde a finalità ed esigenze che prescindono dall'interesse del soggetto risultato idoneo, riguardando, piuttosto, l'interesse generale alla corretta gestione della finanza pubblica. Le amministrazioni pubbliche devono, infatti, organizzarsi in funzione del servizio pubblico ad esse affidato, che deve essere svolto al minor costo compatibile col miglior risultato.
      Fatte queste debite precisazioni, occorre segnalare, ciononostante, che la situazione rappresentata dall'interrogante configura una problematica assai importante e cogente che grava sul sistema assunzionale alle dipendenze della pubblica amministrazione.
      Difatti, sono migliaia i giovani che, vincitori di un concorso pubblico, attendono da tempo di essere assunti nell'organico dell'amministrazione che ha bandito il relativo concorso. Tale situazione, che riguarda tutti i comparti della pubblica amministrazione, è sicuramente resa ancor più difficile dalle reiterate disposizioni concernenti il cosiddetto «
turn over». In tal senso, il decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133, ha disposto, all'articolo 66 – in una logica di riduzione del personale pubblico – l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di contenere le assunzioni dimezzando le percentuali previste dalla legge n.  244 del 2007 (legge finanziaria 2008). Con l'articolo 74 dello stesso decreto si è, poi, stabilito per tutte le amministrazioni statali un ridimensionino degli assetti organizzativi esistenti secondo principi di efficienza, razionalità ed economicità, con conseguente riduzione delle dotazioni organiche; al tempo stesso alle amministrazioni inadempienti è fatto divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsiasi contratto.
      Tali disposizioni, con provvedimenti successivi, sono state poi ulteriormente prorogate fino al 2013.
      Sul tema oggetto del presente atto di sindacato ispettivo è, altresì, da segnalare un progetto di legge di iniziativa parlamentare attualmente in discussione presso la XI Commissione Lavoro della Camera dei deputati. Si tratta dell'atto Camera 4116, recante «Disposizioni per il superamento del blocco delle assunzioni nelle pubbliche amministrazioni e per la chiamata dei vincitori e degli idonei nei concorsi», il cui testo – adottato il 25 gennaio scorso a seguito dei lavori di un comitato ristretto – è la risultante dell'unificazione di alcune proposte di legge presentate da parlamentari appartenenti ai gruppi PD (onorevole Damiano, atto Camera 4116), PDL (onorevole Cazzola, atto Camera 4366) e IdV (onorevole Di Pietro, atto Camera 4455).
      Il provvedimento in questione, intervenendo sulla questione dei vincitori di concorso non assunti, prevede che per il triennio 2012-2014. le amministrazioni pubbliche, nel rispetto dei vincoli finanziari previsti in materia di assunzioni a tempo indeterminato e di contenimento della spesa per il personale, ferme restando le disposizioni vigenti in materia di reclutamento speciale e di mobilità, utilizzino, in relazione al proprio fabbisogno, le graduatorie vigenti dei concorsi pubblici per il reclutamento di personale a tempo indeterminato quando si tratti di assumere pari o analoghe figure professionali previste nei bandi dei concorsi ai quali si riferiscono le graduatorie medesime. Inoltre, qualora le amministrazioni non dispongano di proprie graduatorie utili, potranno attingere alle predette graduatorie anche in caso di reclutamento a tempo determinato (articolo 36 decreto legislativo n.  165 del 2001), fermo restando che il reclutamento avviene a scorrimento decrescente e non pregiudica l'eventuale assunzione a tempo indeterminato.
      Si stabilisce, altresì, la proroga al 31 dicembre 2014 dell'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato, approvate successivamente al 30 settembre 2003. Lo stesso testo, al comma 2 dell'articolo 1, prescrive che le amministrazioni pubbliche provvedano alle assunzioni di personale a tempo indeterminato attraverso il reclutamento, per il triennio 2012-2014, dei vincitori di concorso e, limitatamente al biennio 2012-2013, degli idonei inseriti nelle graduatorie di concorso, nel rispetto dei principi di trasparenza e d'imparzialità.
      Solo per l'anno 2014, lo scorrimento degli idonei presenti nelle graduatorie vigenti avviene in misura non inferiore al cinquanta per cento delle risorse finanziarie disponibili per le assunzioni ed è contestualmente autorizzata l'indizione di nuovi bandi di concorso, nel rispetto dei vincoli finanziari esistenti.
      Al comma 3 è poi prevista, entro il 31 dicembre 2013, la trasmissione alle Camere di una relazione, predisposta dal dipartimento della funzione pubblica, contenente il monitoraggio delle assunzioni effettuate sulla base della presente disposizione.
      I commi 4 e 5 dispongono, poi, che a decorrere dal 1o gennaio 2015 il reclutamento dei dirigenti e delle figure professionali comuni a tutte le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 35, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165 (amministrazioni statali, agenzie, enti pubblici non economici e enti di ricerca con più di 200 dipendenti), con esclusione di specifiche professionalità, si svolga mediante concorsi pubblici unici, nel rispetto dei principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento. 1 concorsi unici sono organizzati dal dipartimento della funzione pubblica, previa ricognizione del fabbisogno presso le amministrazioni interessate, nel rispetto dei vincoli finanziari in materia di assunzioni a tempo indeterminato e ferme restando le disposizioni vigenti in materia di mobilità.
      È data poi facoltà alle regioni e agli enti locali di aderire alla suddetta ricognizione e, in caso di adesione, i medesimi enti hanno l'obbligo di attingere alle relative graduatorie per il proprio fabbisogno, nel rispetto dei vincoli finanziari in materia di assunzioni.
      Al fine di assicurare la massima trasparenza delle procedure, è garantita dal dipartimento della funzione pubblica – mediante pubblicazione sul proprio sito istituzionale – la diffusione di ogni informazione utile sullo stato della procedura di reclutamento e selezione.
      Infine, vengono modificati i requisiti di accesso e le modalità di svolgimento del corso-concorso della Scuola superiore della pubblica amministrazione per l'accesso alla qualifica di dirigente.
      In conclusione, l'attuale testo, frutto di una positiva convergenza tra i diversi gruppi parlamentari, è ampiamente condiviso dal Governo: difatti, si ritiene che il medesimo – in quanto volto a rendere «effettivi» i concorsi pubblici già svolti che abbiano graduatorie ancora aperte, a prevedere l'introduzione «a regime» di un diverso sistema di reclutamento basato su concorsi unici per qualifiche comuni, nonché a garantire, al contempo, la tutela degli idonei – possa configurarsi come un utile e proficuo strumento ai fini del superamento delle istanze formulate dall'interrogante e in tal senso se ne auspica una rapida approvazione.

Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione: Filippo Patroni Griffi.


      DI VIZIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in base ad una legge regionale, la n.  20 del 2006, all'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente della Liguria, di seguito Arpal, sono state attribuite incisive funzioni che possono implicare l'esposizione del suo personale al contatto con sostanze gravemente nocive alla salute e comunque pericolose, per le quali risulta non equipaggiata;
          è conseguentemente già accaduto che il personale dell'Arpal non sia potuto intervenire nelle aree in cui erano in atto emergenze di competenza dell'ente;
          in questi casi l'Arpal ha attivato i vigili del fuoco, che hanno quindi operato in sua vece  –:
          se i vigili del fuoco suppliscano anche in altre regioni alle carenze delle agenzie regionali per la protezione dell'ambiente e se siano adeguatamente equipaggiati per far fronte anche a questi compiti che in realtà costituirebbero la competenza di altri enti. (4-13986)

      Risposta. — Il Corpo nazionale dei vigili del fuoco è chiamato ad assicurare la fondamentale funzione della salvaguardia dell'incolumità pubblica e della tutela dei beni e dell'ambiente, attraverso le missioni istituzionali del soccorso pubblico, della prevenzione incendi, della protezione e della difesa civile.
      In particolare, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco persegue la missione di preminente interesse pubblico finalizzata alla sicurezza della vita umana e all'incolumità delle persone attraverso azioni di prevenzione e di soccorso.
      Nell'ambito di queste attribuzioni, i vigili del fuoco possono essere chiamati a concorrere alla gestione di situazioni di criticità in settori di competenza di altri enti e soggetti pubblici, compresi quelli di competenza delle agenzie regionali per la protezione dell'ambiente. In questi casi, qualora lo scenario emergenziale dovesse essere caratterizzato dalla presenza di prodotti e sostanze nocive, il personale che interviene è sempre dotato di equipaggiamenti e dispositivi di protezione in grado di offrire adeguate garanzie di sicurezza.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Giovanni Ferrara.


      DI VIZIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          sulle strade del nostro Paese circolano milioni di veicoli, circostanza che determina un flusso significativo e costante di sinistri ed infrazioni di varia gravità;
          l'articolo 12 del vigente codice della strada riconosce alla polizia stradale, composta da 12mila persone sottoposte ad un continuo aggiornamento professionale, una competenza istituzionale prioritaria nella protezione della sicurezza stradale, ma ammette a funzioni di concorso in questo campo anche gli altri reparti della polizia di Stato, così come l'Arma dei carabinieri, il Corpo della guardia di finanza, i corpi e servizi delle polizie provinciali e municipali e persino il personale appartenente al Corpo forestale dello Stato ed alla polizia penitenziaria;
          il personale della polizia di Stato non appartenente alla polizia stradale ambirebbe ad acquisire una maggior padronanza delle capacità specialistiche richieste per assicurare efficacemente l'espletamento delle funzioni di polizia sulle strade  –:
          quali misure il Governo ritenga di poter adottare per venire incontro al desiderio di acquisire maggiori competenze specialistiche nel campo della sicurezza stradale, manifestato dal personale delle unità della polizia di Stato non appartenenti alla polizia stradale. (4-13990)

      Risposta. — L'articolo 12 del codice della strada prevede che l'espletamento dei servizi di polizia stradale spetti «in via principale alla specialità Polizia stradale della Polizia di Stato». Lo svolgimento di questi servizi presuppone una particolare preparazione professionale, sotto un profilo teorico e operativo.
      Ecco perché la formazione del personale viene attentamente curata, durante i corsi di specializzazione, qualificazione e abilitazione presso l'apposito Centro di addestramento di Cesena, ove si svolgono anche seminari di aggiornamento.
      Ad analoghi percorsi partecipa anche il personale della Polizia di Stato, non specializzato nei servizi di Polizia stradale, al quale è riservato un aggiornamento annuale su materie concernenti la circolazione stradale e, in particolare, le tecniche di rilevamento degli incidenti.
      Questi percorsi formativi consentono a tutti gli operatori di Polizia di poter effettuare l'accertamento e la verbalizzazione delle violazioni alle norme di comportamento stradale.
      Sono numerosi, infatti, i verbali redatti ogni anno dal personale delle questure e dei commissariati di pubblica sicurezza.
      Sotto il profilo della comunicazione va, infine, segnalato che tutte le novità normative, le circolari di approfondimento e di indirizzo tecnico-operativo possono essere consultate da tutti gli operatori di Polizia attraverso la rete
intranet.
      Queste iniziative possono contribuire a potenziare il quadro formativo di tutto il personale anche con riferimento alla materia della sicurezza stradale.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      DIONISI e DELFINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          dagli organi di stampa si è appresa la notizia di un nuovo progetto infrastrutturale per la realizzazione di un'autostrada da Cuneo a Tallard e Sisteron (Francia), con un traforo di circa 16 chilometri che collegherebbe Bersezio e Barcellonette;
          tale proposta sarebbe il frutto di un vertice tenutosi tra il presidente della provincia di Cuneo e il presidente francese Jean-Louis Bianco (Conseil Général des Alpes de Haute Provence);
          secondo la provincia di Cuneo questo progetto, seppur con tempi di realizzazione estremamente incerti, costituirebbe una buona soluzione per ridurre il traffico pesante e offrire un'alternativa al traforo del Fréjus;
          il progetto sarebbe già stato inviato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per la valutazione nella conferenza intergovernativa, con la richiesta di inserirlo nella rete autostradale transeuropea, per facilitarne il finanziamento;
          da subito, la notizia di tale progetto autostradale ha suscitato enormi perplessità soprattutto in relazione ai numerosi progetti infrastruttura li che da anni risultano incompiuti, come quelli relativi alle varianti previste nel protocollo d'intesa del 2005, indispensabili per la sostenibilità della viabilità locale;
          i rappresentanti del Comitato «Si Dav», degli enti locali interessati e i cittadini sono rimasti sconcertati dalla notizia apparsa sui giornali relativa a questo progetto faraonico, presentato da chi ha la presunzione di voler risolvere gli annosi problemi di viabilità con quello che all'interrogante appare l'ennesimo spot che non ha alcun elemento di certezza se non quello di tempi di realizzazione molto lunghi;
          basterebbe dar seguito ai numerosi progetti infrastrutturali, molto più modesti e realizzabili, che da anni riempiono le pagine dei giornali con i relativi rinvii per ipotesi progettuali alternative;
          mentre il territorio chiede infrastrutture indispensabili in tempi ragionevoli come la realizzazione delle varianti presenti nel protocollo d'intesa, si assiste al continuo tentativo di ignorare soluzioni percorribili in termini di costi e di fattibilità  –:
          quali urgenti iniziative intenda assumere al fine di sollecitare l'istituzione di un tavolo di confronto richiesto dai rappresentati degli enti locali interessati, dalla consulta della comunità montana Valle Stura e dal comitato «Si Dav», in merito al progetto citato in premessa e quale sia l'entità delle risorse necessarie per l'eventuale realizzazione di tale progetto, nonché la tempistica prevista. (4-14793)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
      La provincia di Cuneo, nell'anno 2010, ha trasmesso al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti l'ipotesi di progetto di un nuovo tracciato autostradale internazionale Cuneo-Tallard-Sisteron che avrebbe dovuto saldare la rete autostradale italiana, in particolare l'A3 Asti-Cuneo, con quella francese, A51 a nord di Sisteron in località Tallard.
      Tale itinerario, inoltre, avrebbe dovuto prevedere sia l'adeguamento di sedi stradali nazionali come la strada statale 21 sul versante italiano e la D 900 sul lato francese sia la costruzione di una nuova galleria in prossimità delle località Pietraporzio (Italia) e Barcelonnette (Francia) indicata con il nome di «Traforo del Mercantour».
      Il costo totale dell'opera era stato stimato, in via preliminare, in quattro miliardi di euro; la provincia aveva giustificato tale investimento con la possibilità di una sua capitalizzazione pari ad otto miliardi di euro, attraverso la gestione del tunnel.
      Si segnala, tuttavia, che il tracciato in esame fu a suo tempo ostacolato dalle autorità d'oltralpe, in quanto l'opera, oltre ad attraversare aree ambientali di pregio, avrebbe comportato incrementi di traffico pesante sulle autostrade della Costa azzurra.
      Si è optato, pertanto, in favore della realizzazione del nuovo tunnel del colle di tenda, in quanto ritenuto una priorità assoluta in termini di sicurezza stradale e di miglioramento dei collegamenti tra i due Paesi, per cui la richiesta di realizzare il traforo di Mercantour non è stata più accolta.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Corrado Passera.


      EVANGELISTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          è dal marzo 2011 che il sistema antincendio e sicurezza porto di Livorno è messo a rischio, da quando cioè la motobarca VF 1174 non risulta più utilizzabile poiché sono venuti a mancare i presupposti per poter navigare e con disposizione del dirigente locale il 6 maggio 2011 è stata posta «fuori servizio» perché non ci sono risorse disponibili per poter garantire il tipo di manutenzione necessaria all'unità navale citata;
          anche se in termini di ore di moto è minore rispetto a una comune nave di linea (appena 2500 in 10 anni), il lavoro di manutenzione non è derogabile, in quanto il Corpo nazionale è sottoposto al controllo R.I.N.A. per il collaudo del proprio naviglio;
          con la mancata operatività di un'unità navale di questi tipo si rischia di compromettere drasticamente il servizio antincendio portuale e non solo, in quanto si tratta di un'imbarcazione costruita in acciaio e risulta l'unica in grado di poter affrontare incendi di importanti dimensioni anche in mare aperto e attualmente non è sostituibile presso il distaccamento con altre di caratteristiche simili;
          il distaccamento porto di Livorno, tra l'altro, copre una grande zona di costa, limitata a Nord dal distaccamento porto di La Spezia e a sud da quello di Civitavecchia. Sulla costa della provincia livornese è compreso anche il porto di Piombino che da ormai diversi anni ha un traffico di navi e passeggeri di notevole entità; inoltre, i dati dell'autorità portuale indicano che il traffico passeggeri è di 2.467.976, il traffico di navi è di 7506, quello delle navi da crociera è di 458 con relativi 795.313 passeggeri, senza contare la quantità di merci pericolose in transito da e per la darsena petroli e il porto industriale, che pongono il porto di Livorno tra i primi sul territorio nazionale in termini di rischio incendio;
          inoltre, allo stato attuale è presente l'unità navale VF 446 alla quale, però è stato limitato l'uso al solo ambito portuale, nonostante abbia 25 anni e sia ancora buona come barca antincendio portuale, tenuto presente che le scarse finanze degli ultimi anni non sono state sufficienti per mantenerla in completa efficienza;
          è presente anche una terza unità, la RAFF VF R09, un imbarcazione con scafo in vetroresina, molto veloce nella propulsione, ottima per arrivare velocemente sul posto dell'evento ma con un impianto antincendio limitato a tamponare piccole emergenze: ha, infatti, un unico monitore di prua con una portata di 5.000 litri al minuto, evidentemente limitati per sostituire la succitata motobarca VF 1174 che ha tre monitori con una portata di 20.000 litri al minuto e un getto d'acqua di 70 metri;
          nonostante le pressioni delle sigle sindacali e degli stessi vigili del fuoco per ottenere la manutenzione ordinaria, i finanziamenti non sono ancora arrivati;
          se tra circa 5 o 6 mesi non cambierà lo stato delle cose, il porto di Livorno, che è di prima categoria come quelli di Genova, Venezia e Napoli, non avrà più mezzi antincendio portuali dei vigili del fuoco, ma si dovrà affidare ai vari rimorchiatori o altri mezzi portuali civili, nelle situazioni di emergenza  –:
          se sia a conoscenza di quanto evidenziato in premessa e quali urgenti provvedimenti intenda adottare per fare fronte allo stato di emergenza in cui versa lo stato manutentivo delle imbarcazioni citate. (4-13539)

      Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, si evidenzia che il servizio antincendio portuale ed il servizio di soccorso aereo, in ragione degli ingenti costi di gestione, sono maggiormente esposti alle conseguenze dei tagli operati dalle recenti manovre di contenimento della spesa pubblica.
      Di conseguenza, il distaccamento portuale del Comando provinciale dei vigili del fuoco di Livorno, dall'inizio della scorsa estate, non ha più potuto avvalersi, per il suddetto servizio, di una delle tre unità navali di cui è dotato, perché a causa di indisponibilità di fondi, la motobarca VF 1174 non è stata sottoposta ai lavori di straordinaria manutenzione, indispensabili ai fini del rilascio, da parte del registro navale italiano, del «Certificato di classe».
      Questa amministrazione, pertanto, è stata costretta a collocare temporaneamente «fuori servizio» l'unità navale per necessità di interventi di straordinaria manutenzione.
      Secondo quanto riferito dal Comando di Livorno, l'unità navale in questione è attualmente in riparazione presso i cantieri navali di Genova, con termine dei lavori previsto, presumibilmente, entro il mese di marzo 2012.
      In ogni caso, il Comando di Livorno si avvale di altri due mezzi: la motobarca Raff (mezzo veloce) ed un'altra unità navale di riserva, in sostituzione di quella attualmente non utilizzabile.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Giovanni Ferrara.


      EVANGELISTI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          in un atto di sindacato ispettivo del 7 settembre 2011, (n.  4-13141), l'interrogante poneva la questione dell'oppressione politica in Ungheria a opera di un Governo – quello presieduto da Viktor Orban – che conculca i diritti delle minoranze politiche ed etniche, con chiare inclinazioni nazi-fasciste e antisemite;
          una risposta a tale atto di sindacato ispettivo è pervenuta alla fine del mese di settembre a firma Sottosegretario pro-tempore Mantica;
          la risposta è stata dunque tempestiva, ma – come dice il proverbio – la gatta frettolosa fa i gattini ciechi;
          infatti quella risposta – pur tempestiva – era a giudizio dell'interrogante del tutto inadeguata. Nell'atto ispettivo si poneva la questione del carattere democratico della situazione politica e sociale ungherese e si sosteneva che da una dittatura della maggioranza si stesse passando a una dittatura tout court, con la persecuzione degli ebrei, dei rom, dei non ungheresi e con l'assoggettamento di tutte le autorità indipendenti;
          nella risposta del Sottosegretario pro-tempore Mantica si invitava il lettore a stare tranquillo, giacché la coalizione nazionalista di destra al Governo ha riportato la maggioranza qualificata dei seggi in Parlamento dopo le elezioni. Anche Mussolini e Hitler avevano vinto un passaggio elettorale e così Fujimori in Perù. Il problema che l'atto ispettivo poneva era se – dopo le elezioni – si fosse usato il proprio potere per conculcare i diritti delle minoranze e delle persone in genere;
          l’Economist da molti mesi fa un'analisi preoccupata delle politiche di Victor Orban, un personaggio dai modi e dalle strategie inquietanti. L'ambito di sindacato della Corte costituzionale ungherese è stato ristretto e la nuova legislazione ha anche ristretto l'ambito del controllo contabile delle corti indipendenti;
          sempre nel mese di settembre sono stati tributati a un criminale di guerra nazista i funerali con gli onori militari. Si trattava – di Sandor Képiro, un ufficiale della gendarmeria ungherese, collaborazionista e assassino di migliaia di ebrei;
          a ciò si aggiunge un altro fatto gravissimo: il 24 ottobre 2011 – come ha denunziato il leader dei giovani dell'Italia dei valori, Daniele Catanzaro – un gruppo di giovani del Pdl si è recato a far visita al premier ungherese Viktor Orban e ne ha tratto una convergenza d'intenti;
          si tratta a giudizio dell'interrogante di una vergogna senza eguali per l'Italia. I giovani di un partito (il Pdl) che è maggioranza relativa nel Parlamento italiano (sia pure secondo l'interrogante in netta minoranza nel Paese), anziché preoccuparsi per quanto sta accadendo in Ungheria, con migliaia di persone scese in piazza contro il Governo, sono andati a trovare il neo-dittatore Orban, responsabile di politiche repressive e oscurantiste che stanno gettando l'Ungheria in un buco nero senza uscita;
          forte della sua amicizia con Berlusconi e Putin, Orban ha infatti «imbavagliato» la stampa, infliggendo dure sanzioni ai giornalisti liberi, licenziato tutti i dipendenti pubblici dissidenti e riscritto la Costituzione ungherese in senso autoritario e nazionalista;
          tutto ciò non può che definirsi un vero e proprio pogrom di massa realizzato con il preoccupante silenzio dell'Europa. Appare preoccupante che i giovani del Pdl, dopo Gheddafi e Putin, abbiano trovato in Orban il loro nuovo punto di riferimento internazionale;
          che recenti sondaggi diano in calo il partito di Orban non tranquillizza affatto i sinceri democratici, che vedono un Paese amico attanagliato dal peggior regime politico dal 1989 a oggi  –:
          se il Ministro interrogato intenda svolgere proprie e nuove valutazioni sulla situazione ungherese e quali ulteriori informazioni intenda assumere;
          quali iniziative di politica estera e in sede europea intenda promuovere il nuovo Ministro. (4-14229)


      EVANGELISTI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          in un interrogazione del 7 settembre 2011 (n.  4-13141), l'interrogante poneva la questione dell'oppressione politica in Ungheria a opera di un Governo – quello presieduto da Viktor Orban – che conculca i diritti delle minoranze politiche ed etniche, con chiare inclinazioni nazi-fasciste e antisemite;
          una risposta a tale atto di sindacato ispettivo è pervenuta alla fine del mese di settembre per la firma del sottosegretario pro-tempore Mantica;
          la risposta è stata dunque tempestiva ma assolutamente insoddisfacente;
          nell'atto di sindacato ispettivo si dava conto dei dubbi sul carattere democratico della situazione politica e sociale ungherese e si sosteneva che da una dittatura della maggioranza si stesse passando a una dittatura tout court, con la persecuzione degli ebrei, dei rom, dei non ungheresi e con l'assoggettamento di tutte le autorità indipendenti;
          nella risposta dell'onorevole Mantica si invitava l'interrogato a stare tranquillo, giacché la coalizione nazionalista di destra al Governo ha riportato la maggioranza qualificata dei seggi in Parlamento dopo le elezioni. Anche Mussolini e Hitler avevano vinto un passaggio elettorale e così Fujimori in Perù. Il problema che l'interrogazione poneva era se – dopo le elezioni – si fosse usato il proprio potere per conculcare i diritti delle minoranze e delle persone in genere;
          è per questo che il sottoscritto interrogante è dovuto tornare sull'argomento con l'atto (n.  4-14229) per segnalare diversi episodi inquietanti tra cui i funerali tributati con gli onori militari a un criminale di guerra nazista (Sandor Képiro, un ufficiale della gendarmeria ungherese, collaborazionista e assassino di migliaia di ebrei);
          a tale atto non è ancora pervenuta risposta;
          nel frattempo – oltre all’Economist che da molti mesi fa un'analisi preoccupata delle politiche di Victor Orban, un personaggio dai modi e dalle strategie inquietanti – anche Le Monde dedica da molti giorni (vedi per esempio le edizioni del 30 e del 31 dicembre 2011 e del 3 e 4 gennaio 2012) ampio risalto ai fatti d'Ungheria, con da ultimo la notizia assurda del 4 gennaio 2011: mentre nella piazza antistante al teatro nazionale molte migliaia di persone protestavano e manifestavano il loro dissenso sia contro le novità istituzionali sia contro le concrete politiche, economica e sociale, di Orban che hanno fatto registrare sinora solo un aumento del debito pubblico sia un netto peggioramento del cambio del fiorino ungherese contro l'euro, Orban stesso celebrava grottescamente all'interno del teatro l'entrata in vigore della nuova Costituzione. Tali notizie da qualche giorno fanno finalmente capolino anche sugli organi d'informazione italiani;
          la nuova Costituzione altera del tutto l'equilibrio dei poteri: l'ambito di sindacato della Corte costituzionale ungherese è stato ristretto e la nuova legislazione ha anche ristretto l'ambito del controllo contabile delle corti indipendenti. È stato anche cambiato il meccanismo di nomina del membro ungherese del board della Banca centrale europea, tanto che la stessa Banca centrale da Francoforte ha espresso la sua formale preoccupazione;
          che recenti sondaggi diano in calo il partito di Orban non tranquillizza affatto i sinceri democratici, che vedono un Paese amico attanagliato dal peggior regime politico dal 1989 a oggi. Tanto più che, per rimediare al calo nei sondaggi, Orban ha fatto approvare una legge elettorale «truffa» per cui gli basterebbe il 30 per cento dei suffragi per ottenere la maggioranza assoluta dei seggi nelle prossime elezioni;
          è per questo che finalmente, in data 5 gennaio 2012, i gruppi del Parlamento europeo socialista democratico e liberal-democratico hanno proposto l'adozione di sanzioni nei confronti dell'Ungheria come fu per l'Austria di Haider  –:
          se risulti che per la precedente risposta all'interrogazione del 7 settembre 2011 siano state compulsate le fonti diplomatiche e, in caso positivo, quali precise notizie queste abbiano fornito sulle persecuzioni degli oppositori;
          se il Ministro interrogato intenda svolgere proprie e nuove valutazioni sulla situazione ungherese e quali ulteriori informazioni intenda assumere;
          quali iniziative di politica estera e in sede europea intenda il nuovo Ministro promuovere. (4-14468)

      Risposta. — Come noto l'approvazione di una nuova legge fondamentale costituiva uno dei punti qualificanti del programma elettorale della coalizione di centrodestra Fidesz-KNDP, che alle elezioni dell'aprile del 2010 ha ottenuto un vasto mandato popolare, conquistando i 2/3 dei seggi dell'assemblea nazionale. La nuova legge fondamentale, entrata in vigore il 1o gennaio 2012, ha sostituito la Costituzione precedente che, sia pure con emendamenti introdotti dopo il 1989, era ancora quella approvata nel 1949, all'inizio del protettorato sovietico e del regime comunista.
      Il processo di stesura del testo ha suscitato aspre polemiche con gran parte dell'opposizione che si è ritirata dalla commissione preparatoria.
      Il processo costituzionale si compone anche di una serie di «leggi cardinali» (leggi-quadro) volte a regolamentare i settori di maggior importanza: organi costituzionali e di controllo, giustizia, autonomie locali, legislazione in materia elettorale, penale e del lavoro, banca centrale. Molte sono state varate entro la fine del 2011, in vista dell'entrata in vigore della nuova legge fondamentale.
      Nella fase di preparazione del nuovo testo costituzionale, il governo magiaro ha mantenuto il dialogo con il Consiglio d'Europa e, segnatamente, con la commissione di Venezia, che ha svolto varie missioni nel Paese. La commissione, su incarico dell'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, ha emesso un parere in merito alla nuova costituzione ungherese il 20 giugno 2011, a seguito di uno studio realizzato da un gruppo di relatori
ad hoc che hanno visitato il Paese a maggio.
      Accanto a valutazioni positive, sono state espresse perplessità in termini tanto di metodologia costituzionale, quanto di sostanza giuridica. Più specificamente, la Commissione ha riconosciuto l'esigenza che l'Ungheria si dotasse di una nuova costituzione, traendo ispirazione dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Tuttavia, sono state confermate le preoccupazioni relative alle modalità di adozione del testo e all'elevato numero di materie da regolarsi tramite leggi-quadro (che richiedono un maggioranza di due terzi), tra cui risultano comprese sia questioni di cardinale importanza, sulle quali la Costituzione stessa dovrebbe contenere norme più specifiche, sia – al contrario – questioni generalmente decise a maggioranza semplice. A questo secondo proposito, la commissione sottolinea che l'uso estensivo della maggioranza «costituzionale» corre il rischio di pregiudicare la funzionalità di un corretto sistema democratico, impedendo (o limitando fortemente) alle future maggioranze la possibilità di regolare diversamente un cospicuo numero di questioni. La commissione di Venezia ha inoltre riscontrato determinati elementi che hanno destato preoccupazione e sui quali ha formulato osservazioni mirate. Tra questi, l'incertezza sulla natura (politica o anche giuridica) del preambolo, l'inclusione in esso di riferimenti storici e valori non unanimemente condivisi, la possibile limitazione di poteri della Corte Costituzionale su questioni tributarie e di bilancio, la formulazione incompleta della definizione del divieto di discriminazione (che non menziona l'orientamento sessuale), l'assenza di un'esplicita menzione dell'abolizione della pena di morte, nonché la previsione dell'ergastolo senza attenuanti.
      Anche su impulso del Parlamento europeo, che ha approvato il 5 luglio 2011 una mozione presentata dai gruppi socialista-liberale-verdi-sinistra unita con la richiesta di una revisione della nuova Costituzione, la Commissione europea ha svolto un attento monitoraggio del processo costituzionale e legislativo ungherese, avendo con il governo di Budapest una serie di scambi comprendenti lettere del presidente Barroso e dei vice presidenti Reding (commissario alla giustizia, diritti fondamentali e cittadinanza) e Rehn (commissario agli affari economici e finanziari e all'euro).
      Sulla base di questa analisi, il 17 gennaio scorso la Commissione dell'Unione europea ha avviato tre procedure d'infrazione riguardanti specifiche disposizioni contenute nelle leggi-quadro che hanno accompagnato l'entrata in vigore della Costituzione. Le lettere di messa in mora riguardano: l'indipendenza della banca centrale; l'età pensionabile dei magistrati; l'indipendenza dell'autorità garante dei dati personali.
      La presidenza danese in esercizio, nel prendere atto delle preoccupazioni suscitate da alcune disposizioni della nuova costituzione ungherese, ha ricordato il dovere degli Stati membri di rispettare e rispondere alla regole dei Trattati. La presidenza ha quindi ribadito il pieno sostegno alle procedure già avviate dalla commissione.
      Il primo Ministro Orban, il 18 gennaio, ha inviato una lettera di apertura al Presidente della commissione Barroso ed effettuato un intervento al Parlamento europeo in cui ha ribadito la volontà di voler collaborare per una soluzione.
      Il 24 gennaio il presidente Barroso ha incontrato il primo Ministro ungherese a Bruxelles. Il Presidente della commissione ha definito il colloquio costruttivo e ha segnalato la disponibilità di Orban ad affrontare rapidamente le questioni sollevate dalla commissione. I servizi di quest'ultima stanno già lavorando in questo senso con le autorità ungheresi. Il Presidente Barroso ha inoltre ribadito la necessità che gli Stati membri rispettino sia la lettera che lo spirito della legislazione dell'Unione europea, aggiungendo che vi sono più ampie preoccupazioni di ordine politico cui il Governo magiaro è chiamato a rispondere.
      Il 17 febbraio, la commissione ha ricevuto risposta alle tre procedure d'infrazione avviate ed ha indicato l'intenzione di condurre un'analisi giuridica per valutare se il Governo ungherese abbia preso misure appropriate e concrete per assicurare la compatibilità della legge ungherese con i Trattati europei.
      L'azione della commissione dell'Unione europea continua a essere sostenuta dal Parlamento europeo, che il 16 febbraio ha approvato una nuova mozione presentata dai gruppi socialista-liberale-verdi-sinistra unita con cui s'invita il Governo di Budapest a conformarsi alle raccomandazioni della Commissione europea, oltreché a quelle del Consiglio d'Europa e della commissione di Venezia. La Risoluzione chiede anche di verificare se esistano le condizioni per avviare una procedura ai sensi dell'articolo 7 del Trattato sull'Unione europea.
      Circa la condizione delle opposizioni, si tiene a specificare che l'esecutivo guidato da Viktor Orban ha pubblicamente rifiutato i programmi del partito di estrema destra Jobbik, caratterizzato da
slogan di aperta avversione contro le minoranze etniche e religiose. È stata approvata una nuova legge contro i reati di associazione paramilitare e incitamento all'odio. La comunità ebraica non è soggetta a discriminazioni. Quale presidente di turno dell'Unione europea (primo semestre del 2011), l'Ungheria, già allora retta dall'attuale esecutivo, è stata promotrice della strategia dell'Unione europea d'integrazione dei rom.
      L'Italia, quale membro fondatore dell'Unione europea, è impegnata nella difesa dei principi e dei valori fondamentali su cui è basato l'intero processo d'integrazione europea e si riconosce pienamente nelle decisioni e iniziative promosse dalla commissione e dalla presidenza danese di turno del consiglio.
      Nel loro incontro del 16 febbraio, il Ministro Terzi ha ribadito al suo omologo Martonyi l'aspettativa italiana di un costruttivo approccio comunitario come strada maestra per chiarire e risolvere le questioni aperte.
      Quindi, il Governo conta che le recenti iniziative della commissione e della presidenza possano condurre a soluzioni condivise, assicurando cioè che la legislazione ungherese e la sua attuazione avvengano secondo modalità in linea con i principi democratici dell'Unione. In questo senso, esprime apprezzamento per l'intenzione, ripetutamente manifestata dal governo ungherese, di cercare il consenso delle Istituzioni europee nell'attuazione delle nuove disposizioni costituzionali, modificando norme in contrasto con la normativa europea.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Marta Dassù.


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          il 3 aprile 2010 il quotidiano Il Mattino pubblicava il seguente articolo del giornalista Paolo Barbuto, sulle incredibili condizioni in cui versa la chiesa di Santa Maria a Vertecoeli: «Ha gli occhi semichiusi e il dolore disegnato sul volto. Quel Gesù Cristo di legno ai piedi dell'altare non è stato deposto dalla croce: è stato strappato, spezzato, umiliato e offeso. Santa Maria a Vertecoeli, cuore della Napoli delle cento chiese; il Duomo è a quaranta metri in linea d'aria. Eppure la fede sembra lontana mille chilometri da questo luogo sacro. Il simbolo di Gesù che muore sulla croce, nell'oscurità di questa chiesa vietata dai giorni del terremoto, è stato profanato. Ed è stata Napoli a profanarlo. L'ha lasciato a marcire nell'incuria e nell'abbandono. Non l'ha visto mentre si sgretolava e scivolava giù dalla croce. Non l'ha raccolto quando è caduto esattamente ai piedi dell'altare: oggi quel che resta della statua del Cristo crocifisso giace in mezzo ai detriti e al marciume, al centro di un orrendo impasto di resti di piccioni morti, pezzi degli stucchi crollati e escrementi di animali. Fino ad ora la nostra inchiesta ci ha portati dentro undici chiese abbandonate. Avevamo già trovato (e fotografato) una statua di Gesù che era scivolata giù dalla croce e si era dolcemente adagiata su un altare. Abbiamo trovato soprattutto muri crollati e ossari abbandonati, affreschi ridotti in pezzi e bare profanate: ma nessuno degli orrori in cui ci siamo imbattuti, è stato più doloroso dello sguardo del Gesù Cristo di Santa Maria a Vertecoeli. La chiesa si trova in un vicolo al quale ha ceduto il nome. Nel palazzo di fronte c’è incastonata una colonna romana. Quella colonna viene usata per allacciare un filo di panni e per tenere le scope a testa all'insù: così le scope non si rovinano, la colonna romana sì «ma quella non serve a niente», dice la signora mostrando ineffabile certezza. La sola vista della facciata esterna mette i brividi: il gigantesco portone verde è incastonato in un mare di stucchi in pezzi, colonne aggredite dalla muffa, intonaci cadenti. Dietro al portone è stata costruita una gabbia di ferro: l'hanno messa dopo che i ladri avevano portato via qualunque cosa. Le grate e i lucchetti, adesso proteggono il nulla che è rimasto dentro a quel luogo. Anche il pavimento è stato rimosso. L'unico segno dell'antica bellezza è l'altare «tutto di scelti marmi colorati», come lo descriveva Celano 1856. E ancora al suo posto, malconcio, ma c’è. Dietro l'altare c’è un gatto mummificato che fa la guardia a una cassaforte svaligiata e ai cassoni dov'erano conservati gli abiti sacri. Un percorso di corridoi interni conduce al coro che ha dimensioni piccole e un tempo doveva essere bello. Oggi l'organo antico si trova esattamente al centro della struttura. Chi l'ha trascinato qui ha anche provveduto ad accartocciare le canne, a spezzettare i tasti, a ridurre in pezzi i meccanismi. Tutt'intorno allo stanzone («decorato con fini stalli di noce», scrive sempre Celano a metà ’800), gli stalli non ci sono più. I sedili che accoglievano preti e iscritti alla confraternita, dovevano essere talmente belli che qualcuno li ha portati via uno ad uno. Con precisione, però. Senza spaccare nulla. E lì dentro è rimasta solo la base di legno accostata al muro, a ricordare come doveva essere nel 1700. Una scala malridotta e (come in tutti i luoghi abbandonati) coperta di guano, conduce al terrazzo alle spalle del campanile. E qui lo sconforto si trasforma in preoccupazione, anzi in paura. In cima all'archetto progettato da Bartolomeo Granucci per contenere la pesante campana che suonava, costantemente, per i morti, c’è una croce di ferro. La croce pesa almeno quindici chili, forse di più, e si trova paurosamente in bilico in cima all'archetto (...). Basterà un colpo di vento più forte, una pioggia insistente, uno sbalzo improvviso di temperatura, per dare l'ultimo colpetto e sciogliere quell'incastro così effimero. Prima che quella croce finisca sulla strada, per evitare che qualcuno rischi di farsi male, bisognerebbe fare qualcosa. E visto che qualcuno dovrà intervenire, si potrebbe ipotizzare un gesto pietoso: raccogliere da terra quel che resta della statua di Gesù Cristo e, almeno, deporlo sull'altare. Lontano dalle bestie in decomposizione e dagli escrementi dei randagi»  –:
          quali urgenti iniziative, nell'ambito delle proprie competenze intenda adottare a fronte dell'incredibile e avvilente vicenda sopra descritta. (4-06727)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame con la quale l'interrogante chiede quali iniziative siano state intraprese in riferimento allo stato di degrado della Chiesa di Santa Maria a Vertecoeli sita in Napoli, si comunica quanto segue.
      Nell'anno 1981 la soprintendenza per i beni architettonici, il paesaggio, il patrimonio storico artistico e demoetnoantropologico di Napoli e provincia ha redatto un progetto di consolidamento e restauro relativo alla cripta della chiesa, per un importo pari a lire 560.000.000. Nello stesso anno sono stati appaltati i lavori con fondi del ministero, collaudati nel luglio 1983.
      Nel 1993 la medesima soprintendenza ha realizzato il progetto relativo alla sostituzione del tetto dissestato dell'aula della chiesa, previa realizzazione del cordolo perimetrale posto alla sommità delle murature portanti.
      Nel 1996 è stato, quindi, realizzato il progetto relativo al consolidamento della cupola ellittica posta a copertura della congrega annessa all'aula della chiesa suddetta, con l'apposizione di catene in ferro e sarciture delle lesioni con pietra di tufo e schiuma di lava. Inoltre, sempre a cura della soprintendenza per i beni architettonici ed il paesaggio, è stata realizzata l'impermeabilizzazione sull'estradosso della cupola, nonché gli intonaci relativi alla facciata laterale dell'aula della chiesa.
      Appare utile evidenziare che, prima degli interventi sopra descritti, lo stato di degrado in cui versava la copertura della chiesa aveva consentito l'attecchimento, oltre che di piante spontanee, addirittura di arbusti di fico. Ad oggi, è emerso che dette coperture assolvono, ancora dopo 15 anni, alla loro funzione originaria, nonostante l'assenza assoluta di manutenzione. Purtroppo, però, le pluviali prospicienti il «Vicolo S. Maria Vertecoeli» sono completamente intasate da detriti e materiale organico.
      Allo stato attuale, l'introdosso della volta della congrega non presenta tracce di umidità, ma il persistere della mancata manutenzione della guaine e delle pluviali, presumibilmente, porterà all'inevitabile danneggiamento dei lavori già eseguiti dalla Soprintendenza. D'altra parte, il citato ufficio, nel 2003 e nel 2005, con progetti afferenti ai capitoli di «somma urgenza», per un importo rispettivamente di euro 20.260,01 e di euro 25.900,00, è intervenuto sui due cornicioni aggettanti, al fine di arrestarne il degrado, ed ha fissato l'intonaco ed il relativo tonachino dell'intera facciata al sottostante supporto murario, a mezzo di iniezioni di malta tipo «Lafarge».
      Dall'interrogazione risulta che il pavimento in marmo dell'aula della chiesa è stato rimosso ma, in realtà, esso è integro e tutt'ora in sito. Le mattonelle esagonali accantonate sul lato sinistro dell'aula suddetta provengono dalla pavimentazione relativa alla summenzionata superfetazione. Inoltre il Cristo, presente sull'altare, non è di legno bensì di cartapesta, comunque meritevole di conservazione e restauro perché databile alla fine del 1700.
      I competenti uffici di questo ministero stanno attivamente collaborando con il Comune di Napoli per porre fine allo stato di abbandono in cui versa la chiesa di Santa Maria a Vertecoeli.
      Tale collaborazione risale al giugno del 2008, data in cui, a seguito di alcune segnalazioni, la soprintendenza di Napoli con il comando Carabinieri tutela patrimonio culturale e il comune di Napoli effettuarono un sopralluogo per accertare lo stato della chiesa in questione.
      In seguito è stata eseguita una ricognizione dell'ubicazione del patrimonio artistico della chiesa, i cui risultati sono stati inviati al comune di Napoli, proprietario dell'immobile.
      Nell'aprile 2010 il comune di Napoli ha formalizzato le intese intercorse per le vie brevi con la Soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il polo museale della città di Napoli, fissando un incontro per definire le modalità con cui porre in essere le operazioni di sgombero, pulizia e disinfestazione necessarie a consentire la fruibilità della stessa chiesa. Successivamente, è stato costituito un gruppo di lavoro con il compito di una puntuale ricognizione del materiale presente in chiesa, al fine di individuare i manufatti privi di interesse storico-artistico da destinare al rifiuto, previa specifica documentazione fotografica.
      Ad oggi proseguono le attività di sgombero e trasporto dei materiali depositati in chiesa e si è provveduto anche al ricovero, nei depositi del comune di Napoli, della statua di Cristo rinvenuta sull'altare maggiore. Lo stesso comune ha assicurato che provvederà alle operazioni di chiusura dei finestroni con reti metalliche.
      Non risultano, invece, ancora essere stati sottoposti al parere della competente soprintendenza progetti relativi alle opere di manutenzione ordinaria delle coperture e delle pluviali più volte richieste al comune di Napoli nel corso dei citati sopralluoghi.
Il Ministro per i beni e le attività culturali: Lorenzo Ornaghi.


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          un operaio di nazionalità rumena il 13 luglio 2011 è deceduto a Porto Marghera, schiacciato da un grosso tubo di acciaio del peso di un quintale che stava movimentando assieme ad altri due colleghi nell'area Polimeri Europa  –:
          di quali elementi disponga in merito alla esatta dinamica dell'incidente;
          se siano state rispettate le normative previste sulla sicurezza del lavoro;
          quali iniziative si intendano promuovere o adottare in relazione a vicende come quella sopra segnalata, che per dimensioni – dall'inizio dell'anno risultano essere decedute almeno 270 persone per incidenti sul lavoro, 457.260 sono stati gli infortuni, 1.080 gli invalidi – assume i connotati di quella che non è esagerato definire una strage. (4-12686)

      Risposta. — L'interrogazione parlamentare in esame si riferisce all'infortunio sul lavoro occorso al signor Sadagurschi Mihai, operaio rumeno che lavorava alle dipendenze della Belmont srl, società con sede legale in Mede (PV), operante nel settore della costruzione, installazione e manutenzione di impianti industriali.
      Nel rispondere ai primi due quesiti, ci si limiterà, in questa sede, a riportare gli elementi informativi acquisiti presso la direzione territoriale del lavoro di Venezia nonché quelli forniti dall'INAIL.
      La Belmont srl aveva ricevuto in subappalto dalla impresa mercato srl di Mira (VE) la realizzazione di alcuni lavori di manutenzione degli impianti dello stabilimento petrolchimico Polimeri europa spa di Porto Marghera (VE), facente parte del Gruppo ENI.
      Il giorno 13 luglio 2011, intorno alle ore 9:00, il signor Sadagurschi Mihai si trovava presso il predetto stabilimento, intento ad effettuare, insieme ad altri due colleghi, un'operazione di movimentazione manuale di una «flangia» meccanica (pesante disco di metallo che serve a bloccare il flusso dei materiali) al fine di agganciarla al verricello di una gru; nel corso di tale operazione il lavoratore, perdendo l'equilibrio, rimaneva schiacciato dalla «flangia».
      Il signor Sadagurschi Mihai veniva immediatamente soccorso da alcuni colleghi e, successivamente, dal servizio di pronto soccorso presente in «loco». Lo stesso veniva, quindi, trasportato all'ospedale Angelo di Venezia Mestre dove i medici non hanno potuto che costatarne il decesso.
      Nel corso degli accertamenti eseguiti, in qualità di organo di polizia giudiziaria, dal servizio per la prevenzione e la sicurezza negli ambienti di lavoro (S.P.S.A.L.) della ULSS 12 veneziana è emerso che l'intera gestione delle procedure riguardanti la sicurezza sul lavoro è risultata carente. Le indagini, in particolare, hanno evidenziato come l'operazione che i lavoratori stavano eseguendo manualmente al momento dell'incidente (movimentazione del pesante strumento metallico) avrebbe dovuto invece svolgersi unicamente attraverso l'utilizzo di un mezzo di sollevamento meccanico.
      Al termine delle indagini, il servizio ispettivo della ULSS 12 veneziana ha provveduto a trasmettere alla Procura della Repubblica di Venezia apposito verbale contenente gli esiti degli accertamenti effettuati.
      Per quanto riguarda l'erogazione delle prestazioni di legge dovute dall'INAIL, la competente sede dell'Istituto, all'esito dell'istruttoria, ha provveduto alla costituzione della rendita a favore del coniuge superstite, ai sensi dell'articolo 85 del testo unico n.  1124/1965 e all'erogazione del beneficio a carico del fondo per le vittime di gravi incidenti sul lavoro.
      In base allo stesso testo unico, inoltre, si è proceduto anche all'erogazione dell'assegno funerario.
      Nel rispondere all'ultimo quesito posto nell'interrogazione in esame, occorre precisare che il tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali costituisce obiettivo strategico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'INAIL, nell'ottica del tendenziale azzeramento del fenomeno infortunistico e tecnopatico.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, infatti, intende perseguire la promozione di comportamenti rispettosi delle norme di legge applicabili in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed efficaci in funzione prevenzionistica, sia completando l'attuazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81 (testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro) e successive modifiche e integrazioni, sia favorendo ogni iniziativa promozionale idonea a determinare un accrescimento delle conoscenze in materia di salute e sicurezza nelle aziende, nei lavoratori e negli studenti, con particolare attenzione all'aspetto della formazione.
      In relazione allo specifico e gravissimo problema degli infortuni sul lavoro si rende necessario intervenire sulla formazione – informazione dei lavoratori e delle imprese, nonché sulla prevenzione e sul rafforzamento dei controlli da parte degli enti preposti, al fine di promuovere una consapevolezza sempre più ampia sulle esigenze della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è attivamente impegnato su tali fronti, nell'intento precipuo di favorire il dialogo e la collaborazione fra tutti i soggetti interessati, istituzionali e sociali, al fine di ridurre gli incidenti e le malattie professionali e la diffusione di sempre più elevati standards di sicurezza nei luoghi di lavoro.
      L'esistenza in concreto di una efficace strategia di contrasto al fenomeno infortunistico non passa solo attraverso il completamento, mediante fonti di rango secondario previste dal decreto legislativo n.  81 del 2008, del quadro giuridico di riferimento ma anche attraverso la realizzazione di una serie di azioni pubbliche e private dirette a migliorare la prevenzione e i livelli di tutela in tutti gli ambienti di lavoro.
      Per tale ragione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta attivando ogni possibile sinergia con soggetti pubblici e privati, al fine di migliorare «l'impatto» delle rispettive attività in termini di efficacia.
      In tale ottica si colloca, ad esempio, la definizione, con Accordo in Conferenza Stato-Regioni del 20 novembre 2008, dei criteri di impiego e l'attivazione delle somme (pari a 50 milioni di euro) di cui all'articolo 11, comma 7, del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, da destinare in favore di attività promozionali della salute e sicurezza, tra le quali una campagna di comunicazione (per complessivi 20 milioni di euro) sulla salute e sicurezza sul lavoro ed attività di formazione su base regionale (per complessivi 30 milioni di euro). Tali somme sono state regolarmente impegnate e sono a disposizione per le relative attività.
      Con il decreto n.  106 del 2009 (cosiddetto «correttivo al testo unico») si è poi consentito il superamento delle difficoltà operative da più parti evidenziate nel corso dei primi mesi di applicazione del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, perfezionando, in tal modo, il quadro normativo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e rendendolo, oltre che pienamente coerente con le normative internazionali e comunitarie in materia, idoneo a costituire il fondamento giuridico della strategia di contrasto al fenomeno infortunistico.
      Occorre, tuttavia, precisare al riguardo che è attualmente pendente una procedura (n.  2010/4227) per la presunta difformità di alcune previsioni del decreto legislativo n.  106 del 2009 rispetto alle disposizioni della direttiva CE n.  89/391.
      L'imprescindibile finalità delle misure varate resta quella di rendere maggiormente effettiva la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro secondo linee di azione consistenti, tra l'altro, nel miglioramento dell'efficacia dell'apparato sanzionatorio al fine precipuo di assicurare una migliore corrispondenza tra infrazioni e sanzioni.
      A tale scopo si tiene conto dei compiti effettivamente svolti da ciascun attore della sicurezza, favorendo l'utilizzo di procedure di estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi mediante regolarizzazione da parte del soggetto inadempiente. La sanzione penale è riservata ai soli casi di violazione delle disposizioni sostanziali e non di quelle meramente formali (come, ad esempio, la trasmissione di documentazione, notifiche, eccetera).
      Tutti gli interventi proposti garantiscono, in ogni caso, il rispetto dei livelli di tutela oggi assicurati ai lavoratori e alle loro rappresentanze in qualsiasi ambiente di lavoro e in tutto il territorio nazionale nonché l'equilibrio delle competenze tra lo Stato e le regioni in materia.
      Il risultato finale dell'intervento legislativo di riforma potrà comunque compiutamente apprezzarsi una volta che verrà completata l'emanazione di provvedimenti attuativi del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, di grande rilevanza e impatto sulle aziende e sui lavoratori.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali persegue l'obiettivo della riduzione del fenomeno infortunistico anche perseguendo la massima efficacia delle attività di vigilanza sui luoghi di lavoro di propria competenza. In tali ambiti, ed in primo luogo nell'edilizia, è stata da tempo fornita alle strutture amministrative di riferimento l'indicazione di realizzare, innanzitutto, le attività dirette a perseguire le violazioni in materia di salute e sicurezza più gravi, in quanto in grado di mettere in pericolo le vite dei lavoratori. Tale impostazione ha consentito di raggiungere risultati molto soddisfacenti.
      Molte delle iniziative dirette alla attuazione delle disposizioni del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro sono devolute dal legislatore alla Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro (ex articolo 6 del decreto legislativo n.  81 del 2008), composta, in maniera paritaria e tripartita, da rappresentanti delle amministrazioni pubbliche centrali competenti in materia, delle regioni, dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro.
      Ricostituita con decreto ministeriale del 3 dicembre 2008, la commissione ha costituito al suo interno nove gruppi «tecnici» di lavoro, nei quali è garantita la presenza paritetica di rappresentanti delle amministrazioni pubbliche (comprese le Regioni) e delle parti sociali, per affrontare, in tali sedi, gli argomenti attribuiti dalla legge alla commissione (ad esempio, l'elaborazione di linee metodologiche per la valutazione dello stress lavoro-correlato, l'individuazione delle regole di funzionamento della cosiddetta «patente a punti» per gli edili) e per i quali si prevedono attività finalizzate all'attuazione del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
      Tali gruppi si sono regolarmente insediati e svolgono con continuità le attività ad essi attribuite. All'esito delle attività istruttorie compiute in tali consessi, sono stati elaborati documenti di notevole importanza per gli operatori della salute e sicurezza sul lavoro e altri sono di prossima emanazione.
      A titolo di esempio si citano:
          1) le indicazioni per la valutazione dello stress lavoro-correlato (articolo 28, comma 1-bis, del «testo unico»), divulgate tramite lettera circolare del Ministero del lavoro del 18 novembre, sul sito istituzionale di questo Ministero e, infine, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n.  304 dello scorso 30 dicembre 2010;
          2) il modello per la presentazione delle «buone prassi» alla commissione consultiva per la loro validazione (ai sensi degli articoli 2 e 6 del «testo unico» di salute e sicurezza sul lavoro), approvato dalla Commissione consultiva nella riunione del 20 ottobre 2010 e subito messo a disposizione dell'utenza presso il sito del Ministero del lavoro, sezione «sicurezza nel lavoro»;
          3) l'approvazione di un documento sulla presentazione delle «buone prassi» a tutela delle «differenze di genere» in materia di salute e sicurezza alla riunione del 21 settembre 2011, ai fini della loro validazione.

      In particolare, un comitato è stato chiamato a dare attuazione al cosiddetto «sistema di qualificazione» delle imprese, il quale ha lo scopo di individuare, in determinati settori, quali imprese possano operare e a quali condizioni, con riferimento a elementi relativi alla salute e sicurezza sul lavoro.
      Tale sistema, che si realizzerà per mezzo del decreto del Presidente della Repubblica di cui agli articoli 6 e 27 del «testo unico», verrà attuato nel settore edile per mezzo della attivazione della cosiddetta «patente a punti», mentre altri settori debbono essere individuati dalla citata Commissione consultiva, la quale sta procedendo in tal senso. A tale scopo la commissione consultiva ha ampiamente discusso sul tema, oltre che in un comitato ad hoc, direttamente in plenaria in due riunioni straordinarie (non tenutesi, tuttavia, per difetto del numero legale) in data 2 e 9 novembre e nella riunione del 23 novembre 2011. Nel corso dell'ultima riunione, tenutasi in data 17 gennaio 2012, del «comitato qualificazione» si è convenuto di procedere, in tempi limitati alla approvazione e inoltro alla Commissione consultiva di un documento sui settori e criteri della qualificazione delle imprese, il cui contenuto, una volta approvato dalla Commissione consultiva, venga recepito nel decreto del Presidente della Repubblica di cui agli articoli 27 e 6 del «testo unico» di salute e sicurezza sul lavoro. Sempre nella medesima riunione si è, altresì, convenuto che subito dopo tale approvazione si procederà allo stesso modo – con separato documento – per la individuazione delle procedure di funzionamento della «patente a punti» in edilizia.
      Tra i provvedimenti frutto delle attività della Commissione consultiva va segnalata la piena condivisione, in tale contesto, dei contenuti del decreto del Presidente della Repubblica n.  177 del 2011, il quale ha inserito tra le attività per le quali dovrà operare il sistema di qualificazione delle imprese quelle lavorazioni che si svolgano in ambienti «confinati», quali silos, cisterne e simili, nei quali negli ultimi anni sono accadute vere e proprie stragi sul lavoro.
      Il provvedimento in parola, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale, serie generale, n.  260, dell'8 novembre 2011, e in vigore dal 23 novembre 2011, prevede un notevole innalzamento del livello dei requisiti organizzativi e professionali degli operatori in tali contesti impedendo che lavorazioni così complesse e pericolose possano essere svolte da soggetti non adeguatamente formati, addestrati e informativi in ordine ai rischi delle lavorazioni negli «ambienti confinati».
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha completato o sta altresì completando talune ulteriori attività, previste dal decreto legislativo n.  81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni, al di fuori dei compiti della Commissione Consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro, tra le quali occorre ricordare:
          l'approvazione, in data 21 dicembre 2011, degli accordi in conferenza Stato-Regione sui contenuti e le modalità della formazione del datore di lavoro che intenda svolgere «in proprio» i compiti del servizio di prevenzione e protezione (articolo 34 del «testo unico») e dei contenuti e delle modalità della formazione dei dirigenti preposti e lavoratori (articolo 37 del «testo unico»). Tali accordi sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n.  8 dell'11 gennaio 2012;
          la predisposizione del decreto, ai sensi dall'articolo 3, comma 3-bis, del «testo unico», che individua la normativa di salute e sicurezza che consideri le «peculiari esigenze» per le società cooperative e per alcune categorie di volontari (protezione civile, croce rossa, e altri). Tale decreto è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale n.159 dell'11 luglio 2011;
          la pubblicazione (Gazzetta Ufficiale n.  98 del 29 aprile 2011) del decreto, ai sensi dell'articolo 71, comma 13, del «testo unico», per l'individuazione delle modalità di effettuazione delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro e dei criteri per l'abilitazione dei soggetti pubblici o privati legittimati a realizzare tali verifiche;
          la pubblicazione (Gazzetta Ufficiale n.  83 dell'11 aprile 2011), all'esito di una serie di riunioni tenutesi, nel corso dell'anno 2010, tra i rappresentanti dei Ministeri del lavoro, della salute e dello sviluppo economico e dei rappresentanti delle Regioni e dell'ex ISPESL, del decreto, ai sensi dell'articolo 82, comma 2, del «testo unico», relativo alle autorizzazioni per i lavori sottotensione;
          la pubblicazione (Gazzetta Ufficiale n.  58 dell'11 marzo 2011) del Regolamento sulle modalità di applicazione, in ambito ferroviario, del decreto n.  388 del 2003, ai sensi dell'articolo 45, comma 3, del decreto legislativo n.  81 del 2008 (cosiddetto primo soccorso in ambito ferroviario);
          l'istituzione, con decreto interministeriale del 27 maggio 2011 (pubblicato sul «Bollettino Ufficiale» del Ministero del lavoro e delle politiche sociali) del Comitato consultivo per la determinazione e l'aggiornamento dei valori limite di esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici (previsto dall'articolo 232, comma 1, decreto legislativo n.  81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni);
          la prosecuzione dei confronti con i rappresentati del Ministero delle infrastrutture e le Parti Sociali interessate, relativi all'attuazione dell'articolo 161, comma 2-bis, del decreto legislativo n.  81 del 2008, e successive modificazioni e integrazioni; tale disposizione, in particolare, prevede la adozione di un decreto interministeriale dedicato alla segnaletica stradale per i cantieri in presenza di traffico veicolare. All'esito di un ampio ed approfondito confronto con il Ministero delle infrastrutture e trasporti, le Regioni e le Parti Sociali, si è provveduto all'elaborazione del relativo schema di decreto, che verrà quanto prima inoltrato alla conferenza Stato-Regioni per il prescritto parere;
          l'approvazione, in data 15 settembre 2011, sotto la supervisione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di un «avviso comune» tra le Parti Sociali interessate relativo alle semplificazioni nei riguardi dei lavoratori «stagionali» del settore agricolo, ove essi non vengano impiegati per oltre 50 giornate lavorative nell'anno di riferimento (articolo 3, comma 13, decreto legislativo n.  81 del 2008). È stato, quindi, elaborato lo schema di decreto ministeriale chiamato a recepire i contenuti del citato «avviso comune», il quale sta per essere inoltrato ai Ministeri concertanti (Ministero della salute e delle politiche agricole, alimentari e forestali);
          la predisposizione, in fase molto avanzata, della bozza di accordo Stato-Regioni che individuerà le modalità della formazione richiesta per determinate attrezzature di lavoro (macchine agricole, gru e altro), che è stato già oggetto di discussione «in sede tecnica» presso la conferenza Stato-Regioni in data 11 gennaio 2012. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha predisposto tenendo conto degli ultimi elementi di discussione condivisi, in data 11 gennaio, nella citata riunione, lo schema «consolidato» degli accordi inviando i medesimi alla segreteria della conferenza Stato-Regioni.

      Da rilevare, poi, l'approvazione, in data 21 dicembre 2011, dalla conferenza Stato-Regioni del decreto interministeriale per la costituzione e la regolamentazione del Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione (SINP), redatto con il costante coinvolgimento del soggetto gestore del trattamento dei relativi dati (INAIL) e con quello delle Regioni.
      Tutto quanto sin qui esposto consente di affermare come la riforma delle regole volte a tutelare la salute e sicurezza sul lavoro abbia fornito l'Italia di un sistema di regole moderno e sistematicamente coeso, suscitando un interesse, finalmente non più solo specialistico, sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro che costituisce, a sua volta, un importante punto di partenza per l'abbattimento del numero e della gravità degli infortuni.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.


      FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          un uomo originario del Kosovo è deceduto la mattina del 20 agosto 2011 mentre lavorava presso uno stabilimento di Rubiera, dove erano in corso, da parte di un'impresa, operazioni di bonifica di una copertura; secondo quanto è dato sapere, l'uomo si trovava sull'edificio, quando in seguito al cedimento del tetto avrebbe perso l'equilibrio precipitando nel vuoto  –:
          di quali elementi disponga in merito alla dinamica dell'incidente;
           se siano state rispettate le normative previste sulla sicurezza del lavoro;
          quali iniziative si intendano promuovere o adottare in relazione a vicende come quella sopra segnalata, che per dimensioni – dall'inizio dell'anno risultano decedute sul lavoro 333 persone, 562.451 infortuni, 1.328 gli invadi – assumono i connotati di quella che non è esagerato definire una strage.       (4-13027)

      Risposta. — L'interrogazione parlamentare in esame si riferisce all'infortunio sul lavoro occorso al Signor Jahiri Arsim, operaio di nazionalità Kossovara, che lavorava alle dipendenze della Ibatici Coperture s.r.l., società operante nel settore della costruzione, installazione e manutenzione di impianti civili e industriali.
      Nel rispondere ai primi due quesiti, ci si limiterà, in questa sede, a riportare gli elementi informativi acquisiti presso la direzione territoriale del lavoro di Reggio Emilia nonché quelli forniti dall'INAIL.
      La Ibatici Coperture s.r.l aveva ricevuto in appalto dalla società DOMUS LINEA s.r.l. i lavori di ristrutturazione della copertura di alcuni capannoni siti nello stabilimento di Rubiera (RE).
      Il giorno 20 agosto 2011, intorno alle ore 7:00, il signor Jahiri Arsim si trovava, insieme ad altri colleghi, sul tetto di uno dei capannoni per effettuare la rimozione di alcuni pannelli di amianto. Nel corso di tale operazione, il lavoratore, munito dei sistemi anticaduta prescritti dalla vigente normativa, decideva di sospendere momentaneamente il lavoro per recuperare un utensile che si trovava su uno dei pannelli di copertura del tetto. A tal fine, il signor Jahiri Arsim decideva di slegarsi dalle imbragature ma, una volta recuperato l'attrezzo, il pannello su cui l'operaio poggiava cedeva per il peso, determinandone la caduta ed il conseguente decesso del lavoratore.
      Sul luogo dell'infortunio sono prontamente intervenuti i carabinieri della locale stazione e, su delega dell'autorità, giudiziaria, il servizio di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro (S.P.S.A.L.) della ASL di Reggio Emilia.
      Con riferimento all'osservanza della normativa in materia di sicurezza sul lavoro, i funzionari dello SPSAL della ASL di Reggio Emilia hanno comunicato che, dagli accertamenti effettuati, è emersa la violazione degli articoli 92, punto 1, lettera a) e 97, punto 1, del decreto legislativo n.  81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni.
      Si precisa comunque che le cause e circostanze dell'evento nonché l'accertamento delle eventuali responsabilità sono tutt'ora al vaglio della competente autorità giudiziaria.
      Per quanto riguarda l'erogazione delle prestazioni di legge, la competente sede Inail ha reso noto di essere ancora in attesa delle risultanze istruttorie al fine di accertare la presenza di aventi diritto alla rendita ai superstiti, ai sensi dell'articolo 85 del testo unico n.  1124 del 1965, e di provvedere alla concessione del beneficio a carico del fondo per le vittime di gravi incidenti sul lavoro.
      Nel rispondere all'ultimo quesito posto nell'interrogazione in esame, occorre precisare che il tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali costituisce obiettivo strategico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'Inail, nell'ottica del tendenziale azzeramento del fenomeno infortunistico e tecnopatico.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, infatti, intende perseguire la promozione di comportamenti rispettosi delle norme di legge applicabili in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed efficaci in funzione prevenzionistica, sia completando l'attuazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81 (testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro) e successive modificazioni e integrazioni, sia favorendo ogni iniziativa promozionale idonea a determinare un accrescimento delle conoscenze in materia di salute e sicurezza nelle aziende, nei lavoratori e negli studenti, con particolare attenzione all'aspetto della formazione.

      In relazione allo specifico e gravissimo problema degli infortuni sul lavoro si rende necessario intervenire sulla formazione – informazione dei lavoratori e delle imprese, nonché sulla prevenzione e sul rafforzamento dei controlli da parte degli enti preposti, al fine di promuovere una consapevolezza sempre più ampia sulle esigenze della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è attivamente impegnato su tali fronti, nell'intento precipuo di favorire il dialogo e la collaborazione fra tutti i soggetti interessati, istituzionali e sociali, al fine di ridurre gli incidenti e le malattie professionali e la diffusione di sempre più elevati standards di sicurezza nei luoghi di lavoro.
      L'esistenza in concreto di una efficace strategia di contrasto al fenomeno infortunistico non passa solo attraverso il completamento, mediante fonti di rango secondario previste dal decreto legislativo n.  81 del 2008, del quadro giuridico di riferimento ma anche attraverso la realizzazione di una serie di azioni pubbliche e private dirette a migliorare la prevenzione e i livelli di tutela in tutti gli ambienti di lavoro.
      Per tale ragione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta attivando ogni possibile sinergia con soggetti pubblici e privati, al fine di migliorare «l'impatto» delle rispettive attività in termini di efficacia.
      In tale ottica si colloca, ad esempio, la definizione, con accordo in conferenza Stato-Regioni del 20 novembre 2008, dei criteri di impiego e l'attivazione delle somme (pari a 50 milioni di euro) di cui all'articolo 11, comma 7, del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, da destinare in favore di attività promozionali della salute e sicurezza, tra le quali una campagna di comunicazione (per complessivi 20 milioni di euro) sulla salute e sicurezza sul lavoro ed attività di formazione su base regionale (per complessivi 30 milioni di euro). Tali somme sono state regolarmente impegnate e sono a disposizione per le relative attività.
      Con il decreto n.  106 del 2009 (cosiddetto «correttivo al testo unico») si è poi consentito il superamento delle difficoltà operative da più parti evidenziate nel corso dei primi mesi di applicazione del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, perfezionando, in tal modo, il quadro normativo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e rendendolo, oltre che pienamente coerente con le normative internazionali e comunitarie in materia, idoneo a costituire il fondamento giuridico della strategia di contrasto al fenomeno infortunistico.
      Occorre, tuttavia, precisare al riguardo che è attualmente pendente una procedura (n.  2010/4227) per la presunta difformità di alcune previsioni del decreto legislativo n.  106 del 2009 rispetto alle disposizioni della direttiva CE n.  89/391.
      L'imprescindibile finalità delle misure varate resta quella di rendere maggiormente effettiva la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro secondo linee di azione consistenti, tra l'altro, nel miglioramento dell'efficacia dell'apparato sanzionatorio al fine precipuo di assicurare una migliore corrispondenza tra infrazioni e sanzioni.
      A tale scopo si tiene conto dei compiti effettivamente svolti da ciascun attore della sicurezza, favorendo l'utilizzo di procedure di estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi mediante regolarizzazione da parte del soggetto inadempiente. La sanzione penale è riservata ai soli casi di violazione delle disposizioni sostanziali e non di quelle meramente formali (come, ad esempio, la trasmissione di documentazione, notifiche, e altri).
      Tutti gli interventi proposti garantiscono, in ogni caso, il rispetto dei livelli di tutela oggi assicurati ai lavoratori e alle loro rappresentanze in qualsiasi ambiente di lavoro e in tutto il territorio nazionale nonché l'equilibrio delle competenze tra lo Stato e le Regioni in materia.
      Il risultato finale dell'intervento legislativo di riforma potrà comunque compiutamente apprezzarsi una volta che verrà completata l'emanazione di provvedimenti attuativi del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, di grande rilevanza e impatto sulle aziende e sui lavoratori.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali persegue l'obiettivo della riduzione del fenomeno infortunistico anche perseguendo la massima efficacia delle attività di vigilanza sui luoghi di lavoro di propria competenza. In tali ambiti, ed in primo luogo nell'edilizia, è stata da tempo fornita alle strutture amministrative di riferimento l'indicazione di realizzare, innanzitutto, le attività dirette a perseguire le violazioni in materia di salute e sicurezza più gravi, in quanto in grado di mettere in pericolo le vite dei lavoratori. Tale impostazione ha consentito di raggiungere risultati molto soddisfacenti.
      Molte delle iniziative dirette alla attuazione delle disposizioni del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro sono devolute dal legislatore alla Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro (ex articolo 6 del decreto legislativo n.  81 del 2008), composta, in maniera paritaria e tripartita, da rappresentanti delle amministrazioni pubbliche centrali competenti in materia, delle regioni, dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro.
      Ricostituita con decreto ministeriale del 3 dicembre 2008, la Commissione ha costituito al suo interno nove gruppi «tecnici» di lavoro, nei quali è garantita la presenza paritetica di rappresentanti delle amministrazioni pubbliche (comprese le Regioni) e delle parti sociali, per affrontare, in tali sedi, gli argomenti attribuiti dalla legge alla commissione (ad esempio, l'elaborazione di linee metodologiche per la valutazione dello stress lavoro-correlato, l'individuazione delle regole di funzionamento della cosiddetta «patente a punti» per gli edili) e per i quali si prevedono attività finalizzate all'attuazione del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
      Tali gruppi si sono regolarmente insediati e svolgono con continuità le attività ad essi attribuite. All'esito delle attività istruttorie compiute in tali consessi, sono stati elaborati documenti di notevole importanza per gli operatori della salute e sicurezza sul lavoro e altri sono di prossima emanazione.
      A titolo di esempio si citano:
          1) le indicazioni per la valutazione dello stress lavoro-correlato (articolo 28, comma 1-bis, del «testo unico»), divulgate tramite lettera circolare del Ministero del lavoro del 18 novembre, sul sito istituzionale di questo Ministero e, infine, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n.  304 dello scorso 30 dicembre 2010;
          2) il modello per la presentazione delle «buone prassi» alla commissione consultiva per la loro validazione (ai sensi degli articoli 2 e 6 del «testo unico» di salute e sicurezza sul lavoro), approvato dalla Commissione consultiva nella riunione del 20 ottobre 2010 e subito messo a disposizione dell'utenza presso il sito del Ministero del lavoro, sezione «sicurezza nel lavoro»;
          3) l'approvazione di un documento sulla presentazione delle «buone prassi» a tutela delle «differenze di genere» in materia di salute e sicurezza alla riunione del 21 settembre 2011, ai fini della loro validazione.

      In particolare, un comitato è stato chiamato a dare attuazione al cosiddetto «sistema di qualificazione» delle imprese, il quale ha lo scopo di individuare, in determinati settori, quali imprese possano operare e a quali condizioni, con riferimento a elementi relativi alla salute e sicurezza sul lavoro.
      Tale sistema, che si realizzerà per mezzo del decreto del Presidente della Repubblica di cui agli articoli 6 e 27 del «testo unico», verrà attuato nel settore edile per mezzo della attivazione della cosiddetta «patente a punti», mentre altri settori debbono essere individuati dalla citata Commissione consultiva, la quale sta procedendo in tal senso. A tale scopo la commissione consultiva ha ampiamente discusso sul tema, oltre che in un comitato ad hoc, direttamente in plenaria in due riunioni straordinarie (non tenutesi, tuttavia, per difetto del numero legale) in data 2 e 9 novembre e nella riunione del 23 novembre 2011. Nel corso dell'ultima riunione, tenutasi in data 17 gennaio 2012, del «comitato qualificazione» si è convenuto di procedere, in tempi limitati alla approvazione e inoltro alla Commissione consultiva di un documento sui settori e criteri della qualificazione delle imprese, il cui contenuto, una volta approvato dalla Commissione consultiva, venga recepito nel decreto del Presidente della Repubblica di cui agli articoli 27 e 6 del «testo unico» di salute e sicurezza sul lavoro. Sempre nella medesima riunione si è, altresì, convenuto che subito dopo tale approvazione si procederà allo stesso modo – con separato documento – per la individuazione delle procedure di funzionamento della «patente a punti» in edilizia.
      Tra i provvedimenti frutto delle attività della Commissione consultiva va segnalata la piena condivisione, in tale contesto, dei contenuti del decreto del Presidente della Repubblica n.  177 del 2011, il quale ha inserito tra le attività per le quali dovrà operare il sistema di qualificazione delle imprese quelle lavorazioni che si svolgano in ambienti «confinati», quali silos, cisterne e simili, nei quali negli ultimi anni sono accadute vere e proprie stragi sul lavoro.
      Il provvedimento in parola, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n.  260, dell'8 novembre 2011, e in vigore dal 23 novembre 2011, prevede un notevole innalzamento del livello dei requisiti organizzativi e professionali degli operatori in tali contesti impedendo che lavorazioni così complesse e pericolose possano essere svolte da soggetti non adeguatamente formati, addestrati e informativi in ordine ai rischi delle lavorazioni negli «ambienti confinati».
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha completato o sta altresì completando talune ulteriori attività, previste dal decreto legislativo n.  81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni, al di fuori dei compiti della Commissione Consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro, tra le quali occorre ricordare:
          l'approvazione, in data 21 dicembre 2011, degli accordi in conferenza Stato-Regione sui contenuti e le modalità della formazione del datore di lavoro che intenda svolgere «in proprio» i compiti del servizio di prevenzione e protezione (articolo 34 del «testo unico») e dei contenuti e delle modalità della formazione dei dirigenti preposti e lavoratori (articolo 37 del «testo unico»). Tali accordi sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n.  8 dell'11 gennaio 2012;
          la predisposizione del decreto, ai sensi dall'articolo 3, comma 3-bis, del «testo unico», che individua la normativa di salute e sicurezza che consideri le «peculiari esigenze» per le società cooperative e per alcune categorie di volontari (protezione civile, croce rossa, e altri). Tale decreto è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.159 dell'11 luglio 2011;
          la pubblicazione (Gazzetta Ufficiale n.  98 del 29 aprile 2011) del decreto, ai sensi dell'articolo 71, comma 13, del «testo unico», per l'individuazione delle modalità di effettuazione delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro e dei criteri per l'abilitazione dei soggetti pubblici o privati legittimati a realizzare tali verifiche;
          la pubblicazione (Gazzetta Ufficiale n.  83 dell'11 aprile 2011), all'esito di una serie di riunioni tenutesi, nel corso dell'anno 2010, tra i rappresentanti dei Ministeri del lavoro, della salute e dello sviluppo economico e dei rappresentanti delle Regioni e dell'ex ISPESL, del decreto, ai sensi dell'articolo 82, comma 2, del «testo unico», relativo alle autorizzazioni per i lavori sottotensione;
          la pubblicazione (Gazzetta Ufficiale n.  58 dell'11 marzo 2011) del Regolamento sulle modalità di applicazione, in ambito ferroviario, del decreto n.  388 del 2003, ai sensi dell'articolo 45, comma 3, del decreto legislativo n.  81 del 2008 (cosiddetto primo soccorso in ambito ferroviario);
          l'istituzione, con decreto interministeriale del 27 maggio 2011 (pubblicato sul «Bollettino ufficiale» del Ministero del lavoro e delle politiche sociali) del Comitato consultivo per la determinazione e l'aggiornamento dei valori limite di esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici (previsto dall'articolo 232, comma 1, decreto legislativo n.  81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni);
          la prosecuzione dei confronti con i rappresentati del Ministero delle infrastrutture e le Parti Sociali interessate, relativi all'attuazione dell'articolo 161, comma 2-bis, del decreto legislativo n.  81 del 2008, e successive modificazioni e integrazioni; tale disposizione, in particolare, prevede la adozione di un decreto interministeriale dedicato alla segnaletica stradale per i cantieri in presenza di traffico veicolare. All'esito di un ampio ed approfondito confronto con il Ministero delle infrastrutture e trasporti, le Regioni e le Parti Sociali, si è provveduto all'elaborazione del relativo schema di decreto, che verrà quanto prima inoltrato alla conferenza Stato-Regioni per il prescritto parere;
          l'approvazione, in data 15 settembre 2011, sotto la supervisione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di un «avviso comune» tra le Parti Sociali interessate relativo alle semplificazioni nei riguardi dei lavoratori «stagionali» del settore agricolo, ove essi non vengano impiegati per oltre 50 giornate lavorative nell'anno di riferimento (articolo 3, comma 13, decreto legislativo n.  81 del 2008). È stato, quindi, elaborato lo schema di decreto ministeriale chiamato a recepire i contenuti del citato «avviso comune», il quale sta per essere inoltrato ai Ministeri concertanti (Ministero della salute e Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali);
          la predisposizione, in fase molto avanzata, della bozza di accordo Stato-Regioni che individuerà le modalità della formazione richiesta per determinate attrezzature di lavoro (macchine agricole, gru e altro), che è stato già oggetto di discussione «in sede tecnica» presso la conferenza Stato-Regioni in data 11 gennaio 2012. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha predisposto tenendo conto degli ultimi elementi di discussione condivisi, in data 11 gennaio, nella citata riunione, lo schema «consolidato» degli accordi inviando i medesimi alla segreteria della conferenza Stato-Regioni;

      Da rilevare, poi, l'approvazione, in data 21 dicembre 2011, dalla conferenza Stato-Regioni del decreto interministeriale per la costituzione e la regolamentazione del Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione (SINP), redatto con il costante coinvolgimento del soggetto gestore del trattamento dei relativi dati (INAIL) e con quello delle Regioni.
      Tutto quanto sin qui esposto consente di affermare come la riforma delle regole volte a tutelare la salute e sicurezza sul lavoro abbia fornito l'Italia di un sistema di regole moderno e sistematicamente coeso, suscitando un interesse, finalmente non più solo specialistico, sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro che costituisce, a sua volta, un importante punto di partenza per l'abbattimento del numero e della gravità degli infortuni.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.


      FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il 2 settembre 2011 una persona è morta e un'altra è rimasta gravemente ferita, vittime di un grave incidente sul lavoro accaduto all'interno dello stabilimento «Forex Prefabbricati», azienda che opera presso il nucleo industriale di Bazzano, alla periferia dell'Aquila;
          secondo una prima ricostruzione dei fatti una trave di circa dieci metri sorretta da catene, e sulla quale scorreva un macchinario si sarebbe staccata, piombando su tre operai, uno è morto, un altro ferito, il terzo è rimasto miracolosamente illeso  –:
          di quali elementi disponga in merito alla dinamica dell'incidente;
          se siano state rispettate le normative previste sulla sicurezza del lavoro;
          quali iniziative si intendano promuovere o adottare in relazione a vicende come quella sopra segnalata, che per dimensioni – dall'inizio dell'anno risultano decedute sul lavoro 352; 596.330 gli infortuni; 1.408 gli invalidi – assumono i connotati di quella che non è esagerato definire una strage. (4-13096)

      Risposta. — L'interrogazione parlamentare in esame si riferisce all'infortunio sul lavoro occorso il giorno 2 settembre 2011 al signor Nicola Salvi dipendente, con la qualifica di fabbro, della società R. & R. S.r.l. e al signor Remo Chiodi contitolare, nonché socio-lavoratore, della medesima società che opera nel settore metalmeccanico in località Giulianova (Pescara) – Frazione di Colleranesco.
      Nel rispondere in merito alla dinamica dell'incidente, ci si limiterà in questa sede, a riportare gli elementi informativi acquisiti presso la direzione territoriale del lavoro dell'Aquila, nonché quelli forniti dall'Inail.
      Dagli accertamenti esperiti e dalle dichiarazioni acquisite in sede ispettiva è risultato che il 2 settembre 2011, i due lavoratori sopra indicati erano impegnati nel montaggio di una macchina per la produzione di elementi prefabbricati denominata «pista banco basculante» che doveva essere utilizzata per la realizzazione di pannelli all'interno dello stabilimento forex prefabbricati s.r.l. sito nel nucleo industriale di Bazzano (L'Aquila).
      Al momento dell'infortunio, i lavoratori erano intenti a posizionare una sponda metallica della macchina, del peso di qualche tonnellata, imbragata con una catena. Nello spostamento, la catena non ha retto al peso e si è spezzata. La sponda è andata a colpire, con conseguenze mortali, il signor Salvi, il signor Chiodi è rimasto gravemente ferito ed un terzo lavoratore è rimasto illeso. Sul luogo dell'incidente sono intervenuti i carabinieri che hanno provveduto ad effettuare i primi rilievi e, in qualità di organo di polizia giudiziaria, il dipartimento prevenzione dell'Asl locale.
      Inoltre, è stato aperto un procedimento penale presso la procura della Repubblica dell'Aquila, tuttora in fase d'istruttoria, per accertare la sussistenza di eventuali responsabilità in merito alla dinamica dell'infortunio e alla violazione della normativa in materia di sicurezza del lavoro.
      Per quanto riguarda l'erogazione delle prestazioni dovute per l'evento mortale, la Sede Inail competente, in base alle risultanze istruttorie, ha provveduto a costituire la rendita ai superstiti e a corrispondere l'assegno funerario, ai sensi dell'articolo 85 del decreto del Presidente della Repubblica n.  1124/1965. La stessa sede, inoltre, ha provveduto all'erogazione del beneficio a carico del Fondo per le vittime di gravi incidenti sul lavoro.
      Per quanto concerne l'infortunio del signor Remo Chiodi, si segnala che lo stesso è stato posto in regime di inabilità temporanea prevista dall'articolo 66 del decreto del Presidente della Repubblica n.  1124/1965. Al termine del periodo di inabilità temporanea assoluta, verranno valutati gli eventuali postumi permanenti ed erogate le relative prestazioni.
      Nel rispondere all'ultimo quesito posto nell'interrogazione in esame, occorre precisare che il tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali costituisce obiettivo strategico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'Inail, nell'ottica del tendenziale azzeramento del fenomeno infortunistico e tecnopatico.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, infatti, intende perseguire la promozione di comportamenti rispettosi delle norme di legge applicabili in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed efficaci in funzione prevenzionistica, sia completando l'attuazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81 (testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro) e successive modificazioni e integrazioni, sia favorendo ogni iniziativa promozionale idonea a determinare un accrescimento delle conoscenze in materia di salute e sicurezza da parte delle aziende, dei lavoratori e degli studenti, con particolare attenzione all'aspetto della formazione.
      In relazione allo specifico e gravissimo problema degli infortuni sul lavoro si rende necessario intervenire sulla formazione-informazione dei lavoratori e delle imprese, nonché sulla prevenzione e sul rafforzamento dei controlli da parte degli enti preposti, al fine di promuovere una consapevolezza sempre più ampia sulle esigenze della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è attivamente impegnato su tali fronti, nell'intento precipuo di favorire il dialogo e la collaborazione fra tutti i soggetti interessati, istituzionali e sociali, al fine di ridurre gli incidenti e le malattie professionali e la diffusione di sempre più elevati
standards di sicurezza nei luoghi di lavoro.
      L'esistenza in concreto di una efficace strategia di contrasto al fenomeno infortunistico non passa solo attraverso il completamento, mediante fonti di rango secondario previste dal Decreto legislativo n.  81/2008, del quadro giuridico di riferimento, ma anche attraverso la realizzazione di una serie di azioni pubbliche e private dirette a migliorare la prevenzione e i livelli di tutela in tutti gli ambienti di lavoro.
      Per tale ragione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta attivando ogni possibile sinergia con soggetti pubblici e privati, al fine di migliorare «l'impatto» delle rispettive attività in termini di efficacia.
      In tale ottica, si colloca, ad esempio, la definizione, con accordo in conferenza Stato-regioni del 20 novembre 2008, dei criteri di impiego e l'attivazione delle somme (pari a 50 milioni di euro) di cui all'articolo 11, comma 7, del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, da destinare in favore di attività promozionali della salute e sicurezza, tra le quali una campagna di comunicazione (per complessivi 20 milioni di euro) sulla salute e sicurezza sul lavoro ed attività di formazione su base regionale (per complessivi 30 milioni di euro). Tali somme sono state regolarmente impegnate e sono a disposizione per le relative attività.
      Con il decreto n.  106 del 2009 (cosiddetto «correttivo al testo unico») si è poi consentito il superamento delle difficoltà operative da più parti evidenziate nel corso dei primi mesi di applicazione del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, perfezionando, in tal modo, il quadro normativo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e rendendolo, oltre che pienamente coerente con le normative internazionali e comunitarie in materia, idoneo a costituire il fondamento giuridico della strategia di contrasto al fenomeno infortunistico.
      Occorre, tuttavia, precisare al riguardo che è attualmente pendente una procedura (n.  2010/4227) per la presunta difformità di alcune previsioni del decreto legislativo n.  106/2009 rispetto alle disposizioni della direttiva CE n.  89/391.
      L'imprescindibile finalità delle misure varate resta quella di rendere maggiormente effettiva la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro secondo linee di azione consistenti, tra l'altro, nel miglioramento dell'efficacia dell'apparato sanzionatorio al fine di assicurare una migliore corrispondenza tra infrazioni e sanzioni.
      A tale scopo, si tiene conto dei compiti effettivamente svolti da ciascun attore della sicurezza, favorendo l'utilizzo di procedure di estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi mediante regolarizzazione da parte del soggetto inadempiente. La sanzione penale è riservata ai soli casi di violazione delle disposizioni sostanziali e non di quelle meramente formali (come, ad esempio, la trasmissione di documentazione, notifiche, eccetera).
      Tutti gli interventi proposti garantiscono, in ogni caso, il rispetto dei livelli di tutela oggi assicurati ai lavoratori e alle loro rappresentanze in qualsiasi ambiente di lavoro e in tutto il territorio nazionale nonché l'equilibrio delle competenze tra lo Stato e le Regioni in materia.
      Il risultato finale dell'intervento legislativo di riforma potrà comunque compiutamente apprezzarsi una volta che verrà completata l'emanazione di provvedimenti attuativi del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, di grande rilevanza e impatto sulle aziende e sui lavoratori.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali persegue l'obiettivo della riduzione del fenomeno infortunistico anche tramite le attività di vigilanza sui luoghi di lavoro di propria competenza. In tali ambiti, ed in primo luogo nell'edilizia, è stata da tempo fornita alle strutture amministrative di riferimento l'indicazione di realizzare, innanzitutto, le attività dirette a perseguire le violazioni in materia di salute e sicurezza più gravi, in quanto in grado di mettere in pericolo le vite dei lavoratori. Tale impostazione ha consentito di raggiungere risultati molto soddisfacenti.
      Molte delle iniziative dirette all'attuazione delle disposizioni del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro sono devolute dal legislatore alla Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro (
ex articolo 6 del decreto legislativo n.  81/2008), composta, in maniera paritaria e tripartita, da rappresentanti delle amministrazioni pubbliche centrali competenti in materia, delle regioni, dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro.
      Ricostituita con decreto ministeriale del 3 dicembre 2008, la commissione ha costituito al suo interno nove gruppi «tecnici» di lavoro, nei quali è garantita la presenza paritetica di rappresentanti delle amministrazioni pubbliche (comprese le Regioni) e delle parti sociali, per affrontare, in tali sedi, gli argomenti attribuiti dalla legge alla commissione (ad esempio, l'elaborazione di linee metodologiche per la valutazione dello
stress lavoro-correlato, l'individuazione delle regole di funzionamento della cosiddetta «patente a punti» per gli edili) e per i quali si prevedono attività finalizzate all'attuazione del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
      Tali gruppi si sono regolarmente insediati e svolgono con continuità le attività ad essi attribuite. All'esito delle attività istruttorie compiute in tali consessi, sono stati elaborati documenti di notevole importanza per gli operatori della salute e sicurezza sul lavoro e altri sono di prossima emanazione.
      A titolo di esempio si citano: 1) le indicazioni per la valutazione dello
stress lavoro-correlato (articolo 28, comma 1-bis, del «testo unico»), divulgate tramite lettera circolare del Ministero del lavoro del 18 novembre, sul sito istituzionale di questo Ministero e, infine, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n.  304 dello scorso 30 dicembre 2010; 2) il modello per la presentazione delle buone prassi» alla commissione consultiva per la loro validazione (ai sensi degli articoli 2 e 6 del «testo unico» di salute e sicurezza sul lavoro), approvato dalla Commissione consultiva nella riunione del 20 ottobre 2010 e subito messo a disposizione dell'utenza presso il sito del Ministero del lavoro, sezione «sicurezza nel lavoro»; 5) l'approvazione di un documento sulla presentazione delle «buone prassi» a tutela delle «differenze di genere» in materia di salute e sicurezza alla riunione del 21 settembre 2011, ai fini della loro validazione.
      In particolare, un comitato è stato chiamato a dare attuazione al cosiddetto «sistema di qualificazione» delle imprese, il quale ha lo scopo di individuare, in determinati settori, quali imprese possano operare e a quali condizioni, con riferimento a elementi relativi alla salute e sicurezza sul lavoro.
      Tale sistema, che si realizzerà per mezzo del decreto del Presidente della Repubblica di cui agli articoli 6 e 27 del «testo unico», verrà attuato nel settore edile per mezzo della attivazione della cosiddetta «patente a punti», mentre altri settori debbono essere individuati dalla citata commissione consultiva, la quale sta procedendo in tal senso. A tale scopo la commissione consultiva ha ampiamente discusso sul tema, oltre che in un comitato
ad hoc, direttamente in plenaria in due riunioni straordinarie (non tenutesi, tuttavia, per difetto del numero legale) in data 2 e 9 novembre e nella riunione del 23 novembre 2011. Nel corso dell'ultima riunione, tenutasi in data 17 gennaio 2012, del «comitato qualificazione» si è convenuto di procedere, in tempi limitati alla approvazione e inoltro alla Commissione consultiva di un documento sui settori e criteri della qualificazione delle imprese, il cui contenuto, una volta approvato dalla commissione consultiva, venga recepito nel decreto del Presidente della Repubblica di cui agli articoli 27 e 6 del «testo unico» di salute e sicurezza sul lavoro. Sempre nella medesima riunione si è, altresì, convenuto che subito dopo tale approvazione si procederà allo stesso modo – con separato documento – per la individuazione delle procedure di funzionamento della «patente a punti» in edilizia.
      Tra i provvedimenti frutto delle attività della commissione consultiva va segnalata la piena condivisione, in tale contesto, dei contenuti del decreto del Presidente della Repubblica n.  177 del 2011, il quale ha inserito tra le attività per le quali dovrà operare il sistema di qualificazione delle imprese quelle lavorazioni che si svolgano in ambienti «confinati», quali silos, cisterne e simili, nei quali negli ultimi anni sono accadute vere e proprie stragi sul lavoro.
      Il provvedimento in parola, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale, serie generale, n.  260, dell'8 novembre 2011, e in vigore dal 23 novembre 2011, prevede un notevole innalzamento del livello dei requisiti organizzativi e professionali degli operatori in tali contesti impedendo che lavorazioni così complesse e pericolose possano essere svolte da soggetti non adeguatamente formati, addestrati e informati in ordine ai rischi delle lavorazioni negli «ambienti confinati».
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha completato o sta altresì completando talune ulteriori attività, previste dal decreto legislativo n.  81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni, al di fuori dei compiti della Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro, tra le quali occorre ricordare:
          l'approvazione, in data 21 dicembre 2011, degli accordi in conferenza Stato-Regione sui contenuti e le modalità della formazione del datore di lavoro che intenda svolgere «in proprio» i compiti del servizio di prevenzione e protezione (articolo 34 del «testo unico») e dei contenuti e delle modalità della formazione dei dirigenti preposti e lavoratori (articolo 37 testo unico).
      Tali accordi sono stati pubblicati nella
Gazzetta Ufficiale, serie generale n.  8 dell'11 gennaio 2012;
          la predisposizione del decreto, ai sensi dall'articolo 3, comma 3-
bis, del «testo unico», che individua la normativa di salute e sicurezza che consideri le «peculiari esigenze» per le società cooperative e per alcune categorie di volontari (protezione civile, croce rossa, eccetera). Tale decreto è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.  159 dell'11 luglio 2011;
          la pubblicazione (
Gazzetta Ufficiale n.  98 del 29 aprile 2011) del decreto, ai sensi dell'articolo 71, comma 13, del «testo unico», per l'individuazione delle modalità di effettuazione delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro e dei criteri per l'abilitazione dei soggetti pubblici o privati legittimati a realizzare tali verifiche;
          la pubblicazione (
Gazzetta Ufficiale n.  83 dell'11 aprile 2011), all'esito di una serie di riunioni tenutesi, nel corso dell'anno 2010, tra i rappresentanti dei Ministeri del lavoro, della salute e dello sviluppo economico e dei rappresentanti delle Regioni e dell’ex Ispesl, del decreto, ai sensi dell'articolo 82, comma 2, del «testo unico», relativo alle autorizzazioni per i lavori sottotensione;
          la pubblicazione (
Gazzetta Ufficiale n.  58 dell'11 marzo 2011) del regolamento sulle modalità di applicazione, in ambito ferroviario, del decreto n.  388/2003, ai sensi dell'articolo 45, comma 3, del decreto legislativo n.  81/2008 (cosiddetto primo soccorso in ambito ferroviario);
          l'istituzione, con decreto interministeriale del 27 maggio 2011 (pubblicato sul «bollettino ufficiale» del Ministero del lavoro e delle politiche sociali) del comitato consultivo per la determinazione e l'aggiornamento dei valori limite di esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici (previsto dall'articolo 232, comma 1, decreto legislativo n.  81/2008 e successive modificazioni e integrazioni);
          la prosecuzione dei confronti con i rappresentanti del Ministero delle infrastrutture e le parti sociali interessate, relativi all'attuazione dell'articolo 161, comma 2-
bis, del decreto legislativo n.  81 del 2008, e successive modificazioni e integrazioni; tale disposizione, in particolare, prevede la adozione di un decreto interministeriale dedicato alla segnaletica stradale per i cantieri in presenza di traffico veicolare. All'esito di un ampio ed approfondito confronto con il Ministero delle infrastrutture e trasporti, le Regioni e le parti sociali, si è provveduto all'elaborazione del relativo schema di decreto, che verrà quanto prima inoltrato alla conferenza Stato-regioni per il prescritto parere;
          l'approvazione, in data 15 settembre 2011, sotto la supervisione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di un «avviso comune» tra le parti sociali interessate relativo alle semplificazioni nei riguardi dei lavoratori «stagionali» del settore agricolo, ove essi non vengano impiegati per oltre 50 giornate lavorative nell'anno di riferimento (articolo 3, comma 13, decreto legislativo n.  81 del 2008). È stato, quindi, elaborato lo schema di decreto ministeriale chiamato a recepire i contenuti del citato «avviso comune», il quale sta per essere inoltrato ai Ministeri concertanti (salute e politiche agricole);
          la predisposizione, in fase molto avanzata, della bozza di accordo Stato-regioni che individuerà le modalità della formazione richiesta per determinate attrezzature di lavoro (macchine agricole, gru, eccetera), che è stato già oggetto di discussione «in sede tecnica» presso la conferenza Stato-regioni in data 11 gennaio 2012. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha predisposto tenendo conto degli ultimi elementi di discussione condivisi, in data 11 gennaio, nella citata riunione, lo schema “consolidato” degli accordi inviando i medesimi alla Segreteria della Conferenza Stato-Regioni.

      Da rilevare, poi, l'approvazione, in data 21 dicembre 2011, dalla conferenza Stato-regioni del decreto interministeriale per la costituzione e la regolamentazione del sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP), redatto con il costante coinvolgimento del soggetto gestore del trattamento dei relativi dati (Inail) e con quello delle Regioni.
      Tutto quanto sin qui esposto consente di affermare come la riforma delle regole volte a tutelare la salute e sicurezza sul lavoro abbia fornito l'Italia di un sistema di regole moderno e sistematicamente coeso, suscitando un interesse, finalmente non più solo specialistico, sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro che costituisce, a sua volta, un importante punto di partenza per l'abbattimento del numero e della gravità degli infortuni.

Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.


      FAVA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il regio decreto n.  246 del 1938, all'articolo 1, recita espressamente: «Chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni, è obbligato al pagamento del canone di abbonamento». La presenza di un impianto aereo atto alla captazione o trasmissione di onde elettriche o di un dispositivo idoneo a sostituire l'impianto aereo, ovvero di linee interne per il funzionamento di apparecchi radioelettrici, fa presumere la detenzione o l'utenza di un apparecchio radioricevente;
          in base a tale norma la Rai, nella massima libertà interpretativa ed in piena autonomia, ha deciso di obbligare al pagamento del canone speciale tutte le imprese che detengono dispositivi video destinati agli usi più vari e disparati, monitor, computer, videofonini, finanche i sistemi di videosorveglianza;
          il canone Rai dovrà essere pagato anche da possessori di pc, iphone e videofonini. Fioccano, come prevedibile, le proteste. L'azienda, infatti, ha chiesto il pagamento del canone ad alcune aziende e studi professionali in possesso di uno o più pc collegati alla rete;
          dopo le indiscrezioni e le polemiche circolate su internet, anche le associazioni dei consumatori confermano l'arrivo di segnalazioni da parte di aziende e studi professionali a cui la Rai richiede il pagamento del canone TV per la detenzione di uno o più computer collegati in Rete;
          le associazioni di categoria delle imprese prevedono che le realtà produttive dovranno mettere in previsione un esborso complessivo di 980 milioni  –:
          se il Governo sia a conoscenza della situazione e non intenda intervenire al fine di evitare che venga introdotto l'obbligo per un'azienda di pagare un abbonamento TV per il solo fatto di avere dei pc, essendo quest'ultimo uno strumento ormai indispensabile allo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa, e considerato che l'inclusione dello stesso fra gli apparecchi tassati significherebbe di fatto imporre una nuova imposta sul lavoro.
(4-15010)

      Risposta. — Risale all'articolo 1 del regio-decreto n.  246 del 1938 l'obbligo del pagamento del canone di abbonamento per tutti gli «apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni».
      La questione sollevata nei giorni scorsi e ripresa dagli interroganti – su quali debbano essere gli apparecchi soggetti al pagamento dei canoni speciali della Rai – ha reso necessario un celere chiarimento.

      Per questa ragione il Ministero dello sviluppo economico ha già provveduto a fornire all'Agenzia delle entrate elementi esplicativi in merito.
      La questione sta in questi termini.
      La normativa in esame porta a riferire il pagamento del canone solo al servizio di radiodiffusione. Pertanto, non è possibile includere altre forme di distribuzione del segnale audio video (per esempio Web Radio, Web Tv) che sono basate, come dicono i tecnici, su portanti fisici diversi.
      In linea generale sono, quindi, esclusi i personal computer, fissi o portatili, i tablet (come gli iPad) e gli smartphone, cioè gli strumenti suscettibili, di per sé, di connessione alla rete internet.
      È però necessario, per essere più chiari, qualche ulteriore specificazione tecnica. In altre parole, dobbiamo circoscrivere il campo degli apparecchi soggetti al pagamento del canone a quelli utili alla ricezione di segnali televisivi su piattaforma terrestre e piattaforme satellitare. Tali apparecchi sono quelli caratterizzati da un sintonizzatore, che ha la funzione essenziale di prelevare il segnale di antenna nelle bande destinate al servizio di radiodiffusione e la capacità autonoma di erogare il servizio di radiodiffusione (o come veniva chiamato nel regio-decreto di radioaudizione).
      Devo dire che abbiamo trovato la Rai già in linea con questa interpretazione, tanto che si è impegnata a fare tutte le necessarie azioni di chiarimento in questo senso.
      L'applicazione della norma in questi termini è tra l'altro in sintonia con la strategia che questo Governo ha già iniziato ad adottare sui temi dell'agenda digitale: come sapete, infatti, ogni sforzo sarà fatto per permettere all'Italia di essere all'avanguardia del mondo digitalizzato.
      Quanto all'articolo 17 del cosiddetto decreto «salva Italia», con il quale è stato introdotto l'obbligo, per le imprese e le società, di indicare nella dichiarazione dei redditi il numero dell'abbonamento speciale alla radio e alla televisione e la categoria di appartenenza, va da sé che tale obbligo ricorre nella misura in cui sussiste il correlativo obbligo di pagare il canone speciale, nei limiti sopra accennati.
Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      FEDI, GIANNI FARINA, GARAVINI, NARDUCCI e PORTA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il Ministro degli affari esteri sta procedendo a chiusure di sedi e agenzie consolari;
          le chiusure di sedi consolari nel mondo comportano la riduzione del personale di ruolo e a contratto impiegato all'estero;
          per il personale già in servizio presso consolati e agenzie consolari interessate dal programma di razionalizzazione della rete diplomatico-consolare nel mondo, si pone l'esigenza di accedere con urgenza a forme di ricollocamento  –:
          quali siano i criteri di riorganizzazione adottati per l'individuazione delle sedi presso cui destinare il personale da ricollocare;
          se i criteri siano finalizzati all'adozione di una graduatoria per ciascuna sede o se tali criteri interessino tutte le sedi della rete diplomatico-consolare in ciascun Paese;
          se siano previste, nei casi in cui i contraenti decidano di recedere dal contratto di lavoro, forme di sostegno ai lavoratori attraverso la corresponsione di indennità;
          se non si ritenga necessario, infine, informare, tempestivamente e puntualmente, il personale impiegato presso le sedi e le agenzie consolari interessate dal piano di razionalizzazione della rete consolare nel mondo, in relazione ai tempi di attuazione del piano. (4-14023)

      Risposta. — In merito a quanto rappresentato dall'interrogante circa gli ultimi sviluppi relativi al piano di razionalizzazione della rete diplomatico-consolare, si forniscono i seguenti elementi di informazione.
      Il Ministro degli affari esteri Terzi di Sant'Agata ha disposto di congelare l'adozione di qualsiasi chiusura di uffici consolari e culturali all'estero, sino a che non sia stato presentato e discusso in Parlamento un complessivo piano di revisione della spesa e delle risorse (
spending review) dell'amministrazione degli affari esteri.
      A tal fine è stato istituito alla Farnesina un gruppo di lavoro chiamato ad approfondire la riflessione sulle modalità per ottimizzare l'impiego delle risorse attribuite all'amministrazione degli affari esteri con l'obiettivo di salvaguardare e valorizzare ulteriormente la rete dei nostri uffici all'estero.
      Come indicato dal Ministro Terzi di Sant'Agata, le conclusioni che matureranno nell'ambito del gruppo di lavoro verranno condivise con il Parlamento per valutare ogni futura ipotesi di rimodulazione della rete diplomatico-consolare.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Marta Dassù.


      FEDI, BUCCHINO e PORTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 21 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, in considerazione del processo di convergenza ed armonizzazione del sistema pensionistico attraverso l'applicazione del metodo contributivo, nonché al fine di migliorare l'efficienza e l'efficacia dell'azione amministrativa nel settore previdenziale e assistenziale, l'INPDAP e l'ENPALS sono soppressi dal 1° gennaio 2012 e le relative funzioni sono attribuite all'INPS;
          l'INPDAP effettua i pagamenti mensili, per i pensionati ex-dipendenti dello Stato residenti all'estero, tramite la CITIBANK, direttamente su conto bancario  –:
          quali urgenti iniziative si intendano adottare, nel periodo transitorio, per assicurare il tempestivo pagamento delle mensilità di pensione ai residenti all'estero;
          quali iniziative si intendano adottare per garantire che l'Istituto nazionale della previdenza sociale operi un completo adeguamento delle procedure interne per assicurare la detassazione alla fonte delle pensioni pubbliche corrisposte in Paesi convenzionati con l'Italia che prevedono l'imposizione fiscale nel Paese di residenza del pensionato e per assicurare, anche per l'estero, un sistema di pagamento delle pensioni, con cadenza mensile, tempestivo, efficiente e trasparente. (4-14319)

      Risposta. — L'interrogazione parlamentare in oggetto concerne il pagamento delle mensilità di pensione ai residenti all'estero da parte dell'Inpdap e la detassazione alla fonte delle pensioni pubbliche corrisposte in Paesi con i quali l'Italia ha stipulato apposita convenzione.
      In relazione alla prima questione, si rappresenta che la soppressione dell'Inpdap, disposta a partire dal 1o gennaio 2012 dall'articolo 21 del decreto-legge n.  201 del 2011, non comporterà alcuna modifica nelle procedure di pagamento delle pensioni, che continueranno ad essere corrisposte, senza alcuna soluzione di continuità, con le consuete modalità ovvero tramite accredito sul conto corrente bancario estero qualora il pensionato ne abbia fatto richiesta.
      Con riguardo, invece, alla non tassazione alla fonte delle pensioni, si specifica, in linea generale, che i residenti all'estero che hanno prodotto redditi o possiedono beni in Italia sono a versare le imposte allo Stato italiano, salvo eccezioni previste da eventuali convenzioni stipulate tra lo Stato italiano e quello di residenza al fine di evitare le doppie imposizioni.
      Ciò premesso, si fa presente che ogni convenzione stabilisce come deve essere ripartito il potere impositivo fra i due Stati contraenti, regolamentando il trattamento fiscale delle singole categorie di reddito secondo determinati specifici requisiti. Tali accordi possono prevedere che entrambi gli Stati prelevino un'imposta sullo stesso reddito (tassazione concorrente) oppure, la tassazione esclusiva da parte di uno dei due Stati, di regola identificato nel Paese di residenza del beneficiario.
      Pertanto, già ad oggi, l'Inpdap non opera la ritenuta fiscale alla fonte sul trattamento di pensione qualora la specifica convenzione in materia di esenzione fiscale preveda tale possibilità ed il pensionato abbia i requisiti prescritti dalla convenzione stessa.
      Nel caso in cui il regime pattizio preveda la possibilità della detassazione alla fonte, i soggetti interessati, per beneficiare del regime esonerativo, dovranno fornire la certificazione di residenza rilasciata dalle autorità fiscali del Paese estero, nonché l'ulteriore documentazione necessaria per dimostrare il possesso dei requisiti previsti dalla convenzione.
      Si specifica, infine, che in caso di doppia imposizione fiscale sui trattamenti pensionistici con diritto alla defiscalizzazione in forza di convenzione internazionale, il pensionato potrà presentare istanza di rimborso alla competente autorità fiscale.
      In conclusione, il pagamento delle mensilità ai pensionati Inpdap residenti all'estero verrà assicurato senza interruzione e secondo le vigenti modalità, nonostante la soppressione dell'Ente, così come verrà garantita la detassazione dei trattamenti pensionistici, qualora ciò sia previsto dalla convenzione internazionale di riferimento e nel caso in cui il pensionato abbia tutti i requisiti per accedere al beneficio previsto dalla convenzione stessa.

Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.


      FEDI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il trattamento stipendiale del personale a contratto del Ministero degli affari esteri in servizio presso le rappresentanze diplomatiche e gli uffici consolari all'estero e i relativi adeguamenti sono fissati — ai sensi dell'articolo 157 del decreto del Presidente della Repubblica n.  18 del 1967 — dal contratto individuale di lavoro sulla base dei parametri previsti nella stessa disposizione di legge: le condizioni del mercato del lavoro locale, il costo della vita nella sede di servizio, le retribuzioni corrisposte dalle rappresentanze diplomatiche e consolari estere all'analogo personale, la congruità e l'uniformità del trattamento retributivo corrisposto per Paese e per mansioni omogenee, le indicazioni fornite dalle organizzazioni sindacali. I dati raccolti vengono esaminati dall'amministrazione del Ministero degli affari esteri per venire successivamente sottoposti al vaglio degli organi di controllo (UCB);
          la tipologia dei contratti di assunzione del personale locale all'estero, nonché la peculiarità della relativa disciplina, non consentono l'allineamento alla contrattazione collettiva del pubblico impiego, né quindi per tale via, l'attribuzione degli stessi aumenti concessi ai pubblici dipendenti. Tuttavia, è lasciata all'autonomia negoziale del Ministero degli affari esteri la decisione circa l'opportunità di rivalutare i trattamenti economici, nonché l'entità dei relativi importi, nei limiti delle risorse disponibili a tale scopo;
          in numerose realtà estere, a fronte dei consistenti aumenti del costo della vita dovuti alla crisi economica e della repentina svalutazione dell'euro nei confronti di alcune valute, si registrano difficoltà pratiche per il sostentamento quotidiano delle famiglie del personale a contratto impiegato dal Ministero degli affari esteri;
          in Giappone, il personale a contratto retribuito in euro rileva come gli attuali livelli di remunerazione registrino una perdita di potere d'acquisto rilevante;
          il personale a contratto in Giappone denuncia una perdita diretta calcolata in una sottrazione di contante pari al 25 per cento dell'ammontare dello stipendio mensile. A questa va aggiunta una perdita indiretta, ugualmente grave, dovuta alla percezione dell'Italia e dell'euro come entità ad alto rischio di default. Quest'ultimo aspetto sta determinando per i contrattisti l'impossibilità di accedere a servizi fiduciari quali, in primo luogo, mutui per la casa o garanzie di solvibilità per spese a lungo termine, come ad esempio le rette scolastiche e universitarie dei figli  –:
          quali iniziative si intendano adottare per rivalutare i trattamenti economici del personale a contratto basato in Giappone;
          se non si ritenga di dover ripristinare, per la totalità degli impiegati a contratto presenti sul territorio giapponese, un sistema di retribuzioni in valuta locale, come del resto previsto dalle norme introdotte dal decreto legislativo n.  103 del 13 maggio 2000, nella misura in cui si stabilisce che «la valuta in cui viene fissata e corrisposta la retribuzione degli impiegati è quella locale». (4-14628)

      Risposta. — Il Consiglio di Stato con parere del 12 ottobre 2011 ha escluso il personale a contratto del Ministero degli affari esteri dal blocco delle retribuzioni stabilito per i dipendenti pubblici dall'articolo 9, comma 1, decreto-legge n.  78 del 2010.
      Il Ministero degli affari esteri ha pertanto ripreso in esame le istanze di adeguamento retributivo, tra cui quella presentata dall'Ambasciata a Tokio, che in attesa di tale parere – sollecitato anche dal Ministero dell'economia e delle finanze per le determinazioni di sua competenza – non era stato possibile istruire. Sulla base dei dati forniti dalla sede, si provvederà pertanto nelle prossime settimane a disporre, nei confronti del personale locale, una misura di adeguamento nei termini consentiti dai parametri di legge e che verrà successivamente sottoposta al vaglio della Ragioneria generale dello Stato.
      Le retribuzioni del personale locale sono stabilite in euro ai sensi del decreto ministeriale n.  033/5949 del 2002 che prevede che «a decorrere dal 1o gennaio 2003, la retribuzione del personale assunto a contratto dalle rappresentanze diplomatico-consolari e dagli Istituti italiani di cultura viene determinata e corrisposta in Euro (...)». La norma, dettata da esigenze di razionalizzazione ed uniformità, rappresenta una deroga al principio generale richiamato dall'interrogante e previsto dall'articolo 157 quarto comma del decreto del Presidente della Repubblica n.  18 del 1967, secondo cui «la retribuzione è di norma fissata e corrisposta in valuta locale, salva la possibilità di ricorrere ad un'altra valuta in presenza di particolari motivi (...)».
      A seguito delle innumerevoli richieste di conversione della valuta di pagamento delle retribuzioni, formulate da diverse sedi a causa dell'oscillazione dei tassi di cambio, il Ministero degli affari esteri ha provveduto ad interpellare l'Avvocatura generale dello Stato. Quest'ultima ha chiarito che tale possibilità presuppone una modifica del citato decreto ministeriale. Attualmente, è in atto una riflessione congiunta con il Ministero dell'economia e delle finanze, coestensore del decreto, al quale è stata presentata una proposta di modifica.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Marta Dassù.


      FRATTINI, CICCHITTO, BERNARDO, D'ALESSANDRO, DI VIRGILIO, OSVALDO NAPOLI, SALTAMARTINI, ROSSO, ABELLI, DE CAMILLIS, NIZZI, VELLA, DI CAGNO ABBRESCIA, CERONI, GIRLANDA, CENTEMERO, PICCHI, CECCACCI RUBINO, GOTTARDO, NASTRI, REPETTI, GIAMMANCO, BIANCOFIORE e MUSSOLINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          quest'anno in Ucraina si terranno i campionati europei di calcio;
          con l'occasione all'evento le città ucraine stanno operando iniziative di restauro e abbellimento;
          contestualmente, è in corso una strage di massa di cani e gatti randagi, operata dalle autorità ucraine, cui partecipano anche singoli cittadini;
          cani e gatti sono uccisi barbaramente ed anche bruciati vivi per fare più in fretta e alimentare forni da riscaldamento;
          la UEFA non ha sinora mostrato alcun segno di intervento per far cessare questa vergognosa pratica;
          un evento sportivo non si può in tal modo sporcare del sangue di migliaia di animali, esseri viventi ed innocenti, nel silenzio della comunità internazionale;
          l'Italia, autorevole e promettente partecipante agli europei di calcio, ha sempre osservato politiche di rispetto, in linea con le prescrizioni europee, per gli animali, la loro vita e il loro benessere  –:
          se il Ministro, con le opportune iniziative anche tramite formali istruzioni alle ambasciate responsabili, si impegni con forza, anche raccogliendo il consenso di altri partner europei, affinché l'Ucraina sospenda immediatamente questo massacro e provveda ad un piano di sterilizzazione degli animali randagi promuovendone, proprio in occasione degli Europei di calcio, le adozioni internazionali.
(4-14663)

      Risposta. — La grave situazione segnalata dagli interroganti è ben nota alla Farnesina, che la segue da tempo con attenzione. Già nel 2010, a seguito di segnalazioni della Lega anti vivisezione italiana in merito ad episodi analoghi, il Ministro degli affari esteri pro tempore aveva sensibilizzato il suo omologo ucraino.
      Più recentemente, anche a seguito dell'ulteriore segnalazione degli interroganti, il Ministro Terzi di Sant'Agata ha dato istruzione di intensificare tale opera di sensibilizzazione sia a Kiev che in ambito comunitario.
      Sono stati condotti dei passi bilaterali dal nostro ambasciatore a Kiev presso i suoi interlocutori al Ministero degli esteri ucraino per auspicare la definizione di pratiche non crudeli, quali la sterilizzazione e l'adozione internazionale degli animali in eccesso.
      La nostra ambasciata in Kiev non ha mancato di prendere contatto con esponenti della società civile ucraina attivi nel settore, che hanno peraltro a loro volta confermato la gravità della situazione.
      Il nostro ambasciatore ha inoltre provveduto a sensibilizzare i partners comunitari, sollevando la problematica nel contesto del coordinamento in loco delle ambasciate dell'unione europea. Risulta peraltro che altre ambasciate comunitarie siano intervenute presso le autorità ucraine, con passi analoghi ai nostri. Lo stesso Capo della delegazione dell'unione europea ha indicato di essere pronto ad attivarsi per evocare il problema con i suoi interlocutori.
      In parallelo, l'azione della Farnesina si è sviluppata presso le istanze comunitarie: la questione del trattamento dei cani e gatti randagi è stata di recente portata all'attenzione dei partners con una comunicazione formale nel circuito informativo ufficiale europeo diretta a tutte le capitali e alle istituzioni dell'unione europea.
      La nostra rappresentanza permanente a Bruxelles ha da parte sua sensibilizzato i due Vice presidenti italiani del Parlamento europeo, affinché anche tale istituzione lanci un autorevole messaggio di sostegno all'azione promossa dall'Italia presso le Autorità ucraine.
      A seguito dei nostri passi, il Ministero degli esteri ucraino ha di recente inviato una nota alla nostra Ambasciata a Kiev per informare dell'attenzione con la quale il Governo intende perseguire una soluzione al problema degli animali randagi. In particolare il Ministero dell'Ambiente e delle risorse naturali dell'Ucraina avrebbe avviato l'elaborazione di un programma nazionale di costruzione di rifugi per animali che rispecchino i migliori standard europei, indicando nel giugno del 2012 la realizzazione del primo di tali rifugi nella città di Kiev.
      La Farnesina non mancherà naturalmente di continuare a seguire attentamente e attivamente gli sviluppi della questione.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Marta Dassù.


      GALATI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          anche quest'anno si è svolta in Italia la cosiddetta Biodomenica, campagna nazionale per il biologico di AIAB, Coldiretti e Legambiente, realizzata con il patrocinio del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di Roma Capitale, della Fondazione Campagna Amica e del Comitato italiano per la sovranità alimentare;
          il biologico può sicuramente essere una risposta concreta alla crisi economica e climatica, e grazie al suo sviluppo, così come ricordato da Andrea Ferrante, presidente nazionale dell'Associazione italiana per l'agricoltura biologica (AIAB) «si può proporre un modello economico che crea occupazione in particolare giovanile e pone il rispetto dell'ambiente e la qualità del cibo al centro del nostro agire»;
          come evidenziato nel dossier I valori del bio curato dalle associazioni promotrici di Biodomenica, un diverso modello di distribuzione e consumo esiste già e continua ad attrarre nuovi estimatori. L'analisi degli ultimi sei anni di consumi biologici italiani e dei relativi canali di distribuzione – gruppi di acquisto solidale, spaccio in azienda, mercatini bio, e-commerce, consumi extra-domestici, agriturismo, mense scolastiche – dimostra che questi sistemi di distribuzione alternativi sono cresciuti mediamente del 76,4 per cento e che sono ormai competitivi con i sistemi tradizionali – grande distribuzione organizzata innanzitutto – perché riescono a garantire la qualità del prodotto insieme a un ritorno economico, sociale e ambientale conveniente per tutti, e a lungo termine;
          i dati confermano che la filiera corta, grazie all'eliminazione di alcuni passaggi commerciali, consente di abbattere il prezzo finale, con vantaggi per il consumatore ma anche per il produttore, che sempre più spesso utilizza questo canale alternativo. Nella formazione del prezzo, infatti, il peso della produzione supera molto raramente il 50 per cento del prezzo finale, mentre è notevole il peso percentuale del ricarico del punto vendita (dal 30 per cento al 40 per cento);
          Ma il bio non è solo buono, giusto e conveniente, è anche «green». Un fattore che, in epoca di mutamenti climatici, diventa sempre più determinante. Non a caso la Commissione europea, per rispettare gli impegni assunti a livello internazionale di riduzione delle emissioni di gas serra dell'80-95 per cento entro il 2050 (rispetto ai livelli del 1990), ha fissato degli obiettivi di mitigazione al settore agricolo che dovrebbero prevedere una diminuzione tra il 42-49 per cento delle emissioni;
          per quanto riguarda l'Italia, le emissioni di gas serra dell'agricoltura hanno già mostrato un trend in riduzione del 15 per cento, ma l'agricoltura e la silvicoltura hanno le potenzialità per raggiungere ulteriori obiettivi di mitigazione, a condizione che vengano messe a disposizione risorse aggiuntive rispetto a quelle attualmente previste, per l'incentivazione delle pratiche agricole orientate a una migliore gestione dei suoli agricoli, dei pascoli, dell'irrigazione, al recupero dei suoli organici e alla produzione di bioenergia  –:
          quali siano, alla luce di quanto sopra descritto, gli intendimenti del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, rispetto alla produzione biologica;
          se il Ministro abbia intenzione di indicare linee guida di promozione confacenti con lo sviluppo capillare in tutto il territorio italiano di produzioni e quindi, consumi biologici;
          se il Ministro intenda impegnarsi per promuovere il consumo di prodotti cosiddetti biologici e quindi di maggiore qualità a partire dai servizi di mensa (scuole, ospedali, uffici ecc.);
          se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative per garantire minori emissioni di gas serra dell'agricoltura incentivando le bioenergie ed in generale tutte quelle pratiche agricole orientate a una migliore gestione dei suoli agricoli;
          se il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, considerata l'attuale situazione di stallo dell'economia italiana e soprattutto dell'occupazione giovanile, intenda promuovere iniziative di agevolazione nella definizione di un innovativo modello economico e occupazionale basato sulla produzione biologica. (4-13623)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, concernente la produzione biologica, vorrei ricordare che l'iniziativa «biodomenica», campagna nazionale per il biologico, è stata finanziata dalla mia amministrazione che, sulla base di un progetto affidato alla più rappresentativa associazione di produttori biologici (Aiab), ne ha approvato e condiviso i contenuti comunicazionali.
      Vorrei inoltre far presente che nel corso degli anni 2007, 2008 e 2009, come consentito dalla legge n.  296 del 27 dicembre 2006, sono stati investiti 30 milioni di euro per la realizzazione del piano nazionale per l'agricoltura biologica (Pan) attraverso cui sono state poste in essere iniziative volte a realizzare, tra l'altro, proprio alcuni degli obiettivi esposti nell'interrogazione in questione.
      Il Pan 2007-2008-2009 era articolato in 4 assi concernenti, rispettivamente, la penetrazione sui mercati mondiali; l'organizzazione di filiera e commerciale con attività di trasferimento dell'innovazione, sostegno alle organizzazione di produttori e interprofessione; l'aumento della domanda interna con attività di supporto alla filiera corta e per la ristorazione collettiva bio e il rafforzamento e miglioramento del sistema istituzionale.
      In particolare, i finanziamenti erogati hanno riguardato: il ruolo che il metodo di produzione biologica può svolgere nella riduzione delle emissioni di CO2 (il progetto sarà realizzato dalla scuola superiore Sant'Anna di Pisa sulla base di una procedura ad evidenza pubblica); lo sviluppo del consumo di alimenti biologici nella ristorazione collettiva (due progetti saranno realizzati dall'Università di Tor Vergata e dal centro nazionale delle ricerche mentre altre attività in materia saranno realizzate dall'istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione; la promozione della vendita diretta e di forme alternative di commercializzazione dei prodotti biologici, tra le quali rientra la cosiddetta «Filiera corta» (la realizzazione dei numerosi progetti è stata affidata alle associazioni del settore, sulla base di una procedura ad evidenza pubblica, e alle regioni e province autonome).
      Devo, mio malgrado, far presente che tali significative iniziative a supporto del comparto delle produzioni biologiche sono state interrotte per la completa mancanza di fondi specifici destinati allo sviluppo dei mercati e della commercializzazione dei «prodotti bio». Peraltro, è da tenere presente che il «Fondo per lo sviluppo dell'agricoltura biologica e di qualità», costituito ai sensi dell'articolo 59 della legge 23 dicembre 1999 n.  488 e successive modifiche, destinato al finanziamento di attività di ricerca in agricoltura biologica, risulta da numerosi anni estremamente ridotto a causa del mancato trasferimento di risorse, come previsto dalla legge n.  244 del 27 dicembre 2007, articolo 2, commi 615-618.
      Ciononostante, fermo restando l'impegno a ottimizzare i risultati delle iniziative in corso di svolgimento, auspico di poter rinnovare l'impegno per lo sviluppo di un settore della produzione agricola che, in assoluta controtendenza, vede in costante aumento le vendite dei relativi prodotti sinonimo, questo, di gradimento da parte del consumatore.
Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Mario Catania.


      GARAGNANI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          si fa riferimento alla situazione sempre più grave a Bologna prodotta da CIVIS per effetto dei disguidi arrecati ai cittadini ed agli operatori economici dai lavori concernenti il percorso a suo tempo definito;
          in particolare, l'ex direttore generale del comune di Bologna in un'intervista ad un quotidiano locale ha riferito di gravi anomalie ed incongruenze nelle procedure di gara d'appalto e nell'assegnazione dei lavori e del mancato controllo di ATC  –:
          per quale motivo non si chieda la risoluzione del contratto essendoci in questo momento i termini per avvalersi della clausola risolutiva contenuta nel contratto d'appalto, visto che ad oggi dopo 7 anni dalla firma del contratto avvenuto il 15 febbraio 2004 manca l'ottenimento del nulla osta di sicurezza del mezzo CIVIS;
          quali siano gli esiti ai quali sono ad oggi pervenute la direzione lavori e la commissione sicurezza circa il funzionamento della guida ottica vincolata elaborata da Irisbus spa;
          quali controlli vennero effettuati dalla stazione appaltante circa la veridicità dell'attestazione presentata da Irisbus spa al momento della presentazione della domanda di partecipazione alla gara e al momento della stipula del contratto d'appalto circa la funzionalità del sistema di guida ottica vincolata in altri ambiti territoriali  –:
          quali interventi si intendono adottare anche assumendo le opportune iniziative presso il commissario di governo, per risolvere questa situazione che sta provocando grossi problemi ai cittadini bolognesi e agli operatori economici. (4-10820)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, occorre premettere che l'effettuazione delle procedure per la realizzazione dei lavori in argomento rientra nella competenza del comune di Bologna, beneficiario del finanziamento, unitamente alle scelte funzionali, gestionali ed esecutive, proprie della stazione appaltante nella fase di affidamento dell'opera.
      Le competenze di questa amministrazione sono relative, oltre che all'assegnazione e all'erogazione dei contributi, anche allo svolgimento di tutta l'attività di verifica dei requisiti di sicurezza, sia nel corso dell'istruttoria progettuale che delle prove e verifiche finalizzate all'apertura del pubblico esercizio dell'impianto.
      Nel merito, si comunica che nel 2001 il Cipe ha assegnato al Comune di Bologna, ai fini della realizzazione di un sistema a guida vincolata nella tratta «Borgo Panigale-Centro-S.Lazzaro», un finanziamento di lire 221.376.000.000, a valere sulle risorse ex legge n.  211 del 1992, ed un ulteriore finanziamento di lire 1.058.000.000, a valere sulle risorse di cui alle leggi n.  488 del 1999 e n.  388 del 2000 (rifinanziamento della legge n.  211 del 1992), per integrare la suddetta linea con una diramazione di collegamento con la stazione ferroviaria «Caselle».
      Nel 2002, nel rispetto delle competenze sopra evidenziate, questa amministrazione ha emesso il provvedimento ministeriale con cui veniva espresso il parere tecnico-economico favorevole sull'intero intervento; nel contempo veniva rilasciato il nulla osta ai fini della sicurezza solo sul progetto dell'infrastruttura del trasporto pubblico a guida vincolata, in quanto non risultava ancora nota la tecnologia di sistema che sarebbe stata individuata a seguito di specifica gara.
      Preliminarmente all'avvio delle procedure di gara, il progetto del sistema a guida vincolata, nella sua configurazione completa, è stato sottoposto a Valutazione di Impatto Ambientale, secondo le disposizioni della legge della regione Emilia-Romagna n.  9 del 1999. Inoltre, in conformità alla legge stessa, la Giunta della provincia di Bologna, in data 17 settembre 2002, ha espresso parere favorevole, con prescrizioni, sulla valutazione di impatto ambientale del progetto del sistema di trasporto pubblico a guida vincolata, tratta Borgo Panigale-Centro-S.Lazzaro e tratta di diramazione, complessivamente denominato trasporto pubblico a guida vincolata.
      Nel 2003 il consiglio di amministrazione di ATC Trasporti Pubblici Bologna, società individuata come soggetto attuatore dal comune di Bologna, ha deliberato, a conclusione dell'espletamento della gara, l'aggiudicazione provvisoria all'ATI costituita da Irisbus ITALIA S.p.a., in qualità di mandataria, e dal consorzio cooperativo costruzioni, in qualità di mandante.
      Il sistema tecnologico proposto dall'ATI è denominato Civis ed è costituito essenzialmente da un sistema di trasporto che utilizza un veicolo di tipo filoviario, quindi con ruote in gomma, dotato di un innovativo dispositivo che consente di leggere un'apposita guida disegnata a terra, in modo da percorrere traiettorie definite, nonché un ottimale accostamento alle banchine delle fermate. Riguardo il veicolo Civis, si evidenzia che lo stesso, inteso come veicolo filoviario senza l'installazione dei dispositivi atti a consentirne l'utilizzo lungo la guida ottica, è stato oggetto di omologazione da parte dei competenti uffici di questo Ministero.
      Nel 2005 questa amministrazione, dopo aver espresso un parere di ammissibilità sulla tecnologia prescelta, ha nominato un'apposita Commissione di sicurezza, con il compito di verificare, per conto dell'Amministrazione stessa, le condizioni di sicurezza del sistema a guida ottica del Civis.
      A partire dal suo insediamento, avvenuto nel maggio del 2005, detta Commissione ha svolto un'intensa attività di esame della documentazione progettuale esecutiva e di quella relativa alla sicurezza, oltre all'effettuazione di prove sui veicoli e sul sistema lungo la tratta funzionale realizzata nel comune di San Lazzaro.
      Il 1° giugno 2011 la Commissione ha redatto una propria relazione istruttoria sui lavori svolti, evidenziando che il sistema funzionante con «guida ottica» non presenta le necessarie condizioni di sicurezza – in quanto nel sito di Bologna il tracciato si sviluppa prevalentemente su sede promiscua con altro traffico veicolare e pedonale, mentre presupposto a base dell'analisi di sicurezza predisposta dal fornitore è che la circolazione sia su corsia riservata – e che, pertanto, il veicolo non potrà utilizzare la guida ottica e dovrà essere condotto con guida manuale.
      Occorre, comunque, tener conto che le perplessità sull'uso della guida ottica erano già state esposte da questa amministrazione in sede di istruttoria preliminare.
      Resta ancora da verificare, da parte della commissione, la funzionalità del sistema a guida ottica connessa all'accostamento in banchina del veicolo.
      Per ciò che concerne gli ulteriori sviluppi, questa amministrazione, nell'ambito delle proprie competenze, dovrà successivamente esprimersi sul sistema a guida ottica, per il rilascio del nulla osta ai fini della sicurezza, al termine di tutte le attività della commissione di sicurezza e sulla scorta del parere della commissione interministeriale per le metropolitane, di cui alla legge n.  1042/1969, come integrata dall'articolo 5 della legge n.  211 del 1992.
      Qualora si determinasse l'impossibilità di utilizzare il sistema a guida ottica così come proposto dal fornitore, la decisione su un possibile utilizzo dell'impianto come filovia tradizionale o sulla risoluzione contrattuale non potrebbe essere che dell'ente locale e del soggetto attuatore ATC, cui spettano in maniera esclusiva le competenze sull'affidamento delle opere.
      In tali circostanze, a seconda della decisione assunta, questo Ministero, previo parere della competente CAV, valuterà un eventuale deprezzamento del sistema, o la revoca del finanziamento, al fine di sottoporre la proposta al Cipe per le determinazioni conclusive.
      Per opportuna completezza di informazione, si fa presente che il 14 ottobre 2011 il soggetto attuatore ATC di Bologna ha deliberato di sospendere le attività oggetto dell'appalto: la sospensione è avvenuta in data 18 ottobre 2011.
      Con nota del 20 gennaio 2012 l'ATC ha comunicato di aver contestato all'ATI, il giorno prima, tramite il direttore dei lavori, le gravi inadempienze e di aver concesso alla stessa 25 giorni dalla data di ricevimento della contestazione per presentare eventuali controdeduzioni e proporre soluzioni idonee a superare lo stato di inadempimento.
      Esaurito tale termine e valutate le controdeduzioni dell'ATI, l'ATC potrà assumere o meno la decisione di risolvere il contratto.
      Si è tuttora in attesa di conoscere gli esiti della contestazione.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Corrado Passera.


      GARAVINI e PORTA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          la condizione degli italiani residenti all'estero, sotto il profilo dei servizi amministrativi e dell'esigibilità dei diritti sociali, ha subito un obiettivo e progressivo arretramento a causa, da un lato, della contrazione della rete diplomatico-consolare e della scarsa dotazione di personale, dall'altro, della limitazione degli interventi di carattere assistenziale e previdenziale;
          a fronte di questa situazione, i patronati italiani operanti all'estero si sono sempre più caratterizzati come una struttura di vero e proprio segretariato sociale e di mediazione tra gli utenti e i diversi rami dell'amministrazione dello Stato, surrogando di fatto alcune funzioni di servizio ai cittadini, che non sempre si sono dimostrate adeguate attraverso le prestazioni dell'amministrazione pubblica;
          l'impegno dei patronati, che spesso va al di là dei loro compiti istituzionali, è apprezzato da un vasto numero di cittadini all'estero, che lo considerano essenziale per la tenuta sociale delle comunità;
          il Governo presieduto dal senatore Monti e, in particolare, alcuni suoi componenti, sulle politiche migratorie hanno dimostrato una volontà di dialogo e di apertura ad un nuovo confronto, dopo anni di chiusura e di disimpegno;
          un segnale di questo nuovo atteggiamento è costituito dal recente incontro tra il Ministro interrogato e il presidente dell'Inps Antonio Mastropasqua, nel quale si sono affrontati i temi della semplificazione delle procedure, dell'informatizzazione e della verifica delle pratiche pensionistiche, oltre che di un più attento sostegno previdenziale alle imprese straniere che intendano operare in Italia;
          l'incontro tra il Ministro e il presidente Mastropasqua, ha consentito di ipotizzare la messa a punto di un possibile accordo tra il Ministero degli affari esteri e l'Inps, volto a migliorare la gestione del sistema pensionistico degli italiani all'estero e a semplificare le procedure ad esso connesse;
          una tale ipotesi, da considerare con favore, resterebbe parziale e insufficiente se non fosse accompagnata dalla stipula della convenzione tra il Ministero degli affari esteri e i patronati, che della prima rappresenta la più importante traduzione operativa;
          tale possibilità è espressamente prevista dalla legge 30 marzo 2001, n.  152, recante «Nuova disciplina per gli istituti di Patronato e di assistenza sociale», che agli articoli 7 e 8 riconosce ai patronati italiani l'attività d'informazione e assistenza a favore anche dei residenti all'estero, e, all'articolo 11, prevede lo svolgimento di attività di supporto alle autorità diplomatiche e consolari, sulla base di apposite convenzioni con il Ministero degli affari esteri  –:
          se non ritenga opportuno arrivare al più presto alla stipula della convenzione con i patronati italiani, per consentire, alle strutture consolari di essere formalmente supportate nei loro crescenti e complessi compiti, e ai cittadini di godere di una più efficace erogazione dei servizi. (4-14861)

      Risposta. — Il progetto di Convenzione, ricordato dall'interrogante ed attualmente in fase di definizione, per «disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune» prevede, tra l'altro, l'accesso da parte dell'Inps alle informazioni aggiornate riguardo ai connazionali, nel pieno rispetto dei principi di riservatezza prescritti dal codice in materia di protezione dei dati personali. Tali informazioni, contenute nelle anagrafi consolari, relative ai decessi e alle variazioni di residenza all'estero dei propri assistiti, sono rese al fine di garantire la legittimità dei pagamenti pensionistici e dell'erogazione delle prestazioni assistenziali, collegate alla residenza sul territorio nazionale.
      Tale tipo di accordo discende da cogenti previsioni normative. Infatti l'articolo 58, comma 2 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n.  82 «codice dell'amministrazione digitale», come modificato dall'articolo 41, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 30 dicembre 2010, n.  235, stabilisce che «le amministrazioni titolari di banche dati accessibili per via telematica predispongono... apposite convenzioni aperte all'adesione di tutte le amministrazioni interessate volte a disciplinare le modalità di accesso ai dati...».
      Ancora, l'articolo 50, comma 2, dello stesso decreto legislativo, dispone che «qualunque atto trattato da una pubblica amministrazione... è reso accessibile e fruibile alle altre amministrazioni quando l'utilizzazione sia necessaria per lo svolgimento dei compiti istituzionali dell'amministrazione richiedente...».
      Infine l'articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 2011 n.  70, convertito con modificazioni nella legge 12 luglio 2011, n.  106, prevede l'attivazione di «convenzioni tra pubbliche amministrazioni per acquisire in via telematica, i dati e le informazioni personali, anche in forma disaggregata, che le stesse detengono per obblighi istituzionali per ...accertare il diritto e la misura delle prestazioni previdenziali, assistenziali e di sostegno al reddito». La stessa norma di legge aggiunge che «la mancata fornitura dei dati costituisce evento valutabile ai fini della responsabilità disciplinare e, ove ricorra, della responsabilità contabile».
      Del tutto distinto è il contesto normativo in cui si colloca e si origina la richiesta da tempo avanzata all'amministrazione degli esteri dalle organizzazioni di patronato, volta alla stipula di una convenzione per disciplinare ambiti di possibile collaborazione con gli uffici della rete diplomatico consolare.
      La legge 30 marzo 2001, n.  152, recante la nuova disciplina per gli istituti di patronato e di assistenza sociale, dopo averne definito la natura legale di «persone giuridiche di diritto privato che svolgono un servizio di pubblica utilità», si limita infatti a prevedere, all'articolo 11, che detti istituti possano svolgere, sulla base di apposite convenzioni con il Ministero degli affari esteri, attività di supporto alle autorità diplomatiche e consolari italiane, nello svolgimento di servizi non demandati per legge all'esclusiva competenza delle predette autorità.
      Per quanto attiene al personale in servizio presso gli uffici italiani consolari, preme sottolineare che – pur nell'attuale, difficile congiuntura economica – la copertura dei posti consolari rimanga oggetto della massima attenzione da parte dell'amministrazione degli esteri, consapevole del ruolo fondamentale svolto dalla rete consolare a supporto del sistema paese e delle nostre collettività all'estero.
Il Ministro degli affari esteri: Giuliomaria Terzi di Sant'Agata.


      GENOVESE, MARIANI, GRANATA, REALACCI, MARGIOTTA, BRATTI, BRAGA, MORASSUT, ANTONINO RUSSO, SIRAGUSA, SCHIRRU, TEMPESTINI, PES, SCARPETTI, BOSSA, SAMPERI, ROSATO, GOZI, SANI, FADDA, MATTESINI, BOCCIA, CARDINALE, PICCOLO, PIZZETTI, SANGA, BENAMATI, LOSACCO, PIERDOMENICO MARTINO, LOLLI, GINEFRA, CUOMO, BURTONE, OLIVERIO, GIULIETTI, GINOBLE, BELLANOVA, GASBARRA, D'ANTONI, LAGANÀ FORTUGNO, GRASSI, MARCHI, CAUSI, BERRETTA, VERINI, MARANTELLI, MURER, DI BIAGIO e PERINA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          da autorevoli fonti di stampa si è appreso che a breve «si terrà una nuova riunione del Cipe che potrebbe sbloccare una serie di opere immediatamente cantierabili e che (...) è possibile che all'ordine del giorno venga inserita anche la valutazione finale sul progetto del ponte sullo Stretto»;
          un attento esame dei documenti di progetto evidenzia gravi lacune ed apparenti inosservanze rispetto alle prescrizioni e raccomandazioni con cui il Cipe aveva a suo tempo approvato la progettazione preliminare;
          in particolare, il progetto cosiddetto «definitivo» manca di elementi affidati alla progettazione di enti terzi (progettazione dello scalo ferroviario sul lato-Sicilia, raccordo con la rete ferroviaria sul lato-Calabria, raddoppio della carreggiata per il collegamento tra la rete autostradale siciliana); evidenzia carenze di indagine sismica, apertamente dichiarate dalla stessa «Relazione Geologica Generale» nella quale si legge che: «per descrivere le strutture tettoniche presenti nello Stretto» ci si è basati «sui dati del progetto preliminare, in quanto non sono disponibili elementi nuovi», concludendo che: «in sede di Progetto Esecutivo sarebbe auspicabile che si aggiornassero i profili sismici del progetto preliminare ed acquisire dati aggiornati delle aree marine» (Doc. PB0004–FO, pag. 63);
          lo stesso progetto mostra, sempre in relazione al profilo sismico, «lacune a livello di ricerche sul campo e/o interpretazione dei dati» e risulta non cartografata «una faglia che, se attiva, va ad incidere direttamente sulle fondamenta dei piloni o nelle sue immediate prossimità» (Osservazioni delle Associazioni ambientaliste al Progetto Definitivo, 27 novembre 2011, pag. 168);
          non risulta prodotta nuova via in relazione alle importanti variazioni del manufatto principale, del quale sono stati modificati posizionamento, altezza, peso;
          il progetto sopra citato non risponde in maniera soddisfacente alla raccomandazione n.  1 del CIPE ed ai rilievi della Corte dei conti in materia di aggiornamento dei flussi di traffico; il modello trasportistico utilizzato nella apposita «relazione» (Doc. G0322–F0), infatti, appare di dubbia affidabilità ed è molto probabile che mantenga elevati livelli di sovrastima dei passaggi, dato che: considera per un periodo di tempo molto lungo (oltre 30 anni) una sola variabile (la crescita del Pil) come determinante del volume di traffico, trascurando del tutto altre variabili strutturali (ad esempio, la dinamica demografica della popolazione, la dinamica del «parco-automezzi») la cui tendenza stazionaria riduce l'impatto del Pil sulla domanda di trasporto; non tiene conto nell'analisi di previsione del costante calo di passeggeri
in attraversamento sullo Stretto di Messina negli ultimi 15 anni, pur debitamente descritto nell'apposito paragrafo; sussistono notevoli incertezze in relazione sia alla natura statistica che al valore dei parametri utilizzati per convertire la crescita del Pil in variazione dei passaggi sul ponte (parametri che lo studio applica al loro livello massimo);
          dopo aver proceduto a stime di breve e di lungo periodo del Pil per la Sicilia e l'Italia, lo studio sostanzialmente raddoppia i tassi di crescita di Sicilia e Calabria per un periodo di 12 anni (6 precedenti e 6 seguenti l'avvio dell'esercizio del ponte), senza esporre le ragioni e gli sviluppi analitici di tali effetti e menzionando solo un oscuro effetto «trascinamento»;
          in relazione all'evoluzione attesa della domanda di passaggi da/per la Sicilia, il progetto definitivo prevede già dall'anno 2011 una brusca impennata, lontana sia dal trend storico che dalla realtà attuale;
          lo stesso studio ipotizza che l'esistenza del ponte modificherà le preferenze modali dei passeggeri da/per la Sicilia, riducendo in maniera significativa la percentuale di domanda rivolta al mezzo aereo ed incrementando fortemente la domanda di uso dei mezzi gommati, basando tali previsioni su indagini prevalentemente telefoniche, poco adatte a rilevare preferenze relative a scenari ipotetici complessi, quale quello determinato dall'eventuale esistenza del ponte;
          le previsioni non tengono conto del rischio di chiusura dell'opera per alcuni giorni l'anno a causa dei venti;
          ad esito di tali «forzature», vengono offerte previsioni di utilizzo del ponte in linea con gli scenari intermedi del progetto preliminare le quali, non finalizzate ad analisi costi-benefici, non offrono alcun elemento di valutazione per la sostenibilità economica e finanziaria dell'opera;
          nell'analisi costi-benefici del progetto preliminare, gli scenari fondati sugli stessi livelli di attraversamento generavano valori attuali negativi quando si simulava un incremento del costo dell'opera del 15 per cento. Poiché tale costo è passato da 4,4 ad 8,5 miliardi di euro, crescendo del 93 per cento (ovvero del 39 per cento, se si considera l'importo messo a base della gara al lordo degli oneri di interessi), non risulta credibile che l'opera sia economicamente e finanziariamente sostenibile;
          risulta non conclusa la procedura di via del Ministero dell'ambiente in relazione allo stesso progetto;
          nel settembre 2009 è intervenuto tra Stretto di Messina spa contraente generale un accordo che ha alterato ex-post in maniera sostanziale alcuni requisiti e condizioni posti a base della gara e dichiarati a suo tempo non negoziabili dallo stesso amministratore delegato della società concessionaria (risposta del dottor Pietro Ciucci alla Senatrice Anna Donato del 21 dicembre 2005, prot. n.  1899); in particolare, nella citata risposta il dottor Ciucci aveva affermato che: «La disciplina dei rapporti tra la Concessionaria ed il Contraente Generale dell'opera non è stata né dovrà costituire oggetto di una puntuale negoziazione tra le parti» perché l'articolato del contratto «è stato inviato ai tre raggruppamenti ammessi a concorrere per l'affidamento con gli altri documenti di gara». In risposta a ciò, i concorrenti hanno dovuto fornire «a pena di esclusione, la formale attestazione “di aver verificato e di accettare senza condizioni in riserva alcuna tutte le norme, disposizioni, clausole e condizioni di cui... allo schema di contratto e suoi allegati,... avendo di ciò tenuto conto nel formulare la propria offerta«». Ancora nello stesso documento Ciucci chiariva che: «il contratto consisterà nello schema anzidetto con il solo inserimento dei contenuti economici dell'offerta accolta»; inoltre, in merito alle penali, richiamando lo schema di contratto, veniva chiarito che dopo l'approvazione del progetto definitivo da parte del Cipe, qualora la società Stretto di Messina non avesse approvato il progetto esecutivo o non avesse avviato i cantieri, il contratto avrebbe potuto essere unilateralmente risolto riconoscendo al contraente generale «le prestazioni regolarmente effettuate, il rimborso delle spese sostenute se documentate e ritenute congrue, nonché una ulteriore somma pari al 10 per cento dell'importo predetto» (Articolo 44 del contratto);
          in contrasto con tali affermazioni l'accordo intervenuto nel settembre 2009, all'articolo 3 ed all'articolo 5: ha ridotto dal 15 per cento (percentuale contenuta nell'offerta accolta) al 10 per cento l'importo di «prefinanziamento a carico del contraente generale, prevedendo la possibilità di una ulteriore riduzione fino al limite minimo del 5 per cento (il limite minimo previsto nel bando era fissato alla percentuale doppia del 10 per cento) (articolo 3); ha previsto che, a seguito dell'approvazione del progetto definitivo da parte del Cipe, la mancata approvazione del progetto esecutivo da parte di società Stretto di Messina o il mancato avvio dei cantieri obblighino a riconoscere «ad Eurolink il pagamento delle prestazioni rese e delle spese sino a quel momento sostenute come previste all'articolo 44.4 del Contratto senza alcuna maggiorazione ed incluse quelle precedenti alla stipula del presente atto, nonché di quelle da sostenere per la smobilitazione delle attività, oltre a un indennizzo per la perdita del contratto nella misura del 5 per cento dell'importo risultante dal progetto definitivo diminuito di un quinto» (articolo 5);
          tale accordo stravolge le clausole del contratto, favorendo il Contraente generale e danneggiando la parte pubblica, determinando fin dall'approvazione del progetto definitivo un ipotetico diritto a penali di importo elevatissimo, in aperta contraddizione a quanto ufficialmente dichiarato dall'amministratore delegato della società concessionaria;
          il Presidente del Consiglio ha correttamente sostenuto la necessità di «procedere ad una verifica puntuale delle opere» (Sole 24 ore, 27 dicembre 2011) da valutare, ma occorre altresì considerare i fondati dubbi sulle reali caratteristiche di «definitività» del progetto del ponte sullo Stretto di Messina, le carenze documentali, le inadeguatezze analitiche, la reiterata inaffidabilità delle stime di traffico, la conseguente probabile insostenibilità finanziaria dell'opera, il non completamento della procedura di via, l'assenza della valutazione di incidenza richiesta dalla Comunità europea, la non corretta considerazione dei vincoli paesaggistici e di quelli idrogeologici, l'esclusione del progetto dal core network dei dieci corridoi delle Reti transeuropee di trasporto (TEN-T) dell'Unione europea, nonché l'intervenuta alterazione a posteriori di condizioni e clausole che costituivano parte integrante del bando di gara per l'individuazione del contraente generale  –:
          se non ritenga opportuno:
              a) adoperarsi affinché il CIPE consideri – secondo quanto previsto dal Contratto – il progetto definitivo del ponte, a proprio insindacabile giudizio, meritevole di approvazione senza che il Contraente Generale possa avanzare richieste per il riconoscimento di maggiori compensi;
              b) valutare in maniera approfondita la legittimità dell'accordo sottoscritto nel settembre 2009 tra la società concessionaria ed il contraente generale;
              c) considerare in maniera meditata l'adeguatezza degli attuali organi di amministrazione della società Stretto di Messina spa, titolare di una concessione dello Stato, ai fini della tutela dell'interesse pubblico, promuovendone eventualmente la rimozione;
          valutare altresì l'utilità (ove venisse rescisso il contratto con il contraente generale) della esistenza stessa della società Stretto di Messina spa, promuovendone eventualmente lo scioglimento. (4-14821)

      Risposta. Gli interroganti con l'interrogazione in esame paventano – nelle premesse – il rischio che il Cipe possa inserire all'ordine del giorno la valutazione finale sul progetto del ponte sullo Stretto di Messina, pur in presenza, secondo gli interroganti, «di gravi lacune ed apparenti inosservanze rispetto alle prescrizioni e raccomandazioni con cui il Cipe aveva a suo tempo approvato la progettazione preliminare». Sollevano alcune critiche che investono l'effettiva definitività del progetto, tanto per la carenza di indagini sismiche quanto per il mancato aggiornamento dei flussi di traffico preventivabile, elemento questo ultimo che condiziona la sostenibilità economica e finanziaria dell'opera, tenuto anche conto del lievitare dei costi dell'intervento complessivo. Gli interroganti inoltre, sempre nelle premesse, rappresentano ulteriori criticità concernenti la procedura di valutazione di impatto ambientale ancora in corso e il nuovo accordo raggiunto nel 2009 dalla società Stretto di Messina con il contraente generale, che avrebbe alterato alcuni requisiti e condizioni posti a base della gara.
      Ciò posto, chiedono al Governo di intervenire affinché il Cipe non riconosca maggiori compensi al contraente generale, nonché di valutare con attenzione la legittimità dell'accordo del 2009 e di approfondire l'adeguatezza degli organi di amministrazione della società Stretto di Messina e persino la stessa utilità di detta società.
      Al riguardo, in base alle informazioni trasmesse dai Ministeri delle infrastrutture e dei trasporti e dell'ambiente, nonché dal dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei ministri, si ritiene necessario fornire i seguenti elementi relativi alle questioni più rilevanti.

1.  Sullo stato del progetto e sulle indagini sismiche.

      Con riferimento alle gravi lacune che minerebbero, a confronto con quello preliminare, il progetto definitivo elaborato dal Contraente generale, si osserva che per la sua elaborazione sono stati seguiti elevati standard di qualità a livello internazionale, avvalendosi dell'opera di primari esperti, progettisti, società di ingegneria e università. Se ne elencano alcuni: Cowi A/S (Danimarca), Buckland & Taylor Ltd. (Canada), Sund & Baelt A/S (Danimarca), studio Daniel Libeskind, dipartimento scienza della terra dell'università La Sapienza di Roma, Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, dipartimento di ingegneria meccanica dell'università degli studi di Tor Vergata di Roma.
      Il progetto definitivo è stato approvato dalla società Stretto di Messina – concessionaria del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per la progettazione, realizzazione e gestione del ponte sullo Stretto di Messina – a valle di un iter di verifica sviluppato in 5 diversi livelli di validazione: Project management consultant (Pmc), soggetto validatore, comitato scientifico, Expert panel e Stretto di Messina. Il Pmc in particolare ha svolto per l'opera principale un controllo tecnico indipendente con la completa progettazione del ponte utilizzando mezzi, strumenti e tecnologie diversi e autonomi rispetto a quelli usati dal contraente generale.
      Riguardo alle ipotizzate carenze di indagine sismica, si osserva che nell'ambito del progetto definitivo è stata redatta una relazione che fa particolare riferimento alla prescrizione n.  5 della delibera del Cipe 1o agosto 2003 che prevedeva l'aggiornamento del quadro geosismotettonico dell'area dello Stretto di Messina. Tale relazione è stata prodotta da specialisti del dipartimento di scienze della terra dell'università di Roma «La Sapienza» e dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) esperti nei diversi ambiti disciplinari interessati: geologia marina, geologia strutturale e Quaternario, geodesia, geodinamica e sismologia. La relazione, in sostanza, aggiorna lo stato delle conoscenze in tale ambito al 2010, tenendo conto dei risultati scientifici acquisiti in materia dopo il 2003.

2.  Sui costi e sulle coperture dell'opera.

      Con riferimento al costo dell'opera, il Ministero delle infrastrutture ha fornito le seguenti specifiche, che possono contribuire a fare maggiore chiarezza sul valore complessivo dell'intera opera.
      Nel 2003 il costo di costruzione del ponte sullo Stretto di Messina a valori costanti (2003) era stato stimato in 4,6 miliardi di euro comprendenti: a) le attività del contraente generale, per un valore di 4,4 miliardi di euro, ridotte a 3,9 miliardi di euro per effetto del ribasso offerto in gara; b) le attività del Project management consultant – per un valore di 150 milioni di euro, ridotte a 120 milioni per effetto del ribasso offerto in gara; c) le attività del monitoraggio ambientale per un valore di 37 milioni di euro, ridotte a 29 milioni di euro per effetto del ribasso offerto in gara.
      Il fabbisogno complessivo, tenuto conto dell'inflazione e degli oneri finanziari nel periodo di costruzione, era stato peraltro stimato già nel 2003 in 6,1 miliardi di euro. Il Piano economico finanziario allegato alla convenzione stipulata nel dicembre del 2003 prevedeva la copertura del fabbisogno complessivo per il 40 per cento mediante l'apporto di nuovo capitale sociale e per il restante 60 per cento tramite finanziamenti da reperire sui mercati internazionali dei capitali secondo lo schema tipico del project financing.
      Quando, dopo la sospensione avvenuta nel biennio 2006-2008 per gli effetti di una risoluzione approvata dalla Camera dei deputati che aveva procrastinato la realizzazione dell'opera, nel maggio 2008 il nuovo Governo ha invitato la società Stretto di Messina a riprendere le attività necessarie alla realizzazione del ponte, si è reso necessario l'aggiornamento tanto dei contratti stipulati nei primi mesi del 2006 dalla stessa società SdM con il contraente generale, il Project management consultant, il Monitore ambientale; quanto della stessa convenzione tra la società Stretto di Messina e, quale soggetto concedente, il Ministero delle infrastrutture, e del relativo piano finanziario.
      In particolare, il Piano economico finanziario, allegato alla convenzione approvata il 22 dicembre 2009 con legge n.  191 del 2009 (finanziaria 2010), ha stimato il fabbisogno complessivo dell'investimento, comprensivo del costo dei lavori, delle attività di Project management consulting e monitoraggio ambientale, dei costi generali, degli oneri finanziari nel periodo di costruzione e degli adeguamenti conseguenti all'inflazione, in circa 6,3 miliardi di euro.
      In questo nuovo Piano economico finanziario, la quota posta a carico dello Stato, stimata sempre in misura pari al 40 per cento dell'opera, è risultata così articolata:
          306 milioni di euro per l'aumento di capitale di SdM già posto in esecuzione a partire dal 2003 e interamente versati;
          900 milioni di euro per un ulteriore aumento di capitale, approvato dagli azionisti della società nel dicembre 2009. A tale riguardo si evidenzia che a copertura degli impegni assunti da Anas e Rfi – principali azionisti della SdM – sono state assegnate risorse per complessivi 800 milioni di euro (470 milioni ad Anas ex legge 23 dicembre 2009 n.  191; 213 milioni ad Anas – fondi Fas – ex delibera Cipe 121 del 2009; 117 milioni a RFI – fondi per le aree sottoutilizzate ex delibera Cipe 121 del 2009) e che la Regione Siciliana si è impegnata a sottoscrivere tale aumento per un importo massimo di 100 milioni di euro;
          1.300 milioni di euro di contributi conto impianti – fondi Fas – ex disegno di legge n.  78 del 2009 convertito in legge 3 agosto 2009, n.  102. Tali fondi, sostitutivi delle risorse a suo tempo previste a carico dell’ex azionista Fintecna, sono stati ripartiti nella delibera Cipe n.  102 del 2009, prevedendo l'erogazione di 12,7 milioni di euro, con un residuo di 1.287,3 milioni (cfr. punto 6).

      In seguito, lo sviluppo del progetto, con il passaggio dal preliminare al definitivo, a fronte delle richieste degli enti locali interessati, meritevoli di accoglimento, nonché delle sopravvenute norme tecniche, ha visto l'introduzione di varianti e nuove opere quali:
          a) una variante ferroviaria che prevede lo spostamento della nuova stazione di Messina da Maregrosso a Gazzi ed il conseguente allungamento dei collegamenti ferroviari;
          b) tre fermate ferroviarie in sotterraneo per la realizzazione di un sistema metropolitano interregionale tra Messina e Reggio Calabria;
          c) lo spostamento a monte del tracciato autostradale lato Sicilia in corrispondenza degli impianti sportivi della città universitaria in località Annunziata;
          d) la nuova area direzionale (lato Calabria).

      Di conseguenza, il nuovo quadro economico dell'intervento nel suo complesso – aggiornato dalla società Stretto di Messina in occasione dell'approvazione del progetto definitivo nel luglio del 2011 – comprensivo anche degli oneri finanziari, stima il costo dell'investimento in 8,5 miliardi di euro. Sempre in tale periodo (luglio 2011) la società ha quindi aggiornato anche l'analisi di fattibilità finanziaria del progetto per tener conto del nuovo quadro economico, del cronoprogramma dei lavori, nonché delle condizioni dei mercati finanziari. In esito alle analisi effettuate, la società ha stimato in via preliminare di poter confermare nella sostanza lo schema di finanziamento del progetto alla base dell'attuale piano di convenzione del 2009.

3.  Sull'aggiornamento dei flussi di traffico ai fini della sostenibilità dell'opera.

      In attuazione anche della raccomandazione n.  1 con cui il Cipe aveva approvato il progetto preliminare nell'agosto 2003, la società Stretto di Messina ha monitorato il fenomeno della mobilità tra la Sicilia e il Continente mediante il reperimento di dati dalle fonti ufficiali e l'esecuzione di indagini dirette che hanno riguardato, ad esempio, la realizzazione di:
          un monitoraggio, integrale e continuativo, del traffico veicolare stradale che attraversa lo Stretto di Messina, per un periodo di 365 giorni;
          rilievi campionari mediante 21 giorni di interviste effettuate nell'arco delle 24 ore agli utenti del sistema dei trasporti siciliano (circa 40.000 interviste dirette presso i terminali di traghettamento sulle due sponde e presso 5 stazioni ferroviarie, 2 aeroporti e 7 porti dell'isola);
          circa 10.000 interviste telefoniche nelle province di Messina e Reggio Calabria;
          il reperimento di dati ufficiali presso le aziende di trasporto, le compagnie di navigazione, gli enti pubblici preposti alla sorveglianza dei traffici e gli istituti di statistica, ricostruendo l'andamento pregresso dei traffici per un ampio periodo storico (1995-2010).

4.  Sulla procedura di VIA.
      Con riferimento alla procedura di valutazione di impatto ambientale, il Ministero dell'ambiente ha fornito i seguenti chiarimenti:
          procedura speciale di valutazione di impatto ambientale, ex articoli 166 e 167, comma 5, del decreto legislativo 163 del 2006 e successive modificazioni, sulle varianti apportate al progetto preliminare richieste dagli enti locali, già sottoposto alla procedura di valutazione di impatto ambientale ed approvato con la delibera Cipe n.  66 del 1o agosto 2003: allo stato l’iter è in corso. Peraltro, a seguito della richiesta di integrazioni da parte della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale Via/Vas e della proroga di 90 giorni concessa allo stretto di Messina per produrre la documentazione richiesta, è stato differito il termine per il rilascio del parere;
          procedura di verifica di ottemperanza del progetto definitivo, ex articoli 166 e 185, comma 4 e 5, del decreto legislativo 163 del 2006 e successive modificazioni, alle prescrizioni impartite con la valutazione di impatto ambientale precedentemente svolta sul progetto preliminare e recepite nella delibera sopra citata: allo stato l’iter è in corso e le valutazioni sull'ottemperanza sarà inserita nel rilasciando parere sulla valutazione di impatto ambientale.

5.  Sui rapporti contrattuali già avviati da SdM.
          Con riferimento ai rapporti contrattuali già sorti, la documentazione in-inviata dai ministeri competenti mostra che:
          come già ricordato, nel mese di ottobre 2006 una risoluzione approvata dalla Camera dei deputati non aveva considerato più il ponte sullo stretto quale opera prioritaria, procrastinandone la realizzazione. A seguito di tale indirizzo, con decreto-legge n.  26 del 2006, convertito nella legge 286 del 2006 e successivamente modificato con la legge 296 del 2006, le risorse destinate alla ricapitalizzazione della società dello stretto di Messina per finanziare la realizzazione del ponte erano state destinate ad altre finalità. Tutto ciò ha determinato, da parte della società stretto di Messina la mancata adozione dell'ordine d'inizio delle attività contrattuali e da parte di Eurolink e Parsons Tasportation Group (rispettivamente il contraente generale e il project management consultant) l'iscrizione di riserve per il ristoro degli oneri e dei danni ad essi derivati.
          Il successivo Governo insediatosi nel maggio del 2008, mentre sollecitava la società stretto di Messina a porre in essere le condizioni per la ripresa delle attività inerenti la costruzione del ponte sullo stretto di Messina (lettera del 27 maggio 2008 dell'allora Ministro delle infrastrutture e dei trasporti), nel luglio 2009 ha nuovamente conferito al ponte sullo stretto il carattere di opera prioritaria, inserendolo nell'allegato infrastrutture al documento di programmazione economico-finanziaria 2009-2011; ne è scaturita la previsione normativa contenuta nell'articolo 4 comma 4-quater del decreto-legge n.  78 del 2009, già citato, con la quale è stato nominato un commissario straordinario «per rimuovere gli ostacoli frapposti al riavvio delle attività, anche mediante l'adeguamento di contratti stipulati con il contraente generale e con la società affidataria dei servizi di controllo e verifica della progettazione definitiva, esecutiva e della realizzazione dell'opera, e la conseguente approvazione di eventuali modifiche al piano economico-finanziario».
          Per la definizione delle questioni controverse sorte a seguito del rinvio della realizzazione dell'opera sono stati sottoscritti dallo stretto di Messina due accordi con Eurolink e con Parsons trasportation Group. Tali intese sono state approvate dal commissario straordinario, Pietro Cucci, nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 agosto 2009 (ex decreto-legge n.  78 del 1° luglio 2009), con il compito di rimuovere gli ostacoli esistenti al concreto riavvio delle attività. Nella seduta del 6 novembre 2009, il Cipe ha preso atto della relazione del Commissario straordinario relativa alla rimozione dei predetti ostacoli al riavvio delle attività di realizzazione del ponte.
          In particolare, l'accordo con il contraente generale ha previsto nuovi termini per la consegna del progetto definitivo completo dell'opera e le modalità di aggiornamento del prezzo contrattuale. Inoltre, in considerazione delle alterazioni delle condizioni di finanziamento dell'opera, per effetto della nuova congiuntura finanziaria determinatasi durante il periodo di sospensione dei lavori, la percentuale di prefinanziamento dell'opera a carico del contraente generale è stata rideterminata nel 10 per cento, con la possibilità di scendere non oltre il 5 per cento al momento dell'ordine di inizio attività della fase realizzativa, in considerazione anche del quadro normativo e finanziario risultante a tale data.
          In relazione al tempo trascorso dalla sottoscrizione, alle diverse attività da svolgersi e agli accordi intervenuti con le imprese coinvolte nel processo di riavvio e realizzazione dell'opera, si è proceduto all'adeguamento del rapporto di concessione. Il 30 novembre 2009 è stata stipulata la convenzione aggiornata, comprendente il piano finanziario, tra il Ministero delle infrastrutture e la società stretto di Messina, approvata il 22 dicembre 2009, con l'articolo 2, comma 205 legge n.  191 del 2009 (legge finanziaria 2010).

6.  Sulla natura dell'intervento ai sensi dell'articolo 33, comma 3, legge n.  183 del 2011.

      Le riduzioni agli stanziamenti di bilancio del Fondo per lo sviluppo e la coesione disposte ai sensi del decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98 convertito, con modificazioni, con la legge 15 luglio 2011, n.  111 e del decreto-legge 13 agosto 2011, n.  138 convertito, con modificazioni, con la legge 14 settembre 2011, n.  148, pari complessivamente a 10,4 miliardi di euro hanno riguardato anche le coperture finanziarie già assentite a favore del ponte per un importo pari a 1.617,3 milioni di euro.

      Al fine di compensare una parte di questi tagli, l'articolo 33, comma 3, della legge 12 novembre 2011, n.  183 (legge di stabilità per il 2012), di iniziativa sempre del precedente Governo, ha assegnato al Fondo per lo sviluppo e la coesione (Fsc) una dotazione finanziaria di 2.800 milioni per l'anno 2015 per il periodo di programmazione 2014-2020, da destinare prioritariamente alla prosecuzione di interventi indifferibili infrastrutturali, nonché per la messa in sicurezza di edifici scolastici, per l'edilizia sanitaria, per il dissesto idrogeologico e per interventi a favore delle imprese sulla base di titoli giuridici perfezionati alla data del 30 settembre 2011, già previsti nell'ambito dei programmi nazionali per il periodo 2007-2013.
      Secondo la procedura prevista dalla citata norma, sono stati adottati i decreti interministeriali del 5 dicembre 2011 e 19 gennaio 2012 e le delibere del CIPE del 6 dicembre 2011 e 20 gennaio 2012, con i quali sono stati rispettivamente individuati gli interventi e disposte le assegnazioni di risorse a favore di opere indifferibili a valere sui predetti 2.800 milioni di euro.
      Alla data di adozione dei citati provvedimenti, non è stato ritenuto un intervento indifferibile da includere tra le opere destinatarie delle predette assegnazioni del FSC, in considerazione del fatto che la procedura di impatto ambientale era ed è ancora in corso (confrontare punto 4) mentre sono anche in corso le verifiche di fattibilità finanziaria, anche al fine di definire il finanziamento privato.
Il Ministro per la coesione territoriale: Fabrizio Barca.


      GIRLANDA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          con gli atti di sindacato ispettivo n.  4-08569 e n.  4-10780 l'interrogante avevo chiesto di conoscere quale fosse lo stato delle iniziative sul piano diplomatico e giuridico con i Governi delle Repubbliche di Slovenia e Croazia in relazione alla restituzione dei beni espropriati ai cittadini italiani a seguito delle leggi di nazionalizzazione jugoslave nel dopoguerra;
          si ribadisce quanto esposto nei due atti di sindacato ispettivo sopra citati in relazione al problema delle restituzione dei beni confiscati ai nostri connazionali, prendendo atto delle risposte fornite dal precedente esecutivo;
          l'avvicinarsi del «Giorno del Ricordo» del 10 febbraio impone tuttavia una particolare attenzione al tema dei diritti degli italiani che dovettero affrontare l'esodo dalle terre italiane della Venezia Giulia e della Dalmazia, nonché degli eredi delle migliaia di morti infoibati  –:
          se vi siano state evoluzioni nelle iniziative volte a tutelare le legittime rivendicazioni dei nostri connazionali a livello giuridico e diplomatico con le autorità slovene e croate;
          come il Ministro intenda agire su questo fronte. (4-14452)

      Risposta. — Il Governo annette grande rilievo alla questione della restituzione dei beni espropriati a cittadini italiani in Slovenia e Croazia a seguito delle leggi locali di nazionalizzazione. Si intende dunque riprendere tempestivamente tale questione con il nuovo esecutivo croato e il costituendo esecutivo sloveno scaturiti dalle elezioni legislative del 4 dicembre 2011.
      Relativamente agli indennizzi per i casi regolati da accordi internazionali, come noto, l'accordo di Roma del 1983 ha stabilito definitivamente tutte le obbligazioni reciproche tra Italia e repubblica socialista federale di Jugoslavia, prevedendo: a) la definitiva acquisizione a favore della Jugoslavia dei beni nazionalizzati nella zona B del territorio libero di Trieste (TLT); b) il pagamento da parte jugoslava all'Italia di un indennizzo forfettario di 110 milioni di dollari Stati Uniti d'America da corrispondere in 10 annualità a partire dal 1990.
      La Jugoslavia provvide a versare solo le prime due annualità per un importo di 17 milioni di dollari Stati Uniti d'America. A seguito della dissoluzione della Jugoslavia, Slovenia e Croazia concordarono tra loro (senza il coinvolgimento dell'Italia) la ripartizione della somma rimanente, per il 62 per cento (57,7 milioni di dollari Stati Uniti d'America) a carico della Slovenia che ha depositato la somma su un conto estero, per il 38 per cento (35,3 milioni di dollari Stati Uniti d'America) a carico della Croazia che ha accantonato la somma nel bilancio dello Stato.
      Relativamente agli indennizzi per casi non regolati da accordi internazionali, una sentenza della corte suprema croata dell'agosto 2010 ha riconosciuto anche agli stranieri il diritto al risarcimento, prevedendo di fatto la possibilità per coloro che ne erano stati esclusi di poter ripresentare la domanda.
      Tale sentenza ha permesso pertanto di superare quanto previsto da una legge del 1996 che attribuiva ai soli cittadini croati di diritto di richiedere il risarcimento.
      Il precedente Governo croato, al fine di adeguare l'ordinamento alla più avanzata sentenza della corte suprema, aveva anche presentato, nella scorsa legislatura, un emendamento alla legge del 1996, approvato in prima lettura dal Parlamento, che prevede la riapertura dei termini di presentazione delle domande da parte degli stranieri che non lo avevano fatto o la cui domanda era stata in passato respinta sulla base del principio della nazionalità.
      Già sulla base della sentenza del 2010 è stata data la possibilità, a numerosi cittadini italiani, di presentare domanda di risarcimento.
      La modifica della legge del 1996 costituirà così una ulteriore garanzia in questo senso, anche dopo l'ingresso della Croazia nell'Unione europea, il cui trattato è stato ratificato dal Parlamento italiano.
      Anche a seguito dei tempestivi contatti avviati dal Ministro Terzi con l'omologa croata Pusic, la nostra ambasciata a Zagabria si è attivata in queste settimane per sensibilizzare al massimo livello i titolari dei competenti Dicasteri croati insediatisi col nuovo esecutivo croato, affinché venga data piena attuazione al principio di piena parità di trattamento fra cittadini croati e cittadini stranieri per poter beneficiare della legge sulla denazionalizzazione del 1996. Si ritiene altresì opportuno chiedere il rapido esame delle 1034 domande già presentate dal 2002 e sollecitare l'approvazione definitiva in Parlamento dell'emendamento che riapre i termini di presentazione delle domande.
      Le nostre ambasciate e i nostri uffici consolari in Croazia e in Slovenia non mancano altresì di seguire con la massima cura le singole istanze dei nostri connazionali, ai quali viene fornita assistenza sia per quanto concerne il quadro normativo locale in materia, sia, ove richiesto e necessario, per l'assistenza legale in loco.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Marta Dassù.


      GIULIETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 17 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 (cosiddetto «Salva Italia»), ha previsto l'obbligo per le imprese e le società di indicare il numero di abbonamento speciale alla radio o alla televisione nel modello di dichiarazione dei redditi;
          a seguito dell'entrata in vigore di tale disposizione, la RAI-Radiotelevisione Italiana spa ha provveduto ad inviare indistintamente a diversi soggetti (imprese, società, studi professionali, e altri) il bollettino postale per provvedere al pagamento dell'abbonamento speciale, specificando che lo stesso è dovuto, oltre che per il possesso di un apparecchio televisivo, anche in presenza di computer con collegamento a alla rete internet, in quanto strumento «atto o adattabile alla ricezione delle radioaudizioni» (articolo 1, del regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n.  246);
          il canone speciale Rai deve essere corrisposto nel caso di attività commerciali, a scopo di lucro diretto o indiretto (decreto legislativo lgt 21 dicembre 1944, n.  458) e a prescindere dall'utilizzo effettivo dello strumento;
          l'obbligo del pagamento è stato affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n.  184 del 2002, con la quale la Consulta stabilisce la natura di tributo del canone, facendo discendere la sua obbligatorietà dal possesso stesso dello strumento: «...il collegamento dell'obbligo di pagare il canone alla semplice detenzione dell'apparecchio, atto o adattabile alla ricezione anche solo di trasmissioni via cavo o provenienti dall'estero (...), indipendentemente dalla possibilità e dalla volontà di fruire dei programmi della concessionaria del servizio pubblico, discende dalla natura di imposta impressa al canone... »;
          anche la Corte di Cassazione a sezioni unite ha ribadito che il canone di abbonamento radiotelevisivo «non trova la sua ragione nell'esistenza di uno specifico rapporto contrattuale che le leghi il contribuente, da un lato, e l'ente Rai dall'altro (...), ma si tratta di una prestazione tributaria, fondata sulla legge» (sentenza n.  24010 del 20 novembre 2007);
          la giurisprudenza ha fornito chiarimenti circa l'obbligatorietà della corresponsione del canone speciale, ma non ha risolto i dubbi interpretativi circa la legittimità della richiesta in relazione al possesso di strumenti che l'evoluzione della tecnologia ha reso atti o adattabili alla trasmissione dei programmi televisivi (computer, videofonini, apparecchi modem e altro), né circa l'opportunità del pagamento, qualora tali strumenti non fossero utilizzati a scopo di intrattenimento, ma perché funzionali all'attività di impresa;
          già nel 2008, l'Agenzia delle entrate, sollecitata da una associazione di consumatori che chiedeva di specificare la tipologia di strumenti per l'utilizzo dei quali il pagamento del canone speciale Rai fosse dovuto, con propria risoluzione n.  102 del 19 marzo 2008 ha confermato la debenza del pagamento, ma si è dichiarata incompetente a risolvere la questione, in quanto l'individuazione specifica degli apparecchi avrebbe dovuto essere determinata dal Ministero delle comunicazioni (oggi la competenza in materia è del Ministero dello sviluppo economico). L'Agenzia ha successivamente provveduto ad inoltrare la richiesta all'amministrazione competente, senza tuttavia ottenere risposta;
          l'introduzione dell'articolo 17 del decreto-legge «Salva Italia» è finalizzato all'emersione delle situazioni illegittime in cui i soggetti si sono sottratti al pagamento del dovuto, ma, in assenza della determinazione di cui sopra, obbliga al pagamento del canone speciale anche i soggetti che utilizzano gli apparecchi informatici ai fini dell'attività professionale o di impresa. In merito si ricorda che, in taluni casi, i soggetti economici si sono dotati di tali apparecchiature proprio per assolvere ad obblighi normativi, quali l'adozione della posta elettronica certificata o l'obbligo di comunicazione per via telematica tra imprese e pubblica amministrazione;
          in ragione delle difficile situazione economica, le richieste di pagamento avanzate dalla RAI alle imprese e società, in relazione all'uso di strumenti non tassativamente individuati ed a prescindere dall'effettivo uso che viene fatto di questi, appare un ulteriore ed ingiustificato aggravio a carico delle imprese  –:
          in che modo e con quale tempistica il Governo intenda procedere all'individuazione degli strumenti per l'utilizzo dei quali si debba corrispondere il pagamento del canone speciale Rai;
          attraverso quali iniziative il Governo, nelle more dell'adozione degli atti successivi necessari alla risoluzione della questione, intenda sospendere gli effetti delle richieste di pagamento inviate dalla RAI-Radiotelevisione Italiana spa per la corresponsione del canone speciale di abbonamento e, conseguentemente, l'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 17 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazione dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214. (4-15099)

      Risposta. — Risale all'articolo 1 del regio-decreto n.  246 del 1938 l'obbligo del pagamento del canone di abbonamento per tutti gli «apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni».
      La questione sollevata nei giorni scorsi e ripresa dagli interroganti – su quali debbano essere gli apparecchi soggetti al pagamento dei canoni speciali della Rai – ha reso necessario un celere chiarimento.
      Per questa ragione il Ministero dello sviluppo economico ha già provveduto a fornire all'agenzia delle entrate elementi esplicativi in merito.

      La questione sta in questi termini.
      La normativa in esame porta a riferire il pagamento del canone solo al servizio di radiodiffusione. Pertanto, non è possibile includere altre forme di distribuzione del segnale audio/video (per esempio Web Radio, Web Tv) che sono basate, come dicono i tecnici, su portanti fisici diversi.
      In linea generale sono, quindi, esclusi i personal computer, fissi o portatili, i tablet (come gli iPad) e gli smartphone, cioè gli strumenti suscettibili, di per sé, di connessione alla rete internet.
      È però necessario, per essere più chiari, qualche ulteriore specificazione tecnica. In altre parole, dobbiamo circoscrivere il campo degli apparecchi soggetti al pagamento del canone a quelli utili alla ricezione di segnali televisivi su piattaforma terrestre e piattaforme satellitare. Tali apparecchi sono quelli caratterizzati da un sintonizzatore, che ha la funzione essenziale di prelevare il segnale di antenna nelle bande destinate al servizio di radiodiffusione e la capacità autonoma di erogare il servizio di radiodiffusione (o come veniva chiamato nel regio-decreto di radioaudizione).
      Devo dire che abbiamo trovato la Rai già in linea con questa interpretazione, tanto che si è impegnata a fare tutte le necessarie azioni di chiarimento in questo senso.
      L'applicazione della norma in questi termini è tra l'altro in sintonia con la strategia che questo Governo ha già iniziato ad adottare sui temi dell'agenda digitale: come sapete, infatti, ogni sforzo sarà fatto per permettere all'Italia di essere all'avanguardia del mondo digitalizzato.
      Quanto all'articolo 17 del cosiddetto decreto salva Italia», con il quale è stato introdotto l'obbligo, per le imprese e le società, di indicare nella dichiarazione dei redditi il numero dell'abbonamento speciale alla radio e alla televisione e la categoria di appartenenza, va da sé che tale obbligo ricorre nella misura in cui sussiste il correlativo obbligo di pagare il canone speciale, nei limiti sopra accennati.
Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      GRIMOLDI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro del turismo. — Per sapere – premesso che:
          è stato reso noto che la città di Monza è stata esclusa dalla lista dei siti longobardi del patrimonio mondiale dell'Unesco;
          la città di Monza è stata capitale del Regno longobardo ed è depositaria del tesoro del Duomo e della celeberrima Corona ferrea;
          insieme a Pavia, Monza rappresenta la storia della cultura longobarda ed è pertanto impensabile che sia esclusa dai siti dell'Italia Longobardorum, l'elenco delle località italiane che ospitano i monumenti longobardi scelti dall'Unesco per far parte della lista mondiale;
          in tale lista sono state incluse altre città (Foggia, Brescia, Udine, Benevento, Perugia, Varese), nonostante alcune delle quali, al contrario di Monza, presentino monumenti diroccati;
          i criteri dell'Unesco, infatti, tengono conto infatti della sola presenza di luoghi fisici, di monumenti di diretta origine longobarda, escludendo invece la storia della città, le fonti storiografiche ed il patrimonio artistico;
          il Duomo di Monza, ad esempio, nonostante la sua fondazione sia legata alla regina Teodolinda, non è considerato dall'Unesco perché ha subito alcune successive modifiche;
          è assurdo, ad avviso dell'interrogante, che l'Unesco insista con questo metodo chiuso che mortifica la storia e che, di conseguenza, rende di fatto pesantemente incompleto il circuito longobardo;
          difatti, al di là dei criteri adottati, è impensabile che un appassionato o un turista che voglia conoscere i longobardi prescinda dal visitare il Tesoro di Monza o Pavia  –:
          se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa se non intendano intervenire presso l'Unesco affinché il capoluogo brianzolo, cuore della cultura e della storia longobarda, possa essere reinserito nella lista dei siti longobardi, risolvendo questa grave anomalia e restituendogli il suo legittimo e storico ruolo.
(4-12539)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame con la quale l'interrogante lamenta il mancato inserimento di Monza nel sito seriale sulla cultura longobarda presentato per l'iscrizione nella Lista del Patrimonio Mondiale Unesco, si ritiene opportuno, in via preliminare, sottolineare che, per l'individuazione dei beni da proporre per la candidatura Unesco, il Ministero per i beni e le attività culturali è tenuto a seguire i criteri e le procedure indicate dall'Unesco. Come già rappresentato con nota n.  17028 del 19 settembre 2008, in risposta all'interrogazione parlamentare n.  4-00303, si fa presente che i beni compresi nel sito «I Longobardi in Italia. I luoghi del potere (568-774 d.C.)», iscritto nella Lista Unesco nel giugno 2011, sono stati accuratamente selezionati dall'Ufficio Unesco di questo Ministero, in collaborazione con le competenti Soprintendenze territoriali, sulla base dei criteri indicati nelle Operational Guidelines for the Implementation of the World Heritage Convention (2008 version), emanate dal Comitato del patrimonio mondiale.
      In base a tali criteri, che vengono considerati pregiudiziali per l'iscrizione, è stata effettuata un'attenta disamina di tutte le testimonianze lasciate dai Longobardi in Italia durante l'età del loro regno (568-774 d.C.). La scelta del periodo storico è stata determinata dal fatto che, proprio tra VII e VIII secolo, avvenne la ormai unanimemente riconosciuta «rinascita artistico-culturale» romano-longobarda, che anticipò la cosiddetto renovatio carolingia, preludendo i successivi sviluppi della cultura europea. Ciò ha portato, quindi, ad escludere fin dall'inizio la maggior parte delle numerose ed importanti evidenze rimaste nel meridione della penisola (Salerno, Capua, Olevano sul Tusciano, eccetera), in quanto appartenenti al periodo successivo alla caduta del regno, quando il ducato di Benevento, unico sopravvissuto all'invasione franca, fu trasformato in principato e visse un successivo sviluppo artistico e culturale fortemente influenzato dai Bizantini.
      Quanto alle testimonianze del resto di Italia, i requisiti richiesti dall'Unesco per l'iscrizione nella prestigiosa Lista (items 77-89 O.G.), sono stati riconosciuti pienamente nei soli beni inseriti nella candidatura, che infatti possiedono:
          incontestabile evidenza monumentale dell'età longobarda. Soprattutto questo requisito ha determinato l'esclusione di moltissime località anche importanti per la presenza di significative necropoli longobarde (che però essendo composte di tombe terragnee non presentano resti strutturali) o per l'esistenza di palazzi, chiese e monasteri citati dalle fonti storiche ma scomparsi da tempo o comunque non più leggibili nelle trasformazioni successive. Sempre nel merito, si ricorda, inoltre, che testimonianze quali la Corona Ferrea e il tesoro del Duomo non sarebbero comunque candidabili all'Unesco in quanto beni mobili; la Lista dei siti patrimonio dell'umanità comprende, infatti, esclusivamente le tipologie di beni elencate all'articolo 1 della Convenzione per la salvaguardia del patrimonio mondiale culturale e naturale dell'Unesco (monuments, groups of buidings, site); le Operational Guidelines sottolineano tale criterio affermando «Nominations of immovable heritage which are likely to become movable will not be considered» (items 45 e 48);
          carattere di eccezionalità od esemplarità che ne attestano l’Outstanding Universal Value secondo i criteri stabiliti dall'Unesco (items 77-86 delle O.G.);
          buono stato di conservazione;
          integrità ed autenticità, così come inteso nei documenti accolti dal Comitato del patrimonio mondiale (
items 87-94 delle O. G.);
          adeguati ed efficienti sistemi e disposizioni e di tutela e conservazione (
items 96-107 O.G.). Nel merito, si sottolinea che non è l'Unesco a garantire la tutela dei beni a seguito dell'iscrizione nella Lista ma, al contrario, è lo Stato che deve garantirla, rafforzando, nel caso, la protezione normativa già esistente o altri strumenti di governo del territorio ed attuando un maggiore controllo sui beni;
          efficaci sistemi di gestione (items 108-118 O.G.). Dal gennaio 2008 è stato approvato da tutti i 58 soggetti pubblici e privati coinvolti nella candidatura del sito «I Longobardi in Italia. 1 luoghi del potere (568-774 d.C.)» un Piano di gestione globale per tutti i luoghi ed i beni compresi, ed è stata istituita un'Associazione, cui partecipa anche il Ministero per i beni e le attività culturali, che garantisce il coordinamento delle attività della rete e locali;
          fruibilità certa, conditio sine qua non nel momento in cui si propone un bene da condividere con l'intera umanità.

      In conclusione, gli aspetti relativi all'importanza storica di Monza, nonché la presenza di manufatti di rilevanza notevole quale è la Corona Ferrea – manufatto peraltro riportabile come esecuzione agli Ostrogoti, entrato in un secondo tempo a far parte del tesoro dei Longobardi –, non costituiscono elementi sufficienti ai fini delle proposte di iscrizione nella Lista del patrimonio mondiale.
          Per quanto concerne, poi, la basilica voluta da Teodolinda, documentata da Paolo Diacono nella sua Historia Langobardorum nel luogo dove sorge l'attuale Duomo, è noto agli studiosi che essa, seppure con trasformazioni successive, sopravvisse come cappella palatina fino al 1300, quando venne abbattuta proprio per una integrale ricostruzione del tempio avvenuta nello stesso secolo.
      Ciò premesso, si ritiene di dover formulare le ulteriori precisazioni che di seguito si rappresentano.
      Le città comprese nel sito seriale «I Longobardi in Italia. I luoghi del potere (568-774 d.C.)» non presentano «monumenti diroccati». I beni iscritti rappresentano, infatti, ognuno per la propria tipologia specifica, il modello più significativo o quello maggiormente conservato tra le numerose testimonianze diffuse nel territorio nazionale e, nel loro insieme, rispecchiano l'universalità della cultura longobarda al suo apice. Tali apprezzamenti, rappresentati e documentati dai tecnici di questo Ministero, sono stati accettati e condivisi non solo a livello nazionale (si nota in merito che i più autorevoli esperti italiani dell'Alto Medioevo, storici e archeologi, hanno collaborato ai lavori per la predisposizione della candidatura), ma anche a livello internazionale, come dimostra la stessa iscrizione nella prestigiosa Lista.
      Questo Ministero, e l'ufficio Unesco in particolare, è tenuto a seguire i criteri e le procedure fissate dall'Unesco per la selezione dei siti da candidare e, sulla base di quanto sopra esposto, non si ritiene quindi possibile reinserire in futuro la città di Monza nel sito seriale già iscritto «I Longobardi in Italia. I luoghi del potere (568-774 d.C.)».
      Certamente Monza ha svolto un ruolo significativo in età longobarda, ma, come già precisato, non è sufficiente l'importanza storica per l'inserimento nella Lista del patrimonio mondiale, occorrendo, infatti, innanzitutto l'evidenza monumentale.
      Un «sito seriale», secondo le definizioni date dall'Unesco non è un «circuito» ma, in questo specifico caso, un sito che «will include component parts related because they belong to the same historico-cultural group» (item 137 O.G.); con ciò si intende che i beni compresi nel sito iscritto «I Longobardi in Italia. 1 luoghi del potere (568-774 d.C.)», testimoniando l'apice artistico-culturale raggiunto dai Longobardi, nel loro insieme rappresentano la «civiltà longobarda» nella Lista.
      In ogni caso, non si ritiene possibile che un qualsiasi appassionato o turista, estimatore della storia altomedievale, non conosca e non riconosca la città di Monza per la sua storia longobarda solo perché non compresa nel sito iscritto all'Unesco.
      Si rappresenta comunque che, nonostante per i motivi oggettivi riferiti non sia stato possibile inserire Monza nel sito seriale «I Longobardi in Italia. I luoghi del potere (568-774 d.C.)», nel Piano di gestione dello stesso sono previste azioni di rete che coinvolgeranno gli altri luoghi italiani che conservano testimonianze della civiltà longobarda. Inoltre, anche a livello regionale sono state previste azioni di valorizzazione che contribuiranno a mettere in evidenza il ruolo storico svolto dalla città di Monza, come anche quello di Pavia, nell'ambito del regno longobardo.
Il Ministro per i beni e le attività culturali: Lorenzo Ornaghi.


      GRIMOLDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          gli esercizi commerciali rappresentano uno dei punti di forza dell'economia italiana, sia per il flusso economico che ogni anno generano, sia perché, nei piccoli centri storici sono parte integrante, da sempre, del tessuto urbano ed economico delle città italiane;
          la grave crisi internazionale che negli ultimi anni si è manifestata in tutti Paesi ma, soprattutto, in Europa, ha avuto ripercussioni sull'intero sistema economico nazionale italiano, colpendo quindi anche il settore del commercio, in particolar modo di quello operato dalla distribuzione mediopiccola, che da molti mesi manifesta ormai segnali evidenti di diminuzione del volume di fatturato;
          l'attuale Governo, attraverso l'articolo 31 del decreto-legge n.  201 del 2011, che prevede la liberalizzazione degli orari per gli esercizi commerciali, mette a repentaglio la sopravvivenza dei negozi al dettaglio, che rischiano di scomparire perché schiacciati dagli operatori della grande distribuzione che sono in grado, al contrario dei piccoli negozi a conduzione famigliare, di usufruire del turn-over del personale;
          alcune regioni italiane come la Toscana hanno impugnato il provvedimento governativo sulla base del fatto che la Costituzione italiana, all'articolo 117, delega alle regioni stesse il commercio interno come materia di competenza esclusiva delle regioni medesime;
          numerosi comuni della Toscana, come anche riportato dai quotidiani locali, hanno recepito la normativa regionale, emanando così appositi provvedimenti per regolamentare il commercio fisso nel proprio territorio comunale ed andando incontro alle istanze delle associazioni di categoria come Ascom e Confesercenti che, da tempo, sostengono la necessità di rivedere la normativa;
          l'ANCI toscano (Associazione nazionale comuni italiani), in attesa che si pronunci il giudice costituzionale sul conflitto di competenze, ha ritenuto doveroso fornire alle amministrazioni toscane l'indicazione di seguire la fonte normativa gerarchicamente superiore, ovvero la legge dello Stato, soprattutto per non incorrere in eventuali ingenti richieste di risarcimenti danni da parte delle attività commerciali;
          il comune di Bibbiena (Arezzo) ha preso atto di questa indicazione e pertanto, per quanto attiene al tema degli orari nella distribuzione commerciale e nella somministrazione di alimenti e bevande, ha deciso di applicare la legge statale;
          l'assessore competente del comune di Bibbiena, Fabrizio Piantini, commenta così la scelta: «L'amministrazione ha ritenuto opportuno propendere per l'applicazione della normativa statale, ritenendo così di non compromettere la libertà di concorrenza e di non incorrere in responsabilità contabili e amministrative. Ritengo che quando si affrontano certi argomenti bisogna sempre vedere le cose da tutti i punti di vista; tuttavia è certamente importante dare maggiore libertà in un settore di fondamentale importanza come quello commerciale»;
          organi di stampa locali riportano anche la notizia secondo cui piccoli commercianti della vallata del Casentino, abbiano raccolto oltre duecento firme di operatori commerciali per chiedere al Governo di rivedere l'attuale disposizione governativa in materia di liberalizzazioni;
          la norma, così come concepita, rischia pertanto di creare un grave danno proprio al principio della libera concorrenza, ovvero quel principio che intende invece sostenere, danneggiando invece i piccoli esercizi commerciali e la loro pluralità di offerta di servizio, esercizi che rappresentano una ricchezza, ed avvantaggiando così la sola grande distribuzione  –:
          se il Ministro non ritenga opportuno, alla luce della grave crisi internazionale e del quadro normativo venutosi a creare, assumere iniziative nell'ambito delle proprie competenze per verificare, in modo puntuale, gli effetti sul tessuto economico e produttivo della liberalizzazione degli orari di apertura dei negozi così, come oggi prevista e eventualmente assumere iniziative in proposito. (4-14731)

      Risposta. — Si risponde congiuntamente agli atti di sindacato ispettivo indicati in oggetto, trattando gli stessi il medesimo argomento.
      In merito alla previsione contenuta nell'articolo 31 del decreto-legge 201 del 2011, convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, legge 22 dicembre 2011, n.  214, che sancisce la liberalizzazione del regime degli orari di apertura e di chiusura delle attività commerciali e di somministrazione di alimenti e bevande, si rappresenta quanto segue.
      Il primo comma del citato articolo 31, modificando la disposizione contenuta nell'articolo 3, comma 1, del decreto-legge 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  248 del 2006, sancisce la liberalizzazione del regime degli orari di apertura e di chiusura delle attività commerciali e di somministrazione di alimenti e bevande.
      In particolare, tale previsione esclude in via definitiva l'applicabilità agli esercizi di vendita e di somministrazione, in qualunque comune ubicati, delle prescrizioni relative al rispetto degli orari di apertura e di chiusura, dell'obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell'esercizio.
      L'eliminazione dei limiti e delle prescrizioni in materia di orari è correlata alla necessità di adeguare la disciplina nazionale ai principi previsti dall'ordinamento comunitario in tema di libera concorrenza tra gli operatori e pari opportunità di accesso al mercato.
      Si tratta, perciò, di un intervento normativo che si adegua a quelle prescrizioni del diritto dell'Unione europea che impongono di eliminare gli ostacoli all'esercizio delle attività economiche che non siano giustificati da motivi imperativi di tutela di interessi irrinunciabili e non siano proporzionati a tali eventuali esigenze.
      L'intervento statale, rientrante per di più nell'esercizio della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza (articolo 117, comma 2, lettera e) della Costituzione), non comporta ingerenza nelle competenze regionali.
      Al riguardo la Corte costituzionale (cfr. sentenze n.  288/2010 e n.  430/2007) ha già affermato che la legislazione statale nell'esercizio della competenza esclusiva in materia di tutela della concorrenza, può intervenire in materie regionali nella misura in cui la sua azione sia «strumentale ad eliminare limiti e barriere all'accesso al mercato e alla libera esplicazione della capacità imprenditoriale». Pertanto, deve ritenersi che non siano compatibili con l'assetto costituzionale della ripartizione delle competenze fra Stato e Regioni gli interventi regionali in contrasto con tale norma statale.
      Quanto alle preoccupazioni evidenziate dall'interrogante, si rileva, anzitutto che la disposizione statale che liberalizza gli orari non comporta obblighi di alcun tipo per l'esercente, stabilendo, anzi, il principio generale della libera determinazione dell'orario. In altre parole essa consente al medesimo esercente la facoltà di organizzare l'orario di vendita in relazione alle specifiche esigenze della propria attività, anche se di piccola dimensione, e alla fascia di mercato nella quale opera, garantendogli la possibilità di rispondere alla richiesta di servizio, nella maniera da lui ritenuta più adeguata ed efficace. Inoltre, appare ragionevole escludere ogni automatica connessione fra la liberalizzazione degli orari ed i paventati rischi di chiusura dei piccoli esercizi, specie se si considera che la precedente analoga liberalizzazione, pur limitata ai soli comuni turistici, non ha determinato simili conseguenze negative.
      Si rassicura infine circa l'interesse che anche il Governo ha riguardo alla tutela delle piccole e medie imprese nel settore commerciale, per salvaguardare il pluralismo dell'offerta e, in particolare, di quella di qualità e di prossimità; interesse che può certamente essere perseguito con misure diverse e più proporzionate rispetto al permanere di ingiustificati vincoli alla libertà d'impresa.
      Si ritiene, pertanto, che non possa essere condivisa la richiesta di rivedere la predetta disposizione di liberalizzazione, fermo restando invece l'impegno a monitorare attentamente l'evoluzione congiunturale e strutturale del settore distributivo, anche al fine di valutare gli eventuali ulteriori e diversi interventi da assumere a maggior tutela delle piccole e medie imprese anche in tale settore.
Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      JANNONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          secondo una lunga ricerca sul territorio condotta dall'Ires (Istituto ricerche economiche e sociali), in Italia esistono quindici province «a rischio di conflittualità sociale»: tre in Campania, tre in Puglia, due in Calabria e ben sette in Sicilia. Incubatrici di tensioni economiche e sociali, che potrebbero esplodere in rivolte e scontri tra immigrati e italiani, come accadde a Rosarno nel gennaio 2010. «Le nuove Rosarno – scrivono i ricercatori – si possono riscontrare in diversi territori del nostro Paese: il combinato disposto di sfruttamento, mancato sviluppo e corruzione della piana di Gioia Tauro e di Rosarno costituiscono una sorta di paradigma di quello che potrebbe accadere in molte altre realtà. Quanto è emerso dopo la rivolta dei lavoratori africani ha posto l'attenzione sia sulle gravi forme di sfruttamento lavorativo e degrado sociale in cui versa una considerevole parte di lavoratori in questo Paese – e si tratta soprattutto di immigrati – sia sull'assenza di adeguate politiche locali e nazionali in materia di accoglienza, lavoro e sviluppo, che porterebbero a ridurre, almeno in parte, i rischi potenziali di conflitto sociale»;
          le quindici province italiane «a maggior propensione rischio di conflittualità sociale» sono nell'ordine: Caserta, Crotone, Napoli, Siracusa, Ragusa, Caltanissetta, Reggio Calabria, Salerno, Catania, Trapani, Foggia, Taranto, Palermo, Agrigento e Lecce. La mappa del rischio incrocia quattro indici, quali fattori anticipatori dei conflitti. Il primo è l'indice di sviluppo occupazionale che esprime la capacità del mercato di offrire lavoro, garantirne la sicurezza e, limitatamente ai settori agricolo e delle costruzioni, rispettare le regole contrattuali (in questo caso è Crotone la provincia peggiore). Segue l'indice di sviluppo economico che misura la ricchezza prodotta (il record negativo spetta qui alla provincia di Enna). Nell'indice della qualità sociale, la provincia più a rischio è invece quella di Taranto. Infine l'indice di qualità dell'insediamento della popolazione immigrata vede primeggiare negativamente Caserta;
          la ricerca Ires tiene conto anche di altri parametri. Secondo il rapporto annuale dell’European Network Against Racism per esempio, in Italia il 65 per cento dei lavoratori stagionali vive in baracche, il 10 per cento in tende e solo il 20 per cento in case in affitto. Sono lavoratori fondamentali per l'economia agricola soprattutto nelle regioni meridionali, eppure nella maggior parte dei casi sono costretti a vivere in condizioni disumane, senza acqua, luce e cure mediche, con paghe che non superano i 25 euro giornalieri. Il rischio di conflitti nasce dunque dallo sfruttamento, che non colpisce però solo gli immigrati. «Se io vado in un cantiere – spiega nella ricerca Mario Martucci, segretario generale Fillea di Caserta – appena entro se ci sono 10 operai, ne scappano 9, perché non sono in regola. Poi, quando si accorgono che sono un sindacalista e non un ispettore del lavoro, allora vengono da me e mi raccontano la loro condizione. Questo avviene appunto sia tra gli italiani che tra gli stranieri e dobbiamo sfatare il mito per cui sono solo gli immigrati a essere sfruttati per via del permesso di soggiorno e simili: lo sfruttamento qui riguarda e coinvolge tutti»  –:
          quali interventi il Ministro intenda adottare al fine di contrastare l'aggravarsi della situazione sociale e civile nelle aree delle province sopracitate, contrastando il lavoro nero e l'illegalità, ma nel contempo garantendo assistenza alle fasce più deboli della popolazione. (4-12593)

      Risposta. — L'interrogazione parlamentare in esame si riferisce all'attività di contrasto al lavoro nero posta in essere dagli organi di vigilanza a ciò deputati, anche al fine di evitare l'aggravarsi della conflittualità sociale e civile nelle regioni meridionali del Paese. Nel rispondere ai quesiti posti dall'interrogante si riportano gli elementi informativi acquisiti presso la direzione generale per l'attività ispettiva del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
      In proposito, il principale settore di intervento dell'attività ispettiva in materia di lavoro e previdenza sociale è rappresentato dalla prevenzione e repressione del lavoro sommerso, anche al fine di arginare il fenomeno dello sfruttamento dei lavoratori immigrati clandestini, garantire la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro e favorire l'emersione del lavoro irregolare. Tale attività viene svolta in linea con le priorità annualmente individuate dal Ministro, cui vanno ad aggiungersi le direttive del Ministro del lavoro e delle politiche sociali del 18 settembre 2008 e del 7 luglio 2010 in materia di «servizi ispettivi e attività di vigilanza».
      Tale ultima direttiva, in particolare, ha consentito una maggiore efficacia e un più intenso coordinamento dell'attività di vigilanza svolta dal personale ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dai militari appartenenti al comando carabinieri per la tutela del lavoro e ai gruppi carabinieri per la tutela del lavoro. Si tratta di una direttiva di primaria importanza per la realizzazione di progetti di vigilanza concernenti obiettivi aggiuntivi rispetto a quelli previsti nell'ambito della vigilanza ordinaria riferiti, soprattutto, a settori per i quali appare giustificato l'intervento anche dei militari dell'arma.
      In questo ambito, la direzione generale per l'attività ispettiva del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha costantemente dedicato particolare attenzione al fenomeno del lavoro sommerso e dello sfruttamento dei lavoratori immigrati clandestini, predisponendo specifiche azioni di contrasto e inserendo tale attività tra gli obiettivi prioritari dell'azione ispettiva.
      Per quanto concerne in particolare le regioni Calabria, Campania e Puglia, ove è statisticamente prevalente l'utilizzo di lavoratori stagionali nel settore agricolo, si fa presente che rientra nell'ambito della programmazione ordinaria dell'attività di vigilanza degli uffici territoriali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, lo svolgimento di controlli mirati alla verifica, in tale settore produttivo, del rispetto delle norme in materia di lavoro e previdenza sociale ed in particolare al contrasto al lavoro nero.
      Si informa, inoltre, che in applicazione di una decisione assunta dal Consiglio dei Ministri del 28 gennaio 2010, è stato realizzato un «piano straordinario di vigilanza per l'agricoltura e l'edilizia nelle regioni Calabria, Campania, Puglia, Sicilia» per fornire una prima risposta agli accadimenti – richiamati nell'atto di sindacato ispettivo in esame – accaduti nel gennaio del 2010 a Rosarno (Reggio Calabria).
      In particolare al termine del richiamato piano straordinario – conclusosi il 31 dicembre 2010 – sono state effettuate circa 8.000 verifiche tra le aziende operanti nel settore agricolo delle province di Crotone, Reggio Calabria, Cosenza, Caserta, Napoli, Salerno, Foggia, Lecce, Taranto, Agrigento, Catania, Palermo, Ragusa, Siracusa e Trapani e circa 11.000 tra le aziende operanti nel settore edile di tutte le 24 province delle Regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia.
      Per quanto riguarda il 2011, si evidenzia che l'obiettivo indicato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali prevedeva l'effettuazione di almeno 80.000 controlli mirati allo specifico fenomeno del lavoro sommerso da svolgersi da parte del personale ispettivo del Ministero del lavoro e 50.000 verifiche da realizzarsi da parte degli enti previdenziali (INPS, INAIL, ENPALS). I risultati di tali verifiche mostrano che, a fronte di circa 245 mila controlli effettuati sull'intero territorio nazionale, sono stati individuati più di 105 mila lavoratori in nero. Va segnalato, in particolare, il notevole incremento dei controlli realizzati rispetto a quelli inizialmente programmati in Campania con un aumento del 12 per cento ed in Puglia con un aumento del 6 per cento. Sono stati adottati, inoltre, circa 8.500 provvedimenti di sospensione dell'attività imprenditoriale poiché è stato riscontrato l'utilizzo di lavoratori in nero in misura pari o superiore al 20 di quelli presenti sul luogo di lavoro. Tale provvedimento, com’è noto, è particolarmente efficace per reprimere il lavoro nero atteso che il datore di lavoro, per ottenerne la revoca, deve dimostrare la regolarizzazione dei rapporti di lavoro non in regola: tali provvedimenti sono stati revocati nella misura dell'87 per cento rispetto a quelli adottati.
      Da ultimo si informa che, lo scorso 7 febbraio, in occasione dello svolgimento della Commissione centrale di coordinamento dell'attività di vigilanza è stato presentato il Documento di programmazione dell'attività di vigilanza per il 2012 contenente le linee propedeutiche per l'individuazione dei principali settori di intervento ispettivo, con particolare attenzione al contrasto del lavoro sommerso.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.


      JANNONE. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in Italia, il costo della corruzione è stimato intorno ai 60 miliardi di euro. Il fenomeno, hanno spiegato i giudici contabili, è in costante crescita «e si è insediato e annidato dentro le pubbliche amministrazioni», finendo per costituire la terza causa di danno all'erario. L'ultimo allarme, fatto risuonare nel corso di un'audizione alla Camera dal Presidente della Corte dei conti Luigi Giampaolino, ha trovato pronta eco nelle tabelle di Transparency International, che vedono l'Italia scendere in due anni dal 63° al 69° posto dell'indice di percezione della corruzione: Transparency ha stimato che per ogni peggioramento in classifica si perde il 16 per cento degli investimenti dall'estero. Al contrario, scalando qualche gradino, si attrarrebbero preziose risorse;
          l'economia reale, quindi, risente oggi più che mai dell'effetto nefasto del malaffare: il Greco, l'organismo del consiglio d'Europa deputato alla prevenzione e al contrasto della corruzione, in un recente rapporto ha espresso preoccupazione per la mancanza di un programma nazionale coordinato e per l'indipendenza «solo parziale» delle strutture chiamate a fronteggiare il ritorno della corruzione negli uffici pubblici. D'altronde, l'istituzione di un'autorità unica anti-corruzione sganciata dal potere politico è prevista anche da diverse convenzioni internazionali, dell'Ocse come dell'Uncac, un'organizzazione di Stati nata per combattere le infiltrazioni illecite nell'amministrazione. A fronte del costo plurimiliardario del fenomeno, la Corte dei conti nel 2010 è riuscita a recuperare nel complesso «solo» 293 milioni di euro. Di questi 32,19 milioni sono il risultato delle 47 sentenze emesse dalle quattro sezioni d'appello con le quali sono stati condannati per danni patrimoniali da reato contro la pubblica amministrazione 90 funzionari pubblici. E bisogna aggiungere 4,73 milioni per danni all'immagine. Le sezioni regionali della Corte invece hanno emesso 350 sentenze con condanne al pagamento di 252,68 milioni per danni patrimoniali e altri 3,57 per danni all'immagine della pubblica amministrazione. Ma incombono le citazioni in giudizio da parte delle procure regionali della Corte: delle 227 depositate, 95 riguardano reati di truffa e falso, 50 peculato e 40 concussione e corruzione. Nel Lazio il maggior numero di citazioni, poi Calabria, Sicilia e Campania;
          la corruzione incide, su ogni contribuente, per circa mille euro a testa, frenando soprattutto gli investimenti esteri. I sessanta miliardi di «buco» stimati dalla Corte dei conti rischiano di essere solo una buona approssimazione, perché, come spiega il presidente della Corte dei conti Luigi Giampaolino, i reati di corruzione sono caratterizzati da «una rilevante difficoltà di emersione ed esiste una scarsa propensione alla denuncia, non solo perché si tratta di comportamenti che spesso nascono da un accordo fra corruttore e corrotto ma anche perché, nell'ambiente in cui sorgono, anche le persone estranee al fatto, ma partecipi all'organizzazione, non dimostrano disponibilità a denunciare fenomeni di tal tipo». In una scala che va da 0 (molto corrotto) a 10 (per niente corrotto), l'Italia ha una valutazione molto negativa: 3,9 punti. La stessa dell'anno scorso, ma con un arretramento nella posizione in classifica poco edificante, dato che ha portato la presidente della sezione italiana di Transparency, Maria Teresa Brassiolo, a lanciare un appello: «Fate il possibile per abbattere il livello di corruzione diminuendo i costi pubblici e quindi il debito»;
          anche la magistratura ordinaria registra un aumento dei reati contro la pubblica amministrazione: in particolare i procedimenti per concussione, nei cinque anni fra il 2005 e il 2010, sono stati in costante aumento: da 114 a 144 quelli per cui hanno proceduto otto grandi uffici giudiziari (Milano, Torino, Venezia, Firenze, Roma, Bari, Napoli e Palermo). Il dato, fornito dal Governo italiano, è contenuto in un rapporto del Greco datato 14 giugno 2011. L'organismo del Consiglio d'Europa non ha mancato di far notare che «i procedimenti giudiziari falliti per la scadenza dei termini di prescrizione è ritenuta causa, almeno nella percezione del pubblico, di una parte inquietante della corruzione». Organizzazioni internazionali come l'Ocse e l'Uncac hanno espresso l'esigenza, per i Paesi che lottano il malaffare, di costituire un'autorità anti-corruzione «indipendente, stabile, efficace». Se è vero che, come denuncia il Gafi (gruppo d'azione finanziario internazionale contro il riciclaggio), «è stretto il rapporto fra corruzione e riciclaggio in Europa», è vero anche che quest'ultima voce nel nostro Paese ha una rilevanza non secondaria: 150 miliardi di euro, il 10 per cento del prodotto interno lordo. «È la prima industria italiana», segnala il procuratore antimafia Piero Grasso nel libro «Soldi sporchi» scritto con Enrico Bellavia. E la corruzione, il fatturato delle mafie, il pizzo, l'evasione fiscale fanno crescere ancor di più il peso del malaffare sul debito pubblico. «Un furto da 330 miliardi», secondo Luciano Silvestri della Cgil  –:
          se il Governo intenda assumere iniziative normative volte ad istituire un'autorità unica anti-corruzione, come prevista da organismi quali Ocase ed Uncac anche nel nostro Paese;
          quali iniziative di competenza, e con quali mezzi, i Ministri intendano adottare al fine di contrastare efficacemente il dilatante fenomeno della corruzione nel nostro Paese. (4-14362)

      Risposta. — In riferimento all'atto di sindacato ispettivo in oggetto indicato, con il quale l'interrogante chiede al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione alcuni chiarimenti in merito agli strumenti adottati o da adottare per contrastare il fenomeno corruttivo nella pubblica amministrazione, si rappresenta quanto segue.
      In via preliminare, è d'uopo rappresentare che in attuazione dell'articolo 6 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, ratificata dall'Italia con legge 3 agosto 2009. n.  116, è stato «(...) designato quale autorità nazionale anticorruzione (...) il soggetto al quale sono state trasferite le funzioni dell'alto commissariato per la prevenzione e il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito all'interno della pubblica amministrazione, ai sensi dell'articolo 68, commi 5 e 6, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133».
      Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 2 ottobre 2008 tale autorità è stata individuata nel dipartimento della funzione pubblica al quale, ai sensi dell'articolo 6, comma 2, della citata legge di ratifica, «(...) sono assicurate autonomia ed indipendenza nell'attività».
      Il Dipartimento in questi anni ha operato attraverso il servizio anticorruzione e trasparenza (SAeT) posto alle dirette dipendenze del capo del dipartimento.
      Il dipartimento in questa sua veste non è un organo giudiziario né ispettivo, esso si pone come un organo di analisi del fenomeno della corruzione nell'ambito della pubblica amministrazione in un'ottica non repressiva ma di prevenzione e collaborazione con il settore dell'amministrazione di volta in volta interessata.
      L'attività di prevenzione e di contrasto alla corruzione è un'attività di carattere amministrativo che si avvale di strumenti tipici della verifica nell'ambito amministrativo (accesso ai documenti e alle banche dati della pubblica amministrazione, protocolli d'intesa con organismi pubblici e privati, eccetera) senza possibilità di utilizzare strumenti d'indagine propri della polizia e della autorità giudiziaria nel rispetto, quindi, delle distinte e separate competenze istituzionali costituzionalmente garantite.
      Il dipartimento della funzione pubblica, come richiesto dal gruppo di stati contro la corruzione (GRECO) di cui l'Italia fa parte dal 2007, ha, inoltre, allo studio, l'adozione di un piano nazionale anticorruzione al fine di assicurare l'attuazione delle strategie di prevenzione e contrasto del fenomeno corruttivo nella pubblica amministrazione, elaborate a livello nazionale e internazionale.
      La finalità è quella di creare un osservatorio privilegiato sugli uffici della pubblica amministrazione che permetta, attraverso i piani di azione trasmessi da ciascuna amministrazione, di valutare il livello di esposizione degli uffici al rischio corruzione per poter implementare efficaci strategie.
      Da segnalare poi, sulla materia in questione, il disegno di legge di iniziativa del Governo Berlusconi, atto camera 4434, recante «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione», attualmente in corso di esame in seconda lettura presso le commissioni riunite I e II della Camera dei deputati; il provvedimento, all'articolo 1, individua quale autorità nazionale competente a coordinare l'attività di contrasto della corruzione nella pubblica amministrazione, la commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche – Civit – di cui all'articolo 13 del decreto legislativo n.  150/2009, che si sostituirebbe, quindi, al citato dipartimento nel ruolo di autorità nazionale anticorruzione.
      In continuità con gli obiettivi manifestati dal precedente Esecutivo e al fine di dare un nuovo impulso all’iter parlamentare del richiamato disegno di legge, il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, ha di recente istituito (con decreto del 23 dicembre 2011) la «Commissione, per lo studio e l'elaborazione di proposte in tema di trasparenza e prevenzione della corruzione nella Pubblica amministrazione» con il compito precipuo di:
          formulare, in un arco temporale contenuto, proposte di emendamento al disegno di legge in materia di anticorruzione, volte a rafforzare le misure di contrasto della corruzione ivi previste specie quelle relative alla prevenzione del fenomeno;
          predisporre un rapporto in materia di anticorruzione diretto, principalmente, ad identificare politiche, modalità e misure, generali e settoriali, di prevenzione della corruzione nel settore pubblico.

      A tal riguardo, la Commissione in data 18 gennaio 2012 ha incontrato a palazzo Vidoni una delegazione Ocse. Il confronto si è svolto sui principali temi riguardanti la prevenzione e la repressione della corruzione. La delegazione, dal canto suo, ha rappresentato le esperienze dei Paesi dell'area Ocse in materia di contrasto alla corruzione, fornendo un utile apporto ai lavori della Commissione.
      La Commissione, all'esito dei lavori e degli approfondimenti necessari, ha proposto al citato disegno di legge alcune misure emendative da presentarsi nel corso dell'esame in assemblea, previsto dal 26 marzo 2012; le modifiche suggerite, che si auspica siano accolte dal Parlamento, sono volte a rafforzare e rendere più incisivi gli strumenti di prevenzione amministrativa della corruzione, già previsti.
      Si propone, tra le altre, l'adozione di piani anticorruzione, l'introduzione di premi e dell'anonimato per chi denuncia reati contro la pubblica amministrazione, nonché un sistema di rotazione per i funzionari che lavorano nei settori più a rischio e nuove forme di incompatibilità.
      Nello studio, intatti, viene suggerito di «prevedere e imporre l'adozione da parte delle singole amministrazioni di adeguati piani interni con la finalità di prevenzione. I piani, ispirati ai modelli di risk management, serviranno a individuare «i settori nei quali si annida il rischio corruttivo» in modo da avviare mappature e programmi strategici, mezzi di promozione della cultura del rischio all'interno dell'organizzazione, sistemi di identificazione degli eventi rilevanti, previsione di strutture di auditing, ruolo del risk manager.
      Si ritiene, inoltre, necessario introdurre, a tutela del dipendente che segnala illeciti, un sistema premiale che incentivi la segnalazione e ne tuteli l'anonimato.
      Altra rilevante misura consiste nell'avviare un monitoraggio dei rapporti tra l'amministrazione e i soggetti che con la stessa stipulano i contratti o che sono interessati in procedimenti di autorizzazione, concessione o erogazione di vantaggi economici.
      Si suggerisce anche di intensificare la rotazione degli incarichi nei settori più a rischio e rafforzare lo strumento disciplinare nella prospettiva del contrasto dei fenomeni di corruzione e dei conflitti di interesse, anche attraverso l'integrazione delle ipotesi di licenziamento disciplinare.
      Queste elencate sono solo alcune delle iniziative avanzate dalla citata commissione; il documento nella sua interezza, d'altro canto, può facilmente reperirsi all'interno del sito istituzionale del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione.
      In conclusione, è di tutta evidenza la ferma determinazione del Governo nell'affrontare le problematiche connesse alla corruzione nella pubblica amministrazione, attraverso efficaci interventi normativi volti a prevenire l'insorgere del fenomeno e a contrastarne la diffusione.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione: Filippo Patroni Griffi.


      LARATTA e GIULIETTI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          è decisamente forte il silenzio sul rapimento in Darfur del giovane Francesco Azzarà, operatore di Emergency stimato ed apprezzato da tutti;
          il 14 agosto 2010 Francesco Azzarà è stato rapito e da quel momento si sono perse le tracce e nessuna notizia si è avuta in merito alla sua sorte;
          è stato chiesto più volte al Ministro degli affari esteri pro tempore, di riferire in assemblea, ma questo non si è mai verificato;
          una precedente interrogazione sul caso (4-13177), sottoscritta da diversi deputati, ha ricevuto, a giudizio degli interroganti, una burocratica e insoddisfacente risposta;
          ora la preoccupazione degli interroganti diventa ancora più forte, perché di Francesco Azzarà non si hanno più notizie dal quel 14 agosto 2010  –:
          se il Governo segua con costanza il sequestro di Francesco Azzarà;
          se vi sono stati contatti con i rapitori;
          se si abbiano notizie sulle condizioni e sullo stato di salute del rapito.
(4-14173)

      Risposta. — Il cooperante italiano, volontario di Emergency, Francesco Azzarà, è stato rapito a Nyala (Darfur, Sudan) il 14 agosto 2011, mentre si recava in aeroporto per prelevare un collega in arrivo da Khartoum.
      La sera stessa l'unità di crisi della Farnesina, in stretto contatto e in piena collaborazione con Emergency, rintracciava i familiari del cooperante italiano e li avvertiva dell'accaduto, assicurandoli di avere già disposto l'avvio di ogni utile contatto rivolto alla liberazione.
      Da quel momento la Farnesina avviava con la famiglia Azzarà un intenso rapporto, ininterrottamente curato tramite contatti telefonici giornalieri e numerosi incontri presso questo Ministero fino al termine del sequestro.
      L'ambasciata a Khartoum, su istruzione del Ministro degli esteri, chiedeva da subito la più completa e immediata collaborazione da parte delle Autorità sudanesi per una pronta soluzione della vicenda, domandando altresì di astenersi da qualsiasi azione passibile di pregiudicare l'incolumità del connazionale. Il Governo sudanese avviava in risposta un'operazione vasta e articolata per assicurare la liberazione del connazionale, impiegando il meglio delle risorse disponibili, già messe alla prova con successo in analoghi casi di sequestro a danno di cooperanti stranieri e funzionari ONU rapiti in Darfur.
      La Farnesina, da parte sua, proseguiva un'intensa azione di coordinamento e sollecito nei confronti del Governo sudanese, con ripetuti incontri e contatti tra il Ministro Frattini ed il Ministro degli esteri del Sudan Ali Karti (a New York nel settembre 2011) e successivamente tra l'ambasciatore a Khartoum e le più alte cariche governative sudanesi. La liberazione giungeva quindi il 16 dicembre 2011 dopo un'intensa opera di mediazione da parte del Governo del Sudan.
      In tutto il periodo del sequestro, d'accordo con la famiglia Azzarà e con Emergency, il Governo ha voluto espressamente attenersi, come di consueto, al più rigoroso riserbo nei confronti della stampa, al fine di facilitare ogni operazione tesa alla liberazione del connazionale e in considerazione del delicatissimo contesto politico e strategico del Darfur. La collaborazione e comprensione da parte della stampa hanno peraltro contribuito in maniera determinante alla soluzione della vicenda, ribadendo l'utilità di una condotta quanto più discreta possibile in occasione di sequestri.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Marta Dassù.


      LOVELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il 9 giugno 2011 le organizzazioni sindacali hanno proclamato uno sciopero nazionale del gruppo RDB SpA, con una serie di manifestazioni davanti ai vari siti produttivi tra cui lo stabilimento di Occimiano (Alessandria), nel quale sono a rischio 80 posti di lavoro;
          la RDB s.p.a. è una società piacentina leader, nel settore edilizio e, in particolare, nella progettazione, produzione e installazione di sistemi e strutture prefabbricate e nella produzione di componenti per l'edilizia; costituita nel 1934, la RDB è un'azienda storica che nel corso del tempo, attraverso una serie di acquisizioni, ha assunto dimensioni nazionali e che oggi è configurata come un gruppo societario quotato in borsa con oltre 1.200 dipendenti, 18 stabilimenti e 200 punti vendita; attualmente l'azienda versa in una situazione economico-patrimoniale molto grave, come testimoniato dal confronto tra i dati relativi all'anno 2010 e quelli relativi al primo trimestre del 2011, che riportano un crollo del fatturato del 45 per cento e un sostanziale aumento dell'indebitamento netto;
          tale situazione si inserisce in un contesto di generale crisi del settore edilizio in Italia e di specifica difficoltà dell'azienda ad uscire dall'ambito esclusivamente nazionale – nonostante il tentativo di ampliare la quota di mercato attraverso una serie di acquisizioni – ed inserirsi in circuiti produttivi più ampi in grado di incentivarne lo sviluppo e la crescita sia sotto il profilo produttivo che commerciale;
          nelle prossime settimane si svolgeranno iniziative di mobilitazione davanti alla sede di Confindustria di Piacenza e il 27 luglio si svolgerà un incontro al Ministero del lavoro e delle politiche sociali per la cassa integrazione straordinaria  –:
          quali iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere al fine di agevolare la ristrutturazione aziendale, tutelare l'occupazione e agevolare il ricorso agli ammortizzatori sociali. (4-12750)

      Risposta. — La società RDB, com’è noto, è leader nel settore del prefabbricato.
      Al Ministero dello sviluppo economico si è seguita, fin dal mese di luglio 2011, la difficile situazione della società RDB.
      Presso il medesimo Ministero, infatti, si sono avuti più incontri ai quali hanno partecipato oltre ai rappresentanti della Amministrazione, della RDB e delle organizzazioni sindacali anche, i rappresentanti della regione Lombardia, della regione Toscana, della provincia di Siena, della provincia di Alessandria, della provincia di Piacenza e della provincia di Caserta.
      La RDB S.p.A., società capogruppo dell'omonimo gruppo, opera, infatti, con stabilimenti su tutto il territorio nazionale, nel settore dell'edilizia industrializzata in calcestruzzo.
      La società ha dichiarato, nel corso delle riunioni tenutesi, di subire da tempo le conseguenze della difficile congiuntura di mercato che ha colpito in particolar modo il mercato delle costruzioni, nel quale la medesima ha registrato un calo di circa il
40 per cento. Ad aggravare la situazione si è aggiunta la progressiva erosione della marginalità e un crollo del fatturato.
      La stessa, pertanto, ha dichiarato di aver predisposto un piano industriale di risanamento che verte su alcuni punti. Tra questi si segnalano:
          la razionalizzazione dell'utilizzo degli impianti produttivi e riduzione dei costi operativi;
          la ristrutturazione del debito bancario del gruppo;
          l'esecuzione di aumento di capitale;
          lo sviluppo di nuovi fronti di mercato quali il residenziale, inteso anche come edilizia sociale (ospedali, carceri ecc.);
          lo sviluppo delle tecnologie aziendali.

      Tale piano di risanamento dovrà essere approvato da parte degli Istituti bancari creditori della RDB.
      Riguardo alla ricapitalizzazione, preso atto che i soci storici non hanno intenzione di partecipare alla stessa, il rappresentante del gruppo ha comunicato che è stata presentata un'offerta da parte dell'Alias Srl; quest'ultima, peraltro, detiene già indirettamente l'8,9 per cento del capitale sociale della RDB.
      Nell'ultima riunione tenutasi in data 17 gennaio 2012, presso il Ministero dello sviluppo economico, si è avuta notizia, dal rappresentante della società, che la società RDB è passata all'Alias Srl.
      Allo stato attuale, pertanto, la società occupa 847 persone ed è divisa in tre linee di attività: prefabbricati, gasbeton e mattoni faccia a vista.
      La RDB dovrà affrontare una congiuntura difficile e, pertanto, si è reso necessario dismettere gli asset non strategici e ridurre i costi operativi. In tal senso il rappresentante della società presente all'incontro, ha comunicato che vedranno cessare la propria attività i siti di Bitetto, Occimiano, Lomagna, Osio, Montepulciano, Lomello e Villafranca.
      Le organizzazioni sindacali hanno chiesto maggiori informazioni circa eventuali manifestazioni d'interesse legate a singole aziende del gruppo ed hanno sollecitato la stesura del Piano industriale in forma scritta, in modo tale da avere una base su cui confrontarsi, al fine di poter avviare una discussione sui singoli siti.
      Il rappresentante del Ministero ha dichiarato che, a oggi, non sono pervenute né indicazioni, né tantomeno manifestazioni d'interesse relative ad aziende facenti capo alla RDB, ed ha invitato le parti presenti ad avviare la discussione su ciascun sito del gruppo. Confronto che, al momento, è in corso.

      Il Ministero dello sviluppo economico conferma, comunque, il proprio impegno affinché coloro che presenteranno eventuali manifestazioni d'interesse abbiano la possibilità di discuterle in maniera costruttiva con la RDB, anche alla luce dell'impegno costante dimostrato dalle istituzioni locali ai fini della ricerca di soluzioni industriali per le criticità emerse. Ha, inoltre, augurato che il confronto si svolga con la massima collaborazione delle parti e senza forzatura alcuna.
      Infine il Ministero del lavoro, comunica da parte sua che in data 27 luglio scorso, è stato concluso un accordo tra la RDB e le organizzazioni sindacali per il ricorso al trattamento di cassa integrazione straordinaria per crisi aziendale della durata di 12 mesi, a decorrere dal 1o agosto 2011 e in favore di un numero massimo di 572 lavoratori.
Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      LOVELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          con la precedente interrogazione a risposta scritta 4-12750 presentata mercoledì 20 luglio 2011, seduta n.  505, veniva rappresentata la grave situazione economico-patrimoniale determinatasi nel gruppo industriale RDB spa, una società piacentina leader nel settore edilizio e, in particolare, nella progettazione, produzione e installazione di sistemi e strutture prefabbricate e nella produzione di componenti per l'edilizia, con oltre 1200 dipendenti, 18 stabilimenti e 200 punti di vendita, tra cui il sito produttivo di Occimiano (Alessandria) con 80 dipendenti;
          nei mesi scorsi si sono svolte numerose iniziative di mobilitazione dei lavoratori e degli enti locali interessati, oltre a riunioni presso il Ministero dello sviluppo economico, che avranno un seguito la prossima settimana presso lo stesso Ministero con una riunione cui interverranno le banche disponibili ad asseverare il piano industriale presentato dai possibili acquirenti del gruppo con pesanti tagli produttivi e occupazionali;
          forte preoccupazione è stata espressa nella giornata di giovedì 13 ottobre 2011 nel corso di un incontro promosso dalla regione Piemonte relativo alla situazione specifica dello stabilimento di Occimiano di cui è previsto lo smantellamento con gravi ricadute occupazionali e sociali per tutto il territorio  –:
          quali iniziative i Ministri interrogati abbiano intrapreso ed intendano intraprendere al fine di rilanciare l'attività produttiva, tutelare l'occupazione e agevolare il ricorso agli ammortizzatori sociali nel gruppo RDB spa e in particolare, quali siano le valutazioni del Governo in merito al piano industriale presentato che le banche dovrebbero asseverare e alla sua affidabilità per il futuro del gruppo.
(4-13608)

      Risposta. — In relazione all'interrogazione in oggetto, si rappresenta quanto segue.
      La società RDB, com’è noto, è
leader nel settore del prefabbricato.
      Al Ministero dello sviluppo economico si è seguita, fin dal mese di luglio 2011, la difficile situazione della società RDB.
      Presso il medesimo Ministero, infatti, si sono avuti più incontri ai quali hanno partecipato oltre ai rappresentanti della amministrazione, della RDB e delle organizzazioni sindacali anche, i rappresentanti della regione Lombardia, della regione Toscana, della provincia di Siena, della provincia di Alessandria, della provincia di Piacenza e della provincia di Caserta.
      La RDB S.p.A., società capogruppo dell'omonimo gruppo, opera, infatti, con stabilimenti su tutto il territorio nazionale, nel settore dell'edilizia industrializzata in calcestruzzo.
      La società ha dichiarato, nel corso delle riunioni tenutesi, di subire da tempo le conseguenze della difficile congiuntura di mercato che ha colpito in particolar modo il mercato delle costruzioni, nel quale la medesima ha registrato un calo di circa il 40 per cento. Ad aggravare la situazione si è aggiunta la progressiva erosione della marginalità e un crollo, del fatturato.
      La stessa, pertanto, ha dichiarato di aver predisposto un piano industriale di risanamento che verte su alcuni punti. Tra questi si segnalano:
          la razionalizzazione dell'utilizzo degli impianti produttivi e riduzione dei costi operativi;
          la ristrutturazione del debito bancario del gruppo;
          l'esecuzione di aumento di capitale;
          lo sviluppo di nuovi fronti di mercato quali il residenziale, inteso anche come edilizia sociale (ospedali, carceri ecc.);
          lo sviluppo delle tecnologie aziendali.

      Tale piano di risanamento dovrà essere approvato da parte degli Istituti bancari creditori della RDB.
      Riguardo alla ricapitalizzazione, preso atto che i soci storici non hanno intenzione di partecipare alla stessa, il rappresentante del gruppo ha comunicato che è stata presentata un'offerta da parte dell'Alias Srl; quest'ultima, peraltro, detiene già indirettamente l'8,9 per cento del capitale sociale della RDB.
      Nell'ultima riunione tenutasi in data 17 gennaio 2012, presso il Ministero dello sviluppo economico, si è avuta notizia, dal rappresentante della società, che la società RDB è passata all'Alias Srl.
      Allo stato attuale, pertanto, la società occupa 847 persone ed è divisa in tre linee di attività: prefabbricati, gasbeton e mattoni faccia a vista.
      La RDB dovrà affrontare una congiuntura difficile e, pertanto, si è reso necessario dismettere gli
asset non strategici e ridurre i costi operativi. In tal senso il rappresentante della società presente all'incontro, ha comunicato che vedranno cessare la propria attività i siti di Bitetto, Occimiano, Lomagna, Osio, Montepulciano, Lomello e Villafranca.
      Le organizzazioni sindacali hanno chiesto maggiori informazioni circa eventuali manifestazioni d'interesse legate a singole aziende del gruppo ed hanno sollecitato la stesura del Piano industriale in forma scritta, in modo tale da avere una base su cui confrontarsi, al fine di poter avviare una discussione sui singoli siti.
      Il rappresentante del Ministero ha dichiarato che, a oggi, non sono pervenute né indicazioni, né tantomeno manifestazioni d'interesse relative ad aziende facenti capo alla RDB, ed ha invitato le parti presenti ad avviare la discussione su ciascun sito del gruppo. Confronto che, al momento, è in corso.
      Il Ministero dello sviluppo economico conferma, comunque, il proprio impegno affinché coloro che presenteranno eventuali manifestazioni d'interesse abbiano la possibilità di discuterle in maniera costruttiva con la RDB, anche alla luce dell'impegno costante dimostrato dalle istituzioni locali ai fini della ricerca di soluzioni industriali per le criticità emerse. Ha, inoltre, augurato che il confronto si svolga con la massima collaborazione delle parti e senza forzatura alcuna.
      Infine il Ministero del lavoro, comunica da parte sua che in data 27 luglio scorso, è stato concluso un accordo tra la RDB e le organizzazioni sindacali per il ricorso al trattamento di cassa integrazione straordinaria per crisi aziendale della durata di 12 mesi, a decorrere dal 1o agosto 2011 e in favore di un numero massimo di 572 lavoratori.

Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      MARINELLO. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          da circa un anno 400 risparmiatori italiani sono rimasti vittime di una appropriazione indebita sulla piazza finanziaria di Dubai, alla quale non si riesce a porre rimedio né per il tramite dei normali canali finanziari, né per via giudiziaria o diplomatica;
          in sostanza gli investitori avevano affidato una complessiva somma di 26 milioni di euro alla società GFOREX spa di Milano che la investiva sulla piazza di Dubai utilizzando una piattaforma telematica e i servizi di trading forniti dalla società GTL. A decorrere dal 18 marzo 2011 il broker GTL ha impedito a GFOREX di accedere alla suddetta piattaforma, bloccando di fatto tutte le operazioni di trading. I 26 milioni di euro sono così rimasti nelle casse della GTL;
          la società GFOREX ha quindi avviato una azione legale nei confronti di GTL, sia attraverso uno studio legale di Dubai, che ha proposto denunzia alla locale procura, sia alla procura di Milano. Il rappresentante legale della GTL, Riaz Mohammad, di origine pakistana, non si è mai presentato alle convocazioni dell'autorità giudiziaria di Dubai, tuttavia nei suoi confronti non risulta emesso alcun provvedimento ingiuntivo o restrittivo;
          della vicenda è stato interessato, senza esito, anche il consolato italiano a Dubai. Sono rimaste senza risultato, a quanto consta all'interrogante, anche le richieste di sostegno alle istanze degli investitori, informalmente avanzate nei confronti del Ministero degli affari esteri italiano e della locale ambasciata italiana;
          secondo alcune informazioni raccolte, la GTL garantirebbe parte delle liquidità della borsa di Dubai e forse questo fatto potrebbe essere la causa della particolare protezione di cui godrebbe il signor Riaz, che continua ad operare sulla piazza di Londra, ha aperto una società consorella della GTL alle Isole Vergini e investe, a quanto è dato sapere, in Australia;
          nel periodo decorrente dal marzo 2011, la GFOREX è stata dichiarata fallita dal tribunale di Milano. Il curatore fallimentare, avvocato Giorgio Zanetti, ha ricevuto una proposta dai legali del finanziere Riaz, consistente nell'anticipo di una piccola somma e nella restituzione del capitale in 4-5 anni. La proposta è stata giudicata inaccettabile dai risparmiatori;
          della vicenda si è avuto riscontro in alcuni articoli sul Corriere della Sera, con l'unico risultato di una minaccia di querela da parte della GTL  –:
          se il Ministro interrogato non ritenga opportuno un intervento a livello diplomatico, volto a far sì che il Governo degli Emirati Arabi intervenga nella vicenda e sia sensibilizzato sui possibili effetti negativi che tale vicenda potrebbe avere sulla fiducia e sulla credibilità finanziaria di cui gli Emirati godono. (4-14974)

      Risposta. — La Farnesina segue con grande attenzione la controversia che coinvolge la società italiana «Gforex» a Dubai.
      La questione è stata portata all'attenzione della nostra ambasciata ad Abu Dhabi che ha posto in essere opportuni passi presso le autorità locali a tutela degli interessi dei 400 investitori italiani coinvolti. In particolare, l'ambasciatore ha sollevato il caso con il Ministero degli affari esteri degli Emirati Arabi Uniti ed ha indirizzato in data 19 febbraio 2012 una lettera al Ministro dell'economia, Al Mansouri, sottolineando la delicatezza del problema ed auspicando che il contenzioso venga risolto con tempestività, nel rispetto dei diritti dei cittadini italiani coinvolti e nell'ambito del clima di fiducia che caratterizza i rapporti bilaterali tra Roma ed Abu Dhabi. Il Ministero degli affari esteri continuerà a monitorare gli sviluppi sulla vicenda e a porre in essere ogni utile intervento sulle autorità locali tramite l'Ambasciata ad Abu Dhabi.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Marta Dassù.


      MELIS, LEVI e GHIZZONI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'11 ottobre 2011 a Roma, in occasione di una pacifica manifestazione del movimento «Carta batte forbice» (nato spontaneamente tra gli operatori dei beni culturali, i docenti universitari e gli studenti specializzandi nelle discipline archivistiche e bibliotecarie), è stato impedito l'accesso ai locali della biblioteca nazionale in Castro Pretorio;
          in tale circostanza è stata schierata a protezione della biblioteca la forza pubblica, con grande impiego di camionette e agenti in assetto antisommossa, generando così immotivatamente momenti di tensione con coloro che, pacificamente, intendevano semplicemente esercitare il proprio diritto di assemblea nel luogo più idoneo, data la sua natura istituzionale, a tenere una simile riunione; ne sono altresì derivati seri disagi per il pubblico, anch'esso impossibilitato, data la interruzione del servizio, ad accedere normalmente alla biblioteca;
          il fatto è stato denunciato da diverse associazioni di settore, tra le quali l'AIB, la più rappresentativa delle organizzazioni dei bibliotecari italiani, il Forum per il libro, l'Associazione Bianchi Bandinelli, Generazione TQ e i Presìdi del libro, con il sostegno di autorevolissime associazioni di settore multinazionali; all'appello, che ha espresso una ferma protesta e la richiesta della massima apertura per le istanze degli operatori dei beni librari e archivistici, hanno aderito eminenti personalità della cultura, italiane e straniere;
          l'episodio per altro si inquadra nello stato di acuta, generalizzata sofferenza delle istituzioni culturali e del personale che vi opera. I tagli ingenti previsti in questo settore stanno già determinando conseguenze gravissime, che non mancheranno di riflettersi sulla ricerca scientifica nazionale: il personale è ovunque sotto organico; le acquisizioni di nuove fonti e materiali impossibilitate dalla scarsità dei bilancio; la situazione dei locali (i depositi per gli archivi) ormai in stato di criticità; gli orari al pubblico ridotti sino all'estremo limite;
          ciò è tanto più grave in un Paese dove si legge poco, dove si contano ancora due milioni di analfabeti totali (per non contare quelli di ritorno), e cinque di semianalfabeti; per comparazione, si ricorda che la Biblioteca nazionale italiana (cioè la massima istituzione del nostro sistema bibliotecario) chiude tutti i giorni alle 19, e il sabato alle 13.30, mentre, come è normale ad esempio a tutte le grandi biblioteche europee, le biblioteche potrebbero e dovrebbero restare aperte fino a mezzanotte, o addirittura 24 ore, e – come accade all'estero – la domenica, o l'intera estate. Si rammenta altresì che i fondi in dotazione alla nostra Biblioteca nazionale sono ridotti ormai a 1.300.000 euro all'anno mentre alla British Library – pur con i tagli effettuati dall'attuale Primo Ministro – lo Stato trasferisce l'equivalente di 150 milioni di euro l'anno e alla Bibliotèque nationale de France – pur con i tagli decisi dal Presidente Sarkozy – 200 milioni di euro l'anno;
          altrettanto grave è la situazione degli archivi, sia pubblici che privati. Per limitarsi ai primi, si rammenta che da decenni sono stati interrotti i concorsi (l'ultima generazione entrata per concorso nei ruoli degli archivi di Stato è ormai sulla soglia della pensione); che si fa ricorso sempre più sistematicamente a forme eccezionali di outsourcing costose e di dubbia efficacia; l'attività di acquisizione e inventariazione di fondi recenti pure preziosi per ricostruire in futuro la memoria delle istituzioni è praticamente interrotta; mancano locali, personale specializzato, risorse per la pubblicazione degli inventari, mentre va riducendosi drasticamente il tempo e la qualità del servizio al pubblico;
          l'uso l'11 ottobre 2011 a Roma della forza pubblica contro chi chiede semplicemente di difendere il patrimonio della cultura nazionale e la propria professionalità appare all'interrogante assolutamente immotivato, e una gestione diversa della giornata dell'11 ottobre avrebbe consentito di evitare questa assurda umiliazione ai lavoratori della cultura e all'intero Paese;
          occorre preservare le istituzioni della conservazione, della ricerca e della cultura da tagli indiscriminati che produrrebbero (e di fatto già stanno producendo) interruzioni e decadimenti della operatività di tali istituti, con gravi danni sullo stato della ricerca e sulla domanda di cultura dei cittadini  –:
          quali determinazioni intendano assumere i Ministri interrogati, pur nel quadro drammatico della crisi finanziaria in atto, per imitare i grandi Paesi europei, garantendo alla rete delle istituzioni culturali almeno una adeguata sopravvivenza e a chi vi lavora, spesso con sacrificio e passione, una ragionevole previsione di mantenimento del proprio posto di lavoro e del proprio stipendio. (4-13885)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione in oggetto, relativa agli accadimenti dell'11 ottobre 2011 in occasione della manifestazione del movimento «Carta batte forbice», durante la quale è stato impedito l'accesso ai locali della biblioteca nazionale centrale di Roma ai dimostranti, si rappresenta quanto segue.
      Gli avvenimenti accaduti presso l'istituto bibliografico, nel pomeriggio dell'11 ottobre 2011, sono stati oggetto di costante monitoraggio e controllo da parte del responsabile dell'Istituto stesso e dei funzionari in servizio, con l'ausilio delle Forze dell'ordine, spontaneamente presentatesi
in loco per presidiare gli ingressi per motivi di sicurezza e per proteggere l'istituto, a seguito di una specifica segnalazione ricevuta dall'università, che dava per imminente un tentativo di occupazione della biblioteca da parte di soggetti non bene identificati.
      Tale iniziativa, nei giorni precedenti, era stata presentata al direttore sotto forma di richiesta di utilizzo degli spazi della Biblioteca per la realizzazione di un evento artistico-culturale, finalizzato anche a sensibilizzare i media sulla critica situazione in cui versa attualmente il mondo culturale italiano.
      A detta istanza, però, non era stato dato seguito perché, dopo i primi contatti informali, la direzione della biblioteca si era resa conto che non solo l'evento non si concretizzava ma, piuttosto, che gli organizzatori avevano già provveduto ad indire una mobilitazione generale dei partecipanti, senza aver ricevuto alcuna autorizzazione.
      È di tutta evidenza che la biblioteca nazionale centrale, pur avendo tra i molteplici fini istituzionali previsti dalla legge anche quello di rappresentare un alto momento di confronto e dibattito culturale, non può in nessun modo essere considerata il luogo più idoneo per iniziative «assembleari», di incerta valenza culturale; inoltre, va ricordato che non esiste, a nessun titolo, un «diritto» a servirsi per tale scopo degli spazi dell'Istituto, che non può essere equiparato ad una pubblica piazza.
      In ogni caso, per quanto riguarda lo svolgimento esatto degli eventi e i ruoli effettivamente rivestiti dai protagonisti, la direzione generale per le biblioteche, gli Istituti culturali ed il diritto d'autore ha precisato che:
          non risponde al vero che la direzione dell'istituto abbia richiesto l'intervento della forza pubblica che ha agito in base ad una informativa esterna;
          il direttore della biblioteca non ha mai autorizzato, né formalmente né verbalmente, assemblee o manifestazioni negli spazi dell'Istituto;
          la biblioteca non è stata chiusa, ma è rimasta sempre aperta ed ha funzionato regolarmente. Gli utenti, presenti nelle sale di lettura, non sono stati allontanati e non hanno subito il benché minimo disagio. Il personale ha continuato a svolgere il proprio lavoro regolarmente, fino all'orario ordinario di chiusura;
          la chiusura dei cancelli esterni è stata disposta dall'autorità di pubblica sicurezza per motivi di ordine pubblico (manifestazione non autorizzata);
          le forze di polizia hanno agito con tatto, evitando di esasperare la situazione, le cui tensioni, è bene sottolinearlo, nascevano semplicemente dall'equivoco di quanti, convocati unilateralmente dagli organizzatori, hanno pensato erroneamente, vedendo lo schieramento di polizia, che si volesse negare loro l'accesso ad una manifestazione a favore della cultura.

      Da quanto sopra esposto non si evincono motivi di critica sulla correttezza del comportamento e delle decisioni assunte dalla direzione della biblioteca nazionale centrale e dalle forze di polizia.
      Per quanto riguarda l'insufficienza delle risorse economiche da stanziare a beneficio di istituzioni culturali, pure evidenziata nell'atto di sindacato ispettivo, è ben noto il
trend negativo dei finanziamenti in questione conseguente alle misure di contenimento della spesa pubblica, attuate negli ultimi anni.
      Si segnala, tuttavia, che il Ministero per i beni e le attività culturali è tra le poche Amministrazioni ad avere ottenuto una inversione di tendenza per l'anno 2012, grazie a provvedimenti normativi quali il decreto-legge n.  34 del 2011, convertito dalla legge n.  75 del 2011 e la legge di stabilità 2012, che hanno consentito l'acquisizione di nuove risorse, la deroga alla riduzione degli assetti organizzativi e al blocco delle assunzioni, nonché lo scorrimento delle graduatorie degli ultimi concorsi dirigenziali.

Il Ministro per i beni e le attività culturali: Lorenzo Ornaghi.


      MONTAGNOLI e REGUZZONI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n.  246, all'articolo 1, prevede che «chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni è obbligato al pagamento dei canone di abbonamento»;
          l'articolo 17 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 prevede che le società e le imprese, nella relativa dichiarazione dei redditi, debbano indicare il numero di abbonamento speciale alla radio o alla televisione e la categoria di appartenenza, ai fini della verifica del pagamento del canone di abbonamento radiotelevisivo speciale;
          la RAI, Radiotelevisione italiana spa, anche come conseguenza dell'entrata in vigore del suddetto articolo 17, sta conducendo una massiccia campagna nei confronti delle imprese, chiedendo il pagamento del canone speciale per la detenzione di uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive al di fuori dall'ambito familiare, compresi computer collegati in rete (digital signage e similari), indipendentemente dall'uso al quale gli stessi vengono adibiti;
          calcolando che la cifra da versare, a seconda della tipologia dell'impresa, può variare da un minimo di 200 ad un massimo di 6 mila euro, secondo una prima stima la Rai potrebbe incassare fino a 1,4 miliardi di euro per apparecchi che non vengono utilizzati per ricevere i canali Rai: 2 milioni di liberi professionisti per oltre 400 milioni di euro di versamento e 5 milioni di imprese italiane per 980 milioni di euro;
          per quanto riguarda l'individuazione della tipologia di apparecchi che determinano l'obbligo del pagamento del canone RAI, l'Agenzia delle entrate, con nota del 15 marzo 2008, prot. n.  954-38963, ha avuto modo di affermare che «spetta al Ministero delle comunicazioni procedere a tale individuazione», ed in effetti l'Agenzia ha poi proceduto a chiedere al predetto Ministero di fornire precisazioni riguardo alla problematica, senza peraltro ottenere mai risposta;
          la RAI, facendo leva sul nuovo obbligo per le imprese introdotto dall'articolo 17 del decreto n.  201 del 2011, si sostituisce di fatto al legislatore nel tradurre in regola concreta una norma che certamente non ha come scopo quello di obbligare al pagamento del canone chi utilizza i propri strumenti di lavoro per finalità intrinseche, e a volte addirittura per effetto di norme che obbligano l'impresa a dotarsene (si consideri l'obbligo per le società di dotarsi di posta elettronica certificata e la previsione che i contatti tra imprese e pubblica amministrazione debbano avvenire esclusivamente in forma telematica);
          il computer è uno strumento indispensabile allo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa e l'inclusione dello stesso fra gli apparecchi tassati significherebbe di fatto imporre una nuova imposta sull'innovazione, sullo sviluppo tecnologico e sul lavoro  –:
          se non ritenga opportuno, nelle more dell'adozione degli atti successivi necessari alla risoluzione della questione, assumere ogni iniziativa di competenza volta a sospendere gli effetti delle richieste di pagamento inviate dalla RAI-Radiotelevisione Italiana spa per la corresponsione del canone speciale di abbonamento e conseguentemente l'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 17 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazione dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214;
          se non si ritenga opportuno identificare con chiarezza ed urgenza quali siano gli apparecchi per i quali è dovuto il pagamento del canone Rai, escludendo specificatamente quegli strumenti che normalmente sono utilizzati come strumenti di lavoro quotidiano nelle imprese, nelle società e negli studi professionali. (4-15048)

      Risposta. — Risale all'articolo 1 del regio-decreto n.  246 del 1938 l'obbligo del pagamento del canone di abbonamento per tutti gli «apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni».
      La questione sollevata nei giorni scorsi e ripresa dagli interroganti – su quali debbano essere gli apparecchi soggetti al pagamento dei canoni speciali della Rai – ha reso necessario un celere chiarimento.
      Per questa ragione il Ministero dello sviluppo economico ha già provveduto a fornire all'agenzia delle entrate elementi esplicativi in merito.
      La questione sta in questi termini.
      La normativa in esame porta a riferire il pagamento del canone solo al servizio di radiodiffusione. Pertanto, non è possibile includere altre forme di distribuzione del segnale audio/video (per esempio Web Radio, Web Tv) che sono basate, come dicono i tecnici, su portanti fisici diversi.
      In linea generale sono, quindi, esclusi i personal computer, fissi o portatili, i
tablet (come gli iPad) e gli smartphone, cioè gli strumenti suscettibili, di per sé, di connessione alla rete internet.
      È però necessario, per essere più chiari, qualche ulteriore specificazione tecnica. In altre parole, dobbiamo circoscrivere il campo degli apparecchi soggetti al pagamento del canone a quelli utili alla ricezione di segnali televisivi su piattaforma terrestre e piattaforme satellitare. Tali apparecchi sono quelli caratterizzati da un sintonizzatore, che ha la funzione essenziale di prelevare il segnale di antenna nelle bande destinate al servizio di radiodiffusione e la capacità autonoma di erogare il servizio di radiodiffusione (o come veniva chiamato nel regio-decreto di radioaudizione).
      Devo dire che abbiamo trovato la Rai già in linea con questa interpretazione, tanto che si è impegnata a fare tutte le necessarie azioni di chiarimento in questo senso.
      L'applicazione della norma in questi termini è tra l'altro in sintonia con la strategia che questo Governo ha già iniziato ad adottare sui temi dell'agenda digitale: come sapete, infatti, ogni sforzo sarà fatto per permettere all'Italia di essere all'avanguardia del mondo digitalizzato.
      Quanto all'articolo 17 del cosiddetto decreto «salva Italia», con il quale è stato introdotto l'obbligo, per le imprese e le società, di indicare nella dichiarazione dei redditi il numero dell'abbonamento speciale alla radio e alla televisione e la categoria di appartenenza, va da sé che tale obbligo ricorre nella misura in cui sussiste il correlativo obbligo di pagare il canone speciale, nei limiti sopra accennati.

Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      NASTRI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto previsto dal decreto n.  7462 del Ministro interrogato e firmato lo scorso 10 novembre, i fondi messi a disposizione per le operazioni finanziarie a sostegno del settore vitivinicolo per il 2012, risultano pari a oltre 341 milioni di euro, di cui 276,5 milioni di euro, provengono dalle disponibilità comunitarie, mentre la quota di cofinanziamento nazionale ammonta a 64,7 milioni di euro;
          il provvedimento sblocca gli aiuti previsti nel quadro dell'Organizzazione comune di mercato per il comparto predetto, come stabilito dal regolamento n.  1234 del Consiglio dell'Unione europea del 22 ottobre 2007;
          i criteri secondo cui le agevolazioni previste sono suddivise dal suesposto decreto, indicano che le regioni che riceveranno più fondi sono quelle che provvederanno alla ristrutturazione e alla riconversione dei vigneti (quali 120,8 milioni di euro) nonché alla promozione sui mercati esteri (circa 57,6 milioni di euro);
          ulteriori parametri indicano che la suddivisione dei fondi avverrà per gli incentivi agli investimenti delle aziende vinicole (40 milioni di euro) e per i contributi alla cosiddetta vendemmia verde (30 milioni di euro);
          la regione maggiormente finanziata, secondo quanto riporta il quotidiano: Italia Oggi del 17 novembre, è la Sicilia, a cui sono destinati oltre 54 milioni di euro; seguono, ad una certa distanza, il Veneto, la Puglia, l'Emilia Romagna e la Toscana, mentre il Piemonte risulta la sesta regione, nell'elenco previsto dal decreto delle regioni beneficiarie dei finanziamenti;
          i suesposti criteri e i metodi di ripartizione dei fondi previsti, a giudizio dell'interrogante, appaiono contraddittori e di dubbia interpretazione in considerazione che la regione Piemonte, il cui comparto vitivinicolo è caratterizzato da una produzione tutelata da ben 13 DOCG e 44 DOC, i cui vini che sono diventati simboli e ambasciatori del Piemonte e dell'Italia in tutto il mondo e che esprimono grandi qualità frutto del lavoro svolto da migliaia di produttori e del profondo legame con il territorio, possiede una superficie coltivabile di circa 58.000 ettari, il 63 per cento dei quali godono dello status come predetto di DOC e DOCG;
          risulta conseguentemente secondo l'interrogante incoerente ed in contrasto con i suesposti criteri, l'impostazione del riparto dei fondi previsti per le regioni stabilito dal decreto ministeriale, se si valuta come il Piemonte, i cui vini costituiscono una delle eccellenze del panorama vinicolo mondiale, con una produzione annuale di 3 milioni e 300 mila ettolitri di vino l'anno, sia posta solo al sesto posto nell'elenco delle regioni beneficiarie dei finanziamenti per il 2012, a sostegno della vitivinicoltura  –:
          se siano stati utilizzati, ulteriori parametri oltre a quelli esposti in premessa, per la ripartizione dei fondi indicati;
          se considerato che la regione Piemonte, risulta essere stata penalizzata dalla suddivisione del decreto ministeriale, esposto in premessa, in considerazione del fatto che l'elevato numero di vigneti di cui dispone, unitamente al successo riscosso sui mercati esteri, dovrebbe consentire alla medesima regione di ricevere maggiori risorse nei confronti del comparto vitivinicolo;
          se intende assumere iniziative nel senso di riconsiderare tale ripartizione di fondi. (4-13939)

      Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame concernente la ripartizione dei fondi messi a disposizione per le operazioni finanziarie a sostegno del settore vitivinicolo, ricordo che il decreto ministeriale n.  7462 del 10 novembre 2011 ha stabilito la ripartizione dei fondi messi a disposizione dell'Unione europea nell'ambito dell'OCM vitivinicola per l'anno 2012.
      Tali fondi, che ammontano a 341.174.000 euro, sono tutti di provenienza comunitaria, non essendo prevista una quota di «cofinanziamento nazionale», peraltro ammessa solo per alcune misure previste dal regolamento CE 1234/07.
      Il provvedimento di riparto dei fondi per l'anno 2012, come tutti i provvedimenti analoghi degli anni precedenti, ha ricevuto l'intesa della Conferenza Stato-regioni nella seduta del 27 ottobre 2011. Al riguardo, ritengo opportuno sottolineare che l'Amministrazione sottopone puntualmente i provvedimenti che emana all'attenzione della Conferenza Stato-regioni.
      In particolare, i criteri per la ripartizione dei fondi sono stati individuati dalle regioni stesse nell'ambito di un'apposita riunione della Commissione politiche agricole del 23 luglio 2009. Pertanto, nel procedere alla ripartizione dei fondi, la mia amministrazione applica pedissequamente quanto stabilito e deciso autonomamente dalle regioni.
      Ciò premesso, ne consegue che l'amministrazione centrale non ha alcuna possibilità di intervenire sulle decisioni delle regioni e province autonome circa i criteri da assumere per la ripartizione dei fondi. Sono le regioni stesse che, eventualmente, decidono di modificarli per adattarli a nuove intervenute esigenze.
      Qualora la regione Piemonte dovesse ritenersi penalizzata dalla ripartizione attuata, circostanza di cui non sono a conoscenza, può semplicemente chiedere la convocazione di un'apposita Commissione politiche agricole e discutere, in tale ambito, la formulazione di nuovi e più appropriati criteri di riparto.
      Per concludere vorrei informare l'interrogante che la regione Piemonte, nella scorsa campagna, a fronte di un importo complessivo assegnato di 17.018.000 euro, ha effettivamente speso 16.300.310 euro, realizzando un'economia di circa 700.000 euro, nonostante il richiesto finanziamento della misura della distillazione di crisi per alcuni vini dop, mentre nella precedente campagna, a fronte di uno stanziamento di oltre 14 milioni di euro, la regione ne ha utilizzati poco più di 7 milioni.

Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Mario Catania.


      LEOLUCA ORLANDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          nel febbraio 2010 la dirigenza di Lyondell/Basell ha annunciato la decisione di chiudere lo stabilimento sito nel polo chimico di Terni, determinando in breve tempo pesanti ricadute sulle altre aziende del polo che dipendevano per gli approvvigionamenti di polipropilene dall'impianto di Basell, e a luglio è stato sottoscritto, presso la regione, l'accordo per la cassa integrazione straordinaria di un anno a zero ore per 94 lavoratori della Basell, determinato appunto dalla cessazione delle attività da parte dell'azienda, nonostante i risultati positivi conseguiti anche nell'anno precedente, come dimostra la cifra dell'utile netto dell'impianto ternano nel 2009, pari ad oltre 9 milioni di euro;
          la situazione del polo chimico di Terni, alla luce degli ultimi avvenimenti, rimane critica e la preoccupazione per il futuro delle aziende del distretto, coinvolte direttamente o indirettamente nelle decisioni della Basell di sospendere la produzione, è unanimemente condivisa, anche a causa delle gravi ricadute sul piano sociale, economico e ancor più occupazionale dell'intera area del ternano e delle città vicine;
          in risposta alla precedente interrogazione (n.  4/06378), pervenuta il 14 giugno 2010, il Sottosegretario Saglia aveva dichiarato apertura e collaborazione in quanto dichiarava: «La proposta del MSE, condivisa con le Istituzioni locali e le Organizzazioni Sindacali, unite nella volontà di mantenere la produzione e l'occupazione, è quella di non chiudere gli impianti prima che si sia trovata una soluzione alternativa, con la condizione ulteriore di due requisiti minimi: avere il tempo necessario per fare delle valutazioni senza la scadenza incipiente del 30 giugno prossimo e la disponibilità dell'Azienda a valutare tutte le ipotesi percorribili senza scartare nulla» e ancora «L'incontro si è concluso senza una posizione condivisa, con la decisione, tuttavia, di mantenere aperto il tavolo di confronto fino a quando non si riuscirà a trovare soluzioni adeguate e si saranno esplorate tutte le strade possibili. In questi giorni si stanno susseguendo contatti anche con Confindustria-Terni e con le singole aziende, sia per affrontare le problematiche del sito che per la reindustrializzazione dello stesso. Le decisioni dell'Azienda non possono, infatti, prescindere da un contesto composto da una pluralità di “attori”, ci si aspetta, quindi, che anche il piano di Basell possa cambiare, con l'auspicio che tutti contribuiscano con coerenza ad una possibile soluzione positiva. I prossimi giorni sono ritenuti dal Governo cruciali per continuare nel confronto e si auspica che, anche, da parte dell'Azienda ci sia l'intenzione di proseguire concretamente su questa strada»;
          nonostante i numerosi incontri presso il Ministero dello sviluppo economico la cordata interessata a rilevare lo stabilimento di Basell, composta da Novamont e Banca Intesa, ha incontrato finora una grave e reiterata indisponibilità da parte della dirigenza aziendale di Lyondell/Basell alla vendita dell'impianto. Nel frattempo la dirigenza di Lyondell/Basell ha proceduto ad avanzare proposte di trasferimento ai lavoratori dei propri stabilimenti in Italia, in un progetto di riallocazione del capitale umano che prevederebbe sia la dislocazione di parte delle maestranze all'estero che il riassorbimento nell'impianto di Ferrara di un numero imprecisato di lavoratori cassintegrati di Terni;
          la notizia dell'ingresso dell'ENI nella proprietà societaria della Novamont sembrerebbe offrire una seria speranza per la soluzione del problema, offrendo a Terni non solo l'occasione per il superamento di una situazione di crisi, ma una grande opportunità per la costituzione di un'attività industriale innovativa, ecocompatibile e quindi di grande futuro;
          questa potrebbe essere un'opportunità importante per il comune di Terni, per la provincia di Terni e per la regione Umbria tutta, in quanto ogni sforzo ed ogni energia o risorsa disponibile dovrebbe essere spesa per salvaguardare il polo chimico ternano, con la prospettiva di una produzione ecocompatibile, leader in Italia ed in Europa, trasformando un momento di grave difficoltà in occasione di nuovo sviluppo;
          questa situazione pone fortemente al centro dell'interlocuzione, tra Governo centrale ed enti locali, il tema della delocalizzazione dei processi produttivi – che, ultimamente, sappiamo non interessare solo il polo chimico di Terni, ma anche altre e numerose realtà industriali italiane –, che non ha visto interventi in grado di garantire pienamente l'interesse pubblico rispetto a quello privato, primato che solo può assicurare alle istituzioni democratiche il necessario potere di contrattazione rispetto alle grandi aziende internazionali;
          sarebbe, quindi, auspicabile ripristinare, nella trattativa con Lyondell/Basell, questo primato nelle forme sancite dalla carta costituzionale, anche al fine di garantire alle maestranze impiegate nella totalità del polo chimico ternano la legittima continuità del reddito, in quanto si apprende che la cassa integrazione guadagni sarebbe stata finanziata con risorse ingenti che le regioni hanno stanziato attraverso l'utilizzo del Fondo sociale europeo (Fse), e la maggioranza delle regioni, avrebbe espresso l'intenzione, condiviso anche dalla giunta della regione Umbria, di non prolungare i termini degli accordi di cassa integrazione sottoscritti dalle regioni nel 2010, escludendo virtualmente ulteriori azioni tese a garantire la continuità del reddito dei lavoratori interessati;
          il polo chimico di Terni è riconosciuto nel documento annuale di programmazione (Dap) come una delle infrastrutture strategiche tanto per la strutturazione di politiche industriali ad alto contenuto d'innovazione quanto per la ormai urgente trasformazione ecosostenibile dei modelli produttivi vigenti, due tematiche strettamente intrecciate e costituenti il nucleo fondante di quanto si intende per green economy  –:
          quali azioni il Governo intenda perseguire al fine di scongiurare il depauperamento dell'industria chimica italiana rilanciando il polo chimico di Terni e garantire la continuità del reddito dei lavoratori interessati. (4-10602)

      Risposta. — In relazione all'interrogazione in oggetto, si rappresenta quanto segue.
      La crisi del polo chimico ternano – generata dalla decisione della multinazionale americana Basell di fermare gli impianti per la produzione di polipropilene esistenti all'interno del sito, è stata immediatamente affrontata dal Ministero dello sviluppo economico, attivando dallo scorso 11 marzo un tavolo di confronto aperto a tutte le parti in causa: imprese, organizzazioni sindacali ed istituzioni territoriali.
      Le conseguenze di quella decisione sono apparse, infatti, da subito molto gravi e comunque tali da compromettere il futuro di tutte le attività che nel citato «polo» sono insediate.
      Dopo una prima fase caratterizzata dal tentativo di bloccare o comunque rinviare lo stop degli impianti, è stata ottenuta da Basell la disponibilità a ricercare nuovi imprenditori che fossero interessati al mantenimento della produzione di polipropilene.
      A questo riguardo si è dimostrato di notevole interesse il progetto sviluppato da una cordata imprenditoriale, coordinata dai rappresentanti della società Novamont spa, che prevede non solo il rilancio dell'impianto per il polipropilene, ma anche l'acquisizione di impianti e lavoratori occupati in altra società che all'interno del Polo Chimico versa in notevoli difficoltà.
      Il citato progetto è stato illustrato nelle sue linee generali al Ministero dello sviluppo economico che lo ha ritenuto apprezzabile, sia per le concrete possibilità di mantenere, sviluppare e diversificare le produzioni chimiche oggi presenti, sia per la sostenibilità finanziaria garantita dai soggetti che compongono la compagine imprenditoriale.
      La società Novamont, che nelle ultime settimane è stata protagonista insieme ad ENI di importanti annunci relativi ad investimenti in nuovi impianti, di cosiddetta «chimica verde» da allocare in Sardegna, è depositaria, infatti, di rilevante
know how tecnologico, con brevetti apprezzati ed utilizzati in numerosi Paesi e di management di eccellente livello.
      È una società, in grado quindi, di assicurare, come già dimostrato anche per altri impianti recentemente acquisiti, di gestire processi di trasformazione e diversificazione produttiva.
      Anche per queste considerazioni, il Ministro dello sviluppo economico, ha ritenuto di convocare lo scorso mese di dicembre i vertici italiani di Basell, per far conoscere la valutazione del Governo in merito alla decisione non condivisa di cessare le attività di Terni e volta ad attivare il confronto con la cordata di nuovi imprenditori.
      Nelle ultime ore, si è appreso che le aziende citate hanno fissato un incontro che si svolgerà entro la prima decade di aprile prossimo, in cui verrà discussa la proposta vincolante per l'acquisizione dell'impianto Lyondell Basell di Terni recentemente deliberata dal consiglio di amministrazione della società Novamont.
      Il Ministero, già nelle prossime ore, sentirà i vertici Basell per comunicare loro che è necessario risolvere la crisi del polo chimico ternano e che vi è piena disponibilità a favorire in tutti i modi possibili la soluzione più idonea sia sul versante produttivo che su quello occupazionale.
      Il Ministero dello sviluppo economico in questi mesi ha mantenuto, al di là della formale convocazione del tavolo di confronto ancora aperto, un costante collegamento con le istituzioni locali e con le organizzazioni sindacali.
      Con loro si valuterà la convocazione di tutte le parti per un aggiornamento e per verificare quali nuove iniziative sono in corso per ricercare un'intesa con la Basell.
      Sarà anche l'occasione per discutere le proposte che nel frattempo sono state formulate dalle istituzioni locali; in particolare a quanto sostenuto dalla regione Umbria in merito ad un possibile aggiornamento del patto territoriale concluso alla fine dello scorso anno. A tal proposito, gli uffici del Ministero stanno valutando l'efficacia dello strumento, con riferimento alle problematiche del polo chimico ternano.

Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      REGUZZONI, TORAZZI, GOISIS, MONTAGNOLI, FAVA, CAVALLOTTO, RAINIERI, ALLASIA, CALLEGARI e GIDONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          quali e quanti funzionari e dirigenti dello Stato percepiscono compensi lordi interessati dall'applicazione della norma di cui al decreto-legge n.  201 del 2011, e per quali importi ciascuno;
          quali e quanti funzionari e dirigenti dello Stato hanno percepito compensi superiori agli importi di cui sopra, e per quali cifre ciascuno nell'anno 2010.
(4-14254)

      Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in oggetto indicato, concernente i compensi percepiti dai funzionari e dai dirigenti dello Stato, si rappresenta quanto segue.
      La disciplina relativa al trattamento economico corrisposto ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni è contenuta nell'articolo 23-
ter, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 recante «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici», convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214.
      Il citato articolo, con il quale si è provveduto a soddisfare l'esigenza di attuare una revisione dei trattamenti retributivi erogati dalle pubbliche amministrazioni, recita testualmente: «con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previo parere delle competenti commissioni parlamentari, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è definito il trattamento economico annuo onnicomprensivo di chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali, di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165, e successive modificazioni, ivi incluso il personale in regime di diritto pubblico di cui all'articolo 3 del medesimo decreto legislativo, e successive modificazioni, stabilendo come parametro massimo di riferimento il trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione. Ai fini dell'applicazione della disciplina di cui al presente comma devono essere computate in modo cumulativo le somme comunque erogate all'interessato a carico del medesimo o di più organismi, anche nel caso di pluralità di incarichi conferiti da uno stesso organismo nel corso dell'anno».
      In attuazione di detta disposizione normativa si è pertanto provveduto alla predisposizione del relativo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri – da adottarsi entro novanta giorni dall'entrata in vigore della legge di riconversione del decreto-legge n.  201 del 2011 – tenendo conto delle osservazioni formulate dalle competenti commissioni di Camera e Senato.
      Ciò premesso, con particolare riferimento al quesito proposto dall'Onorevole interrogante si segnala che, nel corso dell'esame in sede consultiva presso le commissioni riunite I e XI della Camera, il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, nella seduta del 23 febbraio 2012, ha depositato agli atti un documento recante i dati relativi alle retribuzioni superiori a 294 mila euro, importo corrispondente al trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione.
      Il documento in questione, di cui si allega copia, contiene un elenco dettagliato delle retribuzioni – che superano il tetto di riferimento di cui all'articolo 23-
ter del decreto-legge – corrisposte dalle amministrazioni centrali ai propri dipendenti.
      Si segnala, infine, che sono state escluse dall'elenco in questione le amministrazioni che erogano ai propri funzionari e dirigenti trattamenti inferiori a 294 mila euro.

Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione: Filippo Patroni Griffi.


      ROSATO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il Ministero degli affari esteri ha avviato nel 2009 un piano di razionalizzazione complessivo della spesa organizzato, tra l'altro, sulla chiusura di tredici uffici consolari tra i quali appaiono anche quelli a Capodistria e a Spalato;
          la presenza dei due consolati generali d'Italia nelle sedi sopra citate rappresentano ancora oggi un punto di riferimento istituzionale per la comunità italiana in Slovenia e Croazia;
          la chiusura dei due uffici consolari arrecherebbe un danno per il ruolo di rappresentanza, relazione e mediazione istituzionale con due Nazioni vicine con le quali l'Italia intrattiene numerosi rapporti anche per la presenza della comunità italiana che in quei Paesi è tutelata, ha una rappresentanza politica e parlamentare prevista dalla legge, viene vissuta come parte integrante di quelle comunità nazionali;
          si ritengono opportune riduzioni di spesa ma che queste debbano essere ponderate e debbano rispettare le esigenze diplomatiche particolari che vi sono nel caso di relazioni internazionali più intense che intercorrono tra l'Italia e alcune nazioni per motivi storici, geografici e culturali  –:
          alla luce di quanto esposto in premessa se il Governo proseguirà nel piano di razionalizzazione complessivo, che dovrebbe completarsi nel 2012, procedendo alla chiusura dei due uffici consolari o se sia possibile un ripensamento anche alla luce del rinnovato impegno in politica estera che questo Governo ha dimostrato di voler assumere. (4-14276)

      Risposta. — In merito a quanto rappresentato dall'interrogante circa gli ultimi sviluppi relativi al piano di razionalizzazione della rete diplomatico-consolare, si forniscono i seguenti elementi di informazione.
      Il Ministro degli affari esteri Terzi di Sant'Agata ha disposto di congelare l'adozione di qualsiasi chiusura di uffici consolari e culturali all'estero, sino a che non sia stato presentato e discusso in Parlamento un complessivo piano di revisione della spesa e delle risorse (
spending review) dell'Amministrazione degli affari esteri.
      A tal fine è stato istituito alla Farnesina un gruppo di lavoro chiamato ad approfondire la riflessione sulle modalità per ottimizzare l'impiego delle risorse attribuite all'Amministrazione degli affari esteri con l'obiettivo di salvaguardare e valorizzare ulteriormente la rete dei nostri uffici all'estero.
      Come indicato dal Ministro Terzi di Sant'Agata, le conclusioni che matureranno nell'ambito del gruppo di lavoro verranno condivise con il Parlamento per valutare ogni futura ipotesi di rimodulazione della rete diplomatico-consolare.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Marta Dassù.


      RUGGHIA e VILLECCO CALIPARI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          Taranto è una città segnata da un forte livello d'inquinamento. Al momento dell'entrata in vigore della legge regionale sulla diossina, risultava la località dove venivano emesse nell'atmosfera oltre il 90 per cento delle diossine industriali prodotte in Italia e catalogate nel registro INES, oltre ad altri agenti altamente cancerogeni sempre derivati da processi industriali;
          questa situazione, potenzialmente nociva per la salute, preoccupa anche la numerosa comunità militare presente in città;
          i consigli della rappresentanza militare, a livello di base per la Guardia di finanza e a livello nazionale per la Guardia costiera e lo stesso Consiglio centrale di rappresentanza della marina militare, attraverso delibere motivate, hanno espresso «la loro preoccupazione per l'allarmante situazione ambientale» e le possibili conseguenze negative;
          i consigli sopracitati, all'unanimità hanno in sostanza richiesto alle loro autorità corrispondenti, di avviare «indagini cliniche, nonché ambientali, più specifiche in modo tale da poter disporre di uno screening sullo stato di salute dei militari che prestano servizio nell'ambito dell'area portuale»;
          in particolare il COCER Marina e il Consiglio della rappresentanza militare a livello nazionale della Guardia costiera hanno chiesto ai loro interlocutori istituzionali un «monitoraggio» in relazione alla eventuale presenza nell'aria di sostanze inquinanti attraverso l'installazione di apposite centraline di rilevamento  –:
          come si sia corrisposto alle richieste di monitoraggio avanzate dagli organismi di rappresentanza da parte del comandante del porto di Taranto o dalle superiori autorità militari;
          se l'autorità politica non ritenga necessario, anche in base ad un principio di precauzione, corrispondere alle preoccupazioni del personale militare disponendo i monitoraggi richiesti;
          se non ritenga inoltre necessario, sempre allo stesso fine, sottoporre i militari in servizio nella sede di Taranto a periodiche visite mediche per accertare lo stato di salute del personale. (4-13835)

      Risposta. — Ritengo opportuno, in primo luogo, precisare che la problematica illustrata nell'interrogazione in titolo non può essere riferibile allo specifico ambiente di lavoro (in questo caso, portuale), tantomeno al solo personale militare delle capitanerie di Porto o della guardia di finanza, in quanto, in realtà, coinvolge tutto il territorio della città di Taranto, caratterizzata dalla presenza di grandi impianti industriali e, pertanto, s'inquadra nel più generale ambito della tutela della salute pubblica.
      Chiarito questo aspetto, per quanto concerne la tutela della salute del personale militare del corpo delle capitanerie di porto in servizio a Taranto – il cui impiego, peraltro, avviene, per lo più, nell'ambito delle dipendenze funzionali facenti capo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti o ad altri dicasteri – la locale Capitaneria di porto ha riferito di non avere, allo stato, evidenze documentate di problematiche sanitarie correlabili allo specifico contesto ambientale, in cui opera soprattutto il personale della sede distaccata in ambito portuale (circa 30 unità).
      La stessa Capitaneria ha fatto presente, altresì, di aver già avviato sia una indagine conoscitiva interna – dalla quale è emerso che i disturbi lamentati dai militari in servizio a Taranto sono, sostanzialmente, gli stessi di cui soffrono gli abitanti dell'area tarantina (fastidi agli occhi e alle vie respiratorie, a volte molto acuti, dovuti a cattivi odori e alle polveri disperse nell'aria, tra cui, in particolare, il pulviscolo di carbone) – sia di avere investito della problematica l'autorità portuale di Taranto e la locale azienda sanitaria (Dipartimento di Prevenzione), chiedendo alle stesse di valutare l'opportunità di effettuare un apposito monitoraggio ambientale nell'area portuale – come già avvenuto in passato – proprio allo scopo precipuo di verificarvi la sussistenza di potenziali pericoli per la salute.
      Con particolare riferimento, invece, alla richiamata delibera del Consiglio centrale di rappresentanza (Co.Ce.R.) della Marina militare, si fornisce ampia assicurazione che la forza armata è molto sensibile alle problematiche correlate alla tutela dell'ambiente nei luoghi di lavoro e, in generale, alla salute del personale dipendente.
      In tale contesto, il capo di Stato Maggiore della Marina militare ha disposto che gli alti comandi competenti per territorio prendano contatti con le autorità locali, al fine di valutare l'opportunità di predisporre, a cura delle citate competenti autorità, l'effettuazione di appositi monitoraggi/campionamenti ambientali nei pressi delle strutture militari.
      Per quanto afferisce agli aspetti sanitari, si segnala che, ad oggi, non risulta disponibile un protocollo di
screening finalizzato ad una diagnosi precoce di patologie correlate con le sostanze inquinanti in questione.
      Al momento, comunque, non si ha evidenza, tra il personale militare, di patologie correlabili con le sostanze citate nella delibera.
      Ad ogni buon conto, il capo di Stato Maggiore di forza armata ha dato disposizioni agli organi sanitari di prestare la massima attenzione al fine di verificare se, nell'ambito dei previsti controlli periodici o in qualsiasi altro momento dell'attività lavorativa del personale dipendente, dovessero sorgere indizi di patologie correlabili all'ambiente di lavoro.
      Anche per quanto riguarda le altre forze armate, faccio presente che non sono emersi o non si ha notizia, ad oggi, di casi riguardanti il personale militare dell'Aeronautica militare e dell'arma dei Carabinieri destinato a Taranto, mentre, per quanto riguarda l'esercito italiano, lo stesso non ha enti stanziati nel territorio tarantino che – vorrei evidenziare – è sottoposto a continuo monitoraggio da parte dell'agenzia regionale protezione ambiente (ARPA) per le problematiche connesse ai rischi ambientali.
      Rendo noto, in ultimo, che è in corso un'indagine delegata dall'autorità giudiziaria al nucleo operativo ecologico carabinieri di Lecce, i cui sviluppi sono sottoposti al segreto istruttorio previsto nella fase delle indagini preliminari.
      Contestualmente, il giudice per le indagini preliminari di Taranto ha affidato a un
pool di esperti l'incarico di redigere una perizia in merito all'incidenza sulla salute delle sostanze chimiche provenienti dai grandi impianti industriali localmente presenti.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      SAMPERI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          l'ingente e copiosa pioggia che si è abbattuta sul territorio di Sant'Alfio nei mesi di marzo, aprile, maggio e prima quindicina del mese di giugno 2011 ha provocato danni alle colture frutticole tali da richiedere l'adozione di misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza;
           le consistenti piogge, le notevoli escursioni termiche tra il giorno e la notte e l'eccessivo grado di umidità verificatasi durante il periodo della fioritura hanno prodotto danni incalcolabili alla formazione dei frutti;
          l'economia di Sant'Alfio è fondata sul settore agricolo e, in particolare, su quello delle colture frutticole e la gravità dei danni ha determinato per gli agricoltori grosse difficoltà economiche con ripercussioni negative sull'occupazione stagionale;
          il settore agricolo vive una situazione grave e di permanente difficoltà aggravata ulteriormente dal trend negativo dell'economia nazionale che ha portato alla riduzione dei consumi agro alimentari;
          se il Ministro interrogato intenda riconoscere lo stato di calamità per i danni provocati all'agricoltura degli eccezionali eventi atmosferici dei mesi di marzo, aprile, maggio e prima quindicina del mese di giugno 2011. (4-13470)

      Risposta. — In merito all'interrogazione in esame, concernente gli eventi calamitosi che nei mesi di marzo, aprile, maggio e la prima metà di giugno 2011 hanno causato, tra l'altro, danni alle produzioni agricole nei territori della provincia di Catania, evidenzio che gli interventi compensativi previsti dal Fondo di solidarietà nazionale a sostegno delle imprese agricole colpite da avversità atmosferiche eccezionali possono essere attivati a condizione che il danno sulla produzione lorda vendibile risulti superiore al 30 per cento ed esclusivamente per quelle avversità e colture danneggiate che non sono comprese nel Piano assicurativo annuale per la copertura dei rischi con polizze assicurative (peraltro, agevolate per l'esistenza di un contributo statale fino all'80 per cento della spesa premi sostenuta).
      Tuttavia, in presenza di offerte di mercato insufficienti a coprire la domanda assicurativa delle produzioni, la regione interessata può chiedere la modifica delle previsioni assicurative previste dal piano assicurativo in vigore e, con mio decreto, può essere consentita l'attivazione degli interventi compensativi del Fondo di solidarietà nazionale.
      Colgo l'occasione per far presente che, ai sensi della vigente normativa, per le colture, strutture e avversità non assicurabili al mercato agevolato possono essere concessi contributi in conto capitale fino all'80 per cento del danno sulla produzione lorda vendibile ordinaria; prestiti ad ammortamento quinquennale per le maggiori esigenze di conduzione aziendale nell'anno in cui si è verificato l'evento ed in quello successivo nonché una proroga delle rate relative alle operazioni di credito in scadenza nell'anno in cui si è verificato l'evento calamitoso.
      Ciò premesso evidenzio che, alla data odierna, nessuna richiesta formale d'intervento è pervenuta alla mia amministrazione da parte della regione Sicilia.
      Pertanto, considerato il notevole lasso di tempo intercorso, è verosimile ritenere che gli eventi segnalati non abbiano provocato danni di entità tale da consentire l'attivazione degli interventi del Fondo di solidarietà nazionale.

Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Mario Catania.


      SCANDROGLIO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          lo sterminio dei cristiani in Nigeria continua. A Yola, all'interno di una chiesa, il giorno 7 gennaio 2012 uomini armati hanno aperto il fuoco contro dei fedeli, uccidendone almeno otto. Fonti del locale ospedale che hanno recuperato i corpi e notizie attuali confermano lo stato di oppressione cui versano i cristiani nigeriani;
          pochi giorni fa un raid sanguinario sempre della setta integralista Boko Haram ha fatto irruzione in una casa di Mubi dove si stava tenendo una veglia funebre lasciando a terra 17 persone ed un numero imprecisato di feriti. La setta Boko Haram legata ad Al Qaeda prova ad imporre col terrore la Sharia; la conseguenza è la fuga delle popolazioni cristiane e di fatto si sta assistendo ad una pulizia etnica senza precedenti. In quell'area è decretato lo stato di emergenza, ma nonostante le affermazioni del capo della polizia locale migliaia di persone hanno abbandonato le loro case. In Nigeria i morti sono centinaia ed i cristiani subiscono un martirio senza fine in gran parte delle aree di religione islamica  –:
          se intenda offrire elementi di informazione sulla situazione dei cristiani in Nigeria e fornire assicurazioni e notizie in ordine alle misure poste in essere dal Governo del presidente nigeriano Goodluck Jonathan per tutelare i nostri correligionari. (4-14430)

      Risposta. — La Nigeria, con una popolazione di 150 milioni di abitanti, è il paese più popoloso del continente africano. Alcune stime riportano che i musulmani sarebbero circa il 50 per cento della popolazione, i cristiani il 40 per cento mentre il 10 per cento dei nigeriani praticherebbe i culti tradizionali. Secondo altri dati invece i due gruppi sarebbero in sostanziale equilibrio numerico. I musulmani sono concentrati principalmente nel Nord del paese, mentre i cristiani nel Sud, ma non esiste un preciso confine geografico tra i due gruppi, anche per la presenza di vaste comunità di immigrati del Nord al Sud e viceversa.
      I rapporti tra musulmani e cristiani sono stati talvolta funestati da scontri, anche perché spesso la frattura religiosa s'intreccia con rivalità di stampo etnico od economico. Negli ultimi anni 12 Stati del Nord della Federazione nigeriana hanno introdotto la Sharia, sia nel diritto di famiglia che in quello penale, anche se in alcuni di essi l'applicazione è a facoltà dell'interessato. Le minoranze cristiane presenti nel Nord hanno spesso lamentato di sentirsi discriminate, ma uguale recriminazione è stata espressa anche dai musulmani nel Sud. Ciò nonostante tra le due confessioni si è stabilita una pacifica convivenza. La Costituzione garantisce la libertà di religione e afferma che lo Stato non adotterà mai una religione di Stato. Nelle alte cariche s’è sviluppata una prassi di rotazione tra esponenti delle due religioni. L'attuale presidente, Goodluck Jonathan, che è un cristiano del Sud, è subentrato a Umaru Musa Yar'Adua, che era invece un musulmano del Nord; come vuole la prassi, l'attuale vicepresidente, Mohamed Namadi Sambo, è di fede islamica. Musulmani e cristiani vivono tendenzialmente a stretto contatto e i matrimoni misti sono frequenti tant’è che il progetto del noto gruppo terrorista Boko Haram di dividere il paese secondo linee religiose ben definite, attraverso una vera e propria pulizia etnica, appare assai difficilmente realizzabile.
      Gli attacchi ai danni dei cristiani da parte di Boko Haram hanno lo scopo di far scivolare il paese in una spirale di violenza fuori controllo. Fino ad ora tale scenario è stato evitato perché i
leader più autorevoli delle varie confessioni religiose del paese hanno espresso la loro ferma condanna, anche se nel Sud ci sono stati sporadici casi di rappresaglie, con alcuni attacchi che hanno colpito moschee e scuole coraniche provocando una decina di morti.
      Il Governo Jonathan non può essere accusato di connivenza con i terroristi il quale essendo un cristiano del Sud e l'esplosione di violenze incontrollate determinerebbe la fine per la sua amministrazione e, per tale motivo l'Italia ha sempre espresso il proprio appoggio all'operato del governo. Subito dopo le violenze di Natale, il Governo Jonathan ha proclamato lo stato d'emergenza in alcune aree del paese e chiuso il transito in alcuni tratti di frontiera. Il provvedimento è stato però criticato da una parte dell'opinione pubblica, che lo giudica scarsamente efficace e teme il rafforzamento dei poteri delle forze di sicurezza, resesi spesso responsabili di violazioni dei diritti umani. I recenti scioperi di massa, esplosi in tutto il paese a seguito dell'eliminazione dei sussidi statali ai carburanti, che ne calmieravano i prezzi, hanno ulteriormente messo in difficoltà un governo che, nonostante il suo impegno, non riesce a controllare efficacemente il paese, a causa delle risorse limitate che ha disposizione, dell'inefficienza del suo apparato amministrativo e della diffusa corruzione. Alcuni settori delle forze di sicurezza e dell'amministrazione, specie del Nord, appoggiano segretamente Boko Haram, come lo stesso Jonathan ha dichiarato recentemente, perché mirano a rovesciare il Governo Jonathan, ma la spiegazione principale della scarsa protezione di cui godono i cristiani è legata ai citati problemi in cui versa l'apparato governativo piuttosto che a qualche intento scientemente discriminatorio nei loro confronti da parte del potere centrale. C’è da considerare tra l'altro che neanche i musulmani sono rispettati.
      L'Italia ha assunto un approccio molto attivo riguardo a tale crisi, tant’è che l'Ambasciata italiana ad Abuja sta monitorando con estrema attenzione la vicenda. Nell'esprimere il cordoglio del Governo per le vittime degli attentati, l'Ambasciata ha anche invitato le autorità locali ad impegnarsi a garantire la sicurezza nel paese e a perseguire con decisione i colpevoli dei crimini. Si sta inoltre realizzando un'intensa opera di sensibilizzazione nei confronti dei
partner comunitari cercando di favorire passi concordati a livello europeo presso l'Onu e le agenzie specializzate. L'Italia ha proposto che l'Alto rappresentante per la politica estera e la delegazione dell'Unione europea ad Abuja esprimano alle autorità locali la loro preoccupazione per le recenti violenze e chiedano che venga garantita la sicurezza nel paese e condannati i colpevoli. Le proposte italiane sono state accolte da alcuni importanti partner europei, tra cui la Germania. La nostra Rappresentanza presso l'Onu a Ginevra ha indirizzato il 28 dicembre 2011 una lettera all'Alto rappresentante dell'Onu per i diritti umani affinché esprimesse pubblicamente la propria preoccupazione e richiedesse ai leader religiosi nigeriani di adoperarsi per allentare il clima di tensione e alle autorità della Nigeria di garantire la sicurezza e di perseguire gli autori delle violenze. L'Alto rappresentante ha accolto le proposte italiane e il 12 gennaio 2012 ha rilasciato una dichiarazione in tal senso.
      Il nostro Paese ha tuttavia sottolineato a più riprese la necessità di sostenere l'amministrazione Jonathan, che si sta impegnando attivamente per contrastare il terrorismo. Tra le utili iniziative messe in campo dal Ministero degli affari esteri, con la collaborazione d'altri enti italiani, va citato un corso di formazione per 20 ufficiali nigeriani con competenze in materia di sicurezza e controllo delle frontiere (materia fortemente connessa alla questione della lotta al terrorismo), finanziato dallo stesso Ministero, che ha avuto corso presso l'accademia della Guardia di finanza d'Orvieto.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Marta Dassù.


      SCHIRRU. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          i lavoratori dell'ente lirico di Cagliari, da tre mesi senza stipendio, vivono ormai nell'incertezza quotidiana, aggravata dalla totale assenza di un interlocutore. Il sovrintendente, come è stato messo in evidenza anche con l'interrogazione presentata nel novembre 2010 (atto n.  5/03699) denunciando le difficoltà finanziarie dell'ente, il dissesto del bilancio e le incapacità gestionali, non si presenta da oltre un mese;
          durante un incontro avuto nel mese di gennaio 2011 con i lavoratori dell'ente, si sono ribadite alcune criticità: oltre alla situazione locale, anche la vertenza dei tagli al FUS, come l'interrogante aveva preannunciato in occasione della riforma, è insufficiente a soddisfare le esigenze delle 14 fondazioni liriche e nel richiedere più fondi pubblici per lo spettacolo sono necessarie misure mirate e risolutive, quali ad esempio le riduzioni fiscali per soggetti privati che investono nella cultura;
          occorre cambiare gestione ed amministrazione: non sono più ammessi acquisti dissennati e spese folli; è necessario eliminare le assunzioni clientelari e assumere solo quelle figure indispensabili ed utili alle produzioni e attività di lungo periodo. È necessario lavorare affinché il teatro sia davvero capace di agire su tutto il territorio regionale, che vive con fondi nazionali, regionali,      delle amministrazioni locali, di banche e imprese e singoli sostenitori: solo così sarà possibile risanare i debiti e non far morire la cultura. Si deve evitare in tutti i modi, come già accade altrove in Italia, di ricorrere ai contratti di solidarietà e alla cassa integrazione;
          ciò che risulta ancora incomprensibile è che un teatro come il Lirico di Cagliari sia arrivato a questa crisi malgrado le enormi potenzialità, il ridotto numero di lavoratori, il finanziamento sostanzioso della regione Sardegna, sei bilanci in pareggio e l'intero bacino di pubblico regionale;
          evidentemente l'importante propaganda che ha visto questo teatro come uno dei più virtuosi, cela, invece, una crisi strutturale di cui si sta approfittando e le cui conseguenze vorrebbero farsi ricadere sui soli lavoratori. Le risposte del Governo arrivate con l'interrogazione n.  5/03699, sono state, ad avviso dell'interrogante elusive e tuttora resta da chiarire come il Ministero intenda risolvere la situazione della governance del teatro, mancando indirizzi e indicazioni utili. Non si è voluto prendere atto della precarietà del personale né si sono date certezze sui finanziamenti FUS per la programmazione artistica culturale per i prossimi anni. Il finanziamento di 7.987.534 euro per il 2010, su cui però non è stata data certezza né sulla data di erogazione e né se si tratta di un finanziamento di carattere ordinario oppure straordinario, su cui si aspetta una risposta in tempi brevi;
          la notizia di assegnazione di 500.000 euro al teatro, che risale alle prime settimane dell'anno, deve ancora essere concretizzata;
          intanto, è passato nel consiglio regionale della Sardegna l'emendamento sul contributo annuo alla fondazione teatro lirico di Cagliari che, seppure con mezzo milione in meno rispetto alla richiesta di due milioni di euro, prevede almeno che il finanziamento sia direttamente alla Fondazione, e non genericamente per manifestazioni e attività di spettacolo;
          ci si aspetta ora è che si esca subito dalla situazione critica in cui versano i lavoratori, tutti senza stipendio da circa tre mesi  –:
          se non ritenga urgente fornire dei chiarimenti in merito alla situazione debitoria, patrimoniale e finanziaria della fondazione e, in seguito ai tagli al FUS, quale sia la quota esatta di finanziamenti assegnata alla Fondazione teatro Lirico di Cagliari e quando questa cifra possa essere erogata;
          se non ritenga opportuno sollecitare presso il consiglio di amministrazione la nomina di un nuovo sovrintendente con criteri di trasparenza;
          se non ritenga urgente assumere ogni iniziativa di competenza per reintegrare al più presto i lavoratori per le attività programmatiche e di biglietteria, poiché il lirico non è un ente di mera esecuzione come, ad avviso dell'interrogante, è stato trattato finora ma di produzione di spettacoli e di esportazione di essi. (4-10626)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione indicata in oggetto, relativa alla situazione dei lavoratori della fondazione Teatro Lirico di Cagliari nonché alla situazione finanziaria, debitoria e patrimoniale della fondazione, si rappresenta quanto segue.
      In data 3 marzo 2011 è stato nominato il nuovo sovrintendente nella persona del dottor Gennaro Di Benedetto.
      A tale data risultavano regolarmente ed interamente erogati al personale gli stipendi di dicembre 2010, la tredicesima mensilità nonché le mensilità di gennaio e febbraio 2011, risulta che, a tutt'oggi, l'erogazione del trattamento economico al personale prosegue regolarmente.
      La Fondazione ha ricevuto un'integrazione sia sulla quota del FUS (Fondo unico per lo spettacolo), a carico dello Stato, che dalla regione Sardegna. È in forza di tali contributi integrativi che è stato possibile, per la Fondazione, affrontare la programmazione artistica e l'erogazione degli stipendi.
      L'amministrazione statale ha, complessivamente, assegnato ed erogato alla Fondazione la somma di euro 9.214.542,51 per l'esercizio 2011, a valere sul Fondo unico per lo spettacolo e su fondi extra Fondo unico per lo spettacolo.
      Per l'anno 2011 sono stati assegnati alla Fondazione finanziamenti totali pari a euro 22.489.151,00 che, unitamente alle entrate proprie, hanno consentito di recuperare la perdita d'esercizio registrata nel consuntivo 2010, pari a euro 1.507.000,00, e di produrre un utile d'esercizio nel conto economico del consuntivo 2011, che dovrà essere formalizzato nel relativo bilancio consuntivo di esercizio.
      Infine, la Fondazione in questione ha proceduto al reintegro per brevi periodi di parte dei dipendenti a tempo determinato, precedentemente assegnati ai reparti tecnici ed artistici, ogni qual volta se ne è verificata la possibilità.
      La direzione generale per lo spettacolo dal vivo di questo Ministero, cui non competono dirette valutazioni sull'operato del sovrintendente, segue la complessiva situazione gestionale della Fondazione, riservandosi, ove necessario, di disporre gli interventi previsti dalla legge.

Il Ministro per i beni e le attività culturali: Lorenzo Ornaghi.


      STUCCHI, CONSIGLIO e VANALLI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          durante le passate festività natalizie, il sito di commercio on-line della società Madhitech ha raccolto circa duemila adesioni per l'acquisto di materiale elettronico ed elettrodomestici, attraverso il pagamento di un bonifico bancario a un tale sig. Pietro Vandalo su un conto corrente della Banca delle Marche a Roma indicato sul portale;
          sembra che siano presenti su alcuni Forum, nonostante le numerose recensioni fasulle positive, testimonianze di truffati, tanto che su Facebook è stato creato un gruppo che riunisce i malcapitati;
          inoltre, è stato realizzato un video su YouTube, al fine di segnalare le false informazioni inserite nella rete per confondere i consumatori;
          pare che gli importi della truffa siano stati stimati da 250 euro fino a 3.000 euro  –:
          se non ritengano opportuno verificare le informazioni sopraesposte e, qualora risultino corrette, intervenire con urgenza, al fine di evitare che altri ignari sventurati possano essere vittime di tale truffa;
          quali strumenti intendano adottare affinché tali episodi, sempre più numerosi, vengano individuati tempestivamente.
(4-15069)

      Risposta. — La questione segnalata dall'interrogante relativa alle truffe on-line, è attentamente seguita da questa amministrazione che attraverso il servizio della polizia postale e delle comunicazioni svolge, nella lotta al crimine informatico, un ruolo particolarmente incisivo – sia a livello centrale che attraverso le dipendenti articolazioni territoriali – e una costante attività di monitoraggio della rete internet al fine di individuare i contenuti penalmente rilevanti all'interno di spazi e servizi di comunicazione on line, siti o spazi web, weblog, forum, newswire, portali di social network.
      Le ormai innumerevoli offerte commerciali presenti su
internet consentono alle imprese di entrare in contatto con un numero illimitato di potenziali consumatori, distribuiti in tutto il mondo.
      L'acquisto
on-line, tuttavia, può comportare anche alcuni pericoli e il rischio di imbattersi in una truffa è sempre molto alto.
      La repressione di tali fenomeni da parte dell'autorità giudiziaria presuppone la loro riferibilità a spazi e servizi
web gestiti da server o persone fisicamente presenti sul territorio nazionale. Diversamente, si provvede alla segnalazione delle fattispecie riscontrate alle autorità straniere, in regime di rogatoria internazionale.
      Per quanto riguarda lo specifico quesito posto dall'interrogante, ricordo che il sito relativo alle vendite
on-line «www.madhitech.com», grazie ad una mirata attività di monitoraggio della rete, era da tempo noto alla Polizia postale e delle comunicazioni che, d'iniziativa, ha avviato i relativi accertamenti, ancor prima della presentazione delle denunce da parte dei cittadini truffati.
      L'intervento preventivo della specialità della Polizia di Stato ha permesso – già all'atto della formalizzazione delle prime querele – di deferire, in breve tempo, all'autorità giudiziaria il responsabile delle condotte delittuose e di richiedere i provvedimenti necessari ad impedire il protrarsi dei reati accertati.
      Pur essendo in corso ulteriori indagini, attualmente il sito è stato già oscurato e non risulta più consultabile in quanto sottoposto a sequestro giudiziario con provvedimento del tribunale di Roma.
      Anche i conti correnti bancari e le carte di credito intestati al responsabile delle condotte criminose sono stati posti sotto sequestro al fine di garantire, all'esito del procedimento penale, il recupero delle somme indebitamente versate dai cittadini truffati.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      STUCCHI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          è deceduto a Cuba mercoledì 15 febbraio 2012 il signor Roberto Avelli, un falegname quarantunenne di Mozzanica (Bergamo), precipitato dal secondo piano di un edificio di Holguin, città dove si trovava in vacanza dal 6 febbraio 2012;
          la caduta fatale sembra sia da ricollegarsi al crollo di una parete o al cedimento di un balcone, ma non vengono fornite notizie ufficiali;
          le autorità locali hanno riferito all'ambasciata italiana a Cuba e all'unità di crisi della Farnesina che ipotizzano un suicidio, non suffragato da nessuna testimonianza o prova ufficiale;
          il cadavere di Avelli è stato rinvenuto la mattina di mercoledì 15 febbraio 2012, alle ore 11,17, dalla polizia di Holguin, nei pressi di un edificio preposto ai visti per gli stranieri e al permesso di uscita per cubani, in pratica una questura, nei cui uffici pare si trovasse Avelli;
          la tesi del suicidio non convince i familiari e quanti lo conoscevano, anche perché lo stesso Avelli aveva acquistato un biglietto aereo per anticipare il rientro in Italia al 13 febbraio 2012, ma in aeroporto non è mai arrivato  –:
          di quali elementi disponga il Governo in merito alle indagini, condotte dagli inquirenti locali per l'accertamento dei fatti che hanno portato alla morte del signor Roberto Avelli, e in particolare se le autorità italiane siano tempestivamente messe al corrente di quanto emerge dalle indagini stesse. (4-15095)

      Risposta. — Il 5 febbraio 2012 il signor Roberto Avelli è entrato in territorio cubano, ad Holguin, per poi spostarsi a Camaguey e da qui trasferirsi nuovamente, in data 13 febbraio, a Holguin, dove ha trovato alloggio presso un bed&breakfast locale.
      Il proprietario del suddetto,
bed& breakfast ha immediatamente segnalato la presenza del connazionale alla competente oficina de inmigración y extranjerìa di Holguin, come prescritto dalla normativa cubana, puntualizzando, altresì, di avere in lui notato uno stato di particolare agitazione psicologica.
      Il 14 febbraio 2012, un ispettore dell’
oficina de inmigración y extranjerìa si è dunque recato presso il bed&breakfast, invitando il signor Avelli a seguirlo per un breve colloquio. Una volta giunti presso l'ufficio del funzionario, il signor Avelli ha salito le scale che portano al secondo piano dell'edificio, dalla cui terrazza è caduto in circostanze attualmente oggetto di indagini. È stato dunque trasportato in gravissime condizioni presso il locale nosocomio, dove però è rapidamente deceduto. Il corpo del connazionale è giunto a L'Avana il 17 febbraio per lo svolgimento dell'esame autoptico ed il 25 febbraio è stato rimpatriato con un volo diretto a Malpensa.
      I funzionari dell'ambasciata a Cuba, non appena appresa la notizia del decesso dall'ente nazionale preposto alla traslazione della salma – Asistur – si sono immediatamente attivati per verificare quanto accaduto ed offrire la necessaria assistenza ai famigliari del signor Avelli.
      Per ciò che concerne le indagini è necessario, in primo luogo, ribadire che, secondo quanto riferito dalla autorità locale alla nostra rappresentanza diplomatica, esse sono ancora in corso di svolgimento. Il Ministero degli esteri cubano ha chiarito, fin da subito, che la ringhiera della terrazza dell’
oficina de inmigración y extranjerìa da cui è caduto il connazionale è conforme agli standard stabiliti dalla locale normativa. L'ambasciata a Cuba continuerà a mantenere costanti contatti con le autorità investigative cubane, ivi compresi i vertici della polizia, pur nel dovuto rispetto per l'autonomia e l'indipendenza delle autorità cubane.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Marta Dassù.


      TORRISI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nei giorni scorsi il territorio della Sicilia ha visto una serie di manifestazioni di protesta legate allo sciopero organizzato dai cosiddetti movimenti «forza d'urto» e «dei forconi». I manifestanti hanno agito anche attraverso blocchi stradali, non solo lungo le principali arterie viarie statali, ma anche nelle strade secondarie e, in diversi casi, anche in strade urbane. Come nel caso di Paternò, città di cinquantamila abitanti in provincia di Catania, dove i diversi presidi di manifestanti hanno bloccato per giorni, e senza alcuna interruzione, ogni via di accesso da e verso il centro abitato, non consentendo il passaggio veicolare dei cittadini che dovevano spostarsi per recarsi al lavoro o per altri motivi, e chiedendo agli stessi addirittura le motivazioni per cui stavano andando fuori città. In questi casi, si è assistito a forme coercitive da parte dei manifestanti verso la popolazione, la quale ha dovuto subire impotente, e senza alcun aiuto esterno, la volontà dei manifestanti. Gli stessi cittadini di Paternò hanno osservato, tra l'altro, che tra i manifestanti che hanno creato i blocchi, erano presenti persone non appartenenti alle categorie di coloro che hanno aderito allo sciopero, e addirittura soggetti infiltrati con precedenti penali. Oltre alla violenza psicologica con la quale i cittadini si sono visti «ostaggio» all'interno della propria città, a giudizio dell'interrogante «sequestrati» nella loro libertà di movimento e nelle mani di pochi individui, il blocco del transito di tutti i mezzi di trasporto ha generato gravi disagi allo svolgimento delle attività quotidiane;
          tutto si è bloccato, la normale vita dei cittadini ha subito una battuta d'arresto come mai si era visto, con danni e ripercussioni anche sull'economia. Oltre al blocco delle attività lavorative, sono mancati gli approvvigionamenti dei carburanti, dei generi alimentari e di altri beni, e in molti casi la chiusura delle attività di esercizi commerciali è stata obbligata; pertanto, la manifestazione è degenerata, ad avviso dell'interrogante, in forme in cui il limite tra il lecito e l'illecito è stato più volte superato, e dove gli altrui diritti alla libertà personale e collettiva sono stati violati. Fermo restando che, le motivazioni generali dello sciopero indetto possano essere state valide, le forme di manifestazioni attuate hanno rischiato di mettere a repentaglio lo stesso ordine pubblico con pericoli per la sicurezza  –:
          quali siano i motivi per cui in tale situazione di forti disagi e pericoli per la popolazione non sono state adottate tutte le misure necessarie per riportare la situazione alla normalità, e perché i cittadini oggetto di azioni, anche illegali, sono stati lasciati in balia degli eventi dettati dai suddetti manifestanti. (4-14613)

      Risposta. — Le manifestazioni poste in essere dagli autotrasportatori siciliani, sono state indette in segno di protesta contro la grave crisi che attraversa il comparto.
      Su questi fatti il Ministro dell'interno ha reso un'informativa in aula Senato il 24 gennaio 2012.
      Come ha riferito il Ministro in quell'occasione, l'intervento dei prefetti, dei questori, dei responsabili di tutte le forze dell'ordine, che hanno curato e coordinato gli interventi, e l'attenta azione di mediazione posta in essere hanno scongiurato ripercussioni ancor più pesanti sul piano dell'ordine e della sicurezza pubblica e per l'incolumità dei cittadini.
      L'adozione delle misure di prevenzione ha garantito l'ordine e la sicurezza pubblica, nel rispetto sia del diritto ad esprimere la protesta nelle forme costituzionalmente corrette da parte dei manifestanti, sia del diritto alla mobilità e ad usufruire dei servizi essenziali da parte dei cittadini.
      Il 19 dicembre scorso l'associazione imprese autotrasportatori siciliani (Aias) ha comunicato alla commissione di garanzia sul diritto di sciopero di aver indetto il fermo del settore autotrasporto dal 16 al 20 gennaio, con la creazione di punti di sensibilizzazione presso snodi viari, porti e insediamenti industriali. Al riguardo la predetta commissione ha richiamato il codice di autoregolamentazione dell'esercizio del diritto di sciopero nel settore dell'autotrasporto per conto terzi del 20 giugno 2001.
      Più in generale, le manifestazioni di protesta sono state espressione della mobilitazione posta in essere, anche in forma estemporanea, dalle varie sigle sindacali del settore, nonché dal movimento «forza d'urto» (composto dagli autotrasportatori dell'Aias, presieduto dal signor Giuseppe Richichi, e da pescatori, produttori e agricoltori aderenti al cosiddetto movimento dei forconi), unitamente ad altre associazioni di categoria del mondo produttivo regionale, con l'adesione, in taluni casi, di gruppi di studenti.
      Si sono uniti alle dimostrazioni anche le marinerie di Santa Flavia (Palermo), di Sant'Agata di Militello (Messina) e di Catania; gli edili dell'agrigentino, in particolare a Licata; i tassisti palermitani e catanesi, oltre a numerosi comitati «spontanei» di sostegno, cui aderiscono comuni cittadini, per esprimere il malcontento per l'andamento generale dell'economia e l'aumento di prezzi e tariffe.
      A dare appoggio alle iniziative dei «forconi» si sono aggiunti anche esponenti dei movimenti indipendenti siciliani, che hanno chiesto l'adozione di agevolazioni fiscali per l'isola.
      A Palermo, peraltro, è stata notata la concomitante presenza alle manifestazioni di appartenenti a sodalizi extraparlamentari di opposta tendenza politica.
      Nei giorni precedenti l'inizio della protesta, presso le singole prefetture siciliane e in raccordo con quelle di Palermo e Catania, si sono svolte riunioni delle autorità provinciali di pubblica sicurezza e dei rappresentanti delle forze dell'ordine, allargate alla partecipazione dei rappresentanti dei vigili del fuoco, della protezione civile, della sanità e della polizia stradale.
      Nell'occasione sono stati predisposti piani volti a garantire il diritto di manifestare, senza pregiudicare oltremodo il regolare svolgimento delle ordinarie attività cittadine. Sono stati altresì programmati mirati e specifici servizi da parte delle forze di polizia, in costante raccordo operativo, con il fine di prevenire azioni illegali nello svolgimento delle manifestazioni e garantire la continuità dei servizi essenziali.
      Le proteste si sono articolate, per la quasi totalità, in forma di presidio in prossimità dei principali porti e di numerosi svincoli stradali e autostradali siciliani, nonché davanti ad alcune aree industriali, con la presenza anche di camion e mezzi agricoli, che hanno provocato il rallentamento del traffico veicolare e, in taluni casi, l'impedimento del transito dei mezzi pesanti.
      La protesta non ha mancato di provocare disagio alla libera circolazione delle persone e delle merci, con problemi nell'approvvigionamento di carburante e di generi alimentari. In particolare, i depositi costieri di carburante sono risultati adeguatamente forniti, ma la consegna ai distributori è stata effettuata solo grazie alla scorta delle forze di polizia. Questa situazione ha provocato preoccupazione nella collettività per le difficoltà di approvvigionamento.
      L'accorto intervento degli operatori delle forze di polizia e dei comandi delle polizie locali ha tuttavia consentito di superare momenti di eccessiva tensione.
      La situazione è stata attentamente monitorata dalle prefetture della Sicilia, che si sono mantenute in costante e reciproco contatto ed hanno garantito la tempestiva ed efficace comunicazione di notizie fra tutti i soggetti coinvolti.
      Per arrivare ad una cessazione anticipata della protesta, il 19 gennaio, presso la sede della Regione siciliana, si è svolto un incontro, presieduto dall'onorevole Lombardo, con i rappresentanti del comitato «Forza d'urto», gli assessori regionali alle risorse agricole e alimentari e all'energia e servizi di pubblica utilità, e i prefetti di Palermo e Catania.
      Per affrontare le difficoltà il Ministero dell'interno ha posto in essere alcuni interventi operativi.
      È stata programmata un'intera serie di servizi preventivi coordinati dal centro situazioni della segreteria del dipartimento della pubblica sicurezza dove è stata attivata la sala ordine pubblico – con la partecipazione di rappresentanti dei comandi generali dell'Arma dei carabinieri e della guardia di finanza – con il compito di seguire le manifestazioni di protesta.
      È stata costituita, inoltre, un'unità dedicata, all'interno della sala operativa del servizio Polizia stradale, per il costante monitoraggio delle criticità su strade e autostrade, ed è stato preallertato, presso il dipartimento della pubblica sicurezza, allorquando le manifestazioni hanno assunto un contesto nazionale, il centro di coordinamento nazionale «Viabilità Italia».
      Presso le prefetture della regione sono state attivate unità di crisi per il monitoraggio degli eventi ai fini della predisposizione di ogni intervento utile ad evitare situazioni pregiudizievoli. Le iniziative intraprese hanno assicurato i rifornimenti di carburante volti a garantire i servizi pubblici essenziali, la raccolta dei rifiuti solidi urbani, l'approvvigionamento per i presidi ospedalieri e gli aeroporti.
      In ragione delle tensioni createsi nei luoghi di distribuzione del carburante tra i cittadini in coda per il rifornimento delle proprie autovetture nonché dei timori manifestati dai gestori dei distributori, è stato altresì garantito, con presidi delle polizie municipali, lo svolgimento pacifico delle operazioni di approvvigionamento.
      Particolare attenzione è stata rivolta alla sicurezza delle industrie a rischio, soprattutto con riguardo al polo petrolchimico di Siracusa e alle raffinerie di Gela, dove, comunque, si sono verificati ritardi nei cambi turno dei dipendenti che hanno determinato notevoli disagi per le direzioni degli stabilimenti.
      È stata, anche, intensificata l'attività antisciacallaggio a tutela dei consumatori per prevenire eventuali ingiustificati aumenti dei prezzi e per impedire l'immissione in commercio di prodotti alimentari alterati o non più idonei al consumo. È stata, inoltre, potenziata l'attività di vigilanza sui tentativi intimidatori nei confronti degli esercizi commerciali che non intendevano aderire alla manifestazione.
      A partire dal 21 gennaio, anche grazie all'attività delle forze dell'ordine, si è via via registrato uno sfaldamento del fronte della protesta con la conseguente decisione del rappresentante del movimento dei forconi di sospendere le manifestazioni.
      Per garantire la circolazione dei mezzi pesanti, su richiesta del prefetto di Catania, il presidente della camera di commercio ha adottato una delibera per la deroga ai turni e agli orari dei rifornimenti di carburante. A Palermo, il prefetto e il questore sono intervenuti nei confronti dei manifestanti presso il presidio attivo al varco portuale, consentendo pacificamente l'uscita di tutti i mezzi pesanti carichi di derrate dirette alla distribuzione commerciale.
      Dalla notte del 22 gennaio è iniziato il fermo su scala nazionale degli autotrasportatori, con presìdi effettuati in varie province.
      La protesta si è estesa ad altre Regioni italiane dando luogo a presidi estemporanei, con maggiori criticità in Campania.
      Per fronteggiare la situazione sono state impiegate dalle forze di polizia, su tutto il territorio nazionale, 1.160 unità di rinforzo.
      La mirata attività di mediazione svolta nell'occasione ha avuto un ruolo fondamentale nella gestione della protesta, riuscendo ad evitare l'innalzamento del livello delle contestazioni e ulteriori disagi per la popolazione.

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei Ministri. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legge 29 dicembre 2010, n.  228, recante proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle forze armate e di polizia, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  9 del 2011, all'articolo 4, comma 1 recita: «È autorizzata, a decorrere dal 1° gennaio 2011 e fino al 30 giugno 2011, la spesa di euro 380.770.000 per la proroga della partecipazione di personale militare alle missioni in Afghanistan, denominate International Security Assistance Force (ISAF) ed EUPOL AFGHANISTAN, di cui all'articolo 4, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2010, n.  102, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2010, n.  126.»;
          il giorno 2 luglio a causa dell'esplosione di un ordigno nei pressi del villaggio di Caghaz, 16 chilometri ad Ovest di Bakwa, in Afghanistan, è deceduto il caporal maggiore Gaetano Tuccillo. Il tragico evento è accaduto in un periodo di evidente vuoto normativo, non essendovi in vigore alcuna norma che autorizzi, dopo il 30 giugno 2011, le Forze armate italiane a prendere parte alla missione fuori dai confini del nostro Paese. Il vuoto determinatosi a causa, secondo gli interroganti, dell'evidente inerzia del Governo lascerebbe quindi sfornito di tutela il militare deceduto nel caso in cui l'erogazione delle provvidenze agli eredi – in particolare quelle assicurative – sia direttamente discendente dalla fonte normativa ora mancante, intesa quale atto autorizzativo ad un determinato impegno o partecipazione delle Forze armate, quindi del militare deceduto, fuori dal territorio dello Stato, con la conseguenza che, di fatto, il citato vuoto normativo, origina diverse problematiche in ordine alla valutazione giuridica degli atti e dei fatti i cui momenti di avveramento si situino – come nel caso in esame – all'interno del periodo mancanza della norma;
          buona parte dei problemi che conseguono ad eventi tragici, come quello in argomento, si rivela ex post, quando ad esempio per le norme a termine si debba esaminare l'applicazione conforme al disposto sia della norma precedente che di quella rinnovata, ma compiutosi nel periodo di assenza della norma circa tali ipotesi;
          tale tragico avvenimento, a prescindere dai dovuti provvedimenti che il Ministero della difesa dovrà adottare a sostegno dei familiari della vittima, rende evidente che gli aspetti della legalità e della legittimazione normativa, nell'ambito delle quali devono essere condotte le operazioni militari fuori dai confini dello Stato, siano stati totalmente trascurati  –:
          quale siano i motivi che non abbiano consentito per tempo l'emanazione della norma di proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia il cui termine era fissato al 30 giugno 2011, dal decreto-legge 29 dicembre 2010, n.  228;
          quali siano gli immediati provvedimenti che intenderà adottare al riguardo e quali tutele intenderà garantire ai legittimi eredi del militare in premessa qualora in sede di applicazione delle norme in materia dovessero emergere problemi di natura interpretativa, previdenziale o assicurativa e assistenziale. (4-12563)

      Risposta. — In via preliminare, si fa presente che l'articolo 4 del decreto-legge 12 luglio 2011, n.  107, dispone la proroga delle missioni a decorrere dal 1o luglio 2011 e che, pertanto, non si è verificato alcun vuoto normativo dal momento che l'autorizzazione precedentemente disposta dal decreto-legge 29 dicembre 2010, n.  228, riguardava il periodo 1o gennaio-30 giugno 2011.
      Ciò premesso, per quanto riguarda, invece, gli aspetti previdenziali e assicurativi relativi al decesso del caporal maggiore Tuccillo, si richiamano gli elementi informativi predisposti rispettivamente dei competenti organi tecnico-amministrativi militari.
      Per quanto concerne gli aspetti previdenziali, la competente direzione generale della previdenza militare, della leva e del collocamento al lavoro dei volontari congedati ha fatto rilevare che agli eredi del militare saranno attribuiti tutti i benefici di carattere previdenziale, in quanto rientranti fra i destinatari della legge n.  206 del 2004 recante disposizioni a favore delle vittime di atti di terrorismo e delle stragi di tale matrice e loro superstiti (pensione privilegiata, speciale elargizione, assegno vitalizio, speciale assegno vitalizio, due annualità di pensione).
      Relativamente, invece, agli aspetti assicurativi, la competente direzione generale di commissariato e dei servizi generali ha rappresentato che il personale della Difesa impiegato in missioni fuori area è assicurato per i casi di morte o invalidità permanente mediante contratto assicurativo che la stessa direzione generale provvede a stipulare periodicamente, a seguito di procedure di evidenza pubblica, ponendo cura che non ci sia alcuna soluzione di continuità tra un contratto e l'altro.
      La norma di legge di riferimento è l'articolo 1 della legge 18 maggio 1982, n.  301 il quale prevede che il massimale assicurato sia ragguagliato allo stipendio annuo lordo moltiplicato per il coefficiente 10. Nel caso in specie, il sinistro è rientrato sotto la copertura assicurativa del contratto Rep. n.  280 del 18 maggio 2011 (periodo assicurativo 1o giugno-31 dicembre 2011).

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          una nota dell'agenzia Ansa del 6 dicembre 2011, ha diffuso la notizia «AERONAUTICA: AUTORIZZAZIONE SANITARIA MENSE SOLO PER 23 ENTI SU UN TOTALE DI 161; 51 NE SONO DEL TUTTO SPROVVISTI (ANSA) – MILANO, 6 DIC – Sono solo 23 gli enti dell'Aeronautica militare, su un totale di 161, che hanno i locali mensa in regola con le autorizzazioni sanitarie, mentre 51 ne sono completamente sprovvisti e dunque potenzialmente a rischio di chiusura. Gli altri enti che non hanno la mensa utilizzano convenzioni con servizi di ristorazione esterni o i buoni pasto. È quanto si legge in un documento dello Stato maggiore dell'Aeronautica, del 16 settembre scorso. Il documento riguarda le “Mense di servizio – Modalità di fruizione del servizio di vettovagliamento”: esso contiene un dettagliato elenco degli enti della Forza armata e indica quali abbiano i locali mensa non in regola con le autorizzazioni sanitarie. In particolare, si legge, 41 enti con meno di 50 unità utilizzano i buoni pasto, 40 hanno stabilito convenzioni con strutture di ristorazione esterna, mentre quelli con mensa hanno diversi tipi di gestione: diretta (è il personale militare a distribuire i pasti), mista (confezionamento e distribuzione sono appaltati a soggetti esterni), catering e convenzioni locali. Alla data del documento, tra le strutture con le mense prive di autorizzazione sanitaria, a gestione mista, ci sono il Comando Aeronautica Militare di Roma (Comaer), il 4° stormo di Grosseto, il Reparto Sperimentale Standardizzazione al Tiro Aereo di Decimomannu, il 41° stormo di Sigonella, il 36° stormo di Gioia del Colle, il comando dell'Aeroporto di Pratica di Mare, l'accademia di Pozzuoli. Nel documento si legge che per ottenere l'autorizzazione sanitaria, servono lavori di adeguamento delle infrastrutture molto corposi per le strutture di Gioia del Colle (150mila euro), Villafranca (230mila), Ghedi (200mila), Pratica di Mare (4.200.000), Pisa (250mila) e Pozzuoli (7.740.000). In alcuni casi i lavori risultano completati – nelle mense di Trapani, Amendola, Grosseto e Caserta – ma non sempre l’iter per la concessione dell'autorizzazione sanitaria è concluso. (ANSA)»;
          il documento al quale fa riferimento l'Ansa è la nota numero di protocollo M-D ARM002 0070005 del 16 settembre 2011, protocollo mittente M-D ARM001 0074901 del 16 settembre 2011;
          il Ministero della difesa – ufficio centrale per le ispezioni amministrative – ufficio del direttore centrale, già nell'emanare la nota «RILIEVI RICORRENTI ANNO 2008», scriveva che «Ricorrente è il rilievo formulato circa l'assenza delle autorizzazioni sanitarie presso le mense, avuto specifico riguardo alle necessarie certificazioni per il personale adibito alla confezione e distribuzione dei pasti [...]»  –:
          quali siano gli immediati provvedimenti che il Ministro interrogato intenda promuovere al riguardo e se abbia provveduto ad interessare le competenti autorità giudiziarie, per gli aspetti di competenza in ordine all'attività di ristorazione svolta presso le mense di servizio che siano risultate prive delle autorizzazioni sanitarie previste dalle vigenti norme;
          se la mancanza di dette autorizzazioni sia riferita ai locali mensa o anche al personale addetto al confezionamento e alla distribuzione dei pasti;
          se presso gli enti della Forza armata elencati nella nota siano stati regolarmente istituiti gli organi di verifica degli OPS (organismi protezione sociale) e quali siano state le loro attività in merito alla riferita mancanza delle autorizzazioni sanitarie. (4-14256)

      Risposta. — Il documento dello Stato Maggiore dell'Aeronautica, citato in premessa dall'interrogante, è un atto tecnico interno riguardante una serie d'interventi infrastrutturali su edifici in cui sono ubicati anche «locali mensa», ma gli importi ivi indicati non si riferiscono al solo adeguamento delle mense, ma riguardano interventi di ristrutturazione e/o nuove realizzazioni su edifici che ospitano anche le mense di servizio.
      Pertanto, è necessario distinguere l'incidenza degli interventi finalizzati all'ottenimento dell'autorizzazione sanitaria, da quelli necessari a riqualificare altre aree del fabbricato con destinazioni d'uso e funzioni completamente diverse.
      Ciò premesso, va evidenziato che il documento in questione è scaturito da uno studio condotto allo scopo di identificare, nel quadro delle attività tese a ridurre e ad ottimizzare i costi di gestione dell'intero strumento militare, il numero minimo di enti o reparti dell'Aeronautica militare ove, in virtù del peculiare servizio svolto e della tipologia di utenza, fosse conveniente mantenere il servizio di vettovagliamento da parte della Forza armata.
      In particolare, da tale studio emerge che il servizio di vettovagliamento continuerà ad essere garantito, in buona sostanza, per gli enti o reparti operativi/volo/addestrativi.
      Al riguardo, per tali enti, le autorizzazioni sanitarie, o sono in corso di rilascio (vedasi ad esempio Grosseto, Piacenza, Trapani, Lecce, Frosinone e la mensa allievi di Pozzuoli), ovvero sono
in itinere i lavori necessari per l'acquisizione di dette autorizzazioni.
      Per gli altri enti non aventi compiti operativi/volo/addestrativi, sono allo studio forme alternative di somministrazione dei pasti (buono pasto e apprestamenti civili).
      In particolare, già 82 enti su 161 ricorrono alle citate forme alternative e sono in corso di definizione le attività tecnico-logistiche per transitare a buono pasto ulteriori enti.
      I rilievi ispettivi mossi nei confronti di taluni Enti da parte di Ispedife, a cui si fa riferimento nell'interrogazione in esame, attengono esclusivamente alle certificazioni sanitarie da parte del personale preposto al confezionamento e alla distribuzione dei pasti, il cui possesso è stato oggetto di verifica.
      Al riguardo, si rende noto che all'atto della sottoscrizione del contratto, nel caso della gestione indiretta (con servizio mensa interamente fornito da ditte private) o gestione mista (con servizio di confezionamento pasti sempre a cura di ditte private, ma acquisto dei generi alimentari da parte dell'amministrazione difesa), è previsto l'inserimento di specifiche clausole contrattuali con le quali si obbligano le ditte aggiudicatrici a dichiarare di possedere tutte le autorizzazioni sanitarie e le licenze commerciali previste dalla legge per l'espletamento dei servizi indicati nei contratti e a sottostare a tutti i controlli e/o ispezioni giornaliere dell'ente fruitore.
      Nel caso della gestione diretta, con acquisto dei generi alimentari e confezionamento pasti interamente a cura dell'amministrazione difesa, le autorizzazioni sanitarie al personale militare e civile dell'Aeronautica militare vengono invece rilasciate dalle infermerie degli enti comandi di appartenenza.
      In particolare, quando il servizio mensa è affidato a ditte private le stesse sono tenute a fornire alla Difesa evidenza del possesso dei requisiti igienico sanitari previsti dalla legge, mentre rimane in capo all'amministrazione militare l'obbligo di effettuare periodici controlli volti ad accertare la regolarità dell'esecuzione contrattuale ed il mantenimento dei citati requisiti igienico sanitari del personale preposto al confezionamento e alla distribuzione dei pasti.
      Per quanto riguarda l'autorizzazione sanitaria delle mense, si precisa che il rilascio di dette autorizzazioni è devoluto alle competenti autorità di Forza armata, che emanano un decreto dirigenziale:
          sulla base di una certificazione sanitaria rilasciata dalle infermerie militari;
          al termine del completamento degli adeguamenti infrastrutturali eventualmente necessari.

      La suddetta certificazione sanitaria risulta acquisita a seguito delle verifiche all'uopo effettuate.
      Per completezza di informazione, si precisa che gli adeguamenti infrastrutturali, che non riguardano ambiti igienico-sanitari ma solo interventi sull'impiantistica e/o sui locali, richiedono tempi tecnici più lunghi, dovendo seguire un
iter complesso ed articolato previsto dalle norme sui lavori pubblici.
      Di conseguenza, l'asserita mancanza dell'autorizzazione sanitaria, per alcune mense di servizio dell'Aeronautica militare, non implica la mancanza delle condizioni igienico sanitarie dei locali in cui è assicurato il servizio di vettovagliamento, ma la necessità di ultimare i citati adeguamenti infrastrutturali per il rilascio formale dell'autorizzazione.
      Per quanto attiene, infine, agli organismi di protezione sociale (O.P.S.), si evidenzia che l'articolo 465, comma 2, del «testo unico dell'ordinamento militare» (decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n.  90) individua quali organismi di protezione sociale in relazione alle specifiche funzioni e alla natura delle attività da svolgere, le sale convegno, i circoli, i soggiorni marini e montani e i circoli ricreativi dei dipendenti della Difesa.
      Ciò stante, si segnala che gli organi di verifica previsti sono stati regolarmente costituiti presso gli enti elencati nella nota prodotta dall'ufficio centrale per le ispezioni amministrative e che gli stessi esplicano la loro attività di verifica solo ed esclusivamente nei confronti degli organismi di protezione sociale e non anche delle mense obbligatorie di servizio.

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      VERINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          i cittadini di Pietralunga (Perugia), per voce del loro sindaco, lamentano gravi disagi al servizio postale della loro città: da mesi sono costretti a lunghe file agli sportelli a cui si aggiunge la mancanza di qualunque tipo di comfort per l'attesa forzosa presso i locali dell'ufficio postale (assenza di aria condizionata, solo 4 posti a sedere, mancanza di privacy, e altro);
          semplici operazioni come la spedizione di una raccomandata o il pagamento di bollettini postali si trasformano in soste lunghe, talvolta prolungate dal malfunzionamento dei collegamenti telematici che rende impossibile effettuare le operazioni postali con ripercussioni enormi sulla vita dei cittadini, in particolare su quella di pensionati e anziani che più di tutti vivono come ingiustizie i disagi derivanti da inefficienze e disfunzioni;
          tale incresciosa situazione si acuisce nel periodo estivo, dove, a fronte di una triplicazione della popolazione, il personale dell'ufficio postale diminuisce, lasciando la gestione dei servizi nelle mani di un'unica persona;
          a ciò si aggiunga la totale assenza di un sistema di snellimento della fila e la mancanza di un bancomat per i correntisti;
          la necessità di recuperare standard di funzionalità consoni e adeguati ad un ampio bacino di utenza – che coinvolge anche i cittadini di alcune frazioni di Gubbio e Montone – è quanto mai urgente;
          alle vibrate proteste è seguita una raccolta di firme da parte dei cittadini sempre più esasperati da tale situazione  –:
          se il Ministro interrogato non intenda intervenire, per quanto di sua competenza, per rimuovere le cause che impediscono all'ufficio postale di cui in premessa di garantire agli utenti il loro diritto ad una assistenza puntuale e qualificata. (4-13385)

      Risposta. — In merito ai disservizi postali registrati nel comune di Pietralunga, la società Poste italiane ha rappresentato quanto segue.
      Nell'ufficio postale di Pietralunga, dotato di tre sportelli aperto dal lunedì al venerdì con orario 8.00/13.30 ed il sabato con orario 8.00/12.30, è stata già prevista l'installazione all'esterno di un
cash dispenser a disposizione della clientela h. 24.
      La società, inoltre, fa presente come i risultati del monitoraggio appositamente esperito sui dati di produzione e sui flussi di traffico non hanno, al momento, evidenziato la necessità di rafforzare l'organico dell'ufficio, in quanto l'offerta di servizi risulta idonea a soddisfare le richieste della clientela.
      Per ciò che concerne l'aspetto strutturale dell'immobile, Poste italiane precisa che, già dallo scorso mese di maggio, sono stati realizzati alcuni interventi per una migliore e più razionale fruizione degli spazi a disposizione, predisponendo la struttura per un eventuale futuro ampliamento della sala riservata al pubblico.
      Anche nella località in esame, il processo di migrazione dal precedente sistema operativo informatico ad una piattaforma più evoluta, realizzato dalla società al fine di migliorare il servizio reso alla clientela, ha talvolta determinato, nella fase di implementazione, dei rallentamenti operativi registrati soprattutto durante lo scorso mese di giugno, senza, comunque, mai determinare l'interruzione completa del servizio.
      Il Ministero dello sviluppo economico, non mancherà di verificare nell'ambito delle proprie competenze che vengano effettuati tutti gli interventi necessari al buon funzionamento dell'ufficio postale in esame e che, in ogni caso, siano rispettati gli obblighi connessi allo svolgimento del servizio universale, onde assicurare alla cittadinanza del comune di Pietralunga un'assistenza sempre efficiente e di qualità.

Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      VILLECCO CALIPARI, BELLANOVA e RUGGHIA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – permesso che:
          il concorso indetto con il decreto n.  98 del direttore generale per il personale militare, per la missione di 275 giovani nelle scuole militari, 160 dei quali nelle scuole militari dell'Esercito «La Nunziatella» di Napoli e «Teulie» di Milano ha visto come risultato un numero di idonei inferiore ai posti messi a concorso;
          quest'anno è stato introdotto, per la prima volta, un test a risposta multipla, come prova di cultura generale, in sostituzione del tradizionale colloquio orale su tutte le materie;
          per superare il test era necessaria una valutazione minima di sei decimi;
          una consistente percentuale di partecipanti al concorso pur provenendo da istituti scolastici da varie parti d'Italia con buoni risultati non è riuscita a superare la prova a quiz;
          l'apertura dell'anno scolastico presso le due scuole militari citate con un numero di allievi inferiore a quello prefissato ha conseguenze negative sui risultati formativi che le due scuole si prefiggono  –:
          se ritenga opportuno fornire ogni elemento utile in merito al testo dei quiz somministrati come prova di cultura generale per l'ammissione all'anno scolastico 2011/2012. (4-13442)

      Risposta. — In esito all'entrata in vigore decreto legislativo 15 marzo 2010 n.  66 (codice dell'ordinamento militare) che ha uniformato la precedente normativa ed alla decisione del competente Stato Maggiore della Difesa di emanare un bando unico interforze per il reclutamento di complessivi 275 giovani presso le scuole militari di esercito, marina e aeronautica, le procedure selettive per il reclutamento di tutti gli allievi dei menzionati istituti sono state standardizzate.
      Nel merito, l'esercito, analogamente a quanto operato dalla Marina e dalla Aeronautica negli anni passati, ha deciso, in conformità alla norma di riferimento (articolo 712 comma 3 del citato decreto legislativo 15 marzo 2010 n.  66), di adottare lo svolgimento di un test scritto di cultura generale a risposta multipla basato sui programmi del quarto e quinto ginnasio e delle prime due classi del liceo scientifico (in allegato al bando di concorso e identici per tutti gli aspiranti allievi delle tre Forze armate), in sostituzione della prova orale.
      Tale decisione ha consentito di ottenere una considerevole contrazione degli oneri finanziari, riducendo, allo stesso tempo, l'attività delle commissioni esaminatrici.
      In particolare dal 2011 le due commissioni esaminatrici (una per il liceo classico e l'altra per lo scientifico e scientifico europeo) sono state unificate, anche grazie alla riduzione dei tempi tecnici occorrenti per le attività di selezione culturale del personale.
      Si è passati, infatti, dai precedenti circa 20/30 giorni (durata interrogazioni orali) agli attuali 2 giorni (tempo necessario per l'effettuazione/correzione del test).
      Nel contempo, non sono più stati chiamati, in qualità di membri aggiunti delle predette commissioni, i docenti civili che negli anni passati venivano impiegati anche per interrogare i candidati.
      In particolare, nell'ambito del citato test sono stati somministrati ai candidati n.  100 quiz, ripartiti come di seguito indicato:
          liceo classico:
              Italiano: n.  24 domande;
              Latino: n.  22 domande;
              Greco: n.  20 domande;
              Lingua e letteratura inglese: n.  16 domande (il candidato poteva scegliere di rispondere in alternativa a quelle relative alla lingua francese);
              Storia: n.  9 domande;
              Matematica: n.  9 domande.
          liceo scientifico nonché liceo scientifico europeo;
              Italiano: n.  20 domande;
              Latino: n.  20 domande;
              Lingua e letteratura inglese; n.  16 domande (il candidato poteva scegliere di rispondere in alternativa a quelle relative alla lingua francese);
              Storia: n.  13 domande;
              Scienze: n.  7 domande;
              Matematica: n.  24 domande.

      La preparazione di tali test, elaborati sulla base dei menzionati programmi ministeriali, è stata commissionata ad una specifica ditta che ha approntato 6 batterie testologiche (3 per il classico e 3 per lo scientifico ovvero per lo scientifico europeo), per un totale di circa 700 domande (comprese le domande di riserva), di cui due batterie (una per ogni indirizzo di studio) sono state estratte il giorno della prova concorsuale.
      Come noto tale tipologia di prova, effettuata dagli aspiranti allievi di tutte le Forze armate, è stata superata, secondo quanto stabilito dalla citata normativa di riferimento (articolo 712 comma 4 del citato decreto legislativo 15 marzo 2010 n.  66) dal solo personale che ha conseguito una votazione di almeno sei decimi.
      Con particolare riguardo all'esercito, in base all'esito del test in questione, sono stati convocati alla scuola militare:
          Teuliè di Milano, n.  60 giovani a fronte degli 80 previsti dal bando;
          Nunziatella di Napoli, n.  76 a fronte degli 80 previsti dal bando.

      La situazione che si è determinata presso i predetti Istituti, risulta coerente con il quadro normativo di riferimento e con le previsioni del bando di concorso.
      In tale quadro, pare opportuno fare alcune considerazioni.
      In primo luogo, la divulgazione preventiva delle domande non appare opportuna, se si considera l'esiguo numero dei quiz e quindi, la possibilità di memorizzare anche agevolmente le relative risposte.
      In prospettiva futura, tuttavia, al fine di favorire la prevista preparazione del test, si potrebbe valutare, se i relativi fondi lo consentiranno, la possibilità di porre in essere quanto viene analogamente effettuato nei concorsi per il reclutamento degli allievi delle accademie militari.
      Si potrebbe, infatti – come anzidetto compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili – costituire una banca dati testologica sufficientemente ampia, da cui trarre successivamente i test da somministrare agli aspiranti allievi delle scuole militari, da rendere disponibile sul sito
web della Forza armata.
      In secondo luogo, essendo normativamente prevista una riserva di posti, pari al 30 per cento, nei concorsi per l'accesso alle accademie militari a favore degli allievi delle scuole militari, verosimilmente il prescritto limite di sei decimi risponde all'esigenza di conseguire un bacino di personale potenzialmente preparato a sostenere, sia sotto il profilo culturale sia attitudinale, le prove di ammissione alle menzionate accademie.

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      ZACCHERA e STEFANI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          ci sarebbe una certa preoccupazione un po’ in tutta Italia per il dilagare di richieste d'assegni sociali da parte di immigrati che, a quanto sembra, stanno mettendo in seria difficoltà l'Inps;
          il fenomeno è legato a quegli immigrati che hanno compiuto i 65 anni e non hanno redditi oppure sono sotto la soglia dei 5000 euro annui, ed avrebbero quindi diritto a quella che una volta si chiamava «pensione sociale»;
          quando gli extracomunitari regolari residenti in città o in provincia con tanto di carta di soggiorno in regola e residenza, si sono accorti delle normativa di legge – tutto deriva dalla legge 388 del 2000 (inserita nella finanziaria 2001 dell'allora Governo Amato) che ha riconosciuto l'assegno sociale anche ai cittadini stranieri – non hanno fatto altro che presentare domanda di ricongiungimento familiare e far arrivare in Italia genitori o parenti anziani;
          l'extracomunitario regolare, dopo aver fatto venire in Italia congiunti, manda i familiari o il familiare ultrasessantacinquenne all'Inps. Qui l'interessato autocertifica l'assenza di reddito oppure dichiara la pensione minima nello Stato di provenienza – che deve essere certificata;
          l'Inps a questo punto erogherebbe 355 euro al mese di assegno sociale, più 154,9 euro di importo aggiuntivo. In totale oltre 550 euro per 13 mensilità quindi 7.156 euro l'anno, esentasse;
          in sostanza genitori, nonni e parenti tutti over 65 di lavoratori extracomunitari, percepiscono i 7.156 euro all'anno, senza aver mai versato alcun contributo all'Inps;
          se poi il genitore, il nonno, il parente straniero decide di rientrare in patria continua a ricevere l'accredito dell'assegno al suo nuovo domicilio;
          le domande degli stranieri per l'assegno sociale sarebbero in costante aumento e vengono quasi sempre accolte dall'Inps, visto che la legge non prevede né un minimo di versamenti e nemmeno un certo tempo di residenza  –:
          se quanto sopra esposto corrisponda a verità, quale importanza numerica abbia il fenomeno segnalato, quali conseguenze economiche e quali iniziative si vogliano intraprendere per arginare questo fenomeno. (4-13205)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, concernente la percezione dell'assegno sociale da parte di cittadini extracomunitari, si rappresenta quanto segue.
      L'assegno sociale, istituito dall'articolo 3, comma 6, della legge n.  335 del 1995, con effetto dal 1o gennaio 1996, è una prestazione di carattere assistenziale, non reversibile e non soggetta ad imposte, che prescinde del tutto dal pagamento di contributi.
      Tale prestazione spetta ai residenti in Italia che abbiano compiuto 65 anni di età, (66 anni a partire dal 1o gennaio 2018, ai sensi del comma 8 dell'articolo 24 del decreto-legge n.  201 del 2011), e che si trovino in disagiate condizioni economiche.
      In particolare, l'assegno viene erogato alle seguenti categorie di persone:
          1) cittadini italiani;
          2) cittadini della Repubblica di San Marino;
          3) stranieri o apolidi ai quali è stato riconosciuto lo
status di rifugiati politici o di protezione sussidiaria ed i rispettivi coniugi ricongiunti;
          4) apolidi o stranieri extracomunitari, lavoratori e non lavoratori, inclusi i famigliari ricongiunti, in possesso di permesso di soggiorno Comunità europea soggiornanti di lungo periodo;
          5) cittadini comunitari, lavoratori e non lavoratori, inclusi i famigliari ricongiunti, che siano iscritti all'anagrafe del comune di residenza ai sensi del decreto legislativo n.  30 del 2007.

      Si sottolinea che, ai sensi dell'articolo 20, comma 10, del decreto-legge n.  112 del 2008, convertito dalla legge n.  133 del 2008, con decorrenza dal 1o gennaio 2009, il beneficio è corrisposto agli aventi diritto, siano essi cittadini italiani, comunitari o extracomunitari, a condizione che abbiano soggiornato legalmente, in via continuativa, per almeno dieci anni nel territorio nazionale.
      La previsione di tale requisito temporale è volta a limitare l'accesso al beneficio assistenziale in esame soltanto a chi dimostri un particolare radicamento nel territorio nazionale, ravvisabile qualora il soggiorno in Italia sia continuativo e di durata non inferiore a 10 anni.
      La durata del soggiorno viene rilevata dal titolo di soggiorno rilasciato dalla competente Autorità italiana, che i richiedenti la prestazione hanno l'obbligo di presentare a corredo dell'istanza. Ai fini della dimostrazione della continuità del soggiorno legale, con riferimento ai periodi pregressi, gli interessati, fermo restando il possesso dei titoli sopra indicati all'atto della domanda, dovranno fornire ogni ulteriore documentazione utile (quale copia dei permessi/titoli di soggiorno ottenuti in precedenza o copia del certificato storico di residenza per i cittadini italiani). Per il computo dei dieci anni va tenuto conto della continuità delle date di rilascio dei diversi documenti attestanti il soggiorno legale rispetto alla scadenza di quelli eventualmente posseduti in precedenza, facendo riferimento a qualunque periodo trascorso continuativamente e legalmente in Italia.
      Inoltre, l'assegno sociale, in quanto prestazione di carattere assistenziale, è inesportabile fuori dal territorio nazionale, con la conseguenza che il beneficio viene meno nel momento in cui non sussiste più il requisito della residenza stabile in Italia.
      Al riguardo, l'Inps ha fatto sapere di monitorare costantemente il fenomeno mediante controlli periodici, al fine di verificare la permanenza dei requisiti di concessione, anche con specifico riferimento all'effettiva residenza in Italia, provvedendo alla sospensione e/o alla revoca del beneficio laddove ne riscontri la mancanza.
      L'istituto ha rappresentato di aver fornito alle proprie sedi sul territorio apposite disposizioni circa la necessità di vigilare, in particolare, sulle situazioni di concessione dell'assegno sociale a cittadini stranieri soggiornanti in Italia e ai loro famigliari ricongiunti che, dopo aver ottenuto il beneficio, potrebbero rientrare nel Paese d'origine, delegando contestualmente altri alla riscossione del trattamento.
      A tal fine, l'istituto ha sollecitato le sedi Inps ad attivare ogni forma di collaborazione con le autorità competenti sul territorio per lo svolgimento delle verifiche, attivando i controlli ritenuti più opportuni per riscontrare quanto dichiarato dai percettori della prestazione assistenziale in argomento.
      Nello specifico, è opportuno richiamare il messaggio Inps n.  12886 del 6 giugno 2008, con il quale l'Istituto previdenziale ha chiarito che, salvo gravi motivi sanitari opportunamente documentati da parte dell'interessato, le Sedi territoriali devono procedere alla sospensione dell'assegno sociale in caso di permanenza all'estero per un periodo superiore ad un mese. Decorso un anno dalla sospensione dell'assegno sociale, le Sedi Inps competenti, previa verifica del permanere di tale situazione, provvedono a revocare il beneficio.
      Il medesimo messaggio prevede che le verifiche debbano comunque essere effettuate periodicamente nei casi in cui il pagamento delle prestazioni avvenga a mezzo delegato o con accredito su conto corrente bancario o postale e, comunque, a campione, sulle autocertificazioni che riguardano le prestazioni assistenziali, come previsto dalle vigenti disposizioni normative.
      Inoltre, con la circolare n.  102 del 2 dicembre 2008, l'Inps ha, tra l'altro, precisato che la disposizione di cui all'articolo 20, comma 10, della legge n.  133 del 2008 (requisito del soggiorno legale, in via continuativa, per almeno dieci anni nel territorio nazionale) si applica, con decorrenza 1o gennaio 2009, anche nei confronti dei familiari ricongiunti.
      In conclusione, nel ribadire che per tutti i richiedenti ed i titolari dell'assegno sociale, sia italiani che stranieri, la residenza effettiva, stabile e continuativa in Italia, al pari degli altri requisiti, rappresenta un elemento costitutivo del diritto alla prestazione assistenziale, con la conseguenza che il suo venir meno determina la cessazione del beneficio, si conferma che l'INPS sta compiendo, su tutto il territorio nazionale un costante monitoraggio sulla permanenza dei requisiti di fruizione del beneficio, intervenendo con la revoca o la sospensione laddove ne riscontri la mancanza.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Cecilia Guerra.


      ZAZZERA, PALADINI e DI STANISLAO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'azienda RDB è leader nel settore dell'edilizia. Il gruppo ha un organico di oltre 1.000 dipendenti, è costituito da 18 stabilimenti ramificati su tutto il territorio nazionale e 200 punti vendita;
          in questi ultimi mesi a causa della crisi economica che ha investito il Paese la RDB ha registrato una perdita di bilancio pari a 103 milioni di euro, in parte dovuta anche alle svalutazioni connesse al piano industriale;
          per far fronte all'emergenza i vertici aziendali hanno deciso di ridimensionare le attività del gruppo e di razionalizzare e semplificare l'intera struttura;
          dal consiglio di amministrazione del 29 agosto 2011 è emerso il rischio di chiusura di molti stabilimenti produttivi, ed in particolare quelli situati a Villafranca, Lomello, Lomagna, Montepulciano, Occimiano, Bellona, Osio e Bitetto;
          la struttura di Bitetto è un punto di riferimento per il Sud Italia, e la sua soppressione creerebbe non solo seri danni all'economia locale ma toglierebbe ulteriori opportunità lavorative in un'area dove si registra un tasso di disoccupazione del 13,4 per cento, ovvero più del doppio del Centro Nord (rapporto Svimez 2011);
          per i 70 dipendenti del gruppo di Bitetto, messi in cassa integrazione guadagni ordinaria a zero ore, la chiusura dello stabilimento sarebbe un vero dramma e nonostante gli scioperi e le manifestazioni che hanno organizzato, non hanno ricevuto ancora nessuna rassicurazione in merito;
          l'11 luglio 2011 il consiglio comunale di Bitetto ha approvato un ordine del giorno in cui si esprime solidarietà a questi lavoratori e si chiede alle istituzioni di scongiurare la chiusura dello stabilimento anche stanziando risorse economiche di supporto;
          le organizzazioni sindacali si sono fermamente opposte al ridimensionamento aziendale e hanno criticato apertamente il piano di razionalizzazione adottato dal Gruppo  –:
          quali iniziative i Ministri intendano adottare al fine di evitare la chiusura dello stabilimento della RDB a Bitetto;
          se i Ministri ritengano opportuno attivarsi al fine di stanziare risorse economiche a favore dei lavoratori del Gruppo RDB di Bitetto;
          quali provvedimenti o iniziative di competenza intendano adottare per consentire al gruppo citato in premessa di superare la crisi economica in atto.
(4-14632)

      Risposta. — In relazione all'interrogazione in oggetto, si rappresenta quanto segue.
      La società RDB, com’è noto, è
leader nel settore del prefabbricato.
      Al Ministero dello sviluppo economico si è seguita, fin dal mese di luglio 2011, la difficile situazione della società RDB.
      Presso il medesimo Ministero, infatti, si sono avuti più incontri ai quali hanno partecipato oltre ai rappresentanti della amministrazione, della RDB e delle organizzazioni sindacali anche, i rappresentanti della regione Lombardia, della regione Toscana, della provincia di Siena, della provincia di Alessandria, della provincia di Piacenza e della provincia di Caserta.
      La RDB spa società capogruppo dell'omonimo gruppo, opera, infatti, con stabilimenti su tutto il territorio nazionale, nel settore dell'edilizia industrializzata in calcestruzzo.
      La società ha dichiarato, nel corso delle riunioni tenutesi, di subire da tempo le conseguenze della difficile congiuntura di mercato che ha colpito in particolar modo il mercato delle costruzioni, nel quale la medesima ha registrato un calo di circa il 40 per cento. Ad aggravare la situazione si è aggiunta la progressiva erosione della marginalità e un crollo del fatturato.
      La stessa, pertanto, ha dichiarato di aver predisposto un piano industriale di risanamento che verte su alcuni punti. Tra questi si segnalano:
          la razionalizzazione dell'utilizzo degli impianti produttivi e riduzione dei costi operativi;
          la ristrutturazione del debito bancario del gruppo;
          l'esecuzione di aumento di capitale;
          lo sviluppo di nuovi fronti di mercato quali il residenziale, inteso anche come edilizia sociale (ospedali, carceri eccetera);
          lo sviluppo delle tecnologie aziendali.

      Tale piano di risanamento dovrà essere approvato da parte degli Istituti bancari creditori della RDB.
      Riguardo alla ricapitalizzazione, preso atto che i soci storici non hanno intenzione di partecipare alla stessa, il rappresentante del Gruppo ha comunicato che è stata presentata un'offerta da parte dell'Alias srl; quest'ultima, peraltro, detiene già indirettamente l'8,9 per cento del capitale sociale della RDB.
      Nell'ultima riunione tenutasi in data 17 gennaio 2012, presso il Ministero dello sviluppo economico, si è avuta notizia, dal rappresentante della società, che la società RDB è passata all'Alias srl.
      Allo stato attuale, pertanto, la società occupa 847 persone ed è divisa in tre linee di attività: prefabbricati, gasbeton e mattoni faccia a vista.
      La RDB dovrà affrontare una congiuntura difficile e, pertanto, si è reso necessario dismettere gli
asset non strategici e ridurre i costi operativi. In tal senso il rappresentante della società presente all'incontro, ha comunicato che vedranno cessare la propria attività i siti di Bitetto, Occimiano, Lomagna, Osio, Montepulciano, Lomello e Villafranca.
      Le organizzazioni sindacali hanno chiesto maggiori informazioni circa eventuali manifestazioni d'interesse legate a singole aziende del gruppo ed hanno sollecitato la stesura del Piano industriale in forma scritta, in modo tale da avere una base su cui confrontarsi, al fine di poter avviare una discussione sui singoli siti.
      Il rappresentante del Ministero ha dichiarato che, a oggi, non sono pervenute né indicazioni, né tantomeno manifestazioni d'interesse relative ad aziende facenti capo alla RDB, ed ha invitato le parti presenti ad avviare la discussione su ciascun sito del gruppo. Confronto che, al momento, è in corso.
      Il Ministero dello sviluppo economico conferma, comunque, il proprio impegno affinché coloro che presenteranno eventuali manifestazioni d'interesse abbiano la possibilità di discuterle in maniera costruttiva con la RDB, anche alla luce dell'impegno costante dimostrato dalle istituzioni locali ai fini della ricerca di soluzioni industriali per le criticità emerse. Ha, inoltre, augurato che il confronto si svolga con la massima collaborazione delle parti e senza forzatura alcuna.
      Infine il Ministero del lavoro, comunica per la di sua competenza, che in data 27 luglio scorso, è stato concluso un accordo tra la RDB e le organizzazioni sindacali per il ricorso al trattamento di cassa integrazione straordinaria per crisi aziendale della durata di 12 mesi, a decorrere dal 1o agosto 2011 e in favore di un numero massimo di 572 lavoratori.

Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      ZUCCHI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          l'Unaprol è stata costituita nel 1966 come Unione nazionale tra le associazioni dei produttori di olive e, grazie alla sua estesa rappresentatività, ha da subito assunto un ruolo di interlocutore primario con le istituzioni;
          per molti anni, fino al 2005, l'Unaprol ha assolto i compiti di gestione e di erogazione degli aiuti comunitari alla produzione dell'olio d'oliva e delle olive da tavola;
          a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo n.  102 del 2005, l'Unaprol ha assunto una nuova natura giuridica e nuove finalità riorientando, nell'ambito degli scopi generali di valorizzazione e miglioramento qualitativo della produzione delle imprese aderenti, la propria attività sul mercato mediante l'organizzazione di programmi e la prestazione di servizi diretti alla realizzazione dei nuovi scopi;
          con delibera dell'assemblea del 16 dicembre 2005 l'Unaprol si è trasformata in società consortile a responsabilità limitata assumendo la denominazione di Unaprol-Consorzio olivicolo italiano; lo scopo consortile, deliberato dalle organizzazioni socie, coerentemente con le previsioni del decreto legislativo n.  102 del 2005, si esplicava nel coordinamento e realizzazione dell'attività delle organizzazioni socie, perseguite nell'ambito di un'organizzazione di impresa, e la prestazione di servizi alle consorziate;
          gli obiettivi posti all'Unaprol dai propri soci, nell'ambito dello scopo consortile, erano intrinsecamente economici: attraverso l'organizzazione consortile le associazioni consorziate intendevano ottenere una più efficiente realizzazione di una fondamentale fase delle rispettive imprese che si sarebbe dovuta concludere con il collocamento sul mercato dei prodotti del settore;
          in funzione prospettica è stata avviata una riflessione sull'adeguatezza del modello organizzativo ed amministrativo dell'Unaprol, nella logica di valorizzare il momento tecnico-operativo in sede gestoria e di estendere e rendere più consapevole il coinvolgimento dei soci nelle funzioni di controllo; a tal fine è stata valutata l'idoneità del modello amministrativo cosiddetto dualistico a realizzare gli obiettivi sopra indicati e, con l'assemblea straordinaria del 1° dicembre 2009, sono state adottate le modifiche statutarie coerenti con detto modello dualistico  –:
          se, anche ai fini del rispetto dei requisiti minimi per il riconoscimento delle organizzazioni di produttori, il sistema dualistico sia compatibile con la disciplina delle società a responsabilità limitata, forma giuridica in cui Unaprol è organizzata, e se il sistema duale si caratterizzi in un netto decremento dei diritti dei soci nei confronti dell'organo amministrativo;
          come si concili la nuova situazione di cui in premessa, con l'esigenza di assicurare ai soci di Unaprol il controllo democratico sulla vita e gestione della società, che presuppone l'esercizio da parte dell'assemblea di tutti i poteri e non una limitazione della propria «sovranità», come prevede per legge il sistema duale. (4-05577)

      Risposta. — L'UNAPROL, società consortile a responsabilità limitata, costituita nel 1966 come unione nazionale tra associazioni di produttori di olive ha assunto, a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo n.  102 del 2005, l'attuale configurazione caratterizzata dallo scopo consortile.
      Si chiede di conoscere in particolare se il modello di gestione cosiddetto dualistico, che sarebbe stato introdotto attraverso talune modifiche statutarie nel dicembre 2009, sia compatibile con la struttura della s.r.l. e con i limiti posti all'autonomia statutaria delle organizzazioni di produttori dalla predetta norma.
      Al riguardo, mi preme anzitutto rilevare che dalle informazioni in mio possesso, la forma giuridica di Unaprol non riveste le caratteristiche del sistema dualistico.
      Peraltro, per quanto concerne il riconoscimento delle forme associate di organizzazioni di produttori, ricordo che la mia amministrazione è competente, ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo n.  102 del 2005, solo riguardo alle organizzazioni di produttori già riconosciute ai sensi della medesima normativa.
      Nello caso specifico l'Unaprol, consorzio olivicolo italiano società consortile a responsabilità limitata, non è in possesso del predetto riconoscimento né, ad oggi, risulta che abbia depositato alcuna istanza in tal senso.
      Pertanto, qualora la predetta società dovesse decidere di proporre istanza di riconoscimento, il mio Ministero avrà la competenza per esaminare la conformità del relativo modello organizzativo ed amministrativo alla pertinente normativa.

Il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: Mario Catania.