XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 18 giugno 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


      La Camera,
          premesso che:
              desta sempre maggior preoccupazione l'aggravarsi della crisi siriana, con un crescente e inarrestabile numero di morti e feriti nella popolazione civile, mentre il susseguirsi di notizie sulle stragi compiute, in particolare a Homs e poi a Hula, gettano un'ombra inquietante sui possibili ulteriori sviluppi per la popolazione civile;
              negli ultimi mesi numerosi sono stati gli appelli e le denunce di organizzazioni internazionali in merito alle gravi violazioni di diritti umani fondamentali in Siria, in particolare nei confronti di donne e bambini, e la stessa Lega araba ha avanzato la proposta di un'inchiesta internazionale sui crimini contro i civili, commessi in Siria, in particolare nella città di Homs;
              i tentativi fin qui condotti dalle Nazioni Unite per porre fine alla repressione e per garantire un accesso umanitario alle città più colpite, con l'invio dell'ex Segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan, si sono fin qui rivelati fallimentari e lo stesso invio degli osservatori internazionali si è rivelato del tutto inadeguato rispetto agli obiettivi prefissati;
              a fine febbraio 2012 i Ministri degli esteri dell'Unione europea avevano approvato nuove sanzioni, prendendo di mira la Banca centrale siriana, per restringere ulteriormente i finanziamenti al regime, mentre il 14 marzo 2012 l'Italia, anche in considerazione delle gravi condizioni di sicurezza, ha – insieme ai principali partner dell'Unione europea – sospeso l'attività della propria ambasciata a Damasco e rimpatriato lo staff della sede diplomatica;
              la crisi siriana si inscrive in un contesto regionale critico: i rischi evidenti per il Libano, il fondamentalismo qaedista e il conflitto sunnita/sciita, sullo sfondo, rendono più complesso il tentativo della comunità internazionale di portare l'Iran, attraverso le trattative di Mosca e la politica delle sanzioni, da fattore di instabilità ad un ruolo più collaborativo;
              una soluzione politica della crisi siriana richiede un impegno convergente della comunità internazionale e, quindi, un cambio di orientamento della Russia: appare evidente che le sue aspirazioni ad un ruolo di primo piano in Medio Oriente mal si conciliano con il mantenimento del sostegno al regime di Assad, sempre più indebolito ed oggetto di condanna da parte della comunità internazionale;
              a fronte dello stallo sul piano diplomatico e del progressivo irrigidimento del regime siriano, con un crescente massacro di civili, in particolare donne e bambini, si profila il rischio sempre più evidente dello scoppio di una vera e propria guerra civile dagli esiti incerti e con conseguenze ancora più devastanti per la popolazione già duramente provata,

impegna il Governo:

          a continuare l'azione volta a favorire il rafforzamento dell'opposizione siriana per garantirne una maggiore unità e legittimazione;
          ad adottare ogni iniziativa utile nelle opportune sedi internazionali ed europee, per un efficace rilancio del piano Annan attraverso un rafforzamento delle pressioni internazionali volte alla sua compiuta messa in opera, al fine, da un lato, di garantire il ripristino delle condizioni minime per alleviare le sofferenze della popolazione e, dall'altro, per evitare che un'ulteriore degenerazione della situazione conduca all'esplodere di una vera e propria guerra civile;
          ad adottare ogni iniziativa utile, nelle opportune sedi internazionali ed europee, al fine di garantire il pieno coinvolgimento di tutti gli attori regionali coinvolti, per trovare una soluzione condivisa della crisi siriana che prefiguri il superamento dell'attuale regime.
(1-01082) «Tempestini, Pistelli, Maran, Narducci, Veltroni, Barbi, Touadi, Colombo, Corsini, Fedi, Porta».


      La Camera,
          premesso che:
              dal marzo 2011 è in corso in Siria un processo insurrezionale che è ormai sfociato in una guerra civile;
              si contrappone al regime di Damasco, guidato da Bashar al Assad, un gruppo assai composito di organizzazioni d'opposizione, tra le quali figurano le emanazioni locali della Fratellanza musulmana, movimenti di ispirazione salafita o wahabita, gruppi riconducibili alla galassia di Al Qaeda ed altri, che non fanno mistero di puntare alla liquidazione della minoranza sciita alawita ed all'espulsione dei cristiani dalla Siria;
              le deprecabili violenze messe in atto dal regime di Assad si affiancano alle provocazioni poste in atto dalle opposizioni, in cui si annidano anche focolai terroristici, se è vero che Ayman Al Zawahiri, attuale capo di Al Qaeda, ha lanciato un appello per chiedere a tutti i musulmani di accorrere alla rivoluzione contro il regime di Assad; aumentano i sospetti che alcune azioni violente siano state attribuite al regime, ma in realtà siano state provocate dai ribelli per obbligare moralmente la comunità internazionale ad un nuovo esercizio della cosiddetta «responsabilità di proteggere», cioè a un intervento militare internazionale a fianco degli insorti;
              tale intervento non ha finora avuto luogo per l'impossibilità di raggiungere un accordo nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dove Russia e Cina eserciterebbero il proprio veto, e neanche la Lega araba, che pure rifornisce di armi e denaro i ribelli, si dichiara a favore dell'intervento;
              crescono, però, le dichiarazioni di condanna anche da parte del Governo italiano, che potrebbero fare intravedere l'ineludibilità di un intervento militare anche in mancanza di una posizione unitaria a livello internazionale definita in un preciso mandato del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite;
              nessuna azione militare può essere autorizzata dal nostro Paese senza un chiaro indirizzo parlamentare al Governo, né al di fuori della Carta delle Nazioni Unite e in ogni caso non dovrebbe ripetersi il vergognoso «gioco delle carte» che ha portato all'intervento in Libia, deciso in segreto in alcune cancellerie occidentali, senza un'adeguata conoscenza del Parlamento italiano, ed infine sanato in forme non condivise dai firmatari del presente atto di indirizzo da un'ambigua risoluzione dell'Onu;
              non è ancora chiaro sino a che punto il Governo italiano intenda spingersi nel sostenere la causa dell'insurrezione in atto in Siria;
              nell'attuale situazione di crisi economica che sta investendo pesantemente il nostro Paese e che già impegna le finanze italiane in uno sforzo solidale in ambito europeo a sostegno dei partner in difficoltà, le 22 missioni internazionali attualmente in essere a cui il nostro Paese prende parte a vario titolo comportano costi per 1 miliardo e 400 milioni di euro, un onere forse doveroso in condizioni normali, ma che forse non ci si può più permettere oggi,

impegna il Governo:

          a non assumere a livello internazionale, con riferimento alla Siria, alcun ulteriore impegno militare, ancorché a carattere umanitario, senza un dibattito parlamentare esaustivo, preventivo a qualsiasi negoziato in tal senso in sede internazionale e senza un preciso e puntuale mandato delle Camere;
          a non prendere parte ad iniziative internazionali a carattere militare in Siria, senza un preventivo mandato in tal senso da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite;
          in caso le circostanze impongano comunque un impegno militare nazionale in Siria, a compensarne il costo con una parallela riduzione degli oneri connessi al mantenimento dei contingenti dislocati in altri teatri, a partire dall'Afghanistan.
(1-01083) «Dozzo, Stefani, Pini, Togni, Allasia, Gidoni, Chiappori, Molgora».


      La Camera,
          premesso che:
              gli eventi che hanno interessato nell'arco di un anno l'area nordafricana e mediorientale non hanno precedenti nella storia di quella macroregione;
              le proteste di massa in quei Paesi, accomunati dalla presenza di sistemi autarchici e lontani dal modello di democrazia, hanno portato alla caduta di regimi che in alcuni casi duravano da oltre trent'anni (Tunisia e Egitto), ad una sanguinosa guerra civile (Libia) o spinto le leadership di altri Paesi a intraprendere una serie di riforme per venire incontro alle richieste delle piazze (Marocco e Giordania);
              la «Primavera araba» ha investito anche la Siria, che ha cercato di soffocare subito le proteste di piazza con l'arresto e la probabile tortura dei rivoltosi, per lo più studenti;
              attualmente è ancora in atto una dura rivolta contro il regime imposto dalla dinastia alawita Al Assad, che governa il Paese ininterrottamente dal 1971;
              il Sottosegretario generale delle Nazioni Unite per le operazioni di pace, Herve Ladsous ha detto chiaramente che la Siria è in «guerra civile», che il Governo ha perso grandi parti di territorio, molte città sono passate all'opposizione e che il Governo medesimo vuole riprenderne il controllo;
              l'Osservatorio dei diritti umani ha comunicato che, dall'inizio della rivolta contro il regime di Bashar al Assad nel marzo 2011, le violenze in Siria hanno fatto oltre 14.400 morti, per la maggior parte civili. Di questi, 2.300 persone sono rimaste uccise soltanto nel mese di maggio 2012. Delle «14.475 persone, 10.117 sarebbero i civili, 3.552 i soldati e 807 i disertori», secondo quanto dichiarato dal presidente dell'organizzazione non governativa che ha sede in Gran Bretagna;
              le Nazioni Unite hanno denunciato in un rapporto le atrocità commesse contro i bambini, affermando che vengono uccisi, incarcerati e torturati, sono vittime di violenza sessuale e addirittura utilizzati come scudi umani;
              in un nuovo rapporto pubblicato in questi giorni, Amnesty international fornisce nuove prove delle ampie e sistematiche violazioni dei diritti umani, tra cui crimini contro l'umanità e crimini di guerra, perpetrate nell'ambito di una politica di Stato destinata a compiere rappresaglie contro le comunità sospettate di sostenere l'opposizione siriana e a intimidire e assoggettare la popolazione;
              in ritardo rispetto ai continui massacri, il Consiglio di sicurezza dell'Onu, prima con la risoluzione 2042, in cui si consentiva l'invio immediato di una missione esplorativa in Siria, e poi con la risoluzione 2043 del 21 aprile 2012, ha approvato la missione Unsmis, United nations supervision mission in Syria, con l'invio progressivo di un contingente di osservatori militari disarmati, oltre alla necessaria componente civile;
              anche Russia e Cina hanno sottoscritto la ferma condanna del Consiglio di sicurezza, dopo che per due volte avevano esercitato il potere di veto;
              i violenti scontri e l'elevato numero di morti, nonostante la presenza della missione Onu, hanno indotto il Governo prima a ritirare la delegazione diplomatica italiana in Siria e poi, in data 29 maggio 2012, unitamente ai Governi di Germania, Spagna, Francia, Canada, Australia, Olanda (seguiti poi anche dagli Stati Uniti, dal Giappone e dalla Turchia), ad espellere gli ambasciatori e altri diplomatici siriani dal Paese (mentre la Russia ha criticato l'espulsione degli ambasciatori siriani, definendola una mossa «controproducente»);
              si teme che il conflitto possa ripercuotersi sull'intera area geografica e che possa crearsi una nuova emergenza umanitaria nello scacchiere mediorientale, che già sconta una precaria situazione;
              il complesso quadro regionale e internazionale in cui si colloca la crisi siriana non ha favorito un'azione forte e decisa da parte delle istituzioni europee finalizzata a ricercare una soluzione alla drammatica vicenda;
              una soluzione della crisi, attraverso la mediazione delle istituzioni europee ed internazionali, non è agevolata dall'atteggiamento indulgente nei confronti del regime di Assad da parte della Russia, che vuole continuare ad avere una sua zona d'influenza in quell'area mediorientale, mentre un’escalation della guerra civile potrebbe accentuare i rischi di un intervento diretto iraniano, con tutto quello che ne conseguirebbe, compresa un'azione decisa e diretta di Israele;
              sono certamente da tenere in considerazione le implicazioni derivanti dall'eterogenea composizione delle forze che si oppongono al regime siriano di Assad, in cui si registra una forte presenza sunnita e in cui convivono un insieme di gruppi in esilio denominato Consiglio nazionale siriano (Cns), con una prevalenza sempre più consistente di movimenti e partiti islamisti sunniti, a fronte della presenza sciita di matrice iraniana;
              il Ministro degli affari esteri, Giulio Terzi, ha recentemente avuto una conversazione con il nuovo Presidente del Consiglio nazionale siriano, Abdel Basset Sieda, al quale ha espresso la forte preoccupazione dell'Italia per la situazione, sottolineandone i riflessi sulla sicurezza regionale e i gravi risvolti umanitari e confermando l'imminente invio in Siria e in Giordania di aiuti italiani per la cura dei feriti e la prossima attivazione di un ospedale da campo in Giordania. Il capo della diplomazia italiana si è, in particolare, soffermato sulla necessità che le opposizioni si uniscano attorno ad una piattaforma comune, inclusiva di tutte le componenti della società siriana;
              secondo quanto emerge dagli ultimi incontri del Consiglio di sicurezza dell'Onu, non è previsto nessun accordo ufficiale per un intervento militare in Siria, anche se l'opinione internazionale è unanime nell'affermare che il regime siriano sia responsabile della violazione del diritto internazionale;
              nella giornata di giovedì 14 giugno 2012 il Senato della Repubblica ha approvato il decreto-legge sulla partecipazione dell'Italia alla missione degli osservatori Onu in Siria, che passerà ora all'esame della Camera dei deputati;
              sabato 16 giugno 2012 il generale norvegese Robert Mood, a capo della missione Onu in Siria Unsmis, ha annunciato la sospensione della missione internazionale, a causa dei crescenti atti di violenza nel Paese che mettono a rischio gli osservatori e tutto lo staff, e che la missione riprenderà solo quando ci saranno le condizioni di sicurezza necessarie al suo svolgimento;
              la sospensione della missione decreta, di fatto, il fallimento dello stesso piano Annan per la Siria, che aveva l'obiettivo di fermare le ostilità tra i due fronti, ma il massacro di Hula di maggio 2012 ha ridestato i combattimenti in tutto il Paese,

impegna il Governo:

          ad intraprendere ogni utile iniziativa, d'intesa con le istituzioni europee ed internazionali, per porre fine alle violenze in atto ai danni della popolazione siriana ed organizzare i soccorsi alla popolazione sofferente;
          a sostenere la necessità di un'intesa tra l'Unione europea e la Lega araba per favorire un'evoluzione positiva della situazione con il più ampio consenso possibile delle popolazioni e dei Paesi interessati;
          a favorire, tenuto conto degli ottimi rapporti esistenti con la Federazione russa, un maggior coinvolgimento della stessa nel ricercare una soluzione condivisa di una vicenda che rappresenta un'emergenza internazionale di primaria importanza;
          a valutare l'opportunità di sostenere presso le istituzioni internazionali la necessità di una nuova e determinante risoluzione dell'Onu, anche alla luce della sospensione della missione Unsmis.
(1-01084) «Adornato, Galletti, Volontè, Tassone, Compagnon, Ciccanti, Rao, Naro, Bosi, Marcazzan».


      La Camera,
          premesso che:
              la spirale di violenze indiscriminate, in cui la crisi del regime di Damasco è da mesi precipitata, aggrava le sofferenze della popolazione siriana e complica un quadro regionale pesantemente condizionato dall'espansionismo politico iraniano e dalla congenita fragilità degli equilibri mediorientali;
              secondo l'Osservatorio siriano sui diritti umani più di 14.400 persone sono morte in 15 mesi di guerra civile e solo nell'ultimo mese ci sarebbero state 2.302 vittime, precisando che si tratta di 1.455 civili, 96 dissidenti e 751 soldati;
              la politica delle sanzioni e dell'isolamento politico-diplomatico decisa dall'Unione europea nei confronti del regime siriano non ha finora indebolito, né arginato l'offensiva militare ai danni della popolazione civile e la missione esplorativa, avviata a seguito dell'approvazione della risoluzione 2042 da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, non ha consentito di raggiungere l'obiettivo del «cessate il fuoco»;
              al contrario, il 16 giugno 2012 la missione degli osservatori Onu è stata ufficialmente sospesa proprio per l'intensificarsi delle violenze, né sembra poter proseguire senza diverse garanzie di protezione;
              la situazione di stallo, che pregiudica la mediazione delle Nazioni Unite e gli impegni della stessa Lega araba, e il sostegno garantito al regime di Assad dalla Russia rendono quello di una guerra civile aperta e incontrollata lo scenario ad oggi più probabile e compromettono la possibilità di garantire forme di interposizione umanitaria a tutela della popolazione civile,

impegna il Governo:

          a promuovere, con un più ampio e diverso mandato rispetto a quello previsto dalla risoluzione 2042, una missione Onu finalizzata a raggiungere gli obiettivi previsti dal cosiddetto piano Annan e fino ad oggi vanificati, in primo luogo, dall'indisponibilità del regime di Assad ad osservare gli impegni concordati con l'ex Segretario generale delle Nazioni Unite;
          a sostenere l'opposizione democratica siriana per favorire l'apertura di un processo politico che possa portare, in forma pacifica, al superamento del regime di Assad e ad una transizione ordinata verso un sistema di libertà politica.
(1-01085) «Menia, Della Vedova».

Risoluzioni in Commissione:


      Le Commissioni VIII e X,
          premesso che:
              il decreto del Presidente della Repubblica 1o agosto 2011, n.  151 recante «Regolamento di semplificazione della disciplina dei provvedimenti relativi alla prevenzione degli incendi a norma dell'articolo 49, comma 4-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78, convertito con modificazione dalla legge 30 luglio 2010, n.  122» entrato in vigore nell'ottobre 2011, con l'obiettivo di introdurre disposizioni volte allo snellimento alla semplificazione in materia di adempimenti inerenti la prevenzione degli incendi, introduce specifici termini di adeguamento alla normativa da parte delle strutture turistiche e ricettive;
              ai sensi dell'articolo 11 comma 4 del suddetto decreto del Presidente della Repubblica «Gli enti e i privati (...) devono espletare i prescritti adempimenti entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente regolamento» vale a dire nell'ottobre 2012;
              l'introduzione di tale termine di adeguamento risulta essere secondo i firmatari del presente atto vessatorio per le realtà economiche direttamente coinvolte sollevando le preoccupazioni di migliaia di micro e piccole e medie attività turistico ricettive all'aria aperta, con capacità ricettiva superiore a 400 persone e le associazioni di settore tra cui l'Assocamping, Associazione nazionale imprenditori di strutture turistico-ricettive all'aria aperta aderente a Confesercenti;
              al momento non esistono norme di prevenzione incendi o linee guida di sicurezza antincendio specifiche per i campeggi, determinando di conseguenza una discrezionalità in merito alla tipologia di interventi da attuare ai fini dell'adeguamento che può variare a seconda del comando dei vigili del fuoco o del singolo funzionario dei vigili del fuoco che esamina il progetto ed esprime il relativo parere con tutte le conseguenti criticità;
              a tali elementi va ad aggiungersi il fatto che il limitato tempo di adeguamento imposto per la presentazione della segnalazione certificata di inizio attività non consente una programmazione economico-operativa degli interventi obbligando di conseguenza le aziende a limitati investimenti anche in considerazione del non facile accesso al credito di cui soffrono attualmente le piccole e medie imprese italiane e obbligando i titolari dei campeggi ad attuare gli interventi di adeguamento durante il periodo di apertura stagionale, con forti limitazioni per l'esercizio dell'attività e non trascurabili criticità, anche di sicurezza, per gli ospiti delle strutture;
              appare opportuno evidenziare ulteriormente che la mancata presentazione della segnalazione certificata di inizio attività entro il termine del 6 ottobre 2012, comporta sanzioni penali a prescindere dal rispetto delle previste misure di sicurezza: i campeggi avviati dopo il 7 ottobre 2011 dovranno acquisire il parere favorevole sul progetto e presentare la segnalazione certificata di inizio attività prima dell'avvio delle attività; mentre i campeggi già esistenti al 22 settembre 2011 devono completare le procedure che portano alla regolarizzazione dell'attività, quindi esame del progetto e segnalazione certificata di inizio attività, onde evitare sanzioni penali previste per chi non presenta la segnalazione certificata di inizio attività in considerazione dell'obbligo sancito dal citato decreto del Presidente della Repubblica n.  151 del 2011;
              tali disposizioni si inseriscono in un contesto economico già critico per il comparto turistico e ricettivo, che risente dell'incertezza dell'andamento dei flussi turistici segnatamente in una congiuntura economica non semplice, a cui si unisce la difficoltà da parte delle aziende di accedere al credito indispensabile per poter consentire alle stesse di operare gli opportuni adeguamenti di cui in premessa;
              la sussistenza del suddetto termine di adeguamento rischia di mettere in ginocchio le micro, piccole e medie attività turistico ricettive all'aria aperta che rappresentano uno dei tasselli più rilevanti ed affascinanti del comparto turistico ricettivo italiano, riferimento indiscusso del turismo italiano ed estero nonché comparto economico dalle indiscusse potenzialità,

impegna il Governo

a predispone in tempi celeri adeguati interventi volti ad introdurre un differimento dell'applicazione della normativa antincendio, di cui all'articolo 11, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 1o agosto 2011, n.  151.
(7-00909) «Di Biagio, Raisi, Giorgio Conte».


      La II Commissione,
          premesso che:
              la situazione in cui versa il sistema penitenziario italiano, come evidenziato dai sempre più frequenti appelli, anche delle personalità più autorevoli, con cui vengono invocate iniziative urgenti volte a sanare la predetta situazione, è notoriamente difficile;
              tra le iniziative utili vi è anche la realizzazione di nuovi istituti penitenziari attraverso l'attuazione del cosiddetto piano carceri;
              in occasione dell'audizione del prefetto Angelo Sinesio, commissario delegato per il superamento della situazione conseguente al sovrappopolamento degli istituti penitenziari presenti sul territorio nazionale, svoltasi il 18 aprile 2012 presso la Commissione giustizia, il medesimo ha evidenziato, in relazione agli istituti di Torino, Catania, Pordenone e Camerino, che è conditio sine qua non per poter bandire nei tempi annunciati le gare che ci sia a favore dell'amministrazione appaltante il trasferimento dei fondi per 122 milioni di euro già deliberato dal CIPE;
              ogni ritardo può pregiudicare la più sollecita realizzazione delle nuove opere aggravando ulteriormente la già difficile situazione descritta,

impegna il Governo

a provvedere senza ritardo al trasferimento attraverso il CIPE dei predetti fondi alla disponibilità del commissario delegato.
(7-00908) «Contento, Cavallaro».


      La VII Commissione,
          premesso che:
              il decreto ministeriale del 10 settembre 2010, n.  249, definisce le modalità della formazione degli insegnanti, i percorsi didattici finalizzati alla medesima formazione e all'acquisizione dell'abilitazione all'insegnamento nelle scuole di vario ordine e grado (in una delle classi di concorso previste dal decreto ministeriale n.  39 del 1998), nonché le modalità di accesso e svolgimento dei percorsi formativi per l'abilitazione;
              con decreti rettoriali del 3 maggio 2012 sono state indette le selezioni per l'accesso ai suddetti corsi di tirocinio formativo attivo, a numero programmato con prova di selezione;
              è stata avanzata, da parte di tutti gli attori (docenti, organizzazioni sindacali, eccetera) la richiesta di una proroga dei termini di iscrizione, sia in considerazione di segnalazioni riguardanti malfunzionamento o ritardi nelle procedure di registrazione o di annullamento delle prescrizioni già effettuate, sia con riferimento agli aspiranti coinvolti dall'evento sismico che ha colpito l'Emilia;
              sono state, inoltre, segnalate dagli stessi carenze nei titoli di accesso previsti dalla funzione elaborata dal Cineca che, secondo molti, non terrebbe conto né delle equipollenze di alcuni titoli di studio, disposte con decreti ministeriali, né dei titoli di accesso richiesti dal decreto ministeriale n.  354 del 1998 relativo agli ambiti disciplinari, e infine nemmeno delle indicazioni diramate dallo stesso Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in occasione delle ultime abilitazioni concorsuali e riservate e per l'accesso alle SSIS;
              relativamente al percorso abilitante previsto per i docenti con 36 mesi di servizio, laureati ma senza il permesso della prescritta abilitazione, i tempi e le modalità di espletamento sarebbero dovuti essere previsti da un regolamento di rettifica del decreto ministeriale n.  249 del 2010; malauguratamente i tempi del procedimento – fallito il tentativo di emanare un'ordinanza d'urgenza – non consentono pertanto l'avvio dei corsi speciali in parallelo con i percorsi ordinari. Le uniche procedure di abilitazione previste sono quelle di cui al decreto ministeriale 14 marzo 2012 i cui termini di iscrizione sono scaduti, come noto, il 4 giugno 2012;
              non sarebbe stato inoltre assicurato l'avvio «immediato» delle abilitazioni anche per le tipologie di posti (infanzia, primaria, e altro) e le classi di concorso non ricomprese nel tirocinio formativo attivo ordinario, con particolare riferimento a tutte le discipline artistiche e musicali che afferiscono all'alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM): sarebbe stata ipotizzata, infatti, una attivazione parallela ai soli tirocini formativi attivi già previsti, e confermata l'ipotesi dei tre anni di servizio (180 giorni) nella stessa classe di concorso o tipologia di posto richiesta;
              il 27 febbraio 2012 il Ministero ha reso noto che il tirocinio di preparazione all'insegnamento avrebbe coinvolto circa 20.000 aspiranti insegnanti;
              per l'anno accademico 2011/2012 i posti disponibili per le immatricolazioni al TFA per l'insegnamento nella scuola secondaria di primo grado sarebbero 4.275, definiti in ambito regionale per ciascun ateneo, mentre per la scuola secondaria i posti disponibili si attesterebbero intorno ai 15.792;
              con il decreto ministeriale 14 marzo 2012, n.  31, si sono definiti i posti disponibili a livello nazionale per le immatricolazione ai corsi di TFA per l'abilitazione all'insegnamento nella scuola secondaria di primo e di secondo grado per l'anno accademico 2011/2012;
              alla luce dell'associazione di ogni classe di concorso all'ateneo dove si svolgerà il corso appare anomala la distribuzione dei posti disponibili per il TFA: in alcuni ampi territori mancano del tutto previsioni per alcune classi di concorso, nonostante l'ampia necessità, perché esaurite in molte province; in altri territori, si assiste ad un eccesso di posti messi a bando, in classi di concorso che sono in esubero perfino a livello nazionale;
              i costi fissati dalle università per l'iscrizione e la partecipazione a tali corsi oscillerebbero tra i 2.000 e 3.000 euro, risultando spesso molto onerosi per alcune fasce di popolazione meno abbienti, precludendo di fatto l'accesso all'insegnamento;
              i suddetti costi, totalmente a carico dei partecipanti, creano in particolare evidenti discriminazioni nei confronti dei docenti precari emiliani che attualmente vivono il disagio economico determinato dagli eventi sismici;
              la normativa attualmente in vigore in materia di accesso del personale docente al tirocinio formativo attivo propedeutico all'abilitazione si configura come complessa e non prevede alcun tipo di percorso differenziato tra quei docenti che già da anni insegnano nelle classi e chi vi si accinge per la prima volta;
              per i docenti non abilitati ma con servizio, il tirocinio formativo attivo risulta al momento l'unica via percorribile per conseguire l'abilitazione;
              in data 13 marzo 2012 attraverso l'accoglimento dell'ordine del giorno n.  9/4940-A/98 alla Camera dei deputati il Governo si è impegnato a valutare l'opportunità di intervenire sulle modalità di accesso al tirocinio relativamente alla posizione dei docenti non abilitati de jure;
              il decreto legislativo del 9 novembre 2007 n.  206, in esecuzione della direttiva comunitaria 2005/36 CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, fa discendere il riconoscimento dell'abilitazione anche all'effettivo svolgimento dell'attività professionale per almeno tre anni sul territorio dello Stato membro in cui è stato conseguito o riconosciuto il titolo di laurea, previo apposito percorso di abilitazione;
              contrariamente a quanto previsto dalla precedente normativa (legge n.  124 del 1999) secondo la quale il conseguimento dell'abilitazione comportava l'automatica inclusione nelle graduatorie permanenti (oggi GAE), allo stato della normativa vigente (legge finanziaria n.  244/2007, articolo 2, comma 416) l'abilitazione che si consegue a seguito della frequenza del TFA o dei corsi di laurea in scienza della formazione primaria rappresenta – come peraltro ribadito dalla Lega Nord in due proposte di legge – solo la conclusione del percorso di formazione iniziale dell'insegnante e costituisce il presupposto per la partecipazione alle procedure concorsuali per l'accesso ai ruoli del personale docente;
              il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha annunciato due bandi di concorso, il primo dei quali dovrebbe essere emanato prima dell'estate, per 7400 posti, in applicazione delle regole attualmente in vigore. Il secondo nella primavera del 2013,

impegna il Governo:

          a valutare l'esigenza di rivedere i TFA autorizzati e la loro effettiva corrispondenza al fabbisogno reale;
          a valutare la necessità di definire in tempi rapidi le modifiche al decreto ministeriale n.  249 del 2010, al fine di consentire ai docenti di ogni ordine e grado, ivi compresi i docenti della scuola dell'infanzia e primaria, discipline artistiche, strumenti musicali e insegnanti tecnico-pratici, che abbiano maturato almeno 360 giorni di servizio non consecutivi, di veder riconosciuta l'esperienza pregressa attraverso l'accesso senza sbarramento al TFA o la partecipazione ad un corso abilitante loro riservato, evitando a questi ultimi lo slittamento di un anno per l'accesso ai corsi del predetto tirocinio.
(7-00911) «Rivolta, Goisis, Grimoldi, Cavallotto».


      La XII Commissione,
          premesso che:
              le lesioni cutanee croniche sono aree di sostanza dermo-ipodermica che non dimostrano alcuna tendenza alla riparazione spontanea, particolarmente dolorose e debilitanti per il paziente;
              le lesioni croniche sono rappresentate dalle ulcere ischemiche, dalle ulcere diabetiche, da quelle venose e dalle lesioni da decubito che non riepitelizzano;
              le ulcere croniche più comuni includono le ulcere dell'arto inferiore, le ulcere diabetiche e le ulcere da pressione. A differenza delle ulcere acute, che possono guarire in pochi giorni o settimane, le ulcere croniche possono durare per mesi o anni. Questa condizione grava fisicamente e psicologicamente sull'individuo ed, inoltre, rappresenta un problema gestionale per il sistema sanitario;
              in Italia, circa 2 milioni di individui e le loro famiglie sono coinvolti nel problema;
              l'impatto sociale delle patologie ulcerative è tra i maggiori nel panorama sanitario e l'entità del fenomeno è piuttosto importante, considerato il numero di pazienti che soffrono di lesioni croniche; la valutazione delle lesioni croniche deve seguire un approccio complessivo in modo da definire precisamente l'eziologia, l'adeguatezza del trattamento ed il monitoraggio dell'evoluzione;
              il maggiore costo del trattamento è costituito dal tempo di assistenza necessario per cambiare le medicazioni, che si aggira tra il 58 e il 95 per cento dei costi totali. Molte medicazioni moderne sono state sviluppate per facilitare la gestione delle lesioni e ridurre la frequenza delle visite infermieristiche;
              nella quasi totalità dei Paesi europei, con esclusione dell'Italia, esiste una normativa per il rimborso dei prodotti «avanzati» di medicazione delle ulcere cutanee croniche, intesa a sgravare il Servizio sanitario nazionale dai costi di gestione e a fornire un servizio di buon livello ai paziente,

impegna il Governo:

          ad assumere iniziative per assicurare una adeguata tutela dei cittadini affetti da ulcere cutanee croniche provvedendo a redigere l'elenco dei farmaci e delle terapie per il trattamento delle ulcere cutanee croniche rimborsabili dal Servizio sanitario nazionale;
          a promuovere una razionalizzazione dei protocolli di cura attraverso la definizione di percorsi diagnostico-terapeutici basati sull'evidenza clinica e su criteri di equità, appropriatezza ed economicità, allo scopo di ridurre i tempi di ospedalizzazione e l'incidenza delle complicanze nonché di contenere la spesa sanitaria pubblica;
          a valutare l'opportunità di intervenire anche con iniziative normative per prevedere l'applicazione dei protocolli in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale.
(7-00907) «Farina Coscioni, Maurizio Turco, Beltrandi, Bernardini, Mecacci, Zamparutti».


      La XIII Commissione,
          premesso che:
              il settore del tabacco rappresenta per il nostro Paese una realtà agricola e industriale importante con un grande effetto trainante per l'economia: l'Italia detiene, infatti, il primato di produzione di tabacco in Europa ed è tra i primi 10 esportatori mondiali con il 94 per cento della produzione concentrata nelle regioni Campania, Veneto, Umbria e Toscana;
              nel complesso il valore totale della filiera supera i 18,4 miliardi di euro e coinvolge, nelle fasi produttive e distributive, oltre 204.000 addetti di cui oltre il 50 per cento sono donne;
              per il settore del tabacco il 2010 è stato un anno di svolta con il passaggio da un sistema di aiuti europei parzialmente «accoppiati» ad uno totalmente disaccoppiato; la riduzione del supporto comunitario pur non determinando nell'immediato rilevanti modifiche nel sistema produttivo ne ha comunque incentivato la riorganizzazione con la conseguente chiusura di numerose imprese che sono diminuite di oltre il 12 per cento;
              per evitare conseguenze ancor più traumatiche sull'economia del settore sono stati comunque introdotti nuovi ausili finanziari: ad esempio il 50 per cento dell'importo non erogato direttamente alle imprese è stato inquadrato nella politica di sviluppo rurale prevedendo misure specifiche di sostegno (misura 144 e misura 214) riconducibili all'asse 1 (competitività) e all'asse 2 (misure agro ambientali);
              inoltre, nel 2010, l'Italia ha notificato alla Commissione europea l'intenzione di assegnare al settore del tabacco un sostegno specifico ai sensi dell'articolo 68 del regolamento CE 73/2009, per migliorare la qualità della produzione; si tratta, in questo caso, di un aiuto supplementare che assume i contorni di un premio annuale, la cui erogazione è subordinata all'esistenza di un contratto di coltivazione e di requisiti minimi di qualità del prodotto;
              tuttavia il drenaggio di risorse finanziarie derivante dall'adozione delle suddette misure ausiliarie non risulta sufficiente a compensare l'ammontare degli aiuti perduti con la riforma del settore del tabacco varata nel 2004 (regolamento 864/2004/Ce);
              inoltre, la competitività e sostenibilità economica del settore è destinata ad essere messa di nuovo alla prova nei prossimi anni, a seguito della riforma della PAC. La proposta di riforma della PAC per il post-2013, attualmente in fase di negoziato, rischia di penalizzare pesantemente il settore prevedendo un processo di convergenza degli aiuti tra agricoltori di uno stesso Stato membro verso un valore di pagamento ad ettaro uniforme, (da attuarsi entro il 2019) ed escludendo la coltura da qualsiasi forma di pagamento «accoppiato» alla produzione;
              secondo le prime stime, il valore verso cui convergere sarà pari a 300 euro ad ettaro, una cifra molto inferiore all'aiuto disaccoppiato che attualmente percepisce una azienda di medie dimensioni specializzata a tabacco;
              alla riduzione dell'aiuto comunitario si aggiunge poi l'esclusione della coltura del tabacco da qualsiasi forma di pagamento «accoppiato» alla produzione che rappresenta nella nuova Politica agricola comune la prosecuzione dell'articolo 68 del regolamento 73/2009, ossia da quelle forme di finanziamento aggiuntivo consentite per la sopravvivenza del settore;
              lo scenario futuro dell'intera filiera del tabacco è condizionato anche dal permanere dell'incertezza legata al quadro normativo comunitario sui prodotti da fumo, in particolare dalle possibili ricadute economiche e sociali legate alla rivisitazione della direttiva europea di regolamentazione del tabacco (2001/37/CE) – la cosiddetta direttiva prodotto – che regolamenta la produzione, l'etichettatura e la vendita dei prodotti da fumo introducendo il divieto di utilizzo di ingredienti nella produzione di sigarette e l'introduzione del pacchetto generico;
              è facile desumere come l'introduzione del pacchetto «generico» rischia di alimentare il commercio di prodotti contraffatti generando una crescita esponenziale dei fenomeni di vendita illegale (contrabbando e contraffazione) oltre che una probabile riduzione del gettito fiscale; quello della contraffazione dei prodotti del tabacco è un fenomeno che, nel mercato europeo ed italiano, sta assumendo sempre più dimensioni preoccupanti: si stima infatti che nel 2010 il mercato illegale delle sigarette sia stato pari al 34 per cento dei consumi legali, vale a dire circa 2,8 miliardi di sigarette illegali, di cui circa 413 milioni contraffatte;
              tuttavia gli effetti più pesanti sulla coltivazione del tabacco potrebbero derivare da eventuali modifiche o divieti sull'utilizzo di ingredienti; si calcola che l'introduzione di tali misure potrebbero generare, nel solo contesto italiano, un impatto sull'occupazione del comparto stimabile in una riduzione di oltre 17.000 lavoratori (tra fissi e stagionali); inoltre molto spesso la coltivazione del tabacco garantisce posti di lavoro in sistemi di produzione locali che hanno poche opportunità di impiego alternative;
              per l'economia italiana il ridimensionamento della coltura del tabacco può dunque generare a livello territoriale costi economici e sociali molto più alti di quelli che possono apparire ad una analisi poco approfondita soprattutto in relazione al fatto che l'intera filiera del tabacco si caratterizza per un rilevante bacino di manodopera attivato che interessa circa 204.000 persone;
              l'accordo siglato, all'inizio del mese di giugno, dagli operatori della filiera del tabacco con la Japan Tobacco International rappresenta un esempio da seguire per la salvaguardia del settore poiché prevede l'acquisto di tabacco italiano per un quantitativo di circa 12 mila tonnellate annue, quantità notevolmente superiore a quanto preventivato in sede di accordo ministeriale, superiore al 50 per cento dell'equivalente quantità venduta da JTI sotto forma di prodotto finito nel nostro Paese. Si calcola che tale accordo, rinnovabile automaticamente e con una prospettiva a lunga durata, genererà oltre 60 milioni di euro di ricavi complessivi nei due anni e creerà le premesse per stabilizzare la domanda di tabacco e sostenere l'economia dell'intero indotto. L'accordo si caratterizza per due aspetti di forte innovazione, uno per il fatto che l'accordo è tra la manifattura ed i produttori, l'altro che la manifattura stessa entra a far parte della filiera;
              le altre imprese private che si occupano di manifattura dei tabacchi, come British american tobacco (BAT), Imperial ed altre minori quali Yesmoke, non hanno, fino ad oggi, offerto le necessarie certezze di acquisto ai produttori di tabacco sfruttando in pieno le potenzialità del mercato nazionale; è auspicabile che tali imprese si rendano disponibili a rivedere e rilanciare gli accordi siglati sul modello di quello siglato con la Japan Tobacco International garantendo una continuità di acquisto ai produttori;
              in particolare si rileva l'insufficienza di accordi come quello siglato con la British american tobacco (BAT) nel 2011 per il solo raccolto 2010 che, nei fatti, ha mostrato avere solo un valore formale. La stessa BAT ha dimostrato di volere rinnovare raccordo per i raccolti 2012 e 2013, ma non impegnandosi come hanno fatto le altre principali manifatture e soprattutto per un quantitativo che rappresenta circa il 35 per cento dell'equivalente volume venduto come prodotto finito;
              il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, può svolgere un ruolo di estrema importanza favorendo nuovi accordi con le multinazionali del tabacco operanti in Italia per dare certezza al settore;
              l'attività di produzione del tabacco coinvolge e porta ricchezza anche ad altri settori economici e soprattutto sostiene lo sviluppo locale di territori dove vi è scarsità di fattori naturali o di colture alternative al tabacco,

impegna il Governo:

              ad operare, per quanto di propria competenza, per fare in modo che le manifatture operanti sul mercato nazionale dei prodotti del tabacco si rendano disponibili a siglare dei nuovi accordi con la filiera tabacchicola che similmente a quanto fatto dalla Japan Tobacco International abbiano una durata pluriennale assicurando la stabilità della domanda alle imprese del settore e per quantitativi equivalenti al 50 per cento del volume venduto dalle stesse sotto forma di prodotto finito;
          ad intervenire con fermezza presso le istituzioni europee, nell'ambito del negoziato sulla Politica agricola comune post 2013, affinché l'Italia possa mantenere una parte di aiuto accoppiato per i settori, come la tabacchicoltura, che sono labour intensive e che garantiscono il mantenimento di posti di lavoro nei sistemi di produzione locali, soprattutto dove vi sono poche opportunità di impiego alternative;
          ad intervenire per la tutela delle produzioni nazionali di tabacco rendendo meno onerose per il sistema Paese le norme legate alla rivisitazione della direttiva europea di regolamentazione del tabacco (2001/37/CE) – la cosiddetta direttiva prodotto – che regolamenta la produzione, l'etichettatura e la vendita dei prodotti da fumo, soprattutto per quel che riguarda il divieto di utilizzo di ingredienti nella produzione di sigarette e l'introduzione del pacchetto generico.
(7-00910) «Trappolino, Oliverio, Zucchi, Agostini, Brandolini, Marco Carra, Cenni, Dal Moro, Fiorio, Marrocu, Mario Pepe (PD), Cuomo, Sani, Servodio, Boccia, Verini».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


      Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per i beni e le attività culturali, per sapere – premesso che:
          si fa riferimento al recente sisma che ha colpito principalmente la regione Emilia Romagna causando danni gravi ed ingenti a gran parte del patrimonio culturale artistico comprensivo di monumenti, palazzi, torri ma soprattutto chiese e simboli della cristianità ed identità culturale del popolo emiliano;
          in particolare l'interpellante vuole porre l'attenzione a quanto successo, come conseguenza della terribile scossa del 29 maggio 2012, alla basilica di San Petronio di Bologna, centro culturale ed identitario della città, attualmente chiusa al culto per effetto delle conseguenze del terremoto che si sostanziano in varie crepe, nelle navate laterali e nelle cappelle, in quanto il movimento ondulatorio ha provocato notevoli danni ai lati delle colonne portanti della chiesa, in corso di quantificazione;
          considerando il fatto che la basilica di San Petronio, per il suo alto valore architettonico ed artistico e il suo significato storico è uno dei simboli che più profondamente esprimono l'identità collettiva della città di Bologna, oltre a costituire un monumento insigne per l'intera comunità nazionale, si ravvisa la necessità di dare particolare attenzione, senza ovviamente penalizzare altri edifici religiosi delle zone terremotate, al finanziamento dei lavori di messa in sicurezza e restauro delle parti lesionate della medesima, per ridare ai bolognesi, che non a caso si dicono petroniani, in tempi brevi, il loro luogo di culto principale;
          occorre peraltro ricordare che lungo i secoli sono sempre stati accolti papi (11) e sovrani (8) e che tra gli avvenimenti storici emergono l'incoronazione imperiale di Carlo V (1530) e le sessioni IX e X del concilio di Trento (1547)  –:
          se intenda intervenire, anche presso il commissario nominato, per considerare la priorità dei lavori sopra menzionati per quanto riguarda la basilica, anche alla luce del fatto che la medesima è conosciuta a livello internazionale, rappresenta un richiamo turistico per la sua storia e per ciò che spiritualmente ed identitariamente rappresenta per i bolognesi ma non solo.
(2-01550) «Garagnani».

Interrogazioni a risposta scritta:


      BORGHESI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          gli articoli 8 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n.  1199, disciplinano il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, che si configura come un rimedio amministrativo proponibile per ragioni di legittimità nei confronti degli atti definitivi adottati dalla pubblica amministrazione, deciso in unico grado con un parere vincolante del Consiglio di Stato poi trasfuso nel conforme decreto decisorio adottato dal Presidente della Repubblica;
          il predetto ricorso amministrativo si caratterizza per la non obbligatorietà dell'assistenza legale al fine della sua proposizione, a differenza dell'alternativo ricorso giurisdizionale al tribunale amministrativo regionale, in primo grado, e al Consiglio di Stato, in sede di appello, che necessitano entrambi dell'assistenza legale e perciò è stato anche definito in dottrina come il cosiddetto «ricorso dei poveri»;
          le ragioni del permanere del ricorso straordinario nell'ordinamento giuridico italiano come strumento di tutela nei confronti della pubblica amministrazione, dopo una storia plurisecolare di esistenza e dopo alterne proposte di riforma, sono ancora oggi da individuarsi, sotto il profilo sociologico-economico, nei minori costi dell'opzione per tale istituto rispetto ai costi molto elevati (ed oggi ancor più elevati) della tutela giurisdizionale amministrativa e inoltre nella possibilità di disporre di un termine più lungo per ricorrere, costituendo così una vera e propria «valvola di sfogo» per contenziosi che trovano un sostanziale sbarramento al ricorso alla tutela giurisdizionale;
          sulla scorta di quanto sopra: la Corte costituzionale nella sentenza 31 dicembre 1986, n.  298 e nell'ordinanza 13 marzo 2001, n.  56, confermando la competenza dello Stato a decidere i ricorsi straordinari, ha riconosciuto le peculiarità del suddetto rimedio giustiziale nei confronti degli atti viziati della pubblica amministrazione, nel fatto che «i singoli interessati possono attivare con modica spesa, senza il bisogno dell'assistenza tecnico-legale e con il beneficio dei termini di presentazione del ricorso particolarmente ampi»;
          l'articolo 37, sesto comma, lettera s), decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98, convertito, con modificazioni, dalla legge del 15 luglio 2011, n.  111 (cosiddetta manovra di luglio), ha sostituito l'articolo 13, comma 6-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n.  115, recante il «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia», assoggettando il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica alla disciplina del «contributo unificato nel processo civile, amministrativo e tributario», nella misura di euro 600 (seicento), al pari di quello dovuto per i ricorsi giurisdizionali al TAR ed al Consiglio di Stato, fatta salva la disciplina derogatoria per alcune materie o riti speciali, di fatto così snaturando la peculiarità essenziale dello strumento giustiziale in questione  –:
          se e quali iniziative il Governo intenda sollecitamente assumere al fine di eliminare la previsione dell'assoggettamento dell'istituto del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica al versamento del contributo unificato, quale introdotto con l'articolo 37, sesto comma, lettera s) del decreto legge n.  98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  111 del 2011, nell'ambito del cosiddetto «Testo Unico delle spese di giustizia», di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.  115 del 2002, onde salvaguardare la sua primigenia peculiarità di ricorso amministrativo senza spese avverso atti viziati adottati dalla pubblica amministrazione. (4-16621)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 14 giugno a pagina 10 del quotidiano ModenaQui è stato pubblicato il seguente articolo: «“Questa è la storia della casa di mia nonna, costruita nel 1912. Ha resistito al terremoto ma non all'amministrazione comunale”. Sono parole pesanti quelle pronunciate da uno dei componenti della famiglia Paltrinieri di Cavezzo. “La casa di piazza Matteotti è stata abbattuta l'8 giugno senza avvisare i proprietari. C’è una relazione di un ingegnere civile che dice che la casa era solidissima e non sarebbe mai venuta giù. Infatti il primo piano ha resistito nonostante ci siano passati sopra con le ruspe”. La famiglia ha annunciato di essersi rivolta a un legale e la vicenda dovrà dunque essere chiarita. Dal canto suo chi ha abbattuto la casa lo ha fatto sicuramente perché la riteneva a rischio crollo e non credeva si potesse fare altrimenti;
          come detto i Paltrinieri si lamentano non solo dell'abbattimento, ma anche del fatto che nessuno li abbia avvertiti. “Abbiamo lasciato due volte il nostro numero di cellulare a quelli incaricati delle verifiche. Invece abbiamo scoperto per caso che casa nostra era stata demolita”;
          il palazzo era stato abbandonato dopo la scossa del 20 maggio 2012 e nei giorni successivi venne fatto un sopralluogo da parte di un verificatore e si adottarono misure per metterlo in sicurezza in vista di un restauro. Dopo il 29 maggio però i palazzi circostanti sono crollati. Dopo l'abbattimento un ingegnere incaricato dalla famiglia ha eseguito un sopralluogo sulle macerie per redigere una perizia di parte;
          nel palazzo di piazza Matteotti vivevano Francesca Paltrinieri con la figlia Alice Calanca; Rosaria Paltrinieri con il marito e due figli, Francesco e Alessio Bondi»  –:
          se è a conoscenza del fatto narrato in premessa ovvero se vi siano altri casi simili e quali iniziative intenda prendere al fine di prevenire l'insorgere di un costoso contenzioso per le finanze pubbliche.
(4-16637)


      BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BERNARDINI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il Corriere della Sera ha pubblicato due articoli, il 4 e 5 giugno 2012, dai quali emergono novità sul caso della scomparsa di Emanuela Orlandi:
              il 4 giugno l'articolo intitolato «Emanuela Orlandi, Mirella Gregori e la pista dei preti pedofili a Boston.  I legami con la città dello scandalo: una lettera col timbro postale di «Kenmore Station» e le telefonate dell’«Amerikano»;
          nell'articolo si sostiene che «C’è un filo robusto – rimasto sottotraccia nelle decine di faldoni dell'inchiesta aperta da 29 anni presso la Procura di Roma – che lega la scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori allo scandalo dei preti pedofili a Boston.  Una vicenda che nel 2002 sconvolse la Chiesa cattolica, lasciò sgomenti milioni di fedeli americani per i sistematici abusi su minori coperti dai vertici ecclesiastici e portò alle dimissioni dell'arcivescovo Bernard Francis Law, poi tornato a Roma nel 2005 in qualità di arciprete della basilica di Santa Maria Maggiore»;
              «Settembre 1983, mese chiave dell'intrigo. Il 4 l’“Amerikano” (soprannome dato al telefonista anonimo protagonista della vicenda) riappare e fa trovare una busta dentro un furgone Rai, contenente un messaggio a penna e uno spartito di Emanuela. Ancora: al bar dei Gregori, il 12, giunge una telefonata choc. Un anonimo elenca i vestiti indossati e la marca della biancheria intima di Mirella, che solo la madre conosce. È un complice dell’“Amerikano” ? Entrambe le ragazze sono in suo pugno ?»;
              «Ed eccoci al 27 settembre 1983, all'ulteriore rivendicazione (o messinscena ?) che, riletta oggi, fa correre brividi lungo la schiena. Richard Roth, corrispondente da Roma della Cbs, riceve una lettera che preannuncia “un episodio tecnico che rimorde la nostra coscienza”. Gli investigatori, scrive l'Ansa il giorno dopo, sono sicuri: si tratta dei “veri rapitori di Emanuela” o di “quelli che l'hanno tenuta prigioniera”. Sulla busta c’è il timbro di partenza: Kenmore. Ma a quale episodio “tecnico” si allude ? “L'imminente uccisione dell'ostaggio”»;
              «Non basta: una perizia grafologica accerta che il messaggio del 4 settembre e questo del 27 sono opera della stessa mano. L’“Amerikano” si è spostato sulla East coast ? O ha trasmesso i suoi scritti a qualcuno, forse per continuare i depistaggi ?»;
              «Tale pista all'epoca non fu percorsa ma adesso, alla luce dei nuovi indizi, potrebbe riprendere quota. Gennaio 2002, Boston: scoppia lo scandalo. Il cardinale Law è accusato di aver coperto per molti anni sacerdoti pedofili della diocesi. Maggio 2002, si apre il processo davanti alla Corte di Suffolk: Law nella deposizione risponde a monosillabi, si scusa per aver controllato poco i “collaboratori”. 7 giugno 2002: fuori dal tribunale le mamme delle vittime (per lo più maschietti, ma non solo) protestano. E, dentro, l'interrogatorio è incalzante: “È emerso in una precedente deposizione – attacca il rappresentante dell'accusa – che 32 uomini e due ragazzi hanno formato il gruppo Nambla. Per contattarlo si può scrivere presso il Fag Rag, Box 331, Kenmore Station, Boston... Cardinale Law, ha inteso ?”. Pausa. Nell'aula risuona una frase sibilata, poco più di un soffio»;
              «“I do”, risponde l'arcivescovo. Sì, è vero. Il Fag Rag, che sta per “Giornalaccio omosessuale”, faceva quindi proseliti per conto del temutissimo sodalizio pedofilo degli States, proprio dalla stazione da cui partì la lettera su Emanuela. Nella sequenza di omissioni e depistaggi che da sempre alimenta il giallo della “ragazza con la fascetta”, la pista di Boston, 29 anni dopo, fa balenare il più spaventoso e sconvolgente degli scenari»;
          il giorno successivo il noto quotidiano pubblica l'articolo dal titolo: «Il cardinale negli Usa dopo il rapimento», sempre a firma del giornalista Fabrizio Peronaci;
          nell'articolo si sostiene che Sua Eminenza Reverendissima B.F.Law esattamente l'11 gennaio 1984 fu nominato arcivescovo di Boston;
          «una coincidenza che si aggiunge a un'altra: il fatto che le prime denunce sulla East Coast, poi deflagrate nelle 456 cause delle giovani vittime di abusi sessuali, contate nel 2002, risalivano all'anno del suo arrivo»;
          «i mesi precedenti Bernard Law, a Roma, tesseva i fili della potente Chiesa d'America facendo base a Santa Susanna, sede dell'American Church, zona Stazione Termini. Un trasferimento inaspettato il suo: il Rettore Umberto Sousa Medeiros morì il 17 settembre 1983 e chi poteva aspettarsi un avanzamento di carriera in loco lo vide volare oltreoceano, salvo nel 1985 accumulare la carica e diventare, lo stesso Law, anche il Cardinale titolare di Santa Susanna»;
          nell'articolo si sostiene che un'agente del SISDE Giulio Gangi nel settembre 1983 annunciò l'imminente liberazione di Emanuela Orlandi alla famiglia, e ciò fu riportato nella sentenza del giudice istruttore dottoressa Adele Rando del 19 dicembre 1997 (contro Springorum K, Teuffenbach F., Wanner P., Oral C. e De Vito S.), pagina 82, in cui si fa riferimento ad una deposizione dell'agente del SISDE nel medesimo procedimento di cui viene riportata fra virgolette l'espressione «andato all'aria» con riferimento espresso al previsto imminente ritorno a casa della scomparsa Emanuela Orlandi;
          nella sentenza citata il giudice istruttore Adele Rando, a scrivere che il movente politico-terroristico fu «un'abile operazione di dissimulazione dell'effettivo movente del rapimento di Emanuela Orlandi»  –:
          se risultino avviate indagini volte ad approfondire le circostanze descritte negli articoli del Corriere della Sera del 4 giugno 2012 pagina 15 e del Corriere della Sera del 5 giugno 2012 pagina 16, relativamente alla scomparsa della cittadina dello Stato Città del Vaticano Emanuela Orlandi il 22 giugno 1983 a Roma;
          se anche sulla base degli atti depositati risulti quali ragioni, quali indagini, quali elementi di conoscenza, portarono l'agente del SISDE Giulio Gangi nel settembre 1983 ad annunciare l'imminente liberazione di Emanuela Orlandi alla famiglia, salvo poi dire la frase virgolettata «andato all'aria» con riferimento espresso al mancato ritorno della Orlandi come riportato nella sentenza di proscioglimento citata nelle premesse del Giudice Istruttore Adele Rando e che cosa sia «andato all'aria» nel settembre del 1983;
          se risulti quali indagini effettuò il Sisde, con quali esiti e a chi furono eventualmente comunicati, successivamente alla scomparsa di Emanuela Orlandi. (4-16646)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta orale:


      CARDINALE, BURTONE, CAPODICASA, ANTONINO RUSSO, SIRAGUSA e GENOVESE. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro per la coesione territoriale, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il recente orientamento della Commissione Europea sugli «aiuti di Stato» – a seguito della sentenza emessa il 24 marzo 2011 dalla Corte di giustizia europea (2011/C 145/38) «Aeroporto di Lipsia» – desta enorme preoccupazione per il fatto che numerose procedure per la costruzione e gestione di infrastrutture del nostro Paese, per la loro stessa tipologia, sono sotto il vaglio della Commissione;
          la realizzazione di infrastrutture – e in particolare di quelle già previste con specifica individuazione nei programmi operativi cofinanziati dai fondi strutturali – sarebbero di grande ausilio per il superamento dell'attuale stato di crisi in cui versa il Paese;
          secondo l'attuale indirizzo della Commissione europea, il finanziamento di porti, aeroporti, interporti, stadi, impianti di trattamento rifiuti, infrastrutture di ricerca, energetiche e relative alla banda larga, sarebbe da inquadrarsi come aiuto di Stato;
          ai sensi dell'articolo 87, n.  1, CE, per qualificare un provvedimento come aiuto è necessario che tutti i presupposti previsti da tale disposizione siano soddisfatti: (i) deve trattarsi di un intervento dello Stato o effettuato mediante risorse statali, (ii) tale intervento deve poter incidere sugli scambi tra gli Stati membri, (iii) deve concedere un vantaggio al suo beneficiario favorendo talune imprese o talune produzioni, (iv) deve falsare o minacciare di falsare la concorrenza;
          la nozione di impresa, nel contesto del diritto della concorrenza, comprende ogni entità che svolge un'attività economica, indipendentemente dallo statuto giuridico di tale entità e dalle sue modalità di finanziamento;
          essendo talune infrastrutture gestite da soggetti terzi, a fronte del pagamento di un canone, si ritiene che il soggetto che percepisca il canone svolga attività economica, indipendentemente dalla natura pubblica del soggetto stesso (esempio: autorità portuali);
          in presenza di aiuti di Stato, lo strumento ordinario per ottenere l'autorizzazione da parte della Commissione europea è quello della «notifica preventiva dell'aiuto»;
          la quantità di notifiche inviate dagli Stati a Bruxelles rischia di rallentare ulteriormente le procedure per la realizzazione delle infrastrutture, non disponendo la Commissione europea di risorse necessarie a garantire decisioni in tempi ragionevoli;
          in particolare, la regione Sicilia – con riguardo ai grandi progetti relativi agli interporti di Termini Imerese e Catania, al porto Hub di Augusta, ad alcune infrastrutture aeroportuali per interventi di safety e security, eccetera – dovrà inviare «notifica preventiva dell'aiuto»;
          è di tutta evidenza che l'obbiettivo della Commissione europea è quello di analizzare preventivamente i progetti infrastrutturali, al fine di verificare se la realizzazione dell'infrastruttura comporti, a valle, l'esercizio di un'attività economica;
          nelle more della preannunciata «modernizzazione» della politica in materia di aiuti di Stato, con una iniziativa strategica da parte della Commissione europea per la razionalizzazione delle regole esistenti, l'attuale sistema normativo appare complesso ed incerto;
          una check-list della Commissione europea – onde identificare celermente le tipologie di investimento che costituissero aiuti di Stato e creare una corsia preferenziale per gli investimenti dei programmi operativi regionali e del P.O.N 2007-2013 – avrebbe già dovuto vedere la luce nei mesi scorsi;
          numerose opere – soprattutto quelle finanziate nella programmazione 2007-2013 dal PON «Reti e mobilità» del Ministero delle infrastrutture e trasporti e, per ciò che concerne la Sicilia, dal programma operativo FESR – risultano di fatto bloccate;
          l'utilizzo delle risorse del programma operativo FESR Sicilia 2007-2013 nel settore delle infrastrutture ha registrato un altro significativo arresto a causa dell'adozione delle delibere CIPE 79/2010 e n.  1/2011, finalizzate alla riprogrammazione finanziaria ma che hanno – di fatto – reso impossibile l'aggiornamento degli accordi di programma quadro anche mediante l'introduzione di nuovi interventi (in alcuni casi già cantierabili e rispondenti ai criteri dello stesso programma operativo FESR Sicilia 2007/2013)  –:
          se non ritengano urgente:
              a) adoperarsi nei confronti della Commissione europea per ottenere una check-list onde poter effettuare celermente lo screening delle opere da sottoporre eventualmente a notifica di aiuto di Stato;
              b) interloquire con la Commissione europea per semplificare le procedure ed avere certezza sulla tempistica di esame dei progetti;
              c) assicurare un adeguato e competente supporto per l'accelerazione delle procedure di notifica, avendo particolare attenzione per le regioni impegnate nell'attuazione dei programmi cofinanziati con fondi comunitari;
              d) impegnarsi per altre significative iniziative da assumere per rimuovere i vincoli derivanti dalle delibere CIPE 79/2010 e 11/2011. (3-02344)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      RIGONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 114, commi 15 e 16, della legge n.  388 del 2000, ha previsto l'istituzione del parco archeologico delle Alpi Apuane, per conservare e valorizzare gli antichi siti di escavazione e i beni di rilevante testimonianza storica, culturale e ambientale connessi con l'attività estrattiva;
          la medesima norma ha attribuito la gestione del parco archeologico in oggetto ad un Consorzio da costituirsi tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero per i beni e le attività culturali, la regione Toscana, gli enti locali e l'ente parco regionale delle Alpi Apuane;
          nel 2001 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha avviato l’iter istitutivo del parco archeologico e, in accordo con le amministrazioni interessate, era riuscito ad individuare i siti e i beni da inserire nel parco, i relativi obiettivi di tutela e valorizzazione, elaborando pure un primo schema del decreto;
          il 19 marzo 2003, lo schema del decreto è stato trasmesso alla regione Toscana ai fini dell'espressione dell'intesa richiesta dalla legge e la regione stessa è stata invitata ad acquisire il parere preventivo dei comuni interessati;
          con deliberazione n.  23 del 12 febbraio 2003, il consiglio regionale ha approvato l'intesa sul parco archeologico, dopo aver acquisito i pareri favorevoli di tutti i comuni interessati, chiedendo di apportare allo schema di decreto alcuni adeguamenti che sono stati accolti e la regione Toscana in data 13 marzo 2003 ha trasmesso copia della deliberazione al Ministero competente;
          il 22 aprile 2003 il direttore generale del servizio conservazione della natura del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con una nota ha comunicato la necessità di operare alcune modifiche sulla bozza di decreto istitutivo, con il passaggio della presidenza della commissione statuto e regolamento contabilità, dal presidente dell'ente parco regionale delle Alpi Apuane ad un rappresentante dei Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e per i beni e le attività culturali;
          il consiglio regionale della Toscana, di fronte ad una situazione perdurante di stallo – che non trovava alcuna motivazione espressa – in data 5 novembre 2003 ha approvato, con voto unanime, la mozione n.  665 (a seguito di specifica iniziativa della V Commissione consiliare), invitando la giunta regionale a «promuovere tutte quelle iniziative che riterrà più idonee al fine di sollecitare i competenti Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e per i beni e le attività culturali, alla firma del decreto di istituzione del Parco archeologico delle Alpi Apuane»;
          l'articolo 114 della succitata legge 23 dicembre 2000, n.  388 prevede l'istituzione, con modalità simili, non soltanto del parco archeologico delle Alpi Apuane (ai commi 15 e 16), ma pure di altri tre parchi archeominerari, quali il geominerario della Sardegna (comma 10), il tecnologico ed archeologico delle colline metallifere (comma 14) e il Museo delle miniere dell'Amiata (ancora comma 14);
          il 27 novembre 2006, l'allora Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare apponeva la propria firma in calce al decreto istitutivo del parco archeologico delle Alpi Apuane ed alla conclusione dell'iter mancava soltanto la firma d'intesa del Ministro per i beni e le attività culturali;
          a distanza di tredici anni non risulta ancora perfezionato il decreto istitutivo del parco archeologico delle Apuane, quando, invece, l'istituzione degli altri tre parchi archeominerari è avvenuta regolarmente e sono da tempo normalmente in funzione, con organi in piena carica, e sostenuti dal contributo statale;
          in occasione della 10o conferenza dei geoparchi, svoltasi in Norvegia nell'ottobre 2011, il parco toscano delle Alpi Apuane è entrato anche a far parte della rete mondiale dei geoparchi, coordinata dall'UNESCO;
          in esecuzione dell'articolo 114 comma 15 e 16 della legge n.  388 del 2000, il parco ha ricevuto contributi dallo Stato nel triennio 2001-2003 per complessivi euro 775.549,45 e che attualmente si trovano tra i residui passivi, senza possibilità di essere investiti per interventi ed attività del parco archeologico  –:
          se i Ministri interrogati non intendano adottare il decreto istitutivo del parco archeologico delle Apuane e sostenere così un progetto finalizzato a conservare e valorizzare un territorio di rilevante testimonianza storica, culturale e ambientale. (5-07100)


      ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la risoluzione 8-00167, approvata all'unanimità dalla Commissione ambiente della Camera dei deputati il 7 marzo 2012, avente ad oggetto le modalità di accertamento dell'inquinamento prodotto dall'inceneritore Fenice di Melfi sulle quali è stata aperta un'inchiesta per disastro ambientale, ha impegnato il Governo, tra l'altro, a verificare la fattibilità di una indagine epidemiologica e biologica per conoscere lo stato della salute pubblica e dell'ambiente in tutta la zona del Vulture-Alto Bradano e ad operare, per quanto di competenza, perché sia effettuato un adeguato monitoraggio di tutte le matrici ambientali ad iniziare dall'aria ed in particolare dalle diossine;
          si apprende che l'Istituto superiore di sanità avrebbe reso noti dati riferiti a vecchie relazioni del 2009 ed addirittura del 2005 (per ammissione dello stesso Istituto superiore di sanità); ciò ad avviso degli interroganti è espressione di «una superficiale verifica»;
          un fatto ulteriormente aggravato dalla messa a disposizione, da parte dell'Arpa Basilicata, dei dati relativi al monitoraggio dei metalli pesanti prodotti dall'inceneritore Fenice di Melfi, per il periodo 2002-2007, soltanto il 17 settembre 2011 e dal fatto che in base a questi dati emerge che proprio dal 2002 al 2007, vi sono stati sforamenti continui da parte dell'inceneritore Fenice di tutta una serie di sostanze inquinanti la falda acquifera;
          continuando a riproporre dati vecchi e peraltro basati su una non corretta rappresentazione di quanto messo al tempo a disposizione, l'Istituto superiore di sanità diventa a giudizio degli interroganti corresponsabile di una disinformazione che pregiudica la possibilità per le istituzioni, oltre che per i cittadini, di assumere le più opportune decisioni a tutela della salute e dell'ambiente;
          sull'operato dell'Istituto superiore di sanità in Basilicata, con l'interrogazione n.  4-15610 si era segnalato come anche in merito agli accertamenti relativi alla situazione del lago Pertusillo, vi fossero pressioni per «lasciar perdere»  –:
          se si sia avviata una indagine epidemiologica e biologica per conoscere lo stato della salute pubblica e dell'ambiente in tutta la zona del Vulture-Alto Bradano;
          quali iniziative siano state promosse, per quanto di competenza, perché sia effettuato un adeguato monitoraggio di tutte le matrici ambientali ad iniziare dall'aria ed in particolare dalle diossine;
          quali iniziative si intendano promuovere nei confronti dell'Istituto superiore di sanità perché cessi di far circolare informazioni a giudizio degli interroganti vecchie e fuorvianti in merito all'inquinamento prodotto dall'inceneritore Fenice ed in particolare se non ritenga il Governo di fornire dettagliate informazioni su questa situazione. (5-07110)

Interrogazioni a risposta scritta:


      JANNONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          durante la rappresentazione del rapporto ENEA, il commissario Giovanni Lelli ha spiegato: «Con questo Rapporto l'ENEA intende fornire un punto di riferimento per tutto il settore energetico del Paese, contribuendo alla definizione della politica energetica nazionale attraverso l'elaborazione di analisi e scenari utili per il decisore politico. Da questi scenari emerge l'esigenza prioritaria di ridurre la dipendenza energetica dall'estero effettuando scelte strategiche nel settore energetico orientate alla green economy, che richiedono un processo di trasformazione tecnologica, peraltro già in atto. È necessario puntare sulla diversificazione delle fonti, su una maggiore diffusione delle rinnovabili, sul potenziamento delle infrastrutture e di un sistema di smart grids, sull'incentivazione dell'efficienza energetica e sul risparmio di energia nel settore residenziale e industriale. Efficienza energetica, fonti rinnovabili e sviluppo delle reti rappresentano pertanto gli strumenti chiave per ridurre le emissioni di CO2, in linea con gli obiettivi europei per l'attuazione di un processo di decarbonizzione del sistema energetico e economico»;
          il rapporto energia e ambiente analizza anche l'andamento dei negoziati sul clima, il mercato delle emissioni, la fiscalità energetica e la carbon tax. Gli scenari mettono in evidenza l'evoluzione del fabbisogno dell'energia primaria e l'evoluzione del mix energetico nella generazione elettrica, lo sviluppo della domanda di energia negli usi finali, le politiche per la mitigazione delle emissioni di gas serra e il ruolo dell'efficienza energetica nella riduzione delle emissioni. Un approfondimento è dedicato al ruolo dell'innovazione tecnologica per l'affermazione di una green economy che faccia da volano per il miglioramento della competitività del sistema energetico nazionale, per superare la grave crisi economica dei mercati. Grazie agli investimenti in innovazione tecnologica si assiste ad una crescita globale della produzione di energia da fonti rinnovabili, con una forte preminenza nelle tecnologie del solare. Le dinamiche del commercio internazionale delle rinnovabili risultano determinate dalla capacità di competitività tecnologica e di evoluzione dei sistemi produttivi in grado di adeguarsi al mix energetico derivante da fonti rinnovabili. L'Italia è tra i Paesi che hanno maggiormente fatto ricorso a politiche di incentivi per lo sviluppo delle rinnovabili, ma questo processo è avvenuto in maniera contraddittoria perché la crescita del fotovoltaico ha causato un peggioramento del deficit commerciale delle tecnologie per le rinnovabili, con un aumento delle importazioni. Ciò è dovuto al fatto che non c’è stato sufficiente impegno nella ricerca del settore e nella capacità di stimolare nuove filiere industriali, diversamente da quanto è accaduto in altri paesi europei;
          la crescita dei consumi globali di energia si concentra da oltre dieci anni nei paesi emergenti come Cina e India, trainata dai consumi di carbone della Cina che costituiscono quasi la metà della domanda mondiale di questa fonte. Il petrolio continua ad essere la fonte più utilizzata: nel 2009, ha costituito il 33 per cento della domanda primaria, seguito dal carbone (27,1 per cento) e dal gas (20,9 per cento). Le fonti rinnovabili, con una crescita media annua dell'1,8 per cento dal 1990, arrivano a soddisfare il 13 per cento dell'offerta primaria di energia mentre il nucleare soddisfa il 6 per cento della domanda totale. Dopo la flessione dovuta alla crisi, il 2010 fa già segnare una crescita dei consumi che, secondo il World Energy Outlook 2011 dell'International energy agency, verrà soddisfatta, fino al 2035, in misura prevalente da combustibili fossili. Per contrastare il rischio di cambiamenti climatici il Consiglio europeo ha adottato l'obiettivo per l'UE di ridurre entro il 2050 le emissioni di gas serra di almeno l'80 per cento rispetto ai livelli del 1990. Come tappe intermedie verso l'obiettivo al 2050, le emissioni dovrebbero essere ridotte almeno del 40 per cento rispetto al 1990 entro il 2030 e del 60 per cento entro il 2040. L'analisi indica anche che per il 2020 l'obiettivo attuale di riduzione delle emissioni del 20 per cento andrebbe rafforzato al 25 per cento. Il raggiungimento di tale obiettivo implica per 2050 la quasi completa decarbonizzazione della produzione elettrica, un processo di efficientamento e di innovazione che potrebbe rafforzare al contempo sicurezza degli approvvigionamenti e competitività dell'Europa;
          nel 2010 la domanda di energia primaria in Italia ha visto una crescita del 4,1 per cento rispetto al 2009, trainata dalla seppur lieve ripresa economica (1,3 per cento: si inverte il trend degli ultimi quattro anni, anche se i consumi del 2010 restano inferiori del 5 per cento rispetto al 2005. Riguardo alle fonti si conferma la decrescita del ricorso al petrolio a vantaggio del gas e il significativo aumento delle fonti rinnovabili. Nel 2010 il peso della fattura energetica del nostro Paese è stato di oltre 50 miliardi di euro e più recenti stime dell'Unione petrolifera per il 2011 indicano valori oltre i 60 miliardi di euro. La ripartizione degli impieghi finali per settore evidenzia il peso crescente del settore civile (dal 30,3 per cento del 2007 al 35,4 per cento del 2010); il settore industriale, la cui quota è in netto calo negli ultimi cinque anni (-5 per cento copre il 23,2 per cento dei consumi finali; il settore dei trasporti, dopo il crollo dovuto alla crisi, subisce nel 2010 un'ulteriore lieve contrazione. Le misure adottate nel contesto del nuovo quadro d'azione europeo, sono tese a completare il processo di liberalizzazione del settore elettrico e del gas, a promuovere l'efficienza energetica (Piano nazionale per l'efficienza energetica) e a sviluppare l'uso delle fonti rinnovabili (Piano di Azione Nazionale per le Energie Rinnovabili), anche per consentire la necessaria diversificazione delle fonti energetiche;
          l'ENEA ha analizzato la possibile evoluzione del sistema energetico nazionale secondo tre scenari: riferimento (assume il quadro delle politiche e misure in vigore al dicembre 2009 e descrive l'evoluzione del sistema in linea con il trend attuale); politiche correnti (descrive gli effetti delle politiche energetiche in atto); roadmap (indica lo sforzo aggiuntivo necessario per ridurre le emissioni serra in linea con la Roadmap 2050 dall'UE). Nel 2009, per effetto della crisi economica, l'Italia si è notevolmente avvicinata al target di emissioni indicato dal protocollo di Kyoto. Tuttavia questa tendenza è da considerarsi temporanea; infatti, come indicato dallo scenario di riferimento, in assenza di politiche e misure, le emissioni riprendono ad aumentare già nel breve periodo non consentendo di raggiungere gli obiettivi di riduzione previsti al 2020. L'azione congiunta delle misure per l'efficienza energetica e per la diffusione delle tecnologie per le rinnovabili, determina nello scenario a politiche correnti una riduzione della domanda e una conseguente riduzione delle emissioni serra che permette di raggiungere gli impegni assunti in sede comunitaria;
          lo scenario roadmap, che riflette la traiettoria di riduzione delle emissioni dello scenario dell'Unione europea al 2050, ipotizza una accelerazione più spinta delle tecnologie per l'efficienza energetica, per le rinnovabili e per la cattura e confinamento della CO2 sia nel settore elettrico che industriale che consente di conseguire gli obiettivi di lungo periodo. Dall'entrata in vigore del protocollo di Kyoto nel 2005, l'Unione europea ha registrato un sempre più forte incremento della percentuale di energia prodotta da rinnovabili sui consumi finali lordi, con un impatto significativo sulla riduzione dell'intensità carbonica e sul disaccoppiamento tra crescita economica e «stress» ambientali. Nel 2010 l'Unione europea è arrivata a registrare una quota del 12,4 per cento di energia prodotta da rinnovabili sui consumi finali lordi di energia, «giungendo a soddisfare più della metà del target prefissato per il 2020. Nonostante le vicende della crisi internazionale, la crescita della produzione di energia da rinnovabili a livello mondiale ha conosciuto uno sviluppo del tutto straordinario lungo tutto il quinquennio 2005-2010. Gli investimenti mondiali in tecnologie per le rinnovabili hanno fatto registrare nel 2010 un valore complessivo di 211 miliardi di dollari (+32 per cento rispetto al 2009 e circa dieci volte rispetto al 2004, anno nel quale è iniziato il decollo). Complessivamente le tecnologie del fotovoltaico e dell'eolico hanno fatto registrare nel periodo 2005-2010 una accelerazione negli scambi commerciali ad un tasso di incremento medio annuo pari a circa 5 volte quello complessivo dei settori manifatturieri;
          centrale negli ultimi anni è stato il ruolo delle tecnologie del fotovoltaico, con un sempre più forte protagonismo dei paesi asiatici. Nell'Unione europea l'adeguamento dell'offerta produttiva interna in questo settore è risultato insufficiente a soddisfare una domanda che, per l'intera area si è più che decuplicata tra il 2005 e il 2010. Ciò ha determinato un costante aumento delle importazioni in tutti i Paesi membri, ancorché con differenze significative tra le singole economie, facendo sì che la quota delle importazioni nel 2010 arrivasse a coprire il 62 per cento del totale mondiale del settore. In tale contesto, la situazione italiana risulta particolarmente critica. Se, infatti, lo sviluppo delle rinnovabili non ha seguito da noi tendenze troppo dissimili da quelle registrate mediamente in Europa, inclusa la politica degli incentivi, il nostro Paese si è mostrato piuttosto deficitario nell'impegno in ricerca (pubblica) e nella capacità di stimolare e sostenere nuove filiere industriali. Nel fotovoltaico, l'andamento del deficit commerciale dell'Italia è stato caratterizzato dallo straordinario aumento delle importazioni, ed è risultato sempre più divergente da quello relativo alla media dell'UE15. Si è raggiunto, infatti, nel 2010 un deficit superiore a 11 miliardi di dollari correnti (circa quattro volte e mezzo il valore del 2009): un quarto di tale deficit è da attribuirsi all'interscambio con la Germania mentre più del 40 per cento è dovuto alla Cina;
          l'inasprirsi del vincolo estero, a seguito dell'aggravarsi delle situazioni di deficit commerciale, può risultare esiziale per la capacità di crescita dell'economia e, di conseguenza, dell'occupazione al suo interno. L'Italia mostra ancora una significativa debolezza nelle condizioni che possono dar vita ad una autonomia energetica su base tecnologica (quale è quella implicata dall'uso di fonti rinnovabili), e cioè nell'investimento pubblico in ricerca e nella struttura tecnologicamente arretrata del suo sistema industriale. Il perseguimento di una politica energetica di sviluppo delle rinnovabili in Italia, dovrà perciò accompagnarsi ad un maggiore slancio della spesa pubblica in ricerca energetica e a politiche industriali volte a orientare la specializzazione produttiva del sistema industriale verso settori a maggiore intensità tecnologica, così come avvenuto nei Paesi europei più avanzati  –:
          quali interventi il Ministro intenda adottare al fine di far raggiungere al nostro Paese la piena indipendenza energetica, ricorrendo ad un maggior sviluppo dell'utilizzo delle energie rinnovabili, con particolare attenzione a quanto programmato dal protocollo di Kyoto. (4-16611)


      JANNONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          prima di sbarcare in Toscana, l'onda «no waste» sostenuta dallo scienziato statunitense Paul Connet, che si oppone all'incenerimento come metodo di smaltimento dei rifiuti urbani, ha contagiato due terzi delle municipalità neozelandesi, San Francisco, la Svezia, parte della Germania, Buenos Aires, India, Giappone, Filippine, Sudafrica, Norvegia, Taiwan, Irlanda. Insomma, il movimento rifiuti zero, è attivo in tutto il mondo grazie a ricercatori e amministratori che credono non solo nel riciclo, ma nella riduzione dei rifiuti. «Ci davano dei pazzi. Ci dicevano che la “Strategia Rifiuti Zero al 2020” era un'utopia. Invece è un traguardo raggiungibile: i risultati intermedi sono superiori alle aspettative», racconta Alessio Ciacci, assessore all'Ambiente di Capannori, che fa parte dell'associazione comuni virtuosi. «Abbiamo ridotto del 25% la produzione complessiva di rifiuti e non abbiamo fatto niente di più di quello che suggerisce l'Unione Europea» continua Ciacci, che a raffica elenca i risultati: la raccolta differenziata è passata in quattro anni dal 37 per cento all'82 per cento grazie a un «porta a porta spinto», che raccoglie tutto, comprese potature, oli esausti e pannolini. Per l'organico il modello scelto è svedese: una compostiera collettiva che trincia i rifiuti umidi e nel giro di due settimane li trasferisce nella «camera di maturazione» si è aggiunta al compostaggio domestico (il composter, come ogni secchio per la raccolta, viene dato in omaggio ai cittadini). Solo questa strategia ha abbattuto del 10 per cento la tassa sui rifiuti, già a «tariffazione puntuale» nel 93 per cento del comune grazie a sacchetti Rfid (con microchip filigranato) che riconoscono il conferimento;
          nessun cassonetto stradale, acqua in brocca nelle mense, le «vie dell'acqua» per il ritiro alla spina da quindici fonti sorgive, latte e detersivi pure alla spina, mercatini di scambi e riusi. Con la raccolta differenziata e un'attenzione mirata alla riduzione dei rifiuti, in cinque anni Capannori ha avviato al riciclaggio oltre 100 mila tonnellate di scarti, ottenendo una riduzione dei rifiuti indifferenziati a smaltimento di circa 40 mila tonnellate. Le municipalità che hanno aderito al progetto di Capannori sono sparse in ogni regione. «Con pochi accorgimenti lo scorso anno abbiamo prodotto 6 tonnellate di plastica in meno, e siamo solo 1.430 abitanti», commenta Luca Gioanola, sindaco di Mirabello Monferrato (Alessandria). «Ma se passiamo dal micro al macro, la proporzione si fa in fretta». Anche a Mirabello, zero rifiuti ha attecchito alla grande. Le «case dell'acqua» erogano sino a 22 mila litri al mese. Il comune ha rifornito gratuitamente di bottiglie in vetro e cestelli i cittadini. «Alla spina» qui viene venduto persino il profumo, oltre ai detersivi e ai cosmetici: i negozi «leggeri» hanno sgravi sulla Tarsu. Dice il sindaco: «È un fenomeno contagioso. Si è formata una piccola massa critica, e quindici comuni vicini ci hanno imitati, aprendo le loro “case dell'acqua”. Ma non solo, i nostri tre “negozi leggeri”, sono frequentatissimi dai vicini». I dati di fine 2011 vedevano Mirabello con il 61 per cento di differenziata contro la media del territorio di 53 per cento, con una produzione di rifiuti in costante diminuzione. «Eravamo a 163 chili di indifferenziato pro-capite nel 2009, siamo scesi a 147 chili nel 2010 e siamo arrivati a 136 nel 2011», elenca Gioanola. «La media piemontese è sopra i 300 chili». Ma ancora non basta. Il compostaggio domestico e la «raccolta puntuale» grazie bidoni dotati di tecnologia Rfid è già attivo, e ora sta per partire il progetto di un centro riuso e stoccaggio dove oggetti in legno, mobili, vestiti, scarpe, elettrodomestici, biciclette (selezionati) verranno riportati in vita da ragazzi 18-25enni disoccupati che nel centro verranno impiegati e andranno a bottega come fabbri, falegnami, idraulici, ciclisti, sarti;
          dal Nord al Sud, le storie sulle strategie Rifiuti Zero sono varie ed elaborate. «Il mese prossimo lanciamo la campagna Ecopassi. Il pezzo forte ? Saranno gli accorgimenti per non utilizzare più l'acqua potabile nei WC», annuncia Attilio Renzulli, energy manager per il comune di Benevento, 62 mila abitanti, nel progetto rifiuti zero da fine del 2011. «Al momento siamo al 65% di raccolta nella differenziata, con picchi del 70%. La raccolta dell'organico sta dando eccellenti risultati, specie se pensiamo che grandi città come Milano e Roma, nemmeno la fanno. Ma il problema è che, non avendo un impianto anaerobico di trattamento e nemmeno un'autorizzazione regionale», conclude, «siamo costretti a inviare in Puglia e in Lombardia una fonte energetica di ottima qualità che non possiamo sfruttare»  –:
          quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di incentivare tutte le amministrazioni locali ad adottare misure volte al riciclo dei rifiuti e al rispetto dell'ambiente come prospettato dal movimento «no waste». (4-16612)


      JANNONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          i gas serra continuano a crescere a livello globale battendo anno dopo anno il record di emissioni. Il precedente picco era stato toccato nel 2010. Nel 2011 – secondo le anticipazioni fomite dall'Agenzia internazionale per l'energia – si è arrivati a 31,6 miliardi di tonnellate di CO2 derivanti dall'uso dei combustibili fossili: una crescita del 3,2 per cento nell'arco di un anno. Il dato è allarmante per vari motivi: il primo consiste nel fatto che, con il superamento delle 390 parti per milione di anidride carbonica in atmosfera (erano 280 alla vigilia della rivoluzione industriale), si sta provocando un conseguente continuo aumento dei gas serra che intrappolano il calore creando uno squilibrio progressivo. I climatologi ripetono che bisogna eliminare totalmente le emissioni serra, rallentare drasticamente il consumo dei combustibili fossili e fermare la deforestazione: se non lo faremo rischiamo di vedere aumentare la pressione dei deserti, crescere la violenza dei fenomeni meteo estremi, rendere inabitabili vaste zone del pianeta;
          il secondo motivo di allarme è che, mentre lo squilibrio dell'atmosfera si aggrava, non siamo ancora in grado di dare una risposta effettiva e stringente alla problematica. Il negoziato sul dopo protocollo di Kyoto ha subito un alt nel 2010 alla conferenza Onu di Copenaghen e il nuovo accordo per ora resta proiettato nel 2015, con la prospettiva di non diventare operativo fino al 2020. Bisognerà vedere se il vertice che si aprirà tra pochi giorni a Rio de Janeiro in occasione del ventennale dell’Earth Summit riuscirà ad accelerare il percorso. La distanza tra gli obiettivi (evitare una crescita della temperatura del pianeta di più di 2 gradi rispetto all'epoca preindustriale) e i mezzi posti in campo è clamorosa: l'ultima dimostrazione viene proprio dai dati dell'Agenzia per l'energia, secondo i quali, per raggiungere il traguardo dichiarato, le emissioni serra dovrebbero più che dimezzarsi e invece continuano a crescere. Soprattutto a causa dell'uso del carbone (45 per cento delle emissioni), seguito dal petrolio (35per cento) e dal gas naturale (20 per cento). Per invertire il trend e disaccoppiare lo sviluppo dall'aumento delle emissioni bisogna puntare con decisione sulla costruzione di un'economia low carbon basata su un alto livello di efficienza, sulle fonti rinnovabili, sulle smart city, sul recupero e il riuso dei materiali, sull'innovazione tecnologica;
          i Paesi che stanno investendo di più in questo modello di green economy (partendo magari da posizioni molto distanti dall'obiettivo come nel caso della Cina) sono quelli che appaiono oggi più dinamici. L'Italia, che nel campo delle rinnovabili ha ampie potenzialità, alcuni brevetti e che aveva agganciato il gruppo di testa, si è fermata in modo brusco e rischia di tornare indietro. Lasciando sul campo una quota di Pil ed alcune decine di migliaia di occupati. Questo repentino stop agli investimenti nelle energie rinnovabili, vorrebbe dire paralizzare un intero comparto economico che aveva creduto nella scommessa green, mettere a rischio un settore che vale l'1 per cento del Pil, e cancellare decine di migliaia di posti di lavoro. Proprio mentre il braccio di ferro tra Governo e regioni sul futuro delle rinnovabili è alle ultime battute, il Gse ha diffuso i dati che mostrano come – in un anno molto difficile, segnato da una normativa complessa e discontinua – l'energia pulita sia riuscita a dare una spinta importante all'economia italiana;
          al dicembre 2011 – calcola il Gse che ha effettuato oltre 200.000 controlli – risultano messi in rete 335.000 impianti fotovoltaici, eolici, a biomasse, idroelettrici che hanno fornito una produzione di 83 terawattora di energia pulita: più del 26 per cento del totale elettrico. È stato un exploit utile per l'economia e indispensabile per il bilancio ambientale, come mostrano i dati sulle emissioni serra resi noti oggi dell'Unione europea: più 2,4 per cento. I numeri si riferiscono al 2010 perché le statistiche ufficiali alle volte sono lente e catturano la luce della realtà con un ritardo che, in tempi di oscillazioni molto rapide, può ingannare. La spiegazione del leggero aumento delle emissioni è legata infatti, oltre che all'inverno freddo, a una piccola ripresa economica di cui oggi è difficile vedere traccia. Nel 2010 nella Unione europea, si è registrato un aumento di 111 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. Un dato apparentemente molto negativo che va però corretto con due osservazioni. La prima è che l'anno precedente aveva segnato un meno 7,3 per cento di emissioni (un crollo nettamente influenzato dalla crisi economica) e il modesto recupero economico del 2010 ha portato a dimezzare questo decremento;
          la seconda osservazione viene dal direttore dell'Agenzia europea per l'ambiente Jacqueline McGlade: «L'aumento delle emissioni avrebbe potuto essere più netto se non ci fosse stata una rapida espansione delle fonti rinnovabili»;
          per l'Italia il bilancio a fine 2010 è meno 3 per cento di emissioni serra rispetto al 1990. L'obiettivo da raggiungere al 31 dicembre 2012 è meno 6,5 per cento. Quindi manca ancora un taglio del 3,5 per cento che – accelerazione della crisi a parte – appare difficile possa essere coperto in due anni. Soprattutto se, proprio mentre l'eolico diventa sempre più conveniente, il fotovoltaico è un passo dalla grid parity e le prospettive per geotermico e biomasse si rafforzano, le politiche energetiche nel settore green continueranno a essere governate dall'incertezza e dai continui ripensamenti che stanno paralizzando il settore  –:
          quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di riprendere la politica di investimenti nelle energie rinnovabili, adottata già dai precedenti Governi, ampliandola e facendone il punto di forza per il rilancio anche dell'economia italiana. (4-16618)


      JANNONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          nei giorni scorsi è stato presentato, presso la sede regionale di palazzo Pirelli, il rapporto 2012 sul consumo di suolo, esito di due anni di ricerca condotta presso il diap del politecnico di Milano dal centro di ricerca sui consumi di suolo (CRCS), fondato da Legambiente e Istituto nazionale di urbanistica (INU), grazie al contributo di fondazione Cariplo e alla collaborazione di diverse istituzioni tra cui regione Lombardia, regione Toscana, Provincia di Lodi. La nuova edizione del rapporto contiene un affondo sugli esiti territoriali delle scelte urbanistiche a livello comunale, ed esplora in particolare l'area centrale della metropoli lombarda, nelle province di Milano, Lodi e Monza e Brianza, grazie ai più recenti dati forniti dal repertorio geografico DUSAF sviluppato da regione Lombardia. «In Italia – segnalano i responsabili del CRCS – continua a mancare una adeguata contabilità degli usi e dei consumi di suolo, e ciò depotenzia fortemente qualsiasi politica di contrasto degli sprechi di una risorsa strategica qual è il territorio agricolo e forestale»;
          «La mancanza di dati affidabili e aggiornati sugli usi del suolo impedisce alla politica di vedere la gravità del fenomeno e di correre ai ripari – dichiara Paolo Pileri, docente del Politecnico di Milano e responsabile scientifico del rapporto – per capirci, è come se si volesse contrastare l'inquinamento senza disporre di una rete di rilevamento della qualità dell'aria. Ma da quando abbiamo iniziato a sollevare il problema le cose hanno iniziato a cambiare, e oggi registriamo alcuni positivi segnali di attivazione istituzionale dai livelli centrali, con l'ISTAT che, su iniziativa della Commissione Ambiente del Senato, si candida a realizzare il monitoraggio nazionale degli usi del suolo: non possiamo che evidenziare l'importanza di questa novità, sperando che il Governo vi provveda rapidamente. Occorre rapidità nel disegnare nuove, concrete (non teoriche) e coraggiose politiche sull'uso del suolo che, ricordo è bene ambientale e bene comune, e non può essere delegato esclusivamente alle decisioni degli 8092 comuni italiani, frammentati, deboli e scoordinati». Le novità che emergono dal fronte istituzionale riguardano anche le regioni: è dell'inizio di quest'anno la sottoscrizione di un accordo tra tutti gli assessorati al territorio delle regioni del Nord Italia (Lombardia, Piemonte, Valle d'Aosta, Emilia Romagna, Veneto, Liguria, Friuli Venezia Giulia e province autonome di Trento e Bolzano) per condividere l'impegno alla riduzione del consumo di suolo e realizzare banche dati armonizzate e coerenti che forniscano esaurienti fotografie del fenomeno. Inoltre regione Lombardia lo scorso 28 febbraio ha sottoscritto una agenda (uso e valorizzazione del suolo) che impegna le diverse direzioni generali ad attivare programmi per la lotta al consumo di suolo;
          purtroppo però, a fronte del maturare di nuove sensibilità istituzionali, la fotografia effettuata dal rapporto continua ad essere impietosa: la buona terra italiana continua ad essere sepolta e cancellata da espansioni urbane, piastre commerciali, grandi e piccole infrastrutture. Il rapporto evidenzia dati sconsolanti relativamente alla trasformazione del territorio negli ultimi dieci anni: in Provincia di Milano, ad esempio, dove si è consumato territorio prevalentemente agricolo al ritmo di 20.000 metri quadrati al giorno: per intenderci, è come se ogni dieci giorni scomparisse fisicamente il territorio da cui trae sostentamento una azienda agricola di medie dimensioni, in grado di produrre il frumento necessario per realizzare 150 tonnellate di pane. Nell'intero decennio, il totale delle nuove urbanizzazioni forma un'estensione pari a una nuova città grande come mezza Milano. Il suolo purtroppo sparisce a piccoli morsi che non fanno notizia, ma si possono misurare: è il caso dei comuni circostanti l'area Expo, un comprensorio tra i più urbanizzati della metropoli: se l'enormità del consumo di suolo di Expo fa giustamente notizia, nessuno finora è parso accorgersi che nei comuni immediatamente circostanti il sito espositivo una superficie agricola grande quanto quella di Expo viene consumata ogni anno;
          «Il consumo di suolo è in primo luogo l'effetto di scelte urbanistiche la cui responsabilità è in capo ai comuni – ricorda Damiano Di Simine, presidente di Legambiente Lombardia – per questo il rapporto punta l'attenzione proprio su questo livello amministrativo, fornendo uno strumento affinché ogni comune si doti di un proprio e coerente censimento dell'uso del suolo prima di assumere qualsiasi decisione: si tratta di una delle proposte contenute nel proposta di legge di iniziativa popolare contro il consumo di suolo, su cui abbiamo ricevuto consensi bipartisan, mentre i comuni non adempiono nemmeno agli obblighi di tutela previsti dalle norme vigenti». Il riferimento è in particolare l'articolo 43-bis della legge urbanistica lombarda, che impone un onere maggiorato per le urbanizzazione che determinano consumo di suolo agricolo: solo 178 comuni su oltre 1500 hanno recepito questa indicazione obbligatoria. Che ci sia bisogno di una sostanziale innovazione delle regole che consentono le trasformazioni urbanistiche è un'esigenza sollevata anche dall'INU. «Occorre sfruttare la battuta d'arresto del mercato edilizio per riorientare le strategie del settore delle costruzioni: una legge nazionale che fissi il principio chiave che il suolo non va consumato e che invece bisogna investire sulla qualità dello spazio già costruito è diventata una esigenza indifferibile – dichiara Federico Oliva presidente nazionale di INU – anche se le competenze urbanistiche sono regionali, il livello nazionale è quello in grado di agire sulla fiscalità dei suoli, leva essenziale per spostare l'interesse degli investitori dai suoli liberi ai cantieri urbani, dove al contrario deve essere più facile avere accesso ad incentivi e semplificazioni normative  –:
          quali interventi di competenza il Ministro intenda adottare al fine di promuovere una normativa riguardante l'edificabilità ed il consumo del territorio italiano. (4-16619)


      BARBATO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) costituito nel 1999 raccoglie e valorizza le competenze e le risorse di cinque istituti già operanti nell'ambito delle discipline geofisiche e vulcanologiche: l'Istituto nazionale di geofisica; l'Osservatorio vesuviano; l'Istituto internazionale di vulcanologia; l'Istituto di geochimica dei fluidi; l'Istituto per la ricerca sul rischio sismico;
          nato con l'obiettivo di raccogliere in un unico polo le principali realtà scientifiche nazionali nei settori della geofisica e della vulcanologia coopera con numerose università e altre istituzioni di ricerca nazionali e internazionali;
          è attualmente la più grande istituzione europea nel campo della geofisica e vulcanologia e una delle più grandi nel mondo. Le sedi principali si trovano a Roma, Milano, Bologna, Pisa, Napoli, Catania e Palermo;
          missione principale dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) è il monitoraggio dei fenomeni geofisici nelle due componenti fluida e solida del nostro pianeta. All'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) è affidata la sorveglianza della sismicità dell'intero territorio nazionale e dell'attività dei vulcani italiani attraverso reti di strumentazione tecnologicamente avanzate, distribuite sul territorio nazionale o concentrate intorno ai vulcani attivi. I segnali acquisiti da tali reti vengono trasmessi in tempo reale alle sale operative di Roma, Napoli e Catania, dove personale specializzato, presente 24 ore su 24, li elabora per ottenere i parametri dell'evento in atto;
          l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) opera in stretto contatto con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (MIUR) e ha legami privilegiati con il dipartimento della protezione civile e con le altre autorità preposte alla gestione delle emergenze, sia a scala nazionale che a scala locale. Coopera inoltre con i Ministeri dell'ambiente, della pubblica istruzione, della Difesa e degli affari esteri nel quadro di progetti strategici nazionali e internazionali (http://istituto.ingv.it/);
          Il Fatto Quotidiano on line del 15 giugno 2012 riferisce che sarebbe stato nominato direttore dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) Massimo Ghilardi «45 anni, – recita l'articolo – è carabiniere di leva, laureato in Scienze motorie alla Cattolica di Brescia e anche in Sociologia politica a Urbino, iscritto all'Albo dei promotori finanziari e consigliere comunale del PdL a Chiari, piccolo comune lombardo. Nella sua biografia vanta però l'appartenenza al “clan dei bresciani” voluti a Roma dall'ex ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini. È stata lei, infatti, a nominare, con chiamata diretta, Ghilardi a capo della direzione generale della Ricerca del Miur (stipendio base 106.628 euro) per “comprovate e qualificate esperienze professionali”. Quali? Difficile dirlo. Di sicuro il nuovo direttore generale dell'Ingv ci sa fare con i conti: ha ricoperto lui l'incarico di tesoriere della corrente-Fondazione pidiellina “Liberamente” capitanata da Franco Frattini, dalla stessa Gelmini e Mario Valducci»;
          sul Corriere.it del 15 giugno 2012 si legge «L'ex ministro dell'Istruzione volle Ghilardi al Miur come dirigente di seconda fascia per lo sviluppo della ricerca (106.628 euro di stipendio base lordo). Ghilardi al ministero era responsabile dell'ufficio di vigilanza e finanziamento degli enti di ricerca del ministero e gestiva un portafoglio da 915 mila euro»;
          l'Italia – riferisce il sito della Protezione Civile http://www.protezionecivile. gov.it/minisite/index.php?dir_pk=249&cms_ pk=14839 citando dati INGV – è uno dei Paesi a maggiore rischio sismico del Mediterraneo, per la frequenza dei terremoti che hanno storicamente interessato il suo territorio e per l'intensità che alcuni di essi hanno raggiunto, determinando un impatto sociale ed economico rilevante. La sismicità della Penisola italiana è legata alla sua particolare posizione geografica, perché è situata nella zona di convergenza tra la zolla africana e quella eurasiatica ed è sottoposta a forti spinte compressive, che causano l'accavallamento dei blocchi di roccia. Dall'andamento della linea nell'immagine si capisce perché, di fatto, solo la Sardegna non risenta particolarmente di eventi sismici;
          in 2500 anni, l'Italia è stata interessata da più di 30.000 terremoti di media e forte intensità superiore al IV-V grado della scala Mercalli) e da circa 560 eventi sismici di intensità uguale o superiore all'VIII grado della scala Mercalli (in media uno ogni 4 anni e mezzo). Solo nel XX secolo, ben 7 terremoti hanno avuto una magnitudo uguale o superiore a 6.5 (con effetti classificabili tra il X e XI grado Mercalli). La sismicità più elevata si concentra nella parte centro-meridionale della penisola – lungo la dorsale appenninica (Val di Magra, Mugello, Val Tiberina, Val Nerina, Aquilano, Fucino, Valle del Liri, Beneventano, Irpinia) – in Calabria e Sicilia, ed in alcune aree settentrionali, tra le quali il Friuli, parte del Veneto e la Liguria occidentale. I terremoti che hanno colpito la Penisola hanno causato danni economici consistenti, valutati per gli ultimi quaranta anni in circa 135 miliardi di euro, che sono stati impiegati per il ripristino e la ricostruzione post-evento. A ciò si devono aggiungere le conseguenze non traducibili in valore economico sul patrimonio storico, artistico, monumentale. In Italia, il rapporto tra i danni prodotti dai terremoti e l'energia rilasciata nel corso degli eventi è molto più alto rispetto a quello che si verifica normalmente in altri Paesi ad elevata sismicità, quali la California o il Giappone. Ad esempio, il terremoto del 1997 in Umbria e nelle Marche ha prodotto un quadro di danneggiamento (senza tetto: 32.000; danno economico: circa 10 miliardi di euro) confrontabile con quello della California del 1989 (14.5 miliardi di dollari USA), malgrado fosse caratterizzato da un'energia circa 30 volte inferiore. Ciò è dovuto principalmente all'elevata densità abitativa e alla notevole fragilità del nostro patrimonio edilizio;
          l'Italia è dunque un Paese ad elevato rischio sismico ed interessato da fenomeni vulcanici (Etna, Vesuvio, Isole Eolie);
          con la nomina di Ghilardi all'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) il Governo ad avviso dell'interrogante contraddice in modo anche assai evidente le dichiarazioni del Presidente del Consiglio Mario Monti nel discorso al Senato pronunciato il 17 novembre 2011 quando ha sottolineato che «è importante inserire nell'azione di Governo misure che valorizzino le capacità individuali ed eliminino ogni forma di cooptazione»;
          essere un carabiniere di leva, con tutto il rispetto dell'Arma, non rappresenta però quelle «capacità individuali» magnificate da Monti per guidare l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) e l'essere consigliere comunale PdL che gli ha consentito l'approdo al Miur grazie al ministro Gelmini sono quelle «forme di cooptazione» sempre abiurate da Monti  –:
          quali iniziative intendano assumere i Ministri interrogati per revocare tale nomina al fine di garantire che una personalità di elevato profilo professionale ed indiscusso bagaglio formativo, adeguato alla mission da portare avanti possa essere nominato in qualità di direttore dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV);
          se non ritengano opportuno, alla luce dei recenti e ripetuti eventi sismici in Emilia Romagna, che hanno provocato 27 vittime, 15 mila sfollati e 350 feriti, nominare un tecnico di comprovati studi e maturità professionale in materia geologico-vulcanico-geofisica, onde garantire una guida autorevole e con comprovate capacità di coordinamento all'interno dell'istituto e nelle relazioni esterne allo stesso.
(4-16639)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta scritta:


      BARBATO e ZAZZERA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          in un articolo del quotidiano Repubblica del 21 aprile 2012 a firma di Alberto Custodero si fa menzione di una grave vicenda di truffa ai danni dello Stato, false perizie e abuso d'ufficio. Risulta indagato dalla procura di Salerno Angelo Ardovino, responsabile del servizio II della direzione generale per le antichità del Ministero per i beni e le attività culturali. Dal suo dipartimento, che si occupa della tutela del patrimonio archeologico di tutta Italia, dipende anche direttamente la Soprintendenza autonoma di Pompei e di Napoli. Il pubblico ministero Rocco Alfano, che ha chiuso un'indagine durata un paio d'anni, gli contesta la truffa allo Stato, falso in atto pubblico e abuso d'ufficio, e ha chiesto al gip il rinvio a giudizio. Ardovino risulta tra i candidati alle prossime comunali a Isernia per Fli, il partito di Fini, nella lista del candidato sindaco Mauro, ex presidente della Provincia;
          secondo il sostituto procuratore Alfano – prosegue l'articolo – quando era Soprintendente per i beni archeologici di Salerno, Avellino e Benevento (che amministrano, fra l'altro, Paestum e Velia), avrebbe approvato una perizia falsa, relativa a lavori di manutenzione mai realizzati, per un valore di 400 mila euro. Quel documento intitolato «falsamente», come si legge nella chiusura indagini, «Progetto sperimentale modello di gestione e valorizzazione museale – Musei e aree aperte al pubblico», gli era servito per farsi dare 400 mila euro dal Ministero per andare a sanare dei buchi di bilancio che s'erano misteriosamente creati nella Soprintendenza campana. Nessuno sa come quel debito fosse stato provocato, non è dato sapere infatti che fine abbiano fatto i soldi che erano stati stanziati per pagare quei debiti. Sta di fatto che ad un certo punto l'Enel ha minacciato di staccare ai tre siti archeologici la luce se non fosse stata pagata la bolletta e – sempre stando alle fonti di stampa in fretta e furia Ardovino, con la complicità di alcuni funzionari, «inganno» il Ministero chiedendo i soldi per una «sperimentazione» che in realtà non fu mai realizzata;
          l'articolo riferisce, altresì, che quei progetti indicati da Ardovino nella perizia, secondo quanto scrive il pm Alfano, «non riguardavano affatto lavori di innovazione tecnologica rispetto agli impianti già esistenti, ma erano un mero elenco di lavori di stretta manutenzione per altro già oggetto di una precedente perizia di spesa». Quel doppione di perizia falsa, aggiunge il sostituto procuratore, «induceva in errore i competenti dirigenti del Ministero, tanto che veniva approvata a livello ministeriale una spesa di 400 mila euro». Quei soldi furono poi dirottati con una ardita e illegale operazione contabile all'Enel, procurando – sottolinea il magistrato – un ingiusto profitto ad Ardovino e all'ex soprintendente dottoressa Tocco, derivante dalla loro mancata esposizione ad una evidente responsabilità contabile per il mancato pagamento delle bollette della luce. Quel comportamento, inoltre, provocava un ingiusto danno al Ministero per i beni e le attività culturali che così, in realtà, erogava più volte fondi alla Soprintendenza di Salerno per pagare voci di spese correnti;
          dall'articolo emerge che l'indagine non ha accertato dove fossero finiti i soldi che avevano poi generato il buco di bilancio. Il dottor Alfano contesta però un altro reato ad Ardovino, quello di aver privilegiato delle ditte aggirando la legge sugli appalti nell'affidamento dei lavori di manutenzione. In sostanza, il soprintendente avrebbe artificiosamente frazionato l'affidamento in dieci distinte acquisizioni di lavori in economia, tutte aggiudicate in affidamento diretto. L'affidamento diretto frazionato da Ardovino (anziché il bando pubblico previsto dalla legge), procurava ai titolari delle imprese l'ingiusto vantaggio patrimoniale di rilevante gravità. E nel contempo, si verificava pari e ingiusto danno per la Soprintendenza di Salerno, Avellino e Benevento, che così non poteva conseguire anche quei ribassi che normalmente si registrano con i bandi pubblici di appalto. Nonostante fosse da tempo sotto indagine da parte della procura di Salerno, il dottor Ardovino è stato promosso dirigente del servizio II della direzione generale per le antichità proprio da quello Stato che, stando alle accuse, sarebbe parte lesa nella truffa  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti e in particolare se sia a conoscenza che l'indagine giudiziaria in questione ha avuto inizio nel luglio del 2008 ad opera del sostituto procuratore di Napoli dr. Giuseppe Noviello, che ha individuato diverse ipotesi di reato tra cui gli articoli 416 c.p., 110 c.p.c, 474 c.p., 640 c.p. e 323 c.p.;
          se il Ministro sia a conoscenza che l'attuale indagato per truffa allo Stato, falso in atto pubblico e abuso d'ufficio in concorso, dalla Procura di Salerno, e cioè il Dr. Angelo Maria Ardovino nell'anno 2010, quando già era indagato dalla procura di Salerno, è stato nominato dirigente del servizio II della direzione generale per i beni archeologici che ha competenze del coordinamento della tutela dei beni archeologici su tutto il territorio nazionale;
          se il Ministro sia a conoscenza che sono depositate, agli atti presso la procura di Salerno, delle registrazioni di colloqui che supportano l'accusa ipotizzata dalla procura;
          quali urgenti iniziative di competenza il Ministro intenda assumere al riguardo. (4-16643)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 2010, n.  270, recante modifiche al testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, ed i successivi decreti del Ministro della difesa in data 22 maggio 2011 e 30 gennaio 2012 hanno attuato la soppressione della direzione generale della sanità militare i cui compiti sono stati devoluti in parte ad un ufficio (UGESAN) dello Stato maggiore della Difesa, ed in parte ad altre direzioni generali (COMMISERVIZI, PERSOCIV, PERSOMIL);
          la prevista riorganizzazione della sanità militare, per effetto dei trasferimenti di funzioni alle citate strutture, pare non stia consentendo l'ottimale e ordinato svolgersi delle attività amministrative e sanitarie attribuite alla soppressa direzione generale;
          in particolare, importanti competenze della disciolta direzione generale, come quelle relative al servizio del contenzioso sanitario, si trovano da mesi in una situazione di grave blocco amministrativo che, in molteplici casi, determina la soccombenza dell'Amministrazione nelle cause risarcitorie, provocando cospicui danni erariali;
          le attività del suddetto servizio, interessato da una prolungata quanto ingiustificata interruzione, riguardano delicate ed importanti vertenze giudiziarie connesse ad esposizione all'amianto, all'uranio impoverito, al radom, oppure controversie su aspetti di malasanità o di infermità per cause di servizio, cui conseguono consistenti risarcimenti per i soggetti ricorrenti;
          allo stato attuale, risulta che le pratiche di contenzioso in materia sanitaria, temporaneamente custodite in appositi locali, in attesa di essere istruite, ammontano ad oltre duemila. La mancata o ritardata trattazione di tali fascicoli potrebbe comportare danni erariali, anche ingenti, per omessa attività istruttoria e giurisdizionale obbligatoria;
          nel rendere operativa la soppressione della direzione generale della sanità militare, lo scorso mese di marzo il Segretariato generale della difesa, trascurando le importanti e delicate competenze riguardanti il contenzioso sanitario, ha disposto il trasferimento immediato ad altri enti militari del personale civile che da anni operava lodevolmente in tale settore, determinando di fatto l'interruzione del servizio con il blocco di ogni attività in materia;
          per rimediare in parte a tale inopportuna decisione di segredifesa, la direzione generale per il personale civile ha recentemente pubblicato un bando per reclutare urgentemente due funzionari e sei impiegati da destinare al disciolto servizio di contenzioso sanitario;
          alla luce di quanto evidenziato, agli interroganti appare quanto mai opportuno intervenire tempestivamente al fine di non compromettere ulteriormente, nell'ambito della sanità militare, la piena funzionalità del servizio del contenzioso, ripristinando al più presto le condizioni di assoluta regolarità ed efficacia dell'azione amministrativa  –:
          se il Ministro interrogato sia al corrente della grave disfunzione in atto presso il contenzioso della sanità militare e, se del caso, indicare i motivi strategici e non che hanno portato allo smantellamento del servizio e all'interruzione delle attività;
          quali urgenti iniziative intenda assumere al fine di assicurare adeguati livelli di correttezza e di efficienza amministrativa nel delicato settore. (4-16624)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      MONTAGNOLI e BITONCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la crisi economica internazionale che in questi ultimi anni sta colpendo il sistema produttivo italiano ha avuto conseguenze molto pesanti per tutte quelle migliaia di aziende del territorio, da Nord a Sud, che per decenni hanno garantito lo sviluppo economico del nostro Paese;
          tra gli effetti sociali manifestatesi con la crisi, non si possono non considerare le decine di suicidi di imprenditori che, tra il 2010 ed il 2012, e soprattutto nel Nord-Est del Paese, hanno deciso di togliersi la vita perché non in grado di pagare i propri debiti, riscuotere i propri crediti, molte volte dalla pubblica amministrazione, o accedere ai mutui, necessari per poter investire nuove risorse nell'azienda saldando, al contempo, le proprie passività;
          organi di stampa nazionali (Italia Oggi del 13 giugno 2012 e Libero del 14 giugno 2012) riportano la notizia secondo la quale da pochi giorni è operativa la possibilità di chiedere mutui senza ipoteca alla nuova Banca del mezzogiorno che sostiene le piccole e media imprese del meridione, ovvero quelle con sede legale nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, secondo due diverse modalità di linee del credito;
          le misure di sostegno consistono nella erogazione di finanziamenti, diversificati sulla tipologia di azienda, in tempi molto rapidi e con tassi di interessi assolutamente convenienti, soprattutto se raffrontati a quelli di altri istituti e contingentemente alla situazione economica, compresi tra il 4 per cento e 8 per cento  –:
          se non si ritenga opportuno assumere iniziative urgenti, in virtù della difficile situazione economica e finanziaria nella quale si ritrovano le migliaia di aziende del Nord, per incentivare anche gli istituti di credito del Nord Italia ad erogare finanziamenti agevolati alle imprese del territorio. (5-07098)

Interrogazioni a risposta scritta:


      NEGRO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          dopo le recenti modifiche apportate all'IMU contenute all'interno del decreto-legge n.  16 del 2012, i comuni, in fase di predisposizione dei bilanci previsionali per l'esercizio 2012, iscrivono a bilancio il gettito derivante dall'applicazione dell'IMU ad aliquote ordinarie sulla base dei valori stimati dal Ministero dell'interno;
          in molti casi, la differenza tra il gettito atteso dallo Stato e quello stimato dai comuni che avevano già predisposto le proprie proiezioni, è molto elevato e tale da apparire ingiustificato, anche in considerazione del fatto che le previsioni di entrata imputabili all'IMU e stimate dalle amministrazioni comunali sono molto affidabili e concrete;
          il portale web dell'IFEL, Istituto per la finanza e l'economia locale, ha pubblicato i primi dati sull'ammontare del fondo sperimentale di riequilibrio che, nel complesso ammonterà a 6,8 miliardi di euro, con una riduzione di 4,2 miliardi di euro rispetto all'ammontare del fondo nel 2011 a causa delle diverse manovre che hanno previsto una riduzione delle risorse disponibili per gli enti locali di 3.950.000.000 euro nel solo 2012, cui vanno aggiunti gli 1,5 miliardi di euro del 2011;
          le proiezioni chiariscono in modo lampante come le riduzioni a danno dei comuni si basino principalmente su:
              a) l'assorbimento dell'addizionale energia elettrica al fondo sperimentale di riequilibro;
              b) l'assorbimento della compartecipazione IVA al fondo sperimentale di riequilibro (FSR);
              c) le riduzioni previste dall'articolo 13, comma 17, e dall'articolo 28, commi 7 e 9, del decreto-legge n.  210 del 2011;
          la soppressione dell'addizionale dell'energia elettrica che il gestore della rete trasferiva ai comuni sulla base dei consumi effettivi registrati sul territorio, accorpando questa voce al fondo sperimentale di riequilibrio ma riducendone drasticamente gli importi, rappresenta una prima decurtazione, cui si aggiunge anche l'assorbimento della compartecipazione IVA;
          dalle prime verifiche, pare tuttavia che vi siano evidenti differenze tra i singoli enti, in quanto alcuni comuni non si sono visti ridurre i trasferimenti, ma anzi, relativamente alle risorse del fondo sperimentale di riequilibrio hanno visto, rispetto al 2011, incrementare le proprie risorse, come il comune di Caserta, passato da 17,5 milioni di euro ai 20,3 milioni di euro del 2012, così che, mentre la città campana gode di 258 euro di trasferimenti pro-capite, vi sono alcuni comuni, come Verona, con 148 euro, o San Giovanni Lupatoto, paese in provincia di Verona, con soli 95 euro  –:
          in base a quali dati siano state effettuate le proiezioni ministeriali del gettito IMU e, qualora si accertasse l'infondatezza delle proiezioni, quali siano le iniziative di competenza che il Governo intende intraprendere per assicurare agli enti locali l'erogazione dei servizi minimi ai propri cittadini, specificando altresì in virtù di quale criterio sussiste una differenza tanto elevata nella ripartizione delle risorse per il fondo sperimentale di riequilibrio tra alcune città del Nord e alcune città del Sud. (4-16626)


      MONAI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la quasi totale «decapitazione» dei vertici Enav, Finmeccanica e Selex ha prodotto una situazione in virtù della quale oggi Enav è governata da un amministratore unico nella persona del dottor Massimo Garbini;
          ad onta di quanto potrebbe apparire, anche il dottor Garbini, voluto dal Governo Monti alla guida di Enav, risulterebbe coinvolto in indagini giudiziarie, così come riportato da Il Sole 24 Ore del 29 aprile 2012;
          oltre quanto esposto nell'articolo in questione de Il Sole 24 Ore, sembrerebbe che uno dei figli del dottor Garbini sia stato assunto in Enav come controllore di volo;
          sembrerebbe, inoltre, che nel corso della «gestione» Garbini i massimi dirigenti di una delle maggiori organizzazioni sindacali abbiano visti assunti i propri figli  –:
          se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra esposto e quali iniziative intenda promuovere per una verifica della situazione. (4-16644)


      PROIETTI COSIMI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          nel mese di ottobre del 2011 è stato nominato il nuovo consiglio d'amministrazione di Cotral Spa, l'azienda di trasporto pubblico della Regione Lazio;
          alla presenza delle autorità regionali l'assemblea dei soci ha scelto i nuovi consiglieri d'amministrazione e per la regione Lazio, sono stati nominati Adriano Palozzi in qualità di presidente e Vincenzo Surace come amministratore delegato;
          il nuovo consiglio d'amministrazione ha avviato, nelle scorse settimane una seria indagine su attività relative all'assunzione di personale e alla manutenzione dei mezzi di trasporto che ha portato alla luce anomalie di cui sono state investite le autorità competenti;
          dopo gli accertamenti di una apposita commissione di indagine interna istituita dai vertici aziendali è stato presentato un esposto alla Procura per verificare le assunzioni effettuate dal vecchio Consiglio di amministrazione negli anni 2008-2009;
          a seguito di queste segnalazioni l'amministratore delegato di Cotral spa, Vincenzo Surace, è stato ascoltato dalla magistratura;
          l'audizione ha riguardato, oltre la vicenda dei concorsi parzialmente o totalmente truccati per meccanici e impiegati di Cotral, avvenuta in particolare tra il 2008 e il 2009 coinvolgendo circa 280 persone, anche i sospetti di false riparazioni dei bus da parte di meccanici compiacenti, e una nuova vicenda di fatturazioni fasulle per acquisti di pezzi di ricambio sempre per gli automezzi Cotral;
          le false fatture per pezzi mai effettivamente comprati (ma regolarmente pagati e senza sconti) sarebbero state emesse tra il 2008 e metà del 2011;
          è stata consegnata al Consiglio di amministrazione dell'azienda la relazione del collegio sindacale Cotral che punta il dito in particolare contro i tanti incarichi dati a trattativa privata anche a società con pochi o nessun dipendente, ed evidenzia spese non del tutto giustificate, a partire da un appalto per la bigliettazione elettronica;
          il citato appalto, da 20 milioni di euro, è servito a coprire il costo di 1.200 macchinette digitali pos (realizzate dalla ditta australiana Erg) che non sono mai state installate in nessuna edicola o negozio di tabacchi della regione;
          sono note le difficoltà economico-finanziare di Cotral spa, dovute in particolare agli importanti crediti che la società vanta nei confronti della regione Lazio;
          il disavanzo previsto per quest'anno supera i 30 milioni di euro; per ricapitalizzare il Cotral la regione dovrà immettere nelle sue casse almeno 83 milioni di euro;
          da venerdì 1o giugno è scattato l'aumento tariffario del 10 per cento per i titoli di viaggio Cotral Spa, in ottemperanza alla delibera regionale n.  654 del 28 dicembre 2011  –:
          se il Governo intenda promuovere iniziative di carattere ispettivo, anche per il tramite dei servizi ispettivi di finanza pubblica e dell'ispettorato per la funzione pubblica, volte a chiarire i motivi della gestione societaria di Cotral Spa che appare agli interroganti poco trasparente, lesiva della dignità delle istituzioni pubbliche e irrispettosa dei diritti dei cittadini della regione Lazio, caricati di costi ulteriori. (4-16645)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


      CICCANTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 3 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1 (decreto liberalizzazioni), convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n.  27, introduce nella sezione I del capo VII del titolo V del libro V del codice civile, relativo alle società a responsabilità limitata, una nuova fattispecie di società di capitali denominata «società a responsabilità limitata semplificata»;
          la norma è volta a favorire l'imprenditoria giovanile attraverso la semplificazione dei requisiti per l'istituzione e il funzionamento della società, nonché la riduzione degli oneri amministrativi per l'avvio dell'attività economica;
          la nuova srl deve essere costituita da persone fisiche che non abbiano compiuto i trentacinque anni di età alla data della costituzione, in coerenza con l'articolo 27 del decreto-legge n.  98 del 2011, relativo al regime fiscale di vantaggio per l'imprenditoria giovanile;
          tale società può essere costituita con contratto o con atto unilaterale e quindi anche con la presenza di un unico socio, purché in possesso del requisito di età;
          la disciplina prevede, tra l'altro, che il capitale sociale deve essere di un valore pari almeno ad un euro e inferiore all'importo di 10.000 euro previsto per la società a responsabilità limitata ordinaria e deve essere interamente versato in contanti all'organo amministrativo alla data della costituzione;
          l'atto costitutivo deve essere redatto per atto pubblico secondo un modello standard da definire con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico, entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge liberalizzazioni, e deve indicare il nome e i dati anagrafici di ciascun socio, la denominazione sociale, la sede della società e le eventuali sedi secondarie, l'ammontare del capitale sottoscritto e versato, l'oggetto sociale, la quota di partecipazione di ciascun socio, le norme relative al funzionamento della società, indicando quelle concernenti l'amministrazione, la rappresentanza, le persone cui è affidata l'amministrazione e l'eventuale soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti;
          la normativa prevede altresì che gli amministratori devono essere scelti tra i soci, che le quote non possono essere cedute a soci non aventi i requisiti di età, che l'atto costitutivo e l'iscrizione nel registro delle imprese sono esenti da diritti di bollo e di segreteria e non sono dovuti onorari notarili;
           per quanto non espressamente previsto dal citato articolo 3 del decreto-legge n.  1 del 2012, è disposto un rinvio generale alla disciplina della società a responsabilità limitata ordinaria  –:
          essendo ormai trascorsi i sessanta giorni previsti dall'articolo 3, comma 2, del decreto-legge liberalizzazioni ai fini dell'emanazione del decreto per definire lo statuto standard della nuova società a responsabilità limitata semplificata ed individuare i criteri di accertamento delle qualità soggettive dei soci, se non ritenga opportuno emanare al più presto il decreto ministeriale al fine di poter rendere operativa questa nuova fattispecie di società a responsabilità limitata ed eliminare qualsiasi impedimento che possa ritardare l'avvio di un'attività economica giovanile.
(5-07103)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa l'11 giugno 2012, Maurizio Foresi, 55 anni, si è tolto la vita nel carcere di Montacuto ad Ancona impiccandosi a un termosifone;
          il detenuto era rinchiuso in una cella della «sezione filtro», insieme ad altri tre compagni: il corpo senza vita è stato ritrovato stamattina;
          l'uomo, affetto da tempo da patologie psichiatriche, anche in carcere era seguito dal servizio psichiatrico dell'Asur  –:
          se e come, il giorno del suicidio, fosse garantita la sorveglianza all'interno dell'istituto di pena in questione e se, con riferimento al gesto del detenuto, non siano ravvisabili profili di responsabilità amministrativa o disciplinare, in capo al personale penitenziario;
          quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Montacuto;
          con chi dividesse la cella e di quanti metri quadrati disponesse il detenuto morto suicida;
          se il detenuto morto suicida fosse alloggiato all'interno di una cella rispondente a requisiti di sanità e igiene;
          se nel corso della detenzione il detenuto fosse stato identificato come potenziale suicida e, in questo caso, se fosse tenuto sotto un programma di osservazione speciale;
          quali siano le condizioni umane e sociali del carcere di Ancona, in particolare se non ritenga di assumere sollecite, mirate ed efficaci iniziative, anche a seguito di immediate verifiche ispettive in loco, volte a garantire il rispetto della Costituzione, della legge e dei regolamenti, ampliando la dotazione del personale di polizia penitenziaria e di quello addetto ai servizi. (4-16629)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          qualche settimana fa, a causa del terremoto che ha martoriato l'Emilia Romagna, i 63 detenuti rinchiusi nella casa di lavoro di Saliceta San Giuliano sono stati trasferiti in analoghe strutture a Padova e a Parma;
          la garante regionale per i diritti dei detenuti, Desi Bruno, è recentemente tornata a chiedere la chiusura della casa lavoro di Saliceta atteso che nei fatti il reinserimento sociale degli internati è difficile da raggiungere: i detenuti, infatti, sono lontani dalle loro famiglie e non ci sono spesso neppure progetti di sostegno per inserirli nel mondo del lavoro dopo la detenzione;
          a giudizio della prima firmataria del presente atto, le case lavoro hanno fallito nel loro intento e il terremoto, proprio perché ha sgomberato quegli ambienti, può ora permettere di pensare alla definitiva chiusura della struttura di Saliceta San Giuliano e a un cambiamento di programma. La chiusura renderebbe anche più leggero il lavoro dell'ufficio esecuzione penale modenese e alleggerirebbe i compiti del personale  –:
          se non intenda provvedere alla immediata chiusura della casa di lavoro di Saliceta San Giuliano, o quanto meno, prendere le opportune iniziative per rivedere la sua organizzazione e funzionalità, considerata, allo stato, l'inefficacia risocializzante delle misure di sicurezza personali detentive a cui sono sottoposti gli internati;
          quali misure amministrative intenda assumere, per quanto di competenza, in tempi immediati, al fine di affrontare la condizione di insostenibile disagio, difficoltà e precarietà cui sono sottoposti gli internati trasferiti nelle strutture di Padova e Parma a causa del terremoto.
(4-16632)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          un agente di polizia penitenziaria di 35 anni, in servizio nel carcere palermitano dell'Ucciardone, si è infatti suicidato lo scorso 15 giugno nella sua abitazione di Trapani;
          la tragedia è avvenuta a pochi mesi dal suicidio di altri appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria a Formia, San Vito al Tagliamento, Battipaglia e Torino, e prima ancora altri tragici casi sono avvenuti a Mamone Lodè, Caltagirone e Viterbo;
          ed invero dal 2000 ad oggi si sono uccisi circa 100 poliziotti penitenziari, 1 direttore di istituto (Armida Miserere, nel 2003 a Sulmona) e 1 dirigente regionale (Paolino Quattrone, nel 2010 a Cosenza). Da tempo i sindacati della polizia penitenziaria sostengono che bisogna comprendere e accertare quanto abbiano eventualmente inciso l'attività lavorativa e le difficili condizioni lavorative nel tragico gesto estremo posto in essere;
          è stato proprio il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ad accertare che i suicidi di appartenenti alla polizia penitenziaria, benché verosimilmente indotti dalle ragioni più varie e comunque strettamente personali, siano in taluni casi le manifestazioni più drammatiche e dolorose di un disagio derivante da un lavoro difficile e carico di tensioni. Proprio per questo il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria assicurò a suo tempo i sindacati di categoria che avrebbe prestato particolare attenzione al tragico problema, con la verifica delle condizioni di disagio del personale e l'eventuale istituzione di centri di ascolto, ma a tutt'oggi non sono stati colpevolmente attivati questi importanti centri di ascolto  –:
          se siano state avviati accertamenti per risalire alle cause di questo suicidio;
          se risulti esservi connessione diretta o indiretta di questo tragico gesto con le condizioni ambientali e lavorative in cui opera la polizia penitenziaria;
          se non si ritenga di dover assumere iniziative affinché la direzione della amministrazione penitenziaria avvii una immediata consultazione con le organizzazioni sindacali dei lavoratori della polizia penitenziaria al fine di valutare e concordare l'assunzione di immediati provvedimenti atti a scongiurare il ripetersi di tragedie simili. (4-16633)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato da un comunicato stampa di Ristretti Orizzonti dello scorso 11 giugno, Simone Milia, 40enne, affetto da HIV, è morto la scorsa notte per arresto cardiaco nella sua cella all'interno del carcere di Genova Marassi;
          secondo Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, «la notizia della morte del detenuto intristisce tutti, specie coloro che il carcere lo vivono quotidianamente nella prima linea delle sezioni detentive, come le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria che svolgono quotidianamente il servizio con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità in un contesto assai complicato per l'esasperante sovraffollamento. Ad esempio proprio a Marassi, alla data del 31 maggio scorso, c'erano più di 800 detenuti stipati in celle realizzate per ospitarne 450 e oltre 130 Agenti di Polizia Penitenziaria in meno rispetto agli organici previsti. Questa ennesima morte di un detenuto testimonia ancora una volta la drammaticità della vita nelle carceri italiane. Nonostante l'Italia sia un Paese il cui ordinamento è caratterizzato da una legislazione all'avanguardia per quanto riguarda la possibilità che i tossicodipendenti possano scontare la pena all'esterno, i drogati detenuti in carcere sono tantissimi. La legge prevede che i condannati a pene fino a sei anni di reclusione, quattro anni per coloro che si sono resi responsabili di reati particolarmente gravi, possano essere ammessi a scontare la pena all'esterno, presso strutture pubbliche o private, dopo aver superato positivamente o intrapreso un programma di recupero sociale. Eppure queste persone continuano a rimanere in carcere. Noi riteniamo sia invece preferibile che i detenuti tossicodipendenti, spesso condannati per spaccio di lieve entità, scontino la pena fuori dal carcere, nelle Comunità di recupero, per porre in essere ogni sforzo concreto necessario ad aiutarli ad uscire definitivamente dal tragico tunnel della droga e, quindi, a non tornare a delinquere. I detenuti tossicodipendenti sono persone che commetto reati in relazione allo stato di malattia e quindi hanno bisogno di cure piuttosto che di reclusione»  –:
          se non ritenga opportuno incoraggiare l'esperienza delle strutture a pena attenuata per il recupero dei detenuti tossicodipendenti, come quella del carcere di Rebibbia, ampliandone il numero e prevedendo un potenziamento di quelle già esistenti. (4-16634)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dal quotidiano Il Tirreno lo scorso 14 giugno, la direzione generale delle risorse materiali, dei beni e dei servizi del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria avrebbe dato disposizione di riaprire, a partire dal 15 giugno 2012, la sezione detentiva «B», un reparto in grado di ospitare circa 100 detenuti;
          secondo i sindacati degli agenti di polizia penitenziaria, alla predetta disposizione non è stata accompagnato alcun incremento di organico del personale sicché ora sarebbero a rischio le ferie degli agenti;
          ed invero già da tempo il reparto di polizia penitenziaria del carcere di Massa è di per sé carente e non potrà dunque sicuramente assolvere agli ulteriori e gravosi impegni lavorativi che ne deriveranno, qualora non venisse integrato, da subito, con un'importante assegnazione di agenti;
          nella casa di reclusione di Massa, a fronte di una pianta organica prevista di 159 unità di polizia penitenziaria, ve ne operano in realtà 125  –:
          per quali motivi sia stata disposta la riapertura della sezione detentiva B del carcere di Massa in assenza di un incremento di organico del personale della polizia penitenziaria;
          in quale maniera ed entro quali tempi intenda risolvere la carenza di personale di polizia penitenziaria del carcere di Massa. (4-16635)


      REALACCI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          da quasi tre anni i coniugi Sarti di Vecchiano (Pisa), attendono giustizia per la morte della figlia Sara dovuta, secondo quanto appare dalle perizie medico-legali, a negligenze da parte del servizio di pronto soccorso dell'ospedale di Locri (Reggio Calabria);
          la bambina mori tra sofferenze atroci il 24 agosto 2009 a Locri, dopo che il giorno prima i nonni l'avevano portata al pronto soccorso dalla locale Azienda sanitaria a causa di un improvviso e imprevisto peggioramento delle sue condizioni di salute. Articoli di stampa dell'epoca precisano che la bambina fu dimessa lo stesso giorno dell'accettazione senza nemmeno essere sottoposta ad approfonditi o perlomeno corretti accertamenti clinici;
          come si evince da altri articoli pubblicati in questi 3 anni la perizia tecnica disposta dalla procura della Repubblica redatta dal dottor Aldo Barbaro il 14 dicembre 2009, indica senza dubbio due dei quattro indagati pienamente responsabili dei fatti così concludendo: «appare censurabile il comportamento dei medici del Pronto Soccorso dell'Ospedale di Locri, i quali quando pervenne la bambina hanno omesso di raccogliere i dati anamnestici e di eseguire un banale esame delle urine al fine di accertare, vista che era negativa l'obiettività addominale, se il vomito non fosse dovuto, come spesso verificasi nei bambini, a chetoacidosi»;
          alcuni sui quotidiani locali sottolineano che nel fascicolo, aperto dalla procura di Locri ed assegnato al pubblico ministero dottoressa Rossana Sgueglia, non sono stati acquisiti agli atti importanti documenti utilissimi per accertare la verità di quel giorno nel nosocomio locrese;
          secondo notizie apparse sui quotidiani calabresi alcune condotte personali da parte degli uffici inquirenti del tribunale di Locri sembrano essere difficilmente compatibili con il rispetto delle procedure e della buona fede previste in un tribunale della Repubblica, in particolare con riferimento ad un uso disinvolto della stampa da parte degli inquirenti;
          il giudice per le indagini preliminari, dottor Andrea Amadei, non sta procedendo da oltre un anno alla fissazione dell'udienza per trattare dell'opposizione, presentata in data 16 maggio 2011, alla richiesta di archiviazione promossa dal procuratore della Repubblica di Locri;
          il presidente del tribunale di Locri, dottor Filocamo in un pezzo apparso su La Nazione, il Tirreno e il Corriere di Calabria del 7 e 12 giugno 2012, ha asserito che il ritardo nella fissazione dell'udienza per la discussione sull'opposizione alla richiesta di archiviazione è stata determinata da carenza d'organico degli uffici  –:
          se il Ministro della giustizia non ritenga utile verificare con celerità se quanto sopraddetto corrisponda al vero e se non ritenga necessario disporre con la massima urgenza un'ispezione straordinaria nel tribunale di Locri per accertare se, negli uffici di Locri che si sono occupati della vicenda della piccola Sara, siano state rispettate tutte le procedure previste dal codice e se possano essere riscontrate deficienze o irregolarità;
          se il Ministro non ritenga poi utile chiarire quante udienze in camera di consiglio presso l'ufficio GIP di Locri siano state fissate dal maggio 2011. (4-16641)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta orale:


      LAFFRANCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 36 del decreto n.  1 del 24 gennaio 2012, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività», ha istituito l'autorità per la regolazione dei trasporti, le cui competenze prevedono la piena autonomia e l'indipendenza nel giudizio e nella valutazione del suo operato;
          la suesposta disposizione prevede fra i diversi compiti attribuiti, quelli di assicurare attraverso metodologie che incentivino la concorrenza, l'efficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese ed i consumatori, le condizioni di accesso eque e non discriminatorie alle infrastrutture ferroviarie, portuali, alle reti autostradali;
          la sede principale dell'Autorità avrebbe dovuto essere decisa con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro interrogato, lo scorso 30 aprile ed è prevista in sede di prima attuazione l'istituzione del collegio dell'autorità, la cui costituzione sarebbe dovuta avvenire lo scorso 31 maggio;
          nell'ambito di un processo normativo nazionale ed istituzionale volto al decentramento delle attività dell'amministrazione pubblica, la città di Orvieto, a giudizio dell'interrogante, possiede ogni caratteristica soddisfacente per rappresentare un'autorevole candidatura quale sede dell'autorità per la regolazione dei trasporti, in considerazione delle qualità non secondarie, rispetto ad altre candidature;
          lo scorso 21 maggio il consiglio comunale di Orvieto ha approvato all'unanimità un ordine del giorno che evidenzia la volontà di candidare la città come sede dell'autorità;
          la suddetta città, infatti, essendo posizionata geograficamente in una posizione baricentrica, risulta raggiungibile dalle principali città del Paese, attraverso i collegamenti infrastrutturali di trasporto più importanti ed è supportata da un centro urbano dotato di parcheggi ed edifici pubblici idonei, che la rendono pienamente in grado di accogliere nel migliore dei modi l'intera struttura operativa dell'autorità precedentemente riportata  –:
          quando verrà definito il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che dispone la costituzione e le modalità operative dell'autorità indipendente per la regolazione dei trasporti e quali siano i requisiti tenuti in considerazione per la definizione delle candidature. (3-02342)


      TOCCAFONDI, VELLA, BERNARDO e GIOACCHINO ALFANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la società NTV concessionaria della tratta ad alta velocità Milano Roma ha recentemente attivato un nuovo scalo su detta tratta dalla stazione di Roma Ostiense;
          per incomprensibili motivi, come ampiamente documentato dalla stampa odierna, apparentemente giustificati da necessità di sicurezza, l'accesso ai treni Italo di detta società è limitato da una barriera metallica che impedisce un agevole accesso ai convogli dall'ingresso della stazione Ostiense, obbligando i passeggeri che hanno scelto tale vettore ad un faticoso percorso per raggiungere le vetture, con notevole dispendio di tempo ed evidenti disagi;
          la fruibilità dell'accesso per il servizio di alta velocità costituisce un fattore rilevante in relazione al tempo complessivo necessario a raggiungere la destinazione;
          la presenza della barriera costituisce un elemento che incide direttamente sulla libera concorrenza del servizio ferroviario;

tale episodio rende, secondo gli interroganti, ancora più urgente un'effettiva liberalizzazione dell'infrastruttura ferroviaria, come peraltro previsto dall'articolo 36 del decreto-legge n.  1 del 2012 «liberalizzazioni», al fine di migliorare il servizio e sottoporre le tariffe ferroviarie ad una concorrenza reale con evidenti vantaggi per gli utenti  –:
          quali siano le motivazioni che hanno imposto la collocazione della barriera;
          quali urgenti iniziative intenda assumere per la piena fruibilità dei convogli Italo nella stazione Ostiense. (3-02345)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      BIASOTTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 36 del decreto di conversione n.  1 del 24 gennaio 2012 prevede l'istituzione di un'autorità per la competenza nel settore trasporti che disciplini in maniera indipendente sulla medesima materia;
          la suddetta autorità intende garantire l'efficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, nonché le condizioni di accesso eque e non discriminatorie a tutte le infrastrutture e definire i criteri per la fissazione da parte dei soggetti competenti delle tariffe e dei canoni, regolandone il regime di concorrenza;
          ulteriori competenze riguardano le condizioni minime di qualità dei servizi di trasporto, la definizione del contenuto minimo degli specifici diritti che gli utenti possono esigere nei confronti dei gestori e degli schemi dei bandi delle gare per l'assegnazione dei servizi di trasporto e le nuove concessioni i sistemi tariffari dei pedaggi;
          su proposta del Ministro per lo sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti il Consiglio dei ministri ha recentemente designato il professor Mario Sebastiani a presidente dell'autorità dei trasporti e il dottor Pasquale De Lise e la dottoressa Barbara Marinali come membri della stessa autorità;
          la sede della medesima autorità non è stata tuttavia ancora decisa, nonostante il suesposto decreto-legge indicava il termine del 30 aprile 2012, per l'assegnazione attraverso un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
          l'interrogante evidenzia come, nella storia della città di Genova da sempre il commercio e le esplorazioni, costituiscono due elementi fondamentali strettamente legati e correlati al sistema dei trasporti;
          a tal proposito, occorre ricordare gli esploratori genovesi, come i fratelli Vivaldi, Lanzerotto Malocello che scoprì le Canarie, Antonio da Noli che scoprì le isole di Capo Verde, Antonio Malfante il quale attraversò per primo il Sahara, e il più conosciuto Cristoforo Colombo che scoprì il «nuevo mundo»;
          i suddetti personaggi della storia ligure e italiana, hanno contribuito positivamente nei secoli scorsi a favorire e conoscere itinerari all'epoca sconosciuti, così come di rilevante importanza è la storia del commercio di Genova che l'ha vista primeggiare sulla finanza mondiale nel periodo de El Siglo de los Genoveses;
          l'interrogante segnala inoltre come sul territorio nazionale non esista luogo in cui si concentrano traffici merci, passeggeri, via ferro, gomma, nave e aria come a Genova;
          il porto di Genova rappresenta infatti lo sbocco naturale verso il mare delle regioni del Nord-Ovest italiano; ed essendo situato in posizione strategica verso hinterland economico e commerciale europeo, lo scalo marittimo genovese può vantare una storia ed una tradizione antichissima;
          le opere marittime su cui si basa inoltre si estendono per quarantasette chilometri di lunghezza cui trenta per i soli pontili operativi; la profondità dei fondali varia dai nove ai quindici metri con punte di cinquanta. Nel 2011 dal Porto di Genova sono transitati 3.113.679 passeggeri nonché 49.595.652 tonnellate di merci e si sono movimentati 1.847.102 di Teu;
          è opportuno ricordare come Genova sia dotata di un suo aeroporto, il Cristoforo Colombo, che è stato recentemente nominato come uno degli scali strategici italiani e che la stessa città si trova da tempo al centro di scelte di sviluppo infrastrutturale il cui avvio dei lavori determineranno positivamente importanti modifiche strutturali;
          i giovani imprenditori genovesi si sono inoltre mobilitati per promuoverne la città rappresentando come il mondo giovanile ma anche quello imprenditoriale della città sia pronto per accogliere e sostenere nuove prospettive di sviluppo;
          in considerazione di quanto esposto, appare evidente a giudizio dell'interrogante come la città capoluogo della Liguria possieda ogni requisito storico, economico e infrastrutturale, idoneo a garantire l'imminente assegnazione della sede dell'autorità per la regolazione dei trasporti  –:
          come intenda valutare la posizione di Genova quale sede dell'autorità per la regolazione dei trasporti, in virtù della sua posizione strategica posizionata come porta sul Mediterraneo e come naturale punto di unione tra i trasporti via mare e quelli via terra, in considerazione del fatto che il trasporto costituisce storicamente parte integrante ed essenziale della città di Genova. (5-07099)

Interrogazioni a risposta scritta:


      DI BIAGIO, TOTO e PROIETTI COSIMI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il decennale monopolio del gruppo Ferrovie dello Stato (RFI – Rete ferroviaria italiana – Grandistazioni e Centostazioni) è stato interrotto dall'entrata nel mercato della compagnia NTV spa primo operatore privato italiano sulla rete ferroviaria ad alta velocità, pienamente operativa nel trasporto passeggeri dall'aprile 2012;
          l'entrata nel mercato dei trasporti in alta velocità di un'azienda privata ha rappresentato un evento inedito, riferimento di un processo di una – tanto auspicata – liberalizzazione reale del servizio ferroviario in Italia ed un superamento del consolidato monopolio di Trenitalia;
          come evidenziato in queste ore dal Sottosegretario ai trasporti Guido Improta, Italo – il nuovo treno ad alta velocità di NTV – è la «più grande impresa industriale nel settore dei trasporti da dieci anni a questa parte» e una esperienza innovativa in quanto «utilizza infrastrutture già esistenti»;
          un reale processo di liberalizzazione dei servizi ferroviari in Italia consentendo l'instaurarsi di dinamiche di concorrenza tra gli operatori presenti sul mercato, solleciterebbe lo sviluppo del mercato del trasporto ferroviario, gli investimenti e le implementazioni e consentirebbe un miglioramento del servizio offerto agli utenti;
          malgrado siffatti elementi e la chiara apertura del Governo a misure volte alla liberalizzazione dei cosiddetti comparti ingessati da decenni di culturale monopolista, nel comparto continua sussistere una sorta di liberalizzazione incompiuta che continua a protendere verso una tutela dello status quo monopolista, come evidenziato dall'esperienza di arenaways, prima società privata a concorrere con Trenitalia per il trasporto passeggeri sulle tratte regionali e interregionale, e le criticità subentrate in virtù delle limitazioni previste dalla normativa vigente in materia di trasporti ferroviari;
          a conferma della sussistenza di tali criticità appare opportuno evidenziare quanto verificatosi in questi giorni nell'area della stazione di Roma ostiense, dove la società RFI ha consentito la costruzione di una cancellata che di fatto impedisce il transito dei passeggeri dall'area «Casa Italo», dove sono situate la biglietteria e il centro servizi di Ntv, alla banchina di accesso ai treni;
          la struttura di cui sopra è stata eretta in prossimità dell'evento inaugurale dell'apertura di Casa Italo nella stazione di Roma Ostiense, uno snodo strategico che renderà fruibile l'accesso ad un numero maggiore di utenti residenti in aree periferiche;
          la succitata struttura, si configura secondo gli interroganti come un palese strumento di ostruzionismo sebbene sia stata giustificata come necessaria ai fini della separazione fisica tra aree nell'ambito delle attività ferroviarie;
          la realizzazione della ingombrante cancellata è stata effettuata da RFI – secondo Giuseppe Sciarrone, amministratore delegato di Ntv, «per imprecisate ragioni di sicurezza» e come ha evidenziato il presidente di Ntv Luca Cordero di Montezemolo la scomoda struttura «copre di ridicolo chi parla di vera concorrenza o di liberalizzazioni, (...) triste emblema di chi cerca di investire in Italia»;
          stando a quanto si apprende dalla stampa, la cancellata, è stata già oggetto di ricorso all'ufficio regolazione dei servizi ferroviari da parte della società di Montezemolo, poiché vieta ai viaggiatori l'accesso diretto al treno lungo il binario 15, un percorso di un minuto che ora è diventato di 5 minuti andando a compromettere in maniera vistosa la qualità del servizio offerto agli utenti;
          non si comprende quali siano le ragioni che conducono un operatore statale a compromettere l'efficienza di un progetto commerciale che rappresenta un vantaggio per il sistema dei trasporti italiano e di contro non vi è stato alcun tipo di intervento da parte delle autorità deputate ai controlli;
          quanto verificatosi presso la stazione Ostiense di Roma si configura come un paradosso: lo stesso Sottosegretario ai trasporti, Guido Improta ha manifestato «indignazione e imbarazzo» per quanto accaduto che vede come protagonista un operatore dello Stato, anche alla luce del difficile momento e dell'esigenza di superare ogni contraddizione;
          con il decreto liberalizzazioni è stata istituita l'autorità di regolazione dei trasporti con il compito di assicurare l'uniformità e la coerenza del sistema di liberalizzazione nel settore dei trasporto, a conferma della rinnovata volontà del Governo di garantire il prosieguo di un percorso concreto e fattivo di liberalizzazione del comparto  –:
          quali iniziative intenda intraprendere al fine di consentire la tutela della concorrenza nel settore ferroviario e delle imprese private che intendono operare nello stesso, anche attraverso un controllo più dettagliato e accurato delle attività e delle iniziative intraprese da RFI potenzialmente lesive delle dinamiche di mercato e degli interessi degli utenti. (4-16631)


      PROIETTI COSIMI. —Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il tratto di rete autostradale, lungo oltre sessantadue chilometri, tra i territori comunali di Sasso Marconi, in Emilia Romagna, e Barberino di Mugello, in Toscana, è interessato da interventi di adeguamento infrastrutturale, per un importo di oltre tre miliardi e seicento milioni di euro, con la realizzazione della cosiddetta «variante di valico», a cura di Autostrade per l'Italia s.p.a. (ASPI). Il consiglio dei Ministri, nella seduta del 9 agosto 2001, deliberò, in via definitiva, la realizzazione dell'intero potenziamento dell'autostrada A1, lungo il tratto Firenze-Bologna, nel quale è ricompreso la variante di valico. I primi cantieri furono avviati nell'anno 2004; attualmente, è stato ultimato un terzo dei lavori, pari a circa venti chilometri dell'intero tracciato;
          l'opera interessa otto comuni dell'Emilia-Romagna e della Toscana, tra i quali quello di San Benedetto Val di Sambro, in Emilia-Romagna, specificatamente una sua frazione, denominata Ripoli Santa Maria Maddalena, nella cui area sono in corso lavori di scavo per la realizzazione della galleria «Val di Sambro», a doppia canna, una per ciascuna delle due direzioni di marcia, compresa nel progetto della variante di valico;
          i lavori sarebbero all'origine di assestamenti e lenti smottamenti del terreno che determinerebbero il suo scivolamento verso valle di un'ampiezza periodicamente apprezzabile e, comunque, tali da destare preoccupazioni, in relazione agli emergenti danneggiamenti di manufatti e infrastrutture in superficie, in specie immobili a uso residenziale e anche a beni architettonici;
          tali fenomeni si inscrivono in un contesto geologico «precario», posto che il territorio dove insiste la frazione di Ripoli Santa Maria Maddalena sarebbe stato riconosciuto, da anni, come instabile, tanto da definire di «riattivazione» la frana osservata dopo l'avvio dei lavori per la realizzazione della galleria «Val di Sambro», sottostante l'abitato. A riprova della notorietà dei profili problematici delle caratteristiche geologiche del territorio in argomento, nella convenzione firmata nel 2001 tra la società Autostrade per l'Italia Spa e i comuni interessati alle opere sarebbero stati prefigurati interventi di stabilizzazione dei versanti malfermi, da realizzare prima dell'inizio dei lavori, con menzione, nel documento, delle frane di: «Ripoli di Sotto» e di «Serra di Ripoli». L'interpellante ignora se e quali eventuali interventi di stabilizzazione siano stati eseguiti nell'area considerata;
          va rilevato, a conferma della qualificazione ecologica della zona in questione ma anche degli stessi presupposti degli appalti conferiti da ASPI e degli stessi progetti esecutivi, che il progetto definitivo, redatto a cura della società appaltante, specificava espressamente la sottoposizione della medesima a una «frana quiescente», ossia dal movimento esaurito;
          risulta che l'ATI appaltatrice della costruzione di parte della galleria in menzione, nel mese di maggio 2010, constatate emergenti problematiche statico-geologiche, abbia informato l'Autorità per l'Italia e la direzione dei lavori, ipotizzando che, all'epoca della conclusione dei lavori, la galleria potesse, addirittura, risultare compromessa al punto da essere inutilizzabile;
          al riguardo, elementi di correlazione da considerare sono, altresì, intanto, la prossimità, di qualche centinaio di metri, dell'opera interessata ai fenomeni in rilievo al tracciato originario dell'autostrada, abbandonato e sostituito dal tracciato attualmente in esercizio a seguito di gravi dissesti determinati da movimenti di versante e, inoltre, le difformità rilevanti che l'attuale stato dei luoghi presenterebbe rispetto al piano particellare di esproprio, redatto sull'aggiornamento catastale degli anni sessanta del secolo XXI secolo. Significativo, in specie, sarebbe lo spostamento del torrente Setta, il cui tracciato di scorrimento risulterebbe scostato di 35-40 metri, in corrispondenza, giustappunto, del tratto iniziale della galleria;
          la direzione dei lavori, edotta delle ipotizzate problematiche, ne avrebbe a quanto risulta all'interrogante tuttavia, eccepito l'eziologia e la stessa consistenza, addebitando, peraltro, all'ATI appaltatrice supposte omissioni d'intervento funzionalmente utili a prevenire i fenomeni rappresentati dall'ATI medesima. Devesi aggiungere, in proposito, che l'ATI a quanto consta all'interrogante trasmetteva, in replica, alla direzione dei lavori e ad ASPI una relazione della società progettista della galleria, designata da ASPI, denominata Rocksoil s.p.a. che si concluderebbe ipotizzando che il movimento franoso potrebbe comportare danni rilevanti alla galleria, fino al tranciamento della stessa;
          a seguito di una successiva riunione svolta tra ASPI, direzione dei lavori e ATI, non conclusasi, pare, con una valutazione conclusiva della situazione, sarebbe stato impartito un ordine di servizio, nel mese di luglio 2010, in cui risulterebbero prescritte limitate modificazioni e integrazioni progettuali, in capo ad ATI. Di fatto, si sarebbe, in tal modo, convenuto sulla natura delle problematiche rappresentate dall'ATI e dalla società progettista, ancorché valutandone in termini meno critici le conseguenze. Tale atto sarebbe stato sottoscritto con riserva dall'ATI che non avrebbe ritenuto le prescrizioni formulate utili a risolvere radicalmente le questioni poste; semmai a consentirne il controllo per un periodo eventualmente maggiore e a prevenirle solo in ragione di una fortuita esiguità dimensionale di una frana. La riserva avrebbe pure evidenziato il permanere delle responsabilità riconnesse alle indicazioni tecniche in testa ad ASPI e direzione dei lavori;
          l'ATI avrebbe presentato, all'inizio del mese di settembre 2010, uno studio di fattibilità di una variante plano altimetrica ritenuta, sembra, ad avviso dell'associazione, idonea alla risoluzione delle problematiche generate dal movimento franoso. Consta all'interrogante che l'ASPI avrebbe comunicato, in due successivi incontri con l'ATI, nello stesso mese di settembre 2010, l'indisponibilità a esaminare lo studio presentato e, in ogni caso, a considerare l'adozione di qualsivoglia variante, ingiungendo ad ATI di proseguire nell'esecuzione dei lavori secondo il progetto esecutivo come sarebbe stato modificato dall'ordine di servizio impartito nel corso del precedente mese di luglio, a pena di risoluzione contrattuale del contratto di appalto per grave inadempimento;
          in relazione alle discordanti valutazioni circa la portata di eventuali eventi franosi, l'ATI avrebbe rimesso ad ASPI, negli ultimi giorni dell'anno 2010, un'ulteriore documento tecnico consistente in una relazione redatta congiuntamente da esperti di elevata qualificazione professionale nella quale sarebbe stata congetturata, con altissima probabilità e in tempi ravvicinati, una frana coinvolgente l'intero versante e, dunque, di portata notevole;
          di assoluta evidenza si appalesa l'aggiornamento della cartografia geologica del territorio regionale operato dal servizio geologico sismico e dei suoli della regione Emila-Romagna, che modifica la classificazione di vaste parti dell'ammasso interessato dalla galleria Val di Sambro, dalla precedente classificazione «a2h – Deposito di frana quiescente per scivolamento in blocco» all'attuale classificazione «a1b – Deposito di frana attiva per scivolamento», per alcune parti, e «a1h – Deposito di frana attiva per scivolamento in blocco o DC»;
          la fondatezza delle preoccupazioni, dei dubbi e delle eccezioni dall'ATI sui possibili danni alle opere derivanti da frane o da eventuali fenomeni connessi alle caratteristiche geomorfologiche dei territori interessati ai lavori della galleria in sindacato, sarebbe confermata anche dalle decisioni che la compagnia assicuratrice Assitalia avrebbe adottato, sospendendo, sembra, limitatamente alla galleria stessa, la copertura assicurativa. A siffatta decisione sarebbe da ascrivere la sospensione dei lavori da parte di ATI, limitatamente alla galleria, per essere la copertura assicurativa notoriamente obbligatoria per legge e, intutivamente, per contratto. La Compagnia assicuratrice, peraltro, avrebbe comunicato, a seguito di verifiche e controlli, la sua disponibilità a riattivare la polizza assicurativa in via provvisoria, fino al termine del 30 aprile 2012, modificandone in senso restrittivo le coperture e, al contempo, incrementando il premio da corrispondere. Di tale evenienza l'ATI avrebbe informato a fine gennaio 2012 ASPI che, dal canto suo, avrebbe comunicato ad ATI la disponibilità a farsi carico degli oneri conseguenti alle variazioni imposte dalla Compagnia assicuratrice ad esclusione dell'incremento del premio di polizza e a manlevare l'ATI stessa da ogni responsabilità per il caso di danni alle opere e/o a terzi derivanti da eventuali frane interessanti la galleria «Val di Sambro», a condizione che si fossero ripresi i lavori. L'ATI, a sua volta, avrebbe contestato le valutazioni di ASPI, rilevandone la contraddizione di condotta, laddove dalla disponibilità a farsi carico delle variazioni assicurative offerte da Assitalia era esclusa quella ad accollarsi la maggiorazione di premio l'aumento, ingente, del cui onere ASPI avrebbe lasciato gravare sull'ATI;
          da un buon numero di mesi, per via di danneggiamenti occorsi a diversi fabbricati ubicati nella menzionata frazione di Ripoli Santa Maria Maddalena del comune di San Benedetto Val di Sambro che, va precisato, è posta sulla verticale della porzione di galleria la cui realizzazione è ricompresa nell'appalto aggiudicato da ASPI alla società CMB di Carpi, ha determinato, ad opera specialmente di un comitato di cittadini residenti nella suddetta frazione, l'eco sui mass media delle richiamate problematiche;
          con riguardo agli eventi e ai fenomeni geo-morfologici relativi alle zone interessate dai lavori della variante di valico, è in corso un'indagine aperta dalla procura della Repubblica di Bologna, nella quale, allo stato, si ipotizzerebbe il reato di disastro colposo, che ha ordinato una consulenza tecnica d'ufficio per l'accertamento delle questioni inerenti alla galleria sunnominata;
          nell'aprile di quest'anno, a seguito anche di una mozione approvata all'unanimità dal consiglio regionale dell'Emilia-Romagna e della disponibilità di Autostrade per l'Italia, società concessionaria dell'autostrada in questione, è stata predisposta la sospensione dei lavori prevista per alcune settimane, per approfondimenti tecnici di natura geomorfologica, atti ad accertare la sicurezza del cantiere per i cittadini e per l'ambiente. A seguito delle intese raggiunte in una riunione tenutasi presso la prefettura di Bologna il 23 marzo 2012, con la presenza, oltre dello stesso prefetto, dell'assessore ai trasporti della giunta regionale dell'Emilia-Romagna e di un dirigente della società concessionaria Autostrade per l'Italia, gli approfondimenti sono stati svolti, nel periodo di fermo del cantiere, dai tecnici dell'Irpi-istituto di ricerca e protezione idrogeologica del Cnr e dell'Ispra-istituto di ricerca e protezione ambientale del ministero dell'ambiente;
          la relazione finale dei citati istituti di ricerca, è stata presentata nel corso di un ulteriore incontro alla prefettura di Bologna, svoltosi il giorno 2 del mese di maggio del corrente anno. In detta relazione è scritto, tra l'altro, che «l'analisi delle deformazioni superficiali e profonde evidenzia un chiaro inequivocabile “effetto richiamo” causato dal passaggio dei fronti di scavo». Tuttavia, un evento collassante è valutato come «ipotetico e a bassa probabilità d'occorrenza» e si afferma, pure, che «la tipologia e le caratteristiche degli ammassi presenti nel versante fanno escludere con un buon grado di affidabilità la possibilità di un crollo catastrofico e repentino»;
          sulla scorta di queste conclusioni e delle indicazioni contenute nella relazione, sostanzialmente quale di implementare i sistemi di allerta per il monitoraggio del suolo e di predisporre un piano di protezione civile, il prefetto di Bologna ha annunciato, come si riscontra da notizie di stampa, la ripresa dei lavori, subordinatamente all'ottenimento delle garanzie che «questi suggerimenti saranno rispettati», senza, peraltro, l'indicazione di un termine per il riavvio del cantiere della galleria in via di realizzazione in prossimità della frazione di Ripoli Santa Maria Maddalena;
          l'ATI, avrebbe prodotto alla procura della Repubblica di Bologna la perizia tecnica di cui più sopra è menzione nella quale, in proiezione futura, si prospetterebbe l'inutilizzabilità della variante medesima, a causa della pressione di milioni di metri cubi di frana incombenti sulla struttura della galleria che avrebbe già provocato la variazione di alcuni centimetri nell'assetto dell'infrastruttura. Appare opportuno sottolineare che la concessionaria Autostrade per l'Italia mentre non condivide, come in pubbliche e istituzionali circostanze ha avuto modo di lasciar esplicitamente intendere, le valutazioni che recherebbe la perizia in parola tuttavia avrebbe alimentato un fondo di dieci milioni di euro per il ristoro di danni eventualmente subiti dalle proprietà della zona, in dipendenza dei movimenti franosi occorsi;
          è notizia delle scorse settimane quella dei problemi statici al viadotto denominato «Rio Piazza», lungo il tracciato dell'attuale autostrada A1, precisamente nei pressi dell'abitato di Ripoli Santa Maria Maddalena nel comune di San Benedetto Val di Sambro. I piloni del viadotto si sarebbero spostati di 3 centimetri e ASPI ha aperto un cantiere che avrebbe l'obiettivo di mettere in sicurezza i piloni del viadotto. Salvi i riscontri, appare logico e conferente il nesso di causalità tra quest'ulteriore evenienza e il corpo di frana su cui potrebbero ancorarsi le fondazioni di quel viadotto  –:
          se il Governo non ritenga di disporre il fermo dei lavori almeno fino alle conclusioni dell'indagine aperta dalla procura della Repubblica di Bologna o, almeno al pronunciamento dei consulenti tecnici d'ufficio nominati dalla medesima procura nominati;
          se la convenzione richiamata in premesse impegnasse la società concessionaria a dar luogo, prima degli interventi di realizzazione della variante di valico, a lavori di stabilizzazione dei versanti fragili nel territorio di Ripoli Santa Maria Maddalena, frazione del comune di San Benedetto Val di Sambro e, in caso di conferma, se quei lavori siano mai stati eseguiti e collaudati;
          se e quali interventi preventivi e precauzionali siano stati effettuati in ragione della nota vulnerabilità del terreno interessato ai lavori della variante di valico;
          se il Governo abbia acquisito da Anas ogni utile elemento cognitivo intorno ai movimenti franosi emersi collateralmente e in verosimile nesso di causalità rispetto all'avvio e all'avanzamento dei lavori di escavazione della galleria «Val di Sambro» ed, eventualmente, quali siano i contenuti delle informative. (4-16638)

INTERNO

Interpellanza:


      Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
          nei giorni 6 e 7 maggio 2012 si sono svolte le elezioni amministrative in molti comuni italiani, tra i quali quello di Catanzaro;
          l'esito delle elezioni nel comune di Catanzaro, che ha visto prevalere il candidato Sergio Abramo, come evidenziato da diversi organi di stampa e da televisioni locali, è stato caratterizzato da una serie di episodi che hanno fortemente condizionato la campagna elettorale e la regolarità delle elezioni medesime;
          al di là delle indagini giudiziarie in corso per appurare la sussistenza di brogli elettorali in alcune sezioni, preme sottolineare come alla coalizione vincente è stato attribuito al 60 per cento dei seggi ai sensi dell'articolo 73, comma 10, del decreto legislativo n.  267 del 2000 e in sede di proclamazione degli eletti sono stati assegnati alla maggioranza n.  20 consiglieri mentre alla minoranza sono stati assegnati n.  12 consiglieri;
          la nomina di 20 consiglieri di maggioranza, anziché diciannove, è contraria agli indirizzi più recenti della giurisprudenza, in particolare con riferimento alla sentenza del Consiglio di stato n.  2928 del 21 maggio 2012 che ha chiarito in maniera inequivocabile come «la percentuale del 60 per cento dei seggi esprime il numero massimo dei seggi attribuibili a titolo di premio di governabilità, sicché non si può far luogo ad alcun arrotondamento dei decimali all'unità superiore, non potendo mai essere superate per effetto dei decimali la percentuale del 60 per cento dei seggi attribuibili alla coalizione candidata al Sindaco vincente»;
          la stessa sentenza evidenzia anche che «quand'anche il rapporto percentuale non esprima il numero intero, le cifre decimali non potranno mai variare in aumento il rapporto percentuale, facendo lievitare il numero dei seggi da assegnare alla coalizione collegata al sindaco vincente, il limite del 60 per cento è, infatti, il punto di equilibrio individuato dal legislatore tra i contrapposti valori della governabilità dell'ente locale e della tutela delle minoranze...»;
          la circolare n.  8/2012 del Ministero dell'interno inviata ai prefetti in vista delle elezioni comunali del 6 e 7 maggio 2012 ha inteso richiamare l'indirizzo giurisprudenziale sull'esatta attribuzione del cosiddetto premio di maggioranza, senza però integrare la modifica dell'orientamento del Consiglio di Stato con la sentenza suindicata;
          la decisione dell'ufficio centrale, pertanto, contrasta con detto principio avendo assegnato al gruppo di liste collegate al sindaco eletto n.  20 seggi pari al 62,5 per cento, superiore al limite invalicabile del 60 per cento  –:
          se non intenda appurare e chiarire i motivi per i quali le prefetture non abbiano comunicato agli organi competenti il nuovo indirizzo giurisprudenziale e se non ritenga altresì opportuno adottare ogni iniziativa di competenza al fine di chiarire in maniera definitiva la problematica esposta in premessa, evitando così una proliferazione di contenziosi giudiziari.
(2-01551) «Messina».

Interrogazioni a risposta scritta:


      BORGHESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          da agenzia di stampa del 13 giugno 2012, si legge che il pentito di'ndrangheta Luigi Bonaventura, ex reggente della cosca Vrenna-Bonaventura, ha riferito al settimanale «il Punto» di un piano elaborato da una nuova cupola mafiosa, che vedrebbe insieme «’ndrangheta e quello che rimane della Vecchia Cosa nostra»;
          il pentito, che dal 2007 collabora con lo Stato, riempiendo pagine e pagine di verbali per raccontare quello che sa sulla criminalità organizzata, ha affermato: «So per certo che presto ci saranno attentati che mirano a creare un clima di terrore. La ’ndrangheta sta lavorando per una nuova stagione delle stragi», indicando, altresì, come possibili obiettivi della ’ndrangheta esponenti politici e alcuni magistrati tra i più attivi nella lotta alla criminalità organizzata  –:
          se il Ministro sia a conoscenza di quanto citato in premessa;
          se il Ministro ritenga che le informazioni del pentito siano attendibili e come intenda agire, per quanto di competenza, per fermare questo eventuale nuovo progetto che mirerebbe a creare un nuovo clima di terrore e metterebbe a rischio la vita di molte persone. (4-16620)


      JANNONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          negli ultimi anni, l'Unione europea ha adottato numerose regolamentazioni sui diritti dei passeggeri aerei, in treno, barca o bus. Oggi il Parlamento vuole migliorare questi diritti e assicurare la loro applicazione a livello europeo. I deputati hanno votato una risoluzione il 29 marzo scorso richiedendo più garanzie e assistenza per i passeggeri rimasti a terra, oltre a delle regole più rigide sulle norme di compensazione in caso di cancellazione o ritardo del volo, o di perdita dei bagagli. La Commissione europea ha proposto di cambiare i diritti dei passeggeri aerei nei prossimi mesi. I deputati stanno prendendo in considerazione anche l'idea di sostenere l'ampliamento degli aeroporti europei, riducendo i ritardi e migliorando la qualità dei servizi offerti ai passeggeri. Facilitare la vita dei viaggiatori non è la sola preoccupazione dei deputati che hanno anche cercato un compromesso tra protezione della privacy e sicurezza dei passeggeri aerei: le linee aeree devono fornire ai passeggeri lasciati a terra informazioni migliori e aiuto immediato, sostengono i deputati in una risoluzione adottata il 16 aprile 2012. «Nonostante la legislazione dell'UE abbia già fatto molto per rafforzare i diritti dei passeggeri aerei, bisogna fare di più per garantire loro un trattamento equo e per assicurare diritti più ampi per tutti i viaggiatori», ha dichiarato il relatore Keith Taylor (Verdi/ALE, UK) prima del voto. In particolare, ha aggiunto, le nozioni di «circostanze straordinarie» e «cancellazione» devono essere chiarificate affinché le linee aeree si assumano le proprie responsabilità;
          la risoluzione dichiara che i vettori aerei dovrebbero garantire la presenza di personale di contatto che possa fornire ai passeggeri lasciati a terra, in ogni aeroporto o per telefono, informazioni utili su opzioni di viaggio alternative, e in grado di prendere decisioni tempestive su assistenza, reinserimento su altre rotte e trasferimenti su altri voli. I deputati invitano la Commissione a redigere un formulario tipo per eventuali reclami tradotto in tutte le lingue dell'Unione, da distribuire ai passeggeri in caso di interruzione dei servizi. Inoltre, i passeggeri lasciati a terra in caso di fallimento o cessazione delle attività delle linee aeree devono essere rimpatriati gratuitamente. La risoluzione invita la Commissione ad armonizzare le regole sui bagagli a mano e a porre fine alle pratiche commerciali sleali (ad esempio prezzi poco chiari e costi aggiuntivi non opzionali se si prenota online), alla riprogrammazione unilaterale dei voli e alla discriminazione dei prezzi sulla base del paese di residenza. L'impatto ambientale del viaggio dovrebbe essere indicato sul biglietto aereo. I passeggeri dovrebbero avere il diritto di annullare o modificare la loro prenotazione gratuitamente entro due ore dalla prenotazione iniziale, avere pieno accesso alle informazioni relative ai dati del codice di prenotazione (Passenger Name Record, PNR) ed essere informati su come tali dati sono, afferma il Parlamento. I deputati insistono che i passeggeri con disabilità o con mobilità ridotta devono avere accesso senza ostacoli ai servizi di trasporto aereo, incluso il diritto di utilizzare ausili per la mobilità. Infine, su ogni aereo devono essere previsti seggiolini sicuri per bambini;
          insieme alle nuove linee guida a difesa dei passeggeri, è stato approvato anche un nuovo accordo sul trasferimento dei dati personali dei passeggeri aerei europei alle autorità statunitensi. L'accordo stabilisce le condizioni giuridiche e copre questioni quali i periodi di conservazione, il loro utilizzo, le garanzie di protezione dei dati e i ricorsi amministrativi e giurisdizionali. L'accordo sostituisce quello provvisorio in vigore dal 2007. Secondo il nuovo accordo, le autorità statunitensi conserveranno i dati PNR in una banca dati attiva per un massimo di cinque anni. Dopo i primi sei mesi, tutte le informazioni che potrebbero essere utilizzate per identificare un passeggero verrebbero «spersonalizzate», il che significa che i dati come il nome del passeggero o il suo/suoi dati di contatto dovrebbero essere mascherati. Dopo i primi cinque anni, i dati saranno trasferiti in una «banca dati inattiva» per un periodo massimo di dieci anni, con requisiti di accesso più severi per i funzionari degli Stati Uniti. Successivamente, l'accordo sancisce che i dati devono essere resi completamente «anonimi», eliminando tutte le informazioni che potrebbero servire a identificare il passeggero. I dati relativi a un caso specifico saranno conservati in una banca dati PNR attiva fino a quando l'inchiesta verrà archiviata. I dati PNR devono essere utilizzati principalmente per prevenire, individuare, indagare e perseguire il terrorismo e i gravi reati transnazionali. Questi ultimi, secondo il diritto statunitense, sono crimini punibili con tre anni di reclusione o più. I dati PNR serviranno inoltre «per individuare i soggetti che potrebbero essere sottoposti a interrogatorio o esame approfondito»;
          nell'eventualità i dati e le informazioni personali non fossero stati iscritti in modo conforme al presente accordo, i cittadini dell'Unione europea hanno il diritto di presentare un ricorso amministrativo e giudiziario in conformità alla legge degli Stati Uniti. Essi avranno inoltre il diritto di accedere ai propri dati PNR e di chiedere al dipartimento degli Stati uniti per la sicurezza interna (DHS) la correzione o la rettifica, compresa la possibilità di cancellazione, se l'informazione risultasse imprecisa. I dati PNR sono raccolti dai vettori aerei durante il processo di prenotazione e includono nomi, indirizzi, dettagli di carte di credito e i numeri dei sedili dei passeggeri aerei. Secondo la legge degli Stati Uniti, le compagnie aeree sono obbligate a rendere questi dati disponibili al DHS prima della partenza dei passeggeri. Questo vale per i voli da o verso gli Stati Uniti  –:
          quali interventi il Ministro intenda adottare in linea con gli indirizzi elaborati in sede europea a difesa dei viaggiatori.
(4-16623)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 14 giugno 2012, il gruppo EveryOne ha diramato un comunicato stampa intitolato: «Bologna, coppia di sposi Rom aggredita: lui massacrato di botte, lei, incinta, stuprata dal branco. Polizia li preleva dall'ospedale Sant'Orsola e notifica al marito un decreto di espulsione. EveryOne deposita un esposto in procura e chiede apertura di un'indagine interna al Ministro Cancellieri»;
          nel comunicato è dato leggere che all'una di notte di mercoledì 13 giugno, una giovane coppia senza fissa dimora di origine Rom, Ljubo Halilovic e la moglie Brenda Salcanovic, è stata assalita da sei cittadini stranieri mentre dormiva all'aperto a Bologna, in un giardino pubblico in via Torino, all'angolo con via Firenze. I sei uomini si sono avvicinati alla coppia chiedendo conferma circa la loro etnia Rom, dopo di che hanno iniziato a picchiare brutalmente l'uomo, mentre due componenti del branco prendevano a calci e pugni la ragazza, incinta, e subito dopo la stupravano a turno. Ljubo, quando il branco è fuggito, è riuscito, grazie a un cittadino bolognese la cui casa si affaccia sul parco pubblico, a dare l'allarme alla polizia, che è intervenuta e ha fatto trasportare i giovani dal 118 all'ospedale di Sant'Orsola. Dalle prime indagini diagnostiche fatte dal reparto di ginecologia la gravidanza non sarebbe a rischio. Passata la notte in pronto soccorso, intorno alle 7 del 13 giugno, Ljubo, giovane cittadino Rom di vent'anni nato in Italia, è stato prelevato dalla polizia dall'ospedale e portato con sua moglie in questura. Dopo averli identificati e aver rinchiuso il giovane in una cella di sicurezza per diverse ore, gli agenti di polizia hanno notificato all'uomo un ordine di espulsione dall'Italia e hanno riaccompagnato la coppia in ospedale. Ljubo e Brenda sono tutt'ora ricoverati al Sant'Orsola. «Quanto è avvenuto» commentano i co-presidenti dell'organizzazione umanitaria EveryOne, Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, «è assolutamente spaventoso. Il comportamento delle forze dell'ordine bolognesi, che avrebbero dovuto sin da subito indagare senza esitazioni e assicurare alla giustizia i malviventi che hanno seviziato i due giovani, appare in violazione dei più elementari diritti della giovane coppia: prelevati dall'ospedale nonostante la necessità di cure mediche e di assistenza psicologica, le due vittime della barbara violenza hanno cercato di raccontare agli inquirenti quanto era loro accaduto. Tuttavia, secondo quanto riferito da Ljubo, gli agenti avrebbero dimostrato indifferenza, cercando di sminuire l'episodio e ricondurlo a una semplice aggressione, senza menzionare nella denuncia lo stupro subito dalla moglie». Il giovane, che pur essendo nato e cresciuto in Italia non sa leggere né scrivere bene, si è limitato a raccontare l'episodio ai poliziotti e a controfirmare la denuncia, di cui non gli è stata rilasciata copia. «Notificare nelle mani del giovane, ancora provato fisicamente e psicologicamente dalla violenza, un provvedimento di espulsione per la mancanza del permesso di soggiorno è la dimostrazione che le forze dell'ordine considerano un problema di sicurezza maggiore la permanenza in Italia di un rom innocente e per altro vittima di violenza ma irregolare sul piano burocratico perché apolide anziché un gruppo di malviventi colpevoli di rapina, lesioni gravi e stupro, tutti ancora a piede libero». EveryOne, che ha presentato un esposto in procura sulla vicenda per sollecitare l'apertura di un'inchiesta, chiede al Ministro dell'interno, assieme all'associazione Nazione Rom – che per prima ha denunciato il caso –, di disporre quanto prima l'avvio di un'indagine interna presso la questura di Bologna per accertare il comportamento delle forze dell'ordine e individuare eventuali responsabilità. Si chiede di far luce anche con iniziative parlamentari, sulla vicenda e che venga predisposta una maggiore tutela per la giovane coppia, costretta da anni a vivere in strada per l'indifferenza e l'inerzia dell'amministrazione comunale di Bologna. La coppia è ora assistita da un legale di fiducia, l'avvocato Immaccolata Tropiano del Foro di Bologna  –:
          di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa e se intenda avviare una indagine amministrativa interna alla luce della denuncia avanzata dal gruppo EveryOne per appurare se, in merito alla vicenda vi siano eventuali responsabilità disciplinari degli agenti di polizia che sono intervenuti prelevando i due giovani rom per portarli in questura.
(4-16627)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il quotidiano La Repubblica nella sua edizione del 10 giugno 2012 ha pubblicato una corrispondenza dell'inviato Antonio Fraschilla, significativamente intitolata: «Comiso, pagati per non far nulla nell'aeroporto dei fantasmi»;
          nel citato articolo si riferisce, tra l'altro, che sessanta vigili del fuoco da un anno sono stati distaccati alla caserma di Ragusa per occuparsi della sicurezza dello scalo di Comiso, pronto dal 2007, ma ancora chiuso;
          lo scalo, costato 36 milioni di euro è chiuso a causa di un «pasticcio» burocratico tra Stato, regione ed Enac;
          i vigili del fuoco sono pagati, «per girarsi i pollici tutto il giorno», secondo l'efficace definizione dell'ex sindaco di Comiso Giuseppe Digiacomo, che guida la protesta degli amministratori locali della zona e il mese scorso ha digiunato una settimana chiedendo un intervento sullo «scandalo dell'aeroporto costruito e mai entrato in funzione»;
          a quanto risulta, lo scalo non è operativo perché nessuno vuole pagare i controllori di volo: non il Governo che non lo considera un aeroporto nazionale, non la regione che non ha fondi, non l'Enac perché non è uno scalo strategico, e nemmeno i privati che hanno vinto la gara per gestirlo e non hanno intenzione d'investire altro denaro;
          l'aeroporto è chiuso, ma intanto 60 vigili del fuoco da oltre un anno continuano ad essere distaccati «per assistenza allo scalo di Comiso» in una caserma che ha già di ruolo 149 dipendenti;
          secondo quanto calcolato dalle rappresentanze sindacali «in media ogni vigile guadagna circa 3.000 euro lordi al mese, quindi i 60 colleghi che ci hanno inviato in più nella nostra caserma a oggi sono costati 2,3 milioni di euro»;
          per aggiungere sprechi agli sprechi, nei mesi scorsi i vigili del fuoco hanno partecipato a un corso di formazione particolare per soccorsi aeroportuali;
          lo spreco non finisce qui: sono stati acquistati due grandi mezzi che servono per i soccorsi in caso d'incendio negli scali — circa 400 mila euro l'uno — e risultano da due anni chiusi nei garage delle caserme di Verona e Catania;
          lo scalo chiuso dal 2007 da quando è stato inaugurato dal vice Presidente del Consiglio pro tempore Massimo D'Alema da cinque anni è una cattedrale nel deserto; nel frattempo il comune, sognando incassi d'oro, ha costituito una società di gestione per il 35 per cento pubblica e il resto affidata ai privati con tanto di gara: a vincerla con un'offerta di 18 milioni di euro è stata la Intersac, composta dalla Sac che gestisce lo scalo di Catania e dal gruppo editoriale Ciancio-Sanfilippo;
          la Intersac ha già versato al comune il canone per l'occupazione del suolo per i prossimi 40 anni: 3,2 milioni di euro;    
          appare agli interroganti ingiustificabile che, nell'Italia delle emergenze e dei terremoti, con i vigili del fuoco che a livello nazionale lamentano la carenza del personale nelle zone a più alto rischio, si sia creata a Comiso una «sacca» di lavoro «dorato» quanto inutile  –:
          se quanto sopra esposto ed evidenziato corrisponda a verità;
          in caso affermativo, come si spieghi quello che agli interroganti appare un incredibile sperpero di denaro pubblico;
          quali urgente iniziative, per quanto di competenza, il Governo ritenga di dover promuovere, adottare o sollecitare.
(4-16628)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il «Corriere immigrazione», nella sua edizione del 13 giugno 2012, ha pubblicato un articolo nel quale si sostiene che «a Trieste, il trattenimento illegale dei migranti nei commissariati di polizia sarebbe da anni una prassi consolidata»;
          dietro questo costume, secondo quanto sostiene il segretario provinciale della UIL-polizia Daniele Dovenna, non ci sarebbe la spregiudicatezza di singoli poliziotti, quanto una circolare a uso interno, emanata nel 2002 dal questore Natale Argirò, e riconfermata negli anni dai suoi successori;
          in particolare, Dovenna avrebbe deciso di rompere il silenzio in seguito all'indagine avviata dalla magistratura dopo la morte della 32enne Alina Diachuk, avvenuta nel commissariato di Opicina il 16 aprile 2012. La ragazza era stata scarcerata il 14 dopo aver scontato una condanna patteggiata per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. All'uscita dalla prigione era stata prelevata da una volante della polizia inviata da Carlo Baffi, responsabile dell'ufficio immigrazione della questura, e condotta nel commissariato, in attesa dell'espulsione. Ma era un sabato, gli uffici del giudice di pace erano chiusi e il trattenimento non era stato avallato da alcun provvedimento giudiziario. La detenzione era quindi illegale. E la donna è stata ritrovata impiccata in cella il 16 aprile;
          per il caso specifico, il pubblico ministero Massimo De Bortoli, ha avviato un'indagine: il responsabile dell'ufficio immigrazione della questura di Trieste Baffi è indagato per sequestro di persona e omicidio colposo; altri due agenti di polizia risultano indagati per mancata consegna. Nei loro uffici sono stati rinvenuti 49 fascicoli originali relativi a cittadini immigrati che sono stati illegalmente trattenuti in una cella, chiusi a chiave, anche per quattro giorni, in attesa che venisse convalidata un'udienza davanti al giudice di pace per definire l'allontanamento o l'espulsione;
          secondo quanto riferito dalla UIL-polizia tutto sarebbe cominciato nella seconda metà del 2002, poco dopo l'approvazione della legge Bossi-Fini. «La circolare imponeva di trattenere gli stranieri in attesa di espulsione fino all'udienza di convalida», ha dichiarato Dovenna, «non specificava i tempi massimi entro cui trattenerli. Ma ordinava di non liberarli fino a quel momento»;  –:
          se quanto sopra sommariamente esposto ed evidenziato corrisponda a verità;
          in caso affermativo, come si spieghi e giustifichi quanto affermato e accaduto;
          quali urgenti iniziative di competenza intenda promuovere, adottare o sollecitare in ordine a una situazione di così grave e sconcertante illegalità.       (4-16630)


      BARBATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          con decreto prefettizio dell'11 gennaio 2010 veniva disposta la nomina del commissario per la provvisoria gestione del comune di Castel Volturno nella persona del dottor Piero Mattei:
          con ulteriore decreto prefettizio del 19 gennaio 2010 la dottoressa Irene Tramontano funzionaria in organico della prefettura di Caserta veniva nominata «sub-commissaria presso il predetto ente»;
          a seguito delle consultazioni elettorali del marzo 2010, tenutesi per l'elezione del sindaco e del consiglio comunale, cessava la gestione straordinaria commissariale, essendosi insediati gli organi ordinari di amministrazione a cominciare dal sindaco, proclamato in data 2 aprile 2010;
          le funzioni di amministratore della dottoressa Tramontano sono proseguite anche oltre la data del 2 aprile 2010, e fino all'insediamento del consiglio e della giunta;
          con decreto del Presidente della Repubblica in data 19 settembre 2011 fu decretato lo scioglimento del consiglio comunale di Castel Volturno e nominato commissario straordinario per la provvisoria gestione del comune il dottor Valter Crudo;
          con delibera commissariale n.  32 del 7 dicembre 2011, è stato dichiarato lo stato di dissesto finanziario;
          con decreto del Presidente della Repubblica del 29 marzo 2012, su proposta del Ministro dell'interno il dottor Maurizio Bruschi, la dottoressa Giulia Collosi e la dottoressa Irene Tramontano, sono stati nominati componenti della commissione straordinaria di liquidazione del comune di Castel Volturno per l'amministrazione della gestione e dell'indebitamento pregresso nonché per l'adozione di tutti i provvedimenti per l'estinzione dei debiti dell'ente;
          successivamente, con decreto del Presidente della Repubblica in data 17 aprile 2012 il comune è stato posto in amministrazione commissariale, ai sensi dell'articolo 144 del testo unico enti locali, essendo la Commissione straordinaria costituita da: dottor Antonio Contarino – viceprefetto; dottoressa Anna Manganelli – viceprefetto; dottor Maurizio Alicandro – dirigente di II fascia, Area I;
          l'articolo 252 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267 (testo unico enti locali), al comma 3, espressamente stabilisce che: «Per i componenti dell'organo straordinario di liquidazione valgono le incompatibilità di cui all'articolo 236.», vale a dire quelle previste dal testo unico enti locali medesimo per i revisori contabili dell'ente;
          l'articolo 236 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267 (testo unico enti locali), al comma 2, espressamente dispone che l'incarico di revisione economico-finanziaria ossia l'incarico di membro dell'organo straordinario di liquidazione non può essere esercitato dai componenti degli organi dell'ente locale e da coloro che hanno ricoperto tale incarico nel biennio precedente alla nomina;
          come più sopra specificato la dottoressa Irene Tramontano ha svolto nel biennio precedente la nomina (29 marzo 2012) di membro dell'organo straordinario di liquidazione, dal 19 gennaio 2010 almeno fino alla proclamazione del sindaco neoeletto, avvenuta il 2 aprile 2010, (ed anche oltre, fino all'entrata in carica della giunta), la funzione di sub commissario presso il comune di Castel Volturno, con le attribuzioni delegate dei poteri della giunta e del consiglio comunale;
          non solo la nomina ma tutti gli atti propedeutici ad essa ed in particolare la designazione da parte del prefetto di Caserta e la proposta ministeriale al Presidente della Repubblica sono avvenuti ben prima che decorressero due anni dalla cessazione delle funzioni di sub commissaria della dottoressa Tramontano;
          pertanto, la detta norma e gli atti propedeutici appaiono all'interrogante in maniera inequivocabile, in contrasto con le richiamate disposizioni normative del testo unico enti locali disciplinanti, le incompatibilità dei componenti dell'organo straordinario di liquidazione, con ogni connessa conseguenza negativa in ordine alla piena realizzazione della ratio delle stesse;
          quest'ultima, nella fattispecie, chiaramente consistente nella preventiva e trasparente esclusione di possibile conflitto d'interesse sussumibile dal precedente esercizio dei poteri di amministrazione attiva del comune (ancorché di natura straordinaria), svolta nell'arco temporale del biennio antecedente la nomina (di componente dell'organo straordinario di liquidazione, e dall'esercizio successivo (a cura della stessa persona) degli incisivi poteri di cui è titolare l'organo straordinario di liquidazione, che inevitabilmente impongono, invece, la posizione di formale e sostanziale terzietà dei suoi componenti, rispetto alle pregresse situazioni oggetto della relativa sfera di attribuzione;
          posizione di neutralità che il legislatore ha espressamente ritenuta insussistente, per ovvi motivi in casi come quello in argomento afferente la dottoressa Irene Tramontano rientranti, per l'appunto tra le ipotesi individuate dall'articolo 236 del testo unico enti locali;
          tali pur evidenti circostanze non sono state rilevate dal prefetto di Caserta;
          quanto sopra dedotto appare frutto di comportamento continuativo dell'autorità prefettizia di Caserta, da una parte, e del Ministero dall'altra, ciascuno per la propria competenza partecipi della responsabilità di aver propiziato l'emissione di decreti presidenziali viziati secondo l'interrogante da illegittimità, quando si consideri che analogo caso si è già verificato nei confronti della dottoressa Maddalena De Luca già subcommissaria al comune di Caserta fino a maggio 2011 e nominata il 13 dicembre 2011 benché incompatibile per i medesimi motivi nell'organo straordinario di liquidazione del comune di Caserta  –:
          se la proposta che il Ministro interrogato ha presentato al Presidente della Repubblica, abbia tenuto conto di quanto sopra;
          se, a suo avviso, la nomina della dottoressa Irene Tramontano sia avvenuta in violazione di chiare e cogenti norme di legge contenute nel decreto legislativo n.  267 del 2000 e sopra evidenziate;
          quali azioni intenda intraprendere, in tutte le sedi, perché si ponga il dovuto rimedio alle citate violazioni;
          se, considerate le gravi conseguenze sulla proposta ministeriale, intenda effettuare ricognizioni delle eventuali responsabilità individuabili nell’iter, dell'atto, assumendo consequenziali provvedimenti.
(4-16640)


      SAMPERI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la ditta Calcestruzzi Piazza, il cui amministratore unico è Concetta Valenti, moglie di Vincenzo Piazza, sta effettuando, in subappalto, per conto della ditta Lageco di Parisi Adriana srl, lavori edili e forniture di calcestruzzi per i lavori di sbancamento e costruzione relativi all'installazione del Muos presso Contrada Ulmo di Niscemi;
          in base alle indagini della DDA di Caltanissetta, Vincenzo Piazza appare legato all'esponente mafioso Giancarlo Giugno;
          risulta da punti di stampa che Vincenzo Piazza e Giancarlo Giugno siano stati denunciati per il reato di associazione mafiosa nell'ambito dell'operazione Triskelion eseguita nel febbraio 2010 dalla DDA;
          il 7 novembre 2011 la prefettura di Caltanissetta ha reso noto che, a seguito delle verifiche disposte dalle normative in materia di certificazione antimafia, sono emersi «allo stato degli attuali accertamenti, elementi tali da non potere escludere la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle sopraccitate società»  –:
          se quanto sopra risponda al vero;
          come sia stato possibile alla luce delle circostanze riportate in premessa, che tale ditta abbia effettuato i lavori di sbancamento e costruzione relativi all'installazione del Muos presso contrada Ulmo di Niscemi. (4-16642)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      CERA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          con DDG del 13 luglio 2011 è stato indetto il concorso per esami e titoli per il reclutamento dei dirigenti scolastici per la scuola primaria, secondaria di primo grado, secondaria di secondo grado e per gli istituti educativi;
          il concorso in questione, in corso di svolgimento nella regione Puglia, è già oggetto di alcuni esposti all'autorità giudiziaria ordinaria per comportamenti illeciti, quale l'ammissione alla fase orale di un candidato espulso durante la prima prova scritta;
          un componente della commissione risulta aver ricoperto il ruolo di presidente di un'associazione professionale, dal momento della nomina e fino al 12 aprile 2012, ed attualmente segretario della stessa associazione, e ciò in contrasto con l'articolo 9, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n.  487 del 1994, recante ad oggetto «Regolamento recante norme sull'accesso agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni e sulle modalità di svolgimento dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi»;
          si evidenzia che tale incompatibilità, se accertata, travolgerebbe la legittimità di tutti gli atti della procedura concorsuale, così come accaduto di recente nella regione Molise  –:
          quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare nell'esercizio delle funzioni di vigilanza e nelle funzioni ispettive, al fine di accertare che le operazioni concorsuali avvengano nella massima trasparenza e regolarità, ma soprattutto che risultino tali da poter premiare effettivamente il merito dei partecipanti. (5-07101)


      TOCCI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          una preoccupante e imbarazzante vicenda, che ha avuto diffusa risonanza nella stampa e nella comunità scientifica interessata, contrappone il consiglio scientifico e il consiglio di amministrazione dell'Istituto nazionale di ricerca metrologica di Torino al presidente dell'ente, professor Alberto Carpinteri professore di scienza delle costruzioni al Politecnico di Torino;
          motivo del contrasto una strategia di ricerca sul «piezonucleare» per la presunta produzione di energia, senza radiazioni né scorie, inserito d'autorità dal presidente Carpinteri nei programmi scientifici dell'istituto con conseguente utilizzo di risorse finanziarie e di personale su un tema di ricerca che è considerato dalla comunità scientifica del tutto estraneo ai compiti istituzionali alle finalità dell'istituto;
          la validità scientifica del progetto è posta in forte dubbio all'interno della comunità degli scienziati di riferimento, i cui giudizi sono spesso caratterizzati da ironia in merito alla percorribilità di programmi e alla verificabilità scientifica dei suoi risultati;
          sono emblematici in tal senso l'appello rivolto da mille scienziati al Ministro Profumo e la lettera di Alessio Guglielmi, matematico dell'università di Bath, in cui viene chiesto a Carpinteri di rispondere ad alcune incalzanti domande al fine di «ristabilire la Sua onorabilità e la necessaria autorevolezza per guidare un ente prestigioso come l'INRIM»;
          tale complessiva situazione, che a giudizio di taluni esporrebbe l'INRIM al ridicolo e al danno di un'immagine negativa a livello internazionale, sarebbe stata peraltro legittimata dal Ministro con la proposta di nomina nel comitato scientifico dell'istituto del signor Fabio Cardone, dipendente non ricercatore del CNR, indicato a quanto pare più per le affinità politiche con il presidente Carpinteri che per le competenze scientifiche;
          i contrasti, le discussioni e i sospetti che la proposta alimenta, unitamente all'insistenza del presidente nel sostenerla, nonostante le critiche e addirittura le manifestazioni di dileggio con cui è accolta, non possono non interessare il Ministero che ha la vigilanza sull'ente;
          il Ministro in seguito alle proteste della comunità scientifica, ha sostanzialmente dichiarato alla rivista Science la volontà di revocare la candidatura di Fabio Cardone e di escludere il finanziamento dell'iniziativa;
          in occasione dell'approvazione di piano energetico nazionale è stato approvato con parere favorevole dal governo un ordine del giorno dell'onorevole Aracu che impegna il governo a sostenere lo «sviluppo industriale delle reazioni piezonucleari scoperte e brevettate dal CNR»;
          in occasione della risposta all'interrogazione dell'onorevole Zamparutti n.  4-14595 il Governo ha ribadito l'orientamento non negativo verso il finanziamento della fusione nucleare  –:
          se il Ministro, consapevole di questa situazione di forte conflitto, non ritenga opportuno pronunciarsi sugli inusuali comportamenti del presidente di un ente pubblico di ricerca e sulla coerenza dell'iniziativa promossa e sostenuta dal professor Carpinteri con il programma nazionale della ricerca e più in generale con le strategie ministeriali in materia e se non ritenga opportuno richiedere agli organismi di valutazione assicurazioni in merito alla validità scientifica del progetto e alla sua fattibilità;
          se intenda chiarire i criteri che a suo tempo hanno ispirato il Ministero nell'avanzare la candidatura del signor Fabio Cardone nel comitato scientifico dell'INRIM;
          se intenda, in coerenza con la dichiarazione rilasciata alla rivista Science, riconsiderare l'orientamento manifestato anche in passato in sede parlamentare che risultava favorevole al sostegno all'iniziativa piezonucleare. (5-07102)


      GOISIS e RIVOLTA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
           la classe di concorso 60/A scienze naturali, chimica, geografia e microbiologia ha consentito, fino ad oggi, ai docenti che sono stati assunti a tempo indeterminato di insegnare le seguenti discipline:
              a) scienze naturali in tutti i tipi di liceo (biologia, chimica e geografia astronomica);
              b) scienze della Terra e biologia in tutti i tipi di liceo, in tutti i professionali e in tutti i tipi di istituti tecnici;
              c) scienze della natura (disciplina che accorpa in un insegnamento integrato scienze della terra e biologia) nel biennio di tutti gli istituti tecnici commerciali (Igea, Mercurio, Erica e altro cioè in tutte le sperimentazioni);
              d) scienza della materia (disciplina che accorpa in un unico insegnamento integrato fisica e chimica) nel biennio di tutti gli istituti tecnici commerciali (Igea, Mercurio, Erica, e altro cioè in tutte le sperimentazioni dei vecchi istituti commerciali). Il decreto istitutivo delle suddette sperimentazioni ha attribuito questo insegnamento non solo alla classe 60/A ma anche alle classi di concorso 38/A (fisica) e 13/A (chimica) e perciò furono definite classi di concorso atipiche (OM 332 del 1996);
              e) geografia antropica, regionale ed economica negli istituti tecnici commerciali fino alla classe quinta;
              f) geografia antropica e regionale negli istituti tecnici per geometri nel biennio; chimica e merceologia nella «vecchia ragioneria» cioè nei tecnici commerciali prima dell'introduzione di tutte le già citate sperimentazioni (Igea, Erica, Mercurio etc.), fino alla classe terza;
              g) chimica nelle sperimentazioni degli istituti nautici fino alla classe terza e quarta;
          lo schema di revisione delle classi di concorso prevede che i docenti di scienze naturali della classe 60/a nel biennio dei nuovi istituti tecnici del settore economico (indirizzo marketing, finanza e altro e turismo) non potranno più insegnare né fisica né chimica né geografia mentre negli istituti tecnologici che assorbono i vecchi istituti nautici non potranno più insegnare chimica;
          nelle more del passaggio dal precedente sistema a quello in via di approvazione, durante il quale l'accesso alle cattedre dipenderà progressivamente dal percorso di formazione iniziale del docente, le professionalità acquisite in anni di servizio, e le competenze accertate con le abilitazioni all'insegnamento conseguite a seguito di un pubblico concorso, costituiscono requisito da considerare prevalente nel momento della ridefinizione dei titoli d'accesso agli insegnamenti in base alle nuove classi di concorso;
          la denominazione dell'attuale classe di concorso A060 (scienze naturali, chimica, geografia, fitopatologia ed entomologia agraria e microbiologia) indica che i docenti ad essa appartenenti hanno sostenuto un esame di abilitazione, che ha accertato la loro competenza all'insegnamento di tutte le materie indicate;
          per molti anni, i docenti abilitati nella A060 hanno insegnato «geografia» negli istituti tecnici commerciali e per geometri. Attualmente, la disciplina «geografia» torna ad essere insegnata nel primo biennio degli istituti tecnici del settore economico e le indicazioni che la caratterizzano corrispondono a una preparazione in contenuti e didattica che sicuramente è in possesso dei docenti della classe di concorso A060;
          al riguardo si sottolinea che nelle linee guida per i nuovi istituti tecnici, l'insegnamento di geografia condivide con le scienze integrate la competenza «Osservare, descrivere e analizzare fenomeni appartenenti alla realtà naturale e artificiale e riconoscere nelle varie forme i concetti di sistema e complessità» e riguarda abilità e conoscenze trattate nelle discipline fino ad ora insegnate dagli abilitati nella A060: interpretare il linguaggio cartografico, rappresentare i modelli organizzativi dello spazio in carte tematiche, grafici, tabelle anche con l'uso di strumenti informatici; analizzare il rapporto uomo-ambiente; riconoscere le relazioni tra tipi e domini climatici e sviluppo di un territorio; riconoscere l'importanza della sostenibilità territoriale, la salvaguardia degli ecosistemi e della biodiversità; riconoscere gli aspetti fisico-ambientali dell'Italia, dell'Europa e degli altri continenti; reticolato geografico, vari tipi di carte; formazione, evoluzione e percezione dei paesaggi naturali; classificazione dei climi e ruolo dell'uomo nei cambiamenti climatici e microclimatici; sviluppo sostenibile: inquinamento, biodiversità; caratteristiche fisico-ambientali relative a Italia, Europa, continenti extraeuropei;
          negli ex istituti tecnici commerciali (indirizzi IGEA, ERICA ed altre sperimentazioni) la disciplina scienza della materia è stata affidata, sino ad ora, anche ai docenti appartenenti alla classe di concorso A060, essendo la finalità di questo insegnamento non tanto quella di trasmettere contenuti specifici della chimica e della fisica, quanto quella di accostare lo studente alla metodologia scientifico-sperimentale, che costituisce un habitus mentale produttivamente trasferibile ad altri contesti. L'articolazione della cattedra di scienze in «scienze della natura e scienza della materia» ha in questi anni permesso al docente dell'A060 degli istituti tecnici commerciali di addestrarsi all'integrazione delle scienze, di muoversi in questo campo di saperi soffermandosi maggiormente sulla contestualizzazione dei concetti che sugli aspetti tecnici dei temi affrontati; tale competenza appare ora perfettamente adatta a inserirsi nell'intero «spettro» delle Scienze Integrate e non solo, poiché proprio l'aver superato la frammentarietà disciplinare dei saperi gli consente di potersi agevolmente impegnare in una didattica laboratoriale, «per problemi» e «per progetti»;
          le nuove discipline scienze integrate (chimica) e scienze integrate (fisica) prevedono competenze, abilità e conoscenze comuni a quelle previste per scienza della materia. Tali discipline, negli indirizzi degli istituti tecnici e professionali in cui hanno un monte ore pari a 66/anno, non sono propedeutiche alle materie del successivo triennio, ovvero strumentali all'indirizzo, ma sono indirizzate all'acquisizione da parte degli alunni di una alfabetizzazione scientifica di base. Esse possono quindi essere adeguatamente affrontate da docenti appartenenti alla A060;
          bisognerebbe impedire ingiustificate diversità di trattamento tra i docenti appartenenti alla stessa area culturale;
          ritenendo che per risparmiare e rendere più efficace la pubblica amministrazione, la soluzione più efficiente e più logica per tutti (insegnanti che mantengono la titolarità nella propria scuola e continuità didattica per gli alunni) sarebbe quella di attribuire le citate discipline a più classi di concorso, anche al fine di evitare contenziosi da parte della classe A060, con gravi ripercussioni a danno della classe di concorso (A013) che, così come attualmente predisposto nel nuovo ordinamento, non può trovare sbocchi professionali in altre scuole (licei) in cui è previsto l'insegnamento della chimica  –:
          se non ritenga opportuno affidare l'insegnamento della disciplina «geografia», insegnata negli istituti tecnici del settore economico dalla classe di concorso A039, anche ai docenti già abilitati nella attuale classe di concorso A060, almeno fino ad esaurimento;
          se non ritenga di valutare altresì l'opportunità di affidare «almeno fino ad esaurimento» anche ai docenti già abilitati nella classe A060 gli insegnamenti di scienze integrate (chimica) e scienze integrate (fisica), almeno in tutti gli indirizzi del settore economico degli istituti tecnici e del settore servizi degli istituti professionali in cui queste discipline abbiano un monte ore pari a 66/anno. (5-07104)


      PICIERNO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          nella città capoluogo di Potenza è stato ridimensionato nel 2004 il liceo scientifico «Galileo Galilei», unico istituto liceale presente sul territorio, che era arrivato a contare oltre 1600 iscritti, favorendo così l'istituzione del liceo scientifico «Pier Paolo Pasolini» al fine di consentire il rientro del «Galilei» nei tetti massimi di iscritti previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 18 giugno 1998 n.  233 (Regolamento recante «Norme per il dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche e per la determinazione degli organici funzionali dei singoli istituti, a norma dell'articolo 21 della legge 15 marzo 1997, n.  59»). Tale decreto, al comma 2 dell'articolo 2, prevede che gli «istituti di istruzione devono avere, di norma, una popolazione, consolidata e prevedibilmente stabile almeno per un quinquennio, compresa tra 500 e 900 alunni»;
          si è stabilito, dunque, l'iscrizione degli alunni in esubero del «Galilei», rispetto al tetto fissato per legge in 900 iscritti, al «Pasolini» che, collocato in un'area assolutamente periferica della città, non riesce ad attrarre la spontanea iscrizione di studenti in numero pari a quelli che si orientano verso il «Galilei», geograficamente più centrale;
          a distanza di otto anni dal dimensionamento il «Galileo Galilei», rientrato allora nei parametri di 900 iscritti, nell'ultimo biennio è tornato a 1200 studenti, con un eccedenza di circa 300 iscritti in più rispetto al limite massimo stabilito dalla legge;
          si apprende, peraltro, che i dirigenti del liceo «Galileo Galilei» abbiano recentemente deciso di fissare, in modo del tutto arbitrario, il limite massimo di iscritti a quasi 1200 unità, contrariamente a quanto previsto dalle linee guida» e dai piani di dimensionamento delle istituzioni scolastiche della regione Basilicata per gli anni scolastici 2011-2014 e 2012-2015;
          la delibera della giunta regionale del 13 settembre 2011, n.  1291, contenente le linee guida sopra citate, rimarca l'obbligo per le scuole superiori secondarie di «avere una popolazione compresa tra 500 e 900 alunni, tenendo conto delle iscrizioni del triennio precedente e delle previsioni per il biennio successivo. A tal uopo, le province effettueranno annualmente una ricognizione della popolazione scolastica e, entro il 30 settembre, comunicheranno alla Regione i dati acquisiti»;
          oltre alle disposizioni sopra citate, il decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n.  89, ha stabilito, sebbene in relazione agli istituti scolastici di rango inferiore, nuove norme relative alla «Revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione ai seni dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133»;
          il dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche andrebbe inquadrato in un ambito di trasformazione complessiva del sistema d'istruzione, richiamando l'esigenza di un'offerta formativa di qualità, meglio rispondente ai cosiddetti bisogni formativi dei territori, e che il dimensionamento rappresenti solo un prerequisito per un ben più impegnativo patto educativo territoriale;
          sarebbe altresì opportuno che, al fine di non creare squilibri ed instabilità a danno del liceo «Pasolini», dei suoi utenti e dei suoi operatori, sia necessario esigere un rigoroso, quanto doveroso e legittimo, ritorno ad un massimo di 900 studenti per il liceo «Galilei», prevedendo la traslazione degli iscritti in eccedenza presso il liceo «Pasolini», tale da non generare, come in passato, instabilità ed ulteriori effetti negativi sull'intero sistema scolastico regionale  –:
          se non si intenda acquisire elementi, tramite i competenti organi periferici del Ministero, in merito a quanto esposto in premessa. (5-07105)


      GHIZZONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con l'articolo 6 del decreto ministeriale n.  45 del 23 settembre 2009, ha dato avvio ad un programma, denominato «Programma per giovani ricercatori», a favore di giovani studiosi ed esperti italiani e stranieri, in possesso di titolo di dottore di ricerca o equivalente da non più di 6 anni e impegnati stabilmente all'estero in attività di ricerca o didattica da almeno un triennio, finalizzato alla realizzazione di programmi di ricerca autonomamente proposti presso l'Università italiane, attraverso la stipula di contratti ai sensi dell'articolo 1, comma 14, della legge n.  230 del 2005;
          col medesimo articolo tale programma per giovani ricercatori è stato finanziato con uno stanziamento di sei milioni di euro, a valere sul fondo di finanziamento ordinario delle università statali per l'anno 2009; inoltre, i criteri e le modalità per l'assegnazione dei finanziamenti del programma sono stati rinviati ad ulteriore decreto ministeriale;
          i criteri e le modalità sono stati stabiliti col bando emanato mediante decreto ministeriale n.  230 del 27 novembre 2009; in particolare, l'articolo 5 del decreto stabilisce che «il contratto è soggetto a rinnovo, per una sola volta, dopo il primo triennio, a condizione che l'università e il comitato ministeriale abbiano giudicato positivamente l'attività svolta dal ricercatore, compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili nell'ambito del Fondo di finanziamento ordinario»;
          le domande degli interessati sono state presentate con scadenza 29 gennaio 2010 e, con decreto ministeriale n.  515 del 10 novembre 2010, è stata approvata la graduatoria dei 31 vincitori dei finanziamenti del programma, i quali hanno preso servizio nelle università prescelte tra il dicembre 2010 e il settembre 2011 con contratti triennali, rinnovabili per una sola volta fatte salve la valutazione positiva del lavoro svolto e le compatibilità finanziarie indicate nell'articolo 5 del sopra citato decreto ministeriale n.  230 del 2009;
          per i vincitori di tale programma può trovare applicazione l'articolo 1, comma 9, della legge 4 novembre 2005, n.  230, come sostituito dall'articolo 1-bis, comma 1, del decreto-legge 10 novembre 2008, n.  180, convertito dalla legge 9 gennaio 2009, n.  1, che stabilisce che «nell'ambito delle relative disponibilità di bilancio, le università possono procedere alla copertura di posti di professore ordinario e associato e di ricercatore mediante chiamata diretta di studiosi ... (omissis) ... che abbiano già svolto per chiamata diretta autorizzata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nell'ambito del programma di rientro dei cervelli un periodo di almeno tre anni di ricerca e di docenza nelle università italiane e conseguito risultati scientifici congrui rispetto al posto per il quale ne viene proposta la chiamata»:
          infatti, il programma per i giovani ricercatori si situa in continuità con i precedenti analoghi programmi (decreti ministeriali n.  13 del 26 gennaio 2001, n.  501 del 20 gennaio 2003, n.  18 dell'1 febbraio 2005) per il «rientro dei cervelli» a cui fa riferimento la legge, come è testimoniato dal fatto che il già citato articolo 6 del decreto ministeriale n.  230 del 2009 che avvia il programma per i giovani ricercatori stanzia anche la somma di 2,5 milioni di euro per cofinanziare al 95 per cento le chiamate dirette dei vincitori di questi precedenti bandi ministeriali;
          nelle more della procedura di messa in funzione del programma per i giovani ricercatori il Parlamento ha approvato la legge 30 dicembre 2010, n.  240, che andava a modificare in più punti la situazione normativa relativa ai vincitori del programma;
          in particolare, la legge n.  240 del 2010 ha introdotto la figura del ricercatore universitario a tempo determinato (articolo 24; articolo 29, comma 1) in sostituzione di quella del ricercatore universitario di ruolo (a tempo indeterminato) e ha posto il conseguimento dell'abilitazione scientifica nazionale (articolo 16) quale requisito necessario per l'accesso alla prima e alla seconda fascia dei professi universitari di ruolo, col risultato che l'eventuale chiamata diretta in ruolo dei vincitori del programma per i giovani ricercatori dopo un triennio di attività in Italia potrà avvenire solo a livello almeno di professore associato e solo dopo che l'interessato abbia conseguito l'abilitazione scientifica nazionale;
          i trentuno vincitori del programma per i giovani ricercatori matureranno il necessario triennio di attività in Italia tra il dicembre 2013 e il settembre 2014 e, in mancanza di certezze riguardo al rinnovo del contratto, dovranno aver conseguito, ben prima della medesima data, l'abilitazione scientifica nazionale se vogliono poter usufruire della chiamata diretta a professore associato da parte di un'università italiana, almeno secondo l'interpretazione corrente della normativa vigente;
          a tutt'oggi non è stato ancora emanato alcun bando relativo all'abilitazione scientifica nazionale a professore associato od ordinario nonostante che la legge n.  240 del 2010 (articolo 16, comma 2) prevedesse l'emanazione dei relativi regolamenti entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, cioè entro il 15 aprile 2011, e (articolo 16, comma 3, lettera d)) l'indizione obbligatoria, con frequenza annuale inderogabile, delle procedure per il conseguimento dell'abilitazione;
          quindi, i tempi e le occasioni per rimanere in Italia a disposizione dei vincitori del programma per i giovani ricercatori si fanno sempre più ridotti, col fondato rischio che ricercatori molto capaci, che hanno scelto di ritornare in Italia a proseguire la loro carriera universitaria sulla base delle leggi vigenti all'epoca del bando, saranno tra poco costretti, per il mutamento delle leggi e la lentezza degli adempimenti, a cercarsi di nuovo un lavoro all'estero;
          con decreto ministeriale n.  486 dell'11 novembre 2011, in prosecuzione con il programma per i giovani ricercatori citato nelle premesse, è stato bandito il «Programma per reclutamento di giovani ricercatori ”Rita Levi Montalcini”», a valere sulle medesime risorse finanziarie del precedente, ma stavolta destinato a reclutare 24 ricercatori a tempo determinato ai sensi dell'articolo 24, comma 3, lettera b), della legge n.  240 del 2010, quindi con un contratto coperto da tutte le normative della legge vigente;
          si è così instaurata una forte differenziazione tra i vincitori del programma per i giovani ricercatori 2010, sia rispetto ai vincitori dei programmi degli anni precedenti di «rientro dei cervelli», sia rispetto ai vincitori dell'analogo programma «Rita Levi Montalcini» 2011  –:
          quali siano gli orientamenti del Ministro in merito alla situazione esposta e se non ritenga opportuno assumere iniziative normative per sanare la situazione dei vincitori del programma per i giovani ricercatori 2010, ad esempio consentendo di applicare loro la normativa previgente riguardante i vincitori dei programmi ministeriali di «rientro dei cervelli», tenendo conto del fatto che il programma per i giovani ricercatori 2010 era stato avviato e regolamentato in un diverso quadro giuridico, antecedente all'entrata in vigore della legge n.  240 del 2010, ovvero coordinando opportunamente la loro situazione con quella dei vincitori del programma «Rita Levi Montalcini» 2011;
          se il Ministro non ritenga comunque opportuno assumere iniziative per garantire le risorse finanziarie per un rinnovo del contratto dei vincitori del programma per i giovani ricercatori 2010 al termine del primo triennio nonché, come per il passato, per un'incentivazione finanziaria delle chiamate dirette da parte delle università, in modo da consentire agli interessati di attendere serenamente in Italia i risultati dell'abilitazione scientifica nazionale, se necessaria, e le successive chiamate dirette, senza dover cominciare da subito a sottoporre di nuovo a università straniere domande di assunzione in conseguenza dell'incertezza normativa e della lentezza delle procedure nel nostro Paese, con grave danno alla credibilità e al potenziale di ricerca del nostro Paese.
(5-07106)


      PAGANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          in queste ore decine di migliaia di docenti che hanno preso parte alla pre-selezione del concorso a 2.368 posti di dirigenti scolastici per la scuola primaria, secondaria di primo grado, secondaria di secondo grado e per gli istituti educativi, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale — 4° serie speciale n.  56, il 15 luglio 2011, sono in attesa dei risultati delle prove effettuate a livello nazionale il 12 ottobre 2011;
          la prova in questione consisteva in un test di 100 domande con quesiti a risposta multipla della durata di 100 minuti (circa un minuto a domanda);
          relativamente a tale procedura di selezione sussistono alcuni punti da chiarire:
              a) congruità del tempo assegnato ai candidati per rispondere ai quesiti, tenendo presente che in un minuto dovevano leggere il numero (peraltro non progressivo) della domanda sul foglio-domande, cercare la domanda sul libro (male impaginato) contenente oltre 5.000 domande, leggere la domanda e le quattro risposte, individuare la risposta esatta, annerire perfettamente il cerchietto sul foglio-risposte;
              b) presenza nel librone di quesiti errati, dubbi, con risposte non univoche e opinabili;
              c) presenza nel librone di refusi, rinvenibili anche nella batteria pubblicata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, proprio nelle risposte esatte, che avrebbero potuto rappresentare segni di riconoscimento;
              d) predisposizione di aule ad hoc per candidati che, per qualche motivo, non si siano presentati nella sede assegnata che sono stati ospitati, dunque, in altre scuole;
              e) non apposizione dei codici identificativi sul foglio risposte in contemporanea al cartoncino anagrafico;
              f) presenza su alcuni siti web, già dal mese di luglio, di moltissimi quesiti poi pubblicati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il 1° settembre e oggetto della prova;
          risulta evidente che la gestione della procedura di pre-selezione affidata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca al FORMEZ-ITALIA ha dato luogo a diverse anomalie che quasi certamente daranno origine a una pioggia di ricorsi (alcuni già presentati) innanzi al giudice amministrativo  –:
          se non ritenga opportuno valutare la possibilità, anche per evitare il proliferare di eventuali ricorsi dei candidati esclusi al giudice amministrativo, di annullare completamente la prova preselettiva di cui in premessa e riproporla secondo criteri e modalità caratterizzati da maggiore chiarezza e attendibilità. (5-07111)

Interrogazioni a risposta scritta:


      JANNONE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          l'Italia è all'ultimo posto in Europa per la percentuale dei laureati nella fascia di età fra i 30 e i 34 anni, pari al 20,3 per cento nel 2011: è quanto risulta dall'indagine sulla forza lavoro 2012 diffusa da Eurostat. Il dato è particolarmente basso se confrontato con la media    europea (34,6 per cento ma anche rispetto agli altri Stati principali dell'Unione: in Germania i trentenni laureati sono il 30,7 per cento del totale, in Spagna il 40,6 per cento, in Francia il 43,4 per cento, in Gran Bretagna il 45,8 per cento. L'obiettivo per il 2020 è il 40 per cento al livello dell'Unione europea, mentre l'Italia punta a un più modesto 26/27 per cento;
          «Più sforzi in tema di istruzione». Secondo l'Istituto europeo di statistica, i 27 devono intensificare gli sforzi se vogliono raggiungere gli obiettivi fissati per il 2020 in materia di istruzione, sia per quanto riguarda la riduzione degli abbandoni scolastici, che devono scendere sotto il 10 per cento a livello dell'Unione europea (dall'attuale 13,5 per cento, e in Italia siamo al 18,2 per cento) sia per l'aumento dei laureati, che dal 34,6 per cento del 2011 devono arrivare al 40 per cento. Qualche progresso è stato fatto, secondo i dati Eurostat, ma permangono ampie disparità. Infatti, sottolinea Eurostat, il timore è che i miglioramenti non siano il risultato di riforme con un impatto di lungo periodo, ma piuttosto una conseguenza collaterale dell'elevato tasso di disoccupazione giovanile che induce un maggior numero di giovani a protrarre il loro periodo di istruzione e formazione. Un'altra preoccupazione è che gli obiettivi nazionali fissati dagli Stati membri non siano sufficienti per far sì che l'Unione europea raggiunga il suo obiettivo di insieme;
          riguardo alla dispersione scolastica – la quota dei 18-24 enni che nel migliore dei casi hanno soltanto qualifiche a livello di istruzione secondaria inferiore e non frequentano più corsi di istruzione o formazione – 11 Stati membri hanno superato la soglia di riferimento del 10 per cento. Malta (33,5 per cento), Spagna (26,5 per cento) e Portogallo (23,2 per cento), presentano i tassi più alti di abbandoni scolastici, ma hanno compiuto notevoli progressi negli ultimi anni;
          le cifre diffuse oggi avallano le preoccupazioni espresse dalla Commissione dell'Unione europea in occasione delle raccomandazioni elaborate la scorsa settimana per gli Stati membri nell'ambito del semestre europeo. Fra le debolezze strutturali dell'Italia erano enfatizzate in particolare proprio quelle legate all'istruzione: «La qualità complessiva del sistema di educazione e formazione – scrive la Commissione nel suo rapporto del 30 maggio – è insoddisfacente con alti livelli di abbandono scolastico prematuro e una bassa partecipazione alla formazione successiva». Ecco perché Bruxelles raccomanda all'Italia di «adottare misure per ridurre i tassi di uscita dall'educazione superiore e combattere l'abbandono scolastico»  –:
          quali iniziative il Ministro intenda assumere per favorire l'incremento della percentuale di giovani laureati e per contrastare l'abbandono scolastico. (4-16615)


      PAGANO, PALMIERI, CAPITANIO SANTOLINI, GOISIS, BELCASTRO, GIANNI, CARLUCCI, ENZO CARRA, CAVALLOTTO, CENTEMERO, GRIMOLDI, MAZZUCA e RIVOLTA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          con circolare recante data 1o giugno 2012 il Ministro dell'istruzione «per migliorare il sistema di selezione per l'accesso ai corsi di Medicina e Chirurgia e di Odontoiatria» ha comunicato la volontà di estendere agli atenei italiani interessati per l'anno accademico 2012-2013 la procedura di gestione congiunta delle graduatorie relative alle prove di ammissione, una forma di aggregazione sperimentata nel corso dell'anno accademico precedente (vedasi Trieste e Udine);
          tale sperimentazione ha prodotto un esito giudicato positivo non solo in relazione all'abbattimento dei costi ma anche alla selezione degli studenti più meritevoli nell'ambito di un contesto più ampio;
          pur ritenendo apprezzabile tale modalità di selezione, sorgono dubbi circa alcune anomalie che essa potrebbe generare. Il riferimento va non soltanto agli scenari di dolo o di favoritismo che potrebbero tradursi in un vantaggio per taluni atenei rispetto ad altri accorpati nella medesima aggregazione, ma anche a casi verificatisi qualche anno fa. A tal proposito si consideri nell'anno accademico 2005-2006, questa procedura «aggregata» (in tal caso si era di fronte ad una graduatoria unica nazionale) riguardante il solo concorso di odontoiatria (893 posti complessivi), svoltosi il 20 luglio del 2005, determinò un risultato abnorme in relazione alla provenienza geografica dei vincitori. Si svolse in quella occasione un insolito «derby» tra alcuni atenei contro il resto d'Italia con il risultato che i vincitori provenivano prevalentemente da quegli atenei;
          a parere degli interroganti urge garantire il sistema del merito da tutti invocato e a cui certamente tende anche questa nuova modalità di selezione, prevenendo qualsiasi forma di campanilismo o peggio ancora di dolo a svantaggio di talune sedi universitarie. Si pensi, infatti, a cosa potrebbe succedere qualora durante le prove talune sedi si dimostrino lassiste, mentre altre si comportassero in maniera regolare o addirittura più severa  –:
          quali siano gli orientamenti del Ministro a proposito degli scenari esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda porre in essere per garantire la piena omogeneità nella fase della selezione dei candidati al fine sia di favorire il criterio del merito, sia di prevenire ricorsi e contenziosi devastanti per il nostro sistema Paese non soltanto in termini di costi ma anche di immagine;
          se il Ministro non ritenga opportuno, in considerazione dell'approssimarsi dello svolgimento delle suddette prove di ammissione, fissare tempestivamente i criteri di organizzazione delle prove selettive (precisando a quali criteri debba essere improntata, ad esempio, la sistemazione delle postazioni dei candidati, sia in termini di distanza tra un candidato e l'altro, sia in termini di attribuzione delle stesse postazioni in caso di uso di più aule, ciò al fine di evitare arbitrari spostamenti che potrebbero agevolare taluni candidati) e i criteri di vigilanza (in particolare la scelta del numero dei vigilanti in proporzione ai candidati). (4-16625)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


      LIVIA TURCO e VELO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          in data 12 giugno 2012 è stato siglato da Poste italiane spa e da UilPoste, Failp-Cisal, ConfsalCom e UglCom (il 22 per cento della rappresentanza sindacale in azienda) un accordo con il quale vengono fortemente penalizzati, nella valorizzazione della presenza in servizio, oltre 35.000 lavoratrici e lavoratori, tra i quali le donne in maternità;
          l'astensione obbligatoria per maternità viene equiparata infatti (insieme all'infortunio sul lavoro) all'assenza per malattia e, a meno che la lavoratrice interessata non decida di violare la legge e di presentarsi al lavoro anche quando è obbligata a stare a casa, perderà 140 euro di salario;
          le future mamme, al pari dei lavoratori in infortunio, dei malati di gravi patologie e di chi subisce ricoveri in ospedale, non avranno da oggi più diritto al bonus presenza pari a 140 euro annui;
          il 53 per cento del personale di Poste italiane è composto da donne e l'azienda ha ricevuto nel 2007 il «Bollino Rosa S.O.N.O. – Stesse Opportunità Nuove Opportunità», promosso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
          il Progetto «Bollino Rosa S.O.N.O. – Stesse Opportunità Nuove Opportunità» aveva la finalità di comprendere il complesso fenomeno dei differenziali retributivi che colpiscono le lavoratrici in ampi segmenti del mercato del lavoro e «certificava» le buone prassi in termini di strategie e pratiche aziendali tendenti alla valorizzazione della presenza e delle competenze femminili  –:
          se il Ministro non ritenga opportuno intervenire urgentemente non solo revocando il riconoscimento «bollino rosa» attribuito a Poste italiane spa ma anche tutelando e garantendo sia il diritto alla maternità sia il diritto alla salute del personale impiegato presso Poste italiane spa.
(3-02343)

Interrogazioni a risposta scritta:


      JANNONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          le unità di lavoro irregolari nel 2010 hanno sfiorato quota tre milioni (2,96 milioni) toccando il 12,3 per cento del totale: è quanto emerge dalla Relazione annuale di Bankitalia secondo la quale se si guarda alle persone (senza considerare i doppi lavori compresi nelle unità di lavoro) i sommersi sono 2.549.000, pari al 10,3 per cento del totale. I settori dove è più forte il lavoro sommerso restano agricoltura (quasi un quarto del totale) e i servizi (13,5 per cento mentre l'industria si limita al 6,6 per cento di sommerso. Il dato sulle unità di lavoro irregolari è rimasto sostanzialmente stabile negli ultimi anni, ma l'incidenza percentuale sul totale dell'occupazione è cresciuta perché sono diminuiti gli occupati. Se quindi le unità di lavoro irregolari sono passate da 2.941.000 nel 2009 a 2.959.000 nel 2010 l'incidenza sul totale è passato dal 12,1 per cento al 12,3 per cento. Se si guarda alle persone fisiche irregolari il dato è rimasto stabile (da 2.554.000 a 2.549.000) con un incidenza rimasta stabile al 10,3 per cento;
          le unità di lavoro irregolari – secondo le tabelle contenute nell'appendice della relazione annuale – si concentrano nei servizi (2,2 milioni su 2,9 milioni) e in particolare nel commercio, gli alberghi e i ristoranti (1,2 milioni di unità irregolari e il 18,7 per cento del totale del comparto). Il dato è qui molto superiore per le unità di lavoro rispetto alle persone (solo 1,7 milioni di irregolari, 445 mila delle quali nel commercio, alberghi e ristoranti) probabilmente perché in questi settori è molto frequente il doppio lavoro (quindi operano persone che hanno un lavoro irregolare ma arrotondano con un secondo lavoro in nero). Il lavoro irregolare è molto frequente anche in agricoltura (321 mila unità di lavoro irregolare pari al 24,9 per cento del totale) per circa 372 mila persone coinvolte (non tutte evidentemente impegnate a tempo pieno). Se si guarda alle persone in agricoltura sono irregolari il 37,4 per cento del totale, oltre una su tre. L'industria resta un settore nel quale il lavoro sommerso è residuale con 419 mila unità di lavoro irregolare e il 6,6 per cento del totale. Ma il dato risente del lavoro irregolare nelle costruzioni: in edilizia infatti le unità di lavoro irregolari sono 218 mila (l'11,3 per cento del totale) mentre nell'industria in senso stretto sono 202.000 (il 4,6 per cento del totale);
          nel corso delle ispezioni effettuate nel 2011 da parte del ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell'Inps, dell'Inail e dell'Enpals, sono stati individuati 278.268 lavoratori irregolari, un dato che «testimonia una buona incisività dell'azione di controllo, considerato anche che il numero delle verifiche è leggermente diminuito rispetto all'anno precedente (circa il 7 per cento)». Lo ha detto il direttore generale delle attività ispettive del ministero del lavoro, Paolo Pennesi, presentando a Roma i risultati delle attività di vigilanza del 2011. I lavoratori in nero individuati ammontano a 105.279, cui vanno aggiunti circa 13 mila lavoratori individuati dalla guardia di finanza, per un totale di 117.955 lavoratori in nero. Si tratta di una cifra in «evidente diminuzione rispetto ai 151 mila lavoratori dello scorso anno», ha sottolineato Pennesi e tale fenomeno è fondamentalmente riconducibile, da un lato, alla restrizione del campo di applicazione della normativa sanzionatoria (al solo lavoro subordinato) e, dall'altro, alla contrazione occupazionale che inevitabilmente incide pure sul sommerso e anche al notevolissimo incremento che hanno avuto le forme contrattuali di lavoro flessibile, con particolare riferimento ad alcune Regioni del Nord;
          in totale, le aziende ispezionate nel 2011 sono state 244.170, un campione appena superiore al 10 per cento dei circa due milioni di aziende esistenti censite presso gli istituti previdenziali. Le aziende irregolari sono state 149.708, vale a dire circa il 61 per cento di quelle sottoposte a verifica, «e ciò evidenzia – ha sottolineato Pennesi – il fatto che l'azione ispettiva è comunque suscettibile di miglioramenti, mediante una più puntuale attività di intelligence per orientare ancor meglio le verifiche verso obiettivi più mirati». Per quanto attiene al recupero contributivo, rimane sostanzialmente stabile, anche se con una leggera flessione del 13 per cento, e si attesta attorno a 1.225.165.438 euro, anche se tale dato è riferito alle somme «accertate» e non a quelle «riscosse»  –:
          quali interventi il Ministro intenda adottare al fine di contrastare maggiormente il fenomeno del lavoro irregolare nostro Paese, che si configura anche come una delle cause che concorrono all'elevato tasso di disoccupazione fra i giovani.
(4-16614)


      JANNONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          in Italia il tasso di disoccupazione è molto elevato: ad aprile i senza lavoro sono il 10,2 per cento in rialzo di 0,1 punti percentuali su marzo e di 2,2 punti su base annua. Interpretando i dati, si potrebbe dire che, in un mese, tra marzo e aprile, hanno perso l'impiego 38 mila persone. Il dato annunciato dall'Istat è il tasso più alto dal gennaio 2004, quando l'Istituto di statistica iniziò la rilevazione delle serie storiche mensile. Quanto alle rilevazione trimestrali il dato è il più alto dall'inizio del 2000. Ancora più dura la sentenza su base trimestrale. I senza lavoro nei primi tre mesi dell'anno sono saliti al 10,9 per cento: con una crescita di 2,3 punti percentuali su base annua, registrando il tasso più alto dal primo trimestre del 1999. Ancor una volta, però, il conto più alto è quello pagato dai giovani tra i 15 e i 24 anni: ad aprile i senza lavoro sono il 35,2 per cento, in diminuzione di 0,8 punti percentuali su marzo, ma un aumento di 7,9 punti su base annua. In particolare, secondo i dati dell'Istat, è disoccupato più di un giovane su tre di coloro che partecipano attivamente al mercato del lavoro: su base trimestrale il dato sale al 35,9 per cento, ai massimi dal 1993 con un picco del 51,8 per cento per le giovani donne del Sud Italia;
          complessivamente il numero dei disoccupati ad aprile è salito a 2 milioni 615 mila, il livello più alto dall'inizio delle serie storiche mensili (gennaio 2004) e, guardando al trimestrale, dal secondo trimestre del 1999. Il rialzo è dell'1,5 per cento su marzo (+38mila unità), ma su base annua l'aumento è del 31,1 per cento: 621 mila unità. Nel primo trimestre 2012, invece, il numero dei disoccupati registra un forte aumento su base tendenziale (+30 per cento, pari a 646 mila unità), portandosi a 2 milioni 801 mila unità, il livello massimo dall'inizio della serie storica, primo trimestre del 1993. La crescita, che riguarda sia gli uomini sia le donne, interessa l'insieme del territorio nazionale. Il rialzo è dovuto in circa i due terzi dei casi a quanti hanno perso la precedente occupazione (416 mila persone);
          a spaventare i tecnici dell'Istat – che definiscono la situazione «preoccupante» – è il trend seguito dal mercato del lavoro. La disoccupazione è sopra la soglia del 10 per cento da ormai due mesi (a marzo era al 10,1 per cento), ma guardando ai dati grezzi, il tasso di disoccupazione è addirittura superiore, pari all'11,1 per cento. Rispetto a marzo, gli occupati sono calati dello 0,1 per cento a 22,953 milioni (28 mila persone in meno), ma sono aumentati di 23 mila unità rispetto ad aprile dello scorso anno. Su base congiunturale, l'Istat spiega il calo con una contrazione dell'occupazione maschile. Il tasso di occupazione è al 57 per cento, invariato su mese e in aumento dello 0,2 per cento tendenziale. Gli inattivi tra i 15 e i 64 anni diminuiscono dello 0,1 per cento rispetto al mese precedente, mentre il tasso di inattività è invariato al 36,6 per cento. Nel dettaglio, il tasso di disoccupazione maschile, aumenta su base annua di 2,1 punti percentuali, portandosi al 10 per cento; quello femminile aumenta di 2,6 punti, posizionandosi al 12,2 per cento. Nel Nord Italia, la crescita tendenziale dell'indicatore (dal 6 per cento al 7,6 per cento) è dovuto in misura più ampia alla componente femminile mentre nel Centro il tasso sale dal 7,5 per cento del primo trimestre 2011 al 9,6 per cento, a motivo della crescita sia degli uomini sia soprattutto delle donne. Nel Mezzogiorno l'indicatore raggiunge il 17,7 per cento (era il 14,1 per cento nel primo trimestre 2011). Il risultato sconta il significativo incremento del tasso di disoccupazione sia degli uomini (dal 12,9 per cento, al 16,6 per cento) sia delle donne (dal 16,1 per cento all'attuale 19,6 per cento);
          il tasso di disoccupazione degli stranieri si porta al 15,3 per cento a fronte del 12,1 per cento del primo trimestre 2011. L'indicatore continua a crescere per gli uomini (dal 10,9 per centro al 13,6 per cento) soprattutto per le donne (dal 13,6 per cento al 17,4 per cento). Il tasso di disoccupazione dei giovani tra 15 e 24 anni raggiunge il 35,9 per cento (era il 29,6 per cento un anno prima). L'indicatore aumenta per la componente maschile nel Nord e, in misura più intensa, nel Mezzogiorno. Cresce anche per quella femminile, soprattutto nel Centro, e tocca un massimo del 51,8 per cento per le giovani donne del Mezzogiorno. Nella classe tra i 20 e i 24 anni il tasso di disoccupazione si attesta al 32,7 per cento (era 26,9 per cento nel primo trimestre 2011);
          per quanto attiene l'Eurozona, il tasso di disoccupazione è salito all'11,0 per cento nel mese di aprile. A marzo scorso era al 10,9 per cento e nell'aprile 2011 era al 9,9 per cento. Lo rileva Eurostat, che ha registrato la perdita di 110 mila posti in un mese e di 1,797 milioni in un anno. Nell'Unione europea-27 sono 24,667 milioni le persone senza lavoro, con un tasso di disoccupazione al 10,3 per cento. Nei 17 Paesi della moneta unica i disoccupati ad aprile erano 17,405 milioni; 17,295 a marzo scorso e 15,608 nell'aprile 2011. Il livello più alto si registra in Spagna: 24,3 per cento (+0,2 per cento rispetto al mese precedente), con il 51,5 per cento di senza lavoro tra i giovani sotto i 25 anni. La Francia, che segue lo stesso andamento dell'Italia, registra il 10,2 per cento (+0,1 per cento in un mese). Germania in controtendenza: il tasso è sceso al 5,4 per cento. Era 5,5 per cento a marzo ed il 6,1 per cento ad aprile dello scorso anno. Senza una politica a favore della crescita i dati sull'occupazione saranno sempre peggio. È la previsione di Susanna Camusso, a margine del Festival dell'Economia che si tiene a Trento, commentando i dati resi noti dall'Istat: «È la conseguenza – ha affermato – di un Paese che è in recessione e di scelte politiche che non fanno nulla per contrastarne gli effetti». È questo il tema che, ha sottolineato, «stiamo ponendo e che era il tema della manifestazione unitaria che abbiamo spostato al 16 giugno»  –:
          quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di creare, nel breve periodo, condizioni atte alla ripresa e allo sviluppo del mercato del lavoro, con particolare attenzione nei confronti dei giovani. (4-16617)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


      JANNONE. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          la spesa agricola rappresenta oggi il 41 per cento nel bilancio annuo dell'Unione europea. La PAC è stata una delle politiche fondamentali dell'Unione europea fin dal Trattato di Roma. Come conseguenza delle gravi carenze di cibo a cui l'Europa ha dovuto far fronte dopo la Seconda guerra mondiale, quella agricola è stata tra le prime politiche economiche ad essere incluse nel Trattato di Roma, firmato nel 1957. Non è esagerato dire che ha rappresentato un pilastro attorno cui l'Unione europea è stata costruita e si è sviluppata. Per prevenire future carenze alimentare, gli Stati membri si sono accordati su alcuni principi, come il mercato comune, la preferenza comunitaria, la solidarietà finanziaria e la stabilità redditizia per gli agricoltori. Insieme ai prezzi fissi minimi per i prodotti, questi accorgimenti hanno dato grande impulso alla produttività dell'agricoltura europea negli anni seguenti. Negli anni ’60-’70 la politica agricola ha avuto successo: la scarsità alimentare è diventata un lontano ricordo, i prezzi per i consumatori sono stati tenuti bassi e gli agricoltori hanno goduto di un ottimo rapporto tra raccolti e guadagni. Tuttavia questa politica economica ha portato all'estremo opposto: sovrapproduzione di latte, burro e altri prodotti caseari e aumento costante dei prezzi. Si è andati poi verso la scomparsa dei piccoli agricoltori, e il consolidamento di grandi e più efficienti aziende agricole. La necessità di razionalizzare la spesa pubblica, al fine di evitare la sovrapproduzione, e il bisogno di una PAC più verde, hanno mantenuto la politica agricola al centro del dibattito comunitario negli anni ’80. Per rimediare alle inefficienze del mercato, nel 1984 sono state introdotte le quote sulla produzione lattiero-casearia. Nel 1988 è seguita l'introduzione di un massimale globale per la spesa agricola. Nel 1992 le trasformazioni sono proseguite con la riforma MacSharry, che ha portato i produttori agricoli a concentrarsi di più sulle richieste del mercato che sui sussidi elargiti per specifiche coltivazioni. L'introduzione del sostegno diretto al reddito è stata pensata, poi, per garantire un equo livello di guadagni. La riforma ha mirato infine alla diminuzione dei prezzi per i consumatori finali, e ad assicurare agli agricoltori europei competitività sul mercato mondiale. Anche il rispetto dell'ambiente è entrato a far parte del dibattito. Nel 1999, nel quadro dell'Agenda 2000, «lo sviluppo delle aree rurali» è diventato uno degli obiettivi chiave. L'introduzione di un tetto per la spesa agricola è servito a garantire ai contribuenti, che i costi della PAC non diventassero eccessivi. Nel 2003 è stata concordata una nuova, fondamentale riforma, il cosiddetto controllo sanitario che legava le sovvenzioni alla tutela ambientale, alla sicurezza alimentare e al benessere degli animali;
          l'ultima revisione della PAC risale al 2003, ma l'adesione di 12 nuovi Stati all'Unione europea tra il 2004 e il 2007 ha reso evidente, nonostante il regime transitorio concordato con i nuovi membri, il bisogno di ulteriori revisioni che rendano la politica agricola capace di affrontare le sfide di domani. La Commissione europea ha presentato le sue proposte per la riforma della politica agricola comune il 12 ottobre 2011. La Commissione per l'agricoltura (AGRI), la Commissione europea e la presidenza polacca stanno preparando un nuovo dibattito sul futuro della politica agricola. «La politica agricola comune (PAC) è una delle più importanti politiche comunitarie, sia da un punto di vista storico che di bilancio. La discussione sul futuro della PAC non deve interessare solo gli agricoltori: tutti i cittadini europei si devono confrontare alla sfida della sicurezza alimentare», ha dichiarato Paolo De Castro presidente della commissione Agricoltura e sviluppo rurale, e a capo delle negoziazioni per una nuova politica agricola europea 2014-2020;
          «La sfida più grande per gli agricoltori europei sarà quella di “produrre di più, ma inquinare di meno”» ha affermato il parlamentare De Castro sottolineando l'importanza di un bilancio per la PAC capace di sostenere la sfida sulla sicurezza alimentare. Il deputato italiano afferma che il bilancio per la PAC (che rappresenta circa il 40 per cento del bilancio totale comunitario) in realtà è molto modesto rispetto a quello di altre economie: «Ci sono 2 milioni di agricoltori in America e la loro spesa è il doppio di quella europea. Noi abbiamo 10 milioni di agricoltori. E con lo stesso bilancio siamo passati da 15 a 27 Stati membri». È stato molto criticato l'elemento ambientalista nella proposta della Commissione europea per la riforma della PAC, in particolare per la scelta di utilizzare il 7 per cento delle terre coltivabili a scopi ecologici. Il presidente della commissione Agricoltura e sviluppo rurale teme che la proposta possa portare ad una maggiore burocratizzazione, diventando così un altro fardello per gli agricoltori europei. Ha poi sottolineato come le misure proposte «mantengono bassa la produzione invece che promuoverla». Il parlamentare De Castro crede anche che la proposta della Commissione metta a rischio la necessità di una maggiore flessibilità: «Con 27 Stati membri e 27 tipi di agricolture non è possibile applicare le stesse leggi. Non tutti i paesi sono pronti: alcuni hanno bisogno di più tempo per introdurre la tariffa unica. La Commissione non prende in considerazione che la situazione è diversa da paese a paese; non siamo tutti allo stesso punto di partenza. Inoltre, c’è il problema delle misure di mercato. Abbiamo proposto nei mesi precedenti di introdurre nuovi strumenti, ma non ve n’è traccia nella proposta della Commissione»;
          storicamente il Parlamento aveva limitato l'influenza sulla politica agricola, ma col Trattato di Lisbona le cose sono cambiate: «Prima, solo il Parlamento europeo dava la sua opinione. Il ministro europeo per l'agricoltura lavorava alla proposta del Commissario e prendeva una decisione. Oggi, il Parlamento ha lo stesso potere del Consiglio, e questo significa che dobbiamo collaborare. Senza un voto positivo del Parlamento, nessuna riforma può essere approvata». Il 7 novembre 2011 – per la prima volta nella storia – i 27 Ministri per l'agricoltura e tutti i membri della commissione Agricoltura e sviluppo rurale si sono trovati nella stessa stanza per discutere delle prospettive future della PAC. Se la politica agricola dell'Unione europea mira a fornire prodotti alimentari sicuri e di alta qualità e contribuire alla protezione dell'ambiente e alle energie rinnovabili, tale politica deve essere finanziata adeguatamente, secondo gli eurodeputati, in modo da fornire agli agricoltori un incentivo all'utilizzo di tecniche moderne e ecocompatibili;
          i pagamenti diretti agli agricoltori dovrebbero essere più chiaramente legati alle «misure verdi» (basse emissioni di carbonio, basso consumo energetico). Un ampio sistema europeo di incentivi, finanziato dall'Unione europea al 100 per cento, dovrebbe essere istituito per sostenere gli agricoltori che appoggiano lo sviluppo sostenibile. I finanziamenti agricoli dovrebbero essere distribuiti più equamente tra gli Stati membri e tra le diverse categorie di agricoltori. Il Parlamenti propone che ogni Paese dell'Unione europea dovrebbe in futuro ricevere una percentuale minima della media dell'Unione europea dei pagamenti diretti. I deputati sono d'accordo con l'introduzione di un massimale per i pagamenti diretti per agricoltore, ma sottolineano che le nuove regole devono tener conto delle dimensioni delle aziende agricole e dei criteri oggettivi di occupazione nonché delle pratiche sostenibili. Per evitare un uso improprio del denaro pubblico, i pagamenti diretti dovrebbero essere riservati agli «agricoltori attivi», cioè a coloro che effettivamente utilizzano la loro terra per la produzione. La lotta alla speculazione sulle materie prime agricole e l'estrema volatilità dei prezzi richiedono una soluzione a livello globale, secondo gli eurodeputati, in modo da garantire una maggiore stabilità per gli agricoltori e le forniture su larga scala di prodotti alimentari sicuri. Il tutto dovrebbe mettere la politica agricola in linea con gli obiettivi della visione Europa 2020: stimolare una crescita intelligente, sostenibile e solidale  –:
          quali interventi il Ministro intenda adottare, a livello europeo, al fine di contribuire adeguatamente alla stesura di una nuova politica agricola per il nostro Paese, anche alla luce di quanto accaduto in Emilia Romagna, a seguito del disastroso terremoto dello scorso Maggio.
(4-16616)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il 21 giugno è la giornata mondiale per la lotta alla sclerosi laterale amiotrofica (SLA), dedicata ai malati di SLA e alle loro famiglie;
          la sclerosi laterale amiotrofica è una malattia neurodegenerativa che porta ad una degenerazione dei motoneuroni causando una paralisi totale dall'esito infausto;
          sul sito http://www.osservatoriomalattierare.it si riporta l'aggiornamento di «un recente studio irlandese pubblicato su Lancet Neurology che ha indagato ulteriormente, grazie a uno studio di corte su 435 campioni di DNA, il ruolo del gene C9orf72, responsabile di una percentuale significativa di casi familiari e sporadici di sclerosi laterale amiotrofica;
          lo studio ha valutato la frequenza della mutazione del gene in questione, caratterizzando il fenotipo cognitivo e clinico dei pazienti che ne sono affetti. I campioni di DNA hanno mostrato la presenza di 49 casi di SLA familiare e 386 casi apparentemente sporadici. Di questi il 41 per cento dei casi familiari e il 5 per cento dei casi sporadici hanno rivelato la presenza della mutazione del gene C9orf72;
          l'età d'insorgenza della malattia si è dimostrata più bassa nei pazienti con questo tipo di mutazione (media 56,3) rispetto a quelli senza (61,3 [10,6] anni, p = 0,043). Una storia familiare di SLA o di demenza fronto temporale (FTD) era presente nell'86 per cento dei pazienti con la mutazione del C9orf72;
          secondo lo studio questo tipo di mutazione comporta un aumento della comorbidità rispetto ai pazienti che non presentavano la mutazione, e un modello distinto di cambiamento della corteccia cerebrale secondo la risonanza magnetica e le tecniche di neuroimaging;
          a parità d'età pare che questa mutazione comporti una minore sopravvivenza e un più alto tasso di rischio di mortalità;
          i pazienti affetti da SLA con presenza della mutazione del C90rf72 sembrano quindi presentare un fenotipo riconoscibile, caratterizzato dall'insorgenza precoce della malattia, la presenza di deficit cognitivo e comportamentale, una particolare modalità di degenerazione cerebrale, una storia familiare di malattie neurodegenerative a trasmissione autosomica dominante e una ridotta sopravvivenza  –:
          se risulti se lo studio abbia analizzato casi familiari e sporadici di SLA italiani. (5-07107)


      FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il sito internet del quotidiano Il Mattino nella sua edizione di sabato 16 giugno ha pubblicato un servizio da Caserta della giornalista Rosaria Capacchione, nel quale si racconta del calvario di una donna, la signora Elena Trepiccione, durato ben 48 giorni;
          in particolare, la signora Trepiccione sarebbe entrata in clinica per un'operazione definita «delicata, ma tutto sommato di routine», che si è risolta in un penoso e doloroso «trascinarsi da una sala operatoria all'altra» fino a quando la donna non è deceduta;
          il figlio della signora Trepiccione, il signor Giovanni Carrillo, ha presentato un esposto-denuncia perché si accertino le responsabilità del decesso;
          in particolare, il signor Carrillo, poliziotto in servizio alla questura di Napoli, ha raccontato che «alla fine di marzo mia mamma, dopo una visita ginecologica dal suo medico di fiducia, il dottor Franco Lopez, è stata operata in day hospital alla “Santa Maria della Salute”. Le hanno asportato un polipo, poi risultato essere un carcinoma. Quindi è stato programmato l'intervento del 27 aprile, sempre alla clinica della salute. Ci avevano detto che era una cosa semplice e ci siamo fidati. Dopo l'operazione ci è stato detto che era andato tutto bene ma cinque giorni dopo la Tac ha evidenziato un problema. Ancora una volta ci è stato detto che si trattava di una complicanza da poco, che forse l'intestino era stato agganciato alla parete addominale durante l'operazione di sutura. Il 3 maggio mamma è stata operata nuovamente, e un'altra volta siamo stati rassicurati. Ma è andata sempre peggio e il 9 è stata trasferita alla clinica Pinetagrande. È stato allora che abbiamo saputo la verità, che serviva un altro intervento, che l'intestino era stato perforato, che una zona estesa era già devastata dalla peritonite. Hanno fatto l'impossibile, è stata per un mese in terapia intensiva, ma mia mamma non si è ripresa più»  –:
          di quali elementi disponga in merito alla dinamica della vicenda che si è conclusa con la morte della signora Trepiccione e quali iniziative di competenza intenda assumere per fare piena luce sui fatti. (5-07108)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il giorno 16 giugno 2012 si è svolta a Roma la manifestazione indetta da Occupy Green Hill e dal coordinamento antispecista del Lazio per elidere lo stabilimento Green Hill di Montichiari di Brescia;
          le agenzie di stampa riportano le dichiarazioni degli organizzatori della manifestazione «per chiedere l'immediata chiusura di quel lager chiamato Green Hill, dove ogni mese oltre 250 cani vengono mandati a morte certa. Green Hill è un lager in cui sono rinchiusi 2.700 cani, animali, identificabili solo da un numero, che nascono per morire e sono condannati a soffrire. Ogni anno inoltre, solo in Italia, quasi 1 milione di animali sono sottoposti a esperimenti crudeli, che non forniscono neppure dati utili alla salute umana. Le alternative già esistono e in molti casi hanno completamente sostituito l'utilizzo degli animali. Il diritto alla vita non è solo un privilegio di alcuni, bensì di tutti gli esseri viventi», concludono gli animalisti;
          contro questo stabilimento di proprietà della Marshall Farm Inc, l'Oipa (l'Organizzazione internazionale protezione animali), ha presentato istanza per la revoca dell'autorizzazione sindacale che il comune di Montichiari ha rilasciato all'azienda Green Hill 2010 srl (protocollo n.  36451/2008 del 13 novembre 2008) con la conseguente chiusura dell'azienda mediante ordinanza del sindaco;
          la procura della Repubblica di Brescia ha chiesto l'archiviazione delle accuse per maltrattamento di animali, mosse contro Ghislaine Rondot, legale rappresentante di Green Hill. La decisione è avvenuta a seguito dei risultati delle diverse ispezioni del personale dell'asl, dell'istituto zooprofilattico, nonché della polizia locale e della Digos che hanno evidenziato che all'interno dell'allevamento di cani beagle, infatti, non sono state rilevate irregolarità, dato che i cuccioli destinati alla vivisezione sono curati, nutriti, puliti e registrati a norma di legge, con gli spazi che sono stati ritenuti idonei a consentire i movimenti degli animali;
          in data 3 gennaio il Sottosegretario alla salute pro tempore del Governo Berlusconi Francesca Martini rispondendo all'interrogazione, n.  4-03328 al Senato precisava che:
              «il 14 luglio 2010 la competente Direzione generale della sanità animale e del farmaco veterinario del Ministero ha disposto un'ispezione congiunta con le autorità del servizio veterinario dell'Azienda sanitaria locale di Brescia presso l'allevamento di cani della ditta Green Hill srl con sede a Montichiari (Brescia) ed autorizzato ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n.  116.
              Tale attività di verifica è stata programmata alla luce delle continue segnalazioni pervenute al Ministero: è emerso che il servizio veterinario della Asl territorialmente competente effettua regolarmente la vigilanza e che specifici controlli sono stati effettuati costantemente e con frequenza ravvicinata. Non sono state riscontrate irregolarità tali da far supporre una cattiva gestione o situazioni riconducibili a maltrattamenti. Circa l'ipotesi di ampliamento della struttura di Montichiari mediante la realizzazione di nuovi capannoni, come riportato nel secondo quesito, si segnala che la ditta ha espresso l'intenzione di rinunciare all'iniziativa. In riferimento ai dati riportati nell'interrogazione, si rendono necessarie le seguenti precisazioni: a) in Italia, secondo i più recenti dati statistici, sono stati impiegati nei laboratori di ricerca regolarmente autorizzati, in media meno di 1.000 cani per anno, e quindi in numero notevolmente inferiore a quanto riportato nell'interrogazione.
              I dati citati sono disponibili al seguente indirizzo web della Commissione europea:http://ec. europa. eu/environment/chemicals/labanimals/reports en.htm; b) il numero inferiore di cani utilizzati in Italia rispetto ad altri Paesi europei è, in parte, dovuto all'azione del Ministero, che rilascia apposita autorizzazione all'impiego dei cani solo in casi di dimostrata ed inderogabile necessità, come ad esempio per prove farmacologiche e tossicologiche previste dalla normativa europea e/o internazionale (il 90 per cento dei cani viene utilizzato per tali scopi regolatori); si rammenta infatti che, secondo la normativa italiana, l'impiego dei cani è possibile soltanto con la modalità dell'autorizzazione ministeriale in deroga; c) molti degli animali, alla fine delle procedure sperimentali ed in applicazione a quanto previsto dalla circolare del Ministero 14 maggio 2001, n.  6, sono affidati a privati cittadini dopo essere stati vaccinati e regolarmente identificati con microchip da parte delle Asl; d) il taglio delle corde vocali è espressamente vietato dalla normativa vigente e precisamente dall'articolo 6, comma 5, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n.  116, e dall'articolo 2, comma 1, lettera d), dell'ordinanza del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali 3 marzo 2009. Il Ministero tende ad incoraggiare, ove possibile, l'utilizzo dei metodi alternativi riconosciuti idonei e ne impone l'applicazione. Per quanto di propria competenza, il Ministero dell'istruzione, università e ricerca ha inteso precisare che i progetti di ricerca da esso finanziati e le pratiche sperimentali in uso presso i laboratori di ricerca universitari sono perfettamente coerenti con gli standard internazionali»  –:
          se trovi riscontro che lo stabilimento Green Hill di Montichiari di Brescia «è un lager in cui sono rinchiusi 2.700 cani», ovvero che gli animali siano trattati in spregio alle stringenti leggi italiane sul benessere degli animali e dove «ogni mese oltre 250 cani vengono mandati a morte certa»;
          se trovi conferma che: «ogni anno inoltre, solo in Italia, quasi 1 milione di animali sottoposti a esperimenti crudeli»;
          se trovi conferma, che in relazione alla sperimentazione scientifica animale: «le alternative già esistono e in molti casi hanno completamente sostituito l'utilizzo degli animali»;
          quali iniziative, per quanto di competenza, si intendano assumere perché vi sia una corretta informazione anche di carattere scientifico, a partire dagli organi di informazione del servizio pubblico.
       (5-07109)

Interrogazione a risposta scritta:


      FAVA, RAINIERI, NEGRO, CROSIO, MUNERATO, CONSIGLIO e VANALLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il materiale specifico a rischio (MRS) in grado di trasmettere l'encefalopatia spongiforme bovina (BSE) è costituito dal sistema nervoso centrale (cervello e midollo spinale e dai gangli periferici situati in altri organi o cavità dell'organismo animale);
          il pacchetto intestinale bovino è incluso nella categoria della lista del materiale specifico a rischio; come tale va eliminato dalla catena alimentare. Ciò in base al regolamento comunitario 999/2001;
          l'Italia provvede all'applicazione di tale norma nonostante che dal 2010 non si registri nessun caso di positività in bovini macellati nel nostro Paese; positività, peraltro, sempre rilevate da esami approfonditi di laboratorio, in animali macellati o morti, senza che sia mai stato evidenziato un caso clinicamente manifesto di BSE in bovini nati in Italia;
          la Commissione europea ha chiesto all'EFSA (autorità europea per la sicurezza alimentare) di rivedere scientificamente la valutazione del rischio di questa malattia in tutti i 27 Paesi dell'Unione europea;
          EFSA, non ha ancora escluso del tutto il pericolo di trasmissione di questa malattia attraverso il consumo di materiale specifico a rischio e si riserva di rivalutare la materia;
          risulta che una nuova richiesta sia stata inviata all'autorità europea per la sicurezza alimentare dalla Commissione  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione non intenda intervenire presso gli organismi europei affinché venga accelerato la nuova valutazione del rischio;
          se ritenga un livello sufficientemente ampio di sicurezza alimentare l'utilizzo di intestini di bovino importati da Paesi terzi;
          considerata la bassa entità della malattia nei bovini nati ed allevati in Italia e tenuto conto che l'insaccato viene consumato senza l'involucro, se il Ministero consideri la possibilità di agire attraverso una deroga da chiedersi alla Commissione dell'Unione europea, in attesa della revisione del regolamento che classifica il rischio Paese per Paese;
          quale altra azione sia stata messa in atto per tutelare i nostri produttori evitando da un lato di spendere per distruggere materiale e dall'altro di poter utilizzare materiale (intestino) per involucri naturali di insaccati non prodotti nel nostro Paese. (4-16622)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


      DI PIETRO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          la concentrazione fotovoltaica (Cpv) è una tecnologia altamente innovativa che non ha ancora raggiunto la propria maturità commerciale a causa dei volumi relativamente ridotti finora installati. La concentrazione fotovoltaica è stata infatti inserita solo a partire dal III conto energia;
          azioni di sostegno a livello europeo hanno fatto sì che in questi anni la Cpv rientasse in programmi di finanziamento comunitari. I vantaggi e le peculiarità della Cpv sono universalmente riconosciute tant’è che anche il Governo italiano ha incentivato, con tariffe dedicate, questa tecnologia proprio con il III (articolo 14-bis decreto ministeriale 6 agosto 2010) ed il IV (articolo 19 decreto ministeriale 5 maggio 2011) Conto Energia, introducendo il titolo IV proprio a sostegno degli impianti innovativi, quali sono appunto i sistemi basati sulla tecnologia Cpv;
          la concentrazione fotovoltaica consentirebbe di assorbire personale tecnico in mobilità riducendo l'impatto degli ammortizzatori sociali, in quanto questa tecnologia richiede esperienze di sistemi e sottosistemi ad alto contenuto di tecnologie innovative ed integrate. Il mantenimento di un incentivo proporzionato ai costi attuali dei sistemi Cpv consentirebbe di garantire il raggiungimento della maturità di questa tecnologia, offrendo all'Italia prospettive in termini di innovazione, sviluppo ed occupazione in un settore strategico per il Paese quale quello energetico;
          la tecnologia Cpv consentirebbe di utilizzare terreni incolti o abbandonati, anche in alta quota. L'uso dei terreni incolti e/o abbandonati sarebbe possibile non solo grazie allo spazio esiguo richiesto dai sistemi Cpv – montati su palo e che quindi insistono in misura ridotta sui terreni sottostanti – ma anche grazie alla disponibilità delle canalizzazioni e dei sistemi di controllo evoluti distribuiti (necessari per il loro funzionamento) che consentirebbero – come funzioni integrate – di ottenere una ottimale irrigazione e di monitorare con precisione le condizioni del terreno consentendo il recupero e la valorizzazione di terreni non impegnati per attività agricole;
          i sistemi Cpv sono ecologici e riciclabili fino al 99,5 per cento, utilizzando circa un millesimo del silicio utilizzato negli impianti fotovoltaici tradizionali, annullando in pratica i problemi per il loro futuro smaltimento (alluminio, ferro, vetro);
          il costo base attuale dei sistemi Cpv risulta ancora elevato, fino a tre volte rispetto ai sistemi piani a silicio cristallino i quali hanno beneficiato, per anni, di incentivi che ne hanno determinato un sostanziale sviluppo e la conseguente riduzione dei costi. A tale proposito il Governo ha elaborato una ricerca di mercato che ha analizzato l'andamento dei costi del fotovoltaico tradizionale, esponendo le ragioni in base alle quali è giustificata una riduzione delle tariffe per il settore. Sebbene tale analisi sia stata eseguita solo per il fotovoltaico tradizionale, la riduzione lineare delle tariffe ha interessato, sorprendentemente anche la Cpv, per il quale non era stata eseguita alcuna analisi specifica, trattandosi di nuova tecnologia appena industrializzata;
          la riduzione degli incentivi per la Cpv, invece proposta nella bozza del V conto energia, renderebbe gli impianti Cpv economicamente non realizzabili in quanto, anche in condizioni di massima insolazione (Sicilia – DNI 1900 kWh/mq), non verrebbe garantito il recupero dell'investimento iniziale;
          in considerazione dei volumi di produzione ancora limitati, l'impatto economico complessivo di un incentivo dedicato, proporzionato ai costi dei sistemi Cpv, sarebbe minimo;
          il titolo IV del III e del IV conto energia prevedeva che un successivo decreto ministeriale avrebbe definito caratteristiche tecniche e tariffe per sistemi Cpv innovativi ma, ad oggi, tutto ciò non è avvenuto;
          la bozza del V conto energia emendata dalla Conferenza delle regioni non solo non tiene in considerazione la revisione degli incentivi proposta dall'associazione di categoria del Cpv – PhotoCon Association – ma abbatte per contro il livello di concentrazione minima, per questa tipologia di impianti, da 10 a 3, vanificando il significato proprio di sistema a concentrazione e consentendo di fatto l'accesso agli incentivi anche ai sistemi fotovoltaici tradizionali non innovativi, né ecologici che con piccoli accorgimenti tecnici potrebbero avere accesso alle condizioni riservate dal titolo IV. Questi impianti assorbirebbero in breve tempo gli incentivi dedicati agli impianti a concentrazione Cpv. La riduzione proposta del valore minimo di concentrazione da 10 a 3 vanificherebbe inoltre il significato e lo sviluppo di questa tecnologia nel nostro Paese, annullando il processo di re-integrazione nel mercato del lavoro di operatori esperti provenienti da altri settori in difficoltà;
          la Cpv e la concentrazione solare in generale è, secondo l'interrogante un'opportunità unica di innovazione sviluppo per il Paese  –:
          se non ritenga opportuno mantenere nel V conto energia le tariffe incentivanti previste per la Cpv nel IV conto energia operando, invece, una riduzione del tetto massimo di potenza installata da 320 Mw (come stabilito dal IV conto energia entro il 2014) a 250 Mw piuttosto che i 110 Mw previsti dalla bozza del V conto energia – così come proposto dall'associazione di categoria che ha inviato tali informazioni alla Conferenza delle regioni demandata a proporre gli emendamenti alla bozza del V conto;
          se non ritenga opportuno mantenere il valore minimo di concentrazione a quello – già di per se basso – proposto dall'associazione di categoria pari a 10 poi emendato a 3 dalla Conferenza delle regioni su richiesta di operatori del fotovoltaico tradizionale;
          se non ritenga opportuno consentire l'installazione di sistemi Cpv in alta quota dando la possibilità di rivitalizzare terreni agricoli altrimenti inutilizzati;
          se non ritenga opportuno consentire l'installazione di sistemi Cpv su terreni incolti e/o abbandonati dando la possibilità di rivitalizzare terreni altrimenti inutilizzati;
          se non intenda stabilire, con chiarezza, nel V conto energia – come all'articolo 14-bis del decreto ministeriale agosto 2010 del terzo conto energia, e articolo 19 del decreto ministeriale maggio 2011 del quarto conto energia – l'entità del premio indicato per sistemi Cpv innovativi;
          se non ritenga utile definire una data fissa di applicazione delle norme del V conto energia per il Cpv al 1o gennaio 2013, al fine di garantire la stabilità necessaria per la realizzazione dei progetti attualmente in corso. (4-16613)


      DI PIETRO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          l'interrogante ha inviato una lettera al Ministro in data 17 aprile 2012 e ha presentato due atti di sindacato ispettivo (4-15909 e 4-16349, rispettivamente in data 3 maggio 2012 e 30 maggio 2012) nonché un esposto a nome dell'Italia dei Valori a seguito del quale è stato aperto un fascicolo dalla procura di Isernia su Massimo Di Risio, patron in Molise della Dr Motor, intenzionato da tempo ad acquisire lo stabilimento di Termini Imerese in relazione al quale è stata richiesta senza successo copia del piano industriale per fare chiarezza su eventuali garanzie finanziarie dell'imprenditore molisano;
          il Ministro dello sviluppo economico ha finalmente preso atto dell'inconsistenza dell'offerta di Di Risio, come più volte evidenziato da Italia dei Valori nei sopracitati atti di sindacato ispettivo  –:
          quale sarà la sorte per lo stabilimento di Macchia di Isernia (Isernia) i cui lavoratori, senza retribuzione, non possono pagare le colpe degli imprenditori e i tempi della politica. (4-16636)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

      La risoluzione in commissione Granata e altri n.  7-00894, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 giugno 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Coscia.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

      L'interrogazione a risposta in commissione Siragusa n.  5-06968, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 maggio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Gozi.

      L'interrogazione a risposta scritta Grimoldi e altri n.  4-16546, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 giugno 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Maroni.

Pubblicazione di un testo riformulato.

      Si pubblica il testo riformulato della mozione Cicchitto n.  1-00986, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n.  615 del 2 aprile 2012.

      La Camera,
          premesso che:
              in numerosi Paesi della riva sud del Mediterraneo con la caduta di regimi non democratici si sono avviati percorsi di costruzione istituzionale verso assetti democratici ed in alcuni casi si sono svolte elezioni valutate non negativamente dagli osservatori internazionali;
              per la prima volta, partiti islamici si sono affermati in modo estremamente significativo, con la conseguente formazione, in alcuni casi, di maggioranze in cui partiti islamici e partiti di ispirazione laica tradizionale operano insieme;
              in alcuni casi, come in Egitto, la maggioranza di partiti islamici ed il Governo laico militare non hanno potuto finora definire l'assetto stabile per il medio e lungo periodo, anche in vista delle elezioni presidenziali;
              in altri casi, come la Libia, la fragilità dell'equilibrio di governo transitorio e l'incertezza della prospettiva elettorale concorrono a rendere la situazione sul terreno incerta ed insicura;
              nel caso della Siria, si assiste a sterili esercizi di consultazione e veti che impediscono al Consiglio di sicurezza dell'Onu ed alla comunità internazionale di far cessare la strage di civili innocenti a Damasco, nella città martire di Homs ed altrove;
              sinora l'azione dell'Unione europea è stata, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, debole ed incapace di indurre i grandi attori non europei, dalla Cina alla Russia, ad atteggiamenti responsabili, volti, anzitutto, all'uscita di scena del regime siriano ed alla fine della violenza, ma anche, più in generale, alla definizione di politiche globali con cui seguire i complessi fenomeni sociali e politici che si manifestano nel mondo arabo;
              invece, l'azione e la capacità di visionare della Lega araba si sono dimostrate efficaci ed in grado quantomeno di ricercare un consenso più ampio in sostegno ai popoli della regione, durante e dopo le fasi conclusive dei regimi e nell'attuale drammatica e non risolta crisi siriana;
              l'Italia, anche a seguito della constatazione della scarsa efficacia delle più recenti iniziative euromediterranee, può e deve rivendicare la propria responsabilità di promuovere, con l'Europa, un nuovo patto mediterraneo per affrontare con i Paesi arabi le sfide antiche e recenti della sicurezza, prosperità, arricchimento culturale ed evoluzione democratica nelle istituzioni e nelle società;
              così come accadde durante la guerra fredda, per superare distanze ed incomprensioni è utile pensare ad un patto globale euro-arabo, che veda protagonisti la Lega araba e l'Unione europea, per ricercare un dialogo ampio e paritario come nel caso della Conferenza per la sicurezza e cooperazione in Europa (Csce);
              un'intesa globale euro-araba avrebbe, anzitutto, il potenziale per l'ulteriore coinvolgimento di attori essenziali, dalla Turchia alla Russia agli Stati Uniti, per parlare finalmente con una sola voce di stop alle violenze in Siria, di sicurezza, democrazia e diritti nel rispetto delle storie e tradizioni nazionali, di prosperità e ruolo dei giovani nella regione mediterranea allargata;
              il Governo, anche alla luce delle esperienze che la diplomazia italiana ha avviato e sviluppato negli ultimi dieci anni, può e deve, abbandonando le regole ed i riti sinora privi di risultato, affrontare la strada, tutta politica, dell'interlocuzione aperta, a partire da un vertice fondativo Unione europea-Lega araba, per definire un patto ricco di azioni concrete con l'assunzione reciproca e paritaria di responsabilità, affinché i primi attori regionali nel Mediterraneo «allargato» – appunto Unione europea e Lega araba – possano guidare, e non subire, iniziative strategiche cui altri attori internazionali si possano associare,

impegna il Governo

a promuovere un'iniziativa politica con cui Unione europea e Lega araba insieme rafforzino il dialogo e la cooperazione sui temi concreti della cessazione immediata delle violenze in Siria, della sicurezza, della democrazia e della prosperità, assumendo insieme le conseguenti iniziative di coinvolgimento degli Stati mediterranei e degli altri attori internazionali, il cui contributo possa aiutare lo sviluppo di tali politiche.
(1-00986)
(Nuova formulazione) «Cicchitto, Frattini, Pianetta, Renato Farina, Angeli, Biancofiore, Boniver, Malgieri, Migliori, Osvaldo Napoli, Picchi».

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo (ex articolo 134, comma 2, del Regolamento).

      Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Pagano n.  4-13676 del 24 ottobre 2011 in interrogazione a risposta in commissione n.  5-07111.

ERRATA CORRIGE

      Interrogazione a risposta scritta Pes e altri n.  4-16571 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n.  649 del 13 giugno 2012. Alla pagina 31769, prima colonna, dalla riga quarantunesima alla riga quarantacinquesima deve leggersi: «Pes, Schirru, Arturo Mario Luigi Parisi e Melis. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:» e non «Pes, Schirru, Soro, Arturo Mario Luigi Parisi e Melis. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:», come stampato.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. — Per sapere – premesso che:
          un dettagliato quadro di valutazione è stato pubblicato dalla Commissione europea per illustrare tutti i progressi compiuti dai vari Stati membri ad un anno esatto dall'avvio della cosiddetta agenda digitale. Un insieme corposo di dati e statistiche, messo dall'Unione a disposizione di tutti i soggetti interessati;
          ne emerge un bilancio in cui viene sottolineato come in certi settori i progressi raggiunti dall'Italia si siano rivelati piuttosto deludenti, soprattutto nella diffusione delle nuove reti superveloci a banda larga;
          l'Italia è risultata, inoltre, tra i Paesi con la più bassa percentuale di abitudinari della rete (48 per cento). Appare limitato anche il generale livello d'adozione dell’e-commerce come possibile soluzione d'acquisto  –:
          se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti intenda assumere per sfruttare appieno il potenziale dell'agenda, per conservare la competitività nazionale, stimolare l'innovazione, creare posti di lavoro e prosperità. (4-12182)

      Risposta. — Gli investimenti in infrastrutture di comunicazione elettronica, specialmente per espandere l'accesso a banda larga e ultralarga, rappresentano uno strumento utile per creare lavoro e fornire le fondamenta per una sostenibilità economica e una crescita a lungo termine di un Paese.
      La cabina di regia di cui all'articolo 47 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n.  5, convertito in legge con modificazioni dalla legge 4 aprile 2012, n.  35, è volta a definire una strategia italiana per lo sviluppo del Paese puntando sull'economia digitale. Gli obiettivi della citata cabina ricalcano le azioni definite nell'iniziativa faro – «digital agenda» all'interno della strategia europea EU2020, al fine di trarre vantaggi socioeconomici sostenibili da un mercato unico del digitale basato sull'internet veloce e superveloce e su applicazioni interoperabili, garantendo a tutti l'accesso alla banda larga entro il 2013 e l'accesso a velocità di internet nettamente superiori (30 Mbps o più) entro il 2020, laddove almeno il 50 per cento delle famiglie europee si abboni a connessioni internet di oltre 100 Mbps.
      L'Italia in questo senso sta compiendo un notevole sforzo, inserendo fra le priorità dell'azione di Governo il completamento del piano nazionale banda larga, per garantire a tutti i cittadini italiani la possibilità di connettersi a internet a una velocità di almeno 2 Mbps entro il 2013.
      Per altro verso, il «progetto strategico agenda digitale italiana» per la realizzazione della banda ultralarga, (articolo 30 del decreto legge 6 luglio 2011, n.  98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n.  111) è ora all'attenzione della commissione europea ed è stato sottoposto, sino al 15 gennaio 2012, a consultazione pubblica, riscuotendo grande interesse da parte del mercato, delle associazioni di categoria, delle regioni e degli enti locali.
      Il medesimo Progetto contiene anche una misura concernente la realizzazione di data center volti ad assicurare l'esecuzione decentralizzata delle applicazioni più importanti e innovative sia da parte del mondo delle imprese, sia da quello della pubblica amministrazione che potrà così essere definitivamente dematerializzata.
      Grazie al piano azione e coesione, inoltre, quasi 450 milioni di euro saranno dedicati allo sviluppo della banda ultralarga, un progetto meritevole di essere considerato una best practice europea sia in termini di obiettivi, sia nelle modalità di intervento e coordinamento.
      Infine, per lo sviluppo della larga banda un passaggio fondamentale è stato lo svolgimento della gara sulle cosiddette frequenze 4G. L'articolo 1, commi 8-12, della legge di stabilità per il 2011 ha previsto lo svolgimento di una procedura di gara per l'assegnazione dei diritti d'uso di frequenze relative alla banda 800 MHz da destinare a servizi di comunicazione elettronica mobili in banda larga, oltre che delle altre frequenze disponibili (frequenze in banda 1800 megahertz, 2000 megahertz, 2600 megahertz), per un totale di circa 300 MHz.
      Le modalità di svolgimento della gara e di assegnazione delle frequenze sono state stabilite, in conformità alle procedure previste dal codice delle comunicazioni elettroniche, dall'autorità per le garanzie nelle comunicazioni con delibera 282/11/Cons del 18 maggio 2011, modificata dalla delibera 370/11/Cons del 23 giugno 2011, il quale ultimo provvedimento ha previsto, altresì, la nomina di un Comitato dei ministri per coordinare le procedure di gara, oltre alla scelta di un eventuale advisor.
      La legge di stabilità prevedeva un introito di 2,4 miliardi di euro: obiettivo ampiamente raggiunto considerando che gli introiti della gara si sono attestati a circa 4 miliardi di euro, a comprova dell'importanza degli assets resi disponibili con la liberazione delle frequenze dall'emittenza televisiva locale e dalla difesa, come pure della bontà delle procedure di gara definite dall'amministrazione con il bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 27 giugno 2011 e con il relativo disciplinare.
      La gara si è conclusa il 29 settembre 2011 con l'aggiudicazione dei lotti di frequenze messe a gara a favore delle società Telecom Italia spa, Vodafone Omnitel N.V, Wind Telecomunicazioni spa ed H3g spa. Queste frequenze serviranno a sviluppare in particolare le tecnologie lte (long term evolution) che sicuramente costituiscono un fattore chiave non solo per lo sviluppo della larga banda ma dell'intero Paese, considerando la rapida crescita del numero di utenti dei servizi di comunicazione mobile e la possibilità di finire, con essa, di numerosi servizi innovativi volti a migliorare la qualità della vita di tutti i giorni.
      Da quanto precede è facile rilevare che al momento il Governo è impegnato ad utilizzare in pieno tutte le potenzialità che offre l'attuazione dell'agenda digitale, con attenzione specifica ai profili di crescita e innovazione ad essa collegati.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Massimo Vari.


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          l'autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) ha decretato il «pensionamento» di gran parte delle cabine telefoniche;
          l'autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha autorizzato Telecom Italia, con delibera pubblicata in Gazzetta ufficiale n.  77 del 2 gennaio 2010, a rimuovere i telefoni pubblici, risparmiando solo quelli presenti in ospedali, scuole e caserme;
          anche le altre cabine, in ogni caso, possono essere salvate: in ognuna delle cabine destinate alla rimozione verrà affisso un cartello con le indicazioni per inviare un’e-mail nel caso in cui si ritenga che la postazione meriti di essere risparmiata: l'utente interessato potrà scrivere all'indirizzo cabinatelefonica\@agcom.it «per chiedere che questo telefono resti attivo», specificando i propri «dati, un recapito, l'indirizzo della cabina e le motivazioni della richiesta»;
          in mancanza di missive volte a evitare lo smantellamento delle cabine, le prime rimozioni sono previste per il 20 giugno: l'autorità per le garanzie nelle comunicazioni riferisce che per ogni anno successivo all'entrata in vigore della delibera potranno essere al massimo 30mila cabine e Telecom entro il 31 gennaio di ogni anno dovrà comunicare all'autorità l'aggiornata banca dati della telefonia pubblica  –:
          di quali elementi disponga il governo in merito all'attuale mappatura geografica delle postazioni telefoniche pubbliche sull'intero territorio nazionale, con riferimento alle installazioni necessarie a garantire gli obblighi del servizio universale.
(4-12191)

      Risposta. — Il vigente Codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo 1o agosto 2003, n.  259), all'articolo 56 prevede che la società Telecom Italia, nell'ambito degli obblighi di svolgimento del servizio universale, metta a disposizione «postazioni telefoniche pubbliche» (ptp) a pagamento per soddisfare le esigenze degli utenti in termini di copertura geografica e numero di apparecchi, nel rispetto delle disposizioni emanate dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
      Le disposizioni emanate dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni prevedono, innanzitutto, che le ptp debbano essere obbligatoriamente presenti in luoghi di grande rilevanza sociale, quali ospedali, strutture sanitarie equivalenti, e carceri, nei rifugi di montagna e in tutti i luoghi in cui sia proibito l'uso del telefono mobile (per esempio nelle caserme in cui sia vigente detta proibizione).
      Fermi restando i suddetti obblighi che sono stati fissati nel 2001 con la delibera AGCOM n.  290/01/CONS, l'Autorità è intervenuta nel 2010 con una seconda delibera n.  31/10/CONS con la quale ha rivisto i criteri di distribuzione delle ptp sul territorio nazionale.
      La modifica dei criteri di distribuzione delle ptp operata dall'AGCOM con la citata delibera del 2010, discende da una drastica riduzione dell'utilizzazione delle ptp in Italia in conseguenza del mutamento delle abitudini degli utenti, che ricorrono sempre più alla telefonia cellulare, e dalla constatazione di un oggettivo sovrannumero delle postazione telefoniche pubbliche sul territorio se rapportato alla popolazione e confrontato con quello degli altri Paesi della Comunità europea.
      La predetta delibera n.  31/10/CONS prevede che i risparmi di gestione, ottenuti tramite la rimozione delle ptp non utilizzate, saranno in parte reinvestiti nelle attività di manutenzione delle postazioni che restano attive sul territorio, a vantaggio degli utenti. Sono previsti, infatti, a carico della società Telecom Italia monitoraggi costanti delle funzionalità delle ptp e tempi ridotti per il ripristino dell'efficienza in caso di malfunzionamento.
      Rispetto, poi, alle esigenze specifiche di determinate zone del territorio, si ricorda che, al fine di salvaguardia delle stesse e, più in generale, degli interessi di tutti gli utenti, nella citata delibera l'Autorità ha espressamente previsto il più ampio coinvolgimento degli enti locali e degli utenti che sono interessati dalle procedure di rimozione.
      Telecom Italia, infatti, almeno 60 giorni prima della rimozione di una determinata ptp, deve avvisare in forma scritta le amministrazioni del luogo e deve altresì contraddistinguere la postazione da rimuovere con un apposito cartello informativo.
      Attraverso una specifica procedura, sia gli enti locali che i singoli utenti possono avviare dinanzi all'AGCOM un procedimento di «opposizione alla prevista rimozione», nel corso del quale possono essere evidenziate eventuali esigenze specifiche del luogo.
      Si evidenzia, infine, che la stessa Autorità, ha previsto la creazione di un sito internet da parte della società Telecom Italia, la cui consultazione consente agli utenti di localizzare la postazione telefonica più vicina e di accedere alla mappatura aggiornata delle ptp sull'intero territorio nazionale. A tal riguardo si segnala che al 31 dicembre 2011 la consistenza degli impianti di telefonia pubblica risulta pari a 97.376.
      Il Ministero dello sviluppo economico, nell'ambito delle proprie competenze, non mancherà di verificare il rispetto, da parte della società Telecom Italia, degli obblighi derivanti dallo svolgimento del servizio universale, soprattutto con riguardo a quelle aree non coperte dal servizio di telefonia mobile e territorialmente disagiate.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Massimo Vari.


      BITONCI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il settore dell'agroalimentare è per il nostro Paese una ricchezza significativa, sia come patrimonio di tradizioni e cultura, sia dal punto di vista economico, in ragione soprattutto del fatto che il settore rappresenta, nel suo insieme, quasi il 16 per cento del PIL prodotto ogni anno in Italia;
          i numerosi primati detenuti dagli operatori del settore, come quello relativo alla quantità di vino prodotto annualmente o la qualità degli stessi, fanno della Italia il leader mondiale indiscusso nell'agroalimentare, e la valenza del settore è tale che in questi ultimi anni si sono diffuse in tutto il territorio nazionale dei specifici eventi e delle manifestazioni finalizzati a sostenere i prodotti tipici di un territorio e denominati «prodotti a chilometro zero»;
          la concorrenza contro le tipicità italiane si evidenzia molto spesso in modo illegale con la commercializzazione di prodotti che sottolineano un luogo di origine e di produzione del prodotto non veritiero, traendo così in inganno il consumatore e danneggiando in modo rilevante sia l'immagine del prodotto originale, sia i livelli economici degli operatori italiani;
          al fine di salvaguardare il settore e i suoi prodotti, il 4 agosto 2011, tutte le parti sociali, da Confindustria a rete imprese Italia, da Coldiretti a Confagricoltura, oltre ad Abi e alle principali sigle sindacali, Cgil, Cisl e Uil, hanno sottoscritto un documento unitario per la definizione delle priorità sulle quali operare per rilanciare la crescita del settore, ponendo l'attenzione, in particolar modo, sulla attuazione di «politiche incisive finalizzate alla promozione e difesa del made in Italy di qualità quale leva competitiva del Paese, in grado di valorizzare il lavoro, il capitale ed il territorio italiano, sfruttando il potenziale di penetrazione commerciale all'estero delle imprese italiane»;
          in più occasioni, il Governo si è impegnato a dare una piena e formale attuazione ad una serie di disposizioni, come la legge n.  4 del 2011, in materia di introduzione del principio di obbligatorietà dell'indicazione in etichetta dei prodotti alimentari del luogo di origine della materia prima agricola, o come in relazione al finanziamento dei progetti all'estero in grado di scongiurare appropriazioni indebite delle denominazioni protette e impropri richiami all'origine italiana dei prodotti commercializzati;
          la tutela e la valorizzazione dei prodotti agroalimentari, peraltro, era stata espressa e messa in evidenza a più riprese anche dal precedente Ministro, il dottor Zaia che si era tanto impegnato contro la lotta alla contraffazione e il potenziamento del made in Italy arrivando anche a sottoscrivere specifici accordi con le autorità cinesi;
          è notizia delle ultime settimane che SIMEST spa, società finanziaria di sviluppo e promozione delle imprese italiane all'estero e controllata dal Ministero dello sviluppo economico, destini parte delle proprie risorse, di natura pubblica, alla promozione e alla valorizzazione di prodotti alimentari assolutamente non italiani, determinando un blocco della crescita delle imprese italiane a causa della saturazione del mercato con prodotti non italiani ma e che inducono all'errore in fase di scelta dell'acquisto il consumatore  –:
          non ritenga opportuno assumere iniziative nell'ambito delle proprie competenze allo scopo di porre fine alla promozione da parte di SIMEST spa di prodotti non italiani valorizzando invece, coerentemente con le linee strategiche assunte dal Governo precedente e in linea con le disposizioni previste in materia di made in Italy, prodotti tipici e le peculiarità agroalimentari regionali. (4-14062)


      BITONCI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il settore dell'agroalimentare è per il nostro Paese una ricchezza significativa, sia come patrimonio di tradizioni e cultura, sia dal punto di vista economico, in ragione soprattutto del fatto che il settore rappresenta, nel suo insieme, quasi il 16 per cento del prodotto interno lordo annuale in Italia;
          i numerosi primati detenuti dagli operatori del settore, come quello relativo alla quantità di vino prodotto annualmente o la qualità degli stessi, fanno dell'Italia il leader mondiale indiscusso nell'agroalimentare, e la valenza del settore è tale che in questi ultimi anni si sono diffuse in tutto il territorio nazionale degli specifici eventi e delle manifestazioni finalizzati a sostenere i prodotti tipici di un territorio e denominati «prodotti a km zero»;
          la concorrenza contro le tipicità italiane si evidenzia molto spesso in modo illegale con la commercializzazione di prodotti che sottolineano un luogo di origine e di produzione del prodotto non veritiero, traendo così in inganno il consumatore e danneggiando in modo rilevante sia l'immagine del prodotto originale, sia i livelli economici degli operatori italiani;
          al fine di salvaguardare il settore e i suoi prodotti, il 4 agosto 2011 tutte le parti sociali, da Confindustria a Rete imprese Italia, da Coldiretti a Confagricoltura, oltre ad Abi e alle principali sigle sindacali, Cgil, Cisl e UIL, hanno sottoscritto un documento unitario per la definizione delle priorità sulle quali operare per rilanciare la crescita del settore, ponendo l'attenzione, in particolar modo, sulla attuazione di «politiche incisive finalizzate alla promozione e difesa del made in Italy di qualità quale leva competitiva del Paese, in grado di valorizzare il lavoro, il capitale ed il territorio italiano, sfruttando il potenziale di penetrazione commerciale all'estero delle imprese italiane»;
          in più occasioni, il Governo si è impegnato a dare una piena e formale attuazione ad una serie di disposizioni, come quella della legge n.  4 del 2011 in materia di introduzione del principio di obbligatorietà dell'indicazione in etichetta dei prodotti alimentari del luogo di origine della materia prima agricola, o come quelle relative al finanziamento dei progetti all'estero in grado di scongiurare appropriazioni indebite delle denominazioni protette e impropri richiami all'origine italiana dei prodotti commercializzati;
          la tutela e la valorizzazione dei prodotti agroalimentari, peraltro, era stata espressa e messa in evidenza a più riprese anche dal precedente Ministro Zaia, che si era tanto impegnato contro la lotta alla contraffazione e il potenziamento del made in Italy arrivando anche a sottoscrivere specifici accordi con le autorità cinesi;
          è notizia delle ultime settimane che SIMEST s.p.a, società finanziaria di sviluppo e promozione delle imprese italiane all'estero e controllata dal Ministero dello sviluppo economico, destini parte delle proprie risorse, di natura pubblica, alla promozione e alla valorizzazione di prodotti alimentari assolutamente non italiani, determinando un blocco della crescita delle imprese italiane a causa della saturazione del mercato con prodotti non italiani ma e che inducono in errore il consumatore in fase di scelta dell'acquisto  –:
          se non ritenga opportuno assumere iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, allo scopo di porre fine alla promozione da parte di SIMEST s.p.a. di prodotti non italiani, valorizzando invece, coerentemente con le linee strategiche assunte dal Governo precedente e con le disposizioni previste in materia di made in Italy, prodotti tipici e le peculiarità agroalimentari regionali. (4-14248)

      Risposta. — Si risponde congiuntamente alle interrogazioni in esame essendo le stesse di analogo contenuto.
      L’Italian sounding rappresenta la forma più diffusa di concorrenza sleale e falso Made in Italy nel settore agroalimentare.
      Sempre più spesso vengono utilizzati denominazioni geografiche, immagini e marchi che si richiamano all'Italia per reclamizzare e commercializzare prodotti che nulla hanno a che fare con la nostra realtà nazionale. Le aziende estere che utilizzano impropriamente tali segni distintivi adottano tecniche di mercato che inducono il consumatore ad attribuire ai prodotti commercializzati caratteristiche di qualità di cui in realtà sono privi, se confrontati con i veri prodotti. Tali comportamenti forniscono, pertanto, alle imprese estere un vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza, associando indebitamente ai propri prodotti valori riconosciuti ed apprezzati dai consumatori stranieri e deprimendo le capacità di export delle imprese italiane.
      I problemi economici e di immagine alla produzione e all'esportazione italiana di prodotti agroalimentari sono enormi. A livello mondiale si stima che il giro d'affari dell’Italian sounding sia di un valore di circa 60 miliardi di euro l'anno, superiore di 2,6 volte a quello delle esportazioni italiane di prodotti agroalimentari pari a circa 23,3 miliardi di euro stimati nel 2009. Negli Stati Uniti e nel Canada la commercializzazione di prodotti falsi ha generato nel 2009 un fatturato di 24 miliardi di euro circa, nella proporzione di 1 prodotto falso su 9.
      Il Ministero dello sviluppo economico, alla luce di queste evidenze e a tutela dell’export italiano dalla concorrenza sleale, si è impegnata per la costituzione di un'apposita Task Force, con la partecipazione sia della principale associazione di categoria di riferimento – Federalimentare –, sia delle altre Amministrazioni centrali competenti – Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e Ministero degli affari esteri – e gli enti ad esse collegati – Unioncamere, Assocamerestero e Ice –. Dal luglio 2010, data di costituzione della suddetta Task Force, sono state, infatti, avviate una serie di iniziative ed eventi, sia in Italia sia all'estero, al fine di valorizzare la qualità peculiare della produzione alimentare nazionale, guidare i consumatori nei mercati rilevanti per il settore, nonché promuovere i prodotti autentici italiani presso gli operatori specializzati locali, al fine di attivare un volano in grado di innestare la successiva diffusione del vero «Made in Italy».
      Per quanto concerne il ruolo della Simest, si premette che nel processo di internazionalizzazione le imprese italiane possono avvalersi del sostegno offerto dalla temporanea partecipazione di detta società, nonché di fondi pubblici da essa gestiti, al capitale di imprese estere costituite da imprenditori italiani per lo sviluppo di progetti di investimento che possono comprendere anche la produzione in loco.
      Per una maggiore tutela del settore agroalimentare, nel mese di marzo 2012, è stata emanata una dettagliata direttiva alla Simest Spa. Tale direttiva è incentrata ad evitare che le aziende destinatarie di tali azioni di sostegno possano attuare sui mercati esteri pratiche sleali o ingannevoli, comunque riconducibili all’italian sounding e ad assicurare una corretta e trasparente informazione al consumatore circa l'origine delle produzione estere. Ciò al fine di evitare che elementi specifici dei prodotti o del relativo packaging, possano trarre in inganno il consumatore circa l'origine italiana dei medesimi.
      Al fine, quindi, di tutelare la trasparenza dei mercati, tale direttiva prevede che la Simest, mediante opportuni interventi di carattere ordinamentale ovvero organizzativo, revochi gli atti relativi a partecipazioni deliberate a favore delle imprese operanti nel settore agroalimentare nel caso in cui quest'ultime pongano in essere pratiche commerciali tali da indurre in errore i consumatori sull'origine o sulla provenienza dei prodotti commercializzati, ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo n.  206 del 2005. Allo stesso orientamento dovranno conformarsi gli organi di gestione dei fondi pubblici di intervento, la cui gestione è affidata alla stessa Società in relazione alla problematica sopradescritta.
      A tutto ciò si aggiunge il costante impegno del Ministero ad intensificare le politiche di internazionalizzazione e di tutela del Made in Italy, nonché a promuovere iniziative condivise anche con altre Amministrazioni per rafforzare l’export del settore agroalimentare.
Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      BOSSA e PICCOLO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          la situazione del cantiere di scavo del sito archeologico di Longola, in località Poggiomarino, provincia di Napoli, è preoccupante:
              vi sono stati, nei mesi scorsi, numerosi problemi: un incendio di parte dei depositi, con conseguente distruzione del materiale contenuto in cassette di plastica; ripetuti allagamenti dei depositi (le grandi vasche costruite per il depuratore e riutilizzate) dovuti alle esondazioni del fiume Sarno, con conseguente capovolgimento delle pile di cassette contenenti materiali derivati dall'attività di scavo (migliaia di reperti) e perdita irreparabile di importanti informazioni; gusti alle pompe idrovore rimaste a lungo senza manutenzione;

          lo stesso scavo, fermo per diversi anni per problemi di varia natura, è ripartito dopo la chiusura di uno dei due saggi aperti, senza essere arrivati allo strato sterile e quindi senza essere riusciti a capire il periodo iniziale e le relative caratteristiche dell'insediamento protostorico;
          il materiale venuto alla luce nell'operazione è copiosissimo e interessante. Sono state ritrovate due antichissime canoe. Una è ora restaurata e in mostra a città della scienza, a Napoli, senza essere mai stata mostrata al territorio dal quale proviene. Un'altra canoa monossile potrebbe non essere mai recuperata, per esplicita decisione di chi sovrintende allo scavo;
          in questi giorni, dopo solo pochi mesi di lavoro effettivo di scavo, e ancora una volta senza essere arrivati allo strato sterile, sarà ricoperto anche l'altro saggio, e non è stato reso pubblico nessun programma relativo ad indagini ulteriori;
          la logica sottesa alle azioni condotte appare assai discutibile, anche perché non tiene in alcun conto le osservazioni arrivate dal territorio, dall'amministrazione comunale, dalle associazioni, che, in un'ottica di sussidiarietà orizzontale e in un processo di cittadinanza attiva, vorrebbero poter contribuire al formarsi delle decisioni riguardanti il loro territorio e le opportunità di sviluppo;
          il sito di Longola porta i segni della rigogliosa prima civiltà della Valle del Sarno (quella Sarrasta), e l'importanza della sua fruizione per la cultura e l'economia dei luoghi è notevole;
          dalle associazioni del territorio arriva la richiesta di una mobilitazione per rifiutare l'abbandono del sito e chiedere una urgente e concreta valorizzazione, con l'allestimento di un contenitore museale cittadino per l'esposizione delle migliaia di reperti, che devono ritornare al territorio dal quale sono emersi, per nutrirne la memoria storica e l'identità civica  –:
          se sia a conoscenza della situazione del sito archeologico di Longola, in località Poggiomarino, provincia di Napoli;
          quali siano i progetti per la tutela e la valorizzazione di tale importante insediamento storico-culturale, se sia nelle intenzioni del Governo promuovere una iniziativa, d'intesa con i soggetti istituzionali e associativi del territorio, per il rilancio dell'intera, antica, «Valle dei Sarrasti». (4-14314)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante chiede informazioni circa le iniziative e i progetti che il Governo intenda adottare per la tutela e la valorizzazione del sito archeologico di Longola, in località Poggiomarino (Napoli) si rappresenta quanto segue.
      Il sito di Poggiomarino è stato individuato nel 2000, in occasione della realizzazione di un impianto di depurazione avviato dal Commissario straordinario alle opere di bonifica del fiume Sarno.
      Indagini geognostiche hanno verificato che l'area archeologica ha un'estensione complessiva di circa 7 ettari.
      Si tratta di un villaggio fluviale dell'età del Bronzo, costituito da un aggregato di strutture lignee disposte su piccoli isolotti artificiali, lungo una serie di canali di derivazione del fiume Sarno. Il sito è oggetto di occupazione dall'età del Bronzo fino agli inizi dell'età arcaica (inizi VI sec. a.C.).
      In seguito ai primi scavi, i lavori per il depuratore furono sospesi e delocalizzati. L'area d'interesse archeologico è stata espropriata, inizialmente a cura del Commissario straordinario, in seguito dalla soprintendenza, ed è attualmente affidata alla soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei.
      Al suo interno vi sono, oltre alle aree di scavo, diversi manufatti in cemento armato, soprattutto alcune grandi vasche incomplete, frutto della precedente destinazione d'uso.
      In tutta l'area la falda acquifera è molto alta; per questa ragione l'effettuazione dello scavo richiede una continua attività di emungimento delle acque, attraverso l'impiego di pompe idrauliche.
      Lo scavo in corso ha riguardato le uniche due aree a vista dell'insediamento, dell'ampiezza complessiva di metri quadri 1.600.
      Il primo saggio, dell'estensione di circa 800 metri quadri è stato ripulito, ricondotto ad un livello di leggibilità e reinterrato per garantire la conservazione delle evidenze archeologiche.
      Nel secondo saggio, come da progetto, le indagini sono state condotte fino al raggiungimento delle quote sterili, diversamente da quanto indicato dall'interrogante.
      I dati di scavo testimoniano che la più antica occupazione del sito risale, in questo settore dell'insediamento, tra il Bronzo finale e gli inizi dell'età del Ferro. Si rappresenta che i risultati di scavo sono ampiamente pubblicati in volumi e riviste di alto livello scientifico.
      Per quanto concerne l'episodio di incendio citato, si segnala che esso si verificò nell'estate del 2010 e che la soprintendenza ha presentato opportuna denuncia alle autorità competenti.
      Per quanto riguarda, viceversa, l'allagamento dei depositi richiamato nell'interrogazione, va ricordato che anche questo episodio si è verificato sempre nel 2010; in entrambi i casi, comunque, appare del tutto infondata la lamentata perdita di materiale e informazioni.
      Per quanto concerne la valorizzazione del sito, si segnala che due fattori impediscono, al momento, di lasciare a vista l'area indagata:
          il livello della falda richiede, per il mantenimento a vista delle emergenze (che si trovano a circa 5-6 di profondità), l'utilizzo di pompe idrovore, il cui funzionamento richiede costi quotidiani molto elevati e non sostenibili se non in presenza di un finanziamento ad hoc;
          nel saggio ancora a vista, al termine dello scavo, che ha previsto l'asportazione degli elementi lignei per le necessarie campionature ed analisi nonché per la registrazione di tutta la sequenza stratigrafica, fino al raggiungimento dei livelli sterili, le emergenze rimaste in situ risultano piuttosto scarse e poco leggibili, quindi scarsamente fruibili.

      Da quanto descritto emerge con evidenza come, almeno al momento, un progetto di valorizzazione del sito debba necessariamente prescindere dalla fruizione diretta delle emergenze archeologiche, la cui conservazione, dovuta al loro mantenimento nei secoli in ambiente umido, difficilmente può, al momento, essere assicurata in ambiente asciutto.
      A tale scopo occorrerebbe predisporre un progetto di restauro in situ che, per la complessità operativa e tecnica, richiede notevoli tempi e costi di elaborazione, certamente non compatibili con l'attuale esigenza di tutela e salvaguardia delle emergenze archeologiche.
      È invece praticabile, come già nelle intenzioni della Soprintendenza, l'ipotesi di una valorizzazione dei risultati dello scavo archeologico attraverso la creazione di un Parco di archeologia sperimentale, che preveda la ricostruzione delle preesistenze in superficie.
      In tale prospettiva si sono attivate collaborazioni con Istituti di ricerca italiani ed esteri al fine di procedere allo studio delle migliaia di reperti recuperati (ceramica, reperti metallici, resti botanici e faunistici eccetera) premessa indispensabile per qualunque progetto di valorizzazione e musealizzazione.
      Proprio nell'intento di divulgare la conoscenza dell'importante insediamento protostorico, la Soprintendenza ha accolto la richiesta di esporre reperti provenienti nello scavo ad Halle, in Germania, presso il Museo nazionale della Preistoria, nell'ambito della mostra dal titolo «Le catastrofi sotto al Vesuvio» e ha intenzione di promuovere un programma di valorizzazione che coinvolga l'amministrazione locale.
Il Ministro per i beni e le attività culturali: Lorenzo Ornaghi.


      CARELLA, MADIA, TIDEI, MARCO CARRA, CAUSI e GRASSI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          in vista della realizzazione di un piano integrato nel comune di San Cesareo (Roma), durante l'esecuzione di saggi archeologici, sono rinvenuti resti di un complesso monumentale molto esteso e di grande importanza storico-archeologica, relativo probabilmente a una villa imperiale, forse proprio la grandiosa villa citata da illustri studiosi, nella quale si sarebbe trovato Massenzio il giorno in cui fu acclamato Augusto (306 dopo Cristo);
          ad oggi sono state individuate una decina di stanze che presentano pavimenti di rara bellezza, una imponente struttura muraria di circa 400 metri quadrati e, sta emergendo, dai sondaggi archeologici in corso, una grande struttura termale, il cui solo caldarium, occupa una superficie di 500 metri quadrati;
          secondo osservazioni di esponenti dell'opposizione al consiglio comunale di San Cesareo e attraverso un atto di sindacato ispettivo in regione Lazio del consigliere onorevole Mario Di Carlo, risulta che il «Piano integrato di intervento ai sensi della legge n.  172 del 1992» in località Pietrara con contestuale adozione di variante urbanistica adottato dal comune di San Cesareo e richiesto dalla società Due Gi. Immobiliare srl non garantirebbe la conservazione del sito archeologico nella sua interezza, rispetto alla sua presumibile entità e alla tipologia insediativa prevista dal piano; si prevede infatti l'edificazione di oltre 80 metri cubi tra edilizia residenziale, commerciale e una nuova chiesa;
          il piano zona integrato originariamente autorizzato (prima del ritrovamento della villa) prevedeva una edificazione di circa 27.335 metri cubi su un'area di 28.618 metri quadri (indice 0,95) le costruzioni previste dovevano essere alte al massimo metri 10,50;
          il piano di zona integrato autorizzato dopo il ritrovamento (quello in esecuzione) prevede una edificazione di circa 54.626 metri cubi su un'area di 34.566 metri quadri (indice 1,52 metri cubi) e le costruzioni previste saranno alte al massimo metri 18,50;
          in pratica la società Due Gi. Immobiliare srl avrebbe ottenuto con la variante un indice edificativo maggiorato del 57 per cento rispetto al precedente;
          non si comprende il ritardo a porre il vincolo di tutela al complesso monumentale da parte della sovrintendenza che rischia di produrre un danno grave ad un comune, quello di San Cesareo, che grazie a tale rinvenimenti potrebbe trasformarsi da semplice quartiere dormitorio di Roma a zona archeologica, con tutte le potenzialità che si possono trarre in termini di fruizione turistica, scientifica e didattica;
          il rinvenimento di tale villa, se tutelata e valorizzata nella sua interezza, può costituire per il comune di San Cesareo quell'elemento identitario che può avviare un percorso di recupero della memoria e di emancipazione culturale e sociale  –:
          se il Ministro non ritenga che il rinvenimento dell'importante sito archeologico non imponga urgentemente di porre il vincolo sulla zona in questione, la sospensione del progetto di edificazione e l'avvio di un percorso per la tutela e la valorizzazione del sito. (4-12540)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame con la quale l'interrogante chiede informazioni circa la realizzazione di un piano integrato nel comune di San Cesareo (Roma) nella zona in cui è avvenuto il rinvenimento di un importante sito archeologico, si osserva quanto segue.
      Nella località San Cesareo è iniziata, in attuazione del piano regolatore comunale, la realizzazione del piano integrato, che consiste nella realizzazione di edifici residenziali e di una chiesa, o, meglio, di quella che sarà la chiesa principale del comune di San Cesareo.
      La competente soprintendenza per i beni archeologici del Lazio ha, però, comunicato che durante l'esecuzione di saggi preventivi, antecedenti all'inizio della realizzazione del piano integrato, in località Petraia è stata portata alla luce una importantissima villa romana, probabilmente quella di Cesare e Massenzio, nonché un ninfeo monumentale.
      La predetta villa, importantissima dal punto di vista storico, si presenta, purtroppo, in larga parte in pessimo stato di conservazione e si dovrà, pertanto, provvedere al suo interro, ultimata la documentazione fotografica, proprio al fine di preservarla.
      Detta soluzione viene preferita alla creazione di un'area archeologica in quanto le strutture antiche rinvenute versano, come detto, per la maggior parte, in un pessimo stato di conservazione.
      Inoltre, secondo esperienza, gli Enti locali – dopo un iniziale entusiasmo – manifestano solitamente crescenti difficoltà nel reperire i fondi per la manutenzione ordinaria e straordinaria dei siti archeologici nonché per la loro protezione dagli atti di vandalismo o dai furti. Questa considerazione vale nella generalità dei casi, senza alcun particolare riferimento al caso di specie, dovendosi, anzi, dare atto della grande sensibilità e della massima disponibilità dimostrate dal immune di San Cesareo, ma l'esperienza in materia ha costituito elemento determinante affinché la preposta soprintendenza prescrivesse l'interro.
      Sempre in merito alla salvaguardia del sito, inoltre, la soprintendenza ha avanzato alla competente direzione regionale una proposta di vincolo diretto, con nota n.  12894 del 4 ottobre 2011, e, con nota n.  14346 del 31 ottobre 2011, una proposta di vincolo indiretto, al fine, appunto, di porre in essere tutte le forme di tutela possibili del bene rinvenuto.
      La Direzione regionale, con apposito decreto del 7 febbraio 2012 (emanato ex articolo 13 e seguenti del decreto legislativo n.  42 del 2004), ha adottato la dichiarazione d'interesse culturale dei beni archeologici rinvenuti.
      Inoltre, la stessa sta procedendo alla definizione delle prescrizioni di tutela indiretta, ex articolo 45 e seguenti del decreto legislativo n.  42 del 2004, in risposta alla sopra menzionata nota della soprintendenza per i beni archeologici del Lazio, che ha determinato l'avvio del procedimento in questione. Si fa presente, poi, che la direzione regionale non ha ritardato l'emanazione degli atti di propria competenza, quali l'adozione della dichiarazione dell'interesse culturale, né è possibile ravvisare un ritardo nell'operato della soprintendenza per i beni archeologici del Lazio, come invece asserito nell'interrogazione in esame.
      Difatti, il lasso temporale, intercorso tra l'inizio delle indagini archeologiche (avviate nel 2004) e l'emissione del decreto da parte della Direzione regionale (avvenuto nel febbraio del 2012), è stato determinato dalla necessità di acquisire sul campo tutte le informazioni scientifiche atte alla conoscenza dei rinvenimenti secondo metodologie di scavo archeologico (prevalentemente eseguito a mano), nonché dal rispetto delle disposizioni relative alla consultazione del Comitato tecnico scientifico di settore, alle comunicazioni di avvio del procedimento, alle eventuali osservazioni e relative controdeduzioni, alle notificazioni e agli altri adempimenti stabiliti ai sensi delle vigenti disposizioni di legge in materia di procedimento amministrativo.
      Infine, per quanto concerne il prosieguo della realizzazione del piano integrato, va evidenziato che i proponenti il predetto piano hanno sempre dimostrato collaborazione e rispetto verso le istanze della tutela dei beni archeologici rinvenuti e hanno dichiarato di essere disposti ad apporre ulteriori modifiche al piano così come a farsi carico dell'impegno economico per la valorizzazione dell'area archeologica, qualora la preposta Soprintendenza modificasse le proprie determinazioni.
Il Ministro per i beni e le attività culturali: Lorenzo Ornaghi.


      DI STANISLAO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          al 2011 sono 82 le istanze di permesso di ricerca e i permessi di ricerca di idrocarburi liquidi o gassosi in mare presentati al Ministero dello sviluppo economico. Sono invece 204 le istanze di ricerca e i permessi di ricerca in terra tra cui spiccano i 22 in Abruzzo che vanta il primato nel centro;
          una situazione estremamente allarmante che non trova spazio nei vari livelli istituzionali a partire dal Governo;
          oltre alle campagne mediatiche, alle manifestazioni plateali vanno necessariamente ed inevitabilmente affiancate azioni concrete nelle sedi competenti in primo luogo il Parlamento;
          per le singole istanze già autorizzate c’è ancora la possibilità di inviare osservazioni di contrarietà, come previsto dalle norme europee, secondo le quali l'opinione degli enti locali è vincolante qualora questi progetti prevedano un elevato impatto ambientale;
          occorre rivedere queste scelte legate alla localizzazione di reti per la ricerca e l'estrazione di gas e petrolio ed intervenire altresì, nel caso, per annullare ogni tipo di decisione presa e/o da prendere circa la petrolizzazione, con la quale rischiano di soccombere intere economie locali costruite e costituite da artigiani, piccole e medie imprese, esercizi turistici e attività commerciali e con il rischio che scompaiano precocemente tutte quelle aziende agricole che puntano sul biologico e sulla genuinità del prodotto enogastronomico;
          è evidente, dunque, che le trivellazioni non hanno alcun senso da ogni punto di vista compreso quello occupazionale. Una seria politica in linea con i recenti accordi internazionali sui cambiamenti climatici, a partire dal traguardo europeo al 2020 (20 per cento di risparmio energetico, 20 per cento di produzione energetica da fonti rinnovabili, 20 per cento di riduzione emissioni di CO2), consentirebbe infatti, secondo le stime della Commissione europea, un risparmio annuo fino a 8,5 miliardi di euro;
          la soluzione, pertanto, è data dalle energie rinnovabili, puntare su una politica energetica e per uno sviluppo economico ecosostenibili. In Italia puntare sulle fonti energetiche rinnovabili, ed in particolare su quella solare, eolica e geotermica, può rappresentare una straordinaria occasione per creare nuova occupazione e ridurre la dipendenza dalle importazioni di greggio, oltre a stimolare la ricerca e l'innovazione tecnologica. La strada da seguire è dunque quella di valorizzare le risorse naturali – sole, vento, acqua, biomasse e calore del sottosuolo – a seconda delle potenzialità locali  –:
          se non ritenga indispensabile avviare iniziative normative al fine di modificare la normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche e di permessi di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma e in mare;
          se intenda avviare il blocco dell’iter autorizzativo per tutte le istanze e di modificare la legislazione vigente prevedendo il divieto assoluto di ogni ulteriore installazione in tutta l'estensione del mare Adriatico di competenza nazionale;
          se il Governo non ritenga necessario farsi promotore, verso l'Unione europea, di una nuova normativa che preveda che non vengano installate piattaforme petrolifere in mare a una distanza dalla costa inferiore minimo a 160 chilometri, distanza applicata in altri Paesi e ritenuta misura fondamentale di sicurezza. (4-15246)

      Risposta. Con riferimento all'interrogazione in esame, in materia di conferimenti delle concessioni di coltivazione, prospezione e ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma ed in mare, sulla base degli elementi forniti dalla Direzione generale competente, si rappresenta quanto segue.
      Preliminarmente, occorre evidenziare che il conferimento dei titoli minerari avviene d'intesa con le regioni e gli enti locali interessati.
      Com’è noto, infatti, il rilascio della concessione ha luogo a seguito di un procedimento unico al quale partecipano le amministrazioni competenti ai sensi del comma 7, lettera n), dell'articolo 1 della legge n.  239 del 2004 recante norme in materia di riordino del settore energetico, e che esso viene svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità di cui alla legge n.  241 del 1990.
      Inoltre, l'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo n.  152 del 2006 (codice dell'ambiente), come modificato dal decreto legislativo n.  128 del 2010, ha fissato il divieto delle attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare «entro dodici miglia marine dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette, oltre che per i soli idrocarburi liquidi nella fascia marina compresa entro cinque miglia dalle linee di base delle acque territoriali lungo l'intero perimetro costiero nazionale al di fuori delle medesime aree. Le predette attività sono autorizzate previa sottoposizione alla procedura di valutazione di impatto ambientale di cui agli articoli 21 e seguenti del presente decreto, sentito il parere degli enti locali posti in un raggio di dodici miglia dalle aree marine e costiere interessate dalle attività di cui al primo periodo».
      Ciò posto, risulta evidente che, secondo la predetta normativa, gli enti locali potranno intervenire sia sulle istanze in corso che sui permessi già conferiti nell'ambito del relativo procedimento amministrativo.
      Per quanto concerne la salvaguardia dell'occupazione occorre rammentare che solitamente le attività di ricerca di idrocarburi portano una ingente ricaduta occupazionale sia in misura diretta in termini di offerta di specifiche competenze, sia indiretta in termini di indotto.
      A tal proposito, infatti, si evidenzia che, in Italia, nell'ultimo anno sono stati prodotti circa 8 miliardi di metri cubi di gas naturale e 4,5 milioni di tonnellate di petrolio, rispettivamente quasi il 10 per cento ed il 6 per cento di quanto viene consumato, e che tale risultato ha contribuito ad alleviare la fattura energetica del nostro Paese.
      Inoltre, la ricerca e la produzione di idrocarburi hanno determinato importanti investimenti e creato occupazione sia nelle attività specifiche, sia nelle attività indotte (per esempio la perforazione dei pozzi, la progettazione e la costruzione di impianti, piattaforme offshore, condotte per il trasporto, turbine, compressori, la fornitura di prodotti e servizi) per le quali le imprese industriali italiane si collocano tra i leader globali, con un fatturato stimato attorno ai 15 miliardi di euro/anno.
      I soli investimenti di ricerca e sviluppo pronti in attesa di autorizzazioni superano i 15 miliardi di euro e sono in grado di garantire 25.000 posti di lavoro stabili e addizionali, di ridurre la nostra bolletta energetica di importazione di oltre 6 miliardi l'anno (aumentando quindi il PIL di quasi mezzo punto percentuale) e di ricavare 2,5 miliardi di euro di entrate fiscali, sia nazionali che locali.
      In merito poi, al ricorso alle energie rinnovabili prospettato dall'interrogante, occorre evidenziare che il Ministero dello sviluppo economico condivide pienamente tale iniziativa, tuttavia entrambe le soluzioni risultano percorribili, in quanto l'una non esclude l'altra.
      Per quanto concerne, l'iniziativa normativa sollecitata dall'interrogante, giova evidenziare che prolifica risulta essere attualmente l'elaborazione e il dibattito parlamentare.
      Sull'argomento, infatti, diversi sono i disegni di legge A.S. 2267 (Vicari ed altri), A.S. 1507 (Li Gotti ed altri), A.S. 1920 (Bubbico ed altri) ed A.S. 1998 (Poli Bortone), che sono stati esaminati dalla competente X Commissione del Senato.
      Particolare rilievo assumono il disegno di legge A.S. 2267 proposto dai senatori Vicari, Gasparri, Quagliarello, Corsi, Piscitelli, Fantetit, Paravia, Ghigo, Cardiello e Casoli comunicato alla Presidenza il 7 luglio 2010 in tema di «Riforma della legislazione in materia di ricerca e produzione di idrocarburi», nonché l'iniziativa relativa all'istituzione di un’«Agenzia per le risorse minerarie ed energetiche e per la sicurezza delle attività estrattive» con contestuale delega al Governo per l'adozione di un testo unico delle disposizioni in materia di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi liquidi e gassosi.
      In particolare, il predetto testo unico prevede la necessità di:
          garantire i più elevati alti standard di sicurezza nello svolgimento delle attività di ricerca e produzione di idrocarburi in sotterraneo tramite nuove norme tecniche specifiche e un organismo tecnico specializzato di controllo unico per la terraferma e per il mare;
          incrementare la sicurezza degli approvvigionamenti mantenendo una quota di produzione nazionale di idrocarburi quanto più elevata possibile;
          aumentare gli investimenti e l'occupazione, garantendo procedure autorizzative chiare e snelle che consentano di procedere alla realizzazione dei progetti già individuati e finora non sviluppati;
          sviluppare l'eccellenza tecnologica delle imprese italiane, che si posizionano tra i leader mondiali nel settore delle perforazioni e della realizzazione di infrastrutture di produzione e di trasporto offshore (piattaforme e condotte sottomarine);
          assicurare, in linea con il federalismo fiscale, che le entrate specifiche (royalty) derivanti dalla produzione nazionale di idrocarburi siano destinate ai territori (regioni, comuni e cittadini) in cui avviene la coltivazione degli idrocarburi stessi;
          delegare il Governo ad emanare un testo unico delle norme di settore inteso a razionalizzare le procedure apportando le necessarie modifiche e integrazioni alle leggi vigenti, garantire i massimi standard di sicurezza ed emergenza modificando le norme specifiche di settore (decreto legislativo 25 novembre 1996, n.  624);
          istituire un'Agenzia di controllo e gestione delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi, presso il Ministero dello sviluppo economico definendone scopi e modalità gestionali ed organizzative.
      Con riguardo, infine, alla richiesta indirizzata dall'interrogante al Governo di farsi promotore verso l'Unione europea di una nuova normativa, che preveda misure di sicurezza sull'installazione di piattaforme petrolifere in mare, occorre sottolineare come risulta allo stato in fieri presso la Commissione europea una «Proposta di regolamento Europeo e del Consiglio sulla sicurezza delle attività offshore di prospezione, ricerca e produzione nel settore degli idrocarburi» i cui obiettivi generali sono quelli di ridurre i rischi di incidenti gravi nelle acque dell'Unione.
      Infatti, i contenuti della proposta di Regolamento sono mirati:
          a) alla prevenzione dei grandi rischi, attraverso l'individuazione dei principi generali per la gestione del rischio tra cui gli obblighi degli operatori nell'adozione di misure adeguate di prevenzione e la chiara responsabilità per danno ambientale. Inoltre, con particolare riferimento al rilascio delle autorizzazioni, si richiede alle Autorità nazionali competenti di valutare la capacità tecnica e finanziaria dei soggetti richiedenti in stretta relazione alla responsabilità per danni ambientali;
          b) alla preparazione e allo svolgimento delle attività offshore sulla base della valutazione del rischio, attraverso la previsione che gli operatori presentino alle autorità nazionali competenti la documentazione, corredata dai piani di emergenza interni, attestante che le attività verranno svolte secondo modalità adeguate al grado di rischio;
          c) al miglioramento del controllo dei grandi rischi, mediante la fissazione dei contenuti della documentazione che gli operatori devono presentare in merito alla «relazione sui grandi rischi» e all'organizzazione di un sistema di monitoraggio e gestione della sicurezza.

      Infine, si evidenzia che l'Italia risulta la prima nazione tra quelle europee che, nelle more dell'emanazione di nuove norme Ue, abbia posto già in essere delle misure immediate di tutela relativamente alle attività offshore, tra le quali vanno annoverate: la nomina di una commissione tecnica di valutazione dell'incidente Macondo (aprile 2010); l'adozione di prime misure di limitazione a nuove autorizzazioni offshore (aprile 2010); il rafforzamento delle misure di verifica delle capacità tecnico-economiche (aprile 2010); l'adozione di regole tecniche per il controllo dei rischi nelle perforazioni offshore (decreto ministeriale 4 marzo 2011).
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Claudio De Vincenti.


      DIMA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          secondo alcune notizie riportate dalla stampa regionale, Ferrovie dello Stato, in attuazione di alcuni provvedimenti di riorganizzazione e ristrutturazione dei propri servizi, avrebbe intenzione di sopprimere l'ufficio movimento e la biglietteria della stazione di Sibari, decretandone in questo modo la chiusura definitiva ed aggiungendo un ulteriore tassello, sicuramente il più importante, al piano di smantellamento dei servizi ferroviari che questa azienda sta attuando ai danni della Sibaritide e della Calabria;
          il taglio dei treni a lunga percorrenza, che sta penalizzando non poco i viaggiatori calabresi che si vedono costretti ad utilizzare anche più di una coincidenza ferroviaria per poter raggiungere il Nord Italia, la disorganizzazione esistente nel servizio fornito ai viaggiatori pendolari, che in alcuni casi, purtroppo sempre più diffusi, sono obbligati a ricorrere anche a servizi sostitutivi come l'autobus per raggiungere il proprio luogo di lavoro o di studio, il progressivo abbandono di qualsiasi forma di investimento sulla rete ferroviaria regionale che ha determinato un rallentamento nella definizione, e forse anche un annullamento, di qualsiasi ipotesi progettuale di prolungamento dell'alta velocità/alta capacità ferroviaria da Napoli fino a Reggio Calabria, unito allo stato critico in cui versa la linea ferroviaria ionica che non è elettrificata ed è ancora a binario unico e sulla quale si svolgono solo ordinarissimi interventi di manutenzione, sono la dimostrazione più evidente del disinteresse di Ferrovie dello Stato verso la Calabria ed i suoi problemi in materia di trasporto ferroviario;
          la ventilata chiusura della stazione di Sibari provocherebbe un vero e proprio danno ai cittadini di quel territorio sia per la funzione storica che ha svolto questa stazione nel corso dei decenni sia perché rappresenta uno snodo fondamentale del traffico ferroviario, dalla linea ionica verso quella tirrenica e la Puglia;
          l'atteggiamento di Ferrovie dello Stato nei confronti della Calabria e dei calabresi non può essere affatto condiviso perché, trattandosi di azienda pubblica, non è possibile che ponga in essere piani di ristrutturazione e di riorganizzazione basati esclusivamente su criteri di carattere economico senza privilegiare minimamente l'ottica del servizio pubblico  –:
          quali iniziative il Ministro interrogato intenda porre in essere per far sì che Ferrovie dello Stato in Calabria ed, in particolar modo, nella Sibaritide eviti di smantellare tutta una serie di servizi utili per i viaggiatori ed i cittadini. (4-14717)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
      La stazione ferroviaria di Sibari è ubicata sulla linea Metaponto-Reggio Calabria, da essa si dirama la linea Sibari-Cosenza, che costituisce stazione di origine delle corse di alcuni treni ed è sede di deposito locomotive.
      Attualmente un dirigente movimento è responsabile della circolazione dei treni coadiuvato da un deviatore per manovra scambi a mano. È previsto che la suddetta organizzazione debba durare fino all'attivazione del telecomando della stazione di Sibari, i cui lavori termineranno entro il 2012. Contestualmente avrà luogo anche il trasferimento della Dirigenza centrale operativa (Dco) di Cosenza, unitamente alla Dco di Catanzaro, presso la sede coordinamento Esercizio di Rete (coer) di Reggio Calabria.
      Tale processo di centralizzazione dei diversi sistemi di gestione in alcuni coer, avviato da Rete ferroviaria italiana, permette di coordinare, ottimizzare e rispondere in tempi rapidi alle esigenze dettate dalla gestione della circolazione.
      Tale processo, precisa la Società Rete ferroviaria italiana, si inquadra in un progetto riorganizzativo finalizzato all'efficientamento del servizio e delle risorse utilizzate e alla riduzione dei costi della gestione dell'infrastruttura ferroviaria, senza minimamente incidere sulla potenzialità dell'impianto e dei servizi resi e nel rispetto degli obiettivi di produttività, di sicurezza e di qualità della produzione e della puntualità.
      Un elemento fondamentale di tale progetto, tra gli altri, è la massimizzazione dei ritorni funzionali ed economici dell'evoluzione organizzativa e tecnologica, caratterizzata da una forte centralizzazione sia della gestione operativa della circolazione, sia del coordinamento e supervisione della stessa. Uno dei principali elementi qualificanti del sistema «centralizzato», oltre al più ottimale utilizzo dell'infrastruttura, specie in eventuali situazioni di criticità, è il miglioramento della sicurezza in piena congruenza con i più elevati standard normativi.
      Per completezza d'informazione, si comunica che analoga situazione è prevista per la stazione di Catanzaro lido: anche in quest'ultimo scalo ferroviario hanno origine molte corse e lo stesso è sede di deposito di locomotive. In concomitanza con l'attivazione del nuovo apparato centrale elettrico a pulsanti di itinerario (Acei), che sarà ultimato entro il mese di giugno 2012, verrà realizzato il telecomando dal Dco di Catanzaro lido.
      Si comunica, infine, che nel medio periodo non sono previsti ulteriori impresenziamenti di altre stazioni ferroviarie in Calabria.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Corrado Passera.


      EVANGELISTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          si avvicina la scadenza del periodo di mobilità per molti dei lavoratori della multinazionale americana Eaton, fissata al 15 dicembre 2011;
          risulta, dunque, prioritario cercare soluzioni condivise, di concerto con le istituzioni, i privati investitori e i lavoratori stessi, che possano garantire la tutela di un reddito accettabile per permettere alle famiglie coinvolte una vita dignitosa;
          la regione Toscana intende proseguire un percorso che la vede soggetto attivo per la ricerca di una soluzione e che si è detta favorevole a offrire un sostegno economico ai lavoratori e a confermare il proprio impegno a tutelare lo sviluppo economico e industriale del territorio;
          resta irrisolto il problema della bonifica dell'area Eaton, requisito fondamentale per lanciare uno sviluppo industriale serio;
          l'interrogante ha già presentato altri due atti di sindacato ispettivo (4-08063 e 4-01242) sulla stesso argomento  –:
          quali siano le iniziative che intenda adottare per un urgente impegno riguardo alla rapida sottoscrizione dell'accordo di programma per Massa;
          se non ritenga di verificare se esistano soggetti imprenditoriali seri interessati a un progetto di reindustrializzazione credibile;
          se intenda valutare l'adozione di iniziative di competenza volte a risolvere il problema della bonifica, che rischia di diventare un ulteriore ostacolo a ogni progetto di rilancio dell'area citata in premessa. (4-14210)

      Risposta. — Il Ministero dello sviluppo economico ha seguito con molta attenzione l'evolversi della crisi che ha interessato la società Eaton automotive srl e la relativa – attività di reindustrializzazione che la citata Amministrazione sta promuovendo nell'area di Massa e Carrara.
      Il Ministero, già da qualche tempo ha aperto un tavolo di confronto con l'obiettivo di consentire la ricerca di una soluzione condivisa il più possibile e meno traumatica sia dal punto di vista produttivo che occupazionale per l'azienda in oggetto.

      In tal senso questa la direzione competente ha effettuato un'analisi della situazione e delle principali problematiche della zona anche in coordinamento con i soggetti interessati, istituzionali e sociali, ed ha concordato di avviare un percorso per il rilancio industriale dell'area di Massa Carrara, dando così una prima risposta all'attuale situazione di crisi produttiva-occupazionale.
      Il percorso attivato consentirà di mettere in azione strumenti per la reindustrializzazione e il consolidamento delle attività produttive.
      Al momento la vertenza è seguita a livello locale con un tavolo di confronto presso la regione Toscana, che sta valutando ipotesi sia di reimpiego dei lavoratori ex Eaton che di ripresa produttiva dell'area.
      Il confronto locale e nazionale sta affrontando in particolare le problematiche dell'azienda Eaton unitamente a quelle della nuovi cantieri apuania.
      Nei giorni scorsi si è tenuto un incontro, nell'ambito del quale, Invitalia e il Ministero dello sviluppo economico si sono riservati di valutare eventuali altre manifestazioni d'interesse per investimenti in grado di creare occupazione nell'area di crisi individuata ai sensi dell'articolo 2 della legge n.  99 del 2009 nell'area di Massa e Carrara attuando la legge n.  181 del 1989.
      Il rappresentante del Ministero ha ribadito in più occasioni che presterà la massima attenzione per favorire la positiva soluzione di una vertenza così rilevante per il territorio toscano e con la dovuta cura aggiornerà questa nota alla luce dei futuri sviluppi.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Claudio De Vincenti.


      JANNONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          le adsl italiane stanno peggiorando, a causa dell'aumento del divario tra la velocità promessa e quella reale. Lo afferma uno studio di SosTariffe basato su 200mila test effettuati dagli utenti nel corso del 2011. Le adsl più comuni, quelle a 7 megabit, arrivano in media a 3,75 Mbps contro i 4 Mbps del 2010. Più deludenti, in proporzione, le adsl 20 megabit: si fermano a 7 Mbps, con una certa variabilità geografica. Più fortunati gli utenti delle province di Trieste (4,864 Mbps), Genova (4,348 Mbps), Cagliari (4,484 Mbps), Livorno (4,453 Mbps) e Aosta (4,294). Al contrario, le peggiori velocità sono registrate nelle province di Crotone (2,725 Mbps), Ragusa (3,125 Mbps), Teramo (3,184 Mbps), Rieti (3,098 Mbps) e Asti (3,312 Mbps). Il quadro è quello di un digital divide invisibile: la zona dove si abita incide sulle prestazioni a cui si può aspirare. Dipende dalla qualità delle infrastrutture in fibra ottica presenti nel sottosuolo. L'Italia ha un record di lentezza, lo dice anche l'ultimo rapporto Akamai sullo stato di internet. L'Italia è il Paese europeo con il maggior numero di connessioni lente (0,9 per cento a meno di 256 Kbps reali). L'85 per cento delle connessioni italiane supera la velocità di 2 Mbps, ma solo l'11 per cento supera i 5 Mbps;
          lo studio di SosTariffe è un termometro interessante; l'Autorità garante delle comunicazioni aveva in programma di realizzare un quadro delle prestazioni, con proprie sonde di test disseminate lungo la rete italiana, ma il progetto si è fermato a quattro regioni. «Contiamo anche di pubblicare statistiche nazionali basate sui test fatti dagli utenti con il nostro Misura Internet», dicono da Agcom. «Finora non l'abbiamo fatto perché gli operatori si oppongono, accampando motivi di privacy. Ma miriamo a farlo entro febbraio». Misura Internet è appunto il test ufficiale dell'Agcom che si può eseguire quando si sospetta di andare troppo lenti su internet con l'adsl. Se i risultati sono inferiori alle promesse del nostro operatore, il test autorizza formalmente a inviargli una raccomandata di protesta. Se la situazione non migliora, si può fare un secondo test che eventualmente dà il diritto a una disdetta gratuita (risparmiando circa 40 euro). «Entro novembre uscirà la versione 2.0 del test», annunciano da Agcom. La miglioria è che «adesso non si blocca più quando rileva un minimo traffico Internet da alcune applicazioni attive sul computer dell'utente. Riesce a fare la misura al netto di quel traffico»;
          purtroppo però gli operatori hanno trovato un escamotage: promettere una velocità piuttosto ridotta, così da non incappare nella cesoia del test. Le adsl 7 megabit hanno un minimo garantito di 2,1-2,5 Mbps, quelle a 20 megabit circa 5 Mbps; sono ben inferiori alle medie riportate da SosTariffe, che pure possono essere deludenti, visto che arrivano a metà della velocità reclamizzata. Né si può sperare, ragionevolmente, di andare più veloci con la banda larga mobile umts/hspa, nonostante velocità reclamizzate fino a 28 Mbps. In media la banda larga mobile va più lenta di una 7 megabit, infatti, con prestazioni peraltro piuttosto altalenanti e imprevedibili a seconda dell'ora e del giorno. È un'opzione valida solo se ci si trova in una zona dove l'adsl non riesce ad arrivare nemmeno a 2 Mbps. In altre parole, se l'adsl va come la media di SosTariffe, non si ha diritto ufficiale a protestare. Si può solo cambiare operatore, scegliendo un'offerta più cara, magari a 20 megabit (tutto sommato quasi il doppio più veloci di quelle a 7 megabit)  –:
          quali iniziative di competenza il Ministro intenda adottare al fine di promuovere la realizzazione di una rete di banda larga, altamente efficiente e con costi contenuti per i fruitori, su tutto il territorio nazionale. (4-14080)

      Risposta. — Gli investimenti in infrastrutture di comunicazione, specialmente per espandere l'accesso a banda larga e ultralarga, rappresentano uno strumento utile per creare lavoro e fornire le fondamenta per una sostenibilità economica e una crescita a lungo termine di un Paese.
      La cabina di regia di cui all'articolo 47 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n.  5, convertito in legge con modificazioni dalla legge 4 aprile 2012, n.  35, è volta a definire una strategia italiana per lo sviluppo del Paese puntando sull'economia digitale. Gli obiettivi della citata cabina ricalcano le azioni definite nell'iniziativa faro – «digital agenda» all'interno della strategia europea EU2020, al fine di trarre vantaggi socioeconomici sostenibili da un mercato unico del digitale basato sull’internet veloce e superveloce e su applicazioni interoperabili, garantendo a tutti l'accesso alla banda larga entro il 2013 e l'accesso a velocità di internet nettamente superiori (30 Mbps o più) entro il 2020, e assicurando che almeno il 50 per cento delle famiglie europee si abboni a connessioni internet di oltre 100 Mbps.
      L'Italia in questo senso sta compiendo un notevole sforzo, inserendo fra le priorità dell'azione di Governo il completamento del Piano nazionale banda larga, per garantire a tutti i cittadini italiani la possibilità di connettersi a internet a una velocità di almeno 2 Mbps.
      Per altro verso, il «Progetto strategico agenda digitale italiana» per la realizzazione della banda ultralarga, (articolo 30 del decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n.  111) è ora all'attenzione della Commissione europea ed è stato sottoposto, sino al 15 gennaio 2012, a consultazione pubblica, riscuotendo grande interesse da parte del mercato, delle associazioni di categoria, delle regioni e degli enti locali.
      Il medesimo Progetto contiene anche una misura concernente la realizzazione di data center volti ad assicurare l'esecuzione decentralizzata delle applicazioni più importanti e innovative sia da parte del mondo delle imprese, sia da quello della Pubblica amministrazione che potrà così essere definitivamente dematerializzata.
      Grazie al Piano azione e coesione, inoltre, quasi 450 milioni di euro saranno dedicati allo sviluppo della banda ultralarga, un progetto meritevole di essere considerato una best practice europea sia in termini di obiettivi, sia nelle modalità di intervento e coordinamento.
      Infine, per lo sviluppo della larga banda un passaggio fondamentale è stato lo svolgimento della gara sulle cosiddette frequenze 4G. L'articolo 1, commi 8-12, della legge di stabilità per il 2011 ha previsto lo svolgimento di una procedura di gara per l'assegnazione dei diritti d'uso di frequenze relative alla banda 800 MHz, da destinare a servizi di comunicazione elettronica mobili in banda larga, oltre che delle altre frequenze disponibili (frequenze in banda 1800 Mhz, 2000 Mhz, 2600 Mhz), per un totale di circa 300 MHz.
      La gara si è conclusa il 29 settembre 2011 con l'aggiudicazione dei lotti di frequenze messe a gara a favore delle società Telecom Italia spa, Vodafone Omnitel N.V, Wind Telecomunicazioni spa ed H3g spa. Queste frequenze serviranno a sviluppare in particolare le tecnologie lte (long term evolution) che sicuramente costituiscono un fattore chiave non solo per lo sviluppo della larga banda ma dell'intero Paese, considerando la rapida crescita del numero di utenti dei servizi di comunicazione mobile e la possibilità di fruire, con essa, di numerosi servizi innovativi volti a migliorare la qualità della vita di tutti i giorni.
      Da quanto precede è facile rilevare che al momento il Governo è impegnato ad utilizzare in pieno tutte le potenzialità che offre l'attuazione dell'agenda digitale, con attenzione specifica ai profili di crescita e innovazione ad essa collegati.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Massimo Vari.


      MANCUSO, DE LUCA, BARANI e CICCIOLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          l'industria fotovoltaica italiana contribuisce al PIL per il 2 per cento;
          l'industria fotovoltaica italiana ha superato quest'anno gli obiettivi di produzione fissati al 2020 dal Piano d'azione nazionale per le energie rinnovabili (8 mila Mwp);
          l'Italia si avvia a essere il primo mercato al mondo per potenza fotovoltaica installata nel 2011;
          gli incentivi statali per le energie rinnovabili vanno considerate come un investimento e non come un costo;
          manca una legislazione chiara di tali incentivi e della loro quantificazione e questo mette in ovvia difficoltà il settore;
          il costo del sistema di incentivazione del settore delle energie rinnovabili, nel 2010, è stato di 826 milioni di euro;
          gli oneri A3, relativi alla promozione delle fonti rinnovabili, complessivamente pagati dai consumatori in bolletta ammontano a circa 6 miliardi di euro l'anno;
          gli investimenti in tecnologia fotovoltaica, di origine prevalentemente privata, nel 2010 sono ammontati a circa 10 miliardi di euro;
          gli introiti per le casse dello Stato generati da tutti i componenti della filiera fotovoltaica, nel 2010, sono ammontati a quasi 4 miliardi di Euro;
          gli incentivi incidono in bolletta solo per 2015 e, nel momento in cui il settore andrà a regime, diverrà finanziariamente autonomo;
          il settore fotovoltaico ha creato occupazione per circa 20mila persone;

      il 70 per cento del reddito generato dalla filiera industriale fotovoltaica resta in Italia  –:
          se il Governo intenda chiarire la normativa degli incentivi sulle energie alternative, anche in prospettiva;
          quali azioni il Governo intenda mettere in atto al fine di incentivare la ricerca e l'utilizzo, da parte del consumatore finale, delle tecnologie di produzione di energie rinnovabili. (4-14071)

      Risposta. — L'interrogante rileva come l'industria fotovoltaica italiana quest'anno abbia superato gli obiettivi produttivi fissati dal Pan (Piano di azione nazionale per le energie rinnovabili) al 2020 e il nostro Paese risulterà il primo mercato al mondo per potenza fotovoltaica installata nel 2011, ma ci chiede di chiarire la normativa degli incentivi sulle energie alternative e di specificare quali azioni si intendano mettere in atto al fine di incentivare la ricerca e l'utilizzo, da parte del consumatore finale, delle tecnologie di produzione di energie rinnovabili.
      Al riguardo, si specifica che la Direttiva 2009/28/CE ha stabilito per l'Italia un obiettivo del 17 per cento di consumo di energia da fonti rinnovabili sul complessivo consumo energetico al 2020.
      La Direttiva è stata recepita con decreto legislativo n.  28 del 3 marzo 2011 che, perseguendo il duplice obiettivo di incrementare la produzione di energia da fonti rinnovabili e di ridurre gli oneri specifici di incentivazione a carico dei consumatori finali, prevede criteri e strumenti che promuovano l'efficacia, l'efficienza, la semplificazione e la stabilità nel tempo dei sistemi di incentivazione per le fonti energetiche rinnovabili.
      La rimodulazione degli incentivi relativi al fotovoltaico è prevista dall'articolo 25, comma 10, del citato decreto legislativo, ed è stata in prima attuazione disciplinata dal decreto interministeriale 5 maggio 2011 (cosiddetto IV conto energia) che definisce i criteri per incentivare la produzione di energia elettrica da impianti solari fotovoltaici e lo sviluppo di tecnologie innovative per la conversione fotovoltaica. Tale decreto prevede, inoltre, all'articolo 2, comma 3, che al raggiungimento del minore dei valori di costo indicativo cumulato annuo (6 miliardi di euro/anno) possono essere riviste le modalità di incentivazione del fotovoltaico «favorendo in ogni caso l'ulteriore sviluppo del settore». Altri criteri da rispettare nella decretazione di nuovi livelli di incentivazione per il fotovoltaico attengono alla necessità di considerare la riduzione dei costi delle tecnologie e dei costi d'impianto e gli incentivi applicati negli stati membri dell'Unione europea.
      I criteri specifici per la revisione degli incentivi per le altre fonti rinnovabili sono previsti dall'articolo 24 del medesimo decreto legislativo. I nuovi incentivi si applicheranno agli impianti che entrano in esercizio dopo il 2012.
      Gli schemi dei due decreti attuativi, recanti, rispettivamente, la definizione dei nuovi incentivi per il fotovoltaico (cosiddetto quinto conto energia) e per le rinnovabili elettriche non fotovoltaiche, sono stati concordati dai Ministeri concertanti e sono attualmente all'esame dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas e della Conferenza unificata per i prescritti pareri.
      L'obiettivo che il Governo ha seguito nella predisposizione dei due schemi di decreto è quello di sostenere lo sviluppo delle energie rinnovabili con un approccio alla crescita virtuoso, basato sull'efficienza dei costi e sulla massimizzazione del ritorno economico e ambientale per il Paese, in maniera da ridurre il peso dell'incentivazione sulle bollette energetiche delle imprese e dei cittadini. Il Governo, parallelamente, sosterrà in maniera adeguata anche lo sviluppo delle rinnovabili termiche e dell'efficienza energetica che costituiscono modalità particolarmente efficienti sotto il profilo economico per il raggiungimento degli obiettivi stabiliti al 2020.
      È da rilevare infatti che fino ad oggi il ritorno economico sulla filiera italiana dei consistenti investimenti, finanziati attraverso gli incentivi, non è stato ottimale, a causa della forte spinta su tecnologie dove l'Italia non ha una leadership industriale e della notevole e rapida diminuzione dei costi delle tecnologie delle rinnovabili grazie al progresso tecnologico, che avrebbe permesso di ottenere lo stesso parco tecnologico con costi di incentivazione più contenuti.
      In considerazione di ciò il mix delle fonti energetiche rinnovabili sarà definito in maniera da privilegiare:
          le tecnologie maggiormente vantaggiose in termini di più basso costo unitario;
          le soluzioni con un minore impatto ambientale;
          le più ampie ricadute sulla filiera economica nazionale.

      In considerazione delle esigenze di bilanciamento e di diversificazione delle fonti energetiche, si ritiene di poter innalzare il target di energia rinnovabile incentivabile a 120 TWh, anche se i nuovi incentivi dovranno essere necessariamente inferiori ai precedenti, per garantire la sostenibilità economica di questo sistema e per creare una convergenza con i valori medi degli incentivi europei nel settore.
      L'obiettivo di garantire la prevedibilità degli oneri sarà perseguito anche attraverso la definizione e l'applicazione di specifici meccanismi che permettano di tenere sotto controllo i volumi produttivi e le relative spese.
      Si fa presente infine, con riferimento all'aumento della quota di consumo di energia da fonti rinnovabili, che lo stato di avanzamento complessivo per il raggiungimento degli obiettivi stabiliti al 2020 è ampiamente positivo: al 2010 il nostro Paese aveva già superato il 10 per cento di copertura energetica da fonti rinnovabili. In particolare, nel settore elettrico l'Italia è ampiamente in anticipo rispetto agli obiettivi fissati, essendo già arrivata a fine 2011 a una capacità installata equivalente a 94 TWh/anno, rispetto ai 100 TWh/anno stabiliti come obiettivo al 2020.
      Risulta positivo anche l'andamento dei settori calore e trasporti (il primo, da 8,2 per cento nel 2009 a 9,5 per cento nel 2010; il secondo, da 3,8 per cento nel 2009 a 4,8 per cento nel 2010) così come i risultati relativi all'efficienza energetica, per la quale l'obiettivo stabilito al 2010 è stato addirittura superato (risparmi consuntivati per 47,8 TWh/anno, contro obiettivo di 35,6 TWh/anno).
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Claudio De Vincenti.


      MARMO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          Trenitalia ha recentemente proceduto ad una complessiva riorganizzazione dei collegamenti ferroviari, potenziando le linee ad alta velocità e penalizzando i collegamenti locali, quelli notturni e a lunga percorrenza che mettono in comunicazione il Nord con il Sud del Paese;
          il piano predisposto ha puntato unicamente sul taglio delle tratte poco redditizie, senza coniugare tale esigenza con il dovere di garantire un adeguato servizio di trasporto alle persone che usano i treni per recarsi al lavoro e a coloro che versano in condizioni di difficoltà economica, tale da non potersi permettere i più onerosi collegamenti ad alta velocità;
          Trenitalia ha disposto la soppressione di numerose fermate sia per i treni ad alta velocità, come gli Eurostar, sia per gli Intercity, senza considerare le conseguenze sui collegamenti regionali ad essi integrati;
          questi provvedimenti hanno di fatto scaricato ulteriori problemi sulle regioni, già in seria difficoltà per i tagli al trasporto pubblico locale;
          la soppressione dei treni notturni e di altri treni a lunga percorrenza ha avuto serie conseguenze sul traffico che collega il Nord al Sud del Paese;
          nel 2005 i treni circolanti da Nord a Sud e viceversa erano 56 ed in seguito ai tagli decisi da Trenitalia sono stati ridotti a 10 nonostante la domanda si sia mantenuta sostanzialmente alta;
          tale riduzione ha penalizzato in maniera pesantissima chi, non potendo accedere ai treni ad alta velocità, usufruiva del servizio di collegamento notturno;
          il taglio dei treni notturni ha prodotto una crisi occupazionale per decine di lavoratori che, a seguito dei provvedimenti adottati dall'azienda, rischiano di perdere il proprio posto di lavoro;
          l'unico treno notturno che collega Torino alla Capitale è quasi sempre sovraffollato, i convogli non sono adeguatamente mantenuti e il livello di pulizia è bassissimo;
          il trasporto pubblico locale su rotaia è in grande crisi in quasi ogni parte del Paese. Sono trecentocinquantamila i pendolari che ogni giorno, in condizioni disagevoli, raggiungono la capitale sui treni che viaggiano su otto linee regionali delle Ferrovie dello Stato italiane;
          sono ormai tantissime le proteste delle organizzazioni che tutelano i diritti dei viaggiatori che lamentano quotidianamente la carenza di convogli, la scarsa manutenzione e la carente pulizia degli stessi;
          tale situazione è comune a tutti i grandi centri urbani dove si concentra il pendolarismo e interessa anche i pochissimi collegamenti notturni tra le regioni settentrionali e il resto del Paese e viceversa  –:
          quali iniziative ritenga opportuno assumere affinché Trenitalia riveda le scelte recentemente adottate, ripristinando un numero adeguato alla domanda di corse notturne e garantendo adeguati standard di manutenzione e di pulizia dei convogli e quali iniziative il Ministro intenda adottare per far sì che Trenitalia moduli l'organizzazione dei collegamenti ferroviari in base alle esigenze dell'utenza del trasporto locale e garantisca una maggiore disponibilità di corse e di convogli per il trasporto dei pendolari. (4-15343)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
      Nell'ambito del «servizio universale», teso a garantire il diritto alla mobilità, rientrano quei servizi, tra cui i treni «notte», che per poter essere effettuati necessitano di un corrispettivo, definito nell'ambito di un contratto di servizio nazionale (2009-2014), in quanto presentano un conto economico negativo.
      Al riguardo, Trenitalia, nel 2011 ha registrato una perdita complessiva di rilevante entità nonostante i corrispettivi, derivante principalmente dal forte calo della domanda del servizio universale e dalla conseguente contrazione dei ricavi. In tale ottica, con l'orario in vigore dal mese di dicembre 2011, ferme restando le tratte servite, si è reso necessario procedere ad una riduzione della percorrenza dei treni notte più costosi e meno frequentati.
      Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ben consapevole dei conseguenti, disagi arrecati agli utenti, sta procedendo, a risorse invariate, nell'ambito dell'aggiornamento del secondo periodo contrattuale (2012-2014), ad una verifica della fattibilità tecnica di un prolungamento di alcuni collegamenti provenienti dal Sud, attualmente attestati a Roma e a Bologna, da rendersi eventualmente operativo a breve.
      Circa la pulizia a bordo treno, proprio allo scopo di elevare lo standard di pulizia dei rotabili risultato insoddisfacente, Trenitalia, già dal 2008, ha bandito nuove gare d'appalto, per alcune delle quali il subentro dei nuovi fornitori è tuttora in corso, basate su capitolati più rigorosi, nel tentativo di migliorare la qualità del servizio.
      Per quanto attiene, poi, ai servizi ferroviari regionali si evidenzia che le competenze in materia di programmazione ed amministrazione degli stessi sono state trasferite alle regioni ai sensi del decreto legislativo n.  422 del 1997.
      Si evidenzia, altresì, che la problematica del ripristino delle risorse da attribuire alle regioni per il trasporto pubblico locale, anche ferroviario, è all'attenzione di questo Governo: infatti con l'articolo 30, comma 3, del decreto-legge n.  201 del 2011 e relativa legge di conversione, è stato elevato a 1200 milioni di euro, a decorrere dall'anno 2012, la disponibilità sul fondo per il finanziamento del trasporto pubblico locale di cui all'articolo 21, comma 3, del decreto-legge n.  98 del 2011 e sua legge di conversione.
      Si segnala, infine, l'accordo tra Governo, regioni e comuni del 21 dicembre 2011 sulle ulteriori risorse da destinare al trasporto locale, sulla base del quale è in corso con le regioni e gli enti locali un tavolo tecnico per la sottoscrizione del «patto per il tpl» e dei servizi ferroviari regionali volto ad efficientare e razionalizzare il settore.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Corrado Passera.


      OLIVERIO e LARATTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la regione Calabria si era impegnata ad avviare ogni azione necessaria all'ammodernamento della ferrovia jonica – Sibari, Crotone, Reggio Calabria – attraverso l'eventuale stipula di specifici accordi di programma quadro per i fondi europei 2007/2013, tra la regione stessa, il Governo e le Ferrovie in modo d'inserire tale obiettivo tra le priorità della programmazione dei fondi stessi;
          il nuovo piano d'impresa delle Ferrovie, invece, non prevede alcun investimento sul trasporto ferroviario della linea jonica, dimostrando una scarsa informazione sulla domanda di mobilità e poca attenzione ai bisogni del territorio; la sensazione è che Trenitalia sia maggiormente preoccupata degli aspetti economici delle proprie scelte e accetti pertanto il rischio di causare il sostanziale isolamento del territorio jonico;
          il Governo aveva dichiarato di volersi adoperare, attraverso lo stanziamento di 10 miliardi di euro, per migliorare il sistema infrastrutturale del sud, ma questa disattenzione nei confronti delle infrastrutture ferroviarie sembra smentire quanto annunciato, con un'ingiustificata penalizzazione di oltre un milione e mezzo di cittadini;
          recentemente Trenitalia ha disposto la soppressione dei seguenti treni a lunga percorrenza:
              a) treno n.  618 IC Crotone-Milano, partenza da Crotone ore 06.00, arrivo a Milano ore 20.20;
              b) treno n.  615 IC Milano-Crotone, partenza da Milano ore 09.45, arrivo a Crotone ore 23.59;
              c) treno n.  782 IC notte con doppia sezione per viaggiatori diretti a Milano e Torino;
              d) treno n.  785 IC notte, partenza da Milano ore 23.00 e diretto a Crotone e Reggio Calabria;
              e) treno n.  954, relazione per Roma Termini via Crotone, Sibari e Metaponto;
          il servizio dei treni soppressi è effettuato con corse sostitutive di pullman che non garantiscono lo stesso livello qualitativo del treno e penalizzano l'intero personale di servizio della stazione di Crotone: 50 lavoratori, di cui 12 in cassa integrazione guadagni straordinaria;
          i treni che Trenitalia ha deciso di cancellare potrebbero essere sostituiti con il materiale ferroviario attualmente fermo a causa dell'interruzione, per il crollo di un ponte, della linea ferroviaria Catanzaro Lido-Lametia Terme Centrale;
          in questo modo si potrebbe garantire il collegamento, utilizzando la linea Sibari-Taranto-Bari, dell'area jonica con i treni diretti al nord; di conseguenza Trenitalia potrebbe avviare i seguenti interventi:
              a) sostituzione dell'attuale autocorsa sostitutiva con partenza da Crotone ore 4.45 per Sibari;
              b) sostituzione dell'attuale autocorsa sostitutiva con partenza da Crotone ore 5.00 ed in coincidenza con l'eurostar diretto a Milano n.  9822;
              c) proseguimento automotrice n.  3740 con arrivo a Crotone alle ore 8.10 per coincidenza eurostar diretto a Milano n.  9830 e partenza da Bari ore 15.43;
              d) proseguimento automotrice n.  3730 da Sibari fino a Taranto per coincidenza treno IC 752 diretto a Bologna  –:
          se il Ministro interrogato intenda promuovere, per quanto di competenza, tavolo di concertazione con la partecipazione di Trenitalia e della regione Calabria per modificare ed integrare l'offerta di trasporto ferroviario lungo la dorsale jonica sulla base delle esigenze segnalate in premessa, avendo cura di individuare la stazione di Crotone come punto di attestazione dei convogli al fine di garantire l'occupazione del personale ferroviario e del personale addetto al servizio di pulizia. (4-14864)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
      Come è noto, nell'ambito del trasporto ferroviario, il «servizio universale», teso a garantire il diritto alla mobilità, comprende quei treni di media/lunga percorrenza, di cui fanno parte quelli della Sicilia e buona parte di quelli della Calabria, che per poter essere effettuati necessitano di una contribuzione pubblica, definita nell'ambito di un contratto di servizio nazionale, in quanto presentano un conto economico negativo.
      L'offerta ferroviaria assicurata dal contratto di servizio pubblico, sottoscritto tra Trenitalia, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed il Ministero dell'economia e delle finanze, valido per il 2009-2014, garantisce i collegamenti necessari alla continuità territoriale di aree collocate nel sud del Paese con il territorio nazionale, caratterizzati da una domanda particolarmente debole e quindi da un elevato differenziale tra costi e ricavi.
      In attesa di una eventuale riperimetrazione dei servizi contribuiti, il vettore ferroviario ha ritenuto di tener conto delle perdite evidenziate nell'ultimo periodo, che si attestano a circa 134 milioni di euro per l'anno 2011.
      Pertanto, in assenza di risorse aggiuntive da parte dello Stato, con il nuovo orario per il 2012, è stato definito e attuato un programma di rimodulazione dei collegamenti di servizio universale che consente di avviare un percorso di riequilibrio economico del contratto.
      Tale rimodulazione dell'offerta per quanto riguarda, in particolare, i collegamenti che percorrono la direttrice adriatica, ha previsto l'attestamento a Bologna degli Intercity notturni e diurni (tra cui la coppia di Intercity diurni Crotone-Sibari-Taranto-Milano e viceversa, espressamente citata dall'interrogante), da dove è possibile proseguire per le destinazioni finali del Nord, peraltro, con una sensibile riduzione dei tempi di percorrenza, attraverso molteplici soluzioni con interscambio, a prezzi particolarmente agevolati per la clientela che utilizza i treni notturni unitamente ai treni alta velocità (offerta notte+alta velocità); il collegamento Crotone-Taranto (e viceversa) è assicurato da un servizio gommato.
      Inoltre, è stata prevista la soppressione di alcuni treni che presentavano frequentazioni estremamente basse, come la coppia di Intercity notte R. Calabria-Bari-Milano (e viceversa) via jonica con sezione da e per Torino e la coppia di espressi notte Lecce-Roma (via Potenza), con sezione da e per Catanzaro Lido-Metaponto e dei collegamenti notturni periodici (effettuati solo in alcuni giorni o brevi periodi dell'anno).
      Peraltro, questo Governo, ben consapevole dei conseguenti disagi arrecati agli utenti, sta procedendo, a risorse invariate, nell'ambito dell'aggiornamento del secondo periodo contrattuale (2012-2014), ad una verifica della fattibilità tecnica di un prolungamento di alcuni collegamenti provenienti dal Sud, attualmente attestati a Roma e a Bologna, da rendersi eventualmente operativo a breve.
      In merito, infine, al servizio regionale, si segnala che la relativa programmazione e gestione è di competenza delle singole regioni, i cui rapporti con Trenitalia sono disciplinati da specifici contratti di servizio, nell'ambito dei quali vengono definiti il volume e le caratteristiche dei servizi da effettuare, sulla base delle risorse economiche rese disponibili.
      Infine, per quanto concerne i risvolti occupazionali della stazione ferroviaria di Crotone, Trenitalia ha evidenziato che essi dipendono dal volume di traffico ferroviario esistente.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Corrado Passera.


      OLIVERIO e LARATTA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          in località Marinella, comune di Isola Capo Rizzuto (Crotone), non viene più consegnata la posta da lungo tempo;
          già nel corso del 2011 si sono susseguiti lunghi periodi di isolamento telefonico e di rete internet causati dai furti dei cavi di rame, ma ora il servizio postale non funziona in alcun modo;
          chi si reca al locale ufficio postale del comune di Isola Capo Rizzuto per ritirare la posta destinata a residenti della popolosa località Marinella, riceve sempre un secco rifiuto dal personale tutto in quanto la posta in giacenza è ormai troppa;
          del disservizio è stata già informata la locale stazione dei carabinieri di Isola Di Capo Rizzuto;
          del fatto è interessato il prefetto e sono state informate Poste italiane tramite reclami scritti e proteste;
          tutto questo sta creando notevolissimi disagi ai cittadini, impossibilitati a ritirare non solo la normale corrispondenza, ma anche documenti, ricevute, fatture  –:
          se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
          cosa intenda fare, nei limiti della sua competenza, perché Poste Italiane intervenga con urgenza per superare le attualità difficoltà. (4-14971)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, riguardante i disservizi nello svolgimento del servizio di recapito postale del comune di Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone, sulla base degli elementi forniti dalla Direzione generale competente e dalla società concessionaria del servizio postale universale, si rappresenta quanto segue.
      La società Poste Italiane ha precisato che le disfunzioni registrate durante il mese di febbraio 2012 nello svolgimento del servizio di recapito nella predetta area sono state causate dall'assenza dei due portalettere titolari, dovute al pensionamento dell'uno ed ad infortunio dell'altro.
      L'Azienda ha evidenziato che in un territorio, come quello in questione, caratterizzato dalla carente toponomastica, da strade prive di denominazione, numero civico, è possibile che, in assenza di entrambi i portalettere titolari, che hanno un'approfondita conoscenza sia del luogo che degli abitanti, si verifichino delle difficoltà nello svolgimento del recapito. Tuttavia, il servizio è stato riallineato ai previsti standard di qualità tramite l'affidamento del servizio ad altri operatori, in sostituzione delle unità assenti.
      L'Azienda, nell'impegnarsi affinché tali disservizi non si ripetano, ha fatto presente, altresì, che da parte dei propri responsabili territoriali sono state tempestivamente poste in essere tutte le azioni correttive necessarie al rapido smaltimento della corrispondenza in giacenza.
      Inoltre, al fine di monitorare la qualità del servizio postale universale nel territorio in esame, sono stati esperiti, in data 17 e 19 aprile 2012, opportuni accertamenti dall'Ispettorato territoriale Calabria, che hanno confermato la normalizzazione del servizio di consegna, nonché l'assenza di altri particolari fattori di criticità.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Massimo Vari.


      PAGANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          dagli anni Sessanta la città di Gela (CL) è costretta a convivere con un inquinamento ambientale causato dall'attività dello stabilimento petrolchimico che si è andato aggravando negli anni fino a contaminare la catena alimentare;
          nel sottosuolo sono rintracciabili enormi quantità di idrocarburi ai quali è strettamente connesso l'elevato indice di mortalità per tumori e malformazioni neonatali nella cittadinanza;
          la guardia costiera avrebbe scoperto che nel sistema antincendio della raffineria, oltre all'acqua prelevata dal mare, erano presenti anche idrocarburi, circostanza che in caso di incendio avrebbe gravemente compromesso l'azione dei vigili del fuoco e la messa in sicurezza degli impianti;
          altre indagini avrebbero rilevato che la direzione della raffineria avrebbe consentito lo stoccaggio di rifiuti speciali, in particolare amianto, nella vasca 4 dell'isola 32 dell'area industriale;
          gli inquirenti, coordinati dal procuratore capo di Gela Lucia Lotti, avrebbero individuato la presenza di teloni di copertura vistosamente bucati e di sacchi per la raccolta dell'amianto aperti che avrebbero permesso alle pericolose fibre di diffondersi nell'atmosfera sospinte dai venti;
          la direzione della raffineria di Gela, incurante della pericolosità di tali circostanze, continuerebbe ad assumere atteggiamenti lontani da ogni logica di integrazione con il territorio, da una parte trincerandosi dietro il rifiuto di un confronto dialettico con le istituzioni locali e con il consiglio comunale, dall'altra continuando ad arrecare nocumento al corpo sociale e ambientale della città  –:
          se i Ministri fossero a conoscenza delle circostanze esposte in premessa e se non ritengano opportuno intervenire direttamente, oltre che prendere contatti con i vertici nazionali dell'ENI per realizzare percorsi di risarcimento danni per il territorio, dal momento che l'attività dello stabilimento si è caratterizzata negli anni per la sistematica violazione del diritto alla salute dei cittadini gelesi e della tutela dell'ambiente circostante e pertanto dovrebbe considerarsi incompatibile con la vita della città e dei lavoratori. (4-13878)

      Risposta. — Per quanto di competenza, il Ministero dello sviluppo economico rappresenta quanto segue.
      Si premette che vista la specificità della materia trattata e la delicatezza delle questioni ivi rappresentate si è reso necessario, al fine di una esaustiva risposta, di un esame accurato e di una consequenziale richiesta di informazioni sia alla Prefettura di Caltanissetta, che alla società ENI.
      Lo stabilimento petrolchimico di Gela ricade all'interno del «sito d'interesse nazionale di Gela» (sin Gela) così come individuato dall'articolo 1 comma 4 lett. c) della legge 9 dicembre 1998, n.  426 e perimetrato con successivo decreto ministeriale 10 gennaio 2000.
      A quanto riferisce l'Eni il sin è oggetto di un procedimento di bonifica tuttora in corso nel rispetto della normativa vigente e di concerto con tutte le Amministrazioni locali e centrali competenti. Nell'ambito di tale procedimento è stato predisposto, approvato e implementato un progetto di bonifica della falda idrica sotterranea e sono stati realizzati impianti all'avanguardia sia per dimensioni, che per tecnologia.
      L'impianto di trattamento chimico-fisico delle acque di falda realizzato nel 2006 e successivi interventi di implementazione hanno comportato una spesa di 60 milioni di euro.
      Per quanto riguarda lo stoccaggio di rifiuti tossici o nocivi e in particolare di amianto nella «Vasca 4» l'Eni riferisce nel dettaglio quanto segue.
      La vasca n.  4 ubicata all'interno dell'isola 32 è stata autorizzata con DAN 71/89 del 24 gennaio 1969 allo stoccaggio di rifiuti nocivi compreso l'amianto.
      L'amianto preventivamente inglobato in strutture silicatiche (gesso, malta, eccetera), viene successivamente confezionato in appositi big bag (sacco di raccolta e trasporto) seguito della sospensione dell'attività di tutte le discariche presenti all'interno dello stabilimento avvenuta nel mese di marzo 2001, sono stati posizionati teli di contenimento e copertura ed effettuati continui monitoraggi per il rischio di aerodispersione.
      Le successive ispezioni effettuate dalla locale Capitaneria di porto nella raffineria di Gela e un nuovo monitoraggio nei pressi della vasca n.  4, hanno confermato l'assenza di fibre di amianto nell'aria.
      A conferma di quanto rilevato la direzione della raffineria ha richiesto un sopralluogo da parte dell'Asl di Viterbo che risulta essere la più autorevole struttura pubblica in materia di controlli sull'amianto presente nel territorio nazionale. I funzionari che hanno effettuato il sopralluogo con la relazione tecnica redatta nell'agosto 2011 hanno escluso la presenza di fibre di amianto nell'aria ambiente prospiciente la Vasca n.  4.
      La Prefettura di Caltanissetta comunica tuttavia che risultano tuttora indagini da parte della locale Procura della Repubblica, che ha delegato gli accertamenti di polizia giudiziaria alla Capitaneria di porto di Gela.
      In parallelo la Asp di Caltanissetta ha avviato iniziative di analisi e indagine nel territorio per lo studio dell'eventuale relazione tra la situazione sanitaria nel territorio gelese e l'inquinamento ambientale.
      A tal riguardo nel territorio di Gela nell'anno 2010 è stato attivato uno studio epidemiologico di biomonitoraggio, Sebiomag, realizzato nell'ambito di un programma di assistenza per la messa a punto di piani di risanamento nelle aree a elevato rischio ambientale, finanziato dalla Regione Sicilia in collaborazione con l'Organizzazione mondiale della salute, centro ambiente e salute ed il coinvolgimento di operatori dell'Asp del stretto di Gela.
      L'attività di monitoraggio ambientale ha visto, infine l'avvio di una attività di ricognizione degli insediamenti produttivi nei quali i lavoratori sono risultati esposti all'inalazione di amianto, al fine di consentire all'Inail di Caltanissetta il riconoscimento dei benefici previsti dalla normativa vigente.
      L'Asp di Caltanissetta procede promuovendo incontri con le istituzioni locali, con l'Arpa e con l'Istituto superiore di sanità per il monitoraggio continuo delle condizioni ambientali e la loro relazione con le incidenze sanitarie del territorio di Gela, Niscemi e Butera.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Claudio De Vincenti.


      RIGONI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          nel corso della riunione svoltasi in data 9 ottobre 2008 presso l'associazione industriali di Massa-Carrara, l'azienda EATON, multinazionale americana operante nel settore dell'auto motive e relativi accessori, comunicava ufficialmente la dismissione del sito produttivo di Massa e il relativo abbandono del suddetto territorio;
          la dismissione è attribuita dall'azienda alla perdita di una commessa FIAT relativa alla realizzazione delle punterie meccaniche, vero core business dello stabilimento massese, peraltro per molti anni ai vertici mondiali per la produzione EATON;
          l'azienda opera nella provincia di Massa-Carrara da più di venti anni con l'impiego di circa 450/500 unità tra diretti ed indotto;
          successivamente alla citata riunione, è stato firmato un protocollo d'intesa tra Ministero, regione, enti locali e organizzazioni sindacali che prevedeva l'attuazione di un accordo di programma finalizzato alla reindustrializzazione della area anche con la significativa compartecipazione finanziaria del Ministero dello sviluppo economico;
          ad oggi tutti gli enti locali e la Regione hanno posto in essere azioni concrete per il recupero dell'area;
          il giorno 23 febbraio 2010 il Ministero dello sviluppo economico ha convocato tutti i soggetti coinvolti per definire il percorso di reindustrializzazione  –:
          quali siano le concrete proposte e i tempi in merito all'accordo di programma. (4-06128)

      Risposta. — Il Ministero dello sviluppo economico ha seguito con molta attenzione l'evolversi della crisi che ha interessato la società Eaton automotive srl e la relativa attività di reindustrializzazione che la citata Amministrazione sta promuovendo nell'area di Massa e Carrara.
      Il Ministero, già da qualche tempo ha aperto un tavolo di confronto con l'obiettivo di consentire la ricerca di una soluzione condivisa il più possibile e meno traumatica sia dal punto di vista produttivo che occupazionale per l'azienda in oggetto.
      In tal senso questa la Direzione competente ha effettuato un'analisi della situazione e delle principali problematiche della zona anche in coordinamento con i soggetti interessati, istituzionali e sociali, ed ha concordato di avviare un percorso per il rilancio industriale dell'area di Massa Carrara, dando così una prima risposta all'attuale situazione di crisi produttiva-occupazionale.
      Il percorso attivato, consentirà di mettere in azione strumenti per la reindustrializzazione e il consolidamento delle attività produttive.
      Al momento la vertenza è seguita a livello locale con un tavolo di confronto presso la regione Toscana, che sta valutando ipotesi sia di reimpiego dei lavoratori ex Eaton che di ripresa produttiva dell'area.
      Il confronto locale e nazionale sta affrontando in particolare le problematiche dell'azienda Eaton unitamente a quelle della nuovi cantieri apuania.
      Nei giorni scorsi si è tenuto un incontro, nell'ambito del quale, Invitalia e il Ministero dello sviluppo economico si sono riservati di valutare eventuali altre manifestazioni d'interesse per investimenti in grado di creare occupazione nell'area di crisi individuata ai sensi dell'articolo 2 della legge n.  99 del 2009 nell'area di Massa e Carrara attuando la legge n.  181 del 1989.
      Il rappresentante del Ministero ha ribadito in più occasioni che presterà la massima attenzione per favorire la positiva soluzione di una vertenza così rilevante per il territorio toscano e con la dovuta cura aggiornerà questa nota alla luce dei futuri sviluppi.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Claudio De Vincenti.


      SCHIRRU. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il piano di razionalizzazione a cui sta lavorando il Ministro della difesa prevede la ristrutturazione delle strutture di vertice della Marina Militare, con la prospettiva di contenere i costi e portare da 34 mila a 27 mila le unità in divisa in organico;
          come si apprende dalla stampa, l'ente Maridipart La Spezia, sovraordinato a tutti i comandi del territorio, allargherà la sua giurisdizione abbracciando anche gli enti militari della Sardegna e quelli del Nord Est;
          come risulta anche da dichiarazioni dell'ammiraglio Branciforte (capo di stato maggiore della Marina uscente) rilasciate in occasione del cambio di consegne presso La Spezia, lo stesso Maridipart dovrebbe assorbire, in tempi brevi, le competenze di comando e controllo già riservate a Marisardegna e, per l'area dell'Adriatico, del dipartimento militare marittimo dell'Adriatico di Ancona;
          il giorno precedente, lo stesso ammiraglio Branciforte aveva presenziato a Cagliari ad una cerimonia analoga – cambio di consegne presso Marisardegna – tranquillizzando i presenti sul destino dello stesso Marisardegna e non facendo alcun cenno alla soppressione di cui avrebbe parlato il giorno successivo a La Spezia;
          la soppressione del CMMA in Sardegna (Marisardegna), presupporrebbe la perdita di alcune attività operative che gli enti della marina militare svolgono (Marisardegna non svolge funzioni amministrative ma solo operative) e che verrebbero trasferite ad enti della sede di La Spezia;
          ciò determinerebbe una contrazione della partecipazione delle ditte locali alle procedure per l'affidamento di appalti di lavori, servizi e forniture, con un ulteriore impoverimento del tessuto produttivo già critico nella nostra isola;
          la marina militare ha speso, negli ultimi tre anni, e per i soli contratti gestiti in sede locale, circa 3 milioni di euro, in gran parte aggiudicati ad imprese locali, piccole e piccolissime, attraverso la sezione del genio militare per la marina (Marigenimil) e cifre simili si presume vengano spese, in servizi e forniture, dalla sezione dei servizi di commissariato marina militare (Maricommi);
          questi ultimi sono i due enti che potrebbero avere maggiori ripercussioni dalla soppressione di Marisardegna poiché i loro compiti sarebbero, per la gran parte, svolti dagli omologhi enti della sede di La Spezia;
          nei due enti operano, oltre al personale militare, circa 90 dipendenti civili, alcuni con profili professionali elevati che potrebbero trovare ricollocazione nell'ambito di altri uffici ministeriali della città di Cagliari, ma altri, con profili professionali da operai, ancorché specializzati, la cui ricollocazione è di più difficile attuazione;
          in alcuni comandi minori della base operano altri 20 dipendenti che con quelli impiegati presso Marisardegna portano il totale dei dipendenti civili ad una cifra vicina alle 140 persone;
          della soppressione di Marisardegna e del ridimensionamento degli altri enti, soffrirebbe anche il personale militare, anche di bassa forza, tra cui moltissimi sardi che dovrebbero trasferirsi presso basi della penisola, con i disagi che ciò comporterebbe per le loro famiglie;
          al territorio sardo, infine, già duramente provato dalla crisi economica, verrebbe a mancare anche l'introito economico derivante dalla mancata spesa degli stipendi nel tessuto economico locale (circa 500 stipendi tra militari e civili)  –:
          se la notizia riportata abbia fondamento e quali siano i termini dello spostamento che interesserebbe Marisardegna;
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti in premessa e soprattutto delle eventuali ripercussioni sul personale, militare e civile; quali iniziative verranno attuate per salvaguardare i diritti di tutti i lavoratori, considerando che molti di questi si prefiggevano di andare in pensione nei tre anni prossimi, mentre le nuove regole di accesso ne determineranno il permanere in servizio anche fino ad otto anni.
(4-15150)

      Risposta. — La questione affrontata con l'interrogazione in esame rientra, a pieno titolo, nel più ampio quadro del progetto di revisione complessiva dello strumento militare che, come noto, ho ampiamente illustrato, nei suoi lineamenti generali, in alcune recenti circostanze e in diverse sedi istituzionali.
      Rammento, in proposito, di aver sottolineato fin dall'inizio del mio mandato l'esigenza ineludibile di avviare tale processo di revisione che, correggendo lo sbilanciamento delle attuali componenti strutturali di spesa, consenta di conseguire uno strumento coerente e sostenibile a fronte delle risorse disponibili attualmente e in prospettiva.
      Nell'ambito di tale processo sarà contemplato anche il ridimensionamento delle strutture centrali e periferiche, dell'ordine indicativo del 30 per cento nell'arco di un quinquennio o poco più, con la riduzione, in particolare, del numero di basi, caserme ed enti nonché l'unificazione, per quanto possibile, delle diverse funzioni (formativa, territoriale/operativa, logistica) per tutte le componenti dello strumento (terrestre, marittima e aerea) in un'ottica interforze.
      In tale quadro anche la Marina Militare sarà chiamata a rivedere la propria presenza sul territorio nazionale in chiave riduttiva.
      In particolare, i risultati dello studio concernente la necessità di ridurre gli organici e contrarre tale presenza territoriale prevedono, in futuro, la concentrazione della presenza della Forza armata nelle sedi di Taranto, La Spezia e Augusta che costituiscono i principali poli aeronavali.
      Per le altre realtà territoriali della Marina Militare, e tra queste Marisardegna, sono allo studio varie ipotesi di revisione, contrazione e chiusura.

      Al momento non è stata ancora assunta alcuna decisione definitiva perché occorre tenere presente che si tratta di una revisione omnicomprensiva, analitica e dettagliata, nella quale ogni elemento non può essere preso in considerazione singolarmente, ma deve essere valutato come parte integrante di un tutto che deve mantenersi armonico per essere efficace ed efficiente.
      Ovviamente, nell'ambito del percorso di revisione riduttiva della struttura territoriale delle Forze armate, le problematiche del personale militare e civile eventualmente interessato saranno gestite con la doverosa attenzione e gradualità, relazionandosi per le soluzioni possibili con le realtà sindacali e della rappresentanza militare, tenendo anche conto delle problematiche del riesame del sistema previdenziale attualmente in corso.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          in data 27 settembre 2011, il CoBaR carabinieri del Veneto ha approvato una delibera (n.  423) avente per oggetto «presentazione di denunce o querele presso la Stazione urbana e distaccata» mediante la quale è stato chiesto di intervenire chiarendo che in nessun caso la responsabilità nell'accettazione ovvero nella redazione delle denunce può essere delegata o attribuita al militare di servizio alla caserma con qualifica di agente di polizia giudiziaria nella considerazione che l'articolo 333 del codice di procedura penale dispone inequivocabilmente che la denuncia da parte di privati è presentata oralmente o per iscritto, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria;
          la delibera dell'organismo di rappresentanza trae origine dalla modifica delle scelte organizzative ed operative adottate sin dal 1990 ovvero la parte in cui, nella nuova pubblicazione «procedimenti di azione», si dispone per il militare di servizio alla caserma, nella parte riservata alla «presentazione di denunce o querele» presso la Stazione Urbana e distaccata, quanto segue: «il militare dovrà Accettarla, utilizzando la maschera per la redazione automatizzata del verbale di denuncia, consegnando successivamente i moduli al Comandante di Stazione»;
          con lettera n.  112/54-13-2011-Segret–CoBaR. di Prot. Arma, datato 14 febbraio 2012, avente per oggetto «CoBaR affiancato al Comando Legione Carabinieri “Veneto”. Verbale n.  292/X del 27 settembre 2011. Risposta alla Delibera n.  423» il Generale B. Sabino Cavaliere ha richiamato l'attenzione, in relazione alla problematica evidenziata, su quanto previsto fra l'altro, dagli articoli 333 e 337 del codice di procedura penale nonché dalle sentenze della corte di cassazione n.  15797 e 17449, datate rispettivamente 14 marzo 2007 e 24 gennaio 2008, le quali stabiliscono che la ricezione dell'atto di querela, da parte di un ufficiale di polizia giudiziaria), è prevista non quale condizione di validità dell'atto medesimo, ma soltanto ai fini della garanzia della sua effettiva provenienza da soggetto legittimato, ritenendo quindi valido l'atto ricevuto da un agente di polizia giudiziaria e successivamente trasmesso all'autorità giudiziaria da un ufficiale di polizia giudiziaria  –:
          se corrisponda al vero quanto esposto in premessa e quali siano le immediate azioni che si intendano avviare a garanzia delle parti interessate dal procedimento adottato per la ricezione degli atti di denuncia o querela e quali quelle a tutela della rigorosa osservanza della procedura penale. (4-15157)

      Risposta. — La pubblicazione citata nell'atto (Procedimenti d'azione per i militari dell'Arma dei Carabinieri in servizio d'istituto – edizioni 2008) riguarda esclusivamente la disciplina dell'organizzazione del servizio prevedendo che, nel caso di specie ed ai soli fini di una corretta gestione dei sistemi informatici in uso ai reparti dell'Arma dei Carabinieri, il militare di servizio alla caserma o addetto alla ricezione del pubblico, debba accettare le denunce e le querele, utilizzando uno specifico applicativo per la redazione automatizzata del verbale, consegnando, successivamente, i moduli al Comandante di Stazione.
      In merito a tale procedura, si precisa che la stessa è in linea con le norme contenute nel Codice di Procedura Penale (combinato disposto degli articoli 357, 373, 142, 333 e 337), nonché con il consolidato orientamento giurisprudenziale (in particolare Cassazione Penale n.  17449 del 2008), secondo cui «è sufficiente che la querela sia presentata ad un ufficio posto sotto il comando di un ufficiale di polizia giudiziaria, a nulla rilevando il fatto che l'atto sia materialmente ricevuto da un semplice agente», al quale compete tra l'altro, a norma dell'articolo 357 del codice citato, la redazione del verbale.
      Si presume, infatti, sempre secondo il principio enucleato dalla giurisprudenza della Cassazione penale, che «l'inoltro all'autorità giudiziaria avvenga poi a cura dell'ufficiale di polizia giudiziaria che dirige l'ufficio».
      Sulla base di quanto esposto, non si ravvisano i presupposti per porre in essere le azioni richieste dall'interrogante «a garanzia delle parti interessate dal procedimento adottato per la ricezione degli atti di denuncia o querela e...quelle a tutela della rigorosa osservanza della procedura penale».
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          con l'atto di sindacato ispettivo n.  4-14672 gli interroganti hanno chiesto chiarimenti in merito alla gara per l'affidamento in concessione con gestione completa del servizio di somministrazione di vivande calde e fredde, a mezzo di distributori automatici, presso le caserme ubicate nel territorio del comando legione carabinieri «Toscana»;
          il 3 febbraio 2012, il legale della ditta Joyfull Break srl unipersonale, avvocato Carmelo D'Antone, con diffusa e ampiamente motivata memoria, indirizzata all'avvocatura distrettuale dello Stato, sede di Firenze, interveniva nel collaterale procedimento che il capo del servizio amministrativo del predetto comando aveva avviato per chiedere il parere dell'avvocatura erariale in merito alle eccezioni sollevate da una delle concorrenti alla gara e, il successivo giorno 20 febbraio, diffidava l'amministrazione appaltante a concludere il procedimento di gara entro il termine di sette giorni;
          il 24 febbraio, il capo servizio amministrativo del comando legione carabinieri «Toscana» con la nota di protocollo n.  272/20-2-2010 comunicava alle ditte partecipanti alla gara che «In data 10 febbraio 2012 l'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Firenze ha reso a questo servizio amministrativo circostanziato parere in merito al quesito precedentemente posto, pervenuto in data 23 febbraio 2012. Si fa riserva di comunicare la conseguente determinazione» e il seguente 29 febbraio, con la nota di protocollo n.  272/26-2010, disponeva, in autotutela, l'annullamento dell'intera procedura di gara in quanto la lettera di invito 272/6-2010 del 21 giugno 2011 «è affetta da vizio di legittimità nella parte in cui viene previsto come criterio di aggiudicazione, in aggiunta allo sconto offerto, l'attribuzione di un punteggio (da 1 a 10) da attribuire ad una valutazione tecnico-qualitativa delle offerte»;
          le motivazioni dell'atto di annullamento dell'intera procedura di gara, che appare comunque tardivo rispetto alla fase del procedimento in cui si viene a incardinare, rivelano, da un lato, come sia stata ignorata e non applicata la disciplina normativa e regolamentare vigente in materia di appalti da parte del capo del servizio amministrativo e, dall'altro, fanno sorgere concreti dubbi sulla liceità dell'azione amministrativa posta in essere solo successivamente alla conoscenza delle offerte economiche avanzate dalle concorrenti  –:
          se in relazione ai fatti narrati in premessa non ritenga doveroso informare le autorità giudiziarie competenti e comunque assumere iniziative per una rimozione dall'incarico di capo servizio amministrativo;
          quali le immediate azioni che intenderà avviare per il ristoro dei danni eventualmente arrecati dall'annullamento della gara in premessa alla ditta concorrente la cui offerta, allo stato degli atti, sia risultata essere la più conveniente. (4-15177)

      Risposta. — In data 19 novembre 2010, il servizio amministrativo della Legione Carabinieri «Toscana» indiceva una ricerca di mercato «in economia» (con avviso di gara pubblicizzato sul sito www.carabinieri.it dal 19 novembre 2010 al 16 dicembre 2010), per l'affidamento in concessione del servizio di somministrazione di vivande calde e fredde, a mezzo di distributori automatici, presso le caserme ubicate nel territorio di competenza della Legione.
      Il 21 giugno 2011, pertanto, veniva trasmessa la lettera d'invito alle otto ditte che avevano aderito alla gara.
      Successivamente, in data 28 luglio 2011, il Capo del servizio amministrativo, in qualità di Presidente del seggio di gara, procedeva all'apertura delle offerte economiche, da cui risultava:
          1°: «Joyfull Break srl» di Carrara, con lo sconto unico percentuale del 45,30;
          2°: «Supermatic» di Firenze, con lo sconto unico percentuale del 19,90;
          3°: «Ivs Italia spa» di Seriate (BG) con impegno a costituirsi in Raggruppamento temporaneo d'impresa con l'associazione Carabinieri in servizio «Podgora» e la società «Time Vending srl» in caso di aggiudicazione dell'appalto, con lo sconto unico percentuale del 10.

      Il seggio veniva, quindi, sospeso per demandare ad altra apposita Commissione la valutazione tecnico-qualitativa delle offerte.
      Tale Commissione, in data 4 ottobre 2011, decideva di interessare il locale Servizio amministrativo affinché richiedesse alle ditte partecipanti l'elenco dettagliato dei prodotti e, in data 12 gennaio 2012, valutava le offerte pervenute, attribuendo a tutte le partecipanti un punteggio equivalente.
      In data 20 gennaio 2012, all'atto dell'invio da parte della apposita Commissione del carteggio relativo alla valutazione tecnico-qualitativa, il Servizio amministrativo ne prendeva conoscenza e, contestualmente, riscontrava che la partecipante «Ivs Italia», nel rendere disponibili gli elementi di valutazione, eccepiva un possibile vizio di legittimità nei criteri tecnico-qualitativi previsti dalla lettera d'invito.
      Nella consapevolezza che l'eccezione mossa dalla «Ivs Italia» potesse dar luogo ad eventuale contenzioso, il Servizio amministrativo provvedeva, nello stesso giorno, a formulare apposito quesito all'Avvocatura distrettuale dello Stato di Firenze.
      Il 23 febbraio 2012, il Servizio amministrativo veniva a conoscenza della nota datata 10 febbraio 2012 dell'Avvocatura distrettuale di Firenze con la quale, in sintesi, veniva confermato il presunto vizio di legittimità contenuto nella lettera d'invito e si consigliava di provvedere all'annullamento del provvedimento inficiato, in sede di autotutela.
      Si precisa, inoltre, che il legale della «Joyfull Break srl», tra il 20 gennaio 2012 ed il 24 febbraio 2012, periodo in cui l'Avvocatura stava completando l'istruttoria del caso, notificava in data 5 febbraio 2012 alla Legione Carabinieri «Toscana» le memorie difensive precedentemente prodotte all'Avvocatura.
      Veniva, quindi, notificato in data 24 febbraio al Servizio amministrativo della Legione l'atto di diffida del legale della «Joyfull Break srl», con cui veniva intimato alla Legione Carabinieri «Toscana» di concludere il procedimento di affidamento.
      Lo stesso giorno il Servizio amministrativo informava le ditte accorrenti dell'acquisizione del richiesto parere, con riserva di comunicare le conseguenti determinazioni.
      In data 29 febbraio 2012, in accoglimento del parere dell'Avvocatura distrettuale, la Legione Carabinieri emetteva apposito provvedimento di autotutela.
      In data 3 marzo 2012, infine, veniva notificato alla Legione Carabinieri «Toscana» il ricorso al Tar da parte della società «Joyfull», per l'annullamento del provvedimento finale con successiva aggiudicazione.
      Sulla base di quanto esposto, nonché del parere dell'Avvocatura dello Stato, non esistono i presupposti per porre in essere le iniziative richieste con fatto in esame.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          successivamente alla pubblicazione sul settimanale il Venerdì di Repubblica del 17 febbraio 2012, di un articolo dal titolo «Il caffè che piace a La Russa divide l'Arma – Ha vinto molte gare nelle caserme per l'appalto delle macchinette dell'espresso: l'associazione Podgora è nata sotto una buona stella (quella dell'ex Ministro), ma qualcuno vuole vederci chiaro», gli interroganti hanno appreso che in data 28 febbraio 2012 il comando legione carabinieri «Lazio», ha emanato un atto con il quale informa i Comandi interessati e il personale dipendente che nel servizio di gestione dei distributori automatici di bevande calde e fredde e snack, installati presso la caserma «Ten.  M.A.V.M. G Acqua» e la caserma «Podgora Bassa», è subentrata la ditta «Aromatika» in luogo dell'associazione carabinieri in servizio «Podgora»;
          con numerosi atti di sindacato ispettivo gli interroganti hanno chiesto al Ministro della difesa di fare chiarezza sulle attività svolte dall'Associazione e dai suoi membri, in particolare da coloro che ricoprono l'incarico di delegato in seno al Consiglio centrale della rappresentanza militare;
          dalle dichiarazioni rese dal brigadiere Antonio Tarallo, membro dell'associazione e delegato del Cocer carabinieri, in occasione dell'intervista riportata nel citato articolo, appare evidente che l'amministrazione militare sia stata responsabile dell'affidamento del servizio in questione senza aver svolto alcuna gara di appalto  –:
          se vi sia stata una specifica procedura di gara in relazione all'affidamento del servizio di cui all'atto datato 28 febbraio 2012 a firma del comandante del reparto comando della legione carabinieri «Lazio»; in caso contrario, quali siano le motivazioni del diverso affidamento del servizio in argomento;
          quando sia stata effettuata la gara, e in quale forma, per l'affidamento della gestione dei distributori automatici di bevande calde e fredde e snack per le caserme citate dove era affidataria l'associazione carabinieri in servizio «Podgora» e se al momento dell'affidamento del servizio la predetta associazione fosse in possesso dei requisiti di legge previsti per l'attività di commercio e distribuzione di alimenti;
          quali siano gli enti, reparti, comandi dove attualmente sono installati distributori automatici affidati alla gestione dell'associazione Podgora, quando siano state svolte le relative gare e quali siano state le ditte partecipanti e le relative offerte;
          quali immediate azioni intenda avviare in merito a quanto in premessa per tutelare l'Arma dei carabinieri da ulteriori e possibili coinvolgimenti in questioni che ne ledono il prestigio e l'onore. (4-15191)

      Risposta. — Il servizio di somministrazione di vivande calde e fredde, a mezzo di distributori automatici installati presso le caserme sedi dei reparti della Legione Carabinieri «Lazio», fino al 31 dicembre 2011 è stato affidato all'Associazione Carabinieri in servizio «Podgora», a seguito di procedura di gara esperita «in economia» ed aggiudicata in data 17 dicembre 2009.
      In applicazione degli articoli 463 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n.  90, recante il testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, che espressamente prevedono l'affidamento in concessione delle attività connesse con gli interventi di protezione sociale oltre che ad organizzazioni costituite fra il personale dipendente anche a enti ovvero a soggetti terzi, al fine di valutare proposte economicamente più vantaggiose per l'Amministrazione militare, la convenzione stipulata con la citata associazione non è stata rinnovata per l'anno 2012 e, con comunicazione del 4 novembre 2011, il Comandante della Legione Carabinieri «Lazio» ha dato mandato ai vari Comandi dipendenti di procedere in proprio all'esperimento di opportune ricerche di mercato, onde individuare l'operatore economico cui affidare il servizio in loco.
      Relativamente, poi, alle caserme «G. Acqua» e «Podgora bassa», citate nell'atto, il servizio di somministrazione è stato aggiudicato in data 7 febbraio 2012 alla ditta «Aromatika srl», a seguito di procedura di gara esperita «in economia», dal reparto Comando della Legione Carabinieri «Lazio», con l'invito di n.  7 concorrenti.
      Per quanto concerne, infine, l'individuazione dei reparti presso i quali sono attualmente installati i distributori automatici dell'Associazione «Podgora», si partecipa che le procedure di affidamento a cura dei reparti dipendenti sono tuttora in corso e, pertanto, il dato richiesto non è al momento conoscibile.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      ZACCHERA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          anche recentemente si sono registrate frane, smottamenti e danni a strutture private causate dal «Rio Rampolino» ruscello scorrente nei comuni di Stresa e Baveno (provincia di Verbania) a valle della autostrada A 26 Voltri-Gravellona Toce e che sfocia poi nel lago Maggiore;
          come sottolineato da numerose constatazioni geologiche e da una reiterata corrispondenza tra comuni, regione Piemonte e società Autostrade la costruzione dell'autostrada ha comportato l'immissione nell'alveo di questo rigagnolo, di un volume di acque molto maggiore che in passato tanto che, in occasione di piene, scendono pericolosamente a valle causando visibili danni;
          è evidente questa connessione con i lavori autostradali, visto che tali ingenti danni si sono verificati, purtroppo ormai in numero sempre più ricorrente vista l'ormai instabilità generale del versante, tutti dopo la conclusione dei lavori della A26 e mai precedentemente  –:
          se non si ritenga di dover intervenire nei confronti della società Autostrade al fine di verificare la situazione e assumere immediate misure, di concerto con tutti gli enti preposti, per superare questa situazione di pericolo idrogeologico. (4-13863)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 20 dicembre 2011, sono state chieste dettagliate informazioni alla Società Anas che ha riferito quanto segue.
      L'Autostrada A26 Genova Voltri-Gravellona Toce sovrappassa rio Rampolino con due ponti affiancati, denominati «Fiume Ghidogna», aventi luce di circa 40 metri.
      Le spalle sono state posizionate al di fuori degli argini e ad una quota che ha consentito di lasciare completamente libera la sezione idraulica del rio Rampolino. I preesistenti argini del rio, in corrispondenza dell'opera, sono stati rivestiti con pareti in cemento armato, rinforzate da tiranti di ancoraggio. Le strutture in cemento armato non presentano alcuna lesione o segno di dissesto.
      Nell'intervia tra le due spalle è stata a suo tempo realizzata una piastra in calcestruzzo, utilizzata esclusivamente durante la costruzione dell'autostrada per il posizionamento delle macchine operatrici, che presenta alcuni segni di scalzamento ma non riveste alcuna funzione strutturale.
      L'opera di scarico del sistema di drenaggio dell'adiacente galleria autostradale Mottarone I che immette l'acqua drenata direttamente nel rio Rampolino è ubicato a valle della spalla lato Genova della carreggiata nord: anche su questa struttura non si sono riscontrati particolari fenomeni di scalzamento.
      Si segnala, inoltre, che il volume delle acque immesso nel rio, a seguito della costruzione dell'autostrada, risulta limitato al deflusso delle acque di pavimentazione e al tubo di scarico proveniente dalla galleria Mottarone. Tale immissione è da considerarsi, in ogni caso, trascurabile rispetto alla portata idrica determinata dal bacino idrografico di competenza del rio Rampolino.
      Nel concludere, Anas ha fatto presente che i fenomeni di erosione dei terreni di sponda del rio, visibili nel tratto a valle del ponte autostradale, non possono essere ricondotti ai lavori autostradali, ma più verosimilmente a questioni generali legate alle caratteristiche idrologiche e geomorfologiche del torrente e del bacino idrografico che lo alimenta.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Corrado Passera.


      ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          in risposta all'interrogazione 4-05813, relativa al recupero del teatro romano di Teramo sul quale insistono due edifici, Adiamoli e Salvoni, oggetto, a giudizio degli interroganti, di indubbie operazioni di speculazione, il Ministro per i beni culturali il 19 aprile 2010 affermava che «per giungere ad un totale e pieno recupero del monumento, non sarebbe sufficiente, come richiesto nell'interrogazione parlamentare e caldeggiato dall'associazione Teramo Nostra, la sola demolizione del caseggiato Adamoli e di palazzo Salvoni, ma andrebbero previste ben più ampie demolizioni», «ipotesi che non appare al momento percorribile, non solo per la limitatezza dei fondi attualmente disponibili, ma anche, e soprattutto, perché non sono mai state condotte indagini archeologiche che confermino con certezza la presenza dei presunti resti del teatro Romano al di sotto degli edifici esistenti»;
          ciò premesso, nella risposta all'interrogazione si affermava di ritenere prioritario affrontare i lavori che di seguito si espongono:
              a) un intervento sulle strutture ai fini del consolidamento statico (con alleggerimento delle volte di sostegno della cavea, cerchiature con fibre in acciaio dei pilastri, tirantature negli archivolti e sostituzione dei conci deteriorati e non più strutturali degli archi), strutture con certezza sottoposte a stress statico a seguito del sisma del 6 aprile 2009;
              b) uno scavo archeologico in prossimità delle strutture del fronte scena e della cavea, al fine di acquisire maggiori dati sulla reale esistenza di strutture sepolte pertinenti al teatro Romano;
              c) uno spostamento di scarichi e sottoservizi che incombono in quest'area del teatro, elementi che incidono significativamente sul decoro dell'area (sono infatti a vista) e sono fonte di potenziale danno al monumento in caso di perdite di acque e liquami;
              d) valorizzare l'area attuale della struttura antica, attraverso un impianto di illuminazione scenica e realizzazione di opere per permettere l'accesso al teatro anche ai portatori di handicap;
              e) recuperare tutti i materiali lapidei pertinenti al teatro e oggi ingombranti l'area del monumento, ai fini del loro studio anche in vista della musealizzazione dell'intera area;
          dopo l'annuncio da parte dell'amministrazione comunale di Teramo del suddetto progetto ed in particolare della volontà di procedere alla rimozione di quel migliaio di reperti archeologici che erano stati divelti dai quattro fornici sudorientali a seguito della non corretta demolizione di casa Forti nel luglio 1960 e che giacciono ammassati nell'area (come in tutti i siti archeologici del mondo), nel dicembre 2010 l'associazione Teramo Nostra impedì l'asportazione di tali reperti archeologici, con un gesto estremo, impedendo al camion della ditta, che aveva già caricato tutti i suddetti reperti per portarli fuori dal cantiere, di uscire dal cantiere stesso;
          di fronte a quanto accaduto, il sindaco di Teramo ritenne opportuno sospendere tale operazione per indire un'assemblea nella casa comunale, con direttore dei lavori, sovrintendenza, capigruppo del consiglio comunale e tutti i cittadini che volevano partecipare. L'associazione Teramo Nostra, presente all'assemblea, ribadì la precisa volontà di impedire l'asportazione dei reperti dall'area. L'architetto Pessina (sovrintendente archeologico), il direttore dei lavori, il sindaco, i capigruppo e le associazioni raggiunsero in serata, dopo un sopralluogo, la decisione di far rimanere nell'area del cantiere i reperti in questione. L'indomani, la ditta appaltatrice, su indicazione del direttore dei lavori e del Sovrintendente, rese esecutiva tale decisione cittadina accantonando i reperti in un angolo dell'area del cantiere in maniera tale da non creare intralcio ai lavori, e da gennaio 2011 tali reperti sono ancora lì;
          a seguito di una campagna condotta da Teramo Nostra e da esponenti Radicali che ha avuto anche rilevanza nazionale, con in particolare un articolo pubblicato dal Corriere della Sera a firma Carlo Vulpio il 17 gennaio 2011, dal titolo «Teramo: i due palazzi (intoccabili) al centro del teatro augusteo», il sindaco di Teramo affermava che la sua amministrazione «ha realizzato un protocollo d'intesa con tutte le parti interessate, commissionato una serie di progetti per il recupero che sono stati posti all'attenzione del Consiglio comunale affermando che si è sempre parlato di abbattimento dei due caseggiati che insistono sul teatro stesso» (gennaio 2011) e ancora, l'11 febbraio 2011, un comunicato stampa del sindaco di Teramo rendeva noto che «la valutazione dei quattro progetti per il recupero funzionale del teatro romano è stata compiuta e una scelta è stata fatta. Si è tenuto infatti nei giorni scorsi un nuovo incontro (tra il sindaco di Teramo, Maurizio Brucchi, e la soprintendenza) durante il quale sarebbe arrivato l'accordo, che verrà siglato nei prossimi giorni, sul progetto che meglio risponde alla conservazione e al recupero dell'area archeologica. L'ipotesi approvata è quella che prende in considerazione l'abbattimento di Casa Adamoli e Palazzo Salvoni e la ricostruzione parziale della cavea. In questo caso l'intervento consentirebbe di recuperare la platea con l'ottenimento di circa 400/500 posti»;
          il cantiere ha successivamente sospeso i lavori e l'auspicato progetto presentato in consiglio comunale e da questo condiviso – che prevedeva anche l'abbattimento dei due caseggiati incongrui insistenti nella cavea – non è stato portato avanti;
          secondo notizie stampa del 24 dicembre 2011, veniva reso noto che, a seguito di un incontro a Roma al quale hanno partecipato il sindaco di Teramo Maurizio Brucchi, l'assessore alla pianificazione strategica Giacomo Agostinelli e Fabrizio Magnani, direttore della sovrintendenza regionale archeologica, entro fine gennaio 2012 si sarebbe firmata il protocollo d'intesa per il recupero del teatro romano in virtù di un interesse del Ministero per i beni e le attività culturali per il progetto che coinvolge comune, regione e Fondazione Tercas. Nell'articolo si legge che il ministro, Lorenzo Ornaghi, già docente all'università di Teramo, non era presente alla riunione perché impegnato con il voto della manovra economica in Senato. Al suo posto, però, c'era il sottosegretario Roberto Checchi il quale, nonostante il momento di grave difficoltà economica, ha assicurato la disponibilità del Ministero a contribuire alla realizzazione dell'intervento da dieci milioni di euro. La sottoscrizione del protocollo consentirà all'amministrazione cittadina di avviare la progettazione definitiva, affidandola all'architetto Giovanni Carbonara che ha già stilato lo studio di fattibilità dell'opera. Il progetto prevede l'abbattimento di casa Salvoni e della parte ancora in piedi di palazzo Adamoli, la realizzazione di nuovi scavi archeologici per riportare alla luce la cavea del teatro, nonché il riutilizzo della platea con l'allestimento di 500 posti per assistere a spettacoli teatrali e concerti. Il costo previsto per il primo blocco di lavori è di 4,5 milioni di euro che verrebbero stanziati in parti uguali dalla Fondazione Tercas, regione e ministero. L'amministrazione, però, ha anche ipotizzato un intervento molto più ampio che aggiunge la pedonalizzazione dell'area intorno al teatro romano con una spesa di altri 5,5 milioni;
          il sindaco di Teramo, recentemente, in contrasto con quanto affermato un anno prima circa la non rimozione delle pietre, avrebbe fatto fare dichiarazioni a suoi portavoce che la prima iniziativa sull'area archeologica del teatro romano sarebbe stata quella preliminare della rimozione dei reperti da allocare nell'area industriale della città  –:
          se sia cambiata la posizione del Ministero rispetto a quanto riferito con la risposta all'interrogazione 4-05813 per cui ora vi è un favore alla demolizione del caseggiato Adamoli e di palazzo Salvoni;
          se quindi sia stato firmato il protocollo d'intesa per il recupero del teatro romano di Teramo, per quale ammontare e se sia previsto l'abbattimento dei due edifici, Adamoli e Salvoni;
          se non ritenga il Ministro, anche per risparmiare denaro pubblico, di interdire il trasferimento dei reperti archeologici dal teatro romano quantomeno fintanto che non sia in fase di esecuzione il protocollo di intesa che prevede il recupero del teatro romano di Teramo attraverso l'abbattimento dei due edifici, Adamoli e Salvoni;
          se non ritenga il Ministro di istituire comunque un tavolo tecnico che veda il pieno coinvolgimento dell'associazione Teramo Nostra;
          se non ritenga il Ministro di verificare la possibilità di abbattere i due edifici senza dover rimuovere i reperti archeologici dal Teatro Romano. (4-14678)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione indicata in esame, con la quale l'interrogante pone alcuni quesiti in merito al recupero del Teatro Romano di Teramo, si rappresenta quanto segue.
      Al centro del nodo storico di Teramo, nella zona gravitante attorno a piazza Nove Martiri, zona di ampia stratigrafia temporale che va dal periodo romano ai primi del Novecento, risultano posizionate due emergenze archeologiche di notevole importanza: l'Anfiteatro ed il Teatro Romano.
      La complessa situazione di sviluppo edilizio ha determinato, soprattutto nel tardo Ottocento, una progressiva obliterazione dei resti antichi, con perdita dei valori visuali congiunta ad una situazione caotica ed incoerente.
      I resti del Teatro Romano si trovano a poca distanza dalla Cattedrale. Il teatro, edificato agli inizi del I secolo DC nonostante le manomissioni subite risulta tra i teatri meglio conservati del Piceno.
      La cavea, che sviluppa un diametro di circa 78 metri, è sostenuta da un rilevato artificiale sostruita da opera muraria mista, data da blocchi lapidei in gesso-arenite ed opus cementium, mentre la facciata esterna, in origine, doveva presentare due ordini sovrapposti realizzati con blocchi di travertino.
      Della componente sostruttiva della cavea si conserva ampia parte della zona inferiore, costituita da arcate su pilastri in opera quadrata di marna silicea locale, la citata gesso-arenite, e dalle volte in opera cementizia che sostenevano la cavea stessa fin in summa cavea.
      Della scena e dell'orchestra è visibile solo il tratto orientale. Dell'orchestra, il cui raggio era di metri 11,51, è visibile solo l'angolo nord-orientale. Il bordo dell'orchestra, tangente alla cavea, presenta un lastricato semicircolare largo metri 1,17. Il podio, dell'altezza di metri 1,30 e profondo metri 7,70, risulta caratterizzato da una serie di cornici di base, ad andamento rettilineo in travertino.
      L'alzato del palcoscenico «pulpitum» è decorato con nicchie, alternativamente, di pianta rettangolare e semicircolare, di cui una sola risulta attualmente visibile.
      Dietro la scena erano disposti alcuni ambienti, probabilmente destinati agli attori e forse un portico «post scenam» del quale non si conoscono elementi certi.
      Nel complesso, si tratta di impianto ancora in gran parte conservato che, allo stato attuale, appare ancora parzialmente «occupato» dai residui edifici risparmiati dalle opere di demolizione precedenti l'attuale intervento. In particolare i palazzi Adamoli e Salvoni insistono ancora su parte della cavea.
      Le prime ricerche archeologiche, effettuate dal Savini nel 1918, portarono in luce importanti elementi segnalatori della presenza del Teatro, quali la frons scaenae, uno degli itinera scalaria, un vomitorium, parte dell'ima cavea e parte dell'orchestra. Tuttavia la situazione dell'area, ancora edificata, non permise al Savini di ottenere maggiori elementi di conoscenza del monumento.
      Negli ultimi cinquant'anni, in seguito alla demolizione di alcuni degli edifici ottocenteschi che avevano inglobato il sito archeologico, sono state liberate ulteriori parti delle strutture, tra cui 24 pilastri della praecintio, due ordini di arcate sovrapposte e parte consistente della cavea. Tali demolizioni hanno, inoltre, prodotto una serie di materiali lapidei, che sono depositati nell'area di cantiere e che sono, in parte, materiali relativi a edifici che insistevano sull'area (e, quindi, del tutto estranei al Teatro Romano) e, in parte, materiali relativi a parti dell'antico monumento.
      I lavori in corso nel Teatro Romano di Teramo hanno la finalità di rendere leggibile e visitabile il monumento, nella sua attuale configurazione, in condizioni di sicurezza e di decoro. Le lavorazioni già eseguite hanno, in gran parte, conseguito il risultato voluto.
      All'avvio dei lavori, che prevedevano, già nel progetto originario, lo spostamento dei blocchi architettonici provenienti dalle demolizioni citate in precedenza, a seguito delle richieste avanzate dall'Associazione Teramo nostra, che ne chiedeva il mantenimento in situ, e fatte proprie dall'Amministrazione comunale, si è proceduto comunque allo spostamento dei blocchi lapidei dell'area archeologica propriamente detta, ricollocando i reperti lungo il perimetro dell'area archeologica, all'interno dell'area recintata del cantiere, anche se, va ribadito, tali reperti sono solo in parte riferibili a parti già smontate o distrutte dell'antico monumento e, invece, sono spesso pertinenti ad altre costruzioni di diversa età, oggetto di demolizione.
      Così delineato il quadro storico del rinvenimento del Teatro Romano e precisata la situazione attuale in cui versa il sito, si può rispondere ai quesiti posti nell'interrogazione.
      Per quanto concerne il primo quesito, con cui si chiede se sia cambiata la posizione del Ministero in merito alla necessità di abbattere i palazzi Adamoli e Salvoni, presenti nel sito, va ricordato che, nella risposta all'interrogazione parlamentare n.  4-05813, si era evidenziato che, per quanto di competenza, la demolizione degli edifici Adamoli e Salvoni non appariva percorribile anche per la limitatezza dei fondi Cipe allora disponibili e rischiava di risultare vana se finalizzata al solo recupero del teatro antico.
      Nelle nuove previsioni progettuali, redatte dall'ingegnere Carbonara su incarico della Fondazione Tercas e nell'ipotesi di disporre di ben più consistenti risorse economiche provenienti dall'accordo di programma quadro Mibac-regione-Tercas (in cui il progetto di recupero del Teatro Romano dovrebbe trovare il necessario finanziamento assieme ad altri progetti), la proposta dell'abbattimento dei due palazzi è solo una delle ipotesi avanzate e viene, comunque, ad inserirsi in un contesto completamente diverso e ben più ampio, che mira al recupero funzionale dello spazio del teatro antico, alla protezione dei suoi resti e alla riqualificazione di tutta la piazza, che versa attualmente in stato di degrado.
      In attesa di conoscere l'ammontare delle risorse disponibili, che condizioneranno inevitabilmente le stesse soluzioni progettuali, le autorevoli proposte avanzate dall'ingegnere Carbonara restano oggi semplici ipotesi, sulle quali la Soprintendenza (considerata l'ampiezza delle competenze coinvolte) ritiene di potersi esprimersi solo una volta chiariti aspetti progettuali e tecnici sui quali appare oggi prematuro soffermarsi.
      Passando, poi, al secondo quesito, con cui si chiedono notizie in merito al predetto protocollo d'intesa fra Ministero, regione Abruzzo e fondazioni delle quattro casse di risparmio abruzzesi, si precisa che lo stesso, al momento, non è stato ancora firmato.
      In merito al successivo quesito, con cui veniva richiesto di interdire il trasferimento dei reperti archeologici del teatro romano, oggi presenti nell'area di cantiere ma non in situ come sopra ampiamente chiarito, così come già avvenuto in passato, quando su richiesta dell'Associazione Teramo nostra, fu deciso di soprassedere al trasferimento dei reperti in altra più ampia area, va ribadito che la competente Soprintendenza per i beni archeologici ha sempre ritenuto che qualsiasi intervento sul Teatro Romano di Teramo non può prescindere da uno spostamento dei predetti materiali lapidei che, come detto sopra, sono solo in parte riferibili a parti già smontate o distrutte dell'antico monumento e sono spesso pertinenti, invece, ad altre costruzioni di diversa età, oggetto di demolizione.
      L'ingente quantità di materiale ammucchiato alla rinfusa impedisce, infatti, gli interventi di restauro e pulizia e nuoce alla lettura e al decoro del monumento.
      Nella perizia relativa ai fondi CIPE, redatta da un funzionario della sopracitata Soprintendenza, era stato, pertanto, previsto lo spostamento degli elementi architettonici presso l'area archeologica de La Cona, area recintata e di proprietà comunale, affinché – senza intralciare i lavori di restauro e consolidamento previsti – si procedesse qui allo studio e alla classificazione degli elementi. Tale operazione appariva e resta necessaria al fine di riconoscere gli elementi architettonici effettivamente pertinenti al Teatro, procedere al loro studio e realizzare quella documentazione fotografica necessaria a valutare un utilizzo di tale materiale per eventuali future operazioni di anastilosi, che dovranno essere attentamente valutate. Dopo l'avvio dei lavori di rimozione del materiale e la sua collocazione nei pressi del cantiere, al fine di venire incontro, come già detto, alle richieste dell'Associazione Teramo nostra e dell'Amministrazione comunale, è però emerso che la quantità del materiale da rimuovere era superiore alle previsioni. Pertanto, è stato necessario collocare il materiale in file serrate e, una volta esaurito lo spazio disponibile, si è dovuto ricorrere ad un suo accumulo. In nessuno dei due casi appare possibile procedere all'esame e alla cernita dei blocchi, né, tantomeno, alla loro documentazione fotografica, documentazione necessaria per consentire la progettazione di eventuali futuri interventi sul Teatro e valutare la correttezza di una ipotesi di ricollocazione degli elementi.
      Da una prima stima, effettuata da un funzionario archeologo della Soprintendenza, appare necessario disporre di uno spazio di almeno 2800 metri quadri per condurre tale operazione in maniera adeguata e in sicurezza, tenuto conto della necessità di spostare blocchi di peso notevole. L'area recentemente individuata dall'Amministrazione comunale di Teramo per il trasferimento degli elementi risulta avere tali requisiti.
      Allo stato attuale, a prescindere dal grave disagio causato alla popolazione di Teramo, che vede fortemente ridotta la circolazione in una delle aree nevralgiche del centro storico cittadino, appare evidente che, lasciando in loco tale materiale, non si potrà procedere nel suo studio e, dovendo mantenere la recinzione lignea di cantiere che protegge gli elementi architettonici, verrà compromessa la dignità stessa del monumento e la sua leggibilità, essendone la vista oggi preclusa dalla recinzione.
      In merito, poi, al quarto quesito posto nell'interrogazione, con cui si chiede se questo Ministero non ritenga opportuno istituire un tavolo tecnico che veda il pieno coinvolgimento dell'associazione Teramo nostra, si ribadisce che l'attenzione della Direzione regionale abruzzese alle esigenze dell'Associazione Teramo nostra, al pari delle altre associazioni culturali, vivacemente attive a Teramo, è testimoniata dagli incontri avuti sia nella sede della Direzione stessa, sia dalla presenza della Direzione e della Soprintendenza archeologica agli incontri promossi dal comune di Teramo.
      La Direzione regionale ha fornito garanzia della massima trasparenza nella conduzione dei lavori finora svolti, senza frapporre ostacolo alcuno ad informare le associazioni che chiedevano di conoscere quanto si andava sviluppando nei lavori.
      Ciò detto, non si ritiene strumento appropriato un «tavolo tecnico» che, nella prassi, è organo deputato a sviluppare atti e procedure di natura strettamente tecnico-amministrative mentre può essere proponibile un ambito di informazione e consultazione che veda coinvolto il comune di Teramo, ente proprietario del monumento sul quale l'amministrazione dei beni culturali esercita la sua attività di tutela e valorizzazione, di concerto con l'ente locale.
      Infine, con riguardo all'ultimo quesito, va ribadito che il Ministero non ha ancora assunto una posizione in merito alla necessità dell'abbattimento di palazzo Adamoli e di palazzo Salvoni, come sopra ampiamente spiegato, e ritiene necessaria la rimozione dei reperti archeologici del Teatro Romano assieme a tutti gli altri resti presenti in cantiere che, come già detto, spesso non afferiscono al Teatro Romano ma agli edifici presenti in loco e fatti oggetto di demolizione.
Il Ministro per i beni e le attività culturali: Lorenzo Ornaghi.