XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 14 maggio 2012

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta orale:


      POLI e RUGGERI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 26 del decreto-legge n.  98 del 6 luglio 2011 convertito dalla legge n.  111 del 2011 ha confermato anche per il 2012 l'applicabilità dell'imposta sostitutiva del 10 per cento sulle somme correlate a incrementi di produttività, qualità, redditività, innovazione, efficienza organizzativa o a ogni altro elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale;
          tuttavia, il Governo non ha ancora emanato il relativo decreto attuativo concernente la detassazione dei premi produttività 2012, causando enormi difficoltà operative da parte delle stesse aziende che in qualità di sostituti d'imposta, pur in presenza di appositi accordi o contratti collettivi territoriali o aziendali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale, potrebbero optare (e qualche azienda ha già provveduto in tale direzione) per la sospensione dell'agevolazione fiscale in favore degli aventi diritto;
          questo strumento di incentivazione ha sostenuto in gran parte l'occupazione degli anni scorsi ed è stato molto applicato nella gestione dei rapporti di lavoro. Dal luglio 2008 a tutto il 2010 gli incrementi di produttività potevano essere creati e gestiti direttamente dal datore di lavoro, anche senza la formalizzazione di accordi collettivi nazionali, in modo snello, con un semplice accordo siglato con il dipendente;
          la legge di stabilità 2012 (legge n.  183 del 12 novembre 2011, articolo 33, commi 12-14) ha previsto che, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, nell'ambito delle risorse stanziate, dovranno ancora essere definiti per l'anno 2012:
              l'importo massimo assoggettabile all'imposta sostitutiva (che per il 2011 è stato pari a 6.000 euro);
              il limite massimo di reddito dell'anno precedente oltre il quale il titolare non può usufruire dell'agevolazione (che sempre riferito al 2011 è stato pari a 40.000 euro);
          ad oggi non risulta ancora emanato il decreto richiesto dalla norma; la determinazione dell'importo massimo assoggettabile all'imposta sostitutiva e del limite massimo di reddito annuo (oltre il quale il lavoratore non potrà usufruire dell'agevolazione) devono essere stabiliti con apposito decreto, anche se è stato fissato il plafond per l'agevolazione in 835 milioni nel 2012 e 263 milioni nel 2013. Con queste somme a disposizione, nel 2012, dovrebbe realizzassi una sensibile riduzione dei destinatari: il reddito utile dovrebbe scendere da 40 mila euro a 30 mila euro. Mentre le somme agevolabili dovrebbero scendere da 6 mila euro a 2.500 euro;
          il Ministero dell'economia e delle finanze ha affermato che la detassazione non richiede l'emanazione di alcun decreto da parte del Ministero dell'economia e delle finanze e quindi sarebbe possibile operare la riduzione anche per il 2012. In data 19 aprile lo stesso Ministero dell'economia e delle finanze con apposita nota con la quale è stato precisato che la detassazione «non è immediatamente applicabile; è indispensabile, infatti, che la Presidenza del Consiglio dei ministri di concerto con questo Ministero emani preliminarmente un DPCM, per stabilire l'importo massimo assoggettabile all'imposta sostitutiva e il limite massimo di reddito annuo oltre il quale il titolare non può usufruire dell'agevolazione. (articolo 33 — comma 12 — legge 183/2011 – Legge di Stabilità 2012)". Dunque, senza decreto non sussisterebbe alcuna detassazione né incentivo per le assunzioni né aiuti per imprese e lavoratori che potrebbero avere maggiori risorse a disposizione da spendere alimentando così i consumi;
          i danni provocati alle aziende sono molteplici ed è incomprensibile questo ritardo nell'emanazione del decreto. Per le aziende al danno si aggiunge la beffa dei budget annuali predisposti contando su tale riduzione fiscale; budget ora tutti da rivedere perché privi di certezze sul costo del lavoro. Per i lavoratori lo svantaggio è ampio; le somme potenzialmente detassabili (ad esempio sulle ore straordinarie) sono state tassate da gennaio ad oggi con le ordinarie aliquote anziché con quella ridotta al 10 per cento facendo così ridurre il netto in busta paga  –:
          quali siano i motivi del ritardo nella emanazione del decreto attuativo sulla detassazione dei redditi derivanti da premi di produttività disposta dall'articolo 33, comma 12, della legge 12 novembre 2011, n.  183, e quali siano i tempi previsti. (3-02269)


      PEZZOTTA. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          lo straordinario afflusso di profughi provenienti dal nord Africa durante il 2011 aveva reso necessario un programma di accoglienza di emergenza affidato alla protezione civile;
          la stragrande maggioranza dei profughi ha presentato richiesta di asilo e le loro istanze vengono valutate dalle competenti commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale;
          sulla base dei dati fin'ora forniti, ben oltre la metà dei richiedenti asilo ha avuto risposta negativa e molti richiedenti hanno presentato ricorso ai tribunali;
          secondo gli ultimi dati forniti sul sito internet della protezione civile al 13 aprile 2012, 21.146 richiedenti asilo risultano essere in accoglienza di questo sistema, di cui la stragrande maggioranza da oltre 12 mesi;
          il costo giornaliero per persona nei centri di accoglienza del sistema è stato fissato tra 40 e 46 euro per vitto, alloggio e servizi vari alla persona;
          dalla Delegazione dell'UNHCR per il Sud Europa, nonché da numerosi enti di tutela di rifugiati, associazioni e enti locali in data 12 marzo 2012 sono state presentate alcune proposte al Ministro dell'interno;
          tali proposte prevedono il rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo ai profughi, innanzitutto a coloro che hanno avuto risposta negativa alle proprie istanze, in considerazione della loro particolare situazione, essendo stati costretti ad abbandonare la Libia, dove molti avevano vissuto per anni;
          le proposte prevedono altresì un programma di rimpatrio volontario assistito con una dotazione finanziaria realistica e misure per la reintegrazione nei Paesi di origine;
          era stata avanzata anche la proposta di facilitare il ritorno volontario assistito in Libia appena ve ne siano le condizioni, attraverso un programma apposito e sulla base di un accordo con le autorità libiche;
          risulta che fin'ora il Governo non abbia presentato alcun piano per le soluzioni atte a superare la situazione di emergenza, a fornire alle regioni e agli enti locali una prospettiva per quanto riguarda la sorte di queste persone;
          esiste il concreto rischio che oltre 15 mila profughi provenienti dal nord Africa entrino in situazioni di irregolarità di soggiorno;
          le spese per l'accoglienza, senza fornire soluzioni, gravano pesantemente sul bilancio dello Stato;
          le proposte avanzate permetterebbero, in tempi brevi, una forte diminuzione dei costi e della necessità di continuare l'accoglienza  –:
          quale sia il numero di richiedenti asilo attualmente ancora in accoglienza nelle strutture del programma della protezione civile;
          quante persone abbiano avuto il diniego alla loro istanza di asilo;
          quali programmi siano stati istituiti per favorire l'integrazione socio-lavorativa delle persone a cui è stata riconosciuta la protezione;
          quale piano esista per affrontare la condizione socio-legale dei profughi a cui non è stata riconosciuta la protezione da parte delle commissioni territoriali;
          quale piano esista per il superamento della fase di emergenza e dell'inserimento del sistema straordinario di accoglienza in quelli previsti dalla legislazione ordinaria sotto la gestione del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. (3-02271)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      DI BIAGIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          l'adozione internazionale è regolata in Italia dalla legge n.  183 del 1984 modificata dalla legge n.  476 del 1998 di «ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a l'Aja, il 29 maggio 1993»;
          una delle maggiori garanzie poste dalla Convenzione a tutela dei minori è il principio di sussidiarietà, in virtù del quale l'adozione internazionale deve essere vista esclusivamente come estremo rimedio per l'accoglienza dei bambini privi di cure genitoriali. Essa va quindi di regola applicata soltanto laddove non esista nessun'altra possibilità per il minore senza famiglia di essere accolto in una famiglia sostitutiva nel proprio Paese;
          con la ratifica della Convenzione de l'Aja del 1993 l'impegno degli Stati appare chiaro: «ogni Stato dovrebbe adottare, con criterio di priorità, misure appropriate per consentire la permanenza del minore nella famiglia d'origine», e ancora «l'adozione internazionale può offrire l'opportunità di dare una famiglia permanente a quei minori per i quali non può essere trovata una famiglia idonea nei loro Stati di origine»;
          i Paesi che realizzano adozioni internazionali sono quindi tenuti a implementare progetti di cooperazione che consentano, da un lato, la prevenzione dell'abbandono minorile e, dall'altro, il suo superamento attraverso azioni tese al rafforzamento dei legami familiari e al rientro in famiglia oppure, in difetto, all'accoglienza dei minori in un ambiente familiare nel Paese di origine, attraverso l'affidamento o l'adozione nazionale;
          l'obbligo di garantire il rispetto del principio di sussidiarietà non è posto solo a carico dei Paesi di origine di minori, ma anche di quelli cosiddetti «riceventi», come chiarito nel rapporto della Commissione speciale sul funzionamento e la pratica della Convenzione dell'Aja del 1993, redatto il 28 novembre-1o dicembre 2000 dall'ufficio permanente della Conferenza dell'Aja sul diritto internazionale privato;
          il rapporto citato, anche con riferimento alla necessità di evitare che dall'adozione derivi ingiusto lucro per determinati soggetti, giunge alla seguente raccomandazione: «i Paesi riceventi sono chiamati a supportare le azioni svolte nei Paesi di origine per sviluppare i servizi nazionali di protezione dei minori, inclusi programmi per la prevenzione dell'abbandono»;
          nella stessa Convenzione di New York del 1989 gli Stati parte nel preambolo hanno riconosciuto «l'importanza della cooperazione internazionale per il miglioramento delle condizioni di vita dei fanciulli di tutti i paesi, in particolare i paesi in via di sviluppo»;
          già nella delibera del 26 novembre 1998, n.  180 del comitato direzionale presso il Ministero degli affari esteri, contenente le «Linee-guida della cooperazione italiana sulla tematica minorile», era indicata espressamente, tra le strategie d'intervento quella di «combattere il fenomeno della tratta e del mercato dei minori con attività di prevenzione anche in coordinamento con programmi di sostegno a distanza e dove necessario, con le cautele del caso, di adozione internazionale»;
          ci sono Paesi europei che hanno inserito strutturalmente la propria attività di adozione internazionale nel quadro delle politiche ed azioni di cooperazione allo sviluppo. Così la Francia che ha istituito la propria autorità centrale (SAI-Servizio adozioni internazionali) presso il Ministero degli affari esteri nell'ambito del dipartimento dei francesi all'estero e dell'amministrazione consolare (DFAE). La presidenza di questa autorità è attribuita ad un ambasciatore, mentre consolati e ambasciate sono delegati allo svolgimento dei compiti funzionali alla presenza all'estero degli enti autorizzati, al rilascio dei visti per i minori e alla rappresentanza istituzionale dell'Italia all'estero. Quello che caratterizza il sistema francese, dunque, è, non solo l'attuale direzione dell'autorità centrale ad un ambasciatore anziché ad un Ministro, ma anche il fatto che gli uffici dell'autorità fanno parte del dipartimento del Ministero degli affari esteri competente per le attività consolari;
          gli enti italiani autorizzati ad operare all'estero dalla Commissione per le adozioni internazionali si trovano a dover svolgere un elevato numero di adempimenti relativi all'ottenimento dei visti oltre a dovere mantenere rapporti di natura istituzionale con le autorità estere competenti per l'adozione internazionale e per i progetti di cooperazione che realizzano; tali rapporti non sono agevolati da una politica centrale delle rappresentanze italiane all'estero perché non rientrano tra i poteri istituzionali di ambasciate e consolati;
          considerata l'attuale crisi delle adozioni internazionali e, in particolare, la forte contrazione delle idoneità all'adozione internazionale rilasciate dai tribunali per i minorenni (dai 6.273 decreti del 2006 si è passati ai 3.179 del 2011) appare non più differibile predisporre una riforma della legge in vigore per dare un nuovo slancio alle adozioni internazionali e maggiore fiducia rispetto all’iter che le caratterizza;
          alla luce di quanto evidenziato, sarebbe auspicabile razionalizzare le procedure sotto diversi aspetti per garantire celerità e trasparenza e – alla luce delle criticità evidenziate – il modello francese potrebbe rappresentare un riferimento interessante per la ridefinizione amministrativa ed organizzativa del sistema vigente in Italia  –:
          se il Governo intenda, e con quali modalità, incardinare l'autorità centrale per le adozioni internazionali presso il Ministero degli affari esteri, al fine anche di garantire l'inclusione dei Paesi nei quali l'Italia adotta maggiormente fra quelli «prioritari» anche in termini di investimento in progetti di cooperazione allo sviluppo in attuazione del principio di sussidiarietà dell'adozione internazionale;
          se e come il Governo intenda inoltre coinvolgere gli uffici delle rappresentanze italiane all'estero per l'esercizio delle funzioni relative alle adozioni internazionali e per il necessario supporto, ma anche controllo, al lavoro svolto all'estero dagli enti autorizzati. (5-06845)


      ABRIGNANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
          nell'ambito della direttiva sulla spending review sono previsti tagli per la riduzione dei costi nella pubblica amministrazione pari a 4,2 miliardi in 7 mesi, anche attraverso il «compattamento di uffici e amministrazioni»;
          in tale prospettiva, si ipotizza la soppressione del dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo e la sua sostituzione con un semplice ufficio, accorpato al Ministero delle politiche regionali;
          la notizia ha suscitato viva preoccupazione tra gli operatori del settore in quanto non si tiene conto che il turismo è, per fatturato, il settore più importante della nostra economia;
          qualora si volessero conseguire risparmi nell'ambito delle spese per il funzionamento del dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo ci si dovrebbe limitare ad uno snellimento sostanziale delle strutture burocratiche, specie dirigenziali, puntando decisamente sull'efficienza e su una maggiore tempestività operativa;
          di recente, parlando ai deputati e senatori riuniti nell'Osservatorio parlamentare per il turismo, il Ministro Piero Gnudi, ha affermato che il turismo nei prossimi 10 anni potrebbe dare un contributo al Pil fino al 18 per cento, con la possibilità di creare 1,6 milioni di nuovi posti di lavoro, prospettiva accolta con largo consenso dagli operatori del mondo del turismo, ma è evidente che occorre agire con coerenza per raggiungere tali risultati;
          tali ambiziosi obiettivi sono infatti difficilmente raggiungibili senza avere il Dipartimento come riferimento e prevedendo ulteriori tagli a un settore strategico che può dare un contributo rilevante per lo sviluppo e la crescita dell'occupazione, sia diretta, che indotta;
          la prospettata soppressione del dipartimento sarebbe la pietra tombale sulle legittime aspirazioni di serie politiche nazionali a sostegno del settore a cominciare dalla promozione di cui il turismo ha bisogno che, parcellizzata, non regge il confronto con le altre politiche nazionali, è dunque necessario mantenere il dipartimento e la prospettiva di politiche unitarie nazionali come accade negli altri Paesi nostri concorrenti, sia pure nel rispetto delle competenze regionali;
          lo sviluppo del turismo è, nel nostro Paese, condizione necessaria per la crescita complessiva del sistema economico, tagliare sulle politiche per tale settore non è un risparmio ma una rinuncia a promuovere politiche di crescita e di rilancio;
          fino ad oggi per il turismo si sono moltiplicati indirizzi che con il tempo si sono rivelati troppo parcellizzati a livello regionale e quindi non adeguati a promuovere una strategia vincente per il turismo italiano che continua a scendere nelle classifiche del turismo mondiale, e ora prima di fare scelte affrettate, è forse giunto il momento di aprire una riflessione ampia sulla governance del settore, che coinvolga tutti i soggetti interessati  –:
          quali misure intenda assumere per scongiurare l'ipotesi della soppressione del dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo, anche prevedendo tagli diretti a ridurre le spese di carattere burocratico. (5-06850)

Interrogazioni a risposta scritta:


      ZAZZERA, MURA e PALAGIANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 4, comma 1, del decreto-legge 29 novembre 2008, n.  185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n.  2, ha istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, un fondo rotativo dotato di personalità giuridica, denominato «fondo di credito per i nuovi nati» volto a favorire l'accesso al credito delle famiglie con un figlio nato o adottato nell'anno di riferimento, con una dotazione di 25 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010, 2011, attraverso il rilascio di garanzie dirette, anche fideiussorie alle banche e agli intermediari finanziari;
          il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze del 10 settembre 2009, ha stabilito i criteri e le modalità di organizzazione e di funzionamento del fondo, di rilascio e di operatività delle garanzie;
          il finanziamento concesso alle famiglie può essere utilizzato per qualunque tipo di spesa e deve essere restituito in un periodo limite di cinque anni;
          oltre al fondo nuovi nati, esiste anche il cosiddetto bonus bebè, un contributo erogato dalle regioni per sostenere le famiglie in difficoltà che abbiano bambini nati tra il 1o gennaio ed il 31 dicembre 2011;
          agli interroganti risulta che le banche convenzionate non hanno ancora avuto alcuna conferma per il rinnovo del fondo nuovi nati  –:
          se quanto riportato in premessa corrisponda al vero. (4-16023)


      BORGHESI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il consiglio di amministrazione dell'ICE – Istituto nazionale per il commercio estero, dopo diverse audizioni di candidati sia interni che esterni all'Istituto, ha nominato con deliberazione n.  090/2011 del 29 aprile 2011 il direttore generale dell'ente nella persona del dottor Gabriele Andreetta;
          il decreto-legge 6 luglio 2011, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n.  111, ha soppresso l'ICE – Istituto nazionale per il commercio estero e ha previsto all'articolo 14, comma 20, che «per garantire la continuità dei rapporti che facevano capo all'ICE e la correttezza dei pagamenti, il predetto ufficio per gli affari generali del Ministero dello sviluppo economico può delegare un dirigente per lo svolgimento delle attività di ordinaria amministrazione»;
          l'incarico di dirigente delegato previsto dal succitato articolo 14, comma 20, è stato assegnato ad un dirigente del soppresso Istituto e non al direttore generale;
          il decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214, ha previsto l'istituzione dell'ICE – Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, stabilendo all'articolo 22, comma 8, che «Il dirigente delegato di cui al comma 26-bis dell'articolo 14 del decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n.  111, come inserito dal presente articolo, esercita i poteri attribuiti ai sensi della legge 25 marzo 1997, n.  68, al consiglio di amministrazione e al direttore generale del soppresso Istituto necessari per la realizzazione delle iniziative di cui al comma 7, stipula i contratti e autorizza i pagamenti»;
          l'incarico di dirigente delegato generale non è stato assegnato, ancora una volta, al direttore generale del soppresso Istituto, ma al dirigente generale dell'ufficio per gli affari generali e le risorse del Ministero per lo sviluppo economico;
          allo stesso dottor Gabriele Andreetta continua a vedersi corrisposto mensilmente, secondo quanto risulta da diverse fonti, compreso lo stesso sito internet del soppresso istituto, il normale trattamento economico previsto dal suo contratto pari ad oltre 20.000 euro lordi mensili, nonostante non possa esercitare per legge le sue funzioni, attribuite al dirigente delegato generale, incarico assegnato ad altro dirigente;
          il contratto in essere con il dottor Gabriele Andreetta scadrà solo in data 9 maggio 2015;
          con decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 2012 previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, il consiglio di amministrazione dell'ICE – Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, fatto che lascia presupporre un'imminente nomina anche del direttore generale  –:
          quali siano le motivazioni della mancata rescissione del contratto in seguito alla soppressione dell'ente;
          quali iniziative intendano compiere sia per evitare che una simile situazione si prolunghi ulteriormente considerata la durata quadriennale del contratto in essere, sia per accertare eventuali responsabilità discendenti dall'aver finora corrisposto nove mensilità di stipendio ad un direttore generale impossibilitato per legge a svolgere le sue funzioni. (4-16040)


      BERGAMINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la legge n.  183 del 12 novembre 2011 (cosiddetta legge di stabilità), all'articolo 33, comma 12, ha stabilito che le misure sperimentali per l'incremento della produttività fossero prorogate anche a tutto il 2012 e che all'uopo venisse emanato un apposito decreto attuativo al fine di individuare i parametri di riferimento per rendere la detassazione effettivamente applicabile;
          senza tale decreto attuativo, infatti, non può essere applicata l'aliquota agevolata sulle somme percepite dai dipendenti del settore privato per lavori volti ad incrementare la produttività aziendale anche alla luce della probabile conferma a regime, dal 2012, degli sgravi contributivi di produttività  –:
          se il Governo non ritenga opportuno procedere in tempi brevi all'emanazione del decreto attuativo per la detassazione dei premi di produttività 2012. (4-16042)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          da notizie di agenzia si apprende che l'amministratore delegato di Finmeccanica in occasione della convention annuale dei dirigenti avrebbe dichiarato che «Non c’è nessun sistema ma solo singoli episodi di malaffare dovuti a comportamenti personali mai assurti a sistema. Finmeccanica agisce nel rispetto delle norme e del suo codice etico sia in Italia che nel mondo»  –:
          se sia a conoscenza dell'episodio narrato in premessa;
          a quali episodi specifici si riferisca l'amministratore delegato Orsi e quali di questi siano stati accertati dalla società con riferimento al rispetto delle norme e del suo codice etico;
          cosa prevedano le norme ed il codice etico quando Finmeccanica ha un rapporto con un Paese nel quale la separazione dei poteri non c’è o è fittizia come, per esempio, dalla Libia al Kazhakistan.
(4-16044)


      BARBATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          si fa riferimento a quanto disposto dal decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1, cosiddetto Decreto liberalizzazioni, convertito dalla legge 24 marzo 2012, n.  27, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività»;
          in proposito, l'interrogante intende far notare che il bando di concorso per l'assegnazione di sedi farmaceutiche pubblicato sul Bur Lazio n.  3 parte terza del 21 gennaio 2008 stabilisce: «il direttore generale della regione Lazio determina di bandire il pubblico concorso per titoli ed esami per il conferimento delle sedi farmaceutiche di nuova istituzione o vacanti di titolare nella regione Lazio; di stabilire che le sedi farmaceutiche di nuova istituzione o vacanti di titolare nella regione Lazio, attualmente dichiarate disponibili per il privato esercizio sono indicate nel punto 1 dell'allegato A parte integrale e sostanziale del presente atto; le sedi dichiarate disponibili nei 4 anni successivi alla pubblicazione della graduatoria verranno indicate e assegnate con le modalità previste (...)»;
          si evince che i farmacisti inseriti nella graduatoria della regione Lazio (e di altre regioni ove i bandi sono esplicitati nello stesso modo) sarebbero rimasti in graduatoria per quattro anni, in attesa che si rendessero disponibili nuove farmacie o che si abbassasse il quorum di abitanti per farmacia;
          il nuovo testo normativo in campo farmaceutico ha stravolto le loro aspettative di diritto cancellando di fatto le graduatorie preesistenti e prevedendo concorsi straordinari per soli titoli in cui avranno possibilità di diventare titolari solo farmacisti al di sotto dei 40 anni che potranno associarsi cumulando il punteggio. Nelle suddette graduatorie, che a breve dovrebbero essere annullate, ci sono farmacisti che hanno superato i 40 anni di età e non avrebbero nessuna speranza di vincere una farmacia nei concorsi straordinari previsti dal decreto  –:
          quali iniziative anche normative, il Governo intenda assumere per riconoscere quei diritti che sono stati negati a centinaia di farmacisti, molti dei quali attualmente disoccupati o che lavorano part-time e, che, in mancanza di specifica regolamentazione, si ritroveranno a fine rapporto di lavoro con una pensione non superiore a quella sociale. (4-16051)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      CORSINI e ZAMPA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          la fondazione Italia Cina è un'organizzazione di natura privata costituita nel 2003 che ha come obiettivo la promozione del made in Italy e del miglioramento dell'immagine dell'Italia in Cina;
          il presidente della fondazione Italia Cina, il dottor Cesare Romiti, avrebbe dichiarato in una pubblica occasione: «La Fondazione Italia Cina ha portato negli ultimi anni 10.000 studenti universitari cinesi in Italia. Questo percorso sarà certamente avvantaggiato dalla concessione dei visti per i cinesi che viaggiano in Italia, di cui la Fondazione è diventata responsabile»;
          questa dichiarazione è in evidente contrasto con la competenza esclusiva attribuita agli enti governativi per la gestione dei visti  –:
          in che termini si spieghi la dichiarazione di cui in premessa del presidente della fondazione Italia Cina in merito alla gestione dei visti per i cinesi e quale sia il ruolo della Fondazione al riguardo.
(5-06838)


      DI BIAGIO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
    l'Agenzia nazionale del turismo ha come mission prioritaria quella di promuovere l'immagine unitaria dell'offerta turistica nazionale e favorirne la commercializzazione segnatamente oltre confine;
    stando agli studi condotti dall'Agenzia in merito ai principali mercati di provenienza del turismo verso l'Italia, la Germania rappresenta il primo Paese di provenienza del turismo con il 28 per cento delle presenze; a ciò si aggiunge quanto tracciato dal report «Il turismo in Italia: primi saldi 2010» redatto dall'Osservatorio nazionale del turismo secondo il quale i cittadini tedeschi si confermano i primi clienti per incidenza delle spese sul totale con un incremento del 2,2 per cento nel 2010;
          in data 30 novembre 2010 il Comitato straordinario del consiglio di amministrazione dell'Agenzia nazionale del turismo, ha decretato per il 31 dicembre 2010 la data entro la quale avviare la chiusura dell'ufficio Enit di Monaco di Baviera in Germania;
          le competenze dell'Enit in chiusura, stando alla citata delibera, verrebbero trasferite alla struttura Enit di Francoforte sul Meno, a circa 400 chilometri di distanza e sul territorio di un altro Land;
          la Baviera rappresenta il Bundesland più ricco di tutto lo Stato federale tedesco, una regione in cui si registra il maggiore volume di interscambi tra l'Italia e la Germania, oltre a configurarsi come l'area in cui si concentrano maggiormente interlocutori e referenti tedeschi attivi nel comparto turismo;
          le ragioni che hanno condotto alla citata delibera, pur celandosi dietro esigenze di contenimento delle risorse da parte dello Stato, sembrano mal conciliarsi con gli importanti risultati che l'istituto e, di conseguenza, il turismo italiano avrebbero ottenuto attraverso la continua operatività sul territorio tedesco;
          tale prospettata chiusura sembra inserirsi nella progettualità più vasta e complessa attinente anche alla razionalizzazione della rete estera del Ministero degli affari esteri, le cui dinamiche di chiusura si stanno strutturando in questi mesi segnatamente sul versante tedesco, con il rischio di sollevare non pochi malumori tra i nostri connazionali residenti in loco oltre che tra gli operatori turistici che ne trarrebbero immediato svantaggio;      
          la chiusura dell'Enit di Monaco, considerato il suo carattere strategico nella rete vantaggiosa di interscambio turistico tra i due Paesi, andrebbe ad incidere in maniera deleteria sull'immagine del nostro Paese sul territorio tedesco e rappresenterebbe un duro colpo alla cultura italiana nel mondo  –:
          quali siano le ragioni che hanno condotto alla delibera di chiusura così rapida dell'ufficio Enit di Monaco;
          se non si ritenga opportuno riflettere su ipotesi alternative a quelle della chiusura, nel tentativo di salvaguardare un riferimento italiano sul versante turistico all'interno della regione. (5-06839)


      MENIA e DI BIAGIO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          la fattispecie professionale e contrattuale entro cui ricadono i dipendenti del Ministero degli Affari esteri cosiddetti a contratto locale risulta essere atipica, stante la peculiarità della posizione giuridica e fattuale delineata al riguardo dal decreto del Presidente della Repubblica n.  18 del 1967;
          la giurisdizione in materia di applicazione del contratto per i citati impiegati è stata riconosciuta dal decreto legislativo n.  103 del 2000 – che ha modificato il decreto del Presidente della Repubblica 18 del 1967 – al foro locale modificando l'articolo 154 del medesimo decreto del Presidente della Repubblica che recita che «i contratti sono regolati dalla legge locale. Fermo restando quanto disposto in materia dalle norme di diritto internazionale generale e convenzionale, competente a risolvere le eventuali controversie che possano insorgere dall'applicazione del presente decreto è il foro locale. Le rappresentanze diplomatiche, o, in assenza, gli uffici consolari di prima classe accertano, sentite anche le rappresentanze sindacali in sede, la compatibilità del contratto con le norme locali a carattere imperativo e assicurano in ogni caso l'applicazione delle norme locali più favorevoli al lavoratore in luogo delle disposizioni del presente titolo»;
          l'opacità normativa che attualmente continua a condizionare la fattispecie professionale degli impiegati di cui sopra ha alimentato l'avvicendarsi di molteplici contenziosi tra la categoria degli impiegati a legge locale e l'amministrazione in materia di applicazione delle condizioni contrattuali: tali criticità, tra l'altro, stanno rivelando la debolezza normativa di quanto tracciato dal nostro ordinamento in materia;
          sebbene – nell'ambito delle controversie citate – il ricorrente identificato nell'impiegato a legge locale del Ministero degli affari esteri invochi la giurisdizione italiana in materia, il Ministro degli affari esteri – come parte resistente – appellandosi all'articolo 154 del decreto del Presidente della Repubblica 18 del 1967 dichiara la carenza di giurisdizione del giudice italiano, riconoscendo come competente a decidere quello locale;
          nello specifico la camera di consiglio delle sezioni unite civili della Corte di Cassazione in diverse pronunce, ha riconosciuto la giurisdizione del giudice italiano – nei casi di contenzioso tra impiegati a legge locale e amministrazione centrale del Ministro degli affari esteri – rimettendo la causa al tribunale italiano, superando, di fatto, quanto tracciato nel citato articolo 154 del decreto del Presidente della Repubblica 18 del 1967;
          nello specifico il giudice ha evidenziato, in una delle sentenze suindicate, [la sentenza della Corte di Cassazione del 12 aprile 2012 (Rg.18876/2011)] che il difetto di giurisdizione del giudice italiano – invocato dal Ministro per gli affari esteri – non avrebbe potuto essere fondato sul presupposto dell'applicabilità dell'articolo 154 del decreto del Presidente della Repubblica 18 del 1967 in considerazione del fatto che la norma contiene una clausola di salvaguardia – identificata nel richiamo alle norme di diritto internazionale e altro – rispetto alle quali la deroga della giurisdizione in favore del giudice straniero ha carattere residuale e sussidiario;
          ulteriori sentenze della Corte di Cassazione a sezioni unite civili, come quella del 15 novembre 2011 (Rg.26562/2010 cron. 25671/2011) veniva definitivamente affossata ogni possibilità applicativa dell'articolo 154 del decreto del Presidente della Repubblica 18 del 1967 in ogni contenzioso che si dovesse stabilire tra un impiegato a legge locale e Ministero degli affari esteri;
          alle pronunce suindicate è opportuno aggiungere le sentenze – succedutesi nel tempo – del giudice del lavoro del tribunale di Roma che ha riconosciuto la giurisdizione del giudice italiano, nelle controversie relative ad un rapporto di lavoro tra cittadini italiani e pubblica amministrazione, sebbene con contratto stipulato oltre confine;
          in una delle suindicata sentenza (sentenza n.  5579/2011 del Tribunale di Roma nella causa n.  8376/2010) il Ministero degli affari esteri è stato condannato al pagamento di ulteriori differenze retributive in favore di una ricorrente a legge locale in quanto il giudice adito evidenziava che la clausola contrattuale (richiamante il citato articolo 154 del decreto del Presidente della Repubblica 18 del 1967) lascia fermo quanto disposto in materia dalle norme di diritto internazionale e generale e convenzionale, poiché ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge n.  218 del 1995 la giurisdizione italiana sussiste quando il convenuto è domiciliato o residente in Italia con la conseguenza che le controversie relative ad un rapporto di lavoro intercorso tra un cittadino italiano e una pubblica amministrazione centrale italiana non possono ritenersi sottratte alla cognizione del giudice italiano solo per essere stati all'estero stipulati i relativi contratti e svolti i relativi rapporti;
          stando a quanto evidenziato in premessa ne emerge in maniera palese un paradosso normativo, confermato e reiterato dal portato delle sentenze citate, tale da condizione eventualmente al superamento dei vincoli tracciati in capo alla categoria dei lavoratori del Ministero degli affari esteri a contratto locale, dalla normativa suindicata in materia;
          sussistendo – sulla base di quanto evidenziato – un conflitto di giurisdizione, la citata decisione della Corte di Cassazione rappresenta un precedente vincolante;
          le sentenze – tutte a favore dei ricorrenti – determinano un costo non trascurabile in capo all'Amministrazione, chiamata a determinati risarcimenti o pagamenti a vario titolo a favore dei ricorrenti, oltre che un’impasse operativa che certamente poco giova all'amministrazione medesima  –:
          quali iniziative si intendano intraprendere al fine di rettificare la normativa vigente in materia di disciplina contrattuale del personale a contratto impiegato presso le rappresentanze diplomatiche, consolari e degli istituti italiani di cultura nel mondo, ormai obsoleta alla luce delle citate pronunce giurisprudenziali e quale ridefinizione del quadro normativo si intenda promuovere al fine di evitare in futuro inutili quanto costosi ricorsi in tribunale dal parte del suddetto personale. (5-06847)

Interrogazione a risposta scritta:


      MENIA e BOCCHINO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          la Società italiana di beneficenza e mutuo soccorso (SIBMS) è stata fondata oltre 150 anni fa, nel 1854, su iniziativa di Teresa Cristina Borbone sorella del re di Napoli e moglie dell'allora imperatore del Brasile con lo scopo di fornire assistenza sociale e sanitaria alla comunità degli italiani residenti nella zona di Rio de Janeiro; essa è probabilmente la più antica associazione di italiani nel mondo; la Sibms è proprietaria e gestisce oggi due importanti strutture a servizio della comunità italiana in loco: la casa di riposo Villa Paradiso e l'ospedale italiano di Rio del Janeiro;
          la casa di riposo Villa Paradiso, situata a Grajaù, ospita alcune decine di anziani sia italiani sia di origine italiana, fino a oggi ha svolto la propria attività assistenziale per conto del consolato con l'utilizzo delle risorse che il Ministero degli affari esteri destina annualmente all'assistenza dei nostri connazionali residenti in Brasile e che versano in condizioni di indigenza;
          l'ospedale italiano di Rio de Janeiro, è l'unica struttura sanitaria italiana a Rio de Janeiro, essa è associata all'Alleanza degli ospedali italiani nel mondo e fino a oggi ha rivestito un ruolo fondamentale nel supporto e nell'assistenza dei nostri connazionali indigenti residenti in Brasile; l'ospedale serve un bacino di oltre un milione di abitanti con una struttura piccola ma molto efficiente; vi lavorano oltre 270 addetti; i medici laureati sono 116, 30 dei quali in pianta stabile e il resto con rapporti di collaborazione alle attività ospedaliere e di ricerca; l'ospedale può contare inoltre su uno staff di 85 infermieri e tecnici sanitari e su 72 addetti amministrativi; la struttura ospedaliera dispone di 61 posti letto per la degenza ordinaria e 15 posti letto per i day hospital, ogni anno ci sono oltre 4.500 ricoveri, con 18.200 giornate di degenza e una degenza media di 4 giorni, si eseguono oltre 1.200 interventi chirurgici, quasi 30.000 visite ambulatoriali e più di 3.000 esami diagnostici;
          l'ospedale italiano di Rio svolge anche una importante attività didattica, formativa e di ricerca nei settori dell'oftalmologia, ortopedia e chirurgia plastica, corredata da seminari e convegni internazionali con particolare riguardo all'ortopedia, con la presentazione di casi clinici di osteoporosi, e di studi farmacologici sulla prevenzione delle fratture vertebrali;
          parte degli introiti dell'ospedale viene destinata dalla Sibms, sulla base di precisi accordi con la città di Rio del Janeiro, il Governo di Rio e lo Stato federale, ad attività filantropiche e di assistenza sociale in favore delle popolazioni locali;
          con lettera del 4 maggio 2012 indirizzata al presidente della Sibms, il console generale italiano a Rio de Janeiro ha comunicato che a seguito di un taglio del 30 per cento delle risorse destinate dal Ministero degli affari esteri all'assistenza dei nostri connazionali indigenti la quantità e la tipologia delle prestazioni finanziate con il contributo pubblico dello Stato italiano dovranno essere rivedute e tagliate; dalla citata lettera si apprende che il Consolato è perciò intenzionato a tagliare le prestazioni fino a oggi fornite dalla casa di riposo Villa Paradiso ai nostri connazionali, e che intende fare a meno altresì dei servizi forniti dall'ospedale italiano di Rio de Janeiro, tra i quali quelli forniti dalla farmacia Calabria che è parte integrante dell'ospedale e che per tali servizi si appoggerà in futuro ad altre strutture brasiliane;
          a ciò va aggiunto che con la riorganizzazione degli spazi della «Casa d'Italia» (edificio che, oltre agli uffici del Consolato italiano, ospita anche vari enti legati al nostro Paese nonché, da sempre, la sede della Sibms), il Consolato italiano ha chiesto alla Sibms di spostarsi in spazi diversi dagli attuali e pagando un affitto «di mercato» (il che si traduce in un canone dieci volte maggiore rispetto a oggi, cioè dai 550 euro attuali a un minimo di 5.500 euro) ed analoghe misure sono state prese nei confronti di altre istituzioni di rappresentazione e storiche della comunità italiana (COMITES, ACIB) destinatarie di contributi del Governo italiano e che con la loro presenza hanno rappresentato e giustificato il nome all'edificio di Casa d'Italia;
          l'insieme delle soluzioni proposte dal consolato a fronte del taglio dei fondi pubblici da parte del Ministero, renderebbe di fatto insostenibile dal punto di vista economico l'attività di Villa Paradiso, dell'ospedale italiano di Rio, e della stessa Sibms, mettendo in crisi una componente storica dell'assistenza italiana in Brasile tanto più in vista di importanti scadenze nei prossimi anni (giornate mondiali della gioventù 2013, mondiali di calcio e olimpiadi) che porteranno a Rio de Janeiro un importante flusso di italiani potenzialmente suscettibili di avvalersi dell'assistenza sanitaria dell'ospedale  –:
          se non ritenga opportuno che il Ministero prenda in esame direttamente le disposizioni adottate dal consolato in merito all'allocazione dei fondi pubblici dello Stato italiano destinati all'assistenza dei nostri connazionali indigenti in Brasile, eventualmente procedendo a ripristinare l'erogazione dei servizi e le attività svolte dalle strutture della Sibms;
          se sia congruo privilegiare l'assegnazione dei fondi per l'assistenza a entità private brasiliane che evidentemente agiscono con logiche esclusivamente commerciali invece che sostenere entità filantropiche di origine italiana che in caso di bisogno sono in passato intervenute fornendo servizi gratuitamente ai nostri concittadini bisognosi ed altrettanto potrebbero fare in futuro ove mantenute attive;
          se sia a conoscenza del piano di riorganizzazione degli spazi e degli uffici presso l'edificio «Casa d'Italia» da parte del consolato italiano di Rio de Janeiro, e se non ritenga opportuno proporre al consolato medesimo una diversa soluzione in modo da permettere alla Sibms ed alle entità destinatarie di sovvenzioni da parte del Governo italiano di mantenere i propri spazi presso la «Casa d'Italia» fruendo di un contratto di affitto agevolato, ovvero consentire che il canone di affitto sia determinato sulla base di criteri diversi da quelli di mercato, per tenere adeguatamente conto delle particolari caratteristiche del locatario e dell'attività filantropica da esso svolta in favore dei nostri connazionali indigenti in loco anche a sostegno del sistema Paese. (4-16036)

AFFARI EUROPEI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      GOZI, ZACCARIA e DUILIO. — Al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
          in data 29 marzo 2012 il Ministro per i rapporti con il Parlamento ha trasmesso, ai sensi degli articoli 1, commi 3 e 5, e 26, della legge 7 luglio 2009, n.  88, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto legislativo, recante disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 15 marzo 2010, n.  44, di attuazione della direttiva 2007/65/CE relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l'esercizio delle attività televisive;
          la normativa di cui allo schema di provvedimento, come affermato nella relazione illustrativa, è sottoposta ad osservazione da parte della Commissione europea nell'ambito del sistema EU Pilot;
          il sistema EU-Pilot (strumento informatico EU PILOT – IT application) dal 2008 è lo strumento principale di comunicazione e cooperazione tramite il quale la Commissione, mediante il punto di contatto nazionale — che in Italia è la struttura di missione presso il Dipartimento delle politiche dell'Unione europea della Presidenza del Consiglio — trasmette le richieste di informazione agli Stati membri al fine di assicurare la corretta applicazione della legislazione dell'Unione europea e prevenire possibili procedure d'infrazione;
          in particolare, la relazione illustrativa afferma che le modifiche proposte tengono conto dell'esigenza di rimuovere i profili di ambiguità che hanno formato oggetto di rilievi da parte della Commissione europea nel progetto pilota EU Pilot 1890/11/INSO;
          nel corso dell'esame dello schema di decreto legislativo da parte delle Commissioni riunite VII Cultura e IX Trasporti la relatrice per la Commissione VII, nella seduta del 26 aprile 2012, ha chiesto la trasmissione del documento EU Pilot 1890/11/INSO;
          il sistema EU Pilot, pur avendo natura informale, ha assunto un rilievo crescente per l'attività parlamentare. In particolare, nel corso dell'esame delle leggi comunitarie per il 2010 e per il 2012, sono stati presentati presso la Camera da parte del Governo o di singoli deputati diversi emendamenti volti alla risoluzione di contestazioni mosse nell'ambito di tale sistema;
          la legge 4 febbraio 2005, n.  11, recante norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari, prevede all'articolo 15-bis una serie di obblighi di informazione al Parlamento sulle procedure giurisdizionali e di contenzioso riguardanti l'Italia;
          in particolare, in base all'articolo 15-bis, comma 3-ter della legge n.  11 del 2005, quando una sentenza, una procedura di infrazione o una procedura di indagine ai fini della disciplina degli aiuti di Stato è posta «alla base di un disegno di legge di iniziativa governativa, di un decreto-legge, o di uno schema di decreto legislativo sottoposto al parere parlamentare, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per le politiche europee comunica al Parlamento le informazioni relative a tali atti»;
          tale disposizione è intesa a consentire alle Camere di deliberare con piena cognizione delle contestazioni mosse dalla Commissione europea e delle argomentazioni ad essa sottoposte dal Governo italiano;
          la disposizione di cui all'articolo 15-bis, comma 3-ter della legge n.  11 del 2005 andrebbe pertanto applicata, in via di interpretazione teleologica, anche ai casi EU Pilot, pur non espressamente contemplati dal dettato normativo, laddove essi siano posti alla base di un disegno di legge di iniziativa governativa, di un decreto-legge, o di uno schema di atto normativo sottoposto al parere parlamentare;
          nel caso dello schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 15 marzo 2010, n.  44, di attuazione della direttiva 2007/65/CE, le Commissioni parlamentari incaricate di fornire un parere non sono in grado, in assenza di informazioni circostanziate da parte del Governo in merito alla procedura EU Pilot 1890/11/INSO, sulla base del quale il Governo stesso ha giustificato le modifiche al decreto legislativo 15 marzo 2010, n.  44, di verificare l'effettiva rispondenza dello schema di decreto legislativo in questione (454) ai rilievi formulati dalla Commissione europea;
          in assenza di principi e criteri direttivi specifici relativi alle materie trattate nello schema di decreto legislativo n.  454 (tutela dei minori, esclusione dal calcolo dei limiti di affollamento pubblicitario di determinati messaggi promozionali e la promozione di opere europee) il progetto EU Pilot risulta l'unico strumento capace di fornire i principi e criteri direttivi del caso di specie, tale per cui la sua conoscenza risulta di importanza fondamentale per la verifica di compatibilità dello schema di decreto legislativo con l'ordinamento comunitario  –:
          se non ritenga necessario provvedere alla trasmissione alle Camere dei casi pilota EU Pilot, quanto meno ove essi siano posti alla base di disegni di legge, decreti-legge o schemi di atti normativi del Governo, al fine di consentire alle Commissioni parlamentari competenti di svolgere con completezza e trasparenza la propria attività consultiva. (5-06852)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


      ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          da un recente articolo a firma Gianfranco Bologna pubblicato sulla newsletter di green report.it risulta che recenti dati pubblicati dal worldwatch institute e dall’earth policy institute (vedasi www.worldwatch.org e www.earth-policy.org) documentano una preoccupante crescita del consumo di carne a livello mondiale con ovvie e significative ripercussioni, ad esempio, sullo stato di salute degli ecosistemi della Terra, sul flusso di materia ed energia mobilizzato dai metabolismi sociali rispetto a quelli naturali e sulla crescita delle emissioni di gas climalteranti che derivano dalle attività agricole;
          il numero di polli destinati al consumo umano è cresciuto del 169 per cento dal 1980 al 2010, portandosi da 7.2 miliardi di individui a 19.4 miliardi di individui. Durante lo stesso periodo la popolazione di capre e pecore ha raggiunto i 2 miliardi e la popolazione dei bovini è cresciuta del 17 per cento raggiungendo 1.4 miliardi e secondo i dati del consultative group dell'international agricultural research le stime di crescita al 2050 precederebbero una popolazione globale di polli di circa 35 miliardi, di capre e pecore di 2.7 miliardi e di bestiame di 2.6 miliardi;
          gli animali sottoposti ad allevamento umano tra bovini, capre, pecore, polli, maiali, dromedari, anatre, lepri, conigli, tacchini, oche e altro è passata dai 9 miliardi del 1970 ai 26.7 miliardi attuali, come indicano i dati di FAOSTAT, il database statistico della FAO, sistematizzato dal Worldwatch Institute;
          la domanda di carne, uova e prodotti caseari è andata significativamente incre- mentando nei mesi in via di sviluppo, particolarmente in quelli di nuova industrializzazione. In questi paesi infatti il consumo pro capite di latte si è quasi raddoppiato tra il 1980 ed il 2005, quello di carne si è triplicato e quello di uova è aumentato di cinque volte, con un maggiore incremento registrato nell'Asia del sud-est e dell'est;
          in Cina il consumo pro capite di latte è aumentato da 2.3 chilogrammi nel 1980 a 32.2 chilogrammi nel 2005, mentre quello di carne è quadruplicato nello stesso periodo e quello di uova è salito da 2.5 chilogrammi pro capite a 20.2 chilogrammi;
          secondo l’Earth Policy InstituteMeat Consumption in China now double that in the United States» di Janet Larsen) più di un quarto di tutta la carne prodotta a livello mondiale è oggi consumata in Cina, paese che nel 1992 ha sorpassato gli Stati Uniti come paese leader nel consumo di carne a livello mondiale;
          oggi il consumo annuale di 71 milioni di tonnellate in Cina è più del doppio di quello degli Stati Uniti, tuttavia la popolazione cinese è di oltre 1 miliardo e 345 milioni, mentre quella degli Stati Uniti è di 313 milioni per cui risulta evidente una differenza del consumo pro capite;
          varie sono le conseguenze negative legate al consumo di carne come ad esempio il fatto che circa il 75 per cento delle nuove malattie che affliggono il genere umano dal 1999 al 2009 originano negli animali e nei prodotti derivanti da animali, sempre secondo le analisi e le stime della FAO dedicate alla zootecnia intensiva, definita in acronimo CAFO che significa Concentrated animal feeding operations, che è diventata il modello maggiormente perseguito in tutto il mondo;
           inoltre la zootecnia intensiva produce un alto livello di rifiuti, uno straordinario utilizzo di acqua e di terra, gioca un ruolo significativo nella perdita di biodiversità, contribuisce al cambiamento climatico con le emissioni del 18 per cento delle emissioni globali di gas serra. Inoltre l'allevamento del bestiame costituisce una delle maggiori cause di deforestazione: è responsabile di una percentuale tra il 65 e l'80 per cento della deforestazione in Amazzonia;
          la politica agricola industriale estensiva diffusa in tutto il mondo prevede un largo consumo della produzione agricola di base da destinare agli allevamenti animali di bestiame, maiali, pollame e persino acquacoltura;
          la Cina nel 2011 ha prodotto 14 milioni di tonnellate di soia ma ne ha consumate ben 70 milioni di tonnellate. Molte aree di foresta e savana sono state distrutte per fare posto alle monocolture di soia; un ulteriore interessante lavoro scientifico apparso recentemente su «Environmental Research Letters» ed elaborato da Eric Davidson del prestigioso Woods Hole Research Centre statunitense, dal titolo «Representative concentrations pathways and mitigation scenarios for nitrous oxid» affronta il grave problema delle continue emissioni di protossido di azoto prodotte dall'intervento umano. Si tratta del terzo gas antropogenico più importante come fattore di incremento dell'effetto serra naturale e tra i più importanti attori antropogenici della distruzione della fascia di ozono nella stratosfera  –:
          se e come si intenda porre il caso specifico del consumo di carne in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo ecosostenibile prevista per giugno a Rio de Janeiro;
          se e di quali dati si disponga in merito al consumo di carne nel nostro Paese e quali azioni si intendano adottare a partire dall'Italia per contenerne il consumo. (4-16047)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta scritta:


      BARBATO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          la Biblioteca statale oratoriana, annessa al Monumento nazionale dei Girolamini, ha un patrimonio librario di circa 159.700 unità, tra volumi ed opuscoli, tra i quali 137 stampati musicali, 5.000 edizioni del Cinquecento, 120 incunaboli, 10.000 edizioni rare e di pregio, 485 periodici, una quantità non ancora determinata di microfilm e ritratti;
          importantissimi sono i fondi che hanno arricchito il patrimonio dell'Istituto, tra i quali 5.057 volumi del Fondo Agostino Gervasio, i cui testi trattano di archeologia, numismatica, bibliografia e letteratura classica, il Fondo Filippino, prevalentemente di storia ecclesiastica, sacre scritture e teologia, il Fondo Giuseppe Valletta, contenente edizioni rare del XVI e XVII secolo costituiti da classici latini e greci, storia e filosofia, e 940 volumi del Fondo Valeri che riguardano la storia di Napoli e dell'Italia meridionale;
          la Biblioteca è anche una rara biblioteca specializzata in teologia cristiana, filosofia, chiesa cristiana in Europa, storia della chiesa, musica sacra e storia generale dell'Europa;
          per il suo immenso valore e contenuti di testi è stata fonte fondamentale del sapere di tantissimi studiosi ed uomini di cultura, tra i quali Giambattista Vico e Benedetto Croce;
          tale Biblioteca è da considerarsi patrimonio culturale di incommensurabile valore non solo per la città di Napoli, ma per l'intera umanità, da tutelare e gestire con la massima competenza, vigilanza, attenzione e cura; inoltre fatti di gravità estrema, si sono verificati, quali la scomparsa di almeno 1500 libri preziosissimi libri – si parlerebbe finanche seimila libri;
          foto di dominio pubblico dei giorni scorsi (vedasi Corriere.it – 19 aprile 2012) mostrano cataste di libri sparsi per terra a guisa di rifiuti o pronti per essere trafugati; persistono infiltrazioni di acqua con gravi rischi per l'intera Biblioteca; tutt'al più allo stato attuale non si conosce che cosa e quanto è stato ad oggi trafugato, per mancata corrispondenza tra il patrimonio originario della Biblioteca e quanto vi è al momento;
          la Biblioteca allo stato dei fatti non risulta abitualmente aperta e, si legge sui giornali che non solo «il tetto pericolante non consente l'ingresso all'archivio» ma che nemmeno è messo in sicurezza;
          risulterebbero ancor più inquietanti, laddove fondate, le notizie stampa che indicherebbero l'ex direttore della Biblioteca, De Caro, che con alcuni complici porta via volumi dalla biblioteca. Raid che sarebbero avvenuti in ore serali e notturne e che sono stati registrati dalle telecamere del sistema di videosorveglianza;
          la procura di Napoli, riscontrando il plauso dell'intera città, ha effettuato in data 19 aprile 2012, il sequestro della Biblioteca avviando pronte indagini su quanto avvenuto;
          la nomina di De Caro a direttore della Biblioteca Girolamini è stata comunicata alla direzione generale del Ministero il 1o giugno 2011 dal conservatore del Monumento nazionale dei Girolamini, padre Sandro Marsano;
          tale nomina appare all'interrogante in contrasto con l'articolo 8 della convenzione rinnovata per il biennio 2011-2012 tra il Ministero per i beni e le attività culturali – direzione generale per le biblioteche, gli istituti culturali e il diritto d'autore – e il Monumento nazionale dei Girolamini per il funzionamento della biblioteca, approntata a norma della legge 2 dicembre 1980, n.  803, secondo la quale il conservatore può nominare tra i religiosi della comunità il direttore della biblioteca, posto che De Caro non è un religioso della comunità;
          lo stesso Ministero non ha sollevato obiezioni né si è opposto a tale nomina, né, fatto ancora più grave, ha richiesto curriculum o relazione informativa che documentasse le competenze e professionalità del De Caro a ricoprire tale importante carica;
          al momento della nomina a direttore della Biblioteca, Marino Massimo De Caro era consulente del Ministro pro tempore, con nomina in data 15 aprile 2011, riconfermata dall'attuale Ministro in data 15 dicembre 2011;
          i VAS-Verdi, Ambiente e Società, Italia Nostra, le Assise della Città di Napoli e del Mezzogiorno d'Italia, e nell'insieme tutto il mondo culturale ed associativo della Città di Napoli hanno rispetto all'accertamento di tutte le responsabilità del caso, alla messa in totale sicurezza della Biblioteca, al recupero del suo tesoro libraio e di quanto altro sparito, per riportarlo al massimo splendore;
          per Stefano Parise, presidente dell'Associazione italiana biblioteche, il problema è «rivedere drasticamente i criteri di nomina dei vertici degli istituti culturali, almeno di quelli più prestigiosi»  –:
          se alla luce degli ultimi sviluppi siano stati attivati tutti gli accorgimenti, dalla verifica delle persone che possono accedere ed operare all'interno della Biblioteca e degli spazi annessi, al cambio di chiavi e serrature;
          se nel corso degli anni passati e fino al sequestro della Biblioteca il 19 aprile 2012, al Ministero per i beni e le attività culturali siano state fatte comunicazioni o denunce dai direttori della Biblioteca Girolamini o dai conservatori del complesso monumentale Girolamini, succedutisi negli anni o da altre persone su furti all'interno della Biblioteca o del complesso monumentale Girolamini ed, in caso affermativo, quali iniziative di competenza, il Ministero abbia intrapreso per evitare il ripetersi di essi;
          quali iniziative, nel corso degli anni passati, il Ministero abbia intrapreso per la massima tutela del patrimonio dei Girolamini sul piano della sicurezza, e per la corretta tenuta e fruizione e quali sano stati i contributi dello Stato a tal fine;
          se sia stato mai censito il patrimonio della Biblioteca e del complesso monumentale dei Girolamini;
          per quali ragioni di fronte a quello che all'interrogante appare il mancato rispetto della convenzione, circa la nomina di De Caro su indicazione della Congregazione il Ministero non abbia sollevato osservazioni o richiesto curriculum sulle competenze per studi, attività di ricerca, professionalità di Marino Massimo De Caro, nominato direttore della Biblioteca;
          se non intenda il Ministro, nell'immediato, promuovere, per quanto di competenza, una ispezione sull'attività della Biblioteca dal 2011 ad oggi, al fine di chiarire i danni arrecati dall'ex direttore De Caro e individuare le opportune strumentazioni per preservare la medesima struttura da ulteriori furti, anche attraverso l'inserimento, all'interno di ciascun volume/testo/composizione, di un dispositivo magnetico di protezione antitaccheggio come peraltro suggerito dal professor Mario Rusciano presidente del polo delle scienze umani e sociali dell'Università Federico II di Napoli (Corriere del Mezzogiorno, 15 aprile 2012);
          se non ritenga indispensabile revocare immediatamente la ratifica ministeriale alla nomina di padre Sandro Marsano quale conservatore del monumento nazionale dei Girolamini, da cui dipende la nomina del direttore della biblioteca e assumere ogni iniziativa, anche d'intesa con i vertici romani della Congregazione dell'Oratorio di un commissario straordinario, nella persona del più qualificato bibliotecario in forza al Ministero per i beni e le attività culturali come da proposta, del professor Tomaso Montanari – Corriere del Mezzogiorno 21 aprile 2012, cosa che è nell'interesse dell'ordine, oltre che dello Stato;
          quali iniziative intenda intraprendere per la Biblioteca dei Girolamini nel contesto del complesso monumentale dei Girolamini, attivando anche le procedure per l'inserimento della biblioteca dei Girolamini e dell'intero complesso nel patrimonio mondiale dell'UNESCO. (4-16053)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          consta all'interrogante che l'incarico di direttore lavori del genio è stato affidato, in sede vacante, congiuntamente al proprio, al colonnello GArn Roberto Faraglia, in linea con le previsioni di cui all'articolo 715 del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n.  90, e in combinato disposto con la circolare n.  373/86-24-1953 in data 29 luglio 2003 dell'ufficio ordinamento del comando generale;
          con la citata circolare, in relazione alla competenza ad emanare disposizioni in materia di sostituzione del militare investito di comando o di carica direttiva, il comando generale dell'Arma dei carabinieri «è giunto nella determinazione di mantenere nelle varie strutture le competenze: – specialistiche sempre e unicamente agli Ufficiali del ruolo Tecnico-Logistico, salvo particolari eccezioni in presenza di Ufficiali del Ruolo Normale e Speciale con accertate capacità in taluni ambiti di attività; [...]»;
          il decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n.  90, all'articolo 715 (doveri attinenti alla dipendenza gerarchica) stabilisce che «1. Dal principio di gerarchia derivano per il militare: a) il dovere di obbedienza nei confronti del Ministro della difesa e dei Sottosegretari di Stato per la difesa quando esercitano le funzioni loro conferite per delega del Ministro; b) i doveri inerenti al rapporto di subordinazione nei confronti dei superiori di grado e dei militari pari grado o di grado inferiore investiti di funzioni di comando o di carica direttiva, nei limiti delle attribuzioni loro conferite. 2. Nelle relazioni di servizio e disciplinari il militare è tenuto a osservare la via gerarchica. 3. Per la sostituzione del militare investito di comando o di carica direttiva in caso di morte, assenza o impedimento si applicano le disposizioni previste da ciascuna Forza armata o Corpo armato. In mancanza di particolari disposizioni, al militare investito di comando o di carica direttiva deceduto, assente o impedito, subentra di iniziativa, fino alla nomina del successore da parte dell'autorità competente, il militare, che ne ha titolo, in servizio presso lo stesso comando o reparto più elevato in grado, e, a parità di grado, più anziano, tenendosi presente che il militare in servizio permanente ha il dovere di esercitare il comando sui militari pari grado delle altre categorie, prescindendo dalle anzianità. 4. In ogni atto riferito al servizio o compiuto in servizio che comporta l'assunzione di responsabilità con conseguente emanazione di ordini il militare delle categorie in servizio permanente ha il dovere di esercitare il comando sui militari pari grado delle altre categorie, prescindendo dall'anzianità.»  –:
          se in forza al ruolo tecnico logistico dell'Arma dei carabinieri vi siano degli ufficiali con il medesimo grado gerarchico del militare di cui in premessa e per ciascuno di essi quali siano i titoli accademici posseduti e quali siano state le ragioni in fatto e in diritto che ne abbiano permesso l'esclusione dall'affidamento dell'incarico di direttore lavori del genio in sede vacante;
          quali siano i titoli accademici del colonnello GArn Roberto Faraglia e quali siano state le ragioni in fatto e in diritto le «particolari eccezioni» poste a fondamento dell'affidamento al medesimo dell'incarico di in premessa;
          quali immediate iniziative intenda intraprendere in merito, anche alla luce dell'evidente e chiarissima disposizione a favore degli ufficiali del ruolo tecnico logistico dell'Arma dei carabinieri. (4-16030)


      SIRAGUSA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          in data 12 luglio 2011 è scomparso da Palermo un ragazzo di vent'anni di nome Marcello Volpe;
          il ragazzo è uscito alle 8,00 circa del mattino da casa sua, a Palermo, dicendo al fratello che sarebbe rientrato dopo un paio d'ore. Da allora, se ne sono perse le tracce;
          le indagini in atto sulla scomparsa del ragazzo sono condotte dalla procura della Repubblica di Palermo e delegate alla polizia di Stato, squadra mobile di Palermo;
          il telefono cellulare in uso al ragazzo, posto sotto controllo su disposizione degli inquirenti, è risultato irraggiungibile fino a domenica 17 luglio, quando è stato acceso per breve tempo. La cella telefonica è stata localizzata presso un porticciolo turistico nel quartiere Arenella di Palermo, che dista circa un chilometro dall'abitazione della famiglia Volpe. A seguito di ciò sono state effettuate ulteriori verifiche con il supporto di un cane molecolare, che ha seguito le tracce del ragazzo da casa sua al suddetto porticciolo turistico. Sono risultate vane le ricerche condotte dai sommozzatori nello specchio d'acqua antistante il porticciolo, nell'ipotesi che il ragazzo fosse caduto in mare;
          a poche centinaia di metri dall'abitazione della famiglia Volpe si trova un presidio delle Forze armiate, più precisamente il 6o reggimento lancieri d'Aosta (caserma Cascino), ed è possibile che tale presidio e la zona circostante siano posti sotto controllo dalle postazioni satellitari in uso alle Forze armate  –:
          se il Ministro non intenda, al fine di agevolare le indagini, chiarire se in data 12 luglio 2011 sulla zona indicata in premessa fossero puntati satelliti militari che possano aver registrato immagini utili all'individuazione del ragazzo;
          se il Ministro non ritenga di fornire eventuali registrazioni di immagini agli inquirenti. (4-16031)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il tribunale militare di Roma, prima sezione, con la sentenza di assoluzione n.  29 datata 14 ottobre 2011 perché «il fatto non costituisce reato» ha concluso il procedimento penale a carico dell'appuntato scelto Piero Antonio Cau – in cui il militare veniva imputato del reato di «diffamazione aggravata e continuata (articoli 81 cp, 47 n.  2, 227 commi 1 e 2 c.p.m.p.) perché con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in Roma, in data 4 novembre 2008, presentando al Nucleo Relazioni con il pubblico del Comando della regione Carabinieri “Lazio” tre istanze di accesso a documenti amministrativi, ai sensi della Legge n.  241 del 1990 in materia di trasparenza amministrativa, offendeva l'onore e la reputazione del superiore Col. CC Cuneo Angelo, Capo Ufficio Personale della medesima Regione Carabinieri»;
          il comandante della scuola allievi carabinieri di Benevento, colonnello Antonio Bandiera, per i fatti non penalmente rilevanti, ha disposto l'avvio del procedimento disciplinare di corpo a norma dell'articolo 1370 e seguenti del decreto legislativo 15 marzo 2010, n.  66, concernente il codice dell'ordinamento militare, poiché le affermazioni nelle tre istanze sono «prive dei requisiti della veridicità, della proporzione e della pertinenza (...) e assumono rilievo disciplinare in riferimento alla violazione del dovere di correttezza nel tratto, di cui all'articolo 733 comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica n.  90 del 2010»;
          la sentenza penale di assoluzione, ai sensi dell'articolo 653 del codice di procedura penale, ha efficacia di giudicato nel giudizio di responsabilità disciplinare e nonostante l'assenza di fatti nuovi e/o autonomi rispetto alla cognizione del comandante di corpo pro tempore – in relazione alle norme di tratto – si è avviato un procedimento che viola palesemente il principio del ne bis in idem;
          gli interroganti con le interrogazioni a risposta scritta 4-13707, 4-13167 e 4-10055 hanno segnalato e più volte sollecitato al Ministro interrogato che appare ormai chiaro agli interroganti che il codice dell'ordinamento militare trovi scrupolosa applicazione solo ed esclusivamente nei confronti dei gradi più bassi della scala gerarchica;
          l'esistenza di simili comportamenti, discutibili sul piano della legalità e della funzione sanzionatoria, destano profondo sconcerto soprattutto se si considera che l'elemento fondamentale per il funzionamento dell'organizzazione gerarchica risiede nella piena consapevolezza dell'irrinunciabile necessità di operare nel rispetto delle regole e della trasparenza;
          ad avviso degli interroganti, il caso dell'appuntato scelto Piero Antonio Cau conferma che l'amministrazione militare pone in essere trattamenti diversi in base al grado gerarchico rivestito dal militare coinvolto, come ad esempio è avvenuto nei confronti del Generale dell'Arma dei carabinieri Ganzer che, a seguito della condanna inflittagli di anni 14 di reclusione, oltre la multa di 65.000 euro, non solo non ha avuto conseguenze disciplinari di sorta, ma invero è stato destinatario di espressioni di vicinanza ed elogio da parte del Ministro pro tempore  –:
          quali immediati provvedimenti intenda adottare in merito alle evidenti disparità di trattamento segnalate e se non ravvisi l'esigenza di assumere specifiche iniziative volte ad archiviare il procedimento sanzionatorio di cui in premessa. (4-16048)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      DI BIAGIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          Enel costituisce una delle principali partecipazioni pubbliche italiane, con un valore di mercato per il Ministero dell'economia e delle finanze e la Cassa depositi e prestiti di oltre 11 miliardi di euro e con un valore strategico che va oltre il dato della capitalizzazione di borsa; in questo senso, basti pensare al ruolo che Enel sarà chiamata a svolgere per il rilancio del programma nucleare, i cui costi costituiscono tuttora una delle principali incognite;
          poco prima dell'estate del 2010 la società ha portato a termine un aumento di capitale, il più consistente nella storia della borsa italiana, dell'importo complessivo di 8 miliardi di euro, 2,5 dei quali a carico del Ministero dell'economia e delle finanze, che ha dovuto obtorto collo provvedervi per non diluire la propria partecipazione e mettere a rischio il controllo pubblico sulla società; si è trattato di una scelta difficile, perché le ripercussioni della congiuntura internazionale sull'economia nazionale avrebbero anche potuto consigliare di investire le medesime risorse ai fini della crescita; d'altra parte, l'intervento dell'azionista pubblico è stato imposto da una situazione finanziaria di Enel che sembrerebbe presentare profili di criticità, in ragione di una campagna acquisti – culminata con l'acquisizione della società elettrica spagnola Endesa – che ha messo in crisi la stabilità finanziaria della società;
          nel bilancio consolidato 2009 di Enel l'indebitamento finanziario netto al 31 dicembre era pari a 50,870 miliardi di euro; ma la «posizione finanziaria netta (come da comunicazione Consob)» era invece pari a 58.914 milioni di euro; ciò significa che l'indebitamento finanziario netto consolidato del gruppo Enel, secondo i criteri contabili stabiliti dall'organo di vigilanza, è di 58,9 miliardi di euro, ma Enel giudica questa cifra in eccesso di 8 miliardi di euro, perché non comprenderebbe crediti non correnti e titoli a lungo termine. Detto in altri termini, sembra che Enel ritenga di potere quindi adottare criteri di riclassificazione contabile, che riducono il suo indebitamento consolidato a 50,9 miliardi di euro;
          in questo quadro, peraltro, non si considera la mole dei debiti commerciali del gruppo Enel, che ammontavano al 31 dicembre 2009 a 11.174 milioni: il che significa che alla fine del 2009 l'indebitamento complessivo di Enel era di circa 70 miliardi di euro (considerando quello finanziario secondo i criteri Consob);
          infine, nella relazione semestrale al 30 giugno 2010 l'indebitamento finanziario netto (secondo i criteri Enel, presumibilmente, non secondo quelli Consob, cui non si fa alcun riferimento) è ulteriormente cresciuto di 3 miliardi, portandosi a ridosso dei 54 miliardi di euro  –:
          se il Ministro ritenga che l'entità effettiva dell'indebitamento netto consolidato di Enel sia quello che emerge applicando la normativa prevista dalla Consob o quello rielaborato dalla società secondo la propria riclassificazione dei criteri contabili;
          se non ritenga di assumere iniziative affinché il bilancio della società debba essere più chiaramente leggibile e comprensibile, visto che tra gli azionisti Enel vi sono anche un milione di piccoli risparmiatori;
          perché a distanza di quasi un anno e mezzo dall'aumento di capitale – che risulta di una cifra pari alla differenza tra l'indebitamento finanziario calcolato secondo i criteri Consob e quello ricalcolato secondo i criteri Enel – l'indebitamento di Enel continui a crescere, facendone la società di gran lunga più indebitata d'Europa;
          come possa Enel onorare i propri impegni finanziari e in particolare quelli legati al programma nucleare italiano e come il Ministro dell'economia e delle finanze ritenga che debba farvi fronte, se vendendo attivi, aumentando ulteriormente il capitale, o scaricando sulle bollette elettriche degli italiani il costo del programma nucleare. (5-06841)

Interrogazioni a risposta scritta:


      MANCUSO, BARANI e DE LUCA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il redditometro è lo strumento attraverso il quale il fisco può stimare il reddito presunto di un contribuente, sulla base delle spese che quest'ultimo ha effettuato, grazie a una serie di indici fissati a priori, e successivamente convocarlo, per chiedergli di giustificare lo scostamento tra spese effettuate e reddito dichiarato;
          anche la nuova versione del redditometro, che dovrebbe entrare a regime nel prossimo mese di giugno, includerà le voci relative alle spese veterinarie e alla detenzione dei cavalli;
          nel nostro Paese vivono 50 milioni di animali domestici, di cui 15 cani e gatti;
          la maggior parte dei cavalli posseduti da privati in Italia vengono accuditi come animali da compagnia e spesso i loro proprietari sostengono importanti privazioni economiche pur di mantenere il proprio animale;
          in base al redditometro, il fisco può verificare la coerenza tra il reddito dichiarato e le «presunte» spese di mantenimento del cavallo. Si ha notizia di accertamenti in questo senso, in Piemonte, dove gli allevatori temono ripercussioni sul comparto allevatoriale equino e più in generale su quello nazionale. I proprietari e gli allevatori mantengono i cavalli con redditi assolutamente inferiori a quelli richiesti, contribuendo però al sostegno e allo sviluppo del settore, soprattutto per lo sviluppo delle razze equine autoctone e locali e di tutto l'indotto;
          i medici veterinari della Società italiana veterinari per equini fanno notare che considerare il cavallo un indicatore di reddito disincentiva il possesso del cavallo, contrasta con la tutela sanitaria dell'animale, rischia di incoraggiare l'abbattimento e depotenzia gli sforzi dell'Europa e dell'Italia per la creazione di una anagrafe equina basata sull'identificazione certa del cavallo;
          molti italiani fanno delle rinunce per poter far fronte le spese relative al sostenimento dei propri animali domestici  –:
          se il Governo intenda riconsiderare l'opportunità di inserire tra le voci considerate tra i criteri del redditometro le spese veterinarie e quelle relative alla detenzione di cavalli;
          se il Governo intenda integrare il redditometro con criteri quantitativi e qualitativi che aiutino ad individuare le spese effettivamente esuberanti. (4-16026)


      MANCUSO, BARANI e DE LUCA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il redditometro è lo strumento attraverso il quale il fisco può stimare il reddito presunto di un contribuente, sulla base delle spese che quest'ultimo ha effettuato, grazie a una serie di indici fissati a priori, e successivamente convocarlo, per chiedergli di giustificare lo scostamento tra spese effettuate e reddito dichiarato;
          il recente decreto-legge «salva Italia» ha imposto ai professionisti la stipula di un'assicurazione a copertura dei rischi di responsabilità civile;
          infatti, l'articolo 3 del decreto n.  138 del 14 agosto 2011, convertito dalla legge n.  148 del 14 settembre 2012, recita: «a tutela del cliente, il professionista è tenuto a stipulare idonea assicurazione per rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale», aggiungendo che «le condizioni generali delle polizze assicurative possono essere negoziate, in convenzione con i propri iscritti, dai Consigli Nazionali e dagli Enti previdenziali dei professionisti»;
          l'articolo 9 del decreto-legge n.  1 del 24 gennaio 2012 chiede al professionista «di indicare al cliente i dati della polizza assicurati va per i danni provocati nell'esercizio dell'attività professionale»;
          i professionisti in campo sanitario (medici veterinari, medici, infermieri e altro) necessitano di una assicurazione medica ad alta copertura, dato l'alto profilo di rischio della loro professione;
          tra le voci che si prevede di inserire nella nuova versione del redditometro vi sono anche quelle relative al versamento dei contributi obbligatori, volontari e legati alla previdenza complementare;
          i contributi obbligatori da versare vengono calcolati in percentuale sul reddito dichiarato  –:
          se il Governo intenda considerare l'opportunità di assumere iniziative volte a inserire, tra le voci previste nel nuovo redditometro, la polizza assicurativa per la responsabilità civile, la polizza sanitaria e infortuni, il versamento dei contributi previdenziali obbligatori, volontari e legati alla previdenza complementare. (4-16027)


      FEDRIGA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 7 quater, comma 1 lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n.  633 stabilisce una deroga al principio di territorialità dell'IVA, disponendo che, per quanto concerne il trasporto passeggeri, le prestazioni si considerano effettuate nel territorio dello Stato «in proporzione alla distanza percorsa nel territorio dello Stato»;
          tale disposizione è stata introdotta nel nostro ordinamento in attuazione del vigente articolo 48 della cosiddetta «Direttiva IVA» (direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006 relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto), che, quindi, vale per tutti i Paesi dell'Unione europea;
          numerosi autotrasportatori sloveni, nell'effettuare il servizio di trasporto persone all'interno del territorio italiano non rispettano quanto stabilito sia in sede europea, sia in sede italiana, evitando di versare all'Italia l'IVA che essi maturano sul nostro territorio, aumentando così in modo sleale il loro vantaggio concorrenziale nei confronti delle imprese italiane esercenti le stesse attività, già in difficoltà per l'altissimo costo del carburante;
          è necessario intervenire presso la Guardia di Finanza e le altre forze dell'ordine operanti sul territorio della regione autonoma Friuli Venezia Giulia, al fine di promuovere una più efficace azione di verifica e di monitoraggio sul rispetto della citata disposizione;
          in particolare è necessario che le forze dell'ordine siano dotate di adeguati strumenti che permettano loro di accertare immediatamente durante i controlli stradali se il soggetto straniero comunitario che effettua trasporto di persone sul territorio italiano rispetta la normativa e si è identificato ai fini IVA presso l'Agenzia delle entrate  –:
          quali siano, al fine di evitare la concorrenza sleale nei confronti delle imprese di autotrasporto italiane, i controlli messi in atto fino ad ora per reprimere tale fenomeno e quali siano le azioni che il Governo intenda avviare per migliorare l'azione di verifica e di prevenzione sui territori di confine e sul territorio del Friuli Venezia Giulia in particolare, dove il fenomeno è particolarmente rilevante.
(4-16029)


      GIANNI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          con sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa della regione Sicilia, venivano dichiarate illegittime le tariffe di estimo applicate al comune di Francofonte (Siracusa);
          l'agenzia del territorio di Roma rendeva noto, nella Gazzetta Ufficiale n.  254 del 29 ottobre 2010 l'accoglimento del ricorso demandando al Ministero dell'economia e delle finanze, l'emanazione del relativo decreto riguardante l'applicazione delle tariffe di estimi perequati a quelle dei comuni limitrofi;
          ad oggi non risulta, all'interrogante, emanato alcun provvedimento e il perdurare della situazione penalizza fortemente i cittadini di Francofonte che da oltre dieci anni si vedono costretti a subire l'applicazione di tariffe di estimi sperequati e doppie rispetto a quelli dei comuni vicini;
          il consiglio comunale dovrà deliberare quanto prima sulle aliquote di Imu, derivanti dal decreto «salva Italia»;
          è improcrastinabile che si giunga nel più breve tempo possibile all'emanazione del provvedimento che consenta al cittadini francofontesi l'applicazione di una tariffa catastale equa e rispettosa dei diritti individuali  –:
          se non ritenga necessario procedere in tempi brevissimi, tenuto conto anche dei tempi di determinazione dell'Imu, all'emanazione del decreto relativo alle tariffe degli estimi catastali per gli immobili nel comune di Francofonte (Siracusa) come da ricorso accolto dall'Agenzia delle entrate di Roma. (4-16034)


      EVANGELISTI e BORGHESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          in data 8 maggio 2012, la Guardia di Finanza, su delega della procura di Siena, ha effettuato perquisizioni anche nella sede della Fondazione dei Monte di Paschi di Siena. La procura della Repubblica di Siena, riferisce una nota, ha disposto una serie di perquisizioni presso le sedi legali della banca Monte dei Paschi di Siena, della Fondazione Monte Paschi Siena, del comune e della provincia, di numerose istituzioni finanziarie italiane ed estere con sede sul territorio nazionale, nonché di abitazioni private, in ordine ad una serie di condotte poste in essere a partire dal 2007, in occasione dell'acquisizione di Banca Antonveneta dagli spagnoli del Banco Santander, protrattesi sino al 2012. Le ipotesi di reato sui quali si indaga, sono manipolazione del mercato ed ostacolo alle funzioni delle autorità di vigilanza in relazione alle operazioni finanziarie di reperimento delle risorse necessarie all'acquisizione di banca Antonveneta e ai finanziamenti in essere a favore della Fondazione Monte dei Paschi. La procura di Siena che ha disposto una serie di perquisizioni presso le sedi legali della banca Monte dei Paschi di Siena, della Fondazione Monte Paschi Siena, del comune e della provincia, di numerose istituzioni finanziarie italiane ed estere sul territorio nazionale, oltre che in abitazioni private, finalmente indaga sull'acquisizione di banca Antonveneta. Paolo Mondani, eccellente giornalista di inchiesta, aveva firmato un servizio per Report, la trasmissione di inchiesta in onda su Raitre condotta da Milena Gabanelli, domenica 6 maggio 2012, alle 21,30, vero e proprio atto di accusa documentato sulla gestione di Monte dei Paschi di Siena, da parte di Mussari, presidente dell'Abi ed ex presidente del Monte dei Paschi di Siena;
          «se dovessimo rappresentare i vizi e le virtù dell'Italia con la fotografia di una sola città, quella città sarebbe Siena – scrive Mondani –. Sessantamila abitanti invece di sessanta milioni. Arte, storia, turismo, aria buona, cucina meravigliosa e la passione per la squadra di calcio che da anni gravita in serie A. Poi ci sono i debiti, tanti debiti. Frutti inattesi di una classe dirigente drammaticamente inadeguata per aver sottovalutato i segnali della crisi. E qui entra in ballo la Banca Monte dei Paschi, la terza per importanza del nostro Paese e i rapporti di forza della Città. I tre Palazzi che gestiscono il potere: il palazzo comunale, al centro di piazza del Campo, sede del consiglio comunale dove il sindaco esprime la maggioranza dei consiglieri nella Fondazione; Rocca Salimbeni, sede della banca; palazzo Sansedoni, che ospita la Fondazione che controlla la banca. Il Monte dei Paschi nato nel 1472, il suo controllo è saldamente nelle mani dei gruppi di potere dei partiti, della massoneria, dell'economia. A Siena lo definiscono: il groviglio armonioso. E i senesi soprannominano la banca il Babbo Monte. Il bilancio 2011 si è chiuso con un passivo di 8,4 miliardi di euro. Uno shock. Mentre all'Università c’è un buco da 200 milioni, con un'inchiesta giudiziaria che coinvolge due rettori. Il Presidente Giuseppe Mussari, alla guida della banca dal 2006, ora lascia per far posto ad Alessandro Profumo. I problemi del Montepaschi sono comuni ad altre banche italiane: l'economia collassa e i Btp pesano come macigni nel portafoglio. Ma di straordinario c’è stata l'operazione Antonveneta, pagata più di 10 miliardi nel 2007, quando Emilio Botin, due mesi prima, l'aveva comprata per molto meno. Poi c’è la Fondazione Mps, l'anacronistico azionista con la maggioranza assoluta della banca. Dalla sua istituzione nel 1996 a oggi ha gestito, sotto forma di erogazioni, il fiume di soldi che le arrivavano dalla banca sotto forma di dividendi. Ha ristrutturato scuole, strade, palazzi e poli museali. Ha anche dato soldi a pioggia, dalle sponsorizzazioni della squadra di calcio, alle dazioni alle più bizzarre associazioni o alle sagre paesane. Perché di soldi ce n'erano tanti e non finivano mai. Pur di rimanere con più del 50 per cento, in questi anni, la Fondazione si è venduta quasi tutto quello che poteva vendere e si è indebitata fino al collo. Talmente indebitata che per il proprio futuro getta lo sguardo fuori le mura senesi»;
          in un articolo sul Corriere della Sera dal titolo: Mps, Fiamme gialle anche in Mediobanca. L'istituto di Piazzetta Cuccia era nel consorzio di garanzia dell'aumento di capitale per l'acquisizione Antonveneta, Fabrizio Massaro riferisce che: «C’è anche Mediobanca tra gli istituti presso i quali la Guardia di Finanza si è recata oggi per acquisire documenti relativamente all'inchiesta della procura di Siena sull'operazione Antonveneta. Mediobanca, da sempre vicina alla banca senese, era nel consorzio di garanzia dell'aumento di capitale del 2008 relativo all'acquisizione Antonveneta. Le operazioni in Lombardia e a Padova sono svolte dalle Fiamme gialle, anche attraverso il nucleo di polizia valutaria di Milano. In totale sono 147 gli uomini della Guardia di Finanza impegnati nelle perquisizioni al Monte dei Paschi a Siena e a Firenze, Padova, Roma, Mantova, Milano. Fonti vicine all'istituto hanno poi confermato che Mediobanca è stata oggetto di una perquisizione della Guardia di Finanza come persona informata dei fatti in relazione a operazioni poste in essere dal Gruppo Mps nelle quali Mediobanca ha ricoperto insieme a altre primarie istituzioni internazionali un ruolo tecnico connesso con la sua ordinaria operatività»;
          oltre a Mediobanca le Fiamme Gialle hanno acquisito documenti presso Credit Suisse e in diversi altri istituti appartenenti al consorzio di undici banche creditrici della Fondazione Mps capitanato da JpMorgan.  Tra queste Intesa Sanpaolo, Deutsche Bank, Goldman Sachs. In totale sarebbero 38 gli istituti visitati dalla Guardia di Finanza. Mentre Il Sole 24 Ore, del 9 maggio 2012 esclude che tra gli indagati del Monte dei Paschi di Siena, ci sia l'ex presidente Mussari. Tra gli indagati dell'inchiesta della procura di Siena sull'acquisizione di Antonveneta da parte di Mps figurano due dirigenti dell'Istituto di credito toscano. Fonti vicine all'inchiesta, condotta dal sostituto procuratore Antonino Nastasi, riferiscono che tra gli indagati non figura Giuseppe Mussari, attuale presidente dell'Abi e presidente di Mps all'epoca dell'operazione Antonveneta. Le Ipotesi di reato sono aggiotaggio e ostacolo all'autorità di vigilanza. Oltre alla sede dell'istituto di credito e della Fondazione Mps a Siena i finanzieri del nucleo valutario della Guardia di Finanza di Roma hanno eseguito perquisizioni presso le abitazioni private dei dirigenti della banca nello stesso capoluogo toscano, a Roma, Firenze, Milano, Padova, Torino e Mantova. Tra le abitazioni perquisite c’è anche quella del presidente della Fondazione Mps, Gabriello Mancini»;
          in occasione dell'ultima assemblea degli azionisti del MPS svoltasi a Siena a fine aprile, il dottor Tommaso di Tanno, studioso eminente delle scienze tributarie vicino a Vincenzo Visco (e a Massimo D'Alema) e membro del collegio sindacale di Mps, rispondendo ad una domanda di un piccolo azionista aveva risposto rispetto ai dubbi sul prezzo, vicino ai 9 miliardi di euro pagato per Banca Antonveneta, che, pur non essendo stata fatta alcuna due diligence, documenti pervenuti al collegio erano risultati corretti sul piano formale e sostanziale. «Il valore patrimoniale della Banca era di 2,3 miliardi e fu acquistata per 9 miliardi – aggiunse Di Tanno Non entro nel merito se il prezzo di 9 miliardi fosse appropriato». Di Tanno ricorda che la due diligence preventiva sulla banca veneta «non fu fatta», tuttavia i dati «risultarono veritieri». Una vera e propria «bomba» fatta esplodere da uno dei tributaristi più autorevoli del Pd, spesso intervistato, tra l'altro, per i servizi di Report, la trasmissione tv che ha acceso, circostanza non casuale, i riflettori su Siena, dove altre fazioni del Pd soprattutto tra i cattolici si stanno sfidando da settimane proprio su Mps. Come riferisce il giornale First on-line, quando dalle parti della piazza del Palio, sotto la Torre del Mangia, i senesi hanno visto alle 7 del mattino un gran traffico di auto delle Fiamme gialle, il pensiero dei tifosi era corso immediatamente ai bianconeri del Siena calcio: si è pensato che stesse per partire un blitz per affossare la squadra in serie B. Sui giornali, a proposito di Monte Paschi, si faceva più che altro riferimento all'indignazione del sindaco di Siena, Franco Ceccuzzi, contro Report; il primo cittadino aveva annunciato che avrebbe verificato la possibilità di adire le vie legali contro una rappresentazione «molto lontana dalla realtà» e «gravemente offensiva della città». Anche il Pdl senese ha parlato trasmissione «superficiale». Ma la realtà, spesso, ha superato le tesi reportage «superficiale»: tempo pochi minuti e si è capito che la guardia di finanza stava per violare la Rocca Salimbeni, la fortezza del Monte Paschi inviolata da più di 500 anni, il forziere celebrato da Luciano Pavarotti al momento una quotazione di 15 anni fa che ora sembra vecchia di 5.000 anni: la Guardia di finanza, su mandato della procura, stava raccogliendo documenti attorno all'operazione più discussa e tribolata della storia della finanza senese, l'acquisizione di Banca Antonveneta. L'operazione ha coinvolto 150 finanzieri, che hanno setacciato tutte le stanze dei bottoni del potere locale. La Guardia di finanza ha bussato alla porta di villa Stasi, l'abitazione dell'ex presidente della banca Mps Giuseppe Mussari, ora presidente dell'Abi: la sua casa e il suo ufficio sono stati perquisiti ma non è indagato. Perquisizioni sono state effettuate anche nell'abitazione del presidente Gabriello Mancini, di Antonio Vigni, ex direttore generale del Monte e dell'attuale direttore generale della Fondazione Mps Claudio Pieri e di altri dirigenti sia della Fondazione sia della banca. Non solo: altre perquisizioni sono state fatte in altre città d'Italia. Al centro dell'inchiesta, l'acquisizione della banca Antonveneta avvenuta nel 2008: ci sono almeno due indagati. Gli avvisi di garanzia sono stati notificati a esponenti di Mps. La Guardia di Finanza si è presentata anche negli uffici di Mediobanca a Milano, «in relazione – informa una nota – a operazioni poste in essere dal gruppo Mps, nelle quali Mediobanca ha ricoperto insieme ad altre primarie istituzioni internazionali un ruolo tecnico connesso con la sua ordinaria operatività»;
          l'indagine, infatti, sembra avere per oggetto tutti i risvolti di una delle operazioni finanziarie più discusse e discutibili negli ultimi anni anni: l'acquisto, nel 2007, di Banca Antonveneta dal Banco Santander ma anche l'aumento di cosiddetto di capitale del 2008 per parte la parte del cosiddetto «Fresh» da un miliardo di euro suggerito da un pool bancario. Una soluzione, è il dubbio degli inquirenti, scelta per ostacolare l'autorità di vigilanza. La procura di Siena ipotizza infatti reati di «manipolazione del mercato ed ostacolo alle funzioni delle autorità di vigilanza in relazione e operazioni finanziarie di reperimento delle risorse necessarie alla acquisizione di Banca Antonveneta ed ai finanziamenti in essere a favore della Fondazione Monte dei Paschi». È quanto spiega un comunicato della Procura di Siena diffuso dalla Guardia di Finanza in merito al blitz . «Dal punto di vista penale si preannuncia un'indagine lunga, difficile e complessa. Le conseguenze saranno assai più rapide. Viene indebolita la posizione di Giuseppi Mussari ai vertici dell'Abi. Viene accelerato il cambiamento sia i che ai vertici della Fondazione. Viene senz'altro intaccata là sistema delle Fondazioni, per la prima volta al centro di un'indagine che ne mette in discussione il ruolo di cinghia di trasmissione t a la polisca, la società civile e la grande finanza....»;
          il sistema di potere trasversale con al centro il MPS e Siena, che coinvolge tutti gli apparati dai mass media alle istituzioni locali laddove – come provato dalle testimonianze rese a Report – logge massoniche condizionano e si infiltrano nelle istituzioni, con pratiche e comportamenti spesso illegali, che mettono alla gogna qualsiasi voce critica fuori dal coro aveva prodotto nei giorni il licenziamento in tronco di direttore della Nazione, per aver rispettato il diritto di muovere fondate critiche ad un sistema secolare di potere esercitato dalla più antica banca e che ruota attorno alle fondazioni bancarie, istituzioni basate su rapporti fiduciari o di carattere personale gestite secondo gli interroganti con criteri oscuri ed amicali, con modalità tali da non rendere conto ad alcuno del loro operato, oggetto dell'atto di sindacato ispettivo, (2-1464) del 26 aprile 2012, dove si chiedeva al Governo se la rimozione del direttore de La Nazione Mauro Tedeschini non costituisca un grave sintomo delle storture che affliggono il sistema informativo nonché un grave colpo alla dignità di un direttore che aveva condotto il giornale a conseguire significativi successi nelle vendite, poiché ostacolando la libertà di stampa, si mette in gioco quel soggetto fondamentale delle democrazie occidentali che è la pubblica opinione, ciò che distingue un regime da un sistema aperto, con un libero mercato del consenso basato sulla trasparenza conoscenza e all'informazione libera;
           il «sistema Siena» è basato su una ferrea gestione del potere economico-finanziario, impersonato dall'attuale presidente dell'Abi Giuseppe Mussari, che non a caso avrebbe appoggiato la designazione di un indagato per frode fiscale ai danni dello Stato, come Alessandro Profumo, nominato ai vertici del Monte dei Paschi di Siena, il quale se anche non formalmente privo dei requisiti di onorabilità per amministrare una banca, è certamente inidoneo, ad avviso degli interroganti, sul piano dell'opportunità; Unicredit, tra l'altro, offrì a suo tempo appoggio a proprio Mussari per scalare l'associazione bancaria; ciò, secondo gli interroganti, costituisce un pericolo per la legalità fondata sul rispetto di regole e norme, anche di rango costituzionale;
          ci si chiede se le logge massoniche, molto attive a Siena, non condizionino l'operato delle banche e del sistema economico finanziario, molto prodigo nel favorire pochi adepti con affidamenti spesso incauti, avaro nell'offrire la liquidità necessaria a chi voglia intraprendere per riattivare il ciclo economico depresso;
          non si può escludere che sia stata la massoneria a condizionare le attività economiche, bancarie, finanziarie, e volte all'amministrazione della giustizia nell'ultimo decennio a Siena, e che tra le attività delle logge operanti in Toscana vi siano residui della P2 di Licio Gelli, che aveva la finalità di scardinare l'ordinamento democratico per sostituirsi allo Stato di diritto fondato sulla Costituzione repubblicana;
          la scelta di acquistare Banca Antonveneta ad un prezzo superiore a quello di mercato, dopo aver effettuato analoga operazione con l'ex Banca del Salento, denominata Banca 121, appare agli interroganti determinata da apparati esterni agli interessi del Monte; occorrerebbe chiarire altresì quale sia stato il ruolo della Banca d'Italia e soprattutto della Consob;
          sarebbe opportuno attivare le potestà, attribuite dalla legge bancaria e dai testi unici della banca e della finanza, nel sorvegliare la prudente gestione del credito e del risparmio e prevenire un eventuale insolvenza, per verificare la risposta data ad un piccolo azionista da Tommaso di Tarmo, membro del collegio sindacale del MPS, sul valore patrimoniale della Banca Antonveneta pari a 2,3 miliardi di euro ed acquistata per oltre 9 miliardi, senza la garanzia della due diligence preventiva sul valore della banca veneta che non fu fatta, e per chiarire se tale dimenticanza non abbia determinato l'inizio del depauperamento della più antica banca italiana, che mette a rischio, anche per tale negligenza, posti di lavoro ed il risparmio investito dai piccoli azionisti;
          occorrerebbe chiarire se nel perfezionare tale operazione inaccettabile non vi siano stati condizionamenti esterni, quali siano state le commissioni «legali» pagate e se vi siano conti paralleli di centinaia di milioni di euro, riferibili al gruppo MPS, movimentati estero su estero, in particolare sulla piazza di Londra;
          ad avviso degli interroganti sarebbe opportuno procedere al commissariamento urgente della Banca MPS e revocare in tal modo la nomina di Alessandro Profumo, indagato per frode fiscale ai danni dello Stato  –:
          di quali elementi disponga il Governo, per quanto di competenza, sull'insieme delle vicende descritte in premessa e quali iniziative urgenti di competenza, anche di carattere normativo, intenda attivare per impedire che primarie banche siano gestite con criteri che appaiono «amicali», anche da Fondazioni bancarie, che invece di applicare l'articolo 47 della Costituzione, praticano regole non scritte nella gestione, spesso fraudolenta, del credito e risparmio, che ha generato una lunga catena di crack finanziari ed industriali, quali Cirio, Parmalat, My Way, For You, Lehman Brothers, spesso pubblicizzati come affidabili sul sito dell'Abi Patti Chiari, bruciando oltre 50 miliardi di euro di «sudati» sacrifici ad 1 milione di risparmiatori. (4-16050)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


      DI PIETRO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il decreto legislativo 30 gennaio 2006 «Istituzione della Scuola superiore della Magistratura, nonché disposizioni in tema di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari, aggiornamento professionale e formazione dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 25 luglio 2005, n.  150» aveva individuato per la collocazione della Scuola di Magistratura tre sedi in Italia, rappresentate in particolare dalla città di Latina per il centro, dalla città di Catanzaro per il sud e da una città in Provincia di Bergamo per il nord;
          il decreto interministeriale (cosiddetto Mastella-Visco) aveva disposto la sostituzione della sede di Latina con Firenze e quella di Catanzaro con Benevento;
          nel 2008, a seguito delle dimissioni del Ministro pro-tempore Mastella, il suo successore Luigi Scotti, durante una visita a Bergamo, si era impegnato a individuare con un provvedimento ad hoc proprio in questa città la sede per il Nord;
          successivamente alle elezioni politiche del 2008, il nuovo Ministro della giustizia, Angelino Alfano, diede il via, inaugurandola personalmente, alla sede bergamasca secondo le modalità definite nel protocollo d'intesa firmato il 29 settembre 2008 con i rappresentanti della provincia e del Comune di Bergamo;
          l'attuale Ministro della giustizia, Paola Severino, in data 9 maggio 2012 ha comunicato al CSM di aver optato per un'unica sede di formazione in tutt'Italia da collocarsi presso Villa di Castelpulci, di proprietà demaniale, e sita presso il comune di Scandicci nell'area metropolitana di Firenze; nei prossimi giorni sarà sottoscritto per la sede di Villa Castelpulci, un protocollo d'intesa tra gli enti locali, il Ministero e la stessa scuola della magistratura, la cui bozza è già stata preventivamente approvata dai rispettivi uffici;
          la decisione dell'attuale ministro rivede quella del suo predecessore che aveva individuato nella città di Bergamo la sede per la scuola di Magistratura e per l'organismo di direzione centrale;
          sempre in data 9 maggio 2012 il Ministro interrogato ha altresì affermato che i vincitori del concorso in magistratura saranno assunti a decorrere dal mese di giugno e che i locali della scuola saranno pronti prima dell'avvio della loro formazione;
          il comune di Bergamo dal 2008 paga per la sede della scuola di magistratura un canone di locazione pur non essendo stata avviata alcuna attività di formazione;
          ad oggi, a seguito dei diversi provvedimenti succedutisi sulla dislocazione delle sedi della scuola di magistratura, si stima una spesa per affitti e ristrutturazioni delle sedi di Benevento, Catanzaro e Bergamo pari a circa ventidue milioni di euro;
          il ministero, dal 2011, ha sottoscritto un contratto di affitto, per la sede di Bergamo, di sei anni con la curia e pagherà un canone annuo di 240 mila euro fino alla scadenza per un immobile che non verrà utilizzato  –:
          se non intenda confrontarsi ulteriormente sulla vicenda in questione alla luce dello spreco di denaro pubblico di questi anni che secondo l'interrogante altro non fa se non muoversi in direzione opposta a quanto comunicato al CSM. (4-16035)


      MIGLIORI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il quotidiano francese Liberation pubblicò il 24 febbraio 2004 la seguente notizia «Hollande visita Cesare Battisti in carcere a La Santè»;
          in tale articolo si legge che il segretario del P.S. aveva inteso col suo gesto sottolineare la sua disapprovazione, sostenendo l'inammissibilità per la Francia di venire meno alla «parola data» da Mitterrand agli italiani «esiliati» in Francia dal 1985 garantendone la loro tranquillità in cambio della rottura col terrorismo;
          sempre in tale articolo, testimone di una scarsa divisione dei poteri in quel Paese, Hollande criticava la Francia di allora per essere troppo docile nei confronti delle «pressioni di Berlusconi» in merito;
          va tenuto conto del nuovo ruolo istituzionale ricoperto oggi da Hollande  –:
           se il Ministro intenda rappresentare prontamente al nuovo Presidente francese lo sconcerto dell'Italia relativamente alla posizione da quest'ultimo assunta e quali ulteriori iniziative intenda assumere in proposito. (4-16039)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il 6 maggio 2012 la prima firmataria del presente atto è tornata a visitare il carcere di Badu e Carros accompagnata dal garante dei detenuti del comune di Nuoro, professor Gianfranco Oppo; la visita è stata guidata dalla direttrice, dottoressa Patrizia Incollu;
          la precedente visita risale al 4 febbraio 2012 ed è stata oggetto di un'altra interrogazione n.  4-15287 (poi trasformata nell'interrogazione n.  5-06776) che, pur essendo stata sollecitata, non ha mai ricevuto risposta;
          la situazione del carcere, illegale per le modalità di detenzione e per le condizioni di lavoro di tutto il personale che registra significative carenze nell'organico, è sostanzialmente rimasta immutata; gli unici miglioramenti si registrano grazie alla presenza del garante comunale che, insediatosi a febbraio di quest'anno, è riuscito ad instaurare un buon rapporto con la direzione del carcere e con i detenuti; condizione positiva che ha portato alla soluzione di alcuni piccoli problemi che sono però molto importanti per i detenuti;
          i detenuti presenti sono 189; ristretti nella sovraffollata sezione ordinaria vi sono 76 uomini e 13 donne; in alta sicurezza 1 vi sono 25 uomini, mentre in alta sicurezza 3 ve ne sono 66; un detenuto è ristretto in regime di 41-bis ed occupa, da solo, la IV sezione; 8 sono i semiliberi, tutti uomini; i detenuti stranieri sono in tutto 18, di cui 7 donne; quanto alla posizione giuridica, i detenuti in attesa di primo giudizio sono 24, gli appellanti 17, i ricorrenti 10; coloro che scontano una pena definitiva sono 138;
          sul sito del Ministero della giustizia, al 31 dicembre 2011, per l'istituto di Badu e Carros, è scritto che la capienza regolamentare del carcere è di 281 posti: il dato è ad avviso degli interroganti con ogni evidenza erroneo; è probabile che si siano conteggiati nei posti regolamentari anche quelli del nuovo padiglione che però è chiuso essendo ancora in attesa del collaudo;
          in altre occasioni la prima firmataria del presente atto ha evidenziato la mancata corrispondenza fra i dati inseriti sul sito internet del Ministero della giustizia e la realtà dei fatti (si veda il caso del carcere di piazza Lanza a Catania);
          di fronte ad una situazione emergenziale come quella descritta in questa e nella precedente interrogazione (4-15287), appare gravissimo il fatto che non si sia ancora proceduto all'apertura del nuovo reparto completamente ristrutturato e a norma;
          fra i casi particolari da segnalare, ci sono:
              G. M. 76 anni, detenuta con molte patologie che non possono curarsi in regime detentivo e per la quale la prima firmataria del presente atto aveva già presentato il 10 gennaio del 2011 un'interrogazione (4/10292) che non ha ricevuto risposta;
              N. Y. catturato in Albania per un reato commesso in Italia è stato portato prima nel carcere di Voghera e poi a Badu e Carros; non si spiega il motivo per cui non possa scontare la pena in Albania dove vive la figlia undicenne che non vede da cinque anni;
              F. G., si è visto rigettare la richiesta di trasferimento nella regione di residenza, la Puglia, dove vive il figlio affetto dalla sindrome di Marfan che non è in alcun modo in grado di viaggiare per avere colloqui con il padre; nel provvedimento del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria si legge che la richiesta di trasferimento non può essere accolta «in ragione dell'attuale condizione di sovraffollamento degli istituti penitenziari»;
              rimane invariata la condizione di F.D'A. segnalata nella precedente interrogazione; F.D'A, 31 anni, ergastolano che si trova in carcere da 11 anni; F.D'A. ha studiato in stato di detenzione partendo dalle scuole medie; iscrittosi all'università di Sassari presso la facoltà di scienze della comunicazione ha potuto sostenere un solo esame perché nel carcere di Nuoro non ci sono sufficienti risorse per consentirgli di fare altri esami; pur di studiare è disponibile ad essere trasferito; anche B. R. segnala che da 2 anni non gli è consentito di iscriversi all'università;
              S. A. lamenta di essersi visto confermare dal magistrato di sorveglianza di Sassari il rifiuto di un permesso già emesso dal tribunale di Nuoro; il magistrato di sorveglianza di Sassari ha respinto l'istanza di permesso, sposando in pieno le motivazioni di quello di Nuoro: «rilevato che il detenuto, è ancora sottoposto ad osservazione e che non risulta formulato alcun programma trattamentale»; da sottolineare il fatto che S.A. ha già scontata dieci anni e che gli mancano 9 mesi al fine pena;
              inoltre, è stato trasferito in Sardegna dal carcere di Catanzaro Siano per sfollamento e che a causa di ciò ha dovuto interrompere gli studi (3o anno di geometra) che non può proseguire a Badu e Carros;
              anche D. F. è stato trasferito a Nuoro dal carcere di Catanzaro Siano per sfollamento; da un anno non fa più colloqui con la moglie malata di tumore e con le sue due figlie di 10 e 13 anni;
          molti sono i detenuti che affermano di non aver mai ottenuto un permesso nonostante i tanti anni di detenzione già subita: si segnala il caso di V. P. che afferma di aver già scontato 22 anni e che nel corso della detenzione è riuscito a diplomarsi ragioniere;
          un caso singolare è quello di P. L. trasferito a Badu e Carros proprio perché voleva stare in un cella singola per i suoi problemi di tipo psichiatrico; ora teme il trasferimento nel nuovo padiglione perché lì non sono previste celle singole;
          F. D., detenuto comune che si trova però in alta sicurezza, deve scontare meno di due anni e da nove mesi non vede moglie e figli che vivono a Bari; è arrivato a Badu e Carros dal carcere di Palmi per sfollamento a causa del sovraffollamento di quell'istituto; lamenta che gli sia stato rigettato il permesso premio per la cresima dei figli;
          V. D'A. passa il tempo a scrivere poesie; ha vinto anche alcuni premi nazionali ma non può disporre di una macchina per scrivere;
          non avendo la regione Sardegna rinnovato la convenzione per la gestione della biblioteca, peraltro molto fornita, oggi non v’è chi la conduca in modo regolare;
          permangono le difficoltà di rapporto, anche d'incontro, dei detenuti con il magistrato di sorveglianza;
          i commi 1 e 2 dell'articolo 69 della legge 26 luglio 1975, n.  354, stabiliscono che «Il magistrato di sorveglianza vigila sulla organizzazione degli istituti di prevenzione e di pena e prospetta al Ministro le esigenze dei vari servizi, con particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo. Esercita, altresì, la vigilanza diretta ad assicurare che l'esecuzione della custodia degli imputati sia attuata in conformità delle leggi e dei regolamenti»;
          il 1o comma dell'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n.  230 del 30 giugno 2000 prevede altresì che «Il magistrato di sorveglianza» visita «con frequenza i locali dove si trovano i detenuti e gli internati, agevolando anche in tal modo la possibilità che questi si rivolgano individualmente ad essi per i necessari colloqui ovvero per presentare eventuali istanze o reclami orali (...)»;
          il comma 4 dell'articolo 19 della legge n.  354 del 1975 (ordinamento penitenziario) stabilisce che «è agevolato il compimento degli studi dei corsi universitari ed equiparati ed è favorita la frequenza a corsi scolastici per corrispondenza, per radio e per televisione»;
          l'articolo 15, comma 2, dell'ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975, n.  354) stabilisce che «Il trattamento del condannato e dell'internato è svolto avvalendosi principalmente dell'istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia;
          l'articolo 28 dell'ordinamento penitenziario, che regola i rapporti con la famiglia, al comma 1, recita «Particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie. Nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza delle famiglie. (.. .)»  –:
          se siano a conoscenza di quanto descritto in premessa e se si intenda intervenire per ridurre, fino a portarla a quella regolamentare, la popolazione detenuta nel carcere Badu e Carros di Nuoro;
          se e quando si intenda intervenire, per quanto di competenza, per colmare il deficit di organico della polizia penitenziaria, degli psicologi e degli educatori;
          se e quali iniziative di competenza si intendano assumere affinché sia assicurata un'adeguata assistenza sanitaria ai detenuti e l'assoluto rispetto dei livelli essenziali di assistenza;
          se nelle relazioni semestrali della competente ASL siano state segnalate le evidenti scadenti condizioni igienico-sanitarie delle celle;
          se si intendano incrementare i fondi relativi alle mercedi per il lavoro dei detenuti, quelli riguardanti i sussidi per i più indigenti, quelli per le attività trattamentali e, infine, quelli da destinare alla pulizia dell'istituto e, in particolare, delle celle;
          in che modo si intenda intervenire, per quanto di competenza, in merito ai casi singoli segnalati in premessa;
          cosa si intenda fare, affinché sia rispettato il principio della territorializzazione della pena e della concreta possibilità di rapporto dei detenuti con la propria famiglia;
          quali iniziative di propria competenza il Ministro della giustizia intenda assumere in relazione alle criticità rappresentate in premessa con riferimento al ruolo della magistratura di sorveglianza;
          se il magistrato di sorveglianza abbia prospettato al Ministro della giustizia le esigenze dei vari servizi del carcere di Badu e Carros, con particolare riguardo all'attuazione del trattamento rieducativo;
          cosa si intenda fare per agevolare il compimento degli studi dei detenuti segnalati in premessa;
          se intenda intervenire immediatamente per aprire il nuovo padiglione; se siano stati previsti stanziamenti per la ristrutturazione del vecchio istituto, quando inizieranno i lavori e dove e come verranno sistemati i detenuti che non possono trovare posto nel nuovo padiglione. (4-16046)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa il 10 maggio 2012, Bernardo Provenzano, detenuto nel carcere di Parma, avrebbe tentato il suicidio, cercando di soffocarsi mettendo la testa in un sacchetto di plastica. Prontamente soccorso dagli agenti della polizia penitenziaria, l'uomo è stato salvato;
          Bernardo Provenzano, 79 anni il 31 gennaio 2012, è detenuto da quasi un anno nel carcere di Parma. La quarta sezione della corte d'appello di Palermo ne dispose il trasferimento da Novara. I giudici, considerate le precarie condizioni di salute dell'uomo arrestato l'11 aprile 2006 dopo 43 anni di latitanza, accolsero la richiesta del procuratore generale Carmelo Carrara, ritenendo che avesse bisogno di una struttura adeguata dal punto di vista clinico;
          il carcere di Parma è dotato di un centro clinico e nelle sue vicinanze c’è un reparto ospedaliero per detenuti. Sono stati numerosi, nei mesi scorsi, gli appelli del legale del detenuto, avvocato Rosalba Di Gregorio: «Provenzano è molto malato, rischia la morte ogni giorno. Basta col 41-bis. Venga detenuto ma in condizioni civili. Oltre alla recidiva di un cancro alla prostata, l'uomo ha subito una ischemia che gli ha distrutto parzialmente il cervello. Peraltro i tremori e i movimenti rallentati che manifesta sono quelli tipici di una sindrome parkinsoniana»;
          lo stesso difensore dell'uomo ha chiesto che venga fatta piena luce su questo tentato suicidio rilasciando la seguente dichiarazione alle agenzie di stampa: «Qualcuno sostiene che il mio assistito ha tentato il suicidio con il sacchetto dei medicinali. Bene, è assolutamente impossibile perché in cella è vietato, non solo per Provenzano, ma per tutti detenuti, tenere delle medicine. Quindi, continuo a chiedermi cosa ci facesse una sacchetto nella cella del mio assistito. Inoltre, nei giorni scorsi un pool di periti tra cui psichiatri e psicologi avevano sostenuto che Provenzano fosse compatibile con la detenzione in carcere. Noi non avevamo chiesto di scarcerarlo ma di controllare il suo stato psicologico. Loro hanno detto che aveva le capacità di intendere e di volere. E che può stare “validamente in giudizio” e presenziare al processo che si terrà questa mattina a Palermo per l'omicidio di Ignazio Panetinto. A questo punto, o è un simulatore oppure è un depresso. Quindi mi chiedo se la perizia degli psichiatri ha una sua validità. Loro avevano escluso la depressione»;
          secondo quanto si apprende da fonti del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Bernardo Provenzano avrebbe simulato di volersi suicidare. Il detenuto, sottoposto recentemente a perizie che hanno stabilito che è in grado di intendere e di volere, già da giorni, secondo quanto riferito, avrebbe cercato di dimostrare la sua pazzia. L'altra sera, quando l'addetto alla sorveglianza si è avvicinato, Provenzano ha messo la testa dentro un sacchetto di plastica di piccole dimensioni usato per tenere i farmaci. Per dare prova della sua instabilità mentale, il boss diceva di non riuscire a sedersi e di non trovare la sedia;
          sulla vicenda il dottor Francesco Messineo, procuratore di Palermo, ha rilasciato la seguente dichiarazione: «Ogni lettura è legittima: sia che siamo davanti a un reale tentativo di suicidio, sia che si sia trattato di un gesto fatto per “attirare l'attenzione” sulla propria condizione. In ogni caso quanto accaduto è una spia importante di un disagio personale, di una mancanza di equilibrio, soprattutto per un capomafia di quel livello. Si è trattato di un gesto allo stato assolutamente iniziale: Provenzano si era appena infilato il sacchetto in testa tenendolo stretto con le mani, quando è stato visto dall'agente»;
          il trattamento penitenziario deve essere realizzato secondo modalità tali da garantire a ciascun detenuto il diritto inviabile al rispetto della propria dignità, sancito dagli articoli 2 e 3 della Costituzione, dagli articoli 1 e 4 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 2000, dagli articoli 7 e 10 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1977, dall'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali del 1950, dagli articoli 1 e 5 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, nonché dagli articoli 1, 2 e 3 della Raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa del 12 febbraio 1987, recante «Regole minime per il trattamento dei detenuti» e dall'articolo 1 della raccomandazione (2006)2 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa dell'11 gennaio 2006, sulle norme penitenziarie in ambito europeo;
          il diritto alla salute, sancito dall'articolo 32 della Costituzione, rappresenta un diritto inviolabile della persona umana, non suscettibile di limitazione alcuna e idoneo a costituire un parametro di legittimità della stessa esecuzione della pena, che non può in alcuna misura svolgersi secondo modalità idonee a pregiudicare il diritto del detenuto alla salute ed alla salvaguardia della propria incolumità psico-fisica;
          l'articolo 11 della legge 26 luglio 1975, n.  354, sancisce una rigorosa disciplina in ordine alle modalità ed ai requisiti del servizio sanitario di ogni istituto di pena, prescrivendo tra l'altro che «ove siano necessari cure o accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti, i condannati e gli internati sono trasferiti (...) in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura»;
          la prima firmataria del presente atto ha già presentato, più volte sollecitando risposta, l'atto di sindacato ispettivo a risposta scritta n.  4-10765, nel quale si chiede conto di quali siano le condizioni di salute del signor Bernardo Provenzano e se lo stesso venga sottoposto alle visite mediche e alle terapie imposteci suo precario quadro clinico;
          a giudizio della prima firmataria del presente atto, è necessario un intervento urgente al fine di verificare le reali condizioni di salute del detenuto in questione, affinché siano adottati i provvedimenti più opportuni, ciò al fine di garantire che l'espiazione della pena non si traduca di fatto in un'illegittima violazione dei diritti umani fondamentali, secondo modalità tali peraltro da pregiudicarne irreversibilmente le condizioni psico-fisiche, già gravemente compromesse. Come radicali gli interroganti sono sempre stati convinti, e continueranno ad esserlo, che in un sistema democratico quel che più conta è la legalità dei mezzi rispetto alla legittimità dei fini  –:
          quale sia l'esatta dinamica del tentato suicidio messo in atto dal signor Provenzano;
          se sulla vicenda si intenda avviare una indagine amministrativa interna, in particolare al fine di verificare se effettivamente il detenuto avesse nella propria disponibilità un sacchetto dei medicinali;
          se e quali misure precauzionali e di vigilanza siano state adottate dall'amministrazione penitenziaria nei confronti del detenuto dopo questo episodio;
          se non si intendano adottare, per quanto di competenza, iniziative urgenti al fine di verificare le reali condizioni di salute del detenuto in questione al fine di prendere le misure più opportune, garantendo che l'espiazione della pena non si traduca di fatto in un'illegittima violazione dei diritti umani fondamentali, secondo modalità tali peraltro da rischiare di pregiudicare irreversibilmente le condizioni psico-fisiche dell'uomo;
          se e quali verifiche siano state compiute dall'amministrazione penitenziaria dopo la presentazione dell'interrogazione n.  4-10765 del 7 febbraio 2011, alla quale il Governo non ha comunque ancora risposto. (4-16049)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
          la procedura di gara relativa all'affidamento dei servizi di continuità territoriale aerea da e per la Sardegna è risultata infruttuosa per la mancata partecipazione di soggetti concorrenti;
          la mancata partecipazione di concorrenti è legata fondamentalmente all'azione ad avviso degli interpellanti ricattatoria e palesemente speculativa messa in campo dalle principali compagnie aeree operanti in Sardegna che hanno sin dall'inizio osteggiato un vero processo di continuità territoriale da e per la Sardegna;
          le argomentazioni ad avviso degli interpellanti pretestuose e destituite di fondamento delle stesse compagnie aeree relativamente alla mancata remunerazione appaiono ulteriormente gravi, in considerazione del fatto che le stesse compensazioni previste nel bando di gara erano palesemente ingiustificate proprio per l'analisi dei costi che le supportava;
          la decisione di non partecipare è stata comunicata nell'ultimo giorno utile, a giudizio degli interpellanti, proprio per evitare l'affacciarsi di qualsiasi altro concorrente in modo tale da garantirsi una futura azione speculativa sui cieli della Sardegna;
          tale infruttuosa gara, oltre che per la singolare gestione della preventiva procedura dell'imposizione dell'onere del servizio pubblico, è conseguenza anche delle caratteristiche ben individuate poste nel capitolato d'appalto della gara che escludevano gran parte delle compagnie operanti in Europa, a partire da quelle low cost;
          la competenza primaria in materia di trasporti tra regioni e all'interno del territorio nazionale è dello Stato che ha il compito e il dovere di garantire il pieno e totale collegamento e la connessione territoriale;
          il rischio che la Sardegna venga sottoposta ad un attacco speculativo senza precedenti sia sui collegamenti aerei che via mare impone soluzioni straordinarie e urgenti che non possono essere in alcun modo ulteriormente ritardate;
          occorre affrontare con immediatezza la cessazione degli oneri del servizio pubblico sulle tratte da e per la Sardegna dei collegamenti aerei e attivare procedure straordinarie rispetto a quelle già delegate alla regione Sardegna;
          in tal senso, l'unica soluzione percorribile in termini immediati appare quella disciplinata dal regolamento (CE) n.  1008/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 settembre 2008 recante norme comuni per la prestazione di servizi aerei nella Comunità;
          l'articolo 12 del regolamento (CE) n.  1008/2008 dispone: «In caso di improvvisa interruzione del servizio da parte del vettore aereo comunitario selezionato a norma dell'articolo 17, lo Stato membro interessato può, in caso di emergenza, selezionare di comune accordo un vettore aereo comunitario differente che si assuma l'onere di servizio pubblico per un periodo massimo di sette mesi, non rinnovabile, alle seguenti condizioni:
              a) ogni eventuale compenso versato dallo Stato membro deve essere conforme all'articolo 17, paragrafo 8;
              b) la selezione deve avvenire tra i vettori aerei comunitari in base ai principi di trasparenza e non discriminazione;
              c) si deve pubblicare un nuovo bando di gara d'appalto;
          la Commissione e lo Stato membro o gli Stati membri interessati sono informati senza indugio della procedura di emergenza e delle sue motivazioni. Su richiesta di uno Stato membro, o di propria iniziativa, la Commissione ha la facoltà, secondo la procedura di cui all'articolo 25, paragrafo 2, di sospendere la procedura qualora ritenga, a seguito della sua valutazione, che questa non rispetti le prescrizioni di cui al presente paragrafo o che sia comunque in contrasto con il diritto comunitario»;
          al fine di valutare le modalità di procedura da adottare per l'attivazione del servizio di continuità territoriale da e per la Sardegna è utile richiamare gli elementi contenuti nell'interrogazione a risposta in Commissione 5-06596 in data 12 aprile 2012, seduta n.  620, relativamente alle modalità di calcolo della compensazione nell'ambito della gara d'appalto e del relativo capitolato dalla quale si evince quanto segue:
              dagli atti della conferenza di servizi emergeva sin dal primo esame un'approssimazione disarmante sia per quanto riguarda l'impostazione delle conferenze di servizio sia per le stesse analisi accompagnatorie;
              il primo riscontro riguardava l'approssimazione relativa all'impostazione della procedura di calcolo delle tariffe che appariva confusa e contraddittoria;
              il regolamento comunitario, infatti, prevede la definizione della tariffa da sottoporre all'accettazione dell'onere del servizio pubblico senza oneri attraverso la definizione del costo effettivo del servizio (costo ora/volo) con l'aggiunta di un ragionevole utile d'impresa;
              tale calcolo, dunque, avrebbe dovuto definire sia un costo che un ragionevole guadagno;
          la procedura seguita, invece, definisce prima una tariffa risultante dalla somma dei costi e dell'utile al 4 per cento e poi, argomentando in modo secondo gli interpellanti confuso e contraddittorio, una compensazione da affidare in seconda fase alle compagnie aeree, qualora nessuno avesse accettato l'imposizione dell'onere del servizio pubblico;
          di per sé, il solo aver sovrapposto in fase di elaborazione queste due ipotesi, denota a parere degli interpellanti, se non una confusione delle procedure, una chiara ed evidente volontà di elargire in tutti i modi contributi alle compagnie aeree;
          tale evidente volontà appare manifesta nei verbali delle conferenze dai quali si evince, anche per via di una verbalizzazione di per sé eloquente del modo di operare, che un consulente della presidenza della regione ripetutamente richiama l'indizione delle gare, con esplicito e chiaro riferimento all'utilizzo delle compensazioni ignorando la fase dell'imposizione degli oneri del servizio pubblico e la loro accettazione;
          nella riunione n.  2 della conferenza dei servizi è addirittura riportata la seguente affermazione: «il professor Deiana ribadisce la volontà della RAS, già espressa dal Presidente Cappellacci, di voler concludere celermente i lavori della conferenza per poter espletare l'iter delle gare entro febbraio 2012»;
          tra gli atti della conferenza dei servizi risulta un documento denominato «allegato tecnico» con le firme in calce dei funzionari presenti;
          in tale documento si riporta una tabella di calcolo con la quale si sarebbe definito il costo dell'ora/volo attraverso la quale definire il costo dei biglietti;
          da subito si evince che sono state prese in considerazione tre tipologie di aeromobili tra loro diverse sia per anno di fabbricazione che per consumi e, in particolare, aeromobili che gran parte delle compagnie stanno dismettendo, come gli MD83 proprio per la loro vetustà;
          tali elementi di riferimento costituiscono di fatto il primo evidente elemento riconducibile a compagnie aeree ben individuate e individuabili sulle quali sembra essere stato predisposto l'allegato tecnico;
          nell'analisi compaiono, dunque, le cifre relative al «costo medio di acquisizione» degli aeromobili, lasciando intravedere come base di calcolo una potenziale flotta di una determinata compagnia aerea;
          il costo di acquisizione medio degli aeromobili che si riporta, pur essendo decisivo nella determinazione del costo finale dell'ora/volo, non viene in alcun modo circoscritto all'anno di acquisizione, elemento non di secondo piano, considerato che si sta definendo un valore di ammortamento da far ricadere nel costo finale del biglietto;
          nell'allegato tecnico, senza indicare a quale anno di acquisizione si riferiscono i dati, si indica una valutazione di 50.000.000 di euro per un Airbus A320, 12.000.000 euro per un Boeing 737-400 e 6.500.000 per un MD83;
          nell'analisi successiva relativa ai «costi indiretti annuali» viene riportata una rata annua per i tre tipi di aeromobili pari a 5.000.000 euro per l'A320, 1.200.000 euro per il Boeing 737-400 e 650.000 euro per l'MD83;
          da tale previsione di rata si desume che per quella tipologia di aeromobili sia stata prevista una rateizzazione decennale;
          tale rateizzazione comporta un costo indiretto per ora/volo pari 1.786 euro/ora/volo per l'Airbus A320, 429 euro/ora/volo per il Boeing 737-400 e 232 euro/ora/volo;
          nell'analisi sull'ammortamento non vengono riportati gli elementi essenziali necessari alla definizione della rata di ammortamento (annualità e valore di partenza); si rende necessario fare alcune valutazioni di natura economica finanziaria;
          la prima valutazione da compiersi è sul valore degli aeromobili;
          la discrepanza di valore di acquisizione lascia intendere che si tratti di aeromobili di annualità diverse, oltre che di diversa tipologia;
          l'analisi appare evidente su tutte e tre le casistiche, a partire dall'Airbus 320 dove la previsione di acquisizione viene fissata in 50.000.000 di euro;
          gli airbus 320 che operano nelle rotte sarde risultano immatricolati tra il 1995 e il 2000, quindi con un'anzianità tra i 17 e i 12 anni;
          se il calcolo della rata di ammortamento è corretto significherebbe che nel primo caso (17 anni) sarebbero stati già pagati per l'ammortamento (17 x 5.000.000) 85.000.000 di euro e ne resterebbero da pagare altri 50.000.000 (10 x 5.000.000) per un complessivo valore di 135.000.000 di euro;
          il mercato fa oscillare il valore di un Airbus 320 nuovo tra i 45/55 milioni di euro e l'ammortamento degli stessi viene pianificato tra gli 8/10 anni a seconda delle componenti dell'aeromobile;
          analogo ragionamento va proposto per la valutazione dell'MD83 valutato in acquisizione 6.500.000 euro, senza indicare data di immatricolazione e tempi di ammortamento;
          un'analisi a ritroso può essere compiuta con un dato oggettivo: tale aeromobile non risulta in produzione e quelli utilizzati nelle rotte sarde da Meridiana hanno, per esempio, date di immatricolazione che oscillano tra il 1984 e il 1999 e risultano gli unici ancora in esercizio su quelle rotte;
          ipotizzando come anno intermedio il 1991, tali aerei avrebbero una vetustà di 21 anni;
          moltiplicando 21 anni per 650.000 euro, quanto viene indicata la rata annua, si avrà un dato di 13.650.000 euro, ai quali andrebbero aggiunti ulteriori dieci anni per un ammontare complessivo di 20.150.000 euro;
          emerge da questa analisi un dato emblematico facilmente rilevabile sull'A320: con la previsione di ammortamento si arriva a pagare l'aeromobile quasi 3 volte il suo valore nuovo;
          questo costo si ripercuote ovviamente sul costo dei biglietti e sulla congruità del costo dell'ora/volo arrivando a ipotizzare compensazioni che risultano prive di qualsiasi fondatezza a partire dall'inverosimile onere di ammortamento;
          in relazione al dato di partenza di acquisizione discende non solo l'errato calcolo dell'ammortamento ma anche quello degli oneri assicurativi che passano dai 300.000 euro per l'A320 ai 113.000 per l'MD83. È evidente che anche in questo caso risulta sconosciuto il parametro di calcolo, considerato che il valore iniziale di 50.000.000 di euro per un AA320 appare inverosimile proprio perché sulle rotte sarde operano aeromobili del 1995/2000;
          altra voce di costo dell'allegato tecnico è quella dell’handling con una previsione di costo per volo di 957 euro e 689 di tasse e diritti per un costo di tratta pari a 1.646 euro;
          da dati acquisiti tra le società di gestione risulta un costo inferiore alla metà sui costi dell’handling e la genericità delle tasse riportate in quell'entità risulta priva di qualsiasi fondamento;
          il dato del catering risulta eloquente del sovradimensionamento dei costi funzionale alla compensazione finale. Nel caso del servizio a bordo viene ipotizzato un costo di 2,5 euro a passeggero per una stima complessiva di 250 euro per ora/volo. Tale previsione viene maggiorata di quasi il 100 per cento rispetto ai reali costi della bevanda fornita nel servizio in volo;
          a questi dati si aggiunge una indicazione ad avviso degli interpellanti arbitraria di un 9 per cento di spese generali che risultano infondate sotto ogni punto di vista, considerato che vengono applicate sull'ammortamento, sul costo del carburante, sulle assicurazioni, sulla manutenzione e sullo stesso costo del personale;
          il dato del 9 per cento risulta del tutto inammissibile sia nelle dimensioni che nella ratio e diventa di fatto secondo gli interpellanti un'ulteriore manipolazione finanziaria per generare un costo ora/volo tale da giustificare una compensazione milionaria alle compagnie aeree;
          il costo ora/volo già di per sé abbondantemente «gonfiato», secondo gli interpellanti, nei fattori di costo precedentemente richiamati, viene poi applicato ad ogni singola tratta senza tener conto di alcun tipo di dato oggettivo;
          la tratta Alghero-Fiumicino, per esempio, viene equiparata in termini di tempo (1 ora) di percorrenza all'Alghero-Linate, a fronte di una differenza in linea d'aria di 190 chilometri;
          per gli altri aeroporti, sia Cagliari che Olbia, la differenza tra Linate e Fiumicino risulta calcolata con proporzionalità sui percorsi e sui costi tutt'altro che chiara;
          appare ulteriormente grave il dato relativo al calcolo del load factor che non tiene in alcun conto delle dinamiche del mercato relativamente all'introduzione della tariffa unica che prevede costi di 45 e 55 euro dagli aeroporti sardi rispettivamente verso Roma e Milano;
          è fin troppo evidente che l'introduzione di una tariffa certa e contenuta avrà una ricaduta positiva in termini di copertura dei posti e tale valutazione non può prescindere dal fatto che il load factor debba prevedere un incremento considerevole proprio per questo motivo;
          la stessa regione nel recepire il principio della tariffa unica oggetto di atti di indirizzo alla Camera dei deputati ha dichiarato in un comunicato ufficiale: «La filosofia è quella di un ponte aereo permanente che colleghi la Sardegna con il Continente e che garantisca sia il diritto alla mobilità dei Sardi sia la possibilità di raggiungere la Sardegna ai non residenti. Questo secondo aspetto sarà foriero di effetti positivi per la nostra economia, con ricadute importanti anche per quanto riguarda l'occupazione. Infatti prevediamo un aumento dei flussi per circa due milioni di persone»;
          la previsione dei due milioni non risulta calcolata in nessun load factor considerato che il calcolo dei passeggeri a base della definizione delle cosiddette compensazioni risulta essere di 2.150.000 passeggeri; quindi con le previsioni dichiarate della tariffa unica si sarebbe dovuto calcolare un incremento del 100 per cento;
          è evidente che la cifra di 2.000.000 di nuovi passeggeri appare sovradimensionata, ma è altrettanto vero che appare davvero inverosimile una previsione di incremento fatta nella base di gara;
          è evidente, dunque, anche alla luce delle predette considerazioni e analisi, che deve essere immediatamente comunicata, senza indugio, la procedura di emergenza con ampie e convincenti motivazioni rispetto alla speculazione in atto sui cieli della Sardegna;
          a tal fine deve essere predisposta una procedura ristretta, allargata a tutte le compagnie anche low cost operanti in Italia, che riconsideri l'imposizione dell'onere del servizio pubblico di partenza senza compensazioni immotivate, illogiche e che sfocerebbero in un palese aiuto di Stato;
          appare evidente che risulta inviolabile il principio sancito della tariffa unica, anche con voto unanime della Camera dei deputati, in considerazione della valenza della continuità che si definisce territoriale proprio per l'obbiettivo di connettere a pari condizioni due territori dello stesso Stato senza discriminazioni tra cittadini europei;
          essendo di fatto cessata la delega relativa alle procedure di cui alla conferenza di servizi è in capo al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti la competenza ad avviare le procedure straordinarie per i prossimi mesi, semmai negoziando un estensione temporale dei sette mesi al fine di garantire l'individuazione di percorsi ordinari sulla continuità territoriale;
          in via ordinaria appare indispensabile prevedere l'estensione dei criteri di partecipazione a tutte le compagnie aeree operanti in Europa, senza limitazioni al fine di garantire la massima adesione all'imposizione degli oneri di servizio pubblico;
          occorre attivare procedure di tutela dell'operatività delle compagnie low cost al fine di introdurre nel mercato italiano effettive condizioni di liberalizzazione che sino ad oggi sono venute meno per un atteggiamento che ne ha limitato l'efficacia  –:
          se non si ritenga di dover fare urgente richiesta all'Unione europea dell'attivazione della procedura di emergenza;
          se non si ritenga di dover avviare una procedura ristretta rivolta anche alle compagnie low cost operanti in Europa per garantire l'applicazione dell'imposizione dell'onere del servizio pubblico per la continuità territoriale da e per la Sardegna;
          se non si ritenga di dover individuare procedure trasparenti e effettivamente aperte per la predisposizione di una continuità territoriale con tariffa unica;
          se non si ritenga di dover valutare la necessità di convocare un'apposita conferenza di servizi relativamente alla continuità territoriale aerea e marittima da e per la Sardegna, al fine di evitare il totale collasso dei collegamenti con la regione insulare;
          se il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti abbia contribuito alla redazione dell'allegato tecnico alla conferenza di servizi;
          se il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in sede di conferenza di servizi abbia votato, approvandolo, l'allegato tecnico con le previsioni di costi riportate in premessa;
          se non ritenga di dover urgentemente intervenire su tale situazione al fine di correggere quelle che gli interpellanti giudicano macroscopiche distorsioni delle previsioni di costo e rendere corretta la gara senza prevedere alcun tipo di compensazione che, sempre ad avviso degli interpellanti risulterebbe palesemente illegittima e configurerebbe aiuto di Stato;
          se non ritenga di dover invitare, proprio in virtù della delega ministeriale, la regione Sardegna a riconvocare urgentemente la conferenza di servizi prima della scadenza dei termini della gara d'appalto, al fine di evitare che la continuità territoriale sia manifestamente inficiata da tali gravi errori di analisi;
          se non ritenga di dover intervenire al fine di individuare un percorso che consenta di chiarire i termini della delega alla regione Sardegna, fissando i criteri di individuazione e di calcolo dei costi, per quanto riguarda i costi indiretti annuali e per ora volo, i costi diretti per volo e i costi aeroportuali;
          se non ritenga opportuno, alla luce di quanto stabilito dal codice degli appalti, intervenire sull'indebito calcolo del 9 per cento sui costi generali che appare agli interpellanti irragionevole e illogico oltre che di dubbia legittimità, considerato che fanno parte del calcolo il carburante, l'ammortamento, il costo del personale, il catering e i servizi aeroportuali;
          se non ritenga di dover individuare, anche alla luce delle future procedure da adottare, un corretto standard di previsione dei costi aeroportuali, definendo in modo univoco i costi aeroportuali e i relativi oneri di tasse e diritti, applicando per le tratte in regime di continuità territoriale tariffe minime e codificate;
          se non ritenga di dover assumere iniziative per prevedere il divieto di calcolare l'iva negli oneri tariffari della continuità territoriale che agli interpellanti appare un'evidente macroscopico costo aggiuntivo ingiustificato;
          se non ritenga di dover promuovere accertamenti per verificare chi eventualmente nelle strutture del Ministero, o in enti delegati, abbia avallato tali procedure e tali previsioni di costo e le relative compensazioni.
(2-01490) «Pili, Baldelli».

Interrogazione a risposta orale:


      PEZZOTTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          tra fine aprile e primi di maggio si sono registrati pesanti disagi per i pendolari che utilizzano la tratta ferroviaria Valdichiana-Roma in partenza dalla stazione Termini;
          a causa della soppressione dell’intercity Firenze-Roma i pendolari sono stati costretti o ad utilizzare la macchina o ad arrivare in ritardo al lavoro e rientrare a casa anche alle dieci o alle undici di sera come è successo nell'ultimo venerdì di aprile e nel primo venerdì di maggio;
          i disagi del 4 maggio 2012, sono poi davvero inspiegabili. Secondo le testimonianze, i passeggeri sono stati lasciati «per oltre un'ora sul binario 14 di Termini. Senza darci spiegazioni; con il personale del treno che non sapeva che cosa dirci. Noi a gridare di farci salire sulle Frecce Rosse, che continuavano a partire con precedenza assoluta sull’Intercity. Dopo un'ora di urli e sbraiti siamo riusciti a far venire al binario la Polfer che, di fronte alla nostra esasperazione, ha fatto qualche telefonata e finalmente, con settanta minuti di ritardo, l’Intercity è partito»;
          a bordo dell’Intercity vi erano oltre duecento pendolari e una cinquantina di bambini delle elementari in gita scolastica;
          episodi del genere sono troppo ricorrenti sulla tratta Roma-Firenze che utilizza IC 596, noto, ormai da qualche anno, come treno tradotta dei pendolari di Orvieto, Chiusi, Terontola ed Arezzo (è rimasto famoso il «sequestro» di oltre due ore dei passeggeri dell’Intercity fermo in un binario della Stazione Tiburtina, causa un guasto al locomotore)  –:
          se sia a conoscenza di questi gravi disservizi e se non ritenga di sollecitare, anche in qualità di azionista, Trenitalia spa ad adottare provvedimenti idonei ad evitare nel futuro tali episodi che colpiscono un'utenza già fortemente penalizzata dai rincari degli abbonamenti a fronte dei quali non corrispondono servizi adeguati. (3-02266)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      GAROFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          in data 13 aprile 2012 la società Alitalia – Compagnia Aerea Italiana – ha firmato il contratto per l'acquisizione dell'attività di trasporto aereo di passeggeri attualmente svolta dalla compagnia siciliana Wind Jet, mirando ad acquisire – come si legge in una nota diramata dall'azienda – «il know-how specialistico sviluppato da Wind Jet nel settore dei voli a basso costo, completando e arricchendo il proprio portafoglio di prodotti e competenze»;
          la Wind Jet, affermatasi nel 2003 come la prima compagnia low cost italiana, ha gestito nel 2011 volumi di traffico notevoli, trasportando quasi tre milioni di passeggeri da e per gli aeroporti siciliani di Catania e di Palermo;
          la suddetta operazione di concentrazione nel settore del trasporto aereo di linea, che esplica i suoi effetti in un mercato domestico nel quale Alitalia detiene una posizione del 49,9 per cento circa e Wind Jet del 6,3 circa, è stata notificata, ai sensi dell'articolo 16 della legge 10 ottobre 1990, n.  287, all'Autorità garante della concorrenza e del mercato che dovrà emanare il relativo provvedimento autorizzatorio nei prossimi mesi;
          il paventato rischio dell'operazione è che la mobilità dei cittadini potrebbe subire lesioni derivanti da una concentrazione quasi monopolistica riguardo alle rotte principali di collegamento tra la Sicilia ed il resto del Paese;
          infatti, in conseguenza di detta acquisizione, ben otto collegamenti giornalieri degli attuali undici dall'aeroporto «Falcone e Borsellino» di Palermo per Roma verrebbero gestiti da Alitalia ed anche per Milano la compagnia Easy Jet, unico concorrente sulla tratta, offrirebbe un numero di voli esiguo rispetto a quelli di Alitalia e con atterraggi solo a Milano Malpensa; dallo scalo Fontanarossa di Catania, poi, solo Alitalia farebbe volare i circa 1,7 milioni di passeggeri da e per Roma;      
          la forte incognita derivante dal nuovo assetto del mercato aereo, di importanza fondamentale per il trasporto passeggeri da e per l'isola, è che sulle trafficate tratte per Roma e per Milano il regime di quasi monopolio nel quale si troverebbe di fatto ad agire Alitalia potrebbe comportare un aumento delle tariffe, allineate a quelle ad avviso dell'interrogante insostenibili che la compagnia adotta sulle tratte per Bologna, Venezia e Napoli, gestite in esclusiva;
          occorre, altresì, considerare l'inesistenza di concorrenza intermodale tra treno ed aereo data la grave e notoria assenza di collegamenti ferroviari diretti ad alta velocità tra la Sicilia ed il resto d'Italia;
          alla luce delle problematiche sopradescritte, risulta quanto mai indispensabile che gli organismi statali legittimati prescrivano l'adozione di misure obbligatorie idonee a prevenire il rischio di imposizione di prezzi o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose per i consumatori;
          occorre, altresì, vigilare con tempestività, affinché non si verifichino lesioni al diritto alla mobilità dei cittadini con la riduzione del numero dei collegamenti aerei, come, purtroppo, sta avvenendo nel settore ferroviario con la soppressione di molti convogli a lunga percorrenza;
          la contrazione del numero dei voli, che seguirebbe l'attuale politica aziendale di Alitalia già improntata alla razionalizzazione di molti collegamenti da e per la Sicilia a vantaggio di altre tratte, come la Roma-Milano, sulla quale dovrà giocare, secondo quanto dettato dall'Autorità della concorrenza e del mercato, una partita concorrenziale anche con altri operatori aerei, oltre che con quelli ferroviari, potrebbe, ancora, comportare conseguenze allarmanti sul piano occupazionale, poiché l'assorbimento del personale della società Wind Jet, che risulta avere già avviato procedure di mobilità per i suoi 504 dipendenti, dei quali 442 a tempo indeterminato e 62 con contratto temporaneo, sarebbe inevitabilmente compromesso  –:
          quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere al fine di assicurare un adeguato servizio di trasporto aereo per i passeggeri che viaggiano tra la Sicilia e gli altri aeroporti nazionali, vigilando sulla funzionalità dei collegamenti nonché sul contenimento dei costi per l'utenza, per garantire il diritto alla mobilità dei cittadini. (5-06849)

Interrogazioni a risposta scritta:


      SCHIRRU, CODURELLI, BELLANOVA e GATTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          al decreto-legge n.  5 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  35 del 2012, semplificazioni, garantisce il riconoscimento su tutto il territorio nazionale dei pass auto per i disabili e recepisce quanto prevedono le convenzioni europee e dell'Onu in materia di rispetto dei diritti dei disabili. Un passo avanti importante, ma non sufficiente ad assicurare la piena mobilità anche per i tanti disabili e invalidi che si muovono e viaggiano fuori dai confini nazionali;
          per viaggiare in Europa è necessario dotarsi del contrassegno europeo «Parking Card for disabile people», valido nell'Unione europea ed emanato con raccomandazione del Consiglio del 4 giugno 1998, che permette a tutti i cittadini dell'Unione di usufruire in ogni Paese delle facilitazioni ivi previste. Quest'ultima prevede l'adozione di un contrassegno unico, di tipo europeo e contiene disposizioni relative al modello da adottare, definendone misure, colore, plastificazione, logo ed indicazioni dei dati del titolare da riportare sullo stesso;
          a due anni dall'entrata in vigore della legge 29 luglio 2010, n.  120, che modifica una norma del codice in materia di protezione dei dati personali (decreto legislativo n.  196 del 2003) e rende formalmente possibile l'adozione anche in Italia del modello di contrassegno unificato disabili europeo, non si hanno ancora notizie certe su quali siano i tempi e le modalità previste per l'emanazione del regolamento, ovvero per la consegna del pass ai legittimi titolari;
          non sono state indicate date certe neppure con la risposta alla precedente interrogazione 5-04849 della sottoscritta datata giugno 2011 sulla «Mancata adozione della disciplina regolamentare relativa al contrassegno disabili europeo» nella quale il sottosegretario pro tempore aveva rassicurato circa «la predisposizione già in corso dei provvedimenti normativi necessari per attuare tale intento e altresì l'impegno dell'Amministrazione affinché la modifica al decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n.  495 avvenga in tempi ragionevolmente brevi, pur considerando che trattasi di un provvedimento di ampia portata, concernente non solo l'adozione del contrassegno europeo, ma anche tutta una serie di modifiche al Regolamento connesse alla stessa adozione.». Si segnalava altresì che l’iter approvativo avrebbe previsto, comunque, l'acquisizione del parere del Consiglio di Stato;
          a quasi un anno da tali rassicurazioni, sono numerose le persone invalide e disabili che, in procinto di effettuare viaggi di lavoro e non, si ritrovano a dover partire con il rischio di possibili contravvenzioni perché ad oggi privi del necessario contrassegno europeo e altresì impossibilitati a ricevere indicazioni certe perfino dagli organismi competenti (ACI, comuni, regioni, consolati e altro)  –:
          se sia a conoscenza della situazione esposta in premessa; se non si ritenga urgente stabilire una data certa di disponibilità e consegna dei contrassegni ai legittimi interessati; quali iniziative intenda promuovere affinché siano urgentemente diramate agli uffici competenti le necessarie indicazioni, utili ai nostri concittadini – anche in vista dell'approssimarsi della bella stagione – per programmare gli spostamenti con serenità e nella legalità, senza andare incontro a contravvenzioni nei Paesi di destinazione, usufruendo nel contempo dei servizi e delle agevolazioni come di diritto. (4-16025)


      BARBATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze — Per sapere – premesso che:
          il decreto legislativo 13 agosto 2010, n.  155, recante «Attuazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aia ambiente e per un'aria più pulita in Europa» istituisce un quadro normativo unitario in materia di valutazione e di gestione della qualità dell'aria ambiente finalizzato a: a) individuare obiettivi di qualità dell'aria ambiente volti a evitare, prevenire o ridurre effetti nocivi per la salute umana e per l'ambiente nel suo complesso; b) valutare la qualità dell'aria ambiente sulla base di metodi e criteri comuni su tutto il territorio nazionale; c) ottenere informazioni sulla qualità dell'aria ambiente come base per individuare le misure da adottare per contrastare l'inquinamento e gli effetti nocivi dell'inquinamento sulla salute umana e sull'ambiente e per monitorare le tendenze a lungo termine, nonché i miglioramenti dovuti alle misure adottate; d) mantenere la qualità dell'aria ambiente, laddove buona, e migliorarla negli altri casi; e) garantire al pubblico le informazioni sulla qualità dell'aria ambiente; f) realizzare una migliore cooperazione tra gli Stati dell'Unione europea in materia di inquinamento atmosferico;
          tale decreto stabilisce, altresì, i valori obiettivo, gli obiettivi a lungo termine, le soglie di allarme e le soglie di informazione per l'ozono sulla base di una serie di principi tra i quali rientra la valutazione della qualità dell'aria ambiente fondata su una rete di misura e su un programma di valutazione. Le misurazioni in siti fissi, le misurazioni indicative e le altre tecniche di valutazione permettono così che la qualità dell'aria ambiente sia valutata in conformità alle disposizioni del decreto in questione. La rete di misura è soggetta al controllo pubblico assicurato dalle regioni o dalle province autonome o, su delega, dalle agenzie regionali per la protezione dell'ambiente;
          sulla materia della tutela e della riduzione delle emissioni in atmosfera è recentemente intervenuto anche il decreto-legge 9 febbraio 2012, n.  5, recante «Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo» convertito con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n.  35;
          il sistema ferroviario del nostro Paese, il cui principale gestore è rappresentato da Ferrovie dello Stato, società per azioni a totale partecipazione statale attraverso il Ministero dell'economia e delle finanze, necessita di una seria politica di rilancio volta al miglioramento e rinnovamento sia dei mezzi di trasporto a tratta regionale, sia degli intercity;
          gli intercity in particolare, per quanto risulta all'interrogante, sarebbero interessati da un disagio particolarmente grave e preoccupante per la salute dei cittadini viaggiatori, ed in particolare bambini, donne incinte e persone asmatiche;
          quotidianamente, infatti, numerosi viaggiatori si lamentano del terribile odore che spesso si avverte nei vagoni, specie quelli di seconda classe se si tratta di un Intercity, e, di regola, subito dopo una frenata o anche una fermata del mezzo di trasporto presso una stazione ferroviaria. Tale odore sembrerebbe molto simile a quello che si sprigiona a seguito di una bruciatura o di un incendio. Soprattutto, per quanto risulta all'interrogante, tale odore sembrerebbe protrarsi per molto tempo con conseguenze del tutto imprevedibili sulla salute dei bronchi e dei polmoni dei passeggeri del treno;
          quanto descritto non può in alcun modo lasciare indifferenti, visto che non appare chiaro se esistano dati relativi ad eventuali monitoraggi di tale fenomeno, definito dagli addetti ai lavori come «sfrenamento», soprattutto in relazione agli effetti e le conseguenze da esso prodotte sulla salute dei viaggiatori;
          una soluzione efficace per contrastare detto fenomeno, per quanto risulta all'interrogante e secondo quanto rilevato da più parti, potrebbe consistere nella sostituzione o nel rinnovo complessivo delle guarnizioni di attrito dei treni che, in numerosissimi casi, sembrerebbero di mediocre qualità, se non addirittura contenenti polveri di amianto;
          ad avviso dell'interrogante, l'esistenza di tale fenomeno dovrebbe giustificare anche un controllo sanitario mirato sul personale operante su tali treni che, di fatto, rischia di subire un danno alla salute nell'espletamento delle normali attività di servizio  –:
          se il Governo sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e, in caso affermativo quali iniziative di competenza abbia assunto o intenda assumere al riguardo;
          quali iniziative il Governo intenda adottare nei confronti di Ferrovie dello Stato Spa alla luce di quanto denunciato in premessa al fine di tutelare sia la salute dei cittadini viaggiatori, sia quella del personale ferroviario operante sui treni interessati dal citato fenomeno dello «sfrenamento». (4-16052)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


      TASSONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la continua ed inarrestabile sequela di attentati, perpetrati ai danni sia di esponenti delle istituzioni e della politica che di privati cittadini, evidenzia la gravissima situazione in cui versa la città di Taurianova;
          in questi ultimi mesi la criminalità organizzata ha alzato il tiro, determinando una situazione pesantissima, nonché un diffuso allarme sociale, relativamente al quale le istituzioni preposte, ognuna per quanto di rispettiva competenza, debbono immediatamente agire;
          lo scorso febbraio, ignoti hanno fatto esplodere un ordigno ad alto potenziale nei pressi della stalla di proprietà del sindaco, Domenico Romeo, causando l'uccisione di uno dei suoi cavalli,
          già nel 2009 lo stesso era stato vittima di una intimidazione analoga: ad oggi, queste azioni criminose rimangono impunite, non essendo stati ancora individuati i responsabili;
          la grave intimidazione subita dal primo cittadino è un segnale intollerabile, inaccettabile, nonché inquietante, nei confronti di un amministratore attento e capace, impegnato quotidianamente a rendere un servizio alla propria comunità  –:
          quali urgenti ed incisive misure intenda adottare, al fine di favorire, per quanto di competenza, l'accertamento della matrice dell'incivile atto di cui è stato oggetto Domenico Romeo, persona stimata e corretta, garantendo mezzi ulteriori a supporto dell'azione investigativa, in modo che il sindaco possa continuare con serenità l'azione intrapresa. (3-02268)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      DI BIAGIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          i cittadini stranieri possono chiedere ai sensi dell'articolo 9, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n.  91, e successive modifiche ed integrazioni, comprese le disposizioni di cui alla legge 15 luglio 2009, n.  94, la cittadinanza italiana che verrà concessa con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno;
          l’iter per l'ottenimento della cittadinanza consta ovviamente di diverse fasi, che permettono di poter valutare la regolarità della documentazione presentata e l'eventuale necessità di integrazione della stessa e di svolgere gli accertamenti in ordine ai motivi ostativi connessi alla sicurezza della Repubblica. Molti elementi ostativi, ad avviso dell'interrogante, vengono valutati spesso con ampia discrezionalità dalla pubblica amministrazione ledendo i diritti delle persone coinvolte;
          la legge italiana pur riconoscendo alla pubblica amministrazione discrezionalità amministrativa nella predisposizione di un atto, vincola in ogni caso tale attività alla legge, in quanto la salvaguardia dell'interesse pubblico, deve comunque muoversi nei binari della legge, garantendo la massima garanzia di tutti gli interessi e diritti coinvolti;
          il vincolo della conformità alla legge dell'attività amministrativa della pubblica amministrazione, la cui discrezionalità non è mai assoluta, oltre che soggetta al controllo della giustizia amministrativa, richiede norme comportamentali di autoregolamentazione interna, quali il rispetto del principio di imparzialità e di trasparenza, e il non porre in essere comportamenti sproporzionati rispetto agli obiettivi da raggiungere;
          alla luce di queste premesse di carattere generale, in alcuni casi di atti di comunicazione o di rigetto della richiesta di cittadinanza ex legge n.  91 del 1992, in relazione ai quali la pubblica amministrazione ha un ambito di discrezionalità garantito dalla legge, si è potuto constatare un non logico iter amministrativo che sembra non assicurare il pieno rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti;
          caso sintomatico della violazione dei diritti della persona coinvolta, è il caso della signora Alina Popova, che a fronte di una richiesta di cittadinanza italiana ex articolo 9, lettera c), della legge n.  91 del 1992, si è vista rigettare l'istanza per motivi inerenti «la sicurezza della Repubblica italiana», che non appaiono chiari, in fatto e in diritto, e in relazione ai quali sarebbe opportuno conoscere le valutazioni di merito;
          la richiedente è cittadina russa e dal 1998 è impiegata al consolato generale d'Italia in San Pietroburgo (federazione russa), presso il quale svolge mansioni attinenti al disbrigo dei visti, avendo possibilità di accesso ai dati sensibili del Ministero degli affari esteri, oltre che l'accesso alla rete mondiale visti, occupandosi altresì del vaglio, comprendente controllo e valutazione delle pratiche dei visti stessi;
          la richiesta di cittadinanza è stata presentata dalla signora Alina Popova il 29 marzo 2004 per aver prestato servizio alle dipendenze dello Stato italiano per più di cinque anni (articolo 9c, della legge n.  91 del 1992), pratica K10/74911. Nel luglio 2010 la richiedente ha ricevuto dal competente dipartimento del Ministero dell'interno, preavviso di diniego della richiesta di cittadinanza per motivi di «sicurezza della Repubblica»;
          tali elementi di pericolosità per la sicurezza della Repubblica sono, ad avviso dell'interrogante, inesistenti, in quanto non sono stati mai segnalati dai consiglieri capi ufficio che si sono succeduti in questi anni e la stima a svolgere i compiti delicati affidati alla Popova è stata confermata dall'attuale console nonostante la comunicazione del preavviso di diniego di cittadinanza;
          oltretutto, dall'accesso agli atti del fascicolo personale negli archivi del Ministero degli affari esteri, effettuato su richiesta formale e delega della signora Pamela Mingolla, in data 8 luglio 2010, in data posteriore alla comunicazione di intenzione di rigetto, non sono emersi relazioni, rapporti o qualsiasi altro elemento ostativo o pregiudiziale e meno ancora di pericolo per la Repubblica;
          da tutti gli elementi raccolti, si evince che Alina Popova è in possesso di tutti i requisiti di legge per l'ottenimento della cittadinanza italiana, avendo prestato (e prestando attualmente) lodevole servizio alle dipendenze dello Stato italiano già da 12 anni, con incarichi di sempre crescente responsabilità, a riprova dell'onorabilità, fiducia e merito nello svolgimento delle sue mansioni, e godendo oltretutto della stima dei colleghi; la signora Popova è inoltre sposata con un cittadino italiano, impiegato di ruolo del Ministero degli affari esteri in partenza per sede bellica e dal quale ha avuto una bambina anch'essa, ovviamente, cittadina italiana;
          la signora richiedente, ricevuto preavviso di diniego di cittadinanza, con la discriminatoria e sintetica locuzione di ostacoli inerenti «la sicurezza della Repubblica italiana», ha fatto più volte richiesta al Ministero dell'interno per avere un'adeguata indicazione dei motivi di diniego, ai fini di una eventuale controdeduzione e per la salvaguardia dei suoi diritti, a cui non ha mai avuto risposta;
          alla luce di tanto, i fatti parrebbero evidenziare che il rigetto della istanza di cittadinanza «per motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica», pur costituendo esercizio di discrezionalità amministrativa e di autonomia decisionale della pubblica amministrazione nel salvaguardare un interesse pubblico, sacrifica senza adeguata valutazione dei presupposti di fatto e di diritto la richiesta di cittadinanza, e pertanto gli interessi e i diritti dei cittadini coinvolti, oltre ad avere in sé elementi che secondo l'interrogante contrastano con le norme generali di diritto, con la tutela della dignità umana e della onorabilità, con il diritto costituzionale di difesa e con la trasparenza dell’iter del procedimento amministrativo ex legge 241 del 1990  –:
          se i Ministri interrogati possano chiarire, ciascuno per le proprie competenze essendo in corso ancora l'istruttoria sulla richiesta di cittadinanza della signora Alina Popova, quali siano gli elementi di fatto e di diritto e le ragioni giuridiche a sostegno delle motivazioni che hanno condotto a emettere un preavviso di diniego della cittadinanza per motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica, che desta dubbi sul piano della legittimità per carente motivazione e violazione dei diritti fondamentali della persona umana;
          se i Ministri interrogati intendano adottare o abbiano adottato iniziative atte a controllare i procedimenti amministrativi e gli atti emanati dalla pubblica amministrazione con valutazione discrezionale, anche relativi alle domande di cittadinanza e al relativo eventuale diniego, per garantire gli interessi e i diritti coinvolti ed evitare ipotesi di eccesso di potere pubblico;
              se i Ministri interrogati ritengano di adottare iniziative atte a garantire l'economicità, l'efficienza e la legalità del procedimento che conduce alla concessione o al rigetto della cittadinanza ex legge 91 del 1992, oltre che ai fini della salvaguardia di diritti costituzionalmente garantiti, anche per evitare eventuali gravosi oneri finanziari a carico dello Stato. (5-06842)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BOCCHINO e MENIA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          sono sempre più frequenti i casi in cui all'interno dei centri di identificazione ed espulsione (CIE) si verificano situazioni di protesta, che sfociano spesso in vere e proprie rivolte da parte di cittadini stranieri, con conseguenti danneggiamenti dei beni e delle strutture della pubblica amministrazione;
          dalle notizie che trapelano, pare che le ragioni delle proteste siano conseguenti al trattamento disumano e degradante perpetrato all'interno delle suddette strutture. Il centro di identificazione ed espulsione di Gradisca d'Isonzo (Gorizia), recentemente visitato dagli interroganti, versa in una situazione emergenziale, evidente sia dai reclami degli operatori, sia dallo stato psicofisico degli individui ospitati nel suddetto istituto;
          va evidenziato che la gestione della permanenza nei centri di identificazione ed espulsione non prevede alcuna normazione regolamentare, rispetto per esempio al trattamento disciplinare previsto per le tradizionali pene detentive; nonostante, tra l'altro, si tratti di soggetti che non stiano espiando una condanna, bensì una misura coercitiva della libertà personale, che potrebbe definirsi «detenzione amministrativa». Mentre i detenuti possono contare su un ordinamento penitenziario che consente, con chiarezza, di conoscere diritti e doveri a esse conferiti, nel rispetto di norme interne (legge n.  354 del 1975 e Decreto del Presidente della Repubblica n.  230 del 2000) e delle disposizioni impartite dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dai provveditorati regionali, oltre che di quelle disposte dalle singole direzioni carcerarie, ciò non iene per centri di identificazione ed espulsione;
          se per le carceri è previsto l'esercizio del potere ispettivo dei parlamentari dell'Unione europea, di quelli nazionali, dei consiglieri regionali, senza eccessive formalità, questo non avviene per le visite ispettive presso i centri di identificazione ed espulsione non è infrequente, infatti, che il rappresentante parlamentare si imbatta in resistenze e rifiuti che finiscono per condizionare fortemente la funzione di vigilanza sul rispetto della legalità che compete al parlamentare;
          le procedure che in una pluralità di centri di identificazione ed espulsione continuano ad essere messe in pratica, sia nei confronti degli individui in essi ospitati, sia per ciò che concerne il diritto-dovere dei parlamentari di recarsi all'interno di essi per visite di ispezione e di controllo  –:
          di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo;
          se non ritenga opportuno ripensare alle strategie adottate in materia di contenimento delle persone straniere presso i centri di identificazione ed espulsione poiché sono evidenti le difficoltà che imporrebbero urgentissimi rimedi, prima che all'Italia siano inflitte condanne da parte degli organismi di diritto internazionale in tema di violazione dei diritti umani;
          se siano da prendere in considerazione eventuali modifiche normative e regolamentari, che affidino all'amministrazione penitenziaria la gestione dei centri di identificazione ed espulsione garantendo maggiore sicurezza e ottimizzazione delle risorse economiche e umane;
          se il Governo non ritenga giusto garantire alle suddette persone, sottoposte a misure privative della libertà, quantomeno un pari trattamento rispetto a quanti sono considerati detenuti a tutti gli effetti, a seguito di provvedimenti di custodia cautelare o di condanna per aver commesso dei reati;
          se non sia opportuno riversare le risorse finanziarie e conferire le strutture recettive impiegate per i centri di identificazione ed espulsione all'amministrazione penitenziaria, autorizzando l'assunzione di personale penitenziario da destinare, prevedendo contestualmente anche una prima assunzione dei dipendenti di cooperative o di imprese private che, avendo i requisiti previsti dalla legge per i lavoratori pubblici, siano già professionalmente impegnati presso i centri di identificazione ed espulsione (nell'ambito di servizi sanitari, di supporto psicologico, di mediazione culturale, di traduzione delle diverse lingue parlate e altro). (4-16028)


      CONTENTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nel 2002 sono stati proposti vari ricorsi avverso i bandi per le procedure di riqualificazione del Ministero dell'interno volti alla progressione dalla posizione C a quelle superiori;
          ne ha fatto seguito una complessa e articolatissima vicenda giudiziaria sfociata in una sentenza della corte di appello di Catanzaro del 14 maggio 2009 mediante la quale i bandi e le graduatorie del 2001 sono stati dichiarati nulli a causa della supervalutazione dell'anzianità di servizio rispetto ai titoli di studio e professionali, tanto che in data 6 dicembre 2010 il Ministero dell'interno avrebbe annullato con decreto le graduatorie riformulandole secondo i nuovi criteri;
          in realtà, il decreto in parola è stato giudicato elusivo dal tribunale amministrativo regionale della Calabria, in quanto si limitava a disapplicare solamente l'anzianità di servizio quale criterio di preferenza a parità di punteggio, criterio quest'ultimo che non ha mai costituito materia del contendere in quanto non utile ad attribuire punteggio;
          il 1o febbraio anche il Consiglio di Stato ha confermato la pronuncia del TAR calabrese, stabilendo che il Ministero deve «accrescere il valore del titolo di studio rispetto all'anzianità di servizio limitatamente al ricorrente e senza incidere sulle posizioni già acquisite», nominando peraltro un commissario ad acta;
          a tutt'oggi, pur essendo trascorsi i sessanta giorni assegnati ab origine dal tribunale amministrativo per l'applicazione della sentenza della corte d'appello di Catanzaro, non consta esser stato ancora fornito riscontro alle pronunce sopra esposte;
          risulta, anzi, all'interrogante che i ricorrenti siano pronti a nuove azioni giudiziarie, con ovvi dispendi di risorse pubbliche per il Ministero opposto, per ottenere finalmente la rettificazione delle graduatorie del 2002  –:
          se quanto esposto in premessa corrisponda al vero e se il commissario ad acta indicato dal Consiglio di Stato abbia provveduto nelle more ad esaurire il proprio ufficio;
          in caso contrario, per quali ragioni non sia stato dato ancora seguito a sentenze e ordinanze così risalenti nel tempo e quali iniziative intenda adottare per definire al più presto il contenzioso in esame. (4-16033)


      POLLEDRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la situazione dell'ordine pubblico a Piacenza continua ad esser motivo di preoccupazione, come prova un nuovo sconcertante episodio verificatosi in via Roma il 7 maggio 2012, che ha avuto per protagonisti alcuni immigrati extracomunitari di origine ecuadoregna;
          costoro, intenti a bivaccare per strada con birre ed altri alcoolici, hanno circondato una volante della polizia, nell'intento di favorire la fuga di una persona che era stata fermata dagli agenti;
          per effetto della loro iniziativa, il giovane fermato è effettivamente riuscito a sottrarsi alla polizia, che è però riuscita successivamente a rintracciarlo e catturarlo;
          il fatto rimane tuttavia di una gravità sconcertante, evocando episodi che si riteneva confinati soltanto ad alcune realtà territoriali condizionate dalla presenza della grande criminalità organizzata;
          l'area di via Roma a Piacenza non è nuova a disordini, violenze ed illegalità determinate da elementi extracomunitari di varia origine  –:
          se il Governo sia al corrente del fatto di cronaca esposto in premessa;
          quali iniziative si intendano adottare, in particolare, in ordine alla delicata attività di monitoraggio del fenomeno dell'immigrazione sul territorio di riferimento;
          quali iniziative il Governo ritenga opportuno assumere per ripristinare l'ordine pubblico nella città di Piacenza.
(4-16041)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


      CORSINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          l'11 agosto 2011, con decreto rettorale, l'università degli studi di Catania indiceva una selezione pubblica per la stipula di 13 posti a contratto di lavoro a tempo determinato (3 anni + 2 anni) per lo svolgimento di attività di ricerca, didattica e didattica integrativa tra cui 1 presso la facoltà di lingue e letterature straniere con sede esclusiva a Ragusa, da assegnarsi mediante concorso pubblico. Il settore concorsuale bandito era 11/A storia contemporanea, il settore scientifico disciplinare M-STO/04 storia contemporanea;
          il 4 ottobre 2011, con decreto rettorale, l'università degli studi di Catania nominava le commissioni per i 13 concorsi, tra cui il suddetto concorso. La commissione per il concorso per ricercatore in storia contemporanea, nominata dal rettore, era formata da: Luigi Masella (università di Bari), Simone Neri Serneri (università di Siena), Alessandra Staderini (università di Firenze);
          il 3 novembre 2011, la commissione si riuniva e nominava Simone Neri Serneri presidente della stessa, Alessandra Staderini segretario. La commissione dichiarava di effettuare una valutazione preliminare dei candidati, con motivato giudizio analitico sui titoli, sul curriculum e sulla produzione scientifica, ivi compresa la tesi di dottorato. Attribuiva fino ad un massimo di 30 punti per la valutazione dei titoli, e fino a un massimo di 70 punti per la valutazione delle pubblicazioni. Stabiliva che la valutazione comparativa fosse effettuata sulla base del possesso del titolo di dottore di ricerca o equivalente conseguito in Italia o all'estero e aggiungeva che, ai sensi dell'articolo 7 del bando di selezione, costituivano titoli preferenziali il dottorato di ricerca e le attività svolte in qualità di assegnisti di ricerca. La commissione dichiarava di effettuare la valutazione comparativa delle pubblicazioni sulla base dei seguenti criteri: originalità, innovatività, importanza di ciascuna pubblicazione scientifica e congruenza di ciascuna pubblicazione con il settore scientifico-disciplinare per il quale era bandita la procedura, stabilendo nello specifico i parametri di valutazione, la commissione si discostava dai criteri usati dalle altre commissioni dello stesso concorso, in particolare sui seguenti punti: relativamente ai titoli, sul punto a) la commissione abbassava a 4 punti (anziché 7 punti) il punteggio massimo attribuito al titolo di dottore di ricerca o equivalente; relativamente alle pubblicazioni, sul punto b) la commissione aumentava a 20 punti (anziché 10 punti) il punteggio massimo attribuito a ciascuna monografia (con la puntualizzazione, comunque, che fosse congruente con il settore scientifico-disciplinare stabilito nel bando);
          il 17 novembre 2011 la commissione procedeva alla formulazione dei giudizi individuali e collegiali sui titoli, le pubblicazioni ed i curricula presentati dai 14 candidati, individuando i 6 candidati comparativamente più meritevoli, che venivano ammessi alla successiva fase della selezione, consistente nella discussione dei titoli e della produzione scientifica;
          il 19 dicembre 2011 i candidati selezionati discutevano innanzi alla commissione i propri titoli e la propria produzione scientifica, senza che venisse attribuito, come da bando, alcun punteggio aggiuntivo ma solo una semplice ammissione alla valutazione finale. Infine, i candidati venivano sottoposti all'accertamento della conoscenza della lingua straniera (inglese), anche in questo caso senza alcun tipo di attribuzione di punteggio, come da bando, ma con una semplice dichiarazione di idoneità;
          al termine di ognuna delle discussioni sostenute pubblicamente i 6 candidati, unitamente agli astanti, venivano invitati a lasciare l'aula affinché la commissione potesse svolgere l'attività di valutazione dei titoli e delle pubblicazioni, sulla base dei criteri stabiliti nel regolamento di ateneo e nel bando, procedendo all'attribuzione del punteggio analitico e complessivo. All'esito di tale fase, il 20 dicembre 2011, la commissione attribuiva un punteggio di 89,3 punti alla candidata architetto Melania Nucifora, che risultava prima classificata, ed un punteggio di 86,45 punti al dottor Giambattista Scirè, che risultava secondo classificato;
          il 22 dicembre 2011, con decreto del rettore, la commissione confermava l'esito della selezione, e il 28 dicembre 2011 l'architetto Nucifora firmava l'atto di assunzione quale ricercatore a tempo determinato in Storia contemporanea presso l'università di Catania;
          il 23 gennaio 2012 Scirè, tramite l'avvocato Fabrizio Traina, effettuava l'accesso agli atti della suddetta procedura selettiva, da cui emergevano profili di illegittimità e palesi irregolarità, per cui proponeva il ricorso giurisdizionale al Tar di Catania infatti dalla documentazione presentata l'architetto Nucifora, vincitrice del concorso, risultava essere in possesso di una laurea in architettura conseguita presso l'istituto universitario di architettura di Venezia, laurea non attinente o congrua al settore concorsuale bandito; risultava non essere in possesso del titolo di dottorato di ricerca, come si evinceva anche dai giudizi della stessa commissione; risultava avere, infine, un profilo accademico e un'attività di studio non congrue al settore scientifico-disciplinare del bando di concorso;
          nella fattispecie la vincitrice risultava in possesso di: un master afferente a «Pianificazione e progettazione urbanistica e territoriale» (sett. scient-disc. Icar-15 e al sett. conc. 08/F); assegni di ricerca e incarichi di docenza relativi al settore disciplinare «Storia dell'architettura» (Icar-18); partecipazioni a convegni di studio su gestione del territorio, urbanistica, architettura, archeologia. L'architetto Nucifora risultava aver ottenuto inoltre, senza possedere il requisito del dottorato di ricerca, diversi incarichi di docenza presso l'università di Catania, in più facoltà (ingegneria, lettere e filosofia). Si evinceva la presenza, tra le pubblicazioni presentate dalla candidata vincitrice, di due saggi contenuti rispettivamente in due volumi curati dal presidente stesso della commissione, Neri Serneri;
          era documentata, inoltre, la presenza di un volume del presidente della commissione, Neri Serneri, nel programma d'esame del corso di Storia dell'architettura tenuto dall'architetto Nucifora (a.a. 2008-2009);
          il secondo classificato, dottor Scirè, possedeva una laurea in storia contemporanea conseguita con il massimo dei voti presso l'università degli studi di Firenze, un dottorato di ricerca in studi storici per l'età moderna e contemporanea, perfettamente congruo con il settore concorsuale bandito, e un'attività di assegnista di ricerca sempre in storia contemporanea (per 5 anni), come si può evincere dalla documentazione oltre che dal suo curriculum pubblico presente nel sito www.giambattistascire.it;
          nel calcolo del punteggio finale i membri della commissione, pur fornendo un giudizio complessivo altamente positivo ed un profilo perfettamente congruo al settore concorsuale nei confronti dello Scirè, specificando invece che l'architetto Nucifora non era in possesso del titolo del dottorato di ricerca, e mettendo in evidenza la laurea «eccentrica» in architettura e gli studi di pianificazione e gestione paesistica del territorio, dichiaravano vincitrice del concorso la candidata Nucifora, attribuendole un punteggio di 89,3 punti, e secondo classificato il dottor Giambattista Scirè, assegnandogli un punteggio di 86,45;
          lo Scirè otteneva, come si evince con chiarezza dalla documentazione del concorso, complessivamente 110 punti sulle pubblicazioni (essendo autore di 4 monografie pubblicate con case editrici di rilevanza nazionale, come Carocci e Bruno Mondadori), gli venivano sottratti ben 40 punti (sulla base del limite massimo di 70 punti da attribuire alle pubblicazioni stabilito in precedenza dalla commissione, con tutta evidenza in modo anti-meritocratico), senza alcuna rivalutazione e comparazione rispetto agli altri candidati e, nella fattispecie, rispetto ai 63 punti complessivi sulle pubblicazioni ottenuti dall'architetto Nucifora. A permettere questa evidente penalizzazione era, non tanto il limite massimo di 70 punti imposto in precedenza dal bando, quanto la scelta degli specifici criteri di valutazione della commissione che attribuiva 20 punti massimo (anziché 10 punti) alle singole monografie. Si tenga conto che la candidata vincitrice possedeva solo 2 monografie (pubblicate con una casa editrice locale). La commissione attribuiva un punteggio di 15 punti ad ogni monografia di Nucifora, nonostante la evidente non congruità rispetto al settore scientifico-disciplinare del concorso, come risulta di tutta evidenza dal contenuto stesso della pubblicazione (si veda: http://www.lasiciliainrete.it/STORIAECULTURA/progettokasa/8.pdf);
          allo Scirè, relativamente al dottorato di ricerca in studi storici dell'età moderna e contemporanea (a fronte del massimo di 7 punti usato nei criteri di valutazione delle altre commissioni dello stesso concorso) venivano attribuiti solamente 3 punti su un massimo di 4 punti, nonostante l'assoluta congruenza con il settore scientifico. In palese contraddizione a ciò, va tenuto conto che la commissione aveva invece attribuito 10 punti su 10, sulle pubblicazioni, alla tesi di dottorato di Scirè (ma si trattava di punti che non erano utili ai fini del conteggio finale, visto che il totale di 70 punti sulle pubblicazioni era stato già ampiamente superato dallo Scirè, e questi ulteriori punti venivano in questo modo automaticamente cancellati e resi vani). Invece all'architetto Nucifora, nonostante la palese incongruità dei titoli e delle pubblicazioni, erano attribuiti dalla commissione 5 punti su 5 sulla didattica e 10 punti su 10 sulla ricerca, che insieme ad altre voci non congrue con il settore concorsuale portavano a 26,3 punti sui titoli, che aggiunti ai 63 punti sulle pubblicazioni (la maggior parte delle quali, come emerge dalla documentazione, anch'esse non congrue al settore disciplinare) raggiungevano il totale di 89,3 punti;
          il ricorso presentato dallo Scirè contestava l'operato della commissione anche per l'attribuzione di 1 punto all'architetto Nucifora relativamente all'iscrizione al primo anno di dottorato come titolo utile, atteso che solo il dottorato conseguito (tesi di dottorato compresa) può essere considerato un titolo utile ai fini della valutazione del concorso. Questa inconsueta procedura rappresenta un caso se non unico quanto meno raro nella prassi dei concorsi universitari, come può confermare qualsiasi docente universitario che ha fatto parte di commissioni di concorso;
          il ricorso contestava, altresì, l'attribuzione di ben 6 punti relativi alla partecipazione ad un progetto Prin dell'architetto Nucifora (progetto risultato idoneo vincitore, a cui venivano assegnati i fondi dal ministero), con l'aggravante che questi punti erano attribuiti dalla commissione alla voce «didattica» e non a quella «ricerca» (con una interpretazione errata del valore dei progetti Prin; infatti, se fossero stati assegnati alla voce corretta, cioè alla voce «ricerca», in tal modo, sarebbero risultati non utili nel conteggio finale perché Nucifora aveva già superato il tetto massimo fissato per quella voce). Tutto ciò a fronte di una assoluta disparità di trattamento, nel momento in cui la commissione attribuiva, di contro, 0 punti alla partecipazione di Scirè ad un progetto Prin (progetto risultato altrettanto idoneo ma al quale però non sono stati assegnati i fondi dal Ministero per mancanza di disponibilità finanziaria);
          il ricorso contestava ancora l'attribuzione alla didattica di soli 2,4 punti a Scirè, attesa la totale congruenza rispetto al settore scientifico disciplinare delle lezioni e dei seminari impartiti dal ricorrente nei corsi di Storia contemporanea, Storia della Chiesa contemporanea, e dalla partecipazione in commissioni di tesi specialistica in Storia contemporanea;
          sempre secondo il ricorso depositato, la commissione dimostrava di procedere con una prospettiva di valutazione quantomeno «sui generis» visto che preferiva non attenersi al valore inconfutabile delle pubblicazioni, 110 contro 63 (non va omesso il particolare che le 4 monografie di Scirè venivano valutate 20 punti ciascuna mentre le 2 di Nucifora solamente 15 punti ciascuna, a dimostrazione di una netta superiorità qualitativa oltre che quantitativa), ma piuttosto decideva di attribuire, ad esempio, 4,8 punti alla partecipazione auto-certificata a convegni da parte della Nucifora (partecipazione non suffragata, nella valutazione, da eventuali relazioni o interventi scritti ai suddetti convegni) e solamente 1,8 punti ai convegni a cui aveva partecipato Scirè;
          il 22 marzo 2012 il Tar di Catania accoglieva il ricorso e assegnava il termine di 20 giorni a decorrere dalla notifica della decisione (avvenuta il 23 marzo 2012) per la riconvocazione della commissione;
          il 27 marzo 2012 il rettore dell'università di Catania convocava entro e non oltre 15 giorni la commissione per il riesame analitico e il conseguente ricalcolo del punteggio, in ottemperanza alle disposizioni del Tar;
          il 4 aprile 2012 la commissione riunitasi presso la facoltà di lettere dell'università di Roma La Sapienza (evidentemente autorizzata a ciò dal rettore dell'università di Catania), non ottemperava all'ordinanza del Tar e riconfermava l'esito del concorso, specificando la presunta congruenza dei titoli della vincitrice, non applicando l'articolo del decreto ministeriale e svalutando arbitrariamente i titoli della laurea e del dottorato di ricerca specifici del settore concorsuale bandito;
          la commissione indicava come base di congruenza per il settore M-Sto/04 storia contemporanea il profilo di «storia urbana» della candidata vincitrice. In realtà, sulla base dei titoli presentati e del curriculum, come si evince chiaramente dalla documentazione, la candidata vincitrice non aveva alcuna attinenza con la storia contemporanea, come dimostra tutto il suo percorso di studio, il master, gli assegni di ricerca e gli incarichi di docenza: non in storia urbana, come dimostrano i verbali allegati dell'università di Catania, ma in storia dell'architettura e pianificazione e gestione paesistica del territorio. Peraltro neppure la storia urbana fa parte, stando all'articolo del decreto ministeriale, delle discipline inserite nella classificazione del settore concorsuale bandito. In aggiunta, apparirebbe equo comparare il profilo «sui generis» della candidata vincitrice con la perfetta congruenza al settore del ricorrente, sottolineata peraltro dagli stessi commissari nei giudizi;
          la stessa commissione ha ammesso, peraltro, che la storia urbana non compare in alcun settore; infatti, il termine storia urbana è stato usato indebitamente dalla commissione stessa per definire, in questo caso, la storia dell'architettura (settore disciplinare Icar-18);
          è noto che la normativa relativa ai settori scientifico-disciplinari ha soppresso da tempo le specificazioni dei diversi ambiti, quindi occorre attenersi rigorosamente ai settori a cui afferisce la materia studiata, nella fattispecie Icar-18, cioè storia dell'architettura;
          alla luce di tutti questi elementi riportati appaiono di dubbia regolarità i lavori della commissione;
          non appare corretto da parte della commissione parificare e valutare allo stesso modo un percorso di studio perfettamente congruo e idoneo alla storia contemporanea con un percorso di studio non congruo con la storia contemporanea, percorso che la stessa commissione ha definito «eccentrico» rispetto alla valutazione del settore specifico;
          peraltro appare di dubbia legittimità il fatto che una candidata laureata in architettura, né addottorata in storia contemporanea, in possesso di un profilo scientifico con tutta evidenza non congruo al settore disciplinare del concorso bandito possa vincere la selezione per un concorso di ricercatore in storia contemporanea;
          in effetti l'interrogante non ritiene possibile che una commissione universitaria possa decidere arbitrariamente, e contrariamente alle stesse regole ministeriali, nonché al comune buon senso, che 4 o 5 anni del corso di laurea specifico al settore concorsuale, che 3 anni di dottorato di ricerca nel settore specifico, e che 5 anni di attività di ricerca perfettamente congrue al settore specifico bandito, che un numero di pubblicazioni maggiori (come quantità e come qualità, come attesta la documentazione stessa e i giudizi stessi dei singoli commissari, per un punteggio pari a 110 contro 63), risultino nel complesso elementi del tutto inutili e ininfluenti nel formare le specifiche caratteristiche di uno studioso in modo tale da permettere di attribuirgli la vittoria finale nella selezione del concorso;
          in particolare, appare metodologicamente incongruo declassare, depotenziare è dequalificare in tal modo il titolo del dottorato di ricerca in studi storici dell'età moderna e contemporanea conseguito in una università pubblica italiana  –:
          se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto e se abbia adottato o ritenga utile adottare iniziative, se del caso normative, al fine di stabilire criteri di valutazione tali da evitare una arbitraria discrezionalità delle commissioni universitarie, in modo da riportare fiducia nelle istituzioni universitarie e nei concorsi, garantendo che la selezione del personale avvenga attraverso meccanismi pienamente trasparenti;
          se si intendano assumere iniziative per favorire la trasparenza di ogni fase dei procedimenti relativi ai concorsi, anche al fine di evitare fenomeni quale quelli esemplificativamente descritti in premessa.
(4-16021)


      ZAZZERA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          con circolare n.  15 del 22 febbraio 2012 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha negato ai docenti precari la possibilità di mettersi in aspettativa per il dottorato di ricerca conservando il proprio stipendio, come avviene per gli insegnanti di ruolo e per i dipendenti della pubblica amministrazione;
          in particolare, per questi docenti le disposizioni riguardanti i congedi per il personale ammesso alla frequenza dei dottorati di ricerca esplicano la propria validità esclusivamente sotto il profilo giuridico (il riconoscimento del servizio ai fini previsti dalle vigenti disposizioni) e non sotto il profilo economico (conservazione della retribuzione per il periodo di frequenza del dottorato);
          molto spesso questi precari non possono mettersi in aspettativa, a differenza dei colleghi degli anni precedenti, rinunciando allo stipendio;
          quindi, gli insegnanti che hanno superato i test di ammissione ai dottorati di ricerca si trovano costretti a rinunciare a questa opportunità dopo anni di studi sostenuti, senza neppure poter passare di ruolo, in quanto le graduatorie scorrono, come noto, con estrema lentezza;
          accade, inoltre, che nei casi in cui i posti di dottorato messi a concorso non prevedano borse di studio, i docenti devono anche accollarsi le spese delle tasse universitarie;
          con sentenza n.  360 del 26 maggio 2011, il giudice del lavoro del tribunale di Verona ha stabilito che ai docenti con contratti a tempo determinato debbano essere riconosciuti gli stessi diritti del personale con contratto a tempo indeterminato. Con tale pronuncia il giudice ha accolto il ricorso presentato proprio da un docente che, essendo risultato idoneo al concorso per il dottorato di ricerca, aveva chiesto la conservazione del suo stipendio di insegnante  –:
          alla luce dei fatti riportati in premessa, quali iniziative, anche normative, il Ministro interrogato intenda adottare ai fini di sanare questa palese discriminazione nei confronti dei docenti risultati idonei ai concorsi per dottorati di ricerca. (4-16024)


      MIGLIORI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          si è svolta il 21 aprile 2012 in comune di Bagno a Ripoli (Firenze) organizzata dallo stesso comune e da vari istituti scolastici della provincia di Firenze (liceo scientifico Gobetti, istituto statale Volta, istituti comprensivi di scuola materna, primaria e media inferiore di Bagno a Ripoli) una iniziativa denominata «sui sentieri della libertà» in memoria ed occasione del 68o anniversario della liberazione;
          l'iniziativa didattica pare meritoria ma più orientata nel concreto a finalità di parte politica che a costituire una occasione di libera valutazione personale da parte degli studenti che partecipano alla stessa manifestazione;
          come si evince dal programma, infatti oltre alla sezione locale dell'ANPI hanno partecipato all'iniziativa i soci dell'UNICOOP, la Fratellanza Popolare, una non meglio definita «Assemblea antifascista di Rignano sull'Arno», escludendo – dunque – ogni pluralismo politico, culturale, associativo, ricreativo, solidaristico, sportivo che non fosse strumento riconducibile ai partiti della sinistra più o meno radicale, come se la memoria della liberazione fosse appannaggio solo di una parte politica e culturale e non – viceversa – elemento di coesione sociale e di condiviso ricordo della memoria nazionale unitariamente intesa al di fuori di ogni strumentalizzazione  –:
          se non si reputi opportuno ed urgente, anche in nome del principio della imparzialità, della pubblica amministrazione assumere iniziative affinché le manifestazioni realizzate in occasione di anniversari d'ordine storico-politico, si svolgano nell'ambito e nella logica del più preciso ed oggettivo pluralismo culturale, onde evitare ogni possibile tentativo di speculazione politica. (4-16037)


      MIGLIORI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il Politecnico di Milano ha informato che dal 2014 saranno proposti i corsi per gli studenti dell'ultimo biennio della laurea specialistica e dei dottorati esclusivamente in inglese, abolendo di fatto la lingua italiana;
          tale decisione è stata opportunamente contestata dall'ambasciatore Bruno Bottai, a nome della società Dante Alighieri, in quanto «la lingua inglese senza dubbio va studiata come lingua veicolare ma non può in alcun modo sostituire la lingua nazionale»;
          tale rivoluzione linguistica contraddice le battaglie per la difesa della nostra lingua nell'Unione europea nonché l'attività delle 500 sedi della Dante Alighieri nel mondo e le finalità degli istituti di cultura italiani impegnati nella diffusione sempre più estesa dell'italiano  –:
          se si abbiano notizie di quello che all'interrogante appaiono ulteriori tristi iniziative in merito da parte di altri istituti universitari;
          se non si reputi opportuno far sì che presso ogni scuola d'ordine e grado della Repubblica, salvo le scuole a tutela delle lingue delle minoranze nazionali, si mantenga l'uso insostituibile della lingua nazionale. (4-16038)


      BARBATO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 ottobre 2011 registrato alla Corte dei conti in data 27 dicembre 2011 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale in data 1o febbraio 2011), il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è autorizzato a bandire un concorso pubblico, per gli anni 2011, 2012 e 2013, per 23 posti di dirigente di seconda fascia, impegnando quindi per tale operazione notevoli risorse finanziarie;
          il concorso de quo è stato autorizzato pur vigente graduatoria di concorso a 12 posti di dirigente amministrativo, approvata con decreto dirigenziale generale 14 dicembre 2009 (indetto con D.D.G. 22 ottobre 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.  85 – 4a Serie speciale – «Concorsi ed esami», del 26 ottobre 2007, graduatoria pubblicata sul Bollettino Ufficiale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, n.  1-2 del 7-14 gennaio 2010, e sulla Gazzetta Ufficiale, IV serie speciale, n.  5 del 19 gennaio 2010, che vedrà la propria scadenza a gennaio 2013 – salvo proroghe periodicamente disposte dai cosiddetti decreti «milleproroghe» annualmente approvati;
          la graduatoria in parola è formata da 12 vincitori (regolarmente assunti in servizio), alcuni dei quali riservatari, e 17 idonei, di cui – successivamente – due ulteriori idonei assunti per scorrimento della medesima;
          allo stato residuano, quindi, soli 15 idonei non assunti dopo il parziale scorrimento (di cui nove dei quali funzionari della stessa amministrazione) che potrebbero essere rapidamente immessi in ruolo a fronte di un macroscopico fabbisogno di dirigenti amministrativi;
          l'attuale percentuale di scoperto organico-dirigenziale amministrativa del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, è del 45 per cento circa a cui dovranno essere aggiunti i prossimi dirigenti cessandi, che saranno in numero considerevole;
          i posti dirigenziali amministrativi vacanti risultano dalla tabella organica pubblicata sul sito istituzionale complessivamente 153, di cui 61 presso l'amministrazione centrale e 92 presso l'amministrazione periferica. Situazione che non è destinata a mutare nemmeno dopo le previste riduzioni di cui al decreto-legge n.  138 del 2011 (convertito dalle legge n.  148 del 2011);
          gli originari 337 posti si ridurrebbero complessivamente, secondo le stime, da 337 unità a 294, permanendo le esigenze complessive di copertura dei posti vacanti;
          una ricognizione nazionale delle situazioni esistenti presso gli uffici (centrali e periferici), evidenzia casi gravissimi di carenza organica, tamponati oramai da anni con misure giuridicamente inadeguate e contabilmente rilevanti, le plurime reggenze, intendendosi per tali l'impiego di personale su due, o addirittura tre uffici dirigenziali, oltre l'ufficio di titolarità. Il fenomeno diffuso in campo nazionale interessa svariate regioni, come in alcuni dei sottoelencati casi portati ad esempio:
              U.S.R. – Toscana, un dirigente scolastico, regge contemporaneamente 4 uffici dirigenziali: l'ufficio IV «ordinamenti scolastici», l'ufficio VIII «monitoraggio e valutazione delle azioni scolastiche», l'ufficio XI – ambito territoriale provinciale di Grosseto e l'ufficio XII – ambito territoriale provinciale di Livorno;
              U.S.R. – Sicilia: a) un dirigente amministrativo dirige contemporaneamente tre uffici dirigenziali il sesto, il decimo e l'undicesimo; b) un secondo dirigente amministrativo dirige contemporaneamente tre uffici dirigenziali: il quarto, il settimo e l'ottavo; c) un terzo dirigente amministrativo dirige addirittura tre ambiti provinciali: l'ufficio XIII – l'ambito territoriale provinciale di Enna, l'ufficio XV – l'ambito territoriale provinciale di Palermo e l'ufficio XVII – l'ambito territoriale provinciale di Trapani;
              U.S.R. – Piemonte, un funzionario privo di idoneità dirigenziale, dirige contemporaneamente tre uffici dirigenziali: l'ufficio III «ordinamenti personale della scuola», l'ufficio XIII – ambito territoriale provinciale di Verbania Cusio Ossola e l'ufficio XV – ambito territoriale provinciale di Vercelli;
              U.S.R. – Campania, un dirigente amministrativo dirige contemporaneamente tre uffici dirigenziali;
              U.S.R. – Emilia Romagna, che versa in una situazione particolarmente grave, dove un funzionario privo di idoneità dirigenziale è «fiduciariamente» incaricato di reggere l'ufficio scolastico regionale e inoltre «governa» ad interim ben due uffici dirigenziali non generali: l'ufficio primo «diritto allo studio» e l'ufficio terzo «affari generali»;
          a causa della carenza di dirigenti amministrativi risultano attribuite ben: 33 prime reggenze (oltre l'ufficio di titolarità); 7 doppie reggenze (oltre l'ufficio di titolarità) affidate a dirigenti amministrativi di ruolo; 9 prime reggenze e due doppie reggenze (oltre l'ufficio di titolarità) affidate a dirigenti tecnici, 6 prime reggenze e una tripla reggenza affidata a dirigenti scolastici; 13 prime reggenze affidate a funzionari con incarico ex articolo 19, comma 6, decreto legislativo n.  165 del 2001;
          proprio l'acclarata grave carenza di dirigenti amministrativi ha obbligato l'amministrazione a utilizzare su posti (dirigenziali amministrativi), figure professionali, i dirigenti scolastici, collocati in un'area professionale, la V, estranea a quella amministrativa (la I), e questa operazione (nelle proporzioni sopra evidenziate), ha anch'essa riflessi contabilmente rilevanti, nella misura in cui obbliga le istituzioni scolastiche a conferire, contro ogni logica e utilità, reggenze «sostitutive»;
          l'affidamento di reggenze a dirigenti scolastici lede gravemente le legittime aspettative degli idonei del concorso a dirigente amministrativo, i quali hanno acquisito una professionalità e superato una procedura concorsuale esclusivamente congeniale alla carriera dirigenziale amministrativa, e che pertanto, non hanno possibilità alcuna di spendere competenze dirigenziali, se non nell'area professionale di appartenenza;
          non è immaginabile, (per un'amministrazione orientata a raccogliere nuove sfide di qualità del servizio pubblico), che in diverse regioni, il rapporto numerico dirigenti amministrativi di ruolo da un lato, dirigenti scolastici dall'altro, sia di pochissime unità (si pensi a titolo esemplificativo, alla regione Calabria, o Umbria dove è impiegata una sola unità), o addirittura zero (vedansi la regione Molise) – per svariate centinaia di dirigenti scolastici;
          recente giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di cassazione (n.  3814 del 2011), nel riconoscere il carattere straordinario ed eccezionale della reggenza, acclara che ad essa può farsi luogo, senza che si producano gli effetti collegati allo svolgimento di mansioni superiori, solo allorquando sia stato aperto il procedimento di copertura del posto vacante e nei limiti di tempo previsti per tale copertura cosicché, al di fuori di tale ipotesi, la reggenza dell'ufficio concreta svolgimento di «mansioni superiori», dando origine ad un uso distorto e patologico delle reggenze surrettiziamente trasformate da misura eccezionale in posizione di stato (in spregio delle legittime aspettative degli idonei); ne consegue che la scelta di ricorrere alla reggenza, oltre a danneggiare l'efficacia e l'efficienza dell'azione amministrativa, crea le condizioni per un gravissimo e consistente danno erariale;
          di fatto, la scelta di non procedere all'immissione in ruolo degli idonei, prolungando il ricorso all'istituto della reggenza e, addirittura, pervenendo all'ipotesi di un nuovo – lungo e costoso – concorso, benché vi sia la possibilità di utilizzare immediatamente la pregressa graduatoria;
          il Ministero, con il suo operato, dimostra, ad avviso dell'interrogante, di contravvenire all'ormai consolidato principio secondo cui «lo “scorrimento della graduatoria” corrisponde ... ad un evidente interesse pubblico di economicità e speditezza dell'azione amministrativa di reclutamento del personale» (Cons. St.,      23 febbraio 2012, n.  1000) – più volte confermato dalla giurisprudenza dopo la ben nota sentenza del Consiglio di Stato in adunanza plenaria n.  14 del 2011;
          la recente decisione dell'adunanza plenaria n.  14 del 2011 del Consiglio di Stato afferma importanti principi orientati ad un'inversione di tendenza nelle operazioni di reclutamento, favorevole alla chiamata in ruolo degli idonei, che diventa la modalità ordinaria di provvista del personale e tanto in relazione alla finalità primaria di ridurre i costi gravanti sulle amministrazioni per la gestione delle procedure selettive;
          l'indizione di un nuovo concorso costituisce l'eccezione e richiede un'apposita e approfondita motivazione che dia conto della esistenza di eventuali graduatorie degli idonei ancora valide ed efficaci al momento dell'indizione del nuovo concorso nonché del sacrificio imposto ai concorrenti idonei e della sussistenza di preminenti esigenze di interesse pubblico;
          inoltre, come nell'ipotesi esaminata, laddove l'amministrazione avesse già parzialmente utilizzato la graduatoria mediante scorrimento, secondo un'altra recente pronuncia del Consiglio di Stato (n.  1395/2011) il nuovo concorso non trova «alcuna ragionevole giustificazione e si pone in contrasto con il già avvenuto utilizzo della graduatoria»;
          un recente dictum del Consiglio di Stato (sezione 8 luglio 2011, n.  4104), acclara che, lo svolgimento in via interinale di compiti di direzione e reggenza degli uffici per i quali l'organigramma dell'ente prevede sul piano organizzativo, la preposizione di una figura dirigenziale, non ne determina sic et simpliciter l'omologazione in fatto alla posizione di status di livello dirigenziale, il cui conferimento resta condizionato al previo superamento di specifiche procedure idoneative indirizzate alla verifica del possesso dei requisiti culturali e professionali a tal fine richiesti;
          la mancata assunzione degli idonei del concorso a 12 posti rende necessario per l'amministrazione non solo ricorrere alle reggenze, fenomeno che la espone a seriali contenziosi in cui presumibilmente sarà soccombente (nei limiti sopra evidenziati dalle sezioni unite sen.  n.  3814 del 2011), ma anche alla corresponsione di voci di spesa accessorie correlate al pagamento di missioni ai soggetti incaricati di dirigere, sul territorio, uffici (in particolare numerosi ambiti provinciali sul territorio), ubicati in province diverse, non di rado assai distanti tra loro;
          peraltro, a conferma dell'attualità del tema dello scorrimento delle graduatorie, in data 15 gennaio 2012 l'XI Commissione della Camera (Lavoro pubblico e privato) ha approvato a larga maggioranza il testo unificato del disegno di legge (C. 4116 Damiano, C. 4366 Cazzola, C. 4455 Di Pietro) recante «Disposizioni per il superamento del blocco delle assunzioni nelle pubbliche amministrazioni e per la chiamata dei vincitori e degli idonei nei concorsi» testo esaminato con parere favorevole con condizioni in data 4 aprile 2012 dalla V Commissione (Bilancio). Il testo unificato prevede, tra l'altro, la proroga sino al 31 dicembre 2014 di tutte le graduatorie approvate a far data dal 30 settembre 2003 e il previo esaurimento delle stesse;
          il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 28 ottobre 2008 (che nelle more è stato impugnato dagli idonei del concorso innanzi al T.A.R. del Lazio con il ricorso n.  3031/2012), nell'autorizzare il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ad avviare nel triennio 2012-2013 la procedura di reclutamento per la copertura di n.  23 dirigenti di seconda fascia, a dimostrazione della sua antieconomicità (e della possibilità di farvi fronte mediante l'immediato scorrimento della graduatoria vigente) nella parte motiva dà atto, «visto il regime assunzionale vigente»;
          si rileva la conformità delle richieste di autorizzazione alla circolare n.  11786 del 22 febbraio 2011 con la quale vengono fissate, ad opera del dipartimento funzione pubblica, istruzioni in tema di programmazione del fabbisogno di personale per il triennio 2011-2013, al fine assumere per l'anno 2011 e bandire per il triennio 2011-2013  –:
          quali iniziative intenda portare avanti – peraltro all'interno della dichiarata operazione di «spending review» – per evitare che il Ministero prosegua nel dare corso ad una nuova, lunga e costosa procedura concorsuale finalizzata all'assunzione di 23 dirigenti amministrativi, in presenza di una già vigente graduatoria di idonei alla dirigenza amministrativa nella quale risultano utilmente inseriti 15 candidati, dei quali 9 già in servizio presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in qualità di funzionari;
          se intenda dar corso a quanto stabilito dall'adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la recente sentenza n.  14 del 28 luglio 2011 che ha ritenuto, tra l'altro, che lo scorrimento della graduatoria «rappresenta ormai la regola generale, mentre l'indizione di un nuovo concorso costituisce l'eccezione e richiede un'apposita e approfondita motivazione, che dia conto del sacrificio imposto ai concorrenti idonei e delle permanenti esigenze di interesse pubblico». (4-16054)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


      BITONCI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'azienda Safilo, nata negli anni trenta nel Cadore (Belluno) e diventata in pochissime decine d'anni il secondo produttore mondiale di occhiali per giro d'affari, oltre una delle prime aziende al mondo di occhiali sportivi grazie ad un importante portafoglio di prestigiose brand mondiali, tra le quali Armani, Carrera, Gucci e Bottega Veneta, è da moltissimi anni una delle principali e più note imprese nel settore della produzione di lenti e montature per occhiali, con migliaia di clienti in tutto il mondo e oltre trenta filiali di proprietà nei principali Paesi;
          nei giorni scorsi, organi di stampa locale padovani (Gazzettino e Mattino di Padova) riportavano la notizia secondo cui l'azienda Safilo, che conta complessivamente circa 3.500 lavoratori e che detiene tre diversi stabilimenti produttivi in Santa Maria di Sala, (Venezia), Longarone (Belluno) e Martignacco (Udine), oltre che lo stabilimento centrale di Padova, dove si trovano circa 900 unità, impiegate per lo più nel settore amministrativo, commerciale e della logistica, ha annunciato, a seguito di un incontro con i principali rappresentanti sindacali per discutere del nuovo piano industriale, l'esubero totale, tra i diversi stabilimenti, di mille unità a seguito del mancato rinnovo di una importante commessa che sul fatturato aziendale peserebbe per circa il 20 per cento;
          la notizia, dopo che il gruppo industriale aveva dichiarato un risultato aziendale del primo trimestre del 2012 che evidenziava una contrazione del fatturato a causa della drastica diminuzione della domanda, giunge a poco più di un anno da una altra riduzione di organico, ovvero quella operata tra il 2010 ed il 2011, allorché l'azienda decise di interrompere il rapporto di lavoro con oltre 500 persone, impiegate per lo più nello stabilimento di Martignacco (Udine);
          se la decisione aziendale dovesse rimanere tale, in considerazione della elevata dimensione della questione occupazionale prevista, si avrebbe per l'intero territorio del triveneto, ma soprattutto del padovano, una crisi senza precedenti e dalle conseguenze, sia sul lato economico che su quello sociale, assolutamente incalcolabili, proprio in ragione della strategica importanza e del notevole peso economico per il territorio dell'azienda Safilo  –:
          se non ritenga opportuno assumere urgenti iniziative, in virtù della gravità del rischio che l'intero territorio sta correndo, per salvaguardare i livelli occupazionali dei dipendenti interessati dalla situazione sopraesposta e delle famiglie del territorio interessato, convocando d'urgenza un tavolo d'incontro tra la proprietà dell'azienda e le rappresentanze sindacali e politiche coinvolte dalla vertenza.
(3-02270)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      DI BIAGIO e GRANATA. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il rapporto Legambiente 2010 ha valutato che in Italia ogni giorno si «consuma» suolo per l'equivalente di circa 150 campi di calcio;
          il consumo di suolo ha determinato una diffusione delle città su suoli rurali, determinando un modello insediativo diffuso, disperso, governato solo dalla presenza di edifici su aree libere dove la natura è marginalizzata a mo’ di ornamento;
          il consumo di suolo, secondo gli esperti, è l'esito di una generazione di ricchezza che è a rischio di bolla speculativa, sia perché frena la ristrutturazione edilizia esistente, sia per i profili della sicurezza che della efficienza energetica;
          il suolo è un bene irriproducibile, essenziale che va tutelato per la sua interconnessione con i processi ecologici, che se spezzati determinano, come in effetti hanno determinato, sconnessioni nelle biodiversità, dell'ambiente e del patrimonio essenziale di carbonio che ci permette di mantenere inalterato il nostro habitat;
          per questo motivo, sottolineano gli esperti del settore, contenere i consumi di suolo è una partita strategica per correggere i guasti ambientali, economici e sociali;
          nel nostro Paese non è ancora prevista una norma di principio a carattere generale, declinabile poi dagli enti locali, in grado di contenere l'autonomia degli enti locali e di porre dei limiti ai piani urbanistici, né di tutelare il suolo come bene comune irriproducibile e quindi come bene pubblico, che sovrasta il bene privato;
          in Europa invece si evidenziano, alcuni spunti di intervento: per esempio, la Germania si è data l'obiettivo di ridurre il consumo del suolo del 75 per cento entro il 2020 rispetto agli attuali consumi di suolo, introducendo ad una sorta di compensazione ecologica preventiva, che prevede la costituzione di demani pubblici a destinazione ecologica doppia rispetto a quella dei suoli trasformati, mentre nel Regno Unito si è pensato ad una green belt, cioè ad una cintura verde che protegge ettari di terreno e che permette l'edificazione solo in aree già urbanizzate e dimesse;
          alla luce dei sempre più pressanti segnali di denuncia che vengono da esperti urbanisti ed economisti, la questione urbana e di consumo del suolo andrebbe affrontata con urgenza in quanto contribuisce al declino del nostro Paese  –:
          se i Ministri interrogati abbiano allo studio l'elaborazione di normative generali atte a contenere il fenomeno del consumo del suolo e a generare un'innovazione nel governo del territorio da parte degli enti locali. (5-06843)


      DI BIAGIO. —Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          negli ultimi 60 giorni è stato registrato un incremento del costo del grano sui mercati internazionali, che è arrivato a sfiorare il 50 per cento;
          stando ai dati di Coldiretti l'Italia, fortemente dipendente dalle risorse estere, importa circa 4 milioni di tonnellate di frumento tenero che coprono circa la metà del fabbisogno essenzialmente per la produzione di pane e biscotti mentre 2 milioni di tonnellate di grano duro arrivano in un anno in Italia per coprire oltre il 30 per cento del fabbisogno per la pasta;
          l'incremento del prezzo dei cereali stando alle analisi e ai dati a nostra disposizione risulta essere stato sollecitato dalla siccità e dagli incendi che hanno colpito la Russia – considerato il granaio d'Europa –, che hanno distrutto un quarto dei raccolti del Paese;
          a ciò si aggiunge la decisione dell'Ucraina – sesto esportatore mondiale di grano – di limitare le esportazioni di grano ed orzo che ha sollecitato l'incremento dei prezzi del grano e delle altre materie prime;
          in particolare in alcune regioni italiane, come la Campania, si stanno registrando allarmanti incrementi del prezzo della farina utilizzata nel settore della panificazione. Tra il mese di luglio ed il mese di agosto un quintale di farina è passato da 25 euro a 45/47 euro;
          a tali criticità si aggiunge la morsa della speculazione che sta caratterizzando le scelte operative di molti produttori e molini italiani, che adducendo le scuse della crisi internazionale legittimano incrementi esponenziali della suindicata materia prima;
          nel panorama della panificazione campana e meridionale in generale esistono molte criticità connesse alla vendita di prodotti annessi al settore, mantenuti ad un prezzo volutamente più basso rispetto alla media italiana;
          i panificatori campani regolari devono far fronte quotidianamente ad un mercato già saturo per via della presenza di centinaia di forni abusivi e del prezzo – da questi ultimi garantito – mantenuto pesantemente al di sotto della media nazionale;
          la «speculazione campana» che si unisce al fisiologico incremento del prezzo del grano, unita al perseverare dell'abusivismo nel settore della panificazione che altera il mercato e consente il graduale ridimensionamento del prezzo del pane, sta costringendo molti artigiani a mettere fine alle loro attività  –:
          quali iniziative si intendano intraprendere al fine di consentire un monitoraggio dei meccanismi attualmente innescati in maniera vistosa in alcune regioni italiane dai produttori che lavorano le materie prime e se – alla luce della rinnovata condizione di criticità che avviluppa il settore della panificazione campana – si ritenga di intraprendere adeguate ed ulteriori iniziative volte al controllo della legalità nel medesimo settore, onde evitare che questo diventi monopolio assoluto della criminalità organizzata.
(5-06844)

Interrogazione a risposta scritta:


      NASTRI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto pubblicato dal settimanale «Sette» inserto del quotidiano: «il Corriere della Sera» il 10 maggio 2012, il numero di incidenti e purtroppo di decessi, causati dagli ungulati che attraversano le strade che fuoriescono dai boschi e dalle campagne è aumentato in misura preoccupante;
          in particolare, nel Piemonte i danni da ungulati ammontano annualmente a oltre 3 milioni di euro e i risarcimenti, quando previsti, ritardano nei confronti della regione, di quasi due anni, con le prevedibili conseguenze delle difficoltà nel reperire i fondi necessari per gli indennizzi;
          l'attività di contrasto da parte del Corpo forestale dello Stato, secondo quanto riporta il medesimo articolo, appare in difficoltà, in considerazione dell'elevato numero di cinghiali, caprioli, cervi, daini e mufloni, ma anche corvidi e storni che si sono progressivamente moltiplicati, minacciando la sicurezza stradale e contribuendo inoltre all'instabilità dei terreni che provocano smottamenti e frane  –:
          quali siano gli orientamenti del Ministro con riferimento a quanto esposto in premessa e, conseguentemente, quali iniziative di competenza intenda intraprendere con riferimento a quanto sopra esposto. (4-16032)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          una nota di agenzia Ansa ha diffuso la notizia «uranio: Quirra; pm lanusei chiede 20 rinvii a giudizio fra indagati sindaco, generali ed ex comandanti poligono sardo (ansa) – Nuoro, 5 maggio – Sono 20 i rinvii a giudizio chiesti dal procuratore della Repubblica di Lanusei, Domenico Fiordalisi, al termine delle indagini per disastro ambientale nell'area del Poligono sperimentale interforze del Salto di Quirra in Sardegna. Fra i nomi eccellenti vi sono i generali e gli ex comandanti che si sono avvicendati negli anni sia a Perdasdefogu sia nel distaccamento a mare di San Lorenzo (Villaputzu): i generali Fabio Molteni, Alessio Cecchetti, Roberto Quattrociocchi, Carlo Landi e Valter Mauloni, i colonnelli Gianfranco Fois e Francesco Ragazzon, il tenente Walter Carta, i professori, ricercatori e tecnici universitari Francesco Riccobono, Giuseppe Prolano, Fabio Baroni, Luigi Antonello di Leila. E ancora il sindaco di Perdasdefogu, Walter Mura, il generale Giuseppe di Donato, il maggiore Vincenzo Mauro e il dottor Vittorio Sabbattini, oltre a due tecnici della società Sgs, organismo che si occupa di ispezioni, verifiche e analisi, Gilberto Nobile e Gabriella Fasciani. Le accuse vanno da omissioni dolose, favoreggiamento, falso ideologico in atto pubblico e addirittura ostacolo aggravato alla difesa del disastro ambientale nel Poligono interforze di Quirra, Sardegna sud orientale. Secondo il magistrato le morti sospette per tumori e leucemie fra i civili sono da ricondurre all'inquinamento prodotto dagli esperimenti di armi e munizioni, nonché allo “smaltimento illecito di rifiuti”, ossia “brillamenti o interramenti di materiale bellico (bombe e munizioni), senza nessuna cautela per l'ambiente”. Dopo la decisione del Pm Fiordalisi, che martedì prossimo riferirà alla Commissione del Senato che si occupa di uranio impoverito, è intervenuta la società Sgs che ritiene nulla la richiesta di rinvio a giudizio per i suoi tecnici. “In questo procedimento i chimici della Sgs non dovrebbero esserci – ha spiegato la società – perché oltre a non essere in alcun modo colpevoli dei fatti addebitati, non sono nemmeno pubblici ufficiali, come assume invece l'accusa”. Per la Sgs, quindi, “la richiesta di rinvio a giudizio, che peraltro non è ancora stata notificata, conferma un atteggiamento prevenuto da parte del procuratore Fiordalisi nei confronti della società ed è inoltre gravemente lesiva dei diritti della difesa in quanto, a norma del codice di procedura penale, dalla messa a disposizione degli atti d'indagine devono trascorrere 20 giorni per consentire agli indagati di esercitare il proprio diritto alla difesa. Al contrario l'ultimo atto è stato notificato ai chimici Sgs soltanto nove giorni fa, il 26 aprile. Questa richiesta di rinvio a giudizio è nulla e gli indagati chiederanno l'annullamento”.»;
          i fattori di rischio di contaminazione da sostanze nocive o comunque inquinanti e i danni prodotti dalle attività militari e industriali, che nel corso dei decenni passati si sono svolte nei poligoni interessati dalle indagini svolte dalla procura della Repubblica di Lanusei, sono sempre stati denunciati dalle associazioni e dai comitati di cittadini residenti nelle zone interessate e troverebbero conferma nei risultati delle indagini e quindi nelle motivazioni poste a base della richiesta di rinvio a giudizio di cui alla notizia riportata dall'Ansa;
          il Governo ha più volte affermato che l'interesse principale è sempre stato quello di tutelare la salute dei militari in servizio presso i poligoni e anche la tutela della salute dei cittadini residenti nelle aree interessate dalle attività militari e industriali e che è sempre stata posta la massima attenzione nello svolgimento di dette attività nel pieno rispetto delle normative vigenti al fine di salvaguardare il territorio da ogni possibile fattore di rischio  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti e circostanze rappresentati in premessa e quali siano state le azioni che abbiano interessato il Ministro della salute e quali siano i risultati ottenuti e quali iniziative di competenza intenderà adottare al fine di garantire una effettiva tutela della salute dei cittadini residenti nelle aree interessate dalle attività dei poligoni. (5-06851)

Interrogazione a risposta scritta:


      ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          una valutazione di pubblicazioni scientifiche recenti commissionata dall'Agenzia europea per l'ambiente (European environment agency-Eea) afferma che agenti chimici che possono interferire con il sistema ormonale – noti anche come alteratori endocrini o Edc (Endocrine disrupting chemicals) – «potrebbero essere i responsabili di un significativo aumento di casi di tumore, diabete, obesità, calo di fertilità e di un numero crescente di problemi nello sviluppo neurologico sia negli uomini che negli animali»;
          l'Eea in una nota segnala che composti chimici che potenzialmente possono alterare il sistema endocrino si trovano nel cibo, nei farmaci, nei pesticidi, nei prodotti per la casa e nei cosmetici e che negli ultimi decenni c’è stata una significativa crescita in molte malattie e disturbi, tra i quali il cancro al seno e alla prostata, l'infertilità maschile e il diabete;
          l'agenzia segnala inoltre che molti scienziati ritengono che questo aumento sia connesso ai crescenti livelli di esposizione a miscele di alcune sostanze chimiche di vasto uso  –:
          se e quali azioni precauzionali si intendano adottare nei confronti di queste sostanze chimiche fino a che il loro effetto non sia stato definitivamente e completamente compreso. (4-16045)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta orale:


      BONCIANI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          da alcuni mesi le imprese di commercio di «manufatti o giochi pirotecnici da divertimento» di produzione nazionale o di importazione, si trovano in una condizione sfavorevole, derivante dall'applicazione in senso restrittivo nel nostro ordinamento della direttiva 2007/23/CE del Parlamento europeo;
          sono oltre 15.000 gli addetti del settore, ai quali vanno aggiunti, per quanto riguarda l'indotto, i negozianti e gli addetti alle vendite della grande distribuzione organizzata (GdO);
          secondo la citata direttiva all'articolo 6, comma 1 «gli Stati membri non vietano, limitano o ostacolano l'immissione sul mercato di articoli pirotecnici che soddisfano i requisiti della presente Direttiva» e, al comma 2, «non ostano provvedimenti da parte di uno Stato membro a vietare o limitare il possesso, l'uso e/o la vendita al pubblico di fuochi d'artificio di categoria 2, 3»;
          per quanto inoltre attiene alla commercializzazione dei prodotti di categoria 1, in molti Paesi comunitari la vendita è consentita anche ad acquirenti non inferiori ad anni 12, a dimostrazione della scarsa pericolosità dei prodotti in questione;
          le norme in vigore in altri Paesi dell'Unione europea derivanti dalla citata direttiva, creano, di fatto una «concorrenza» che penalizza le aziende italiane – sottoposte, con il decreto ministeriale 9 agosto 2011, ad una legislazione nazionale sostanzialmente restrittiva – segnatamente ai prodotti di categoria 1 e ad una parte di quelli di categoria 2;
          la categoria 1, in capo alla quale non si trovano limitazioni da parte di altri Stati membri, è inoltre normata nel nostro ordinamento dal decreto ministeriale 19 settembre 2002, n.  272, ove si individua, in particolare, il limite di 25 chilogrammi netti per la detenzione e la vendita di tali articoli;
          a parere dell'interrogante, risulta pertanto discutibile il fatto che il medesimo limite di 25 chilogrammi di materiale esplodente di categoria 1 sia posto per le persone fisiche, per i negozianti o per gli ipermercati, così che – secondo tale impostazione – in un palazzo con 20 famiglie è consentito stoccare 500 chilogrammi, mentre, in un ipermercato dotato di apposita prevenzione incendi e di personale qualificato, non possono esservene stoccati più di 25 chilogrammi;
          l'eventuale pericolosità dei «giochi pirotecnici» risiede soprattutto nella fase di trasporto degli stessi, laddove una minore quantità di singole consegne per un massimale di 25 chilogrammi – limite che peraltro non figura nelle norme di trasporto ONU-Accord Dangerouse Rotite (ADR) – ai negozianti e alla grande distribuzione organizzata, significa un maggiore numero di trasporti ed una derivante maggiore pericolosità in termini statistici;
          il codice internazionale ADR che regola le norme di trasporto su strada delle «merci pericolose» al paragrafo 1.1.3.6. prevede il limite di trasporto in esenzione fino a 333 chilogrammi per la classe 1.4g e di quantità illimitata per la classe 1.4s;
          nell'allegato I del decreto del Presidente della Repubblica 1o agosto 2011, n.  151, si individua l'attività n.  18, categoria B, come: «esercizi di vendita di artifici pirotecnici declassificati in libera vendita con quantitativi complessivi in vendita e/o deposito superiori a 500 chilogrammi, comprensivi degli imballaggi». Laddove 500 chilogrammi di massa lorda – applicando il coefficiente convenzionale di calcolo 0,3 come indicato nella circolare del Ministero dell'interno n.  559 del 20 dicembre 1999 articolo 1 – equivalgono mediamente a 150 chilogrammi di massa netta;
          l'articolo 6 punto 2 della Direttiva 2007.23/CE prevede la possibilità di adottare limiti/divieti per le categorie 2 e 3, salvo garantire la libera circolazione per la categoria 1;
          la comparazione della categoria 1CE alla categoria VD, per quanto formulato all'articolo 15 del decreto ministeriale n.  272, rappresenta un ostacolo alla piena attuazione della direttiva in riferimento alla libera circolazione della categoria 1;
          in assenza di detto requisito si può ipotizzare una riduzione del 50 per cento, o superiore, dei quantitativi proposti per la vendita, così come previsto, per esempio in altri Paesi europei quali la Germania;
          se non si riconosce a pieno la direttiva europea, in particolare al riferimento della Cat 1 e parte della Cat 2, si penalizza il mercato legale in favore del «Mercato illegale» con tutte le conseguenze che ne derivano  –:
          se non ritenga opportuno assumere iniziative per consentire:
              a) la vendita – negli esercizi privi di licenza PS, ma dotati di certificato prevenzioni incendi – di artifici da divertimento, appartenenti alla divisione di rischio 1.4 della categoria 1CE e della categoria 2CE (ad esclusione degli artifici del tipo «razzo» e del tipo «petardo») nella misura di chilogrammi 300 netti;
              b) l'immagazzinamento di artifici da divertimento, appartenenti alla divisione di rischio 1.4 della categoria 1CE nella quantità determinata dai normali rapporti di cubatura ed i quantitativi delle merci ordinariamente detenibili e agli artifici da divertimento della categoria 2CE (ad esclusione degli artifici del tipo «razzo» e del tipo «petardo») nella misura di chilogrammi 5.000 netti, nei siti già adibiti a deposito di prodotti riconosciuti e non classificati tra i prodotti esplodenti, sempre nel rispetto degli adempimenti previsti all'articolo 4 lettera r), del decreto ministeriale 9 agosto 2011;

          se non ritenga altresì opportuno verificare l'opportunità di un'eventuale modifica del decreto ministeriale 9 agosto 2011 per la categoria 1 e parte della categoria 2 al fine di non penalizzare le aziende interessate al commercio di tali prodotti evitando, dato il momento di crisi economica, una diminuzione occupazionale e dei conseguenti minor introiti per l'erario. (3-02265)


      VELO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il gruppo siderurgico di Piombino, che, oltre alla Lucchini comprende anche la Magona e la Dalmine, è una realtà economica strategica per il Paese; in particolare, lo stabilimento Lucchini-Severstal dopo Taranto, è l'unico stabilimento siderurgico in Italia a ciclo integrale che produce prodotti lunghi a partire dalle materie prime sino al prodotto finito;
          le produzioni del gruppo siderurgico di Piombino sono importanti: tra queste le rotaie, strategiche in un Paese come l'Italia che investe sui treni ad alta velocità; gli occupati – negli stabilimenti e nell'indotto – sono oltre 3.000; il polo siderurgico e il suo indotto rappresentano pertanto una componente essenziale del tessuto economico della regione;
          il gruppo sta vivendo una grave crisi finanziaria a causa di un forte indebitamento nei confronti di un pool di banche; a seguito di una lunga trattativa, nel mese di luglio 2011 le banche hanno dato l'assenso a un piano di ristrutturazione del debito da 770 milioni di euro, per garantire nuova liquidità al Gruppo Lucchini e favorire la ricerca di acquirenti;
          la situazione del gruppo al momento desta molta preoccupazione, in particolare quella della Magona, uno stabilimento che nel 2008 aveva 760 dipendenti ora ridotti di 200 unità per le uscite attraverso pensionamenti e mobilità incentivata; l'azienda si trova tuttora in una condizione di grande incertezza, con calo dei volumi produttivi e il conseguente ricorso agli ammortizzatori sociali e ai contratti di solidarietà;
          una delegazione della Jspl (Jindal steel & power limited), uno dei principali produttori di acciaio in India, ha visitato di recente lo stabilimento di Piombino e potrebbe configurarsi in breve tempo una manifestazione di interesse per una possibile acquisizione;
          dopo l'avvenuta omologa del tribunale di Milano del piano di ristrutturazione della Lucchini il 29 febbraio 2012, i sindacati Fiom-Cgil, Fim-Cisl, e Uilm-Uil in una lettera inviata di recente al Ministro interrogato, alla direzione del gruppo Lucchini, all’advisor delle banche Rothschild, e ad Intesa Sanpaolo, che ha in pegno le azioni, sollecitano un incontro urgente per capire le motivazioni che ritardano l'insediamento di un nuovo Consiglio di amministrazione, in mancanza del quale non può essere avviata alcuna trattativa con potenziali acquirenti  –:
          quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere affinché si prevenga in tempi brevi alla nomina del nuovo consiglio di amministrazione da parte delle banche come richiesto dai sindacati.
(3-02267)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      DI BIAGIO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. — Per sapere – premesso che:
          il Governo ha inteso inserire tra le scelte energetiche strategiche per il nostro Paese l'uso dell'energia nucleare, che dovrebbe portare diversi vantaggi all'economia nazionale, quali l'incentivazione ai grandi investimenti industriali, la riduzione dei costi delle bollette per i cittadini e, non da ultimo, l'alleggerimento del fisco;
          le previsioni di investimento per il 2030, che segna la data di entrata in funzione degli impianti di produzione di energia elettrica da fonte nucleare, sono stati elencati in un documento di ricerca realizzato da The European House – Ambrosetti, da Enel ed Edf, e pubblicata da autorevoli quotidiani economici;
          in sintesi, i potenziali vantaggi, riportati nel rapporto di ricerca, si sostanzierebbero entro il 2030 nel: 25-30 per cento del taglio dei prezzi dell'elettricità, 20 per cento del taglio alle emissioni di anidride carbonica, in almeno 10 mila nuovi posti di lavoro, risparmio per il fisco da 4,5 a 11 miliardi di euro annui, diversificazioni delle fonti energetiche, visto che attualmente il Paese dipende dall'importazione di fonti energetiche fossili per l'86 per cento dall'estero;
          il piano nazionale per il nucleare, così come disposto con la legge sviluppo e il successivo decreto legislativo n.  31 del 2010 di attuazione della delega al Governo in materia, prevede varie fasi di attuazione, che hanno visto al momento siglare accordi industriali con un grande colosso francese e poi statunitense, nonché l'istituzione dell'Agenzia per la sicurezza nucluare, ancora senza presidente, e la futura realizzazione delle centrali nucleari sul territorio italiano, l'avvio della cui costruzione è previsto entro il 2013;
          affinché, però, questo quadro di vantaggi connessi al ritorno al nucleare per usi civili possa essere credibile, non si possono non analizzare e risolvere gli aspetti critici di questo particolare investimento;
          da dirimere, in primo luogo, è la questione della condivisione e della conoscenza per i cittadini di questo particolare investimento industriale, oltre che dei costi per la realizzazione degli impianti nucleari e dello smaltimento delle scorie, e non da ultimo del coinvolgimento degli enti locali nella scelta dei siti su cui realizzare gli impianti;
          rispetto alla questione della localizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica da fonte nucleare, si rileva che, nonostante ai sensi della legge n.  99 del 2009, spetti al Governo in via esclusiva la potestà in materia, le regioni hanno eccepito la sussistenza di una loro potestà legislativa concorrente, tant’è che ritengono che la mera previsione, nella legge, della facoltà della Conferenza unificata di esprimere un parere, non garantisca un adeguato coinvolgimento delle regioni nella predisposizione del decreto di attuazione;
          purtroppo, ad onor del vero, i rilievi delle regioni sono stati ritenuti infondati dalla Corte costituzionale, che, con sentenza del 22 luglio 2010, n.  278, si è pronunciata favorevolmente sulla legittimità costituzionale della legge sviluppo, mentre la dottrina prevalente ha comunque dichiarato che sarebbe utile non sottovalutare la questione evidenziata per il pieno rispetto del principio costituzionale della leale collaborazione;
          pertanto, alla luce di queste evidenze, sarebbe auspicabile che tutta questa operazione fosse gestita con proporzionalità e ragionevolezza, tanto da coinvolgere le regioni nel processo decisionale e i cittadini ai fini della metabolizzazione di un processo industriale epocale  –:
          se i Ministri interrogati abbiano previsto la possibilità di predisporre un accordo preventivo o un'intesa da stipulare con le regioni coinvolte nell'allocazione delle centrali nucleari, per stabilire un adeguato e doveroso coinvolgimento degli enti locali, e se abbiano previsto adeguati livelli di comunicazione e di conoscenza per i cittadini sulle modalità di realizzazione degli impianti e dei protocolli di sicurezza delle centrali nucleari. (5-06840)


      CAVALLARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          l'azienda Poste Italiane s.p.a., nell'ambito del piano complessivo di organizzazione e razionalizzazione di servizi offerti territorialmente per il 2012, che vede coinvolte le Marche, insieme ad altre regioni, avrebbe deciso di sospendere l'operatività di alcuni uffici postali di Macerata e provincia;
          l'annunciata chiusura ha sollevato accese proteste da parte dei cittadini e delle autorità locali, preoccupate per i disagi alla popolazione che tali scelte aziendali inevitabilmente comportano, sia per quanto concerne la drastica riduzione dell'offerta dei servizi sul territorio sia per la non meno grave ricaduta sui livelli occupazionali;
          nei fatti tale progetto aziendale di «razionalizzazione» si traduce in un impoverimento dei servizi a danno dei cittadini-utenti, soprattutto anziani privi di mezzi di trasporto, ma comporta anche un grave danno di immagine per il territorio marchigiano, capace di attirare interessi e visitatori non solo per le sue risorse e bellezze, ma anche per la particolare attenzione che, da sempre, le autorità locali hanno riservato allo sviluppo di infrastrutture e servizi adeguati a tali domande;
          così stanti le cose, i cittadini potranno accedere ai servizi solo dopo code interminabili e solo dopo aver compiuto un lungo tragitto in macchina o su un mezzo pubblico, con l'aggravio, che i costi di gestione, per usufruire dei servizi postali, saranno completamente scaricati sugli enti locali e sulla popolazione;
          a fronte di tale situazione le amministrazioni locali destinatarie del provvedimento, insieme ai sindacati di categoria e ai cittadini, si sono mobilitate fin da subito, esternando le loro preoccupazioni ed il loro disappunto per le incomprensibili logiche aziendali applicate ad un servizio pubblico, da parte di un'azienda che lo scorso anno ha chiuso in attivo il proprio bilancio con oltre 800 milioni di euro e che dunque non ha problemi di indebitamento  –:
          se, tenendo conto dei fatti sopra menzionati e al fine di porre urgente rimedio alla lamentata situazione, il Ministro interrogato non ritenga opportuno intervenire presso Poste italiane s.p.a., nel tentativo di ricercare una soluzione che possa scongiurare la chiusura degli uffici in questione ed evitare un danno forte agli utenti coinvolti in quelle che appaiono all'interrogante incomprensibili scelte aziendali. (5-06846)


      GIULIETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          in Italia vige un irrisolto conflitto di interessi che ha più volte richiamato l'attenzione delle autorità internazionali e della Commissione europea;
          grazie a questa assai poco invidiabile anomalia, l'Italia si è conquistata gli ultimi posti nelle graduatorie internazionali in materia di libertà dei mercati nel settore dell'informazione;
          da oltre un anno, l'Unione europea attende una risposta di merito alla lettera inviata al precedente Governo e nella quale, tra le altre cose, si chiedeva di sapere perché in Italia il tetto pubblicitario per le tv commerciali in chiaro sia significativamente più alto di quello delle tv a pagamento;
          il Parlamento dovrà ora recepire integralmente la direttiva della Unione europea in materia di tutela dei minori, pubblicità e diritto all'informazione  –:
          quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per recepire integralmente le indicazioni dell'Unione europea e per risolvere l'anomalia del conflitto di interessi che rappresenta, ad avviso dell'interrogante, un devastante vulnus che condiziona e limita lo sviluppo dell'intero settore. (5-06848)

Interrogazioni a risposta scritta:


      DI PIETRO e PALAGIANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la legge 9 gennaio 1989, n.  13, ha introdotto per i portatori di menomazioni o limitazioni funzionali permanenti la possibilità di richiedere un contributo per le spese sostenute per opere volte all'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici;
          l'articolo 10 della suddetta legge, ha istituito presso il Ministero dei lavori pubblici (ora Ministero delle infrastrutture e dei trasporti) un Fondo per l'eliminazione e il superamento delle barriere architettoniche negli edifici privati. Le risorse di detto fondo, sono annualmente ripartite tra le regioni richiedenti in proporzione del fabbisogno indicato dalle regioni medesime, e da queste ripartite tra i comuni richiedenti;
          il 2001 è stato l'ultimo anno in cui si è provveduto a rifinanziare il fondo, sul capitolo di bilancio 9473 facente capo alla direzione generale per l'edilizia statale e gli interventi speciali del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
          sono quindi 11 anni che non vengono ripristinate le risorse per il fondo speciale per l'eliminazione ed il superamento delle barriere architettoniche negli edifici privati, facendo così venir meno un importante strumento a favore delle persone diversamente abili;
          gli eventuali contributi alle spese sostenute per rimuovere le barriere architettoniche, sono quindi a carico delle regioni e degli enti locali nell'ambito delle proprie risorse di bilancio. Questo crea un'evidente e inaccettabile disparità di trattamento e di prestazioni tra regioni con bilanci in equilibrio che possono quindi permettersi di stanziare risorse in questo ambito, e regioni che non sono in grado di sostenere dette spese;
          l'integrazione delle persone con disabilità nella vita quotidiana rientra nel più ampio principio di uguaglianza garantito dall'articolo 3 della Costituzione, e che sancisce tra l'altro l'obbligo di rimuovere gli ostacoli di ordine sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana  –:
          se non si intendano assumere iniziative per reperire le risorse volte al rifinanziamento del fondo previsto dalla legge n.  13 del 1989, per il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche. (4-16022)


      ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la società CEMIN s.r.l., (addetta alla produzione di cementi e calci) di Portovesme, in Sardegna, ha beneficiato dell'assegnazione di quote di CO2 per un valore di 3 milioni di euro dal 2007, anno d'avvio della sua attività;
          la suddetta società avrebbe usufruito del contributo nonostante dal 2008 e negli anni successivi del 2009 e del 2010 la produzione si sia sostanzialmente arrestata, fatta salva una decina di giorni l'anno, quelli a ridosso della scadenza del semestre di interruzione oltre il quale l'impianto non avrebbe potuto beneficiare delle agevolazioni statali  –:
          se si ravvisi in ciò il rischio che siano aggirate le normative in materia e i controlli del Comitato nazionale di gestione e attuazione della direttiva 2003/87/CE;
          se vi siano altri casi di soggetti, come centrali elettriche, che sono sostanzialmente fermi ma che guadagnano grazie alle quote CO2;
          se e come si intenda evitare che il sistema di assegnazione di quote di CO2 si traduca in indebiti aiuti di Stato. (4-16043)

Apposizione di firme ad una interpellanza.

      L'interpellanza Bernardini e altri n.  2-01471, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 maggio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Paglia, Ginoble, Mantini, Laratta, Realacci, Bocci, De Angelis, Bellotti, Bonciani, Calgaro, Giachetti, Melis, Boccuzzi, Verini, Fiano, Cenni, Rossa, Servodio, Fontanelli, Narducci, Froner, Delfino, Villecco Calipari.

Pubblicazione di un testo riformulato.

      Si pubblica il testo riformulato della mozione Dozzo n.  1-00989, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n.  615 del 2 aprile 2012.

      La Camera,
          premesso che:
              la complessa tematica del disarmo e della non proliferazione nucleare, contrariamente a quanto si ritiene comunemente, è ben chiara ai Paesi ed alle organizzazioni internazionali fin dai primi anni dell'era nucleare, tanto che una risoluzione per l'utilizzo del nucleare esclusivamente a scopi pacifici e per lo stop ad ulteriori acquisizioni di armamenti venne votata dall'Onu già nel gennaio del 1946;
              le armi nucleari, per la loro stessa natura, sono in grado di determinare distruzioni gravissime, ma non è possibile preventivarne la dismissione unilaterale senza considerare le conseguenze che una loro riduzione non bilanciata può provocare sugli equilibri internazionali;
              un vero disarmo nucleare è conseguentemente possibile solo in un contesto davvero mondiale, che veda una pari assunzione di impegno da parte di tutti i Paesi già dotati di armi atomiche o che aspirino ad acquisirne. Qualunque iniziativa asimmetrica vanificherebbe ogni effetto deterrente con la conseguenza perversa di rafforzare proprio la posizione di chi non accetta le regole condivise;
              dopo la corsa agli armamenti del periodo della Guerra fredda, si è da tempo avviata una stagione internazionale di dialogo positivo sul tema, a partire proprio dalle due principali potenze che hanno contributo fattivamente alla conclusione del Trattato di non proliferazione nucleare del 1968 e, oggi, stanno conducendo una revisione ciascuna delle proprie prospettive strategiche, firmando tra loro il nuovo Trattato sulla riduzione degli arsenali nucleari (New Strategie Arms Reduction-Treaty - New Start) l'8 aprile 2010 a Praga;
              anche l'Alleanza atlantica sta rivedendo la propria politica riguardo alle armi nucleari, con un processo di revisione iniziato nel 2010 a Lisbona, che si concluderà al vertice del prossimo maggio 2012 a Chicago;
              se Occidente e Federazione russa hanno assunto impegni forti e coerenti in direzione del disarmo, si rischia, invece, che altri Stati mantengano o sviluppino armi nucleari al di fuori del Trattato di non proliferazione nucleare e di qualunque dialogo internazionale. Si ricorda che non aderiscono al Trattato di non proliferazione nucleare Paesi, che potrebbero avere peso ed ambizioni crescenti nello scenario internazionale, in alcuni dei quali esistono possibilità di infiltrazioni di matrice terroristica, in altri governano regimi sui quali è dubbio il peso della sola moral suasion internazionale;
              un problema aggiuntivo è rappresentato dalla circostanza che le conoscenze tecnologiche richieste per produrre ordigni nucleari sono le stesse indispensabili alla produzione di energia elettronucleare; proprio per questo è importante il regime di penetranti controlli che l'Agenzia internazionale per l'energia atomica garantisce, in ottemperanza alle previsioni del Trattato di non proliferazione nucleare e dei rispettivi accordi bilaterali sulle salvaguardie tra l'Agenzia e i singoli Stati;
              appare conseguentemente necessario attribuire maggiori poteri di accesso e di intervento all'organismo deputato a verificare l'impiego di materiale nucleare a scopo militare, l'Agenzia internazionale per l'energia atomica, attribuendo un vero potere di ingresso e di ispezione anche non concordata con gli Stati interessati sulla base dell'universalizzazione del protocollo aggiuntivo quale nuovo standard internazionale per la sicurezza nucleare, seppure questa fattispecie abbia dimostrato difficoltà di attuazione, prefigurando, altresì, un'estensione dei suoi poteri anche ai Paesi non firmatari del Trattato di non proliferazione nucleare,

impegna il Governo:

          a farsi promotore di una strategia diretta al rafforzamento del regime globale di non proliferazione e di disarmo basato sul Trattato di non proliferazione nucleare che miri ad includere nello stesso il maggior numero di Paesi a livello mondiale, nel quadro di un'azione veramente globale, altrimenti non efficace;
          a sostenere in sede Onu la necessità di rafforzare ed espandere il numero di soggetti membri del Trattato di non proliferazione nucleare e di incrementare concretamente le possibilità di intervento dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica;
          ad indirizzare in ambito Nato la politica di disarmo in maniera concertata con gli altri membri e nel quadro negoziale con la Federazione russa sul controllo degli armamenti.
(1-00989)
(Nuova formulazione) «Dozzo, Stefani, Allasia, Gidoni, Chiappori, Molgora, Fugatti, Fedriga, Fogliato, Lussana, Montagnoli, Bitonci».

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
          interrogazione a risposta scritta Di Biagio n.  4-08418 dell'8 settembre 2010 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-06844;
          interrogazione a risposta scritta Di Biagio e Granata n.  4-08595 del 15 settembre 2010 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-06843;
          interrogazione a risposta scritta Di Biagio n.  4-09004 del 13 ottobre 2010 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-06842;
          interrogazione a risposta scritta Di Biagio n.  4-09112 del 20 ottobre 2010 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-06841;
          interrogazione a risposta scritta Di Biagio n.  4-09281 dell'8 novembre 2010 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-06840;
          interrogazione a risposta scritta Di Biagio n.  4-10143 del 21 dicembre 2010 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-06839;
          interrogazione a risposta in commissione Siragusa n.  5-06810 del 9 maggio 2012 in interrogazione a risposta scritta n.  4-16031;
          interrogazione a risposta in commissione Borghesi n.  5-06837 del 10 maggio 2012 in interrogazione a risposta scritta n.  4-16040.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


      ALESSANDRI, FOGLIATO, FAVA, GIANNI e ALLASIA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 9 ottobre 2011 in Provincia di Arezzo, nei comuni di Arezzo, Castiglion Fiorentino e Cortona si è svolto il 5° Campionato Italiano di Enduro Senior Under 23 al quale hanno partecipato oltre 300 enduristi provenienti da tutta Italia;
          la gara si è svolta su un percorso di oltre 50 chilometri che ha avuto inizio nel Comune di Castiglion Fiorentino ed ha attraversato le seguenti vie e località: Via Madonna del Rivaio, Via Apparita, Maestà di Mammi, Castiglion Maggio, Partini, Cava Della Foce, Provinciale della Foce, Salto del Lupo, Corneta, Renzana, F.sso Cerfone, Giogo, Largniano, Fonte Molina, Rocca Montanina, Cappelloni, Belvedere, Cà Valcella, Vinaglia, Foce di Ristonchia, Pergognano, Cappuccini, Fontesecca, Via Treno, per concludersi a Castiglion Fiorentino piazzale Garibaldi;
          stando alla cartografia ufficiale, l'intero itinerario attraversa aree sottoposte a vincolo idrogeologico e paesaggistico, una zona di protezione speciale e siti di interesse regionale proposti a siti di interesse comunitario;
          il percorso è stato individuato dal Moto Club «Fabrizio Meoni» di Castiglion Fiorentino e autorizzato dall'amministrazione provinciale di Arezzo con parere favorevole del Ministero per i Beni e le attività Culturali di Castiglion Fiorentino, Arezzo e Cortona;
          la legge regionale 27 giugno 1994, n.  48 della regione Toscana all'articolo 8 prescrive che:
              1. Le gare e manifestazioni di fuori strada, anche se a carattere occasionale, si svolgono normalmente nei percorsi e impianti fissi di cui agli articoli 6 e 7;
              2. In via eccezionale la provincia può autorizzare lo svolgimento di manifestazioni e gare ogni anno, ciascuna di durata non superiore ai tre giorni, sui percorsi diversi da quelli indicati negli articoli 6 e 7, escluse comunque le aree di cui all'articolo 2. Quest'ultimo al comma 1 dispone che:
                  1. È fatto divieto a chiunque, salve le deroghe di cui all'articolo 3, di circolare con mezzi motorizzati al di fuori delle strade di cui all'articolo 1, di costruire impianti fissi per sport da esercitarsi con mezzi motorizzati idonei alla circolazione fuori strada e di allestire a qualsiasi titolo tracciati o percorsi per gare da disputare con i mezzi predetti, nelle seguenti aree:
                      a) zone soggette a vincolo paesaggistico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n.  1497, ivi comprese le categorie di beni indicati nell'articolo 1 della legge 8 agosto 1985, n.  431;
                      b) nei parchi e riserve naturali nazionali e regionali;
                      c) nelle ulteriori aree comprese nel sistema regionale delle aree protette, come individuate dal piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali approvato con deliberazione del consiglio regionale n.  296 del 19 luglio 1988 e successive modificazioni;
                      d) negli alvei di corsi d'acqua pubblici di cui al regio decreto 11 dicembre 1933, n.  1775, ad eccezione degli attraversamenti a guado colleganti strade esistenti;
                      e) nelle zone facenti parti del patrimonio agricolo-forestale della regione ai sensi della legge n.  64 del 1976;
                      f) nelle zone adibite o destinate a parchi territoriali urbani dagli strumenti urbanistici comunali;
                      g) nei territori di protezione della fauna selvatica di cui all'articolo 10, lettere a), b) e c) della legge 11 febbraio 1992, n.  157;
                      h) nelle zone soggette a vincolo idrogeologico ai sensi del regio decreto 30 dicembre 1923, n.  3267, limitatamente alla costruzione di impianti fissi e all'allestimento di tracciati o percorsi per gare;
                  2. La circolazione fuori strada con mezzi motorizzati nelle aree di cui al comma 1 è altresì vietata nei sentieri a fondo naturale quali mulattiere, tratturi, di cui all'articolo 3, comma 1, punto 48 del nuovo codice della strada, nonché nelle piste da esbosco e cesse parafuoco;
                  3. Il comune può inoltre stabilire espressamente il divieto di circolazione fuori strada con mezzi motorizzati ovunque lo ritenga necessario per ragioni di polizia locale, urbana, rurale o per la tutela della stabilità del suolo, fermo ogni altro divieto di circolazione, disposto a norma della legislazione vigente dalle autorità competenti;

          l'articolo 3 della predetta legge regionale prevede delle deroghe solo nei seguenti casi e segnatamente:
              1. In deroga ai divieti di cui all'articolo 2, la circolazione fuori strada nelle aree ivi previste è consentita ai seguenti mezzi:
                  a) di soccorso, antincendio, di vigilanza ed in servizio d'istituto in dotazione agli organi ed amministrazioni statali, provinciali e comunali, nonché alle Comunità montane ed agli enti preposti a servizi di pubblica utilità;
                  b) delle forze armate, della polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri, della guardia di finanza e del Corpo forestale dello Stato;
                  c) utilizzati, occasionalmente, per attività di soccorso, antincendio o per il trasporto di invalidi;
                  d) adibiti all'effettivo esercizio continuativo di attività agricole e connesse, faunistiche, faunistico-venatorie, forestali e di trasporto merci. Nel caso di attività faunistiche, faunistico-venatorie, forestali e di trasporto merci è necessario il consenso scritto del titolare del fondo;
                  e) in uso di residenti, abitanti o dimoranti, anche in via temporanea, nonché proprietari, usufruttuari, locatari di abitazioni ivi compresi i familiari;
                  f) in uso di coloro che debbano accedere ai luoghi non altrimenti raggiungibili per comprovati motivi di lavoro;
              2. Il comune rilascia gratuitamente, per i casi di cui alle lettere e) ed f) del primo comma, apposito contrassegno di autorizzazione al transito;
              3. Il contrassegno di cui al secondo comma è rilasciato gratuitamente, per il transito all'interno di parchi e riserve naturali nazionali e regionali, dall'autorità preposta alla relativa gestione;
          il decreto ministeriale 17 ottobre 2007 del Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare «Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone speciali di conservazione (ZSC) e a Zone di protezione speciale (ZPS)», modificato dal decreto ministeriale 22 gennaio 2009 all'articolo 5 lettera k) il divieto di svolgimento di attività di circolazione motorizzata al di fuori delle strade, fatta eccezione per i mezzi agricoli e forestali, per i mezzi di soccorso, controllo e sorveglianza; per i mezzi aventi diritto, in qualità di proprietari, gestori e lavoratori e ai fini dell'accesso agli appostamenti fissi di caccia, definiti dall'articolo 5 della legge 157 del 1992, da parte delle persone autorizzate alla loro utilizzazione e gestione, esclusivamente durante la stagione venatoria (si veda anche la sentenza 5239 del 2009);
          la legge regionale 6 aprile 2000, n.  56 della regione Toscana prescrive all'articolo 15 comma 1-septies che:
              1. La Giunta regionale definisce i criteri per l'applicazione della valutazione incidenza negli interventi agro-forestali in armonia con la normativa di settore;
              2. Gli atti della pianificazione territoriale, urbanistica e di settore e le loro varianti, non direttamente connessi o necessari alla gestione dei siti, per i quali sia prevista, la valutazione integrata ai sensi della legge regionale n.  1 del 2005, qualora siano suscettibili di produrre effetti siti di importanza regionale di cui all'allegato D o su geotopi di importanza regionale di cui all'articolo 11, contengono apposito studio ai fini dell'effettuazione della valutazione di incidenza di cui all'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 357 del 1997;
          il Presidente della provincia di Arezzo, Roberto Vasai, in qualità di organo che ha concesso l'autorizzazione a percorrere le predette aree, in data 22 ottobre 2011 ha diffuso una nota nella quale afferma: «si tratta di manifestazioni che si sono svolte più volte negli ultimi anni, due volte all'anno, come Memorial “Fabrizio Meoni” e spesso valide come titoli italiani e europei e, quindi, sotto l'egida della Federazione nazionale motociclistica. L'autorizzazione della provincia è stata rilasciata con il parere favorevole del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali, di quello del Comune di Castiglion Fiorentino per l'area sottoposta a vincolo paesaggistico, del parere favorevole nulla-osta generale dei Comuni di Arezzo e Castiglion Fiorentino e del consenso dei proprietari dei terreni privati interessati al percorso. In più, sottolineo che il tracciato della prova speciale è di un privato che lo ha messo a disposizione della gara, e che si tratta di un terreno incolto. La legge regionale 48 del 1994 prevede esplicitamente l'autorizzazione per questo tipo di manifestazioni, per le quali gli organizzatori rilasciano una fideiussione a garanzia degli eventuali danni provocati all'ambiente o al territorio. Viene imposto un servizio antincendi e di assistenza sanitaria, e l'obbligo di ripristino e di rimozione di qualunque ostacolo o oggetto abbandonato dai concorrenti. È assolutamente falso che siano state attraversate aree di protezione speciale e di interesse comunitario, ed anche che le aree attraversate siano state compromesse in alcun modo dallo svolgimento della gara»;
          stando alle stesse affermazioni del presidente della Provincia di Arezzo, sembrerebbe che l'autorizzazione sia stata rilasciata seguendo la procedura di cui al comma 3 dell'articolo 8 della legge regionale Toscana n.  48 del 1994 che prescrive: 3. L'autorizzazione è concessa previo il consenso del titolare del fondo e il parere vincolante del Comune e previa l'assunzione degli obblighi di ripristino delle garanzie previste dall'articolo 7, quarto comma, da parte del richiedente;
          tale autorizzazione non tiene quindi conto di quanto disposto invece dal comma 2 dello stesso articolo 8, che prescrive un espressa esclusione delle seguenti aree:
              a) zone soggette a vincolo paesaggistico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n.  1497, ivi comprese le categorie di beni indicati nell'articolo 1 della legge 8 agosto 1985, n.  431;
              c) nelle ulteriori aree comprese nel sistema regionale delle aree protette, come individuate dal piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali approvato con deliberazione del consiglio regionale n.  296 del 19 luglio 1988 e successive modificazioni;
              d) negli alvei di corsi d'acqua pubblici di cui al regio decreto 11 dicembre 1933, n.  1775, ad eccezione degli attraversamenti a guado colleganti strade esistenti;
              e) nelle zone facenti parti del patrimonio agricolo-forestale della regione ai sensi della legge 64 del 1976;
              h) nelle zone soggette a vincolo idrogeologico ai sensi del regio decreto 30 dicembre 1923, n.  3267, limitatamente alla costruzione di impianti fissi e all'allestimento di tracciati o percorsi per gare. 2. La circolazione fuori strada con mezzi motorizzati nelle aree di cui al comma 1 è altresì vietata nei sentieri a fondo naturale quali mulattiere, tratturi, di cui all'articolo 3, comma 1, punto 48 del nuovo codice della strada, nonché nelle piste da esbosco e cesse parafuoco;
          non si comprende pertanto come sia stato possibile consentire a un campionato italiano di enduro di attraversare aree vincolate e protette in palese contrasto con quanto disposto dalla stessa legge regionale Toscana n.  48 del 1994 e dai decreti ministeriali sopra richiamati;
          la nota del presidente della provincia di Arezzo pare dimostri di non conoscere affatto come si è svolta la manifestazione da lui stesso autorizzata perché confonde il tracciato da mini enduro, che effettivamente si è svolto su un campo incolto di circa 1 ettaro concesso da un privato, con il percorso vero e proprio del campionato di enduro che ha invece attraversato 50 chilometri di boschi gran parte dei quali in area demaniale. Inoltre vi sono stati dei soggetti privati che, contrariamente a quanto affermato dal presidente della provincia, hanno sporto denuncia per danni e per non aver mai dato alcuna autorizzazione a transitare sui propri terreni;
          oltretutto durante questa prova competitiva, è stato accertato, da parte degli organi di controllo, casi di concorrenti sprovvisti della targa di immatricolazione che in caso di incidente, danni all'ambiente, a beni, avrebbe reso comunque impossibile l'identificazione del responsabile ed inoltre si sono registrati episodi di violenza e minaccia, resistenza, oltraggio verificatisi all'interno della manifestazione nei confronti di personale del Corpo forestale dello Stato che stava svolgendo un pubblico servizio di polizia stradale;
          una manifestazione sportiva dovrebbe essere uno dei luoghi in cui si imparano le regole, il rispetto per le Istituzioni e per l'ambiente, un contesto d'esempio e non dove si autorizzano de facto comportamenti che violano le leggi  –:
          alla luce di quanto detto l'autorizzazione rilasciata costituisce per gli interroganti un abuso che contrasta con la normativa sopracitata;
          secondo gli interroganti le gare competitive fuoristrada nei boschi contrastano con tutti quei progetti a tutela dell'ambiente, degli animali e delle specie protette che vengono annualmente finanziati per la conservazione del nostro patrimonio naturalistico;
          le emissioni inquinanti e rumorose dei motocicli, che durante le competizioni sportive, utilizzano scarichi non omologati per la circolazione stradale e carburanti particolari, sono un fattore inquinante per l'ambiente  –:
          se gare di enduro o manifestazioni sportive fuoristrada possono svolgersi all'interno di aree vincolate e protette;
          per quali motivi il Ministro per i beni e le attività culturali abbia rilasciato parere favorevole al percorso individuato dagli organizzatori del campionato italiano di Enduro;
          se il Corpo Forestale dello Stato, quale forza di polizia specializzata ad operare, ai sensi della legge n.  36 del 2004, in queste situazioni e contesti a tutela dell'ambiente e della pubblica sicurezza sia stato attivamente coinvolto;
          se per il campionato italiano di Enduro under 23 Senior fosse stato comunque fatto apposito studio ai fini dell'effettuazione della valutazione di incidenza trattandosi di un evento impattante sull'ambiente e se questo sia stato trasmesso al Ministero per i beni e le attività culturali;
          se il Corpo Forestale dello Stato, all'indomani di questa manifestazione, abbia svolto accertamenti in ordine allo stato del territorio post gara;
          se corrisponda al vero che durante il Campionato di Enduro si siano verificati numerosissimi casi di variazioni di percorso; (4-13735)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante chiede notizie in merito allo svolgimento, in data 9 ottobre 2011, del V campionato italiano di enduro senior under 23, nel territorio comunale di Castiglion Fiorentino (Arezzo) si rappresenta quanto segue.
      La competente soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici di Arezzo ha comunicato che nessuna comunicazione relativa alla gara in argomento è stata trasmessa alla medesima, né dalla provincia di Arezzo, né, tantomeno, dai comuni coinvolti.
      Nessuno studio di valutazione di impatto ambientale con la relativa rappresentazione del percorso interessato dalla manifestazione sportiva è stato trasmesso alla suddetta soprintendenza, che, conseguentemente, non ha acquisito agli atti nessun documento e non ha prodotto alcun atto autorizzatorio in ordine alla gara in questione.
      A quanto sopra esposto, si aggiungono gli elementi pervenuti dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali che comunica, anzitutto, che l'evento in questione è stato autorizzato con provvedimento del competente comandante della polizia provinciale n.  733 del 4 ottobre 2011.
      La predetta autorizzazione, rilasciata ai sensi dell'articolo 8, comma 2, della legge regionale della Toscana del 27 giugno 1994, n.  48, si riferiva solo ai tratti di percorso «fuoristrada», non coinvolgendo le strade di cui agli articoli 2 e 3 del Codice della strada, né quelle private.
      Il Corpo forestale dello Stato, intervenuto nel corso della manifestazione su disposizione del questore di Arezzo (che, con ordinanza del 4 ottobre 2011, affidava il servizio di controllo ad altre forze di polizia) ha concentrato la propria azione nei tratti boschivi interessati, corrispondenti a gran parte degli oltre 50 chilometri del tracciato di gara (percorso tre volte).
      Dai controlli eseguiti durante la gara (anche con il supporto di un elicottero NH 500 che ha portato a individuare e allontanare 20 cacciatori intenti nell'attività venatoria nei pressi del percorso di gara) è emerso non solo il divagare di numerosi concorrenti dal tracciato principale (in quanto il percorso, sommariamente segnalato, era privo di efficaci sistemi di canalizzazione e senza giudici di percorso), ma anche la circolazione di concorrenti (e di estranei alla gara) a bordo di mezzi sprovvisti di targa, in violazione del codice della strada.
      Le contestazioni sono state rimandate al termine della gara ed effettuate con difficoltà a causa della presenza di numerosi astanti che, dando luogo a tentativi di violenza, hanno reso necessario l'intervento dei carabinieri.
      Peraltro, dai sopralluoghi effettuati sul percorso di gara al termine della manifestazione, il Corpo forestale dello Stato, oltre a rilevare che il tracciato aveva interessato anche la zona di protezione speciale (ZPS) di Monte Dogana per un tratto di circa 5 chilometri (per la quale, peraltro, non risultava effettuata alcuna valutazione d'incidenza, così come previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n.  357 del 1997), nonché ambiti del patrimonio agricolo e forestale, ambienti naturali, rocce, impluvi e zone sottoposte a vincolo paesaggistico, ha altresì rinvenuto residui di moto abbandonati lungo il percorso.
      Ciò premesso, considerate le illegalità riscontrate nel corso dello svolgimento della manifestazione di cui trattasi, il competente comando provinciale del Corpo forestale dello Stato, su delega della procura della Repubblica di Arezzo, ha avviato indagini specifiche anche relativamente ai contenuti dell'autorizzazione rilasciata dal comandante della polizia provinciale di Arezzo.
Il Ministro per i beni e le attività culturali: Lorenzo Ornaghi.


      ANGELI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          è del 5 gennaio 2012 la comunicazione dell'agenzia consolare di Concepcion del Uruguay in cui si avverte che la signora Laura Canessa ha rinunciato al suo incarico di agente consolare onoraria;
          secondo la stessa comunicazione, i connazionali, fintanto che non avverrà la riapertura dell'agenzia, dovranno rivolgersi direttamente al consolato generale di Rosario;
          la questione è che l'agenzia di Concepcion del Uruguay non è l'unica ad essere vacante in territorio argentino;
          esistono sette consolati generali in Argentina: Bahia Bianca, Buenos Aires, Cordoba, La Plata, Mar del Plata, Mendoza e Rosario;
          di seguito, secondo i dati del Ministero degli affari esteri sono riportate le circoscrizioni che al momento si trovano non rappresentate:
              a) Consolato Generale d'Italia a Bahia Blanca:
                  S. C. de Bariloche (C.C.O.) – esiste una nomina provvisoria della signora Nerina Martiello Elflein;
              b) Consolato Generale d'Italia a Rosario:
                  1) Santa Fe: (AC) Agenzia Consolare Onoraria a Casilda;
                  2) Buenos Aires: (AC) Agenzia Consolare Onoraria a Pergamino;
                  3) Entre Rìos: (VC) Vice Consolato a Paraná, (AC) Agenzia Consolare a Concepcion del Uruguay;
                  4) Chaco: (VC) Vice Consolato a Resistencia;
          è lampante la gravità della situazione vissuta in particolare dal consolato generale d'Italia a Rosario che deve ricoprire un territorio troppo vasto, vista la grande quantità di agenzie per le quali non è stato nominato alcun corrispondente;
          com’è noto, in Argentina risiede una comunità italiana numerosissima e il Paese è vastissimo. Quello di cui c’è estremo bisogno è di una rete più capillare di agenzie o uffici che siano un vero e proprio punto di riferimento per la comunità;
          certamente è un provvedimento che potrebbe avere un costo e siamo tutti consapevoli del momento di forte crisi economica che il nostro Paese, come tanti, sta attraversando. Una crisi che stiamo affrontando con misure importanti e, naturalmente con tagli ai costi su molti fronti;
          la Convenzione delle Nazioni Unite sulle relazioni consolari (ratificata dall'Italia con legge 9 agosto 1967, n.  804) prevede nel capitolo III, relativo alle norme del «Regime applicabile agli uffici ed ai funzionari dei consolati onorari», il Console onorario non è remunerato. Assicurano, quindi, senza alcuna spesa, l'assolvimento delle stesse mansioni svolte da quelli di carriera, costituendo così organi altrettanto efficienti nell'espletare servizi di natura rappresentativa nonché amministrativa  –:
          se intenda urgentemente effettuare le nomine per coprire i posti vacanti e creare una rete più efficiente per l'intero territorio argentino che, si ricorda, accoglie una delle più numerose comunità italiane. (4-14705)

      Risposta. — In via preliminare occorre far presente che l'individuazione delle personalità idonee allo svolgimento di un incarico consolare onorario, e la conseguente proposta di candidatura da sottoporre al Ministero degli esteri, compete all'ufficio consolare di I categoria dal quale il posto onorario dipende, con il conforto del parere favorevole della superiore ambasciata.
      L'affidamento della selezione delle candidature agli uffici consolari di carriera è comprensibilmente motivata dalla necessità che tale scelta sia formulata avendo piena conoscenza delle peculiarità delle singole realtà locali. Tale esigenza acquisisce un valore ancor più pregnante in contesti, come quello argentino, caratterizzati dalla considerevole consistenza delle comunità di connazionali servite dai singoli uffici onorari.
      Il Ministero degli esteri non procede dunque «d'ufficio» alle nomine dei posti consolari onorari, ma agisce esclusivamente su proposta delle competenti sedi diplomatico-consolari, che sottopongono all'attenzione ministeriale i profili dei possibili titolari.
      Di seguito si forniscono le informazioni che l'ambasciata in Buenos Aires, appositamente interpellata, ha fatto pervenire relativamente ai vari casi evocati nell'interrogazione in esame:
          agenzia consolare onoraria in Concepción del Uruguay. A seguito della cessazione del titolare al 31 dicembre 2011, il consolato generale in Rosario è attualmente impegnato nella ricerca di un'adeguata candidatura;
          vice consolati onorari in Paraná e Resistencia. Il consolato generale in Rosario ha avviato il 16 febbraio scorso l’iter di nomina dei due titolari, facendo pervenire al Ministero degli esteri le rispettive candidature, per le quali si attende il prescritto parere favorevole dell'ambasciata in Buenos Aires, pervenuto il quale si provvederà all'espletamento delle attività procedurali di competenza ministeriale;
          agenzia consolare onoraria in Pergamino. Il consolato generale in Rosario sta attualmente vagliando i curricula di due possibili candidati, riservandosi di formalizzare un'eventuale proposta di nomina al termine di tali verifiche;
          agenzia consolare onoraria in Casilda. In considerazione della prossimità a Rosario della città sede dell'edificio onorario, il sovraordinato consolato generale ne ha proposto la soppressione, per l'avvio della cui procedura si attende il prescritto parere favorevole dell'Ambasciata in Buenos Aires;
          vice consolato onorario in San Carlos de Bariloche. L'ufficio onorario è in realtà operativo, essendone stata affidata la titolarità alla signora Griselda Ingrassia.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Staffan de Mistura.


      BARBATO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          in base a notizie riportate dal settimanale L'Espresso della settimana 14/19 novembre 2011 (pagina 98), a firma di Michele Sasso è attivo un traffico di esseri umani e organi al confine tra Egitto ed Israele di cittadini eritrei che scappano dal proprio Paese;
          la tratta ed il traffico di esseri umani è un abominio giuridico, umano, spirituale, condannato e messo al bando dall'800 cominciando dalla «Convenzione internazionale sulla schiavitù» di Ginevra per continuare nel 1948 con la «Dichiarazione Universale dei diritti umani dell'ONU»;
          all'articolo 4 di detta «Dichiarazione universale» è stabilito: «Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù: la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma» e che la Convenzione ONU per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e la dignità dell'essere umano con riguardo all'applicazione della biologia e della medicina del 1997, stabilisce nel capitolo VII il «Divieto di lucro e uso di una parte del corpo umano»  –:
          quali azioni intenda il Governo adottare (anche in sede europea) per evitare il protrarsi della tratta e il traffico di uomini tra l'Egitto e Israele;
          se ritenga il Ministro interrogato che gli accordi di amicizia tra l'Italia e la Libia abbiano peggiorato la situazione dei migranti con il carcere dei migranti eritrei in Libia;
          quali relazioni sussistano tra il nostro Paese e il Governo di Asmara;
          quali strumenti abbia adottato il nostro Paese per evitare la repressione interna e l'appoggio dell'Eritrea al terrorismo internazionale che ha portato alla risoluzione dell'Onu del 23 dicembre 2009 la quale prevede l'embargo per i membri del Governo di Asmara;
          se il Governo intenda disporre un'indagine conoscitiva atta a verificare la situazione rappresentata nel servizio giornalistico citato ed adottare i provvedimenti opportuni sul piano internazionale affinché sulla vicenda si possa fare luce invitando l'Alto commissariato per i rifugiati ad intervenire prontamente con l'istituzione di un ufficio al confine tra Egitto ed Israele. (4-14337)

      Risposta. — Il Governo italiano segue attentamente la questione dei profughi e rifugiati eritrei in Egitto, e si è ripetutamente attivato – anche al più alto livello – con le autorità egiziane, rappresentando l'attenzione e la sensibilità con cui le istituzioni e l'opinione pubblica guardano alla vicenda, esprimendo loro altresì il vivo auspicio che si possa arrivare entro tempi brevi ad una soluzione positiva.
      La nostra ambasciata al Cairo ha continuato a seguire la questione con la massima attenzione, mantenendo contatti con le autorità egiziane, con le organizzazioni internazionali e non governative più coinvolte nella vicenda e con la delegazione dell'Unione europea, ricordando il forte interesse italiano nei confronti della situazione degli eritrei e per chiedere aggiornamenti su eventuali sviluppi della loro sorte.
      Nei contatti intercorsi, le autorità egiziane hanno sempre evidenziato come il Governo e le forze di sicurezza siano impegnati nel contrasto dei traffici di esseri umani condotti dai beduini nel Sinai, ed in generale nella lotta ad ogni forma di sfruttamento e di abuso nei confronti degli esseri umani. Esse hanno inoltre confermato la presenza di eritrei in alto Egitto (Aswan e Luxor in particolare), affermando peraltro che essi hanno contatti con l'Alto commissariato per i diritti umani (UNHCR) e sono talvolta trasportati in Etiopia, su richiesta volontaria, per essere accolti nei due campi UNHCR. Tuttavia, come noto, il Sinai, anche per gli accordi di pace con Israele (divieto di introdurre armi pesanti e blindati nella zona di frontiera), rimane una zona difficile da monitorare. Essa è infatti particolarmente esposta ai colpi di mano delle tribù beduine più instabili e riottose, i cui traffici e le cui azioni illecite vengono contrastate, ormai da anni, dalle autorità del Cairo. La situazione di sicurezza della zona è peraltro andata peggiorando in questa delicata fase di transizione democratica, rendendo più arduo il compito delle autorità egiziane.
      In ambito comunitario, dopo aver sensibilizzato la commissione sull'importanza da noi attribuita alla vicenda, abbiamo segnalato la situazione alla delegazione dell'Unione europea al Cairo, che ha effettuato un passo presso il Ministero degli esteri egiziano al fine di ottenere informazioni ed avviare possibili iniziative, cui da parte italiana non si mancherebbe di concorrere.
      L'Italia ha intrapreso contatti anche con le principali organizzazioni internazionali competenti, ed in particolare con l'Alto commissariato per i diritti umani (UNHCR), l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) e le ONG più direttamente interessate. Da tali contatti è emerso che le autorità egiziane abbiano consentito loro di visitare i centri di Luxor ed Aswan.
      Il Governo italiano continuerà a svolgere un'azione di sensibilizzazione sulle autorità egiziane per agevolare il superamento di tale drammatica vicenda umanitaria e giungere alla liberazione dei prigionieri. Proseguirà inoltre in ambito comunitario un'azione di stimolo volta a sviluppare la collaborazione tra l'Unione europea e l'Egitto nel settore migratorio e, in tale ambito, a rafforzare le capacità di assistenza ai migranti e richiedenti asilo.
      Nei confronti dell'Eritrea, il Governo ha avviato da ormai due anni un difficile processo teso a mantenere un canale aperto di dialogo per sollecitare il regime al rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali e per evitare altresì che il completo isolamento diplomatico di Asmara, aggravato dalle sanzioni ONU in essere fin dal 2009, possa incoraggiarne un ruolo di destabilizzatore regionale.
      Riguardo ai diritti umani, il Governo è ben consapevole delle forti criticità presenti nel Paese che rappresentano una delle principali cause dell'esodo migratorio che origina dall'Eritrea. È una situazione monitorata con la massima attenzione, ove il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali rientra fra i temi principali del dialogo bilaterale con Asmara. In ambito comunitario, tale tematica ha formato oggetto, negli ultimi due anni, di tre sessioni del dialogo politico che le ambasciate europee intrattengono con quel Governo.
      In ambito regionale, il Ministero degli esteri ritiene che si renda necessario affiancare la politica sanzionatoria decisa in ambito ONU con uno sforzo diplomatico volto a coinvolgere costruttivamente il Paese nei principali consessi regionali, quali l'Unione africana e l'Autorità intergovernativa per lo sviluppo (IGAD).
      La soluzione del conflitto etiope-eritreo e la stabilizzazione della regione somala, ove l'Italia è impegnata in prima fila, rientrano nella strategia del Governo italiano per pacificare l'intera regione del Corno d'Africa, la cui instabilità ha favorito l'attuale involuzione del regime eritreo.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Staffan de Mistura.


      BORGHESI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          il 14 luglio 2009 il prefetto di Roma Pecoraro, su richiesta del Ministro, ha emanato il provvedimento di estinzione dell'Imaie per «impossibilità a raggiungere lo scopo sociale», basandolo sul fatto che l'Istituto non liquidava i beni degli artisti e che aveva depositato sui propri conti correnti bancari circa cento milioni di euro, che, pur non essendo stati liquidati ai singoli artisti aventi diritto in quanto non individuabili, non erano stati destinati, come previsto dalla legge, ai contributi previsti come sostegno professionale alla categoria, ai sensi dell'articolo 7 della legge n.  93 del 1992 istitutiva dello stesso Imaie;
          da quella data si è aperto un contenzioso legale che vedeva coinvolti, da una parte, gli artisti, che chiedevano la sospensione del provvedimento in quanto illegittimo, e, dall'altra, il Ministero per i beni e le attività culturali ed il prefetto che ne chiedevano la conferma;
          il tribunale amministrativo regionale del Lazio ripetutamente dava ragione agli artisti, ritenendo illegittimo il provvedimento e sospendendolo. Infine, il Consiglio di Stato, su richiesta del Ministero per i beni e le attività culturali, attraverso un collegio presieduto dal giudice Varrone, annullava tutte le sentenze del tribunale amministrativo regionale e confermava il provvedimento di estinzione. Immediatamente dopo la sentenza, il presidente del tribunale di Roma provvedeva a nominare tre commissari liquidatori, con il compenso di un milione di euro cadauno, guidati dall'avvocato Galloppi, già presidente del collegio dei revisori dell'Istituto indicato dal Ministro interrogato, ciò ad avviso dell'interrogante era un discutibile connubio tra controllori e controllati;
          i commissari (Galloppi, Nastasi, Ferrazza), pur consapevoli dell'impossibilità di individuare gli artisti ai quali si riferiscono le risorse finanziarie depositate sui conti correnti dell'istituto (risalgono a circa 30 anni fa), considerano tali risorse come debiti nei confronti di artisti aventi diritto. In questo modo procedono a dichiarare lo stato di insolvenza dell'Imaie e trasformare un istituto finanziariamente in attivo in un istituto fallito;
          a distanza di due anni non è dato sapere quale sia lo stato della gestione commissariale;
          in particolare non è noto se sia stato predisposto lo stato passivo con individuazione degli artisti creditori;
          non è noto se si sia proceduto a pagamenti ed a quanto essi ammontino, mentre molti soggetti certamente creditori non hanno ricevuto alcuna somma;
          non è noto quanto sia la somma attualmente a disposizione dei commissari;
          ogni tentativo di conoscere quanto sopra è risultato vano;
          ai sensi dell'articolo 7, comma 2, del decreto-legge n.  64 del 2010 al termine della procedura di liquidazione sono trasferiti, tra l'altro, al nuovo Imaie, posto sotto la vigilanza della Presidenza del Consiglio e dei ministeri per i beni e le attività culturali e del lavoro e delle politiche sociali, l'eventuale residuo attivo e i crediti maturati; anche alla luce di ciò, sarebbe opportuno acquisire maggiori dettagli sulla situazione economica e finanziaria dell'Imaie in liquidazione e sulla gestione commissariale  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra riportati;
          se anche al fine di rassicurare gli artisti interessati, si intenda assumere ogni iniziativa di competenza volta ad acquisire il dettaglio dell'entità delle somme sin qui pagate dai commissari e di quanto residui attualmente sul conto intestato alla gestione. (4-13996)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, relativa al provvedimento di estinzione dell'Istituto mutualistico artisti interpreti esecutori (IMAIE) ed al pagamento dei debiti del predetto ente ai creditori, si rappresenta quanto segue.
      L'Istituto mutualistico artisti interpreti esecutori (IMAIE) è stato previsto dall'articolo 4 della legge n.  93 del 1992, che ne ha affidato la costituzione alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale delle categorie degli artisti interpreti o esecutori firmatarie dei contratti collettivi nazionali.
      La stessa normativa, nell'individuare la finalità statutaria dell'istituto nella tutela dei diritti degli artisti interpreti esecutori e nell'attività di difesa e promozione degli interessi collettivi delle categorie, stabiliva che il presidente del collegio dei revisori dell'istituto fosse nominato dal Ministro del turismo e dello spettacolo, mentre un membro del medesimo collegio fosse nominato dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale richiamando la disciplina dell'articolo 2459 del codice civile.
      L'articolo 5 della medesima legge n.  93 del 1992, come modificato dall'articolo 36 del decreto legislativo n.  68 del 2003, ha, quindi, statuito che i compensi spettanti agli artisti, ai sensi degli articoli 73, comma 1, 73-bis e 71-octies, comma 2, della legge n.  633 del 1941, dovessero essere versati all'Istituto mutualistico artisti interpreti esecutori dai produttori di fonogrammi o dalle loro associazioni di categoria corredati della documentazione necessaria alla identificazione degli aventi diritto.
      L'Istituto mutualistico artisti interpreti esecutori avrebbe dovuto determinare l'ammontare dei compensi spettanti a ciascun artista interprete esecutore in base ai criteri definiti da un accordo concluso fra le associazioni di categoria dei produttori di fonogrammi e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative delle categorie degli artisti interpreti esecutori, firmatarie dei contratti collettivi nazionali.
      Entro il primo mese di ogni trimestre, si prevedeva che l'Istituto mutualistico artisti interpreti esecutori comunicasse agli aventi diritto l'ammontare dei compensi maturati nel trimestre precedente e pubblicasse, nella Gazzetta ufficiale, l'elenco nominativo degli aventi diritto, al fine di consentire la riscossione dei compensi, possibile entro 1095 giorni (3 anni) dalla pubblicazione dell'elenco. Trascorso tale termine, le somme relative ai diritti non esercitati erano devolute all'Istituto mutualistico artisti interpreti esecutori ed utilizzate per attività di studio e ricerca, nonché per fini di promozione, formazione e sostegno professionale degli artisti interpreti o esecutori.
      L'Istituto mutualistico artisti interpreti esecutori è stato dichiarato estinto con decreto del prefetto di Roma del 30 aprile 2009, confermato con decreto del 28 maggio 2009, e non del 14 luglio 2009 come riportato nell'interrogazione.
      Spetta, infatti, al prefetto, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n.  361 del 2000 «Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti di riconoscimento di persone giuridiche private e di approvazione delle modifiche dell'atto costitutivo e dello statuto», la funzione di vigilanza-controllo sulle persone giuridiche private, ai fini della dichiarazione di estinzione, ai sensi del codice civile.
      L'articolo 5 del predetto decreto del Presidente della Repubblica ha, infatti, previsto il trasferimento al prefetto delle funzioni amministrative attribuite all'autorità governativa dalle norme del Capo I – titolo II del Libro I del Codice civile.
      Appare, a riguardo, utile ricordare quanto esposto nella relazione allegata al citato provvedimento di estinzione in ordine allo stato di profonda crisi in cui versava l'istituto, dovuta al mancato svolgimento della funzione di accertamento e ripartizione dei diritti fra i legittimi titolari, anche per la scarsa funzionalità delle procedure di ripartizione delle somme acquisite dall'istituto, alla grave situazione di conflitto interno degli organi direttivi e tra questi e l'ufficio amministrativo e nei confronti dei lavoratori dipendenti, cui si è aggiunta la mancata discussione, nei termini statutari, dei documenti di bilancio consuntivo 2007 e preventivo 2008.
      La gravità e la persistenza dei predetti elementi di criticità, tali da non garantire il corretto funzionamento dell'ente e, quindi, il perseguimento degli scopi cui era preposto (in particolare, l'adempimento delle funzioni attribuite dalla legge) unitamente all'incapacità degli organi preposti alla gestione dell'ingente patrimonio accumulato dall'istituto, hanno determinato, come si legge nella relazione allegata al provvedimento di estinzione, il «convincimento di un'assoluta impossibilità per l'Istituto mutualistico artisti interpreti esecutori di raggiungere lo scopo per il quale è stato istituito e pertanto, impongono l'adozione di un provvedimento di estinzione ai sensi dell'articolo 27 del codice civile».
      Dall'emanazione del primo provvedimento di estinzione è derivato un contenzioso amministrativo all'esito del quale, con ordinanza n.  3530 del 14 luglio 2009, il Consiglio di Stato ha confermato la validità del processo di estinzione e la designazione dei commissari liquidatori da parte del presidente del tribunale ordinario di Roma nelle persone dell'avvocato Giovanni Galoppi, del professor Enrico Laghi e dell'avvocato Giuseppe Tepedino (contrariamente a quanto asserito nell'interrogazione, che individua erroneamente i commissari nelle persone del dottor Nastasi e del dottor Ferrazza, oltre che, giustamente, dell'avvocato Galoppi). In merito, è poi intervenuta la sentenza del Tar Lazio n.  13897 del 4 maggio 2010, con cui è stato dichiarato improcedibile il ricorso presentato da alcuni degli iscritti all'associazione Istituto mutualistico artisti interpreti esecutori contro il provvedimento di estinzione.
      Il collegio dei commissari liquidatori, il cui compenso è stato determinato dal presidente del tribunale di Roma «nella misura del minimo della tariffa professionale degli avvocati per l'intero collegio dei liquidatori da ripartire in parti uguali» (così testualmente recita il decreto del presidente del tribunale di Roma), ha poteri di amministrazione ordinaria e straordinaria, compresa la riscossione e la distribuzione agli aventi diritto dei compensi maturati e non riscossi nel corso dell'attività liquidatoria.
      Il predetto organo, dopo aver rese note le procedure per la richiesta, da parte degli aventi diritto, del pagamento di un primo acconto del 30 per cento del credito ammesso al passivo, ha presentato istanza al presidente del tribunale di Roma per essere autorizzato a procedere alla distribuzione di un ulteriore acconto a tutti i creditori iscritti nello stato passivo, depositato in data 18 aprile 2010.
      Il presidente, preso atto di tale richiesta, ha autorizzato il versamento di un secondo acconto a tutti gli aventi diritto risultanti nello stato passivo, per un ammontare pari al 40 per cento del credito ammesso.
      Con avviso dell'11 gennaio 2012, pubblicato sul sito internet dell'istituto, i commissari liquidatori hanno reso noto di aver presentato istanza al presidente del tribunale ordinario di Roma per essere autorizzati a procedere alla distribuzione del saldo degli importi spettanti a tutti i creditori iscritti nello stato passivo.
      Il presidente del tribunale, preso atto di tale richiesta, il 29 dicembre 2011, ha autorizzato il pagamento a saldo: l'annuncio di tale provvedimento è stato pubblicato inoltre sul Corriere della sera ed Il Sole 24ore.
      Secondo quanto evidenziato nel suddetto avviso, la procedura di richiesta per il pagamento del saldo è attiva dal 16 gennaio 2012.
      Nello svolgimento delle loro funzioni i commissari liquidatori rivestono la qualifica di pubblici ufficiali ed esercitano la loro funzione sotto la diretta sorveglianza del presidente del tribunale che li ha nominati, osservando attentamente le disposizioni di legge.
      Per quanto concerne, poi, la devoluzione dell'eventuale residuo della liquidazione all'associazione «Nuovo IMAIE», occorre richiamare la previsione dell'articolo 7, comma 2, del decreto legge n.  64 del 30 aprile 2010, convertito dalla legge n.  100 del 29 giugno 2010, in base al quale «Al nuovo IMAIE è trasferito, dalla data di costituzione, il personale di IMAIE in liquidazione. Al termine della procedura di liquidazione sono trasferiti al nuovo IMAIE l'eventuale residuo attivo ed i crediti maturati. Limitatamente a tale fine si applica l'articolo 2112 del codice civile». Pertanto, gli effetti sulla gestione finanziaria del «Nuovo IMAIE» della disposizione di cui sopra potranno essere valutati solo al termine della procedura di liquidazione dell'IMAIE.
Il Ministro per i beni e le attività culturali: Lorenzo Ornaghi.


      BOSI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
          l'istituto agronomico per l'oltremare di Firenze (I.A.O.) è un organo tecnico-scientifico del Ministero degli affari esteri, fondato nel 1904 e specializzato nelle politiche di cooperazione allo sviluppo, realizzate in base alle leggi n.  38 del 1979 e n.  49 del 1987;
          negli ultimi anni, la strategia di intervento dell'Istituto punta sulla collaborazione e sull'appoggio ai processi della cooperazione decentrata e sulla formazione dei tecnici, italiani e stranieri, per lo sviluppo agricolo e rurale, nonché sugli scambi di esperienze di studio, scientifico e culturale, con altre istituzioni ai vari livelli;
          tale prestigiosa istituzione ha subito pesanti tagli sul bilancio del 2012, pari a circa il 4 tanto più gravi in quanto la parte più consistente della spesa è quella riferita al personale  –:
          se sia a conoscenza di questa drammatica situazione, che, ove non affrontata, provocherebbe inesorabilmente la fine di questo importante Istituto;
          se, considerate le difficoltà di provvedere perfino al pagamento degli stipendi, non sia stato messo allo studio il rifinanziamento al bilancio del corrente anno per garantirne la funzionalità. (4-15062)

      Risposta. — L'Istituto agronomico per l'oltremare è un importante ente scientifico che il Ministero degli affari esteri sostiene fortemente per l'efficace contributo che esso ha costantemente assicurato alle attività di cooperazione e di ricerca nel settore dell'ambiente e dell'agricoltura tropicale.
      Sotto il profilo giuridico, l'ordinamento dell'Istituto agronomico per l'oltremare è regolato dal decreto del Presidente della Repubblica n.  243, del 29 ottobre 2010. In base a tale decreto, «l'Istituto è dotato di autonomia scientifica, statutaria, organizzativa, amministrativa, contabile e finanziaria, ed è sottoposto all'alta vigilanza e all'alta direzione del Ministero degli affari esteri». Al personale dell'istituto, attualmente costituito da 25 unità e 2 dirigenti su un organico di 37 unità, si applica l'ordinamento relativo allo stato giuridico ed economico del personale del comparto ministeri.
      Per quanto concerne la dotazione finanziaria dell'istituto è opportuno rilevare che, ai sensi dell'articolo 9 del decreto citato, l'istituto si può avvalere – per il conseguimento dei propri fini istituzionali – di varie fonti di finanziamento, ed in particolare: «a) il contributo dello Stato, da determinare annualmente con la legge di approvazione dello stato di previsione della spesa del Ministero degli affari esteri; b) i contributi di amministrazioni ed enti pubblici e privati, nonché di organizzazioni nazionali ed internazionali; c) i redditi dei beni costituenti il proprio patrimonio; d) i proventi derivanti dalle attività di promozione, consulenza e collaborazione con soggetti pubblici e privati, nonché dalla diffusione delle proprie pubblicazioni; e) mediante la costituzione e la partecipazione a società miste con soggetti pubblici e privati, nel rispetto della vigente normativa nazionale e comunitaria».
      Per quanto riguarda la riduzione dei finanziamenti della cooperazione allo sviluppo della Farnesina a favore dell'istituto per il 2012, è possibile rilevare che essi sono la conseguenza dei tagli apportati al bilancio del Ministero degli esteri a causa delle note esigenze di risanamento di finanza pubblica. Tali tagli – che in taluni casi hanno ridotto fino al 70 per cento le dotazioni iniziali su alcuni capitoli della cooperazione – hanno reso inevitabile ridurre del 43,5 per cento gli stanziamenti originariamente previsti per il 2012 per la tipologia di enti in cui rientra l'Istituto agronomico per l'oltremare.
      Alla luce di tale riduzione, l'Istituto agronomico per l'oltremare è stato invitato a proporre un piano di rimodulazione e razionalizzazione del bilancio, tenendo conto in primo luogo dell'esigenza di coprire le spese non comprimibili, ed in primis gli emolumenti al personale. Il piano di contenimento finora presentato è tuttavia risultato non ancora in linea con le attuali disponibilità finanziarie dell'ente. Anche in occasione di recenti riunioni svoltesi presso il Ministero degli esteri, nel quadro del costante dialogo mantenuto con l'istituto, il vertice amministrativo dell'ente è stato pertanto inviato a formulare ulteriori proposte di rimodulazione del bilancio.
      Sul concorso bandito dall'istituto per l'assunzione di cinque nuove unità di personale, si segnala che la relativa autorizzazione è stata disposta dal decreto del Presidente della Repubblica del 28 agosto 2009. Al riguardo il Ministero dell'economia e finanze ha garantito idonea copertura per le spese di assunzione per il solo 2012. Ad ogni buon conto, il Ministero degli esteri ha quindi invitato la dirigenza dell'istituto ad individuare opzioni alternative che siano compatibili con l'attuale bilancio dell'ente e con l'esigenza di evitare rischi debitori.
      In considerazione dell'importanza che riveste l'Istituto agronomico per l'oltremare, la Farnesina si è attivata per cercare di fare in modo che possano essere assegnati finanziamenti integrativi al bilancio dell'ente, pur nella consapevolezza dell'attuale delicata congiuntura di finanza pubblica. A tal fine il Ministro degli esteri Terzi ha recentemente inviato una lettera al Vice Ministro dell'economia e delle finanze Grilli, sottolineando l'auspicio di un'integrazione di fondi a favore dell'Istituto agronomico per l'oltremare.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Marta Dassù.


      BOSSA e PICCOLO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il 31 gennaio 2012, sulle pagine del Corriere del Mezzogiorno, inserto meridionale del Corriere della sera, è comparsa una inchiesta firmata dalla giornalista Nora Puntillo, con cui si denuncia il caso di migliaia di italiani dati per dispersi durante la Seconda guerra mondiale, e in realtà sepolti, con tanto di lapide e nome, in alcuni cimiteri tedeschi;
          secondo l'inchiesta, che riferisce i dati dell'indagine dovuta allo studioso Roberto Zamboni, furono circa 16 mila gli italiani che furono seppelliti in Germania ad opera del commissariato generale caduti in guerra, che li identificò, ne scrisse nomi, date e luoghi di origine e collocò le lapidi sulle tombe, senza però mai avvertire le famiglie in Italia, che non hanno mai ricevuto né una lettera né una comunicazione e hanno continuato a considerare i loro congiunti dispersi, alimentando così l'atroce dolore dell'attesa di un ritorno impossibile, e sottratti perfino della possibilità di piangere i propri cari su una tomba;
          di recente, alcuni elenchi di italiani caduti, considerati dispersi mentre erano stati seppelliti nei cimiteri tedeschi, sono stati pubblicati sul sito internet di Roberto Zamboni, uno studioso che da alcuni anni indaga negli archivi, raccoglie, trascrive e pubblica notizie sui dispersi italiani incrociando varie banche dati e facendo indagini sul posto;
          dalla lettura di questi elenchi, che sono comunque informali ed ufficiosi, ma molto precisi, con circa 16 mila nominativi di cui sono indicati nomi, cognomi, data di nascita e di morte, e luogo di sepoltura, molti familiari, spesso di seconda generazione, hanno appreso del tragico destino dei loro congiunti e del luogo della loro sepoltura;
          nonostante le pubblicazioni rimane, però, il silenzio ufficiale delle istituzioni, che non hanno mai fornito un elenco ufficiale, una catalogazione dei dati, e una comunicazione precisa alle famiglie;
          questa sorta di oblio di Stato sul destino di caduti italiani considerati perennemente dispersi e sostanzialmente uccisi due volte, una nel corpo e una nella memoria, appare davvero incomprensibile;
          i dati ufficiali forniti dal Ministero della difesa attestano che i deportati italiani durante la Seconda guerra mondiale furono in tutto 800 mila, di questi 80 mila morirono di stenti o furono trucidati nei lager, 44 mila erano civili internati per motivi razziali o politici, gli altri erano militari che in varie zone di guerra avevano tentato di resistere ai tedeschi;
          le loro salme si trovano nei cimiteri militari italiani di Amburgo, Berlino, Zehlendorf, Francoforte, Monaco di Baviera, Mauthausen in Austria e Bielany in Polonia; fra le vittime sepolte si conterebbero anche 77 ragazzi e bambini  –:
          se sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se e come il Governo intenda intervenire rapidamente per porre fine all'atroce ingiustizia della mancanza di dati e notizie precise sui dispersi di cui sopra, in realtà deceduti e sepolti senza che mai alcuna comunicazione fosse data ai familiari. (4-14913)

      Risposta. — La Difesa ha sempre informato le famiglie dei caduti in guerra, comunicando alle stesse ogni notizia disponibile sulla sorte dei loro cari: nello specifico, i caduti (militari e civili) sepolti nei cimiteri militari italiani d'onore in Germania, Polonia e Austria sono stati, puntualmente, individuati e censiti in appositi elenchi, oggi disponibili anche sul relativo sito internet.
      Qualora non sia stato possibile informare direttamente i familiari dei caduti, si è lo stesso provveduto alla ricerca dei parenti utilizzando ogni mezzo di comunicazione a disposizione e avvalendosi anche del supporto dell'Arma dei carabinieri.
      Tra l'altro, il competente commissariato generale per le onoranze ai caduti in guerra custodisce agli atti tutti i documenti che attestano l'avvenuta comunicazione alle famiglie interessate.
      Anche nei casi in cui, all'epoca della sistemazione definitiva delle salme, non sia stato possibile individuare l'esatta residenza dei familiari, si è provveduto alla notifica per il tramite dei comuni di nascita, delle stazioni dell'Arma dei carabinieri e a mezzo stampa.
      Tuttora, non è raro che eredi di diverso grado di parentela lamentino l'assenza di informazioni, sebbene dagli atti risultino essere state regolarmente fornite ai familiari più prossimi: è del tutto presumibile, infatti, che molte di queste informazioni non siano state tramandate agli eredi, essendo, nel frattempo, deceduto chi ne era in possesso.
      Il commissariato continua, comunque, a trasmettere alle famiglie le informazioni di cui è in possesso; cito, a titolo di esempio, la notifica ai familiari, nel giugno 2011, dello spostamento di 7 caduti noti – ma che non è stato possibile individuare singolarmente – dai cimiteri di Vilniansk e Yurkovka (Ucraina) al cimitero internazionale di Donetsk dove è stata realizzata, in loro memoria, una lapide con i nominativi di tutti i caduti che sono stati esumati.
      Ritengo sia evidente, quindi, come l'affermazione secondo la quale la Difesa non fornisca le dovute informazioni alle famiglie dei caduti in guerra, sia destituita di qualsivoglia fondamento, atteso che il commissariato, nell'ambito delle proprie attribuzioni, svolge con assoluta puntualità e cura ogni incombenza atta a ricercare, custodire, onorare in perpetuo la memoria dei caduti di tutte le guerre, trasmettendo ai congiunti ogni utile notizia.
      Per completezza d'informazione, si annette alla presente risposta una scheda che documenta la situazione dei cimiteri militari italiani d'onore in Germania, Austria e Polonia (disponibile presso il Servizio Assemblea).
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      CAPARINI e GIULIETTI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          il palazzo Labia è simbolo della cultura e della storia di Venezia e del Triveneto, emblema della cultura veneziana e veneta, dalle incredibili potenzialità e possibilità dal punto di vista culturale;
          la Rai ha, o meglio dovrebbe avere, una preziosa funzione per la tutela della cultura e delle identità regionali anche nella difesa della storia e della cultura e il palazzo Labia potrebbe essere uno strumento formidabile di promozione culturale nella Venezia della Biennale, della mostra del cinema, del festival del teatro, sede di prestigiose fondazioni e musei, tuttora uno dei maggiori centri culturali d'Europa, conosciuto in tutto il pianeta, che però non viene adeguatamente sostenuto e promosso;
          la Rai con la sede veneta e il palazzo Labia potrebbe anche aiutare a tutelare il teatro, la musica, la pittura, il costume, la storia e le tradizioni di questo spazio culturale dando prospettive di ampio respiro con scelte culturali di grande significato e di grande utilità per il turismo, l'industria e più in generale per la cultura del lavoro tipica di quelle terre;
          Ilaria Borletti presidente del Fondo Ambiente Italiano ha recentemente chiesto «è giusto che la Rai, cioè lo Stato, cioè noi, decida di lasciare questo palazzo unico al mondo, affacciato sulla laguna, per venderlo al migliore offerente e trasferirsi magari in un anonimo ufficio?» ed aggiunge: «In tutto il resto d'Europa una simile vicenda avrebbe aperto, come minimo, un grande dibattito sulle città e i centri storici, sul loro futuro e la loro identità... Mi auguro che ciò avvenga anche qui da noi coinvolgendo urbanisti, sociologi, architetti, uomini di cultura, tutti i cittadini interessati in una conversazione aperta, senza pregiudizi»;
          il mondo culturale italiano crede sia possibile quanto auspicabile dare, nell'universo culturale italiano, un maggiore spessore alla politica culturale nell'azione della concessionaria radiotelevisiva di servizio pubblico, così come previsto dalla sua missione e specificato nel contratto di servizio;
          a parere degli interroganti la percezione è che cultura, identità regionale e nazionale siano passati in secondo piano rispetto alle impellenti necessità di bilancio non tenendo conto che il costo della vendita di un gioiello della cultura e della storie di Venezia come palazzo Labia sarebbe incalcolabile;
          il professore Sabino Acquaviva dalle colonne del Gazzettino di Venezia ha evidenziato come il Palazzo Labia possa essere «valorizzato, e quindi potrebbe diventare, (attraverso la creazione di un centro culturale con chiare caratteristiche e che non sia il prodotto degli ibridi romano centrici che governano altrove) il faro culturale di un'altra Catalogna, con un'altrettanto forte identità culturale»  –:
          se corrisponda al vero che la concessionaria abbia per la seconda volta deciso di alienare il palazzo Labia di Venezia e nel caso quali iniziative intenda assumere per preservare palazzo Labia per continuare a garantire la fruizione delle opere in esso conservate. (4-14230)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante ha chiesto se corrisponda al vero che la RAI abbia deciso di alienare Palazzo Labia, simbolo della cultura e della storia del Triveneto, e, nel caso, quali iniziative il Ministero intenda assumere per continuare a garantire la fruizione delle opere in esso conservate, si comunica quanto segue.
      Per quanto di competenza di questa Amministrazione, si rappresenta che Palazzo Labia (di seguito, il «Bene culturale») risulta sottoposto alle disposizioni di tutela di cui alla parte seconda del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.  42 in forza degli atti di notifica in data 26 febbraio 1910 e 14 marzo 1933, nonché del decreto ministeriale 9 maggio 1950, che ne hanno riconosciuto l'interesse culturale particolarmente importante.
      Sono, altresì, soggette alle citate disposizioni di tutela le opere d'arte pertinenti al bene culturale singolarmente specificate nell'elenco allegato al decreto ministeriale 21 maggio 1964, modificativo del precedente decreto ministeriale 29 febbraio 1964 cosiddetto «immobili per destinazione»).
      A tutela delle condizioni di ambiente e di decoro del bene culturale sono, inoltre, stati adottati sei provvedimenti, due, rispettivamente, in data 4 marzo 1955 e 3 luglio 1958 e quattro, contestualmente, in data 3 settembre 1959.
      Risulta, inoltre, sottoscritta tra questo Ministero e Rai Radiotelevisione italiana una convenzione in data 2 aprile 2001, con cui, a fronte del concorso dello Stato nella spesa relativa ai lavori di ristrutturazione, le parti hanno convenuto l'accessibilità al pubblico del bene culturale, secondo le modalità ivi indicate.
      Giova ricordare, inoltre, che in data 2 agosto 2011 è stato sottoscritto un protocollo d'intesa tra questo Ministero e Rai S.p.a., con cui sono state definite modalità procedurali condivise al fine di accelerare e semplificare il procedimento di verifica dell'interesse culturale dei beni immobili di proprietà della RAI, ai sensi dell'articolo 12 del decreto legislativo n.  42 del 2004.
      In applicazione del predetto protocollo, si è tenuta una riunione istruttoria il 12 settembre 2011 presso gli uffici del Ministero, durante la quale, avendo riscontrato che alcune porzioni del complesso monumentale in oggetto ricadono al di fuori dell'area «vincolata», si è ritenuto opportuno procedere con la verifica dell'interesse culturale sull'intero complesso architettonico, sia per valutare eventuali integrazioni dell'area oggetto di interesse, sia per aggiornare e conformare i precedenti decreti ministeriale al quadro normativo vigente.
      In seguito ad ulteriori accertamenti si è, quindi, richiesto alla RAI, con nota protocollo 31399 del 6 ottobre 2011, di integrare la documentazione inviata relativa a Palazzo Labia; la predetta documentazione è stata, poi, trasmessa alla direzione regionale del Veneto con nota protocollo n.  40290 del 22 dicembre 2011; tale comunicazione, ricevuta in data 30 dicembre 2011 dalla direzione regionale del Veneto, ha avuto valore di avvio del procedimento ai sensi del comma 5, dell'articolo 2 del protocollo del 2 agosto 2011.
      Con successiva nota, protocollo n.  837 del 16 gennaio 2012, la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Veneto ha chiesto alle competenti soprintendenze di settore di procedere all'istruttoria procedimentale, secondo quanto previsto dall'articolo 18, lettera h), del decreto del Presidente della Repubblica 26 novembre 2007, n.  233.
      Al riguardo si comunica che il procedimento di verifica è, al momento, in corso.
Il Ministro per i beni e le attività culturali: Lorenzo Ornaghi.


      CATANOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 6 novembre 2011 la squadra di calcio dell'Acireale è stata impegnata presso il campo sportivo di Campagna (SA) per disputare l'incontro Battipagliese – Acireale valevole per il campionato di serie D girone I;
          la squadra dell'Acireale calcio è stata seguita da un centinaio di tifosi giunti a Campagna con mezzi propri e pullman messi a disposizione dalla dirigenza dell'Acireale;
          secondo quanto riportano le testimonianze dei tifosi, guidati tra gli altri dal Presidente della SSD Acireale calcio 1946 avvocato Rosario Pennisi e dal consigliere provinciale di Catania Gianluca Cannavò, la struttura del campo sportivo della Battipagliese è risultata precaria ed inidonea sia dal punto di vista dell'agibilità sportiva che dell'ordine pubblico;
          il fenomeno del tifo violento non riguarda solamente le partite della massima serie, ma diventa ancora più pericoloso nei piccoli ed indifesi campi sportivi della provincia e delle serie minori;
          in quei contesti, innanzitutto, rischiano la propria incolumità quei pochi ed eroici rappresentanti delle forze dell'ordine chiamati a tutelare l'ordine pubblico da scalmanati che sono soliti aggredire verbalmente e fisicamente il «nemico/avversario calcistico»;
          nel caso di specie, secondo quanto riportano l'avvocato Pennisi e il consigliere Cannavò, i tifosi dell'Acireale calcio sono stati coinvolti in gravi episodi di violenza gratuita e ingiustificata da parte dei tifosi locali;
          all'avvenimento sportivo erano presenti solo i carabinieri, guidati dal tenente Manna a cui vanno incondizionata solidarietà ed i complimenti dell'interrogante per aver evitato peggiori guai;
          i carabinieri poco hanno potuto contro la violenza dei tifosi locali i quali al termine dell'incontro si sono riversati all'esterno dell'impianto sportivo, compiendo una vera e propria aggressione ai danni dei tifosi dell'Acireale (tra cui vi erano anche donne);
          anche quanto accaduto a Campagna dimostra cosa rischiano le persone per bene e le forze dell'ordine che assistono ad eventi calcistici  –:
          quali iniziative di competenza intenda assumere o adottare il Ministro interrogato al fine di evitare il ripetersi di tali incresciosi avvenimenti. (4-13923)

      Risposta.— Il 6 novembre 2011, presso lo stadio «Dony Rocco» di Campagna, prescelto per l'inagibilità temporanea del campo sportivo di Battipaglia, si è disputata la partita di calcio «Battipagliese-Acireale».
      Va innanzitutto premesso che, nel 2009, la commissione provinciale di vigilanza sui locali di pubblico spettacolo di Salerno, aveva espresso parere favorevole all'agibilità dello stadio «Dony Rocco», fissandone la capienza in 424 spettatori, dislocati in distinti settori per la tifoseria locale, per gli ospiti, per le persone diversamente abili ed i loro accompagnatori.
      L'incontro di calcio – secondo quanto riferito dal comando provinciale dei Carabinieri di Salerno – è stato seguito da circa 300 spettatori della tifoseria locale e 80 provenienti dalla Sicilia.
      Gli scontri tra le opposte tifoserie sono iniziati quando alcuni tifosi dell'Acireale – che si erano rifiutati di pagare il biglietto di ingresso perché ritenuto oneroso – rimanendo all'esterno dello stadio hanno iniziato a lanciare pietre all'indirizzo del settore occupato dai tifosi della Battipagliese, una delle quali, caduta all'interno del campo, ha sfiorato l'assistente di gara.
      Questo episodio ha costretto l'arbitro a sospendere temporaneamente l'incontro, per assenza delle necessarie condizioni di sicurezza.
      Nel frattempo, numerosi tifosi della Battipagliese hanno raggiunto l'esterno dello stadio, cercando di entrare in contatto con i tifosi ospiti.
      La situazione veniva immediatamente arginata grazie all'intervento del personale dell'Arma dei carabinieri, mentre i tifosi campani presenti sugli spalti, in attesa delle decisioni dell'arbitro, erano costretti a rifugiarsi in campo per evitare di essere colpiti da oggetti contundenti.
      In tale contesto, per garantire il mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica, si rendeva necessario l'intervento di rinforzo di ulteriori aliquote delle Forze di polizia.
      La sassaiola dei tifosi siciliani e i successivi episodi illeciti di entrambe le tifoserie, pur non provocando feriti, hanno causato il danneggiamento di alcune autovetture parcheggiate all'esterno dell'impianto sportivo.
      Le indagini – ancora in corso e svolte anche con l'ausilio di videoriprese effettuate da militari dell'Arma-Carabinieri – hanno permesso di identificare e trarre in arresto quattro tifosi della Battipagliese e un tifoso dell'Acireale, nonché di deferire all'Autorità giudiziaria altri tre tifosi dell'Acireale e uno della Battipagliese.
      Nei confronti dei responsabili il questore di Salerno ha emesso provvedimenti di DASPO.
      Per la gravità degli episodi, ascrivibili certamente ad entrambe le tifoserie, ma originati da una condotta violenta di quella ospite, l'Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, con determinazione del 9 novembre 2011, ha rinviato alle analisi del Comitato analisi sulle manifestazioni sportive (CASMS) le gare in trasferta per entrambe le tifoserie.
      Nell'ambito della stessa riunione è stato proposto al CASMS, per ciascun incontro in programma fino al 31 gennaio 2012, il divieto di trasferta per le due tifoserie al fine di tutelare l'incolumità dei cittadini e degli atleti.
      Dopo quella data, non essendo intervenuta alcuna iniziativa da parte delle due società sportive per garantire la trasferta dei propri supporter, l'Osservatorio ha continuato a segnalare al CASMS le gare delle due squadre, ai fini dell'individuazione di misure organizzative di rigore.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      DI STANISLAO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          è stato denunciato l'anomalo impiego degli ufficiali medici nelle missioni internazionali;
          l'Esercito italiano impiega diversi ufficiali medici, sino al grado di tenente colonnello nelle missioni di pace ed in particolare in Afghanistan;
          solo da poco sono state chiuse da parte italiana le cosiddette sezioni OMLT, cioè quelle task force che operano direttamente alla ricerca dei talebani;
          un ufficiale medico non ha l'addestramento adatto – lunghe marce comprese – per stare dietro a truppe altamente preparate. L'ufficiale medico che al rientro dall'Afghanistan ha verbalmente denunciato tale situazione di disagio sarebbe stato invitato fermamente «a non spargere voci in giro» sull'accaduto;
          in tutti gli altri eserciti presenti in territorio afgano gli ufficiali medici operano soltanto in strutture stabili (ospedali da campo): per le operazioni in prima linea operano soldati e graduati «soccorritori» addestrati sia a lunghe marce che a spostamenti faticosi, contrariamente a ciò che avviene per gli ufficiali medici militari italiani costretti in operazioni a portare armi pesanti e non solo la pistola d'ordinanza (come previsto per il personale medico dalle convenzioni internazionali);
          l'impiego degli ufficiali medici nelle aree sensibili non avviene in modo obiettivo e tra l'altro, gli ufficiali medici specializzati impiegati dovrebbero essere medici anestesisti, ortopedici e cardiologi, invece si ricorre indiscriminatamente a tutte le specializzazioni, mettendo in pericolo sia i pazienti che i medici stessi;
          altresì risulta che tali ufficiali nella maggior parte dei casi non partano volontari, nonostante le reiterate assicurazioni in tal senso da parte delle autorità competenti  –:
          se il Governo non ritenga di dover fornire elementi in relazione a quanto esposto in premessa;
          se il Governo non ritenga di dover chiarire i criteri per l'impiego degli ufficiali medici militari nelle missioni internazionali di pace al fine di garantire quanto più possibile la sicurezza di tutti.
       (4-12617)

      Risposta. — Gli operational mentoring liaison team (OMLT), nel cui ambito è prevista la presenza di personale medico svolgono compiti di istruzione, addestramento e supporto per le unità dell’Afghan National army e non conducono operazioni di ricerca dei talebani.
      Gli standard degli OMLT, incluse composizione e modalità di impiego, sono regolati dal documento Nato, comuni per tutte le nazioni che fanno parte de l’International security assistance force (ISAF).
      Il comando di Isaf, inoltre, stabilisce per ogni singola attività dei team, specifiche standard operating procedure (SOP), che vengono sottoposte a continua revisione sulla base delle nuove esperienze maturate, al fine di codificare/standardizzare le procedure per la condotta delle varie tipologie di attività.
      Ne consegue che l'impiego del personale medico italiano in forza ai richiamati assetti ricalca quello dei colleghi stranieri.
      Il nostro personale medico, prima dell'invio in teatro, viene sottoposto agli accertamenti necessari per il conseguimento del certificato di idoneità fisica e svolge, alla pari dell'altro personale per evidenti ragioni di uniformità, l'addestramento previsto da specifiche direttive di ogni forza armata.

      Per quanto riguarda, in particolare, l'Esercito italiano, l'approntamento, a premessa dell'immissione in teatro operativo afgano, è regolato da direttive nazionali che, nel recepire i contenuti della dottrina addestrativa della Nato, stabiliscono che tutto il personale destinato all'impiego nell'ambito degli operational mentoring liaison team svolga una ben definita attività addestrativa presso il centro addestramento alpino di Aosta, oltre a frequentare specifici corsi di addestramento all'emergenza sanitaria.
      È anche il caso di osservare che l'impiego dei «soccorritori» militari, ormai, peraltro, pienamente implementato, non può essere alternativo a quello dei medici militari, ma, piuttosto, deve essere considerato quale completamento della capacità medico-sanitaria che opera nel teatro operativo.
      Quanto, poi, all'affermazione secondo cui si ricorre «indiscriminatamente a tutte le specializzazioni», faccio presente che la selezione del personale medico da inviare nei teatri operativi risponde all'esigenza di alimentare assetti particolari, quali gli operational mentoring liaison team o, nell'ambito degli staff, singole posizioni per le quali non sono espressamente previste specifiche specializzazioni.
      A tale personale, infatti, viene esclusivamente richiesta la professionalità di base del medico militare che è, comunque, idoneo a fornire prestazioni di primo soccorso.
      Preciso, infine, che l'impiego del personale militare nell'ambito delle missioni all'estero non è basato sul principio della volontarietà, pertanto si esclude che possano essere state fornite le rassicurazioni richiamate dall'interrogante.
      Ai sensi, infatti, della vigente normativa, rientra tra i compiti istituzionali delle Forze armate la partecipazione alle missioni di pace nel quadro degli impegni internazionali assunti dalla Nazione, e, conseguentemente, tutto il personale militare, a prescindere dalle peculiari professionalità, è tenuto all'osservanza dei doveri discendenti dallo status di militare.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      DI STANISLAO. — Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          la prigione provinciale di Herat diretta dal generale Abdul Sadiq è stata ristrutturata e modernizzata con finanziamenti italiani (91 mila euro) e le sue celle sono piene di presunti talebani catturati dai soldati italiani;
          alla cerimonia di inaugurazione della nuova struttura nel marzo 2010, cui presenziarono il generale italiano Alessandro Veltri e il colonnello Claudio Dei, il Ministro afgano della giustizia, Abidullah Ghalib, disse: «Un Paese sicuro è un Paese che investe nella giustizia, e grazie a questo progetto di cooperazione tra il Governo e il comando regionale Isaf i prigionieri potranno seguire corsi di avviamento professionale che li aiuteranno a reinserirsi nella società con migliori prospettive di vita»;
          un rapporto dell'Onu, che descrive le sistematiche torture inflitte ai detenuti da parte degli agenti dei servizi segreti afgani, il National directorate of security (Nds) parla di «un approccio alla tortura altamente organizzato», secondo una procedura standard riferita da almeno dodici prigionieri;
          da tale rapporto è emerso che i detenuti, solitamente molto giovani, vengono prelevati dalle loro celle durante la notte, bendati e con le mani legate dietro la schiena, e portati nella stanza degli interrogatori. Per estorcere loro confessioni e informazioni vengono sbattuti a terra e picchiati sulla schiena e sulle piante dei piedi con cavi elettrici che provocano lacerazioni. Dopodiché, con i piedi sanguinanti, vengono costretti a correre per diversi minuti sul selciato del cortile  –:
          se il Governo sia a conoscenza dei contenuti del rapporto ONU citato in premessa e se non ritenga di dover verificare se il contingente italiano impegnato in quell'area sia a conoscenza o meno di informazioni necessarie al fine di poter intervenire e arginare tali torture.
(4-13742)

      Risposta. — Il rapporto «Mistreatment of conflict-related detaines in Afghan facilities», redatto dalla missione delle Nazioni unite in Afghanistan (UNAMA), è stato reso pubblico ad inizio del 2011 e riporta informazioni tratte da interviste condotte dall'ottobre del 2010 all'agosto del 2011 con 324 prigionieri, detenuti presso carceri gestite dalle forze di polizia (Afghan national police) e/o dai servizi segreti afghani (National directorate of security) in più di 20 province.
      In base a tali interviste, l'UNAMA rileva «evidenze convincenti» secondo cui funzionari dei servizi segreti afghani hanno torturato o severamente maltrattato detenuti in cinque penitenziari, tra cui la prigione provinciale del National directorate of security a Herat, allo scopo di estorcere loro informazioni e confessioni.
      Per quanto concerne nello specifico il centro detentivo National directorate of security di Herat, lo staff di UNAMA ha intervistato 16 detenuti. All'interno del campione intervistato si distinguono due categorie: da un lato, coloro che sono stati arrestati dalla polizia (AnP) e interrogati dal procuratore nazionale per la sicurezza e dal suo staff; dall'altro, coloro che sono stati arrestati e interrogati da personale in forza ai servizi segreti (National directorate of security). La prima categoria comprende 4 detenuti, nessuno dei quali ha dichiarato di aver subito alcun abuso fisico mentre la seconda categoria, invece, include 16 persone, delle quali 9 hanno affermato di essere state torturate.
      Occorre tenere presente che la redazione del rapporto è avvenuta con la fattiva collaborazione tra le Nazioni unite e le istituzioni afghane coinvolte (Ministero dell'interno, National directorate of security) e che il documento riscontra anche i progressi compiuti dal Governo afghano, impegnato in modo costruttivo nel miglioramento delle situazioni più critiche. Per garantire la trasparenza dell'esercizio, il rapporto è stato pubblicato con allegati i documenti integrali di commento da parte afgana. Nei commenti, le autorità afgane, nel respingere l'accusa di ricorso sistematico alla tortura e alle pratiche vietate dalle convenzioni internazionali, riconoscono tuttavia episodi di criticità dovuti alla situazione contingente, confermano il loro impegno ad avviare le riforme necessarie per evitare il ripetersi di abusi e ribadiscono la volontà di rispettare i principi del diritto internazionale e i diritti umani e di perseguire il personale responsabile delle violazioni riscontrate.
      A seguito degli abusi riportati nel rapporto UNAMA, l'Ufficio NATO Senior civilian representative (SCR) ha tenuto recentemente un briefing sul tema delle detenzioni e del processo di monitoraggio e certificazione avviato dall’International security assistance force. Tale processo riguarda anzitutto le 16 strutture indicate nel rapporto, tra le quali il carcere National directorate of security di Herat, che è stato il primo ad essere certificato (già a novembre), ovvero le cui misure adottate sono state ritenete sufficienti a renderlo idoneo al trasferimento di detenuti tratti in arresto dalla coalizione. Ispezioni e verifiche sono in corso nelle rimanenti strutture. Anche in quelle che verranno progressivamente certificate, l'ISAF intende continuare a svolgere un costante monitoraggio.
      In attesa di dati ufficiali sulle strutture certificate (il rapporto UNAMA di aggiornamento è atteso per metà marzo), informazioni ufficiose preliminari riferiscono di 13 strutture certificate su 16. Le maggiori criticità riguardano le condizioni di detenzione nei centri NDS, con cui i vertici ISAF ed UNAMA hanno avviato un dialogo anche per la creazione al suo interno di un'unità dedicata.
      Il livello di cooperazione avviato con l'NDS, ancora ad uno stadio embrionale, viene complessivamente ritenuto positivo, ma è opinione comune che si tratti di un processo di lungo periodo. Il tema delle detenzioni continuerà a ricevere attenzione da parte della comunità internazionale e delle organizzazioni per i diritti umani anche in ragione del passaggio di competenze in materia disposto da parte afgana dal Ministero della Giustizia al Ministero dell'interno (passaggio deciso in conseguenza dell'evasione di massa dal carcere di Kandahar dello scorso anno, che UNAMA giudica foriero di ulteriori potenziali criticità).
      È utile inoltre ricordare che l'impegno dell'Italia ha riguardato anche il miglioramento delle condizioni carcerarie, attraverso il sostegno infrastrutturale di centri di detenzione maschili a Kabul ed in altre quattro province, nonché la costruzione dei Centri di riabilitazione minorile e del centro di detenzione femminile nella capitale. Preme sottolineare che, prima dell'intervento della comunità internazionale, ed in particolar modo dell'Italia, non esistevano nel Paese centri di detenzione separati per donne e minori, e questi ultimi erano ospitati all'interno di aree dedicate in carceri ospitanti, prevalentemente, detenuti adulti di sesso maschile.
      È stato determinante inoltre l'intervento della cooperazione italiana nel settore della detenzione minorile nella capitale. Grazie al contributo dell'Italia è stato infatti costruito l'unico centro di riabilitazione per minori provvisto di una sezione «aperta». Tale struttura, costruita da agenzie delle Nazioni unite grazie a finanziamenti italiani, accoglie attualmente 142 minori dai 15 ai 17 anni ed al suo interno operano diversi enti ed organizzazioni che erogano servizi di diversa natura: il Ministero dell'educazione svolge corsi di alfabetizzazione, la Croce Rossa internazionale ed Emergency forniscono assistenza sanitaria, ONG locali svolgono corsi di formazione ed igiene, l'UNICEF e altre ONG afgane offrono assistenza legale. Nei pressi del centro di riabilitazione minorile è situato anche il carcere femminile di Kabul, che ospita oggi 153 detenute e i loro figli minori ed è attrezzato, grazie anche a finanziamenti della cooperazione italiana, con una zona cucine, un'area per le visite, nonché un laboratorio per lo svolgimento di attività di formazione professionale.
      È essenziale l'addestramento delle Forze di sicurezza afgane, in quanto una polizia preparata ed adeguatamente formata è senz'altro meno esposta a rischi di abusi e comportamenti contrari alle norme internazionali sulla detenzione. È anche per questa ragione che il nostro Paese ha rafforzato la componente di addestratori all'interno del proprio contingente e coerentemente con quanto raccomandato da UNAMA, il Ministero degli Esteri ha programmato per la fine del corrente anno un'iniziativa di formazione delle forze di sicurezza afgane proprio in materia di diritto internazionale umanitario e diritti umani, incluse le norme sulla detenzione per innalzare il livello di consapevolezza ed attenzione in materia.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Staffan de Mistura.


      DI STANISLAO. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          la Conferenza di Bonn del 5 dicembre 2011 sull'Afghanistan a dieci anni dall'insediamento degli Stati Uniti e degli alleati non ha prodotto nulla di concreto. Karzai ha chiesto alla Nato, così come già dichiarato dalla Loya Jirga, organo non costituzionale ma semplicemente consultivo, di rimanere in Afghanistan ben oltre il 2014, momento in cui le truppe combattenti dovrebbero, almeno formalmente, lasciare il teatro afghano;
          le organizzazioni non governative e le associazioni auspicavano invece interventi mirati e decisioni più concrete. Hanno dichiarato infatti che sul fronte della sicurezza per gli afghani la situazione è peggiorata, a fronte di un processo negoziale che non sembra procedere e che manca di mediatori credibili e di una figura terza tra Governo e talebani che sia garanzia di una mediazione autonoma;
          ogni anno il conflitto produce quasi tremila vittime civili (2.777 nel 2010 con un aumento del 15 per cento e con 1.500 persone uccise nei primi sei mesi del 2011) e la politica dei bombardamenti indiscriminati (altrimenti tradotti come «mirati») sembra ancora essere la scelta preferita da Isaf/Nato, nonostante i ripetuti richiami dello stesso Governo Karzai. Benché sia infatti diminuito l'uso della guerra dall'aria, il numero dei civili uccisi dalle forze pro-governative (esercito afghano e NATO) è diminuito solo del 9 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. E, sebbene le persone che rimangono uccise da azioni ed attentati delle forze anti-governative rappresentino l'80 per cento dei morti, le donne, gli uomini e i bambini uccisi in raid della NATO e in azioni delle forze afghane sono ancora il 14 per cento del totale: i circa 300 raid notturni condotti ogni mese continuano inoltre a seminare paura, distruzione, morte, sfiducia e rabbia nella popolazione;
          l'accesso all'acqua potabile e all'elettricità resta, specie nelle campagne, ancora a livelli minimi e la possibilità di accedere a servizi di sanità pubblica, in un Paese che si sta pericolosamente avviando verso la privatizzazione del servizio e che il rapporto sullo sviluppo umano dell'Onu ha classificato al 147° posto tra i Paesi con le performance peggiori, resta privilegio di pochi (un bambino su cinque continua a morire prima del compimento del quinto anno di età);
          meno del 15 per cento delle donne afghane sono alfabetizzate, mentre l'87 per cento fra loro è oggetto di diversi tipi di abuso (matrimoni combinati, violenza sessuale eccetera) tra le pareti domestiche;
          mediamente il 90 per cento delle risorse destinate agli aiuti è andato a sostenere l'intervento militare e solo il 10 per cento (per l'Italia anche meno) è stato impiegato in progetti di cooperazione civile; di questa somma, inoltre, oltre un terzo è stato speso per garantire la «sicurezza» al progetto stesso;
          le associazioni lanciano la forte preoccupazione circa il rischio che il completamento del ritiro delle forze militari si trasformi un totale abbandono del Paese;
          per questo motivo la rete italiana di Afghana, la Tavola della pace e la Rete italiana per il disarmo, chiedono, attraverso un appello al Governo italiano, che, a partire dall'inizio del ritiro del contingente italiano, per ogni euro risparmiato per le spese della missione militare, 30 centesimi vengano stanziati per interventi di cooperazione civile. Chiedono che in sostanza, una volta avviato il ritiro del contingente militare nel 2012, sia trasferito il 30 per cento di quanto risparmiato nella spesa militare a investimenti di cooperazione civile. Chiedono infine che anche le modalità di intervento e di spesa siano concordate in un forum tra il titolare dei fondi civili e la società civile e che il Parlamento si impegni a rendersi garante delle scelte operative che ne emergeranno  –:
          se il Governo non ritenga di fornire elementi circa l'esito della seconda conferenza di Bonn sull'Afghanistan e sui tempi e modalità circa l'impegno italiano nel breve e medio termine in questo Paese a livello militare e di cooperazione allo sviluppo, nonché della presenza italiana dopo il 2014;
          se il Governo intenda accogliere le richieste di Afghana, Tavola della Pace e Rete italiana per il disarmo. (4-14244)

      Risposta. — La Conferenza di Bonn ha costituito una occasione per fare un bilancio dei progressi compiuti dall'Afghanistan con il sostegno della Comunità internazionale. Se è innegabile che sfide enormi rimangano ancora aperte in quell'area del mondo, nell'ultimo decennio, la comunità internazionale, con la convinta partecipazione dell'Italia, ha senza dubbio contribuito a cambiare in meglio il Paese. Solo alcuni dati: è stata approvata una Costituzione che riconosce la parità tra uomo e donna ed i diritti delle donne; 7 milioni di bambini (il 35 per cento bambine) vanno a scuola, rispetto ai 900.000, solo maschi, sotto i talebani; l'istruzione universitaria femminile è passata dallo 0 per cento al 19,3 per cento del totale; i servizi sanitari hanno raggiunto il 64 per cento della popolazione (partendo dall'8 per cento); in Parlamento siedono 69 donne.
      Rispondendo ad un'esigenza fortemente sentita dai Paesi partner, il governo di Kabul si è impegnato a rafforzare il proprio sistema istituzionale e la capacità di governo nel rispetto dei principi sanciti anche dai propri obblighi internazionali, in particolar modo i diritti umani.
      Quale elemento di novità rispetto al precedente di Bonn 2001, ed ai successivi numerosi appuntamenti internazionali dedicati all'Afghanistan, alla recente conferenza si è voluto riconoscere alla società civile afgana un ruolo particolare ed un profilo di visibilità, anche mediatica, mai conosciuti prima.
      Rappresentata a Bonn da una delegazione di 34 esponenti, uno per ogni provincia del Paese, espressione di varie istanze e con una consistente quota femminile, la società civile è stata protagonista di un proprio foro indipendente. L'intervento del Ministro Terzi alla conferenza ha sottolineato il nuovo rapporto di reciproco impegno anche oltre il 2014, rilevando in particolare l'importanza dell'assunzione di responsabilità da parte di Kabul in ambiti quali il rispetto dei diritti umani, in particolare delle fasce più deboli della popolazione come le donne e i bambini.
      Nel breve e medio termine la nostra azione continuerà ad essere imperniata su: formazione, sviluppo economico e diritti umani, con attenzione alla condizione femminile, e contesto regionale. Sul terreno, prosegue il nostro impegno per estendere la transizione, con focus particolare sulla provincia di Herat e la regione occidentale sotto responsabilità italiana, dove opera il nostro contingente militare. Sul fronte della cooperazione allo sviluppo, tra la fine del 2001 e il giugno 2011 sono state approvate iniziative per 545 milioni di euro ed erogati finanziamenti pari a 456 milioni di euro (di cui oltre 80 milioni destinati ad iniziative di emergenza) volti principalmente a sostenere la formazione nei settori del buon governo e della giustizia, a realizzare infrastrutture di trasporto, attività socio-sanitarie nonché di sviluppo rurale ed economico con un particolare focus sulle fasce vulnerabili della popolazione (donne, minori, disabili) e con priorità per la regione occidentale del Paese. Occorre rilevare inoltre che, nell'ultimo biennio, rispetto al trend degli anni precedenti, i fondi destinati dai decreti missioni per iniziative di cooperazione, ad integrazione degli stanziamenti di cui alla legge n.  49 del 1987, hanno subito una drastica riduzione, passando – in milioni di euro – da 22,3 del I semestre 2010 a 18,7 del secondo; da 16,5 del primo semestre 2011 a 10,8 del secondo.
      In una prospettiva di lungo termine, vale porre in risalto l'annuncio che a Bonn il Ministro Terzi ha fatto dell'intenzione italiana – subito accolta da parte afgana – di rimodulare la cornice del partenariato bilaterale di lungo periodo, al fine di declinare i contenuti del nostro impegno presente e di lungo periodo per quel Paese e di tracciarne le linee evolutive.
      In tale contesto, il Governo ha lavorato ad un accordo bilaterale di partenariato e cooperazione di lungo periodo che è stato firmato in occasione della visita del Presidente Karzai a Roma, il 26 gennaio 2012. L'accordo rappresenta una cornice unitaria a cui ricondurre e attraverso cui mettere a sistema i vari filoni di collaborazione esistente o da rafforzare.
      Quanto alla pianificazione post 2014, partecipiamo attivamente alla definizione dei partenariati di lungo periodo con Kabul che sia la NATO che l'Unione europea stanno mettendo a punto. Nel primo caso si tratta, oltre che di garantire il completamento della transizione, di dare contenuto pratico con addestramento, enablers, sostegno finanziario alle Forze nazionali di sicurezza afgane, alla Enduring partnership post 2014 annunciata a Lisbona nel 2010, su cui si baserà il NATO Strategic Plan for Afghanistan (NSPA), che dovrebbe essere approvato al vertice NATO di Chicago nel maggio 2012.
      Per l'Unione europea, si tratta di un accordo di Cooperazione per il partenariato e lo sviluppo (CAPD), incentrato su sviluppo, rafforzamento istituzionale e dialogo politico, il cui mandato negoziale è annunciato a Bonn, assieme all'estensione al 2014 della missione politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC), missione di polizia dell'Unione europea (EUPOL). In entrambi i contesti, l'Italia sta operando, valorizzando tra l'altro le sinergie con il nostro impegno bilaterale.
      La presenza del nostro Paese in Afghanistan si è sin dall'inizio giustificata e svolta nel solco dell'azione internazionale, rispetto alla quale abbiamo sempre manifestato coerenza e della quale siamo sempre stati parte attiva ed integrante. La questione del reimpiego, negli anni a venire, delle risorse finanziarie liberate dal progressivo disimpegno della presenza militare è certamente ben evidente ai Paesi attivi nella fase di transizione anche sul fronte della sicurezza. La Conferenza di Bonn ha ribadito il concetto di un impegno di lungo periodo destinato a sostenere i costi per lo sviluppo economico e civile di un paese che – secondo gli studi della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale – rischia di subire un drammatico impatto dalla cessazione dell'attuale presenza internazionale militare. Le modalità e le entità di tale reinvestimento dovranno ora essere discusse e definite d'intesa con i partners e gli afgani, anche nella prospettiva del vertice NATO di Chicago e della susseguente conferenza ministeriale di Tokyo di luglio, appositamente dedicata al coordinamento del sostegno economico della Comunità internazionale ed alla definizione di una strategia condivisa per assicurare all'Afghanistan uno sviluppo sostenibile. La strategia d'aiuto allo sviluppo economico sarà davvero efficace nella misura in cui sarà condivisa ed accettata da tutti gli attori in campo, secondo la più generale logica guida della presenza internazionale in quel Paese del «together in, together out».
      Il principio del reinvestimento di risorse finanziarie a supporto dello sviluppo e della stabilizzazione di lungo termine è dunque un principio acquisito e condiviso internazionalmente. In tale contesto si rileva peraltro che il Governo italiano ha recentemente accolto l'Ordine del giorno, promosso dall'interrogante, con cui si è impegnato ad adottare iniziative normative volte ad utilizzare maggiori risorse per la cooperazione allo sviluppo dei paesi in cui l'Italia è impegnata nelle missioni internazionali, in particolare l'Afghanistan, e deviare parte delle risorse destinate alle operazioni esclusivamente militari a progetti di cooperazione civile concordati con le ONG e le associazioni che operano nei vari territori.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Staffan de Mistura.


      DI STANISLAO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il 6 dicembre 2011, il Ministro degli affari esteri scrive una lettera sul quotidiano La Repubblica a proposito dell'Afghanistan, intitolata «L'impegno dell'Italia non si ferma»;
          nella lettera il Ministro parla di progressi numerosi ed evidenti, del ruolo importante dell'Italia che richiede un impegno oneroso, ma necessario per non disperdere ciò che è stato costruito in questi anni;
          a queste dichiarazioni si contrappongono quelle delle organizzazioni non governative che operano sul campo e una realtà che vede l'Afghanistan dopo dieci anni di missione un Paese distrutto e un popolo che stenta a sopravvivere;
          la nota ex parlamentare democratica e scrittrice afghana, Malalai Joya ha dichiarato che «In Afghanistan non abbiamo una democrazia, ma una sua grottesca caricatura. Il potere è in mano a un regime mafioso e corrotto dominato da criminali di guerra, signori della droga e fondamentalisti che dovrebbero trovarsi al Tribunale dell'Aja, non al governo e in parlamento, protetti e stipendiati dall'Occidente»;
          l'Anso (Afghanistan Ngo Safety Office), organizzazione internazionale che si occupa della sicurezza delle organizzazioni non governative in Afghanistan creata dall'ufficio umanitario della Commissione europea (Echo), dalla Cooperazione svizzera (Sdc) e dal Ministero degli esteri norvegese, ha recentemente pubblicato un rapporto che dipinge una situazione di continua escalation della violenza: 12 mila attacchi nei primi nove mesi del 2011, 24 per cento in più rispetto all'anno scorso, in linea con il trend di crescita degli ultimi cinque anni;
          nonostante 40 miliardi di dollari di aiuti versati dalla comunità internazionale dal 2001 a oggi, le condizioni di vita della popolazione afghana sono peggiorate rispetto all'inizio della guerra: la povertà assoluta è salita dal 23 al 36 per cento della popolazione, l'aspettativa di vita è scesa da 46 a 44 anni (Italia: 81 anni), la mortalità infantile è aumentata dal 147 al 149 per mille (Italia: 3 per mille), il tasso di alfabetizzazione è sceso dal 31 al 28 per cento (Italia: 98 per cento);
          l'economia afghana, basata quasi esclusivamente sulla produzione di oppio ed eroina, non sarà mai autonoma, perché dipendente dagli aiuti internazionali, gran parte dei quali torna indietro ai Paesi donatori sotto altre forme o ai governanti e funzionari corrotti. Ed è proprio la corruzione che domina anche le forze di polizia locali ad oggi ancora incapaci ed inadeguate a garantire la sicurezza;
          il Ministro vanta altresì numerosi risultati nell'ambito della cooperazione allo sviluppo e degli impegni futuri  –:
          se il Governo sia a conoscenza delle dichiarazioni e dei dati forniti da organizzazioni non governative, da associazioni e dalla società civile afghana che contraddicono nettamente le sua affermazioni e che evidenziano una realtà del tutto peggiorata;
          come il Governo intenda portare avanti gli impegni presi, tenuto conto che le risorse per cooperazione allo sviluppo gestite dal Ministero degli affari esteri passano da 179 milioni di euro del 2011 a 86 milioni di euro, facendo registrare il terzo dimezzamento dell'ammontare dei fondi per le finalità previste dalla legge n.  49 del 1987 in 4 anni. (4-14246)

      Risposta. — L'Afghanistan rappresenta ormai da anni un paese di primaria importanza per la Cooperazione italiana. Già tra i principali destinatari degli aiuti italiani secondo le linee guida della cooperazione per il triennio 2011-2013, è stato confermato Paese prioritario per la cooperazione in Asia nelle linee guida 2012-2014, approvate il 12 dicembre 2011 da parte del Comitato direzionale per la cooperazione allo sviluppo.
      Come indicato dal Ministro Terzi di Sant'Agata nella recente Conferenza di Bonn – che ha sancito il passaggio dalla fase della transizione a quella della trasformazione, volta ad una piena assunzione di responsabilità da parte delle autorità afgane – il Governo italiano continuerà il suo impegno di cooperazione, in stretto coordinamento con il resto della comunità internazionale. Questo nella convinzione che l'azione civile sia indispensabile per la crescita sostenibile e autonoma del Paese, contrastando soprattutto gli alti indici di povertà e di instabilità che ancora lo caratterizzano.
      Quanto alle dichiarazioni fornite dagli organismi non governativi occorre fare presente che in Afghanistan non vi è mai stato un censimento e, come segnalato dalla Banca mondiale, la prima rilevazione statistica realistica sullo sviluppo risale al 2007-08 (World bank national risk and vulnerability assessment). In secondo luogo riguardo alle condizioni di vita della popolazione afghana, è doveroso richiamare l'attenzione su fatto che le fonti internazionali disponibili, in particolare il Rapporto Programma delle Nazioni unite per lo sviluppo (UNDP) sullo sviluppo umano 2011, il Country-programme 2010-2013 dell'UNDP e le statistiche Unicef, presentano una linea di tendenza diversa per quanto riguarda i principali indicatori di sviluppo e della condizione infantile.
      In particolare, secondo l'UNDP l'aspettativa di vita era di 45.3 anni nel 2000 ed è aumentata a 48.7 nel 2011; la mortalità infantile, secondo i dati UNICEF, è scesa da 197 per mille nel 1990 a 134 nel 2009, mentre la mortalità materna, nel 2008, è diminuita, sempre secondo l'UNICEF, a 1400 decessi su 100.000 nascite e, secondo il Country programme UNDP, a 800 su 100.000 nel 2011, risultando come uno dei progressi più significativi raggiunti negli ultimi anni.
      Anche l'accesso all'educazione presenta, secondo l'UNDP e l'UNICEF, indicatori positivi: se nel 2000 la scolarizzazione prevista era di 2,2 anni, nel 2011 essa è salita a 9,1 anni per chi entra nel ciclo scolastico e a 3,3 anni in media per l'insieme della popolazione. Va peraltro sottolineato come prima del 2001 non vi fosse accesso scolastico per le bambine, mentre nel 2009 secondo dati Unicef, il tasso di frequenza scolastica femminile è salito al 60 per cento nelle scuole primarie e al 33 per cento in quelle secondarie, mentre nelle università la presenza femminile, prima inesistente, è arrivata al 19.3 per cento.
      Sempre a proposito della condizione femminile, è stata anche approvata una Costituzione che riconosce la parità tra uomo e donna e nel Parlamento siedono 69 donne.
      Riguardo allo sviluppo economico, il PIL pro capite nel 2000 risultava pari a 435 dollari, salendo a 1.416 nel 2011, anche grazie all'afflusso di risorse provenienti dalla Comunità internazionale e ad un incremento dell'attività economica. La distribuzione delle risorse è rimasta tuttavia molto diseguale, come ha segnalato l'Italia in ripetute occasioni, contribuendo a spiegare come la percentuale di popolazione in condizione di povertà sia salita al 36 per cento.
      Per quanto riguarda, invece, la sicurezza della popolazione, l'ultimo rapporto di UNAMA – United nations assistance mission in Afghanistan – riporta 1.462 vittime civili su una popolazione di circa 30 milioni di abitanti, nel primo semestre 2011, evidenziando un aumento del 15 per cento di cui l'80 per cento dovuto all'uso di ordigni esplosivi da parte dell'insorgenza.
      Alla luce delle statistiche comunemente utilizzate dagli organismi internazionali, emerge dunque una situazione ancora estremamente precaria, ma non può non essere sottolineato il positivo trend, dal 2001 ad oggi, di miglioramento delle condizioni di vita della popolazione afghana.
      Nonostante la ben note riduzioni di bilancio sofferte dalla cooperazione italiana negli ultimi quattro anni, dovute alle imprescindibili esigenze di risanamento dei conti pubblici, l'impegno assunto dall'Italia alla Conferenza di Bonn del 2004, con più di 50 milioni di euro annui, è stato sostanzialmente rispettato grazie alle risorse fornite dai successivi decreti di rifinanziamento delle missioni di pace all'estero, cosiddetto decreto missioni.
      Vale la pena ricordare inoltre che tra la fine del 2001 e il giugno 2011 sono state approvate iniziative per 570 milioni di euro (di cui oltre 80 milioni destinati ad iniziative di emergenza) volti principalmente a sostenere la formazione nei settori del buon governo e della giustizia, a realizzare infrastrutture di trasporto, attività socio-sanitarie nonché di sviluppo rurale ed economico con un particolare focus sulle fasce vulnerabili della popolazione (donne, minori e disabili) e con priorità per la regione occidentale del Paese.
      Su forte impulso del Ministro Terzi, quest'impegno è quindi destinato a rimanere significativo, potendo contare per il 2012, oltre che sui fondi di bilancio della cooperazione, anche sulle risorse a valere sul decreto missioni per circa 35 milioni di euro, cui si aggiungerebbero altri 2 milioni sul versante dell'emergenza e degli aiuti umanitari. L'adozione su base annuale del decreto missioni 2012 renderà inoltre più agevole la programmazione, migliorando quindi l'efficacia della nostra attività di azione. Sulla base degli ingenti interventi realizzati nel settore sanitario, universitario ed infrastrutturale, ed economico, la nostra attività di cooperazione si focalizzerà su: consolidamento delle amministrazioni afgane, formazione, sviluppo economico, promozione dei diritti delle donne e dei bambini. Il Governo ha, in particolare, lavorato ad un accordo bilaterale di partenariato e cooperazione di lungo periodo che è stato firmato in occasione della visita del Presidente Karzai a Roma, il 26 di gennaio. L'Accordo rappresenta una cornice unitaria a cui ricondurre e attraverso cui mettere a sistema i vari filoni di collaborazione esistente o da rafforzare; dal dialogo politico alla difesa/sicurezza, alla cooperazione allo sviluppo, alla collaborazione economica, alla lotta ai narcotici, agli aspetti culturali. Esso richiama inoltre le quattro intese bilaterali settoriali già sottoscritte nel 2011 e riflette un approccio di sistema-paese nella realizzazione di un partenariato di lungo periodo con l'Afghanistan.  Il meccanismo di attuazione prevede la formazione di una commissione mista, presieduta dai due Ministri degli esteri, che dovrà mettere a punto e concordare proposte operative per ogni singolo capitolo di collaborazione. In tale contesto, stiamo già lavorando alla prospettiva di una prossima visita del Ministro degli esteri Terzi per avviare la commissione mista che dovrà definire un piano di attuazione dell'accordo.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Staffan de Mistura.


      DI STANISLAO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          dal nuovo rapporto «Armi leggere, guerre pesanti 2011» dell'Archivio disarmo è emerso che l’export di armi italiane di armi leggere ad uso civile ha registrato un ulteriore incremento nelle vendite nel biennio 2009-2010: oltre un miliardo di euro con un rilevante aumento di circa il 10 per cento rispetto al biennio precedente. In particolare tra il 2009 e il 2010 la crescita si attesta a circa il 17 per cento. Le esportazioni sono per la maggior parte dirette verso gli Stati Uniti e la Comunità Europea, ma l'Asia passa da 28 milioni di euro nel biennio 2007-2008 ad oltre 142 milioni nel biennio successivo;
          emerge altresì, l'esportazione verso Paesi sottoposti a embarghi internazionali sulle forniture di armi (Cina, Libano, Repubblica Democratica del Congo, Iran, Armenia e Azerbaijan) e verso Paesi in cui sono in atto conflitti e in cui si riscontrano gravi violazioni dei diritti umani (la Federazione Russa, la Thailandia, le Filippine, il Pakistan, l'India, l'Afghanistan, la Colombia, Israele, Congo, Kenia, Filippine, e altri);
          in particolare dalla ricerca emergono alcuni casi di esportazioni a Paesi in conflitto e dove avvengono gravi violazioni dei diritti umani;
          l'Italia ha esportato armi da fuoco in tutti i Paesi nordafricani interessati quest'anno dalla «primavera araba»: l'Egitto, la Tunisia e in particolare la Libia che ha ricevuto oltre 8,4 milioni di euro, totalmente rappresentate da pistole e carabine Beretta e fucili e Benelli finite nelle mani del settore di pubblica sicurezza del comitato popolare generale (l'istituzione di Governo Libica), col grave rischio che possano essere state utilizzate per la repressione in atto negli ultimi mesi. Sono state fornite armi, proiettili ed equipaggiamento militare e di polizia usati per uccidere, ferire e imprigionare arbitrariamente migliaia di manifestanti pacifici in Paesi come la Libia, la Tunisia e l'Egitto e tuttora utilizzati dalle forze di sicurezza in Yemen;
          lo Yemen ha importato dall'Italia una cifra pari a 487.119 euro di armi e oggi versa in una situazione di conflitto che ha provocato centinaia di morti; la dura repressione del Governo, nei confronti delle manifestazioni popolari verificatesi a sud del Paese, ha causato molte vittime tra manifestanti e civili. Destano gravi dubbi, per la possibilità che siano usate per compiere violazioni del diritto umanitario internazionale e dei diritti umani, le esportazioni di armi nell'Africa Sub-Sahariana in: Congo (Brazaville), Kenya e verso la Repubblica Democratica del Congo verso cui sono state esportate munizioni per un valore di 81.152 euro malgrado l'embargo dell'Unione Europea e dell'Onu in vigore dal 1993; nel conflitto tra le vittime si annoverano numerosi civili e gli attacchi indiscriminati da parte di tutte le forze in campo, anche verso la popolazione civile, stanno creando un popolo di sfollati e rifugiati;
          la Cina, tra il 2009 e il 2010 ha acquistato dall'Italia armi civili, munizioni ed esplosivi per un valore di oltre 3 milioni, in violazione dell'embargo, imposto dal Consiglio europeo nel 1989 in seguito ai fatti di Piazza Tienanmen, che mira proprio a tutelare i diritti umani;
          l'Honduras è stato teatro di un conflitto interno durante il 2009 e nella regione dell'Agùan è stato imposto uno schieramento militare permanente a causa delle manifestazioni dei contadini contro aziende agricole private che spesso sono sfociate in episodi di violenza. L'Italia ha esportato verso il Paese più di 600 mila euro di materiali totalmente rappresentati da pistole, fucili e loro parti ed accessori;
          il problema della tracciabilità, inoltre, impedisce agli istituti di ricerca e al Parlamento di sapere chi siano i destinatari finali, di conseguenza queste armi possono facilmente finire nelle mani di gruppi armati e di terroristi semplicemente attraverso l'intermediazione di società di comodo. Sono armi che possono finire sul mercato nero, in mano a terroristi, gruppi armati, reti criminali o, peggio, triangolate verso destinazioni non consentite;
          è evidente, pertanto, che le società esportatrici dovrebbero comunicare i dati al parlamento, aumentare la quantità di informazioni così da consentire di ricostruire la catena dal produttore all'utilizzatore finale, inviare le informazioni al registro dell'Unione europea;
          il prossimo luglio sarà discusso presso le Nazioni Unite trattato internazionale sul commercio delle armi  –:
          se, e come, il Governo stia affrontando il problema dei controlli sulle esportazioni, considerando le armi comuni da sparo alla stregua delle armi leggere ad uso militare alla luce dell'ormai accertata pericolosità della loro presenza soprattutto nei numerosi scenari di conflitto;
          quale sia la posizione dell'Italia all'interno dell'Onu nell'ambito della discussione prossima sul trattato internazionale sul commercio delle armi. (4-14659)

      Risposta. — L'Italia partecipa, fin dal suo avvio, al processo internazionale per l'adozione di un trattato sul commercio delle armi (Arms trade Treaty – ATT) ed è stata tra i suoi principali sostenitori in ambito internazionale, di concerto con i partners dell'Unione europea. Il Trattato ha come obiettivo l'adozione di comuni standard di controllo sulla movimentazione internazionale di armi convenzionali (comprese quelle leggere e di piccolo calibro).
      L'Italia condivide con i partners dell'Unione europea l'auspicio che nel 2012 possa essere adottato dalla conferenza diplomatica un trattato robusto e giuridicamente vincolante che regoli il commercio internazionale delle armi convenzionali, al fine di prevenire e combattere la diversione di tali armi verso destinatari non autorizzati (a cominciare dai cosiddetti Non-State Actors nell'eventualità che possano servire a commettere atti di terrorismo o attività criminali), oltre che a prevenire l'accesso agli armamenti da parte di paesi oggetto di embarghi ONU o ritenuti responsabili di significative violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario. Attraverso l'ATT, si intende così promuovere un'azione di contrasto al commercio illecito di armi a livello globale, fornendo un contributo tangibile alla promozione della pace e della sicurezza internazionale.
      Nel corso del 2011 si sono svolte due sessioni del comitato preparatorio della conferenza diplomatica che, nel luglio 2012, dovrà negoziare il trattato, sulla base del mandato approvato con la Risoluzione 64/48 adottata nel 2009 dall'Assemblea generale delle Nazioni unite. L'Italia ha partecipato attivamente alle riunioni del comitato preparatorio fornendo il proprio contributo alla discussione, di concerto con i partners europei e in linea con la tradizionale attenzione del nostro Paese sul tema del commercio internazionale delle armi convenzionali.
      In tale sede è emerso che alcuni elementi non sono considerati accettabili dall'Unione europea (ad esempio, una definizione di «munizioni» ritenuta limitativa), mentre altri richiedono ulteriore chiarimento e affinamento (gli aspetti relativi al reporting, la parte istituzionale, gli aspetti finanziari).
      Per quanto riguarda l'ambito di applicazione del trattato, l'Italia insieme ai Paesi dell'Unione europea sostiene l'inclusione delle sette categorie del registro ONU delle armi convenzionali, più le armi leggere e di piccolo calibro (SALW) e le munizioni (cosiddetto criterio 7+1+1).
      Quanto alle esportazioni, le autorizzazioni per armi leggere e di piccolo calibro concesse dal Governo in base al dettato della legge n.  110 del 1975, sono rispondenti alla normativa internazionale, in particolare in materia di embarghi e misure restrittive adottate in ambito Nazioni unite ed Unione europea.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Marta Dassù.


      EVANGELISTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          si apprende dall’Espresso (sito web 17 novembre 2011) che prima di lasciare le funzioni di Ministro, Brunetta abbia nominato al vertice di un fantomatico Formez-bis (non già il glorioso FormezPa da decenni impegnato nella selezione manageriale e nel sostegno alle amministrazioni pubbliche nella formazione e nell'edificazioni delle best practices) l'ex sindaco di Ravello, Secondo Amalfitano, il cui unico merito pare essere quello di aver celebrato le nozze dell'ex Ministro  –:
          se non si intenda svolgere proprie e nuove valutazioni sulla situazione dei «due» Formez;
          se non si intenda sciogliere immediatamente il «secondo» e revocare la nomina del signor Secondo Amalfitano.
(4-14307)

      Risposta. — Con l'atto in esame l'interrogante – preso atto di quanto riportato dal settimanale l'Espresso relativamente alla nomina del dottor Amalfitano quale presidente di FormezItalia Spa – chiede al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione valutazioni in ordine alla coesistenza di Formez PA e di FormezItalia Spa, nonché in ordine all'utilità istituzionale di quest'ultima.
      A tal riguardo, si rappresenta quanto segue.
      In via preliminare, si segnala che con il decreto legislativo 25 gennaio 2010 n.  6 si è concluso il processo di riorganizzazione e rinnovamento del Formez in conformità agli obiettivi previsti dall'articolo 24 della legge 18 giugno 2009, n.69, recante «Riorganizzazione del Centro Nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione, del Cento di formazione studi e della scuola superiore della pubblica amministrazione», in base al quale il governo è stato delegato ad adottare i decreti legislativi di riassetto normativo finalizzati a realizzare un sistema unitario di interventi nel campo della formazione dei pubblici dipendenti, della riqualificazione del lavoro pubblico, dell'aumento della sua produttività, del miglioramento delle prestazioni delle pubbliche amministrazioni e della qualità dei servizi erogati ai cittadini e alle imprese, della misurazione dei risultati e dei costi dell'azione pubblica, nonché della digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni.
      In ottemperanza agli obiettivi prefissati, Formez – associazione riconosciuta, con personalità giuridica di diritto privato sottoposta al controllo, alla vigilanza e ai poteri ispettivi della Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento della funzione pubblica – ha promosso iniziative di valorizzazione delle risorse umane e delle conoscenze acquisite attraverso la costituzione, nel luglio del 2009, di FormezItalia s.p.a. con il precipuo compito di «accompagnare, attraverso la produzione e la diffusione della conoscenza, i processi di trasformazione e di innovazione del sistema amministrativo italiano, secondo il principio di leale collaborazione tra le amministrazioni pubbliche centrali e territoriali in un'ottica di federalismo cooperativo e nella direzione del miglioramento continuo della capacità di rispondere alle domande dei cittadini e delle imprese e dello sviluppo economico ed occupazionale dei territori».
      In tale contesto, al fine di rendere immediatamente operativa la società appena costituita, la direzione della stessa è stata affidata al dottor Secondo Amalfitano, il quale, in precedenza, fra i numerosi incarichi ricoperti, è stato coordinatore nazionale ANCI per i piccoli comuni, componente della Conferenza Stato-città e della Conferenza unificata, membro del comitato di settore per il pubblico impiego e consigliere di amministrazione del medesimo Formez.
      Il citato decreto di riorganizzazione del 2010, nell'articolare la missione del Formez in due macroaree, ha dato facoltà allo stesso, rinominato Formez PA, di organizzare in maniera distinta le proprie attività tra i servizi rivolti ad Amministrazioni e cittadini e la formazione per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Questa seconda missione è stata affidata alla società FormezItalia con il compito specifico di perseguire le seguenti finalità:
          favorire la riqualificazione di nuove professionalità, anche mediante lo svolgimento di corsi/concorsi per l'accesso alle pubbliche amministrazioni, fornendo modelli formativi idonei;
          sperimentare nuove modalità formative;
          gestire piattaforme tecnologiche per l’e-learning e le attività ad esse collegate;
          promuovere l'introduzione di sistemi interni ed esterni di valutazione del personale e delle strutture, finalizzati ad assicurare l'offerta di servizi conformi agli standard internazionali di qualità;
          valutare, su domanda delle pubbliche amministrazioni, la qualità dei servizi e delle offerte formative presentate da soggetti terzi e la loro rispondenza ai requisiti richiesti di volta in volta;
          favorire, attraverso appositi interventi formativi, il percorso di internazionalizzazione delle amministrazioni pubbliche;
          assistere il dipartimento della funzione pubblica nelle attività di coordinamento del sistema formativo pubblico.

          Nel biennio 2010/2011, l'attività di FormezItalia è stata intensa ed articolata, in particolare nel settore del reclutamento dove FormezItalia ha selezionato oltre 250.000 domande di partecipanti a concorsi pubblici assicurando, attraverso modalità definite e certe, lo svolgimento trasparente dell'accesso alle pubbliche amministrazioni (le domande dei candidati sono registrate on-line, i quesiti sono disponibili on-line e sono sorteggiati, in sede d'esame, in presenza degli esaminandi, la correzione avviene in diretta streaming e può essere seguita da tutti i candidati).
      Formezitalia, inoltre, ha rivisitato – in collaborazione con la «SDA-Bocconi School of Management» – il modello formativo denominato «Riqualificazione PA – RIPAM», rimodulandolo nel progetto «Vinca il migliore». Il 10 maggio 2010, è stato difatti siglato un protocollo d'intesa tra il Ministro per la pubblica amministrazione, il presidente di FormezItalia s.p.a. e il consigliere delegato della SDA-Bocconi finalizzato all'individuazione di metodi e strumenti innovativi per la selezione e il reclutamento del personale delle pubbliche amministrazioni, attraverso analisi e studi comparati dei casi di eccellenza riscontrabili a livello internazionale nel campo della selezione del personale pubblico, nonché per l'individuazione di specifici standard di qualità da mettere a confronto con quelli realizzati in Italia. Il progetto «Vinca il migliore» mira a sfruttare al massimo strumenti quali l'accesso on-line dei documenti amministrativi, e-recruitment ed e-learning.
      L'attività posta in essere da FormezItalia consente alle amministrazioni una rilevante riduzione dei costi, dei ricorsi e dei tempi di realizzazione dei concorsi con economie di scala considerevoli.
      Da quanto dedotto, emerge come FormezItalia s.p.a. non costituisce mera duplicazione di Formez PA, ma risulta, piuttosto, un'articolazione di tale istituto dotata di una propria «missione», volta al sostegno e al rinnovamento del settore della formazione e della riqualificazione del personale dipendente delle pubbliche amministrazioni. In tal senso, nel prossimo biennio, l'azione di FormezItalia sarà orientata a valorizzare ulteriormente il ruolo della formazione nei processi di riqualificazione dei dipendenti pubblici e a innovare i processi di selezione, reclutamento e gestione delle risorse umane; il tutto accompagnando le amministrazioni nella fase di avvio del federalismo, potenziando i servizi diretti ai cittadini, sostenendo le politiche di semplificazione e i processi di internazionalizzazione delle pubbliche amministrazioni.
      Per quanto riguarda la formazione, nelle linee strategiche prefissate per i prossimi anni, sono indicate le seguenti priorità:
          predisporre modelli formativi idonei a favorire la qualificazione del personale delle amministrazioni regionali e locali per l'acquisizione di nuove professionalità, anche mediante l'organizzazione di corsi-concorso per l'accesso;
          assistere il dipartimento della funzione pubblica nelle attività di coordinamento del sistema formativo pubblico;
          formare il personale delle pubbliche amministrazioni al miglioramento delle proprie performance e prestazione di servizi al cittadino, con particolare riferimento alla qualità della comunicazione pubblica e istituzionale;
          sostenere lo sviluppo e la riqualificazione dei sistemi formativi a livello regionale e locale, nel quadro della riforma della contrattazione integrativa decentrata;
          promuovere la realizzazione di interventi formativi rivolti ai dirigenti e ai dipendenti delle amministrazioni regionali e locali per diffondere principi e contenuti delle riforme in materia di pubblica amministrazione;
          sperimentare metodologie didattiche innovative, anche attraverso l'utilizzo di nuove tecnologie;
          favorire, tramite la creazione e/o animazione di comunità e forum on-line, lo scambio di buone prassi nel campo della selezione e formazione del personale e della gestione delle risorse umane.

      Le linee strategiche illustrate hanno lo scopo di delineare (in forma più o meno compiuta in considerazione dello stato di avanzamento della programmazione operativa) le modalità attraverso le quali FormezItalia intende dare attuazione, nel prossimo futuro, agli indirizzi ricevuti, declinandoli in attività progettuali in ragione del quadro istituzionale, delle risorse disponibili e delle esigenze delle amministrazioni e dei territori.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione: Filippo Patroni Griffi.


      EVANGELISTI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          si prospetta il licenziamento di dipendenti e collaboratori, quando non addirittura la sua chiusura, per l'Istituto agronomico per l'oltremare (IAO) di Firenze, organo di assistenza tecnica e consulenza nell'ambito delle scienze agrarie e della cooperazione internazionale del Ministero degli affari esteri;
          l'IAO, fondato nel 1904 a Firenze da un gruppo di agronomi e tropicalisti italiani, con il nome di «Istituto Agricolo Coloniale Italiano» (IACI), per promuovere lo studio dell'ambiente e dell'agricoltura tropicale e per realizzare opera di formazione in campo agricolo, vanta una storia e un patrimonio di competenze altamente qualificate;
          oggi, risulta essere fortemente a rischio chiusura a causa di tagli alle risorse: nel 2012 infatti sono previsti tagli del 44 per cento ai contributi che arrivano dal Ministero. In totale 540 mila euro in meno per stipendi, Irap e contributi e 300 mila euro in meno per le spese del funzionamento dell'Istituto stesso; si parla già dell'impossibilità di pagare gli stipendi dei 25 tra dirigenti e dipendenti e dei 20 collaboratori a progetto per l'anno 2012;
          l'IAO ha diversi progetti in attuazione, in Centro America, dove si sta realizzando una rete regionale per l'appoggio alle associazioni dei piccoli produttori di caffè; in Etiopia, dove gli esperti stanno formando la popolazione locale per il potenziamento delle filiere agricole; nei territori autonomi palestinesi, con il progetto pilota per la produzione di olio di oliva di qualità in Cisgiordania;
          inoltre, l'ente ha rapporti con l'università di Firenze, organizza due master di primo livello rivolto agli studenti dei paesi in via di sviluppo e per dieci anni, fino alla fine del 2010 ha proficuamente collaborato con il settore attività internazionali della regione Toscana. Nel 2009 è stato inserito nel decreto cosiddetto salva-enti dal Ministro degli affari esteri pro-tempore Franco Frattini; nel febbraio 2011 è stato riorganizzato e i dipendenti sono passati dai 45 del 2008 ai 25 di oggi; forte è la preoccupazione per la posizione dei dipendenti che rischiano di essere mandati in mobilità e per i collaboratori a progetto per i quali non si prospetta altro che il licenziamento  –:
          come siano state definite le modalità del concorso in particolare nell'area amministrativa e per quale motivo in tale situazione l'Istituto abbia portato avanti un concorso pubblico per l'assunzione di altre 5 persone senza avere finanziamenti adeguati per onorare il pagamento corrente degli stipendi;
          se risulti vero che siano presenti due dirigenti a fronte di un così basso numero di dipendenti, tra cui un direttore generale. (4-14911)

      Risposta. — L'Istituto agronomico per l'oltremare è un importante ente scientifico che il Ministero degli affari esteri sostiene fortemente per l'efficace contributo che esso ha costantemente assicurato alle attività di cooperazione e di ricerca nel settore dell'ambiente e dell'agricoltura tropicale.
      Sotto il profilo giuridico, l'ordinamento dell'Istituto agronomico per l'oltremare è regolato dal decreto del Presidente della Repubblica n.  243, del 29 ottobre 2010. In base a tale decreto, «l'Istituto è dotato di autonomia scientifica, statutaria, organizzativa, amministrativa, contabile e finanziaria, ed è sottoposto all'alta vigilanza e all'alta direzione del Ministero degli affari esteri». Al personale dell'istituto, attualmente costituito da 25 unità e 2 dirigenti su un organico di 37 unità, si applica l'ordinamento relativo allo stato giuridico ed economico del personale del comparto ministeri.
      Per quanto concerne la dotazione finanziaria dell'istituto è opportuno rilevare che, ai sensi dell'articolo 9 del decreto citato, l'istituto si può avvalere – per il conseguimento dei propri fini istituzionali – di varie fonti di finanziamento, ed in particolare:
          «
a) il contributo dello Stato, da determinare annualmente con la legge di approvazione dello stato di previsione della spesa del Ministero degli affari esteri;
          
b) i contributi di amministrazioni ed enti pubblici e privati, nonché di organizzazioni nazionali ed internazionali;
          
c) i redditi dei beni costituenti il proprio patrimonio;
          
d) i proventi derivanti dalle attività di promozione, consulenza e collaborazione con soggetti pubblici e privati, nonché dalla diffusione delle proprie pubblicazioni;
          
e) mediante la costituzione e la partecipazione a società miste con soggetti pubblici e privati, nel rispetto della vigente normativa nazionale e comunitaria».

      Per quanto riguarda la riduzione dei finanziamenti della cooperazione allo sviluppo della farnesina a favore dell'istituto per il 2012, è possibile rilevare che essi sono la conseguenza dei tagli apportati al bilancio del Ministero degli affari esteri a causa delle note esigenze di risanamento di finanza pubblica. Tali tagli – che in taluni casi hanno ridotto fino al 70 per cento le dotazioni iniziali su alcuni capitoli della cooperazione – hanno reso inevitabile ridurre del 43,5 per cento gli stanziamenti originariamente previsti per il 2012 per la tipologia di enti in cui rientra l'Istituto agronomico per l'oltremare.
      Alla luce di tale riduzione l'Istituto agronomico per l'oltremare è stato invitato a proporre un piano di rimodulazione e razionalizzazione del bilancio, tenendo conto in primo luogo dell'esigenza di coprire le spese non comprimibili, ed
in primis gli emolumenti al personale. Il piano di contenimento finora presentato è tuttavia risultato non ancora in linea con le attuali disponibilità finanziarie dell'ente. Anche in occasione di recenti riunioni svoltesi presso il Ministero degli affari esteri, nel quadro del costante dialogo mantenuto con l'istituto, il vertice amministrativo dell'ente è stato pertanto invitato a formulare ulteriori proposte di rimodulazione del bilancio.
      Sul concorso bandito dall'istituto per l'assunzione di cinque nuove unità di personale, si segnala che la relativa autorizzazione è stata disposta dal decreto del Presidente della Repubblica del 28 agosto 2009. Al riguardo il Ministero dell'economia e delle finanze ha garantito idonea copertura per le spese di assunzione per il solo 2012. Ad ogni buon conto, il Ministero degli affari esteri ha quindi invitato la dirigenza dell'istituto ad individuare opzioni alternative che siano compatibili con l'attuale bilancio dell'ente e con l'esigenza di evitare rischi debitori.
      In considerazione dell'importanza che riveste l'Istituto agronomico per l'oltremare, la farnesina si è attivata per cercare di fare in modo che possano essere assegnati finanziamenti integrativi al bilancio dell'ente, pur nella consapevolezza dell'attuale delicata congiuntura di finanza pubblica. A tal fine il Ministro degli affari esteri Terzi ha recentemente inviato una lettera al Vice Ministro dell'economia e delle finanze Grilli, sottolineando l'auspicio di un'integrazione di fondi a favore dell'Istituto agronomico per l'oltremare.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Marta Dassù.


      FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'agenzia ANSA il 12 gennaio 2011 ha riferito della morte a Capri di un operaio, il signor Raffaele Buonocore, deceduto mentre lavorava in un cantiere edile abusivo dell'isola;
          secondo le prime informazioni disponibili il decesso sembra essere avvenuto nella tarda mattinata, in seguito ad un malore avvenuto nel cantiere;
          Buonocore con un'auto privata sarebbe stato portato al Pronto soccorso dell'ospedale, dove i sanitari non hanno potuto fare altro che constatarne la morte, apparentemente dovuta ad arresto cardiocircolatorio;
          le forze dell'ordine, intervenute sul posto, hanno accertato che Buonocore lavorava «in nero»  –:
          di quali elementi disponga in merito all'esatta dinamica del decesso del signor Buonocore e se effettivamente stesse lavorando «in nero» e in un cantiere abusivo;
          quali iniziative, nell'ambito delle proprie prerogative e facoltà, intenda intraprendere a fronte di un fenomeno, quello degli incidenti sul lavoro, spesso mortali, che ogni anno assume una dimensione che non è esagerato definire una strage. (4-10368)

      Risposta. — L'interrogazione in esame si riferisce all'infortunio sul lavoro occorso al signor Raffaele Buonocore, dipendente, con la qualifica di operaio generico, della società edile ENNE. A. Costruzioni srl, con sede in Capri.
      Nel rispondere al primo quesito, ci si limiterà in questa sede a riportare gli elementi informativi acquisiti presso la direzione territoriale del lavoro di Napoli nonché quelli forniti dall'INAIL.
      Il giorno 12 gennaio 2011, il signor Buonocore si trovava, insieme ad altri colleghi, presso una privata abitazione dove la società ENNE. A. Costruzioni srl aveva in corso lavori di manutenzione ordinaria.
      Secondo quanto è stato riferito dai colleghi, intorno alle ore 9:50, mentre era intento al trasporto a spalla di alcune casse di plastica (contenenti materiali di risulta del peso di circa 15/20 chilogrammi) sulla copertura della casa, il signor Buonocore iniziava ad accusare un malore tale da accasciarsi a terra.
      Soccorso dai colleghi, il lavoratore veniva trasportato immediatamente presso l'ospedale civile di Capri dove i medici non hanno potuto fare altro che costatarne la morte per arresto cardiocircolatorio. La salma, su disposizione dell'autorità giudiziaria, veniva trasferita presso il policlinico di Napoli per l'esame autoptico.
      Nel corso degli accertamenti compiuti, in qualità di organo di polizia giudiziaria, dalla competente ASL è emerso che il cantiere dove si svolgevano i lavori era abusivo e che il signor Buonocore non era regolarmente inquadrato presso la ENNE. A. Costruzioni srl.
      La procura della Repubblica presso il tribunale di Napoli ha reso noto di aver avviato un procedimento penale nei confronti del legale rappresentante, nonché datore di lavoro, della società ENNE. A. Costruzioni srl.
      Per quanto riguarda l'erogazione delle prestazioni di legge, in data 13 aprile 2011, la competente sede INAIL ha reso noto di aver provveduto al pagamento dell'assegno funerario nonché alla costituzione della rendita ai superstiti. La medesima sede ha inoltre comunicato di aver provveduto ad erogare il beneficio a carico del fondo per le vittime di gravi incidenti sul lavoro.
      Nel rispondere all'ultimo quesito posto nell'interrogazione in esame, occorre precisare che il tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali costituisce obiettivo strategico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'INAIL, nell'ottica del tendenziale azzeramento del fenomeno infortunistico e tecnopatico.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, infatti, intende perseguire la promozione di comportamenti rispettosi delle norme di legge applicabili in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed efficaci in funzione prevenzionistica, sia completando l'attuazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81 (Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro) e successive modificazioni e integrazioni, sia favorendo ogni iniziativa promozionale idonea a determinare un accrescimento delle conoscenze in materia di salute e sicurezza nelle aziende, nei lavoratori e negli studenti, con particolare attenzione all'aspetto della formazione.
      In relazione allo specifico e gravissimo problema degli infortuni sul lavoro si rende necessario intervenire sulla formazione – informazione dei lavoratori e delle imprese, nonché sulla prevenzione e sul rafforzamento dei controlli da parte degli enti preposti, al fine di promuovere una consapevolezza sempre più ampia sulle esigenze della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è attivamente impegnato su tali fronti, nell'intento precipuo di favorire il dialogo e la collaborazione fra tutti i soggetti interessati, istituzionali e sociali, al fine di ridurre gli incidenti e le malattie professionali e la diffusione di sempre più elevati
standards di sicurezza nei luoghi di lavoro. L'esistenza in concreto di una efficace strategia di contrasto al fenomeno infortunistico non passa solo attraverso il completamento, mediante le fonti di rango secondario previste dal decreto legislativo n.  81 del 2008, del quadro giuridico di riferimento ma anche attraverso la realizzazione di una serie di azioni pubbliche e private dirette a migliorare la prevenzione e i livelli di tutela in tutti gli ambienti di lavoro.
      Per tale ragione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta attivando ogni possibile sinergia con soggetti pubblici e privati, al fine di migliorare «l'impatto» delle rispettive attività in termini di efficacia.
      In tale ottica si colloca, ad esempio, la definizione, con accordo in conferenza Stato-regioni del 20 novembre 2008, dei criteri di impiego e l'attivazione delle somme (pari a 50 milioni di euro) di cui all'articolo 11, comma 7, del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, da destinare in favore di attività promozionali della salute e sicurezza, tra le quali una campagna di comunicazione (per complessivi 20 milioni di euro) sulla salute e sicurezza sul lavoro ed attività di formazione su base regionale (per complessivi 30 milioni di euro).
      Con il decreto correttivo n.  106 del 2009 si è poi consentito il superamento delle difficoltà operative da più parti evidenziate nel corso dei primi mesi di applicazione del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, perfezionando, in tal modo, il quadro normativo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e rendendolo, oltre che pienamente coerente con le normative internazionali e comunitarie in materia, idoneo a costituire il fondamento giuridico della strategia di contrasto al fenomeno infortunistico.
      L'imprescindibile finalità delle misure varate resta quella di rendere maggiormente effettiva la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro secondo linee di azione consistenti, tra l'altro, nel miglioramento dell'efficacia dell'apparato sanzionatorio al fine precipuo di assicurare una migliore corrispondenza tra infrazioni e sanzioni.
      A tale scopo si tiene conto dei compiti effettivamente svolti da ciascun attore della sicurezza, favorendo l'utilizzo di procedure di estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi mediante regolarizzazione da parte del soggetto inadempiente. La sanzione penale è riservata ai soli casi di violazione delle disposizioni sostanziali e non di quelle meramente formali (come, ad esempio, la trasmissione di documentazione, notifiche, eccetera).
      Tutti gli interventi proposti garantiscono, in ogni caso, il rispetto dei livelli di tutela oggi assicurati ai lavoratori e alle loro rappresentanze in qualsiasi ambiente di lavoro e in tutto il territorio nazionale nonché l'equilibrio delle competenze tra lo Stato e le Regioni in materia.
      Il risultato finale dell'intervento legislativo di riforma potrà comunque compiutamente apprezzarsi una volta che verrà completata l'emanazione di provvedimenti attuativi del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, di grande rilevanza e impatto sulle aziende e sui lavoratori.
      Molte delle iniziative dirette alla attuazione delle disposizioni del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro sono devolute dal legislatore alla commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro (ex articolo 6 del decreto legislativo n.  81 del 2008), composta, in maniera paritaria e tripartita, da rappresentanti delle amministrazioni pubbliche centrali competenti in materia, delle regioni, dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro.
      Ricostituita con decreto ministeriale del 3 dicembre 2008, la commissione ha costituito al suo interno nove gruppi «tecnici» di lavoro, nei quali è garantita la presenza paritetica di rappresentanti delle amministrazioni pubbliche (comprese le regioni) e delle parti sociali, per affrontare, in tali sedi, gli argomenti attribuiti dalla legge alla commissione (ad esempio, l'elaborazione di linee metodologiche per la valutazione dello
stress lavoro-correlato, l'individuazione delle regole di funzionamento della cosiddetta «patente a punti» per gli edili) e per i quali si prevedono attività finalizzate alla attuazione del Testo unico in materia della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
      Tali gruppi si sono regolarmente insediati e svolgono con continuità le attività ad essi attribuiti. All'esito delle attività istruttorie compiute in tali consessi, sono stati elaborati documenti di notevole importanza per gli operatori della salute e sicurezza sul lavoro e altri sono di prossima emanazione.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha completato talune ulteriori attività previste dal decreto legislativo n.  81 del 2008, tra le quali occorre ricordare:
          la predisposizione, in data 17 novembre 2010, delle indicazioni per la valutazione dello
stress lavoro-correlato (articolo 28, comma 1-bis, del «Testo unico») da parte della commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro, con avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.  304 del 30 dicembre;
          la pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale n.  159 dell'11 luglio 2011 del decreto interdipartimentale del 13 aprile 2011, recante: «Disposizioni in attuazione dell'articolo 3, comma 3-bis, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81, come modificato ed integrato dal decreto legislativo 3 agosto 2009, n.  106 in materia di salute e sicurezza sul lavoro» che disciplina le particolari modalità di svolgimento delle attività delle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n.  381, delle organizzazioni di volontariato della Protezione civile, compresi i volontari della Croce rossa italiana e del Corpo nazionale soccorso alpini e speleologico, e i volontari dei vigili del fuoco;
          la pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale n.  98 del 29 aprile 2011 – supplemento ordinario n.  111 – del decreto interministeriale dell'11 aprile 2011 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero della salute e con il Ministero dello sviluppo economico, che disciplina le modalità di effettuazione delle verifiche periodiche di cui all'allegato VII del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81, nonché i criteri per l'abilitazione dei soggetti di cui all'articolo 71, comma 13, del medesimo decreto legislativo;
          la pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale n.  83 dell'11 aprile 2011 del decreto del 4 febbraio 2011 «Lavori su impianti elettrici ad alta tensione» del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro della salute, che definisce i criteri per il rilascio delle autorizzazioni alle aziende che attuano lavori sotto tensione, in attuazione dell'articolo 82, comma 2, del decreto legislativo n.  81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni;
          l'istituzione, con decreto interministeriale del 27 maggio 2011 (pubblicato sul Bollettino ufficiale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n.  6 del 30 giugno 2011), del comitato consultivo per la determinazione e l'aggiornamento dei valori limite di esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici previsto dall'articolo 232, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81 e successive modificazioni e integrazioni.

      Da rilevare, poi, l'approvazione nella conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano del 21 dicembre 2011 del decreto interministeriale per la costituzione e la regolamentazione del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP), redatto con il costante coinvolgimento del soggetto gestore del trattamento dei relativi dati (INAIL) e delle regioni.
      Nella medesima conferenza si sono, inoltre, perfezionati gli accordi concernenti gli articoli 34 e 37 del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro che disciplinano, rispettivamente, la formazione del datore di lavoro, che svolge in proprio i compiti di prevenzione e protezione, e la formazione dei lavoratori, preposti e dirigenti. Tali accordi sono stati pubblicati nella
Gazzetta Ufficiale n.  8 dell'11 gennaio 2012.
      In ordine alle iniziative in materia di lavorazioni in «ambienti confinati», si evidenzia che nella
Gazzetta Ufficiale n.  260 dell'8 novembre scorso è stato pubblicato il decreto del Presidente della Repubblica n.  177 del 14 settembre 2011 recante: «Norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati», a norma dell'articolo 6, comma 8, lettera g) del decreto legislativo n.  81 del 2008.
      Il decreto è frutto di un lavoro che ha coinvolto Stato, regioni e parti sociali nell'intento, da tutti condiviso, di predisporre misure innovative ed efficaci a contrasto al fenomeno degli infortuni, gravissimi per numero e drammatici per modalità, verificatisi, negli ultimi anni, nei lavori in ambienti cosiddetti «confinati», quali silos, cisterne e simili.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali persegue l'obiettivo della riduzione del fenomeno infortunistico anche rafforzando l'efficacia delle attività di vigilanza sui luoghi di lavoro di propria competenza. In tali ambiti, ed in primo luogo nell'edilizia, è stata da tempo fornita alle strutture amministrative di riferimento l'indicazione di realizzare, innanzitutto, le attività dirette a perseguire le violazioni in materia di salute e sicurezza più gravi, in quanto in grado di mettere in pericolo le vite dei lavoratori. Tale impostazione ha consentito di raggiungere risultati molto soddisfacenti.
      Infine, va ricordato come il Ministero del lavoro e delle politiche sociali abbia predisposto e messo a disposizione dell'utenza una sezione del sito
internet specificamente dedicata alla diffusione di notizie e pubblicazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
      Tutto quanto sin qui esposto consente di affermare come la riforma delle regole volte a tutelare la salute e sicurezza sul lavoro abbia fornito l'Italia di un sistema di regole moderno e sistematicamente coeso, suscitando un interesse, finalmente non più solo specialistico, sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro che costituisce, a sua volta, un importante punto di partenza per l'abbattimento del numero e della gravità degli infortuni.

Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — AI Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il 28 luglio 2011 un operaio di Capistrello (L'Aquila), il signor Vittorio Moretti, è deceduto in un incidente sul lavoro, avvenuto nella galleria della variante di Saint-Oyen, sulla statale 26 del Gran Bernardo, in Valle d'Aosta;
          dai primi elementi disponibili risulta che l'operaio è caduto all'indietro da un'impalcatura alta pochi metri, ma con il capo avrebbe picchiato violentemente contro dei tubi ammassati al suolo, riportando un grave trauma cranico  –:
          di quali elementi disponga in merito alla dinamica dell'incidente;
          se siano state rispettate le normative previste sulla sicurezza del lavoro;
          quali iniziative si intendano promuovere o adottare in relazione a vicende come quella sopra segnalata, che per dimensioni – dall'inizio dell'anno risultano essere decedute almeno 300 persone per incidenti sul lavoro, 508.668 sono stati gli infortuni, 1.201 gli invalidi – assume i connotati di quella che non è esagerato definire una strage. (4-12894)

      Risposta. — L'interrogazione in esame concerne l'infortunio occorso al signor Vittorio Moretti mentre era impegnato, presso l'abitato di Saint-Oyen in provincia di Aosta, nei lavori di costruzione della variante alla strada statale n.  27 del Gran San Bernardo.
      Nel rispondere ai primi due quesiti, ci si limiterà, in questa sede, a riportare gli elementi informativi acquisti presso la direzione territoriale del lavoro competente nonché quelli forniti dall'INAIL.
      Da tali elementi è emerso che, la mattina del 22 luglio 2011, nel cantiere di Saint-Oyen, quattro operai della società Lauro s.r.l. di Borgosesia (Vicenza), fra cui anche il signor Moretti, stavano provvedendo alle operazioni di scarico di un autoarticolato carico di tondini di ferro lunghi 12 metri, con l'aiuto di un escavatore e di una macchina operatrice dotata di forche. Le operazioni di scarico consistevano nell'imbracare con una catena di ferro i fasci di tondini, agganciarli e sollevarli con l'escavatore, il quale, dopo averli ruotati, li depositava a terra.
      Il signor Moretti aveva il compito di sganciare la catena dall'escavatore e riagganciarla all'altra macchina operatrice che trascinava ed ammucchiava i fasci di tondini in un'area di deposito presso il bordo della strada di accesso al cantiere.
      Dalle dichiarazioni raccolte sembra che il signor Moretti, perdendo l'equilibrio, sia caduto all'indietro su un fascio di tondini già deposti a terra, battendo violentemente la nuca.
      Il lavoratore veniva immediatamente soccorso dai colleghi che provvedevano a chiamare il 118; i sanitari, giunti sul luogo dell'incidente con un elicottero, constatavano il decesso del signor Moretti a causa delle gravissime lesioni.
      Sul luogo dell'evento sono intervenuti anche i funzionari del servizio di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro dell'ASL di Aosta e i Carabinieri della vicina stazione di Eutrobles che hanno proceduto al sequestro di mezzi e materiali nel cantiere.
      Sulle cause dell'incidente è stata aperta un'inchiesta da parte della procura presso il tribunale di Aosta al fine di accertare eventuali responsabilità di terzi.
      Per quanto riguarda l'erogazione delle prestazioni conseguenti all'infortunio, la sede INAIL competente, in base alle risultanze istruttorie, ha provveduto alla costituzione della rendita a superstiti ed alla corresponsione dell'assegno funerario, ai sensi dell'articolo 85 del testo unico 1124 del 1965, oltre alla concessione del beneficio a carico del fondo per le vittime di gravi incidenti sul lavoro.
      Nel rispondere all'ultimo quesito posto nell'interrogazione in esame, occorre precisare che il tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali costituisce obiettivo strategico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'INAIL, nell'ottica del tendenziale azzeramento del fenomeno infortunistico e tecnopatico.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, infatti, intende perseguire la promozione di comportamenti rispettosi delle norme di legge applicabili in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed efficaci in funzione prevenzionistica, sia completando l'attuazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81
(Testo Unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro) e successive modificazioni e integrazioni, sia favorendo ogni iniziativa promozionale idonea a determinare un accrescimento delle conoscenze in materia di salute e sicurezza da parte delle aziende, dei lavoratori e degli studenti, con particolare attenzione all'aspetto della formazione.
      In relazione allo specifico e gravissimo problema degli infortuni sul lavoro si rende necessario intervenire sulla formazione-informazione dei lavoratori e delle imprese, nonché sulla prevenzione e sul rafforzamento dei controlli da parte degli enti preposti, al fine di promuovere una consapevolezza sempre più ampia sulle esigenze della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è attivamente impegnato su tali fronti, nell'intento precipuo di favorire il dialogo e la collaborazione fra tutti i soggetti interessati, istituzionali e sociali, al fine di ridurre gli incidenti e le malattie professionali e la diffusione di sempre più elevati
standards di sicurezza nei luoghi di lavoro.
      L'esistenza in concreto di una efficace strategia di contrasto al fenomeno infortunistico non passa solo attraverso il completamento, mediante fonti di rango secondario previste dal decreto legislativo n.  81 del 2008, del quadro giuridico di riferimento, ma anche attraverso la realizzazione di una serie di azioni pubbliche e private dirette a migliorare la prevenzione e i livelli di tutela in tutti gli ambienti di lavoro.
      Per tale ragione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta attivando ogni possibile sinergia con soggetti pubblici e privati, al fine di migliorare «l'impatto» delle rispettive attività in termini di efficacia.
      In tale ottica, si colloca, ad esempio, la definizione, con accordo in conferenza Stato-regioni del 20 novembre 2008, dei criteri di impiego e l'attivazione delle somme (pari a 50 milioni di euro) di cui all'articolo 11, comma 7, del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, da destinare in favore di attività promozionali della salute e sicurezza, tra le quali una campagna di comunicazione (per complessivi 20 milioni di euro) sulla salute e sicurezza sul lavoro ed attività di formazione su base regionale (per complessivi 30 milioni di euro). Tali somme sono state regolarmente impegnate e sono a disposizione per le relative attività.
      Con il decreto n.  106 del 2009 (cosiddetto «correttivo al Testo unico») si è poi consentito il superamento delle difficoltà operative da più parti evidenziate nel corso dei primi mesi di applicazione del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, perfezionando, in tal modo, il quadro normativo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e rendendolo, oltre che pienamente coerente con le normative internazionali e comunitarie in materia, idoneo a costituire il fondamento giuridico della strategia di contrasto al fenomeno infortunistico.
      Occorre, tuttavia, precisare al riguardo che è attualmente pendente una procedura (n.  2010/4227) per la presunta difformità di alcune previsioni del decreto legislativo n.  106 del 2009 rispetto alle disposizioni della direttiva CE n.  89/391.
      L'imprescindibile finalità delle misure varate resta quella di rendere maggiormente effettiva la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro secondo linee di azione consistenti, tra l'altro, nel miglioramento dell'efficacia dell'apparato sanzionatorio al fine di assicurare una migliore corrispondenza tra inflazioni e sanzioni.
      A tale scopo, si tiene conto dei compiti effettivamente svolti da ciascun attore della sicurezza, favorendo l'utilizzo di procedure di estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi mediante regolarizzazione da parte del soggetto inadempiente. La sanzione penale è riservata ai soli casi di violazione delle disposizioni sostanziali e non di quelle meramente formali (come, ad esempio, la trasmissione di documentazione, notifiche, ecc.).
      Tutti gli interventi proposti garantiscono, in ogni caso, il rispetto dei livelli di tutela oggi assicurati ai lavoratori e alle loro rappresentanze in qualsiasi ambiente di lavoro e in tutto il territorio nazionale nonché l'equilibrio delle competenze tra lo Stato e le regioni in materia.
      Il risultato finale dell'intervento legislativo di riforma potrà comunque compiutamente apprezzarsi una volta che verrà completata l'emanazione di provvedimenti attuativi del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, di grande rilevanza e impatto sulle aziende e sui lavoratori.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali persegue l'obiettivo della riduzione del fenomeno infortunistico anche tramite le attività di vigilanza sui luoghi di lavoro di propria competenza. In tali ambiti, ed in primo luogo nell'edilizia, è stata da tempo fornita alle strutture amministrative di riferimento l'indicazione di realizzare, innanzitutto, le attività dirette a perseguire le violazioni in materia di salute e sicurezza più gravi, in quanto in grado di mettere in pericolo le vite dei lavoratori. Tale impostazione ha consentito di raggiungere risultati molto soddisfacenti.
      Molte delle iniziative dirette all'attuazione delle disposizioni del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro sono devolute dal legislatore alla commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro (
ex articolo 6 del decreto legislativo n.  81 del 2008), composta, in maniera paritaria e tripartita, da rappresentanti delle amministrazioni pubbliche centrali competenti in materia, delle regioni, dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro.
      Ricostituita con decreto ministeriale del 3 dicembre 2008, la commissione ha costituito al suo interno nove gruppi «tecnici» di lavoro, nei quali è garantita la presenza paritetica di rappresentanti delle amministrazioni pubbliche (comprese le regioni) e delle parti sociali, per affrontare, in tali sedi, gli argomenti attribuiti dalla legge alla commissione (ad esempio, l'elaborazione di linee metodologiche per la valutazione dello stress lavoro-correlato, l'individuazione delle regole di funzionamento della cosiddetta «patente a punti» per gli edili) e per i quali si prevedono attività finalizzate all'attuazione del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
      Tali gruppi si sono regolarmente insediati e svolgono con continuità le attività ad essi attribuite. All'esito delle attività istruttorie compiute in tali consessi, sono stati elaborati documenti di notevole importanza per gli operatori della salute e sicurezza sul lavoro e altri sono di prossima emanazione.
      A titolo di esempio si citano: 1) le indicazioni per la valutazione dello stress lavoro-correlato (articolo 28, comma 1-
bis, del «testo unico»), divulgate tramite lettera circolare del Ministero del lavoro del 18 novembre, sul sito istituzionale di questo Ministero e, infine, pubblicate nella Gazzetta ufficiale n.  304 dello scorso 30 dicembre 2010; 2) il modello per la presentazione delle «buone prassi» alla commissione consultiva per la loro validazione (ai sensi degli articoli 2 e 6 del «testo unico» di salute e sicurezza sul lavoro), approvato dalla commissione consultiva nella riunione del 20 ottobre 2010 e subito messo a disposizione dell'utenza presso il sito del Ministero del lavoro, sezione «sicurezza nel lavoro»; 3) l'approvazione di un documento sulla presentazione delle «buone prassi» a tutela delle «differenze di genere» in materia di salute e sicurezza alla riunione del 21 settembre 2011, ai fini della loro validazione.
      In particolare, un comitato è stato chiamato a dare attuazione al cosiddetto «sistema di qualificazione» delle imprese, il quale ha lo scopo di individuare, in determinati settori, quali imprese possano operare e a quali condizioni, con riferimento a elementi relativi alla salute e sicurezza sul lavoro.
      Tale sistema, che si realizzerà per mezzo del decreto del Presidente della Repubblica di cui agli articoli 6 e 27 del «Testo unico», verrà attuato nel settore edile per mezzo della attivazione della cosiddetta «patente a punti» mentre altri settori debbono essere individuati dalla citata commissione consultiva, la quale sta procedendo in tal senso. A tale scopo la commissione consultiva ha ampiamente discusso sul tema, oltre che in un comitato
ad hoc, direttamente in plenaria in due riunioni straordinarie (non tenutesi, tuttavia, per difetto del numero legale) in data 2 e 9 novembre e nella riunione del 23 novembre 2011. Nel corso dell'ultima riunione, tenutasi in data 17 gennaio 2012, del «comitato qualificazione» si è convenuto di procedere, in tempi limitati alla approvazione e inoltro alla commissione consultiva di un documento sui settori e criteri della qualificazione delle imprese, il cui contenuto, una volta approvato dalla commissione consultiva, venga recepito nel decreto del Presidente della Repubblica di cui agli articoli 27 e 6 del «testo unico» di salute e sicurezza sul lavoro. Sempre nella medesima riunione si è, altresì, convenuto che subito dopo tale approvazione si procederà allo stesso modo – con separato documento – per la individuazione delle procedure di funzionamento della «patente a punti» in edilizia.
      Tra i provvedimenti frutto delle attività della commissione consultiva va segnalata la piena condivisione, in tale contesto, dei contenuti del decreto del Presidente della Repubblica n.  177 del 2011, il quale ha inserito le attività per le quali dovrà operare il sistema di qualificazione delle imprese quelle lavorazioni che si svolgano in ambienti «confinati», quali silos, cisterne e simili, nei quali negli ultimi anni sono accadute vere e proprie stragi sul lavoro.
      Il provvedimento in parola, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale, serie generale, n.  260, dell'8 novembre 2011, e in vigore dal 23 novembre 2011, prevede un notevole innalzamento del livello dei requisiti organizzativi e professionali degli operatori in tali contesti impedendo che lavorazioni così complesse e pericolose possano essere svolte da soggetti non adeguatamente formati, addestrati e informativi in ordine ai rischi delle lavorazioni negli «ambienti confinati».
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha completato o sta altresì completando talune ulteriori attività, previste dal decreto legislativo n.  81 del 2008 e successive modifiche e integrazioni al di fuori dei compiti della commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro, tra le quali occorre ricordare:
          l'approvazione, in data 21 dicembre 2011, degli accordi in conferenza Stato-regione sui contenuti e le modalità della formazione del datore di lavoro che intenda svolgere «in proprio» i compiti del servizio di prevenzione e protezione (articolo 34 del «Testo unico») e dei contenuti e delle modalità della formazione dei dirigenti preposti e lavoratori (articolo 37 Testo unico). Tali accordi sono stati pubblicati nella
Gazzetta ufficiale, serie generale, n.  8 dell'11 gennaio 2012;
          la predisposizione del decreto, ai sensi dall'articolo 3, comma 3-
bis, del «Testo unico», che individua la normativa di salute e sicurezza che consideri le «peculiari esigenze» per le società cooperative e per alcune categorie di volontari (Protezione civile, Croce rossa, ecc.). Tale decreto è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale n.  159 dell'11 luglio 2011;
          la pubblicazione (
Gazzetta ufficiale n.  98 del 29 aprile 2011) del decreto, ai sensi dell'articolo 71, comma 13, del «Testo unico», per l'individuazione delle modalità di effettuazione delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro e dei criteri per l'abilitazione dei soggetti pubblici o privati legittimati a realizzare tali verifiche;
          la pubblicazione (
Gazzetta ufficiale n.  83 dell'11 aprile 2011), all'esito di una serie di riunioni tenutesi, nel corso dell'anno 2010, tra i rappresentanti dei Ministeri del lavoro, della salute e dello sviluppo economico e dei rappresentanti delle regioni e dell’ex Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro, del decreto, ai sensi dell'articolo 82, comma 2, del «Testo unico», relativo alle autorizzazioni per i lavori sottotensione;
          la pubblicazione (
Gazzetta ufficiale n.  58 dell'11 marzo 2011) del regolamento sulle modalità di applicazione, in ambito ferroviario, del decreto n.  388 del 2003, ai sensi dell'articolo 45, comma 3, del decreto legislativo n.  81 del 2008 (cosiddetto primo soccorso in ambito ferroviario);
          l'istituzione, con decreto interministeriale del 27 maggio 2011 (pubblicato sul «bollettino ufficiale» del Ministero del lavoro e delle politiche sociali) del comitato consultivo per la determinazione e l'aggiornamento dei valori limite di esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici (previsto dall'articolo 232, comma 1, decreto legislativo n.  81 del 2008 e successive modifiche e integrazioni;
          la prosecuzione dei confronti con i rappresentanti del Ministero delle infrastrutture e le parti sociali interessate, relativi all'attuazione dell'articolo 161, comma 2-
bis, del decreto legislativo n.  81 del 2008, e successive modifiche e integrazioni; tale disposizione, in particolare, prevede la adozione di un decreto interministeriale dedicato alla segnaletica stradale per i cantieri in presenza di traffico veicolare. All'esito di un ampio ed approfondito confronto con il Ministero delle infrastrutture e trasporti, le regioni e le parti sociali, si è provveduto all'elaborazione del relativo schema di decreto, che verrà quanto prima inoltrato alla Conferenza Stato-regioni per il prescritto parere;
          l'approvazione, in data 15 settembre 2011, sotto la supervisione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di un «avviso comune» tra le parti sociali interessate relativo alle semplificazioni nei riguardi dei lavoratori «stagionali» del settore agricolo, ove essi non vengano impiegati per oltre 50 giornate lavorative nell'anno di riferimento (articolo 3, comma 13, decreto legislativo n.  81 del 2008). È stato, quindi, elaborato lo schema di decreto ministeriale chiamato a recepire i contenuti del citato «avviso comune», il quale sta per essere inoltrato ai ministeri concertanti (salute e politiche agricole);
          la predisposizione, in fase molto avanzata, della bozza di accordo Stato-regioni che individuerà le modalità della formazione richiesta per determinate attrezzature di lavoro (macchine agricole, gru etc.), che è stato già oggetto di discussione «in sede tecnica» presso la Conferenza Stato-regioni in data 11 gennaio 2012. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha predisposto tenendo conto degli ultimi elementi di discussione condivisi, in data 11 gennaio, nella citata riunione, lo schema «consolidato» degli accordi inviando i medesimi alla segreteria della conferenza Stato-regioni.
      Da rilevare, poi, l'approvazione, in data 21 dicembre 2011, dalla conferenza Stato-regioni del decreto interministeriale per la costituzione e la regolamentazione del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP), redatto con il costante coinvolgimento del soggetto gestore del trattamento dei relativi dati (INAIL) e con quello delle regioni.
      Tutto quanto sin qui esposto consente di affermare come la riforma delle regole volte a tutelare la salute e sicurezza sul lavoro abbia fornito l'Italia di un sistema di regole moderno e sistematicamente coeso, suscitando un interesse, finalmente non più solo specialistico, sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro che costituisce, a sua volta, un importante punto di partenza per l'abbattimento del numero e della gravità degli infortuni.

Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il 29 luglio 2011 un operaio, il signor Giovanni Politi, ha perso la vita ucciso da un blocco di cemento che lo ha travolto in un cantiere edile di Ugento  –:
          di quali elementi disponga in merito alla dinamica dell'incidente;
          se siano state rispettate le normative previste sulla sicurezza del lavoro;
          quali iniziative si intendano promuovere o adottare in relazione a vicende come quella sopra segnalata, che per dimensioni – dall'inizio dell'anno risultano essere decedute almeno 302 persone per incidenti sul lavoro, 511.497 sono stati gli infortuni, 1.208 gli invalidi – assume i connotati di quella che non è esagerato definire una strage. (4-12910)

      Risposta. — L'interrogazione parlamentare in esame si riferisce all'infortunio sul lavoro occorso al signor Giovanni Colitti (indicato nell'atto parlamentare come signor Giovanni Politi), lavoratore autonomo operante nel settore edile, a decorrere dall'anno 2002.
      Nel rispondere ai primi due quesiti, ci si limiterà, in questa sede, a riportare gli elementi informativi acquisti presso la direzione territoriale del lavoro di Lecce nonché quelli forniti dall'INAIL.
      Il signor Colitti era proprietario, insieme al fratello, titolare di un'impresa edile, di un locale sito in località Uguento (Lecce). Il locale veniva utilizzato da entrambi i fratelli, oltre che come deposito di attrezzature, come luogo di produzione di manufatti in conglomerato cementizio (lastre di cemento).
      Il processo produttivo, in particolare, prevedeva, in una prima fase, la collocazione di una rete metallica in una cassaforma in lamiera dove veniva colato il conglomerato cementizio e, in una seconda fase, lo «sfilaggio» dalla cassaforma dei manufatti realizzati. Questi ultimi venivano successivamente trasportati e posizionati, mediante l'utilizzo di una pala meccanica, in un luogo distante circa 30 metri da quello di produzione.
      Il 29 luglio 2011, alle ore 5:50 circa, il signor Giovanni Colitti si trovava nel locale, accovacciato per terra, intento ad eliminare le sbavature di cemento dalle lastre; nel contempo, un dipendente del fratello provvedeva, alla guida di una pala meccanica, al trasporto e al posizionamento di alcune lastre di cemento nell'apposita area del locale.
      Nel corso di tale operazione, la pala meccanica urtava accidentalmente contro le lastre di cemento già posizionate che, conseguentemente, cadevano sul signor Giovanni Colitti, causandone il decesso per schiacciamento del cranio.
      Sul luogo dell'incidente sono intervenuti prontamente i Carabinieri della locale stazione ed, in qualità di organo di polizia giudiziaria, il servizio di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro (SPESAL) della competente ASL che ha provveduto ad effettuare gli accertamenti del caso.
      Si precisa, comunque, che le cause e circostanze dell'evento nonché l'accertamento di eventuali responsabilità sono tutt'ora al vaglio della competente autorità giudiziaria.
      Per quanto concerne l'erogazione delle prestazioni di legge dovute per l'evento mortale, la competente sede INAIL ha provveduto, sulla base delle risultanze istruttorie, a costituire la rendita ai superstiti in favore del coniuge nonché a corrispondere l'assegno funerario, ai sensi dell'articolo 85 del Testo unico n.  1124 del 1965. La stessa sede ha inoltre provveduto all'erogazione del beneficio a carico del fondo per le vittime di gravi infortuni sul lavoro.
      Nel rispondere all'ultimo quesito posto nell'interrogazione in esame, occorre precisare che il tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali costituisce obiettivo strategico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'INAIL, nell'ottica del tendenziale azzeramento del fenomeno infortunistico e tecnopatico.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, infatti, intende perseguire la promozione di comportamenti rispettosi delle norme di legge applicabili in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed efficaci in funzione prevenzionistica, sia completando l'attuazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81 (Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro) e successive modifiche e integrazioni sia favorendo ogni iniziativa promozionale idonea a determinare un accrescimento delle conoscenze in materia di salute e sicurezza nelle aziende, nei lavoratori e negli studenti, con particolare attenzione all'aspetto della formazione.
      In relazione allo specifico e gravissimo problema degli infortuni sul lavoro si rende necessario intervenire sulla formazione-informazione dei lavoratori e delle imprese, nonché sulla prevenzione e sul rafforzamento dei controlli da parte degli enti preposti, al fine di promuovere una consapevolezza sempre più ampia sulle esigenze della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è attivamente impegnato su tali fronti, nell'intento precipuo di favorire il dialogo e la collaborazione fra tutti i soggetti interessati, istituzionali e sociali, al fine di ridurre gli incidenti e le malattie professionali e la diffusione di sempre più elevati
standards di sicurezza nei luoghi di lavoro.
      L'esistenza in concreto di una efficace strategia di contrasto al fenomeno infortunistico non passa solo attraverso il completamento, mediante fonti di rango secondario previste dal decreto legislativo n.  81 del 2008, del quadro giuridico di riferimento ma anche attraverso la realizzazione di una serie di azioni pubbliche e private dirette a migliorare la prevenzione e i livelli di tutela in tutti gli ambienti di lavoro.
      Per tale ragione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta attivando ogni possibile sinergia con soggetti pubblici e privati, al fine di migliorare «l'impatto» delle rispettive attività in termini di efficacia.
      In tale ottica si colloca, ad esempio, la definizione, con accordo in conferenza Stato-regioni del 20 novembre 2008, dei criteri di impiego e l'attivazione delle somme (pari a 50 milioni di euro) di cui all'articolo 11, comma 7, del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, da destinare in favore di attività promozionali della salute e sicurezza, tra le quali una campagna di comunicazione (per complessivi 20 milioni di euro) sulla salute e sicurezza sul lavoro ed attività di formazione su base regionale (per complessivi 30 milioni di euro). Tali somme sono state regolarmente impegnate e sono a disposizione per le relative attività.
      Con il decreto n.  106 del 2009 (cosiddetto «correttivo al Testo unico») si è poi consentito il superamento delle difficoltà operative da più parti evidenziate nel corso dei primi mesi di applicazione del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, perfezionando, in tal modo, il quadro normativo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e rendendolo, oltre che pienamente coerente con le normative internazionali e comunitarie in materia, idoneo a costituire il fondamento giuridico della strategia di contrasto al fenomeno infortunistico.
      Occorre, tuttavia, precisare al riguardo che è attualmente pendente una procedura (n.  2010/4227) per la presunta difformità di alcune previsioni del decreto legislativo 106 del 2009 rispetto alle disposizioni della direttiva CE n.  89/391.
      L'imprescindibile finalità delle misure varate resta quella di rendere maggiormente effettiva la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro secondo linee di azione consistenti, tra l'altro, nel miglioramento dell'efficacia dell'apparato sanzionatorio al fine precipuo di assicurare una migliore corrispondenza tra infrazioni e sanzioni.
      A tale scopo si tiene conto dei compiti effettivamente svolti da ciascun attore della sicurezza, favorendo l'utilizzo di procedure di estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi mediante regolarizzazione da parte del soggetto inadempiente. La sanzione penale è riservata ai soli casi di violazione delle disposizioni sostanziali e non di quelle meramente formali (come, ad esempio, la trasmissione di documentazione, notifiche, ecc).
      Tutti gli interventi proposti garantiscono, in ogni caso, il rispetto dei livelli di tutela oggi assicurati ai lavoratori e alle loro rappresentanze in qualsiasi ambiente di lavoro e in tutto il territorio nazionale nonché l'equilibrio delle competenze tra lo Stato e le regioni in materia.
      Il risultato finale dell'intervento legislativo di riforma potrà comunque compiutamente apprezzarsi una volta che verrà completata l'emanazione di provvedimenti attuativi del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, di grande rilevanza e impatto sulle aziende e sui lavoratori.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali persegue l'obiettivo della riduzione del fenomeno infortunistico anche perseguendo la massima efficacia delle attività di vigilanza sui luoghi di lavoro di propria competenza. In tali ambiti, ed in primo luogo nell'edilizia, è stata da tempo fornita alle strutture amministrative di riferimento l'indicazione di realizzare, innanzitutto, le attività dirette a perseguire le violazioni in materia di salute e sicurezza più gravi, in quanto in grado di mettere in pericolo le vite dei lavoratori. Tale impostazione ha consentito di raggiungere risultati molto soddisfacenti.
      Molte delle iniziative dirette alla attuazione delle disposizioni del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro sono devolute dal legislatore alla commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro (
ex articolo 6 del decreto legislativo n.  81 del 2008), composta, in maniera paritaria e tripartita, da rappresentanti delle amministrazioni pubbliche centrali competenti in materia, delle regioni, dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro.
      Ricostituita con decreto ministeriale del 3 dicembre 2008, la commissione ha costituito al suo interno nove gruppi «tecnici» di lavoro, nei quali è garantita la presenza paritetica di rappresentanti delle amministrazioni pubbliche (comprese le regioni) e delle parti sociali, per affrontare, in tali sedi, gli argomenti attribuiti dalla legge alla commissione (ad esempio, l'elaborazione di linee metodologiche per la valutazione dello
stress lavoro per gli edili) e per i quali si prevedono attività finalizzate all'attuazione del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
      Tali gruppi si sono regolarmente insediati e svolgono con continuità le attività ad essi attribuite. All'esito delle attività istruttorie compiute in tali consessi, sono stati elaborati documenti di notevole importanza per gli operatori della salute e sicurezza sul lavoro e altri sono di prossima emanazione.
      A titolo di esempio si citano: 1) le indicazioni per la valutazione dello stress lavoro-correlato (articolo 28, comma 1-
bis, del «testo unico»), divulgate tramite lettera circolare del Ministero del lavoro del 18 novembre, sul sito istituzionale di questo Ministero e, infine, pubblicate nella Gazzetta ufficiale n.  304 dello scorso 30 dicembre 2010; 2) il modello per la presentazione delle «buone prassi» alla Commissione consultiva per la loro validazione (ai sensi degli articoli 2 e 6 del «testo unico» di salute e sicurezza sul lavoro), approvato dalla commissione consultiva nella riunione del 20 ottobre 2010 e subito messo a disposizione dell'utenza presso il sito del Ministero del lavoro, sezione «sicurezza nel lavoro»; 5) l'approvazione di un documento sulla presentazione delle «buone prassi» a tutela delle «differenze di genere» in materia di salute e sicurezza alla riunione del 21 settembre 2011, ai fini della loro validazione.
      In particolare, un comitato è stato chiamato a dare attuazione al cosiddetto «sistema di qualificazione» delle imprese, il quale ha lo scopo di individuare, in determinati settori, quali imprese possano operare e a quali condizioni, con riferimento a elementi relativi alla salute e sicurezza sul lavoro.
      Tale sistema, che si realizzerà per mezzo del decreto del Presidente della Repubblica di cui agli articoli 6 e 27 del «Testo unico», verrà attuato nel settore edile per mezzo della attivazione della patente a punti mentre altri settori debbono essere individuati dalla citata commissione consultiva, la quale sta procedendo in tal senso. A tale scopo la commissione consultiva ha ampiamente discusso sul tema, oltre che in un comitato
ad hoc, direttamente in plenaria in due riunioni straordinarie (non tenutesi, tuttavia, per difetto del numero legale) in data 2 e 9 novembre e nella riunione del 23 novembre 2011. Nel corso dell'ultima riunione, tenutasi in data 17 gennaio 2012, del «comitato qualificazione» si è convenuto di procedere, in tempi limitati alla approvazione e inoltro alla commissione consultiva di un documento sui settori e criteri della qualificazione delle imprese, il cui contenuto, una volta approvato dalla commissione consultiva, venga recepito nel decreto del Presidente della Repubblica di cui agli articoli 27 e 6 del «testo unico» di salute e sicurezza sul lavoro. Sempre nella medesima riunione si è, altresì, convenuto che subito dopo tale approvazione si procederà allo stesso modo – con separato documento – per la individuazione delle procedure di funzionamento della «patente a punti» in edilizia.
      Tra i provvedimenti frutto delle attività della commissione consultiva va segnalata la piena condivisione, in tale contesto, dei contenuti del decreto del Presidente della Repubblica n.  177 del 2011, il quale ha inserito tra le attività per le quali dovrà operare il sistema di qualificazione delle imprese quelle lavorazioni che si svolgano in ambienti «confinati», quali silos, cisterne e simili, nei quali negli ultimi anni sono accadute vere e proprie stragi sul lavoro.
      Il provvedimento in parola, pubblicato nella
Gazzetta ufficiale, serie generale, n.  260, dell'8 novembre 2011, e in vigore dal 23 novembre 2011, prevede un notevole innalzamento del livello dei requisiti organizzativi e professionali degli operatori in tali contesti impedendo che lavorazioni così complesse e pericolose possano essere svolte da soggetti non adeguatamente formati, addestrati e informati in ordine ai rischi delle lavorazioni negli «ambienti confinati».
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha completato o sta altresì completando talune ulteriori attività, previste dal decreto legislativo n.  81 del 2008 e successive modifiche e integrazioni, al di fuori dei compiti della commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro, tra le quali occorre ricordare:
          l'approvazione, in data 21 dicembre 2011, degli accordi in Conferenza Stato-regione sui contenuti e le modalità della formazione del datore di lavoro che intenda svolgere «in proprio» i compiti del Servizio di prevenzione e protezione (articolo 34 del «Testo unico») e dei contenuti e delle modalità della formazione dei dirigenti preposti e lavoratori (articolo 37 del Testo unico). Tali accordi sono stati pubblicati nella
Gazzetta ufficiale, serie generale, n.  8 dell'11 gennaio 2012;
          la predisposizione del decreto, ai sensi dall'articolo 3, comma 3-
bis, del «Testo unico», che individua la normativa di salute e sicurezza che consideri le «peculiari esigenze» per le società cooperative e per alcune categorie di volontari (Protezione civile, Croce rossa, ecc.). Tale decreto è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale n.  159 dell'11 luglio 2011;
          la pubblicazione (Gazzetta ufficiale n.  98 del 29 aprile 2011) del decreto, ai sensi dell'articolo 71, comma 13, del «Testo unico», per l'individuazione delle modalità di effettuazione delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro e dei criteri per l'abilitazione dei soggetti pubblici o privati legittimati a realizzare tali verifiche;
          la pubblicazione (
Gazzetta ufficiale n.  83 dell'11 aprile 2011), all'esito di una serie di riunioni tenutesi, nel corso dell'anno 2010, tra i rappresentanti dei Ministeri del lavoro, della salute e dello sviluppo economico e dei rappresentanti delle regioni e dell’ex Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro, del decreto, ai sensi dell'articolo 82, comma 2, del «Testo unico», relativo alle autorizzazioni per i lavori sottotensione;
          la pubblicazione (
Gazzetta ufficiale n.  58 dell'11 marzo 2011) del regolamento sulle modalità di applicazione, in ambito ferroviario, del decreto n.  388 del 2003, ai sensi dell'articolo 45, comma 3, del decreto legislativo n.  81 del 2008 (cosiddetto primo soccorso in ambito ferroviario);
          l'istituzione, con decreto interministeriale del 27 maggio 2011 (pubblicato sul «Bollettino ufficiale» del Ministero del lavoro e delle politiche sociali) del comitato consultivo per la determinazione e l'aggiornamento dei valori limite di esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici (previsto dall'articolo 232, comma 1, decreto legislativo n.  81 del 2008 e successive modifiche e integrazioni);
          la prosecuzione dei confronti con i rappresentati del Ministero delle infrastrutture e le parti sociali interessate, relativi all'attuazione dell'articolo 161, comma 2-
bis, del decreto legislativo n.  81 del 2008, e successive modifiche e integrazioni; tale disposizione, in particolare, prevede la adozione di un decreto interministeriale dedicato alla segnaletica stradale per i cantieri in presenza di traffico veicolare. All'esito di un ampio ed approfondito confronto con il Ministero delle infrastrutture e trasporti, le regioni e le parti sociali, si è provveduto all'elaborazione del relativo schema di decreto, che verrà quanto prima inoltrato alla conferenza Stato-regioni per il prescritto parere;
          l'approvazione, in data 15 settembre 2011, sotto la supervisione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di un «avviso comune» tra le parti sociali interessate relativo alle semplificazioni nei riguardi dei lavoratori «stagionali» del settore agricolo, ove essi non vengano impiegati per oltre 50 giornate lavorative nell'anno di riferimento (articolo 3, comma 13, decreto legislativo n.  81 del 2008). È stato, quindi, elaborato lo schema di decreto ministeriale chiamato a recepire i contenuti del citato «avviso comune», il quale sta per essere inoltrato ai ministeri concertanti (salute e politiche agricole);
          la predisposizione, in fase molto avanzata, della bozza di accordo Stato-regioni che individuerà le modalità della formazione richiesta per determinate attrezzature di lavoro (macchine agricole, gru eccetera), che è stato già oggetto di discussione «in sede tecnica» presso la Conferenza Stato-regioni in data 11 gennaio 2012. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha predisposto tenendo conto degli ultimi elementi di discussione condivisi, in data 11 gennaio, nella citata riunione, lo schema «consolidato» degli accordi inviando i medesimi alla segreteria della conferenza Stato-regioni.
      Da rilevare, poi, l'approvazione, in data 21 dicembre 2011, dalla conferenza Stato-regioni del decreto interministeriale per la costituzione e la regolamentazione del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP), redatto con il costante coinvolgimento del soggetto gestore del trattamento dei relativi dati (INAIL) e con quello delle regioni.
      Tutto quanto sin qui esposto consente di affermare come la riforma delle regole volte a tutelare la salute e sicurezza sul lavoro abbia fornito l'Italia di un sistema di regole moderno e sistematicamente coeso, suscitando un interesse, finalmente non più solo specialistico, sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro che costituisce, a sua volta, un importante punto di partenza per l'abbattimento del numero e della gravità degli infortuni.

Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il 5 agosto 2011 in contrada Tre Fontane a Paternò, sono morti i signori Agatino Guerrero e Fortunato Caprino, mentre sistemavano le grondaie di un capannone  –:
          di quali elementi disponga in merito alla dinamica dell'incidente;
          se siano state rispettate le normative previste sulla sicurezza del lavoro;
          quali iniziative si intendano promuovere o adottare in relazione a vicende come quella sopra segnalata, che per dimensioni – dall'inizio dell'anno risultano essere decedute almeno 313 persone per incidenti sul lavoro, 530.344 sono stati gli infortuni, 1.253 gli invalidi – assumono i connotati di quella che non è esagerato definire una strage. (4-13008)

      Risposta. — L'interrogazione in esame si riferisce all'infortunio mortale sul lavoro occorso il giorno 5 agosto 2011 al signor Agatino Guerrera dipendente della impresa individuale «Caruso Salvatore» con sede in Misterbianco (Catania) e al signor Fortunato Caprino Micieli lavoratore autonomo iscritto alla CCIAA di Catania come artigiano lattoniere.
      Nel rispondere ai primi due quesiti, ci si limiterà in questa sede, a riportare gli elementi informativi acquisiti presso il servizio di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro (Spsal) dell'Azienda sanitaria provinciale di Catania (Asp), nonché quelli forniti dall'INAIL.
      Dagli accertamenti esperiti è risultato che, il 5 agosto 2011 alle ore 13:00 circa, i due lavoratori sopra indicati si trovavano sul piano di copertura di un capannone ubicato in Contrada Ciappe Bianche di Paternò (Catania).
      Gli infortunati, al fine di installare una scossalina in lamiera lungo il perimetro dell'edificio, si muovevano sul predetto piano di copertura, composto da travi portanti in cemento armato precompresso e lastre curve di fibrocemento di tipo non calpestabile; tuttavia, durante tali lavorazioni, dopo aver sfondato tre delle predette lastre, sono precipitati, da un'altezza di circa dieci metri, sulla sottostante pavimentazione in battuto di cemento, perdendo la vita.
      La Asp di Catania ha fatto sapere che lo sfondamento delle lastre non è avvenuto per carenze d'installazione delle stesse bensì a causa delle sollecitazioni provocate dal peso degli stessi lavoratori; infatti, i bordi perimetrali delle lastre dopo il processo di rottura sono rimasti saldamente ancorati alle travi.
      Si precisa, inoltre, che nel corso degli accertamenti, non è stata rinvenuta sul piano di copertura del capannone né la predisposizione di alcun punto di aggancio per la posa in opera delle funi di scorrimento né alcun altro elemento atto a consentire ai lavoratori l'utilizzo delle cinture di sicurezza. Pertanto, sono state contestate al committente dei lavori la violazione dell'articolo 90, comma 5, del decreto legislativo n.  81 del 2008, all'amministratore dell'impresa affidataria la violazione dell'articolo 97, comma 1, del medesimo decreto legislativo ed al titolare dell'impresa esecutrice la violazione dell'articolo 148 del citato decreto legislativo.
      Si fa presente, infine, che è stato aperto un procedimento penale presso la procura della Repubblica di Catania.
      Per quanto riguarda l'erogazione delle prestazioni dovute per gli infortuni mortali in questione, la sede Inail competente, in base alle risultanze istruttorie, ha provveduto a costituire la rendita ai superstiti e a corrispondere l'assegno funerario, ai sensi dell'articolo 85 del decreto del Presidente della Repubblica n.  1124 del 1965. La stessa sede, inoltre, ha provveduto all'erogazione del beneficio a carico del fondo per le vittime di gravi incidenti sul lavoro.
      Nel rispondere all'ultimo quesito posto nell'interrogazione in esame, occorre precisare che il tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali costituisce obiettivo strategico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'Inail, nell'ottica del tendenziale azzeramento del fenomeno infortunistico e tecnopatico.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, infatti, intende perseguire la promozione di comportamenti rispettosi delle norme di legge applicabili in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed efficaci in funzione prevenzionistica, sia completando l'attuazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81 (Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro) e successive modificazioni e integrazioni, sia favorendo ogni iniziativa promozionale idonea a determinare un accrescimento delle conoscenze in materia di salute e sicurezza nelle aziende, nei lavoratori e negli studenti, con particolare attenzione all'aspetto della formazione.
      In relazione allo specifico e gravissimo problema degli infortuni sul lavoro si rende necessario intervenire sulla formazione-informazione dei lavoratori e delle imprese, nonché sulla prevenzione e sul rafforzamento dei controlli da parte degli enti preposti, al fine di promuovere una consapevolezza sempre più ampia sulle esigenze della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è attivamente impegnato su tali fronti, nell'intento precipuo di favorire il dialogo e la collaborazione fra tutti i soggetti interessati, istituzionali e sociali, al fine di ridurre gli incidenti e le malattie professionali e la diffusione di sempre più elevati
standards di sicurezza nei luoghi di lavoro. L'esistenza in concreto di una efficace strategia di contrasto al fenomeno infortunistico non passa solo attraverso il completamento, mediante le fonti di rango secondario previste dal decreto legislativo n.  81 del 2008, del quadro giuridico di riferimento ma anche attraverso la realizzazione di una serie di azioni pubbliche e private dirette a migliorare la prevenzione e i livelli di tutela in tutti gli ambienti di lavoro.
      Per tale ragione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta attivando ogni possibile sinergia con soggetti pubblici e privati, al fine di migliorare «l'impatto» delle rispettive attività in termini di efficacia.
      In tale ottica si colloca, ad esempio, la definizione, con accordo in conferenza Stato-regioni del 20 novembre 2008, dei criteri di impiego e l'attivazione delle somme (pari a 50 milioni di euro) di cui all'articolo 11, comma 7, del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, da destinare in favore di attività promozionali della salute e sicurezza, tra le quali una campagna di comunicazione (per complessivi 20 milioni di euro) sulla salute e sicurezza sul lavoro ed attività di formazione su base regionale (per complessivi 30 milioni di euro).
      Con il decreto correttivo n.  106 del 2009 si è poi consentito il superamento delle difficoltà operative da più parti evidenziate nel corso dei primi mesi di applicazione del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, perfezionando, in tal modo, il quadro normativo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e rendendolo, oltre che pienamente coerente con le normative internazionali e comunitarie in materia, idoneo a costituire il fondamento giuridico della strategia di contrasto al fenomeno infortunistico.
      L'imprescindibile finalità delle misure varate resta quella di rendere maggiormente effettiva la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro secondo linee di azione consistenti, tra l'altro, nel miglioramento dell'efficacia dell'apparato sanzionatorio al fine precipuo di rassicurare una migliore corrispondenza tra infrazioni e sanzioni.
      A tale scopo si tiene conto dei compiti effettivamente svolti da ciascun attore della sicurezza, favorendo l'utilizzo di procedure di estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi mediante regolarizzazione da parte del soggetto inadempiente. La sanzione penale è riservata ai soli casi di violazione delle disposizioni sostanziali e non di quelle meramente formali (come, ad esempio, la trasmissione di documentazione, notifiche, eccetera).
      Tutti gli interventi proposti garantiscono, in ogni caso, il rispetto dei livelli di tutela oggi assicurati ai lavoratori e alle loro rappresentanze in qualsiasi ambiente di lavoro e in tutto il territorio nazionale nonché l'equilibrio delle competenze tra lo Stato e le regioni in materia.
      Il risultato finale dell'intervento legislativo di riforma potrà comunque compiutamente apprezzarsi una volta che verrà completata l'emanazione di provvedimenti attuativi del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, di grande rilevanza e impatto sulle aziende e sui lavoratori.
      Molte delle iniziative dirette alla attuazione delle disposizioni del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro sono devolute dal legislatore alla commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro (
ex articolo 6 del decreto legislativo n.  81 del 2008), composta, in maniera paritaria e tripartita, da rappresentanti delle amministrazioni pubbliche centrali competenti in materia, delle regioni, dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro.
      Ricostituita con decreto ministeriale del 3 dicembre 2008, la Commissione ha costituito al suo interno nove gruppi «tecnici» di lavoro, nei quali è garantita la presenza paritetica di rappresentanti delle amministrazioni pubbliche (comprese le regioni) e delle parti sociali, per affrontare, in tali sedi, gli argomenti attribuiti dalla legge alla commissione (ad esempio l'elaborazione di linee metodologiche per la valutazione dello stress lavoro-correlato, l'individuazione delle regole di funzionamento della cosiddetta «patente a punti» per gli edili) e per i quali si prevedono attività finalizzate alla attuazione del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
      Tali gruppi si sono regolarmente insediati e svolgono con continuità le attività ad essi attribuiti. All'esito delle attività istruttorie compiute in tali consessi, sono stati elaborati documenti di notevole importanza per gli operatori della salute e sicurezza sul lavoro e altri sono di prossima emanazione.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha completato talune ulteriori attività previste dal decreto legislativo n.  81 del 2008, tra le quali occorre ricordare:
          la predisposizione, in data 17 novembre 2010, delle indicazioni per la valutazione dello stress lavoro-correlato (articolo 28, comma 1-
bis, del «Testo unico») da parte della commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro, con avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.  304 del 30 dicembre;
          la pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale n.  159 dell'11 luglio 2011 del decreto interdipartimentale del 13 aprile 2011, recante: «Disposizioni in attuazione dell'articolo 3, comma 3-bis, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81, come modificato ed integrato dal decreto legislativo 3 agosto 2009, n.  106 in materia di salute e sicurezza sul lavoro» che disciplina le particolari modalità di svolgimento delle attività delle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n.  381, delle organizzazioni di volontariato della Protezione civile, compresi i volontari della Croce rossa italiana e del corpo nazionale soccorso alpini e speleologico, e i volontari dei vigili del fuoco;
          la pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale n.  98 del 29 aprile 2011 – Supplemento ordinario n.  111 – del decreto interministeriale dell'11 aprile 2011 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero della salute e con il Ministero dello sviluppo economico, che disciplina le modalità di effettuazione delle verifiche periodiche di cui all'allegato VII del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81, nonché i criteri per l'abilitazione dei soggetti di cui all'articolo 71, comma 13, del medesimo decreto legislativo;
          la pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale n.  83 dell'11 aprile 2011 del decreto del 4 febbraio 2011 «Lavori su impianti elettrici ad alta tensione» del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro della salute, che definisce i criteri per il rilascio delle autorizzazioni alle aziende che effettuano lavori sotto tensione, in attuazione dell'articolo 82, comma 2, del decreto legislativo n.  81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni;
          l'istituzione, con decreto interministeriale del 27 maggio 2011 (pubblicato sul Bollettino ufficiale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n.  6 del 30 giugno 2011), del comitato consultivo per la determinazione e l'aggiornamento dei valori limite di esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici previsto dall'articolo 232, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81 e successive modificazioni e integrazioni.

      Da rilevare, poi, l'approvazione nella conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano del 21 dicembre 2011 del decreto interministeriale per la costituzione e la regolamentazione del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP), redatto con il costante coinvolgimento del soggetto gestore del trattamento dei relativi dati (INAIL) e delle regioni.
      Nella medesima Conferenza si sono, inoltre, perfezionati gli accordi concernenti gli articoli 34 e 37 del Testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro che disciplinano, rispettivamente, la formazione del datore di lavoro, che svolge in proprio compiti di prevenzione e protezione, e la formazione dei lavoratori, preposti e dirigenti. Tali accordi sono stati pubblicati nella
Gazzetta Ufficiale n.  8 dell'11 gennaio 2012.
      In ordine alle iniziative in materia di lavorazioni in «ambienti confinati», si evidenzia che nella
Gazzetta Ufficiale n.  260 dell'8 novembre scorso è stato pubblicato il decreto del Presidente della Repubblica n.  177 del 14 settembre 2011 recante: «Norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati», a norma dell'articolo 6, comma 8, lettera g) del decreto legislativo n.  81 del 2008.
      Il decreto è frutto di un lavoro che ha coinvolto Stato, regioni e parti sociali nell'intento, da tutti condiviso, di predisporre misure innovative ed efficaci a contrasto al fenomeno degli infortuni, gravissimi per numero e drammatici per modalità, verificatisi, negli ultimi anni, nei lavori in ambienti cosiddetti «confinati», quali silos, cisterne e simili.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali persegue l'obiettivo della riduzione del fenomeno infortunistico anche rafforzando l'efficacia delle attività di vigilanza sui luoghi di lavoro di propria competenza. In tali ambiti, ed in primo luogo nell'edilizia, è stata da tempo fornita alle strutture amministrative di riferimento l'indicazione di realizzare, innanzitutto, le attività dirette a perseguire le violazioni in materia di salute e sicurezza più gravi, in quanto in grado di mettere in pericolo le vite dei lavoratori. Tale impostazione ha consentito di raggiungere risultati molto soddisfacenti.
      Infine, va ricordato come il Ministero del lavoro e delle politiche sociali abbia predisposto e messo a disposizione dell'utenza una sezione del sito
internet specificamente dedicata alla diffusione di notizie e pubblicazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
      Tutto quanto sin qui esposto consente di affermare come la riforma delle regole volte a tutelare la salute e sicurezza sul lavoro abbia fornito l'Italia di un sistema di regole moderno e sistematicamente coeso, suscitando un interesse, finalmente non più solo specialistico, sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro che costituisce, a sua volta, un importante punto di partenza per l'abbattimento del numero e della gravità degli infortuni.

Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.


      FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il 23 settembre 2011 in località Muccia (Camerino), come riferisce Il Corriere Adriatico.it, un operaio di 56 anni è morto, travolto da un camion, in un incidente sul lavoro avvenuto in uno dei cantieri della Quadrilatero Spa;
          l'uomo era capocantiere del cantiere Zulu/2a della Quadrilatero;
          si tratta del terzo infortunio mortale registrato dal 2010 in uno dei cantieri della società;
          come sottolineato ai più alti livelli istituzionali «l'incolumità e la salute dei lavoratori costituiscono valori primari per la società e la loro tutela è interesse non solo del singolo lavoratore, ma di tutta la collettività... eppure nonostante i progressi che hanno contribuito a contenere il grave fenomeno, continuano purtroppo a registrarsi ogni giorno infortuni, troppo spesso mortali, anche a causa di inammissibili superficialità e gravi negligenze nel garantire la sicurezza dei lavoratori», per cui la necessità primaria è quella di «perseguire con impegno una politica sistematica e continua di prevenzione e promozione della salute nei luoghi di lavoro ispirata a una cultura della legalità e della sicurezza basata su una costante e forte vigilanza sul rispetto delle norme e delle condizioni di lavoro»  –:
          di quali elementi disponga in merito alla dinamica dell'incidente;
          se risulti che siano state osservate o disattese le normative sulla sicurezza;
          quale sia la dinamica dei due precedenti infortuni mortali che si sono verificati nei cantieri della Quadrilatero spa;
          se per i due infortuni mortali precedenti quello del 23 settembre siano state avviate indagini. (4-13386)

      Risposta. — L'interrogazione in esame si riferisce all'infortunio sul lavoro occorso al signor Vito Gentile, dipendente, con la qualifica operaio specializzato della società edile Giacovelli Costruzioni srl.
      Preliminarmente si precisa che in questa sede ci si limiterà ad illustrare gli elementi informativi acquisiti presso la direzione territoriale del lavoro di Macerata nonché quelli forniti dall'INAIL.
      La Giacovelli Costruzioni srl aveva ricevuto in subappalto dalla società Grandi Lavori FINCOSIT spa l'esecuzione di una parte dei lavori per la realizzazione del «viadotto Muccia», facente parte del progetto «Quadrilatero».
      Il giorno 23 settembre 2011, intorno alle ore 8:00, il signor Gentile si trovava a transitare all'interno dell'area del cantiere Zulu/2a, in località Maddalena di Muccia (Macerata), quando, improvvisamente, veniva investito in pieno da un camion, guidato da un dipendente della ITALSTRADE srl in manovra di retromarcia.
      Sul luogo dell'incidente sono intervenuti il servizio 118, che ha constatato il decesso del lavoratore, i Carabinieri della stazione di Serravalle di Chienti (Macerata) e, in qualità di organo di polizia giudiziaria, il Servizio prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro (SPESAL) dell'Azienda sanitaria unica regionale (ASUR) di Camerino.
      Dalle prime rilevazioni effettuate dai funzionari dello SPESAL è emerso che il lavoratore non avrebbe avvertito la presenza del mezzo a causa dei forti rumori connessi alle lavorazioni stradali. Riguardo poi all'osservanza delle misure di sicurezza, le indagini sinora condotte avrebbero inoltre evidenziato violazioni all'articolo 97 del decreto legislativo n.  81 del 2008.
      Si precisa comunque che le cause e circostanze dell'evento nonché l'accertamento delle eventuali responsabilità sono tutt'ora al vaglio della competente autorità giudiziaria.
      Per quanto riguarda l'erogazione delle prestazioni di legge dovute per l'evento mortale, la competente sede INAIL ha reso noto di aver costituito, all'esito delle risultanze istruttorie, la rendita ai superstiti e di aver corrisposto l'assegno funerario, ai sensi dell'articolo 85 del Testo unico n.  1124 del 1965. La stessa sede ha inoltre comunicato di avere provveduto anche all'erogazione del beneficio a carico del fondo per le vittime dei gravi incidenti sul lavoro.
      Riguardo ai due infortuni sul lavoro verificatisi nei cantieri della Quadrilatero spa prima di quello occorso al signor Gentile, si rappresenta quanto segue.
      Il primo infortunio si è verificato in località Fonte delle Mattinate, frazione di Serravalle del Chienti (Macerata). La vittima è un lavoratore rumeno, di nome Constantin Caprus, dipendente, con la qualifica di operaio comune, della società Pozzi & Martinenghi srl.
      La Pozzi & Martinenghi srl aveva ricevuto in subappalto dalla società Strabag AG spa la realizzazione di alcuni lavori di impermeabilizzazione della volta di una galleria.
      Il giorno 15 aprile 2011, il lavoratore si trovava, insieme ad un collega, nel cestello di una gru, di proprietà dell'appaltatore, per eseguire tali lavori; nel corso degli stessi, il cestello si è improvvisamente staccato dal braccio, facendo precipitare a terra i due operai, da un'altezza di circa 10 metri. Il forte impatto ha provocato il decesso del signor Caprus.
      Sul luogo dell'incidente è intervenuto il Servizio prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro dell'ASUR di Camerino che ha condotto tutte le indagini del caso.
      Nel corso degli accertamenti, in particolare, è emerso che il subappaltatore (Pozzi & Martinenghi srl) avrebbe posto in essere tutti gli adempimenti di sua pertinenza (formazione ed informazione ai dipendenti, avvenuta consegna dei dispositivi di protezione individuale) e che al momento dell'infortunio i due dipendenti non indossavano le cinture di sicurezza.
      Le indagini avrebbero, inoltre, evidenziato la mancata formazione, da parte dell'azienda appaltatrice, del dipendente che ha provveduto al montaggio del cestello sul braccio di sollevamento del mezzo e che lo stesso, nel corso delle operazioni di montaggio, avrebbe omesso di inserire un pezzo fondamentale (perno di ingiunzione).
      Il secondo infortunio mortale sul lavoro riguarda il signor Rosario Lorusso che lavorava, come carpentiere edile, alle dipendenze della Cooperativa Muratori & Cementisti.
      Il giorno 17 dicembre 2010, il signor Lorusso si trovava presso un cantiere della Quadrilatero Spa, sito in Colfiorito, frazione di Foligno (Perugia), per eseguire lavori di realizzazione della galleria stradale «Cupigliolo Ovest». Intorno alle ore 8:20, in particolare, il lavoratore era intento, insieme ad altri due colleghi, a posizionare alcuni tubi nei quali avrebbero dovuto essere convogliate le acque correnti. Nel corso di tale operazione, sopraggiungeva nella direzione dei tre operai un mezzo cingolato, munito di un braccio con una pinza posta sull'estremità che trasportava una «centina» (strumento necessario al sostegno della volta in galleria).
      Dagli accertamenti compiuti è emerso che, al fine di prendere i tubi di plastica, i tre operai sono passati, uno dopo l'altro, al di sotto della «centina» sospesa e che quest'ultima, per cause non ancora precisate, sia caduta colpendo mortalmente il signor Lorusso.
      Sul luogo dell'incidente sono intervenuti i Vigili del fuoco, i Carabinieri della locale stazione e, su delega della competente autorità giudiziaria, i funzionari del Servizio di prevenzione sui luoghi di lavoro della competente ASL.
      Si precisa comunque che, sulle cause e circostanze dell'infortunio nonché sull'accertamento di eventuali responsabilità, è tutt'ora in corso un'indagine coordinata dalla procura della Repubblica di Perugia.

Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.


      FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il 3 ottobre 2011 un operaio è morto in un cantiere di Corteo Golgi (Brescia) al confine con Aprica in provincia di Sondrio, colpito, quasi sicuramente da un manufatto di cemento;
          che, come è stato sottolineato ai più alti livelli istituzionali «l'incolumità e la salute dei lavoratori costituiscono valori primari per la società e la loro tutela è interesse non solo del singolo lavoratore, ma di tutta la collettività... eppure nonostante i progressi che hanno contribuito a contenere il grave fenomeno, continuano purtroppo a registrarsi ogni giorno infortuni, troppo spesso mortali, anche a causa di inammissibili superficialità e gravi negligenze nel garantire la sicurezza dei lavoratori», per cui la necessità primaria è quella di «perseguire con impegno una politica sistematica e continua di prevenzione e promozione della salute nei luoghi di lavoro ispirata a una cultura della legalità e della sicurezza basata su una costante e forte vigilanza sul rispetto delle norme e delle condizioni di lavoro»;
          dall'inizio dell'anno si sono registrati 397 morti per lavoro; 672.815 infortuni, 1.589 invalidi  –:
          quale sia la dinamica dell'incidente;
          se risulti che siano state osservate o disattese le normative sulla sicurezza.
(4-13445)

      Risposta. — L'interrogazione in esame si riferisce all'infortunio sul lavoro occorso al signor Pietro Savardi, titolare dell'omonima ditta individuale artigiana, con sede in località Corteno Golgi (Brescia) operante nel settore edile.
      Preliminarmente si precisa che in questa sede ci si limiterà ad illustrare gli elementi informativi acquisiti presso la direzione territoriale del lavoro di Brescia nonché quelli forniti dall'INAIL.
      Il signor Savardi aveva ricevuto dalla società Cristallo srl l'incarico di eseguire lavori di demolizione e sostituzione di un ascensore posto all'interno di una struttura alberghiera situata nel comune di Corteno Golgi. Tali lavori erano stati resi necessari in quanto la competente Asl aveva in precedenza constatato l'inagibilità dell'impianto.
      Il 3 ottobre 2011, intorno alle ore 15:00, il signor Savardi si trovava all'interno della cabina dell'ascensore per effettuarne lo smontaggio quando, improvvisamente, è stato investito dai contrafforti in cemento dell'ascensore, decedendo sul colpo.
      Sul luogo dell'incidente sono prontamente intervenuti i Carabinieri della compagnia di Breno, i sanitari dell'eliambulanza 118 di Sondrio e i tecnici dell'ASL di Valle Camonica.
      Questi ultimi hanno provveduto a segnalare i fatti alla competente autorità giudiziaria, chiedendo nel contempo la nomina di un perito al fine di accertare l'esatta dinamica dell'infortunio anche in merito a possibili violazioni delle misure di prevenzione sul lavoro nonché ad eventuali esecuzioni di manovre non corrette durante le operazioni di demolizione dell'impianto.
      Al riguardo si precisa che la perizia è già stata effettuata e che la stessa risulta essere, allo stato, al vaglio della procura della Repubblica di Brescia.
      Per quanto riguarda l'erogazione delle prestazioni di legge dovute per l'evento mortale, la competente sede INAIL, sulla base delle risultanze istruttorie, ha provveduto a costituire la rendita ai superstiti in favore del coniuge e a corrispondere l'assegno funerario, ai sensi dell'articolo 85 del Testo unico n.  1124 del 1965.
      La medesima sede INAIL ha altresì provveduto all'erogazione del beneficio a carico del fondo di sostegno per i familiari delle vittime dei gravi infortuni sul lavoro.

Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.


      FRATTINI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          dal 2008 al novembre 2011 il Governo italiano ha riattivato e poi definito con la Repubblica di Bielorussa procedure e strumenti legali per le adozioni in Italia di bambini bielorussi;
          molti elenchi contenenti alcune centinaia di bambini sono dati valutati, caso per caso, dalle autorità bielorusse, in molti casi con esito positivo;
          inoltre, è stato firmato ed è entrato in vigore l'accordo italo-bielorusso sulla cooperazione nel campo della istruzione: si è quindi deciso, per attuare l'accordo, di istituire una commissione mista italo-bielorussa;
          i lavori della Commissione saranno necessari per concordare i meccanismi degli scambi nel campo della istruzione;
          in base a tali scambi si potranno finalmente definire i gruppi pilota di bambini bielorussi ammessi a frequentare in Italia i corsi di studio;
          non si hanno più notizie, negli ultimi tre mesi, di iniziative concrete del Governo italiano per proseguire ed ulteriormente ampliare le possibilità di adozione in Italia di bambini bielorussi che un gran numero di famiglie italiane considera da tempo parte integrante del nucleo familiare chiedendone l'accesso pieno alla istruzione in Italia;
          non si hanno notizie, malgrado le numerose richieste dei comitati di coordinamento della famiglia adottanti, neppure sulla costituzione della commissione mista per il settore della istruzione, né tantomeno sulla data della sua prima riunione operativa  –:
          se e quando il Governo intenda costituire la commissione mista italo-bielorussa per il settore della istruzione, e se, inoltre, intenda proseguire – e con quali iniziative concrete – nell'impegno per assicurare la rapida procedura di adozione di bambini bielorussi, da tempo richiesta da numerose famiglie italiane, che hanno ormai instaurato con i piccoli adottandi un vero e proprio rapporto familiare indissolubile. (4-14950)

      Risposta. — Il Governo è fortemente impegnato ad assicurare l'attuazione dell'accordo tra l'Italia e la Bielorussia sulla cooperazione nel campo dell'istruzione.
      L'accordo, firmato a Trieste il 10 giugno 2011 ed entrato in vigore il 23 settembre dello stesso anno, impegna i due Paesi a creare le migliori condizioni per approfondire la conoscenza reciproca, anche attraverso gli scambi tra scuole ed atenei. Inoltre, indirizza ed incoraggia partenariati tra istituzioni educative e formative, favorendo l'opportunità di stabilire una diretta collaborazione.
      Si tratta ora di definire le procedure che permetteranno la concreta applicazione dell'accordo. Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, responsabile per la parte italiana dell'attuazione dell'accordo, ha pertanto attivato gli opportuni contatti con l'omologo bielorusso e con le altre istanze italiane interessate. Tale lavoro di preparazione ha consentito di tenere a Minsk, nei giorni 6, 7 e 8 febbraio 2012, la prima riunione della commissione mista bilaterale, prevista dall'accordo. Aperta dal Vice Ministro bielorusso per l'educazione, la riunione ha consentito a funzionari dei due Ministeri dell'istruzione di avviare il lavoro sulla definizione di protocolli attuativi che possano concretamente consentire ai ragazzi bielorussi che abbiano compiuto il 14o anno di età di frequentare uno o più anni scolastici in Italia. La delegazione bielorussa ha rappresentato in tale sede la più ampia disponibilità ed ha proposto la formulazione di un memorandum di intesa
ad hoc, che regoli nel dettaglio lo svolgimento degli scambi di studenti.
      Su tali basi, ed in vista di assicurare la piena e rapida applicazione all'accordo, il Governo ribadisce il suo forte impegno a portare avanti positivamente i lavori della commissione mista, la cui prossima riunione dovrà tenersi a Roma nel prossimo mese di aprile.
      Per quanto attiene alle adozioni di minori bielorussi, come noto, a seguito della decisione nel 2004 delle autorità di Minsk di congelare le procedure adottive non ancora concluse e di sospendere l'accettazione di nuove richieste, è stata raggiunta nel 2009 un'intesa per condurre a termine le pratiche già avviate. Come risultato di tale intesa, conseguita grazie all'impegno politico di alto livello del Governo, la commissione per le adozioni internazionali (CAI) e l'omologo organismo bielorusso hanno potuto portare a conclusione, tra il 2009 ed il 2011, l'iter adottivo relativo a 271 minori sui 589 casi pendenti.
      Il Governo continuerà naturalmente a favorire la chiusura di tutte le pratiche adottive, dovendo tuttavia confrontarsi con un processo di involuzione e di forte irrigidimento del regime bielorusso al quale in ambito UE è stato inevitabile reagire con determinazione attraverso dei provvedimenti sanzionatori.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Marta Dassù.


      GARAGNANI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          tra gli impegni assunti dinanzi all'Unione europea figura anche la cessione del patrimonio immobiliare di proprietà pubblica ritenuto non più funzionale agli scopi istituzionali per i quali essi erano stati realizzati, categoria nella quale indubbiamente rientrano anche numerosi immobili attualmente nella disponibilità del Ministero della difesa;
          ai sensi dell'articolo 6 del regolamento del Ministero della difesa pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale in data 20 luglio 2010, n.  167 si erano definite le procedure per l'alienazione degli alloggi di servizio non più funzionali ai fini istituzionali delle forze armate, ai sensi dell'articolo 2, comma 628, legge 24 dicembre 2007, n.  244 (legge finanziaria per l'anno 2008);
          a seguito di detto regolamento con decreto del Ministero della difesa del 26 marzo 2011, si è proceduto all'individuazione di numerosi alloggi da sottoporre a procedura di alienazione e di cui è titolare il medesimo Ministero della difesa;
          questo processo si è tuttavia interrotto per asserite ragioni procedurali  –:
          quali siano le ragioni per le quali non si è dato corso alla vendita degli immobili già inseriti nel citato decreto ministeriale e se si intenda procedere alla individuazione di altri immobili da sottoporre ad alienazione;
          in caso positivo con quali tempi e con quali modalità;
          se si intenda consentire a coloro che attualmente occupano gli immobili eventualmente oggetto di alienazione l'acquisto in prelazione dei medesimi ed in caso positivo, se si intenda estendere detta facoltà anche ai cosiddetti occupanti «sine titulo». (4-15487)

      Risposta. — Il diritto di prelazione in favore degli utenti, anche sine titulo, degli alloggi oggetto di vendita è compiutamente disciplinato dall'articolo 306, comma 3, del decreto legislativo n.  66 del 2010, che sancisce, testualmente, che il Dicastero provveda «all'alienazione della proprietà, dell'usufrutto a della nuda proprietà di alloggi non più ritenuti utili nel quadro delle esigenze dell'amministrazione... con diritto di prelazione per il conduttore...».
      Per quanto riguarda, invece, la vendita degli alloggi militari non più utili ai fini istituzionali, la stessa è definita dagli articoli 403 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica n.  90 del 2010 e prevede una procedura complessa, non paragonabile alla vendita di immobili privati, determinata dal fatto che fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato.
      Per ogni appartamento è previsto, in successione, l'accatastamento, il trasferimento dal demanio al patrimonio disponibile dello Stato, una relazione tecnica propedeutica alla stima, la determinazione del prezzo di vendita, l'acquisizione della congruità dell'agenzia del demanio, l'offerta di acquisto all'interessato e la eventuale sua accettazione, il rogito notarile e, infine, il decreto di approvazione del contratto di vendita.
      Al momento, su 3022 alloggi da alienare, il 70 per cento è già stato accatastato mentre il 33 per cento è già stato trasferito al patrimonio dello Stato.
      Inoltre, per 576 immobili è stato già determinato il prezzo di vendita e per oltre 300 è stata acquisita la prevista congruità dell'agenzia del demanio.
      Per una parte di questi alloggi, per i quali è stata acquisita la congruità, sono state inviate agli utenti/occupanti le comunicazioni di offerta previste all'articolo 404, comma 2, del citato decreto del Presidente della Repubblica n.  90 del 2010, ai fini dell'esercizio del diritto di prelazione.
      Al riguardo si rappresenta che stanno pervenendo le prime accettazioni di offerta da parte degli acquirenti.
      Inoltre, al fine di ottimizzare e accelerare le procedure di vendita, la competente direzione generale dei lavori e del demanio della difesa, ha sottoscritto:
          una convenzione con il consiglio nazionale dei geometri, in data 15 novembre 2010, per affidare a professionisti, indicati dal consiglio stesso, le attività di regolarizzazione catastale degli alloggi, secondo il tariffario pattuito in sede di convenzione;
          una seconda convenzione con il consiglio nazionale del notariato, in data 3 marzo 2011, per la consulenza nelle attività prodromiche agli atti di vendita, nonché per l'individuazione dei notai a cui affidare la stipula degli atti di vendita degli alloggi occupati e l'esperimento delle aste per gli alloggi liberi.
      Dunque il processo di dismissione del patrimonio immobiliare della Difesa non solo non si è mai fermato ma è oggetto di particolare attenzione da parte del Dicastero e procede con ogni possibile sollecitudine, con l'obiettivo di ottenere risultati concreti nel breve periodo.

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      GARAVINI, GIANNI FARINA, FEDI e PORTA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il processo di razionalizzazione della rete diplomatico-consolare, attuato tra il 2009 e il 2011, ha determinato la chiusura di un elevato numero di rappresentanze, colpendo gli interessi strategici degli italiani nel mondo e del nostro sistema economico ed imprenditoriale;
          in data 30 giugno 2011 il consolato generale di Amburgo è stato soppresso e la competenza territoriale per i Länder «Hamburg», «Schleswig Holstein», «Brema» e «Mecklenburg Vorpommern» è passata al consolato generale di Hannover;
          la decisione di concentrare la rappresentanza ad Hannover è avvenuta in controtendenza rispetto a quelle compiute da altri Paesi, come la Spagna e la Grecia, che pur in un quadro di complessiva riduzione delle loro rappresentanze, hanno conservato ad Amburgo le loro strutture, insieme agli oltre cento Paesi accreditati nella regione metropolitana amburghese;
          per scongiurare la chiusura del consolato di Amburgo, i cittadini residenti nella circoscrizione avevano costituito il comitato «Salviamo il Consolato di Amburgo»; tale comitato, insieme a referenti politici ed istituzionali dei Länder coinvolti e della Repubblica federale, hanno ripetutamente evidenziato le criticità che il ritiro istituzionale del nostro Paese da quell'area avrebbe comportato;
          la chiusura del consolato d'Amburgo rappresenta un fatto dannoso per l'Italia, non solo per la consistenza della comunità italiana che risiede in quella circoscrizione e che vede oggi compromesso l'accesso ai servizi essenziali, ma anche per il rilievo delle attività commerciali che ruotano intorno a uno dei principali porti nel mondo e a una delle principali sedi dell'industria aerospaziale civile, attività sulle quali grava oggi un vuoto di rappresentanza del nostro Paese;
          la soluzione preannunciata, riportata sul sito del consolato generale di Hannover, di una saltuaria presenza di un addetto consolare presso la Missione cattolica di Amburgo, non ha trovato riscontro nella realtà, e lo stesso parroco che cura la Missione cattolica, non risulta esserne a conoscenza; peraltro viene da chiedersi se non sia più opportuno predisporre il servizio permanente di consulenza consolare nei locali dell'Istituto italiano di cultura, collocato in uno stabile demaniale e non nella Missione cattolica, ospite in locali della curia tedesca;
          i 18.000 cittadini italiani residenti nella ex circoscrizione consolare sono tuttora costretti a recarsi presso la sede ricevente, che dista mediamente 150 chilometri dal luogo di residenza, con un costo medio per il trasporto di 120 euro;
          a tale situazione di disagio, si aggiunge la soppressione dei corsi di lingua e cultura italiana e dei corsi di sostegno, con negative conseguenze sulla promozione della lingua e cultura italiana in un'area altamente strategica, incidendo sul processo d'integrazione dei nostri giovani connazionali e rischiando così di annullare gli apprezzabili risultati raggiunti dagli enti gestori con l'impegno e il lavoro assicurato per molti anni  –:
          se non intenda garantire livelli adeguati di assistenza ai connazionali residenti nella ex circoscrizione consolare di Amburgo, attraverso l'apertura di uno sportello consolare e l'istituzione di un ufficio consolare onorario che assicuri un'effettiva rappresentanza delle imprese italiane operanti nella regione anseatica;
          quali iniziative intenda adottare per superare gli ostacoli che si frappongono al ripristino, da parte degli enti gestori, dei corsi di lingua e cultura italiana e dei corsi di sostegno. (4-14811)

      Risposta. — Il Ministero degli affari esteri è impegnato, già dal 2007, in un processo di razionalizzazione della rete diplomatico-consolare allo scopo di garantirne la sostenibilità attraverso una migliore allocazione delle risorse umane e materiali – fortemente decrescenti – ed al contempo di aggiornarne l'articolazione alle attuali esigenze.
      Tale esigenza si pone in particolar modo per quanto concerne la rete consolare, la cui intelaiatura è sorta, come noto, in contesti storici profondamente diversi, soprattutto con riferimento allo straordinario cammino dell'integrazione europea. Significativamente analoghe riflessioni, accompagnate da non meno sofferte decisioni operative, sono svolte da tutti i principali partner europei del nostro Paese, compresa la Germania, di cui ad esempio è noto il possibile intendimento di porre fine alle attività del consolato generale in Napoli nel corso del 2013 nel quadro di una complessiva azione di aggiornamento delle sue strutture consolari in Europa.
      Nel corso di tale processo la scelta delle sedi oggetto dei provvedimenti di razionalizzazione viene effettuata dall'amministrazione degli esteri non soltanto sulla base di parametri di risparmio economico ma anche e soprattutto alla luce di più ampie e raffinate analisi comprendenti tra l'altro la consistenza numerica e la distribuzione delle collettività di connazionali interessate, la distanza geografica e la presenza di collegamenti tra la sede in chiusura e la sede ricevente, l'obiettiva voluminosità dei carichi di lavoro degli uffici con riferimento alle varie tipologie di atti consolari emessi, eccetera. L'applicazione scrupolosa di tali criteri fa sì che il disagio per i connazionali ivi residenti, pur innegabile, possa risultare il minimo possibile rispetto alle altre opzioni operative prese in considerazione in fase istruttoria.
      Come per ulteriori analoghe decisioni di accorpamento di sedi consolari assunte nel quadro del processo sopra descritto, anche nel caso della soppressione del consolato generale in Amburgo il Ministero degli esteri non ha mancato di esaminare la possibilità di attivare idonee strutture sostitutive per evitare soluzioni di continuità nelle attività di assistenza ai connazionali e di interlocuzione con le autorità locali. Dai contatti stabiliti dalla nostra ambasciata a Berlino con le autorità tedesche, è tuttavia rapidamente emerso che l'ipotesi di istituire colà uno sportello consolare, similmente a quanto accaduto in altre realtà oggetto di razionalizzazione, non si armonizza con la posizione di quel Ministero degli esteri: la prassi tedesca non consente infatti di riconoscere uffici con configurazione e caratteristiche assimilabili ai nostri sportelli consolari.
      Le autorità tedesche tra l'altro non consentono l'apertura di nuove agenzie consolari, considerandole una categoria «ad esaurimento».
      Ci si è orientati pertanto verso l'istituzione di un consolato onorario che possa adeguatamente rappresentare gli interessi della collettività di connazionali locali e mantenere adeguati contatti con le autorità locali. A tal proposito, la nostra ambasciata in Berlino è da tempo costantemente attiva nella selezione di un candidato che possa avere un profilo di autorevolezza, pienamente idoneo a rivestire l'importante incarico. Si precisa altresì che, secondo il sistema tedesco, la proposta di istituzione di un ufficio consolare onorario e quella afferente alla nomina del titolare costituiscono procedure interdipendenti che necessitano di essere espletate congiuntamente.
      Non appena verrà individuato dalla nostra sede un candidato dal profilo idoneo e la relativa proposta sarà stata formalizzata, sarà cura della Farnesina procedere con la massima speditezza nell'avvio dell'iter procedurale previsto dalla circolare n.  16 del 2003, contestualmente rivolto dunque sia all'istituzione dell'Ufficio onorario sia all'insediamento del titolare prescelto.
      Indipendentemente dalla necessità posta dalla costante, considerevole diminuzione delle risorse, dai 28,8 milioni di euro del 2007 ai 6,37 milioni di euro del 2012, nel corso degli ultimi anni, la Farnesina ha proseguito l'azione di sostegno prioritario ai corsi di lingua e cultura italiana
ex decreto legislativo n.  297 del 1994 integrati, a vario titolo, nel sistema scolastico locale, ritenuti i più rispondenti alla complessiva azione di promozione della nostra lingua all'estero.
      Per il corrente anno il Ministero degli esteri ha proceduto ad applicare in modo ancora più stringente i criteri sopra richiamati, con una riduzione non lineare ma selettiva dei contributi da assegnare ai singoli enti in rapporto alle attività svolte.
      In tale prospettiva, si è provveduto ad assegnare un contributo anche per le iniziative linguistico-culturali di cui alle richieste presentate dai due enti gestori operanti nella circoscrizione consolare di Hannover, tra cui figura la scuola italiana di Amburgo.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Staffan de Mistura.


      MARINELLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legge n.  78 del 2010, convertito con modificazioni dalla legge n.  122 del 2010, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, ha apportato importanti modifiche in materia di ricongiunzione dei contributi;
          in particolare, è stata disposta l'abrogazione di alcune disposizioni normative, tra cui la legge 2 aprile del 1958 n.  322 (costituzione della posizione assicurativa all'INPS), l'articolo 40 della legge 22 novembre del 1962, n.  1646, l'articolo 124 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre del 1973, n.  1092 (dipendenti civili, statali, militari in servizio permanente e continuativo) e l'articolo 40, comma 3, della legge 24 dicembre 1986, n.  958;
          in particolare, il comma 12-septies dell'articolo 12 del decreto-legge n.  78 del 2010 ha previsto, a decorrere dal 1° luglio 2010, l'onerosità per le lavoratrici e i lavoratori della ricongiunzione della contribuzione versata a fondi diversi dall'INPS;
          nel caso specifico di lavoratori con rapporto di lavoro a tempo determinato, per periodi superiori ad un anno, presso la pubblica amministrazione, la disciplina di riferimento è quella dettata dalla legge n.  1077 del 1966 che prevede l'iscrizione all'INPDAP e all'articolo 1, comma 3, prevede l'applicazione della legge n.  322 del 1958, abrogata proprio dal decreto-legge n.  78 del 2010;
          la normativa dettata dall'articolo 12, comma 12-septies, non può trovare applicazione retroattiva su di un diritto acquisito in virtù di un contratto stipulato con la pubblica amministrazione ai sensi della legge n.  242 del 2000 conclusosi, nel caso di riferimento, nel dicembre 2008 e dunque soggetto soltanto alla normativa vigente in quel periodo;
          le nuove disposizioni penalizzano gravemente alcune categorie di lavoratori che, al fine di accedere al trattamento, non potendosi avvalere della ricongiunzione gratuita, potrebbero essere costretti a non vedere riconosciuti determinati periodi contributivi o a dover pagare cifre considerevoli per avere il diritto alla pensione INPS;
          con questo provvedimento i lavoratori interessati si sono trovati, con effetto retroattivo, senza le certezze e i diritti che solo qualche giorno prima erano in vigore  –:
          se il Ministro interrogato non ritenga, in considerazione della disparità di trattamento venutasi a creare con le norme introdotte con il decreto-legge n.  78 del 2010, di promuovere gli opportuni provvedimenti correttivi che consentano di ripristinare le condizioni precedenti, anche al fine di evitare situazioni di discriminazione per i lavoratori e le lavoratrici penalizzati da tale normativa. (4-12391)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con cui si chiede quali interventi correttivi si intendano promuovere al fine di evitare presunte situazioni di discriminazione per i lavoratori e le lavoratrici indotte a seguito della modifica della disciplina normativa relativa alla ricongiunzione dei periodi contributivi, si rappresenta quanto segue.
      L'articolo 12, comma 12-
undecies della legge 30 luglio 2010, n.  122, di conversione del decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78, ha abrogato la legge 2 aprile 1958, n.  322 (Ricongiunzione delle posizioni previdenziali ai fini dell'accertamento del diritto e della determinazione del trattamento di previdenza e di quiescenza), l'articolo 40 della legge 22 novembre 1962, n.  1646 (Modifiche agli ordinamenti degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro), l'articolo 124 del Decreto del Presidente della Repubblica del 29 dicembre 1973, n.  1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), l'articolo 21, comma 4 e l'articolo 40, comma 3, della legge 24 dicembre 1986, n.  958 (Norme sul servizio militare di leva e sulla ferma di leva prolungata) che consentivano agli iscritti all'Inpdap, nel caso in cui non avessero maturato il diritto a pensione presso questo istituto, di ottenere la pensione dall'Inps previo trasferimento gratuito della relativa posizione assicurativa.
      Quanto al caso specifico segnalato dall'interrogante, si rileva che con riguardo ai lavoratori con rapporto di lavoro a tempo determinato, per periodi superiori ad un anno presso la pubblica amministrazione, la disciplina di riferimento è dettata dalla legge 6 dicembre 1966, n.  1077 (Estensione ai dipendenti civili non di ruolo delle Amministrazioni dello Stato delle norme sul trattamento di quiescenza e di previdenza vigenti per i dipendenti di ruolo). All'articolo 1, comma 3, della suddetta legge è previsto che ai menzionati lavoratori si debba applicare, in caso di ricongiunzione dei periodi contributivi, la legge n.  322 del 1958 che è stata abrogata nei termini descritti in premessa.
      L'Inpdap, con circolare n.  18 dell'8 ottobre 2010, ha chiarito che «l'abrogazione dell'istituto della costituzione della posizione assicurativa presso l'Inps non opera, per gli iscritti alla Cassa dei dipendenti dello Stato, nel caso in cui la cessazione dal servizio del dipendente statale, senza diritto a pensione presso questo Istituto, sia avvenuta prima dell'entrata in vigore della legge in esame (31 luglio 2010) atteso che per detti iscritti la costituzione della posizione assicurativa operava d'ufficio mentre, per gli iscritti alla CPDEL, CPS, CPI e CPUG, atteso quanto previsto dall'articolo 38 ultimo capoverso della legge 22 novembre 1962 n.  1646, che prevedeva la costituzione della posizione assicurativa esclusivamente a domanda, essa non opera solo per coloro che prima dell'entrata in vigore della legge 30 luglio 2010 n.  122 abbiano presentato domanda di costituzione a questo Istituto a seguito di cessazione senza diritto a pensione. Di conseguenza, non può essere più effettuata la costituzione della posizione assicurativa presso l'Inps per gli iscritti alla CTPS cessati a partire dal 31 luglio 2010 (data di entrata in vigore della legge in esame) e per gli iscritti alle Casse pensioni gestite dagli ex Istituti di previdenza che non abbiano, entro il 30 luglio 2010, presentato la prescritta domanda».
      Pertanto, per gli iscritti alla Cassa dei trattamenti pensionistici dei dipendenti dello Stato, tra i quali rientrano anche coloro che hanno stipulato con il Ministero della giustizia un contratto a tempo determinato superiore all'anno ai sensi della legge 18 agosto 2000, n.  242 (Autorizzazione al Ministero della giustizia a stipulare contratti di lavoro a tempo determinato con soggetti impiegati in lavori socialmente utili, al fine di garantire l'attuazione della normativa sul giudice unico di primo grado), che siano cessati dal servizio, senza aver maturato il diritto a pensione presso l'Istituto, prima dell'entrata in vigore della legge n.  122 del 2010, è tuttora possibile la costituzione non onerosa della posizione assicurativa presso l'assicurazione generale obbligatoria dell'INPS. Ciò in quanto per tali iscritti detta costituzione operava d'ufficio, anche se, per l'avvio del relativo procedimento, è comunque necessario una domanda di parte (meramente dichiarativa) da presentarsi alla sede territorialmente competente dell'istituto, considerato che l'interessato potrebbe anche decidere di avvalersi di istituti alternativi per valorizzare la contribuzione accreditata presso l'Inpdap (come ad esempio la prosecuzione volontaria, la totalizzazione o la cosiddetta pensione differita). Quanto alla totalizzazione, va precisato che essa è gratuita, ma dà origine a pensioni calcolate interamente con il metodo contributivo che, in ossequio al principio di equità, garantisce pensioni strettamente legate ai contributi versati.
      Inoltre, l'articolo 24, comma 19, del decreto-legge 6 dicembre 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici) ha previsto, con effetto dal 1o gennaio 2012, l'abolizione della soglia minima di tre anni di contribuzione per il riconoscimento della contribuzione maturata nelle diverse gestioni pensionistiche. Al riguardo, l'articolo 21 del medesimo decreto-legge, in considerazione del processo di convergenza ed armonizzazione del sistema pensionistico attraverso l'applicazione del metodo contributivo, nonché al fine di migliorare l'efficienza e l'efficacia dell'azione amministrativa nel settore previdenziale e assistenziale, ha disposto la soppressione dell'INPDAP e dell'ENPALS e la loro contestuale incorporazione nell'INPS con effetto dal 1o gennaio 2012. A partire da questa data, le relative funzioni sono quindi attribuite all'INPS, che succede in tutti i rapporti attivi e passivi degli enti soppressi.
      Conclusivamente, si osserva che la questione segnalata dall'interrogante trova una soluzione normativa a legislazione vigente in presenza di specifiche condizioni in capo agli eventuali beneficiari.

Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.


      MARSILIO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          nel corso del XIX secolo si assistette ad una migrazione di diverse famiglie italiane verso la Crimea, terra nella quale si stabilirono e si consolidarono, dando vita ad una nutrita comunità dedita in particolare ad attività agricole e mercantili;
          tale comunità, perfettamente integrata nella realtà locale, mantenne per lungo tempo vive le tradizioni della terra natia, tanto da arrivare ad avere una scuola elementare, una biblioteca, una chiesa addirittura con parroco italiano;
          nei primi anni del XX secolo gli italiani, stabilitisi per lo più nella città di Kerch, furono stimati in non meno di tremila unità nella medesima provincia, mentre in oltre cinquemila unità nell'intera Crimea, a testimonianza della floridità della comunità stessa;
          con l'avvento del comunismo iniziarono le purtroppo famigerate «purghe» staliniste che coinvolsero, tra gli altri, molti degli italiani di Crimea, scomparsi nel nulla o confinati per lunghissimi anni;
          nel corso della seconda guerra mondiale Stalin portò a termine il progetto di annientamento delle minoranze e, con tedeschi, greci, tartari, armeni e ceceni, anche la comunità italiana fu sottoposta a deportazione;
          la deportazione degli italiani di Crimea, accusati di essere «fascisti», prese il via il 29 gennaio 1942, e in questi giorni ricorre proprio il settantesimo anniversario di questa tragica pagina della storia d'Italia;
          le truppe dell'Armata Rossa e la polizia sovietica, agli ordini di Stalin, radunarono la comunità italiana e, nel giro di poche ore, concedendo alle persone solo il tempo per raccogliere lo stretto necessario, si diede inizio all'esodo, un lungo e disumano viaggio attraverso l'inverno russo in direzione dell'Asia centrale, viaggio che si concluse solo a marzo;
          a tutti gli italiani, allora stimati in 3-4 mila persone, furono sottratti i documenti e confiscate le proprietà;
          nel corso della deportazione, per gli stenti e le violenze subite, morirono quasi tutti i bambini e un gran numero di adulti, e molti altri trovarono la morte nelle terre di destinazione, a causa delle inumane condizioni in cui furono abbandonati e delle perduranti persecuzioni cui furono sottoposti, trattati come nemici e con estrema crudeltà;
          tale tragedia, alla quale, secondo gli storici, non sopravvisse più del 20 per cento della popolazione italiana, cominciò ad intravedere la fine solo sotto la presidenza Kruscev, quando agli italiani furono concesse la riabilitazione e la libertà di spostamento;
          alcuni si dispersero nelle province russe, molti tornarono in Crimea e, seppur privati della propria identità e delle proprietà di tutti i beni, continuarono (e continuano tutt'oggi) a mantenere vivo il sentimento di italianità, nonostante non siano riconosciuti dal nostro Stato;
          allo stato, dopo il crollo del comunismo e la fine dell'Unione Sovietica, la Crimea è parte dell'Ucraina come repubblica autonoma e i nuovi assetti politici hanno spinto gli italiani ivi residenti a rivendicare i propri diritti, quali il riconoscimento, finora negato, da parte delle autorità ucraine e della Crimea della deportazione subita, e il riottenimento della cittadinanza italiana, finora negato anche dalle nostre istituzioni;
          il Governo ucraino ha già concesso ad altre minoranze, ad esempio quelle tedesca, greca o armena lo status di deportati, grazie all'interessamento dei rispettivi stati d'origine, mentre si è sempre rifiutato di riconoscere le deportazioni subite dagli italiani, giustificando il tutto con l'assenza di una documentazione comprovante i fatti;
          il riconoscimento dello status di deportati comporterebbe, per gli italiani di Crimea, piccole agevolazioni amministrative e aiuti economici poco più che simbolici, ma segnerebbe la fine della loro esistenza da invisibili e rappresenterebbe un risarcimento morale a testimonianza della loro storia  –:
          quali iniziative intenda adottare presso le autorità della Repubblica Ucraina e della Repubblica autonoma di Crimea, affinché venga riconosciuta la deportazione subita dagli italiani e, di conseguenza, venga foro concesso lo status di deportati;
          quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, sia intenzionato a intraprendere per favorire il riacquisto della cittadinanza italiana per i deportati di Crimea e i loro discendenti che ne facciano richiesta;
          quali ulteriori iniziative ritenga di assumere in favore della minoranza italiana in Crimea, sotto il profilo sia economico che strettamente culturale, al fine di rivitalizzare un legame mai sopito nei nostri connazionali e di riannodare i fili della nostra storia. (4-14984)

      Risposta. — Il Ministero degli affari esteri è ben al corrente della travagliata vicenda storica dei circa 300 discendenti di cittadini italiani residenti in Crimea. L'ambasciata in Kiev mantiene costanti contatti in particolare con le due associazioni che rappresentano la suddetta comunità, vale a dire l'Associazione regionale pugliesi e l'associazione CERKIO (Comunità degli immigrati nella regione di Kerch-italiani di origine), anche attraverso visite in loco.
      In occasione del 70° anniversario della deportazione, il nostro ambasciatore ha contattato personalmente gli esponenti di tale comunità ed ha inviato un messaggio di commemorazione.
      Inoltre non si è mancato, nel corso degli anni, di sensibilizzare le autorità locali circa specifiche problematiche che ci fossero rappresentate da tale comunità.
      Per quanto concerne gli aspetti relativi allo
status della comunità di discendenza italiana in Crimea, anche di recente la nostra ambasciata è tornata a verificare presso le competenti autorità ucraine prospettive e contorni di possibili riconoscimenti di status che garantiscano agevolazioni e tutele.
      A tale riguardo, il Comitato statale per le nazionalità e le minoranze, che opera nel contesto del Ministero delle politiche sociali, ha peraltro confermato che nell'ordinamento ucraino non esiste, al momento, la previsione di un vero e proprio
status di «popolo deportato». Esso sarebbe invece introdotto da un progetto di legge che è attualmente all'attenzione del Parlamento ucraino: questo è stato recentemente inserito all'ordine del giorno dell'attuale sessione, che si chiuderà il 13 luglio 2012, in previsione delle elezioni legislative fissate per ottobre 2012.
      Alcune agevolazioni sono invece previste da un accordo multilaterale firmato a Bishkek il 9 ottobre 1992 da tutti i Paesi
ex-URSS. Esso impegna tali Paesi, in modo generico e senza fare riferimento ad una minoranza specifica, a conoscere diritti delle persone deportate, a favorirne il rimpatrio nelle terre di origine e a garantire loro alcune agevolazioni di carattere sociale, fiscale ed amministrativo (piccole facilitazioni all'ingresso nel mercato del lavoro, per il trattamento pensionistico e per l'alloggio, sconti sui trasporti pubblici e sui servizi, eccetera).
      Tali agevolazioni possono quindi essere richieste in Ucraina tanto dai discendenti della comunità italiana in Crimea quanto da discendenti di altre comunità, deportate. Il problema, per tutti i potenziali beneficiari, è riuscire a produrre documentazione probante in relazione a tale discendenza, a distanza di tanti anni e a seguito di vicende così complesse e drammatiche. Come ci hanno confermato le stesse autorità di Crimea, la valutazione avviene comunque caso per caso, e certamente le eventuali agevolazioni non sono automaticamente concesse o negate in base all'appartenenza ad uno specifico gruppo nazionale piuttosto che a un altro.
      È altresì opportuno precisare che il riacquisto del nostro
status civitatis – regolato dall'articolo 13 della legge 5 febbraio 1992, n.  91 – è subordinato al trasferimento, seppur per un breve periodo, della residenza degli interessati in Italia.
      Il Ministero degli affari esteri non mancherà di continuare a seguire attraverso l'ambasciata a Kiev la questione, tanto in relazione al percorso del progetto di legge sopra menzionato, quanto attraverso la sensibilizzazione delle autorità locali sul piano generale e sui casi specifici che ci vengono segnalati.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Marta Dassù.


      MIGLIOLI, GARAVINI, GHIZZONI e SANTAGATA. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il 3 febbraio 2012 la Corte internazionale di giustizia dell'Aja ha emesso la sentenza di accoglimento del ricorso presentato dalla Germania contro l'Italia per ottenere il blocco delle indennità alle vittime dei crimini nazisti. Secondo la sentenza l'Italia «ha mancato di riconoscere l'immunità riconosciuta dal diritto internazionale» a Berlino per i reati commessi dal Terzo Reich. Nella sentenza la Corte ha accolto tutti i punti di ricorso presentati dalla Germania là dove si sosteneva, con riferimento all'Italia e al suo sistema giudiziario, di «venire meno ai suoi obblighi di rispetto nei confronti dell'immunità di uno stato sovrano come la Germania in virtù del diritto internazionale». Il contenzioso tra Italia e Germania presso la Corte dell'Aja, il più alto organo giudiziario dell'Onu, è cominciato il 23 dicembre del 2008, quando Berlino ha deciso di ricorrere contro la sentenza della Corte di cassazione del 21 ottobre 2008 che ha riconosciuto la Germania responsabile per essere stata la «mandante» dei militari nazisti nelle stragi, tra le altre, di Monchio, Susano, Costrignano, e Savoniero, che hanno contato centinaia di vittime;
          i tribunali italiani hanno opportunamente sancito con le loro sentenze inequivocabili la colpevolezza degli autori e le responsabilità delle stragi compiute dal regime nazista. La sentenza, che è complessa e andrà studiata a fondo, non influisce però sulle decisioni già prese in sede penale: le condanne già inflitte, come i tre ergastoli per la strage di Monchio, restano quindi inalterate;
          il risarcimento ai famigliari delle vittime non sarà mai sufficiente a riempire il vuoto causato dalla perdita dei loro cari ma può rappresentare, in termini di principio non solo simbolico, ma sostanziale, l'assunzione da parte dello Stato tedesco della responsabilità delle tragedie causate dal nazismo, come nel caso delle 140 vittime della strage di Monchio, Susano, Costrignano e Savoniero;
          la Corte dell'Aja ha invitato i due Governi a trovare un accordo in merito attraverso un negoziato ad hoc, aprendo una possibilità e indicando agli Stati il percorso da seguire: un'intesa fra Governi sui legittimi risarcimenti alle vittime, un'intesa che sarebbe anche il modo per riconoscere una volta di più quali siano stati i responsabili e quali le parti offese e che sarebbe anche il modo, per Italia e Germania, di fare memoria condivisa, di ribadire una verità comune su accadimenti tanto tragici e che mai vanno dimenticati;
          il Ministro degli affari esteri Giulio Terzi, nel commentare i contenuti della sentenza dell'Aja, ha dichiarato che essi «non coincidono con le posizioni sostenute dall'Italia», ed ha teso a valorizzare il fatto che la sentenza fa riferimento all'importanza dei negoziati tra le due parti per individuare soluzioni. «In questo senso – ha precisato Terzi – l'Italia intende proseguire, come fatto sinora, ad affrontare insieme alla Germania tutti gli aspetti che derivano dalle dolorose vicende della Seconda Guerra Mondiale, in una prospettiva di dialogo e di tutela delle istanze di giustizia delle vittime e dei loro familiari»  –:
          quali iniziative il Governo intenda intraprendere per avviare, al più presto, il negoziato tra il nostro Paese e la Germania, così come richiesto dalla Corte di giustizia internazionale dell'Aja, nella consapevolezza che la ricerca della verità e della giustizia non va mai in prescrizione e il riconoscimento dei risarcimenti ai familiari delle vittime innocenti, che meritano di ricevere una giustizia completa e assoluta, è alla base della costruzione di un'Europa di pace e di democrazia, perché quelle terribili tragedie non si ripetano mai più. (4-14840)

      Risposta. — Con la sentenza del 3 febbraio 2012, la Corte internazionale di giustizia ha stabilito che l'Italia «ha violato l'obbligo di rispettare l'immunità di cui la Repubblica federale di Germania gode in base al diritto internazionale»:
          per aver consentito la chiamata in giudizio della Germania in cause civili basate su violazioni del diritto umanitario internazionale commesse dal Reich tedesco negli anni 1943-45;
          per avere adottato provvedimenti conservativi (ipoteca giudiziale) sugli immobili di «Villa Vigoni», proprietà dello Stato tedesco;
          per avere reso esecutiva in Italia una sentenza della magistratura ellenica relativa a violazioni del diritto internazionale umanitario commesse in Grecia dal Reich tedesco.

      Su queste basi, la Corte ha quindi statuito che l'Italia dovrà, «promulgando una legislazione appropriata o ricorrendo ad altri metodi di sua scelta, assicurare che cessino di avere effetto le decisioni dei suoi tribunali e di altre autorità giudiziarie, che violino l'immunità riconosciuta allo Stato tedesco dal diritto internazionale».
      La Corte non ha accolto la linea italiana di difesa, che, riprendendo e sviluppando la giurisprudenza della nostra Corte di Cassazione, aveva sostenuto la situazione di eccezionalità e necessità che aveva indotto la magistratura italiana ad una interpretazione restrittiva del principio dell'immunità giurisdizionale degli Stati, in presenza di un mancato adempimento da parte della Germania di un «obbligo di riparazione» verso legittime aspettative di molte vittime di crimini nazisti-crimini di guerra e crimini contro l'umanità e della comprovata impossibilità per gli aventi diritto di ottenere giustizia dalla magistratura tedesca e/o per altre vie.
      La sentenza contiene tuttavia un'apertura significativa alle argomentazioni della nostra difesa, laddove la stessa Corte internazionale di Giustizia esprime (punto 99) «sorpresa» e «rammarico» per il comportamento adottato dalla Germania nei confronti degli ex-internati militari italiani, ai quali nel 1943 fu negato lo
status di prigioniero di guerra, mentre nel 2000 i medesimi furono considerati prigionieri di guerra e quindi esclusi dai benefici della Fondazione «Memoria Responsabilità e Futuro», e indica (punto 104) che, tanto le richieste degli ex-internati militari quanto «altre richieste di cittadini italiani discusse nel corso del procedimento potrebbero essere oggetto di ulteriore negoziato tra gli Stati interessati, al fine di risolvere la questione».
      Tali passaggi costituiscono anche per la Germania un richiamo autorevole e ci consentono di perseguire la riapertura del negoziato in materia, interrotto nel 2008 dalla decisione tedesca di ricorrere alla Corte internazionale di Giustizia. Già all'indomani della sentenza (4 febbraio 2012), pertanto, il Ministro Terzi ha scritto al collega Westerwelle per confermare l'interesse del Governo italiano ad un negoziato bilaterale per la soluzione delle «questioni che restano aperte» ed il successivo 7 febbraio ha avviato un processo di consultazione con le organizzazioni rappresentative delle vittime, intendendo affrontare il negoziato con la Germania in una prospettiva di dialogo e di tutela delle istanze di giustizia delle vittime e dei loro familiari.
      Il rispetto che dobbiamo alle vittime ed a quanti sono sopravvissuti all'internamento ed alle stragi impone onestà e chiarezza. Le indicazioni che erano emerse dai negoziati condotti con la Germania negli anni precedenti il contenzioso davanti alla Corte internazionale di Giustizia inducono a non coltivare illusioni circa l'accettazione da parte tedesca di formule di indennizzo
ad personam, mentre potrebbe risultare più praticabile la strada di formule diverse di riparazione rivolte alle comunità (si pensi all'impegno della Germania nella ricostruzione di Onna, frazione de L'Aquila distrutta dal terremoto, teatro nel 1944 di una strage nazista) e/o a coltivare la memoria di quel tragico passato tra le generazioni più giovani.
      Il Ministero degli esteri intende comunque portare avanti con determinazione la trattativa con la Germania, nella consapevolezza che, come sottolineato dall'interrogante, «la ricerca della verità e della giustizia non può prescriversi» e che la risposta ad aspettative di riparazione a lungo disattese è alla base del rafforzamento di un'Europa di pace e di democrazia, che conservi una memoria attiva delle sue origini, ovvero della sua rinascita dopo le tragedie e le devastazioni scatenate dalla barbarie nazifascista.
      Alla luce degli esiti positivi dell'incontro a Roma dell'Unione interparlamentare tra Germania e Italia (16 febbraio 2012) e del programma di ulteriori incontri che la medesima ha messo in cantiere per i mesi a venire, auspichiamo che anche la «diplomazia parlamentare» possa recare un contributo all'impegno che stiamo affrontando.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Marta Dassù.


      PICCHI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
          nel corso del 2012 l'Istituto agronomico per l'oltremare di Firenze subirà una decurtazione pari al 44 per cento dei contributi che arrivano dal Ministero degli affari esteri, ovvero un totale di 540 mila euro in meno per stipendi, Irap e contributi e 300 mila euro in meno per le spese del funzionamento dell'Istituto stesso;
          i tagli in questione sarebbero tali da mettere l'Istituto nell'impossibilità di pagare gli stipendi di 25 unità di personale tra dirigenti e dipendenti e dei 20 collaboratori a progetto per l'anno 2012;
          la riorganizzazione dell'Istituto agronomico per l'oltremare di Firenze completata nel febbraio 2011 ha fatto sì che i dipendenti dai 45 del 2008 siano scesi ai 25 di oggi;
          nel corso del 2011 è stato indetto un concorso per l'assunzione di nuovo personale nell'aerea amministrativa  –:
          per quali ragioni sia stato autorizzato un concorso per l'assunzione di 5 unità di nuovo personale alla luce di quanto esposto in premessa;
          quali iniziative saranno intraprese per garantire la sopravvivenza dell'Istituto e per bloccare l'assunzione di nuovo personale in assenza dei fondi necessari agli stipendi del personale già in organico. (4-14822)

      Risposta. — L'Istituto agronomico per l'oltremare è un importante ente scientifico che il Ministero degli affari esteri sostiene fortemente per l'efficace contributo che esso ha costantemente assicurato alle attività di cooperazione e di ricerca nel settore dell'ambiente e dell'agricoltura tropicale.
      Sotto il profilo giuridico, l'ordinamento dell'Istituto agronomico per l'oltremare è regolato dal decreto del Presidente della Repubblica n.  243, del 29 ottobre 2010. In base a tale decreto, «l'istituto è dotato di autonomia scientifica, statutaria, organizzativa, amministrativa, contabile e finanziaria, ed è sottoposto all'alta vigilanza e all'alta direzione del Ministero degli affari esteri». Al personale dell'istituto, attualmente costituito da 25 unità e 2 dirigenti su un organico di 37 unità, si applica l'ordinamento relativo allo stato giuridico ed economico del personale del comparto ministeri.
      Per quanto concerne la dotazione finanziaria dell'istituto è opportuno rilevare che, ai sensi dell'articolo 9 del decreto citato, l'istituto si può avvalere – per il conseguimento dei propri fini istituzionali – di varie fonti di finanziamento, ed in particolare: «
a) il contributo dello Stato, da determinare annualmente con la legge di approvazione dello stato di previsione della spesa del Ministero degli affari esteri; b) i contributi di amministrazioni ed enti pubblici e privati, nonché di organizzazioni nazionali ed internazionali; c) i redditi dei beni costituenti il proprio patrimonio; d) i proventi derivanti dalle attività di promozione, consulenza e collaborazione con soggetti pubblici e privati, nonché dalla diffusione delle proprie pubblicazioni; e) mediante la costituzione e la partecipazione a società miste con soggetti pubblici e privati, nel rispetto della vigente normativa nazionale e comunitaria».
      Per quanto riguarda la riduzione dei finanziamenti della cooperazione allo sviluppo della Farnesina a favore dell'istituto per il 2012, è possibile rilevare che essi sono la conseguenza dei tagli apportati al bilancio del Ministero degli esteri a causa delle note esigenze di risanamento di finanza pubblica. Tali tagli – che in taluni casi hanno ridotto fino al 70 per cento le dotazioni iniziali su alcuni capitoli della cooperazione – hanno reso inevitabile ridurre del 43,5 per cento gli stanziamenti originariamente previsti per il 2012 per la tipologia di enti in cui rientra l'Istituto agronomico per l'oltremare.
      Alla luce di tale riduzione, l'Istituto agronomico per l'oltremare è stato invitato a proporre un piano di rimodulazione e razionalizzazione del bilancio, tenendo conto in primo luogo dell'esigenza di coprire le spese non comprimibili, ed
in primis gli emolumenti al personale. Il piano di contenimento finora presentato è tuttavia risultato non ancora in linea con le attuali disponibilità finanziarie dell'ente. Anche in occasione di recenti riunioni svoltesi presso il Ministero degli esteri, nel quadro del costante dialogo mantenuto con l'istituto, il vertice amministrativo dell'ente è stato pertanto inviato a formulare ulteriori proposte di rimodulazione del bilancio.
      Sul concorso bandito dall'istituto per l'assunzione di cinque nuove unità di personale, si segnala che la relativa autorizzazione è stata disposta dal decreto del Presidente della Repubblica 28 agosto 2009. Al riguardo il Ministero dell'economia e finanze ha garantito idonea copertura per le spese di assunzione per il solo 2012. Ad ogni buon conto, il Ministero degli esteri ha quindi invitato la dirigenza dell'istituto ad individuare opzioni alternative che siano compatibili con l'attuale bilancio dell'ente e con l'esigenza di evitare rischi debitori.
      In considerazione dell'importanza che riveste l'Istituto agronomico per l'oltremare, la Farnesina si è attivata per cercare di fare in modo che possano essere assegnati finanziamenti integrativi al bilancio dell'ente, pur nella consapevolezza dell'attuale delicata congiuntura di finanza pubblica. A tal fine il Ministro degli esteri Terzi ha recentemente inviato una lettera al Vice Ministro dell'economia e delle finanze Grilli, sottolineando l'auspicio di un'integrazione di fondi a favore dell'Istituto agronomico per l'oltremare.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Marta Dassù.


      PISACANE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per le pari opportunità, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'ambito territoriale n.  9, di cui alla legge n.  328 dell'8 novembre 2000, con capofila il comune di San Giuseppe Vesuviano, ha inviato, in data 18 aprile 2011, alla regione Campania, il piano sociale di zona, per l'adozione delle determinazioni conclusive e consequenziali, di competenza;
          tale piano, come già opportunamente rappresentato (mediante invito e diffida) dal forum Fruitori, terzo settore, regione Campania, con sede in Palma Campania (Napoli), Via Municipio, 80, al presidente della giunta regionale della Campania, al coordinatore dell'ambito 9 di San Giuseppe Vesuviano, alla commissione straordinaria del comune di San Giuseppe Vesuviano ed al responsabile dei servizi sociali della regione Campania, si pone in stridente contrasto con la «Convenzione O.N.U. sui diritti delle Persone con disabilità», applicata e ratificata dall'Italia dalla legge del 3 maggio 2009, n.  18, nonché con la legge n.  67 del 1° marzo 2006 che, all'articolo 2, sancisce, inderogabilmente, il principio di non discriminazione delle persone con disabilità;
          nello specifico il piano, oltre ad essere stato spedito con modalità intempestiva, atteso il termine finale del 28 febbraio 2011 assegnato dalla regione Campania ai comuni capofila, contiene una discriminazione intollerabile: la disparità consiste nella istituzione di centri polivalenti destinati all'accoglienza dei disabili privi delle qualificazioni e caratteristiche di efficienza che, invece, presentano i centri destinati all'accoglimento dei minori non disabili. Lo strumento programmatico de quo opera una distinzione inammissibile tra «centri per minori disabili» e «centri per minori non disabili». Queste due tipologie di centri si differenziano per strutture, organici, impegni di spesa e tipologia di interventi;
          in concreto, tale forma di differenziazione tra minori disabili e minori non disabili, consiste nell'assenza, nei centri per minori disabili di un organico strutturato e professionale, adeguato all'accoglienza dei portatori di handicap, invece presente nei centri per minori non disabili;
          il piano di zona, è stato inoltrato alla regione Campania, in contrasto con l'articolo 21 della legge regionale n.  11 del 2007, in quanto privo della prevista concertazione che, per la normativa regionale vigente, non rappresenta una fase eventuale ma obbligatoria e necessaria;
          a quanto è dato sapere, il comune (capofila) di San Giuseppe Vesuviano avrebbe pubblicato bandi di gare a procedura aperta per l'affidamento dei servizi di «assistenza domiciliare anziani», «assistenza domiciliare disabili», «servizi per minori», «affido familiare e social point», «servizio pronto intervento sociale», tutti in presunta applicazione del piano di zona di cui sopra, il quale, tuttavia, allo stato, non risulta ancora approvato dalla regione Campania;
          risulta di solare evidenza, a detta dell'interrogante, quindi, la illegittimità degli atti di gara sopra evidenziati, emanati senza che il piano sociale di zona fosse stato approvato e, peraltro, quest'ultimo privo della prevista concertazione di cui all'articolo 21 della legge regionale n.  11 del 2007, come predetto;
          non si comprende, secondo quale ratio il comune di San Giuseppe Vesuviano (capofila), attualmente gestito da una commissione straordinaria, abbia ritenuto di indire gare pubbliche applicative di un piano di zona ancora in itinere  –:
          quali siano gli intendimenti dei Ministri interrogati, ciascuno per la parte di competenza, in relazione ai fatti enunciati in premessa e quali iniziative si intendano assumere, con urgenza, per garantire i diritti, sanciti dalla legge, ai diversamente abili residenti nel territorio dell'Ambito 9 che annovera i comuni di San Giuseppe Vesuviano (capofila), Ottaviano, Terzigno, Poggiomarino, Palma Campania, San Gennaro Vesuviano e Striano, e se non intendano acquisire elementi presso la commissione straordinaria del comune in merito a quanto riportato in premessa con specifico riferimento all'attività della medesima commissione straordinaria. (4-12092)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente la garanzia dei diritti delle persone diversamente abili residenti nel territorio dell'ambito 9 (San Giuseppe Vesuviano (capofila), Ottaviano, Terzigno, Poggiomarino, Palma Campania San Gennaro vesuviano e Striano) di cui alla legge 8 novembre 2000, n.  328 («Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali»), si rappresenta quanto segue.
      Al riguardo occorre precisare che i comuni sono titolari delle funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali svolti a livello locale e concorrono alla programmazione regionale e tali funzioni sono esercitate adottando sul piano territoriale gli assetti più funzionali alla gestione, alla spesa ed al rapporto con i cittadini.
      Quanto ai quesiti posti dall'interrogante, il comune di San Giuseppe Vesuviano, interrogato in ordine alle criticità afferenti l'aggiornamento del piano sociale di zona e le gare d'appalto indette per l'affidamento dei servizi riguardanti l'ambito territoriale n.  9
ex lege n.  328 del 2000 di cui lo stesso comune è capofila, ha predisposto una relazione (trasmessa dalla prefettura-ufficio territoriale del Governo di Napoli) di cui si riassumono di seguito le linee essenziali.
      Nella programmazione della prima annualità (2010) del piano sociale di zona triennale, approvato nel 2010 dalla stessa regione Campania, nella macro area disabili, l'Ambito aveva provveduto ad aumentare di 9.600 ore annuali l'assistenza domiciliare per disabili, per un totale di 33.600 ore; nella seconda annualità (2011) il totale delle ore annuali è stato invece aumentato a 36.480.
      Per quanto concerne il rilievo di disparità consistente nella istituzione di centri per minori disabili in assenza di un organico strutturato e professionale, adeguato all'accoglienza dei portatori di
handicap invece presente nei centri per minori non disabili, la riduzione del numero di alcune figure professionali presenti nell'organigramma dei servizi dell'area minori, responsabilità familiari e welfare d'accesso, scaturisce da un'attenta e dettagliata analisi dei bisogni del territorio corrispondente all'attuale domanda dei servizi, e non comporta alcun disagio o discriminazione all'utenza, potendosi al più parlare di un efficiente utilizzo delle risorse (umane e finanziarie) impiegate per garantire i livelli qualitativi nei servizi con una maggiore economicità. Inoltre, al fine di ottimizzare al meglio i servizi, i centri polifunzionali per disabili sono stati programmati prevedendo l'istituzione di n.  2 centri comprensivi del servizio di trasporto e del servizio mensa, onde consentire il funzionamento degli stessi dalle ore 9,00 alle ore 17,00.
      Ciò trova conferma nella comparazione delle schede di dettaglio della prima e seconda annualità, dalle quali si evince complessivamente un aumento delle risorse finanziarie stanziate per l'area disabili. La predetta programmazione risulta essere conforme alle prescrizioni della convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.
      Quanto alla presunta asserita tardività nella presentazione del piano sociale di zona alla regione Campania, le indicazioni operative emanate dalla stessa regione con decreto dirigenziale n.  1 dell'11 gennaio 2011 e relative all'aggiornamento del piano sociale di zona, prevedevano la trasmissione di detto piano entro il 28 febbraio 2011.
      Il Coordinamento istituzionale dell'ambito n.  9 (CI), organismo cui spetta la decisione di approvare il piano, avvertendone la necessità, a maggioranza dei voti decideva di procedere ad un approfondimento finalizzato ad una programmazione che tenesse conto delle specificità nel frattempo emerse in ordine all'attuale fabbisogno del territorio ed ad una verifica puntuale circa l'idoneità delle sedi operative dei servizi. Nelle more della valutazione di tali proposte di programmazione, è stata richiesta alla regione Campania una proroga dei termini per la presentazione del piano; proroga concessa dal competente ufficio regionale. In data 4 aprile 2011 veniva approvato dal CI l'aggiornamento del piano sociale di zona ed il 15 aprile 2011 venivano anche stabilite le sedi operative dei servizi. Il piano, così aggiornato, è stato quindi trasmesso alla regione Campania in data 18 aprile 2011. A tale specifico riguardo è opportuno evidenziare come la scadenza del 28 febbraio 2011 è riferita ad un mero aggiornamento del piano sociale di zona triennale già approvato nel 2010 dalla stessa regione Campania.
      Con decreto dirigenziale n.  774 del 21 dicembre 2010, la regione Campania fissava, infatti, tale scadenza quale termine a carattere ordinatorio, finalizzato a scandire semplicemente una tempistica dell’
iter amministrativo della programmazione regionale, senza prevedere alcuna decadenza o sanzione in caso di ritardo.
      La natura non perentoria del termine in parola, inoltre, è resa esplicita anche dalla circostanza per cui, più in generale anche per il passato – così come accade del resto anche negli altri ambiti della regione – si è registrato e si registra tuttora un procrastinarsi di tale adempimento. Spesso gli Ambiti territoriali presentano la documentazione dopo molti mesi dalla scadenza prevista e tuttavia conseguono ugualmente l'approvazione del piano da parte dei competenti uffici regionali.
      La presentazione oltre il termine iniziale (28 febbraio 2011) assegnato dalla regione Campania, in definitiva, può comportare solo uno slittamento nel trasferimento delle risorse finanziarie e l'eventuale non assegnazione dei fondi di premialità, che, laddove erogati, si dimostrano talvolta esigui (si veda l'ultima assegnazione pari a circa 24.000,00 euro). Si osserva, comunque, che il competente ufficio regionale, pur richiedendo talune integrazioni documentali, non ha sollevato rilievo alcuno in ordine alla data di trasmissione dell'aggiornamento originariamente fissata per il 28 febbraio 2011.
      In questo quadro, pertanto, un mero ritardo rispetto al termine ordinatorio stabilito dalla regione Campania di circa 50 giorni, non ha determinato alcun pregiudizio all'attività di programmazione regionale né alla regolarità dei servizi erogati dall'ambito, anche in considerazione della natura di mero aggiornamento annuale del Piano stesso, consistente in una parziale rimodulazione finanziaria, fermo restando le strategie e gli obiettivi già contenuti nel Piano di zona triennale approvato il 27 luglio 2010 ed operativo per l'intero triennio.
      Per ciò che concerne la ritenuta assenza di concertazione, il comune riferisce che il piano oggetto di rilievi costituisce un mero aggiornamento del piano sociale di zona triennale, quest'ultimo già approvato dal CI in data 20 gennaio 2010, per il quale è stata regolarmente svolta in precedenza l'attività di concertazione sia con le organizzazioni sindacali (OO.SS.) che con il terzo settore, rispettivamente in data 25 gennaio 2010 e 27 gennaio 2010, così come si evince dai verbali agli atti.
      Anche per quanto riguarda l'aggiornamento del piano sociale di zona approvato il 4 aprile 2011, l'ente capofila risulta aver provveduto ad assolvere agli obblighi di concertazione nel rispetto delle vigenti disposizioni in materia. Tale aggiornamento nulla aggiunge alla programmazione finanziaria regionale già approvata nel 2010 che risulta immediatamente efficace ed operativa per l'intero triennio 2010-2012.
      In particolare, in vista della imminente approvazione dell'aggiornamento da parte del CI, avvenuta il 4 aprile 2011, l'ufficio di piano, previa pubblicazione di apposito avviso, ha convocato per il giorno 22 marzo 2011 il tavolo di concertazione con le organizzazioni sindacali e con gli organismi del terzo settore, al fine di discutere della proposta di programmazione che in quella data aveva raccolto il maggior consenso in sede di CI e che è risultata poi essere quella effettivamente approvata. I lavori si sono svolti regolarmente con le organizzazioni sindacali le quali, condividendo la precitata proposta di programmazione, sottoscrivevano il relativo verbale. Mentre tuttavia la concertazione ha avuto un esito favorevole con le organizzazioni sindacali, non ha potuto invece registrare, per motivi indipendenti dalla volontà dell'ente, uguale esito con gli organismi del terzo settore.
      Da quanto precisato, non sembrano emergere irregolarità evidenti nell'assolvimento, da parte dell'ente capofila, degli obblighi di concertazione, avendo lo stesso ente coinvolto apposita riunione prima dell'invio alla regione Campania dell'aggiornamento del piano sociale di zona.
      Tanto premesso sotto l'aspetto relativo alle procedure e alla tempistica, occorre a questo punto esaminare i profili di merito della questione. Al riguardo, pur non disponendo di notizie complete ed esaustive circa l'effettiva situazione di fatto, si svolgeranno di seguito alcune considerazioni fondate sull'ipotesi per cui, effettivamente, il Comune abbia istituito centri distinti per i minori con disabilità e per i minori privi di disabilità.
      Se la situazione in fatto corrispondesse in pieno con quella appena descritta, allora emergerebbe un'effettiva discriminazione tra minori, condotta in contrasto con la convenzione ONU la quale, all'articolo 7, Minori con disabilità, sancisce che «gli Stati Parti adottano ogni misura necessaria a garantire il pieno godimento di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali da parte dei minori con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri minori. Ciò prevede che le strutture non devono essere differenziate tra minori disabili e non disabili».
      Inoltre, nell'ipotesi richiamata, il comune di San Giuseppe Vesuviano avrebbe operato indebite differenziazioni tra centri per minori disabili e centri per non disabili non giustificabili perché la stessa convenzione ONU all'articolo 9 dispone che per dare accessibilità ai disabili negli edifici pubblici «al fine di consentire alle persone con disabilità di vivere in maniera indipendente e di partecipare pienamente a tutti gli aspetti della vita, gli Stati Parti adottano misure adeguate a garantire alle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri, l'accesso all'ambiente fisico, ai trasporti, all'informazione e alla comunicazione, compresi i sistemi e le tecnologie di informazione e comunicazione, e ad altre attrezzature e servizi aperti o forniti al pubblico, sia nelle aree urbane che in quelle rurali. Queste misure, che includono l'identificazione e l'eliminazione di ostacoli e barriere all'accessibilità si applicano, tra l'altro, a: (a) edifici, viabilità, trasporti e altre strutture interne ed esterne, comprese scuole, alloggi, strutture sanitarie e luoghi di lavoro; (...)».

Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.


      PISICCHIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la Federazione dei pensionati della Cisl di Bari ha denunciato da tempo la questione degli «indebiti INPS», notificati a migliaia di beneficiari di trattamenti pensionistici, a seguito di controlli e di incrocio dei dati reddituali, questione che è stata anche causa di drammatici episodi sfociati, purtroppo, in suicidi di pensionati;
          la situazione dei cosiddetti «indebiti» da recuperare, spalmati sull'intero territorio nazionale, assume una rilevanza sociale: si tratta di oltre 2 milioni e 700 posizioni debitorie, di cui circa 60 mila solo a Bari e provincia;
          siamo pertanto, di fronte ad una ingente massa di crediti (3 miliardi e 700 mila euro) che vengono pretesi dai pensionati, in larghissima misura (due terzi circa) in condizioni di trattamento minimo e quindi esclusi da ogni possibilità di provvedere alla restituzione delle somme godute;
          la dirigenza sindacale della Cisl, dopo aver raccolto documenti probatori in ordine al fenomeno, che ogni anno, sempre più, colpisce l'ampia platea degli anziani, ha sollecitato urgenti provvedimenti legislativi di sanatoria dei trattamenti pregressi riscossi senza alcun dolo, come è avvenuto in passato, insieme a procedure capaci di giungere a liquidare le prestazioni in maniera definitiva e certa, senza provocare indebiti;
          si tratta, in tutta evidenza, di un problema è sociale, perché le somme riscosse in buona fede dai pensionati sono servite ad assicurare il minimo vitale a migliaia di famiglie, ed oggi sono di difficile recupero  –:
          quali urgenti interventi o iniziative, anche normative, il Ministro interrogato intenda assumere per rimuovere la condizione di drammatico disagio in cui versano i pensionati, disagio che ha generato il compimento di gesti estremi. (4-14775)

      Risposta. — L'interrogazione in esame si riferisce alle iniziative assunte dall'INPS per recuperare presso numerosi cittadini pensionati importi già corrisposti ma non dovuti.
      In proposito, occorre considerare che le richieste avanzate dall'ente previdenziale trovano la loro giustificazione nel generale principio della ripetizione dell'indebito, laddove il soggetto erogatore in questione abbia accertato che siano state corrisposte somme non dovute.
      L'operato dell'INPS trova pertanto fondamento nel principio della ripetibilità di quanto indebitamente erogato, nonostante l'affidamento del cittadino che abbia percepito in buona fede trattamenti pensionistici non dovuti.
      In tal senso, va ricordato che le iniziative volte ad ottenere la restituzione delle somme corrisposte senza titolo sono da ricondurre al più generale potere dovere cui è tenuto l'Istituto nazionale della previdenza sociale, nell'adottare le opportune misure per ricondurre alle entrate del bilancio dello Stato importi già erogati ai cittadini in mancanza di un valido fondamento normativo.
      Si precisa, inoltre, che in relazione alle prestazioni pensionistiche o quote di prestazioni pensionistiche o trattamenti di famiglia erogati dall'INPS per periodi anteriori al 1o gennaio 2001, trova applicazione la disposizione dell'articolo 38, commi 7 ed 8, della legge n.  448/2001 secondo cui non si fa luogo al recupero dell'indebito qualora tali soggetti siano percettori di redditi annui di esiguo importo.
      Conclusivamente, nel confermare l'attenzione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali per la questione sollevata nel presente atto di sindacato ispettivo, si assicura che verranno impartite all'INPS le necessarie istruzioni affinché le richieste di restituzione inviate ai cittadini siano formulate nel rispetto dei principi volti ad assicurare la trasparenza del procedimento amministrativo e la partecipazione ad esso dei soggetti interessati al fine di ottenere comunicazioni più «amichevoli» in cui vengano, inoltre, individuate modalità che consentano al cittadino di proporre, nelle forme consuete, eventuali opposizioni a tali richieste. Verrà, infine, valutata l'eventuale possibilità di accorciare i tempi della prescrizione in modo tale che non venga richiesta la restituzione di somme indebitamente percepite risalenti nel tempo.

Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.


      RAISI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          a mezzo stampa è stato dato ampio risalto alla grave situazione occupazionale in cui versa l'azienda mantovana Csp spa di Ceresara (Mantova), specializzata nella produzione di calze, collant, intimo;
          l'azienda Csp spa ha dato inizio da ieri, 3 ottobre 2011, ad una cassa integrazione ordinaria della durata di otto settimane avendo risentito particolarmente di questa fase di mercato sfavorevole che ha prodotto un consistente rallentamento degli stabilimenti da cui escono calze marchiate Sanpellegrino, Oroblù e delle strutture che commercializzano per Puma, Miss Sixty ed Energie;
          la cassa integrazione dell'azienda Csp spa interesserà per la durata di due mesi ben 282 dei 360 lavoratori totali  –:
          se non ritenga utile e necessario convocare al più presto un tavolo di confronto presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali con i vertici della ditta interessata ed i sindacati, al fine di trovare soluzioni occupazionali e di sviluppo legate al settore calza che possano permettere all'azienda interessata ed al comparto produttivo in toto di poter tornare ad essere competitivo sul mercato europeo e mondiale. (4-13522)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente la situazione occupazionale della CSP International Fashion Group SpA di Ceresara (Mantova) si rappresenta quanto segue.
      Il calzificio CSP SpA, con sede legale ed amministrativa in Ceresara (Mantova) società quotata in Borsa, produce calze collant, intimo, costumi da bagno e maglieria per i marchi San Pellegrino, Oroblù, Lepel, Le Bourget, Liberti e Well, e distribuisce in Italia calze sportive a marchio Puma e Cagi.
      A causa della crisi dei mercati e del calo dei consumi per le avverse condizioni delle temperature fuori controllo di fine estate e di inizio autunno, che ha mandato in crisi un mercato stagionale per la natura stessa del prodotto, è stata costretta a far richiesta della cassa integrazione ordinaria stimata per mesi due circa, poi rinnovati, per quasi tutte le maestranze occupate.
      La stessa società ha fatto uso di altri ammortizzatori anche nel recente passato: si ricorda che nel 2009, per ovviare al licenziamento di circa 70 unità, dovuto al calo di ordini e del fatturato, aveva sottoscritto con le organizzazioni sindacali un contratto di solidarietà per mantenere integri i livelli occupazionali, con decurtazione del 10 per cento dello stipendio a fronte di una riduzione dell'orario di lavoro del 75 per cento, articolato in modo diverso a secondo dei settori.
      L'attuale ammortizzatore sociale è stato richiesto per le unità produttive di Ceresara (Mantova) e per lo stabilimento di Carpi (Modena).
      Per l'unità produttiva di Ceresara, ove sono occupati n.  360 dipendenti compresi i dirigenti, è stato sottoscritto un accordo con le organizzazioni sindacali, per otto settimane – dal 3 ottobre 2011 al 26 novembre 2011 – rinnovato per altre otto, per la sospensione di tre giorni di lavoro a settimana per 282 dipendenti, col sistema a rotazione. Sono stati interessati alla sospensione tutti i reparti produttivi compresi gli uffici per 177 operai e 64 impiegati nel mese di ottobre, per 172 operai e 62 impiegati nel mese di novembre.
      Per l'unità produttiva di Carpi (Modena), ove sono occupati 62 dipendenti, l'accordo sindacale è stato sottoscritto soltanto per otto settimane, dal 3 ottobre 2011 al 26 novembre 2011, e non ne è stato previsto il rinnovo. Sono stati interessati alla sospensione dal lavoro tutti i reparti produttivi per un totale di 6 operai a zero ore e 10 operai ad orario ridotto (compreso un impiegato) nel mese di ottobre 2011, e un operaio a zero ore e 16 ad orario ridotto (compresi 2 impiegati), nel mese di novembre 2011.
      Risulta, infine, che il Consiglio di amministrazione della CSP ha approvato il resoconto di gestione al 30 novembre 2011, evidenziando che il fatturato consolidato per i primi 9 mesi nell'anno 2011 cresce a 103,14 milioni di euro, con un'incidenza di margine lordo al 44,6 per cento e un netto di 2,2 milioni sui primi mesi del 2011, in linea con quello del 2010.
      Da ultimo, faccio presente che non risulta che le parti abbiano chiesto alla competente direzione generale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali alcun incontro per l'esame della situazione occupazionale.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Michel Martone.


      RAZZI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          gli italiani che hanno vissuto e quanti tuttora vivono ancora nel mondo sono stati e sono ambasciatori dell'Italia all'estero e rappresentano una risorsa per l'Italia;
          i parlamentari della circoscrizioni estero devono rappresentare nel Parlamento nazionale l'altra Italia che vive fuori dai confini;
          rispettosi delle leggi dei Paesi ospitanti, gli italiani all'estero si sono dotati di organismi quali i COMITES e CGIE oltre alle associazioni e ai patronati, per una tutela più ampia dei loro diritti nei paesi d'insediamento per una cittadinanza più compiuta in Europa e nel mondo;
          in centinaia operano in Europa e nel mondo, in seno ai COMITES e al CGIE per migliorare la tutela dei diritti in loco e fare crescere di pari passo le comunità in Italia e all'estero e migliorare l'immagine del nostro Paese attraverso la diffusione della lingua e cultura italiana;
          la crisi finanziaria non deve essere di pretesto al Governo per cancellare gli organismi di rappresentanza degli italiani all'estero con tagli alla spesa;
          i finanziamenti annunciati per il corrente anno 2012 sul capitolo 3103, hanno subito ulteriori drastiche riduzioni, non consentendo minimamente al COMITES di Lione di onorare i due capitoli di spesa vitali come l'elemento segretaria e l'affitto della sede nei locali della Casa d'Italia luogo storico il tutto a danno della collettività italiana che non potrà avvalersi di una sua rappresentanza in loco, vitale per la crescita di una democrazia partecipativa dei nostri connazionali alla vita del Paese  –:
          se non ritenga il Ministro interrogato di rivedere lo status attuale delle disposizioni che danneggiano in maniera irreversibile gli organismi come il COMITES che rappresentano un punto di riferimento assolutamente prioritario per le nostre comunità ivi residenti, come avviene a Lione. (4-15238)

      Risposta. — Il Ministero degli affari esteri riserva la massima attenzione alle esigenze della comunità italiana all'estero e dei suoi organi di rappresentanza, i Comites ed il Cgie.
      Nel quadro dell'attuale congiuntura economica e della conseguente necessità di risanamento delle finanze pubbliche nazionali, si è verificata una riduzione dei fondi assegnati alla Farnesina. La riduzione degli stanziamenti sul capitolo di spesa 3103, riguardante i finanziamenti per le spese di funzionamento dei Comites, è stata conseguentemente, del 30 per cento circa rispetto al 2011. Tali comitati, sin dalla metà dello scorso mese di dicembre, sono stati pertanto invitati, attraverso i rispettivi uffici consolari di riferimento, a programmare ogni utile misura che consentisse loro di adeguare le proprie attività ed i relativi oneri alla diminuzione delle risorse disponibili.
      In riferimento al caso specifico sollevato dall'atto parlamentare, è opportuno rilevare che l'articolo 4 della legge 286/2003 («Norme relative alla disciplina dei comitati degli italiani all'estero») stabilisce che «la segreteria del comitato è affidata con incarico gratuito a un membro del comitato stesso» e che, per lo svolgimento delle proprie funzioni, può avvalersi di personale di segreteria compatibilmente con le esigenze di bilancio.
      Occorre infine far presente che i finanziamenti ministeriali costituiscono solo una delle entrate previste dall'articolo 3 della legge 286/2003, secondo cui i comites, per il loro funzionamento e per l'adempimento dei propri compiti, possono ricorrere altresì a: - rendite dell'eventuale patrimonio; - eventuali finanziamenti disposti da altre amministrazioni italiane; - eventuali contributi disposti dai Paesi ove hanno sede i comitati o da privati e ricavato di attività e manifestazioni varie.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Staffan de Mistura.


      ROSATO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          nella relazione del gennaio 2009 dell'Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata presentata nel corso del tavolo tra Governo e Associazione degli esuli istriani, fiumani e dalmati presso la Presidenza del Consiglio dei ministri viene quantificato in 25 mila il numero delle tombe italiane nella parte dell'Istria di giurisdizione slovena, nella parte d'Istria di giurisdizione croata e nelle isole di Cherso e di Lussino; nelle tombe italiane sono sepolti circa 100 mila defunti in quanto c’è un numero di sepolti superiore alla singola unita per ciascuna tomba, dovuto al fatto che solo alcune di queste erano in concessione perpetua anziché a termine: la cifra elevata tiene anche conto del fatto che un numero imprecisato di tombe è stato disperso durante il periodo intercorso fra la promulgazione della legge jugoslava del 1960 e la nuova legge croata del 1998;
          le tombe e le lapidi italiane rappresentano un luogo di ricomposizione con la terra natia per le famiglie degli esuli e sono considerate un patrimonio prezioso per le stesse;
          con la collaborazione delle direzioni dei cimiteri le antiche steli delle tombe italiane sono state restaurate e conservate in appositi lapidari anche nell'ambito del progetto «Tutela e manutenzione del patrimonio monumentale delle sepolture italiane nei cimiteri dell'Istria»; la tutela dei beni cimiteriali non si esaurisce con quella delle tombe in senso stretto, ma si estende anche ai monumenti ai caduti, alle vittime delle foibe e alle vittime delle fosse comuni;
          nel passato più recente, però, nella medesima relazione di cui sopra, sono state quantificate nel 22 per cento le tombe o le lapidi italiane che sono state oggetto di cancellazione delle vecchie incisioni e sono un migliaio i sepolcri dismessi; un'analisi abbastanza aggiornata calcola in 12 milioni di euro il fabbisogno per un programma esaustivo di tutela delle tombe presenti nei cimiteri istriani e dalmati; la carenza di mezzi finanziari ha portato l'Istituto sopra citato a fare delle scelte obbligate tra le maggiori urgenze; un nuovo allarme lanciato dalla comunità italiana di Fiume riguarda l'espropriazione legale nel caso non vengano rinnovati i contratti di proprietà, poiché le famiglie si sono estinte, cancellando la memoria storica che le lapidi possono rappresentare; ci sono segnali positivi da alcune amministrazioni dei cimiteri, come quelli di Pisino e Rovigno, dove sono conservate oltre 150 antiche lapidi; in passato, un rischio concreto di sparizione di queste lapidi era stato corso in seguito all'iniziativa delle pompe funebri di vendere all'asta 150 tombe di vecchia data, per lo più italiane, considerate mal ridotte e ingombranti;
          rispetto ad altre iniziative artistiche e culturali intese a tutelare la comunità italiana sul territorio, il recupero delle sepolture italiane è ad un livello inferiore  –:
          se sia a conoscenza del rischio di veder scomparire le antiche lapidi e tombe italiane e quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di tutelarne la presenza futura. (4-14325)

      Risposta. — Il Ministero degli affari esteri attribuisce grande rilievo alla tutela delle tombe e dei monumenti cimiteriali italiani in Croazia ed in Slovenia ed intende operare affinché la questione possa trovare attenzione ancora maggiore presso le associazioni di esuli e della minoranza italiana, in quelle regioni. Al riguardo sono previsti finanziamenti a valere sul capitolo di bilancio n.  4544 per le iniziative in favore della minoranza italiana nei paesi della ex Jugoslavia, da attuare anche in collaborazione con la regione Friuli-Venezia Giulia e con altre istituzioni ed enti, e il capitolo n.  4547 per la tutela del patrimonio storico e culturale delle comunità degli esuli italiani dall'Istria, da Fiume e dalla Dalmazia.
      Si avrà pertanto cura di perseguire tale obiettivo nella fase di selezione e approvazione dei progetti, la cui programmazione è a cura delle citate Associazioni, nell'ambito delle competenze assegnate al Ministero degli affari esteri dalla normativa e dalle procedure vigenti in materia di finanziamento a favore degli esuli (Legge 16 marzo 2001 n.  72 e successive modifiche e relativa convenzione tra il Ministero per i beni e le attività culturali, il Ministero degli affari esteri e la federazione delle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati) e della minoranza italiana in Slovenia e in Croazia (Legge 21 marzo 2001 n.  73 e successive modifiche e relative convenzioni rispettivamente, tra il ministero degli affari esteri e l'Unione italiana - UI e tra il Ministero degli affari esteri e l'università popolare di Trieste – UPT).
      Nel periodo dal 2006 al 2011, a fronte di una disponibilità complessiva di circa 41 milioni di euro sui citati capitoli di bilancio 4544 e 4547, le associazioni rappresentative degli esuli (Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata, IRCI; madrinato dalmatico per il cimitero di Zara; unione degli istriani; centro di documentazione multimediale della cultura giuliana, fiumana e dalmata; libero comune di Fiume in esilio) e della minoranza (Unione italiana di Fiume) hanno presentato richieste di finanziamento per iniziative di tutela delle tombe e dei monumenti cimiteriali italiani in Slovenia e Croazia per circa 600.000 euro, pari all'1,5 per cento dei fondi disponibili. Il Ministero degli affari esteri, in sede di «Comitato di coordinamento per le attività della minoranza italiana in Slovenia e Croazia», è intervenuto a più riprese per favorire un aumento del finanziamento richiesto dai soggetti proponenti, in particolare elevando, su proposta dell'allora Ambasciatore d'Italia a Zagabria, a 50.000 euro il finanziamento degli iniziali 36.000 euro, richiesto dall'Unione italiana nel quadro della convenzione Ministero degli affari esteri - Università popolare di Trieste del 2011 per un progetto di tutela delle tombe e dei monumenti cimiteriali italiani in Croazia e Slovenia. Un analogo finanziamento è stato sollecitato sui capitoli destinati a sostenere le attività delle associazioni degli esuli.
      Per quanto attiene alla preoccupazione della comunità italiana di Fiume circa l'espropriazione legale nel caso non vengano rinnovati i contratti di proprietà poiché le famiglie si sono estinte, è bene notare che i nostri uffici consolari, d'intesa con le locali comunità degli Italiani, seguono con la massima attenzione i singoli casi con i rispettivi comuni. Proprio a tal proposito è da notare che alcuni comuni si mostrano più collaborativi di altri.
      La legge croata del 1988 non discrimina su questo punto fra cittadini croati e cittadini stranieri, ma certamente per gli italiani spesso si rivela più difficile risalire a parenti ormai lontani o ad altre persone interessate. Certamente migliore è la situazione in Istria ove si può contare a livello locale su di una rappresentanza delle comunità degli italiani nei comuni, sindaco o vice sindaco di carattere istituzionale garantita per legge.
      L'Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata in Istria e le altre associazioni sopra richiamate che operano a Fiume e nella Dalmazia sono particolarmente attive in tale opera di manutenzione e vigilanza delle tombe e delle lapidi dei connazionali. In tale spirito, il Governo italiano, tramite l'Unione italiana, l'università popolare di Trieste e le associazioni degli esuli, si propone di continuare a sostenerne attivamente le attività.
      Nell'ambito dello «spirito di Trieste», dal nome dell'incontro del signor Presidente della Repubblica con gli omologhi sloveno Türk e croato Josipovic, nel luglio 2010, ulteriormente sottolineato dalla missione del signor Presidente della Repubblica a Pola nel settembre 2011, non si mancherà di prevedere tale questione nell'agenda degli incontri con i rappresentanti dei nuovi governi in Croazia e Slovenia, quali sono emersi dalle recenti elezioni in entrambi i paesi.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Staffan de Mistura.


      ROSATO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          tra Libia, l'Egitto e la Tunisia gruppi di militanti salafiti si sono resi protagonisti di una lunga serie di atti violenti tra cui anche la profanazione di tombe e lapidi dei soldati cristiani ed ebrei presenti in terra libica, di santuari o moschee o altri luoghi delle comunità appartenenti alla tradizione islamica sufi, alla minoranza musulmana ibadita, alla tradizione sciita e alla tradizione baha'i;
          come riportato da fonti di stampa inglesi, nel rapporto della Commonwealth War Graves Commission, il 24 e 26 febbraio 2012 una fazione riconducibile ai salafiti sarebbe entrata in azione nel cimitero della seconda guerra mondiale e nel cimitero di guerra britannico di Bengasi;
          stando al rapporto, il gruppo di salafiti nella sua irruzione, ripresa anche da alcune telecamere, ha distrutto le lapidi e le croci e gli altri simboli religiosi;
          il governo transitorio, il Consiglio nazionale transitorio, ha già presentato le scuse all'Italia e al Regno Unito per le profanazioni avvenute e ha annunciato che i responsabili saranno perseguiti;
          anche a seguito delle profanazioni del 24 e 26 febbraio 2012, preoccupa l’escalation di violenze ad opera dei seguaci salafiti in particolare ai danni dei cristiani ed europei del nord Africa  –:
          quali ulteriori iniziative il Governo intenda intraprendere, nelle sedi europee ed internazionali, per contenere le manifestazioni di violenza nei confronti dei cristiani, degli appartenenti ad altre religioni e dei loro simboli e luoghi di culto nel nord Africa;
          se, a rispetto questi specifici episodi avvenuti nei cimiteri militari, il Governo abbia preso contatto con le autorità libiche, anche al fine di avere evidenza dei nominativi delle tombe profanate, così da trasmetterli a Onorcaduti. (4-15282)

      Risposta. — Con specifico riferimento ai recenti episodi avvenuti ai danni di cimiteri stranieri in Libia e per i quali, come rilevato dall'interrogante, si sono già registrate le scuse delle autorità libiche, va innanzitutto sottolineato come non vi siano in Libia sepolture di militari italiani poiché tutti i resti dei caduti italiani, a suo tempo sepolti nel paese, sono stati rimpatriati negli anni ’70, su espressa richiesta del governo libico, e riposano presso il sacrario militare d'oltremare di Bari.
      A seguito di tali episodi, sono in ogni caso state disposte immediate verifiche presso i cimiteri di Bengasi che ospitano resti di cittadini stranieri onde appurare l'eventuale presenza di tombe di nostri connazionali. Il console generale a Bengasi ha potuto personalmente constatare che né presso il cimitero di guerra del Commonwealth, né presso il vicino cimitero militare britannico, ne infine nel cimitero non islamico, sito al di fuori della circonvallazione più esterna di Bengasi, risultano presenti tombe di connazionali.
      In considerazione dei ripetuti episodi di vandalismo, riconducibili a fenomeni di criminalità comune piuttosto che di intolleranza religiosa, che hanno invece interessato a più riprese negli ultimi mesi il cimitero monumentale italiano di Hammangi a Tripoli, restaurato alcuni anni or sono grazie ad un progetto finanziato dal Ministero degli affari esteri, l'ambasciata a Tripoli ha sollecitato le autorità libiche a predisporre idonee misure di sicurezza a tutela del sito ed ha chiesto di estendere anche al cimitero italiano di Tripoli l'impegno assunto dal Ministro degli affari esteri Ben Khaial, di farsi carico della riparazione dei danni subiti dai cimiteri stranieri di Bengasi.
      Il consolato Generale a Tripoli, in raccordo con la comunità imprenditoriale italiana locale e con l'associazione italiani rimpatriati dalla Libia, ha da tempo provveduto all'adozione di alcune misure di sicurezza necessarie alla tutela del cimitero di Hammangi e ad avviare le procedure necessarie al suo rapido ripristino alle condizioni precedenti al recente conflitto in Libia.
      In ambito multilaterale l'Italia, insieme ai partner dell'Unione europea e in seno alle Nazioni unite, sta monitorando con attenzione l'evoluzione della situazione dei diritti umani in Libia, ivi compresa la libertà di religione. Si tratta peraltro di un'opera che si sta conducendo non solo in Libia, ma in tutti i paesi interessati dalla «Primavera araba», dove i movimenti politici contengono anche componenti integraliste, che potrebbero violare il rispetto dei diritti delle minoranze religiose ed, in particolare, delle comunità cristiane.
      Più specificamente, in ambito comunitario, in occasione della Gymnich dello scorso 9 marzo, il Ministro Terzi ha attirato l'attenzione degli Stati membri sulla necessità di intensificare gli sforzi nel campo della tutela della libertà di religione e della protezione delle minoranze religiose, chiedendo che tale tema venga posto al centro dell'azione europea, anche attraverso l'elaborazione di apposite «linee-guida», e che ai programmi di tutela della libertà religiosa siano assicurati adeguati stanziamenti.
      Nell'ambito delle Nazioni unite, si è contribuito in modo sostanziale all'adozione della risoluzione contro ogni forma di intolleranza e discriminazione religiosa, promossa dall'Unione europea ed adottata dall'assemblea generale nello scorso dicembre. Grazie all'azione dell'Italia, la risoluzione contiene elementi specifici che richiamano l'aumento degli episodi di violenza contro gli appartenenti a minoranze religiose e il dovere di ogni Stato di esercitare la massima vigilanza per prevenirli e punirne i responsabili.
      Analoga iniziativa dell'Unione europea è al momento in fase di discussione nell'ambito del Consiglio diritti umani.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Staffan de Mistura.


      SAMMARCO e GIULIO MARINI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          con la fusione fra Cinecittà Holding e Istituto Luce, nel maggio 2009 ha preso corpo la nuova realtà Cinecittà Luce spa, in cui si sintetizza il legame tra le profonde radici che risalgono al 1924 – data di fondazione dell'originario Istituto Luce – e la ricchezza degli apporti che nel corso del tempo sono confluiti nelle due società;
          oggi Cinecittà Luce spa rappresenta uno dei principali attori del settore cinematografico, che opera a supporto dello sviluppo e della promozione del cinema italiano in Italia e all'estero e si distingue per la capacità di integrare diverse aree di attività, essenziale per affrontare in maniera competitiva il mercato globalizzato;
          nella missione che Cinecittà Luce spa persegue sono chiari il suo ruolo istituzionale così come la responsabilità insita nel suo agire, che si traduce nell'impegno a creare valore economico e sociale per l'insieme dei suoi interlocutori nel lungo periodo, con lo sguardo rivolto alle generazioni future, assumendo così la responsabilità sociale, intesa come capacità di coniugale crescita economica, impegno sociale e tutela ambientale, quale asse strategico della propria gestione d'impresa;
          con i suoi 140 dipendenti, un patrimonio intellettuale, sociale e materiale di inestimabile valore, Cinecittà Luce spa intende porsi come fondamentale punto di riferimento dell'industria cinematografica italiana, centro di proposta, organizzazione e valorizzazione dei talenti e delle iniziative finalizzate a rendere il cinema italiano in tutti i suoi comparti, all'altezza dell'importanza culturale e industriale che riveste;
          il FUS (Fondo unico dello spettacolo) che serve a finanziare anche Cinecittà Luce spa, è «stato progressivamente ridotto, passando dai 29 milioni di euro nel 2004 ai 17,2 del 2010 fino ai 7,5 previsti per il 2011. Tali finanziamenti, serviranno a stento a pagare gli stipendi ed in questo senso si rischia di aprire un tavolo di crisi con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali per la riduzione dell'organico che comunque rappresenterebbe un rallentamento della digitalizzazione dell'archivio audiovisivo (tra i più importanti del mondo), della promozione del nostro cinema, della distribuzione di opere prime e seconde finanziate dallo Stato;
          ad avviso degli interroganti una riduzione di finanziamenti a Cinecittà Luce spa ed il conseguente ridimensionamento dei suoi programmi comportano un danno di immagine, e non solo, per il nostro Paese in un settore strategico come quello della cinematografia  –:
          quali iniziative urgenti di competenza intendano intraprendere per tutelare i lavoratori di Cinecittà Luce spa dal rischio reale di un ridimensionamento dell'organico della società stessa. (4-11304)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame con la quale l'interrogante chiedeva notizie in merito al finanziamento di Cinecittà luce Spa per l'anno 2011 e al rischio di ridimensionamento dell'organico della predetta società, si rappresenta quanto segue.
      Le risorse destinate, per l'anno 2011, a Cinecittà luce SpA sono state pari a 13,5 milioni di euro, come risulta dal decreto direttoriale del 23 settembre 2011 con cui è stata stabilita la ripartizione finale delle risorse Fondo unico per lo spettacolo destinate alle attività cinematografiche, adottato in coerenza coi decreti del Ministro per i beni e le attività culturali del 4 maggio e del 19 settembre 2011, con cui sono state ripartite le risorse del Fondo unico dello spettacolo per l'anno 2011.
      Si tratta di una cifra nettamente superiore all'importo di 7,5 milioni di euro riportato nell'interrogazione in oggetto. A tal proposito, si rammenta che il Fondo unico dello spettacolo, a decorrere dall'anno 2011, è stato reintegrato con decreto legge n.  34 del 31 marzo 2011, convertito in legge 26 maggio 2011 n. 75.
      Relativamente, poi, alla questione sollevata nell'interrogazione circa il ridimensionamento dell'organico della società in oggetto, va ricordato che con la recente riforma di Cinecittà luce SpA, introdotta dalla legge 15 luglio 2011 n.  111, è stata costituita la società «Istituto Luce – Cinecittà Srl».
      In riferimento al futuro ed alla salvaguardia della
mission della precedente società Cinecittà luce SpA, si evidenzia che la riforma, introdotta dalla citata normativa, ha permesso una razionalizzazione delle spese ed una migliore attuazione della mission (in particolare, la conservazione e diffusione dell'archivio storico, la promozione del cinema italiano classico e contemporaneo, la distribuzione sul territorio italiano di opere prime e seconde) rispetto alla precedente configurazione societaria, soggetta pertanto a liquidazione all'esito dei passaggi previsti nella normativa.
      La legge n.  111 del 2011 ha previsto, inoltre, l'adozione annuale da parte del Ministro per i beni e le attività culturali di un atto di indirizzo relativo agli obiettivi strategici della suddetta società.
      Per quanto attiene, infine, al trasferimento delle risorse umane da Cinecittà luce SpA presso la nuova società Cinecittà luce srl e presso questo Ministero, come previsto dalla legge n.  111 del 2011 si fa presente quanto segue.
      Ai sensi dell'articolo 47 della legge 428 del 1990, la procedura di esame congiunto tra le rappresentanze sindacali e i vertici di questo Ministero, di Cinecittà luce S.p.a. e Istituto luce – Cinecittà srl si è conclusa il 28 dicembre 2011 con un accordo.
      Tale accordo ha previsto il trasferimento di alcune funzioni e relative risorse umane di Cinecittà luce SpA pari a 54 dipendenti, presso questo Ministero e, inoltre, ha stabilito l'organigramma della nuova società Istituto luce Cinecittà Srl, individuato in numero di 68 dipendenti.
      Risulta in tal modo assicurata la tutela dei dipendenti di Cinecittà luce S.p.A. nonché, unitamente al mantenimento del livello occupazionale, la previsione di un organico adeguato allo svolgimento della
mission della nuova società prevista dalla normativa di riforma.
Il Ministro per i beni e le attività culturali: Lorenzo Ornaghi.


      SBAI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          la Libia è totalmente scomparsa dalle cronache internazionali dalla morte del colonnello Gheddafi;
          in Libia è in atto una repressione feroce, testimoniata da articoli di giornale e filmati relativi, contro ex lealisti di Gheddafi e intellettuali dissidenti;
          Medici senza Frontiere aveva già denunciato le sevizie nelle carceri libiche ai danni degli ex lealisti (http://www.ilsole24ore.com);
          è di questi giorni l'ennesimo episodio aberrante in terra di Libia, ai danni di ex lealisti;
          in un video si mostra come alcuni di loro siano stati rinchiusi in una gabbia dello zoo e costretti, nel pubblico ludibrio, a mangiare la bandiera dell'ex regime di Gheddafi (http://video.corriere.it);
          a tutti gli effetti il Paese è in una guerra civile ancora in corso, cosa testimoniata dagli scontri di Tripoli e di Misurata delle settimane;
          le tv mondiali e satellitari paiono restie a diffondere notizie contro il Cnt e Mustapha Jalil, che oggi regge il Governo libico;
          è in atto, ad avviso dell'interrogante, una vera e propria disinformazione che privilegia le violenze e la repressione  –:
          di quali elementi il Governo disponga, viste le relazioni politico-economiche intessute dal nostro Paese con la Libia, sui fatti che lì avvengono;
          se il Governo intenda porre in essere iniziative di sollecito presso la comunità internazionale, affinché cessino le violenze ai danni dei dissidenti in Libia. (4-15187)

      Risposta. — L'esistenza di una situazione critica sotto il profilo del rispetto dei diritti umani in Libia è stata recentemente denunciata in diverse occasioni, sia da parte di organizzazioni umanitarie sia dalle competenti istanze delle Nazioni unite ed è oggetto della massima attenzione da parte del Governo italiano.
      Si sono registrate ultimamente preoccupazioni del Segretario generale delle Nazioni unite, Ban Ki Moon, per quanto evidenziato dal Rapporto della Commissione d'Inchiesta della stessa organizzazione sui crimini commessi in Libia, che ha rilevato come abusi e violazioni dei diritti umani siano stati commessi nelle diverse fasi della crisi libica non solo da esponenti del passato regime ma anche da sostenitori della rivoluzione.
      L'alto commissario ONU per i diritti umani, Navi Pillay, nel fare riferimento alla situazione del paese, ha sottolineato il permanere di una situazione preoccupante dal punto di vista del rispetto di tali diritti con particolare riferimento alle denunce di torture e maltrattamenti perpetrati in alcuni centri illegali di detenzione libici, pur sottolineando come le autorità transitorie abbiano intrapreso incoraggianti passi in direzione del rispetto dei diritti umani e della creazione di uno Stato di diritto.
      L'alto commissario ha in particolare citato gli impegni assunti dal primo Ministro libico, Al Kiib, fin dai primi giorni dal suo insediamento: l'avvenuta costituzione, nel dicembre scorso, del Consiglio nazionale libico per le libertà fondamentali ed i diritti umani; il significativo, complesso processo di riforma del sistema normativo nazionale, condotto grazie anche alla fattiva assistenza della missione delle Nazioni unite in Libia (UNSMIL), e la prevista approvazione a breve di una normativa che regoli le attività del sistema giudiziario libico nella fase transitoria. L'alto commissario ha, in tale quadro, avuto espressioni di elogio per l'attitudine e l'impegno mostrato da parte del Governo, in un contesto particolarmente difficile.
      I recenti episodi di abusi e violazioni sono stati riconosciuti e fermamente condannati dal Primo ministro, Al Kiib, che di fronte al Consiglio per i diritti umani (il 28 febbraio 2012) ed al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite (il 7 marzo 2012) ha reiterato il fermo impegno del Governo di Tripoli al rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali sottolineando come, in collaborazione con le Nazioni unite, siano già state avviate indagini sui fatti denunciati. Le dichiarazioni del primo Ministro Al Kiib sono state giudicate in maniera positiva da tutti i partner internazionali.
      In collaborazione con le Nazione unite, il governo di Tripoli si sta adoperando per ricondurre sotto il controllo delle autorità centrali tutti i centri di detenzione del paese, elemento cruciale per ridurre i rischi di ulteriori violazioni dei diritti umani. È altresì all'esame un progetto di legge per la riconciliazione nazionale che, nel sancire l'esigenza di assicurare alla giustizia quanti, da una parte e dall'altra, si siano macchiati di crimini e di violazioni dei diritti umani, dovrà identificare un percorso volto a mettere fine alle tensioni ancora esistenti nella società libica, ricucendo lo strappo esistente tra le diverse fazioni.
      Sul tema delle ispezioni alle carceri ed ai luoghi di detenzione libici si è soffermato in particolare il rappresentante del segretario generale delle Nazioni unite per la Libia, Ian Martin, che ha confermato al Consiglio di Sicurezza (il 29 febbraio 2012) che i rappresentanti della missione Onu in Libia (UNSMIL), in raccordo con i Ministeri della difesa e dell'interno, hanno avuto la possibilità di visitare numerose strutture di detenzione (a Tripoli, Misurata e Zawia), indicando alle locali autorità le lacune presenti e gli interventi da apportare per migliorare la situazione. Ci attendiamo adesso che le autorità libiche facciano piena chiarezza sugli episodi oggetto di denuncia e che i responsabili di eventuali abusi siano condotti di fronte alla giustizia.
      Il Governo italiano ha registrato ripetute conferme, in ogni occasione di incontro, della volontà delle autorità transitorie libiche di costruire un nuovo Paese democratico, fondato sui principi irrinunciabili del rispetto della legalità internazionale, delle libertà fondamentali e dei diritti dell'uomo. La determinazione di Tripoli nel rispettare tali principi, che hanno rappresentato la base stessa della lotta del popolo libico per la libertà, è stata suggellata nella dichiarazione di Tripoli, firmata il 21 gennaio scorso in occasione della visita del Presidente del Consiglio, base di partenza per la costruzione di un rinnovato rapporto bilaterale. Non si può che condividere sotto tale profilo i giudizi positivi formulati in ambito Onu e proseguire nella nostra azione a sostegno delle autorità transitorie nell'arduo compito di guidare il Paese verso la democrazia.
      L'emergere di preoccupazioni e di denunce per la violazione dei diritti umani, suggerisce la necessità di intensificare l'azione internazionale di assistenza alle autorità transitorie nello sforzo per la stabilizzazione democratica e la ricostruzione del paese. Principale elemento di criticità è rappresentato dalla situazione dell'ordine pubblico: il Governo non controlla ancora la totalità del territorio e alcuni gruppi armati gestiscono in modo del tutto autonomo alcuni centri di detenzione. Si tratta di un elemento che pone in serio rischio la possibilità delle autorità di garantire il pieno rispetto dei diritti umani nel paese.
      In tale quadro si inseriscono gli impegni assunti dal Governo italiano a sostegno delle autorità di Tripoli, attraverso un'ampia ed articolata offerta di assistenza tecnica, sostegno alle istituzioni per la stabilizzazione democratica e formazione nel settore della sicurezza e del diritto; con iniziative formative e di
«vocational training» volte a facilitare il reinserimento dei miliziani nella società civile; attraverso progetti di institution building in favore della nuova amministrazione pubblica, inclusi i settori delle forze di polizia e della magistratura.
      Si tratta di interventi concreti, già in fase di realizzazione o in procinto di essere avviati, che potranno favorire, come auspicato anche dall'alto commissario Pillay, il rafforzamento delle autorità centrali e la progressiva estensione del loro controllo sul paese.
      L'Italia è altresì disponibile a prendere parte ad ogni attività condotta da parte delle organizzazioni internazionali o realizzata nel quadro dell'Unione europea a sostegno delle autorità transitorie nel loro sforzo in vista del pieno rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto in Libia.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Staffan de Mistura.


      SBAI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          da nove mesi ormai la piccola Martina è sequestrata dal padre, Hassan Abdeljelil, in Tunisia;
          la bambina è stata illegalmente sottratta alla madre e portata in Tunisia;
          la madre, Marzia Tolomeo, non la può vedere e la può solo, a scatti, ascoltare via telefono per pochi secondi;
          il tribunale di Milano ha tolto al padre la patria potestà;
          la situazione si fa ogni giorno più difficile per un ritorno della bambina, che è cittadina italiana, in patria  –:
          quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per risolvere questa vicenda drammatica e di altri sette bambini che sarebbero stati sequestrati in Tunisia;
          se intenda il Governo porre in essere iniziative che portino all'immediato ritorno di Martina e di tutti gli altri bambini in Italia, visto che la minore è a tutti gli effetti cittadina italiana. (4-15190)

      Risposta. — Il Ministero degli affari esteri continua a seguire con la massima attenzione – in stretto raccordo con l'ambasciata d'Italia a Tunisi e con l'ambasciatore Benassi in prima persona – la dolorosa vicenda della piccola Martina, che si trova in una fase prettamente giudiziaria.
      Il 20 dicembre 2011, si è tenuta presso il tribunale di Tunisi la prima udienza del procedimento di
exequatur promosso dalla connazionale per ottenere il rimpatrio della bambina, sulla base del decreto emesso dal tribunale per minorenni di Milano il 4 ottobre 2011. Il 13 marzo 2012, il giudice tunisino ha stabilito che la prossima udienza avrà luogo il prossimo 24 aprile.
      Prosegue parallelamente, presso il tribunale di Zaghouan, anche il procedimento proposto dal signor Abdeljelil per ottenere l'affidamento di Martina. Il 16 marzo scorso, si è tenuta la quarta udienza alla quale erano presenti anche rappresentanti dell'ambasciata. La prossima udienza è stata fissata al prossimo 20 aprile.
      Si è, inoltre, in attesa della definizione del procedimento penale, pendente nei confronti del padre della minore, per aver impedito il 2 agosto 2011 alla signora Tolomeo di esercitare il diritto di visita concessole dal giudice locale.
      Nelle more della definizione della controversia in sede giudiziaria, si è comunque registrato un positivo sviluppo: accompagnata dai propri genitori, lo scorso 8 febbraio, la connazionale ha potuto finalmente far visita alla figlia. L'incontro con Martina – ottenuto a seguito di una difficile mediazione operata dall'ambasciata e dai legali delle parti – si è svolto il giorno successivo in un clima sereno, dalle ore 10.00 alle 16.00, presso l'abitazione della famiglia del signor Abdeljelil. La signora Tolomeo è stata costantemente accompagnata ed assistita da personale dell'ambasciata. Lo stesso ambasciatore Benassi l'ha incontrata per consigliarla in merito alle modalità di svolgimento della visita.
      La nostra attività di sensibilizzazione diplomatica è proseguita al più alto livello: il signor Ministro Terzi, in occasione della sua visita a Tunisi il 6 gennaio 2012, nel rispetto per l'autonomia e l'indipendenza della magistratura tunisina, ha sensibilizzato il suo omologo Rafik Abdessalem sulla vicenda.
      Pur con i detti limiti, il Ministero degli affari esteri – per il tramite dell'ambasciata a Tunisi – continuerà a seguire con la massima attenzione il caso della piccola Martina e tutti gli altri casi di sottrazione internazionale pendenti in Tunisia, affinché possano risolversi positivamente, nel superiore interesse dei minori coinvolti.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Staffan de Mistura.


      STRIZZOLO, ROSATO e MARAN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i rapporti con le regioni e le autonomie locali. — Per sapere – premesso:
          l'articolo 65 dello statuto della regione autonoma Friuli Venezia Giulia prevede la costituzione di una commissione paritetica, composta da tre membri eletti dal consiglio regionale e da tre membri nominati dal Governo, con il compito di approfondire le tematiche oggetto di decreti legislativi emanati in attuazione dello statuto speciale della regione;
          tale commissione paritetica, che negli anni ha sempre svolto un prezioso lavoro di approfondimento e di raccordo tra la regione Friuli Venezia Giulia e lo Stato nella definizione di problematiche attinenti il trasferimento di funzioni e di risorse, in attuazione dei dispositivi di legge di volta in volta emanati e riguardanti i complessi rapporti tra la regione e lo Stato, contribuendo a creare i prodromi di un positivo percorso di decentramento di funzioni e di competenze dallo Stato alle autonomie regionali, è stata rinnovata nella sua composizione a seguito delle elezioni regionali e politiche nazionali del 2008;
          successivamente, nel corso del mese di febbraio del 2011, vi è stata la sostituzione del presidente dopo una parentesi di qualche mese nella operatività della commissione;
          il percorso avviato, con un ampio dibattito politico-istituzionale, per una riforma in senso federalista dello Stato, e, oggi, alla luce anche dei molteplici provvedimenti di carattere istituzionale e finanziario adottati, comporta un sempre più necessario lavoro di coordinamento tra Stato e regione, con l'obiettivo della completa attuazione dello statuto di autonomia del Friuli Venezia Giulia, tenendo conto dei complessi e specifici rapporti di natura finanziaria, legislativa ed amministrativa esistenti tra lo Stato e le regioni a statuto speciale;
          nei rapporti tra il Governo e la regione Friuli Venezia Giulia, è in fase di approfondimento una nutrita serie di problematiche attinenti il trasferimento di nuove funzioni, al trasferimento di immobili di particolare significato storico e culturale come il castello di Udine, di caserme e altre strutture militari e civili dismesse nonché ad importanti questioni relative ai rapporti più strettamente finanziari che stanno interessando settori economici significativi, legati anche alla collocazione geografica del Friuli Venezia Giulia;
          recentemente, per iniziativa di diverse rappresentanze politico-istituzionali, è stata tra l'altro avanzata la necessità di addivenire ad un nuovo protocollo d'intesa tra il Governo e la regione Friuli Venezia Giulia per definire, in maniera più equa ed efficace, i rapporti finanziari e per delineare congiuntamente alcune scelte strategiche in relazione alla realizzazione di importanti infrastrutture stradali, ferroviarie e portuali da porre, a servizio del rilancio economico-produttivo del Friuli Venezia Giulia e dell'intera area del Nord-est, anche alla luce dei nuovi rapporti che si stanno sviluppando con i Paesi del Centro-est europeo e con quelli dell'area balcanica;
          con le dimissioni del Governo Berlusconi, avvenuta il 9 novembre del 2011, è decaduta la rappresentanza governativa di tre membri nella commissione paritetica, mentre da parte del nuovo Governo, entrato in carica con il giuramento il 16 novembre 2011, non vi è notizia circa le determinazioni da assumere per riattivare formalmente e politicamente le funzioni della commissione paritetica la cui attività è assolutamente necessari e urgente  –:
          quali siano le ragioni che, fino ad oggi, non hanno consentito al Governo di procedere con la designazione della propria rappresentanza nella commissione paritetica;
          quali siano i criteri che il Governo intenda seguire per la nomina dei rappresentanti di propria competenza. (4-14842)

      Risposta. — In riferimento all'atto parlamentare di sindacato ispettivo indicato in oggetto, si rappresenta che con decreto del Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport del 1o marzo 2012 è stata ricostituita la commissione paritetica prevista dall'articolo 65 dello Statuto di autonomia della regione Friuli Venezia Giulia.
      La commissione, insediatasi il 6 marzo 2012, ha ripreso i lavori.

Il Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport: Piero Gnudi.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il Consiglio intermedio di rappresentanza militare delle Forze operative terrestri dell'Esercito, con delibera n.  28/2011 datata 13 dicembre 2011, ha informato l'autorità affiancata della insalubre situazione alloggiativa in cui i militari volontari e graduati impiegati in esercitazioni presso il poligono di Capo Teulada sono costretti ad alloggiare;
          nella citata delibera è scritto che i locali sono senza pareti divisorie, con letti a castello, senza armadi, con bagni non funzionanti, con muffa presente sulle pareti interne ed esterne e con finestre e porte rotte  –:
          se il Ministro sia a conoscenza di quanto in premessa;
          se gli immobili destinati ad alloggi per il personale impegnato nelle esercitazioni presso il poligono di Capo Teulada siano provvisti di adeguata certificazione di abitabilità/agibilità ed in caso affermativo chi l'abbia rilasciata e in che data;
          se nell'ultimo quinquennio siano stati stanziati dei fondi per la ristrutturazione di detti edifici ed in caso affermativo quali siano stati i lavori eseguiti ed il loro costo;
          il personale di quali ruoli trovi sistemazione in detti alloggi. (4-14278)

      Risposta. — I reparti impiegati in esercitazione presso il poligono di Capo Teulada utilizzano alcune strutture della caserma «Pisano», sede del 1o reggimento corazzato e del 3o reggimento bersaglieri, tra le quali vi sono quattro palazzine per l'alloggiamento delle truppe in addestramento, destinate ad essere utilizzate da militari di ordine e grado, in funzione delle esigenze dei citati reparti.
      Le palazzine in questione, sottoposte nel tempo ad usura maggiore rispetto alle strutture destinate alle truppe stanziali (nel 2011 hanno ospitato, ad esempio, 11.000 militari appartenenti alle brigate «Pinerolo», «Aosta», «Sassari», «Ariete» e «Garibaldi»), negli ultimi 5 anni sono state oggetto di interventi di minuto mantenimento per complessivi 145.983 euro, nelle more di interventi radicali di ristrutturazione, peraltro già inseriti nella programmazione triennale scorrevole (PTS) 2011-2013 dei lavori di ammodernamento/rinnovamento delle infrastrutture.
      Si precisa, infine, che tali palazzine, pur non avendo un certificato di agibilità/abitabilità ai sensi della normativa edilizia «civile» (decreto del Presidente della Repubblica 380/2001), previsto solo per gli alloggi per famiglia e non per le installazioni militari, sono in possesso dei certificati di conformità degli impianti elettrico, termico e prevenzione incendi.

Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          da un articolo pubblicato dal Corriere della Sera a firma Francesco Alberti il 14 gennaio 2011 risulta che, alla prova di collaudo, il «Super Tram» di Bologna denominato Civis «per due volte ha sbandato in mezzo al traffico, poi ha mostrato più di un'incertezza in curva e quando è stato il momento di allinearsi alla banchina, l'operazione è stata tutt'altro che chirurgica. È stato un vecchio autista a bordo a riportare il mezzo in traiettoria»;
          nell'articolo si legge inoltre che: «Sono anni, d'altra parte, che sbanda il decantato Civis, supercomputerizzato tram su gomma a guida ottica che prima o poi unirà parte della periferia al cuore della città (doveva essere pronto per il 2010, forse lo sarà nel 2012). Sono anni che questo colossale progetto da 182 milioni di euro (di cui 109 dallo Stato) sovrasta e dilania la politica bolognese: modifiche di percorso, sollevazioni di comitati popolari, ritardi, voltafaccia, allarmi più o meno catastrofici. Un tormentone estenuante. Ora complicato dall'ingresso in scena della magistratura, chiamata ad accertare la regolarità del progetto sotto il profilo della sicurezza (da qui il test dell'altro giorno e il sequestro di alcune vetture), oltre che il corretto adempimento delle clausole contrattuali da parte dell'azienda costruttrice «Irisbus»;
          l'Azienda trasporti comunale (Atc) ha calcolato in 15 mila euro al giorno la penale che Irisbus e Coop Costruttori dovranno pagare per i ritardi nella consegna del progetto, ma le due aziende addebitano ad altri la responsabilità dello slittamento dei tempi. Per non parlare, poi, delle 48 vetture, moderne e scintillanti, che da tempo languono inutilizzate nei magazzini, ma che intanto richiedono un'adeguata e costosa manutenzione;
          i comitati di cittadini lamentano scarsa informazione e trasparenza su tutta la vicenda legata alla progettazione e realizzazione del tram bus  –:
          di quali informazioni disponga il Governo in merito all'intera vicenda che ha riguardato la realizzazione del progetto CIVIS a Bologna, con particolare riferimento al contenuto del contratto d'appalto e alla sussistenza di eventuali penali e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere al riguardo;
          se siano previsti ulteriori contributi governativi al progetto. (4-10426)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
      Si premette che l'effettuazione delle procedure per la realizzazione dei lavori in argomento rientra nella competenza del comune di Bologna, beneficiano del finanziamento, unitamente alle scelte funzionali, gestionali ed esecutive, proprie della stazione appaltante nella fase di affidamento dell'opera.
      Le competenze di questa amministrazione sono relative, oltre che all'assegnazione e all'erogazione dei contributi, anche allo svolgimento di tutta l'attività di verifica dei requisiti di sicurezza, sia nel corso dell'istruttoria progettuale che delle prove e verifiche finalizzate all'apertura del pubblico esercizio dell'impianto.
      Nel merito, si comunica che nel 2001 il Cipe ha assegnato al comune di Bologna, ai fini della realizzazione di un sistema a guida vincolata nella tratta «Borgo Panigale-Centro-S. Lazzaro», un finanziamento di lire 221.376.000.000, a valere sulle risorse
ex legge n.  21 gennaio 1992, ed un ulteriore finanziamento di lire 1.058.000.000, a valere sulle risorse di cui alle leggi n.  488/1999 e n.  388/2000 (rifinanziamento della legge 211/1992), per integrare la suddetta linea con una diramazione di collegamento con la stazione ferroviaria «Caselle».
      Nel 2002, nel rispetto delle competenze sopra evidenziate, questa Amministrazione ha emesso il provvedimento ministeriale con cui veniva espresso il parere tecnico-economico favorevole sull'intero intervento; nel contempo veniva rilasciato il nulla osta ai fini della sicurezza solo sul progetto dell'infrastruttura del trasporto pubblico a guida vincolata, in quanto non risultava ancora nota la tecnologia di sistema che sarebbe stata individuata a seguito di specifica gara.
      Preliminarmente all'avvio delle procedure di gara, il progetto del sistema a guida vincolata, nella sua configurazione completa, è stato sottoposto a Valutazione di Impatto Ambientale, secondo le disposizioni della legge della regione Emilia-Romagna n.  9/1999. Inoltre, in conformità alla legge stessa, la Giunta della provincia di Bologna, in data 17 settembre 2002, ha espresso parere favorevole, con prescrizioni, sulla Valutazione di Impatto Ambientale del progetto del sistema di trasporto pubblico a guida vincolata, tratta Borgo Panigale-Centro-S. Lazzaro e tratta di diramazione, complessivamente denominato trasporto pubblico a guida vincolata.
      Nel 2003 il consiglio di amministrazione di Atc trasporti pubblici Bologna, società individuata come soggetto attuatore dal comune di Bologna, ha deliberato, a conclusione dell'espletamento della gara, l'aggiudicazione provvisoria all'A.T.I. costituita da Iribus Italia S.p.a., in qualità di mandataria, e dal consorzio cooperativo costruzioni, in qualità di mandante.
      Il sistema tecnologico proposto dall'Ati è denominato Civis ed è costituito essenzialmente da un sistema di trasporto che utilizza un veicolo di tipo filoviario, quindi con ruote in gomma, dotato di un innovativo dispositivo che consente di leggere un'apposita guida disegnata a terra, in modo da percorrere traiettorie definite, nonché un ottimale accostamento alle banchine delle fermate. Riguardo il veicolo Civis, si evidenzia che lo stesso, inteso come veicolo filoviario senza l'installazione dei dispositivi atti a consentirne l'utilizzo lungo la guida ottica, è stato oggetto di omologazione da parte dei competenti uffici di questo Ministero.
      Nel 2005 questa amministrazione, dopo aver espresso un parere di ammissibilità sulla tecnologia prescelta, ha nominato un'apposita commissione di sicurezza, con il compito di verificare, per conto dell'amministrazione stessa, le condizioni di sicurezza del sistema a guida ottica del Civis.
      A partire dal suo insediamento, avvenuto nel maggio del 2005, detta commissione ha svolto un'intensa attività di esame della documentazione progettuale esecutiva e di quella relativa alla sicurezza, oltre all'effettuazione di prove sui veicoli e sul sistema lungo la tratta funzionale realizzata nel comune di San Lazzaro.
      Il 1o giugno 2011 la commissione ha redatto una propria relazione istruttoria sui lavori svolti, evidenziando che il sistema funzionante con «guida ottica» non presenta le necessarie condizioni di sicurezza – in quanto nel sito di Bologna il tracciato si sviluppa prevalentemente su sede promiscua con altro traffico veicolare e pedonale, mentre presupposto a base dell'analisi di sicurezza predisposta dal fornitore è che la circolazione sia su corsia riservata – e che, pertanto, il veicolo non potrà utilizzare la guida ottica e dovrà essere condotto con guida manuale.
      Occorre, comunque, tener conto che le perplessità sull'uso della guida ottica erano già state esposte da questa amministrazione in sede di istruttoria preliminare.
      Resta ancora da verificare, da parte della commissione, la funzionalità del sistema a guida ottica connessa all'accostamento in banchina del veicolo.
      Per ciò che concerne gli ulteriori sviluppi, questa amministrazione, nell'ambito delle proprie competenze, dovrà successivamente esprimersi sul sistema a guida ottica, per il rilascio del nulla osta ai fini della sicurezza, al termine di tutte le attività della commissione di sicurezza e sulla scorta del parere della commissione interministeriale per le metropolitane, di cui alla legge n.  1042/1969, come integrata dall'articolo 5 della legge n.  211/1992.
      Qualora si determinasse l'impossibilità di utilizzare il sistema a guida ottica così come proposto dal fornitore, la decisione su un possibile utilizzo dell'impianto come filovia tradizionale o sulla risoluzione contrattuale non potrebbe essere che dell'Ente Locale e del soggetto attuatore Atc, cui spettano in maniera esclusiva le competenze sull'affidamento delle opere.
      In tali circostanze, a seconda della decisione assunta, questo Ministero, previo parere della competente Cav, valuterà un eventuale deprezzamento del sistema, o la revoca del finanziamento, al fine di sottopone la proposta al Cipe per le determinazioni conclusive.
      Pertanto, in merito all'ultima richiesta dell'interrogante, si comunica che per il sistema di trasporto in esame non sono previsti ulteriori contributi statali.
      Per opportuna completezza di informazione, si fa presente che il 14 ottobre 2011 il soggetto attuatore di Bologna ha deliberato di sospendere le attività oggetto dell'appalto: la sospensione è avvenuta in data 18 ottobre 2011.
      Con nota del 20 gennaio 2012 l'Atc ha comunicato di aver contestato all'Ati il giorno prima, tramite il direttore dei lavori, le gravi inadempienze e di aver concesso alla stessa 25 giorni dalla data di ricevimento della contestazione per presentare eventuali controdeduzioni e proporre soluzioni idonee a superare lo stato di inadempimento.
      Esaurito tale termine e valutate le controdeduzioni dell'Ati, l'Atc potrà assumere o meno la decisione di risolvere il contratto.
      Si è tuttora in attesa di conoscere gli esiti della contestazione.

Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Corrado Passera.


      ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          nella serata di mercoledì 17 agosto è stata data la notizia dello «scivolamento» del tetto del complesso abbaziale arabo-normanno di Monreale, nel Palermitano, che ha ceduto ed è scivolato giù aprendo una falla nella copertura dell'edificio;
          il crollo ha interessato il dormitorio, che si trova nella parte laterale tra il celeberrimo duomo e il chiostro dei Benedettini e la parte danneggiata di Monreale era stata restaurata nel 1996;
          secondo il sindaco Di Matteo, dopo l'inaugurazione, l'area era stata chiusa «per problemi con l'impianto antincendio, nonostante le nostre ripetute proteste per fare riaprire il dormitorio»; il complesso di Monreale viene considerato una delle più stupefacenti testimonianze in stile normanno  –:
          quali siano l'entità dei danni e gli interventi urgenti da effettuare;
          come si spiega il crollo in una struttura restaurata circa quindici anni fa;
          se e quali azioni il Ministro interrogato intenda intraprendere per assicurare la ristrutturazione. (4-13035)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, con cui l'interrogante chiede di avere notizie circa i danni causati dal crollo avvenuto nel complesso abbaziale di Monreale (Palermo), si rappresenta quanto segue.
      La Regione siciliana, ente competente in materia di beni culturali per la regione Sicilia, ha comunicato, mediante il competente assessorato dei beni culturali e dell'identità siciliana e sulla base di una relazione redatta dal servizio soprintendenza beni culturali di Palermo, del Dipartimento dei beni culturali e dell'identità siciliana, i seguenti elementi istruttori.
      I lavori di restauro del complesso monumentale Guglielmo II, condotti dalla soprintendenza come stazione appaltante, comprendenti anche il restauro dell’
ex dormitorio dei Benedettini, iniziati in data 15 maggio 1991, sono stati ultimati in data 5 aprile 1997, per un importo netto, da stato finale, di 14.322.164.521 lire ed il collaudo è stato approvato dall'assessorato in data 7 giugno 1999.
      Gli stessi lavori eseguiti erano muniti di un parere a condizioni rilasciato da parte dei Vigili del Fuoco del 1992. Non avendo ottemperato alle prescrizioni poste nel suddetto parere, i locali predisposti per fini museali non sono stati mai aperti al pubblico. Infatti, l'inaugurazione, cui fa riferimento l'interrogante, ha riguardato soltanto la presentazione del restauro.
      L'episodio, avvenuto il 17 agosto 2011, di danneggiamento del manto di copertura dell’
ex dormitorio, non sembra riconducibile alla presunta mancanza di manutenzione dell'immobile. Tale evento è da ricondurre all'improvviso distacco di parte del massetto di conglomerato cementizio, collocato su tavolato, su cui era murato il manto di tegole alla romana. Fortunatamente il muretto d'attico ha fermato lo scivolamento, che altrimenti avrebbe potuto arrecare danni al sottostante portico del chiostro.
      La soprintendenza di Palermo, per fare fronte all'evento, ha richiesto all'assessorato l'autorizzazione all'intervento di somma urgenza per un importo di euro 90.000,00.
      Tale richiesta è stata tempestivamente assentita e, con decreto del dirigente generale del dipartimento, sono stati finanziati i lavori di riparazione del tetto.
      La consegna dei lavori all'Impresa incaricata è stata effettuata il 6 settembre 2011; i lavori contrattualmente dovevano essere ultimati entro 120 giorni dalla data del verbale di consegna, quindi, entro il 6 gennaio 2012; stante la difficoltà del reperimento delle tegole, che per la particolare tipologia e per la fattura di tipo artigianale non erano immediatamente disponibili, i lavori sono stati sospesi.
      La direzione dei lavori ha assicurato che ormai la fornitura delle tegole è prossima e i lavori, quindi, riprenderanno e saranno conclusi rapidamente.
      Nessun danno di natura strutturale al complesso monumentale si è verificato.
      In ultimo si rappresenta che il progetto che prevede il restauro dell'area esterna e della falda meridionale e l'adeguamento dell'impianto antincendio, del valore di euro 500.000,00, è stato incluso fra quelli ammessi a finanziamento nella programmazione Po Fesr 2007/2013.
      L'attuazione del suddetto progetto, finanziato, come detto sopra, sul Po Fesr 2007/2013, potrà consentire l'apertura a fini museali dell’
ex dormitorio, potenziando la fruibilità del sito, che, già in atto, è uno dei più visitati nella provincia di Palermo.
Il Ministro per i beni e le attività culturali: Lorenzo Ornaghi.