XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 9 maggio 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


      La Camera,
          premesso che:
              la Commissione difesa della Camera dei deputati, nel corso della seduta dell'11 aprile 2012, ha unanimemente approvato la risoluzione 8-00171 a prima firma Di Stanislao, sulle problematiche connesse ai gravi danni alla salute subiti dal personale militare in Italia e all'estero conseguenti all'esposizione all'uranio impoverito, dimostrando estremo interesse e, al contempo, preoccupazione, per le numerose problematiche connesse alla tematica in questione;
              l'approvazione del richiamato atto di indirizzo e le conseguenti iniziative che il Governo dovrà intraprendere in virtù degli impegni assunti, rappresentano un risultato politico importante, affinché, al più presto e senza riserve, vengano chiariti i dubbi che ancora oggi esistono su questa materia, accertate le responsabilità ed individuate le procedure e gli strumenti più efficaci per una futura prevenzione. È importante, quindi, che prosegua a livello parlamentare, con serietà ed urgenza, il dibattito su tale materia e siano fomiti ulteriori indirizzi al Governo su questa materia;
              le questioni aperte sono complesse ed attengono a profili diversi, dalla sicurezza e protezione del personale esposto all'uranio impoverito, al tema dei risarcimenti, troppo spesso negati ai militari che hanno contratto gravi patologie in conseguenza dell'esposizione all'uranio impoverito, ai profili scientifici e normativi della questione;
              secondo quanto riferito dall'Anavafaf, l'Associazione nazionale italiana assistenza vittime arruolate nelle forze armate, i casi accertati di militari contaminati da uranio impoverito e altri agenti patogeni sono 3.761 di cui 698 riguardanti personale militare che ha preso parte alle missioni militari all'estero e 3.063 riguardanti personale militare che non ha mai effettuato attività fuori area. Si tratta di dati drammatici anche in considerazione del fatto che si tratta di dati parziali perché riferiti ad un periodo di tempo limitato, dal 1991 al 2012, e riguardanti solamente il personale militare in servizio, mentre è escluso tutto il personale militare in congedo che ha lasciato il servizio ed il personale civile;
              il fenomeno dell'uranio impoverito non è limitato all'Italia che si è occupata del fenomeno solo dopo il primo caso verificatosi in Bosnia (il caso del militare Salvatore Vacca, nel 1999), più di mezzo secolo dopo che della problematica si sono occupati ampiamente gli Stati Uniti e altri Paesi, soprattutto anglosassoni;
              alcuni militari italiani impegnati nella missione Ibis in Somalia hanno fatto presente di aver visto militari Usa che adottavano tute e maschere ed altri ancora hanno riferito in merito alla presenza di carri armati Abrams dotati di armamento e armature all'uranio impoverito. Tale circostanza è riscontrabile anche nella sentenza del tribunale civile di Firenze del 17 del gennaio 2009 dove si legge che «al di là delle raccomandazioni che erano e dovevano essere note al Ministero della difesa, il fatto che ai militari americani fosse imposta l'adozione di particolari protezioni, anche in mancanza di ulteriori conoscenze, doveva allertare le autorità italiane. Deve concludersi che, nel caso in discorso, vi sia stato un atteggiamento non commendevole e non ispirato ai princìpi di cautela e di responsabilità da parte del Ministero della difesa, consistito nell'aver ignorato le informazioni in suo possesso, già da lungo tempo, circa la presenza di uranio impoverito nelle aree interessate dalla missione e i pericoli per la salute dei soldati collegati all'utilizzo di tale metallo, nel non aver impiegato tutte le misure necessarie per tutelare la salute dei propri militari e nell'aver ignorato le cautele adottate da altri paesi impegnati nella stessa missione, nonostante l'adozione di tali misure di prevenzione fosse stata più volte segnalata dai militari italiani»;
              su tali fatti sarebbe utile conoscere, nei limiti stabiliti dalla natura di tali atti, le informazioni in possesso dei servizi segreti e dei comandanti delle diverse missioni, con particolare riferimento alla missione Ibis in Somalia, anche perché tali informazioni non risultano acquisite neppure dalle Commissioni d'inchiesta che nel corso degli anni sono state costituite su questo tema, sebbene tali organismi, possono procedere alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e gli stessi limiti dell'autorità giudiziaria ed acquisire copia di atti e documenti relativi a procedimenti o inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organismi inquirenti (articolo 4 della delibera istitutiva della Commissione monocamerale d'inchiesta sui casi di morte e gravi malattie che hanno colpito il personale militare italiano impiegato nelle missioni internazionali di pace, sulle condizioni della conservazione e sull'eventuale utilizzo dell'uranio impoverito nelle esercitazioni militari sul territorio nazionale, sui fatti e su chi può testimoniare in merito);
              da un punto di vista normativo l'Italia è intervenuta tardi ed in maniera poco efficace ed efficiente. Le prime norme di protezione giunte ai nostre reparti furono quelle emanate dalla Kfor (la Forza multilaterale nei Balcani) il 22 novembre 1999 in Bosnia. Queste norme precisavano chiaramente i pericoli dell'uranio impoverito che così vennero riassunti nelle cosiddette «regole d'oro» che recitavano: «rimani lontano da carri/mezzi bruciati e da edifici colpiti da missili da crociera. Se lavori entro 500 metri di raggio da un veicolo o costruzione distrutti indossa protezioni per le vie respiratorie»;
              per quanto riguarda, poi, il tema dei risarcimenti da riconoscere al personale militare colpito da gravi patologie conseguenti all'esposizione ad uranio impoverito, l'Anavafaf, che da molto tempo si occupa del tema in questione, ha posto in evidenza come in molti casi gli organi della Difesa hanno negato qualsiasi forma di risarcimento in quanto le patologie non sono risultate dipendenti da causa di servizio, sebbene commissioni di verifica abbiano espresso valutazioni contrastanti;
              suscita, poi, perplessità il fatto che in sede di travaso delle disposizioni della legge n.  308 del 1981 nel codice dell'ordinamento militare di cui al decreto legislativo n.  66 del 2010 non si sia provveduto ad includere il personale militare in servizio permanente tra i beneficiari della speciale indennità di cui all'articolo 6 della richiamata legge n.  308 del 1981;
              a livello scientifico, nel 2000, è stata istituita la commissione «Mandelli» con il compito di condurre un'analisi osservazionale retrospettiva di tipo caso-controllo sui reduci del teatro operativo balcanico. Lo stesso professor Mandelli, in un articolo pubblicato a firma congiunta con il professor Mele sulla rivista «Epidemiologia» dell'ottobre 2001, ha scritto che non si può escludere che l'uranio impoverito sia stato la causa dei linfomi di Hodgkin e il professor Grandolfo della Commissione stessa in un'intervista resa ad un quotidiano ha affermato che non si può escludere che l'uranio sia letale;
              sempre a livello scientifico è stato, inoltre, evidenziato come i vaccini somministrati ai soldati italiani non possono essere considerati l'unica causa delle malattie e che le nanoparticelle di metalli pesanti, sebbene nocive per la salute, non sarebbero letali. Ulteriori informazioni sui possibili danni provocati dall'uranio impoverito sono contenuti in uno studio di due scienziati americani, di fama internazionale, Marion Fulk e Leuren Moret, i quali precisano che il rischio dell'uranio impoverito riguarda tre diverse componenti così tipizzate: a) agente chimico; b) agente radiologico; c) agente di particolato (cioè di particelle);
              la problematica non riguarda solamente il personale impegnato nelle missioni militari, ma anche il personale in destinazione fissa ed il personale che presta servizio nei poligoni militari o risiede nelle vicinanze di quei siti;
              nei poligoni si svolgono, infatti, diverse attività, legate all'addestramento delle truppe, alle esercitazioni, alla sperimentazione degli armamenti e alla ricerca. In particolare, il poligono del Salto di Quirra ospita regolarmente sia la sperimentazione di armamenti, sia le attività dimostrative da parte delle aziende produttrici;
              è ormai noto, ad esempio, il problema dell'inquinamento legato alle attività militari svolte nel poligono di Quirra dove sembra che i contaminanti potrebbe/o essersi annidati nel vasto sistema di grotte sottostanti l'area militare. Sebbene tale problematica sia stata sollevata da diverso tempo, non risulta approntato alcun piano investigativo per vagliare l'ipotesi. Il semplice prelevamento di campioni di acque dalle sorgenti potrebbe fornire valori falsamente confortanti se non si procederà all'analisi dei sedimenti depositatisi all'interno delle grotte. Il sistema di cavità di Is Angurtidorgius consta di oltre 11 chilometri di gallerie solcate da un fiume e con numerosi laghi che costituiscono una riserva idrica di notevole valore;
              i calcari si comportano come una sorta di gigantesca spugna che assorbe, senza filtrarla, qualunque sostanza rilasciata in superficie e se non si procederà alla ricerca degli inquinanti nei depositi sedimentari delle grotte si corre il rischio che le persone continuino ad ammalarsi per cause «misteriose». Peraltro, i tempi di transito degli inquinanti all'interno del sistema di cavità non possono essere determinati con certezza in virtù delle numerose variabili che ne governano il passaggio;
              anche nella frazione di Quirra esiste un sistema di cavità, indipendente da quello dell'altopiano, in cui potrebbe essersi riversata una frazione delle sostanze dannose provenienti dal poligono. Se ciò risultasse vero i tempi di permanenza degli inquinanti nel sottosuolo potrebbero dilatarsi a dismisura;
              come risulta dal «Rapporto sullo stato di salute delle popolazioni residenti in aree interessate da poli industriali, minerari o militari» nel Salto di Quirra è riscontrabile una percentuale di mielomi e leucemie superiore alle attese statistiche e, nell'insieme, un quadro di maggiore esposizione relativa ad alcune particolari patologie riconducibili a fattori ambientali. Il rapporto mettendo insieme competenze mediche e statistiche di diversi centri italiani, presenta una valutazione epidemiologica sullo stato di salute delle popolazioni residenti in aree interessate da attività industriali, minerarie o militari. I risultati mostrano una indubbia maggiore incidenza di certe patologie nelle aree interessate da attività militari;
              recentemente c’è stata una svolta nell'inchiesta sul poligono di Quirra con il ritrovamento nei corpi dei pastori riesumati di torio radioattivo. Secondo la procura nel poligono vi sarebbe una compromissione ambientale a causa delle presenza, come indicato in uno dei provvedimenti di sequestro delle aree, di torio 232, elemento altamente radioattivo, che può provocare gravi danni alla salute degli uomini e degli animali anche dopo molti anni. L'area interessata è di circa 75 mila metri quadri. Gli esami fatti eseguire nel corso delle indagini dalla procura avrebbero evidenziato anche alte concentrazioni di antimonio, piombo e cadmio, metalli tossici molto pericolosi per la salute umana e animale;
              anche il poligono di Teulada insiste in parte su una zona carsica e da più parti si osserva che le attività dei poligoni in zone carsiche possono produrre effetti deleteri per la salute a parecchi chilometri di distanza, in aree apparentemente protette;
              sotto questa luce le vittime delle attività dei poligoni purtroppo potrebbero aumentare;
              analoghe problematiche riguardano il poligono di Capo Frasca utilizzato per esercitazioni militari, sia italiane che straniere. Alcune ricerche dimostrerebbero che nelle comunità limitrofe all'area del poligono sarebbero in crescita i tumori e linfomi della tiroide; a Capo Frasca risulta esserci un pozzo artesiano e pare che anche i militari segnalino da anni tale problematica. Quest'ultima questione ha suscitato una polemica emersa anche nella stampa locale. Sul quotidiano l'Unione Sarda del 18 dicembre 2011 si legge che «il Comandante ha negato la presenza dei tre pozzi artesiani denunciati da anni dai militari in servizio a Capo Frasca...»;
              sempre con riferimento a Capo Frasca la stampa locale ha dato risalto al caso di Giovanni Madeddu, maresciallo, che tra il 1968 al 1987 ha lavorato presso quel poligono con l'incarico di armiere nelle guerre simulate che in quegli anni venivano ospitate nel poligono. Madeddu ha un linfoma diffuso a grandi cellule;
              altre persone che hanno operato nell'area di Quirra sono state colpite da un simile tumore;
              il quotidiano Nuova Sardegna ha intervistato il maresciallo Madeddu il quale ha riferito che a Capo Frasca non è sia stata mai effettuata una vera bonifica del territorio sebbene in quel luogo sono stati lasciati per venti-trent'anni i residui delle esercitazioni delle Forze armate di tutto il mondo. Ricorda soprattutto una radura, dove si accumulavano i proiettili. Quando pioveva si creavano dei pantani e l'acqua poi filtrava nel terreno. La stessa acqua che poi – attraverso un sistema di pozzi artesiani – veniva utilizzata per ogni uso nel poligono o nei vicini poderi. E in diversi casi l'Asl ha rilevato anomalie e impedito che venisse utilizzata per scopi alimentari;
              nel poligono di Capo Frasca, inoltre, capi di bestiame si sono venuti a trovare nella zona dei mitragliamenti e sono stati colpiti dai proiettili realizzati con metalli pesanti e quindi dalle nanoparticelle degli stessi. Il bestiame colpito è stato poi macellato e cucinato. Al riguardo, andrebbe verificato se l'attività di macelleria era stata autorizzata o meno e se le ASL abbiano effettuato i dovuti controlli;
              di recente, anche il comune di Arbus ha chiesto all'assessorato regionale della sanità un nuovo impegno per accelerare al massimo l'avvio delle indagini epidemiologiche sui residenti in aree militari della Sardegna;
              risulta, inoltre, che nei poligoni è stato impiegato personale non specializzato nei compiti di «sgombra-bossoli» che ha operato a mani nude e senza maschere,

impegna il Governo

          ad assumere ogni iniziativa di propria competenza affinché venga colmato il vuoto normativo creatosi a seguito della mancata previsione nel codice dell'ordinamento militare di cui al decreto legislativo n.  66 del 2010 della speciale elargizione già stabilita all'articolo 1 della legge n.  308 del 1981 in favore del personale militare che a causa di servizio o durante il periodo di servizio avesse subito un evento dannoso che ne avesse determinato una menomazione dell'integrità fisica;
          a verificare il motivo per il quale, come accertato dal tribunale civile di Firenze nella sentenza del gennaio del 2009, non sono state adottate le necessarie misure per tutelare la salute dei militari italiani impegnati nella missione Ibis in Somalia e sono state ignorate le cautele adottate da altri Paesi impegnati nella stessa missione, nonostante l'adozione di tali misure di prevenzione fosse stata più volte segnalata dai militari italiani:
          a chiarire perché non sono mai state adottate misure di protezione adeguate nei poligoni e a dichiarare quali siano state le precauzioni messe in atto per tutelare i militari ed i civili dai rischi per la salute e per l'ambiente;
          a verificare e a chiarire se la resistenza dei carri armati prodotti in Italia sia stata mai testata contro i proiettili all'uranio impoverito;
          a verificare quanti sono i casi di persone ammalatesi nelle missioni all'estero riguardanti non solo militari in servizio ma anche militari in congedo e persone civili facenti capo a varie istituzioni come la Presidenza del Consiglio, le organizzazioni di volontariato Onlus, i Ministeri degli affari esteri, dell'interno, della difesa, dell'economia e delle finanze, della giustizia, delle politiche agricole, alimentari e forestali ed anche quanti sono i casi di militari e civili impiegati in Italia, nei poligoni, depositi, officine, a partire dal 1970, tenendo conto che il primo caso sospetto nei poligoni, di cui si è avuta notizia, è del 1997 (il caso Lorenzo Michelini);
          a verificare e chiarire in quali poligoni in Italia sono stati usati missili Milan e in che numero, tenuto conto dell'inchiesta recente del poligono di Quirra dalla quale è emersa la presenza di tracce di torio nei cadaveri dei pastori da attribuire probabilmente a questi missili il cui impiego è stato accertato nel poligono di Teulada;
          ad adottare tutte le necessarie disposizioni in ambito militare per individuare la presenza di torio nei territori in cui sono stati impiegati i missili Milan e a disporre, di conseguenza, misure di bonifica e ad evitare ulteriori rischi da contaminazione;
          a rendere noti i controlli a cui è sottoposto il personale di ditte civili eventualmente impiegato nei poligoni;
          a rendere note le caratteristiche delle apparecchiature usate per il controllo della sicurezza dell'ambiente e, in particolare, le capacità di queste apparecchiature di rivelare l'esistenza di particelle (nano o micro particelle) di metalli pesanti (di cui sono fatti i proiettili impiegati nei test e nelle esercitazioni);
          a valutare la possibilità di abolire le operazioni di brillamento periodicamente effettuate nei poligoni, perché la nube di polvere che si genera nel brillamento e che si rideposita sul terreno può avere effetti inquinanti (il materiale di scarto dei poligoni dovrebbe essere sistemato sotto terra, in appropriati depositi bunker);
          a valutare la possibilità di assumere iniziative per vietare alle ditte straniere di operare nei poligoni italiani, salvo casi eccezionali in cui la sperimentazione possa essere di grande importanza per interessi nazionali e, in questi casi eccezionali, proibendo agli enti di avvalersi di autocertificazione (in quanto impediscono i controlli sul loro operato);
          ad esaminare i documenti relativi ai test che sono stati eseguiti almeno negli ultimi venti anni previa desegretazione della documentazione stessa;
          ad avviare ogni possibile verifica atta ad escludere categoricamente la possibilità che molti dei soldati italiani siano deceduti per mancanza di cure adatte alla loro contaminazione radioattiva interna non riconosciuta, così come accaduto per il soldato Acaries.
(1-01030) «Di Stanislao, Donadi, Di Pietro, Borghesi, Evangelisti, Leoluca Orlando, Barbato, Cimadoro, Di Giuseppe, Favia, Aniello Formisano, Messina, Monai, Mura, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Porcino, Rota, Zazzera».

Risoluzioni in Commissione:


      La VII e la XI Commissione,
          premesso che:
              la mancanza di procedure abilitanti all'insegnamento impedisce ai docenti precari ITP (insegnanti tecnico-pratici) l'immissione in ruolo;
              i docenti precari Itp, molti con oltre 360 giorni di servizio, sono iscritti nelle graduatorie di istituto e prestano la loro attività con contratti annuali stipulati dai dirigenti scolastici su cattedre vacanti;
              in molti casi l'esperienza professionale di questi insegnanti è certamente superiore rispetto a quella dei nuovi docenti privi di giorni di servizio e dotati esclusivamente del titolo necessario all'accesso agli insegnamenti;
              tuttavia il ruolo dei precari Itp non viene valorizzato né riconosciuto dal punto di vista contrattuale;
              la condizione di tali docenti è di stabile precarietà, nonostante svolgano attività di insegnamento qualificata all'interno degli istituti tecnici e professionali;

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative per istituire una procedura di stabilizzazione per gli insegnanti tecnico-pratici impegnati su cattedre vacanti con continuità di contratto negli ultimi 36 mesi;
          a istituire tirocini formativi attivi (TFA) riservati ad insegnanti tecnico-pratici in possesso di almeno 360 giorni di servizio senza prove di accesso;
          a riconoscere agli insegnanti tecnico-pratici lo stesso livello contrattale degli altri docenti;
          a considerare, ai fini abilitanti, eventuali titoli di ordine superiore a quello necessario all'accesso di insegnamento conseguiti in concomitanza dei periodi di servizio, inerenti alla classe di concorso corrispondente;
          a considerare, ai fini abilitanti, le esperienze di insegnamento acquisite in compresenza con gli insegnanti teorici dotati di titolo di studio superiore;
          ad incrementare le ore di laboratorio attualmente previste negli istituti tecnici e professionali al fine di consolidare la preparazione degli alunni.
(7-00855) «Zazzera, Paladini, Di Giuseppe».


      La I Commissione,
          premesso che:
              l'apertura concorrenziale dei mercati protetti e la tutela dei consumatori sono due dei principali pilastri che la politica economica nazionale deve rafforzare e sostenere con l'obiettivo di instaurare una maggiore concorrenza nei mercati dei prodotti e dei servizi assicurandone, nello stesso tempo, una più ampia accessibilità e fruibilità per i cittadini;
              il corretto sviluppo del settore dei servizi nell'ambito di un mercato concorrenziale è un volano di crescita per l'intera economia e, pertanto, lo Stato ha l'importante compito di delineare e dare forza ad una azione di regolazione pro-competitiva e di tutela del consumatore anche mediante organismi di controllo che, nel nostro Paese, è assolta ricorrendo al modello delle autorità indipendenti;
              tali organismi assolvono importanti funzioni per un equilibrato funzionamento dei mercati liberalizzati controllando che siano rispettate quelle regole poste a garanzia e a tutela della concorrenza; la migliore soluzione di tale funzione può, tuttavia, essere garantita solo da un alto livello di indipendenza, di autonomia e di capacità tecnica delle autorità stesse, consentendo una loro azione efficace e trasparente;
              il rispetto dei requisiti di indipendenza, autonomia, capacità tecnica è il fondamento giuridico che legittima le autorità a svolgere compiti di solito svolti dalle assemblee parlamentari o dai Governi in quanto tali organismi, già definiti piccoli «governi tecnici», ricevono un'unica legittimazione parlamentare e governativa all'atto della costituzione e, successivamente, restano in carica in totale autonomia per sette lunghi anni su temi strategici, quali lo sviluppo e la competitività del Paese e la leale concorrenza tra le imprese;
              attraverso le autorità indipendenti, soggetti non eletti assumono decisioni di rilevanza strategica, appunto al pari di «Governi» e Parlamenti, spostando rilevantissimi flussi finanziari, nella dichiarata garanzia di non cedere alle eventuali pressioni dei gruppi di interesse e di operare nell'interesse dei consumatori nell'ambito di regole concorrenziali certe;
              è di tutta evidenza, quindi, l'importanza che ha per l'Italia l'autorità per le garanzie nelle comunicazioni, i cui vertici, in rinnovo il prossimo maggio, dovranno prendere importanti decisioni sui criteri da applicare all'asta per l'assegnazione delle frequenze delle telecomunicazioni non più assegnate a titolo gratuito e sulla questione dell'ultimo miglio della rete di telecomunicazioni: si tratta di questioni controverse e delicate e palesemente soggette a pesanti meccanismi di pressione;
          allo stesso modo la nuova autorità di regolazione nel settore dei trasporti, incluso il servizio taxi, e dell'accesso alle relative infrastrutture e ai servizi accessori dovrà assumere, tra gli altri, gli importanti poteri di concedente e di vigilante nel settore delle concessioni autostradali e in tale veste selezionerà i concessionari autostradali mediante gare; infatti, alla stessa compete la regolazione tariffaria nel settore autostradale;
              la scelta dei vertici e dei dirigenti di dette autorità in scadenza deve essere fatta a seguito di trasparenti e serie valutazioni dei requisiti di indipendenza, autonomia, capacità tecnica, richiesti per legge, per garantire il giusto controllo dei meccanismi di pressione esercitati dal sistema di interessi politici ed economici che circondano le questioni su cui hanno la competenza di controllo e di regolazione;
              senza dubbio, norme più rigorose ed esigenti sulla compatibilità dei membri delle autorità favorirebbero la neutralità delle scelte e delle decisioni, ridurrebbero i meccanismi di pressione e darebbero certezza e autorevolezza al loro lavoro;
              i suddetti rilievi assumono, infine, un'importanza decisiva se si riflette sul fatto che gravando i costi delle autorità sulla fiscalità generale, sono i cittadini i principali «azionisti» di riferimento; al contrario il circuito decisionale su questioni centrali, nello sviluppo del Paese e nelle scelte democratiche, quali le comunicazioni, le banche, l'energia o i trasporti, si è allontanato dalla sfera di influenza e decisione dei cittadini che esprimono le proprie volontà solo in relazione ad assemblee elettive;
              infatti, le autorità decidono di materie e questioni a loro delegate da Governo e Parlamento, che in passato esercitavano direttamente il ruolo poi delegato alle autorità di regolazione nel perseguire una piena e corretta autonomia ed indipendenza di giudizio ed una preparazione specialistica dei componenti finalizzata ai risultati migliori;
              risulta necessario affermare con maggiore coerenza sia le caratteristiche di autonomia e competenza delle autorità, sia il rapporto mandatario che le lega alle istituzioni rappresentative, prevedendo una relazione più produttiva tra le autorità, il Parlamento e il Governo, correggendo ad esempio le modalità puramente passive con cui le Camere registrano le relazioni annuali delle Autorità e lo scarso seguito delle loro segnalazioni al Governo;
              è necessario inoltre che siano scelte personalità davvero competenti in tutti i settori di intervento delle autorità, e non soltanto in campo giuridico-amministrativo, garantendo l'effettiva indipendenza, con rigorose incompatibilità in relazione sia alla politica che alle grandi forze economiche del settore;
              per assicurare questi risultati è bene che si sviluppi un confronto pubblico trasparente così che i parlamentari che saranno chiamati a votare lo facciano dopo aver valutato, anche attraverso audizioni dei candidati e l'esame dei loro curricula, la competenza e l'autonomia di ciascuno di essi;
              in particolare, è opportuno valutare quali siano i conflitti di interesse da evitare nell'attribuzione degli incarichi collegiali dell'autorità per quel che riguarda le nomine di soggetti già titolari di altri incarichi ovvero qualora permangano interessi in conflitto con l'esercizio della funzione di regolazione o vigilanza, in relazione alle cariche assunte in precedenza o alle nomine nelle imprese regolate o vigilate;
              bisogna, inoltre, evitare intrecci di incarichi con soggetti che nella magistratura amministrativa, TAR e Consiglio di Stato, risultino competenti a giudicare i ricorsi contro le decisione delle autorità,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative normative volte a prevedere una procedura di presentazione dei curricula dei candidati alle autorità di regolazione e di controllo pubblica e trasparente con un pieno coinvolgimento del Parlamento, al fine di effettuare una scelta idonea per la crescita dell'economia del Paese e per garantire la tutela dei diritti del consumatore;
              a prevedere, altresì, criteri più rigorosi che garantiscano la scelta di personalità molto competenti in tutti i settori di intervento delle medesime autorità, e non soltanto in campo giuridico-amministrativo, garantendone l'effettiva indipendenza, attraverso iniziative normative che prevedano rigorose incompatibilità in relazione sia alla politica sia alle grandi forze economiche del settore, evitando, quindi, situazioni di conflitto di interesse legate a incarichi ricoperti nella magistratura amministrativa – competente a giudicare sui ricorsi contro le decisioni delle autorità – o nelle imprese – ora regolate e vigilate – e in politica.
(7-00856) «Naccarato, Lovelli, Meta, Gentiloni Silveri, Ferrari, Boffa, Bonavitacola, Cardinale, Gasbarra, Ginefra, Laratta, Pierdomenico Martino, Giorgio Merlo, Tullo, Velo, Zampa».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          in data 26 aprile 2012 è stato approvato con proprie risoluzioni dalla Camera dei deputati e dal Senato della Repubblica in data 26 aprile 2012 documento di economia e finanza (def) 2012;
          il decreto legge 6 dicembre 2011 n.  201 reca «disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici» pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 6 dicembre 2011;
          il decreto legge 24 gennaio 2012, n.  1, cosiddetto decreto liberalizzazioni, coordinato con la legge di conversione 24 marzo 2012, n.  27, reca «disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività», pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale di sabato (g.u. n.  71 del 24 marzo 2012 - supplemento ordinario n.  53);
          il decreto legislativo 31 maggio 2011, n.  88, reca disposizioni in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione di squilibri economici e sociali, a norma dell'articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n.  42 (Gazzetta Ufficiale n.  143 del 22 giugno 2011);
          con l'approvazione da parte della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica delle relative risoluzioni è stato approvato e reso esecutivo l'atto finale del Documento economia e finanza 2012 approvato il 26 aprile 2012;
          tale documento risulta essere, nel combinato disposto, la pianificazione attuativa di leggi e decreti legislativi che avevano il precipuo obiettivo della coesione territoriale e sociale attraverso la definizione di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali, a norma dell'articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n.  42;
          nel Documento di economia e finanza, relativamente e in particolar modo alle infrastrutture strategiche del sistema Paese, è enunciato, declinato e adottato un disegno pianificatorio che ad avviso dell'interrogante non solo non tiene conto degli obiettivi legislativi contenuti nella legge delega del 5 maggio 2009, n.  9, comunemente detta legge sul federalismo fiscale, ma disattende, violandoli, precisi disposti costituzionali relativi al diritto all'equità, alla coesione e all'unitarietà della nazione;
          in particolar modo si enunciano quattro fondamentali decisioni strategiche che si richiamano sinteticamente:
              nel capitolo del DEF 2012 concernente i finanziamenti e l'attrazione del capitale privato si afferma quanto segue: «A fronte della scarsità di risorse pubbliche, e partendo dall'assunto che “per crescere serve esportare, e per esportare serve trasportare”, il Governo intende concentrare i finanziamenti pubblici, nel rispetto di una valutazione costi-benefici e della reale validità strategica, da reperire anche attraverso il coinvolgimento della Cassa Depositi e Prestiti, della BEI e dei privati entro schemi di PPP, su quelle infrastrutture di trasporto (porti, interporti, aeroporti, strade e ferrovie) maggiormente capaci di effetti di produttività e competitività, ossia su quelle infrastrutture capaci di ridurre il costo del trasporto e della logistica per l'economia italiana, e, in particolare, per il complesso produttivo settoriale/territoriale dedicato alle esportazioni. Si tratta di una norma assolutamente nuova che consente di dotarsi di un moderno strumento di finanziamento, all'avanguardia in Europa e nel resto del mondo, in linea con lo schema proposto dalla Commissione europea attraverso l'iniziativa “Prestiti obbligazionari Europa 2020” per il finanziamento di progetti. La disposizione è importante non solo per la novità dello norma in sé, ma anche perché è stata emanata nel contesto di un corpus di disposizioni mirate a dare finalmente le certezze necessarie all'operatore privato. Tra queste regole rientrano l'allungamento fino a cinquant'anni della durata delle concessioni, una progettazione più chiara attraverso anche asseverazioni sulla bancabilità dell'opera, un migliore rapporto tra le risorse pubbliche e private. Con la nuova disciplina in materia di emissione delle obbligazioni da parte delle società di progetto si introduce uno strumento, di natura privatistica, atto ad alimentare flussi di finanziamento per la costruzione di infrastrutture e a garantire la copertura dei rischi di costruzione; a differenza degli attuali strumenti di finanziamento dei partenariati pubblico-privati, dove le obbligazioni vengono ripagate dagli introiti (pedaggi, canoni, e altro) delle opere infrastrutturali già interamente realizzate;
          nell'ambito delle priorità di intervento e secondo questo presupposto il DEF individua in modo dettagliato le aree e i nodi che dovranno essere oggetto di finanziamento e afferma quanto segue: «In questa prospettiva, le priorità d'intervento nazionali coincidono con il sottoinsieme delle infrastrutture strategiche comprese nella rete essenziale transeuropea di trasporto TEN-T, con il duplice vantaggio di abbinare un valore aggiunto di crescita europea al valore aggiunto di crescita italiana e di utilizzare al meglio i cofinanziamenti europei per le stesse infrastrutture. L'obiettivo è di realizzare, progressivamente, le tratte italiane dei quattro corridoi “Adriatico-Baltico”, “Mediterraneo”, “Helsinki - La Valletta” e “Genova - Rotterdam”, partendo dai principali colli di bottiglia, costituiti dai nodi urbani (Roma, Bologna, Genova, Milano, Napoli, Torino, Venezia e Palermo), portuali marittimi (Ancona, Bari, Genova, Gioia Tauro, La Spezia, Livorno, Palermo, Ravenna, Taranto, Trieste e Venezia) e fluvio-marittimi (Cremona, Mantova, Ravenna, Trieste e Venezia), aeroportuali (Roma Fiumicino, Milano Linate e Malpensa, Venezia Tessera, Bergamo Orio al Serio, Bologna Borgo Panigale, Genova Sestri, Napoli Capodichino, Palermo Punta Raisi e Torino Caselle) interportuali (Ancona, Bari, Bologna, Cervignano, Firenze, Genova, Livorno, Milano, Napoli, Novara, Orbassano, Padova, Pomezia e Verona) e di valico alpino (Fréjus, Domodossola, Chiasso, Brennero, Tarvisio, Trieste) e dagli archi congestionati della rete transeuropea di trasporto essenziale (Ten-T core network) concordati in sede di revisione delle reti TEN-T e del “meccanismo per collegare l'Europa” (Connecting Europe Facility)»;
          nel medesimo documento di Economia e Finanza si definiscono le tipologie degli interventi ammessi: «Per ridurre il “tempo verso la crescita” (time to growth) e sempre con riferimento ad opere ed interventi relativi alle tratte italiane dei quattro corridoi europei sopra menzionati, il Governo intende seguire la seguente priorità logica e cronologica: interventi, prevalentemente di tecnologia di informazione e comunicazione, che consentano di ottenere migliori servizi dagli archi e dai nodi infrastrutturali esistenti: l'esempio più rappresentativo è costituito dall'installazione dei sistemi di segnalamento controllo ferroviario ERTMS (European Rail Traffic Management System) sulle reti anche convenzionali, che sono prevalentemente dedicate al traffico merci, allo scopo di aumentare l'offerta ferroviaria a partire dalle infrastrutture esistenti; interventi di collegamento dei nodi strategici, porti e aeroporti, alla rete esistente in modo da esaltare lo sfruttamento della intermodalità oggi possibile; ovviare il completamento degli orchi e dei nodi mancanti, a partire dai nodi portuali e aeroportuali dove maggiori sono i guadagni di efficienza prevedibili a minor costo possibile»;
          nel DEF sono quindi enunciate le esigenze finanziarie così argomentate: «Si è, pertanto, ritenuto opportuno articolare le varie finalità strategiche nelle seguenti quattro distinte priorità funzionali limitando al massimo le esigenze legate all'annualità 2013: 1. priorità obbligate; 2. priorità legate alle decisioni assunte a scala comunitaria sul nuovo assetto delle Reti TEN-T; 3. priorità supportate da un reale coinvolgimento di capitali privati nella realizzazione delle opere; 4. priorità legate a dare continuità ad impegni assunti;
          fanno parte del primo filone funzionale interventi che nel triennio richiedono risorse globali, in conto capitale, per circa 5.400 milioni di cui circa 2.700 milioni relativi alla annualità 2013. Un simile importo consente, sempre nel triennio, la realizzazione dei seguenti interventi: 1) Contratti di programma 2013 dell'ANAS e di RFI; 2) Ulteriori tranche per il completamento della messa in sicurezza della città di Venezia e della laguna (Mo.S.E); 3) Nuovo asse ferroviario Torino-Lione; 4) Nuovo valico ferroviario del Brennero (quota italiana); 5) Messa in sicurezza ponti e viadotti ANAS; 6) Interventi di completamento di opere già cantierate e bloccate; 7) Fondo mirato ad evitare l'ennesima proroga degli sfratti;
          fanno parte del secondo filone una serie di interventi che a livello strategico sono coerenti con il quadro delle priorità definito a livello comunitario in termini di core network;
          l'importo delle esigenze finanziarie del triennio è pari a circa 1.900 milioni di cui circa 1.700 milioni relativi all'annualità 2013. Trattasi, in particolare, di interventi relativi a:
              a) assi viari;
              b) nodi metropolitani;
              c) nodi logistici di particolare rilievo (porti, aeroporti, interporti);
          fanno parte del terzo filone una serie di interventi che, grazie alla norma sulla defiscalizzazione, possono consentire un forte ridimensionamento delle risorse pubbliche necessarie per la realizzazione di assi strategici fondamentali ed al tempo stesso assicurare un coinvolgimento di rilevanti capitali privati. Con una base pubblica di circa 3 miliardi di cui circa un miliardo a partire dal 2013, si rende possibile l'avvio di investimenti superiori a 15 miliardi. Trattasi, in particolare, dei seguenti interventi: a) Asse autostradale Orte Mestre; b) Asse autostradale Termoli- San Vittore; c) Asse autostradale Telesina; d) Asse autostradale Roma-Latina; e) Completamento asse autostradale Salerno-Reggio Calabria;
          fanno parte del quarto filone una serie di azioni che invocano sia impegni in conto capitale che in conto esercizio. Il valore globale di tali finalità, in conto capitale, si attesta su un valore di circa 400 milioni, di cui circa 200 milioni per l'annualità 2013, ed è essenzialmente finalizzato a completare il Piano delle «opere piccole e medie nel Mezzogiorno» e su un valore di circa 750 milioni, in conto esercizio, relativo, tra l'altro sia agli interventi a sostegno del settore dell'autotrasporto di merci per conto di terzi, sia ad agevolazioni fiscali anche per i project bond»;
          il documento di economia e finanza come premessa a queste disposizioni riporta la seguente affermazione: «Le linee guida di seguito indicate, sono elaborate nel rispetto dei decreti attuativi previsti negli articoli 16 e 22 della legge n.  42/2009 e del Programma Nazionale di Riforma»;
          nel Documento di Economia e Finanza risulta secondo l'interrogante totalmente eluso e palesemente violato l'articolo 22 della legge n.  42 del 2009 con particolare riferimento alla lettera g) relativa alla misurazione e alla compensazione del divario insulare che richiama gli interventi previsti nell'ambito dell'articolo 19 della Costituzione;
          la legge n.  42 del 2009, infatti, all'articolo 22, dispone: «(Perequazione infrastrutturale):
      1. In sede di prima applicazione, il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro per le riforme per il federalismo, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per i rapporti con le regioni e gli altri Ministri competenti per materia, predispone una ricognizione degli interventi infrastrutturali, sulla base delle norme vigenti, riguardanti le strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche nonché la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, le strutture portuali ed aeroportuali. La ricognizione è effettuata tenendo conto, in particolare, dei seguenti elementi:
              a) estensione delle superfici territoriali;
              b) valutazione della rete viaria con particolare riferimento a quella del Mezzogiorno;
              c) deficit infrastrutturale e deficit di sviluppo;
              d) densità della popolazione e densità delle unità produttive;
              e) particolari requisiti delle zone di montagna;
              f) carenze della dotazione infrastrutturale esistente in ciascun territorio;
              g) specificità insulare con definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall'insularità, anche con riguardo all'entità delle risorse per gli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione;
          2. Nella fase transitoria di cui agli articoli 20 e 21, al fine del recupero del deficit infrastrutturale, ivi compreso quello riguardante il trasporto pubblico locale e i collegamenti con le isole, sono individuati, sulla base della ricognizione di cui al comma 1 del presente articolo, interventi finalizzati agli obiettivi di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, che tengano conto anche della virtuosità degli enti nell'adeguamento al processo di convergenza ai costi o al fabbisogno standard. Gli interventi di cui al presente comma da effettuare nelle aree sottoutilizzate sono individuati nel programma da inserire nel Documento di programmazione economico-finanziaria ai sensi dell'articolo 1, commi 1 e 1-bis, della legge 21 dicembre 2001, n.  443»;
          in sede di prima applicazione della legge, il programma delle infrastrutture strategiche (PIS) è stato approvato con la delibera CIPE 21 dicembre 2001, n.  121, e, per gli anni successivi, l'elenco delle opere è stato integrato ed aggiornato per mezzo di un apposito allegato al DPEF;
          l'articolo 1, comma 1, della legge n.  443 del 2001 prevede che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti; d'intesa con i Ministri competenti e le regioni o province autonome interessate predisponga un programma destinato ad essere inserito, previo parere del CIPE e previa intesa della Conferenza unificata, nel Documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF), con l'indicazione dei relativi stanziamenti;
          il Parlamento si pronuncia sul programma in sede di esame del DPEF;
          il successivo comma 1-bis (aggiunto dall'articolo 13, comma 4, della legge n.  166/2002 «Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti») prevede che il programma contenga le seguenti indicazioni: a) l'elenco delle infrastrutture e degli insediamenti strategici da realizzare; b) i costi stimati per ciascuno degli interventi; c) le risorse disponibili e relative fonti di finanziamento; d) lo stato di realizzazione degli interventi previsti nei programmi precedentemente approvati; e) il quadro delle risorse finanziarie già destinate e degli ulteriori finanziamenti necessari per il completamento degli interventi;
          sul piano infrastrutturale in Italia si rilevano tre questioni specifiche – valutate di rilevanza nazionale ed evidenziate negli ultimi DPEF – che richiedono di essere considerate all'interno del quadro generale:
              la «questione settentrionale», con una domanda di accessibilità e di mobilità – per persone e merci – debolmente soddisfatta da un'offerta infrastrutturale con rilevanti deficit qualitativi e quantitativi;
              la «questione meridionale», evidenziata da un rilevante ritardo infrastrutturale, in una situazione nazionale già di per sé precaria;
              la «questione insulare» con macroscopici evidenti e oggettivi aggravi del divario territoriale e infrastrutturale, economico e sociale legati alla condizione insulare;
              la questione insulare, con particolare riferimento alla regione autonoma della Sardegna, totalmente esclusa da qualsiasi ordine di priorità e pianificazione, è l'indifferibile oggetto della presente interrogazione;
          al fine della più compiuta valutazione della condizione attuale della regione Sardegna risulta necessario produrre analisi e dati oggettivi che rendono i provvedimenti richiamati inficiati da assenza di analisi, di legittimità costituzionale per palese violazione delle norme che dispongono il riequilibrio sociale ed economico, territoriale e infrastrutturale e di falsità di presupposti relativamente al dichiarato perseguimento delle norme dell'articolo 22 della legge n.  42 del 2009;
          al fine di richiamare dati oggettivi si propongono le analisi di un soggetto terzo, l'istituto Tagliacarne che rileva attraverso l'atlante delle infrastrutture elementi di comparazione assolutamente emblematici dell'assenza di coesione e unità nazionale:
              per quanto riguarda le reti energetiche: indice 100 per l'Italia; 64,54 per il Mezzogiorno; 35,22 per la Sardegna;
              per quanto riguarda le reti stradali indice 100 per l'Italia; 87,10 per il Mezzogiorno; 45,59 per la Sardegna;
              per quanto riguarda le reti ferroviarie: indice 100 per l'Italia; 87,81 per il mezzogiorno; 15,06 per la Sardegna;
              per quanto riguarda l'analisi delle infrastrutture economico sociali: indice 100 per l'Italia; 84,45 per il mezzogiorno; 56,16 per la Sardegna;
          tali dati non tengono conto del divario insulare, che risulta indefinito proprio per l'assenza strutturale di tale parametro nell'ambito di una corretta pianificazione territoriale e di coesione nazionale;
          a questi indici infrastrutturali di dotazione si aggiungono le analisi compiute da Cresme relativamente alle risorse finanziarie pro capite e territoriali stanziate negli ultimi dieci anni relativamente alle infrastrutture contenute nel rapporto del 2 luglio del 2010 predisposto a seguito della deliberazione dell'ufficio di presidenza dell'VIII Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici del 22 luglio 2009;
          nell'analisi che si propone, a prescindere da ulteriori articolazioni e interdipendenze, come per esempio l'effetto conseguente all'insularità, sono stati presi in esame due parametri oggettivi quali quello territoriale (spesa per chilometri quadrati) e quello demografico (spesa pro capite);
          il primo parametro preso in esame è quello della superficie territoriale dal quale emerge: il valore medio nazionale del costo dell'intero Programma risulta pari a circa un milione e 190 mila euro per chilometro quadrato. Nove sono le regioni con valori superiori a questa media nazionale: innanzitutto la Liguria, che sfiora i 4 milioni a chilometro quadrato, seguita dalla Calabria, con 3 milioni. Tra il milione e i due milioni si attestano alcune regioni più grandi, nell'ordine la Lombardia, il Veneto, la Sicilia e la Campania. Seguono tra le altre il Molise, il Friuli e il Piemonte. Leggermente al di sotto della media il Lazio. Ultime della graduatoria la Sardegna con 237.000 euro per chilometro quadrato e il Molise con 225.000 euro per chilometro quadrato;
          i dati elaborati sull'intero Programma infrastrutture strategiche, il cui valore complessivo del Programma è attualmente pari a 358 miliardi, rileva nel dettaglio il seguente rapporto regionale sulla base della superficie territoriale e dei costi dell'intero programma – monitoraggio aprile 2010 – (euro per chilometro quadrato):

Euro    
Liguria 3.884.719
Calabria 3.074.912
Lombardia 1.646.189
Veneto 1.625.508
Sicilia 1.408.644
Campania 1.379.566
Molise 1.302.502
Friuli Venezia Giulia 1.289.567
Piemonte 1.217.754
Lazio 1.125.066
Emilia Romagna 1.069.755
Umbria 868.401
Basilicata 837.065
Abruzzo 767.266
Toscana 649.124
Puglia 448.032
Trentino Alto Adige 446.560
Valle d'Aosta 290.038
Sardegna 237.463
Marche 225.478
          in relazione a questa analisi risulta evidente un gravissimo disequilibrio di pianificazione infrastrutturale tra le singole regioni;
          tale dato emerge in tutta la sua evidenza nell'elaborazione predisposta per questo atto parlamentare se si raffronta il dato regionale rispetto al dato medio nazionale di riparto di 1.188.379 euro per chilometro quadrato preso come riferimento base dell'analisi;
          i dati seguenti costituiscono la dimostrazione oggettiva dello squilibrio nazionale nell'ambito del piano infrastrutturale rispetto ad un equo riparto delle risorse per regione parametrato sullo stanziamento medio nazionale per chilometro quadrato:

Liguria +14.614.162.800
Calabria +28.450.804.173
Lombardia +10.924.720.030
Veneto +8.039.239.439
Sicilia +5.661.471.295
Campania +2.598.231.330
Molise +506.477.874
Friuli Venezia Giulia +794.932.928
Piemonte +746.125.000
Lazio -1.089.490.104
Emilia Romagna -2.624.318.752
Umbria -2.705.733.968
Basilicata -3.511.383.430
Abruzzo -4.545.914.835
Toscana -12.397.472.450
Puglia -14.337.560.002
Trentino Alto Adige -10.093.931.133
Valle d'Aosta -2.931.286.683
Sardegna -22.907.566.440
Marche -9.334.362.294
          la rappresentazione economica del divario rende il dato macroscopico tale da evidenziare una vera e propria emergenza nazionale sul piano della coesione economica ed infrastrutturale, minando i presupposti fondamentali della stessa carta costituzionale in termini di coesione nazionale, uguaglianza tra cittadini e libertà;
          tale analisi assume una valenza ancor più significativa nel dato relativo al valore pro capite dell'investimento infrastrutturale nel nostro Paese;
          dall'esame dello studio richiamato il valore pro capite del costo dell'intero Programma infrastrutturale ad oggi stimato è pari a circa 6.000 euro ad abitante se si considera l'intero costo, quindi compresa la quota non ripartibile a livello regionale (14.143 milioni di euro);
          il dato pro capite fa registrare la Calabria con circa 23.000 euro, il Molise (oltre 18.000 euro ad abitante), la Basilicata (14.000 euro), la Liguria (13.000 euro), il Friuli e l'Umbria (oltre 8.000 euro). Tra le regioni più grandi, al di sopra della media regionale si collocano la Sicilia con oltre 7.000 euro; il Piemonte, con un importo leggermente inferiore (6.978 euro); il Veneto (oltre 6.000 euro). L'Emilia Romagna supera i 5.000 euro, la Lombardia registra un valore intorno ai 4.000 euro, come la Toscana, mentre Lazio e Campania si attestano su 3.000 euro. La Sardegna si attesta sui 3.423 euro pro capite;
          il divario tra regioni rispetto alla media nazionale è rappresenta dai seguenti dati (euro per persona):

Piemonte 6.978
Valle d'Aosta 7.449
Lombardia 4.032
Liguria 13.037
Trentino Alto Adige 5.965
Veneto 6.119
Friuli Venezia 8.231
Emilia Rom. 5.456
Toscana 4.025
Umbria 8.212
Marche 1.393
Lazio 3.441
Abruzzo 6.206
Molise 18.018
Campania 3.225
Puglia 2.127
Basilicata 14.165
Calabria 23.085
Sicilia 7.187
Sardegna 3.423
          il rilevante squilibrio nel riparto regionale, relativamente alla quota pro capite, è ancora più evidente nei dati seguenti che rappresentano il divario tra le regioni:

Piemonte +4.494.626.994
Valle d'Aosta +188.691.525
Lombardia -18.822.850.032
Liguria +11.423.347.672
Trentino Alto Adige +1.018.657
Veneto +757.259.940
Friuli Venezia +2.790.531.912
Emilia Rom. -2.203.693.332
Toscana -7.189.459.102
Umbria +2.010.211.056
Marche -7.174.541.038
Lazio -14.196.189.330
Abruzzo +322.991.350
Molise +3.866.862.930
Campania -22.304.335.194
Puglia -15.653.816.574
Basilicata +4.843.518.801
Calabria +10.111.679.721
Sicilia +6.161.228.177
Sardegna -4.246.013,541
          dallo studio predisposto si rileva che la media nazionale del valore pro capite della spesa ad oggi prevista per le opere con delibera CIPE è di 2.180 euro;
          superano la media l'Umbria, con quasi 7.500 euro ad abitante, la Calabria, con oltre 6.000 euro, il Trentino e la Liguria, con più di 5.000, Veneto e Sicilia, con oltre 3.000 e la Lombardia (2.456 euro). In fondo alla classifica Sardegna (836 euro), Molise (611 euro), Marche (473 euro), Abruzzo (437 euro) e Puglia (216 euro);
          il combinato disposto dei provvedimenti richiamati e per tutti l'atto finale del Documento di economia e finanza 2012 approvato dal Consiglio dei ministri n.  25 in data 18 aprile e sul quale il 26 aprile 2012 si sono espressi attraverso apposite risoluzioni il Senato della Repubblica e della Camera dei deputati prevede in sintesi:
              a) l'inserimento tra le opere strategiche e finanziabili con risorse pubbliche e private esclusivamente quelle contenute nell'ambito dei 4 corridoi europei;
              b) le opere sono declinate in modo puntuale sia nell'ambito territoriale che logistico nel DEF 2012 ed escludono totalmente la regione Sardegna;
              c) il finanziamento prioritario ed esclusivo, sia pubblico che privato, di quelle opere che risultino in termini di economicità produttive e redditive, escludendo di fatto quegli interventi tesi al riequilibrio e alla coesione nazionale;
              d) il finanziamento privato come elemento imprescindibile dell'infrastrutturazione del Paese non valutando che tale vincolo costituisce un ulteriore limite al recupero del divario insulare considerato che la Sardegna non può in alcun modo sopportare oltre all'onere del divario stesso anche quello di pedaggi e tariffazioni logistico infrastrutturali che renderebbero doppiamente penalizzata la regione;
          tale documento di economia e finanza costituisce a tutti gli effetti un atto che lede gravemente e in modo esplicito la coesione nazionale e nel contempo lede diritti e principi sanciti a livello costituzionale;
          si rileva la totale violazione per mancata applicazione della legge n.  42 articolo 22 del 2009;
          l'articolo 22 della legge n.  42 del 2009 dispone: g) specificità insulare con definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall'insularità, anche con riguardo all'entità delle risorse per gli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione;
          è evidente che tale norma che richiama il comma quinto dell'articolo 119 della Costituzione risulti totalmente violato in quanto la regione Sardegna in base alla pianificazione contenuta nel Documento di economia e finanza risulta totalmente esclusa da qualsiasi tipo di infrastrutturazione sia strategica che funzionale all'eliminazione degli effetti economici legati appunto al divario geografico;
          è fin troppo evidente che, alla già di per sé grave mancata predisposizione di un apposito decreto attuativo relativo alla questione insulare, così come avrebbe suggerito la stessa disposizione normativa, si deve registrare una previsione pianificatoria che non solo non restringe la forbice del divario insulare ma che in prospettiva la rende ancora più ampia con effetti devastanti sull'economia della regione Sardegna;
          si rileva la violazione della Costituzione relativamente agli articoli 2-3-4-5;
          appare palesemente violato il disposto dell'articolo 2 della Costituzione che affida alla «Repubblica» il compito di riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Il DEF 2012 ignora tale disposto sia sul piano del diritto ad un'equa ripartizione di interventi e risorse tese al riequilibrio territoriale e infrastrutturale che su quello dei doveri inderogabili di solidarietà economica e sociale;
          è sostanzialmente violato l'articolo 3 della Costituzione che ha riconosciuto a «tutti i cittadini pari dignità sociale» considerato che con tale pianificazione prevista dal DEF 2012 si amplia il divario economico e sociale tra la Sardegna e il resto del Paese con un evidente venir meno di quelle condizioni di pari dignità auspicate e prescritte dal dettato costituzionale;
          lo stesso articolo 4 del dettato costituzionale laddove «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto» risulta palesemente violato perché appare evidente che l'ampliamento del divario economico e sociale legato a quello infrastrutturale farà venir meno per i cittadini sardi quel diritto fondamentale al lavoro. In tal senso viene precluso lo stesso comma 2 dell'articolo 4 laddove è disposto che «ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società»;
          risulta, con il combinato disposto del Documento di economia e finanza, violato lo stesso articolo 5 della Costituzione laddove si afferma la Repubblica è «una e indivisibile». In tal senso, l'aver sostanzialmente e strategicamente escluso dalla pianificazione del Paese una regione insulare come la Sardegna rappresenta un vulnus costituzionale di gravità inaudita proprio per la coesione nazionale e istituzionale alla quale si richiama la Costituzione;
          risulta violato il diritto alla mobilità di cui all'articolo 16 della costituzione;
          l'articolo 16 della Costituzione recita: «Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche;
          l'articolo 3, n.  1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n.  1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77, e – rettifiche – GU 2004, L 229, pag. 35, e GU 2005, L 197, pag. 34), così dispone:
          «La presente direttiva si applica a qualsiasi cittadino dell'Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari ai sensi dell'articolo 2, punto 2, che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo»;
          risulta evidente che l'esclusione della Sardegna da qualsiasi piano infrastrutturale strategico costituisce, proprio per la sua aggravante condizione insulare, costituisca un grave impedimento alla mobilità e che pertanto per il pieno esercizio del predetto diritto risulta indispensabile un piano adeguato di infrastrutturazione teso proprio all'eliminazione sia sul piano infrastrutturale che economico di quel divario;
          il Documento di economia e finanza 2012 risulta illegittimo proprio perché non tiene conto delle disposizione normative, oltre a quelle costituzionali, relative al riconoscimento alla Sardegna di un ruolo strategico nell'area del Mediterraneo considerato che la risoluzione sul Def 2011, approvata lo scorso anno, aveva richiamato la legge obiettivo del 2001 che individuava l'isola come piastra logistica EuroMediterranea;
          risulta illogico prevedere anche per le regioni insulari e nella fattispecie la Sardegna una previsione di capitali privati a cui far seguire l'imposizione di pedaggi e tariffe che finirebbero per aggravare ulteriormente il già rilevante costo della mobilità a cui la Sardegna è costretta a sottostare proprio per via della sua condizione insulare;
          risulta un chiaro ed evidente eccesso di potere introdurre surrettiziamente in una regione a statuto speciale una tariffazione infrastrutturale che violerebbe le stesse disposizioni dello statuto autonomo della Sardegna e delle norme di attuazione;
          dall'esecuzione dei provvedimenti citati si rileva come i danni non attengono solo ad una dimensione propriamente economica, già di per sé rilevantissima, considerato che si aggiunge alla mancata attuazione del disposto dell'articolo 8 dello statuto autonomo della Sardegna quanto anche alla sfera della indispensabile tutela dei diritti fondamentali dei cittadini sardi e della stessa regione autonoma  –:
          se non ritengano di dover valutare se sussistano i presupposti per ricorrere agli strumenti previsti dall'ordinamento per intervenire sulla definizione degli obiettivi indicati dal documento di economia e finanza alla luce di quanto indicato in premessa;
          se non ritengano di dover attuare un piano di riequilibrio sostanziale nei confronti delle regioni insulari, sia per quanto riguarda la parte infrastrutturale interna sia per quanto riguarda il divario insulare in attuazione anche delle norme vigenti in materia e nella fattispecie all'articolo 22 della legge n.  42 del 2009;
          se non ritengano di dover proporre e sostenere nell'ambito europeo una rimodulazione dei corridoi europei al fine di predisporre strategie funzionali all'inserimento anche delle regioni insulari all'interno di siffatti corridoi di trasporto e mobilità;
          se non ritengano nell'ambito delle risorse da pianificare e quelle già pianificate e non utilizzate un'equa ripartizione delle stesse con parametri oggettivi eliminando quelle evidenti e assolutamente inique ripartizioni che danneggiano in modo irreversibile la regione Sardegna;
          se non ritengano necessario predisporre un decreto attuativo relativamente alla questione insulare in relazione alla lettera g) dell'articolo 22 della legge n.  42 del 2009 al fine di prevedere un piano di misurazione e riequilibrio del divario insulare. (5-06821)

Interrogazioni a risposta scritta:


      DIMA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          in data 6 dicembre 2007 tra il Ministero della salute e la regione Calabria è stato stipulato un protocollo di intesa per la sottoscrizione dell'accordo di programma relativo alla realizzazione degli ospedali della Sibaritide, di Catanzaro, di Vibo Valentia e della Piana di Gioia Tauro con fondi ex articolo 20 della legge n.  67 del 1988;
          con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 dicembre 2007 è stato dichiarato lo stato di emergenza socio-economico-sanitaria nella regione Calabria fino al 31 dicembre 2009 e lo stesso è stato prorogato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 18 dicembre 2009 fino al 31 dicembre 2010 ed ulteriormente prorogato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 26 novembre 2010 fino al 31 dicembre 2011;
          in data 13 dicembre 2007 è stato sottoscritto l'accordo di programma per la realizzazione degli ospedali della Sibaritide, di Catanzaro, di Vibo Valentia e della piana di Gioia Tauro e con l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n.  3635 del 21 dicembre 2007 è stato nominato il commissario delegato per la gestione della predetta situazione emergenziale e ne sono stati contestualmente definiti i compiti e i poteri;
          con decreto dirigenziale del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali in data 18 febbraio 2009 è stato formalizzato il finanziamento di n.  4 interventi relativi alla realizzazione dei presidi ospedalieri della Sibaritide, di Catanzaro, di Vibo Valentia e della Piana di Gioia Tauro per un importo complessivo pari ad euro 178.615.153,06 a carico dello Stato;
          ai sensi dell'articolo 13 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n.  3836 del 30 dicembre 2009, il presidente della giunta regionale della Calabria ha assunto l'incarico di commissario delegato e il comma 2 dell'articolo 13 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n.  3836 prevede che «Il Commissario delegato si avvale dei poteri di cui alle ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri emanate per fronteggiare il contesto emergenziale in rassegna»;
          con ordinanza n.  10 del 25 marzo 2010, recependo il parere espresso dal Ministero della salute, prot. DG.PROG.7/1.6.a.h./19002 del 24 marzo 2010, il commissario delegato pro tempore ha approvato i progetti preliminari di tre dei quattro ospedali, e segnatamente quelli di Vibo Valentia, della Piana di Gioia Tauro e della Sibaritide, prescrivendo ai soggetti attuatori di apportare le modifiche indicate dal Ministero della salute nella citata nota;
          con la stipula del protocollo d'intesa ex articolo 15 della legge n.  241 del 1990 tra la regione Lombardia e il commissario delegato per l'emergenza socio-economico-sanitaria della regione Calabria, recepito con ordinanza del commissario delegato n.  10 dell'8 novembre 2010, è stato individuato nella società regionale Infrastrutture Lombarde s.p.a. il soggetto incaricato delle attività di assistenza tecnica, di supporto alla stazione appaltante ed al responsabile unico del procedimento, di project & construction management e di alta sorveglianza relativamente agli interventi di realizzazione dei tre nuovi ospedali di Vibo Valentia, della piana di Gioia Tauro e della Sibaritide;
          con ordinanza n.  14 del 30 novembre 2010, il commissario delegato ha costituito una struttura regionale tecnica per il coordinamento e l'alta sorveglianza sull'attuazione degli interventi relativi ai nuovi ospedali della piana di Gioia Tauro, della Sibaritide, di Vibo Valentia e di Catanzaro per come previsto dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n.  3635 del 2007 ed in attuazione dell'accordo di programma sottoscritto dal Ministero della salute e dal presidente della regione Calabria in data 6 dicembre 2007;
          in data 14 maggio 2011 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea il bando di gara della procedura ristretta per l'affidamento del contratto di concessione di costruzione e gestione ai sensi dell'articolo 144 del decreto legislativo n.  163 del 2006 relativo all'intervento di realizzazione del nuovo ospedale della Sibaritide;
          alla scadenza dei suddetti termini, sono pervenute alla stazione appaltante n.  13 candidature e, a seguito delle operazioni di valutazione di ammissibilità alle successive fasi di gara, tutte le imprese ed i raggruppamenti temporanei di imprese, che hanno presentato domanda di partecipazione alla procedura di gara, hanno dimostrato il possesso dei requisiti richiesti dal bando e sono state, pertanto, invitate a proporre offerta mediante lettera di invito;
          il termine per la presentazione delle offerte è scaduto il 14 dicembre 2011 ed è stato successivamente prorogato al 20 gennaio 2012, principalmente per dare modo ai concorrenti di ponderare gli effetti dell'aumento dell'IVA dal 20 per cento al 21 per cento nonché per consentire agli stessi di approfondire alcune problematiche emerse nella fase della disamina dei quesiti proposti dai concorrenti;
          alla scadenza del suddetto termine sono pervenute alla stazione appaltante n.  4 offerte e pertanto, ai fini della valutazione delle stesse nonché della selezione del concessionario, il commissario delegato dovrà nominare un'apposita commissione giudicatrice;
          in data 31 dicembre 2011 è scaduto il termine stabilito dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 26 novembre 2010 recante la proroga dello stato di emergenza socio-economico-sanitario della regione Calabria;
          con nota n.  498 del 12 settembre 2012, il commissario delegato aveva richiesto al dipartimento della protezione civile che lo stato di emergenza fosse prorogato almeno sino alla data del 31 dicembre 2012 allo scopo di consentire il completamento di importanti misure dirette al superamento dello stato emergenziale, già contemplate nell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n.  3635 del 2007 e ribadite nel piano di rientro dai disavanzi, quali, tra l'altro, la messa in appalto del nuovo ospedale della Sibaritide ai sensi dell'articolo 144 del decreto legislativo n.  163 del 2006;
          ad oggi nessuna notizia è giunta in merito ad una possibile proroga dello stato di emergenza sanitaria in Calabria  –:
          quali iniziative il Governo intenda porre in essere in merito al problema dello stato di emergenza sanitaria in Calabria nonché relativamente alla questione di porre in essere una nova fase di commissariamento, al fine di consentire il rispetto del crono programma legato alla costruzione degli ospedali calabresi e al rientro dal debito sanitario. (4-15982)


      DI STANISLAO. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 3 maggio 2012 un'agenzia dell'AgenParl, dal titolo «L'Aquila: Conapo, mezzi donati dalla Fiat sono scomparsi», ha evidenziato ancora una gestione inefficiente della ricostruzione post sisma in Abruzzo;
          il lancio d'agenzia riporta la denuncia del Conapo, il sindacato autonomo dei Vigili del fuoco, circa la scomparsa dei mezzi donati dalla Case Construction Equipment, società del gruppo Fiat, per le operazioni post sisma nelle zone terremotate e di fatto mai arrivati a L'Aquila;
          sempre nella nota parlamentare citata, si legge che il Sottosegretario al Ministero dell'interno ha affermato che la donazione non aveva vincolo di destinazione;
          il Conapo ha dichiarato anche che il dipartimento dei vigili del fuoco prosegue con l'opera di rinnovamento del proprio parco macchine nazionale, relegando il comando dell'Aquila a deposito di mezzi da dismettere, provenienti da ogni parte d'Italia, nonostante i cospicui fondi messi a disposizione del soggetto attuatore destinati all'acquisto di macchine operatrici e non ancora spesi;
          secondo le fonti dell'AgenParl, i mezzi in questione, dal valore di circa 900mila euro, sarebbero fermi alla protezione civile che non sblocca la consegna dei mezzi ai vigili del fuoco;
          si tratta di un escavatore cingolato CX210B, un escavatore gommato WX145, un miniescavatore CX17B, una ala gommata 921E, una minipala compatta (skid) 435 e un sollevatore telescopico TX130-33. Di questi sei, tre sono stati assegnati ai comandi provinciali dei vigili del fuoco di Roma, Piacenza e Genova, gli altri sono rimasti parcheggiati presso la protezione civile; il Conapo ha tenuto a precisare comunque che non è impegnata a L'Aquila;
          è evidente, pertanto, che il dipartimento dei vigili del fuoco, il quale continua a spendere risorse per le macchine, quando ci sono 900 mila euro di mezzi fermi, debba fare chiarezza e dare spiegazioni tanto quanto il Dipartimento della protezione Civile;
          in tre anni, a L'Aquila sono stati spesi circa 250 milioni di euro di puntellamenti e ancora 33.000 persone sono fuori dalle case che abitavano prima del tragico evento, una situazione di per sé drammatica e oltremodo problematica che non ha bisogno di ulteriori affossamenti  –:
          se il Governo non ritenga di verificare i fatti citati in premessa e se non ritenga di dover intervenire affinché la donazione della società del gruppo Fiat giunga finalmente a destinazione, a sostegno di un territorio ancora fortemente in difficoltà e che necessita di questi mezzi. (4-15987)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


      PORTA, GIANNI FARINA, BUCCHINO, GARAVINI e FEDI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          l'intervento per la promozione della lingua e della cultura italiana nel mondo, nell'ambito delle cosiddette politiche migratorie, è stato quello che ha subito le più pesanti conseguenze della politica dei tagli delle risorse, passando da una dotazione di 34 milioni di euro del 2007 all'attuale 6,4 milioni e scontando, altresì, la riduzione dei fondi destinati agli istituti di cultura e del contingente degli insegnanti inviati all'estero;
          un ridimensionamento dell'offerta linguistica e culturale del nostro Paese nel mondo di dimensioni tanto importanti non solo contrasta con una domanda crescente e sempre più diversificata, anche dal punto di vista generazionale, ma priva il Paese di una leva strategica per la sua internazionalizzazione, per il crescente peso che i fattori culturali rivestono nella competizione globale;
          la pur apprezzabile conversione da una linea di meccanica proiezione dei tagli lineari sui contributi agli enti gestori dei corsi ad una linea di selezione degli interventi, sulla base del prioritario criterio della salvaguardia dei corsi integrati nei sistemi scolastici locali, non ha impedito comunque l'annullamento di molti corsi integrati e ha avuto ripercussioni diversificate sull'offerta formativa a seconda delle concrete situazioni esistenti nelle diverse aree del mondo;
          in Svizzera, ad esempio, dove è alto il livello di integrazione dei corsi nel sistema scolastico locale, gli enti gestori, a meno di un intervento integrativo immediato, prevedono la chiusura di 390 corsi attualmente frequentati da 4.400 alunni, mentre in America Latina e in Australia, l'eliminazione del finanziamento dei corsi per adulti sta determinando la scomparsa di una parte consistente delle attività formative;
          la situazione più critica rischia di configurarsi in America meridionale, già penalizzata dall'invio di soli 10 insegnanti del contingente su un totale di 290, per la caduta verticale dei corsi per adulti, molti dei quali organizzati dalla rete associativa operante in loco, e per la pratica cancellazione della formazione degli insegnanti;
          la preoccupante prospettiva che si sta determinando per l'intero continente latinoamericano è confermata da alcune situazioni, che qui si richiamano a titolo esemplificativo: nello Stato di San Paolo la FECISBEF organizzava nel 2010 corsi per oltre 25.000 alunni, di cui 5.000 nelle zone dell'interno, mentre ora, per una riduzione del 76 per cento del finanziamento, è costretta ad abolire tutti i corsi per adulti e a ridurre l'offerta a 13.000 utenti; a Buenos Aires, la Federazione per lo studio e la diffusione della lingua e cultura italiana (FELCI), alla quale aderiscono 26 associazioni italiane attive nel campo culturale, nel 2011 ha organizzato 581 corsi per 8.415 alunni, di cui 4.318 compresi nella fascia dell'obbligo, scesi quest'anno a 3.100, mentre arretra in modo preoccupante anche il numero degli adulti, superiore l'anno scorso alle 4.100 unità; nel Rio Grande do Sul, altro luogo di storico insediamento dell'emigrazione italiana, il contenzioso amministrativo con l'ACIRS, che da vent'anni organizza corsi, e la sospensione dei contributi stanno determinando la dispersione dei 14.000 alunni presenti in oltre 70 comuni  –:
          se non ritenga indispensabile rappresentare, in tempi necessariamente molto brevi, l'esigenza di una reintegrazione dei fondi destinati alla promozione della lingua e della cultura italiana nel mondo almeno per mantenere i livelli di offerta realizzati nell'ultimo anno, che aveva già conosciuto, peraltro, una riduzione dell'intervento;
          se non ritenga di favorire la ridefinizione dei criteri di distribuzione delle risorse per temperare la rigidità di alcune priorità che non rispondono in modo adeguato alla diversità delle situazioni culturali, sociali e organizzative esistenti in diverse parti del mondo e, in particolare, per allargare i margini di intervento a sostegno dei corsi per gli adulti, almeno in quelle aree dove essi rappresentano un elemento strutturale dell'intero impianto formativo. (4-15973)

DIFESA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      SIRAGUSA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          in data 12 luglio 2011 è scomparso da Palermo un ragazzo di vent'anni di nome Marcello Volpe;
          il ragazzo è uscito alle 8,00 circa del mattino da casa sua, a Palermo, dicendo al fratello che sarebbe rientrato dopo un paio d'ore. Da allora, se ne sono perse le tracce;
          le indagini in atto sulla scomparsa del ragazzo sono condotte dalla procura della Repubblica di Palermo e delegate alla polizia di Stato, squadra mobile di Palermo;
          il telefono cellulare in uso al ragazzo, posto sotto controllo su disposizione degli inquirenti, è risultato irraggiungibile fino a domenica 17 luglio, quando è stato acceso per breve tempo. La cella telefonica è stata localizzata presso un porticciolo turistico nel quartiere Arenella di Palermo, che dista circa un chilometro dall'abitazione della famiglia Volpe. A seguito di ciò sono state effettuate ulteriori verifiche con il supporto di un cane molecolare, che ha seguito le tracce del ragazzo da casa sua al suddetto porticciolo turistico. Sono risultate vane le ricerche condotte dai sommozzatori nello specchio d'acqua antistante il porticciolo, nell'ipotesi che il ragazzo fosse caduto in mare;
          a poche centinaia di metri dall'abitazione della famiglia Volpe si trova un presidio delle Forze armiate, più precisamente il 6o reggimento lancieri d'Aosta (caserma Cascino), ed è possibile che tale presidio e la zona circostante siano posti sotto controllo dalle postazioni satellitari in uso alle Forze armate  –:
          se il Ministro non intenda, al fine di agevolare le indagini, chiarire se in data 12 luglio 2011 sulla zona indicata in premessa fossero puntati satelliti militari che possano aver registrato immagini utili all'individuazione del ragazzo;
          se il Ministro non ritenga di fornire eventuali registrazioni di immagini agli inquirenti. (5-06810)


      SCHIRRU, RUGGHIA, MELIS, CALVISI, CICU, FADDA, GATTI, GNECCHI, MATTESINI, MARROCU, RAMPI e DAMIANO. — Al Ministro della difesa, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          da gennaio 2011 gli appalti di pulizia delle basi militari di Decimomannu; Capo Frasca, Capo San Lorenzo e Perdasdefogu sono affidati con gare d'appalto della durata di uno o due mesi con costi ribassati anche del quaranta per cento, con una conseguente decurtazione del salario per i lavoratori (più o meno 750 euro al mese) in proporzione a una riduzione delle ore di lavoro;
          con l'interrogazione a risposta scritta n.  4-09986 del 14 febbraio 2010 a firma dall'interrogante, si era già chiesto ai Ministri del lavoro e della difesa quali iniziative intendessero porre in essere per dare stabilità e superare l'incertezza e precarietà in cui vivono da ormai troppi anni le duecento famiglie interessate;
          con la risposta del Ministro della difesa pro tempore, arrivata il 28 aprile 2011, si sottolineava – in sintesi – come il superamento delle condizioni ostative alla ripetizione dei contratti citati, fosse legato ai numerosi contenziosi in corso, instauratisi con ditte escluse all'epoca dall'aggiudicazione degli appalti;
          ad oggi i lavoratori delle pulizie del Comando R.S.S.T.A. Decimomannu sezione poligono Capo Frasca, sezione deposito armamenti di Serranti, distaccamento, aeroportuale di Elmas e Alghero, dopo numerose gare d'appalto mensili sempre più al ribasso, si trovano nelle medesime condizioni, ostaggio di diverse imprese che costringono l'amministrazione a non affidare ad altri l'appalto, nonostante lo svolgimento dell'ennesima gara, poiché si generano contenziosi tra l'amministrazione committente e le imprese appaltatrici e i lavoratori;
          lo svolgimento di gare a distanze ravvicinate, quasi mensili, ha tuttora effetti dirompenti sui lavoratori, trattamenti al ribasso sulle condizioni economiche su quelle normative e sul sistema delle protezioni sociali;
          i tagli molto significativi fatti dal Ministero della difesa vengono giustificati come unica ricetta possibile per sopperire alle gravi difficoltà finanziarie che colpiscono il settore delle difesa ma di fatto secondo la FILCAMS CGIL, UILTRASPORTI e la FISASCAT/CISL, non sono una soluzione possibile atta a risolvere i problemi nel breve e lungo periodo: genera invece pesanti ricadute sul sistema degli appalti, con tagli ai contratti in essere e con tagli sulle nuove gare d'appalto, che verranno sempre di più indette con il sistema del massimo ribasso;
          i lavoratori continuano a pagare il prezzo più alto e si vedranno decurtato il loro già povero salario, e in molti casi perderanno del tutto il loro umile ma dignitoso lavoro;
          a quanto esposto, si aggiunge l'annoso problema dei gravi ritardi nel pagamento delle retribuzioni ai lavoratori: gli occupati della base interforze di Perdasdefogu e Capo San Lorenzo da tre mesi a questa parte non percepiscono la loro retribuzione;
          costringendo così i lavoratori ad estreme prese di posizione come i sit-in e i presidi anche notturni davanti ai cancelli delle basi, come nel caso recente della giovane donna accampata presso la base di Villaputzu;
          tale situazione, come evidenziato anche dai sindacati, è generata sia dai lunghi ritardi della committenza nel saldare le fatture alle aziende appaltatrici, sia dalle stesse aziende che strumentalmente ritardano il pagamento delle retribuzioni, poiché non vi sono regole cogenti che impongono alle aziende di rispettare il termine di pagamento delle retribuzioni previsto dalle norme contrattuali;
          come aggravante, per il caso specifico dei lavoratori della base militare di Capo San Lorenzo – che attendono il pagamento degli stipendi dal mese di febbraio 2012 –, l'azienda di Campobasso vincitrice dell'appalto è di fatto irreperibile e non risponde alle legittime richieste dei dipendenti e dei rappresentanti sindacali;
          i lavoratori e lavoratrici della base di Decimomannu e Capo Frasca sono chiamati a firmare un nuovo contratto con una nuova ditta per la durata di 15 giorni che vede la riduzione delle ore di lavoro mentre sono ancora in attesa di recuperare gli arretrati delle retribuzioni dalle precedenti ditte appaltatrici che in questi mesi si sono succedute;
          di fatto i lavoratori – nella maggior parte dei casi monoreddito, e soprattutto donne, alcune delle quali sole e con figli a carico – si trovano costretti a indebitarsi per far fronte alla sopravvivenza propria e della loro famiglia, aggiungendo alla precarietà dei contratti e all'esiguità degli stipendi, l'incertezza di un futuro dignitoso e il rischio concreto della vera povertà;
          tutto ciò sollecita e necessita da parte dell'attuale committenza, che conosce da anni la grave situazione in cui versano i lavoratori e non interviene, né sotto forma di sensibilizzazione, né formalmente, richiamando le aziende appaltatrici al rispetto tassativo dei dettati contrattuali, misure urgenti di rescissione dei contratti e iniziative sostitutive all'impresa inadempiente nel pagamento delle retribuzioni;
          contemporaneamente l'ente ha anche l'obbligo di adeguare i capitolati speciali d'appalto che fissa nuovi e congrui prezzi a base d'asta, regole ed obblighi delle parti contraenti, maggiore attenzione nella compilazione elenco e scelta delle ditte da invitare all'appalto  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza della grave problematica di cui in premessa e non ritengano di predisporre urgentemente il pagamento diretto degli stipendi arretrati ai lavoratori;
          se il Governo non intenda avviare urgenti iniziative per richiamare immediatamente ai propri obblighi le aziende appaltatrici, attivandosi in particolar modo per dare fine al meccanismo fallimentare degli appalti bimestrali, che getta i lavoratori nella precarietà e non offre garanzie di continuità ed efficienza dei servizi all'amministrazione della difesa;
          se il Governo non intenda avviare in merito le necessarie verifiche e attività di controllo dando indirizzi precisi comunicazioni e specificazioni ai relativi comandi militari, per l'indizione di regolari gare d'appalto per l'affidamento dei servizi di durata triennali con le modalità della miglior offerta economicamente più vantaggiosa, valutabile su elementi diversi, dall'ubicazione in loco della sede legale-amministrativa, al merito tecnico/organizzativo/funzionale e di qualità esplicitando e sottolineando l'esclusione delle offerte anomale di ribasso rispetto alla prestazione e remunerazione del personale, nel rispetto dei contratti nazionali, delle norme per la sicurezza sul lavoro, e contributive previdenziali. (5-06820)

Interrogazione a risposta scritta:


      DI BIAGIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          in attuazione di quanto disposto dal codice dell'ordinamento militare, la sezione II del decreto del Presidente della Repubblica n.  90 del 15 marzo 2010 riconosce le procedure per l'alienazione degli alloggi di servizio non più funzionali ai fini istituzionali delle Forze armate;
          ai sensi dell'articolo 404 del citato decreto del Presidente della Repubblica la direzione generale dei lavori e del demanio del Ministero della difesa ha provveduto a comunicare con lettera raccomandata con avviso di ricevimento ai conduttori degli alloggi di servizio facenti parte dei circa 3.022 individuati dall'amministrazione, un'offerta di acquisto, e il modello di risposta con il quale i conduttori dovranno esercitare i loro diritti per l'acquisto, dell'usufrutto o della volontà di continuare nella conduzione in locazione dell'alloggio;
          ai sensi del comma 5 del predetto articolo 404 «entro sessanta giorni dalla data di ricezione della comunicazione dell'offerta (...) i conduttori, a pena di decadenza dal diritto ad acquistare l'alloggio, trasmettono, a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, alla Direzione generale l'atto di esercizio del diritto»;
          l'offerta di acquisto di cui al comma 2 non indica i parametri di riferimento in base ai quali è stato determinato il prezzo tracciato nell'offerta, ma rimandano la determinazione dello stesso a un’«intesa con l'Agenzia del demanio», senza nulla specificare;
          in taluni casi il prezzo indicato risulta notevolmente sproporzionato rispetto alla condizione e alle potenzialità dell'immobile stesso: in ragione di tali condizioni circa 200 conduttori hanno fatto ricorso alla magistratura amministrativa al fine di ottenere una rivalutazione del prezzo d'offerta dell'immobile che risponda a precisi e chiari canoni di riferimento;
          stando alle informazioni a disposizione dell'interrogante, la pronuncia del Tar dovrebbe avvenire nel mese di maggio: tale timing amministrativo rischia di non essere in linea con i tempi di riscontro all'offerta dell'amministrazione da parte del conduttore, sanciti dal predetto comma 5 dell'articolo 404, con la conseguenza di una potenziale scadenza dei 60 giorni di tempo per l'esercizio del diritto di acquisto prima che il Tar arrivi a pronunciarsi sulla medesima materia;
          lo scenario testé delineato configura un paradosso, che rischia di inficiare la pronuncia stessa del tribunale amministrativo, in assenza di una necessaria dilazione dei termini previsti dal comma 5, dell'articolo 404 del decreto del Presidente della Repubblica n.  90 del 2010;
          a tale criticità legata ai tempi, si aggiunge anche la circostanza – sempre indicata dall'articolo 404 del citato decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n.  90 – che si prevede, in caso di diritto di acquisto dell'usufrutto da parte del coniuge o di altro membro del nucleo familiare, solamente l'esercizio del diritto di acquisto dell'usufrutto con diritto di accrescimento. Di conseguenza, nel caso in cui il conduttore eserciti l'opzione di acquisto dell'usufrutto, nell'eventualità di un decesso, non si potrebbe consentire la continuità nell'esercizio dello stesso diritto e alle stesse condizioni a favore del coniuge superstite;
          la suindicata configurazione normativa in materia di usufrutto rende difficile la scelta del conduttore e quindi il riscontro all'offerta dell'amministrazione;
          le suindicate criticità stanno creando un’impasse che sarebbe auspicabile superare nel brevissimo periodo, considerando che la pronuncia del Tar dovrebbe avvenire in questi giorni e che non si è pervenuti ad alcuna formula di rettifica in sede parlamentare;
          appare opportuno evidenziare ulteriormente la gravosa difficoltà che si trovano a vivere gli utenti di cui in premessa, per i quali è quasi impossibile accedere ad un mutuo bancario in virtù dei requisiti anagrafici sicuramente non favorevoli, che vanno a condizionare la possibilità da parte di questi di optare per determinate scelte in tempi relativamente brevi ai sensi della normativa suindicata  –:
          se esistano le condizioni per un intervento avente carattere di urgenza che consenta di superare i problemi suindicati e consentire a centinaia di famiglie di lavoratori dello Stato di poter esercitare un loro legittimo diritto. (4-15986)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      ALESSANDRI, POLLEDRI e BITONCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          sul portale dell'IFEL, Istituto per la finanza e l'economia locale, sono stati pubblicati i dati provvisori sull'ammontare del fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) da parte del Ministero dell'interno, aggiornato dopo gli ultimi tagli decisi dal Governo contenuti all'interno del decreto-legge n.  201, e le stime del gettito IMU, predisposte da parte del Ministero dell'economia e delle finanze (MEF), per ciascun comune;
          l'amministrazione comunale di Rottofreno, comune in provincia di Piacenza di circa 12.000 abitanti, ha evidenziato come le risorse del fondo sperimentale di riequilibrio destinate al proprio comune risulterebbero essere stato ridotte di un importo pari a 843 mila euro, ovvero il 44,2 per cento rispetto all'anno precedente, e tale diminuzione sarebbe dovuta principalmente alla variazione compensativa dell'IMU e derivante dal gettito atteso dal Ministero dell'economia e delle finanze dall'applicazione dell'imposta municipale propria nel comune di Rottofreno (506 mila euro rispetto al 2011), al taglio disposto dal decreto-legge n.  201 (276 mila euro in meno rispetto al 2011) e al taglio di trasferimenti disposto dal decreto-legge n.  78 del 2010 (161 mila euro in meno rispetto al 2011);
          le proiezioni attestano altresì come lo scostamento tra il gettito atteso dallo Stato per conto del Ministero e quello stimato dall'ente sull'entrata relativa all'IMU con aliquota ordinaria è pari ad oltre 500 mila euro, con il rischio che di fronte a un taglio così incisivo al fondo sperimentale di riequilibrio da parte dello Stato l'ente non sia in grado di recuperare il gettito IMU previsto dal Ministero, lasciando il comune con problemi di liquidità in attesa di un eventuale provvedimento compensativo da parte del Governo;
          l'elevato scostamento tra il gettito atteso IMU definito dal Ministero dell'economia e delle finanze e quello definito dal comune di Rottofreno, che anche altre amministrazioni comunali hanno già evidenziato, appare agli interroganti ingiustificato e incomprensibile, in quanto le previsioni di entrata imputabili all'IMU e stimate dalle amministrazioni comunali sono molto affidabili e concrete, tanto che sarebbe necessario conoscere con quali criteri e parametri il Ministero abbia elaborato i dati IMU su cui il comune di Rottofreno, come del resto le altre amministrazioni comunali, dovrebbe basare le proprie entrate a valere sul fondo sperimentale di riequilibrio  –:
          se non ritenga opportuno pubblicare sul proprio sito internet, oltre che i dati, anche le formule utilizzate per ottenere le stime di entrata relativa all'IMU per i comuni, e più in particolare i dati relativi al comune di Rottofreno, sia per quanto riguarda l'IMU sulla prima abitazione che l'IMU sugli altri immobili;
          se non ritenga opportuno chiarire come sia stata calcolata la stima di riduzione dei costi della politica per il comune di Rottofreno, dal momento che l'ente ha già provveduto a rivedere, successivamente alle ultime elezioni amministrative e sulla base delle ultime disposizioni, il numero degli amministratori, con la giunta ridotta al solo sindaco e a quattro assessori, e che le indennità degli amministratori sono già state decurtate negli anni precedenti.
(5-06817)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


      BOBBA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il Paese si trova ad affrontare una delle maggiori crisi finanziarie sinora verificatesi, per superare la quale il Governo attualmente in carica sta adottando delle misure drastiche anche sul fronte dei tagli alla spesa pubblica;
          in materia di adozioni internazionali la legislazione italiana, andando in controtendenza rispetto agli altri Paesi europei, prevede che l'idoneità degli aspiranti genitori adottivi sia dichiarata dai tribunali per i minorenni con decreto anziché dai servizi socio-assistenziali degli enti locali;
          i tribunali per i minorenni compiono, inoltre, un controllo sulle sentenze di adozione pronunciate all'estero su minori adottati da persone residenti in Italia; tale controllo ha ad oggetto la verifica del rispetto dell'articolo 4 della convenzione de L'Aja del 1993 e delle procedure in vigore, che invero risulta già da una apposita dichiarazione previamente rilasciata dalla commissione per le adozioni internazionali a norma della stessa legge n.  184 del 1983 e successive modificazioni;
          il controllo dei tribunali per i minorenni sulle sentenze straniere di adozione è in controtendenza sia rispetto a quanto avviene in altri Paesi europei sia rispetto a quanto accade per le altre materie anche di volontaria giurisdizione in applicazione della legge n.  218 del 1995, che stabilisce – appunto – la regola del riconoscimento automatico delle sentenze straniere;
          l'adozione internazionale ha, come noto, costi elevatissimi a carico degli adottanti in favore dei quali lo Stato riconosce soltanto la possibilità di dedurre dall'imponibile in sede di dichiarazione annuale dei redditi il cinquanta per cento delle spese sostenute per le procedure adottive;
          le adozioni internazionali stanno vivendo un momento di forte crisi che – come dimostrato dai dati diffusi dalla Commissione per le adozioni internazionali sulle idoneità rilasciate dai tribunali per i minorenni – rischia di condurre ad una drastica contrazione delle adozioni di minori stranieri;
          i minori stranieri adottati da genitori italiani acquistano la cittadinanza; il superamento della crisi delle adozioni risponde alla necessità di investimento nelle future generazioni, anche in risposta alla crisi economica e alla nota contrazione demografica registrata da anni nel nostro Paese;
          a parere dell'interrogante sarebbe opportuno effettuare una spending review anche nel settore delle adozioni internazionali al fine di evitare gli sprechi ed utilizzare le risorse disponibili in favore della risoluzione delle criticità indicate  –:
          quale sia l'attuale spesa annuale del Ministero della giustizia corrispondente al lavoro dei tribunali per i minorenni svolto nell'ambito delle adozioni internazionali e, in particolare, per le attività di ricezione delle disponibilità all'adozione internazionale, di dichiarazione della relativa idoneità e di verifica delle sentenze di adozione pronunciate all'estero. (5-06809)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      MARIO PEPE (PD). — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          l'area territoriale tra le province di Avellino e quella di Foggia per quanto riguarda la viabilità è fortemente compromessa nella sua sede, nella sua configurazione, nella sua percorribilità, a causa di forti e reiterati smottamenti che ne hanno indebolito l'armatura;
          la strada statale n.  90 delle Puglie tra lo scalo di Savignano e il bivio di Bovino, soprattutto al chilometro 43 nel territorio del comune di Montaguto (Avellino), è fortemente compromessa nella sua percorribilità da un movimento franoso che non si è riusciti a regolamentare anche con la creazione di una bretella alternativa, compromettendo il traffico veicolare tra le due province Avellino e Foggia e tra i due territori più significativi l'Arianese e il Subappennino Dauno e ostacolando le attività produttive e i dinamismi di scambio commerciale fortemente avvertiti e consolidati nell'area di cui sopra  –:
          quali iniziative intenda assumere il Ministro per predisporre un intervento organico e adeguato al ripristino di una viabilità sicura ed utile alla veicolazione soprattutto nell'area afferente alla strada statale n.  90 «Rotabile delle Puglie» tra lo scalo di Savignano e il bivio di Bovino. (5-06806)


      META. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il trasporto aereo nazionale entra, in termini significativi, nel sistema della mobilità del Paese e costituisce condizione necessaria per l'integrazione dell'Italia con l'Europa e il mondo. Lo scenario di riferimento per la domanda prevede una consistente crescita di traffico aereo che per il traffico nazionale viene stimato in un incremento di 4-12 milioni di viaggi anno;
          in tale contesto, il sistema aeroportuale romano è l'asse portante di tutto il settore del trasporto aereo nazionale; infatti si ritiene che il patrimonio esistente nella regione Lazio, se recuperato e ben gestito, oltre ad ottimizzare l'integrazione con i maggiori hub europei e internazionali e i maggiori scali nazionali e dell'area mediterranea, possa migliorare l'economia regionale e del Paese attraverso l'attività di aree produttive che aumentino il livello occupazionale. In particolare, lo scalo Leonardo da Vinci, gestisce un traffico, anno 2011, pari a circa 38 milioni di passeggeri e circa 143 mila tonnellate di trasporto merci, mentre l'aeroporto di Ciampino ha gestito nel 2011 poco meno di 5 milioni di passeggeri con circa 20mila tonnellate di merce trasportata;
          nei rispettivi sedimi aeroportuali lavorano circa 36 mila lavoratori ed operano decine di aziende dirette e dell'indotto. Tuttavia, la crisi economica ha accentuato una crisi di sistema che da troppo tempo non è stata gestita né su piano nazionale né su quello territoriale e, nonostante la crescita del traffico, si assiste giornalmente ad una crisi del lavoro che tocca migliaia di lavoratori nel sistema dell'aeroporto romano;
          tra queste situazioni di crisi, si segnala per urgenza e ampiezza delle dimensioni la vicenda relativa all'azienda di handling Flightcare Italia. Infatti, la società svizzera, leader mondiale nel settore handling Swissport, ha acquistato per 140 milioni di euro tutto il ramo d'azienda di Flightcare Gs, condizionando l'operazione all'esclusione dalla vendita di Flightcare Italia e, il 28 marzo, il consiglio di amministrazione Flightcare ha votato la cessione;
          Swissport è il più grande operatore handler al mondo, presente in 179 aeroporti di 36 Paesi, con 650 compagnie aeree assistite, 108 milioni di passeggeri, 3,2 milioni di tonnellate di merci, 35.000 dipendenti e 1,5 miliardi di euro di fatturato. Mentre, Flightcare GS è un operatore handler spagnolo e importante realtà in Europa con 14 aeroporti, 250 compagnie aeree assistite, 34 milioni di passeggeri, 260 mila tonnellate di merci, 4.700 di dipendenti. Flightcare Italia è presente in 2 aeroporti, Fiumicino e Ciampino, assiste 27 compagnie aeree, ha 890 dipendenti e 40 milioni di fatturato;
          come evidenziano tali cifre, il rapporto tra Flightcare Italia e Swissport è di 1 a 40 in termini di fatturato 2011, di 1 a 230 in termini di perdite e ancora di 1 a 40 in termini di numero di dipendenti;
          la decisione di scorporare Flightcare Italia è originata da altre motivazioni quali: un contesto di regole poco certe ed esigibili; una concorrenza senza paragone nei principali aeroporti europei – a Fiumicino operano 7 handler, contro i 3 o 4 dei principali hub europei; un'autorità priva degli strumenti necessari a regolare e sanzionare; carenze infrastrutturali degli aeroporti romani;
          alla luce di tali determinazioni, Flightcare Italia, ha convocato una assemblea straordinaria che dovrà decidere, entro il 27 aprile, la possibile continuità aziendale; vincola la ricapitalizzazione di 8 milioni di euro, comunque fino a non oltre il mese di ottobre 2012, alla riduzione dell'attività e dell'occupazione; dichiara 450 esuberi, pari al 50 per cento dei dipendenti;
          Swissport investe in tutto il mondo, in tutti i continenti anche nei Paesi meno ricchi del continente Africano e del sud est asiatico, ma decide di non investire in Italia e negli aeroporti della sua Capitale  –:
          se il Governo sia a conoscenza del quadro sopra delineato e quale siano gli orientamenti politico-programmatici al riguardo;
          quali percorsi, atti e metodologie si intendano assumere per arginare la crisi del lavoro negli aeroporti romani e, in particolare, come si intendano assicurare gli investitori italiani e stranieri circa le prospettive dei loro investimenti nel sistema aeroportuale italiano, al tempo stesso rafforzando le condizioni per l'occupazione dei tanti cittadini che lavorano giornalmente nell’hub d'Italia;
          in che modo si intenda operare per trovare una soluzione per i lavoratori di Flightcare e rassicurare Swissport circa gli investimenti nel territorio romano;
          in che modo si intenda affrontare, per quanto di competenza, il delicato tema dello sviluppo infrastrutturale dell'aeroporto Leonardo da Vinci di Roma e di tutto il sistema aeroportuale regionale Laziale. (5-06818)

Interrogazioni a risposta scritta:


      ROSATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
          nella precedente interrogazione 4-15569 l'interrogante chiedeva al Governo quali fossero le ragioni che avevano condotto l'Esecutivo a prorogare la gestione commissariale del senatore Giuseppe Leoni all'Aero Club d'Italia;
          l'Aero Club d'Italia è un ente di diritto pubblico sottoposto a vigilanza di diversi Ministeri, finanziato soprattutto attraverso trasferimenti statali e federato al CONI;
          successivamente all'inadempimento di quanto disposto dal decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n.  188, che imponeva l'aggiornamento dell'organizzazione dell'Aero Club d'Italia, l'adozione di un nuovo statuto e la nomina di nuovi organi collegiali, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 17 dicembre 2010 sono stati sciolti gli organi collegiali dell'ente ed è stato nominato un commissario;
          la nomina del senatore Giuseppe Leoni – che si precisa essere stato presidente dell'ente fino al momento del commissariamento e quindi tra gli amministratori che non avevano aggiornato l'organizzazione dello stesso – è stata prorogata ripetutamente, in quanto l'ente non si è ancora conformato alla nuova normativa nonostante il commissariamento abbia quest'unico scopo;
          a fine aprile il Governo ha deciso di prorogare per ulteriori tre mesi la gestione commissariale del senatore Giuseppe Leoni;
          la gestione commissariale è chiamata sì a conformare lo statuto e gli organi collegiali alla nuova disciplina, ma non è autorizzata ad apportare ulteriori innovazioni non richiese dal decreto, e a confermare tale mandato si è espresso anche il Consiglio di Stato che il 22 marzo 2012 ha bocciato la proposta di modifiche statutarie avanzata dal commissario, ravvisando profili di abnormità sia nell’iter formale di approvazione sia sotto il profilo sostanziale;
          sono passati quasi 17 mesi dal commissariamento nonostante fosse inizialmente previsto per una durata di sei mesi, e nonostante che, a norma dell'articolo 7 della legge 29 maggio 1954, n.  340, non si sarebbe potuto estendere oltre l'anno;
          la scelta del senatore Giuseppe Leoni quale commissario risulta all'interrogante non sia la più corretta alla luce anche delle molte segnalazioni apparse su televisioni e riviste specializzate, sullo stato di sofferenza degli associati verso questa situazione e verso una non sempre trasparente gestione dell'ente da parte del commissario;
          l'interrogante, peraltro, non ravvisa ragioni per le quali la gestione commissariale dovesse essere affidata al presidente dell'ente, amministratore inadempiente alla nuova normativa, inadempienza causa del commissariamento  –:
          quali ragioni abbiano condotto il Governo a prorogare la gestione commissariale del senatore Giuseppe Leoni, e per quali motivi non si è decisa la nomina di un'altra persona estranea alla precedente amministrazione dell'ente;
          se il Governo intenda terminare la costosa e lunga amministrazione commissariale e quali tempistiche preveda.
(4-15971)


      VITALI, BRUNO, DE CORATO, SBAI, SAVINO, DI CAGNO ABBRESCIA e SISTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          sul sito internet di Trenitalia, si apprende che il treno Eurostar Frecciargento con partenza dalla stazione di Roma Termini con destinazione Lecce, non prevede la sosta intermedia nella città di Ostuni, nonostante quanto riportato dal medesimo sito il 9 dicembre 2010, secondo cui: «Ferrovie dello Stato smentisce la notizia, riportata da alcuni organi di stampa, relativa alla soppressione della fermata di Ostuni del treno Eurostar n.  9351, in partenza da Roma Termini»;
          per raggiungere la città di Ostuni, secondo quanto risulta dalla pagina web di Trenitalia, in realtà per i viaggiatori ferroviari è prevista la soluzione con cambio alla stazione di Bari centrale e successivamente la prosecuzione con i treni regionali con prevedibile allungamento dei tempi, oltre che disagi per i fruitori del servizio, nell'arrivare alla destinazione nella cosiddetta Città Bianca;
          le decisioni introdotte a partire dal dicembre dello scorso anno, da parte della la principale società italiana per la gestione del trasporto ferroviario di passeggeri e merci, della soppressione di numerosi treni a lunga percorrenza, principalmente per le tratte ferroviarie verso il Mezzogiorno, rappresenta un'ingiustificabile decisione in considerazione degli evidenti disagi che riguarderanno numerose migliaia di viaggiatori e più specificatamente i cosiddetti «pendolari» che a cadenza settimanale, si muovono dal proprio luogo di residenza per motivi professionali o di studio e comunque regolarmente, verso il Centro-nord del Paese;
          la decisione di cancellare dalle fermate previste, i treni ad alta velocità Eurostar Frecciargento, nei riguardi di importanti città ad alta vocazione turistica come quella di Ostuni, a giudizio degli interroganti, costituisce inoltre un grave danno, oltre che in termini d'immagine nei riguardi di numerosi turisti in particolare stranieri, che in prossimità dell'imminente periodo estivo, riscontrano evidenti difficoltà nel raggiungere le destinazioni programmate, anche e soprattutto dal punto di vista economico in considerazione che molti di essi intenzionati a trascorrere un periodo di vacanza in Puglia, rilevando disagevole e lacunoso il sistema di collegamento ferroviario per giungere alla località turistica, decidono per soluzioni alternative determinando pertanto un danno rilevante per l'economia locale  –:
          quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
          se non ritenga urgente e necessario, in considerazione dell'imminente avvio della stagione estiva e dell'importanza che la città di Ostuni, riveste dal punto di vista turistico, non solo per l'area locale interessata, ma per l'intera regione Puglia assumere iniziative presso Trenitalia al fine di verificare, nel rispetto dell'autonomia dell'azienda, la possibilità di un ripristino della citata fermata. (4-15975)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


      PORTA, FRONER, GIANNI FARINA, BUCCHINO, GARAVINI, FEDI e NARDUCCI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il riassorbimento delle pratiche di richiesta di cittadinanza nei Paesi dell'America meridionale presenta un andamento fortemente differenziato a seconda dei Paesi in cui le istanze sono state presentate, nel senso che il carico delle pratiche giacenti in Argentina, Uruguay e Venezuela è stato quasi interamente riassorbito, mentre quello accumulatosi in Brasile sfiora ancora le duecentomila unità;
          non sono state risolutive, relativamente ai consolati presenti in Brasile, le misure finanziarie e organizzative adottate, il che dovrebbe portare a considerare la necessità di ragionevoli interventi straordinari, sia pure in un quadro di compatibilità con le difficoltà finanziarie che l'Amministrazione sta conoscendo da alcuni anni;
          nel più complesso problema del reale riconoscimento del diritto alla cittadinanza previsto dalle leggi in vigore, un campo di particolare sensibilità è quello riguardante i cospicui arretrati relativi alle richieste degli abitanti, e loro discendenti, delle terre appartenute all'ex Impero austro-ungarico, per le quali la legge n.  379 del 14 dicembre 2000, prorogata dopo 5 anni e scaduta il 20 dicembre dello scorso anno, prevede un'istruttoria da svolgere presso il Ministero degli interni, ad opera di una speciale commissione interministeriale;
          negli ultimi mesi dello scorso anno risultavano presentate dai beneficiari della legge 379 del 2000 circa 45.000 domande, di cui nemmeno la metà (19.054) erano state esaminate, con ritmi di smaltimento, dunque, che giustificano il timore di un andamento pluriennale delle attività istruttorie, nonostante gli accorgimenti procedurali già adottati;
          una diluizione tanto prolungata nel tempo, non solo delude i legittimi aspiranti alla cittadinanza italiana, ma spesso vanifica lo stesso diritto di questi potenziali cittadini, molti dei quali hanno un'età già matura, e comunque mette in discussione un fondamentale diritto di cittadinanza previsto dal nostro ordinamento  –:
          quale sia lo stato dei lavori di istruttoria e di definizione delle domande di cittadinanza presentate dagli abitanti dell'ex impero austro-ungarico e, in particolare, quale sia la parabola temporale che si può ipotizzare per l'integrale smaltimento delle pratiche;
          quali misure i Ministri interrogati intendano adottare per rafforzare le capacità operative della Commissione interministeriale e migliorarne la produttività, soprattutto con l'integrazione di unità amministrative in aggiunta a quelle già impegnate. (4-15972)


      MURER. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
          a marzo ed aprile dell'anno scorso una straordinaria ondata di migrazione è arrivata sulle coste italiane; erano i giorni dell'emergenza Nord Africa, della rivoluzione dei gelsomini in Tunisia; arrivarono in Italia, per lo più a Lampedusa, decine di migliaia di profughi tunisini e dell'Africa settentrionale;
          a molti di essi, il Governo concesse i cosiddetti «permessi di soggiorno temporanei», per motivi umanitari, della durata di dodici mesi;
          si calcola che furono distribuiti ben 11.500 permessi di soggiorno temporanei ad altrettanti profughi della Tunisia;
          in queste settimane, questi permessi sono in scadenza, e una marea di immigrati si ritrova con un permesso di soggiorno rilasciato per motivi umanitari, scaduto, e con una prospettiva incerta sul futuro;
          non è ancora chiaro, infatti, se il Governo intenda procedere nei confronti dei cittadini tunisini con «permesso di soggiorno temporaneo» scaduto, con procedure di rimpatrio o di rinnovo del titolo stesso;
          nell'attesa, i migranti con «permesso di soggiorno temporaneo» scaduto sono scivolati nella clandestinità, in quell'area grigia di marginalità dove si perdono tutti i diritti, non si può accedere nemmeno più ai centri di accoglienza, e si diventa «fantasmi»;
          molti tunisini che, per un anno, hanno goduto del «permesso di soggiorno temporaneo», con la scadenza della protezione umanitaria, finendo in clandestinità, sono tornati a dormire in strada, accampati in condizioni di degrado e povertà estrema;
          una situazione altrettanto critica riguarda i profughi della guerra di Libia, per i quali sembrava profilarsi la strada del rilascio dell'asilo politico, con l'accoglienza destinata a chi ne ha fatto richiesta e attende l'esito della domanda;
          sarebbero circa 28mila i profughi arrivati dalla Libia che, da richiedenti asilo, si «trovano in una situazione molto incerta; molti di loro sono originari dell'Africa subsahariana e non hanno diritto all'asilo; i dinieghi, fatti, non si sono fatti attendere; tra le domande finora esaminate circa il 40 per cento sono state rigettate; il che significa che almeno 10mila profughi hanno già in mano la risposta di asilo negato e rimpatrio, senza neppure il permesso temporaneo per motivi umanitari; per altri, invece, si rimane in attesa di una decisione;
          nei centri d'accoglienza sono ancora ospitati circa 22mila profughi della guerra di Libia;
          la rete dei comuni solidali ha recentemente denunciato i ritardi nei pagamenti da parte dello Stato in relazione all'accoglienza dei profughi; sono mesi, infatti, che lo Stato non paga i comuni che accolgono i profughi nord africani, i quali a questo punto rischierebbero di rimanere senza cibo e medicine  –:
          se siano a conoscenza di quanto sopra esposto, se e come e in che tempi il Governo intenda affrontare le questioni sopra menzionate ritardanti i profughi tunisini con permesso umanitario scaduto, i profughi della guerra di Libia in attesa di asilo o con la richiesta di asilo scaduto e il tema dei ritardati pagamenti per gli enti locali che stanno gestendo, a proprie spese, i centri di accoglienza per l'ondata migratoria del 2011. (4-15979)

TESTO AGGIORNATO AL 17 MAGGIO 2012

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      LENZI e ZAMPA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          Bologna, prima città in Italia e seconda nel mondo dopo Siviglia, dal 29 maggio 2006 fa ufficialmente parte, in qualità di «Città creativa della musica», del Network of Creative Cities, istituito nel 2004 entro la Global Alliance for Cultural Diversity, sotto l'egida dell'UNESCO secondo la cui valutazione Bologna meritava questo riconoscimento per «la ricca tradizione musicale in continua evoluzione come vivace fattore della vita e della creatività contemporanee e l'impegno a promuovere la musica come veicolo di comunicazione ed interazione sociale e culturale» (per esempio attraverso l'organizzazione di laboratori musicali in alcune scuole della città per favorire l'integrazione degli studenti stranieri o l'impegno della Orchestra do Mundo, esempio di collaborazione internazionale tra Bologna e le favelas brasiliane di San Paolo);
          Bologna è riconosciuta a livello internazionale come uno dei principali centri di riferimento per la musica, sia per il notevole patrimonio storico, sia per l'attuale massiccia presenza di artisti e tecnici operanti nel settore. Sono infatti presenti e attivi diverse case di produzione musicale e studi di registrazione che caratterizzano il tessuto sociale ed economico del territorio;
          Bologna ha visto nascere il primo corso di laurea in discipline delle arti, della musica e dello spettacolo (DAMS, 1970). Sono inoltre attivi 21 indirizzi musicali della scuola secondaria di primo grado oltre al conservatorio musicale «Giovan Battisti Martini»;
          a Bologna ha sede il teatro comunale, il maggior teatro cittadino e il secondo in regione, in ordine di importanza, dopo quello di Reggio Emilia. Il teatro comunale di Bologna si è sempre distinto per la sua attività di ricerca musicale. Il comunale collabora con diverse scuole di Bologna nella definizione di percorsi didattici della musica. Vi sono inoltre altri importanti teatri dedicati esclusivamente alla musica, quale ad esempio il teatro Manzoni;
          a Bologna hanno la loro sede anche l'Accademia filarmonica, il museo di Padre Martini e l'orchestra Mozart;
          la cultura musicale è diffusa in tutta la città: numerose le «cantine» e i locali dove si esibiscono cultori e professionisti della musica Jazz;
          tre anni fa è stata inoltrata la prima domanda di attivazione del liceo musicale e da allora non è ancora stato possibile attivare il corso liceale di musica;
          il liceo musicale è parte integrante dell'offerta formativa prevista dalla riforma della scuola voluta dal precedente Governo con il decreto-legge n.  112 del 2008, che prevede l'implementazione di ore di didattica della teoria e della storia della musica, di composizione, esecuzione e interpretazione musicale;
          l'ufficio scolastico regionale nella figura del dirigente dottor Versari ha recentemente ribadito, come riportato anche a mezzo stampa che per l'apertura del corso gli enti locali direttamente o attraverso sovvenzioni dovrebbero finanziare l'attività con centomila euro l'anno oltre che l'individuazione e la messa a disposizione di locali adeguati, e che tale balzello è stato imposto anche ai comuni di Modena e di Forlì nell'anno scolastico appena trascorso per soddisfare analoga richiesta in modo del tutto avulso da qualsiasi valutazione di opportunità. Anche ai genitori, attivi nel gruppo autodefinitosi GenitoriInMusica, è stato chiesto dall'ufficio scolastico regionale di trovare un finanziamento  ad hoc  per l'attivazione del primo anno del corso musicale, corrispondente a cinque stipendi per altrettanti docenti di musica;
          in nessuna altra regione italiana, regioni dove sono stati approvati numeri ben superiori di corsi di studio di liceo musicale, risulta sia stato imposto un pagamento simile, mentre si è agito nella direzione di utilizzare al meglio le risorse di orario disponibili degli insegnanti a volte anche con progetti di collaborazione tra più regioni  –:
          per quale ragione alla regione Emilia Romagna siano stati assegnati un numero nettamente inferiore di licei musicali rispetto alle altre regioni italiane;
          perché, secondo gli interroganti in palese violazione del principio di uguaglianza, solo in questa regione sia stato chiesto ed imposto un così rilevante finanziamento a carico degli enti locali;
          per quali ragioni non sia possibile soddisfare la domanda delle famiglie e degli studenti che da tre anni attendono l'avvio del corso musicale;
          se non si ritenga utile provvedere in modo adeguato a questa richiesta che appare del tutto legittima vista la diffusa cultura musicale del territorio bolognese e la presenza di numerosi corsi di musica nella scuola secondaria di secondo grado, oltre il conservatorio, che rischiano, diversamente, di non trovare opportune possibilità di sviluppo e di completamento;
          cosa si intenda fare per riportare a omogenea applicazione su tutto il territorio nazionale l'attivazione dei licei musicali. (5-06805)


      DI BIAGIO, GRANATA, BARBARO e MURO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il decreto ministeriale 14 marzo 2012 n.  31 ha decretato il numero di «posti disponibili a livello nazionale per le immatricolazioni ai corsi di tirocinio formativo attivo per l'abilitazione all'insegnamento» nella scuola secondaria di primo e di secondo grado, per l'anno scolastico 2011-12;
          la prova di accesso al tirocinio formativo attivo mira a verificare contenuti disciplinari oggetto di insegnamento e conoscenze disciplinari preliminari indispensabili al perseguimento degli obiettivi formativi;
          in data 13 marzo 2012 attraverso il recepimento dell'ordine del giorno n.  9/4940-A/98 – in sede di conversione del decreto-legge «semplificazioni» e sviluppo (legge di conversione 4 aprile 2012, n.  35) il Governo si è impegnato a valutare l'opportunità di consentire ai docenti, considerati non abilitati de iure, di poter partecipare al tirocinio formativo attivo senza l'obbligo di sostenere le prove di accesso, che mortificano e vanificano l'esperienza maturata sul campo;
          con decreto direttoriale 23 aprile 2012, n.  74, recante «Indicazioni operative per le prove di selezione di cui all'articolo 15 del decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 10 settembre 2010, n.  249» è stato reso noto il calendario delle prove di selezione per i tirocini formativi attivi, che vanno dal 6 al 31 luglio con avvio nelle classi di concorso con una minor aggregazione, per contenere l'impatto sul contestuale svolgimento degli esami di Stato;
          in data 8 maggio 2012, è stata pubblicata sul sito del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca una comunicazione attraverso la quale è stato confermato che «Il primo corso di tirocinio formativo attivo, bandito con decreti direttoriali del 3 maggio 2012, nell'osservanza delle norme contenute nel decreto ministeriale n.  249/2010, sarà attivato con la preselezione nazionale nelle date già fissate e proseguirà secondo le modalità e i tempi fissati da ciascuna Università» e contestualmente l'avvio di una procedura riservata ai docenti, laureati, sprovvisti di abilitazione, con esperienza maturata attraverso 36 mesi di servizio. Tale procedura consisterà in un percorso formativo, senza sostenere le prove di accesso, con conseguente esame finale;
          quanto indicato dalla succitata comunicazione ministeriale, sebbene si collochi nella lodevole direzione di definire una risoluzione del problema, deve ritenersi risolutivo soltanto parzialmente poiché preclude ogni accesso all'abilitazione, senza sbarramento, a coloro che, allo stato, non posseggono i requisiti indicati nella comunicazione stessa;
          infatti i citati requisiti – ad esempio – per i docenti di «terza fascia» sono da considerarsi obiettivi pressoché irraggiungibili, considerato anche che per prassi consolidata il requisito è stato sempre riferito a 360 giorni di servizio;
          la procedura annunciata, inoltre, riguarda esclusivamente docenti «laureati» escludendo di fatto i docenti ex diplomati magistrali e gli insegnanti tecnico pratici relegandoli, come avviene da anni, in una sorta di «limbo» nella categoria  –:
          se i 36 mesi, così come declinato dalla nota ministeriale, siano riferiti ad anni solari o, più ragionevolmente, ad anni scolastici;
          se il servizio sia da ritenersi «comunque prestato» su più classi di concorso e su segmenti di supplenze temporanee;
          che risposte intenda dare ai docenti ex diplomati magistrali, ai docenti di laboratorio (ITP), a quelli di discipline artistiche e musicali, a quelli di strumento musicale e a quant'altri per i quali non è previsto dalle attuali disposizione, alcun tipo di accesso. (5-06811)


      GHIZZONI, DE PASQUALE e VICO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca.. — Per sapere - premesso che:
il comma 5 dell'articolo 53 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertita, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 201 prevede che, nelle more della presentazione alla Conferenza unificata dello schema di piano nazionale, di cui al comma 1 della medesima legge, al fine di assicurare il tempestivo avvio di interventi prioritari e immediatamente realizzabili di edilizia scolastica, il CIPE, su proposta del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, approvi un piano di messa in sicurezza degli edifici scolastici esistenti e di costruzione di nuovi edifici scolastici, anche favorendo interventi diretti al risparmio energetico e all'eliminazione delle locazioni a carattere oneroso, nell'ambito delle risorse assegnate al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dall'articolo 33, comma 8, della legge 12 novembre 2011, n. 183, pari a cento milioni di euro per l'anno 2012 -:
entro quale termine si intenda dare attuazione alla succitata disposizione e se, altresì, non ritenga necessario utilizzare contestualmente le risorse messe a disposizione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca dalla delibera CIPE n. 6, del 20 gennaio 2012, pubblicata dalla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14 aprile 2012, nella tabella 5, quantificate in 259 milioni di euro per interventi prioritari per la messa in sicurezza degli edifici scolastici e in 100 milioni di euro per la costruzione di nuovi edifici. (5-06816)

Interrogazioni a risposta scritta:


      NACCARATO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          la circolare ministeriale n.  21 del 14 marzo 2011 recante «Dotazioni organiche del personale docente per l'anno scolastico 2011/2012-trasmissione schema di decreto interministeriale» definisce le dotazioni di organico dei docenti, la relativa quantificazione a livello nazionale e regionale e i criteri di ripartizione da adottare con riferimento alle realtà provinciali e alle singole istituzioni scolastiche;
          in particolare, relativamente all'istruzione secondaria di II grado, la circolare sopra citata stabilisce che «In attesa dell'emanazione del regolamento relativo alle nuove classi di concorso, per la determinazione dell'organico di diritto vengono confermate, per le classi prime e seconde interessate al riordino del secondo ciclo, le classi di concorso di cui al decreto ministeriale n.  39 del 30 gennaio 1998, e successive modifiche e integrazioni, opportunamente integrate e rivedute (...). Gli insegnamenti che confluiscono in più classi di concorso del vecchio ordinamento devono essere considerati “atipici”. Pertanto, la relativa attribuzione alle classi di concorso deve avere come fine prioritario la tutela della titolarità dei docenti presenti nell'istituzione scolastica, la ottimale formazione delle cattedre e la continuità didattica. In tale ottica le scuole opereranno avvalendosi della procedura attualmente prevista dal sistema informativo. In presenza nella stessa scuola di più di un titolare di insegnamenti “atipici” si darà precedenza a colui o a coloro che, in relazione al numero dei posti, risulteranno collocati con il maggior punteggio nella graduatoria di istituto unificata, incrociando la varie graduatorie, nel rispetto delle precedenze di cui all'articolo 7 del CCNI sulla mobilità. In assenza di titolari da “tutelare” l'attribuzione dovrà avvenire, previa intesa con l'Ufficio scolastico territoriale, attingendo prioritariamente dalle classi di concorso in esubero a livello provinciale. In assenza delle citate situazioni il dirigente scolastico, sulla base del parere del collegio dei docenti, individuerà la classe di concorso alla quale assegnare l'insegnamento»;
          la riforma della scuola secondaria superiore, nella sua fase transitoria, sta provocando una condizione penalizzante per i docenti di geografia appartenenti alla classe di concorso «A039». Secondo quanto stabilito dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, relativamente all'anno scolastico 2011-2012, le ore di geografia negli istituti tecnici possono essere assegnate anche ai docenti appartenenti alla classe di concorso «A060»;
          l'Associazione italiana insegnanti di geografia ha sollecitato ripetutamente il Ministro interrogato al fine di provvedere alla risoluzione dell'atipicità che li coinvolge;
          in seguito a richieste di chiarimento sulla situazione sopra descritta, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in data 4 maggio 2012 ha inoltrato ai direttori generali degli uffici scolastici regionali una nota esplicativa in merito alla «atipicità» delle classi di concorso «A039» e «A060» per l'insegnamento di geografia previsto per il primo biennio dell'indirizzo «amministrazione, finanza e marketing» e «turismo», facendo presente che tale insegnamento «nel pregresso ordinamento riferito agli indirizzi confluiti in quelli sopra riportati, era ricondotto esclusivamente alla classe di concorso 39/A. Solo, in fase di utilizzazione, i titolari della 60/A potevano accedere a tale insegnamento in assenza di ore riferite alla propria classe di concorso». In particolare, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, a integrazione di quanto comunicato con la nota n.  2320 del 29 marzo 2012 — che ha trasmesso l'elenco delle classi di concorso su cui confluiscono le discipline relative ai primi tre anni degli istituti di secondo grado — precisa che «le ore di geografia in questione devono essere assegnate prioritariamente ai titolari della 39/A e, solo in fase residuale, al fine di evitare la creazione di situazioni di esubero, ai titolari della 60/A. Ne consegue altresì che, in presenza di soprannumero, non deve procedersi alla redazione di una unica graduatoria tra i titolari delle due classi di concorso»  –:
          se il Ministro sia al corrente dei fatti esposti in premessa;
          quali iniziative di competenza — oltre alla nota di chiarimento già predisposta — il Ministro intenda porre in essere, al fine di risolvere concretamente la condizione di atipicità che, nella fase transitoria della riforma della scuola secondaria superiore, risulta penalizzante per i docenti della classe di concorso «A039». (4-15976)


      FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          la recente emanazione del decreto recante criteri di ripartizione del fondo del finanziamento ordinario (FFO) per l'università del 16 aprile determina una fortissima decurtazione del contributo di funzionamento (-34 per cento solo nel 2012, dopo due anni di pesanti tagli) ai consorzi interuniversitari di ricerca tematica, senza alcuna norma di indirizzo riformatore e soprattutto prevedendo, in pratica, la scomparsa del contributo statale per il loro funzionamento. Tale decisione ad avviso degli interroganti mortifica l'esperienza ventennale delle reti nazionali di ricerca costituite dai consorzi tra atenei per ricerche tematiche (scienza e tecnologia dei materiali telecomunicazioni, scienze del mare, biotecnologie, neuroscienze, fisica della materia, e altro), le quali non solo non dovrebbero essere indebolite, ma rafforzate, come indicato da tutti i documenti tecnici europei e nazionali (e come si appresta a fare peraltro il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con le reti tematiche nazionali dei distretti tecnologici);
          la sostanziale eliminazione del contributo di funzionamento per i consorzi interuniversitari di ricerca determinerà irreversibili e negative discontinuità nelle attività dei consorzi su:
              a) un insostituibile reperimento di risorse economiche a livello europeo per la ricerca;
              b) le azioni di supporto alla formazione dei giovani ricercatori per l'università attraverso borse di dottorato e assegni di ricerca;
              c) l'implementazione e la gestione di grandi infrastrutture di ricerca di riconosciuta eccellenza internazionale;
              d) l'impatto occupazionale con perdita di competenze professionali di alto profilo;
          i consorzi di ricerca pesano limitatamente sull'erario, visto che lo scorso anno il contributo per funzionamento, nel fondo del finanziamento ordinario per l'università, ammontava ad euro 4.560.000 e quest'anno il fondo del finanziamento ordinario porta il contributo per progetti «competitivi» a 3 milioni di euro, mentre i consorzi riescono ad attrarre fondi per ricerca (in buona parte da programmi europei e da privati) per oltre 20 volte tanto, sostenendo centinaia di giovani ricercatori e decine di dipendenti che, con questa decisione del Governo, molto probabilmente, saranno in gran parte licenziati (infatti, una recente ricognizione rileva che i 20 Consorzi interuniversitari di ricerca tematica più attivi del Paese hanno sviluppato attività nel 2011 per circa 68 milioni di euro, con sole 85 unità di personale specializzato a tempo indeterminato, e più di 1200 contratti di varia natura per giovani ricercatori);
          altri punti critici della questione sono: a) i tempi attuativi del bando per il contributo previsto nel fondo del finanziamento ordinario 2012 per progetti competitivi (e non per contributo di funzionamento, come nel passato) con il forte rischio di non ricevere alcuna risorsa nell'anno in corso; b) la completa assenza di meccanismi e risorse incentivanti per azioni di fusione/accorpamento, previsti a giudizio degli interroganti inopinatamente solo per i Consorzi interuniversitari di servizio; c) la scomparsa, in questo quadro, delle motivazioni che hanno indotto i Consorzi interuniversitari di ricerca a sottoporsi volontariamente ed onerosamente al processo di valutazione dell'ANVUR – VQR 2004-2010;
          è grave come, da una parte, una delle poche priorità del paese inserite nel documento di economia e finanza e nel piano nazionale di riforma del Governo, varati il 18 aprile 2012, sia costituita dalla ricerca scientifica, mentre dall'altra lo stesso Governo smantelli di fatto una esperienza consolidata, che può ovviamente essere migliorata, ma che a tutt'oggi costituisce un patrimonio di competenze e di organizzazione specializzata del Paese. È grave che, benché ai più alti livelli si sia espressa anche recentemente la necessità di qualificare la spesa pubblica con scelte selettive, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca decurti drasticamente una voce di spesa che è volano per l'attrazione di fondi europei. È urgente che il Governo riveda la decisione, pena l'aggravamento del declino della ricerca italiana  –:
          come preveda di intervenire per correggere quanto contenuto nell'allegato 3 del decreto recante i criteri di ripartizione del fondo di finanziamento ordinario dell'università per l'anno 2012 in merito ai consorzi interuniversitari di ricerca.
(4-15977)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


      NUNZIO FRANCESCO TESTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 22 della legge n.  183 del 2010 prevede la possibilità per i medici ospedalieri di andare in quiescenza oltre l'età prevista (65 anni per chi li ha compiuti entro il 2011), fino al conseguimento dei 40 anni di «servizio effettivo»;
          la definizione del concetto di «servizio effettivo» ha determinato alcune incertezze interpretative, al punto che, in data 9 dicembre 2010, in seguito una richiesta di chiarimento dell'ospedale Forlanini di Roma, il dipartimento della funzione pubblica precisava che dalla formulazione di «servizio effettivo» avrebbero dovuto essere esclusi tutti i periodi riscattati, comprendendo tra questi il servizio militare;
          tuttavia, le aziende sanitarie stanno applicando la definizione di «servizio effettivo» contenuta nella circolare INPDAP (nota operativa 56 del 22 dicembre 2010), secondo la quale, il servizio militare, purché valorizzato a fini contributivi, è individuato come lavoro effettivamente svolto al servizio dello Stato e quindi incluso nel configurazione del «servizio effettivo»;
          in base alla citata circolare, le ASL hanno dunque sempre deliberato conteggiando nei 40 anni di servizio il periodo di servizio militare;
          nonostante ciò, il parere reso dal dipartimento della funzione pubblica è stato strumentalmente utilizzato da chi vuole permanere in servizio ancora un anno; è importante segnare che dal momento della ufficializzazione della circolare INPDAP il dipartimento della funzione pubblica non si è più espresso al riguardo, mentre l'INPDAP ha continuato a ribadire in successive note la posizione assunta  –:
          se non si ritenga opportuno ribadire definitivamente la corretta definizione di «servizio effettivo», contenuta nella circolare INPDAP del 22 dicembre 2010, già largamente applicata in molte ASL italiane, anche al fine di evitare possibili contenziosi, inutili ed onerosi. (3-02263)

Interrogazione a risposta scritta:


      CONTENTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          sta facendo discutere la notizia secondo cui l'azienda austriaca Billa avrebbe deciso unilateralmente di chiudere il punto vendita di Porcia (Pordenone), attivando la procedura di mobilità senza concedere alcun ammortizzatore, quale l'annualità di cassa integrazione straordinaria per cessato esercizio;
          la vicenda riguarda 46 dipendenti dello storico supermercato del Pordenonese, con ovvio allarme tra le categorie e le rappresentanze del settore per le ripercussioni negative che tale decisione potrebbe avere  –:
          se la notizia di cui in premessa sia vera;
          in caso affermativo, se intenda assumere, per quanto di competenza, una qualche iniziativa di rapido coordinamento per evitare che l'alto tasso di disoccupazione ormai presente, anche nel Pordenonese, possa aggravarsi a causa delle improvvise strategie aziendali in questione. (4-15974)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      PALOMBA, DI GIUSEPPE e MESSINA. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il regolamento (CE) 2807/83, modificato dal regolamento (CE) 2737/99, fa obbligo alle imbarcazioni di 10 metri o superiori operanti nel Mar Mediterraneo della tenuta e compilazione del giornale di bordo;
          è poi richiesto che la tenuta del libro di bordo porti la registrazione delle specie ittiche pescate, con la vidimazione obbligatoria da presentare agli uffici delle capitanerie di porto entro e non oltre le 48 ore;
          l'entrata in vigore delle nuove normative europee in materia di pesca, fatte prevalentemente per i grandi natanti pescherecci (che maggiormente possono creare problemi alle risorse ittiche), mentre non crea problemi per i forti armatori (che possono disporre di un'organizzazione burocratica), ha creato gravi difficoltà alla piccola pesca ed agli armatori individuali di piccoli natanti, che non si trovano né nell'una, né nell'altra condizione;
          in particolare, la tenuta del libro di bordo con la registrazione delle specie ittiche pescate rappresenta per questa categoria di operatori del mare un fardello pesante e spesso insopportabile, soprattutto per la gran parte di essi che non possiede un grado di istruzione adeguate mentre la compilazione richiede una cultura superiore a quella media. Ad esempio, nelle marinerie del Sulcis (territorio svantaggiato della Sardegna meridionale) il 90 per cento degli operatori non possiede la licenza media, ed il 50 per cento neppure quella elementare;
          inoltre, anche la vidimazione obbligatoria da presentare agli uffici delle capitanerie di porto, entro e non oltre le 48 ore, rappresenta un pesantissimo onere per la piccola pesca quando manchi una presenza capillare di tali capitanerie. Per ritornare alla situazione del Sulcis, già richiamata, un pescatore di Teulada deve fare 80 chilometri per due volte per andare alla capitaneria di porto di Cagliari o 45 chilometri per due volte per andare a quella di S. Antioco (16.250 chilometri all'anno). Sempre per andare a quest'ultima ci vogliono 30 chilometri per due volte da S. Anna Arresi, 25 chilometri per due volte da Masainas e 50 chilometri per due volte da Buggerru (18.000 chilometri all'anno). Si tratta di un adempimento che produce un enorme dispendio e, per i natanti di proprietà di un solo pescatore, il blocco dell'attività, cioè il fermo della remunerazione: può capitare che si debba andare per la vidimazione in un giorno buono per la pesca e stare fermi quello successivo per le avverse condizioni meteorologiche;
          a ciò si aggiunge il severo trattamento sanzionatorio per le infrazioni consistente nella decurtazione di punti dalla licenza;
          pur convenendosi sulla necessità di una migliore regolamentazione dell'esercizio della pesca sembrerebbe opportuno limitare i parametri di applicabilità della normativa portando l'obbligatorietà del suo rispetto ai natanti da 15 metri in su ovvero di tonnellaggio superiore alle 10 GT, in modo che la piccola pesca sia esentata da pesanti adempimenti burocratici e da costi economici enormi  –:
          se il Governo convenga sull'esistenza degli inconvenienti sopra lamentati, quali siano i suoi orientamenti in proposito e se ritenga di dover assumere iniziative con grande urgenza, in considerazione della gravità della situazione che penalizza oltre ogni ragionevolezza l'intero settore della piccola pesca, affinché la normativa vigente possa essere modificata ed adeguata (ad esempio, innalzandosi l'obbligo ai natanti di 15 metri o più ovvero di tonnellaggio superiore alle 10 GT) in modo che siano eliminati soffocanti (e spesso inadeguati alle condizioni culturali) adempimenti burocratici e non si debbano sopportare costi economici troppo pesanti o negative ricadute sulla licenza. (5-06807)


      BURTONE e CUOMO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          il mercato delle fragole del metapontino è oramai al collasso;
          le organizzazioni di categoria del materano hanno denunciato la crisi del settore legata ad una vendita di un prodotto di eccellenza sui mercati all'ingrosso ad un prezzo che oscilla tra gli ottanta centesimi e l'euro al chilo;
          si tratta di prezzo di vendita ben al di sotto dei costi di produzione sostenuti dagli agricoltori locali;      
          le avverse condizioni meteorologiche quest'anno hanno fatto sì che il prodotto del metapontino giungesse in ritardo sui mercati quando già erano giunte le fragole della Spagna, del nord Africa e anche della Grecia;
          si tratta di Paesi nei quali i costi di produzione sono ben al di sotto di quelli affrontati nel metapontino;
          va aggiunto che spesso questi prodotti provenienti dall'estero vengono venduti come prodotto italiano, in quanto la tracciabilità è ancora lontana nella tutela delle produzioni di qualità  –:
          se e quali iniziative il Governo intenda attivare, nell'ambito delle sue competenze, per promuovere una adeguata tutela della produzione delle fragole nel metapontino e sostenere il comparto.
(5-06808)

Interrogazioni a risposta scritta:


      RUVOLO. —Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          con l'introduzione dell'IMU si rischia di arrivare alla chiusura di molte piccole e medie aziende agricole che già sono in crisi per le crescenti difficoltà economiche che stanno investendo l'intero settore;
          in pratica si è attuata una duplicazione di imposta sui fabbricati rurali il cui reddito era già ricompreso in quello dei terreni che per gli agricoltori equivalgono a mezzi di produzione;
          dai calcoli effettuati dalle organizzazioni di settore gli incrementi varieranno dal 100 al 400 per cento;
          la Coldiretti ha valutato in un miliardo di euro i costi aggiuntivi che peseranno sugli agricoltori per effetto dell'IMU;
          in uno studio elaborato dalla Confagricoltura emerge che, a fronte di un'incidenza sul prodotto interno lordo globale della nuova imposta patrimoniale pari all'1,3 per cento, si arriva al 4,5 per cento per il settore agricolo, con una perdita dei guadagni stimata al 10 per cento;
          per la Cia, l'introduzione dell'IMU produrrà per gli agriturismi una perdita dei guadagni sino al 20 per cento;
          con l'introduzione di questa tassa sono a rischio sopravvivenza circa mezzo milione di aziende sotto i 20 ettari, cosa che vanifica tutti gli sforzi degli operatori del settore che proprio grazie a maggiori investimenti e all'innovazione erano in qualche modo riusciti a non venire sommersi dalla crescente crisi economica;
          l'agricoltura, primo settore economico del Paese, con il 3,5 per cento del prodotto interno lordo e con il 15 per cento se viene compreso anche il settore agroalimentare, ha cominciato nel 2011 a perdere posizioni sino ad arrivare nel terzo trimestre del 2011 all'andamento congiunturale più negativo del valore aggiunto: meno 0,9 per cento;
          non va dimenticato che il settore era già stato pesantemente colpito attraverso gli aumenti del carburante e utilities varie;
          a tutto ciò va aggiunta l'approvazione dell'accordo tra l'Unione europea e il Marocco sulla liberalizzazione dei prodotti agricoli e ittici che, soprattutto nel Meridione d'Italia rappresenta un'ulteriore attacco alle produzioni e agli agricoltori;
          non a caso, in questa situazione che rischia di rivelarsi disastrosa per il settore agricolo, gli operatori continuano a denunciare uno scarso interesse da parte del Governo nei confronti del sistema agricolo nazionale, che rappresenta o almeno ha rappresentato sino ad oggi, un settore d'avanguardia e un fiore all'occhiello per il nostro Paese nel mondo;
          non va dimenticato che nel nostro Paese vi sono circa 50 mila imprese che si dedicano al biologico su un milione di ettari con consumi raddoppiati nel corso degli ultimi dieci anni, che l'Italia ha la più estesa rete di vendita diretta di prodotti agricoli con un fatturato di 3,2 miliardi di euro, che 12,7 milioni di ettari sono presidiati dai nostri agricoltori che riescono così a svolgere anche un'importante funzione di salvaguardia ambientale, che il turismo enogastronomico ha un fatturato stimato in 5 miliardi di euro;
          tutti questi settori rischiano di entrare in una crisi irreversibile se non si attueranno in tempi necessariamente rapidi provvedimenti a difesa del settore agricolo;
          le nuove tasse e gli aumenti del gasolio, per come sono stati introdotti, non solo porteranno ad una chiusura di molte aziende che si ripercuoterà inevitabilmente sull'occupazione, ma determineranno un aumento dei prezzi al dettaglio, colpendo ulteriormente le famiglie e i consumatori italiani che già hanno risposto alla crisi economica con un calo sensibile dei consumi  –:
          se e quali interventi per lo sviluppo si intendano mettere in cantiere a soccorso del mondo agricolo che rischia di restare soffocato dalle manovre economiche e dagli aumenti decisi negli ultimi mesi e che hanno già portato alla chiusura di molte piccole e medie aziende.
          se e quando si intenda promuovere una revisione del meccanismo dell'IMU, di cui le aziende agricole sentiranno tutto il peso nel corrente anno fiscale, prevedendo una tassazione diversa per gli stabili agricoli non più funzionali all'attività agricola e trasformati in abitazioni e i fabbricati che servono a lavoro e che da sempre sono stati inseriti nel valore dei terreni.
(4-15980)


      RUVOLO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in data 19 gennaio 2012 a Roma nel corso di un incontro svoltosi a Palazzo Rospigliosi è stata presentata la prima relazione sulla contraffazione e pirateria elaborata dalla Commissione parlamentare di inchiesta;
          nell'incontro a palazzo Rospigliosi il procuratore nazionale antimafia dottor Piero Grasso, ha dichiarato che alla tavola di ciascun cittadino mangia un convitato di pietra: la mafia. La criminalità organizzata attraverso la presenza in ogni segmento della filiera agroalimentare dai terreni alla logistica, all'ingrosso ortofrutticolo, controlla i prezzi dei prodotti che gravano sui consumatori fino a determinare costi di acquisto pari a 10 volte quelli di mercato;
          nell'incontro svoltosi per la presentazione della relazione della Commissione d'inchiesta sulla contraffazione e il made in Italy, il presidente della Coldiretti ha dichiarato che le infiltrazioni mafiose sono confermate da recenti operazioni di polizia nel commercio dell'ortofrutta i cui prezzi triplicano per effetto delle strozzature e anomalie lungo la filiera;
          a tutto ciò si aggiunge la situazione economica e sociale in Sicilia che va, con urgenza, affrontata con misure concrete e immediate  –:
          quali iniziative siano allo studio o siano state intraprese dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, per la tutela dei prodotti made in Italy e per rendere ancora più efficace ed efficiente la lotta alla contraffazione alimentare;
          come si intenda adoperarsi per rendere trasparente l'intera filiera agroalimentare dalla raccolta alla vendita allo scopo di garantire sia gli agricoltori che i consumatori;
          quali ulteriori iniziative intenda intraprendere al fine di contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata, in particolare nella filiera ortofrutticola, sostenendo in questo modo l'attività delle imprese, agricole e, in tale ambito, come intenda contrastare le strozzature e le anomalie nell'intera filiera ortofrutticola fino alla vendita al dettaglio, che sono causa rilevante dei costi di acquisto da parte dei consumatori enormemente più alti rispetto a quelli effettivi di mercato;
          se non ritenga necessario applicare l'interdizione dall'attività, in qualsiasi punto della filiera agroalimentare, per coloro che trasgrediscono le norme in materia di contraffazione, come elemento qualificante della produzione agroalimentare italiana. (4-15981)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      D'INCECCO, MIOTTO, BURTONE e PEDOTO. —Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          nel gennaio 2010 la Commissione europea – a seguito dei numerosi episodi di pazienti con danni al fegato e all'apparato gastroenterico causati da Nimesulide e del successivo ritiro della stessa dal mercato in alcuni Paesi europei – ha chiesto all'Agenzia europea dei medicinali (EMA) un riesame del rapporto beneficio-rischio di Nimesulide;
          l'obiettivo dichiarato della Commissione europea era quello di voler garantire la massima tutela dei Pazienti europei nell'utilizzo del noto anti-infiammatorio, di cui l'Italia è il Paese con il più alto consumo in Europa;
          l'EMA ha concluso che il rapporto beneficio-rischio Nimesulide non è più favorevole nell'utilizzo cronico;
          l'EMA ha di conseguenza stabilito che i medicinali contenenti tale principio non possano più essere utilizzati per il trattamento sintomatico dell'osteoartrosi dolorosa (unica indicazione di natura cronica di Nimesulide);
          la Commissione europea, con la decisione del 20 gennaio 2012, ha recepito la raccomandazione EMA e – dopo aver ulteriormente confermato la necessità di evitare ogni possibilità d'uso cronico di Nimesulide – ha stabilito la modifica delle condizioni delle autorizzazioni all'immissione in commercio per tutti i medicinali contenenti Nimesulide per uso sistemico;
          la Commissione europea, nello specifico, ha previsto l'obbligo dell'eliminazione dell'indicazione del «trattamento sintomatico dell'osteoartrite dolorosa» in quanto «l'uso sistemico di nimesulide per il trattamento dell'osteoartrite doloroso, che è una condizione cronica, comporterebbe un uso a lungo termine con un conseguente aumento del rischio di danno epatico»;
          emerge con chiarezza che l'obiettivo che a livello europeo si è voluto perseguire è stato quello di escludere in ogni modo l'utilizzo del principio attivo nel trattamento cronico al fine di garantire la massima tutela dei pazienti europei;
          in Italia il Sistema sanitario nazionale prevede ancora oggi la rimborsabilità di Nimesulide (attraverso la nota 66) proprio per il trattamento di problematiche infiammatorie croniche di tipo osteoarticolare, quelle che la Commissione europea ha stabilito di eliminare;
          allo stato attuale, infatti, l'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha provveduto a comunicare alle aziende la decisione della Commissione europea e ha richiesto loro di procedere all'invio ai medici di medicina generale della Dear Doctor Letter, contenente le modifiche al riassunto delle caratteristiche del prodotto (RCP);
          allo stato attuale, l'Aifa nulla ha ancora stabilito e comunicato ai medici di medicina generale rispetto a criteri di classificazione e rimborsabilità del farmaco, mantenendo dunque in vigore la rimborsabilità di Nimesulide a carico del Sistema sanitario nazionale;
          alla luce del restringimento delle indicazioni di nimesulide al solo utilizzo per il trattamento acuto, mantenere in vigore la rimborsabilità di tale principio attivo da parte del sistema sanitario nazionale pare incompatibile con l'obiettivo sotteso al meccanismo delle note posto che la legge istitutiva prevede che le note servono «a garantire l'accesso a tutti i farmaci ritenuti essenziali ed efficienti per le malattie croniche ed epidemiologicamente rilevanti»  –:
          se il mantenimento della rimborsabilità di nimesulide non rischi di annullare di fatto l'impatto della decisione dell'Unione europea, volta ad escludere ogni forma di utilizzo di Nimesulide nel trattamento cronico e se, più in generale, mantenere in vigore la rimborsabilità di nimesulide non comporti il rischio di inappropriatezza d'uso e di sostenibilità per il Sistema Sanitario Nazionale – che continua così a rimborsare un farmaco non più indicato per il trattamento cronico – e, soprattutto, non esponga i pazienti italiani ad un utilizzo cronico di Nimesulide non valutato efficace e sicuro dall'Agenzia europea del farmaco. (5-06812)


      DI VIRGILIO e BARANI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 22 della legge 4 novembre 2010, n.  183 (cosiddetto collegato lavoro), interviene sui requisiti richiesti ai fini dell'età pensionabile dei dirigenti medici del Servizio sanitario nazionale, modificando la relativa disciplina recata dall'articolo 15-novies, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.  502 («Riordino della disciplina in materia sanitaria») e dall'articolo 16, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.  503 («Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici»);
          in relazione alle modifiche apportate dal comma 1 del citato articolo 22, è prevista la possibilità per i dirigenti medici del Servizio sanitario nazionale, su istanza dell'interessato, di richiedere il collocamento a riposo, in luogo del compimento dei 65 anni più l'opzione per l'ulteriore biennio, al maturare del quarantesimo anno di servizio effettivo, esclusi quindi i periodi di contribuzione figurativa. In ogni caso, il limite massimo di permanenza non può superare i 70 anni, e la permanenza in servizio non può comportare un aumento del numero dei dirigenti;
          in questo modo si equipara il trattamento relativo al limite massimo di età dei dirigenti medici e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale a quello del personale medico universitario; tuttavia va ricordato che l'articolo 25 della successiva legge n.  240 del 30 dicembre 2010 (di riforma universitaria) espressamente esclude i professori e ricercatori universitari dalla facoltà prevista per i dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici di permanere in servizio, per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo per essi previsto;
          ad oggi è ancora in vigore il comma 11 dell'articolo 72 del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133, il quale prevede che l'amministrazione pubblica possa a sua discrezione mandare in pensione il personale al raggiungimento dei 40 anni di contribuzione, esclusi i dirigenti di struttura complessa;
          i dirigenti medici e del ruolo sanitario potrebbero in base all'attuale modifica dell'articolo 22 permanere in servizio fino a 70 anni di età, ma allo stesso tempo potrebbero essere collocati a riposo dall'amministrazione molto prima in base al disposto dell'articolo 72 del decreto-legge n.  112 del 2008;
          da ultimo il comma 18 del decreto-legge n.  201 del 2011, convertito dalla legge n.  214, prevede che «Allo scopo di assicurare un processo di incremento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento anche ai regimi pensionistici per cui siano previsti requisiti diversi da quelli vigenti nell'assicurazione generale obbligatoria», anche con riferimento ai ruoli dirigenziali, entro il 30 giugno 2012 saranno emanate, con regolamento, le relative misure di armonizzazione dei requisiti di accesso al sistema pensionistico, tenendo conto delle obiettive peculiarità ed esigenze dei settori di attività nonché dei rispettivi ordinamenti;
          la discrepanza tra le norme esposte in premessa sta ingenerando interpretazioni diverse, confusione e malumori in tutto il settore e potrebbe comportare un inutile e dispendioso contenzioso tra l'amministrazione pubblica e il personale dirigente medico e del ruolo sanitario, ivi compreso il rischio di reintegro in ruoli dirigenziali di soggetti già sostituiti, con il rischio di aumento del numero dei dirigenti  –:
          quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di armonizzare e chiarire in via definitiva la disciplina in materia di età pensionabile del personale dirigente sanitario al fine di evitare sperequazioni all'interno della dirigenza medica e del ruolo sanitario e di non incorrere in un vasto contenzioso. (5-06813)


      PATARINO e DI BIAGIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          i dati pubblicati in aprile 2011 dalla rivista scientifica The Lancet evidenziano che sono circa 2,6 milioni i bambini nati morti ogni anno nel mondo;
          sebbene il 98 per cento di queste morti avvenga nei Paesi poveri o in via di sviluppo, percentuali sempre più alte continuano a interessare i Paesi più ricchi;
          la morte endouterina è un fenomeno che in Italia è relativamente poco frequente (1 nato morto su 273 nati vivi) ma riguarda molto spesso gravidanze giunte al loro termine ed apparentemente fisiologiche. Se a tale numero si aggiungono i bambini morti nelle prime settimane di vita extrauterina, si può considerare che la morte perinatale colpisca nel nostro paese circa 9 bambini ogni giorno;
          come sottolineano gli specialisti e gli esperti del suindicato fenomeno, intorno alla morte perinatale sussiste nel nostro Paese una forma deleteria di tabù che ne limita la comprensione, l'approfondimento e la sensibilizzazione;
          il quadro che emerge dall'analisi del fenomeno psicosociale «morte in utero» pone l'Italia come fanalino di coda d'Europa e dei paesi più avanzati, con una condizione di arretratezza culturale e psicologica;
          sebbene esista un adeguato livello di informazione tra le donne, non solo gestanti, circa il rischio di perdita legati al primo trimestre di gravidanza, in Italia il personale medico e la struttura sanitaria in generale non forniscono alcun tipo di informazione circa i rischi presenti durante i successivi trimestri;
          in un recente question time in Commissione (5-05900) avente ad oggetto il medesimo argomento, il Ministro interrogato ha evidenziato l'attenzione alla tematica in oggetto da parte del dicastero e ha sottolineato le iniziative promosse a riguardo come il manuale «La natimortalità: audit clinico e miglioramento della pratica assistenziale» che sebbene si configuri come uno strumento certamente non trascurabile e meritorio, sulla base delle informazioni a disposizione degli interroganti, la sua realizzazione e diffusione non si possono considerare sufficienti per incidere sul fenomeno morte perinatale nel nostro paese, sia in termini di prevenzione che di assistenza;
          infatti un aspetto non trascurabile di quanto trattato si colloca proprio nelle dinamiche di prevenzione del fenomeno in oggetto e nelle iniziative volte al miglioramento delle stesse in quei casi cosiddetti evitabili (circa il 30 per cento del totale);
          a tal riguardo il Ministro ha evidenziato il progetto finalizzato alla prevenzione preconcezionale intitolato «Pensiamoci prima», – con annesso portale consultabile – che, sebbene nasca con il più lodevole obiettivo, ad avviso degli interroganti sembra non affrontare in nessuna delle sezioni il rischio di mortalità perinatale né le cause che potrebbero determinarla e gli esami clinici – purtroppo non obbligatori – che potrebbero mettere in luce possibili rischi in capo alla gestante;
          nello specifico il suindicato portale, sembra limitarsi ad una scheda informativa generica sul periodo preconcezionale, rimandando ad alcune schede informative su questioni più o meno generiche senza definire alcun tipo di orientamento o supporto alla gestante o alla donna che intende intraprendere una gravidanza;
          sul versante della prevenzione della morte perinatale il nostro sistema sanitario presenta molteplici lacune che non sembra voler tamponare: molti degli esami clinici che potrebbero evidenziare un seppur minimo rischio in fase preconcezionale o nelle primissime fasi della gestazione sono prescritti talvolta dallo specialista soltanto in caso di aborto ricorrente o pregresse patologie della gravidanza o morte perinatale;
          una percentuale non trascurabile di morti perinatali sono rintracciabili in patologie materne non riscontrate in precedenza come le malattie autoimmuni, o altre patologie silenti o latenti, che potrebbero essere diagnosticate in fase precoce con esami del sangue;
          il personale medico, per motivi poco chiari, non è solito mettere a conoscenza le gestanti dell'eventualità di procedere con esami di approfondimento che consentano – come indicato – di diagnosticare in anticipo una patologia potenzialmente fatale per il nascituro e per la donna ed evitare oltre che un dramma devastante per la donna e la famiglia della stessa, anche – molto più cinicamente – un onere per il servizio sanitario nazionale;
          molte morti perinatali potrebbero essere evitate con un corretto monitoraggio dei fattori di rischio pregravidici (età materna, precedenti gravidanze, imc della madre, patologie preesistenti, fumo e consumo di alcolici) e un accurato monitoraggio della gravidanza (curva di crescita fetale, flussi placentari, monitoraggio del liquido amniotico, dei movimenti fetali, e cardiotocografia fetale);
          malgrado i buoni e lodevoli propositi, evidenziati anche nel recente e citato confronto con il Ministro, al momento non esiste un sistema coordinato e fattivo di controllo e prevenzione dei rischi di morte perinatale anche nelle gestanti ufficialmente «non a rischio»;
          sulla base delle informazioni a disposizione degli interroganti, – oltre all'assenza di specifiche indicazioni circa la possibilità di effettuare o meno esami ulteriori – non sembrano essere tenuti sotto controllo da alcuni specialisti parametri altamente indicativi: le caratteristiche costituzionali, metaboliche e ormonali della donna, le modalità di concepimento o rischi cardiovascolari familiari, una valutazione clinica e strumentale della crescita uterina;
          purtroppo – e molti recenti casi di attualità lo dimostrano – gli specialisti e le strutture ospedaliere non procedono con una personalizzazione del monitoraggio gestazionale oltre che con una definizione del corretto timing del parto per quelle gestanti identificate come a rischio sebbene basso. In questo caso il servizio sanitario nazionale si affida ai protocolli ospedalieri con il risultato che – ad esempio – gestanti con pregressa oligoamniosi sono trattate alla stregua di gestanti «senza rischio» con una conseguente elevata possibilità di esito infausto della gravidanza;
          ferma restando l'indiscussa utilità dei protocolli ospedalieri, come riferimento operativo, appare auspicabile un superamento degli stessi in determinati casi (pregresse e superate patologie, gravidanza ottenuta artificialmente e altro)  –:
          quali iniziative si intendano intraprendere al fine di garantire alle donne una corretta, reale e legittima informazione medica sui rischi della gravidanza, come la morte perinatale, al fine di consentire la definizione di un adeguato programma di prevenzione dei suddetti rischi – attualmente non applicato – anche attraverso una tempestiva informazione circa gli esami diagnostici – anche se attualmente non obbligatori – rivelatori di patologie non riscontrate in precedenza.
(5-06814)


      BINETTI, NUNZIO FRANCESCO TESTA, DE POLI e CALGARO. —Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo i risultati di uno studio condotto dall'università di Torino a cura della dottoressa Roberta Siliquini – professore ordinario di epidemiologia, igiene generale e sanità pubblica all'università di Torino – un adolescente su quattro assume psicofarmaci a casa, su consiglio dei genitori, o fuori casa, in accordo con gli amici, quasi sempre senza prescrizione medica;
          i dati sono allarmanti, il dottor Alberto Ugazio, presidente della società italiana di pediatria (SIP), ricorda che «l'automedicazione, o il fai da te, è quanto di meno auspicabile possa esserci per la salute dei nostri bambini. Inoltre, l'ansia è un sintomo che va valutato attentamente: se non indica una patologia, la terapia farmacologica non è assolutamente indicata»;
          purtroppo, come da più parti evidenziato, molte assunzioni improprie di psicofarmaci avvengono per scelta degli stessi genitori, che cercano in questo modo di «dare una risposta agli stati di disagio dei propri figli»;
          siamo alla presenza di «un fenomeno inquietante, in continua crescita ovunque nel mondo, come anche nel nostro Paese» – ha commentato Luca Poma, giornalista e Portavoce nazionale di «Giù le Mani dai Bambini», il più rappresentativo comitato indipendente per la farmacovigilanza pediatrica in Italia – che la nostra organizzazione aveva denunciato nel 2009, riprendendo i dati del «rapporto ESPAD» che evidenziò già allora il 10 per cento di minori che utilizzavano psicofarmaci con modalità «fai da te»;
          i rischi sono enormi, dagli effetti collaterali di queste molecole, che vanno dai problemi cardiaci anche gravi alla stimolazione di idee suicidarie, a seconda della classe farmacologica utilizzata, a quelli di carattere psicologico e pedagogico;
          purtroppo, inoltre, è da evidenziare che i prodotti in questione, si reperiscono con estrema facilità su internet, pagando con un comune conto PayPal  –:
          quali urgenti misure intenda porre in essere al fine di garantire una maggiore efficacia alle norme di controllo sanitario e se non ritenga opportuno, oltre che necessario, promuovere una campagna seria di prevenzione su questo tema, attraverso un piano di azione concordato e unitario che coinvolga l'Agenzia del farmaco e l'Istituto superiore di sanità ed in quale modo intenda impedire che la situazione vada alla deriva, com’è già successo in USA e in altre nazioni, dal momento che è a rischio il futuro delle nuove generazioni del nostro Paese.
(5-06815)

Interrogazioni a risposta scritta:


      MURER. — Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 3-ter del decreto-legge n.  211 del 2011 fissa al 1o febbraio 2013 il termine per il completamento del processo di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) in applicazione delle norme già esistenti;
          entro tale data, le regioni devono organizzare e disciplinare il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, attraverso le aziende sanitarie, con la presa in carico da parte dei dipartimenti di salute mentale dei soggetti attualmente presenti negli ospedali psichiatrici giudiziari;
          ad oggi risultano essere oltre 1.300 (dati del Dipartimento amministrazione penitenziaria, dicembre 2011) in tutta Italia, le persone internate nei vecchi ospedali psichiatrici giudiziari;
          la situazione appare particolarmente diversificate di regione in regione;
          in Veneto la situazione è la seguente: ad oggi, risultano internati in ospedali psichiatrici giudiziari, 70 cittadini veneti; di questi 52 sono in una struttura di Reggio Emilia, 3 a Montelupo fiorentino, 2 ad Aversa, e 3 a Barcellona Pozzo di Gotto; a questi vanno aggiunte 7 donne internate a Castiglione delle Stiviere;
          per tutte queste persone la regione Veneto riferisce di aver chiesto ai dipartimenti di salute mentale di riferimento dati dettagliati su diagnosi, stato attuale di salute e condizioni di dimissibilità;
          secondo la regione queste persone sarebbero già in carico ai servizi, ma soltanto per alcune di esse si sta attuando un progetto personalizzato mentre la maggior parte di questi internati è giudicata dai servizi di salute mentale di competenza non dimissibile per ragioni che vanno da pregressi fallimenti di dimissioni già attuate, diagnosi e disabilità multiple, cronicità grave ed altro;
          la regione Veneto ha comunque deliberato (n.  2089 del 7 dicembre 2011) l'erogazione di 400.000 euro per il progetto «intervento di riabilitazione e reinserimento sociale per persone dimesse dall'ospedale psichiatrico giudiziario ed in carico al servizio territoriale, quale incentivo per i Dsm affinché avviino quanto prima i progetti personalizzati e provvedano ad attuarli»;
          esiste, al tempo stesso, un progetto di una «struttura intermedia di accoglienza per l'inserimento dei pazienti psichiatrici attualmente internati in ospedali psichiatrici giudiziari e dimissibili» a valenza sperimentale, che avrà sede nel veronese (ULSS 21);
          al tempo stesso è stata costituita una commissione regionale che sta studiando le modalità di attuazione della legge n.  9 del 2012 e starebbe progettando l'avvio di una struttura ad alta sorveglianza a Venezia-Giudecca che dovrebbe prevedere due sezioni da 20 posti letto ciascuna;
          esiste una forte preoccupazione per questa situazione; le nuove strutture rischiano di prefigurare la riproduzione, in miniatura, dei manicomi giudiziari avallando l'equazione sofferenza mentale = pericolosità, che da oltre trent'anni la legge n.  180 tenta radicalmente di rovesciare;
          si rende necessaria un'azione decisa sui servizi di salute mentale rispetto ai cosiddetti verdetti di «indimissibilità» che, nonostante il venir meno della pericolosità sociale, vengono espressi a proposito della maggior parte delle persone ancora internate, impedendo così di mettere a punto progetti territoriali e di rete che possano restituire il pieno diritto di cittadinanza e la revoca dei cosiddetti «ergastoli bianchi» a cui troppo spesso queste persone, spesso autrici di reati minori, finiscono per essere condannati  –:
          a che punto sia il meccanismo di applicazione della normativa citata in premessa relativamente al superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari per i 70 pazienti veneti internati in varie strutture; quali iniziative si stiano assumendo per le dimissioni senza indugio e la presa in carico da parte dei dipartimenti di salute mentale delle persone che hanno cessato di essere socialmente pericolose; se non ritengano di verificare, nell'ambito delle proprie competenze, anche per il tramite del Comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza se e come i dipartimenti di salute mentale, soprattutto quelli che hanno in carico i 70 pazienti veneti, abbiano proceduto a finalizzare le azioni di propria competenza alla completa attuazione del percorso di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari. (4-15978)


      VILLECCO CALIPARI, MIOTTO, ARGENTIN, TOUADI e GASBARRA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          le strutture pubbliche possono garantire anche il personale dipendente, mediante adeguata polizza di assicurazione per la responsabilità civile, dalle eventuali conseguenze derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi (ivi comprese le spese di giudizio) relativamente alle loro attività, senza diritto di rivalsa, salvo i casi di colpa grave o di dolo;
          il contratto collettivo nazionale del lavoro (CCNL) che regola la materia in questione impone all'azienda ospedaliera «Adeguata copertura assicurativa della responsabilità civile per ciascun dirigente, ivi comprese le spese di giudizio, per le conseguenze derivanti da azioni giudiziarie di terzi, connesse ai rischi derivanti dalla propria attività, ivi compresa la libera professione intramuraria, senza diritto di rivalsa, salvo le ipotesi di dolo o colpa grave»;
          le aziende sanitarie e ospedaliere necessitando di coperture assicurative in relazione al rischio per responsabilità civile e prestatori d'opera di tutto il personale dipendente, indicono gare per la ricerca di compagnie assicurative per garantire una adeguata tutela assicurativa;
          accade sempre più frequentemente che non si presenti nessuna compagnia assicurativa alle predette gare; le aziende conseguentemente si organizzano per provvedere con le proprie risorse interne umane, strumentali e organizzative ad assicurare una autonoma copertura;
          come molte altre aziende ospedaliere italiane anche il complesso San Giovanni Addolorata di Roma, dopo la mancata partecipazione di compagnie assicurative a due gare pubbliche, ha disposto una assunzione diretta nella gestione dei sinistri, procedendo alla predisposizione di un sistema cosiddetto di «autoassicurazione»;
          il complesso ospedaliero San Giovanni Addolorata ha ratificato il regolamento di autoassicurazione (deliberazione n.  166/DG del 26 gennaio 2012), ha stanziato un apposito fondo dedicato alla gestione dei sinistri per l'anno in corso pari all'importo pagato alla compagnia assicurativa a titolo di premio ed ha istituito un comitato di valutazione sinistri;
          nonostante queste decisioni assunte, risulterebbe che il direttore generale del complesso ospedaliero San Giovanni Addolorata in data 18 gennaio 2012 – di sua iniziativa – invitava una serie di broker assicurativi, affinché presentassero entro il 25 gennaio 2012 un curriculum vitae aziendale/professionale inerente le loro attività di brokeraggio assicurativo, al fine di consentire l'individuazione di una compagnia di brokeraggio finalizzata alla consulenza in ambito assicurativo per la durata di un anno;
          con deliberazione del direttore generale n.  187/DG del 31 gennaio 2012 l'azienda ospedaliera deliberava di procedere all'affidamento in via sperimentale e a titolo gratuito del servizio di brokeraggio assicurativo alla Intermedia Broker per sei mesi;
          al 31 gennaio 2012 risultavano aver presentato curricula aziendali solo cinque società di brokeraggio (Italbrokers,Gpa, Gbs, Insurance Broker, Intermedia Broker), mentre una sesta società contesta di non essere stata inserita tra la rosa delle candidate pur avendo inviato nei tempi previsti la domanda e il relativo curriculum;
          altre sono le opacità che risultano nella procedura specifica di affido di incarico alla Intermedia Broker, oltre alla valutazione dei sei curricula avvenuta in soli quattro giorni lavorativi e all'esclusione che agli interroganti appare arbitraria di una delle sei società dalla valutazione;
          solitamente il servizio di brokeraggio, come da consuetudine di mercato, viene remunerato direttamente dalle compagnie di assicurazione con cui vengono stipulati i contratti assicurativi e tale servizio è da ritenersi indirettamente oneroso ai sensi del decreto legislativo n.  163 del 2006;
          il servizio di brokeraggio, considerato che trattasi di una azienda ospedaliera, riguarda l'intermediazione di una polizza per responsabilità civile terzi per il settore sanitario che è sopra le soglie previste dal decreto legislativo n.  163 del 2006 e, a quanto consta agli interroganti, si registrerebbe la mancata adozione di una procedura ai sensi del decreto legislativo n.  163 del 2006;
          questo tipo di procedura può, ad avviso degli interroganti, alimentare una lievitazione dei costi del premio assicurativo a carico dell'azienda sanitaria dovendo contenere anche l'inevitabile costo del broker e determinare l'eventualità che l'azienda sanitaria possa addirittura trovarsi nel rischio di rimanere sprovvista di copertura assicurativa  –:
          se sia a conoscenza, anche per il tramite del commissario ad acta per il rientro dai disavanzi sanitari, delle modalità con cui si è svolta l'assegnazione del servizio di brokeraggio indetto dall'azienda ospedaliera Complesso ospedaliero San Giovanni-Addolorata, in data 31 gennaio 2012, e se le procedure adottate non abbiano comportato un aggravio di spesa;
          se non ritenga necessario, fatte salve le competenze regionali in questa materia, assumere iniziative normative o promuovere intese in sede di Conferenza Stato-regioni, al fine di definire, con più chiarezza possibile, la disciplina relativa alle procedure di brokeraggio assicurativo per le aziende sanitarie e ospedaliere.
(4-15985)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


      PILI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          in reiterati atti di sindacato ispettivo l'interrogante ha denunciato la gravissima compromissione energetica della Sardegna e l'esistenza di un sostanziale cartello tra i due unici produttori elettrici dell'isola Enel ed E.On;
          in tali precedenti atti veniva sollecitata un'azione di verifica da parte degli organismi competenti in considerazione del persistente «ricatto energetico» messo in atto dai principali produttori verso le industrie energivore della Sardegna e più complessivamente sul sistema economico dell'Isola;
          in particolar modo si faceva rilevare che risultava chiaro e documentabile che i due soggetti operano in regime di posizione dominante e abusiva proprio in conseguenza della condizione insulare della Sardegna;
          in tal senso si rilevava un comportamento sostanzialmente acquiescente da parte dei soggetti pubblici chiamati ad affrontare e dirimere la questione energetica sarda;
          alle note questioni legate alla gestione dell'approvvigionamento elettrico delle industrie energivore si aggiunge la questione legata alle capacità di generazione elettrica delle centrali di Enel ed E.On;
          le condizioni tecnologiche e industriali delle principali centrali sarde costituiscono sul piano delle fonti di approvvigionamento e sull'economicità un vero e proprio vulnus per la Sardegna;
          risulta evidente che la mancata realizzazione di investimenti adeguati e funzionali all'adeguamento tecnologico delle centrali e il continuo ricorso a deroghe produttive ambientali aggravano sempre di più una situazione di totale condizionamento energetico, di fatto monopolista, sulla testa della Sardegna e dei sardi;
          i mancati investimenti costituiscono l'ulteriore conferma dell'atteggiamento secondo l'interrogante vessatorio e ricattatorio dei produttori di energia elettrica che preferiscono tenere in funzione centrali vecchie, inquinanti ed obsolete con la piena consapevolezza che la Sardegna è comunque costretta, proprio per la sua condizione insulare, ad approvvigionarsi a qualunque costo dai soggetti monopolisti;
          in questa strategia «ricattatoria» conseguenza della posizione dominante si colloca la dichiarazione resa dalla società E.On che ha comunicato di non voler più realizzare l'investimento previsto per la realizzazione di due nuovi gruppi a carbone al posto di due vecchi ed obsoleti gruppi ad olio combustibile;
          la società E.On ha, infatti, comunicato alle autorità locali che «allo stato, non vede ragioni che giustifichino la realizzazione del nuovo gruppo a carbone»;
          in tali mancate ragioni si intravvede anche la decisione della società Terna di proporre l'inserimento della centrale di Fiumesanto tra quelle definite «impianti essenziali» che consente sostanzialmente alla società E.On di percepire un compenso a prescindere dal funzionamento della centrale e nel contempo di avanzare pretese su una nuova deroga ambientale all'esercizio;
          la centrale termoelettrica di Fiume Santo, è la più grande della Sardegna e svolge un ruolo fondamentale per il sistema elettrico dell'isola ed è composta da due gruppi (denominati 1 e 2) alimentati ad olio combustibile da 160 megawatt ciascuno, da due gruppi (denominati 3 e 4) alimentati a carbone da 320 megawatt ciascuno e da due gruppi «turbogas» alimentati a gasolio da 40 megawatt ciascuno, per un totale complessivo di 1040 megawatt di potenza;
          dal sito stesso della centrale parte il cavo elettrico SAPEI da 1000 megawatt che è stato realizzato recentemente da Terna con un investimento di circa 700 milioni di euro e che collega la Sardegna con la penisola italiana;
          nel gennaio 2006 Endesa Italia, proprietaria a quel tempo della centrale, ha chiesto l'autorizzazione per la costruzione di un nuovo gruppo a carbone da 410 megawatt in sostituzione dei due gruppi ad olio esistenti che saranno chiusi, per motivi ambientali, entro la fine del 2013 con un esubero di circa 80 unità;
          nel gennaio 2007, a seguito del consenso espresso in merito da tutte le istituzioni locali, la regione ha sottoscritto con Endesa Italia un accordo per la realizzazione del nuovo impianto;
          nel giugno 2008 E.On ha deciso di acquistare la centrale di Fiume Santo;
          nel giugno 2009 la regione, sollecitata da E.On, ha ridiscusso ed accettato di modificare in misura sostanziale i contenuti economici dell'accordo sottoscritto nel 2007 ritenuto troppo oneroso dalla multinazionale tedesca;
          nell'agosto 2010 la regione, con l'intesa degli enti locali, ha sottoscritto con E.On un nuovo accordo che, ribadito il comune interesse rispetto al nuovo gruppo a carbone, intendeva favorire lo sviluppo, da parte dell'Azienda, di nuove iniziative nel campo della produzione di energia fotovoltaica, poi realizzate intorno alla centrale di Fiume Santo;
          nel novembre 2010 si è finalmente concluso il processo autorizzativo del nuovo Gruppo che ha fortemente impegnato, per quasi cinque anni, tre Ministeri e gli innumerevoli soggetti pubblici coinvolti in simili procedure;
          in data 13 giugno 2011 E.On ha chiesto al Ministero dello sviluppo economico la proroga di 36 mesi per la costruzione del V gruppo a carbone a Fiume Santo;
          il Ministero dello sviluppo economico, sentito il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha concesso una proroga di 18 mesi (fino al settembre 2013) rispetto ai 36 richiesti da E.On;
          risulta che E.On non ha intrapreso nessuna delle attività necessarie a rispettare questo nuovo termine;
          risulta che E.On dovrà attuare un importante piano di riduzione del personale a causa del limite di funzionamento degli impianti 1 e 2 nel 2013;
          in data 15 dicembre 2011 la società Terna ha sottoposto all'Autorità per l'energia l'elenco degli impianti di produzione essenziali per la sicurezza del sistema elettrico ai sensi dell'articolo 63, comma 63.1; dell'Allegato A alla delibera dell'Aeeg e il gas n.  111/06;
          l'elenco valido sino al 31 dicembre 2012 prevede i seguenti impianti di produzione essenziali per la sicurezza del sistema elettrico:
              AUGUSTA Enel Produzione Spa; BARI Enel Produzione Spa; CENTRO ENERGIA FERRARA E.ON Energy Trading SE; FIUMESANTO E.ON Energy Trading SE; MILAZZO Edison Trading Spa; MONTEMARTINI Acea Energia Holding; PORCARI Edison Trading Spa; PORTO EMPEDOCLE Enel Produzione Spa; SAN FILIPPO DEL MELA 150kV Edipower Spa; SAN FILIPPO DEL MELA 220kV Edipower Spa; SULCIS Enel Produzione Spa; TRAPANI TURBOGAS E.ON Energy Trading;
          tale elenco risulta integrato rispetto a quello valido per l'anno 2011 degli impianti di produzione essenziali per la sicurezza del sistema elettrico ai sensi dell'articolo 63, comma 63.1, dell'Allegato A alla delibera dell'Aeeg n.  111/06 che prevedeva le seguenti centrali:
              AUGUSTA Enel Produzione Spa; BARI Enel Produzione Spa; MONTEMARTINI AceaElectrabel Trading Spa; PORTO EMPEDOCLE Enel Produzione Spa; SAN FILIPPO DEL MELA 150kV Edipower Spa; SAN FILIPPO DEL MELA 220kV Edipower Spa; SULCIS Enel Produzione Spa; TRAPANI TURBOGAS E.On Energy Trading Spa;
          risulta evidente l'inserimento tra le centrali definite essenziali di quella di Fiumesanto di proprietà della società E.On;
          Terna SpA nella sua qualità di gestore della rete di trasmissione, provvede al «dispacciamento e bilanciamento» degli impianti di produzione, con l'obiettivo di garantire un equilibrio costante tra l'offerta e la domanda di elettricità nella rete di trasmissione nazionale e, pertanto, la sicurezza e la continuità della fornitura di elettricità;
          il gestore italiano della rete elettrica, la Terna spa, fa ricorso al mercato dei servizi di dispacciamento, dove la domanda proviene da Terna spa e l'offerta dai titolari di impianti dichiarati essenziali;
          nei servizi di dispacciamento i soggetti titolari di centrali essenziali offrono i loro impianti, in un determinato momento, «a disposizione» di Terna SpA, che dispone il loro utilizzo, nel momento indicato, per immettere nel sistema un determinato quantitativo di energia programmato;
          i costi sostenuti da Terna SpA per l'acquisizione dell'energia necessaria alla prestazione di tali servizi vengono compensati con il cosiddetto «uplift», fatturato a tutti i consumatori;
          il servizio di dispacciamento prevede l'individuazione di una serie di infrastrutture considerate «essenziali» per il funzionamento e la sicurezza del sistema elettrico;
          l'inserimento degli impianti in questo contesto di essenzialità comporta l'assoggettamento ad un regime particolare di partecipazione ai mercati elettrici, profondamente riformato nel 2009;
          la riforma del 2009 prevede tra le altre norme la definizione del regime degli impianti essenziali;
          l'elenco degli impianti essenziali è elaborato ogni anno dalla Terna spa secondo i criteri ed il procedimento stabiliti a tale scopo dall'articolo 63 della delibera dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas n.  111/06, come modificato dall'articolo 1, lettera c), della delibera n.  52/09;
          la Terna spa deve stabilire, per ogni proprietario di impianti essenziali, il numero di ore e la potenza considerati essenziali. Le ore restanti e la potenza rimangono a disposizione per il produttore, il quale può offrire il quantitativo che vuole al prezzo desiderato. Per contro, le ore e la potenza dichiarate essenziali sono oggetto di offerte sul mercato del giorno prima, sul mercato infragiornaliero e sul mercato dei servizi di dispacciamento «nel rispetto di vincoli e criteri definiti da Terna con riferimento a ciascun mercato» (articolo 64.2 della delibera n.  111/06);
          la Terna spa indica al proprietario dell'impianto essenziale il quantitativo (ore/potenza) di energia elettrica che deve offrire sul mercato del giorno prima e sul mercato infragiornaliero;
          i titolari di impianti essenziali devono anche offrire sui servizi di dispacciamento il quantitativo di energia prestabilita da Terna spa, che la paga al prezzo di vendita dell'elettricità sul mercato del giorno prima corrispondente alla zona considerata. Se tale prezzo medio risulta inferiore ai costi variabili, al produttore viene corrisposta la differenza (articoli 64.7 e 64.8 della delibera n.  111/06);
          i proprietari di impianti essenziali possono chiedere all'Autorità per l'energia elettrica e il gas di applicare il «regime di reintegrazione dei costi», che consente di percepire un corrispettivo pari alla differenza tra i costi di produzione riconosciuti all'impianto essenziale (fissi e variabili) ed i ricavi dallo stesso conseguiti durante il periodo di inserimento nell'elenco degli impianti essenziali (articolo 63.13 della delibera n.  111/06);
          tale sistema, per molti versi discrezionale, rende la Sardegna doppiamente sotto «ricatto», prima perché la si può rendere sempre meno autonoma sul piano dell'approvvigionamento elettrico e dall'altra, dichiarando tali centrali essenziali, si autorizza di fatto al loro esercizio a prescindere dalle loro condizioni ambientali;
          la decisione di comprendere i due principali gruppi sardi tra le centrali essenziali finisce, dunque, per cristallizzare la condizione di monopolio e vetustà del sistema elettrico sardo aggravando ulteriormente il peso di un ricatto energetico sulla Sardegna;
          il mercato italiano dell'energia elettrica è generalmente altamente concentrato, anche se meno nella zona Nord. L'operatore dominante in tutte le zone è l'ex monopolista ENEL, eccetto in Sardegna dove detiene un duopolio con E.ON;
          ENEL detiene un notevole potere di mercato di cui l'autorità italiana garante della concorrenza ha constatato che ha abusato nel 2004-2005. I prezzi dell'energia elettrica in Italia sono generalmente elevati, per effetto di un mix produttivo in gran parte basato sui combustibili fossili (essenzialmente gas), l'assenza di capacità nucleare e la congestione nei collegamenti verso il resto d'Europa;
          in Sardegna, che rappresenta il 4,1 per cento della potenza installata in Italia l'elettricità è prodotta prevalentemente in centrali termoelettriche utilizzando combustibili fossili (carbone, olio combustibile, tar di raffineria). L'isola non ha un'infrastruttura di distribuzione del gas naturale;
          due società elettriche, ENEL e E.ON, detengono congiuntamente una quota di mercato pari al 95 per cento delle forniture di energia elettrica in Sardegna (circa il 58 per cento per E.ON e il 42 per cento per ENEL). Secondo l'indagine sullo stato di concorrenza nel settore elettrico, in termini concorrenziali la Sardegna può essere classificata come un duopolio a dominanza collettiva;
          la concentrazione di mercato è elevata, benché non sia la più elevata in Italia. Dato il loro controllo su praticamente tutti gli impianti mid-merit e di punta, E.ON e ENEL determinano il prezzo praticamente per tutte le ore;
          secondo i dati riportati dalla Commissione europea emerge il seguente quadro: «i prezzi all'ingrosso dell'elettricità in Italia sono fra i più elevati in Europa, e i prezzi in Sardegna sono fra i più elevati in Italia. Nel 2007 il prezzo medio nazionale (PUN) è stato di 70,99 euro al MW/h mentre il prezzo zonale sardo medio è stato di 75 euro al MW/h, rispetto agli 80 euro al MW/h del 2006. Nel 2008 e 2009 è continuata la tendenza al rialzo del prezzo medio zonale sardo. Nella prima metà del 2009 la Sardegna si è attestata costantemente al di sopra della media nazionale (con un prezzo medio di 106,60 euro al MW/h rispetto a un PUN di 60,50 al MW/h). Non sono disponibili i prezzi relativi ai contratti bilaterali in Sardegna, in quanto tali dati non sono di pubblico dominio e l'Italia non ha inteso fornirli»;
          secondo la Commissione europea «il mercato dell'energia elettrica in Sardegna presenta una serie di problemi (alcuni dei quali, tuttavia, sono comuni al resto d'Italia) che possono essere riassunti come segue: prezzi elevati, forte grado di concentrazione del mercato, potere di mercato degli operatori dominanti, capacità di produzione eccedentaria nel segmento ad alto costo, relativa inefficienza delle centrali di produzione che stanno diventando obsolete, assenza di accesso all'infrastruttura del gas naturale, carenza di interconnessione»;
          la Commissione europea per quanto riguarda la natura del problema di concorrenza in Sardegna rileva quanto segue: «I prezzi elevati in Sardegna sono il frutto di una combinazione di fattori: l'insufficiente interconnessione, la struttura dei costi del portafoglio di generazione e il potere di mercato dei due principali generatori»;
          la relazione dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas sullo stato del mercato dell'energia elettrica e del gas naturale e sullo stato di utilizzo ed integrazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili del 29 gennaio 2010 riscontra un livello di competizione piuttosto scarso, dovuto principalmente ad insufficienze di tipo infrastrutturale. Le situazioni più critiche si registrano nelle zone Sicilia e Sardegna (isole), dovute principalmente alla inadeguatezza delle interconnessioni tra il sistema elettrico delle isole e quello dell'Italia peninsulare (continente);
          l'andamento dei prezzi zonali di vendita nel mercato del giorno prima (MGP) dal 2005 al 2009 testimonia tali differenze strutturali. Il 2009 registra un brusco calo dei prezzi ma in misura nettamente inferiore in Sardegna rispetto alle altre zone (–11 per cento in Sardegna rispetto ad una diminuzione compresa fra il 26 per cento e il 32 per cento nelle altre zone). L'andamento degli ultimi anni sembra così consolidare il divario fra i prezzi nelle isole e nel continente. Assumendo a riferimento i livelli dei prezzi del 2005, nel 2009 i prezzi nel continente sono aumentati – a seconda della zona – fra lo zero e il 5 per cento mentre i prezzi in Sardegna sono aumentati del 36 per cento;
          le situazioni di Sicilia e Sardegna – secondo l'autorità – destano particolare preoccupazione in quanto caratterizzate dalla compresenza di due operatori (o raggruppamenti di operatori nel caso della Sicilia) entrambi dotati di un notevole potere di mercato unilaterale. Esso è misurato dalla indispensabilità della capacità produttiva riferibile ad un medesimo operatore (o raggruppamento di operatori) ai fini del soddisfacimento del fabbisogno di energia e di riserva di potenza (necessaria a Terna per garantire la sicurezza del sistema);
          le isole, del resto, come già evidenziato, ribadisce la relazione, sono strutturalmente caratterizzate da livelli di prezzo sensibilmente superiori a quelli delle altre aree del Paese. Dette differenze nei livelli dei prezzi – secondo l'autorità – non sono riconducibili interamente a differenze nella struttura di costo del rispettivo parco produttivo quanto, piuttosto, al potere di mercato unilaterale di cui godono i produttori in Sardegna  –:
          se i Ministri interrogati non ritengano necessario promuovere per quanto di competenza un'immediata conferenza dei servizi relativamente alla situazione energetica della Sardegna considerata, secondo l'interrogante, l'esistenza di un cartello dominante che condizioni pesantemente il sistema economico e produttivo dell'isola;
          se i Ministri interrogati non ritengano di dover valutare l'opportunità di revocare tutte le proroghe e le deroghe concesse al fine di riconsiderare l'affidabilità del soggetto E.On, posto che il tempo intercorso dall'autorizzazione alla realizzazione dei nuovi gruppi è stato totalmente inutilizzato;
          se non ritengano necessario valutare in maniera oggettiva il mancato rispetto degli accordi e degli impegni sottoscritti e adottare tutte le conseguenti decisioni sanzionatorie;
          se non ritenga di dover valutare con maggior attenzione le ragioni che hanno portato la società Terna a definire «essenziale» anche la centrale di Fiumesanto, garantendo di fatto alla società E.On lauti guadagni a prescindere sia dal funzionamento che dall'adeguamento tecnologico;
          se non ritenga di far conoscere le comunicazioni formali intervenute da parte di E.ON relativamente al cessato interesse alla realizzazione del nuovo gruppo a carbone e all'eventuale richiesta di proroga di esercizio delle centrali a olio combustibile;
          se e quali iniziative il Ministero dello sviluppo economico intenda porre in essere per evitare il licenziamento delle circa 80 unità produttive impiegate nei gruppi 1 e 2 prevista nel 2013;
          se il Ministero dello sviluppo economico intenda attivarsi per verificare l'esistenza di un interesse di altri gruppi industriali per la realizzazione dell'opera della nuova centrale di Fiumesanto che possa consentire il mantenimento del potenziale del sistema elettrico sardo e della sua riqualificazione;
          se intenda attivarsi preventivamente per garantire la ricollocazione o il mantenimento in servizio degli esuberi previsti;
          se e quali iniziative il Ministero dello sviluppo economico intenda porre in essere anche sollecitando opportunamente E.ON affinché, eventualmente attraverso la partecipazione di altri soggetti, a seguito di un apposito beauty contest, possa giungersi comunque alla realizzazione del nuovo gruppo a carbone. (5-06819)

Interrogazioni a risposta scritta:


      EVANGELISTI, BARANI e RIGONI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          Teleriviera, la storica emittente tv apuana che trasmette ormai da 35 anni (è nata nel 1977), si spegnerà il primo giugno 2012, come ha confermato, tramite facebook, lo stesso Giuseppe Annunziata, fondatore, proprietario, amministratore e «anima» dell'emittente, dichiarandosi vittima dell'avvento del digitale terrestre e della riorganizzazione delle frequenze tv;
          dal 19 novembre sono iniziate le trasmissioni in digitale e la visibilità del segnale di Teleriviera inizialmente era perfetta; il 22 dicembre successivo, malgrado il citato Annunziata avesse chiesto e ottenuto di essere veicolato da Canale 39 Versilia in quanto serviva lo stesso bacino. Antenna 3 accese i propri ripetitori, essendo stata ripescata tra le escluse, e a causa di quello che agli interroganti appare un improvvido errore del Ministero venne concesse a quest'ultima la stessa frequenza già in uso a Canale 39 (canale UHF 21), creando di fatto un'incompatibilità tra i due segnali che si annullano a vicenda;
          lo stesso Annunziata, segnalò tempestivamente al ministero le difficoltà che si erano venute a creare ma solo a metà febbraio l'ispettorato territoriale della Toscana effettuò le verifiche rilevando la lamentata incompatibilità e la necessità di cambiare la frequenza ad Antenna 3;
          il 1o marzo 2012 il citato ispettorato ha trasmesso una nota con la quale si chiedeva alla direzione generale del Ministero dello sviluppo economico di autorizzare il cambio frequenza individuando il canale UHF 23;
          prima di intentare una causa per danni, il 24 aprile 2012 lo stesso Annunziata aveva fatto recapitare dal proprio legale una lettera al ministro interrogato attraverso la quale si fissava un termine di 8 giorni per risolvere il problema; il 3 maggio l'ispettorato territoriale inviava lettera alla direzione generale con la quale veniva espresso parere favorevole a concedere ad Antenna 3 l'utilizzo del canale 10, sempre che non fosse già utilizzato da altri; è stato comunicato al citato Annunziata che i tempi di risoluzione del problema sarebbero stati comunque molto lunghi;
          dopo 5 mesi di sole spese e nessun ricavo e con la previsione di gettare al vento altre decine se non centinaia di migliaia di euro. Annunziata ha dovuto licenziare i dipendenti e fissare al 31 maggio la cessazione dell'attività dell'emittente  –:
          se sia stato informato della vicenda di cui alla premessa;
          quali urgenti iniziative intenda adottare per dare seguito a quanto già chiarito in sede di carteggio tra l'ispettorato territoriale della Toscana e la direzione generale del Ministero in merito all'assegnazione delle corrette frequenze tv citate. (4-15983)


      BITONCI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          nelle scorse settimane, organi di stampa locali di Padova (Mattino di Padova del 24 aprile 2012) riportano la notizia secondo la quale l'azienda Filippi di Arsego (Padova), azienda tra le più importanti del mercato europeo nella produzione di forni a incasso elettrici, a seguito di una grave crisi dovuta all'attuale recessione economica, abbia comunicato ai sindacati l'avvio della procedura di mobilità per tutti i dipendenti per cessata attività, nonostante peraltro, nel mese di marzo, la stessa azienda avesse rinnovato ai propri dipendenti il contratto di solidarietà;
          l'azienda, da decenni radicata profondamente nel territorio padovano, starebbe valutando la possibilità di trasferire la produzione all'estero, mentre l'attuale difficile situazione occupazionale nello stabilimento padovano potrebbe comportare la cessazione dal lavoro per 234 tra persone ed impiegati;
          la eventuale scelta aziendale di delocalizzare all'estero, motivata solitamente da ragioni di minor costo del lavoro, dovrebbe altresì considerare come la manodopera veneta rappresenti da sempre uno dei punti di forza per il mondo imprenditoriale, ragion per cui il maggior costo industriale dei lavoratori italiani rispetto alla manodopera di altri Paesi è motivato da una più ragguardevole professionalità tecnica e qualitativa  –:
          se non ritengano opportuno avviare un'opera di moral suasion e adoperarsi presso tutte le sedi competenti, affinché possa scongiurarsi il rischio di delocalizzazione della produzione e, conseguentemente, si possano salvaguardare i livelli occupazionali delle famiglie interessate dalla cessazione della attività della Filippi Srl. (4-15984)

Apposizione di firme a una mozione.

      La mozione Volontè e altri n.  1-00922, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 marzo 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Fabi, Laura Molteni.

Apposizione di firme a risoluzioni.

      La risoluzione in Commissione Callegari n.  7-00707, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 ottobre 2011, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Paolo Russo, Delfino, Di Giuseppe, Oliverio, Ruvolo, Agostini, Biava, Brandolini, Marco Carra, Cenni, Dal Moro, Fogliato, Miserotti, Negro, Mario Pepe (PD), Rainieri, Servodio, Taddei, Trappolino, Zucchi.

      La risoluzione in Commissione Damiano e altri n.  7-00799, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 febbraio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Miglioli, Bobba, Moffa, Ceccacci Rubino, Pelino, Munerato, Santagata, Gnecchi, Berretta, Santori.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

      L'interrogazione a risposta in Commissione Bellanova n.  5-06123, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 febbraio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Servodio.

      L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Fluvi n.  5-06803, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 maggio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fogliardi.

Pubblicazione di testi riformulati.

      Si pubblica il testo riformulato della mozione Mogherini Rebesani n.  1-00971, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n.  611 del 26 marzo 2012.

      La Camera,
          premesso che:
              il rischio della proliferazione nucleare e di un uso di armi nucleari, anche su scala regionale, rappresenta a tutt'oggi una minaccia ancora presente nel contesto internazionale, non solo in considerazione della condotta di alcuni Stati che minacciano di mettere a repentaglio il regime di progressivo disarmo, non proliferazione ed uso pacifico del nucleare codificato dal trattato di non proliferazione nucleare, ma anche alla luce di nuove minacce di natura asimmetrica come quella rappresentata dal terrorismo internazionale;
              nel corso degli ultimi anni, proprio la consapevolezza di tale scenario ha prodotto numerose iniziative assunte per incoraggiare la comunità internazionale a procedere concretamente verso l'obiettivo di un mondo libero da armi nucleari, superando progressivamente la logica della deterrenza, attraverso trattati internazionali per la riduzione degli armamenti, dichiarazioni di principio, revisioni delle concezioni strategiche e delle dottrine nucleari di singoli Paesi e di alleanze militari internazionali;
              in questo ambito di grande rilievo ed impulso per l'intera comunità internazionale è stata la nuova politica adottata dall'amministrazione Usa, inaugurata con il discorso pronunciato dal Presidente Obama il 5 aprile 2009 a Praga, nel quale è stato indicato alla comunità internazionale l'obiettivo di «un mondo senza armi nucleari», da conseguire attraverso la riduzione degli arsenali nucleari, la messa al bando globale dei test nucleari – anche attraverso una ratifica del Trattato per il bando totale delle esplosioni nucleari (Comprehensive Test Ban Treaty – Ctbt) da parte statunitense, la moratoria della produzione dei materiali fissili utilizzati per la costruzione di armi nucleari, il rafforzamento dell'autorità preposta alle ispezioni internazionali, il ripensamento della cooperazione nucleare a scopi civili;
              il 23 giugno 2009, la Camera dei deputati e il 17 dicembre 2009 il Senato della Repubblica hanno approvato mozioni parlamentari sostenute da larghissimo consenso, che incoraggiano il Governo italiano a lavorare, in ogni sede internazionale multilaterale, per raggiungere l'obiettivo di un mondo libero da armi nucleari;
              il 26 febbraio 2010 i Ministri degli affari esteri di Germania, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo e Norvegia hanno inviato una lettera al Segretario generale della Nato per richiedere l'apertura di un ampio dibattito in seno all'Alleanza atlantica, con particolare riferimento alla prospettiva di una riduzione e di un ritiro delle armi nucleari tattiche statunitensi presenti sul territorio europeo;
              il Parlamento europeo ha approvato con voto bipartisan il 10 marzo 2010 una risoluzione che «richiama l'attenzione sull'anacronismo strategico delle armi tattiche nucleari e sulla necessità che l'Europa contribuisca alla loro riduzione ed eliminazione dal proprio territorio nel contesto di un dialogo di più ampio respiro con la Russia; prende atto in tale contesto della decisione adottata il 24 ottobre 2009 dal Governo di coalizione tedesco di adoperarsi per il ritiro delle armi nucleari dalla Germania nell'ambito del processo globale di conseguimento di un mondo denuclearizzato; si compiace della lettera inviata il 26 febbraio 2010 dai Ministri degli affari esteri di Germania, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo e Norvegia al Segretario generale della Nato, in cui si chiede l'avvio di un ampio dibattito in seno all'Alleanza sulle modalità di conseguimento dell'obiettivo politico generale di un mondo senza armi nucleari». Nella stessa risoluzione si ribadisce come «nell'ambito degli accordi di condivisione nucleare o degli accordi bilaterali in ambito Nato sono a tutt'oggi schierate in cinque Paesi membri non nucleari dell'Alleanza 150-200 armi tattiche nucleari (Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi e Turchia)»;
              il Consiglio dell'Unione europea nella decisione 2010/212/CFSP del 29 marzo 2010, relativa alla posizione dell'Unione europea nella Conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione nucleare, del 2010, con esplicito riferimento alle armi nucleari non-strategiche ha esortato «tutti gli Stati che posseggono tali armi ad includerle nei rispettivi processi generali di controllo degli armamenti e di disarmo, in vista della loro riduzione ed eliminazione secondo modalità verificabili e irreversibili»;
              nella nuclear posture Review pubblicata dal Dipartimento della difesa degli Usa il 6 aprile 2010, l'amministrazione statunitense ridefinisce la sua dottrina strategica, a partire da una riduzione del ruolo e del numero delle armi nucleari nella politica di sicurezza nazionale e afferma che: «sebbene le armi nucleari abbiano dimostrato di essere una componente chiave delle assicurazioni americane agli alleati e partner, gli Stati Uniti hanno fatto sempre più affidamento su elementi non-nucleari per rafforzare le architetture di sicurezza regionali, tra cui una presenza avanzata di forze convenzionali americane ed efficaci difese di teatro contro i missili balistici. Con la progressiva riduzione del ruolo delle armi nucleari nella strategia di sicurezza nazionale statunitense, questi elementi non nucleari assumeranno una quota maggiore degli oneri di deterrenza. Inoltre, un elemento indispensabile di un'efficace deterrenza regionale è non solo di tipo non-nucleare, ma anche non militare – i solidi legami politici di fiducia tra gli Stati Uniti e i loro alleati e partner»;
              l'8 aprile 2010 a Praga è stato sottoscritto dal Presidente americano Obama e da quello russo Medvedev il nuovo Trattato sulla riduzione degli arsenali nucleari (New Strategie Arms Reduction - Treaty – New Start), ratificato il 22 dicembre 2010 dal Senato Usa e il 25 e 26 gennaio 2011 dalla Duma e dal Consiglio federale della Federazione russa;
              il 28 maggio 2010 si è conclusa a New York la Conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione nucleare con l'approvazione di un documento finale consensuale che contiene un piano d'azione in 64 punti. Dopo il fallimento della Conferenza di riesame del 2005, si è così raggiunto un accordo unanime su misure concrete: rilancio delle «garanzie negative di sicurezza»; invito a ratificare il Trattato per il bando totale delle esplosioni nucleari (Comprehensive Test Ban Treaty – Ctbt); sollecitazione a concludere un trattato per il bando della produzione di materiali fissili e la riduzione di quelli esistenti (Fissile Material Cutoff Treaty – Fmct) sotto il controllo dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Iaea); convocazione di una conferenza internazionale nel 2012 per realizzare una zona priva di armi di distruzione di massa e dei rispettivi vettori in Medio Oriente;
              il 3 giugno 2010 la Camera dei deputati ha approvato una nuova mozione parlamentare, con consenso unanime, che impegna, tra le altre cose, il Governo italiano «ad approfondire con gli alleati, nel quadro del nuovo concetto strategico della Nato di prossima approvazione, il ruolo delle armi nucleari sub-strategiche, e a sostenere l'opportunità di addivenire – tramite passi misurati, concreti e comunque concertati tra gli alleati – ad una loro progressiva ulteriore riduzione, nella prospettiva della loro eliminazione»;
              il 19 novembre 2010 è stato adottato a Lisbona il nuovo «Concetto strategico per la difesa e sicurezza dei membri della Nato» dal titolo «Active Engagement, Modern Defence», che – pur ribadendo che finché esisteranno armi nucleari, la Nato resterà un’«alleanza nucleare» – assume l'impegno «a realizzare un mondo più sicuro per tutti e a creare le condizioni per un mondo senza armi nucleari, conformemente agli obiettivi del Trattato di non proliferazione nucleare, in modo da promuovere la stabilità internazionale sulla base del principio di una sicurezza immutata per tutti»;
              nel nuovo concetto strategico della Nato, i Paesi Alleati affermano inoltre che «con i cambiamenti nel contesto della sicurezza dopo la fine della Guerra fredda, abbiamo ridotto drasticamente il numero di armi nucleari presenti in Europa e la nostra dipendenza dalle armi nucleari nell'ambito della strategia della Nato. Ci adopereremo per creare le condizioni per ulteriori riduzioni in futuro», sulla base del principio che «il controllo degli armamenti, il disarmo e la non proliferazione contribuiscono alla pace, alla sicurezza e alla stabilità internazionale, garantendo una sicurezza immutata per tutti i membri dell'Alleanza»;
              nell'ambito della stessa revisione strategica che si è compiuta in sede Nato si è riconosciuto che l'alleanza ha drasticamente ridotto il numero di armi nucleari di stanza in Europa, oltre che l'affidamento sulle armi nucleari nella strategia Nato. L'alleanza ha ribadito, del resto, che «la garanzia suprema della sicurezza degli Alleati è assicurata dalle forze nucleari strategiche, in particolare quelle degli Usa; le forze nucleari strategiche indipendenti di Gran Bretagna e Francia, che hanno un loro proprio ruolo deterrente, contribuiscono alla complessiva deterrenza e sicurezza degli Alleati»;
              così come stabilito dalla dichiarazione del summit di Lisbona del 20 novembre 2010, l'adozione del nuovo concetto strategico della Nato ha dato avvio alla «Nato's Defence and Deterrence Posture Review», un processo di revisione dell'intera posizione dell'Alleanza in materia nucleare, convenzionale e missilistica, che si concluderà nel vertice previsto nel maggio 2012 negli Usa a Chicago;
              il 14 aprile 2011 è stato sottoscritto al vertice dei ministri degli esteri Nato a Berlino, da parte di Polonia, Norvegia, Germania e Paesi Bassi, un «non-paper sul rafforzamento della trasparenza e della fiducia in relazione alle armi nucleari tattiche in Europa» indirizzato al Segretario generale della Nato. Il documento ha ricevuto il sostegno di Belgio, Repubblica Ceca, Ungheria, Islanda, Lussemburgo e Slovenia. Tale iniziativa ha inteso sollecitare un più sistematico dialogo tra Nato e Federazione russa, con l'adozione di una serie di misure di trasparenza reciproca tra Usa e Russia che possano favorire una progressiva riduzione e una successiva definitiva eliminazione delle armi nucleari tattiche dal territorio europeo;
              il 27 maggio 2011 è stata approvata la «Dichiarazione sulla non proliferazione e sul disarmo» al vertice G8 di Deauville, in Francia. In essa, è stato riaffermato il sostegno incondizionato al Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp) come pietra angolare del regime internazionale di non proliferazione; è stato rivolto un appello «a tutti gli Stati non ancora parti del trattato di non proliferazione (Tnp), della Convenzione sulle armi chimiche (Cwc) e della Convenzione sulle armi biologiche e tossiche (Btwc), ad aderire senza indugio»; è stato riaffermato l'impegno a dare attuazione alle decisioni della Conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione nucleare del 2010 per quanto riguarda la «costituzione in Medio Oriente di una zona libera dalle armi nucleari e dalle altre armi di distruzione di massa», facendo tutti gli sforzi necessari alla preparazione della conferenza che si terrà nel 2012; è stato confermato l'impegno per la «cessazione definitiva di tutti i test sulle armi nucleari, attraverso una rapida entrata in vigore del «Comprehensive Nuclear-Test-Ban Treaty» (Ctbt) e una sua universalizzazione» e ribadito il «sostegno per il lavoro svolto dal “Comprehensive Nuclear-Test-Ban Treaty Organization”, (Ctbto), nella costruzione di tutti gli elementi del regime di verifica, in particolare il Sistema di monitoraggio internazionale (Ims) e le ispezioni in loco»; è stato rivolto un invito a tutti gli Stati partecipanti alla Conferenza sul disarmo affinché avviino immediatamente negoziati internazionali per giungere alla conclusione di un trattato sulla messa al bando della produzione di materiale fissile;
              nel dicembre 2011, la «Nuclear Threat Initiative» ha pubblicato il rapporto «Reducing Nuclear Risks in Europe: A Framework for Action», accompagnato da 10 obiettivi concreti (10 per il 2012) indicati dall'ex senatore americano Sam Nunn in vista del vertice Nato di maggio 2012 a Chicago, che mirano a sottolineare tra l'altro la necessità di cambiare lo status delle armi nucleari tattiche in Europa, assumendo l'obiettivo di completarne il rientro in territorio statunitense nell'arco dei prossimi cinque anni, definendo i passaggi intermedi e la tempistica definitiva dell'implementazione di questo obiettivo in base agli sviluppi del più ampio contesto politico e di sicurezza nelle relazioni tra Nato e Federazione russa,

impegna il Governo:

          a svolgere un ruolo attivo a sostegno delle misure di disarmo e di non proliferazione nucleare in tutte le sedi internazionali proprie e, in particolare, in vista del prossimo vertice Nato di maggio 2012 a Chicago, a sostenere nell'ambito della «Defence and Deterrence Posture Review» l'assunzione di una «declaratory policy» della Nato che indichi come scopo fondamentale delle sue armi nucleari la deterrenza dell'uso di armi nucleari da parte di altri, in linea con le «declaratory policies» di Usa e Gran Bretagna in materia di impiego dell'arma nucleare e di garanzie negative di sicurezza, e che incoraggi contestualmente la riduzione del ruolo degli arsenali tattici per la deterrenza nucleare;
          a sostenere, nell'ambito della «Defence and Deterrence Posture Review» e in vista del prossimo vertice Nato di maggio 2012 a Chicago, l'opportunità di rafforzare le misure di trasparenza da parte dell'Alleanza atlantica, in coerenza con la politica in materia di arsenali nucleari adottata con la recente «Nuclear Posture Review» degli Usa e coerente con il nuovo concetto strategico della Nato;
          a sostenere, nell'ambito della «Defence and Deterrence Posture Review» e in vista del prossimo vertice Nato di maggio 2012 a Chicago, l'opportunità di ridurre ulteriormente il numero di armi nucleari tattiche in Europa, nella prospettiva della loro eliminazione, anche tramite il sostegno a proposte concrete che consentano di definire, in via consensuale nell'ambito dell'Alleanza atlantica, passaggi intermedi ed una tempistica definitiva per l'implementazione di questo obiettivo, anche in base agli sviluppi del più ampio contesto politico e di sicurezza nelle relazioni tra Nato e Federazione russa e in un quadro di reciprocità;
          a sostenere in occasione del vertice Nato del maggio 2012, l'obiettivo di approfondire le consultazioni e di rafforzare il dialogo tra la Nato e la Federazione russa, a partire dal rilancio delle attività del Consiglio Nato-Russia (NRC), sull'insieme delle questioni relative alla sicurezza euro-atlantica, dalla difesa missilistica alle armi convenzionali e nucleari, per consolidare la fiducia reciproca e per favorire l'adozione, su base volontaria, di misure di trasparenza, di sicurezza, di monitoraggio, di riduzione ulteriore dello stato di operatività dei sistemi di arma nucleare in modo da promuovere la stabilità e la sicurezza internazionale (conclusioni della conferenza sul riesame del Trattato di non proliferazione nucleare del 2010, azione 5e) e di progressiva riduzione delle armi nucleari tattiche in Europa, nella prospettiva della loro eliminazione;
          a contribuire nelle sedi internazionali proprie, in coerenza con gli obiettivi già indicati dal vertice G8 dell'Aquila, alla piena realizzazione degli impegni assunti a conclusione della Conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione nucleare del maggio 2010, operando per il rafforzamento del regime internazionale di non proliferazione, per l'attuazione del sistema delle «garanzie negative di sicurezza», per l'entrata in vigore del Trattato per la messa al bando delle sperimentazioni, per l'avvio di negoziati per la messa al bando della produzione di materiale fissile (Fmct), per la realizzazione di una zona priva di armi di distruzione di massa e dei rispettivi vettori in Medio Oriente e per l'adozione universale del protocollo aggiuntivo dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica, con l'obiettivo di consolidare le capacità ispettive dell'agenzia;
          a promuovere la formazione relativa alla materia del disarmo, della non proliferazione e del controllo degli armamenti, nel quadro delle Nazioni Unite, dell'Unione europea e sul piano nazionale, con particolare riferimento, in quest'ultimo caso, alla formazione professionale dei funzionari diplomatici e degli ufficiali delle Forze armate.
(1-00971)
(Nuova formulazione) «Mogherini Rebesani, La Malfa, Boniver, Pezzotta, Paglia, Mosella, Commercio, Baccini, Boccuzzi, Bossa, Brandolini, Cambursano, Marco Carra, Coscia, De Biasi, D'Incecco, Farinone, Grassi, Marchi, Mattesini, Melandri, Menia, Moles, Motta, Nicco, Peluffo, Pistelli, Porta, Rosato, Rubinato, Rugghia, Sbrollini, Servodio, Siragusa, Codurelli».
(26 marzo 2012)

      Si pubblica il testo riformulato della mozione Vernetti n.  1-00996, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n.  615 del 2 aprile 2012.

      La Camera,
          premesso che:
              negli ultimi mesi nella Repubblica di Ucraina sono state intentate diverse azioni penali a carico di esponenti del precedente Governo, ai sensi degli articoli 364 (abuso d'ufficio) e 365 (abuso di pubblici poteri) del codice penale ucraino;
              il 5 agosto 2011 il tribunale di Kiev, nel corso del processo che vedeva imputata Yulia Tymoshenko per aver stipulato un contratto per la fornitura di gas russo all'Ucraina senza aver avuto il preventivo consenso del Governo, ha ordinato l'arresto dell'ex Primo ministro ucraino;
              l'arresto di Yulia Tymoshenko ha fatto seguito a quello del suo ex Ministro dell'interno Yuriy Lutsenko, detenuto in carcere da tre anni con la medesima accusa;
              l'11 ottobre 2011 Yulia Tymoshenko è stata condannata a 7 anni di carcere;
              attualmente, oltre all'ex Primo ministro e al suo Ministro dell'interno, in carcere si trovano anche: l'ex Ministro della difesa Ivashchenko e l'ex Primo Viceministro Korniychuk;
              il campo di applicazione degli articoli 364 e 365 del codice penale ucraino è oggettivamente troppo vasto e permette una penalizzazione retroattiva del normale processo di decisione politica come successo nel caso dell'ex Primo Ministro dell'Ucraina onorevole Yulia Tymoshenko colpevole, a giudizio del tribunale che l'ha giudicata, di avere concluso un accordo sulle forniture di gas ucraino economicamente svantaggiose per il proprio Paese;
              i procedimenti penali di cui sopra sono stati criticati da diversi organismi internazionali a partire dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa che ha adottato il 26 gennaio 2012 la risoluzione n.  1862 del 2012 sul «Funzionamento delle istituzioni democratiche in Ucraina», con la quale ha criticato le manchevolezze del procedimento frutto di lacune sistemiche del sistema giudiziario ucraino;
              la medesima risoluzione ha poi criticato la «mancanza d'indipendenza della magistratura, l'eccessivo ricorso alla custodia cautelare e la durata della medesima, la disparità tra gli strumenti a disposizione dell'accusa e della difesa e gli argomenti giuridici non pertinenti addotti dai magistrati inquirenti e giudicanti nei documenti e nelle decisioni ufficiali»;
              nelle ultime settimane le condizioni di salute dell'ex Ministro dell'interno, dell'ex Ministro della difesa e della stessa Yulia Tymoshenko sono particolarmente peggiorate, tanto che il 16 marzo 2012 la Corte europea dei diritti dell'uomo ha intimato le autorità ucraine di fornirle le necessarie cure mediche. Una settimana dopo, però, Il Parlamento ucraino ha votato contro il ricovero della Tymoshenko in una clinica specializzata, ignorando così la richiesta avanzata dalla Corte di Strasburgo;
              al momento da quanto si apprende sarebbero in corso trattative tra Ucraina e Germania per un possibile ricovero della Tymoshenko in una clinica tedesca;
              l'onorevole Yulia Timoshenko è candidata a premio Nobel per la pace per il suo impegno profuso come leader della cosiddetta «rivoluzione arancione» per la transizione democratica dell'Ucraina e per la promozione del dialogo e della tolleranza fra le diverse componenti della società ucraina;
              le prossime elezioni politiche parlamentari in Ucraina, previste nel mese di ottobre del 2012, costituiranno un decisivo banco di prova per verificare l'adesione dell'Ucraina agli standard internazionali di rispetto dei diritti umani e la realizzazione di un processo elettorale trasparente, accessibile ed equo;
              in occasione di tali elezioni vi sarà una significativa missione internazionale di monitoraggio elettorale alla quale il Parlamento italiano non farà venire meno il proprio sostegno;
              l'azione dell'Unione europea, e dei suoi leader politici, nei confronti dell'attuale Governo ucraino si inquadra nel percorso di una sempre maggiore integrazione dell'economia ucraina nello spazio economico europeo; scelta strategica questa confermata dal vertice Ucraina-Unione europea tenutosi a Kiev il 19 dicembre 2011;
              tale integrazione sarà però possibile solo di fronte ad una serie di riforme radicali nel settore giudiziario, dello Stato di diritto, della difesa dei diritti umani fondamentali, degli standard democratici senza le quali non sarà possibile giungere all'accordo di associazione tra Ucraina e Unione europea;
              il Governo italiano, in contatto coi principali partner europei, ha costantemente seguito la preoccupante situazione dello stato di diritto in Ucraina,

impegna il Governo:

          a continuare a coordinarsi con i partner europei in vista di ulteriori passi formali nei confronti della Repubblica di Ucraina per richiedere il pieno rispetto dei diritti dell'ex Primo Ministro onorevole Yulia Tymoshenko, dell'ex Ministro dell'interno Juriy Lutsenko e dell'ex Ministro della difesa ad interim onorevole Valeriy Ivashchenko ad una adeguata assistenza medica e a tutte le garanzie di difesa legale, nonché la soluzione di tali casi anche attraverso il loro rilascio per ragioni umanitarie;
          a sollecitare le autorità ucraine affinché vengano consentite, senza precondizioni, visite in carcere agli esponenti del precedente Governo da parte di equipe mediche indipendenti, nonché delle delegazioni del Consiglio d'Europa, dell'Unione europea, dell'OSCE e dei Parlamenti nazionali che ne faranno richiesta;
          a subordinare il parere favorevole del Governo italiano alla firma dell'Accordo di associazione fra Ucraina e Unione europea alla realizzazione di sostanziali ed incisive riforme nel settore giudiziario, dello stato di diritto, della difesa dei diritti umani fondamentali, e del miglioramento degli standard democratici;
          a non escludere a priori alcuna opzione che possa rivelarsi utile per conseguire l'obiettivo di ottenere un trattamento equo ed umano dell'ex Premier Timoshenko e degli altri esponenti in carcere, mantenendo una stretta consultazione con i partner europei, inclusa la eventualità di declinare inviti ufficiali a partecipare alle cerimonie celebrative dei prossimi europei di calcio che si svolgeranno in Ucraina.
(1-00996)
(Nuova formulazione) «Vernetti, Tempestini, Calabria, Volontè, Evangelisti, Misiti, Menia, Brugger, Santori, Nucara, Moffa, Adornato, Binetti, Bobba, Boccuzzi, Calgaro, Carella, Castagnetti, Codurelli, Colombo, Concia, Esposito, Farinone, Giulietti, Gnecchi, Losacco, Lusetti, Mantini, Cesare Marini, Mosella, Oliverio, Pistelli, Razzi, Servodio, Strizzolo, Touadi, Mantini, Baldelli, Frattini, Pianetta, Biancofiore, Boniver, Formichella, Di Virgilio, Saltamartini, Barani, Donadi, Di Pietro, Borghesi, Leoluca Orlando, Di Stanislao, Barbato, Cimadoro, Di Giuseppe, Favia, Aniello Formisano, Messina, Monai, Mura, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Porcino, Rota, Zazzera, Miccichè, Fallica, Grimaldi, Iapicca, Pittelli, Pugliese, Soglia, Stagno d'Alcontres, Terranova, Guzzanti, Calearo Ciman, Catone, Cesario, D'Anna, Grassano, Gianni, Lehner, Marmo, Milo, Mottola, Orsini, Pionati, Pisacane, Polidori, Romano, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini, Stasi, Taddei».

Ritiro di documenti di indirizzo.

      I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
          Mozione Misiti n.  1-01023 del 3 maggio 2012;
          Mozione Calabria n.  1-01024 del 3 maggio 2012;
          Mozione Evangelisti n.  1-01025 dell'8 maggio 2012;
          Mozione Guzzanti n.  1-01027 dell'8 maggio 2012.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

      Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore:
          interrogazione a risposta scritta Di Biagio n.  4-15706 del 16 aprile 2012.

ERRATA CORRIGE

      Interrogazione a risposta scritta Gianni Farina n.  4-15961 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n.  628 dell'8 maggio 2012.

      Alla pagina 30338, seconda colonna, alla riga undicesinna, deve leggersi «per poter usufruire» e non «non usufruendo così così», come stampato.

      Alla pagina 30338, seconda colonna, dalla riga quattordicesima alla riga quindicesima, deve leggersi «risulta all'interrogante che da anni ormai la CCIF di Parigi sia commissariata e in gravissima difficoltà,» e non «da anni ormai la CCIF di Parigi sia commissariata in gravissima difficoltà», come stampato.

      Alla pagina 30339, prima colonna, dalla riga ottava alla riga nona, deve leggersi: «aventi luogo in città di primaria importanza nell'Est della Francia. La delegazione» e non «aventi luogo in città di primaria importanza nell'Est della Francia, la delegazione», come stampato.