XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 17 maggio 2012

TESTO AGGIORNATO AL 21 MAGGIO 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


      La Camera,
          premesso che:
              la società multinazionale Goodyear ha attuato, durante il periodo della propria presenza in Italia, una politica industriale sostanzialmente impostata su una attività concentrata in stabilimenti collocati in aree del Paese a basso tasso di sviluppo, anche in modo da usufruire delle agevolazioni fiscali della «Cassa per il Mezzogiorno»;
              quando le condizioni economiche e imprenditoriali non hanno più consentito alla società di sviluppare in tal modo la propria produzione, la Goodyear ha scelto la strada di abbandonare l'Italia (e, in particolare, lo stabilimento di Cisterna di Latina), smantellando repentinamente i macchinari utilizzati negli stabilimenti italiani, coibentati in amianto, che sono stati trasferiti in Paesi in via di sviluppo che possiedono normative più deboli in materia di sicurezza sul lavoro;
              purtroppo, numerosi lavoratori impiegati dalla società presso i propri stabilimenti, negli anni di permanenza in Italia, hanno accusato gravissime patologie derivanti dall'esposizione agli agenti dell'amianto, che sono state riscontrate in modo oggettivo – e non contestabile – dai competenti organismi sanitari;
              in questo contesto, nell'estate del 2008 il tribunale di Latina ha condannato a complessivi 21 anni di reclusione nove ex dirigenti della Goodyear italiana nel processo per le morti, causate dall'esposizione all'amianto, nello stabilimento di Cisterna di Latina, che produceva pneumatici e ha definitivamente chiuso nel 2000;
              dopo la sentenza, gli eredi delle vittime restano ancora in attesa dell'erogazione del risarcimento e l'azienda si rifiuta di corrispondere il dovuto, nonostante i reiterati ordini dei giudici di versare immediatamente le somme indicate;
              secondo l'autorità giudiziaria, l'assoluta carenza dei dispositivi di protezione individuali e collettivi nonché la violazione delle norme poste a tutela degli operai hanno determinato la morte di decine di operai, esposti all'amianto, alle ammine aromatiche e ad altre sostanze altamente tossiche;
              il prossimo 6 giugno 2012 è prevista presso il tribunale di Latina una nuova udienza, nell'ambito del processo penale di appello, mentre sta per iniziare presso il medesimo tribunale il dibattimento penale cosiddetto «Goodyear-bis» con dodici ex dirigenti della multinazionale in questione imputati di omicidio colposo plurimo e lesioni colpose aggravate nei confronti di altri 20 operai, di cui 19 morti per tumore;
              in data 15 settembre 2010 è stata approvata all'unanimità, da parte della XI Commissione della Camera, la risoluzione 8-00089, con la quale, proprio per far fronte a tale grave situazione e ad altre analoghe, il Governo si era impegnato a mettere in campo le iniziative più opportune, nell'interesse primario dei lavoratori drammaticamente coinvolti e delle loro famiglie, anche nell'ambito di un confronto generale con tutti i soggetti istituzionalmente coinvolti, nella prospettiva di portare all'attenzione e monitorare tutte le questioni ancora aperte;
              allo stato, non risulta che il Governo abbia dato seguito ai richiamati impegni assunti a livello parlamentare, mentre una iniziativa di mediazione, avviata a livello privato – anche a seguito delle reiterate richieste di versamento dei risarcimenti – con il coinvolgimento della società multinazionale, ha prodotto risultati assolutamente inaccettabili e deludenti;
              occorre, dunque, intraprendere tutte quelle azioni tese a salvaguardare i diritti legittimamente rivendicati dai lavoratori danneggiati e dai familiari delle vittime e a garantire il rispetto delle norme sulla sicurezza sul lavoro nel territorio,

impegna il Governo

ad attivare immediatamente un tavolo di confronto istituzionale con tutti i soggetti coinvolti, intraprendendo qualsiasi iniziativa idonea a salvaguardare i diritti dei lavoratori danneggiati e dei familiari delle vittime, con particolare riferimento al caso di cui in premessa, in ottemperanza agli impegni già assunti nelle competenti sedi parlamentari.
(1-01034) «Moffa, Antonino Foti, Poli, Damiano, Pelino, Fedriga, Razzi, Siliquini, Lehner, Gianni, D'Anna, Scilipoti, Taddei».


      La Camera,
          premesso che:
              il cantiere di Nuovi Cantieri Apuania (Nca), di proprietà di Invitalia, a partecipazione interamente pubblica (l'azionista unico è il Ministero dell'economia e delle finanze) si trova attualmente in una situazione molto difficile: tra un mese e mezzo, infatti, sarà varata la nave delle Ferrovie, che è l'ultima commessa in essere presso i cantieri di Marina di Carrara;
              se non verranno presto rinnovati i carichi di lavoro, i lavoratori saranno costretti alla cassa integrazione e addirittura il cantiere rischierà di chiudere entro la fine del 2012, causando serie ripercussioni sui lavoratori in termini occupazionali con il rischio di perdere numerosi posti di lavoro;
              sebbene la seconda commessa di Rete ferroviaria italiana (Rfi) non si possa ritenere una soluzione definitiva, rappresenta comunque una boccata d'ossigeno fondamentale per permettere a Invitalia di verificare la consistenza del progetto industriale presentato nei giorni scorsi da una società italiana operante nel settore della nautica, che potrebbe andare a sostituire la Nca;
              purtroppo, dal tavolo riunito il 18 aprile 2012 presso il Ministero dello sviluppo economico non è emerso nulla di concreto se non la conferma che Invitalia dismetterà la sua partecipazione a fine anno in assenza di commesse; tra l'altro, a tale incontro non erano presenti esponenti del Governo;
              i sindacati di categoria giudicano insufficiente e negativo l'esito dell'incontro tenutosi a Roma e il futuro della Nca sembra fermarsi con il mese di maggio e con l'ultima nave in costruzione;
              occorrerebbe, in realtà, attivarsi per accelerare l'accordo di programma per garantire una continuità produttiva e occupazionale onde evitare la messa in liquidazione del cantiere e delle altre realtà in crisi del territorio già penalizzato in termini occupazionale, sociali e produttivi,

impegna il Governo:

          ad attivare ogni iniziativa utile affinché sia garantita una seria politica di industrializzazione per i Nuovi Cantieri Apuania e sia presentato un piano di sviluppo credibile, capace di mantenere gli attuali livelli occupazionali;
          a intraprendere ogni utile iniziativa affinché la Nuovi Cantieri Apuania non sia messa in liquidazione e possa invece essere a buon diritto inserita in un piano industriale più ampio di riorganizzazione di tutto il settore;
          ad attivare ogni strumento previsto nell'ambito della trasformazione di impresa in grado di dare una boccata di ossigeno per i lavoratori e le famiglie coinvolte;
          ad assumere ogni iniziativa di competenza per garantire la commessa per la seconda nave di Rete ferroviaria italiana, affinché si possa dare nuovo carico di lavoro al cantiere di Marina di Carrara e offrire un temporaneo impiego a tutti i lavoratori della Nuovi Cantieri Apuania, in attesa di una soluzione definitiva della vertenza.
(1-01035) «Evangelisti, Barani, Rigoni, Cenni, De Pasquale, Fontanelli».


      La Camera,
          premesso che:
              l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, il 7 ottobre 2010, ha approvato la risoluzione n.  1763 in materia di obiezione di coscienza nell'ambito delle cure mediche;
              nella risoluzione n.  1763 si segnala: a) la necessità che sia garantita l'obiezione di coscienza dell'operatore sanitario; b) la necessità di garantire che le donne possano accedere ai servizi con tempestività; c) la preoccupazione che l'assenza di regolazione dell'obiezione di coscienza possa danneggiare le donne meno abbienti o quelle che vivono in zone rurali; d) come nella grande maggioranza degli Stati dell'Europa, l'obiezione di coscienza sia ben regolamentata;
              inoltre, tenendo conto dell'obbligo di garantire l'accesso alle cure mediche e la tutela della salute, così come dell'obbligo di garantire la libertà di coscienza degli operatori sanitari, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa invita gli Stati membri a sviluppare regole chiare e generali che regolino l'obiezione di coscienza circa la salute e l'assistenza sanitaria, e che: a) garantiscano il diritto all'obiezione di coscienza dell'operatore; b) siano tali da assicurare che le pazienti siano informate per tempo di eventuali obiezioni in modo da essere indirizzate a un altro operatore sanitario (non obiettore); c) garantiscano affinché le pazienti ricevano i trattamenti appropriati, in particolare nei casi di emergenza;
              nella medesima risoluzione approvata, si conferma il pieno diritto all'obiezione di coscienza dell'operatore sanitario all'interno, però, di un quadro di «bilanciamento» con il diritto del paziente all'assistenza sanitaria. Anzi, in questo «bilanciamento» la medesima risoluzione è esplicitamente preoccupata che si discriminino le donne e le pazienti più deboli e povere e ribadisce la necessaria presenza di regole che garantiscano ai pazienti il trattamento sanitario appropriato, soprattutto nelle emergenze;
              per quanto riguarda il nostro Paese, in ambito medico sanitario il diritto all'obiezione di coscienza è espressamente codificato e disciplinato per legge riguardo: all'interruzione della gravidanza, laddove l'obiezione è riconosciuta dall'articolo 9 della legge n.  194 del 1978; alla sperimentazione animale, dove l'obiezione di coscienza è disciplinata dalla legge n.  413 del 1993; alla procreazione medicalmente assistita, dove l'obiezione di coscienza viene prevista e disciplinata dall'articolo 16 della legge n.  40 del 2004;
              in questo ambito particolare importanza riveste l'obiezione di coscienza all'interruzione volontaria della gravidanza, per i suoi effetti e ricadute socio-sanitarie e sulla stessa funzionalità del servizio sanitario nazionale;
              l'ultima relazione del Ministero della salute presentata al Parlamento, sullo stato di attuazione della legge n.  194 del 1978 relativa all'interruzione volontaria di gravidanza, è quella trasmessa dall'allora Ministro della salute Fazio il 4 agosto 2011;
              la relazione riporta, tra l'altro, i dati definitivi sull'obiezione di coscienza esercitata da ginecologi, anestesisti e personale non medico nel 2009. I dati che emergono sono molto eloquenti e impongono una seria riflessione: in Italia ben il 70,7 per cento dei ginecologi del servizio pubblico è obiettore di coscienza. Percentuale che scende al 51,7 per cento per gli anestesisti, e al 44,4 per cento per il personale non medico;
              ad eccezione della Valle d'Aosta dove sono solamente il 18 per cento i ginecologi obiettori, le percentuali non scendono mai al di sotto del 52 per cento. Il dato più elevato di obiettori di coscienza tra i ginecologi riguarda il Sud, con una media di oltre 8 obiettori su 10, e con il Molise che ha il dato più elevato tra tutte le regioni, con l'85,2 per cento di ginecologi obiettori;
              la principale conseguenza di un numero così elevato di ginecologi e operatori sanitari obiettori di coscienza è quella di rendere sempre più difficoltosa la stessa applicazione della legge n.  194 del 1978, con effetti negativi sia per la funzionalità dei vari enti ospedalieri e, quindi, del sistema sanitario nazionale, sia per le donne che ricorrono all'interruzione volontaria di gravidanza. La ricerca di un medico non obiettore comporta allungamento dei tempi, interlocutori non sempre disponibili, donne che devono spesso migrare da una regione all'altra e, sopratutto tra le immigrate, il possibile ricorso all'aborto clandestino;
              si è di fronte, quindi, a due soggetti, entrambi titolari di diritti soggettivi riconosciuti dalla legge: quello all'interruzione volontaria di gravidanza della donna e quello all'obiezione di coscienza del personale sanitario. Due principi legittimi che idealmente dovrebbero poter convivere affinché nessun soggetto veda negata la propria libertà. Di fatto, tale ipotesi trova difficoltà nel realizzarsi poiché i medici obiettori spesso si rifiutano di segnalare alle pazienti un medico non obiettore o un'altra struttura sanitaria autorizzata all'interruzione volontaria di gravidanza;
              il diritto all'obiezione di coscienza in materia di aborto per il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie è sancito dall'articolo 9 della legge n.  194 del 1978. Allo stesso tempo, il medesimo articolo prevede che gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure e gli interventi di interruzione della gravidanza. La regione ne controlla e garantisce l'attuazione anche attraverso la mobilità del personale;
              la legge n.  194 del 1978 prevede, quindi, scelte individuali e responsabilità pubbliche. L'obiezione di coscienza è, infatti, un diritto della persona ma non della struttura. Al medico, o all'infermiere, viene garantito di potersi avvalere dell'obiezione di coscienza. Ma quel che è un diritto del singolo non è diritto della struttura sanitaria nel suo complesso, che ha, anzi, l'obbligo di garantire l'erogazione delle prestazioni sanitarie;
              i dati sopra indicati sulle percentuali di obiettori comportano, oltre che evidenti ricadute negative sulla stessa effettiva attuazione della legge sull'interruzione volontaria di gravidanza, anche conseguenze oggettivamente pesanti sui sempre più limitati medici non obiettori, che spesso si ritrovano relegati a occuparsi quasi esclusivamente di interruzioni di gravidanza con il rischio concreto di una dequalificazione professionale e conseguenti effetti penalizzanti sulle loro stesse possibilità di carriera;
              peraltro, la crescita in questi anni del numero degli obiettori ha determinato la chiusura dei servizi, con ospedali privi di reparti di interruzione di gravidanza, perché praticamente la totalità di ginecologi, anestesisti e paramedici ha scelto l'obiezione di coscienza,

impegna il Governo:

          a garantire il rispetto della legge n.  194 del 1978 su tutto il territorio nazionale, nonché la sua piena applicazione, a tutela dei diritti e della salute delle donne, assumendo anche iniziative, nei limiti delle proprie competenze, finalizzate all'assunzione di personale non obiettore in maniera tale da garantire il servizio;
          ad attivarsi, nell'ambito delle proprie prerogative, al fine di assicurare, pur nel rispetto del diritto all'obiezione di coscienza, il pieno ed efficiente espletamento da parte degli enti ospedalieri delle procedure e degli interventi di interruzione della gravidanza;
          ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché la gestione organizzativa e del personale delle strutture ospedaliere sia realizzata in modo da evitare che vi siano presidi con oltre il 50 per cento di obiettori.
(1-01036) «Palagiano, Donadi, Borghesi, Evangelisti».


      La Camera,
          premesso che:
              la crisi economica e finanziaria globale che imperversa dal 2008 ha indotto i Governi di svariate nazioni ad adottare misure di salvataggio dei rispettivi sistemi finanziari e ampie misure di sostegno alle loro economie. Nello sforzo di evitare crisi di portata drammatica e di proteggere le proprie popolazioni dalle conseguenze di tali crisi, Governi, Parlamenti e banche centrali hanno dato vita a nuovi meccanismi di regolazione dei mercati finanziari per contrastare, da un lato, le tendenze speculative e, dall'altro, per attivare con più decisione politiche di risanamento del debito pubblico. In particolare, sotto questo profilo, lo sforzo maggiore è stato prodotto dai Paesi dell'area euro dell'Unione europea per contrastare la crisi dovuta in primo luogo dal debito pubblico, con manovre che incidono prima di tutto a livello fiscale. Molti Governi hanno attivato, con grandi decisioni, politiche antievasione e di contrasto alla fuga dei capitali;
              le politiche antievasione avviate dall'Unione europea e da altri Stati hanno spinto numerose piazze finanziarie internazionali ad adeguare gli strumenti di cooperazione tra Paesi per la lotta all'evasione fiscale. La Svizzera, ad esempio, ha ampliato il modello degli accordi sulla doppia imposizione fiscale, integrandolo con l'articolo sull'assistenza amministrativa e lo scambio d'informazioni conforme allo standard dell'Ocse, al fine di contrastare l'evasione fiscale;
              la Germania e il Regno Unito hanno stipulato, nella seconda metà del 2011, una convenzione con la Svizzera sulla tassazione alla fonte delle attività finanziarie detenute da propri cittadini o persone fisiche residenti che hanno investito o depositato i capitali in Svizzera. Con tali convenzioni i contraenti hanno individuato una soluzione per regolarizzare somme di denaro non dichiarate nel passato e per convenire la tassazione dei futuri redditi da capitale. Entrambe le convenzioni sono state integrate e completate a inizio 2012;
              una convenzione analoga, corrispondente in larga misura a quelle firmate con la Germania e il Regno Unito, volta a sanare l'evasione pregressa per le attività finanziarie detenute presso le sedi bancarie svizzere, è stata firmata anche dall'Austria nel mese di aprile 2012;
              tali convenzioni – previa ratifica dei rispettivi Parlamenti – prevedono che i cittadini, che hanno investito o depositato i propri capitali in Svizzera, dovranno pagare ai rispettivi Paesi di appartenenza una tassa liberatoria. Le aliquote del prelievo fissato nella convenzione con la Germania, ovvero l'aliquota fiscale minima e massima per la regolarizzazione del passato, oscillano tra il 21 per cento e il 41 per cento. In base alla clausola della «nazione più favorita» contenuta nel protocollo di modifica stipulato il 20 marzo 2012 tra la Svizzera e il Regno Unito, le aliquote fiscali minime e massime si allineano a quelle della convenzione con la Germania (dal 21 al 41 per cento). Tale modifica non si applica ai soggetti non domiciliati nel Regno Unito in modo durevole («non UK domiciled individual»), per i quali resta l'aliquota del 34 per cento. La convenzione firmata con l'Austria il 13 aprile 2012 fissa, invece, le aliquote tra il 15 e il 38 per cento per il calcolo del pagamento unico forfetario, a seconda della durata della relazione bancaria e del patrimonio, mentre per la tassazione dei futuri redditi da capitale è stabilita un'aliquota unica del 25 per cento, corrispondente alla tassazione austriaca sul reddito;
              tali accordi prevedono che la tassazione sui capitali evasi all'estero non si traduca in una sorta di condono una tantum, ma che diventi un elemento strutturale e permanente; infatti, nel caso in cui i suddetti cittadini decidano di continuare a detenere attività finanziarie presso sedi svizzere, dovranno pagare una tassa sui redditi da capitale pari al 26,3 per cento (i cittadini tedeschi) e pari a un tasso oscillante fra il 27 e il 48 per cento (i cittadini britannici); dunque, a fronte di una prevista sanzione per gli anni pregressi, si procederebbe per gli anni a venire con l'imposizione di una tassazione annuale mediante il conferimento alla Svizzera del ruolo di esattore, quale sostituto d'imposta per conto del Paese contraente l'accordo. Sempre sulla base di tali accordi, la Svizzera otterrebbe il mantenimento del segreto bancario e una serie di facilitazioni per l'accesso delle proprie banche su territorio tedesco e britannico;
              secondo alcune autorevoli stime, la metà dei capitali depositati in Svizzera, pari complessivamente a circa 4.000 miliardi di franchi svizzeri (3.330 miliardi di euro), sarebbe di origine straniera. In particolare, circa 180 miliardi apparterrebbero ad investitori tedeschi, 120 miliardi a investitori italiani e circa 70 miliardi ad investitori britannici;
              secondo uno studio della Banca d'Italia – «Alla ricerca dei capitali perduti: una stima delle attività all'estero non dichiarate dagli italiani» – i capitali italiani esportati all'estero ammontano tra i 124 e i 194 miliardi di euro, mentre, sulla base degli esiti derivanti dai cosiddetti «scudi fiscali» varati dal Governo Berlusconi-Tremonti, si calcola che i due terzi dei rimpatri dei capitali italiani evasi deriverebbero dalla sola Svizzera;
              la complessa materia inerente alla tassazione dei redditi da risparmio e al negoziato con la Svizzera va considerata anche alla luce delle difficili relazioni in materia fiscale tra il nostro Paese e la Confederazione elvetica, contrassegnate da visioni non sempre condivise, da svariate controversie e da decisioni inaccettabili per l'Italia, come il blocco parziale (50 per cento) dei ristorni del prelievo fiscale sulle retribuzioni dei lavoratori transfrontalieri italiani, messo in atto dal Canton Ticino nel 2011, e dalla perdurante decisione dell'Italia di mantenere la Svizzera nelle cosiddette «black list»;
              la riapertura delle trattative fra Italia e Svizzera per regolare le questioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio, e per negoziare una nuova convenzione per evitare le doppie imposizioni fiscali, rappresenta uno snodo sempre più urgente e rilevante, anche in considerazione dell'interscambio esistente fra i due Paesi, che ammonta a ben 29 miliardi di euro, quasi sei volte il l'interscambio dell'Italia con il gigante India, e un saldo notevole di quasi due miliardi di franchi svizzeri a favore del nostro Paese. Attualmente, oltre mezzo milione di connazionali vive stabilmente nella Confederazione, mentre 50 mila cittadini svizzeri vivono in Italia. Inoltre, sono oltre 55 mila i lavoratori frontalieri italiani occupati oltre confine. La Svizzera non è soltanto un mercato del lavoro di grande interesse per lo sbocco occupazionale per tanti italiani, ma anche un considerevole partner per l'Italia sotto il profilo economico e degli investimenti;
              l'annuncio di un prossimo incontro di lavoro tra la Presidente della Confederazione elvetica Eveline Widmer-Schlumpf e il Presidente del Consiglio dei ministri Mario Monti rappresenta, dunque, un passo importante per la ripresa del dialogo sulle questioni fiscali tra la Svizzera e il nostro Paese, e dà finalmente un seguito positivo alla richiesta formulata nella mozione Narducci ed altri 1-00631, approvata all'unanimità dalla Camera dei deputati poco meno di un anno fa, il 7 giugno 2011;
              l'annuncio congiunto, dato dal Governo italiano e svizzero di voler riaprire il dialogo e di avviare il negoziato per pervenire a una costruttiva convergenza sulle questioni fiscali, ha prodotto immediatamente un risultato importante, cioè lo sblocco della vertenza che per due anni ha alimentato forti tensioni fra il Canton Ticino e le regioni italiane confinanti: la Svizzera ha confermato lo sblocco dei ristorni fiscali con il pagamento effettuato dal Cantone Ticino a favore dell'Italia;
              per quanto attiene alla regolazione della materia fiscale nell'area dell'Unione europea, rileva la direttiva n.  2003/48/CE in materia di tassazione dei redditi da risparmio, attualmente in vigore relativamente ai rapporti dell'Unione europea stessa con i Paesi terzi, in particolare con la Svizzera. La Commissione europea, in esito al monitoraggio sull'applicazione della citata direttiva e dell'accordo con la Svizzera, ne ha evidenziato l'agevole elusione da parte dalle persone fisiche, che hanno la possibilità di evitare il prelievo del 35 per cento, avvalendosi dell'interposizione di società, trust o altri istituti giuridici simili. Ciò è dimostrato anche dai dati relativi all'ammontare delle imposte riscosse dalla Confederazione elvetica a carico di soggetti residenti nell'Unione europea, che sono state pari a 535 milioni di franchi nel 2009 e a soli 432 milioni di franchi nel 2010, di cui 57 milioni di franchi trasferiti all'Italia;
              è da valutare positivamente la proposta di revisione della direttiva n.  2003/48/CE presentata dalla Commissione europea il 13 novembre 2008 (COM (2008)727), volta a rafforzare e ad estenderne l'ambito di applicazione, al fine di includervi non solo i pagamenti di interessi, ma anche tutti i redditi da risparmio, nonché i prodotti che generano interessi o redditi equivalenti, e a rinegoziare gli accordi con i Paesi terzi, in particolare con la Svizzera;
              la revisione della citata direttiva europea è, tuttavia, un obiettivo difficile da raggiungere entro il termine previsto del 31 dicembre 2012. Ne è conferma il recente mancato accordo all'Ecofin sul conferimento del mandato alla Commissione europea a negoziare la tassazione del risparmio in Paesi terzi. L'intesa – che avrebbe dovuto far partire il negoziato dell'Unione Europea per rafforzare gli strumenti atti a combattere l'evasione fiscale a livello comunitario e a inibire gli accordi fiscali stipulati con la Svizzera su base bilaterale – non è stata raggiunta per la mancanza di consenso unanime dei 27 Paesi membri;
              nonostante il parere contrario sulla prima formulazione delle convenzioni stipulate bilateralmente dalla Svizzera con Germania, Regno Unito e Austria, il 17 aprile 2012 il Commissario europeo per la fiscalità e l'unione doganale Algirdas Semeta ha rilasciato un'importante dichiarazione, affermando che la versione riformulata delle convenzioni bilaterali summenzionate è compatibile con il diritto dell'Unione europea e, quindi, esse sono euro-conformi;
              secondo quanto sostenuto dal Presidente del Consiglio dei ministri Monti, in conferenza stampa il 30 aprile 2012, il Governo sarebbe pronto a «considerare ex novo l'intera materia»;
              l'applicazione in Italia di una convenzione simile a quella già stipulata dalla Svizzera con altri Paesi europei potrebbe assicurare, a breve e medio termine, il reperimento di significative risorse e costituirebbe un passo fondamentale nella direzione della lotta all'evasione fiscale,

impegna il Governo:

          a sostenere l'approccio europeo alla lotta all'evasione fiscale, approntando più efficaci strumenti per fronteggiare il fenomeno e per garantire la giustizia fiscale del risparmio a livello europeo, mediante la revisione della direttiva sulla tassazione del risparmio;
          nelle more della revisione della citata direttiva attualmente in fase di stallo, ad avviare tempestivamente i negoziati tra Italia e Svizzera al fine di concludere una convenzione bilaterale analoga a quelle stipulate dalla Confederazione elvetica con la Germania, il Regno Unito e l'Austria, anche alla luce della recente posizione assunta dal Commissario europeo per la fiscalità e l'unione doganale circa la compatibilità di tali accordi bilaterali con il diritto comunitario;
          a sostenere, nell'ambito dei negoziati fra Italia e Svizzera in materia di tassazione dei redditi da risparmio, la necessità di pervenire ad una nuova convenzione volta ad evitare la doppia imposizione fiscale sui redditi e sulle sostanze, a tutela dei lavoratori italiani transfrontalieri;
          ad attivarsi per rimuovere la Svizzera dalle varie «black list» e a valutare tutte le soluzioni per garantire l'effettività della cosiddetta «reciprocità», al fine di sostenere al meglio le imprese italiane che intrattengono intensi rapporti con la Svizzera stessa.
(1-01037) «Narducci, Gozi, Tempestini, Vannucci, Maran, Farinone, Garavini, Giachetti, Losacco, Lucà, Luongo, Merloni, Pompili, Barbi, Colombo, Corsini, Fedi, Pistelli, Porta, Touadi».


      La Camera,
          premesso che:
              la crisi economica e finanziaria globale che imperversa dal 2008 ha indotto i Governi di svariate nazioni ad adottare misure di salvataggio dei rispettivi sistemi finanziari e ampie misure di sostegno alle loro economie. Nello sforzo di evitare crisi di portata drammatica e di proteggere le proprie popolazioni dalle conseguenze di tali crisi, Governi, Parlamenti e banche centrali hanno dato vita a nuovi meccanismi di regolazione dei mercati finanziari per contrastare, da un lato, le tendenze speculative e, dall'altro, per attivare con più decisione politiche di risanamento del debito pubblico. In particolare, sotto questo profilo, lo sforzo maggiore è stato prodotto dai Paesi dell'area euro dell'Unione europea per contrastare la crisi dovuta in primo luogo dal debito pubblico, con manovre che incidono prima di tutto a livello fiscale. Molti Governi hanno attivato, con grandi decisioni, politiche antievasione e di contrasto alla fuga dei capitali;
              le politiche antievasione avviate dall'Unione europea e da altri Stati hanno spinto numerose piazze finanziarie internazionali ad adeguare gli strumenti di cooperazione tra Paesi per la lotta all'evasione fiscale. La Svizzera, ad esempio, ha ampliato il modello degli accordi sulla doppia imposizione fiscale, integrandolo con l'articolo sull'assistenza amministrativa e lo scambio d'informazioni conforme allo standard dell'Ocse, al fine di contrastare l'evasione fiscale;
              la Germania e il Regno Unito hanno stipulato, nella seconda metà del 2011, una convenzione con la Svizzera sulla tassazione alla fonte delle attività finanziarie detenute da propri cittadini o persone fisiche residenti che hanno investito o depositato i capitali in Svizzera. Con tali convenzioni i contraenti hanno individuato una soluzione per regolarizzare somme di denaro non dichiarate nel passato e per convenire la tassazione dei futuri redditi da capitale. Entrambe le convenzioni sono state integrate e completate a inizio 2012;
              una convenzione analoga, corrispondente in larga misura a quelle firmate con la Germania e il Regno Unito, volta a sanare l'evasione pregressa per le attività finanziarie detenute presso le sedi bancarie svizzere, è stata firmata anche dall'Austria nel mese di aprile 2012;
              tali convenzioni – previa ratifica dei rispettivi Parlamenti – prevedono che i cittadini, che hanno investito o depositato i propri capitali in Svizzera, dovranno pagare ai rispettivi Paesi di appartenenza una tassa liberatoria. Le aliquote del prelievo fissato nella convenzione con la Germania, ovvero l'aliquota fiscale minima e massima per la regolarizzazione del passato, oscillano tra il 21 per cento e il 41 per cento. In base alla clausola della nazione più favorita, contenuta nel protocollo di modifica stipulato il 20 marzo 2012 tra la Svizzera e il Regno Unito, le aliquote fiscali minime e massime si allineano a quelle della convenzione con la Germania (dal 21 al 41 per cento). Tale modifica non si applica ai soggetti non domiciliati nel Regno Unito in modo durevole («non UK domiciled individual»), per i quali resta l'aliquota del 34 per cento. La convenzione firmata con l'Austria il 13 aprile 2012 fissa, invece, le aliquote tra il 15 e il 38 per cento per il calcolo del pagamento unico forfettario, a seconda della durata della relazione bancaria e del patrimonio, mentre per la tassazione dei futuri redditi da capitale è stabilità un'aliquota unica del 25 per cento, corrispondente alla tassazione austriaca sul reddito;
              tali accordi prevedono che la tassazione sui capitali evasi all'estero non si traduca in una sorta di condono una tantum, ma che diventi un elemento strutturale e permanente; infatti, nel caso in cui i suddetti cittadini decidano di continuare a detenere attività finanziarie presso sedi svizzere, dovranno pagare una tassa sui redditi da capitale pari al 26,3 per cento (i cittadini tedeschi) e pari a un tasso oscillante fra il 27 e il 48 per cento (i cittadini britannici); dunque, a fronte di una prevista sanzione per gli anni pregressi, si procederebbe per gli anni a venire con l'imposizione di una tassazione annuale mediante il conferimento alla Svizzera del ruolo di esattore, quale sostituto d'imposta per conto del Paese contraente l'accordo. Sempre sulla base di tali accordi, la Svizzera otterrebbe il mantenimento del segreto bancario e una serie di facilitazioni per l'accesso delle proprie banche su territorio tedesco e britannico;
              secondo alcune autorevoli stime, la metà dei capitali depositati in Svizzera, pari complessivamente a circa 4.000 miliardi di franchi svizzeri (3.330 miliardi di euro), sarebbe di origine straniera. In particolare, circa 180 miliardi apparterrebbero ad investitori tedeschi, 120 miliardi a investitori italiani e circa 70 miliardi ad investitori britannici;
              secondo uno studio della Banca d'Italia – «Alla ricerca dei capitali perduti: una stima delle attività all'estero non dichiarate dagli italiani» – i capitali italiani esportati all'estero ammontano tra i 124 e i 194 miliardi di euro, mentre, sulla base degli esiti derivanti dai cosiddetti «scudi fiscali» varati dal Governo Berlusconi-Tremonti, si calcola che i due terzi dei rimpatri dei capitali italiani evasi deriverebbero dalla sola Svizzera;
              la complessa materia inerente alla tassazione dei redditi da risparmio e al negoziato con la Svizzera va considerata anche alla luce delle difficili relazioni in materia fiscale tra il nostro Paese e la Confederazione elvetica, contrassegnate da visioni non sempre condivise, da svariate controversie e da decisioni inaccettabili per l'Italia, come il blocco parziale (50 per cento) dei ristorni del prelievo fiscale sulle retribuzioni dei lavoratori transfrontalieri italiani, messo in atto dal Canton Ticino nel 2011, e dalla perdurante decisione dell'Italia di mantenere la Svizzera nelle cosiddette «black list»;
              la riapertura delle trattative fra Italia e Svizzera per regolare le questioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio, e per negoziare una nuova convenzione per evitare le doppie imposizioni fiscali, rappresenta uno snodo sempre più urgente e rilevante, anche in considerazione dell'interscambio esistente fra i due Paesi, che ammonta a ben 29 miliardi di euro, quasi sei volte l'interscambio dell'Italia con il gigante India, e un saldo notevole di quasi due miliardi di franchi svizzeri a favore del nostro Paese. Attualmente, oltre mezzo milione di connazionali vive stabilmente nella Confederazione, mentre 50 mila cittadini svizzeri vivono in Italia. Inoltre, sono oltre 55 mila i lavoratori frontalieri italiani occupati oltre confine. La Svizzera non è soltanto un mercato del lavoro di grande interesse per lo sbocco occupazionale per tanti italiani, ma anche un considerevole partner per l'Italia sotto il profilo economico e degli investimenti;
              l'annuncio di un prossimo incontro di lavoro tra la Presidente della Confederazione elvetica Eveline Widmer-Schlumpf e il Presidente del Consiglio dei ministri Mario Monti rappresenta, dunque, un passo importante per la ripresa del dialogo sulle questioni fiscali tra la Svizzera e il nostro Paese, e dà finalmente un seguito positivo alla richiesta formulata nella mozione Narducci ed altri 1-00631, approvata all'unanimità dalla Camera dei deputati poco meno di un anno fa, il 7 giugno 2011;
              l'annuncio congiunto, dato dal Governo italiano e svizzero di voler riaprire il dialogo e di avviare il negoziato per pervenire a una costruttiva convergenza sulle questioni fiscali, ha prodotto immediatamente un risultato importante, cioè lo sblocco della vertenza che per due anni ha alimentato forti tensioni fra il Canton Ticino e le regioni italiane confinanti: la Svizzera ha confermato lo sblocco dei ristorni fiscali con il pagamento effettuato dal Cantone Ticino a favore dell'Italia;
              per quanto attiene alla regolazione della materia fiscale nell'area dell'Unione europea, rileva la direttiva n.  2003/48/CE in materia di tassazione dei redditi da risparmio, attualmente in vigore relativamente ai rapporti dell'Unione europea stessa con i Paesi terzi, in particolare con la Svizzera. La Commissione europea, in esito al monitoraggio sull'applicazione della citata direttiva e dell'accordo con la Svizzera, ne ha evidenziato l'agevole elusione da parte dalle persone fisiche, che hanno la possibilità di evitare il prelievo del 35 per cento, avvalendosi dell'interposizione di società, trust o altri istituti giuridici simili. Ciò è dimostrato anche dai dati relativi all'ammontare delle imposte riscosse dalla Confederazione elvetica a carico di soggetti residenti nell'Unione europea, che sono state pari a 535 milioni di franchi nel 2009 e a soli 432 milioni di franchi nel 2010, di cui 57 milioni di franchi trasferiti all'Italia;
              è da valutare positivamente la proposta di revisione della direttiva n.  2003/48/CE presentata dalla Commissione europea il 13 novembre 2008 (COM (2008)727), volta a rafforzare e ad estenderne l'ambito di applicazione, al fine di includervi non solo i pagamenti di interessi, ma anche tutti i redditi da risparmio, nonché i prodotti che generano interessi o redditi equivalenti, e a rinegoziare gli accordi con i Paesi terzi, in particolare con la Svizzera;
              la revisione della citata direttiva europea è, tuttavia, un obiettivo difficile da raggiungere entro il termine previsto del 31 dicembre 2012. Ne è conferma il recente mancato accordo all'Ecofin sul conferimento del mandato alla Commissione europea a negoziare la tassazione del risparmio in Paesi terzi. L'intesa – che avrebbe dovuto far partire il negoziato dell'Unione Europea per rafforzare gli strumenti atti a combattere l'evasione fiscale a livello comunitario e a inibire gli accordi fiscali stipulati con la Svizzera su base bilaterale – non è stata raggiunta per la mancanza di consenso unanime dei 27 Paesi membri;
              nonostante il parere contrario sulla prima formulazione delle convenzioni stipulate bilateralmente dalla Svizzera con Germania, Regno Unito e Austria, il 17 aprile 2012, il Commissario europeo per la fiscalità e l'unione doganale Algirdas Semeta ha rilasciato un'importante dichiarazione, affermando che la versione riformulata delle convenzioni bilaterali summenzionate è compatibile con il diritto dell'Unione europea e, quindi, esse sono euro-conformi;
              secondo quanto sostenuto dal Presidente del Consiglio dei ministri Monti, in conferenza stampa il 30 aprile 2012, il Governo sarebbe pronto a «considerare ex novo l'intera materia»;
              l'applicazione in Italia di una convenzione simile a quella già stipulata dalla Svizzera con altri Paesi europei potrebbe assicurare, a breve e medio termine, il reperimento di significative risorse e costituirebbe un passo fondamentale nella direzione della lotta all'evasione fiscale,

impegna il Governo:

          a sostenere un approccio europeo alla lotta all'evasione fiscale, approntando strumenti più efficaci per fronteggiare il fenomeno e garantire la giustizia fiscale del risparmio, in particolare esercitando un'adeguata e pressante azione politico-diplomatica volta a rimuovere il dissenso di alcuni membri sulla proposta di revisione della direttiva 2003/48/CE sulla tassazione del risparmio;
          ad avviare i negoziati tra l'Italia e la Svizzera al fine di concludere una convenzione bilaterale che regolamenti transitoriamente la questione dell'imposizione fiscale dei capitali italiani depositati presso aziende di credito in Svizzera, nel caso non si consideri raggiungibile in tempi certi un accordo sulla revisione della direttiva comunitaria attualmente bloccata dal veto di alcuni Paesi membri, e prevedendo in ogni caso nell'accordo l'applicazione di aliquote fiscali significativamente comparabili con quelle vigenti in Italia e secondo il modello ritenuto compatibile con il diritto comunitario, alla luce della recente posizione assunta dal Commissario europeo per la fiscalità e l'Unione doganale;
          a sostenere, nell'ambito dei negoziati fra Italia e Svizzera in materia di tassazione dei redditi da risparmio, la necessità di pervenire ad una nuova convenzione volta ad evitare la doppia imposizione fiscale sui redditi e sulle sostanze, a tutela dei lavoratori italiani transfrontalieri.
(1-01037)
(Nuova formulazione) «Narducci, Gozi, Tempestini, Boccia, Vannucci, Maran, Farinone, Garavini, Giachetti, Losacco, Lucà, Luongo, Merloni, Pompili, Barbi, Colombo, Corsini, Fedi, Pistelli, Porta, Touadi, Marantelli».


      La Camera,
          premesso che:
              come si rileva dall'ultima relazione del Ministro della salute, sullo stato di attuazione della legge concernente: «Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza», così come prevista dall'articolo 16 della legge 22 maggio 1978, n.  194, trasmessa alla Presidenza della Camera dei deputati in data 4 agosto 2011 e riferita ai dati definitivi del 2009, nonché ai dati preliminari del 2011, si assiste ad una generale stabilizzazione dell'obiezione di coscienza tra i ginecologi e gli anestesisti, dopo un notevole aumento negli ultimi anni;
              a livello nazionale, per i ginecologi si è passati dal 58,7 per cento del 2005, al 69,2 per cento del 2006, al 70,5 per cento del 2007, al 71,5 per cento del 2008 e al 70,7 per cento nel 2009; per gli anestesisti, negli stessi anni, dal 45,7 per cento al 51,7 per cento. Per il personale non medico si è osservato un ulteriore incremento, con valori che sono passati dal 38,6 per cento nel 2005 al 44,4 per cento nel 2009. Percentuali superiori all'80 per cento tra i ginecologi si osservano principalmente al sud: 85,2 per cento in Basilicata, 83,9 per cento in Campania, 82,8 per cento in Molise, 81,7 per cento in Sicilia e 81,3 per cento a Bolzano. Anche per gli anestesisti i valori più elevati si osservano al Sud (con un massimo di più del 77 per cento in Molise e Campania, il 75,6 per cento in Sicilia e i più bassi in Toscana (27,7 per cento) e a Trento (31,8 per cento). Per il personale non medico i valori sono più bassi, con un massimo dell'87 per cento in Sicilia e dell'82 per cento in Molise;
              si tratta sicuramente di percentuali molto elevate che comportano, come conseguenza, tempi di attesa molto lunghi per l'intervento, che molte volte vanno oltre le due settimane (nel 2009 oltre il 40 per cento delle donne ha dovuto aspettare più di 14 giorni per poter effettuare l'interruzione volontaria di gravidanza) e, in alcuni casi, arrivano anche ad un mese o più (nel 2009 il 15,8 per cento delle donne ha dovuto aspettare oltre tre settimane), con la conseguenza che le donne si rivolgono a strutture estere, all'uso dei farmaci non legali, all'aborto clandestino con grave pregiudizio per la loro salute;
              tale situazione ha generato e continua a generare un conflitto difficile da gestire tra il primario diritto della donna, in un percorso che è già di per sé psicologicamente complicato, di accedere a determinati servizi previsti dal servizio sanitario nazionale, al dovere dell'ospedale di garantire quel servizio tutelando prima di tutto la salute della donna e quello del medico di «rivendicare», attraverso l'obiezione di coscienza, una propria libertà morale e religiosa;
              nonostante la legge n.  194 del 1978 attribuisca ai consultori familiari pubblici un ruolo fondamentale nell'assistenza alle donne che decidono di ricorrere all'interruzione volontaria di gravidanza, il ricorso al consultorio familiare per la documentazione/certificazione rimane ancora basso (39,4 per cento) e una possibile ragione risiede sicuramente nel fatto che i consultori sono in genere scarsamente integrati con le altre strutture sanitarie,

impegna il Governo:

          a tutelare, con tutti gli strumenti possibili, siano essi normativi che economici, all'interno delle strutture del servizio sanitario nazionale il diritto delle donne all'interruzione volontaria di gravidanza, nei modi e nei tempi stabiliti dalla legge n.  194 del 1978, garantendo, nel contempo, il diritto dell'obiezione di coscienza dei medici così come previsto dall'articolo 9 della legge medesima;
          a promuovere un potenziamento della presenza sul territorio nazionale dei consultori familiari quale struttura socio-sanitaria in grado di aiutare la donna nella sua difficile scelta e strumento essenziale per le politiche di prevenzione e di promozione della maternità/paternità libera e consapevole, nonché servizio essenziale per l'attivazione del percorso per l'interruzione volontaria di gravidanza;
          a promuovere, d'intesa con le autorità scolastiche, attività di informazione ed educazione alla salute nelle scuole, con particolare riferimento alle problematiche connesse alla tutela della salute sessuale e riproduttiva.
(1-01038) «Miotto, Argentin, Bucchino, Burtone, D'Incecco, Grassi, Lenzi, Murer, Sbrollini, Livia Turco, Pedoto, Fontanelli».

Risoluzioni in Commissione:


      La VII Commissione,
          premesso che:
              il sistema di istruzione pubblica italiano è stato privato di circa 90.000 insegnanti negli ultimi tre anni (circolare ministeriale n.  38 del 2 aprile 2009 che tagliava 42.100 cattedre; circolare ministeriale n.  37 del 13 aprile 2010 che tagliava 25.600 cattedre e circolare ministeriale n.  21 del 14 marzo 2011 che tagliava 19.700 cattedre) in applicazione dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133, recante «norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale utilizzo delle risorse umane della scuola» e dei decreti attuativi ad esso correlati i cui effetti sono tuttora in atto;
              la scelta di sottrarre drasticamente risorse umane alla scuola ha determinato la riduzione degli organici molto al di sotto dei minimi termini, causando un impoverimento generalizzato dell'offerta formativa del sistema di istruzione italiano di ogni ordine e grado, dalla scuola dell'infanzia alla secondaria di secondo grado;
          per effetto di tali misure, nell'anno scolastico 2011-2012 sono stati determinati, in tutt'Italia, 10.443 docenti in esubero tra scuola primaria, medie e superiori. Si tratta di insegnanti di ruolo che stanno assistendo alla vertiginosa contrazione delle ore di lezione delle proprie discipline di insegnamento;
              tale riduzione produrrà effetti ancora più drastici in termini di esuberi, quando i nuovi quadri orari della riforma «Gelmini» delle scuole secondarie superiori andranno a regime; se si aggiungono le misure relative all'aumento dell'età pensionabile, in vigore dal 1o gennaio del 2012 il quadro complessivo è destinato ad assumere proporzioni estremamente allarmanti;
              si tratta di docenti di ruolo, in sovrannumero, che hanno perso la propria cattedra, pertanto, qualora non si adottino misure a tutela di tale personale, questi docenti rischiano nel giro del prossimo biennio di essere messi in mobilità e licenziati;
              le soluzioni sino ad ora adottate per arginare il fenomeno di precarizzazione del personale di ruolo appaiono del tutto inadeguate se non addirittura mortificanti per la professionalità dei docenti nonché dequalificanti per il sistema di istruzione italiano;
              ci si riferisce, in particolare, alla nota n.  272 del 14 marzo 2011, alla nota n.  1348 del 21 aprile 2010 e alla nota 4968 dell'11 maggio 2010, anticipatrici del decreto di riordino delle classi di concorso, che ricorrono a criteri di determinazione di atipicità degli insegnamenti poco rispettosi della didattica delle discipline interessate;
              ha subito suscitato preoccupazione l'intenzione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca di istituire dei corsi destinati alla riconversione professionale del personale docente in esubero, nell'ambito del sostegno agli alunni diversamente abili, perché l'assolvimento di un compito così delicato, quale l'integrazione e la garanzia del diritto allo studio degli alunni meno fortunati, necessita di professionalità specifiche e non improvvisate;
              tali preoccupazioni sono state sollevate in un'interpellanza urgente presentata dal Gruppo IdV e svoltasi il 12 aprile 2012, nella quale si chiedeva al Governo cosa intendesse fare in relazione al problema dei docenti di ruolo in esubero;
              il Sottosegretario Rossi Doria, in quella circostanza, garantiva dinanzi al Parlamento e ai vari organi d'informazione dello Stato la mancanza di qualsiasi pianificazione in atto per la formazione dei docenti in esubero in insegnanti di sostegno, affermando testualmente: «Con riferimento ai corsi di riconversione, si precisa che nessun corso di riconversione professionale sul sostegno è partito, né, per ora, è stato pianificato»;
              qualche giorno dopo il suddetto intervento in Parlamento del Sottosegretario Rossi Doria, il 19 aprile 2012 è stato pubblicato il decreto ministeriale n.  7 del 16 aprile 2012 denominato «Corsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno destinati al personale docente in esubero», secondo il quale i docenti in esubero saranno riconvertiti nel sostegno con un apposito corso di formazione;
              è evidente, ad avviso dei firmatari del presente atto, la contraddizione tra la risposta fornita in Parlamento, in cui si assicurava che non erano in previsione corsi di sostegno per i docenti in esubero e l'emanazione, dopo pochi giorni, di un decreto relativo ai corsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno destinati al personale docente in esubero;
              il Sottosegretario Rossi Doria ha quindi precisato che la risposta all'interpellanza urgente si riferiva a corsi obbligatori, mentre il decreto specifica che l'adesione ai corsi è volontaria; tale precisazione ha lasciata inalterata, a giudizio dei firmatari del presente atto, l'incoerenza di quanto detto e quanto fatto nel giro di pochi giorni;
              molte critiche si sono sollevate sul decreto succitato sia sui contenuti che sul metodo, soprattutto in riferimento alla disposizione che stabilisce le norme transitorie, quali la possibilità di essere utilizzati, in prima battuta, su posto di sostegno senza aver conseguito il titolo di specializzazione, le modalità di utilizzo del personale e infine la possibilità che i docenti vengano utilizzati senza riferimento alle aree disciplinari;
              inoltre, è indispensabile fare una attenta valutazione sull'impatto nei singoli territori in relazione al numero dei docenti e alle classi di concorso/posti in esubero di appartenenza: in alcuni casi una iniziativa di questo tipo sarebbe controproducente o avrebbe effetti nulli in tema di riassorbimento dell'esubero; sarebbe dunque necessario attendere gli esiti delle procedure di mobilità (anche alla luce dei pensionamenti e della definizione degli organici di diritto e di fatto) per avere un quadro chiaro del personale eventualmente interessato;
              la maggior parte dei docenti precari specializzati svolgono attività di sostegno da oltre un decennio, tra l'altro pagando la formazione a proprie spese, e non a carico dello Stato come previsto per i docenti in esubero, e conseguendo la specializzazione attraverso corsi biennali di 1280 ore, corsi SISS post specializzazione, corso di laurea in scienze della formazione primaria, e raggiungendo così livelli di competenza invidiati da altri Stati;
              agli alunni diversamente abili viene negato il diritto di usufruire in classe di docenti con esperienze consolidate ampiamente collaudate, vanificando di fatto quella conquista culturale, di civiltà che si sono conquistati gli alunni diversamente abili ed i loro familiari dal ’92 ad oggi;
              la varie organizzazioni di disabili e di famiglie di disabili esimono il proprio profondo sconcerto per un simile trattamento che di fatto tradisce lo spirito della legge 296 del 1992, la quale prevede personale adeguatamente specializzato e non «improvvisato» all'ultimo momento;
              d'altro canto, contrariamente alle attese, si decide di specializzare i docenti in esubero attraverso corsi frettolosi, di fatto mortificando la professionalità degli insegnanti di ruolo che dovranno per così dire riconvertirsi per mere esigenze di cassa e per non rischiare di trovarsi fuori dal ciclo lavorativo;
              la succitata riconversione dei docenti abilitati in esubero è solo ipoteticamente volontaria, perché nei fatti si traduce in scelta obbligata, essendo allo stato l'unica scelta possibile; infatti manca, nelle precisazioni del Governo, l'indicazione di cosa potrebbe accadere qualora il docente non aderisse ai corsi e si ritrovasse, per più anni successivi, in condizione di esubero,

impegna il Governo:

          a prendere in considerazione l'opportunità di ritirare il decreto ministeriale n.  7 del 19 aprile 2012 denominato «Corsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno destinati al personale docente in esubero», che, ad avviso dei firmatari del presente atto, non solo non fornisce nessuna soluzione al problema dei docenti abilitati in esubero, ma rischia di crearne altri e più gravi;
          a valutare le ripercussioni negative che una riconversione di ruolo di questo tipo inevitabilmente produrrà sulla qualità dell'offerta formativa, tutta a discapito degli studenti disabili, e sul personale docente, innescando l'ennesima contrapposizione: da un lato gli insegnanti precari di sostegno, che rivendicano le competenze specifiche acquisite, dall'altro i docenti di ruolo in esubero, che di fatto saranno costretti a riconvertirsi a ruoli diversi dal proprio;
          a utilizzare il personale in esubero come dotazione organica aggiuntiva nell'istituto in cui hanno la titolarità per svolgere tutte quelle mansioni di supporto alla didattica, come i corsi di recupero e di potenziamento, e soprattutto gli incarichi di supplenza a copertura del personale improvvisamente assente;
          ad assumere urgenti iniziative per dare una soluzione adeguata e definitiva al problema degli esuberi del personale docente, rideterminando gli organici in base alle reali esigenze della scuola, e cioè sulla base dei seguenti criteri: attenendosi scrupolosamente ai limiti del numero degli alunni per classe imposto dalle norme sulla sicurezza e agibilità dei plessi scolastici; evitando la riconduzione forzata a 18 ore negli istituti di istruzione superiore qualora essa costituisca un ostacolo alla continuità didattica; ripristinando le compresenze nella scuola primaria e rinunciando alla revisione delle classi di concorso per l'insegnamento nelle scuole superiori.
(7-00864) «Zazzera, Di Giuseppe».


      La XII Commissione,
          premesso che:
              l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha emanato una risoluzione WHA 63.18 in data 21 maggio 2010, in cui si esortano gli Stati membri ad adottare misure in termini preventivi, strategici, gestionali e di controllo per affrontare l'emergenza sanitaria in tema di epatite virale;
              in base ad alcuni studi a livello nazionale si stima che in Italia siano circa 2,2 milioni le persone positive ai virus HBV e HCV (oltre 15 volte superiori alle infezioni stimate da HIV) e che le epatiti virali sono la causa principale delle epatopatie croniche, cirrosi epatiche, tumore epatico e trapianto di fegato;
              i costi che gravano ogni anno sul Sistema sanitario nazionale per curare epatiti croniche, cirrosi, epatocarcinomi e trapianti e i costi sociali indiretti (invalidità, assegni INPS, ore lavorative perse, e altro) è elevatissimo e sono stimati oltre 1 miliardo di euro per soli 100.000 pazienti;      
              in Italia non esistono studi epidemiologici a livello nazionale, ma solo studi a livello locale, che evidenziano dati di prevalenza sulla presenza di anticorpi anti HCV nella popolazione molto variabili nelle diverse aree della penisola, dall'8 per cento (in alcune aree meridionali e insulari) al 2 per cento, con uno spiccato gradiente nord-sud;
              non esistono neppure registri nazionali volti a registrare i casi esistenti e nuovi casi di epatite cronica, né dei pazienti curati o in trattamento;
              l'Italia è il primo Paese in Europa in termini di numero di soggetti HCV positivi e di mortalità per epatocarcinoma (15/100.000 mortalità per anno con prevalenza di 37/100.000);
              nel Paese avvengono circa 20.000 decessi all'anno per insufficienza epatica, cirrosi e tumori del fegato secondo rilevazioni ISTAT del 2008;
              una larga percentuale di infezioni da virus epatitici non è diagnosticata e molti di questi pazienti sono destinati a scoprire la malattia in fase già avanzata con un impatto socio-economico negativo sotto tutti i punti di vista: è noto, infatti, che la patologia in fase avanzata è molto più costosa, complessa da gestire e risponde meno alle terapie antivirali;
              l'HBV e l'HCV sono virus trasmissibili prevalentemente per via ematica ed esiste quindi il rischio di contagio alla popolazione sana, incrementando il bacino degli infetti inconsapevoli; tale rischio è ancor più rilevante nella coorte dei soggetti comunitari o extracomunitari provenienti da zone ad alta endemia di epatite, che spesso non hanno copertura vaccinale anti-HBV e non sono stati testati per i virus dell'epatite, ma anche nelle coorti dei detenuti e facenti uso di sostanze stupefacenti;
              l'introduzione di misure efficaci e realistiche di salute pubblica per facilitare la diagnosi precoce dell'infezione da HCV e HBV è indispensabile per evitare un'inconsapevole diffusione della malattia, dare migliori possibilità di cura e dare al soggetto positivo maggiore possibilità di tutela dei propri diritti;
              tra le misure di prevenzione rientrano le terapie per la eradicazione definitiva del virus dell'epatite. A tale proposito, stanno per essere approvati dall'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) nuovi farmaci più efficaci (inibitori della proteasi) per la cura dell'epatite C;
              la piena tutela dei diritti umani e del diritto alla riservatezza è essenziale in ogni aspetto della risposta ai virus epatitici,

impegna il Governo:

          a nominare presso il Ministro della salute una Consulta permanente per l'epatite come gruppo di lavoro stabile che coinvolga esperti nazionali di epatiti virali appartenenti a istituzioni, pazienti, medici, cittadini, con il compito di redigere un piano nazionale triennale di attività sulle epatiti virali e di sorvegliare sul suo corretto svolgimento;
          ad adottare il piano nazionale triennale sulle epatiti virali basato sulle raccomandazioni della Consulta stessa, che comprenda l'inserimento delle epatiti nei piani sanitari di prevenzione;      
          a reperire, ove se ne presentino le possibilità, fondi destinati alla ricerca sulle epatiti e complicanze correlate e finalizzati a studi di epidemiologia clinica a livello nazionale e in relazione alle diverse realtà geografiche che forniranno il reale quadro nel Paese;
          a reperire, ove se ne presentino le possibilità, fondi per migliorare l'accesso alla terapie e modificare la storia naturale della malattia nel Paese, nonché per sostenere enti e associazioni che assistono i malati e i loro familiari;
          a migliorare l'informazione e la prevenzione sulle epatiti virali, con opportuni richiami e progettualità sulla diagnosi precoce;
          a comunicare lo stato di avanzamento dei lavori della Consulta attraverso una relazione annuale da presentare al Parlamento.
(7-00863) «Farina Coscioni, Maurizio Turco, Beltrandi, Bernardini, Mecacci, Zamparutti».


      La XII Commissione,
          premesso che:
              la violenza contro le donne rappresenta un problema internazionale e riguarda la difesa non solo dell'integrità della vittima ma anche di salvaguardia di importanti interessi sociali comuni, quali la difesa dei principi di libertà e democrazia;
              esistono fondamentali strumenti giuridici dell'ONU ed importanti decisioni a livello delle istituzioni giuridiche europee che hanno finalmente sancito la gravità della violenza sulle donne, che ha raggiunto purtroppo livelli ancora inaccettabili. In Europa, infatti, si stima che un quinto ad un quarto delle donne abbiano subito atti di violenza fisica e che più di un decimo delle donne abbia subito violenze sessuali che abbiano comportato l'uso della forza;
              l'Onu definisce violenza «qualsiasi atto di violenza contro le donne che provoca, o potrebbe provocare, un danno fisico, sessuale o psicologico o una sofferenza alle donne, incluse le minacce a compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà». La violenza di genere viene intesa anche come forma di violenza nelle relazioni familiari, abusi sessuali, tratta degli esseri umani, matrimoni coatti, mutilazioni genitali e tutte le forme di violazione dell'integrità personale delle donne;
              le violenze possono avere delle ricadute terribili sulla salute psicofisica delle donne, ed è per questo che viene ribadito ad ogni livello istituzionale che tale fenomeno criminoso può essere debellato solo con più interventi di natura globale, giudiziaria educativi, sanitari, ed altri;
              infatti, la violenza delle donne ha una forte ricaduta sociale, con evidenti ripercussioni sulla salute delle donne stesse, sulla loro vita professionale, sulla partecipazione alla vita pubblica;
              è stato inoltre, evidenziato, che proprio nei momenti di forte crisi economica, come quello che il nostro Paese sta vivendo ora, si determinano rischi di aumento di abusi da parte degli uomini, causati da forti stress e disagi psicologici per l'incertezza riguardante il lavoro ed il futuro;
              la violenza sulle donne oltre ad avere una forte ricaduta sociale, ha indubbiamente un costo che secondo alcuni studi europei ammonterebbe a 33 miliardi di euro nei soli paese aderenti al Consiglio d'Europa;
              per affrontare tale drammatica situazione, è importante fare riferimento alla relazione del Parlamento europeo approvata nel marzo 2010, dove viene proposto un nuovo approccio politico globale contro la violenza di genere. Per quanto di competenza della Commissione europea, in tale documento viene ribadita più volte la necessità di garantire la formazione del personale della sanità e dei servizi di emergenza che si trovano a trattare i casi di violenza, di prevedere meccanismi di diagnosi e nei servizi di pronto soccorso e nella rete di assistenza primaria al fine di consolidare un sistema più efficiente anche per le vittime, ed infine viene preso atto che la violenza domestica è tra le cause principali di aborto spontaneo nonché di decessi della madre al momento del parto,

impegna il Governo:

          a promuovere insieme alle regioni programmi integrati in ambito sociale e sanitario atti a fornire una risposta effettiva agli stati di disagio psico-sociale delle donne causati da violenza, mediante la sensibilizzazione di tutti gli operatori sanitari ospedalieri e territoriali che entrano in contatto con la donna-vittima, anche attraverso il ricorso a forme di consulenza informatica che utilizzino la rete quale strumento di rilevazione delle situazioni a rischio e di sostegno psicologico a carattere continuativo, attraverso un accesso riservato e protetto a consulenze psicologiche on-line;
          ad individuare e promuovere, per quanto di competenza, il ruolo dei medici di medicina generale quali interlocutori qualificati per la presa in carico delle vittime di violenza, fornendo loro tutti gli strumenti sia in termini di formazione che di documentazione anche di pubblicità progresso per fornire adeguata informazione alle vittime sul numero dedicato 1522 ed i numeri di riferimento delle case protette;
          a promuovere la formazione specifica del personale dei pronto soccorso ospedalieri che devono affrontare la presa in carico della vittima di violenza sessuale e domestica e la diffusione di materiale informativo presso i pronto soccorso ospedalieri, affinché le vittime possano conoscere la rete di assistenza di cui possono beneficiare anche successivamente all'uscita dall'emergenza sanitaria;
          a predisporre ogni iniziativa affinché in ogni ambito sociale e sanitario ove la vittima di violenza sessuale e domestica si rivolge, venga fornita adeguata informazione di natura legale attraverso l'apertura di uno sportello di consulenza legale o attraverso la distribuzione di materiale informativo specifico sui diritti delle donne vittime di violenza, anche avvalendosi del volontariato del terzo settore;
          a promuovere la piena attuazione delle politiche integrate di assistenza sociosanitaria alla donna elaborate a livello nazionale, attraverso il ricorso ad intese ed accordi da stipularsi presso la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, quale strumento di definizione di comuni obiettivi e linee di indirizzo atte a garantire più elevati livelli di assistenza alla donna vittima di violenza.
(7-00865) «Laura Molteni, Fabi, Martini, Rondini».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      MOSCA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          ai sensi della legge 13 agosto 1980 n.  466, per «vittime del dovere» si intendono i soggetti, dipendenti pubblici, che sono deceduti o rimasti gravemente e permanentemente invalidi a seguito di lesioni riportate in conseguenza di azioni criminose o eventi connessi con l'espletamento delle attività istituzionali e di pubblico servizio;
          la legge 23 dicembre 2005, n.  266, all'articolo 1, comma 562, ha introdotto il principio della progressiva estensione alle vittime del dovere dei benefici previsti in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata; conseguentemente, il decreto del Presidente della Repubblica 7 luglio 2006 n.  243 ha stabilito i termini e le modalità generali per la corresponsione di tali benefici da parte delle amministrazioni d'appartenenza;
          ulteriori provvedimenti a favore delle vittime del dovere sono stati presi nel corso del 2007, con il decreto-legge 1o ottobre 2007 n.  159, il decreto-legge 31 dicembre 2007 n.  248 e con la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 luglio 2007;
          tuttavia, al momento dell'applicazione delle disposizioni sopra citate, di per sé costituenti un corpus frammentato e stratificato nel tempo, sono emersi ulteriori elementi di criticità, tra cui l'eterogeneità dei procedimenti burocratici per la corresponsione dei benefici da parte delle singole amministrazioni coinvolte;
          un primo tentativo di riassetto delle disposizioni vigenti e di semplificazione dei procedimenti amministrativi era stato promosso già con la legge di semplificazione 28 novembre 2005 n.  246; tuttavia, la delega ivi contenuta non è stata esercitata entro il termine previsto;
          tale contesto ha di fatto impedito l'equiparazione delle vittime del dovere a quelle del terrorismo e della criminalità organizzata; per questo motivo, nel dicembre 2008, dando seguito all'impegno preso successivamente all'ordine del giorno 9/1713/26 presentato da alcuni deputati in data 13 novembre 2008, il precedente Governo ha istituito il tavolo tecnico per le vittime del dovere, presieduto dal dottor Gianni Letta, al fine di portare a compimento entro il 2010 il processo di equiparazione (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 dicembre 2008);
          nello specifico, al tavolo tecnico è stato affidato il compito di fungere da raccordo tra le varie amministrazioni, per risolvere i dubbi interpretativi derivanti dalla sovrapposizione di più disposizioni normative, formulare iniziative di armonizzazione legislativa e amministrativa, garantire modalità univoche di attuazione delle leggi e, infine, favorire e monitorare la tempestiva erogazione dei benefici agli aventi diritto;
          ad oggi, tuttavia, il processo di equiparazione non è stato completato e le problematiche emerse nel corso degli anni non hanno ancora trovato soluzione; permangono infatti situazioni di grave sperequazione tra le varie categorie di vittime del dovere, e più in generale rispetto alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata;
          infine, nonostante l'ordine del giorno (9/2936-A/8) accolto in data 16 dicembre 2009 e che ha rinnovato l'impegno del Governo, negli ultimi anni si è assistito ad una progressiva riduzione degli interventi economico-finanziari necessari alla corresponsione dei benefici agli aventi diritto secondo la disciplina vigente  –:
          se intendano rendere note le attività che il tavolo tecnico ha intrapreso al fine di coordinare e armonizzare le procedure amministrative per l'erogazione dei benefici alle vittime del dovere;
          se il Governo intenda promuovere un processo di equiparazione delle vittime del terrorismo e del crimine organizzato e quali azioni intenda porre in essere per semplificarle il quadro normativo inerente la materia. (5-06883)


      SCARPETTI, TOCCAFONDI, BOSI, MATTESINI, CENNI, GIACOMELLI, FONTANELLI, GATTI, VENTURA, EVANGELISTI, MIGLIORI, LULLI e ALBINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          la situazione delle aziende Selex Galileo e Selex Elsag, operanti nell'alta tecnologia delle comunicazioni satellitari e nell'elettronica per la difesa e delle telecomunicazioni, facenti capo al gruppo Finmeccanica, desta preoccupazioni che attengono al presente e al futuro delle aziende per le scelte strategiche e i comportamenti concreti del vertice Finmeccanica e, di conseguenza, dello stesso management delle due aziende, così come denunciato in più atti di sindacato ispettivo in Parlamento e ancora una volta dalle Rappresentanze sindacali unitarie e dalle organizzazioni sindacali Cgil Cisl e Uil nel corso di una importante assemblea tenutasi a Firenze il 7 maggio 2012;
          tali preoccupazioni derivano, anche e non da ultimo, dal silenzio del Governo proprio su tali scelte e comportamenti, in virtù della responsabilità che deriva dalla golden share che detiene ed esercita su Finmeccanica, ma ancor di più per gli interessi strategici che riguardano il futuro anche prossimo del Paese;
          per quanto concerne Selex Galileo, l'azienda è stata esclusa dal bando indetto dall'Agenzia spaziale italiana per la realizzazione del satellite ottico Opsis;
          l'esclusione dal bando è motivata nel bando stesso con la presunta assenza nel nostro Paese delle competenze tecniche necessarie per la costruzione del componente ottico spaziale. Si tratta tuttavia di un giudizio che oltre a determinare un evidente danno economico per l'azienda in questione e per tutto il suo indotto, sminuisce di fatto le potenzialità tecniche e la credibilità di Selex Galileo e delle sue maestranze;
          tale esclusione non ha prodotto, come sarebbe stato lecito attendersi e come giustamente richiesto dalle stesse rappresentanze sindacali, il ricorso al TAR;
          sebbene sia specializzata in tecnologie ottiche civili e militari, Selex Galileo non ha dunque avuto la possibilità di partecipare al bando – vinto dall'azienda tedesca OHB – e l'Italia ha perso un importante occasione di sviluppo e di rilancio di un settore strategico e altamente tecnologico, una strada opposta a quella intrapresa dai competitor europei che si stanno dotando di sistemi nazionali in grado di garantire autonomia e autosufficienza in questo campo;
          tale atteggiamento, a giudizio degli interroganti, incomprensibile da ogni punto di vista industriale e produttivo e rischiosissimo per gli effetti occupazionali che può produrre, determina un oggettivo e pericoloso impoverimento del patrimonio professionale e di know-how, ma anche di immagine per l'azienda con tutte le negative ricadute nazionali ed internazionali che ciò produce;
          queste scelte hanno, di conseguenza, inopinatamente favorito aziende estere e in particolare l'azienda OHB che ha vinto la gara, con un danno conseguente per gli interessi nazionali;
          per quanto riguarda Selex Elsag, si tratta di un'azienda leader in Italia per la tecnologia TETRA adottata dall'Unione europea come standard digitale per le comunicazioni radio sicure delle forze di polizia, necessario per l'ammodernamento dell'intero sistema di radiocomunicazione delle forze dell'ordine;
          nel 2008 è iniziata l'installazione delle infrastrutture necessarie nella Sardegna, in previsione del G8 che si sarebbe dovuto tenere a La Maddalena. Selex Elsag ha anticipato le spese necessarie alla realizzazione della copertura dell'area del GB, e successivamente l'azienda avrebbe dovuto poter concludere l'installazione e l'attivazione del sistema TETRA nel resto della regione e del Paese. La società ha già sostenuto costi molto rilevanti, pari a circa 60 milioni di euro;
          la delibera CIPE n.  86 del 6 novembre 2009 ha definitivamente assegnato le risorse in favore del programma TETRA Sardegna per un ammontare di 150 milioni di euro necessari alla copertura totale della regione. La legge 12 novembre 2011, n.  183, (legge di stabilità per il 2012) prevede tuttavia, all'articolo 4, comma 22, la rinuncia alla realizzazione del progetto TETRA Sardegna e rimette i fondi stanziati al Ministero dell'economia e delle finanze;
          l'11 novembre 2011, la 5a Commissione permanente (Bilancio) del Senato ha approvato all'unanimità l'ordine del giorno G2968/42/5, che impegna il Governo al finanziamento del progetto TETRA Sardegna e al completamento del programma interpolizie anche per le restanti regioni;
          la questione è di fondamentale importanza perché, se il programma interpolizie non dovesse proseguire, l'azienda subirebbe un gravissimo contraccolpo sul suo assetto produttivo e finanziario, con un rischio di immediata perdita occupazionale per circa 600 lavoratori, concentrati principalmente nei siti di Firenze, Pisa, Genova e Latina;
          il mancato completamento del programma vanificherebbe, tra l'altro, gli investimenti fatti sino ad oggi – oltre 600 milioni di euro – per dotare alcuni territori di tale sistema e, in generale, impedirebbe al Paese di avere un sistema di comunicazione integrato di ultima generazione, necessario per garantire la sicurezza e l'efficienza delle forze dell'ordine, ma anche dell'intero apparato pubblico di protezione civile, che potrebbe trarre grandi benefici da tale sistema;
          da mesi i lavoratori di Selex Galileo e Selex Elsag, di concerto con le rappresentanze sindacali, le istituzioni locali e i rappresentanti delle forze politiche, sollecitano risposte sul futuro delle aziende, da ultimo in occasione della già citata iniziativa del 7 maggio 2012, durante la quale i lavoratori hanno incontrato senatori e deputati eletti in Toscana appartenenti a tutti i gruppi parlamentari;
          i lavoratori stessi con le loro rappresentanze di categoria e confederali, conducono una lotta – per molti versi anomala in questa fase di crisi, perché non riguarda la difesa immediata del posto di lavoro e la rivendicazione di tutele del reddito conseguenti – responsabilmente improntata alla difesa di interessi generali del Paese;
          Finmeccanica ha recentemente annunciato la costituzione di una «grande Selex», che accorperà Selex Elsag, Selex Galileo e Selex Sistemi Integrati, di cui appaiono oscure le ragioni industriali, se non negli effetti che dovrebbe comportare, vale a dire la chiusura di numerosi stabilimenti e una conseguente riduzione dell'occupazione, stimata dalle organizzazioni sindacali intorno al 25 per cento della forza lavoro totale;
          l'annunciato disimpegno generale di Finmeccanica rispetto alle attività civili, tra le quali rientra il settore spaziale, che verranno scorporate rispetto a quelle militari nonostante si tratti di aziende strategiche per il Paese capaci di creare occupazione di qualità e di assicurare una significativa ricaduta per le piccole e medie imprese, grazie anche alle commesse acquisite sui mercati esteri, determina un impoverimento della capacità dell'industria italiana di competere su mercati internazionali complessi ed agguerriti;
          Finmeccanica dovrebbe invece perseguire il rafforzamento economico-patrimoniale-industriale, consolidando tutte le attuali attività del gruppo (elicotteristica, difesa e sicurezza elettronica, aeronautica, spazio, sistemi difesa, energia, trasporti), invece di seguire l'attuale strategia di dismissione che rischia di trasferire le aziende del settore civile sotto il controllo di multinazionali straniere, depauperando il settore industriale del Paese  –:
          quando e come il Governo intenda intervenire per garantire il completamento del programma TETRA, oppure se – come ovviamente gli interroganti non auspicano – ritenga non più finanziabile il programma e, nel caso, come intenda affrontare le conseguenze di tale decisione;
          quali siano gli orientamenti e le spiegazioni del Governo sull'operato dell'Asi – agenzia sottoposta alla vigilanza del Ministro delle istruzioni, dell'università e della ricerca – riguardo all'esclusione della Selex Galileo dalla semplice partecipazione al bando;
          se sia a conoscenza delle ragioni che hanno portato Finmeccanica a subire all'origine la suddetta esclusione senza alcuna reazione, e successivamente a non presentare ricorso in sede di tribunale amministrativo, e cosa a questo punto il Governo intenda fare per superare le conseguenze negative derivanti dall'intera vicenda;
          in generale, quali iniziative e quali strategie di politica industriale il Governo intenda mettere in campo per salvaguardare il patrimonio industriale, produttivo e occupazionale di aziende che rappresentano il Paese intero su scala mondiale in settori strategici e a forte componente innovativa. (5-06888)

Interrogazioni a risposta scritta:


      DI GIUSEPPE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il 18 aprile 2012 il gruppo Poste italiane spa ha reso pubblico il bilancio 2011, l'utile netto consolidato si attesta a 846 milioni di euro, con un risultato operativo di 1.641 milioni di euro (1.870 milioni di euro nel 2010) mentre i ricavi totali sono 27,7 miliardi di euro;
          i ricavi da mercato conseguiti nell'anno ammontano a 9.729 milioni di euro (con un aumento di 84 milioni di euro rispetto al 2010), i servizi finanziari presentano una positiva performance crescendo dell'1,2 per cento (+57 milioni di euro) grazie ai buoni risultati dei ricavi da conti correnti (2.8 miliardi di euro, +8,6 per cento sul 2010). Le carte prepagate Postepay raggiungono il numero di 8.2 milioni, continuando a rendere Poste italiane leader di mercato per tali tipologie di prodotti;
          i servizi assicurativi hanno contribuito significativamente alla formazione dei ricavi: Poste Vita, la Compagnia assicurativa del gruppo, pur in presenza di un mercato assicurativo in forte contrazione e che ha risentito delle conseguenze della crisi economica e finanziaria in atto, ha conseguito un importante risultato, con 9,514 milioni di euro di premi emessi (9,501 milioni di euro nel 2010), che le ha permesso di guadagnare ulteriori quote di mercato, pari al 12,8 per cento rispetto al 10,8 per cento registrato nel 2010;
          in una nota ufficiale, Poste italiane ha giudicato «estremamente positivi» i risultati del 2011, spiegando che questi numeri collocano la compagnia «di gran lunga al primo posto al mondo per redditività nel confronto con i principali operatori internazionali»;
          il 17 aprile 2012, ovvero il giorno precedente alla presentazione del bilancio 2011, il Gruppo Poste italiane spa ha presentato il piano di ristrutturazione aziendale, nel quale comunica la decisione di razionalizzare l'azienda, all'insegna del calo di flussi di traffico, e quindi tutte le zone di recapito, urbane o non urbane, avranno la stessa grandezza. Questa scelta industriale che forse renderà più uniforme la distribuzione dei portalettere, ma secondo i sindacati porterà anche al licenziamento nel 2012 di 1.765 persone in 5 regioni: Piemonte, Emilia Romagna, Marche, Toscana e Basilicata, che andranno ad aggiungersi agli oltre 800 posti di lavoro soppressi in questi anni in Molise. Appare chiaro allo scrivente come la situazione sia inaccettabile da un punto di vista sia etico che morale, l'azienda faccia ricavi e utili sulle spalle dei lavoratori. Dal 2013 in poi, la razionalizzazione delle zone di recapito, dovrebbe investire tutta l'Italia e portare a circa 12.000 licenziamenti;
          secondo quanto si apprende, la logica aziendale sarebbe quella di accorpare gli uffici di recapito e istituire la consegna della corrispondenza in alcuni giorni della settimana nei paesi che non hanno più di 200 abitanti per chilometro quadrato, con il conseguente isolamento della popolazione e degli uffici pubblici al resto del mondo; tra l'altro questa valanga di provvedimenti, in termini di riorganizzazioni dei servizi postali, che Poste italiane farà a breve, ricadrà ancora una volta sul Molise come una mannaia;
          questi tagli pregiudicheranno la qualità dei servizi postali producendo, oltre ai disagi, evidenti sprechi, ad esempio: non si comprende infatti a cosa serva la flotta aerea se il corriere prioritario non mantiene gli standard di qualità (J+1), cioè assicurare il recapito della corrispondenza in 24 ore, se la corrispondenza rimane sotto i tavoli di lavoro dei portalettere per settimane costringendo gli utenti a provvedere personalmente a ritirarla presso le strutture di recapito o l'utilità dei centri di meccanizzazione postale distribuiti su tutto il territorio nazionale e soprattutto quello di Pescara se ormai, a seguito del decantato calo di flussi di traffico, lavorano al 20-30 per cento del loro potenziale; nonché quali siano le RAM (recapito area manageriali), se fino ad oggi hanno creato solo spese di strutture, per ospitarvi il personale, senza alcun ritorno in termini di efficienza, di economicità, di riorganizzazione e di qualità del servizio di recapito;
          il Molise è l'unica regione in tutta Italia ad avere l'organizzazione direzionale spezzettata in tre direzioni diverse, situate a loro volta in tre regioni diverse, ovvero, ALT CENTRO (area logistica territoriale centro) con sede in Roma; RUR (responsabile umane risorse) con sede in Bari; RAM4 (recapito area manageriale 4) con sede a Pescara. Quando sarebbe più logico e meno dispendioso, che le stesse dipendessero da una sola struttura regionale che comprenda le tre direzioni;
          il Molise è stata l'unica regione d'Italia a non aver avuto la trasformazione dell'ex CPO (centro postale operativo) in CP (centro prioritario), così come è avvenuto in tutte le altre regioni; a Campobasso, stranamente, l'ex centro postale operativo è stato trasformato in CDM (centro distribuzione master) ovvero una struttura di minore importanza;
          in Molise, non è stata mai attivata una qualsiasi direzione di servizi innovativi così come è stato per molti capoluoghi di regione e di provincia (ad esempio a Benevento è stato attivato il servizio «SEGUIMI» nazionale), il Molise, in questi ultimi 20 anni, ha perso quasi tutti gli uffici direzionali regionali;
          tali riorganizzazioni contrastano anche con le esigenze del Molise che ha bisogno, al contrario, di organizzare ed indirizzare le proprie risorse umane ed economiche verso le necessità specifiche della realtà locale, che non possono essere valutate da altre entità regionali (Puglia, Lazio ed Abruzzo);
          Campobasso, pur essendo capoluogo di regione, è stato depennato dall'elenco dei centri prioritari al contrario di altre piccole regioni come, ad esempio, la Basilicata, la ricaduta negativa è evidente, saranno cancellati altri servizi ed altre risorse umane e la lavorazione del prodotto postale (prioritario, j+1 e raccomandate veloci) sarà demandato anch'esso al CMP di Pescara, con i conseguenti disservizi che inevitabilmente ne scaturiranno;
          è imprescindibile mettere in evidenza l'eccezione che avviene nell'organizzazione delle poste del Molise, unica regione in Italia con due riferimenti direzionali diversi e lontani tra loro centinaia di chilometri: Bari (Sud 1) per il riferimento delle risorse umane e Roma (ALT Centro) per l'organizzazione del servizio postale. Tale circostanza crea una sovrapposizione ed una confusione gestionale, in quanto, appare chiaro che colui che gestisce le risorse umane (Bari) non può organizzare il lavoro di quelle risorse (Roma) e viceversa colui che organizza il lavoro non può gestire quelle risorse;
          in un'ottica federalistica, quale indubbiamente si tende a realizzare, tali soppressioni vengono a trovarsi in palese contrasto con i principi-guida della nuova concezione dell'autonomia regionale, essendo state trasferite fuori del territorio regionale tutte le scelte di programmazione e di organizzazione dei servizi essenziali; basti pensare alla Ram 4 che gestisce i servizi di recapito, quasi tutti molisani, è stata tolta al Molise e ceduta a Pescara;
          il nostro Paese sta attraversando un periodo di grave disagio sociale, e in conseguenza a quanto esposto, i sindacati di categoria, hanno annunciato manifestazioni per protestare contro il nuovo piano aziendale di Poste italiane  –:
          se e come, i Ministri interrogati, intendano intervenire al fine di non permettere più il continuo sperpero di denaro pubblico, ed al fine di indirizzare quelle risorse verso lavori più produttivi e se il Ministro nei limiti di sua competenza non ritenga utile sciogliere il binomio gestionale Roma-Bari, eliminando anche l'inutile dipendenza dalla sede di Pescara, per restituire la dignità sottratta ai lavoratori, ai cittadini ed alle poste molisane.
(4-16125)


      DI BIAGIO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il SISTRI (Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti) nasce nel 2009 su iniziativa del Ministero interrogato – come tra l'altro evidenziato sul portale di riferimento – «nel più ampio quadro di innovazione e modernizzazione della Pubblica Amministrazione per permettere l'informatizzazione dell'intera filiera dei rifiuti speciali a livello nazionale e dei rifiuti urbani per la regione Campania»;
          il suddetto sistema di controllo «semplifica le procedure e gli adempimenti riducendo i costi sostenuti dalle imprese e gestisce in modo innovativo ed efficiente un processo complesso e variegato con garanzie di maggiore trasparenza, conoscenza e prevenzione dell'illegalità»;
          negli ultimi giorni il Sistri, la sua configurazione operativa e la rete di operatori e dinamiche contrattuali sono stati oggetto di un'inchiesta giornalistica messa in onda dal programma Report in data 13 maggio 2012 e pubblicata dal quotidiano La Repubblica nelle stesse ore rivelando una molteplicità di punti oscuri e presunti illeciti sui quali appare auspicabile un chiarimento;
          il progetto del Sistri venne abbozzato nel 2007, originariamente si trattava di definire una rete di dati integrata per i produttori e i trasportatori di rifiuti «speciali pericolosi» finalizzata alla tracciabilità delle dinamiche di smaltimento. A corredo di tale progetto veniva apposto con apposito decreto del Ministro dell'ambiente il «Segreto di Stato», poiché – stando alla ricostruzione degli eventi – si ricorreva ad «avanzatissima tecnologia militare»;
          il 5 settembre del 2008, con decreto del Presidente del Consiglio, venne posto il «segreto amministrativo» «sul progetto, le opere, i servizi, e le forniture per la realizzazione del Sistema» che il Ministero interrogato – stando a quanto ricostruito dalla suindicata inchiesta – avrebbe affidato alla «Selex Service management», società del gruppo Finmeccanica con contratto – pubblicato da La Repubblica firmato il 14 dicembre 2009;
          la secretazione di cui al citato decreto del 2008, legittimava in base al principio della riservatezza l'aggiudicazione e individuazione del contraente senza procedure di evidenza pubblica;
          il citato contratto ha durata quinquennale e prevede per la realizzazione del sistema, la sua manutenzione, nonché la fornitura agli utenti, l'erogazione da parte del Ministero interrogato di 28 milioni di euro annuali a cui va aggiunta una quota variabile tra i 65 e i 70 milioni, vincolata al gettito assicurato da ciascun utente del Sistri attraverso un'iscrizione obbligatoria, la cui inadempienza non è però stata sanzionata per legge fino al dicembre 2010;
          le forniture agli utenti constano di due strumentazioni funzionali al software in grado di garantire la tracciabilità dei rifiuti (una chiavette usb per i dati, e una «black-box», scatola nera da collocare nei camion adibiti al trasporto);
          l'entrata in vigore del sistema, originariamente prevista per luglio 2011, veniva successivamente prorogata ad ottobre dello stesso anno, per poi essere ulteriormente rinviata. Nel 2011 la «precarietà» del progetto legata al versamento di un contributo obbligatorio in capo alle aziende-utenti per un servizio concretamente mai erogato per la mancata entrata in vigore del sistema ha spinto molti a disertare la contribuzione facendo di fatto crollare l'ammontare dei contributi;
          a seguito della debacle dei contributi, non esistendo alcun tipo di «vincolo» contributivo in capo alle imprese-utenti, come evidenzia l'inchiesta de La Repubblica che cita le intercettazioni dell'inchiesta napoletana sulla P4, l'amministratore delegato di «Selex» ha sollecitato più volte il Ministero interrogato al fine di ottenere una disciplina sanzionatoria in caso di mancato pagamento. Tale «sollecito» ha condotto al decreto del dicembre 2010 attraverso il quale è stata introdotta una sanzione fino a 90 mila euro per i mancati pagamenti;
          come evidenzia ancora l'inchiesta de La Repubblica la DigitPa ente nazionale per la digitalizzazione della pubblica amministrazione, incaricata della definizione della spending review sul contratto tra Ministero e Finmeccanica ha evidenziato che le «scelte seguite per il Sistri non sono compatibili con i princìpi di trasparenza»;
          il Ministro interrogato – in merito alla questione – ha evidenziato che «il Sistri è un'eredità pesante ma è anche un sistema di lotta alla criminalità. Per cambiarlo serve una legge nuova»;
          l'attuale configurazione del SISTRI, con le sue fumose caratteristiche operative e la dubbia capacità funzionale a fronte di un «investimento» da parte dello Stato esoso e impegnativo – sentitamente in questa congiuntura economica – solleva seri dubbi sull'utilità e sulla reale funzionalità del sistema anche in termini di concreta tracciabilità dei rifiuti e di tutela dell'ambiente;
          inoltre le discutibili articolazioni evidenziate in premessa mostrano uno scenario desolante, e complesso che solleva maggiore amarezza se inquadrato in un contesto economico gravoso per il Paese in cui dovrebbe essere privilegiata la razionalizzazione e la lungimiranza operativa contro ogni deriva clientelare e affaristica, segnatamente quando tali derive coinvolgono operatori economici come piccole e medie imprese che faticano a sopravvivere e che in questo modo sono le principali vittime di un sistema presumibilmente al limite dell'illecito oltre che dalla dubbia funzionalità  –:
          se intenda illustrare in dettaglio – alla luce di quanto già evidenziato dalle citate inchieste – quali siano le reali dinamiche che hanno condotto alla nascita e alla strutturazione del Sistri, oltre che la natura del contratto intercorso tra il Ministero e Finmeccanica e che prospettive vi siano per il futuro in merito alla sopravvivenza del Sistema e la sua eventuale riconfigurazione anche alla luce di quanto evidenziato dalla DigitPa. (4-16141)


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il Senato accademico e il consiglio di amministrazione del politecnico di Milano, rispettivamente nelle sedute del 15 dicembre 2011 e del 20 dicembre 2011, hanno approvato le linee strategiche di ateneo 2012-2014;
          a seguito di tale approvazione, nella seduta del 23 gennaio 2012, il Senato accademico del politecnico di Milano ha deliberato le prime azioni sulla cosiddetta internazionalizzazione, predisponendo le risorse per farvi fronte, al fine di rendere obbligatorio – senza alternative – l'insegnamento nella lingua inglese di tutti i corsi di laurea magistrale a partire dall'A.A. 2014;
          tali decisioni, per l'impatto che hanno sulle professioni, sul mercato, sull'economia, sul diritto del lavoro e sui diritti linguistici, travalicano i confini di competenza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
          tali provvedimenti, nella parte in cui impongono l'uso esclusivo della lingua inglese per l'erogazione dei corsi di laurea magistrali risultano di fatto una «inglesizzazione» e non un'internazionalizzazione che, comprimendo la libertà di scelta di docenti e studenti e il pluralismo dell'offerta formativa, sono, ad avviso degli interroganti, in contrasto con l'articolo 33 della Costituzione, che recita: «L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento»;
          si lede, secondo gli interroganti, il fondamentale principio di uguaglianza, di cui all'articolo 3 della Costituzione, nella misura in cui introduce un criterio di discriminazione su base linguistica, con effetti sicuri, anche se non del tutto prevedibili e governabili, sulle carriere del personale docente e su quelle degli studenti;
          ciò è in contrasto altresì con l'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione il 7 dicembre 2000 e resa giuridicamente vincolante per gli Stati membri dall'articolo 6 del TUE, come consolidato dal trattato di Lisbona, che prescrive in modo molto chiaro: «È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, (...) sulla lingua (...)»;
          le delibere in questione paiono agli interroganti di dubbia legittimità perché non in linea con l'articolo 271 del regio decreto del 31 agosto 1933, n.  1592, il quale dispone che «la lingua italiana è lingua ufficiale dell'insegnamento e degli esami in tutti gli stabilimenti universitari». Tale norma, pur dopo le tante riforme che hanno interessato l'università, non è mai stata abrogata ed è certamente ancora oggi vigente e rafforzata là dove si afferma che la conoscenza della lingua italiana è presupposto per accedere all'università e per ottenere qualsiasi titolo universitario (decreto ministeriale n.  270 del 2004);
          le delibere contestate non sono aderenti al dettato dell'articolo 1 della legge n.  842 del 15 dicembre 1999, che recita che la lingua ufficiale della Repubblica e l'italiano;
          le delibere contestate finirebbero per stravolgere il senso dell'articolo comma 2, lettera l) della legge n.  240 del 2010, il quale, nel promuovere l'internazionalizzazione dell'università, mira a promuovere l'integrazione fra le culture – e non a imporne una, neppure la propria, a scapito delle altre – e, non a comprimere ma ad ampliare l'offerta formativa;
          non è condivisibile l'idea che ciò sia fatto in nome della qualità e dell'eccellenza, essendo, al contrario, evidente che l'insegnamento nella lingua madre sia di qualità superiore di quello impartito in una lingua diversa;
          tra pochi anni ci sarà una forte carenza di figure professionali di alta formazione, in ingegneria, architettura e disegno industriale, in grado di conoscere il lessico professionale italiano e di comunicare con i connazionali e con le amministrazioni locali nella lingua madre. Si tratta di un danno enorme che risulterà prodotto dalle stesse università statali;
          tra pochi anni mancheranno docenti liceali adeguatamente preparati per insegnare in lingua italiana materie tecniche e scientifiche alle giovani generazioni, strategiche per lo sviluppo del Paese;
          la lingua madre è, per elezione, la lingua della formazione perché ad alta definizione, mentre il cosiddetto «inglese basico» usato nei corsi in lingua inglese al politecnico e altrove, è una lingua povera, a bassa definizione, ideologicamente propugnata da chi si prefigge di dislocare all'estero servizi e manifatture, non per introdurre i giovani alla cultura anglosassone più alta;
          il Ministro interrogato ha dichiarato che la scelta delle autorità accademiche del politecnico di Milano «è un esempio per tutta l'Italia», invitando nella sostanza a imporre l'obbligo della lingua inglese a tutte le altre università;
          circa 1/3 del personale docente del politecnico di Milano, in varie forme, si è espresso esplicitamente contro l'obbligo della lingua inglese e la rinuncia alla lingua madre;
          la sostituzione della lingua italiana con quella inglese, oltre che un attentato ai diritti linguistici dei giovani italiani, prefigura ed agevola il disegno scissionista dell'Italia, facendo venire meno il cemento linguistico del Paese;
          in Gran Bretagna non s'insegna alcuna lingua straniera dal 2004, consentendo risparmi sul fronte istruzione che ammontano a 18 miliardi di euro l'anno. Per contro, l'apprendimento della lingua inglese agli italiani costa 60 miliardi di euro l'anno e nell'Unione europea 350 miliardi di euro annui. Pertanto, oltre al risparmio in bilancio per le spese d'istruzione delle lingue straniere, il Regno Unito riceve circa 900 euro pro capite annui in modo indiretto dai cittadini italiani. Supponendo un periodo di vent'anni ad un tasso di interesse del 10 per cento si arriva ad un totale di 55.000 euro per persona;
          i privilegi linguistici assicurati ai madre lingua inglese dall'università influenzano altresì la competitività negativamente e a danno dei cittadini italiani che vengono ostacolati anzitutto linguisticamente per entrare nel mercato europeo delle professioni che dovrebbe essere aperto e in libera competizione (articolo 4 consolidato dei Trattati UE);
          l’«inglesizzazione» è un processo di occupazione globale da tempo messo in atto dalle principali potenze anglofone, perché, come esplicitamente ebbe a dire Churchill agli studenti di Harvard nel 1943, «dominare la lingua di un popolo offre guadagni di gran lunga superiori che non il togliergli province e territori o schiacciarlo con lo sfruttamento. Gli imperi del futuro sono quelli della mente». Con l'ovvia conseguenza che la cessione unilaterale di sovranità linguistica equivale alla cessione di suolo italiano;
          le università francesi non sono capitolate sotto la germanofonia nemmeno nella Repubblica di Vichy, con la Francia occupata dai nazisti, mentre si comincia a veder capitolare intere facoltà e, ora a Milano un'intera università, sotto quella che appare agli interroganti un’«occupazione linguistica» inglese;
          per lo sviluppo, anche economico, dell'Europa vi è l'indubbia necessità di una lingua federale che rilanci gli scambi e la mobilità non discriminando tra cittadini europei di madrelingua inglese e non;
          dal 1995 giace inattuato al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca uno studio particolareggiato (pubblicato sul Bollettino Ufficiale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n.  21-22/1995 insieme alla circolare ministeriale 126 che lo accompagnava) sulla positività di promuovere nel modo più rapido possibile la sperimentazione della lingua internazionale (detta Esperanto) nella prospettiva di avere una lingua federale europea alla portata di tutti, senza discriminazioni e patrimonio comune dell'umanità  –:
          se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e quali iniziative intenda assumere;
          se non reputi opportuno far sì che presso ogni scuola d'ordine e grado della Repubblica, si mantenga l'uso insostituibile della lingua nazionale;
          se il Governo, dopo 17 anni, e con il sistema d'insegnamento italiano alle soglie della completa colonizzazione anglofona intenda finalmente dar seguito alle promozioni, valorizzazioni e sperimentazioni della lingua internazionale (detta Esperanto) così come prefigurato nello studio summenzionato;
          se il Governo intenda valorizzare il summenzionato studio con i partner europei, avviando immediatamente le prove di lingua federale europea attraverso una sperimentazione comunitaria della lingua internazionale;
          se il Governo intenda avviare immediatamente uno studio economico che, oltre a dettagliare il risparmio per l'Italia e l'Europa dello «scenario Esperanto» stimato in 25 miliardi annui (Grin, «L'insegnamento delle lingue straniere come politica pubblica»), ne approfondisca altresì gli effetti e i guadagni per la crescita e lo sviluppo sia in chiave interna ed europea che mondiale, in considerazione del fatto che, così come molti Paesi avevano cominciato ad adottare l'euro sostituendolo al dollaro per le transazioni internazionali riconoscendogli il ruolo antinazionalista e sovranazionale, a maggior ragione essi adotteranno l'Esperanto in virtù non solo dell'economicità del suo studio ed insegnamento ma, anche della sua imparzialità originaria e storica, che rappresenta un patrimonio e un diritto dell'umanità. (4-16142)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta scritta:


      DI STANISLAO. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il Partito democratico afgano Hambastagi il 30 aprile scorso ha organizzato una partecipata manifestazione nel ventesimo anniversario della presa del potere di Kabul da parte delle milizie fondamentaliste, per chiedere giustizia per le vittime civili e la deposizione dei warlord che siedono in Parlamento afgano;
          ora quegli stessi criminali vogliono togliergli legittimità annullando il loro status giuridico e chiedendo che vengano messi sotto processo per avere insultato la «jihad»;
          la manifestazione di Kabul ha ottenuto un grande successo e Hambastagi ha ricevuto un sostegno enorme da afgani all'interno del Paese e all'estero, tuttavia hanno ricevuto minacce da parte dei signori della guerra sia per telefono che per e-mail;
          il Partito ha dichiarato ufficialmente in una nota che i signori della guerra che siedono in Parlamento e Senato hanno condannato la loro manifestazione e hanno chiesto che il partito venga messo fuori legge e sotto processo per aver insultato la «jihad»;
          i rappresentanti sono stati ufficialmente chiamati in Senato per rispondere alle accuse e il canale televisivo statale ha annunciato che la registrazione del Partito della Solidarietà è stata annullata, notizia che tuttavia ancora attende ufficialità;
          anche il CISDA — Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane — che sostiene attivamente questo giovane partito democratico afgano, ha raccolto il loro appello e chiede che venga inviata una breve nota di sostegno ad Hambastagi da parte di Governi, istituzioni, partiti, associazioni, giornali  –:
          se il Governo sia a conoscenza delle informazioni citate in premessa e se non ritenga di dover intervenire a sostegno del partito democratico afgano Hambastagi (Partito della Solidarietà) affinché il Governo afgano ponga fine ad un modus operandi che va contro una libertà di opinione e di espressione indispensabile per costruire uno Stato democratico e autonomo a tutela e sostegno dei cittadini.
(4-16121)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
          la Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza (Convention on the Rigths of the Child), approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ha sancito che «a tutte le bambine, i bambini e gli adolescenti è garantito lo stesso diritto: avere pari opportunità di educazione, di istruzione, di gioco e di cura, superando le disuguaglianze di origine economica, etnica, culturale e di ogni altro tipo»;
          ancora oggi in molti Paesi del mondo, nonostante siano trascorsi oltre 20 anni dall'approvazione della Convenzione, vi sono fanciulli che vivono in condizioni di particolare difficoltà a cui la comunità internazionale è tenuta a dare particolare attenzione: bambini che muoiono di fame, bambini utilizzati dai «signori della guerra» in diverse parti del mondo, bambini sfruttati per fini sessuali, bambini costretti a lavorare nelle condizioni più ignobili, bambini a cui viene negata la possibilità di una vita normale  –:
          se il Governo non ritenga necessario e doveroso attivarsi nelle opportune sedi internazionali affinché la Convenzione dei diritti del fanciullo del 1989 di New York venga recepita da tutti i Paesi, anche da quelli più poveri;
          inoltre, se non si ritenga di dover adottare ogni iniziativa per sensibilizzare i Paesi più ricchi affinché sia cancellato il debito dei Paesi poveri, al fine di consentire un innalzamento dei livelli di vita di molte popolazioni e ridurre in maniera significativa il forte divario oggi esistente tra il nord e il sud del mondo, proteggendo in tal modo la vita di tutti e, in particolare, dei più fragili ovvero dei bambini. (4-16123)


      DI STANISLAO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          la Commissione affari esteri della Camera del deputati, il 14 luglio 2011, nell'approvare una risoluzione in presenza dei rappresentanti del Governo ha impegnato il Governo italiano ad accogliere 40 feriti gravi del violentissimo attacco dell'8 aprile causato delle forze irachene ai residenti di Ashraf. Ma finora, purtroppo, nonostante le numerose richieste e le ripetute visite del personale della nostra Ambasciata a Baghdad il nostro Paese ha accolto a quanto consta all'interrogante solo quattro feriti;
          per quanto riguarda la sovranità dell'Iraq, le informazioni in possesso dello scrivente confermano che la PMOI l'ha sempre e pienamente rispettata. Le notizie che arrivano riferiscono che le forze irachene hanno violato più volte i diritti dei residenti del Campo Ashraf;
          mentre il campo Liberty non ha le infrastrutture adatte ad accogliere, queste persone, le quali inoltre non hanno la possibilità di entrare o uscire liberamente dal campo, non possono tuttora ricevere i loro avvocati o parenti, né accedere alle cure mediche. Persino ai giornalisti è vietato accedere al campo;
          i residenti del Campo Ashraf hanno consegnato, nell'agosto 2011, la loro richiesta all'Alto commissariato dell'ONU per rifugiati che ha riconosciuto, il 23 settembre, il loro status come richiedenti asilo e, se non fosse stato per gli impedimenti del Governo iracheno, ci sarebbe stato il tempo sufficiente per la procedura burocratica a trasferire molti dei feriti e indigenti nei Paesi terzi per le cure necessarie. Anche ora che il processo di riconoscimento è iniziato prosegue alquanto lentamente e ad oggi a quello che consta all'interrogante solo 30 persone sono state intervistate. In questa situazione bisogna provvedere per la sicurezza del campo Liberty e per le infrastrutture affinché i dissidenti iraniani possano avere una vita dignitosa  –:
          se il Governo intenda chiarire la posizione dell'Italia in relazione ai fatti citati in premessa e se non ritenga di dover intervenire al fine di agevolare l'arrivo dei feriti del Campo Ashraf, superando eventualmente le procedure burocratiche del commissariato dell'ONU per motivi umanitari e privilegiando vite umane. (4-16133)


      DI STANISLAO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il Comitato Iran libero ha lanciato un appello per garantire la sicurezza dei residenti di campo Ashraf dove sono i dissidenti iraniani;
          nell'appello denunciano che il regime teocratico iraniano con l'impiccagione di 120.000 persone e con la detenzione e la tortura sistematiche di centinaia di migliaia di prigionieri politici è davvero campione nella violazione dei diritti umani negli ultimi tre decenni. In Iran giovani, donne, minoranze etniche e religiose e intellettuali sono sottoposti alle più atroci pressioni. Secondo la relazione di Amnesty International il numero di impiccagioni nel 2011 è stato il doppio rispetto all'anno precedente;
          il regime iraniano con la sua partecipazione nel massacro del popolo siriano, con le continue ingerenze in Iraq, in Libano, in Palestina e in tutto il Medio Oriente e soprattutto con i suoi irriducibili tentativi nella produzione delle armi nucleari è la fonte principale d'instabilità e d'insicurezza nella regione e in tutto il mondo;
          considerata la situazione critica del regime iraniano, questo è seriamente intenzionato ad annientare la sua opposizione, i residenti nel Campo Ashraf, prima del rovesciamento del regime di Assad in Siria e del cambiamento dell'equilibrio attuale nella regione. I mercenari del regime iraniano in Iraq già due volte, nel 2009 e nel 2011, hanno attaccato con feroce violenza i residenti del Campo Ashraf, uccidendo 47 persone completamente inermi e ferendone migliaia. Alla fine del 2011, in seguito alle pressioni esercitate da parte del Governo iracheno, è stato firmato un accordo tra il Governo iracheno e l'ONU per lo spostamento dei residenti del Campo Ashraf nel territorio iracheno prima che l'Alto commissariato dell'ONU potesse effettuare le pratiche per la riaffermazione dello status di rifugiato dei residenti di Ashraf necessario per il trasferimento di questi in Paesi terzi;
          i residenti del Campo Ashraf, nonostante godessero del diritto di permanere nel loro luogo di residenza da più 25 anni, su sollecitazione della signora Maryam Rajavi che si è adoperata per favorire una soluzione pacifica della questione, hanno accettato ed effettuato il trasferimento al campo Liberty;
          nel campo Liberty non ci sono le condizioni di una vita dignitosa: il campo è privo di ogni tipo di infrastruttura che consenta un livello minimo di standard umanitario; al suo interno c’è una presenza massiccia di forze armate irachene ed è consentito l'uso di una superficie molto limitata del campo le cui strade non sono asfaltate; a questo si aggiunge la proibizione di entrare e uscire dal campo, la scarsità dell'acqua e di corrente elettrica e l'assenza di una rete di fognatura. Le umilianti pressioni e le assurde perquisizioni durante il trasferimento e l'impedimento di portare beni personali hanno moltiplicato i problemi  –:
          se il Governo intenda raccogliere l'appello del Comitato ed intervenire in sede ONU ed adoperarsi affinché si agisca tempestivamente per migliorare la condizione del campo Liberty, per l'uscita delle forze irachene dal recinto del campo e per consentire ai residenti di costruire le infrastrutture necessarie e ampliare il campo in modo da renderlo abitabile.
(4-16137)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


      BOSSA, REALACCI e MARIANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          sei lavoratori dell'ex cooperativa «Vesuvio, Natura e Lavoro», si sono calati all'interno del cratere del Vesuvio, sistemandosi su uno spuntone di roccia, a dieci metri di profondità, con un riparo di fortuna e uno striscione, per richiamare l'attenzione sulla drammatica situazione che riguarda loro e diversi colleghi;
          i lavoratori, che hanno anche annunciato un imminente sciopero della fame, sono li da giorni, ormai, in condizioni di grande difficoltà; cibo, bevande, beni di necessità sono calati dai familiari e da altri lavoratori, che presidiano l'area intorno al cratere del Vesuvio, sostenendo i manifestanti nella loro protesta;
          i lavoratori, già protagonisti di un'analoga dimostrazione a fine aprile, manifestano stavolta l'intenzione di restare in mobilitazione fino a che non ci sarà da regione e Governo la convocazione di un tavolo per discutere della vertenza;
          i lavoratori della ex cooperativa «Vesuvio, Natura e Lavoro» (circa 40) fino al 2008 hanno espletato servizi di pulizia e manutenzione dei sentieri all'interno del parco nazionale del Vesuvio; con il fallimento della cooperativa, sono stati, successivamente, collocati prima in Cassa integrazione e poi in mobilità in deroga;
          nel lungo periodo di cassa integrazione e mobilità nessun intervento è stato fatto per dare vita a strumenti di riconversione occupazionale nello stesso settore in cui i lavoratori avevano maturato una buona esperienza; settore che comunque avrebbe bisogno di una strategia di rilancio dal momento che il Vesuvio e il suo parco nazionale rivestono una indubbia importanza per la vocazione turistica ed ambientale del territorio;
          in mancanza di qualunque iniziativa, da alcune settimane, scaduta anche la mobilità, i lavoratori sono rimasti senza alcun sostegno economico e senza nessuna prospettiva occupazionale;
          l'assessore al lavoro della regione Campania, Severino Nappi, ha indirizzato una lettera al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per sollecitare l'apertura di un tavolo di confronto con le parti sociali al fine di individuare una soluzione, rilevando che la vertenza esula dalle competenze regionali  –:
          se sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se non intenda, rapidamente, convocare un tavolo di confronto con le parti sociali e le istituzioni locali, al fine di prospettare ai lavoratori di cui in premessa, una soluzione al dramma occupazionale. (4-16107)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la cattiva manutenzione di un alveo alle pendici del Vesuvio ha causato, il 21 ottobre 2011, la morte di una ragazza diciottenne di Pomigliano, Valeria Sodano, travolta dal fango durante un nubifragio;
          gli interventi di ingegneria naturalistica realizzati tra il 2002 e il 2005 hanno «tamponato» le emergenze, in particolare nel territorio di Pomigliano d'Arco; ma da dodici anni si attendono azioni più incisive;      
          secondo quanto dichiarato dal segretario dell'ordine regionale dei geologi della Campania dottor Giuseppe Doronzo, «il dissesto idrogeologico è dovuto in gran parte all'assenza di manutenzione»;
          l'area del parco del Vesuvio è priva di manutenzione sistematica da quasi dieci anni: dal 1998 al 2003, infatti, sono stati realizzati molteplici interventi di ingegneria naturalistica, rimettendo a posto quasi 60 chilometri di strabelle e sentieri; opere ripetute solo in parte intorno al 2006; eppure, come spiegano gli esperti, l'assenza di manutenzione nel passato ha provocato danni enormi;
          in particolare anni di scarsa attenzione per l'ingegneria naturalistica hanno comportato una cementificazione selvaggia dell'area e la creazione di decine di discariche abusive;
          l'intera rete sentieristica dell'area è protetta, e proprio i sentieri, assieme alle fumarole e ad altre bellezze naturali del territorio vesuviano, possono costituire una preziosa opportunità di crescita e di sviluppo dell'intera area; ma occorre, avvertono i geologi, programmare una manutenzione ordinaria e straordinaria per evitare come in passato catastrofi e disastri;
          la situazione sommariamente esposta è stata ampiamente denunciata dai mezzi di informazione, e in particolare attraverso un documentato articolo di Francesco Gravetti, pubblicato su Il Mattino del 6 maggio 2012  –:
          quali urgenti iniziative di competenza si intendano predisporre, sollecitare, adottare. (4-16127)


      REGUZZONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il risanamento del lago di Varese ha rappresentato e rappresenta un obiettivo importantissimo per tutto il territorio varesino;
          il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la provincia di Varese negli anni scorsi hanno dato corso ad un processo di «ossigenazione forzosa» di detto bacino lacustre, ottenendo buoni risultati dimostrabili dai dati Asl che hanno via via testimoniato il costante miglioramento della pulizia delle acque, raggiungendo in talune località i parametri che consentirebbero il ritorno alla balneazione;
          il firmatario del presente atto in un'interrogazione presentata l'8 luglio 2009 sottolineava che «attualmente il processo di “ossigenazione forzosa” è concesso, né risultano in corso altri progetti» e chiedeva «se vi sia l'intendimento di proseguire lungo la strada del risanamento del bacino lacustre del Lago di Varese e quali siano gli strumenti che gli enti locali e il Ministero possono attivare»; a detta interrogazione non è peraltro seguita alcuna risposta  –:
          se il Governo sia intervenuto ed in che modo;
          qualora non vi sia stato alcun intervento, quali siano le ragioni e se l'inerzia derivata abbia danneggiato – ed in che modo – i risultati precedentemente raggiunti;
          se e come il Ministro intenda intervenire, per quanto di competenza, nel caso in esame ed, in generale, nel coordinamento e nell'opera di impulso al recupero ambientale dei bacini fluviali e lacustri.
(4-16147)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      VANNUCCI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          al Getty Museum di Malibù negli Stati Uniti d'America è conservato un reperto archeologico «l'Atleta» in bronzo a grandezza naturale, capolavoro attribuito a Lisippo, appartenente all'Italia e più precisamente alla città di Fano;
          tale reperto ritrovato nel 1964 a Fano ed occultato è ricomparso ed è giunto per vie illegali negli USA nel 1974;
          il 10 febbraio 2010, il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Pesaro ne ha disposto la confisca nel presupposto della illecita esportazione di un bene inalienabile dello Stato;
          il Getty Museum ha opposto ricorso contro il provvedimento e nei giorni scorsi il giudice per le indagini preliminari di Pesaro, Maurizio Di Palma, ha respinto l'opposizione confermando l'ordine di confisca;
          tale ulteriore passaggio modifica sostanzialmente la situazione rispetto alla interlocuzione avuta con il Ministro con interrogazione 5-02502 del sottoscritto del 17 febbraio 2010 discussa il 20 aprile 2010;
          la prosecuzione del contenzioso giudiziario non sospende la rogatoria o l'azione civilistica;
          la rogatoria dovrebbe essere prontamente intrapresa dal Ministero della giustizia con il sostegno del Ministero interrogato;
          il Ministero interrogato dovrebbe, altresì, avviare una azione civilistica e perseguire le vie diplomatiche con il pieno coinvolgimento del Ministero degli esteri;
          sulla base dell'ulteriore sentenza più sopra richiamata andrebbe immediatamente attivato il comitato per il recupero beni per le azioni conseguenti;
          se il Ministro sia a conoscenza della sentenza e cosa intenda fare (sul piano giuridico, diplomatico e amministrativo) per recuperare l'Atleta del Lisippo al patrimonio nazionale ed alla città di Fano.
(5-06875)


      GOISIS, GIULIETTI e RIVOLTA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          il consiglio d'amministrazione della RAI sta trattando da parecchi anni la vendita di palazzo Labia, che ospita la sede regionale del Veneto;
          palazzo Labia è un palazzo barocco del sestiere di Cannaregio a Venezia, costruito tra il XVII ed il XVIII secolo;
          l'edificio è tutelato dal Ministro per i beni e le attività culturali e si sviluppa su 7.500 metri quadri: un vero e proprio gioiello con splendide opere d'arte tra cui gli affreschi di Giambattista Tiepolo, che nel «salone da ballo» dipinse uno dei suoi capolavori, il ciclo di affreschi dedicato alle Storie di Antonio e Cleopatra, su commissione dei fratelli Angelo Maria e Paolo Antonio Labia;
          molte altre sale del palazzo sono decorate da numerosi e interessanti dipinti, arazzi e sculture d'epoca: vi si trovano opere di Giandomenico Tiepolo, Palma il Giovane, Giambattista Canal, Placido Costanzi, Agostino Masucci, Pompeo Batoni, Gregorio Lazzarini, Gaspare Diziani, Antonio Visentini; notevoli sono il ciclo di arazzi fiamminghi con Storie di Scipione;
          affiancato alla chiesa di San Geremia, l'edificio è situato vicino alla confluenza del Canale di Cannaregio nel Canal Grande, verso i quali rivolge le due facciate più antiche;
          le facciate sui canali, attribuite variamente ad Andrea Cominelli, ad Alessandro Tremignon ed al figlio Paolo, riprendono modelli del Longhena. Presentano un pianterreno dorico bugnato e piani superiori di ordine ionico e corinzio con finestre ornate da mascheroni e balconate continue. Sull'attico sono scolpite le aquile araldiche dei Labia, alternate ad oculi ovali; la facciata sul campo, realizzata intorno al 1730, riprende, semplificandolo, lo stile delle altre due;
          come si ricorderà l'azienda televisiva quattro anni fa aveva dato mandato a un advisor immobiliare del gruppo «American Appraisal (Reag-Real Estate Advisor Group) per curare l'operazione e il bando era stato pubblicato anche sulla stampa internazionale;
          la presentazione di offerte non vincolanti si è conclusa il 7 maggio 2008, a ciò ha fatto seguito una scrematura dei potenziali acquirenti, chiusa nel 2009, a seguito della revoca dell'offerta da parte degli acquirenti (una cordata di investitori arabi, pronti a trasformare il palazzo in un resort di extra-lusso), probabilmente scoraggiati dal «vincolo di non adibire il palazzo a sede alberghiera»;
          attualmente la direttrice generale della RAI avrebbe rilanciato il progetto di alienazione dell'immobile settecentesco, la cui vendita frutterebbe un ricavo di circa 30 milioni di euro, pare necessari a coprire parzialmente il deficit di bilancio dell'azienda;
          si tratterebbe in definitiva di quella che agli interroganti appare una necessità di «fare cassa», sia pure in assenza di un piano editoriale e industriale dentro il quale inquadrare il ruolo della Rai in Veneto;
          da notizie diffuse dalla stampa locale, il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, per garantire la fruizione pubblica dell'immobile ne avrebbe proposto l'acquisizione da parte della Fondazione Musei, con il contributo di una cordata di finanziatori privati (costo ipotizzato oggi circa 40 milioni di euro), a grande museo, per l'esposizione di pezzi pregiati delle collezioni veneziane, oggi in gran parte nei magazzini del Correr, del Ducale e di Ca’ Rezzonico, per completare così il giro museale della città e offrire uno spazio prestigioso a chi arriva da piazzale Roma e dalla stazione;
          la predetta iniziativa presenta, ad avviso degli interroganti, molte opacità, poiché le risorse da investire a Palazzo Labia, dovrebbero essere in parte attinte dai 20 milioni di euro incassati per la vendita del museo «Ca’ Corner della Regina» (sede prestigiosa per esposizioni di opere d'arte d'alto valore artistico) – in un primo tempo affidata alla Fondazione Musei – e confluire nelle casse della Fondazione medesima; un'iniziativa secondo gli interroganti del tutto incomprensibile se si considera che il comune dispone attualmente di ben 18 palazzi, messi in vendita, all'interno dei quali il sindaco avrebbe potuto trovare gli spazi da adibire a musei;
          si tratterebbe quindi di una proposta priva di contropartite reali sul futuro di un immobile di così alto valore storico – artistico;
          la trasformazione dei musei in fondazioni di partecipazione, costruite secondo una teoria economica che considera possibile l'istituzione di fondazioni senza fondi, il cui patrimonio spesso puramente virtuale e consiste solo nella speranza di generosi interventi privati, è spesso deludente, sia sul piano economico, sia su quello culturale. In assenza di massicci interventi privati che la teoria economica assicurerebbe, tali musei concentrano tutti i loro sforzi non sull'attività culturale, ma verso la ricerca del denaro indispensabile alla sopravvivenza fisica della fondazione. Inoltre, essi non sono in grado di svolgere un'attività culturale autonoma, in quanto devono sottostare alle condizioni imposte dai pochi finanziatori (mai disinteressati), sia per ciò che riguarda i contenuti, sia per quanto riguarda le linee generali di sviluppo;
          per fare un solo esempio, il rinnovamento delle esposizioni del Museo della scienza e della tecnologia di Milano, trasformato in fondazione nel 2000, appare condizionato dalle imprese che finanziano i settori di loro interesse (la sala dell'arte orafa, la sala del tempo e altro). Lo stesso museo ha, inoltre, sviluppato soprattutto l'attività didattica a livello scolare, in quanto la sola in grado di fornire alti numeri di presenza;
          secondo l'opinione del professor Romanelli (già direttore dei musei civici veneziani), dal punto di vista culturale, l'iniziativa del sindaco sull'utilizzo di Palazzo Labia, creerebbe un doppione del museo settecentesco «Ca’ Rezzonico», peraltro scarsamente visitato;
          purtroppo la redditività della cultura in generale, e dei musei in particolare, è limitata e non copre che una minima parte dei costi di gestione. Il museo – affermano esperti conoscitori del settore – è un'azienda che ha talmente tanti settori improduttivi che può – paradossalmente – raggiungere la parità di bilancio solo se abdica alle sue funzioni culturali fondamentali, se taglia le attività improduttive – studio scientifico, comunicazione culturale – avvicinandosi sempre più a un qualche cosa che sta fra il centro commerciale e il Luna Park;
          nel caso in cui il Palazzo storico in questione dovesse essere ceduto a gruppi di investitori privati, vere e proprie oligarchie economiche, il risultato sarebbe quello di privare la comunità sociale di un suo diritto fondamentale, che è quello di gestire coralmente la propria storia e le proprie tradizioni culturali;
          un gruppo privato che accetta di investire e gestire una frazione del patrimonio culturale, o un'istituzione culturale, sono ad avviso degli interroganti sempre mossi da un interesse personale, anche quando questo è mascherato da disinteressato mecenatismo; essi cercano vantaggi economici, benefici che possono derivare dallo sfruttamento dell'immagine, dalla possibilità di manipolare a proprio favore la realtà, o dalla capacità di comunicare messaggi funzionali al rafforzamento o al mantenimento del potere;
          l'articolo 24 del codice dei beni culturali e del paesaggio stabilisce per i beni culturali degli enti pubblici la stessa disciplina prevista per i beni culturali degli enti territoriali; qualunque atto di alienazione va preventivamente autorizzato dal Ministero per i beni e le attività culturali. L'autorizzazione va concessa con piena discrezionalità e comunque va negata se ne derivi danno per la conservazione del bene o per la sua utilizzazione per il pubblico godimento. È in ogni caso prevista la prelazione, con analoga procedura stabilita per i beni in proprietà ai privati persone fisiche, ed è da ritenersi che il termine per l'esercizio della stessa debba farsi decorrere dal momento in cui il Ministero dei beni culturali abbia avuto formale informazione, dalle parti del contratto posto in essere, con speciale riferimento al prezzo e ai soggetti interessati alla negoziazione;
          nel codice dei beni culturali e del paesaggio è difatti indicata come imprescindibile non solo la garanzia per la «tutela», ma anche per il pubblico godimento e la «valorizzazione» dei beni storico-artistici alienabili che nell'accezione datane all'articolo 6 dello stesso codice comprende anche attività dirette a promuoverne la conoscenza nonché ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica» dei beni stessi. L'indicazione positiva delle destinazioni d'uso cui è possibile adibire il bene successivamente al passaggio di proprietà, poi, rappresenta un momento particolarmente significativo. Il passaggio dal divieto di usi incompatibili – contenuto con previsione generale per tutti i beni culturali all'articolo 20 del codice –, riconducibile alle limitazioni amministrative alle facoltà dei privati attraverso cui storicamente era stato ricostruito il regime di tutela, a una regolazione che stabilisca in anticipo e in positivo gli usi compatibili appare di forte spessore in quanto momento regolativo di conformazione della condotta del futuro proprietario privato, strumento idoneo a rendere la proprietà privata del bene compatibile con l'esplicarsi della vocazione propria del bene culturale, quand'anche in mani non più pubbliche;
          ciononostante, la normativa vigente non prevede il controllo, successivo all'alienazione, del comportamento dei titolari del bene venduto, in particolare in ordine all'orientamento effettivo di esso alla fruizione collettiva. A fronte della clausola penale e della clausola risolutiva espressa del negozio di trasmissione della proprietà in caso di non rispetto delle condizioni poste dal Ministero per l'alienazione – che dunque comportava – secondo la normativa previgente – il venir meno del contratto di vendita e il ritorno del bene «in mano pubblica» –, il codice non prevede alcuna sanzione collegata all'inadempimento delle indicazioni sopra esplicitate. Nulla è previsto, infatti, in aggiunta alle generali prescrizioni dell'articolo 20 – il divieto di adibire beni culturali ad usi incompatibili con il loro carattere storico-artistico e alla sanzione penale di cui all'articolo 170 – «uso illecito», che punisce chi «destina i beni culturali» «ad uso incompatibile con il loro carattere storico o artistico; inoltre, nessun potere di vigilanza specifico è attribuito al Ministero in ordine al rispetto delle condizioni contenute nell'autorizzazione, al di là del generale potere di controllo su tutti i beni culturali  –:
          quali iniziative alla luce delle considerazioni esposte in premessa, intenda intraprendere a tutela di palazzo Labia, anche al fine di evitare che tale patrimonio inestimabile sia alienato per essere adibito a show room di importanti firme della moda italiana e straniera, a vetrina di aziende di lusso o a resort di lusso per sceicchi arabi, col rischio di manipolare per ragioni economiche il valore rappresentativo e identitario del patrimonio culturale stesso;
          se, di fronte alle insufficienti e ambigue prospettive di destinazione d'uso del bene medesimo, non ritenga opportuno istituire un tavolo tecnico tra tutti i soggetti interessati (Rai, enti territoriali, soprintendenza regionale), per impedire la «svendita del bene per motivi di assetti finanziari aziendali», promuovendo una convenzione ad hoc, per contribuire a trasformare il centro culturale Labia in uno strumento di attività culturali e artistiche di grande profilo e utilità per il turismo, il lavoro, la crescita sociale dell'intero territorio, anche in vista della candidatura di Venezia a capitale europea della cultura 2019. (5-06881)


      TOMMASO FOTI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          con atto ispettivo n.  5-04165 del 7 febbraio 2011 l'interrogante chiedeva se fosse stata assentita dalla competente soprintendenza la collocazione in sito di uno spuntone ben visibile tra due merli del Palazzo Gotico di Piacenza, lato verso via Sopramuro;
          il sottosegretario pro tempore Giuseppe Pizza, rispondendo il 15 giugno 2011 al sopra citato atto di sindacato ispettivo, affermava che «da notizie assunte presso la stessa Soprintendenza, risulta che lo spuntone, non autorizzato ai sensi del codice per i beni culturali e paesaggistici, è stato prontamente rimosso a cura della competente direzione operativa del comune di Piacenza. Lo stesso comune ha altresì fornito adeguata relazione, corredata di documentazione fotografica, dalla quale si evince l'attuale assenza di elementi deturpanti il frontale del monumento»;
          nei giorni scorsi lo spuntone in questione è ritornato all'originaria abusiva collocazione, il che risulta perfettamente visibile a chicchessia  –:
          se e quali urgenti provvedimenti la stessa soprintendenza intenda assumere per la rimozione dell'elemento di cui trattasi, ripetuto e chiaro oltraggio all'eminente palazzo civico. (5-06882)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


      Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
          si trae spunto dalle affermazioni del sindaco di Bologna in data odierna: «Una cosa è certa: il Comune proseguirà la lotta all'evasione dei tributi locali, tanto che nel bilancio 2012 ha investito 400.000 euro su quella voce di spesa. Palazzo D'Accursio farà quello che sarà necessario per recuperare il maltolto»;
          ad avviso dell'interpellante si pone il problema dei limiti che attraverso una circolare ministeriale devono essere posti ai comuni nella lotta all'evasione fiscale per evitare che il suddetto strumento si trasformi da utile cooperazione ed ausilio agli organi dello Stato per individuare i casi eclatanti di frode allo Stato, in lotta politica di stampo inquisitoriale, fatta per danneggiare avversari politici o comunque per creare un clima di delazione e sospetto non certo utile alla convivenza civile ed alla tranquillità delle attività economiche  –:
          se e quali iniziative di competenza siano state assunte o si intendano assumere perché tutti i competenti organi preposti alla lotta all'evasione fiscale operino secondo linee di indirizzo comuni e in coordinamento tra loro, nel rispetto dei limiti di competenza di ciascuno.
(2-01500) «Garagnani».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      VANNUCCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          nella stazione di Pesaro i primi giorni di maggio sono stati affissi nuovi orari ferroviari che sarebbero entrati in vigore dal 7 maggio 2012;
          successivamente e prima della entrata in vigore dell'orario, Trenitalia decide di escludere Pesaro da ben tre fermate Eurostar con destinazione Milano ed altrettante con destinazione Taranto;
          dopo questa decisione Pesaro manterrebbe solo la fermata di due coppie di Eurostar City Freccia Bianca;
          la decisione di Trenitalia ha suscitato sconcerto nella opinione pubblica ed incomprensione da parte degli operatori sociali ed economici;
          la regione Marche soffre già di un conclamato «gap» infrastrutturale, soprattutto in campo ferroviario, essendo mal collegata con l'interno del Paese e soffrendo la linea Adriatica di ben note carenze;
          la soppressione delle fermate aggrava ulteriormente la situazione;
          la provincia di Pesaro e Urbino con oltre 300.000 abitanti è molto operosa, con una delle più importanti università del centro Italia quale quella di Urbino e con un forte richiamo turistico ed ha assoluta necessità di infrastrutture;
          già in passato si erano levate da Pesaro forti proteste delle istituzioni locali e delle associazioni per la sottoutilizzazione della stazione di Pesaro rispetto alla importanza del territorio  –:
          se i Ministri interrogati in forza del ruolo di indirizzo e controllo e di azionista di riferimento di Trenitalia spa intenda assumere iniziative nei confronti di Trenitalia affinché vengano prontamente ripristinate le fermate dei treni Eurostar nella stazione di Pesaro. (5-06868)


      SANI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          Anpas Toscana è l'associazione regionale di volontariato che raccoglie le «pubbliche assistenze» territoriali, con il compito di coadiuvare e coordinare le singole realtà associative nei vari settori di intervento;
          la legge numero 40 del 2005 della regione Toscana (disciplina del Servizio sanitario regionale) dispone che le Anpas agiscono in regime di monopolio per conto della regione Toscana ed effettuano conseguentemente servizi di interesse pubblico su mandato regionale come il trasporto sanitario, il servizio antincendio e la protezione civile;
          nello specifico l'articolo 70-quater della legge regionale sopracitata spiega quali requisiti debbano avere le associazioni per essere autorizzate al trasporto sanitario;
          Consip è una società per azioni del Ministero dell'economia e delle finanze, che ne è l'azionista unico, ed opera secondo i suoi indirizzi strategici, lavorando al servizio esclusivo delle pubbliche amministrazioni. Tra i servizi offerti da Consip vi è quello di «razionalizzare la spesa di beni e servizi delle pubbliche amministrazioni migliorando la qualità degli acquisti e riducendo i costi unitari grazie ad una approfondita conoscenza dei mercati ed all'aggregazione della domanda»;
          va sottolineato che il sistema di acquisti gestito da Consip produce per le pubbliche amministrazioni, e conseguentemente per lo Stato, solamente benefici economici;
          Anpas Toscana ha chiesto, per via telematica come consente la prassi, di essere autorizzata ad effettuare acquisti tramite il sistema Consip;
          il dipartimento dell'amministrazione generale del personale e dei servizi – direzione centrale dei sistemi informativi e dell'innovazione ufficio per la razionalizzazione degli acquisti nella pubblica amministrazione, del Ministero dell'economia e delle finanze, ha inviato una lettera ad Anpas Toscana in cui si rifiuta «la richiesta di adesione al sistema delle convenzioni stipulate da Consip S.p.A. per conto del Ministero dell'economia e delle finanze e del mercato elettronico». Nello specifico tale informativa riporta che «a seguito della valutazione della documentazione trasmessa, effettuata sulla base della normativa vigente e della giurisprudenza formatasi in materia, si ritiene l'associazione “ANPAS TOSCANA” non può essere considerata come Organismo di diritto pubblico né come Ente Pubblico (sugli enti vedi comma 2, articolo 1, decreto legislativo n.  165 del 2001 citato). Pertanto, secondo la normativa vigente, si ritiene che l'associazione “ANPAS TOSCANA”:
              non possa aderire al Sistema delle Convenzioni stipulate dalla ai sensi dell'articolo 26 della legge n.  488 del 1999 e successive modificazioni e integrazioni;
              non possa aderire al Sistema del Mercato Elettronico»;
          nel sito di internet di Consip, alla voce «Chi può abilitarsi» al programma di razionalizzazione begli acquisti («punto b») sono indicate anche le «amministrazioni, le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale»; lo stesso documento specifica inoltre che «possono tuttavia abilitarsi al servizio Convenzioni» anche i soggetti non direttamente legittimati» purché operino acquisti «da effettuarsi per conto di soggetti legittimati»: «In tale ipotesi – è scritto testualmente sul sito internet del Consip – sarà necessario che il legale rappresentante dell'ente interessato produca una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, nelle forme di cui all'articolo 4 decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n.  445, attestante che gli acquisti attraverso le convenzioni stipulate dalla Consip spa verranno effettuati esclusivamente per conto della specifica pubblica amministrazione al solo fine di soddisfare le esigenze di approvvigionamento di quest'ultima e per l'assolvimento dei compiti istituzionali della stessa, con l'indicazione dell'atto in virtù del quale si opera l'acquisto»;
          risulta evidente come, in virtù delle normative vigenti e dei servizi forniti in regime di monopolio agli enti locali, le attività delle associazioni di volontariato possano essere equiparate a quelle prestate dalle pubbliche amministrazioni;
          in questo contesto va specificato che una ambulanza o un mezzo anti incendio possono essere utilizzati esclusivamente per alcune funzioni e cioè quelle che la regione Toscana prevede siano svolti da Anpas. Pertanto Anpas, anche alla luce delle norme presenti nella legge regionale numero 40 del 2005, potrebbe essere ricompresa tra gli enti, appena citati, non legittimati direttamente ma che operano, a tutti gli effetti, acquisti «da effettuarsi per conto di soggetti legittimati»;
          in un contesto sociale ed economico, come quello attuale, caratterizzato da una forte ed efficace razionalizzazione della spesa pubblica, consentire a Anpas Toscana di usufruire dei servizi offerti da Consip, produrrebbe azioni virtuose di risparmio e riduzione di costi per la stessa regione Toscana e la comunità territoriale  –:
          se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non ritenga conseguentemente che il rifiuto di adesione al sistema Consip da parte di Anpas Toscana, non si causato da una interpretazione troppo restrittiva delle legislazione vigente;
          se non ritenga quindi opportuno intraprendere ogni Iniziativa utile urgente, anche di carattere normativo, per consentire agli enti che prestano servizio in regime di monopolio nei confronti delle pubbliche amministrazioni, e la cui attività è regolata da apposita legge regionale, di poter accedere ai servizi erogati da Consip, anche al fine di razionalizzare e ridurre la spesa pubblica. (5-06878)


      GOLFO e MOSCA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la legge 12 luglio 2011, n.  120, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.  174 del 28 luglio 2011, è intervenuta in materia di parità di accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in mercati regolamentati (cosiddetta «legge quote rosa nei consigli di amministrazione»);
          l'intervento legislativo deriva dall'approvazione del testo unificato delle proposte di legge C. 2426 Golfo e C. 2956 Mosca;
          in base alla previsione dell'articolo 3, comma 1, della legge, il criterio di riparto tra i generi si estende anche alle società, costituite in Italia, controllate da pubbliche amministrazioni ai sensi dell'articolo 2359, commi primo e secondo, del codice civile, non quotate in mercati regolamentati;
          ai sensi dell'articolo 3, comma 2, entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge avrebbe dovuto essere adottato un regolamento governativo atto a stabilire termini e modalità di attuazione della norma per quanto riguarda le predette società pubbliche, al fine di disciplinare in maniera uniforme per tutte le società interessate la vigilanza sull'applicazione della stessa, le forme e i termini dei provvedimenti previsti e le modalità di sostituzione dei componenti decaduti;
          il regolamento sopra citato non è mai stato emanato e la sottoscritta ha presentato, in data 16 febbraio 2012, un'interrogazione (5-06190) con la quale si chiedevano informazioni sullo stato della preparazione del provvedimento e sulla data della sua pubblicazione;
          il 6 marzo 2012 il Governo, nella persona del sottosegretario Ceriani, ha risposto a un'interrogazione a risposta immediata di eguale contenuto (5-06335) dando notizia dell'esistenza di uno schema del regolamento  –:
          quale sia lo stato attuale dei lavori volti alla stesura e all'approvazione del regolamento previsto dall'articolo 3, comma 2, della legge n.  120 del 12 luglio 2011, tenendo in considerazione che altri due mesi sono trascorsi dall'ultima interlocuzione avuta su questo tema con il Governo e che durante questo periodo non si è avuta alcuna notizia né sul regolamento né sulla data prevista per la sua adozione. (5-06884)

Interrogazioni a risposta scritta:


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
          entro il 31 marzo 2011, secondo le indicazioni contenute nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 aprile 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.  131 dell'8 giugno 2010, l'Agenzia delle entrate avrebbe dovuto pubblicare sul proprio sito l'elenco dei soggetti ammessi e di quelli esclusi al beneficio del 5 per mille del 2010, con l'indicazione relativa delle scelte e degli importi. Stessa cosa sarebbe dovuta accadere allo scadere del 31 marzo 2012, per i beneficiari e gli esclusi del 5 per mille 2011;
          ad oggi consultando il sito dell'Agenzia, non vi è ancora alcuna traccia dei suddetti elenchi  –:
          se il Governo non ritenga di dar conto dell'utilizzo delle risorse del 5 per mille relative all'anno 2010;
          se non ritenga di dover rendere pubblici al più presto gli elenchi dei soggetti ammessi e di quelli esclusi al beneficio del cinque per mille per gli anni 2010 e 2011, con l'indicazione anche degli importi relativi all'anno 2010;
          quali siano i motivi dell'incresciosa situazione di ritardo;
          quali siano i tempi e le modalità di comunicazione e di pagamento delle somme derivanti dal 5 per mille spettanti per il 2010 ed il 2011 alle organizzazioni sociali italiane aventi diritto. (4-16113)


      GIRLANDA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'indizione delle elezioni politiche in Grecia previste il 17 giugno 2012, dopo quelle avvenute solo due settimane fa, lasciano prevedere una sempre più concreta possibilità di un'uscita del Paese dall'euro a causa della crisi economica e del pesante debito pubblico maturato;
          non è facile prevedere le ricadute di un simile evento in quanto l'Unione europea ha previsto unicamente meccanismi tecnico-giuridici volti a favorire l'ingresso nell'Unione, ma non altrettanti per uscire dalla moneta unica;
          la Grecia, qualora uscisse dai mercati finanziari internazionali, non potrà più contare sui 130 miliardi di euro di aiuti promessi dai creditori, né sui 20,4 miliardi di euro di fondi per lo sviluppo stanziati dall'Unione europea, la cui sospensione porterebbe il Paese all'insolvenza, impedendo alla Grecia di ripagare i debiti;
          l'uscita della Grecia dall'euro potrebbe provocare, altresì un declassamento della moneta unica, poiché i mercati finanziari potrebbero agire con meccanismi speculativi per svalutare l'euro, essendo venuta meno la credibilità della moneta;
          tale meccanismo affosserebbe, di fatto, il patto di irreversibilità sancito dai Paesi membri della Unione europea al momento della rinuncia alla propria valuta nazionale, comportando così un pericoloso effetto domino da parte di altri membri della Unione europea in difficoltà economiche, che potrebbero avere la tentazione di trarre benefici dalla svalutazione della moneta nazionale;
          la Grecia potrebbe smettere di pagare i debiti anche ai privati e così lo «tsunami» della dracma potrebbe travolgere diversi istituti di credito e molte imprese continentali;
          l'effetto contagio colpirebbe per primi i Paesi in difficoltà, come l'Italia o la Spagna, favorendo un innalzamento dei tassi d'interesse sul debito e vanificando a quel punto gli sforzi fatti finora per risanare i bilanci pubblici;
          anche gli istituti di credito italiani potrebbero risentire della «rottura» monetaria europea, poiché qualora si tornasse alla lira i debiti netti verso l'estero verrebbero rivalutati e le nostre banche sarebbero travolte da un problema di liquidità molto più grave di quello attuale  –:
          quale sia la previsione delle ricadute negative per l'economia nazionale ed il sistema bancario a fronte di una possibile uscita della Grecia dall'euro;
          quali iniziative il Governo intenda attivare in Italia ed in Europa per fronteggiare i danni di una tale evenienza.
(4-16116)


      ZAZZERA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato sul sito dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS), l'apertura di una ricevitoria per la raccolta del gioco del Lotto può essere richiesta soltanto da chi è già titolare di una rivendita ordinaria o speciale dei generi di monopolio;
          le domande presentate devono essere inoltrate alla direzione generale dei Monopoli che redige apposite graduatorie su base territoriale, sulla base del criterio dell'anzianità della domanda e dell'anzianità di servizio e a stabilire l'eventuale assegnazione delle ricevitorie al raggiungimento dell'incasso minimo a livello di media comunale di euro 303.934,89 a seconda dei parametri stabiliti con D. D. del 12 dicembre 2003;      
          nel 2011 tra tutti i giochi (on line, videolotteries, Lottomatica, e altro) quello del Lotto ha registrato un importante incremento (31 per cento) chiudendo l'anno con oltre 6,8 miliardi con una quota di mercato del 9 per cento (Corriere della Sera del 13 dicembre 2011);
          ciò conferma che il gioco del lotto assicura allo casse dello Stato ingenti flussi di entrate derivanti dai versamenti volontari;
          conseguentemente ad avviso dell'interrogante sarebbe opportuno ampliare la rete di raccolta rendendo meno restrittivi i criteri e le condizioni per l'assegnazione delle concessioni;
          l'ampliamento del numero delle concessioni servirebbe a coprire alcune zone italiane attualmente sprovviste del servizio, creando anche nuove opportunità di lavoro in quanto per ogni terminale è necessario almeno un operatore  –:
          se il Ministro interrogato ritenga opportuno adottare iniziative, anche normative, al fine di ampliare il numero delle concessioni, rendendo meno restrittive le condizioni di assegnazione, ad esempio promuovendo l'abbassamento dell'incasso minimo a livello di media comunale prevista dalla normativa di riferimento, da euro 303.934,89 a euro 150.000,00.
(4-16117)


      MINASSO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la sezione operativa territoriale di Ventimiglia – ex dogana internazionale declassata a S.O.T. – cesserà definitivamente l'attività il 1o luglio 2012, con conseguente espletamento delle operazioni doganali presso la S.O.T. di Sanremo;
          in conseguenza, lo svolgimento delle operazioni doganali presso le dogane limitrofe potrebbe verosimilmente causare un calo considerevole di traffico presso gli operatori doganali di Ventimiglia sia per motivi operativi (allungamento dei periodi di sosta degli automezzi all'autoporto), sia per motivi economici (maggiori costi operativi), con conseguente perdita di concorrenzialità;
          è lecito ipotizzare che le difficoltà che gli operatori doganali di Ventimiglia si vedranno costretti ad affrontare potrebbero portare alla chiusura degli attuali spedizionieri doganali/case di spedizione con la perdita di 50 posti di lavoro, tra attività diretta e indotto;
          l'attuale struttura non comporta nessun onere di tipo finanziario a carico dell'amministrazione doganale per quanto attiene alle infrastrutture dedicate a tale finalità, poiché gli stessi saranno presi in carico dagli operatori a far data dal 1o luglio 2012  –:
          se non si reputi opportuno intervenire con urgenza presso gli organi competenti, affinché si scongiuri la chiusura definitiva della S.O.T. di Ventimiglia, o quanto meno si faccia in modo che la stessa venga rinviata per almeno due anni.
(4-16128)


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'Agenzia delle entrate ha espresso più volte il principio secondo cui gli avvisi bonari non sono impugnabili, in quanto, come spiega nella risoluzione n.  110/E del 22 ottobre 2010, non contengono una pretesa tributaria definita, ma sono solo un semplice invito a fornire chiarimenti in via preventiva;
          la Corte di Cassazione, invece, con sentenza n.  7344 depositata l'11 maggio 2012, ha espresso parere contrario a quello dell'Agenzia, affermando che, nonostante l'elenco tassativo degli atti impugnabili di cui all'articolo 19 del decreto legislativo n.  546 del 1992, il contribuente può impugnare anche atti diversi da quelli indicati in tale elenco, purché esprimano una compiuta pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa si vesta della forma autoritativa propria di uno degli atti elencati  –:
          se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e, quali iniziative, anche normative, intenda assumere per ripristinare le caratteristiche fondanti dell'ordinamento giuridico, al fine di restituire al diritto il compito originario, ovvero quello di consentire all'uomo la possibilità di prevedere le conseguenze future di comportamenti attuali. (4-16132)


      RUBINATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          tra le funzioni fondamentali dei comuni vi è l'edilizia scolastica, confermata anche dalla legge delega sul federalismo fiscale (legge n.  42 del 2009), settore tra i più rilevanti per gli investimenti degli enti locali sia in nuovi edifici che nella messa in sicurezza e manutenzione straordinaria di quelli esistenti;
          soprattutto nel caso di costruzione di nuovi plessi scolastici da parte di comuni di piccola e media dimensione (sino a 15.000 abitanti) si tratta di investimenti di notevole entità in rapporto al trend ordinario della spesa in conto capitale, ai quali non possono far fronte con le entrate ordinarie e che devono necessariamente spalmare in più annualità, e tuttavia necessari per far fronte alle loro competenze ed ottemperare alle normative in materia di sicurezza antisismica e prevenzione incendi per garantire condizioni adeguate e sicure all'utenza scolastica;
          la programmazione di tali interventi si è scontrata negli ultimi anni non solo con condizioni del mercato immobiliare divenute sempre più negative, ma anche con sempre più stringenti vincoli di finanza pubblica, tagli dei trasferimenti, proibitive condizioni per l'accessibilità a mutui e finanziamenti e regole sempre più stringenti del patto di stabilità, succedutesi in tempi, modi e contenuti del tutto contrastanti con le condizioni fisiologiche della pianificazione comunale;
          a scopo esemplificativo si riportano due vicende particolarmente significative – relative ai comuni di Carbonera (11.000 abitanti circa) e Caerano San Marco (8.000 abitanti circa) in provincia di Treviso – che dimostrano come i vincoli al patto di stabilità ereditati dal Governo Berlusconi, oltre a mortificare gli enti locali, blocchino altresì irragionevolmente la crescita e la liberazione di risorse che porterebbero vantaggi sia allo Stato centrale (in termini di imposte), sia ai cittadini (in termini di sicurezza infrastrutturale ed economica);
          il comune di Carbonera ha approvato nel 2009 un progetto per la realizzazione di un polo scolastico, per concentrare in un'unica area di tutte le attività didattiche (dell'infanzia, primaria e secondaria inferiore) svolte nello stesso capoluogo di Carbonera e nella frazione di Pezzan, e di una palestra destinata anche ad attività extrascolastiche;
          la scelta di procedere alla realizzazione di un unico plesso scolastico risponde a diverse esigenze: aumentare le aule a disposizione di una crescente popolazione in età scolare; adeguare gli edifici scolastici ai vigenti standard in materia di sicurezza; antieconomicità del recupero degli edifici esistenti in quanto i relativi costi sarebbero superiori a quelli necessari per la realizzazione di un nuovo polo scolastico, che consentirebbe anche un abbattimento dei costi di gestione futuri;
          il comune di Carbonera ha ottenuto un finanziamento regionale sia per la realizzazione della nuova scuola, il cui costo è stato valutato in circa 5.700.000 euro, sia per la costruzione della palestra a servizio della nuova scuola, ma da destinare anche ad attività extrascolastiche, il cui costo è stato valutato in circa 3.300.000 euro e la cui realizzazione è comunque subordinata al completamento della nuova scuola;
          la realizzazione del polo scolastico ha incontrato delle difficoltà notevoli a seguito delle quali il comune di Carbonera si trova in una situazione paradossale in quanto:
              a) l'opera di edilizia scolastica, necessaria per far fronte alle esigenze scolastiche della comunità, appaltata nel marzo del 2010, ad oggi rimane incompiuta – sono state realizzate le sole fondamenta – dal momento che l'amministrazione comunale si è vista costretta a rescindere il contratto d'appalto dei lavori per inadempienza dell'appaltatore;
              b) sono già state liquidate risorse finanziarie per un primo Sal per 1.129.339,22 euro nell'ottobre scorso e il comune di Carbonera rischia di perdere i finanziamenti regionali ottenuti (complessivamente 1.400.000,00 euro) e di dover restituire la parte già incassata, che ammonta a oltre 200 mila euro, se l'opera non verrà realizzata entro il 2013;
              c) la palestra non può essere realizzata in quanto subordinata alla realizzazione della scuola, con conseguente perdita dei finanziamenti regionali ottenuti per questo secondo intervento (470.000,00 euro);
              d) rimangono disponibili i due precedenti edifici scolastici la cui manutenzione, non più procrastinabile, avrebbe un costo tale che farebbe sforare il patto di stabilità;
              e) vi è il rischio di chiusura di uno degli edifici esistenti a seguito delle riorganizzazioni volute dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con conseguente dispersione scolastica;
              f) la situazione del mercato immobiliare non consente al comune di Carbonera di finanziare l'opera con le entrate derivanti da alienazioni, come è stato, purtroppo, dimostrato dall'insuccesso dell'asta pubblica indetta dall'ente per l'alienazione di un terreno il cui ricavato avrebbe consentito di completare il finanziamento dell'opera in questione;
          in una tale situazione, il comune di Carbonera rischia il dissesto sia che non realizzi l'opera, dovendo restituire alla regione Veneto più di 200 mila euro già avuti, sia che la realizzi, sforando il patto di stabilità interno, dovendo, quindi, subire le conseguenti sanzioni;
          anche il comune di Caerano San Marco si trova nella situazione di dover investire su un edificio scolastico, con un ampliamento per l'adeguamento della struttura all'aumento della popolazione scolastica e con interventi di messa in sicurezza antisismica, prevenzione incendi e altri adeguamenti indilazionabili rivolti anche al contenimento dei consumi energetici;
          il progetto, di circa 2 milioni di euro, è completamente finanziato da proventi propri del predetto comune: una donazione privata, più avanzi di amministrazione e oneri di urbanizzazione, con nessun ricorso all'indebitamento, e con una disponibilità di liquidità che raggiunge quasi i 4 milioni di euro, tuttavia i vincoli del patto impediscono nel modo più assoluto di spendere queste risorse;
          poiché la donazione ricevuta nel 2007 di 1,5 milioni di euro è gravata dalla condizione che i lavori della scuola siano avviati prima del 2013, pena la perdita della somma stessa, il comune di Caerano San Marco nell'aprile scorso si è comunque determinato a pubblicare il bando per l'appalto dei lavori, pur consapevole della possibilità di incorrere nelle pesanti ed assurde sanzioni del patto di stabilità; infatti se il comune sforerà il patto per l'investimento pari a 2 milioni di euro, dovrà restituire allo Stato l'importo pari allo sforamento: quindi le scuole verrebbero a costare il doppio;
          la situazione è tanto più assurda ove si consideri che da questi investimenti lo Stato incasserebbe l'Iva sui materiali e sulle prestazioni, l'Ires sul reddito d'impresa e l'Irpef e la sua addizionale sul reddito da lavoro dipendente, l'Irap per la regione, ed i contributi previdenziali per l'Inps; questi investimenti, inoltre, aumenterebbero la crescita tramite l'aumento del denaro contante disponibile per nuovi acquisti, darebbero maggior sicurezza sociale alle famiglie, consentendo di guardare al futuro con maggior ottimismo, diminuendo le tensioni sociali pericolosamente accumulate finora;
          altri comuni di fascia demografica medio-bassa si trovano in condizioni analoghe a quelle dei comuni di Carbonera e Caerano San Marco in tutta Italia, ma il numero più consistente si trova in Veneto, a causa del consistente aumento della popolazione scolastica nella fascia della scuola dell'infanzia e primaria per la forte immigrazione degli ultimi 15 anni, avendo dovuto gli enti locali programmare investimenti nell'edilizia scolastica, in adempimento delle competenze e obblighi di legge su di loro gravanti, anche sul piano della responsabilità civile, penale e contabile, trovandosi poi nella assurda e insostenibile condizione di non poter avviare od ultimare i lavori già programmati per la successiva entrata in vigore di vincoli sempre più stringenti del patto di stabilità;
          l'unica strada percorribile per sanare situazioni così paradossali e oltremodo penalizzanti è quella di consentire ai comuni – ove ricorrano queste condizioni – di completare queste opere in deroga al patto di stabilità interno, considerato altresì i benefici economici evidenti che ne deriverebbero, consentendo il contenimento dei costi gestione, oltre che corrispondere a quell'esigenza di razionalizzazione ed efficienza nell'utilizzo delle risorse pubbliche e di salvaguardare l'incolumità degli scolari;
          come ha più volte rilevato la stessa Corte dei conti, il patto di stabilità interno non si basa su criteri adeguati a differenziare i vincoli sugli enti locali in base alla qualità della spesa, alla effettiva sana gestione finanziaria nonostante l'iniqua spesa storica, all'autonomia finanziaria e al livello di soddisfacimento dei bisogni; eppure, come riconosce la stessa relazione del Ministro per i rapporti con il Parlamento sulla spending review, la spesa degli enti locali è molto diversa nei diversi territori e in rapporto alle fasce demografiche: in particolare la spesa primaria per abitante è «molto elevata nei comuni di piccole dimensioni, si riduce gradualmente fino a un minimo in corrispondenza a 6-9.000 abitanti, per poi riprendere ad aumentare fino ai massimi dei grandi comuni metropolitani» e «per gran parte dei comuni italiani, in media, le spese correnti dei comuni del Centro-sud sono superiori a quelle dei comuni del centro-nord e che tali differenze sono sostenute dai trasferimenti statali di perequazione», per cui – soprattutto a causa della iniqua spesa storica, particolarmente penalizzante per i comuni del Veneto e in particolare della provincia di Treviso, la cui media di trasferimenti per abitante è da sempre fanalino di coda nelle statistiche del Ministero dell'interno – «grazie ai programmi di trasferimenti statali i comuni del centro-sud (notoriamente con entrate minori) raggiunge e in molti casi supera il livello delle spese pro-capite dei comuni del centro-nord»; tutto ciò penalizza dunque paradossalmente proprio i comuni più virtuosi, con maggiore propensione agli investimenti e aventi maggiore autonomia finanziaria  –:
          se il Governo non ritenga opportuno, necessario ed urgente assumere iniziative normative consentire ai comuni con popolazione non superiore a 15.000 abitanti, in cui l'aumento della popolazione scolastica rende necessario l'ampliamento o la messa in sicurezza dell'edilizia scolastica, l'esclusione dal patto di stabilità delle spese in conto capitale necessarie per la realizzazione e il completamento di plessi scolastici, considerate l'importanza che riveste l'edilizia scolastica per l'erogazione del servizio d'istruzione primaria e le conseguenze estremamente penalizzanti anche in termini di danno economico che il mancato completamento delle opere avrebbe sia per i comuni che per le comunità locali. (4-16139)


      PIFFARI e CIMADORO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          l'Acquedotto pugliese è costituito da un complesso di infrastrutture acquedottistiche tra loro interconnesse. La prima importante realizzazione, che tuttora rappresenta la spina dorsale dell'intero sistema acquedottistico pugliese, è il canale principale, alimentato dalle acque del Sele e, a partire dal 1870, da quelle del canale Calore. L'opera iniziata nel 1906, fu terminata nel 1939, con il completamento delle opere di Santa Maria di Leuca, estremo lembo d'Italia;
          con decreto legislativo 11 maggio 1999, n.  141, è stata istituita la società Acquedotto pugliese (AqP s.p.a.), succeduta all'omonimo ente autonomo EAAP (incaricato della gestione dell'infrastruttura fino a quel momento). Con il medesimo decreto è stata affidata alla stessa AqP s.p.a. la gestione del servizio idrico integrato fino al 2018. L'azienda gestisce reti idriche per oltre 21.000 chilometri (30 volte la lunghezza del Po), poco più di 10.000 chilometri di reti fognarie e 182 depuratori;
          da un articolo pubblicato sul sito ufficiale della regione Puglia (www.regione.puglia.it) si è appreso che il 24 giugno 2011 la regione entrava in possesso del 100 per cento delle azioni della società Acquedotto Pugliese spa;
          sempre nel medesimo articolo, attraverso la dichiarazione rilasciata dall'assessore regionale alle opere pubbliche e protezione civile, avvocato Fabiano Amati, si poteva evincere il principio generale alla base della gestione pubblica della risorsa idrica da parte dell'istituzione pugliese: «L'odierno trasferimento delle azioni compie una parte di storia che alla fine dell'800 pareva ai più un miraggio, condito dall'incredulità che accompagna le grandi idee, scatenatasi a più riprese nei confronti di tante illuminate personalità della nostra storia, che nonostante tutto ci cedettero e riuscirono. Oggi si può forse dire che il popolo pugliese non fu incredulo, né ingiusto. Si manifestò semplicemente disilluso perché tante volte la promessa era stata mancata e il prezzo pagato era sempre la malattia e la morte. La proprietà totalitaria di Acquedotto pugliese compie la storia perché completa la trasformazione della disgrazia della sete nella grazia di un'opera idraulica tra le più importanti e imponenti del mondo, costruita per distribuire l'acqua che captiamo da molto lontano e grazie alle generosità mai revocata del popolo campano e lucano, e quanto a quest'ultimo mi piace pensare alla lunga storia di proficua condivisione che sintetizzo nel ringraziamento sentito al suo Presidente»;
          la Corte dei Conti, sezione controllo sugli enti, con lettera in data 9 maggio 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n.  259, la determinazione e la relativa relazione riferita eseguito sulla gestione finanziaria dell'Acquedotto pugliese Spa, per gli esercizi 2009 e 2010. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente, ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n.  259 del 1958 (doc. XV, n.  420);
          da un articolo apparso sul quotidiano Il Fatto Quotidiano del 15 maggio 2012, si è appreso che la Corte dei Conti, in una relazione al Parlamento (Doc. 15mo, n.  420), denunciava l'amministrazione finanziaria dell'Acquedotto pugliese s.p.a. da parte del gestore pubblico. Nella sopra citata relazione, è stata affrontata, in particolare, la questione del rimborso una tantum, con il quale sarebbe stato inoltrato alla regione Puglia un utile straordinario di 12.250.000 euro. La Corte dei conti, di fatto ammoniva sul grave rischio finanziario incombente sull'Acquedotto pugliese spa il quale, a fronte di un patrimonio complessivo di 207,6 milioni di euro dell'anno 2010, vedeva progressivamente diminuire la propria capacità liquida a 86,2 milioni di euro;
          inoltre, il secondo quesito dei referendum abrogativi tenutisi in Italia in data 12 e 13 giugno 2011, prevedeva la: «Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all'adeguata remunerazione del capitale investito». Nella descrizione, il quesito proponeva l'abrogazione parziale della norma che stabiliva la determinazione della tariffa per l'erogazione dell'acqua, laddove tale importo includesse anche la remunerazione del capitale investito dal gestore. La consultazione referendaria superò il quorum obbligatorio e determinò, con un voto affermativo di 26.130.637 elettori, pari al 95,80 per cento dei votanti, l'abrogazione della norma  –:
          di quali elementi disponga il Governo in merito a quanto rappresentato in premessa e se intenda promuovere iniziative volte a verificare, anche attraverso l'invio di servizi ispettivi di finanza pubblica, la situazione patrimoniale e finanziaria della società pubblica Acquedotto pugliese spa. (4-16140)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      MELIS, RIA e TOUADI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          domenica, 13 maggio, all'ospedale «Vito Fazzio» di Lecce, è deceduto il detenuto rumeno Virgil Cristian Pop, dopo uno sciopero della fame di 50 giorni. Il Pop era stato trasferito dal carcere di Lecce, dove scontava una pena cumulativa di 18 anni per piccoli reati, in gravi condizioni cinque giorni prima del suo decesso;
          precedentemente risulta che Pop era stato detenuto presso l'Opg di Aversa;
          secondo dichiarazioni rilasciate al sottoscritto dal vice-direttore del carcere, dottor Giuseppe Renna, il detenuto è stato seguito durante lo sciopero della fame, come da protocollo, con ripetute visite mediche e psichiatriche, onde accertarne le condizioni;
          a conoscenza del dottor Renna, il detenuto non aveva in Italia parenti, né conoscenti che lo abbiano visitato in carcere;
          risulta dalle dichiarazioni pubbliche dello stesso dottor Renna, riprese in aula alla Camera, dall'onorevole Zamparutti che nelle condizioni del Pop (sciopero della fame) si troverebbero altri 35 detenuti;
          il Ministro degli esteri romeno, Andrei Marga, ha dichiarato lunedì, 14 maggio 2012, in una conferenza stampa, che nessuna delle autorità diplomatiche rumene presenti in Italia è stata informata della situazione di salute del detenuto;
          in base alla normativa vigente i familiari in Romania e le autorità consolari rumene in Italia avrebbero dovuto essere interessati allo scopo di mettere in atto, pur nel rispetto della volontà del soggetto, tutte le strategie atte a dissuaderlo dall'esito estremo del suo atteggiamento  –:
          se ed eventualmente per quale ragione sia stata omessa la comunicazione di cui al punto precedente, così come sostenuto dal Ministro degli esteri rumeno;
          con riferimento alle citate dichiarazioni del dottor Renna, in che giorni e ore si siano verificati gli accertamenti medici sullo stato di salute del detenuto e con quali verbalizzazioni;
          quali comunicazioni in genere l'autorità italiana fornisca alle corrispondenti autorità rumene circa la situazione di detenzione e di salute dei circa 3.500 cittadini di nazionalità rumena attualmente custoditi nelle carceri italiane;
          quale sia il numero dei detenuti che attualmente nelle carceri italiane attuano lo sciopero della fame nelle sue varie forme. (5-06867)


      CONTENTO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          in data 7 maggio 2012 sul sito del Ministero della giustizia è stata pubblicata la composizione della Commissione per il concorso in magistratura, le cui prove scritte si terranno a Roma, nei giorni dal 23 al 25 del mese in corso;
          componente di tale Commissione, fra gli altri, è il professor Giovanna Fiandaca, ordinario di diritto penale, ma che risulta anche essere uno dei docenti-promotori, insieme col dottor Vincenzo Lopilato, del «corso intensivo per magistratura ordinaria» tenutosi, da ottobre 2011 a maggio 2012, alla cadenza di quattro incontri mensili, a Roma, al Centro congressi Cavour, e a Lametia Terme (Grand hotel);
          all'indirizzo internet http://www.altaformazionegiuridica.it/locandina–corso–magistratura–2012.pdf sono rintracciabili ulteriori dettagli del corso, incluso il costo pari a 1.600 euro per partecipante;
          a parere dell'interrogante ed alla luce di quanto ricordato, appare evidente la assoluta incompatibilità fra l'aver accompagnato la preparazione di aspiranti magistrati e l'essere componente della commissione d'esame che valuterà questi ultimi;
          anche ragioni di opportunità, comunque, depongono per un riesame della scelta, anche allo scopo di evitare che, fin dalla fase di individuazione delle tracce per gli elaborati, l'autorevolezza accademica del professor Fiandaca possa essere utilizzata per censurare, anche attraverso iniziative giudiziarie, la procedura di scelta e i relativi risultati o, ancora, nella fase successiva, per indurre dubbi circa la prova orale magari invocando supposte disparità di trattamento tra i frequentatori del corso e gli altri concorrenti  –:
          se non ritenga di dover intervenire con urgenza per sostituire il professor Giovanni Fiandaca con altro docente universitario nella composizione della commissione per il concorso in magistratura.
(5-06891)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 6 maggio 2012 l'agenzia di stampa ADNKRONOS ha diramato gli stralci di una lettera-denuncia che il segretario generale della Uil penitenziari, Eugenio Sarno, ha inviato ai vertici dell'amministrazione penitenziaria;
          nel documento della Uil-Pa Penitenziari è dato leggere quanto segue: «Abbiamo motivate ragioni per affermare che lo stato degli automezzi assegnati al Nucleo traduzioni e piantonamenti di Avellino determini fattore di grave rischio per l'incolumità degli operatori della polizia penitenziaria, per gli utenti trasportati e per i comuni cittadini, considerato che i veicoli che non hanno superato i collaudi di affidabilità sono, comunque, utilizzati per soddisfare le esigenze operative del servizio traduzioni. Più in generale la questione degli automezzi riguarda tutto il territorio nazionale, ma ad Avellino credo si registri un vero record: su dieci furgoni della polizia penitenziaria adibiti al trasporto detenuti ben nove non hanno superato i previsti ed obbligatori collaudi di affidabilità ed il decimo non ha effettuato tali controlli. Nonostante ciò tali automezzi sono impiegati ordinariamente e quotidianamente nel servizio su strada. Noi riteniamo che ciò sia in contrasto con il codice della strada, oltre a determinare un serio pericolo per gli agenti, i detenuti e per i comuni cittadini. Quella di Avellino è la prima di una serie di denunce particolareggiate e dettagliate che invieremo al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, così non avranno l'alibi della non conoscenza e se non interverranno non esiteremo a proporre denunce alla magistratura, alla motorizzazione civile, alla Polizia Stradale e persino alle Asl. La questione è troppo seria e troppo grave perché passi sotto traccia. Anche il Ministro Severino farebbe bene ad attenzionare la questione. Vi sono Dirigenti che viaggiano in Suv ed in berline di lusso, mentre il personale della polizia penitenziaria ed i detenuti sono costretti a viaggiare su automezzi vecchi, inidonei, obsoleti e pericolosi»  –:
          se intenda acquisire ulteriori informazioni, anche attraverso un'ispezione, in merito alle ragioni delle carenze strutturali lamentate dalla Uil-Pa Penitenziari con riferimento degli automezzi assegnati al nucleo traduzioni e piantonamenti di Avellino;
          se e quali urgenti provvedimenti ritenga opportuno adottare al fine di rimuovere le rilevate disfunzioni e carenze;
          se, infine, non ritenga opportuno verificare se le suddette carenze strutturali si riferiscano anche agli automezzi assegnati al nucleo traduzioni e piantonamenti di altre città. (4-16129)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa il 14 maggio 2012, gli agenti della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Reggio Calabria hanno sventato un tentativo di suicidio di un detenuto italiano di circa 30 anni;
          l'accaduto è stato riferito da Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe e Damiano Bellucci, segretario nazionale;
          l'uomo, usando i lacci delle scarpe, si è appeso alle grate della finestra, dopo essere salito su uno sgabello, e poi si è lasciato cadere. Il rumore dello sgabello ha però attirato l'attenzione dell'agente di polizia penitenziaria in servizio nella sezione detentiva; l'agente è intervenuto immediatamente e, accortosi di ciò che il detenuto aveva fatto, ha chiamato aiuto e contestualmente è entrato in cella, riuscendo a salvare l'uomo  –:
          se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
          se e quali misure precauzionali e di vigilanza siano state adottate dall'amministrazione penitenziaria nei confronti del detenuto dopo questo episodio;
          se non si intendano assumere iniziative volte ad adottare o implementare, per quanto di competenza, le opportune misure di supporto psicologico ai detenuti, al fine di ridurre sensibilmente gli episodi di suicidio, tentato suicidio e di autolesionismo;
          più in particolare, quali iniziative, anche normative, si intendano assumere per rafforzare l'assistenza medico-psichiatrica ai detenuti malati, sia attraverso un'attenta valutazione preventiva che consenta di identificare le persone a rischio, sia per sostenere adeguatamente sotto il profilo psicologico le persone che tentano il suicidio, senza riuscirci la prima volta, ma spesso ben decisi a tentare ancora.
(4-16130)


      DI PIETRO. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il parco di Aguzzano, (istituito con legge regionale 8 Agosto 1989 n.  55 – piano di assetto maggio 1995), con i suoi 57 ettari, è il più piccolo tra le riserve e i parchi regionali del Lazio, ma di grande importanza vista la sua inclusione all'interno di un territorio densamente edificato. Il parco ha conservato negli anni il suo aspetto di «ultimo lembo dell'Agro Romano», e custodisce ancora le testimonianze dell'antica attività agricola che ne fa oggi un museo all'aria aperta;
          il piano del parco del resto, con il suo modello di assetto fortemente unitario, accentua e valorizza queste caratteristiche, conferendo al parco (costituito nel 1989 tra la via Nomentana, la Via Tiburtina e il GRA) la caratteristica indiscussa di polmone verde, e rappresenta un punto di svago e di incontro per i cittadini della zona est di Roma;
          all'interno del parco si trovano anche diversi casali costruiti nei primi anni del secolo scorso per opera della società ALBA (Anonima laziale bonifiche agrarie);
          il parco, così come tutti i parchi e le riserve regionali ricadenti nei confini del comune di Roma, è gestito dall'Ente RomaNatura (ente regionale per la gestione del sistema delle aree naturali protette nel comune di Roma), fra i cui compiti ricade anche l'attuazione del piano di assetto del parco di Aguzzano. L'ente è attualmente commissariato dalla giunta Polverini come da decreto n.  T0393 del 12 agosto 2010;
          con tale decreto il presidente della giunta regionale del Lazio ha dichiarato il consiglio direttivo dell'ente RomaNatura cessato dall'incarico dal giorno 10 agosto 2010 e nominato Livio Proietti commissario straordinario che, a sua volta, con deliberazione n.  21 del 4 ottobre 2011, ha individuato nel dottor Giulio Fancello direttore dello stesso ente dalla data del 5 ottobre 2011;
          esiste un progetto preliminare a cura del servizio tecnico di edilizia penitenziaria del provveditorato regionale del Lazio del Ministero della giustizia atto a trasformare un immobile presente nel parco denominato «Casale Alba 2», detto anche «Casale delle scuderie», in un «Istituto di Custodia Attenuata per Madri detenute» (I.C.A.M.);
          tra i grandi sponsor di questo progetto si trova immediatamente la giunta Polverini e l'assessorato ambiente e sviluppo della regione Lazio che hanno sottoposto al parere del commissariato ente Roma Natura il sopracitato progetto (nota direzione regionale ambiente del 23 maggio 2011 protocollo 222879) consistente nella variazione al piano di assetto del parco per la realizzazione di un muro di cinta alto 4 metri, doppia recinzione con messa in sicurezza delle aree interne ed esterne al casale con sistemi antiscavalcamento e introspezione, guardianìe, sala d'armi per carico e scarico delle stesse, dispositivi di sorveglianza, illuminazione, sensori notturni;
          anche la carrareccia di accesso al Casale Alba 2 verrà resa agibile per il transito dei veicoli DAP e all'ingresso di essa sarà sistemata e monitorata una barriera di controllo per l'accesso di tali automezzi;
          tale progetto è stato solo in parte rigettato dall'ente Roma Natura, commissariato dalla stessa giunta del Lazio, ritenendolo «non compatibile» con il piano di assetto del parco di Aguzzano, soffermandosi però a prescrivere solo l'abbassamento del muro di cinta da quattro a due metri e respingendo tutte le osservazioni di associazioni come Italia Nostra e altri singoli privati cittadini (deliberazione del commissario straordinario n.  012 del 28 marzo 2012);
          a seguito di questa decisione è immediatamente sorto un comitato di cittadini che pur condividendo il dramma delle madri detenute, ritiene la variante così come il progetto tutto con gli interventi previsti sul Casale Alba 2, incompatibile con la funzione che un parco deve avere;
          il problema per i cittadini è la destinazione d'uso che si pone chiaramente in contrasto con i vincoli paesistici insistenti nonché data l'infrastrutturazione e la modifica del «Casale Alba 2» con sistemi di sicurezza e di dissuasione;
          l'adeguamento funzionale e la divisione di un'ampia area intorno al Casale in tre aree concentriche distinte, sorvegliate e illuminate giorno e notte, renderebbero, di fatto, il casale più simile a uno «stalag» di prigionia d'infauste memorie se non a un vero e proprio mini-carcere in mezzo a un parco vincolato; frequentato assiduamente anche negli orari serali dagli abitanti del quartiere, dai ciclisti, pedoni e dai numerosi amanti del fitness e degli sport all'aria aperta;
          la struttura che si vuol realizzare a tutto somiglia fuorché a una «Casa Famiglia» o ICAM che a dir si voglia;
          nel parco di Aguzzano sono di importanza rilevante le testimonianze antropiche che abbracciano un periodo che si colloca tra l'epoca romana e contemporanea. In particolare alla fine di via Gina Mazza (angolo via E. Paternò di Sessa), che costituisce uno dei punti di ingresso del Parco, sono stati trovati i resti di una villa romana;
          lungo il Fosso di San Basilio che attraversa un ampio tratto del Parco si trova un importante ecosistema ripariale costituito da canne di palude, equiseti, alghe, salici, pioppi;
          numerosi sono, poi, gli insetti come formiche, farfalle, coccinelle, scarabei, grilli, cavallette. Tra gli altri uccelli sono presenti nel parco di Aguzzano l'airone, il gheppio, i merli, le tortore, e le cornacchie grigie o animali come la volpe, la donnola, l'istrice, la talpa;
          trattasi di un ecosistema in equilibrio a ridosso dell'edilizia intensiva del quartiere nonché un corridoio biologico tutti animali che si vedrebbero disturbata l'esistenza con una struttura di questa entità;
          la costruzione del «mini-carcere» porterebbe inevitabilmente al taglio e all'eradicazione di grandi essenze arboree di pregio in prossimità delle mura perimetrali, nonché all'ampliamento di cubature come da indicazione progettuale per la realizzazione delle scale esterne al casale e, presumibilmente, per la realizzazioni di altri volumi tecnici;
          da progetto del DAP si prevedono inoltre opere d'impatto sul vicino fienile, cementificazione delle strade attualmente sterrate in previsione di transito veicolare del personale di servizi DAP, degli assistenti sociali, alla presenza continua di parenti e conoscenti delle detenute che vorranno comunicare con le detenute anche in orari-visita non programmati;
          è prevista l'illuminazione notturna continua che arrecherà inequivocabilmente danno alla vita degli animali notturni del parco, costretti a trovare nuovi ripari;
          appaiono assai problematiche altre situazioni, tutte insistenti negli altri casali del parco come ad esempio il vicino edificio, denominato «Stalla dei tori», destinato a incontri pubblici e punto di bio-ristoro, è stato occupato nel luglio del 2010 dalla protezione civile del comune di Roma e, in deroga ai precetti del piano di assetto del parco, adibito a uffici della protezione civile. Il casale è perennemente chiuso senza che nessuno sappia alcunché circa la sua destinazione;
          la recente legge n.  62 del 21 aprile 2011, in vigore dal 1o gennaio 2014, prevede gli arresti domiciliari per le detenute fino al compimento dei 6 anni per il bambino/a (ove non sussista pericolo di fuga), oppure una casa-famiglia protetta, mentre solo in particolari e gravi casi è prevista la detenzione presso un ICAM, di cui oggi risulta esistere solo un esempio assai problematico a Milano peraltro inserito nel centro della città e non in un parco pubblico;
          con nota del Ministero della giustizia – dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, provveditorato regionale del Lazio, ufficio dei detenuti e del trattamento (Protocollo d'arrivo a RomaNatura n.  4241 del 13 settembre 2011) – viene invece rinnovato l'interesse di quel provveditorato regionale «nel promuovere un intervento per realizzare una casa famiglia all'esterno della Casa circondariale femminile di Rebibbia, da destinare alle detenute con figli di età inferiore ai tre anni» aggirando così il regime di arresto domiciliare;
          con la sentenza n.  11714 del 28 marzo 2012 della Corte di cassazione pronunciatasi in merito all'applicabilità della disciplina contenuta nella legge n.  62 del 2011 si evince che bisognerà aspettare il 2014 per la sua attuazione e che il funzionamento degli ICAM deve ancora essere disciplinato con apposito regolamento e comunque «non risulta adottata sin qui alcuna fonte di rango normativo, regolamentare o di altro genere che ne definisca in modo organico e unitario i compiti e le attribuzioni sul piano strutturale e ordinamentale», deducendo pertanto «che gli istituti di che trattasi operano come articolazioni in via sperimentale di strutture della amministrazione penitenziaria»  –:
          se il Ministro della giustizia non intenda rinunziare da subito a questo piano di sperimentazioni dalle premesse non chiare e dagli esiti incerti, che determinerebbe una invasione di cemento in un parco romano pubblico vincolato e di pura reclusione per madri detenute e i loro piccoli e se, prima di porre in esecuzione tale piano, non intendano invece chiarire i molti e anzi troppi punti problematici della vicenda. (4-16138)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      FIORIO, LOVELLI, ESPOSITO e TRAPPOLINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la linea ferroviaria Asti-Alba si inserisce in un quadro di collegamenti del territorio sud piemontese con insediamenti produttivi ed attività non trascurabili, una mobilità di studenti, lavoratori che si spostano dalla zona di Alba verso Torino, Alessandria e Milano;
          nel corso degli anni su tale linea si sono investiti notevoli risorse ed a varie riprese sono stati ultimate opere di manutenzione che nel corso del tempo hanno impedito la circolazione da ultimo la ristrutturazione della galleria «Gherzi», ad Alba, la cui conclusione dei lavori era prevista entro l'estate del 2012;
          da ciò che si apprende da fonti giornalistiche, dalla preoccupazione degli amministratori locali sarebbe ancora lontana la ripresa del collegamento, si riscontra inoltre assoluta mancanza di chiarimenti dagli organi competenti circa lo stato dei lavori i tempi di ultimazione delle opere previste e dunque della ripresa del collegamento;
          il disagio degli utenti si fa di giorno in giorno più insostenibile anche perché i collegamenti stradali sono anch'essi difficoltosi a causa dei lavori di costruzione della autostrada Asti-Cuneo  –:
          se il Ministero non intenda farsi parte attiva per definire tempi e modalità di riapertura del collegamento;
          quale sia lo stato dell'arte dei lavori di ripristino della galleria «Gherzi» al fine di giungere ad una soluzione che ponga fine ai disagi degli utenti che in questi anni hanno visto accrescere le difficoltà di raggiungimento delle principali città del Nord Italia nonché il progressivo smantellamento dei collegamenti verso Roma.
(5-06872)

Interrogazioni a risposta scritta:


      NASTRI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per gli affari europei, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          nel corso del convegno organizzato da Confcommercio sul tema delle infrastrutture dei trasporti, è stato presentato un «libro bianco», che descrive lo stato di debolezza e in particolare i ritardi del sistema infrastrutturale, della filiera logistica e dei sistemi di trasporto nel Paese;
          i dati che emergono dal documento sono giudicati allarmanti: il gap infrastrutturale rispetto alla Germania, negli ultimi dieci anni, ha fatto perdere all'Italia, evidenti quote di competitività calcolate in 142 miliardi di euro del prodotto interno lordo, mentre la perdita di ricchezza soltanto nel 2010 dovuta al divario infrastrutturale esistente fra le aree geografiche del nostro Paese è stimata in 50 miliardi di euro;
          attualmente, prosegue il rapporto di Confcommercio, risultano ancora incompiute 27 opere infrastrutturali alcune risalenti a 50 anni, per un valore complessivo di 31 miliardi di euro, mentre con riferimento al programma per le infrastrutture strategiche, il cui valore complessivo è pari a oltre 367 miliardi di euro, solo il 9,3 per cento delle opere sono state portate a termine e quasi il 60 per cento sono ancora in fase di progettazione;
          dal «libro bianco» emergono inoltre valutazioni negative anche sul fronte delle risorse che il nostro Paese destina agli investimenti in infrastrutture dal 1990 si è speso il 35 per cento in meno e nel triennio 2009-2011 il 34 per cento in meno, a cui si aggiungono 18 miliardi di euro già decurtati per il triennio 2012-2014;
          con riferimento alle risorse comunitarie, quali i fondi strutturali e quelli per le aree sottoutilizzate, secondo quanto riportato dal suddetto documento, è stato utilizzato soltanto il 12 per cento degli oltre 41 miliardi stanziati per il quinquennio 2007-2013;
          in considerazione dei dati suesposti, la rete autostradale italiana negli ultimi 20 anni è cresciuta quasi dieci volte in meno di quella francese e addirittura venticinque volte in meno di quella spagnola e se l'estensione della rete ferroviaria italiana pari a 923 chilometri è inferiore a quella tedesca che risulta essere di 1.285 chilometri e meno della metà di quella francese 1.896 chilometri e spagnola 2.056 chilometri, non desta ormai alcun stupore, a giudizio dell'interrogante, se i collegamenti stradali delle città italiane, sono sempre più congestionati, in particolare nelle grandi metropoli;
          fra le diverse proposte d'intervento nel settore dei trasporti per creare le condizioni di sviluppo che consentano al Paese una ripresa di crescita e di sviluppo infrastrutturale nel settore dei trasporti, si evidenzia il suggerimento di adottare valide iniziative volte a definire politiche di competitività per l'evoluzione della logistica e dell'autotrasporto;
          l'interrogante intende ribadire quanto sostenuto negli atti di sindacato ispettivo n.  5-05015 e n.  5-04879, presentati nel corso della legislatura, nei quali si rilevava come le autostrade del mare rappresentino uno strumento decisivo al fine di sollecitare l'autotrasporto a trasferire quote sempre maggiori di traffico sulla modalità marittima, in considerazione della saturazione del traffico su strada, nonché del livello di pericolosità ad esso attribuibile;
          le autostrade del mare costituiscono, inoltre, una soluzione alternativa e spesso complementare al trasporto stradale fondamentale e determinante, in quanto sono finalizzate a far viaggiare camion, container e automezzi sulle navi, valorizzando il trasporto marittimo, particolarmente rilevante in Italia per la sua conformazione geografica, limitando di conseguenza la congestione delle strade e determinando benefici effettivi sulle esternalità prodotte dal traffico, tra cui la prevenzione dell'incidentalità e la riduzione dell'inquinamento ambientale;
          il Governo Berlusconi ha posto la massima attenzione per la promozione ed il sostegno del programma per lo sviluppo delle autostrade del mare, che attraverso la società pubblica RAM – Rete autostrade mediterranee, ha indicato le condizioni per la creazione di un sistema integrato di servizi di trasporto, con l'obiettivo prioritario dell'abbattimento del congestionamento autostradale;
          a giudizio dell'interrogante in coerenza con le valutazioni suddette, s'inserisce pienamente il provvedimento recentemente approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati in materia di interporti e piattaforme logistiche territoriali, in armonia con gli indirizzi e le iniziative dell'Unione europea nel settore dei trasporti e della intermodalità, così come precedentemente proposto dal «libro bianco», a cui si aggiunge l'indicazione di affiancare anche una maggiore efficienza logistica del sistema portuale;
          le disposizioni contenute all'interno del suddetto provvedimento, sono volte a migliorare e incrementare la concentrazione dei flussi di trasporto, contribuendo alla diminuzione dell'impatto ambientale, secondo le richieste che giungono dall'Unione europea, in particolare gli orientamenti dell'Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti, approvati con la decisione n.  661/2010/UE nel luglio 2010;
          a giudizio dell'interrogante, l'interoperabilità e l'intermodalità tra i vari sistemi di trasporto, attraverso la realizzazione di ulteriori interporti nel nostro Paese e il combinato in una logica di sistema, costituiscono una priorità necessaria per l'economia dei trasporti del nostro Paese, al fine di individuare e definire una precedenza che consenta di avere a livello nazionale una rete di terminali integrata e interconnessa, omogenea per caratteristiche operative e di servizi offerti  –:
          quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
          se non ritengano necessario, in considerazione del livello di ritardo del sistema infrastrutturale, della filiera logistica e dei sistemi di trasporto in Italia, come è emerso dal «libro bianco» di cui in premessa, nonché delle valutazioni dell'interrogante a favore delle autostrade del mare e del sistema d'intermodalità del trasporto, assumere iniziative normative ad hoc, recanti misure agevolative di carattere fiscale, in coerenza con quanto previsto dall'Unione europea in materia di aiuti di Stato. (4-16115)


      REGUZZONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          in data 16 settembre 2009 il firmatario del presente atto presentava un'interrogazione in cui si chiedevano lumi circa l'intendimento del Governo in ordine alle ipotizzate «modifiche della normativa che regolamenta le gestioni aeroportuali, le tasse e le tariffe connesse, le concessioni delle infrastrutture degli aeroporti», alla quale per altro non è stata ancora fornita risposta;
          recentemente il Governo ha dato corso ad alcune di queste modifiche, tra l'altro consentendo agli operatori aeroportuali un significativo incremento delle tariffe  –:
          quali siano le intenzioni del Governo in ordine al sostegno alle politiche infrastrutturali legate alle gestioni aeroportuali;
          se e quali siano le modifiche ulteriori che il Governo intende promuovere in relazione alla normativa vigente in ordine alle tasse e alle tariffe connesse;
          se e quali iniziative il Governo intenda assumere in relazione alle concessioni delle infrastrutture degli aeroporti e ad eventuali modifiche della normativa che regolamenta le gestioni aeroportuali.
(4-16144)


      GRIMOLDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la normativa europea (regolamento (CE) n.  1592/2002) prevede che nelle imprese di costruzione di aeromobili, motori, eliche, parti ed equipaggiamenti, siano impiegate delle figure chiamate accountable manager, che rappresentano l'Enac e svolgono il ruolo di tramite fra la compagnia aerea e l'Enac stesso, fungendo anche da garanti del rispetto della normativa vigente;
          l’accountable manager ha il compito essenziale di assicurare alla autorità che tutte le attività dall'organizzazione nell'ambito dell'approvazione ricevuta possano essere finanziate e svolte nel rispetto degli standard applicabili. Ciò attraverso la definizione e la gestione di un sistema strutturato di revisione interna periodica dell'organizzazione (monitoraggio delle attività, identificazione e correzione di comportamenti e trend negativi, prevenzione di future non conformità) di cui assume la relativa responsabilità complessiva e altro;
          al fine di poter operare collegamenti aerei di natura commerciale per il trasporto di passeggeri, posta e merci, ogni impresa deve preventivamente ottenere la licenza di esercizio di trasporto aereo e per il rilascio della licenza di esercizio da parte dell'Enac, il soggetto richiedente deve fornire adeguata prova del possesso dei requisiti amministrativi, finanziari e assicurativi di cui al regolamento CEE n.  2407/92 del Consiglio, del 23 luglio 1992 e successive modificazioni, nonché di cui al regolamento CEE n.  785/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004;
          l'Enac ha emanato una circolare (EAL 16) avente per oggetto l'accertamento della presenza e della persistenza dei requisiti soggettivi ed economico-finanziari stabiliti dalla normativa comunitaria, con esclusione di quelli relativi all'adeguatezza professionale e organizzativa del vettore, che costituiscono oggetto di parallele verifiche effettuate in sede di rilascio della licenza di operatore aereo;
          la materia delle licenze di esercizio di trasporto aereo è disciplinata dal Codice della navigazione (come novellato dal decreto legislativo n.  156 del 2006), dalla normativa comunitaria di cui al Regolamento n.  2407/9306/83 e dagli accordi aerei bilaterali e le fonti normative in questione stigmatizzano l'importanza – sia per il rilascio che per il mantenimento delle licenze – della verifica della sostenibilità finanziaria dell'operativo che le compagnie si propongono di attuare;
          la vigilanza relativa alla solidità economico-finanziaria delle compagnie aeree viene svolta quindi, in primo luogo, nell'interesse degli utenti: l'impresa richiedente deve dimostrare di essere in grado di far fronte ai propri impegni effettivi e potenziali stabiliti in base a presupposti realistici per un periodo di 24 mesi e di poter far fronte ai costi fissi e operativi connessi con le operazioni secondo i suoi piani economici e determinati in base a presupposti realistici per un periodo di tre mesi dall'inizio delle operazioni senza tener conto delle entrate derivanti da dette operazioni;
          la medesima circolare dell'Enac, EAL 16, al paragrafo 4.5 specifica i compiti di vigilanza in capo ad Enac, prevedendo che l'ente, nel caso in cui esistano chiari segnali dell'esistenza di criticità di natura finanziaria o siano in corso procedimenti di insolvenza o di natura analoga, avvii la procedura di verifica della sussistenza dei presupposti economico-finanziari per il mantenimento della licenza di esercizio;
          risulta di difficile comprensione capire come mai, benché la normativa europea ed italiana abbia disciplinato precisamente le garanzie finanziarie che le compagnie aeree devono avere e nonostante l'Enac sia incaricato di controllare e monitorare la situazione, sono molte le compagnie aeree che negli ultimi anni sono fallite e ancora di più quelle che hanno aperto procedure di mobilità per i propri lavoratori  –:
          se il Ministro non reputi opportuno rendere noto alla cittadinanza una lista delle imprese che lavorano nel rispetto delle disposizioni di legge vigenti italiane ed europee, in particolare quelle contenute nella circolare dell'Enac EAL 16 a tutela dei passeggeri e dei lavoratori e quali azioni intenda intraprendere nei confronti delle imprese inadempienti;
          se il Ministro non reputi opportuno fare luce sulla situazione attuale delle imprese del settore aereo che operano sul territorio italiano, in particolare su quelle che hanno avviato procedure di fallimento e di cassa integrazione o di mobilità nei confronti dei lavoratori, e se ritenga che i controlli previsti per legge e le figure preposte a garantirne il rispetto siano una risposta sufficiente alla grave situazione attuale. (4-16149)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


      MOTTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          sabato 12 maggio 2012 alle ore 19,30 circa un gruppo di aderenti al movimento neofascista Casa Pound, proveniente da piazzale Pio Montermini, si presentava in via Carmignani nel quartiere Montanara di Parma, in assetto squadristico, con in mano bottiglie, cinghie, sassi con il chiaro obiettivo di andare allo scontro con esponenti del Comitato antifascista del quartiere, che sostavano sulla medesima strada di fronte al bar Arci Minerva;
          lo scontro, che ha provocato contusi e che è stato motivato da Casa Pound come risposta ad una provocazione diretta ad uno degli aderenti allo stesso movimento da parte di esponenti, antifascisti, avrebbe potuto avere conseguenze ben più gravi qualora non fosse intervenuta di lì a pochi minuti la polizia;
          nel pomeriggio nella sede di Casa Pound in via Jacchia aveva avuto luogo una festa per l'inaugurazione a seguito della ristrutturazione della sede che già aveva provocato allarme nel quartiere e segnatamente nei membri del Comitato antifascista; sul luogo era già intervenuta la polizia di Stato che aveva provveduto ad allontanare gli intervenuti al termine della manifestazione;
          il grave episodio verificatosi il 12 maggio 2012 è l'ultimo di numerosi fatti analoghi occorsi in questi anni dopo l'insediamento di Casa Pound nello stesso quartiere della città di Parma di profonda tradizione democratica e antifascista;
          in data 4 febbraio 2010 e 6 dicembre 2011 l'interrogante aveva presentato gli atti di sindacato ispettivo n.  3/00897 e 3/01961, a tutt'oggi senza risposta, con i quali si chiedevano al Ministro interrogato informazioni e chiarimenti circa l'attività svolta dall'associazione Casa Pound;
          in particolare, nelle sopracitate interrogazioni si evidenziava che: l'Associazione Casa Pound – secondo quanto si legge sul sito www.casapound.org – propone di sviluppare in maniera organica un progetto ed una struttura politica nuova, che proietti nel futuro il patrimonio ideale ed umano che il fascismo italiano ha costruito con immenso sacrificio; che nel suo programma al punto 18 si propone di riscrivere la Costituzione: «La Costituzione della Repubblica Italiana va riscritta. Essa è opera di uomini che la compilavano all'indomani della guerra civile ed adempivano a quel compito nella scia dei carri armati stranieri»; che i suoi esponenti in numerose interviste e comunicati si definiscono «fascisti del terzo millennio» e si rifanno esplicitamente al programma di San Sepolcro, elaborato da Mussolini nel marzo del 1919, con il quale furono fondati i fasci di combattimento e alla Repubblica di Salò; che il blocco studentesco nasce nell'estate 2006 a Casa Pound e si rende protagonista dello scontro in piazza Navona dell'ottobre 2008 nell'ambito delle manifestazioni studentesche e dell'irruzione pochi giorni dopo alla RAI in via Teulada contro la trasmissione di RAI 3 Chi l'ha visto; si ricordava, inoltre, che «Casa Pound ha sede in diverse città e si è resa protagonista di intimidazioni, irruzioni, provocazioni, aggressioni, spedizioni punitive nonché di iniziative di propaganda contro i disabili, contro la società multirazziale, e di brindisi alla Shoah»;
          nell'interrogazione 3/01961 si richiamava l'attività di volantinaggio dell'Associazione Casa Round nei pressi di alcune scuole superiori di Parma con la distribuzione di volantini proponenti un parallelismo tra l'assassinio del Rais libico Gheddafi e i fatti di Piazzale Loreto e che liquidavano la Resistenza come «raffiche di mitra, violenze e stupri»;
          i recenti episodi verificatisi in diverse città, come a Firenze dove sono stati uccisi due cittadini immigrati, rendono evidente, a giudizio dell'interrogante, che Casa Pound alimenta violenza, razzismo, antisemitismo, intolleranza e che in numerose città cittadini, comitati e istituzioni hanno dato vita a manifestazioni antifasciste, chiedendo la chiusura delle sedi di Casa Pound»  –:
          se il Governo sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa;
          se sia in possesso di una precisa e puntuale mappatura di tutte le sedi e le iniziative di Casa Pound su tutto il territorio nazionale e, qualora ciò non fosse, se non ritenga utile provvedere in tempi brevi a disporla;
          se le iniziative e i programmi promossi da tale organizzazione in considerazione della XII delle disposizioni transitorie e finali della Carta costituzionale in cui si afferma che: «È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista» siano configurabili come una forma di propaganda di chiara ispirazione neofascista e manifestamente contraria ai valori costituzionali, e in tal caso quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere. (3-02275)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      BORDO. — Al Ministro dell'interno, Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la provincia di Foggia è il secondo bacino produttivo agricolo d'Italia, oltre ad essere leader nazionale ed europeo per alcune specifiche produzioni ortofrutticole realizzate con il crescente utilizzo di mezzi meccanici ed impianti tecnologicamente innovativi;
          il territorio rurale della suddetta provincia è densamente abitato;
          la Capitanata è, da diversi anni, interessata da frequenti e dannosi furti di cavi elettrici e telefonici, predati per estrarne il rame che le organizzazioni criminali riciclano anche all'estero;
          di recente, nell'agro tra Manfredonia e Zapponeta, sono stati trafugati i cavi della rete di connessione di 78 cabine elettriche, provocando per alcuni giorni il black out totale in almeno 500 tra aziende agricole e abitazioni rurali;
          la prefettura di Foggia e l'Enel hanno dovuto affrontare una vera e propria emergenza sociale ed economica, aggravata dalla quotidiana e diffusa attività delinquenziale messa in atto anche nelle zone periferiche delle città e nelle aree industriali;
          la sicurezza delle persone e dei beni è ulteriormente compromessa dalla recrudescenza di furti di mezzi agricoli e impianti tecnologici, da cui derivano danni per milioni di euro, spesso aggravati dalle successive estorsioni messe in atto dai cosiddetti «cavalli di ritorno»  –:
          se e come il Governo intenda procedere, per quanto di competenza, per:
              a) rendere più efficace l'azione di contrasto di questi reati e più efficienti le attività di ricostruzione delle reti elettriche e telefoniche;
              b) rendere disponibili risorse straordinarie per l'interramento delle stesse linee elettriche e telefoniche e/o la loro tutela elettronica, nonché per incentivare gli investimenti dei privati, singoli o consorziati, nelle tecnologie per la video e la tele sorveglianza. (5-06877)


      PIZZETTI e BRESSA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          in data 27 aprile 2012 sul quotidiano di Cremona è apparso il seguente annuncio a pagamento «Muoiono gli uomini e non le idee Camerata Benito Mussolini Presente ! Nel tuo nome i fascisti cremonesi ricordano tutti i caduti della R.S.I.». In evidenza vi era l'effige del Duce;
          in data 28 aprile 2012 presso la chiesa del cimitero di Cremona si è celebrata una S. Messa in memoria di Benito Mussolini e Roberto Farinacci alla presenza di esponenti di Forza Nuova, Casa Pound, Falange Spagnola, al termine della quale si è snodato un corteo all'interno del cimitero al canto di Giovinezza e con saluti romani;
          Casa Pound — il cui programma si appella ad una «funzione avanguardista dell'Italia» e a «un'Italia sociale e nazionale secondo la visione pavoliniana e mussoliniana» contro «un'italietta antifascista e antisociale» come si legge sul sito dell'associazione — ha annunciato di voler aprire una sede a Cremona  –:
          se le iniziative e i programmi promossi da questa organizzazione, in considerazione della XII disposizione transitoria finale della Carta costituzionale che afferma: «È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista», siano configurabili come una forma di propaganda di chiara ispirazione neofascista e manifestamente contraria ai valori costituzionali, e in tal caso, quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere;
          quali orientamenti esprimano in proposito i Ministri interrogati;
          quali iniziative intenda assumere il Governo per assicurare il rispetto della legalità in applicazione dei principi e dei valori costituzionali. (5-06892)

Interrogazioni a risposta scritta:


      SBROLLINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          con propria circolare, indirizzata nei scorsi giorni alle questure di tutta Italia, il Ministero dell'interno ha ribadito come il questore sia l'unico soggetto abilitato a rilasciare licenze per l'attivazione degli apparecchi di video lotteria (slot VLT) e come la stessa questura abbia la facoltà di disattendere le eventuali restrizioni imposte dagli amministratori locali con appositi regolamenti;
          con tale atto, si ribadisce che le attività subordinate alla licenza del questore possono essere sottoposte solo a restrizioni derivanti da leggi statali e da prescrizioni di polizia attinenti la salvaguardia dell'ordine pubblico;
          la novità dell'atto di indirizzo è nella istruzione operativa demandata ai questori, ai quali si ricorda di agire sempre nella veste di tutori dell'ordine e non di amministratori del decoro, del turismo, del consenso popolare verso questo o quel tipo di attività economica;
          secondo molti amministratori locali, che avevano dotato i loro comuni di appositi regolamenti per tentare di inserire in una cornice di organizzazione locale, un'attività che, per sua natura, ha aspetti controversi, l'ultima circolare del Ministero, e, in generale, tutta la linea tenuta sulle norme che autorizzano l'installazione di video lotteria, si presta ad alcuni rischi, e sta alimentando non poche preoccupazioni;
          si profila, in particolare, il rischio che le questure, dovendosi attenere strettamente al proprio ruolo, non possano far riferimento alle norme locali, così che tutti gli sforzi compiuti finora sui territori rischino di essere vanificate;
          la Circolare mette in evidenza una carenza normativa generale, e fa scaturire alcuni interrogativi: se il questore è l'unico abilitato a rilasciare autorizzazioni, dovendosi però attenere solo ai criteri della sicurezza e dell'ordine pubblico, non si comprende a chi va la competenza per quanto riguarda gli indubbi aspetti sociali e quelli sulla salute, che riguardano attività di questo tipo;
          le indicazioni contenute nella circolare, e, in generale, la carenza normativa, rischiano di chiudere l'unico percorso che finora si era potuto intraprendere per tentare di regolamentare in qualche modo a livello locale questo fenomeno  –:
          se sia a conoscenza delle criticità sopra esposte, e se non si renda necessario, ad avviso del Governo, un'iniziativa normativa generale che affronti il tema anche sul versante della sua rilevanza sociale e sanitaria, coinvolgendo gli enti locali e affidando maggiori poteri ai sindaci, attualmente di fatto privati di qualunque strumento per intervenire in una vicenda che ha fortissime implicazioni sulla vita delle comunità locali. (4-16110)


      ASCIERTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          a Bologna è presente un centro di accoglienza migranti presso la caserma San Felice Prati di Caprara Ovest;
          il centro di accoglienza migranti è oggi gestito dalla Croce rossa civile a seguito di una convenzione con la protezione civile della regione Emilia Romagna, questo nonostante in loco operi già positivamente la Croce rossa militare che è titolare della concessione dei locali dati al Ministero della difesa e attualmente adibiti al centro di accoglienza;
          venerdì 27 aprile 2012 l'interrogante ha effettuato un sopralluogo all'interno del centro ed ha riscontrato alcune anomalie che brevemente elenco:      
              a) assoluta mancanza di controllo infatti è stato possibile entrare liberamente all'interno del Centro che tra l'altro permette di accedere all'area militare ancora riservata alla caserma;
              b) la recinzione che divide l'area del Centro accoglienza migranti dall'area della caserma è usata come «stenditoio»;
              c) non esiste nessuna rete divisoria che isoli il centro accoglienza migranti dalla caserma, dove sono parcheggiati mezzi di soccorso dell'Esercito italiano e della protezione civile dell'Emilia Romagna;
              d) i profughi sono tutti lavoratori di nazionalità nigeriana ed in Nigeria tra l'altro non c’è nessuna guerra, quindi dovrebbe cadere lo status di profugo;
              e) il centro era originariamente convenzionato per la presenza di massimo 40 profughi ed ora ve ne sono 128 ed accedono, nelle ore serali, cittadini stranieri di varie nazionalità che nulla hanno a che vedere con il centro stesso;
          essendo finita da mesi la guerra in Libia non si comprende perché non si rivedano le disposizioni dei profughi riproponendo il rimpatrio nel Paese di provenienza  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione e quali provvedimenti intendano adottare. (4-16118)


      RENATO FARINA e CENTEMERO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          un grave atto criminale è stato perpetrato a Desio nei giorni scorsi. Essendo stata colpita, con meticolosa opera di devastazione, una struttura pubblica comunale, oltretutto destinata a sede di corsi universitari e formativi, il delitto è stato avvertito come atto di sfregio e di intimidazione contro la cittadinanza. Come riferiscono le cronache locali dei quotidiani: «Quattromila metri quadrati completamenti devastati con danni che ammontano a centinaia di migliaia di euro. E l'ipotesi dell'atto vandalico è stata scartata. La notte scorsa una squadra di esperti, con modalità e procedure studiate, ha devastato il capannone di proprietà del Comune di Desio nell'area del Polo tecnologico della Brianza, ex area Autobianchi. Armati di mazze, trancia fili e chiavi inglesi hanno distrutto arredi, fotocopiatrici, lampade e sensori di emergenza, tranciando i cavi dell'impianto di allarme e allagando i tre piani dell'edificio con gli idranti, togliendo persino i sifoni degli scarichi dei lavandini. L'acqua ha devastato i controsoffitti che sono crollati e i pavimenti che si sono sollevati. I Carabinieri di Desio indagano. L'ipotesi è che si tratti di un atto premeditato e pianificato. Forse un avvertimento. Ma chi ce l'ha con il Comune di Desio e perché ?» (Il Giorno, 8 maggio 2012)
          il sindaco di Desio, ingegner Roberto Corti, ha emesso un comunicato dove dichiara: «La devastazione della struttura, destinata ad ospitare una azienda speciale che si occupa di formazione professionale (il consorzio Desio Brianza), è stata messa in atto nei giorni tra venerdì 4 e lunedì 7 maggio e ha colpito tutti e tre i piani dell'immobile... Gli inquirenti non escludono nessuna ipotesi. È stato però chiaro fin da subito che non si tratta di un atto vandalico, ma di una operazione premeditata e organizzata nei dettagli»;
          il 7 novembre 1993, un incendio fu appiccato in Desio alla Villa Cusani Traversi Tittoni, insigne opera del Piermarini, devastando il salone, provocando il crollo di volte e solai. Tale attentato è stato spiegato dagli inquirenti come atto di intimidazione mafiosa, pur non essendo riusciti a risalire agli autori;
          nella citata dichiarazione il sindaco Corti fa riferimento, per inquadrare l'atto di distruzione, all'indagine Infinito, che ha portato nel luglio del 2010 a numerosi arresti per legami con la ’ndrangheta. Desio «è anche la città dove il 30 aprile scorso Don Ciotti ha inaugurato uno dei primi beni in Brianza ad essere consegnato ad un uso sociale dopo la sua confisca alla mafia»  –:
          se il Ministro sia stato messo al corrente dei fatti e come risultino essersi svolti e se sia ritenuto credibile che la matrice dell'atto possa ricondursi alla criminalità organizzata;
          quale sia oggi l'entità e la consistenza del fenomeno mafioso a Desio e nella zona circostante, e quali siano le altre eventuali presenze criminali che insistono su questo territorio;
          come si spieghi che una simile devastazione di bene pubblico, in ambiente urbano densamente popolato con accertata penetrazione mafiosa, si sia potuta perpetrare per la durata di quattro giorni, senza alcun allarme o controllo, consentendo ai criminali di agire senza timore né precauzione;
          se in ragione di questi recenti eventi il Ministro non ritenga di rinforzare il presidio delle forze dell'ordine. (4-16120)


      BERTOLINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in Italia si registra un crescendo di casi di violenza da parte di stranieri, soprattutto di religione islamica, nei confronti delle mogli e dei figli, compiuti in nome del fondamentalismo e dell'oscurantismo religioso e culturale;
          un ennesimo grave fatto si è verificato in un paesino dell'Appennino bolognese, come riporta la stampa del 17 aprile 2012, dove un muratore pakistano di 53 anni per ben sette anni ha seviziato moglie e figli;
          l'uomo, dopo un'indagine durata tre mesi, è stato arrestato con le accuse di maltrattamenti e violenza sessuale a danno della moglie e dei cinque figli, tre femmine e due maschi, oltre alla compagna del primo figlio;
          sotto al letto dell'uomo, i militari hanno trovato una mazza con avvitati alle estremità dei bulloni, con cui spaventava le sue vittime;
          le donne erano costrette ad indossare gli abiti tradizionali e a sottostare alle attenzioni morbose del padre, mentre al figlio più grande sequestrava lo stipendio, al più piccolo impediva di frequentare i compagni di scuola e, per chi contravveniva agli ordini, erano riservati pugni, calci, minacce con coltello e bastonate;
          sia le donne che i ragazzi, nonostante le violenze subite, non sono mai andate in ospedale e i primi sospetti sugli abusi sono sorti alla scuola del figlio minore, che, dopo aver parlato con i servizi sociali, ha coinvolto anche le sorelle che finalmente hanno formalizzato la denuncia;
          il pakistano, al momento dell'arresto, avrebbe dichiarato che intendeva solo far rispettare gli «antichi e saggi usi e costumi tradizionali della propria terra di origine», e che la moglie era l'unica responsabile del comportamento «sbagliato» dei figli;
          violenza fisica e morale sono solo alcune delle vessazioni a cui sono sottoposte ancora troppe donne di religione islamica in Italia, che vedono calpestati e negati i propri diritti e la propria libertà;
          tali episodi di violenza compiuti nei confronti delle donne musulmane e dei loro figli, oltre a suscitare indignazione e ferma condanna, devono anche far riflettere sul fatto che la maggior parte di essi sono compiuti da componenti dei loro nuclei famigliari e da persone del loro stesso credo religioso;
          le affermazioni del pakistano arrestato confermano che l'integrazione degli stranieri in Italia, in molti casi, è ancora una chimera e testimonia il fallimento del multiculturalismo  –:
          se il Ministro sia a conoscenza di tale episodio e quali siano gli intendimenti al riguardo;
          se sia in grado di fornire dati relativi a vicende che vedono coinvolte le donne islamiche e i loro figli, vittime di violenze e soprusi all'interno dei propri nuclei familiari, avvenuti nel nostro Paese negli ultimi cinque anni;
          se non ritenga necessario avviare, con la collaborazione degli enti locali, un'indagine approfondita, per verificare quante situazioni analoghe, non denunciate, ci siano nel nostro Paese e per appurare la reale situazione delle donne straniere che vivono in Italia. (4-16126)


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          dopo la nota indagine condotta da due avvocati tedeschi per verificare la situazione in cui vivono i richiedenti asilo e i beneficiari di protezione internazionale nel nostro Paese, quella condotta dalla più seguita televisione tedesca per lo stesso motivo, la redazione di un rapporto di due organizzazioni non governative, una svizzera, l'altra norvegese, sullo stesso tema, anche in Italia, grazie a un censimento, è stata verificata la condizione dei rifugiati. I risultati confermano una situazione di disagio, degrado, dolore e soprattutto indifferenza dei rifugiati con regolare permesso di soggiorno;
          il censimento dei rifugiati che vivono in condizioni di disagio a Roma è stato condotto da una fondazione nata nel dicembre 2010. I risultati di questo conteggio dei disperati sono contenuti in un documento intitolato «I rifugiati invisibili»;
          secondo il rapporto, a Roma, sono almeno 1.700 i rifugiati politici con regolare permesso di soggiorno che abitano in luoghi fatiscenti, grandi occupazioni con centinaia di uomini e donne in condizioni abitative precarie e che sopravvivono come possono;
          queste – commenta la Fondazione – «rappresentano solo la punta dell'iceberg di una realtà molto più vasta e frammentata. Situazioni degradanti e marginali, cui si aggiungono centinaia di centri d'accoglienza informale che popolano gli angoli più remoti della Capitale. Lontano dagli occhi e dall'attenzione dell'opinione pubblica, si nascondono migliaia di rifugiati che sopravvivono in baracche, in scatole di cartone, sotto coperte e fogli di giornale»;
          in ogni caso, il rapporto conferma l'inadeguatezza dello Sprar, il sistema di accoglienza italiano. Sulle oltre 6.000 presenze di titolari di protezione internazionale nella Capitale, solo 2.000 trovano un posto vivibile, mentre altrettanti vivono un'attesa interminabile nella lista dell'ufficio immigrazione del comune. Il quadro che ne esce – si legge nel testo – «conferma come la spinta ai margini della società e all'invisibilità senza possibilità d'uscita, sia in costante crescita»;
          il comune di Roma oggi riesce a garantire complessivamente 2.200 posti. La fetta più grossa è rappresentata dai 19 centri d'accoglienza gestiti dal privato sociale in convenzione diretta con il comune, per un totale di circa 1.250 posti letto. A questi si aggiungono altri 250 posti letto, in strutture sorte per fronteggiare l'emergenza abitativa, ma prestate all'accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati. Il centro polifunzionale Enea di seconda accoglienza completa il quadro con i suoi 700 posti circa, suscettibili di diventare 800 nei prossimi mesi;
          l'Associazione Medu (Medici per i diritti umani) con le sue unità di strada incrocia in un anno circa 1.000 rifugiati «senza fissa dimora» nella Capitale. Il direttore del Cir (Consiglio italiano rifugiati) parla di almeno 2.000 richiedenti asilo che vivono a Roma «in condizione alloggiative e sanitarie drammatiche». Soltanto la lista d'attesa per avere un posto d'accoglienza presso l'ufficio immigrazione del comune di Roma è arrivata ad aprile 2012 ad oltre 1.900 richieste inevase;
          soltanto nel 2011, nella capitale il Cir ha assistito ben 5.179 rifugiati (rispetto ai 1.835 del 2010), e ben 6.250 persone hanno richiesto di ottenere la residenza al Centro Astalli. Dati che confermano la stima dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), che calcola in 8.000 persone i richiedenti asilo, rifugiati e beneficiari di protezione internazionale che vivono nella Capitale;
          tra loro ci sono moltissimi rifugiati di ritorno, rifugiati che costituiscono la maggior parte dei richiedenti asilo, presenti in massa nelle occupazioni e nelle baraccopoli. Ci si rifugia nella precarietà abitativa e quindi di vita proprio per sfuggire all'identificazione, per la necessità di non lasciar traccia in Italia, se si vuole sperare in un futuro altrove e non far ritorno nel primo Paese europeo d'approdo. I cosiddetti «casi Dublino» nel 2011 sono praticamente raddoppiati. All'ufficio preposto dall'Unità Dublino, presso l'aeroporto di Roma Fiumicino, arrivano circa 20 casi al giorno, contro i dieci degli scorsi anni. Per quantificare il flusso di richiedenti «di ritorno» cui l'Italia è sottoposta, ci si può riferire a titolo esemplificativo a due Paesi: nel 2011 sono rientrati dalla Svizzera 1.654 richiedenti asilo, e 457 dalla Norvegia;
          va ricordato, poi, che, a seguito dello stato di emergenza dichiarato con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 febbraio e 7 aprile 2011, nota come emergenza Nord Africa, sono nati nuovi centri d'accoglienza per ospitare oltre 1.000 nuovi richiedenti asilo. Una situazione drammatica, insomma, che rischia di esplodere se chiuderanno i centri d'accoglienza aperti con la dichiarazione dello stato d'emergenza umanitaria e in scadenza il 31 dicembre 2012. Si tratta di un esercito di altri 2.170 rifugiati solo nel Lazio, che si troverebbe di nuovo in condizioni di totale abbandono  –:
          se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti intenda assumere per dare soluzione agli stessi. (4-16131)


      DIONISI e MANTINI. – Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in data 16 maggio 2012 alcuni siti internet e fonti di stampa hanno pubblicato due documenti da cui si evince un articolato accordo pre-elettorale tra i segretari regionali del Partito Democratico e di Futuro e Libertà in Abruzzo e in particolare tra il sindaco in carica del comune di L'Aquila, Massimo Cialente, e il coordinatore regionale di FLI, con cui vengono presi impegni per l'assegnazione, in cambio di un apparentamento elettorale, di ruoli politici nella futura giunta di L'Aquila e soprattutto di posti nelle società municipalizzate aquilane e negli uffici comunali, sia in funzioni tecniche che amministrative;
          il caso ha destato notevole allarme e scandalo nella stampa regionale e nazionale, poiché l'accordo, riconosciuto dal sindaco dell'Aquila Cialente ma messo in dubbio dal segretario regionale del PD Paolucci, che esprime dubbi sull'autenticità della sua firma, reca comunque una dettagliata «spartizione di posti» nella pubblica amministrazione che va ben oltre le ordinarie intese tra partiti relative alla composizione dei futuri organi politici, con una particolare sottolineatura della «convenienza economica» delle remunerazioni nelle società municipali;
          i documenti sono pubblici e dunque sarà la magistratura ad indagare sulla sussistenza di specifici reati. Quel che è certo è che le lettere con cui il sindaco Cialente chiede il voto a FLI, offrendo in cambio poltrone in consigli di amministrazione di enti, costituiscono, a giudizio degli interroganti, un grave e scandaloso esempio di cattiva politica. Possono essere legittime le trattative tra partiti ma il sindaco non può, per proprio interesse, offrire posti in enti pubblici di cui non dispone perché sono nella competenza di altri organi istituzionali. Non può farlo soprattutto a L'Aquila ove la difficile sfida della ricostruzione si può affrontare solo sulla base del rispetto della legalità, della trasparenza e della professionalità negli incarichi pubblici;
          per quanto non competa agli interroganti, sussistono, in tale condotta, e in quelle simili, profili che possono essere di rilievo penale oltre che di grave assenza di etica pubblica e amministrativa. Infatti, il decreto Presidente della Repubblica n.  361 del 1957 di approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, aggiornato nel tempo, stabilisce all'articolo 96 che: «chiunque, per ottenere a proprio od altrui vantaggio la firma per un dichiarazione di presentazione di candidatura, o il voto elettorale o l'astensione, offre, promette o somministra denaro, valori, o qualsiasi altra utilità, o promette, concede o fa conseguire impieghi pubblici o privati ad uno o più elettori o, per accordo con essi, ad altre persone, è punito con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da lire 600.000 a lire 4.000.000, anche quando l'utilità promessa o conseguita sia stata dissimulata sotto il titolo di indennità pecuniaria data all'elettore per spese di viaggio o di soggiorno, o di pagamento di cibi lo bevande o remunerazioni sotto il pretesto di spese o servizi elettorali». L'articolo 323 del codice penale punisce invece, l'abuso di ufficio nel modo seguente: «salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o rincaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità». Naturalmente se si promettono utilità di cui non si dispone, perché sono di competenza di altri organi, l'articolo 346 del codice penale prevede il reato di millantato credito nel modo seguente: «chiunque, millantando credito presso un pubblico ufficiale, o presso un pubblico impiegato che presti un pubblico servizio, riceve o fa dare o fa promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione verso il pubblico ufficiale impiegato, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 309 a euro 2.065. La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 516 a euro 3.098, se il colpevole riceve o fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, col pretesto di dover comprare il favore un pubblico ufficiale o impiegato, o di doverlo remunerare». Queste fattispecie penali sono ora oggetto di inasprimento nel disegno di legge governativo proposto dal ministro Severino e all'esame della Camera, sotto vari profili. In particolare, si prevede il nuovo reato di traffico di influenze illecite che stabilisce: «chiunque, fuori di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319 e 319-ter, avvalendosi di relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione, ovvero per remunerare il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, è punito con la reclusione da uno a tre anni. La stessa pena si applica a chi indebitamente da o promette denaro o altra utilità. La pena è aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio». Può darsi che Cialente non abbia commesso alcuno di questi reati e lo stabilirà la magistratura. Ma i fatti sono gravi, gravissimi, perché non è con l'offerta di posti pubblici, nelle società municipali e nell'amministrazione, cui secondo Costituzione si accede per concorso, che si può fare una corretta amministrazione, soprattutto in una condizione speciale di difficoltà come quella causata dal terremoto a L'Aquila;
          gli interroganti continuano a ritenere che i ruoli nelle società pubbliche debbano essere affidati sulla base di curricula professionali e di comprovate competenze e non delle convenienze politiche o personali. La disinvoltura con cui il sindaco Cialente si sofferma in forma scritta sulla convenienza «economica» di un posto in un consiglio di amministrazione rispetto al ruolo di assessore è indice di un'attitudine allo scambio clientelare che desta serissime preoccupazioni per il presente ed il futuro e che costituisce una condotta fortemente censurabile per la buona amministrazione degli enti locali, da chiunque sia commessa;
          nelle iniziative normative contro la corruzione all'esame del Parlamento e in diversi altri ambiti, è fortemente avvertita l'esigenza di una più forte etica pubblica nell'amministrazione che merita, ad avviso degli interroganti, concrete risposte e soluzioni  –:
          quali iniziative di competenza intenda assumere, a partire dal caso specifico, al fine di garantire che tali ingerenze della politica nella lottizzazione dell'amministrazione gestionale, professionale e tecnica degli enti locali, non alterino il corretto svolgimento delle elezioni amministrative e comunque siano prevenute e contrastate, anche attraverso un nuovo codice etico per gli enti locali. (4-16143)


      REGUZZONI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le competenze attribuite ai Ministri interrogati dai commi 37 e 38 dell'articolo 31 della legge n.  448 del 1998, sono tuttora disattese;
          il dettato legislativo prevede che alla società per azioni che gestisce il casinò di Campione d'Italia (Co) partecipi – tra gli altri azionisti e con pari dignità – anche la provincia di Varese;
          il citato dettato legislativo da anni non è rispettato, nonostante le disponibilità, gli sforzi e gli appelli della provincia di Varese in tale senso;
          in data 15 settembre 2009 il firmatario del presente atto presentava un'interrogazione tendente a sottolineare la problematica al Governo allora in carica, alla quale peraltro non è stata data risposta  –:
          se il Governo abbia assunto o intenda assumere iniziative volte a ripristinare quanto previsto dal dettato normativo citato;      
          se – visto il notevole lasso di tempo trascorso nella non conformità al dettato normativo – il Governo non intenda procedere attraverso un commissario ad acta che ristabilisca i diritti della provincia di Varese. (4-16145)


      REGUZZONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la compagnia e la stazione dei carabinieri di Busto Arsizio, sono da tempo collocati in un edificio concesso in locazione dalla provincia di Varese, che ne è proprietaria, al Ministero dell'interno, per un importo annuo attuale di 17.559,53 euro;
          nel 1997 il comando provinciale dei carabinieri Varese rappresentava al Ministero dell'interno, tramite la locale prefettura, la necessità di una diversa sistemazione dei propri comandi territoriali siti in Busto Arsizio e proponeva l'assunzione in locazione di un nuovo immobile che sarebbe stato allo scopo costruito dalla società privata Firex s.r.l.;
          nel 2000 il Ministero dell'interno manifestava il proprio favorevole orientamento alla proposta di locazione del nuovo immobile avente superficie utile complessiva di metri quadri 5.898, per un canone allora stimato dall'UTE in 650.000.000 di lire;
          nel 2001 la Firex s.r.l. stipulava una convenzione con il comune di Busto Arsizio avente ad oggetto la concessione di un'area di proprietà comunale per la edificazione di un immobile con destinazione «attrezzature di interesse generale destinato ad ospitare i locali Comandi dei Carabinieri e da concedere in locazione al Ministero dell'interno»;
          il 2 agosto 2001 sono iniziati i lavori di costruzione della nuova caserma. Nell'autunno dello stesso anno la prefettura di Varese informava Eilteco s.r.l., nel frattempo subentrata alla Firex s.r.l., che sopraggiunte disposizioni pervenute dal Ministero dell'interno in tema di locazione di immobili impedivano di stipulare nuovi contratti che comportassero incrementi di spesa rispetto a quelli in essere e che pertanto, poiché il canone d'affitto per il nuovo stabile era superiore a quello per lo stabile fino ad allora occupato, le trattative non sarebbero proseguite;
          la Edilteco sospendeva quindi i lavori che successivamente, spontaneamente, riprendeva, fino a completare l'edificio alla fine del 2005;
          con interrogazione presentata il 23 luglio 2008 il firmatario del presente atto esponeva i fatti sopra elencati con identica precisione e puntualità e sottolineava che «ad oggi la situazione è di stallo con i Carabinieri allocati nell'edificio di proprietà provinciale, oggetto negli scorsi anni di lavori di parziale sistemazione, ed il nuovo stabile inutilizzato, stante l'indisponibilità del Ministero dell'interno ad assumerlo in locazione per l'importo richiesto, nettamente superiore a quello in corso di pagamento». Inoltre, veniva evidenziato che «l'edificio che dovrebbe ospitare la nuova caserma pare essere completato in ogni sua parte ed anzi, essendo ormai trascorsi due anni dalla chiusura del cantiere, inizia a mostrare segni di degrado dovuto a trascuratezza;
          a seguito della presentazione dell'interrogazione il firmatario del presente atto è stato contattato dal prefetto all'epoca assegnato alla sede di Varese, senza peraltro ottenere risposte esaustive;
          la situazione ad oggi è ancora quella del 2008, rappresentando un evidente segno di inefficienza della pubblica amministrazione, tanto più grave in quanto riguardante la materia della sicurezza, giudicata prioritaria dalla maggioranza dei cittadini;
          la situazione richiede un atto energico e definitivo  –:
          se sia nelle intenzioni del Ministro interrogato avviare, nell'ambito delle proprie competenze, le opportune verifiche ai fini di chiarire la situazione e di individuare una possibile e rapida soluzione, eventualmente nominando un commissario ad acta dotato dei necessari poteri per risolvere le questioni amministrative e burocratiche che creano danno al territorio della città di Busto Arsizio e all'Arma dei carabinieri. (4-16146)


      BARANI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          al termine della competizione amministrativa per l'elezione del sindaco e del consiglio comunale a Carrara, del 6 e 7 maggio 2012, sono apparsi chiari alcuni interventi sul fenomeno del voto di scambio e un caos anomalo in alcune sezioni elettorali;
          come riportato dal quotidiano La Nazione del 12 maggio 2012, gravi fatti sono accaduti durante lo spoglio elettorale e sono 18 i seggi elettorali su 72 di cui il giudice Cosimo Ferri, presidente della commissione elettorale che sta verificando il voto amministrativo a Carrara, ha riscontrato irregolarità nell'attribuzione delle preferenze ai candidati al consiglio comunale;
          in alcuni seggi, addirittura, la somma dei voti di preferenza era superiore al numero degli elettori della sezione stessa e in altri casi si sono verificate discrepanze tra i voti assegnati alle liste e ai candidati che li appoggiavano;
          va evidenziato che tale pratica si è verificata con le liste che hanno appoggiato e vinto le elezioni comunali del sindaco Angelo Zubbani ed in particolare PD, Sel, PRI e PSI;
          otto dei candidati a sindaco che sono stati sconfitti da Angelo Zubbani, eletto per il secondo mandato, hanno chiesto l'annullamento della tornata elettorale preannunciando ricorsi e denunce;
          inoltre come riportato dalla Nazione del 14 maggio scorso un grave fatto ha costretto la polizia ad intervenire sabato 12 maggio nella notte in comune, allertata da Nicola Franzoni che aveva segnalato persone che uscivano dal palazzo con documenti e faldoni in mano attraverso una porta del Ced che era stata lasciata aperta;
          la polizia è intervenuta a mezzanotte e, come ha spiegato il dirigente del commissariato Giuseppe Mariani, ha trovato socchiusa la porta del Ced;
          sulla vicenda lo stesso Nicola Franzoni sostiene che «è gravissimo che un Comune sia accessibile a tutti durante la notte e per di più in questo clima di sospetti»;
          le operazioni di voto e anche questa fase post elettorale sono state del resto dirette esclusivamente dai presunti vincitori: è assurdo rilevare che chiunque, nella notte avesse la possibilità di accedere al comune senza che nessuno se ne potesse accorgere;
          anche Gianni Musetti, esponente politico de La Destra chiede l'intervento della procura «per sequestrare urne e verbali di scrutinio»;
          l'europarlamentare Magdi Cristiano Allam, presidente di Io amo l'Italia (appoggiava Cesare Micheloni) chiede «che venga presto ripristinata la legalità e che vi sia massima trasparenza nel convalidare il risultato elettorale viste le anomalie riscontrate»;
          sul presunto via vai notturno interviene Paolo Vannucci, candidato del Pcl il quale invocando nuove elezioni sostiene: «Non avremmo mai pensato che le istituzioni cittadine potessero arrivare a tale livello di degrado, inefficienza, e, verosimilmente, corruzione, come risulterebbe da quanto abbiamo saputo oggi»;
          alcuni semplici cittadini, hanno denunciato, senza mezzi termini, il coinvolgimento di tutti i partiti approdati poi in consiglio comunale nella pratica illegittima e oramai dilagante della cosiddetta compravendita dei voti e, di conseguenza, hanno eccepito la possibile ricorrenza in città di una pesante alterazione della democrazia della rappresentanza;
          analoghe accuse, sul piano della condotta commissiva (candidati che accaparravano consensi promettendo lavoro ovvero altri favori) ed omissiva, sono state ribadite nel corso dei giorni seguenti alle votazioni da alcuni candidati che hanno invocato anche lo scioglimento del consiglio ed il ricorso a nuove elezioni;
          anche la magistratura, in varie inchieste in corso sul territorio della provincia di Massa-Carrara, ha evidenziato rapporti di favore tra le amministrazioni locali con scambi di assunzioni ed appalti e sub appalti;
          altro dato molto anomalo è rilevato dal fatto che le schede bianche sono appena l'1 per cento rispetto alle quelle nulle che sono al 4 per cento dato assolutamente difforme da qualsiasi consultazione elettorale precedente e che determina una situazione assolutamente paradossale;
          l'autorevolezza di coloro che hanno voluto far arrivare un grido di denuncia su di una pratica supinamente accettata, vuole fermare una deriva del malaffare, in Toscana, che lascia presumere che i fatti abbiano rispondenza nella realtà, ciò anche alla luce di altri articoli di stampa, manifesti e striscioni apparsi per le strade, aventi analogo contenuto  –:
          fermi restando gli accertamenti che saranno svolti dalle autorità competenti in ordine ai risultati del voto, di quali elementi disponga in relazione ai profili di sua competenza, anche di ordine pubblico.
(4-16148)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


      BOSI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          da notizie di stampa si è appreso che l'Agenzia spaziale italiana (ASI) alla fine dello scorso anno ha emesso un bando per la realizzazione delle prime fasi (A e B1) di un sistema ottico per l'osservazione della terra, denominato OPSIS, del valore di 15 milioni di euro su un valore complessivo, dell'intero sistema, di 50 milioni di euro;
          nella stesura del bando, in premessa, si afferma che «l'osservazione della terra nel campo ottico non è attualmente una capacità autonoma dell'Italia (...)»;
          dallo stesso bando, invero assai discutibile, è scaturita la conseguenza di escludere dalla gara l'unica azienda interamente italiana specializzata in strumentazione ottica spaziale, quale è la Selex Galileo, che abitualmente collabora a programmi spaziali, ivi compresi quelli della stessa ASI (in tal senso si è espresso anche il direttore dell'istituto CNR-IFAC di Firenze);
          il rischio, per la Selex Galileo e per la più avanzata parte dell'industria italiana, non è solo e tanto quello di perdere un'importante commessa, bensì quello di ipotecare, in modo grave, il proprio futuro di competitività nel settore dell'alta tecnologia e, in particolare, nel settore dell'alta risoluzione ottica per il controllo del territorio, così essenziale per l'interesse nazionale e per la sua competitività, che ha in Selex Galileo, azienda a capitale pubblico, una punta di eccellenza  –:
          come intenda intervenire per scongiurare una siffatta situazione e per addivenire alla sospensione del bando citato in premessa ed a una sua riformulazione;
          se non ritenga di rilanciare il progetto TETRA, per l'importanza che esso riveste per i settori della sicurezza, della difesa e dello sviluppo infrastrutturale.
(3-02274)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge 1o luglio 2009, n.  78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n.  102, a decorrere dal 1° gennaio 2010, «le domande volte a ottenere benefici in materia di (...) handicap e disabilità, complete della certificazione medica attestante la natura delle infermità invalidanti, sono presentate all'Inps» e le commissioni Asl «sono integrate da un medico dell'Inps»;
          ai sensi dell'articolo 19, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n.  111, «le commissioni mediche di cui all'articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n.  104, nei casi di valutazione della diagnosi funzionale costitutiva del diritto all'assegnazione del docente di sostegno all'alunno disabile, sono integrate obbligatoriamente con un rappresentante dell'Inps»;
          in data 8 marzo 2012 il quotidiano «La StampaCronaca di Torino» dà la notizia secondo la quale la certificazione di disabilità rilasciata dall'azienda sanitaria locale per ottenere l'insegnante di sostegno deve seguire le modalità ordinarie fissate per il riconoscimento dell'invalidità civile, tutto ciò a causa di una interpretazione restrittiva delle disposizioni vigenti in materia;
          tale notizia di stampa, se fosse confermata nei termini in cui è stata esposta, comporterebbe un allungamento dei tempi di rilascio incompatibili con quelli della necessaria programmazione della scuola, oltre anche ad un aggravio economico a carico delle famiglie che si vedono richiedere dai medici di medicina generale (del tutto legittimamente) la cifra di 60 euro per la certificazione medica attestante la natura delle infermità invalidanti e l'invio – per via telematica – all'Istituto nazionale di previdenza sociale (Inps) della richiesta di visita;
          le due norme considerate (articolo 20 del citato decreto-legge n.  78 del 2009 e articolo 19 del citato decreto-legge n.  98 del 2011), pur prevedendo modalità organizzative identiche, prendono in considerazione due fattispecie completamente diverse: nel primo caso si tratta di domande volte ad ottenere «benefici»; nel secondo caso si tratta di domande volte alla richiesta di diagnosi funzionale «costitutiva del diritto» all'assegnazione del docente di sostegno, e non di «benefici»;
          anche dal punto di vista strettamente letterale, la disposizione contenuta nell'articolo 19 del decreto-legge n.  98 del 2011 non opera alcun richiamo o rinvio, né esplicito né implicito, alla procedura prevista dall'articolo 20 del decreto-legge n.  78 del 2009;
          l'articolo 2, comma 2, del regolamento recante modalità e criteri per l'individuazione dell'alunno come soggetto in situazione di handicap, ai sensi dell'articolo 35, comma 7, legge 27 dicembre 2002, n.  289 di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 febbraio 2006, n.  185, prevede che gli accertamenti vadano effettuati «in tempi utili rispetto all'inizio dell'anno scolastico e comunque non oltre trenta giorni dalla ricezione della richiesta»;
          l'interpretazione adottata dalle Asl torinesi comporta – nella pratica – un notevole allungamento dei tempi di rilascio, causando enormi ritardi sul riconoscimento dei diritti degli alunni disabili all'integrazione scolastica;
          considerato che la Corte costituzionale, fin dal 1987 (sentenza 3 giugno 1987, n.  215), ha riconosciuto che «la frequenza scolastica è (...) un essenziale fattore di recupero del portatore di handicap e di superamento della sua emarginazione»  –:
          se ai Ministri interrogati risulti quanto in premessa;
          quali azioni di propria competenza intendano adottare al fine di garantire in modo uniforme il concreto esercizio del diritto del disabile all'integrazione scolastica. (5-06870)


      COSCIA e BACHELET. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          nella provincia di Roma, nella determinazione dell'organico di diritto del personale docente della scuola primaria per l'anno scolastico 2012/2013, l'ufficio scolastico regionale ha adottato criteri difformi da quelli previsti nella circolare ministeriale n.  25, prot. 400 del 29 marzo 2012, e in particolare: la circolare ministeriale citata (pagina 7) prevede che «Le economie che si determinano per il trascinamento della riforma vanno comunque utilizzate nella stessa scuola per il potenziamento dell'offerta formativa e del tempo scuola», risulta invece che anche l'organico delle classi quarte sia stato assegnato in ragione di un orario di 27 ore settimanali per classe e che l'organico di fatto dello scorso anno scolastico non sia stato consolidato, anche senza contrazioni di classi;
          di tali decisioni non si comprende il motivo, anche considerando il fatto che, dalle tabelle allegate alla citata circolare ministeriale 25/2012, per il Lazio risultava un incremento di posti (da 18.746 a 18.763) e non viceversa;
          sempre secondo la circolare ministeriale citata (pagina 8) «nulla è innovato per quanto riguarda il tempo pieno», di conseguenza sarebbero dovuti restare confermati l'orario di 40 ore settimanali per classe, comprensive del tempo dedicato alla mensa, l'assegnazione di due docenti per classe e l'obbligo dei rientri pomeridiani. Le quattro ore in più rispetto alle 40 settimanali per classe (44 ore di docenza a fronte delle 40 di lezioni e di attività), avrebbero comunque dovuto essere disponibili nell'organico di istituto per essere utilizzate per l'ampliamento del tempo pieno sulla base delle richieste delle famiglie e per la realizzazione di altre attività; invece dai dati relativi agli organici comunicati dall'ufficio dell'ambito provinciale di Roma sul portale SIDI si evince come tale ufficio abbia operato diversamente: risultando escluse 4 ore di docenza per tutte le future classi prime e seconde del tempo pieno e non essendo assegnate alle scuole le tre ore delle future classi quarte a tempo normale;
          tali decisioni dell'Ufficio scolastico regionale del Lazio sono state confermate nonostante le segnalazioni rivolte al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca da tutti i dirigenti scolastici interessati  –:
          quali iniziative intenda assumere per far sì che il direttore generale dell'Ufficio scolastico regionale del Lazio operi in conformità con le indicazioni di cui alla circolare n.  25/2012 che rispondevano alle esigenze espresse dalle scuole e avviavano la realizzazione di quell'organico di istituto previsto dalla recente normativa approvata dal Parlamento. (5-06871)


      DE PASQUALE e GHIZZONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          moltissimi assistenti amministrativi su richiesta dell'amministrazione scolastica hanno accettato di sostituire il direttore dei servizi generali amministrativi negli istituti scolastici dove il titolare era assente, e spesso per numerosi anni hanno ricoperto l'incarico di direttore dei servizi generali ed amministrativi nello stesso istituto perché il posto era vacante;
          quasi sempre gli stessi svolgono il loro ruolo con amore e diligenza cercando sempre di fare il meglio per migliorare l'amministrazione dell'istituto, collaborando con efficacia ed efficienza con il dirigente scolastico e tutto il personale della scuola, e spesso ricevono lettere di encomio per il lavoro svolto da parte dei dirigenti scolastici che diversamente non saprebbero come portare avanti la scuola;
          numerosi assistenti amministrativi pur svolgendo mansioni superiori nel sostituire su posto vacante il direttore dei servizi generali ed amministrativi, non hanno potuto partecipare alla prova selettiva, del concorso riservato indetto con il decreto direttoriale n.  979 del 28 gennaio 2010 neanche con riserva; pur avendo già acquisito la seconda posizione economica nell'area B (previo superamento di test e corso di formazione) che dà la precedenza per sostituire il direttore dei servizi generali ed amministrativi;
          così sono state mortificate le aspettative di coloro che aspettavano la riapertura della procedura concorsuale come previsto dall'articolo 2, comma 2.2, del C.C.N.I. del 3 dicembre 2009 «La mobilità viene attivata, con cadenza biennale» e dall'articolo 9, comma 9.6, «Le graduatorie relative alla mobilità professionale sono periodicamente aggiornate ed integrate con la cadenza indicata all'articolo 2»;
          il 9 febbraio 2012 è stato firmato il decreto n.  19 sulla mobilità professionale ATA che permette l'assunzione a tempo indeterminato di alcuni assistenti amministrativi che hanno avuto la fortuna e la possibilità di essere inseriti nella graduatoria, anche se scaduta, per l'assunzione a direttore dei servizi generali ed amministrativi (DSGA)
          il decreto n.  19 del 9 febbraio 2012 previsto un intervento corretto  –:
          se non ritenga giusto, doveroso ed urgente che, eventualmente anche previa prova selettiva, venga prevista la possibilità, per coloro che già da anni svolgono le mansioni superiori nel ruolo di direttore dei servizi generali ed amministrativi, di entrare nel contingente per la formazione e di poter, di seguito, essere così inseriti nella graduatoria che consenta loro la possibilità, via via nel tempo, di essere assunti quali direttore dei servizi generali ed amministrativi a tempo indeterminato.
(5-06873)

Interrogazione a risposta scritta:


      CASTIELLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          un sostanzioso numero di dirigenti scolastici campani risulta ad oggi ancora in servizio fuori regione, non certo per demerito, ma per aver voluto osservare con scrupolo le leggi dello Stato;
          alla luce del Concorso ordinario 2004, a causa di quelli che all'interrogante appaiono particolari interpretazioni e forzature delle norme di legge, dopo il superamento del concorso taluni dirigenti si sono visti, contro ogni logica, precedere nella nomina dagli idonei del concorso riservato (cioè semplificato e senza prove scritte) bandito nel 2006, poi anche dai colleghi del 2004 del primo settore, poi da quelli del 2002 e così via;
          per il secondo settore, essendoci pochi posti disponibili in Campania ed avendo ingiustamente avuto la precedenza i dirigenti del concorso riservato 2006, è stata loro offerta l'opportunità di scegliere una sede fuori regione ove, vi fossero stati posti disponibili;
          successivamente, i settori sono stati addirittura unificati e, gli interessati spaventati da un parere dell'Avvocatura dello Stato che considerava esaurito il tempo del concorso ordinario con l'anno 2009, pur riconoscendo che in precedenza gli stessi avrebbero dovuto essere immessi nel ruolo per primi, sebbene consapevoli dei grossi sacrifici personali, familiari ed economici che li attendevano, in molti, hanno deciso di emigrare per l'anno scolastico 2009-2010, accettando per di più la nomina in scuole del primo settore;
          orbene, altri loro colleghi, nonostante il pericolo di perdere il concorso, sono rimasti in attesa e l'anno successivo sono stati tutti nominati in Campania fino all'ultimo in graduatoria;
          i dirigenti «emigrati» sono rimasti al loro posto fiduciosi in un rapido rientro, ma l'anno scorso sono rientrati i dirigenti del primo settore andati fuori un anno prima; quest'anno avrebbero dovuto essere privilegiati, secondo criteri mai ufficialmente enunciati dall'Ufficio scolastico regionale della Campania, coloro che godevano dei benefici della legge n.  104 del 1992 ed in particolari condizioni familiari;
          fatto sta che dei 34 posti spettanti all'interregionalità, 15 venivano assegnati a dirigenti entrati in ruolo nel 2008 e 19 a dirigenti che si dichiaravano beneficiari della legge n.  104 del 1992;
          in data 11 agosto 2011 è stato richiesto l'accesso agli atti all'Ufficio scolastico regionale Campania e solo il 24 ottobre 2011 gli interessati sono stati convocati presso l'Ufficio scolastico regionale per la sola presa visione degli atti;
          sarebbe stata contestata nel verbale la mancata estrazione delle copie e l'impossibilità di acquisire dati indispensabili, in quanto oscurati in punti essenziali, ma, comunque, già dalla sola visione degli atti si riscontrava che molte documentazioni risultavano incomplete, con verbali addirittura inesistenti;
          giunti a questo punto, l'Ufficio scolastico regionale Campania pare a tutt'oggi non preoccuparsi delle posizioni di dubbia legittimità che sono state autorizzate e per il prossimo anno si prospetta una situazione molto critica per eventuali rientri con il proseguire in un'ingiusta penalizzazione di dirigenti onesti e preparati che hanno finora dato ottima prova delle loro capacità e competenze in molte regioni d'Italia, pur sottoponendosi a duri sacrifici;
          una soluzione «calmieratrice», anche in ragione di un criterio di equità e giustizia che ripaghi i dirigenti «emigranti» dei tanti sacrifici finora sostenuti e delle gravi situazioni di dubbia legittimità patite, dato che solo in Campania permane questa aberrante situazione potrebbe essere quella di assegnare agli stessi le sedi che si libereranno con i 150 pensionamenti decretati, considerando anche altri 41 pensionandi che, pur avendo i requisiti per essere posti in quiescenza, stanno usufruendo di una proroga concessa nel 2010 per altri cinque anni e che il direttore regionale non ha voluto, e l'interrogante non ne comprende il motivo, aggiungere all'elenco;
          alla luce di quanto in premessa, sono considerevoli i danni finora subiti dai dirigenti esclusi in passato; occorre scongiurare anche clamorose azioni giudiziarie nei confronti dell'Ufficio scolastico regionale della Campania che non sembra aver vagliato con la dovuta attenzione la documentazione di parecchi altri dirigenti trasferiti nell'anno scolastico 2011-2012 i quali in difformità delle disposizioni di legge e dei regolamenti attuativi sono riusciti a rientrare in Campania  –:
          quali provvedimenti il Ministro intenda tempestivamente adottare sì da porre definitivamente fine ad un'odissea che ha segnato le esperienze professionali e di vita e familiari di decine di dirigenti chiamati a «migrare» in diverse regioni d'Italia solo per aver rispettato quelle che, al tempo, erano le indicazioni impartite dallo stesso Ministero. (4-16135)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      SCHIRRU, GNECCHI e CODURELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la legge n.  388 del 2000 (articolo 80 comma 3) consente ai lavoratori invalidi ai quali viene riconosciuta un'invalidità superiore al 74 per cento o sordomuti, di usufruire di un beneficio di due mesi di contribuzione figurativa nella misura di due mesi per ogni anno di lavoro fino ad un massimo di 5 anni, utili ai fini pensionistici e dell'anzianità contributiva;
          i contributi figurativi si applicano solo agli anni lavorati, in quanto invalidi civili con percentuale superiore al 74 per cento (o assimilabile per le altre invalidità) o in quanto sordomuti. Analogo trattamento – però solo per un massimo di 2 anni – è riservato ai lavoratori – genitori di figli disabili gravi e con handicap ai sensi della legge 104 del 1992. Il beneficio di due mesi di maggiorazione per ogni anno di servizio è utile ai fini della determinazione dell'anzianità contributiva e dell'anzianità assicurativa e incide positivamente anche sull'ammontare della pensione. Mentre il beneficio è di quattro mesi di anzianità figurativa per ogni anno di lavoro svolto dai lavoratori non vedenti (ai sensi dell'articolo 9, comma 2, della legge 113 del 1985;
          la circolare INPS n.  35 recita che: «Nulla è modificato in materia di età anagrafica e di disciplina delle decorrenze per l'accesso alla pensione di vecchiaia per i seguenti soggetti: – non vedenti articolo 1, comma 6, del decreto legislativo n.  503 del 1992; circolare n.  65 del 1995), – invalidi in misura non inferiore all'80 per cento (articolo 1, comma 8, del decreto legislativo n.  503 del 1992; circolare 65 del 1995);
          ai fini del raggiungimento dell'anzianità di servizio si tratta di individuare le specifiche modalità di calcolo del trattamento previdenziale nel sistema contributivo o misto che consentano di valutare e computare tutto il sistema di contribuzione a qualsiasi titolo versata o accreditata in favore dell'assicurato utili ai fini della determinazione dell'importo pensioni, e degli anni di contribuzione, senza penalizzazione e riduzione percentuale dei trattamenti pensionistici, includendo i periodi di astensione dal lavoro per periodi lavorativi oggetto del distacco sindacale, ai sensi della legge 300 del 1970;
          i lavoratori in aspettativa sindacale svolgono di fatto un'attività lavorativa: per questo sono assicurati contro gli infortuni sul lavoro ed è stato garantito loro il diritto alle prestazioni economiche previdenziali quali indennità di malattia, tubercolosi e maternità;
          la maggiorazione contributiva è incompatibile con la contribuzione figurativa, ma tale previsione discende dal fatto che di norma la contribuzione figurativa garantisce al lavoratore la copertura contributiva di periodi in cui non viene prestata alcun tipo di attività lavorativa;
          il lavoratore in distacco sindacale svolge regolare attività lavorativa sotto le direttive e per le finalità dell'organizzazione sindacale presso cui lavora o ricopre la carica elettiva. Il valore figurativo per il calcolo dell'accredito è computato sulla retribuzione prevista dal contratto in essere al momento del collocamento in aspettativa;
          la norma in esame riconosce il diritto alla maggiorazione «... per ogni anno di servizio effettivamente svolto, presso pubbliche amministrazioni o aziende private ovvero cooperative (...) »;
          circolari INPS prevedono, che non si dia luogo all'accredito della maggiorazione ex articolo 80 legge 388 del 2000 per periodi di aspettativa sindacale dal momento che i periodi di distacco sindacale non sono considerati alla stregua di un effettiva attività lavorativa;
          confermando le disposizioni INPS, verrebbero meno i principi dettati dalla legge 300 del 1970 la quale ha voluto garantire l'effettiva possibilità di esercitare, senza pregiudizio per la posizione previdenziale, l'attività sindacale;
          vista la presa di posizione INPS inoltre, i lavoratori si troverebbero discriminati rispetto ad altri lavoratori, in particolare rispetto a quelli assunti dalle stesse organizzazioni sindacali che, peraltro, svolgono la medesima attività lavorativa;
          si ricorda che, pur in aspettativa, i lavoratori in distacco sindacale, svolgono attività lavorativa a tutti gli effetti, sommando peraltro fatica e stress che vanno ad incidere sullo stato di salute soprattutto di chi, si trova in stato di invalidità certificata  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza della problematica in premessa, che penalizza fortemente coloro che sono chiamati a ricoprire una carica sindacale come evidenziato;
          se il Governo non intenda avviare in merito le necessarie comunicazioni e specificazioni al sistema di previdenza INPS, esplicitando e sottolineando come questi lavoratori di fatto versino i regolari contributi e abbiano pertanto diritto al riconoscimento della maggiorazione contributiva sui periodi durante i quali sono stati collocati in aspettativa sindacale, ai sensi della 300 del 1970. (5-06869)


      DAMIANO, BELLANOVA, BERRETTA, BOBBA, BOCCUZZI, CODURELLI, GATTI, GNECCHI, MADIA, MATTESINI, MIGLIOLI, MOSCA, RAMPI, SANTAGATA e SCHIRRU. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          Sda nata nel 1984, fa parte del Gruppo Poste italiane dal 1998 come corriere espresso specializzato per le consegne in Italia e all'estero;
          l'assetto proprietario di Poste italiane vede la partecipazione totalitaria del Ministero dell'economia e delle finanze che prevede un rimborso da parte del Ministero per il servizio universale;
          come partner del Gruppo Poste Italiane Sda aderisce al codice di comportamento dei fornitori e dei partner nel quale vi è incluso uno specifico ordinamento in materia di lavoro;
          i destinatari del codice si impegnano al rispetto dei diritti fondamentali dei propri dipendenti, come la garanzia del salario minimo nazionale obbligatorio vigente, come il rispetto dell'orario, delle norme in materia di salute e sicurezza dei dipendenti e di tutte quelle norme vigenti che regolano i rapporti di lavoro;
          nell'ottobre 2011 a seguito dell'intervento della Filt-Cgil di Roma, sollecitato dalle richieste di intervento rivolte al sindacato da molti lavoratori della succitata società perché sottopagati o retribuiti al nero, sono scattate le verifiche ispettive da parte degli ispettori del lavoro accompagnati dai Carabinieri;
          il 30 marzo scorso è stata inviata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali al sindacato una prima e parziale relazione dalla quale emerge che su 252 lavoratori 37 erano in nero  –:
          quali azioni intenda attuare il Governo, affinché questa situazione di mancato rispetto della legge e di irregolarità all'interno del Gruppo Poste a capitale pubblico venga sanata;
          come pensi di intervenire per far emergere, oltre a questa piccola punta dell’iceberg, scoperta nella Capitale, il quadro ancora non ben definito delle gravi mancanze nelle applicazioni delle previsioni contrattuali dei lavoratori accompagnata di conseguenza da una possibile, ove accertati i fatti, evasione contributiva e fiscale. (5-06880)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. —Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la Costituzione della Repubblica italiana, all'articolo 16, garantisce il diritto alla mobilità di ogni cittadino; la concreta fruizione di questo diritto per le persone affette da disabilità, sancita dal principio di eguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione, costituisce lo strumento e la precondizione indispensabile per ciascun individuo per potere esercitare tutta un serie di diritti nonché per integrarsi nell'ambiente sociale;
          l'articolo 3, secondo comma della Costituzione demanda al legislatore il compito di rimuovere tutti gli ostacoli di ordine economico e sociale che possono ostacolare l'attuarsi in concreto del principio di eguaglianza. È proprio sulla base di questa specifica previsione costituzionale che va inquadrata tutta la legislazione ordinaria in tema di disabilità, ivi compreso l'aspetto della mobilità, ed il correlato obbligo per la pubblica amministrazione di eliminare le barriere architettoniche;
          con l'entrata in vigore in Italia della convenzione dell'ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2006, con la legge n.  18 del 3 marzo 2009 il predetto diritto alla mobilità si è qualificato ulteriormente come diritto all'accessibilità ed, in base all'articolo 9 della convenzione, tale diritto è strettamente correlato alla realizzazione di alcuni dei più rilevanti principi, cui è finalizzata la convenzione stessa come sancita all'articolo 3, vale a dire il diritto per le persone con disabilità alla vita indipendente ed all'inclusione sociale;
          ai fini dell'attuazione di quanto sopra e in particolare dei principi costituzionali e della convenzione ONU di non discriminazione e di pari opportunità, si devono promuovere delle iniziative intese a rimuovere gli ostacoli che ancora oggi impediscono o rendono difficoltosa la piena partecipazione delle persone in situazione di disabilità alle attività economiche e sociali;
          a tutt'oggi è disapplicata, in maniera rilevante da parte degli enti locali competenti la normativa in tema di rimozione degli ostacoli di natura architettonica e sensoriale, le cosiddette barriere architettoniche, che pregiudicano la mobilità delle persone con disabilità e quindi la loro libertà di spostamento in modo autonomo;
          quanto sopra si verifica nonostante l'esistenza dei piani di eliminazione delle barriere architettoniche, (d'ora in poi PEBA), strumenti di gestione urbanistica per pianificare gli interventi e edifici e spazi pubblici, previsti dalla legge n.  41 del 1986, articolo 32, commi 21 e 22, e dalle legge quadro sull’handicap n.  104 del 1992 articolo 24, comma 9;
          questi piani avrebbero dovuto essere adottati, fin dal febbraio 1987, dagli enti centrali e locali in base alle rispettive competenze sull'edificio o sullo spazio pubblico da adeguare, pena, per i piani di pertinenza dei comuni e province, la nomina di un commissario ad hoc da parte della regione;
          la normativa sui PEBA, testualmente prevede, all'articolo 38, comma 21, della legge n.  41 del 1986: «Per gli edifici pubblici già esistenti non ancora adeguati alle prescrizioni decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n.  384, dovranno essere adottati da parte delle Amministrazioni competenti piani di eliminazione delle barriere architettoniche entro un anno dalla entrata in vigore della presente legge» ed al successivo comma 22: «Per gli interventi di competenza dei comuni e delle province, trascorso il termine previsto dal precedente comma 21, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano nominano un commissario per l'adozione dei piani di eliminazione delle barriere architettoniche presso ciascuna amministrazione»;
          detta normativa è stata modificata ed integrata dall'articolo 24, comma 9, della legge n.  104 del 1992 che testualmente prevede: «I piani di cui all'articolo 32, comma 21, della citata legge n.  41 del 1986 sono modificati con integrazioni relative all'accessibilità degli spazi urbani, con particolare riferimento all'individuazione e alla realizzazione di percorsi accessibili, all'installazione di semafori acustici per non vedenti, alla rimozione della segnaletica installata in modo da ostacolare la circolazione delle persone handicappate»;
          l'associazione «Luca Coscioni» per la libertà di ricerca scientifica, occupandosi anche della tutela delle persone con disabilità ed in particolare dell'affermazione dei loro diritti, ivi compreso il diritto alla mobilità ha promosso nel 2009 e vinto, a marzo di quest'anno, un ricorso, in base alla legge del 1o marzo 2006, n.  67, recante «Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni», contro il comune di Roma per la mancanza di regolamentari scivoli per accedere con la sedia a rotelle alla maggior parte dei marciapiedi dove sono poste le fermate degli autobus del trasporto pubblico, creando una discriminazione nella fruizione dei bus a sfavore delle persone disabili non deambulanti;
          nel corso del relativo procedimento comune di Roma non ha prodotto un piano di graduale messa a norma dei marciapiedi dove insistono le fermate degli autobus relative al centro di Roma, come da esplicita richiesta contenuta nel ricorso dell'associazione «Luca Coscioni» nonostante tale piano di eliminazione delle barriere architettoniche dovesse essere già elaborato nel PEBA del comune di Roma;
          l'omessa presentazione del PEBA in corso di giudizio fa ragionevolmente presumere che Roma Capitale non abbia adottato dal 1986 alcun PEBA e che la regione non abbia vigilato su tale adempimento nominando un commissario ad acta per garantirne l'adozione  –:
          quante e quali regioni, inclusa la regione Lazio, abbiano adottato e aggiornato il proprio piano di eliminazione delle barriere architettoniche, PEBA, come previsto dalla legge per quanto riguarda gli edifici e le pertinenze facenti parte del proprio patrimonio o comunque rientranti nelle propria gestione o controllo e quali iniziative di competenza si intendano assumere per promuovere l'abbattimento delle barriere architettoniche. (5-06886)

Interrogazione a risposta scritta:


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il paese di Sarno, in provincia di Salerno, tra il 4 e il 6 maggio 1998 è stato investito e sconvolto da una massa di fango e di detriti che si è staccata dalla montagna e dalla collina che sovrastavano la stessa Sarno, e i paesi di Siano, Braciagliano e Quindici, provocando 161 morti;
          l'area del bacino idrografico del fiume Sarno, notoriamente sottoposto a un enorme rischio ambientale, si è verificata una impressionante quantità di scempi ambientali;
          nel 1998, anno della tragedia, i cantieri abusivi sequestrati dai vigili urbani risultavano essere 74;
          dieci anni dopo la tragedia, nel 2008, i cantieri abusivi sequestrati nella stessa area risultavano essere addirittura trecento;
          detta situazione è stata denunciata in un circostanziata inchiesta del giornalista Roberto Galullo, pubblicata da Il Sole 24 Ore nella sua edizione dell'8 ottobre 2009  –:
          se nel frattempo si siano adottati, sollecitati, predisposti provvedimenti in ordine a quanto sopra sommariamente esposto;
          quanti cantieri abusivi siano stati sequestrati dal 2008 al 2010 nell'area del bacino idrografico del fiume Sarno già teatro della frana del 1998. (4-16122)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      CATANOSO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          il blue box è un dispositivo di rilevazione satellitare installata a bordo dei motopescherecci che consente l'identificazione dell'unità da pesca, l'individuazione della sua esatta posizione geografica, la data e l'ora di rilevamento, la velocità e la rotta;
          i dati vengono memorizzati ad intervalli regolari di due ore e successivamente trasmessi alle capitanerie di porto;
          lo strumento – introdotto per la salvaguardia delle risorse ittiche e per la sicurezza dei naviganti – sta creando serie difficoltà ai pescatori siciliani sempre più costretti, a causa della rarefazione delle risorse, a pescare più lontano, con aggravio di costi e di rischi cui si aggiungono le sanzioni per sconfinamento;
          la normativa vigente autorizza le imbarcazioni ad esercitare la pesca entro scaglioni di distanza molto precisi e rigorosi;
          si rende necessario non solo semplificare le procedure, rivelatesi alquanto complesse e costose, ma anche ridiscutere i limiti di queste fasce in funzione della sicurezza e della reale posizione delle attuali aree di pesca;
          alcune capitanerie, riscontrando l'interruzione dei segnali ed applicando i regolamenti vigenti, hanno multato le imbarcazioni, con conseguenti danni economici e sociali alle imprese di pesca;
          ulteriori timori riguardano la possibilità che la blue box possa essere utilizzata anche per questioni di polizia marittima, mettendo a repentaglio la libertà degli individui per le indiscutibili questioni legate alla privacy;
          con decreto del Ministero 1° luglio 2006 è stato disposto il trasferimento degli oneri relativi al traffico satellitare e alla manutenzione delle blue box, con la conseguente intestazione a loro nome dei relativi contratti;
          nei primi tempi dell'installazione di questo strumento, imposto dall'Unione europea a tutela dei numerosi interessi coinvolti nel settore della pesca, non ultimo quello dei pescatori italiani, sono stati consentiti utilizzi parziali, sperimentazioni e sono state superati i malfunzionamenti legati alla prima fase di sperimentazione;
          con il decreto legislativo n.  4 del 9 gennaio 2012 sono state adottate misure per il riassetto della normativa in materia di pesca ed acquacoltura con un aggiornamento delle infrazioni e delle relative sanzioni a carico degli armatori e dei pescatori italiani;
          il decreto ha esteso ed ampliato le sanzioni in caso di infrazioni ponendo l'Italia fra i Paesi più virtuosi in ambito comunitario con la conseguenza, a giudizio dell'interrogante, di mettere in difficoltà la nostra marineria a tutto vantaggio di quella nord-africana e di quei Stati membri, come per esempio Malta, che hanno limiti di pesca più ampi e sanzioni più lievi;
          la rete radio tele gestita dal Corpo delle capitanerie di porto dovrebbe essere stata completata e nulla ostacolerebbe, a giudizio dell'odierno interrogante e delle maggiori associazioni di categoria, l'ampliamento del limite le 40 miglia  –:
          se il Ministro interrogato intenda assumere le necessarie iniziative per estendere l'abilitazione delle imbarcazioni da pesca ravvicinata dalle attuali 20 miglia a 40 miglia dalle coste e dalle attuali 40 miglia alle 80 miglia nei periodi stagionali ed estivi da aprile ad ottobre. (5-06889)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazioni a risposta scritta:


      MANCUSO, CROLLA, DE LUCA e BARANI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la Corte dei conti ha presentato la relazione annuale sul costo del lavoro pubblico e sull'efficienza della burocrazia italiana;
          dalla relazione emerge che il costo per l'erario delle cosiddette «prerogative sindacali dei lavoratori statali» ammonta a 151 milioni di euro l'anno;
          dal dossier emerge che «la fruizione dei diversi istituti, tra aspettative retribuite, permessi, permessi cumulabili e distacchi, relativamente al 2010 può essere stimata come l'assenza dal servizio per un intero anno lavorativo di 4.569 unità di personale»  –:
          se il Governo intenda verificare la possibilità di una diminuzione dei costi legati alle prerogative sindacali dei lavoratori statali. (4-16108)


      NASTRI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 5 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n.  5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n.  35, recante: «Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo», prevede norme in materia di cambio di residenza in tempo reale, con il duplice obiettivo di consentire l'effettuazione del cambio di residenza con modalità telematica e di produrre immediatamente, al momento della dichiarazione, gli effetti giuridici del cambio di residenza, in modo da evitare i gravi disagi e gli inconvenienti determinati dalla lunghezza degli eventuali tempi di attesa;
          le suesposte finalità sono illustrate all'interno di un opuscolo pubblicato dal dipartimento della funzione pubblica in cui si legge testualmente: «cambio di residenza in tempo reale»;
          risulterebbe condivisibile, a giudizio dell'interrogante l'introduzione del predetto principio, se fosse effettivamente attuata in linea con quanto previsto dall'articolo 5 nonché con quanto riportato dal predetto opuscolo informativo, ma in concreto l'applicazione della norma appare differente e più complessa rispetto ai propositi iniziali;
          la circolare del 27 aprile 2012 emanata dal dipartimento per gli affari interni e territoriali del Ministero dell'interno, riporta infatti che: a partire dal 9 maggio i cittadini potranno presentare le dichiarazioni anagrafiche, di residenza e di trasferimento all'estero, senza recarsi necessariamente allo sportello del comune, ma inviandole per posta o in alternativa, a mezzo fax o per posta elettronica;
          in quest'ultimo caso, riporta la circolare, è necessario sottoscrivere la dichiarazione attraverso la firma digitale, essere identificati dal sistema informatico, ad esempio tramite la carta d'identità elettronica o la carta nazionale dei servizi, inviare la dichiarazione dalla casella di posta elettronica certificata dal dichiarante e trasmettere per posta elettronica «semplice» copia della dichiarazione con firma autografa e del documento d'identità del dichiarante;
          per effettuare il cambio di residenza on line, in conseguenza di quanto prevede la suddetta circolare, è necessario pertanto possedere: casella di posta certificata (Pec), firma digitale, carta d'identità elettronica, (Cie) e/o carta nazionale dei servizi (Cns), casella di posta elettronica «semplice», scanner per effettuare copia della dichiarazione autografa e del documento d'identità del dichiarante;
          a giudizio dell'interrogante, in considerazione di quanto esposto, appare evidente come le norme introdotte e precedentemente riportate, sulle intenzioni di semplificare le procedure volte ad ottenere attraverso facili passaggi per via telematica il cambio di residenza, come affermato, tra l'altro, anche dal Presidente del Consiglio dei ministri in più occasioni, risultino in realtà alquanto complesse e difficili se si considera, inoltre, improbabile che i cittadini (oltre 1 milione e 400 mila fonte Istat) che annualmente richiedono il cambio di residenza, si sobbarchino la trafila della richiesta degli strumenti informatici suddetti, senza che, con ogni probabilità, riescano a trovare adeguate risposte;
          risulta altrettanto evidente, a giudizio dell'interrogante, una sorta di falla di interoperabilità e cooperazione tra gli strumenti innovativi e quelli tradizionali, la cui incrinatura si accentua maggiormente se si considera il numero ridotto di cittadini che in Italia, possiedono la carta d'identità elettronica (cie), la carta nazionale dei servizi (csn), la posta elettronica certificata (pec), rispetto all'effettiva domanda;
          il suesposto decreto-legge n.  5 del 2012 in materia di semplificazione e di sviluppo, avrebbe dovuto individuare, a giudizio dell'interrogante, uno strumento normativo idoneo, volto a garantire l'identità dei cittadini sia nell'ambito della sfera reale che in quella attraverso interventi di semplificazione e unificazione tra la carta d'identità elettronica, e carta nazionale dei servizi e tessera sanitaria e solo successivamente si sarebbe potuto ipotizzare di consentire il trasferimento di residenza on line previa standardizzazione delle procedure elettroniche comunali, che presiedono alle suesposte operazioni  –:
          quali orientamenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa e, conseguentemente, quali iniziative intendano intraprendere al fine di rendere effettivamente più agevole, sul piano concreto, il cambio di residenza attraverso l'utilizzo del sistema telematico, rispetto a quanto esposto in premessa, posto che si evidenziano complicati passaggi e adempimenti informatici tutt'altro che accessibili ed in netta controtendenza rispetto a quanto prevede la finalità stessa dell'intero impianto normativo del decreto-legge cosiddetto «semplifica-Italia»;
          se non intendano assumere un'iniziativa normativa ad hoc volta a semplificare gli adempimenti telematici, necessari per il cambio di residenza sulla base di quanto proposto dall'interrogante in premessa.
(4-16114)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      VIOLA e MARTELLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l'assistenza ai malati cronici deve, per quanto possibile, essere assicurata territorialmente;
          l'azienda ASL n.  10 Veneto Orientale con sede in San Donà di Piave (VE) conta 218.000 residenti, dei quali 115 malati cronici dializzati che vengono trattati in tre centri dialisi ubicati negli ospedali pubblici di Portogruaro, San Donà di Piave e Jesolo
          la situazione riferita a dicembre 2011 era la seguente:
              a) Portogruaro con 96.850 residenti, pari al 44,4 per cento del totale aziendale, accoglie 43 dializzati del capoluogo e dei comuni del mandamento ai quali vanno aggiunti 3 provenienti dal sandonatese, in quanto centro dotato di letti contumaciali, per un totale di 46 dializzati trattati su due turni con una incidenza percentuale del 44 per cento coincidente con quella dei residenti;
              b) Sandonatese con 121.150 residenti pari al 55,6 per cento del totale aziendale eroga il servizio su due centri ospedalieri;
              San Donà il cui centro è ubicato in locali angusti, vecchi e del tutto insufficienti a soddisfare le esigenze dei 21 dializzati residenti nel capoluogo e dei 28 residenti nei comuni del mandamento, eccetto Jesolo, per un totale di 49, per cui, a fronte di 95.300 residenti pari al 43,74 per cento dei residenti del sandonatese, totalizza una percentuale del 42,61, di cronici;
              il centro di San Donà tratta, su due turni, solo 28 dializzati del sandonatese cui vanno aggiunti 3 provenienti dal portogruarese per un totale di 31 con una incidenza percentuale del 26,95 per cento rispetto al totale dei dializzati, i restanti 18 pazienti vengono trattati a Jesolo;
              c) Jesolo con 25.850 residenti, pari all'11,87 per cento dei residenti del sandonatese con 16 (12 di Jesolo più 4 di Cavallino) pari al 13,91 per cento, tratta per 3 giorni su unico turno e per altri 3 su due turni, oltre ai suoi 12 pazienti altri 4 provenienti dal Cavallino, più 18 provenienti dal sandonatese e ulteriori 4 provenienti dal portogruarese per un totale di 38 con una incidenza percentuale del 33,055;
          la situazione di grave sofferenza del sandonatese e in particolare della cosiddetta Città del Piave che con 65.000 abitanti conta da sola 35 dei 115 cronici dializzati è evidente e i dati sovrariportati non abbisognano di ulteriori commenti. Essi rappresentano un disservizio per gli utenti costretti a spostarsi, in particolare dal sandonatese e dal portogruarese, spostamenti sempre più gravosi col passare degli anni per i malati e i loro familiari e con costi di trasporto progressivamente crescenti per l'azienda;
          questa anomalia organizzativo-gestionale, così penalizzante per i malati, è stata ripetutamente rappresentata nel passato dagli Organismi di tutela dei diritti del malato alla dirigenza aziendale sollecitando interventi adeguati a risolvere il problema;
          allo scopo l'attuale direttore generale dottor Paolo Stocco ha commissionato la redazione di un progetto che prevede la riallocazione del centro dialisi, spazi dedicati ai controlli dei trapiantati e per i dializzati peritoneali oggi costretti in spazi vetusti e insufficienti;
          il progetto del valore di 7.000.000 di euro, è stato approvato dal CRITE, organismo regionale preposto alla valutazione tecnica dell'edilizia ospedaliera, mentre il finanziamento, in carenza di fondi regionali, è stato ricercato a livello statale con esito positivo anche se è stato finanziato per un importo di 5.000.000 di euro, inferiore a quello richiesto;
          la regione con propria deliberazione (DGR n.  262 del 15 marzo 2011) ha approvato una lista di interventi, finanziati dal Ministero, fra i quali il progetto di cui sopra, diventando così cantierabile;
          consta che il Ministero abbia rinviato l'erogazione dell'importo finanziato impedendo l'appalto dell'opera attesa da tanti anni e, per la situazione sopra ricordata, assolutamente necessaria e prioritaria  –:
          quali siano i motivi che impediscono l'erogazione del finanziamento citato e se non ritenga in ogni caso di attivare immediatamente ogni azione utile a sbloccare tale erogazione al fine di procedere al più presto alla gara di appalto e alla relativa realizzazione di un progetto fondamentale per la sanità dei tanti cittadini di quel territorio. (5-06874)


      BELLANOVA, BORDO, GRASSI, SERVODIO e VICO. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          nel novembre 2010 la regione Puglia ha sottoscritto il piano di rientro sanitario 2010-2012 finalizzato a verificare la qualità delle prestazioni ed a raggiungere il riequilibrio dei conti dei servizi sanitari regionali;
          nella realtà dei fatti, come scrivono le segreterie regionali delle organizzazioni sindacali della dirigenza medica e veterinaria pugliese, ANAAO - AAROI-EMAC - CGIL MEDICI - CIMO - CISL MEDICI - FASSID - FESMED - FVM - F.UIL Med, in una lettera aperta datata 20 aprile 2012, il sistema sanitario pugliese versa in condizioni di estrema difficoltà: il «Piano di rientro non ha curato ma ha ulteriormente aggravato lo stato di malattia in cui versa il Sistema sanitario regionale. Difatti, la intrapresa azione di risanamento dei conti pubblici non ha rimosso preliminarmente i veri punti di spreco (ad esempio, la spesa farmaceutica, l'acquisizione di beni e servizi, l'eccessivo ricorso a spese legali viziate da condotta temeraria) ma, al contrario, ha vieppiù incentivato – attraverso l'ulteriore riduzione di 1.400 posti letto ospedalieri, già drammaticamente inferiori (3,8 per mille) rispetto a quelli dello standard nazionale (4 per mille), e il blocco delle assunzioni – la già rilevante precarietà della sanità regionale e pertanto il diritto ad una salute congrua della popolazione utente ed il diritto degli operatori sanitari a poter operare in condizioni di salvaguardia»;
          uno dei nodi principali riguarda la questione dei medici cosiddetti «ex stabilizzati», 530 sanitari la cui stabilizzazione è venuta meno per l'effetto combinato della pronuncia di incostituzionalità da parte della Corte costituzionale sulla legge regionale 4/2010, che riguardava dirigenti, medici dei reparti, del 118 e lavoratori socialmente utili e che consentiva la loro stabilizzazione, e della disposizione di cui all'articolo 16, comma 8 del decreto-legge n.  98 del 2011, che ha dichiarato la nullità dei provvedimenti di stabilizzazione adottati sulla base di leggi dichiarate incostituzionali;
          la legge n.  4 del 2010 della regione Puglia prevedeva l'assunzione «a tempo indeterminato» alle dipendenze dirette della sanità pugliese del personale di società e cooperative che avessero prestato servizi alle Ausl, la stabilizzazione di personale della precedente impresa o società affidataria dell'appalto, senza alcuna forma selettiva» nonché, il fatto che «il personale appartenente alla dirigenza medica del servizio sanitario regionale che (...) risulti in servizio da almeno cinque anni in un posto di disciplina diversa da quella per la quale è stato assunto è inquadrato, a domanda, nella disciplina nella quale ha esercitato le funzioni» purché abbia i requisiti previsti dal regolamento di disciplina concorsuale;
          la mancata stabilizzazione del personale sanitario si inserisce in un contesto particolarmente delicato ed è correlato al più generale problema della carenza di personale del sistema sanitario pugliese, in parte condizionato anche dai vincoli imposti dal piano di rientro sanitario;
          il sopracitato personale medico ha di fatto lavorato sopperendo alla carenza di personale e fornendo agli utenti del servizio sanitario un servizio di immediato interesse pubblico, in assenza del quale molti reparti avrebbero rischiato un vero e proprio cortocircuito. Un esempio tangibile in tal senso è rintracciabile nelle figure dei medici in servizio presso i pronto soccorso pugliesi che hanno svolto la propria funzione all'interno dei reparti di medicina e chirurgia d'accettazione e d'urgenza, operando attraverso la proroga di contratti a tempo determinato e che oggi vedono svanire la possibilità di una concreta stabilizzazione, nonostante l'esperienza maturata da diversi anni di lavoro continuativo all'interno del pronto soccorso;
          l'interesse a cui dovrebbe tendere un servizio sanitario efficiente nei confronti dell'utenza imporrebbe, per ciò che concerne il reclutamento del personale, di affidarsi ad operatori già formati, esperti che conoscano bene il contesto di riferimento entro il quale operare e programmare l'attività e che non siano soggetti a continui cambiamenti come, invece, si riscontra con il conferimento di incarichi a tempo determinato  –:
          pur nel rispetto delle competenze regionali, quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare affinché la carenza di personale sanitario, in Puglia come nelle altre regioni, non metta a rischio i livelli essenziali di assistenza in alcuni comparti della sanità pugliese e, quindi, la salute dei cittadini e il loro diritto a farsi curare dal servizio sanitario nazionale;
          se il Governo non ritenga opportuno intervenire affinché, pur nel controllo e nel rientro dai deficit sanitari, vi sia dove necessario, lo sblocco del turnover del personale sanitario, onde consentire non solo la stabilizzazione del personale precario – attraverso procedure che prevedano l'opportuno riconoscimento del valore dell'esperienza maturata negli specifici settori di attività – ma anche organici adeguati al fabbisogno delle popolazioni locali. (5-06885)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 1, comma 15, del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.  309 del 199 dispone che «Ogni tre anni, il Presidente del Consiglio dei Ministri, nella sua qualità di Presidente del Comitato nazionale di coordinamento per l'azione antidroga, convoca una conferenza nazionale dei problemi connessi con la diffusione delle sostanze stupefacenti e psicotrope alla quale invita soggetti pubblici e privati che esplicano la loro attività nel campo della prevenzione e della cura della tossicodipendenza. Le conclusioni di tali conferenze sono comunicate al Parlamento anche al fine di individuare eventuali correzioni alla legislazione antidroga dettate dall'esperienza applicativa»;
          l'ultima Conferenza nazionale sulle droghe si è tenuta a Trieste;
          il presidente di forum droghe e il presidente della associazione Antigone rendevano nota il 21 dicembre 2011 una lettera aperta pubblicata sul sito «droga e dipendenze, che fare» da loro indirizzata ad Andrea Riccardi (Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione, con delega sulle tossicodipendenze);
          non risulta agli interroganti che la lettera aperta citata abbia avuto alcuna risposta da parte del Ministro Riccardi;
          il 25 novembre 2011 il Dipartimento politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri emanava le «Linee di indirizzo per l'incremento della fruizione dei percorsi alternativi al carcere per persone tossicodipendenti e alcoldipendenti sottoposte a provvedimenti dell'Autorità Giudiziaria limitativi o privativi della libertà personale»;
          le linee di indirizzo riassumono l’iter di affidamento in prova di detenuti tossicodipendenti o alcooldipendenti, ai sensi dell'articolo 94 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti di cui al decreto del Presidente della Repubblica, n.  309 del 1990;
          sostanzialmente sono una summa di considerazioni che agli interroganti paiono ascrivibili all'impostazione rigidamente proibizionista del sottosegretario pro tempore alla presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi e del dottor Giovanni Serpelloni, allora come ora capo dipartimento delle politiche antidroga della presidenza del Consiglio dei ministri;
          a pagina 46 del documento citato, nel paragrafo intitolato «Il diritto alle cure gratuite per le persone tossicodipendenti», è scritto: «La somministrazione controllata di Eroina viene esclusa per la bassa aderenza al trattamento riscontrata nel medio-lungo termine, per la necessità di assumerla per via endovenosa ben 4 volte al giorno e per la necessità di eseguire questa terapia da parte del paziente sempre in ambiente sanitario controllato con la necessità di valutazione per almeno 60 minuti post iniezione con ciò che comporta per il paziente in termini di tempo/ore dedicate (dalle 5 alle 7 ore al giorno compresi gli spostamenti). L'eroina inoltre non viene utilizzata anche per l'aumentato rischio di overdose rispetto al metadone e per la presenza di farmaci alternativi (metadone, buprenorfina) che si sono dimostrati più sicuri, efficaci e maneggevoli»;
          a pagina 48 del documento citato, è scritto: «La politica e gli interventi di harm reduction (riduzione del danno), se applicati da soli e al di fuori di un contesto sanitario orientato alla cura, alla riabilitazione ed al reinserimento delle persone, risultano, nel lungo termine, fallimentari, costosi, e di scarso effetto preventivo, oltre al fatto che sono in grado di cronicizzare lo stato di tossicodipendenza»;
          a pagina 49 del documento citato, è scritto: «È fondamentale basare le scelte degli interventi, le programmazioni delle azioni, dei sistemi preventivi ed assistenziali nel campo della droga, sulle evidenze scientifiche di sicurezza, efficacia e sostenibilità ma è altrettanto importante integrare e bilanciare queste scelte con criteri etici e di accettabilità sociale nel contesto di appartenenza. Le prove di efficacia (evidence based approach) così come le analisi economiche di costo beneficio e costo efficacia, non possono da sole bastare a giustificare le scelte strategico-politiche di programmazione sanitaria per la prevenzione, cura e riabilitazione delle malattie quali la dipendenza da sostanze»  –:
          se da quanto scritto a pagina 46 del documento di cui in premessa si possa desumere che non esistano attualmente divieti normativi alla somministrazione controllata di eroina ai cittadini tossicodipendenti da parte del Servizio sanitario nazionale ma solamente considerazioni di opportunità medico-scientifica, come teli del tutto opinabili;
          se intenda chiarire le considerazioni contenute nei passaggi del documento di cui in premessa relativi sia alle misure di «riduzione del danno» sia alle prove di efficacia (evidence based approach);
          se il Governo ritenga di ottemperare a quanto previsto dall'articolo 1, comma 15, del testo unico di cui decreto del Presidente della Repubblica n.  309 del 1990, convocando entro fine anno la Sesta conferenza nazionale sulle droghe. (5-06890)


      ANTONINO RUSSO, MAZZARELLA, BOSSA e PICCOLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          l'area generale di coordinamento assistenza sanitaria regione Campania, con decreto dirigenziale n.  13 del 6 febbraio 2009, integrato con decreto dirigenziale n.  17 del 17 febbraio 2009, pubblicato sul Bollettino ufficiale della regione Campania del 16 marzo 2009 e sulla Gazzetta Ufficiale n.  19 del 10 marzo 2009, ha approvato il bando di concorso, per titoli ed esame, per la predisposizione di una graduatoria unica regionale di farmacisti idonei per l'assegnazione di sedi farmaceutiche di nuova istituzione o vacanti di titolare, dichiarate disponibili per il privato esercizio in regione Campania;
          con i decreti dirigenziali n.  326 del 9 dicembre 2010 e n.  8 del 18 gennaio 2011 è stata nominata la commissione esaminatrice;
          con determina dirigenziale n.  2 del 21 marzo 2012 sono state fissate le date del concorso per non incorrere nell'invalida del bando;
          negli stessi giorni è stato convalidato in legge il decreto liberalizzazioni (decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 24 marzo 2012, n.  71);
          in tal senso, il decreto liberalizzazioni ha imposto di porre a concorso, con nuove modalità, tutte quelle sedi per le quali non esistano graduatorie definitive valide, non siano in atto procedure concorsuali e, insieme, ha stabilito di annullare tutti i concorsi per i quali non siano state fissate le date di svolgimento del concorso all'atto della pubblicazione dello stesso;
          con decreto dirigenziale n.  19 del 26 aprile 2012 è stato pubblicato lo stralcio dell'elenco dei quiz, ritenuti obsoleti, da quelli pubblicati in Gazzetta Ufficiale – 4a serie speciale – del 27 marzo 1998;
          il giorno 8 maggio 2012, venti giorni prima dell'inizio della prova concorsuale, è stato pubblicato, sul sito istituzionale della regione Campania, il calendario «prova bando di concorso, per titoli ed esame, per la predisposizione di una graduatoria regionale di farmacisti idonei per l'assegnazione di sedi farmaceutiche di nuovo istituzione o vacanti di titolare, dichiarate disponibili per il privato esercizio in Regione Campania bandito con DD 13/2009 ed integrato con DD 17/2009» da svolgersi presso la Città della Scienza di Napoli;
          il seguente calendario recava le date e gli orari di svolgimento del concorso per i candidati divisi in ordine alfabetico;
          tuttavia, tale calendario è stato rimosso dopo poche ore e sostituito dalla dicitura: «8 maggio 2012 – revoca calendario di esami – Causa problemi tecnici, la pubblicazione del calendario è stata temporaneamente sospesa»;
          per tali inspiegabili ragioni si è verificata una evidente sovrapposizione di questa procedura concorsuale ante-decreto liberalizzazioni con la procedura concorsuale prevista dal medesimo decreto che impone alla regione di bandire, entro il 26 giugno 2012, il concorso straordinario per soli titoli per le sedi spettanti e calcolate secondo i nuovi criteri demografici;
          pertanto, esiste l'evidente pericolo che una procedura concorsuale rallenti inesorabilmente l'altra, a tempi infiniti e incalcolabili;
          a tutt'oggi, i 4000 candidati farmacisti che hanno presentato domanda e che hanno versato i 40 euro di tassa di concorso pro capite, restano in attesa di notizie certe ed ufficiali da parte della regione Campania riguardo sia alte date di svolgimento del concorso che alla legittimità del concorso stesso  –:
          di quali elementi disponga in relazione all’iter concorsuale descritto in premessa considerato che le incongruenze e le sovrapposizioni elencate potrebbero compromettere lo sforzo di coordinamento di cui il Ministro ha dato recentemente conto in sede parlamentare. (5-06893)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BOCCUZZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la relazione tecnica del Ministero della salute firmata dal ministro Balduzzi che accompagna il nuovo decreto sui filtri domestici per l'acqua ha stabilito che le caraffe filtranti non solo sarebbero inutili ma addirittura potrebbero peggiorare la qualità dell'acqua potabile eliminando non le sostanze pericolose ma le caratteristiche di potabilità poiché vendute senza controllo e sulla base di vecchie disposizioni inadeguate per la salvaguardia della salute;
          secondo il Ministero le caraffe in oggetto hanno solo il potere di modificare le proprietà organolettiche che vanno dal sapore all'odore;
          le stesse caraffe hanno necessità di una continua manutenzione in assenza della quale si potrebbe anche andare incontro alla perdita delle caratteristiche di potabilità dell'acqua;
          vengono inoltre modificate le caratteristiche dell'acqua senza tener conto della sua composizione specifica, rimuovendo indistintamente calcio magnesio e altri Sali;
          anche le indagini avviate da alcune procure farebbero credere che sono convinzioni non supportate da elementi scientifici come già sostenuto nella perizia commissionata dal pubblico ministero Raffaele Guariniello che ha dimostrato che l'applicazione del filtro non migliora la qualità dell'acqua del rubinetto impoverendola altresì dei sali minerali quali il calcio il magnesio e il potassio necessari per l'organismo  –:
          se il Ministro interrogato non intenda immediatamente avviare un monitoraggio che garantisca fin da ora il rispetto delle nuove norme in materia di salute e di sicurezza dei cittadini, e consenta di evitare ogni forma di informazione ambigua o non veritiera nei confronti dei consumatori. (4-16106)


      BOCCUZZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          viene definito acufene quella sensazione uditiva un suono continuo, costante (ad esempio fischi, ronzii, e altro) percepito in un orecchio o in entrambi o nella testa. Questa patologia non è semplicemente un disturbo molto fastidioso, come si usa spesso liquidarlo, ma una vera e propria malattia invalidante che affligge in Italia il 10 per cento della popolazione priva di difetti uditivi;      
          vivere per mesi, anni, sentendo ininterrottamente nelle orecchie e nella testa rumori, anche multipli è un vero stillicidio, che provoca uno stato invalidante dal punto di vista dell'assetto psicologico ed emozionale, del livello di attenzione e concentrazione, della vita di relazione. Fattori che spesso portano ad uno stato di forte depressione, a volte con risvolti drammatici quali la morte per suicidio;
          varie sono le classificazioni degli acufeni proposte dagli studiosi nell'arco di mezzo secolo. Alcuni distinguono gli acufeni in oggettivi e soggettivi. Gli acufeni oggettivi sono molto rari e si presentano come suoni che si generano all'interno del corpo umano, come ad esempio quelli originati da un flusso vascolare particolare o da contrazioni muscolari;
          gli acufeni soggettivi sono i più comuni e si individuano nei casi in cui il soggetto percepisce un suono che non è ascoltabile dall'esterno e che può essere provocato da farmaci, ma anche da alcool, caffeina e antidepressivi;
          ad oggi i portatori in Italia sono oltre cinque milioni  –:
          quali iniziative intenda adottare per avviare studi e ricerche su questa patologia un po’ dimenticata, ma che può colpire tutti indistintamente. (4-16112)


      FUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          nell'ottica di valorizzare le esperienza positive, riportandole come modello per eventuali interventi di carattere nazionale, l'interrogante ritiene utile portare all'attenzione del Governo un accordo recentemente firmato tra la ASL Bat e Federfarma (che prevede anche percorsi di formazione per gli operatori) in base al quale ogni farmacia nel territorio della provincia di Barletta-Andria-Trani si doterà di un defibrillatore;
          si tratta di una iniziativa certamente importante perché la presenza di defibrillatore (e quindi anche di operatori appositamente formati al loro corretto utilizzo) nelle farmacie di un'intera provincia garantisce un ulteriore presidio di emergenza e primo intervento in caso di arresto cardiaco  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'accordo di cui in premessa e, nell'ottica di vedere le farmacie anche come presidio sul territorio per approntare ove necessario interventi di prima urgenza, se ritenga utile avviare a livello nazionale iniziative organizzative e finanziarie che consentano gradualmente a tutte le farmacie presenti in Italia di dotarsi di defibrillatore. (4-16119)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la fondazione Maugeri nasce a Pavia nel 1965, per iniziativa di Salvatore Maugeri, uno dei padri della medicina del lavoro, allo scopo di sostenere le attività dell'università della città, come clinica del lavoro convenzionata con il Servizio sanitario nazionale, per aiutare i pazienti a recuperare le capacità funzionali dopo incidenti, malattie o interventi chirurgici;
          nel 1969 viene riconosciuta Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico, entrando nel giro degli ospedali «di serie A»;
          nel 1995 avviene la trasformazione in «Fondazione Salvatore Maugeri, Clinica del lavoro e della riabilitazione»;
          negli anni la fondazione ha allargato le sue collaborazioni, oltre che in Lombardia, anche in Piemonte, Liguria, Veneto, Campania, Puglia e Sicilia. Ad oggi sono venti i centri e cinquanta i laboratori in Italia che lavorano con l'istituto pavese, con un totale di 770 medici, 2.351 letti in tutta Italia, di cui 1.300 in Lombardia, garantendo 30.000 prestazioni l'anno;
          l'indagine della magistratura tuttora in corso ha messo in luce, secondo quanto riferito dalla stampa, elementi che prefigurano una serie di reati che vanno dalla corruzione all'associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio, e altro. Inoltre sono stati eseguiti una serie di arresti tra cui quello dell'ex assessore regionale della Lombardia, Antonio Simone, e di Pierangelo Daccò, per presunte distrazioni dalle casse del S. Raffaele e della fondazione Maugeri, nonché del manager della Fondazione in questione Costantino Passerino (si veda, ad esempio, News24.it del 14 aprile 2012)  –:
          quali iniziative di competenza il Ministro intenda adottare per avere maggiori elementi di chiarezza su quanto è accaduto, senza che questo rappresenti un ostacolo alle indagini che la magistratura sta svolgendo in autonomia, al fine di garantire ai tanti malati la continuità delle cure, di dare al personale sanitario la garanzia di poter svolgere la propria attività professionale in piena sicurezza e, infine, di salvaguardare le attività scientifiche e di ricerca della fondazione stessa. (4-16134)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il quotidiano Il Mattino nella sua edizione del 6 maggio 2012 ha pubblicato uno sconcertante articolo della giornalista Melina Chiapparono;
          in detto articolo si racconta come l'ospedale Loreto Mare sia da giorni sprovvisto di sapone, rotoli di carta e reggi flebo e altro materiale indispensabile per garantire igiene e funzionalità nei reparti;
          da tempo mancherebbero le manopole lavasciuga utilizzate per pulire i parenti e ci si deve arrangiare con cotone idrofilo, garze e sapone, spesso portati da casa, per riuscire a garantire ai ricoverati un minimo di igiene;
          i dati relativi alle richieste del magazzino ospedaliero vanno – secondo quanto si apprende dall'articolo citato – dalla mancanza di materiale monouso come bicchieri, sapone e rotoloni per le mani fino alla mancanza di spazzoloni per bagni e cestini per il contenimento di flebo, che in caso di necessità sono fissate con cerotti e nastro adesivo ad aste d'acciaio;
          detta situazione è anche radiografata e denunciata in un documento sottoscritto da CGIL, CISL, UIL, che lanciano un vero e proprio SOS: «Esprimiamo grave preoccupazione per l'ormai consolidata carenza dei presidi occorrenti per la pulizia e l'igiene dei degenti e del personale. Solo dopo vivaci sollecitazioni riusciamo ad ottenere una minima parte del materiale per poter soddisfare le esigenze di due o tre giorni, e poi ripiombiamo nell'assoluta indisponibilità di materiali»  –:
          se quanto sopra esposto corrisponde al vero; in caso affermativo, quali urgenti iniziative di sua competenza si intendano promuovere, adottare, sollecitare, anche valutando l'opportunità di promuovere un'ispezione da parte dei carabinieri del NAS. (4-16136)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      BELLANOVA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il gruppo tedesco Rewe international Ag dopo aver acquisito su territorio nazionale gli ipermercati Billa, ex gruppo Standa, da fine 2011 ha messo in campo un programma di cessioni complessivo degli ipermercati. Già 42 filiali sono state cedute al gruppo Conad. Per 6 filiali quali Lecce, Porcia (Pordenone), Vicenza, Treviso, Padova e Verona, Rewe ha adottato la decisione, unilaterale, di avviare le procedure di mobilità senza alcuna prospettiva occupazionale per i circa 150 lavoratori occupati;
          nel febbraio 2012 si è avuta notizia che l'ipermercato Billa, sito a San Cesario di Lecce avrebbe cessato l'attività. I 72 dipendenti salentini si sono visti recapitare una lettera con la quale si dava comunicazione dell'attivazione della procedura di mobilità;
          questa comunicazione ha generato una grande preoccupazione tra tutti gli attori coinvolti nel panorama occupazionale, economico e produttivo del territorio salentino. Primi fra tutti i lavoratori e le loro famiglie. A manifestare forte preoccupazione sono state anche le istituzioni locali, quali, ad esempio, l'amministrazione di San Cesario di Lecce, già fortemente impensierite dagli effetti tangibili che la moria occupazionale ha prodotto a causa dell'attuale crisi economica;
          numerose manifestazioni sono state intraprese nel tentativo di ricercare una soluzione per i 72 lavoratori. In data 26 aprile 2012 a Roma si è tenuto un incontro presso il Ministro interrogato, alla presenza delle organizzazioni sindacali, per discutere i termini della vertenza. Dal sopra citato incontro sono emerse due proposte: la prima circa la possibilità di attivare la cassa integrazione per due anni, bloccando così la procedura di mobilità, a fronte dell'impegno dell'azienda di ricollocare almeno il 30 percento dei lavoratori. La seconda possibilità inerente di ridurre gli ammortizzatori sociali ad un solo anno, con il medesimo impegno di salvaguardia di almeno una parte dei livelli occupazionali. Su entrambe le ipotesi il gruppo Rewe ha respinto il tentativo di mediazione;
          l'impatto devastante che la crisi economica ha avuto sul territorio salentino si evince dai dati distribuiti dai centri per l'impiego i quali sottolineano come al 29 febbraio 2012 il numero dei disoccupati si attestasse a ben 213.644 unità, di cui 163.295 hanno perso il lavoro e ben 50.349 inoccupati. A destare fortissima preoccupazione sono anche i dati relativi all'utilizzo degli ammortizzatori sociali nel territorio salentino. A febbraio 2012, infatti, sono state utilizzate in totale 348.894 ore, di cui 63.784 di cassa integrazione guadagni ordinaria, 246.792 di cassa integrazione guadagni straordinaria e 38.318 ore di cassa integrazione guadagni in deroga  –:
          se il Ministro interrogato, tenendo conto di quanto sopra esposto, non ritenga utile intervenire attraverso una riapertura della trattativa in sede ministeriale allo scopo di trovare una proficua soluzione per il futuro occupazionale di 72 famiglie salentine e dell'intero territorio leccese, già ampiamente penalizzato dalla crisi economica. (5-06876)


      LULLI, VICO, ESPOSITO e BOCCUZZI. —Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          «Ci sarà più Italia nel mondo» è stata la promessa fatta agli italiani dal presidente del Gruppo Fiat, John Elkann, e dall'amministratore delegato, Sergio Marchionne, nel presentare, il 23 aprile 2010, «Fabbrica Italia», la parte del Piano strategico 2010-2014 dedicata alla produzione di auto nel nostro Paese;
          con una lettera aperta agli italiani, i dirigenti del Gruppo FIAT, indicavano «Fabbrica Italia» come «il più straordinario piano industriale che il nostro Paese abbia mai avuto»;
          la lettera continuava dichiarando gli obiettivi da raggiungere nei successivi cinque anni: la produzione di auto e veicoli commerciali in Italia sarebbe passata da 800 mila a 1 milione e 650 mila unità all'anno (più del doppio), il Gruppo avrebbe impegnato quasi il 70 per cento degli investimenti mondiali negli stabilimenti italiani;
          il piano prevedeva inoltre che la quota di veicoli prodotti in Italia e destinati ai mercati esteri salisse dal 44 per cento al 65 per cento, i sindacati accettarono quel Piano che conteneva la chiusura di Termini Imerese ma non i paventati 5.000 licenziamenti nel gruppo;
          in quell'occasione l'amministratore delegato di Fiat dichiarò che il livello degli investimenti destinato al nostro Paese, era «pari ai due terzi di quelli di tutti i business del Gruppo Fiat a livello mondiale», per sottolineare il fatto che le radici industriali del Gruppo erano e rimanevano in Italia;
          il piano «Fabbrica Italia» per il quale la FIAT si impegnava per 20 miliardi di investimenti, prevedeva:
              a) la chiusura di Termini Imerese entro il 2011;
              b) l'incremento graduale dei volumi di produzione nel nostro paese fino a raggiungere nel 2014 le 1.400.000 unità, più del doppio delle 650.000 del 2009; di questi, oltre un milione sarà destinato all'esportazione (300.000 unità per l'America);
              c) a Mirafiori, l'allocazione delle architetture Small e Compact, con un aumento di produzione pari a 100 mila unità, oltre alla riconfigurazione dell'impianto di verniciatura per migliorare i flussi produttivi;
              d) a Cassino volumi quadruplicati;
              e) a Melfi un eccesso delle architetture prodotte nel 2014 su Small di 400 mila unità;
              f) a Pomigliano D'Arco, alla fine del 2014, la produzione di 250 mila unità su base mini ogni anno e lo stabilimento avrebbe avuto volumi superiori alle 240 mila unità;
          un anno dopo la presentazione di «Fabbrica Italia» l'amministratore delegato di Fiat-Chrysler, Sergio Marchionne, tornò ancora una volta su quel Piano derubricandolo da «più straordinario piano industriale che il paese abbia mai avuto», come scriveva nell'aprile 2010, a «una dichiarazione d'intenti» poi nell'ottobre del 2011 a «espressione di un indirizzo strategico»;
          di quel piano è stata attuata la chiusura di Termini Imerese che occupava 2.200 operai, avvenuta il 24 novembre 2011, è di questi giorni il fallimento della trattativa per il rilancio del sito produttivo che doveva passare nelle mani della DR Motor, rivelatosi secondo le banche un partner inaffidabile;
          al dramma di Termini Imerese si è aggiunto il 14 settembre 2011, l'annuncio della chiusura da parte di Fiat Industriale, dello stabilimento Irisbus di Flumeri, in provincia di Avellino, unica fabbrica italiana a produrre autobus;
          il futuro di Irisbus è sempre più incerto, la produzione è ormai ferma da dicembre 2011, i vertici di Fiat Industrial hanno ribadito che non hanno intenzione di investire sullo stabilimento, nessuna offerta concreta è stata presentata al tavolo svoltosi al Ministero dello sviluppo economico il 9 maggio ed è in forse anche la concessione della cassa integrazione in deroga per il secondo anno in quanto per accedere all'ammortizzatore sociale l'accordo sottoscritto l'anno scorso prevedeva come requisito che il 30 per cento del personale fosse già stato collocato, per ora gli operai reimpiegati da Fiat sono una cinquantina su un totale di quasi 700 unità;
          secondo recenti notizie di stampa, smentite da FIAT, nei piani industriali del gruppo 2012-2016 anche Pomigliano e Mirafiori sarebbero a rischio chiusura, a causa della bassa produttività, della conflittualità e del futuro incerto per il mercato della Panda e degli altri prodotti, sarebbe emerse criticità sull'industrializzazione dell'Alfa Romeo 4C, in generale il gruppo ha un sottoutilizzo degli impianti europei che rischia di divenire cronico e l'ipotesi di costruire in Italia per vendere negli Stati Uniti appare sempre più come una chimera;
          si teme che, nonostante la smentita del Gruppo Fiat, la crisi delle vendite nel mercato europeo, i prodotti rinviati o scomparsi, la cassa integrazione in aumento, possano confermare le peggiori previsioni;
          il mercato italiano dell'auto ha perso complessivamente nel 2011 il 10,8 per cento, il gruppo Fiat ha fatto peggio con una flessione del 13,4 per cento, 514.500 immatricolazioni e una quota di circa il 29,4 per cento nel mercato italiano dell'auto;
          parte molto male anche il 2012 per il mercato dell'auto, in tale contesto di crisi a gennaio le vendite del gruppo torinese hanno subito una flessione del 16,92 per cento, a febbraio sono scese del 20,13 per cento, a marzo le immatricolazioni del Gruppo Fiat sono scese del 35,6 per cento in Italia a 35.942 unità contro le 55.807 dello stesso mese del 2011, per l'azienda si tratta del peggior marzo degli ultimi 32 anni, in controtendenza Chrysler/Jeep le cui vendite a marzo sono cresciute del 13,92 per cento a 663 unità, contro le 582 di un anno fa;
          nel 2012 in Europa e in Italia il gruppo Fiat lancerà solo la Fiat 500L, la Lancia Thema a trazione integrale e la Lancia Flavia Cabrio, mentre la nuova Panda è già in vendita dalla fine del 2011;
          di recente FIAT ha acquisito un altro 5 per cento di Chrysler portando la propria partecipazione nell'azienda al 58.5 per cento, negli Stati uniti nel 2011 il Gruppo ha incrementato del 26 per cento le immatricolazioni segnando un record per il mercato automobilistico, ed è leader anche in Brasile;
          a febbraio 2012, il marchio Fiat è cresciuto fortemente sul mercato statunitense con un incremento delle vendite della Fiat 500, del 69 per cento rispetto al mese precedente, Chrysler Group ha registrato negli Stati Uniti nel mese di febbraio vendite pari a 133.521 unità, in aumento del 40 per cento rispetto allo stesso periodo del 2011, che rappresenta il miglior febbraio dal 2008;
          il 39 per cento del valore della produzione FIAT è fuori dall'Italia, e fuori dall'Italia si genera oltre il 62 per cento del fatturato, esiste dunque il fondato dubbio che la spinta all'internazionalizzazione della grande industria da possibile beneficio per il Paese si trasformi in un disastro se i pochi grandi gruppi nazionali ancora presenti non avranno più interesse a rimanere in Italia;
          è necessario affiancare politiche pubbliche mirate alla crescita e all'aumento della competitività alle politiche di risanamento finanziario;
          manca la capacità di investire, di creare una politica di sviluppo industriale che preveda anche cofinanziamenti pubblici su precisi progetti;
          è necessario che il Governo indichi indirizzi strategici in grado di mobilitare la spinta dell'industria nazionale ed estera a investire nel nostro Paese  –:
          quali iniziative intenda assumere per appurare se il gruppo FIAT abbia intenzione di portare avanti il piano «Fabbrica Italia» e quali interventi pubblici possano essere eventualmente messi in campo per favorirne lo sviluppo;
          quali iniziative concrete intenda assumere per risolvere le emergenze createsi nei siti di Termini Imerese e nello stabilimento Irisbus di Flumeri. (5-06879)


      LOLLI, MARIANI, VANNUCCI e VERINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          nella seduta del 15 marzo 2011 della VIII Commissione della Camera dei deputati è stata approvata la risoluzione n.  7-00518 dove si prevede l'apertura di un tavolo tecnico di confronto per definire percorsi alternativi per il metanodotto rete Snam;
          il 14 febbraio 2012 il consiglio regionale dell'Abruzzo ha approvato una risoluzione che formula la stessa richiesta al Ministero dello sviluppo economico;
          in incontri informali con l'attuale Governo tutti si erano detti disposti a convocare un ampio tavolo tecnico di confronto coinvolgendo tutti i soggetti interessati;
          il Ministero dello sviluppo economico ha convocato in data 7 maggio 2012 per il giorno 10 maggio 2012 un tavolo relativo alle problematiche del metanodotto facendo riferimento alla mozione approvata alla Camera e alla risoluzione approvata nel consiglio regionale dell'Abruzzo;
          a questo appuntamento sono state invitate solo alcune delle istituzioni coinvolte come il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la regione Abruzzo, la provincia del L'Aquila e il comune di Sulmona escludendo, ad esempio, il comune de L'Aquila ed il suo assessore che, tra l'altro, è anche il coordinatore del coordinamento interregionale dei comitati, delle istituzioni e delle associazioni mobilitate sull'argomento, oltre che le istituzioni dei territori umbri e marchigiani ugualmente toccati dal progetto del metanodotto;
          tale convocazione, appare agli interroganti, una grave scorrettezza nei confronti di quanto concordato in incontri informali e di quanto richiesto negli atti di indirizzo approvati. Si rimane in attesa della convocazione del tavolo tecnico con tutti i soggetti interessati per definire insieme percorsi alternativi per il metanodotto;
          solo con il coinvolgimento dei territori ed i loro rappresentanti si possono individuare percorsi che rispondano alle richieste di una crescente mobilitazione delle istituzioni e dei cittadini che non può che aumentare esponenzialmente nel caso non vengano ascoltate le loro ragioni e le loro proposte  –:
          se il Ministro sia informato dei fatti e se intenda convocare al più presto il tavolo tecnico di confronto con tutti i soggetti interessati. (5-06887)

Interrogazioni a risposta scritta:


      AGOSTINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la azienda Vis Agro di Rotella (AP) è una azienda che trasforma prodotti alimentari, freschi e surgelati;
          la stessa è insediata su questo territorio oramai da trent'anni, e da sempre è stata una preziosa risorsa per un territorio prevalentemente agricolo;
          occupa circa 85 dipendenti a tempo indeterminato e circa 70 stagionali, per un fatturato complessivo di circa 11 milioni di euro;
          trattandosi di zona agricola la Vis Agro determina anche sull'indotto cioè nel comparto agricolo della zona una possibilità di reddito non indifferente;
          l'azienda ha dichiarato lo stato di crisi fallimentare con conseguente attivazione delle procedure. Ed il tribunale di Ascoli Piceno ha provveduto a nominare i relativi liquidatori;
          i dipendenti hanno potuto attivare solo la cig in deroga in quando il contratto di lavoro applicato era quello di lavoratori agricoli;
          da notizie di stampa pare che ci siano aziende interessate alla acquisizione dell'attività, e sempre da notizie di stampa sembrerebbe che alcuni dipendenti siano intenzionati a formare una cooperativa che possa garantire la prosecuzione dell'attività  –:
          se il Ministro intenda convocare un incontro urgente con la ex proprietà, i liquidatori, le rappresentanze sindacali, per verificare le condizioni di applicazione degli ammortizzatori sociali, verificare se rispondono al vero le notizie circa l'interessamento di possibili acquirenti, e conseguenti piani industriali, al fine del mantenimento dei livelli occupazionali.
(4-16109)


      SBROLLINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la direzione dell'azienda Filivivi Srl, di Piovene Rocchette, in provincia di Vicenza, ha comunicato nei giorni scorsi la decisione di cessare la produzione del settore filatura;
          si tratta di un'azienda storica che, per oltre un secolo, è stata una delle colonne portanti dell'economia dell'Alto vicentino; la Filivivi Srl rappresenta, infatti, le ultime «spoglie» dell'ex Lanerossi, fondata nel XIX secolo e che, da allora, ha sempre dato lavoro agli stabilimenti della vallata dell'Astico; l'azienda è attualmente costituita al 50 per cento dal gruppo Marzotto e al 50 per cento dal gruppo Verzoletto;
          la causa sarebbe ascrivibile alla crisi economica del settore, che si sta trascinando ormai da parecchi anni, senza accenni di ripresa, e che avrebbe provocato perdite consolidate per 28 milioni di euro dal 2006 ad oggi; a questo si aggiunge inoltre il problema dei mancati pagamenti da parte dei clienti, che saldano anche dopo 360 giorni, aggravando ulteriormente la situazione;
          l'azienda ha comunicato ai dipendenti la decisione di cessare completamente l'attività di filatura pettinata e di trasferirla nel proprio stabilimento in Romania; nella sede di Piovene dovrebbe quindi restare operativo solamente il reparto tintoria;
          il grosso delle produzioni, del resto, è già stato dislocato da tempo in Romania; nello stabilimento di Piovene si producono più che altro piccoli lotti e servizio al cliente; gli ordini attuali non sarebbero sufficienti;
          la decisione dell'azienda produce un esubero di personale pari a 127 dipendenti, a cui è di fatto negata qualunque prospettiva; l'azienda sembrerebbe indirizzata verso la richiesta della mobilità;
          i sindacati, invece, chiedono di fermare la procedura e provvedere con cassa integrazione straordinaria e percorsi di outplacement, ovvero di ricollocamento e riqualificazione del personale;
          nel dettaglio si tratta di persone assunte da molto tempo (gli ultimi alla fine degli anni Novanta): solo una parte di essi, però, potrebbe essere accompagnata alla pensione attraverso provvedimenti speciali; per la maggior parte dei lavoratori necessitano altre soluzioni;
          dai lavoratori e dai sindacati, che sono in vertenza, e hanno dichiarato già uno sciopero, arrivano forte delusione, preoccupazione e allarme; sostengono che il lavoro non manchi, ma che stia prevalendo nell'azienda la volontà di spostare le produzioni all'estero;
          i sindacati chiedono percorsi di ricollocamento lavorativo per persone che, in molti casi, sono capi di famiglia con figli a carico, spesso monoreddito con mutui da pagare, e che si ritroverebbero all'improvviso in una condizione di terribile povertà  –:
          se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra esposto; se e come il Governo intenda intervenire su una vertenza spinosa, difficile, che contiene anche alcune contraddizioni, a tutela di una produzione storicamente legata al territorio e delocalizzata; se e come il Governo intenda intervenire a tutela dei lavoratori e delle loro famiglie che rischiano di trovarsi, improvvisamente, senza reddito e senza occupazione. (4-16111)


      DI PIETRO e PALOMBA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la crisi incide sempre di più sul comparto produttivo sardo. I dati emersi dall'ultimo rapporto Unioncamere del 4 maggio 2012 dicono che il prodotto interno lordo della Sardegna è in caduta libera: previsioni economiche negative per il 2012 nel corso del quale l'isola subirà un decremento dell'1,9 per cento rispetto all'anno scorso. Vanno male anche i consumi (-2,6 per cento), gli investimenti (-5,7 per cento) e l'occupazione (-1,7 per cento);
          nel quarto trimestre 2011 l'indagine continua sulle forze di lavoro effettuata dall'Istat ha rilevato, in Sardegna 587 mila occupati. Rispetto al trimestre precedente si registra una diminuzione di circa 28 mila unità. Il dato negativo è quello fatto registrare dalle persone in cerca di occupazione, che, nel solo quarto trimestre del 2011, sono cresciute di 36 mila unità, facendo fare un balzo di oltre 5 punti percentuali al tasso di disoccupazione nell'arco temporale di un solo trimestre, passando dall'11,2 per cento al 16,3 per cento. Il tasso di occupazione diminuisce di 2,4 punti percentuali, passando dal 53,3 per cento al 50,9 per cento;
          i dati Inps diffusi in aprile dicono che oltre 85 mila sardi usufruiscono oggi dei tre principali gruppi di ammortizzatori sociali. La disoccupazione ordinaria con requisiti normali è cresciuta del 5 per cento, così come quella ordinaria con requisiti ridotti. Il dato in assoluto più allarmante è però quello sulla cassa integrazione in deroga, che ha subito un incremento di più del 300 per cento nell'isola in due anni, passando dai due milioni di ore pagate del 2009 ai sette milioni del 2011;
          in questo quadro la vicenda Alcoa è emblematica, non solo per le ragioni ben note della crisi che la coinvolge ma perché è una clamorosa occasione per costruire una filiera industriale in Sardegna che sia sostenibile economicamente, ambientalmente con la creazione di posti di lavoro veri e stabili nel tempo;
          la crisi, pur drammatica, deve trovare un'unità delle istituzioni, dalla regione al governo, e delle organizzazioni sindacali con quelle imprenditoriali, e a tal fine andrebbero coordinati sullo stesso tavolo del Ministero dello sviluppo economico anche altre realtà industriali e cioè:
              a) la Carbonsulcis: unica miniera di carbone italiana in attività. Oggi la miniera è di proprietà della regione Sardegna, che l'ha acquisita, con la finalità di guidarne la transizione verso la privatizzazione. Il suo rilancio definitivo, attraverso una piena capacita estrattiva, è legato alla costruzione di una centrale elettrica di tecnologia moderna, capace di abbattere gli alti valori di CO2 e garantire una resa economicamente sostenibile;
              b) la centrale termoelettrica: è il fulcro attorno a cui ruota il destino del polo industriale di Portovesme. Una centrale elettrica consortile ultramoderna a carbone, gestita dagli stabilimenti della filiera dell'alluminio e compartecipata da Stato/regione, potrebbe risolvere i problemi legati alla tariffa energetica di Alcoa, fornire il vapore necessario a Eurallumina per la sua produzione, soddisfare le esigenze di ILA e SMS, fornendo loro energia a basso costo e rilanciando contemporaneamente la miniera di carbone Carbosulcis, che fornirebbe il combustibile, diventando appetibile per la ricollocazione sul mercato;
              c) la Eurallumina: nell'aprile del 2009, nello stabilimento Eurallumina, di proprietà dei russi della multinazionale Rusal, unica raffineria italiana per la trasformazione della bauxite, in allumina, materia prima per la realizzazione dell'alluminio primario (Alcoa), oltre seicento lavoratori, tra diretti e indiretti, hanno perso il proprio posto di lavoro. Dalla data dell'incontro al Ministero dello sviluppo economico del 14 aprile 2011, sono passati ben dodici mesi e nulla si è concretizzato, anzi, sulla costituzione della società mista composta da Stato, regione e Rusal che doveva costruire la nuova centrale per la produzione del vapore, prima fonte energetica per la marcia degli impianti, si sono registrati passi indietro. Il prezzo complessivo dell'opera è lievitato e la parte di denaro che avrebbe dovuto mettere la regione Sardegna, con tanto di delibera, non risulterebbe essere più disponibile. Gli ammortizzatori sociali dei dipendenti hanno una scadenza, quella del 31 dicembre 2012, l'assegno INPS, sarà decurtato di un ulteriore 30 per cento, e passerà a euro 480,00. Restano in piedi 2 ipotesi per lo stabilimento Eurallumina: la costruzione di una caldaia dedicata, per la produzione di vapore da trasferire a Eurallumina e quella di un Vapordotto che dall'Enel si collega all'Eurallumina. La seconda è l'ipotesi da sempre definita la più economica, la più rapida per i tempi di esecuzione e più strutturale, accantonata un anno fa, per l'indisponibilità di Enel. Per regione e Governo, Eurallumina e Alcoa sono due vertenze che devono essere risolte con interventi sull'energia. La decisione spetta all'Enel. La parola ultima e definitiva spetta alla proprietà, alla Rusal;
              d) l'Alcoa: è una multinazionale americana ed è il maggiore produttore mondiale di alluminio primario e semilavorato. In Italia è presente dal 1996 e nel corso degli anni ha sempre ricevuto ingenti fondi pubblici dallo Stato, l'ultimo nel marzo 2010, quando l'Italia varò quello che fu definito il decreto salva-Alcoa. Solo grazie a questo provvedimento l'Alcoa ritirò la minaccia di chiudere i suoi stabilimenti sardi, avviando nel maggio 2010 un piano di investimenti triennale, per gli anni 2010-2012, recepito negli accordi allora sottoscritti con Governo e sindacato, finalizzato al miglioramento della posizione competitiva dello stabilimento attraverso il pieno recupero della capacità produttiva e il miglioramento di efficienza. Ha una capacità produttiva di 150.000 Ton/anno e conta 502 dipendenti diretti e 350 in appalto; il 6 gennaio 2012 Alcoa ha annunciato il proprio piano di riorganizzazione internazionale della divisione alluminio che, fra l'altro, prevede la riduzione significativa della propria capacità produttiva anche nei propri impianti europei; il 9 gennaio 2012 Alcoa ha annunciato la intenzione di dismettere la produzione nel sito di Portovesme; il 10 gennaio 2012 ha annunciato la propria intenzione di iniziare la procedura di mobilità per l'intero stabilimento di Portovesme; il 27 marzo al Ministero dello sviluppo economico è stato raggiunto un accordo tra le parti interessate il quale prevede, di fronte alla decisione di Alcoa di cessare la produzione di alluminio presso lo smelter di Portovesme per ragioni di ordine economico e di mercato, che in ogni caso lo smelter potrà continuare a operare a condizioni economicamente sostenibili in altri contesti societari. Alcoa da parte sua ha manifestato la propria volontà di favorire la cessione dello stabilimento di Portovesme a investitori interessati ad acquistarlo e gestirlo e ha inoltre informato di aver già ricevuto da alcune multinazionali operanti nel settore, manifestazioni di interesse. Inoltre l'azienda si è impegnata a mantenere la produzione fino al 31 agosto 2012. Qualora entro il 31 agosto 2012 fossero pervenute ad Alcoa formali lettere di intenti di uno o più soggetti industriali, la produzione potrebbe essere mantenuta fino al 31 ottobre 2012. Le parti hanno concordato fin da subito il ricorso alla cassa integrazione guadagni straordinaria per cessazione attività a decorrere, a seconda dei casi, dal 1o novembre 2012 o dal 1o gennaio 2013;
              e) la ILA (industrie laminazione alluminio): la fabbrica ha una sua fonderia con tre linee di colata, un laminatoio sbozzatore a freddo (LAP) che è il cuore di tutto l'impianto, ha quattro forni a gas di ricottura da 65 tonnellate ciascuno, tre forni elettrici più piccoli per il lavaggio del foglio sottile (il classico Cuki), due laminatoi (Las1 e Las2) più piccoli del precedente per lavorazioni del foglio sottile fino a 9 Micron, un impianto per la verniciatura dell'alluminio con annesse taglio nastri e lamiere, un parco magazzino e spedizioni. Nel 2008 la ILA fallì, non riuscendo più a sostenere le necessità del mercato e per colpa di una politica aziendale errata. Al maggio 2012, 166 famiglie vivranno della cassa integrazione guadagni in deroga fino a ottobre 2012. Se Alcoa continuerà a produrre e fornire l'alluminio a bocca di produzione, ILA può sperare di essere rilanciata e gli impianti riavviati. Tutti conoscono le grandi potenzialità produttive dello stabilimento nel settore dell'alluminio, ritenuto da sempre strategico;
              f) la SMS (Società Metallurgica Sarda): ha dichiarato il fallimento nell'aprile 2004. Verso la metà del 2007 lo stabilimento venne preso in affitto dalla SMS che assunse una ventina dei 51 operai e lasciò i restanti impaludati nelle famigerate liste di mobilità. Negli ultimi giorni di febbraio 2010, la SMS comunicò alla rappresentanza sindacale unitaria dello stabilimento e alle organizzazioni sindacali lo stop delle attività produttive e l'intenzione di mettere in cassa integrazione i 26 dipendenti e di avere un debito che si aggira sui 2.000.000 di euro. Tutto ciò si concretizzò il 3 marzo 2010, quando presso la sede dello stabilimento di Iglesias le parti concordarono un verbale di accordo. Il secondo passaggio fu effettuato in sede di assessorato al lavoro a Cagliari, dove tutte le parti firmarono il riconoscimento della crisi aziendale e il ricorso alla cassa integrazione guadagni straordinaria per 26 lavoratori a partire dal 4 marzo 2010. A due anni esatti dalla chiusura dello stabilimento di Estrusi di Iglesias, la vertenza della SMS (Ex Sardal, Ex Alcoa) e adesso Ex Ali di Iglesias, sembra ancora lontana da una soluzione. Si parlò di un eventuale ripresa lavorativa legata all'interessamento di più soggetti imprenditoriali e di una continuità nel pagamento dell'ammortizzatore sociale che era ormai in scadenza. Sono passati alcuni mesi ma non sono ancora disponibili informazioni rassicuranti;
              f) la Fluorsid: si tratta di un piccolo stabilimento sito nella provincia di Cagliari. Produce e fornisce fluoruro (ALF3) allo stabilimento Alcoa di Portovesme. Praticamente unico cliente. Nello stabilimento operano circa 20/25 addetti  –:
          se intenda convocare presso il Ministero dello sviluppo economico le istituzioni locali, le organizzazioni sindacali e imprenditoriali al fine di coordinare la costruzione di una filiera dell'alluminio attraverso la costituzione di un unico tavolo che tenga insieme tutte le realtà produttive descritte sopra per affrontare il tema degli investimenti e del rilancio della produzione dell'alluminio in Italia, con un'ottica globale che segua tutte le fasi della produzione, dalla materia prima al prodotto finito. (4-16124)

Apposizione di firme a mozioni.

      La mozione Capitanio Santolini ed altri n.  1-00957, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 marzo 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Renato Farina, Pagano, Lupi, Polledri.

      La mozione Garagnani ed altri n.  1-01032, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 maggio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Marinello.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

      L'interpellanza urgente Fugatti e altri n.  2-01493, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 maggio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Alessandri.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

      L'interrogazione a risposta in Commissione Ghizzoni e De Pasquale n.  5-06816, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 maggio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Vico.

Ritiro di firme da una interrogazione.

      Interrogazione a risposta scritta Castiello e altri n.  4-15278, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 marzo 2012: sono state ritirate le firme dei deputati: Savino, Formichella, Fucci, Stasi.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo

      Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Catanoso n.  4-15899 del 3 maggio 2012 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-06889.