XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 25 giugno 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


      La Camera,
          premesso che:
              secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, in una sua dichiarazione fatta a Los Cabos in Messico, dove si è svolto il 18 e il 19 giugno 2012 il G20, i prossimi dieci giorni saranno decisivi per il futuro dell'euro in vista del vertice europeo di fine giugno 2012. Infatti, il 28-29 giugno 2012 si terrà il vertice europeo che dovrà assumere decisioni impegnative, dalle quali dipende il destino non solo dell'euro, ma quello dell'integrità e della stabilità dell'eurozona, nonché l'avvenire dello stesso processo di unificazione europeo;
              le misure che devono essere prese dovranno segnare una discontinuità reale rispetto a quanto deciso finora dalle autorità europee che, di fronte alla crisi finanziaria ed economica che ha investito in particolare i Paesi dell'eurozona, hanno adottato misure che, imponendo rigore e politiche di austerità di bilancio contemporaneamente a tutti i Paesi che utilizzano la moneta unica, hanno innescato una spirale recessiva che impedisce la stessa messa in sicurezza dei conti pubblici e offre spazio alle manovre speculative dei mercati finanziari che scommettono contro l'euro o, perlomeno, sull'uscita di uno o più Paesi dall'area euro;
              l'errore è soprattutto di analisi: la questione fondamentale è rappresentata non dalle politiche di austerità ma dalle divergenze di competitività. Per affrontarle, se si esclude l'uscita dall'euro, è necessaria la ripresa dell'economia dell'eurozona e l'espansione del credito e dei redditi nei Paesi con saldi commerciali attivi. Se non si riconosce la vera natura della crisi, l'eurozona non ha alcuna possibilità di risolvere i problemi o di prevenire la loro riproduzione;
              in quest'ultimo decennio, la Germania ed i Paesi dell'area «tedesca» (Olanda ed Austria in particolare) hanno accumulato, a causa di un cambio marco-euro sottovalutato e di un forte differenziale di produttività, enormi avanzi commerciali, mentre le bilance commerciali dei Paesi «periferici» registravano deficit crescenti. Le banche dell'area tedesca e quelle francesi elargivano finanziamenti ai Paesi in deficit commerciale. Un meccanismo perfetto e conveniente per tutte le parti in causa per un periodo, ma intrinsecamente e strutturalmente, insostenibile, e, in effetti, messo in discussione dalla crisi economico-finanziaria iniziata nel 2007-2008;
              la spirale austerità-recessione-austerità gonfia il debito pubblico e condanna a morte l'Unione europea. Non esiste la possibilità di una «austerità espansiva»: si tratta solo di un ossimoro che rispecchia gli interessi di pochi Paesi europei e che riproduce le cause profonde della crisi che si sta vivendo. È impossibile che abbia successo una politica coordinata di austerità in un'area economica così integrata come l'eurozona;
              l'unione monetaria è vulnerabile a causa della crisi delle bilance dei pagamenti, che, in assenza di una piena integrazione delle politiche di bilancio e della finanza, rende quasi certo il riprodursi della crisi;
              la moneta unica è a rischio non solo per colpa degli speculatori attirati dagli squilibri di finanza pubblica dei «Piigs», tant’è che nonostante le pesanti e ricorrenti manovre di finanza pubblica, gli spread dall'inizio del 2012 sono ancora alti nei Paesi della cosiddetta «periferia» dell'Unione europea, ma salgono anche nell'area centrale dell'Unione stessa, come, ad esempio, testimonia il downgrading inflitto alla Francia dalle agenzie di rating. Le radici della rottura del fragile equilibrio sul quale si è retto l'euro nell'ultimo decennio non stanno essenzialmente nei debiti pubblici dei Paesi oggi in difficoltà, ma in un sistema squilibrato dove i Paesi della «periferia», grazie al loro indebitamento in larga misura privato, hanno alimentato le esportazioni dei Paesi centrali a partire da quelle della Germania;
              il debito pubblico medio della zona euro è inferiore a quella degli Usa. Paesi che rispettavano in pieno i criteri del patto di stabilità riguardanti il deficit e lo stock del debito, quali la Spagna e l'Irlanda, hanno visto il loro modello di sviluppo, basato su delle bolle immobiliari o bancarie, implodere nel corso dell'anno 2008, quando la congiuntura economica internazionale è mutata;
              nella maggior parte dei Paesi dell'eurozona, gli squilibri delle finanze pubbliche sono la conseguenza delle politiche di salvataggio delle banche attuate negli anni 2008 e 2009 e delle forti riduzioni di imposte sulle società nell'ambito di una concorrenza al ribasso tra Paesi europei: la pressione fiscale ufficiale sulle società dei Paesi della zona euro si è mediamente ridotta di 10 punti percentuali tra il 2000 e il 2010;
              l'euro e l'Unione europea sono a rischio a causa delle ampie asimmetrie di competitività delle aree legate alla moneta unica e delle risposte sbagliate date a questa crisi: le politiche di «svalutazione interna» orientate unicamente all’export, ossia alla ricerca della competitività attraverso la riduzione del costo del lavoro e delle misure di welfare, rappresentano quella che si potrebbe definire una vera e propria guerra commerciale fredda giocata sulla regressione del lavoro;
              viceversa, è necessario ed urgente sostenere la domanda aggregata interna all'area euro, un sostegno alla domanda che deve arrivare sia da risorse pubbliche che da una più equa distribuzione del reddito e della ricchezza, un'equità che può diventare una variabile macroeconomica propulsiva di uno sviluppo sostenibile;
              in particolare, sono urgenti interventi anticiclici a livello di eurozona da finanziare attraverso risorse comuni;
              lo stesso impianto della cosiddetta «agenda di Lisbona» era culturalmente debole: esso assumeva il pieno dispiegamento del mercato interno come condizione sufficiente, dato il controllo dell'inflazione ed il pareggio di bilancio, per il rilancio delle economie europee e lo sviluppo. La «società della conoscenza» e le riforme strutturali per liberalizzare le economie, il mercato del lavoro, i servizi pubblici, non erano però in grado di dare una risposta compiuta alla crisi economica ed occupazionale, anche di fronte all'emergere dei cosiddetti «Brics» (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa), in quanto risultava totalmente assente una politica industriale trainata da un domanda aggregata qualificata rivolta, innanzitutto, all'innovazione ed alla riconversione ecologica del nostro modello produttivo. Questa strategia è fallita e l'Europa sembra non averne una di ricambio;
              per un'inversione di rotta occorre, dunque, partire dai seguenti presupposti: a) la finanza pubblica non è indipendente dall'economia reale; b) il debito pubblico, con l'eccezione della Grecia (ed in parte dell'Italia), ha conosciuto un rapido incremento non a causa delle spese pubbliche tradizionali, ma a causa dell'assorbimento del debito privato in seguito all'implosione delle bolle speculative degli ultimi quindici anni; c) il blocco della ripresa non dipende dalla rigidità dell'offerta ma da un'insufficiente domanda aggregata; d) l'aumento delle diseguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza inibisce la domanda interna dell'eurozona;
              un'area a moneta unica, segnata da ampi differenziali di competitività, può sopravvivere soltanto o con un trasferimento di risorse (come nel caso del Mezzogiorno italiano oppure della Germania dell'Est), oppure rimuovendo tali differenziali con una politica economica adeguata. Se la Germania rifiuta tutte e due le soluzioni non c’è via d'uscita se non la frammentazione dell'area euro;
              la stessa Francia deve accettare un reale trasferimento di competenze dal piano nazionale a quello comunitario;
              occorre disegnare le grandi linee di un nuovo patto europeo e uscire dalla politica dei piccoli aggiustamenti per arrivare ad un nuovo grande compromesso che dia l'avvio ad una nuova fase della costruzione dell'Europa unita,

impegna il Governo:

          in occasione della preparazione e dello svolgimento del Consiglio europeo del 28-29 giugno 2012, a sostenere le seguenti posizioni ed iniziative:
              a) porre in essere misure e provvedimenti che delineino una vera unione politica del continente con un ruolo maggiore del Parlamento europeo, con una comune politica fiscale e finanziaria, con obiettivi comuni per lo sviluppo economico, sociale e culturale dell'area monetaria;
              b) promuovere azioni concrete per rilanciare gli ideali europei tramite: un sempre maggiore ruolo del Parlamento europeo nelle decisioni dell'Unione europea e nella definizione dei suoi organismi dirigenti; un rafforzamento della collaborazione culturale; una politica comune della difesa europea resa necessaria dalle nuove modalità e sensibilità nella gestione dei conflitti internazionali e dagli inevitabili tagli nei bilanci nazionali di una spesa militare tanto eccessiva quanto inappropriata; il completamento del mercato interno europeo che non è ancora una realtà pienamente operativa; la realizzazione di una vera armonizzazione fiscale dei Paesi dell'Unione europea da perseguire nel prossimo decennio; l'armonizzazione degli istituti in materia di diritto societario e di esercizio dell'impresa, essendo opportuno al riguardo che si promuova il ricorso a cooperazioni rafforzate; una politica comune della mobilità delle persone e l'aggiornamento degli accordi di Schengen;
              c) rivedere la cosiddetta agenda di Lisbona con la definizione di un programma europeo, pur mantenendo l'impegno al risanamento dei bilanci pubblici, rivolto a:
                  1) avviare in Europa una trasformazione sociale ed ecologica del modello di sviluppo a partire dal settore energetico e da quello dei trasporti, con l'istituzione di una nuova catena di creazione di valori nei mercati-pilota del futuro;
                  2) realizzare investimenti nelle infrastrutture materiali ed immateriali finanziati da obbligazioni europee ed attraverso un rafforzamento del ruolo della Banca europea per gli investimenti;
                  3) sostenere l'innovazione, la diffusione delle infrastrutture digitali e la ricerca;
                  4) rilanciare la domanda interna aggregata, in particolare nei Paesi dell'eurozona con bilance commerciali in forte attivo nei confronti degli altri partner europei, mediante spese pubbliche e tramite una politica di ridistribuzione dei redditi che favorisca la domanda privata;
              d) modificare il mandato della Banca centrale europea, dandogli prerogative simili a quelle delle più importanti banche centrali mondiali, per consentirle di concedere prestiti agli Stati nazionali e/o per acquistare titoli di Stato direttamente sul mercato primario, prevedendo un suo ruolo di prestatore di ultima istanza;
              e) promuovere una riformulazione degli articoli 3 e 4 della bozza del trattato su un'unione economica rafforzata che tenga conto di «fattori nazionali rilevanti», tra i quali l'ammontare del debito del settore privato, del risparmio delle famiglie e dell'andamento del ciclo economico;
              f) introdurre l'esclusione dal computo, ai fini della determinazione dei parametri per il rispetto dei trattati europei, di alcune fattispecie di investimenti pubblici nazionali concordati in sede europea;
              g) costituire un fondo europeo di redenzione per la parte degli stock dei debiti accumulati nel passato superiore al 60 per cento del prodotto interno lordo di ogni singolo Paese dell'eurozona, emettendo obbligazioni europee garantite da tutti gli Stati membri;
              h) prevedere in tempi rapidi l'Unione bancaria dell'area euro che si articoli in: una vigilanza unitaria europea sul settore del credito; un fondo europeo di garanzia dei depositi; un'autorità europea per la liquidazione degli istituti di credito insolventi;
              i) sostenere la proposta dell'istituzione di una tassa sulle transazioni finanziarie (compravendita di titoli, azioni, obbligazioni, valute e di ogni altro prodotto finanziario) valida innanzitutto per tutti i Paesi dell'eurogruppo, prendendo a riferimento un'aliquota tra lo 0,1 e lo 0,5 per cento del valore scambiato, in modo che i Paesi europei abbiano a disposizione risorse aggiuntive per raggiungere gli obiettivi di sviluppo citati;
              l) istituire un'agenzia di rating europea che, nel rispetto delle regole imposte dall'Unione europea, tratti in modo trasparente le metodologie di valutazione, rivolgendo, altresì, a tale organismo la valutazione dei debiti sovrani, nonché implementare con più incisività sul piano giuridico il concetto di responsabilità per le conseguenze delle valutazioni errate delle stesse agenzie di rating oggi esistenti;
              m) proporre una riforma delle regole della finanza che operi introducendo trasparenza, limitando i conflitti di interesse e gli accumuli di potere eccessivo, risolvendo il problema degli istituti «too big to fail», regolando meglio le banche e gli altri operatori (speculativi e non), valutando l'abolizione di alcuni strumenti finanziari (come alcuni derivati over the counter), adottando regole che separino l'attività delle banche di credito ordinario da quella delle banche d'investimento e ponendo in essere qualsiasi altra azione necessaria a ricondurre l'operato dei mercati nell'alveo del pubblico interesse e del bene comune.
(1-01095) «Donadi, Di Pietro, Borghesi, Evangelisti, Barbato, Cimadoro, Di Giuseppe, Di Stanislao, Favia, Aniello Formisano, Messina, Monai, Mura, Leoluca Orlando, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Porcino, Rota, Zazzera».


      La Camera,
          premesso che:
              i prossimi 28 e 29 giugno 2012 avrà luogo un Consiglio europeo su cui vertono grandi aspettative non solo a livello europeo, ma pressoché mondiale. È unanime l'idea che la moneta unica europea, le economie nazionali dei Paesi del vecchio continente e forse la stessa Unione europea siano ad un punto decisivo nel quale è minacciata la loro stessa sopravvivenza;
              benché pubblicamente ed ufficialmente si discuta solo del «come» salvare l'euro, molti ufficiosamente si stanno chiedendo «se» l'euro si possa salvare; la domanda successiva, dal punto di vista dei firmatari del presente atto di indirizzo doverosa per onestà e trasparenza verso cittadini italiani e quelli di tutta l'Europa, è se, alla luce dei sacrifici che ciò comporterà per le persone, ne valga davvero la pena;
              il prossimo Consiglio europeo sarà chiamato a prendere decisioni sui temi della stabilizzazione monetaria, della crescita economica e anche di un nuovo assetto politico per l'Unione europea, temi sui quali circolano proposte e progetti elaborati dalle istituzioni europee, dalla Banca centrale europea, da Governi di altri Paesi europei, che avranno un impatto determinato, in positivo od in negativo, sulla vita dei cittadini italiani, ma sui quali il dibattito nel nostro Paese è stato del tutto assente e nulla ha ritenuto di comunicare al Parlamento il Governo, nemmeno nell'informativa del Presidente del Consiglio dei ministri appositamente convocata sui temi europei solo pochi giorni fa, il 13 giugno 2012;
              il vertice dovrà fare il punto sul processo di ratifica ed effettiva entrata in vigore del nuovo meccanismo europeo di stabilità (European stability mechanism, Esm) che subentrerà al meccanismo provvisorio, che ha sostenuto finanziariamente fino ad oggi la Grecia. È un fondo cui gli altri Stati dell'Unione europea contribuiscono con le proprie finanze e che, a determinate condizioni, concede dei prestiti ai Paesi in difficoltà, ma è anche l'organismo che ha il potere, a fronte di questi prestiti, di intervenire pesantemente nelle scelte di politica economica e sociale dei Paesi beneficiari, di fatto avocandone la sovranità non solo sulle questioni finanziarie ma nella gestione corrente che attiene alle politiche fiscali della scuola, della sanità, delle infrastrutture e del mercato del lavoro, senza alcun limite prestabilito a questi interventi; il nuovo meccanismo europeo di stabilità avrà tutto questo potere, che, però, sarà gestito da un vero e proprio «consiglio di amministrazione» di membri certamente non eletti ma nominati dai Governi, che godranno di immunità e insindacabilità in tutti i loro atti. Il paradosso è che le scelte riguardo alle politiche sociali italiane, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, saranno prese da amministratori oscuri che ragioneranno in virtù di una contrattazione finanziaria; si assiste, quindi, alla definitiva consacrazione della finanza alla guida degli Stati sovrani;
              di questo interventismo grossolano dell'Unione europea si stanno accorgendo in molti, compreso il presidente di Confindustria che ha dovuto ammettere, ad esempio, che la riforma del lavoro proposta dal Ministro Fornero è una «boiata», ma va fatta lo stesso, perché la vuole l'Unione europea. L'affermazione è emblematica di come stiano costringendo a provvedimenti che non hanno nulla a che vedere con il bene del nostro Paese, che non avranno alcun effetto positivo, che non risolveranno i problemi strutturali dell'Italia che pure ci sono, ma sono solo cieche prove di adempimento disciplinato ai compiti assegnati;
              è stato calcolato che solo nel 2012 l'Italia verserà a vario titolo, nei vari sistemi di aiuto ai membri dell'euro in difficoltà, almeno 48 miliardi di euro: 48 miliardi sono l'equivalente dell'effetto positivo per le finanze pubbliche italiane delle pesantissime manovre del 2011, culminate con l'introduzione dell'imposta municipale unica e la riforma pensionistica. Un sacrificio enorme per il Paese, interamente non investito per la ripresa del Paese ed il sostegno a chi ne ha bisogno, ma riversato nel «buco nero» del sistema bancario spagnolo e del debito pubblico greco attaccato dalla finanza speculativa. I sacrifici degli italiani non serviranno a nulla e se ne dovranno fare ancora molti altri perché niente si è fatto per colpire le cause della crisi, nessun prezzo è stato chiesto alle banche fonte della crisi, ed i meccanismi speculativi non sono stati bloccati e nemmeno arginati; le banche vengono aiutate senza che nessuno chieda loro conto degli errori commessi. Sono, anzi, incentivate a continuare sulla strada della speculazione perché, se dal gioco perverso dei mercati ottengono dei guadagni, questi finiscono nelle loro casse, mentre se perdono i debiti vengono ripianati dai fondi pubblici e, quindi, dai cittadini;
              la crisi finanziaria nata negli Stati Uniti ha provocato una crisi economica che sta sconvolgendo l'Europa, ma che ha frenato e sta minacciando fortemente anche tutte le altre aree del pianeta, compresi i Paesi emergenti, i cosiddetti Brics, i cui tassi di crescita a due cifre hanno subito una brusca frenata. Ciò aumenta esponenzialmente i rischi di default perché sono questi Paesi che alimentano, attraverso il Fondo monetario internazionale, i fondi di sostegno e salvataggio di cui stanno già beneficiando alcuni Paesi europei. Si pone, inoltre, il dubbio morale, avanzato al vertice G20 di Los Cabos del 18 e 19 giugno 2012, se sia giusto pretendere da Paesi, che di fatto sono ancora in via di sviluppo, le cui popolazioni in larga parte vivono in condizioni di povertà, versamenti di miliardi di dollari per sostenere l'euro e, indirettamente, la costruzione europea;
              tra le proposte sul tavolo del vertice europeo di fine giugno 2012 c’è quella dell'unione bancaria: una regolamentazione europea dei requisiti di patrimonializzazione delle banche (che peraltro già esiste); un sistema unitario di monitoraggio, ma anche di ricapitalizzazione; un fondo comune sovranazionale di garanzia dei depositi; questo dovrebbe impedire che l'insolvenza di un istituto o degli istituti di un Paese possa contagiare l'intera area. Un simile meccanismo presenta numerosi punti discutibili: fino ad oggi le norme europee sulle capitalizzazioni bancarie (Basilea I, II e III) che, con le loro rigidità, sono costruite su misura per sistemi economici diversi da quello italiano, hanno penalizzato moltissimo la possibilità di concedere il credito necessario al sistema produttivo tipico del nostro Paese, quello della piccola e media impresa, e hanno in questo modo provocato un credit crunch che, a tutt'oggi, non è stato affatto superato; è, inoltre, riconosciuto a livello internazionale che il sistema bancario del nostro Paese, fondato su un risparmio privato solido e in assenza di bolle immobiliari e speculative forti, presenta una solidità maggiore a quella di tutti gli altri Paesi del Sud Europa e comparabile, se non superiore, a quello delle banche tedesche; in questo modo il risparmio bancario del nostro Paese confluirebbe in un unico fondo europeo per essere reimpiegato per salvare le banche straniere, mettendo a rischio i risparmi dei cittadini che sparirebbero dalle banche italiane per finire nel pozzo senza fondo dei salvataggi bancari di mezza Europa;
              il Consiglio europeo valuterà la proposta di creare un fondo europeo di redenzione (European redemption fund, Erf), proposto dalla Germania. Si tratterebbe di un fondo in cui far confluire l'importo dei debiti pubblici degli Stati dell'eurozona per la parte eccedente il 60 per cento del prodotto interno lordo, sui quali si emetterebbero titoli garantiti dal gettito delle imposte riscosse a livello nazionale e da asset pubblici (in particolare, riserve auree e di valuta estera) dei Paesi assistiti. Si tratta di un meccanismo complesso, che certamente ipotecherebbe le entrate fiscali di molti Paesi e sposterebbe a livello europeo il momento decisionale relativo alle tasse che ogni cittadino deve pagare; rappresenta probabilmente il massimo che la mentalità tedesca possa accettare rispetto agli eurobond; è anche l'estremo tentativo di Berlino di far comprendere agli altri partner europei che, dopo aver attuato pesanti riforme in casa propria e avere tenuto dritta la barra del rigore, non è possibile semplicemente accettare di mettere il frutto dei propri sacrifici nel calderone di Paesi europei che, fino ad oggi, hanno condotto politiche dissennate, come la Grecia, la Spagna e la stessa Italia, che continua a non porre rimedio ai suoi problemi strutturali: una pubblica amministrazione inefficiente e penalizzante, un mercato del lavoro rigido, la mancanza di infrastrutture, un Mezzogiorno che non affronta i suoi problemi storici;
              in Europa e nel nostro Paese in particolare esistono migliaia di banche di piccole e medie dimensioni, che per grandezza e struttura difficilmente possono essere la causa di un rischio sistemico al pari di colossi transnazionali che, invece, proprio perché sono «too big to fail», devono essere sottoposti a controlli e discipline molto rigorose. Non sono i piccoli istituti cooperativi, che raccolgono i risparmi privati delle famiglie e danno credito principalmente alle attività economiche del territorio, ad avere creato la crisi, bensì questi colossi che hanno abdicato alla funzione di sostegno all'economia per dedicarsi alla finanza speculativa, alimentata da banche di investimento internazionali, e consentita nel recente passato da alcune zone d'ombra di applicazione delle norme prudenziali;
              il riconoscimento del ruolo delle banche commerciali sarebbe un vero strumento per la crescita, perché permetterebbe di distinguere gli investimenti destinati alle attività produttive dai fondi (come quelli della Banca centrale europea prestati alle banche tra dicembre 2011 e febbraio 2012), immessi nel sistema bancario solo per coprire le perdite della speculazione, che non sono minimamente arrivati all'economia;
              l'esigenza di una normativa per la separazione bancaria sta entrando nella consapevolezza di tutti i Paesi europei, ne sono prova la mozione in tal senso presentata al Parlamento svedese, quella proposta da Hollande in Francia, che dovrebbe diventare più specifica in luglio 2012, quella proposta dal presidente dei socialdemocratici tedeschi Gabriel, oltre al dibattito acceso sul tema (anche se non riportato dalla stampa italiana) negli Stati Uniti;
              si è parlato da più parti anche di un progetto «politico» per l'Europa da discutere al tavolo del futuro Consiglio europeo, senza tuttavia chiarire quale contenuto si intenda dare a questo termine. Se si è giunti ad un'unione monetaria rivelatasi fallimentare, è legittimo, prima di fare ulteriori passi, ragionare sulle cause e sulle debolezze dell'attuale sistema e prima di procedere in ulteriori rafforzamenti. Pare opportuno, perlomeno, uscire dagli schemi dogmatici delle istituzioni già esistenti e ragionare semmai su un progetto politico europeo che superi gli Stati nazionali, oggi in piena crisi e, di fatto, svuotati di ogni sovranità, e lavorare per un'Europa dei popoli e delle regioni, fondata sulle persone e sulla loro cultura ed identità, anziché sull'aridità del mercato e della finanza che non ha saputo colpire i cuori delle persone e, anzi, le ha trasformate in puri «utilizzatori» di Europa, non in protagonisti;
              i forti attacchi speculativi alla moneta unica e la crisi del debito sovrano, che si sta propagando a molti Stati europei, hanno causato una vera crisi economica, stanno obbligando gli Stati a politiche molto pesanti e repressive sulle persone fisiche e sulle imprese, e secondo alcuni arriveranno ad incidere pesantemente anche sulle politiche di welfare, tanto da rendere oggi più che legittimo il dubbio se un'eventuale uscita dal sistema della moneta unica, per quanto drammatica, sia più o meno dolorosa del susseguirsi di sacrifici potenzialmente senza limite e senza alcuna certezza che essi portino alla fine ad una situazione di ritrovata fiducia e serenità,

impegna il Governo:

          a riconoscere insieme agli altri partner europei, in seno al Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2012, che l'attuale situazione di crisi della moneta unica e del sistema economico europeo è la diretta ed inevitabile conseguenza di una costruzione europea partita al contrario, eretta sulle fragili fondamenta dell'unione monetaria e di mercato, priva di unità politica e, soprattutto, di legittimazione popolare, e che per queste mancanze non solo subisce ora la crisi economica mondiale, ma annaspa nella propria, più grave, crisi di legittimità e di identità;
          a farsi promotore del progetto di una vera Europa politica, federale, che superi definitivamente gli Stati nazionali per rendere protagonisti i popoli e le regioni dell'Europa, attraverso meccanismi democratici, fondandosi su scelte che devono partire dal basso e mai essere calate dall'alto, pena l'implosione del progetto europeo proprio a causa della sua mancata legittimità popolare;
          a pretendere, come unica logica possibilità per la condivisione dei debiti sovrani creati dai singoli Stati, una equivalente cessione del controllo sui meccanismi di bilancio, affinché i meccanismi europei di stabilità non divengano un incentivo alla deresponsabilizzazione degli Stati in difficoltà ed un mero travaso senza fine di risorse da un lato all'altro dell'Europa;
          ad aprire, all'interno del nostro Paese, un confronto vero, approfondito, trasparente sui meccanismi economici, finanziari e bancari in discussione in sede internazionale e comunitaria, in particolare il meccanismo europeo di stabilità, il redemption fund e l'unione bancaria, prima di procedere all'assunzione di ulteriori impegni, sia in sede parlamentare che a tutti i livelli di coinvolgimento popolare, comprese mirate ipotesi referendarie;
          nel campo della regolamentazione europea dei mercati finanziari, a promuovere una riforma normativa volta ad affermare la separazione tra «banca commerciale» e «banca d'affari», tenendo conto della necessità di valorizzare il modello di banca tradizionale e non speculativa, per il suo ruolo economico e sociale e di riconoscerne la specificità che ne impedisce il rischio di crollo sistemico.
(1-01096) «Dozzo, Maroni, Bossi, Maggioni, Fugatti, Stefani, Alessandri, Dal Lago, Giancarlo Giorgetti, Caparini, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Cavallotto, Chiappori, Comaroli, Consiglio, Crosio, D'Amico, Desiderati, Di Vizia, Dussin, Fabi, Fava, Fedriga, Fogliato, Follegot, Forcolin, Gidoni, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lanzarin, Lussana, Martini, Meroni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Montagnoli, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Polledri, Rainieri, Reguzzoni, Rivolta, Rondini, Simonetti, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli, Volpi».


      La Camera,
          premesso che:
              nell'esporre la propria idea di Europa, Edmund Husserl annotava a mo’ di premessa che: «sin dai suoi esordi la storia europea è scandita tra il risveglio della ragione e le potenze della realtà storica». Alle seconde è da addebitarsi, per certo, la grande crisi dei nostri giorni, al primo è da affidarsi, confidandovi, il compito di sovrintendere il vertice del Consiglio europeo di Bruxelles il prossimo 28 e 29 giugno 2012;
              mentre le elezioni politiche tenutesi in Grecia il 17 giugno 2012 si sono trasformate in una sorta di referendum sulla permanenza nell'euro, a cui i greci hanno risposto in modo chiaro, dimostrando la netta intenzione di proseguire all'interno del percorso europeo, in modo da assicurare un obiettivo di lungo periodo, nell'ottica di una maggiore stabilità di una moneta affidabile, non può non considerarsi un'ulteriore passaggio del pensiero husserliano secondo il quale «il carattere più proprio della cultura europea» affonda le proprie radici proprio nell'antica Grecia, in particolare « in quel movimento di libertà» che trae linfa vitale da quella nuova forma di cultura e di filosofia;
              nelle pur necessarie spire degli imperativi categorici della crescita economica europea, usando a ragione l'aggettivazione in luogo della locuzione «in Europa», a rafforzare sentimenti di appartenenza che almeno i Paesi fondatori dovrebbero testimoniare in ogni loro atto formale e sostanziale, la forza di resistenza dei principi contenuti nei trattati non può che essere rappresentata dalla luce istituzionale dei principi, scolpiti nel trattato di Parigi istitutivo della Comunità europea del carbone e dell'acciaio, al pari del trattato di Lisbona, firmato meno di cinque anni fa;
              a distanza di due anni dalla sua deflagrazione, la crisi del debito sovrano in Grecia, iniziata come una crisi fiscale, si è estesa assumendo una dimensione economica, sociale e politica, ed ha prodotto pesanti ripercussioni sulla tenuta politica dell'intera zona euro;
              la crisi greca ha messo in luce le debolezze di una Unione europea che si trova, anzitutto, a dover affrontare una crisi politica e che, per molto tempo, ha fatto perno su un sistema monetario comune senza, tuttavia, la necessaria previsione di un adeguato ed unico quadro politico, economico, fiscale e di bilancio;
              le risposte giunte dai leader europei non hanno sortito gli effetti sperati e, anziché procedere alle necessarie riforme strutturali per il perfezionamento del sistema europeo, essi hanno preferito avanzare soluzioni volte ad arginare la crisi contingente, cosa che ha senso nel breve periodo, ma risulta insufficiente in vista della realizzazione di obiettivi di medio e lungo periodo ed anzi, mentre si sono accuratamente sottratti dal dovere di dare prospettiva alle loro decisioni contingenti nella logica lunga della solidarietà europea, commerciale, bancaria, tributaria, produttiva ma soprattutto e inevitabilmente politica;
              a dispetto degli alti obiettivi e delle finalità profonde, che la realizzazione del progetto europeo ha raggiunto, le incertezze e le difficoltà della crisi dell'euro hanno fatto riemergere e incoraggiato antiquate prospettazioni di stampo nazionalistico e neocorporativo fondate sull'ostinata miopia, in alcuni momenti tendente alla cecità di mantenere una sovranità, inevitabilmente condita di richiami populistici, talvolta banali;
              nella crisi, gli Stati e l'Europa, presi al laccio della speculazione finanziaria immune dal controllo politico democratico, appaiono oggi, agli occhi dei firmatari del presente atto di indirizzo, come i polli di manzoniana memoria, mentre neppure vengono enunciati credibilmente gli obiettivi di consolidare un'Europa vicina ai suoi cittadini, mai come ora, solitari e avvolti in un grave senso di smarrimento mentre subiscono gli effetti di una crisi le cui ragioni appaiono e sono lontane e nascoste;
              le conseguenze di tale instabilità, infatti, si sono trasformate ben presto in effetti diretti e indiretti non solo sul sistema finanziario, ma anche e pericolosamente sull'economia reale, cioè sulla vita delle persone, delle famiglie e delle imprese;
              appare evidente che tra le questioni da affrontare vi sia, pertanto, la necessità di trovare una soluzione anzitutto politica. Ogni sforzo dei leader e dei Paesi europei dovrà essere volto a realizzare azioni concrete concertate per raggiungere il definitivo completamento dell'Unione europea, andando ad incidere in prima battuta su quei pilastri ora mancanti ma necessari per il rilancio del progetto europeo; una condizione da conseguirsi senza alcuna indulgenza leaderistica, intendendo che il nome di questo o quel Capo di governo nient'altro è che la propria nazione con le sue passioni, la sua intelligenza collettiva, la sua paura contingente;
              vi è, tuttavia, la consapevolezza che, nell'immediato, appaiono urgenti e necessarie soluzioni comuni in grado di superare la crisi economica e sociale e l'ondata di recessione generalizzata nella quale versa l'Europa;
              le debolezze del sistema dell'euro, l'instabilità dei mercati finanziari e le incertezze sulle prospettive future e sulla gestione della crisi, hanno ancora una volta confermato la necessità che gli Stati membri, tra cui l'Italia, perseverino nella loro politica di riduzione dei disavanzi allo scopo di assicurare stabilità finanziaria e bilanci solidi ed evitare, in tal modo che siano le future generazioni a dover pagare le conseguenze di gestioni finanziarie fallimentari;
              se, da un lato, il risanamento dei conti pubblici e il raggiungimento degli equilibri di bilancio rappresentano uno sforzo necessario per restituire credibilità ai Paesi e nuove prospettive di crescita alla zona dell'euro, dall'altra, non sembrano politiche sufficienti a stimolare l'economia e a superare la drammatica fase recessiva o di crescita stentata che soffoca l'Europa;
              è ormai ampiamente riconosciuto che una politica del rigore, benché imprescindibile, non possa resistere nella coscienza generale e nella sua accettazione senza le opportune misure per lo sviluppo e la crescita economica;
              appare, pertanto, di primaria importanza appoggiare l'adozione di misure in grado di assicurare la sostenibilità fiscale ed economica, accompagnata da una maggiore competitività e sostenere, al tempo stesso, politiche che producano effetti immediati sull'occupazione e sull'attività economica;
              sino ad ora, l'Europa si è mostrata sorda di fronte alle urgenze che la gravità della crisi imponeva di affrontare. I prossimi incontri, dunque, saranno decisivi per affrontare le questioni dell'agenda politica europea e per compiere scelte non più prorogabili, che potrebbero influenzare il futuro del progetto europeo per i prossimi anni. In caso contrario, il default di alcuni Paesi dell'eurozona provocherebbe un contagio immediato, andando a destabilizzare l'intero continente, oltre a rendere certo il rischio della sopravvivenza stessa della moneta unica,

impegna il Governo:

          a farsi promotore, nelle competenti sedi europee, di un dibattito che ponga al centro dell'azione europea la costruzione di un'Europa politica e l'avvio di quelle riforme istituzionali per il completamento del progetto europeo;
          a sostenere incondizionatamente l'applicazione alla crisi del metodo comunitario, con una drastica e definitiva riduzione della metodologia della cooperazione intergovernativa e, in particolare, con una intelligente review dei casi di prevalenza accordata agli organi degli Stati, al principio dell'unanimità, nonché con un ricorso più esplicito, previo riconoscimento politico, agli atti vincolanti assunti dalle istituzioni europee, con il necessario corollario di un rinnovato disegno dei controlli giurisdizionali di legittimità;
          a correlare alla crisi corrente la perdurante crisi da deficit democratico delle istituzioni, così da convalidare, nella prospettiva della copertura democratica delle decisioni funzionali in area economica e sociale, la domanda di rafforzamento del ruolo e dei poteri del Parlamento europeo e di trasformazione della Commissione europea in autentica espressione di un unico, unitario e omogeneo potere esecutivo europeo;
          ad operare affinché la politica estera generale europea, le politiche di cooperazione giudiziaria in materia civile e commerciale, le politiche di cooperazione giudiziaria in materia penale, con particolare riguardo a quelle orientate alla lotta contro la corruzione in tutte le sue forme, costituiscano tout court le politiche degli Stati europei, senza specificazioni nazionali sprovviste, in questi ambiti, di giustificazione.
(1-01097) «Pisicchio, Fabbri, Mosella, Tabacci, Brugger».


      La Camera,
           premesso che:
              la stagnazione dell'economia europea e il perdurare della crisi del debito sovrano in diversi Paesi della zona euro rendono evidente che l'attuale assetto istituzionale e politico dell'Unione europea e, in particolare, dell'Unione economica e monetaria non è in grado né di assicurare la stabilità dell'area euro contro attacchi speculativi, né di promuovere il rilancio della crescita e dell'occupazione;
              in particolare, il nuovo sistema di governance economica europea, incentrato sull'irrigidimento dei vincoli posti a presidio della stabilità delle finanze pubbliche e non accompagnato da adeguate misure per la crescita a livello europeo, ha prodotto effetti prociclici, come dimostrato dal caso della Grecia;
              le tensioni sui mercati dei titoli di debito di numerosi Paesi dell'eurozona e le difficoltà di istituti bancari confermano, inoltre, l'insufficienza dei meccanismi di stabilizzazione costituiti o in via di costituzione e la necessità di creare meccanismi per l'emissione o la garanzia in comune dei debiti sovrani dell'eurozona;
              è, quindi, emerso con evidenza che soltanto l'avvio di un processo che, partendo dall'integrazione delle politiche economiche e fiscali, conduca a medio-lungo termine ad un'unione di tipo federale può assicurare la sopravvivenza della moneta unica e della stessa costruzione europea;
              se l'area euro fosse uno Stato federale, avrebbe una situazione complessiva di bilancio migliore di gran parte degli altri partner globali e sarebbe al riparo da manovre speculative alimentate dai dubbi in merito alla solvibilità dei suoi membri e delle banche, nonostante l'entità dei debiti sovrani;
              occorre, pertanto, avviare, contestualmente al completamento del processo di ratifica del fiscalcompact, della modifica all'articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e del Trattato istitutivo del meccanismo europeo di stabilità, un processo di integrazione economica e politica articolato in impegni precisi e in tappe e scadenze certe;
              le proposte sinora avanzate per definire a livello europeo un'efficace strategia europea per la crescita e creare strumenti per la gestione comune del debito non si sono tradotte sinora in misure concrete, venendo recepite solo in modo parziale e in via di principio nella dichiarazione sulla crescita adottata dal Consiglio europeo del 30 gennaio 2012, nelle conclusioni del Consiglio europeo dell'1-2 marzo 2012 e il vertice straordinario sulla crescita del 23 maggio 2012;
              il 25 gennaio 2012 la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica hanno approvato a larghissima maggioranza, tra le altre, due mozioni in identico testo (mozione Camera 1-00800 e mozione Senato 1-00534), che impegnavano il Governo, subito dopo la stipulazione del nuovo Trattato sulla stabilità, la governance e il coordinamento delle politiche economiche (cosiddetto fiscal compact) «a porre al centro della riflessione politica europea le politiche dello sviluppo e della crescita» e a riaprire, in tempi e modi opportuni, il processo costituente verso una unione politica dei popoli europei;
              il Governo italiano ha svolto un ruolo di primo piano nel promuovere iniziative per la crescita e la stabilizzazione dell'area euro, anche sottoscrivendo, il 20 febbraio 2012, insieme a Regno Unito, Spagna, Paesi Bassi, Finlandia, Estonia, Lettonia, Irlanda, Repubblica Ceca, Slovacchia, Svezia e Polonia una lettera al Presidente del Consiglio europeo, Van Rompuy, e al Presidente della Commissione europea, Barroso, recante un «Piano per la crescita in Europa»;
              il Governo ha già, inoltre, prospettato, in vista del vertice del 23 maggio 2012, alcune opzioni di intervento, relative all'applicazione delle regole patto di stabilità alle spese per investimenti, all'incremento delle risorse per gli investimenti ad alto potenziale di crescita e al completamento del mercato interno e alla creazione di meccanismi di garanzia comune del debito;
              la credibilità e la portata delle misure adottate e degli impegni assunti sinora dall'Italia per il risanamento danno al Governo l'autorevolezza necessaria per ribadire in seno alle istituzioni europee l'esigenza di una risposta più efficace, solidale dell'Unione europea alla crisi,

impegna il Governo:

          in occasione del Consiglio europeo del 28-29 giugno 2012:
              a) ad adoperarsi affinché sia adottato un piano europeo per la crescita e l'occupazione, dotato di un preciso programma di interventi coordinati e cofinanziati con risorse significative dell'Unione;
              b) a reiterare la proposta di classificare in maniera diversa gli aggregati rilevanti ai fini della verifica del rapporto deficit/prodotto interno lordo, in particolare la parte delle spese per investimenti produttivi (cosiddetta golden rule);
              c) a sostenere la necessità di rafforzare il ruolo e la capacità operativa della Banca europea per gli investimenti, procedendo ad una ricapitalizzazione di almeno 10 miliardi di euro, che consentirebbe di accrescerne il sostegno alla emissione di project bond e di prestiti per investimenti nelle infrastrutture e ad altri progetti comuni ai diversi Paesi dell'Unione europea;
              d) a promuovere una valutazione approfondita dell'ipotesi di ricorrere all'emissione diretta di titoli obbligazionari della Banca europea per gli investimenti o della Commissione europea per finanziare integralmente progetti di rilievo europeo (cosiddetti eurobond);
              e) a sollecitare l'adozione di una garanzia comune dei debiti sovrani secondo la proposta, avanzata dal Parlamento europeo, di trasferire per ciascuno Stato membro il debito eccedente il valore di riferimento del 60 per cento ad un fondo comune a responsabilità solidale (fondo per il rimborso del debito o European redemption fund), definendo un percorso di consolidamento per il rimborso del debito trasferito nell'arco di un periodo di 20-25 anni;
              f) a valutare, a medio e lungo termine, anche il ricorso agli stability bond (emissioni comuni di debito) che assicurerebbe, a regime, la garanzia comune del debito sovrano dell'eurozona, in coerenza con una prospettiva federale;
              g) a procedere a breve termine, come auspicato dalla Commissione europea e dalla Banca centrale europea, alla creazione di una unione bancaria fra i Paesi dell'eurozona, basata su un sistema comune di garanzia dei depositi, un fondo europeo di risoluzione per i fallimenti bancari e una centralizzazione della vigilanza bancaria a livello di Unione europea.
(1-01098) «Galletti, Della Vedova».


      La Camera,
          premesso che:
              il settore agroalimentare, come dimostrano anche gli ultimi dati sull’export, è uno dei settori strategici su cui investire per rilanciare lo sviluppo della regione Calabria attraverso, da un lato, la valorizzazione del prodotto di qualità e, dall'altro, la repressione di dinamiche distorsive di tipo contraffattivo o parassitario che ne minano la reputazione e la diffusione;
              la realtà delle frodi alimentari ha raggiunto livelli impensabili con quella che oggi viene chiamata agropirateria che consiste nella contraffazione di un prodotto alimentare sfruttandone la reputazione e la notorietà, imitando nomi, marchi, aspetto o caratteristiche;
              secondo uno studio di Coldiretti Calabria, ogni anno il Made in Calabria subisce un danno valutabile in circa un miliardo di euro che influisce in modo significativo sull'occupazione;
              la dimensione internazionale del fenomeno pone limiti oggettivi alle azioni di contrasto dirette;
              sul piano dell'assetto normativo, come emerge dalla relazione sulla contraffazione nel settore agroalimentare della Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale, il quadro di riferimento italiano può essere considerato tra quelli maggiormente evoluti a livello dei Paesi industrializzati, tuttavia la vetustà di alcune disposizioni, ne consiglierebbe una rivisitazione, in termine di condotte e di relative sanzioni, che tengano conto delle mutate esigenze di protezione e di tutela, da rapportare oggi a processi produttivi completamente cambiati e altamente tecnologici, a relazioni economiche di carattere più spiccatamente transnazionale nonché ai crescenti interessi della criminalità organizzata in materia di contraffazione;
              la sempre maggior transnazionalità del fenomeno contraffattivo impone quindi un forte impegno, a livello europeo e internazionale, per giungere alla definizione di un quadro di regole comuni che risponda a principi di reciprocità ed efficacia;
              l'approccio alla problematica non può essere affrontato però solo in termini repressivi. Occorre agire anche attraverso mirate campagne d'informazione e promozione che dovrebbero riguardare anche i mercati esteri, per abituare i consumatori a saper distinguere un vero prodotto calabrese da imitazioni ovvero da azioni parassitarie che richiamano l'identità della regione;
              un forte aiuto in tal senso deriva dalla previsione di sistemi di etichettatura e tracciabilità capaci di rendere più trasparenti le varie fasi del processo produttivo in modo da «raccontare» la storia di una dato prodotto dalla scelta dei sistemi di coltivazione/allevamento, alla diverse fasi di elaborazione, fino al suo arrivo sullo scaffale di un esercizio commerciale;
              appare, pertanto, urgente dare immediata attuazione alla legge 3 febbraio 2011, n.  4, «Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari» mediante l'emanazione dei decreti interministeriali di cui al comma 3 dell'articolo 4. Questa previsione riveste una particolare attualità per la regione Calabria poiché si rende utile per la provenienza di origine del succo concentrato di arance. Infatti, se attuata, sarebbe di particolare rilevanza economica oltre che sociale per la filiera degli agrumi da industria con un indubbio vantaggio per le produzioni calabresi;
              un altro punto critico è il cosiddetto Calabria sounding. Esso è un fenomeno legato a quei prodotti che pur non essendo tecnicamente contraffatti richiamano in qualche modo, nei colori e nei nomi, l'origine calabrese degli ingredienti, della lavorazione o del prodotto stesso senza però che le materie prime e la relativa lavorazione siano effettivamente tali;
              il cosiddetto «decreto liberalizzazioni» del Governo, presenta interventi normativi a favore del sistema agroalimentare italiano puntando al rilancio degli investimenti nel comparto e ad una maggiore solidità finanziaria delle aziende agro alimentari, ispirandosi a criteri di trasparenza nei rapporti di filiera, efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa; tuttavia, il decreto-legge 5 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214, ha introdotto nell'ordinamento una robusta imposta patrimoniale, che incide pesantemente sui beni immobili del settore agricolo – quali terreni e fabbricati rurali – e modifica la fiscalità applicata al settore primario e, in particolare, ai beni funzionali all'esercizio dell'attività agricola, che vengono assimilati, in buona parte, a puro e semplice patrimonio;
              in particolare il citato decreto-legge n.  201 del 2011 ha stabilito l'anticipazione – in via sperimentale dal 1o gennaio 2012 – dell'imposta municipale propria (IMU) di cui al decreto legislativo 14 marzo 2011, n.  23 fissandone il presupposto nel possesso di immobili, ovvero fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli, compresa l'abitazione principale e le pertinenze della stessa. Appare necessaria quindi una netta differenziazione del trattamento fiscale per chi il terreno lo usa per vivere e lavorare;
              l'introduzione dell'IMU rischia di aggravare ulteriormente la crisi di molte piccole e medie aziende agricole calabresi, tra l'altro già duramente gravate dagli elevati aumenti del prezzo del gasolio;
              la proposta di riforma sulla politica agricola comune, entra nel vivo in vista della sua applicazione nel periodo 2014-2020 ed è necessario che diventi uno strumento di tutela dell'agricoltura italiana introducendo chiarezza sulle regole e riconoscendo adeguate risorse ai produttori, non tanto e solo in base alla superficie agricola ma anche in base alla qualità della produzione, introducendo norme più rigide sulle indicazioni dei prodotti, sull'etichettatura e sulla difesa del Made in Italy dalle contraffazioni;
              nella attuazione di politiche agricole è necessario mantenere il territorio nazionale libero da Organismi geneticamente modificati (OGM) attuando il principio di precauzione,

impegna il Governo:

          a rilanciare gli investimenti nel settore agroalimentare, garantendo una maggiore trasparenza dei rapporti all'interno della filiera, e introducendo nuove misure di sostegno per l'accesso al credito;
          a dare maggiore impulso alle politiche di promozione delle produzioni agricole ed agroalimentari a livello nazionale ed internazionale;
          ad emanare, in tempi brevi, i decreti interministeriali di cui al comma 3, dell'articolo 4 della legge n.  4, del 3 febbraio 2011, «Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari»;
          ad adoperarsi affinché la lotta alla contraffazione sia considerata una priorità per la politica europea, oltre che a livello nazionale, e a promuovere anche in sede di riforma della PAC, forme di coordinamento più stringenti a livello di Unione europea, con l'obiettivo di superare problemi e resistenze, anche a livello mondiale (WTO), e ad assumere iniziative volte a contrastare la contraffazione via internet;
          ad intraprendere opportune iniziative di competenza finalizzate alla mitigazione della riscossione o quanto meno delle azioni coattive di Equitalia, per quanto riguarda il settore agricolo;
              a prevedere una rateizzazione più ampia dei debiti contributivi e fiscali vantati da Equitalia e dagli enti previdenziali;
          a prevedere delle opportune misure finalizzate ad alleggerire il carico fiscale sul comparto agricolo e agroalimentare in modo particolare riguardo alla cosiddetta IMU, al contenimento del costo del carburante agricolo e ai contributi e tributi;
          a sostenere la competitività anche avendo riguardo a misure quali il credito d'imposta per finanziare la ricerca e l'innovazione in agricoltura;
          a mantenere il territorio nazionale libero da organismi geneticamente modificati al fine di tutelare le produzioni nazionali e la biodiversità, vera e propria ricchezza del nostro territorio.
(1-01099) «Oliverio, Villecco Calipari, Laratta, Laganà Fortugno, Minniti, Marini, Agostini, Brandolini, Cenni, Servodio».


      La Camera,
          premesso che:
              la lotta all'evasione fiscale è necessaria in quanto chi evade danneggia l'intera economia nazionale, causa disservizi ed obbliga lo Stato ad aumentare la pressione fiscale per far fronte alle esigenze di bilancio;
              quindi è fondamentale che lo Stato si sia dotato di un organismo preposto alla riscossione dei tributi e, in accordo, con la Guardia di finanza proceda alla lotta contro un fenomeno deprecabile;
              tuttavia, il contrasto dell'evasione non può diventare un alibi per mettere in difficoltà i contribuenti che in questo momento, costretti da cause di forza maggiore, non sono in grado di far fronte con immediatezza a quanto dovuto ad Equitalia;
              le modalità di riscossione da parte di Equitalia fanno lievitare a livelli astronomici le tasse arretrate sulle quali pesano spese di riscossione, penali e interessi che diventano, quindi, strumenti vessatori nei confronti di imprese, artigiani, commercianti, famiglie, e altri;
              la creazione di questo ente ha portato ad un ulteriore inasprimento della pressione fiscale; mentre ad esempio, negli anni passati l'INPS comunicava ad un commerciante moroso un avviso bonario con la richiesta del saldo e la semplice aggiunta degli interessi, oggi il contribuente inadempiente si vedrà recapitare da Equitalia una cartella di pagamento con l'importo dovuto e l'aggiunta degli interessi (come avveniva prima), e in più l'aggravio dell'aggio di riscossione per l'esattore (circa il 5 per cento dell'importo totale più, il 9 per cento in caso di ulteriore ritardo);
              se un contribuente pagherà la cartella esattamente un anno dopo dovrà versare il 4 per cento annuo all'ente impositore, il 6,8358 per cento annuo di interessi di mora, lo 0,615 per cento annuo all'agente della riscossione per un totale di interessi pari all'11,4508 per cento annuo. A questo va aggiunta la sanzione amministrava del 30 per cento e l'aggio nella misura del 9 per cento per un totale del 50,4508 per cento. Se, nelle more, Equitalia avesse iscritto un'ipoteca o un fermo amministrativo i costi di accensione e chiusura saranno a carico del debitore e si aggiungeranno al montante facendo lievitare la spesa totale oltre il 100 per cento;
              non si tratta di evasori fiscali, ma di contribuenti che hanno dichiarato i propri redditi ed hanno semplicemente saltato un pagamento per errore o per necessità dovuta alla contingenza economica, o per altre ragioni;
              i poteri di Equitalia si ricollegano alla legge (articolo 17, comma 1 del decreto legislativo n.  112 del 1999) con la quale si autorizza l'ente esattore richiedere maggiori somme comprese tra il 4,65 per cento ed il 9 per cento della somma dovuta. È da sottolineare che anche l'aggio è considerato una parte integrante della tassa da pagare. L'iscrizione a ruolo consegnata agli agenti esattori di Equitalia costituisce titolo esecutivo per procedere alla riscossione, tutto ciò è un «privilegio» ed una disparità di trattamento rispetto ai normali cittadini che, per vedere un proprio credito diventare esecutivo, devono rivolgersi al magistrato per la verifica (terzietà ed imparzialità nel giudizio). Mentre nel caso di Equitalia, in assenza di un provvedimento di un giudice, il credito vantato è solo presunto;
              con il decreto-legge n.  78 del 2010 convertito dalla legge n.  122 del 2010 si sono ulteriormente rafforzate le procedure di riscossione. In sostanza per gli accertamenti notificati dopo il 1o luglio 2011 non sarà necessaria nemmeno l'iscrizione a ruolo e l'emissione della cartella di pagamento, sarà sufficiente la comunicazione dell'ente impositore; l'agente della riscossione «procede ad espropriazione forzata con i poteri, le facoltà e le modalità previste dalle disposizioni che disciplinano la riscossione a mezzo ruolo»;
              nei mesi scorsi, ha particolarmente colpito i cittadini italiani la notizia che un manager di Equitalia era presidente di una società che comprava a prezzi stracciati le case vendute all'asta;
              occorre, individuare, nella difficile congiuntura economica attuale, una soluzione per far sì che i contribuenti possano far fronte ai debiti nei confronti di Equitalia in maniera equilibrata,

impegna il Governo:

          a eseguire una verifica sull'applicazione della normativa vigente relativa ad Equitalia al fine di evitare che strumenti eccessivamente penalizzanti, come il pignoramento della prima casa e le «ganasce fiscali», vengano utilizzati come veri e propri strumenti di vessazione dei cittadini;
          ad assumere misure volte ad evitare che, oltre a quanto dovuto, i cittadini siano costretti a pagare somme inique ed esorbitanti a causa di sanzioni, aggio ed interessi;
          a valutare la possibilità di un regime che sia più umano verso coloro che saldano i debiti in un'unica soluzione o che lo rateizzino abbattendo, drasticamente, interessi ed aggi.
(1-01100) «Ronchi, Maroni, Iannaccone, Mazzuca, Belcastro, Porfidia, Urso, Scalia, Abrignani, Gioacchino Alfano, Angeli, Armosino, Ascierto, Beccalossi, Barbieri, Baccini, Berardi, Bertolini, Bianconi, Bocciardo, Catone, Cazzola, Crimi, Craxi, Contento, Cannella, Ceccacci Rubino, Centemero, Castellani, Calderisi, Castiello, Commercio, Dell'Elce, Di Caterina, Dima, Formichella, Fallica, Renato Farina, Faenzi, Antonino Foti, Tommaso Foti, Fucci, Gregorio Fontana, Vincenzo Antonio Fontana, Galli, Girlanda, Giro, Grassano, Gaglione, Garagnani, Gianni, Gibiino, Germanà, Ghiglia, Holzmann, Lainati, Lo Monte, Marsilio, Mazzoni, Meloni, Malgieri, Misiti, Misuraca, Mottola, Moffa, Moles, Nola, Oliveri, Paniz, Pescante, Pianetta, Picchi, Pili, Pisacane, Polidori, Pugliese, Antonio Pepe, Petrenga, Pionati, Pelino, Rampelli, Luciano Rossi, Rosso, Roccella, Razzi, Ravetto, Savino, Scilipoti, Speciale, Stasi, Stradella, Stracquadanio, Stagno d'Alcontres, Taddei, Terranova, Torrisi, Toccafondi, Tortoli, Testoni, Valentini, Vella».

ATTI DI CONTROLLO

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      GIAMMANCO, FRASSINETTI, CECCACCI RUBINO, MANNUCCI, BIASOTTI, ANTONINO FOTI, VINCENZO ANTONIO FONTANA e REPETTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          nei giorni scorsi, a seguito del fallimento della società «Parks and Leisure s.r.l.» è stato pubblicato dalla VII Sezione civile fallimentare del tribunale di Napoli l'invito a presentare offerte irrevocabili per l'acquisto di lotto unico costituito dal complesso aziendale che si articola in due rami, di cui uno è il «Giardino Zoologico di Napoli»;
          in tale invito si legge che il complesso aziendale è costituito fra l'altro da «tutti gli animali ospitati nel parco zoologico (...) e si segnala che alcuni degli animali ospitati risultano non di proprietà della procedura fallimentare, bensì in mera custodia giudiziaria perché sottoposti a precedente sequestro o confisca anche se gli stessi risultano di difficile trasferibilità in quanto anziani ed abituati ai loro spazi»;
          a notizia dell'interrogante si tratterebbe di due tigri e di 1 leopardo;
          da anni gli animali nello zoo di Napoli, la cui precedente gestione era già fallita nel 2003 – con aggravio di costi sulle casse pubbliche – versano in condizioni critiche;
          a notizia dell'interrogante, resa pubblica da organi locali di stampa, è in corso un'inchiesta della procura della Repubblica per maltrattamenti come sanzionati dal codice penale e altre violazioni di leggi;
          a quanto risulta gli animali, fra i quali i tre di proprietà dello Stato, sono stati dichiarati intrasportabili mentre a notizia dell'interrogante essi possono essere tranquillamente trasportati e trasferiti in strutture confacenti;
          tale spostamento oltre che essere un atto dovuto per assicurare condizioni di benessere per gli animali, alleggerirebbe il carico economico che il comune di Napoli è comunque costretto a sopportare visti i contributi a fondo perduto che ha destinato alla struttura negli ultimi mesi di procedura fallimentare e prevedibilmente sarà costretto a continuare ad assicurare ancora nei prossimi mesi;
          ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo n.  73 del 2005, recante attuazione della direttiva 1999/22/CE relativa alla custodia degli animali selvatici nei giardini zoologici, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è responsabile dell'accertamento delle condizioni delle strutture e, ad oggi, risulta essere anche il proprietario dei tre animali citati in premessa;
          allo zoo di Napoli non è stata rilasciata la licenza prescritta dall'articolo 4 del decreto legislativo n.  73 del 2005;
          l'articolo 5 del decreto legislativo n.  73 del 2005 prevede che, in caso di chiusura del giardino zoologico, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è responsabile per l'accertamento che gli animali siano mantenuti in condizioni conformi a quanto previsto dallo stesso decreto e, in caso contrario, dell'eventuale trasferimento in un'altra struttura più adeguata  –:
          quali provvedimenti intenda intraprendere affinché venga garantita la piena osservanza delle disposizioni previste dal decreto legislativo citato in premessa e per evitare che gli animali, di proprietà dello Stato, vengano venduti e che venga loro assicurato il benessere in strutture più adatte;
          chi abbia valutato, con quale mandato, con quali certificazioni e su quali basi tecnico-scientifiche, l'intrasferibilità dei tre animali;
          se risulti se e quali sanzioni siano state disposte a carico di coloro che ancora gestiscono l'esercizio dello zoo di Napoli, non essendo in possesso di alcuna licenza. (5-07184)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta scritta:


      CICCIOLI. —Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          la fondazione «Muse-Corelli» di Ancona, gestisce tra l'altro il teatro delle Muse di Ancona, da circa dieci anni, da quando il più grande teatro delle Marche, tra i più grandi d'Italia, ha ripreso vita e attività, dopo un periodo di chiusura di circa 60 anni, dal periodo del secondo conflitto mondiale;
          dal 2002 al 2011, il Ministero ha concesso il contributo annuo FUS alla lirica delle Muse, per una cifra media di 250.000 euro annui, somma che unita a quella degli enti territoriali e sponsorizzazioni private, ha consentito di mantenere un livello di eccellenza, tanto che due volte, la lirica delle muse ha ottenuto il «Premio Abbiati» che è considerato un oscar della lirica ordinaria;
          l'attività delle Muse ha consentito la rinascita di nuovi mestieri, garantendo e facendo crescere nuove professionalità e ha prodotto spettacoli e un salto culturale non solo nel capoluogo;
          si è appreso dagli articoli della stampa locali che per il 2012, il Ministero avrebbe previsto un contributo FUS pari a 100.000 euro, a fronte dei 240.000 mila riconosciuti nel 2011, di 245.000 nel 2010 e di 260.000 nel 2009; un taglio del 60 per cento rispetto all'anno precedente, del tutto ingiustificato ad avviso dell'interrogante  –:
          se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra esposto e quali misure intenda adottare per scongiurare i tagli annunciati, che andrebbero a penalizzare in modo rilevantissimo la stessa esistenza della lirica nel capoluogo marchigiano.
(4-16716)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


      BELLANOVA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          con decreto n.  306 il Ministero della difesa – direzione generale per il personale militare – come riportato al comma 1 dell'articolo 1, decreta un concorso «per titoli ed esami, per il reclutamento di 3756 volontari in ferma prefissata quadriennale (VFP 4) nell'Esercito, nella Marina militare e nell'Aeronautica militare, riservato ai volontari in ferma prefissata di un anno (VFP 1) in servizio, anche in rafferma annuale, o in congedo per fine ferma, appartenenti ai sotto indicati blocchi di incorporazione ed in possesso dei requisiti di cui al successivo articolo 2» pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (4a Serie speciale – Concorsi) n.  82 del 14 ottobre 2011;
          il comma 2 dell'articolo 1 del decreto n.  306 sancisce che i posti a concorso sono suddivisi in: 2900 nell'Esercito ripartiti in 1450 nella 1o immissione e 1450 nella 2o immissione; 356 posti nella Marina militare di cui 314 per il CEMM e 42 per le CP ripartiti in n.  178 nella 1o immissione e 178 nella 2o immissione, di cui 157 per il CEMM e 21 per le CP; 500 posti nell'aeronautica militare di cui 250 1o immissione e 250 nella 2o immissione;
          il 20 giugno 2012 sulla testata La Gazzetta del Mezzogiorno, nelle pagine inerenti la città di Lecce, si legge un articolo «Tagli ai reclutamenti militari restano fuori tanti giovani salentini» Il pezzo giornalistico inizia col riportare le vicissitudini vissute precedentemente da questi ragazzi per partecipare al concorso e per le quali l'interrogante il 16 febbraio 2012 ha presentato anche una interrogazione parlamentare. Difatti, a causa di una abbondante nevicata i ragazzi furono impossibilitati a salire a bordo dei treni, perdendo la possibilità di sostenere la prova, ma fortunatamente il Ministero decise di riconvocarli in data successiva e farli sostenere le prove concorsuali. Inoltre, si legge dello sfogo di un padre, il cui figlio pur essendosi classificato, secondo quanto prescriveva il bando iniziale in posizione di vincitore, non rientrerà di fatto nella graduatoria dei vincitori per effetto di un dimezzamento dei posti;
          l’iter concorsuale si è concluso pochi giorni addietro, tuttavia ha determinato quella che il genitore sopracitato definisce una vera e propria «doccia fredda» poiché, a pubblicazione della graduatoria, i ragazzi hanno appreso che i posti in concorso per la Marina militare sembrerebbero essersi dimezzati, escludendo, di fatto, i concorrenti che avendo conseguito un punteggio alto pensavano, secondo quanto postulato dal bando iniziale, di essere vincitori;
          il decreto del Ministero della difesa n.  129 del 29 maggio scorso, difatti, all'articolo 1 approva la graduatoria di merito relativa alla 1o immissione nella Marina militare, nel CEMM ed all'articolo 2 reca «i candidati compresi nei primi 80 posti della graduatoria di merito di cui al precedente articolo 1 sono dichiarati vincitori, con riserva dell'ulteriore accertamento dei requisiti previsti dal bando di concorso»;
          di fatto i posti messi a concorso nel decreto dirigenziale n.  306 per la Marina militare sono stati dimezzati e ciò ha negato la possibilità, a giovani ventenni che studiando si erano classificati in posizione da vincitore, di acquisire un lavoro seppur precario;
          l'interrogante ritiene utile ricordare che la situazione occupazionale dei giovani in Italia non è purtroppo tra le più rosee, questa situazione si amplifica drammaticamente nel Mezzogiorno, territorio nel quale secondo il rapporto «Employment Outlook» dell'Ocse supera il 38 per cento. Risulta facile ipotizzare come nel partecipare a questi concorsi i ragazzi meridionali intravedono una concreta opportunità di fuggire dalla disoccupazione e sgravare contemporaneamente le famiglie da un carico economico;
          è utile sottolineare ciò che quel padre ha dichiarato alla testata giornalistica, vale a dire che il figlio per partecipare al concorso ha dovuto «sostenere le spese di vitto, alloggio, documentazione medica specialistica da produrre in sede concorsuale [...] ad ogni famiglia quella partecipazione costò non meno di mille euro. E di questi tempi, con la disoccupazione che ci sta strozzando, non sono pochi»  –:
          se il Ministro interrogato non ritenga opportuno intervenire per rimuovere le motivazioni che hanno, di fatto, portato al dimezzamento dei posti in concorso per la Marina militare, relativi all'immissione al CEMM e che hanno lasciato fuori graduatoria molti ragazzi che secondo il dettato del decreto n.  306 sarebbero, invece, risultati vincitori;
          se il Ministro, in conseguenza del dimezzamento, non ritenga utile attivarsi affinché i concorrenti sopra citati siano comunque tenuti in considerazione per una prossima eventuale immissione che postuli lo scorrimento di graduatoria, così da non ledere i diritti di alcun partecipante. (5-07185)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


      SCILIPOTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le cronache quotidiane danno ampio risalto alla profonda e inusitata conflittualità oggi esistente tra cittadino contribuente e fisco. Agenzia delle entrate e concessionario della riscossione (Equitalia) sono così diventate simbolo – e bersaglio – del crescente e diffuso malcontento, spesso acuito dal difficilissimo contesto economico/finanziario attuale;
          è ora necessario e non più rinviabile costruire realmente le basi di nuovo rapporto basato su basi paritarie, tra fisco e cittadini/contribuenti;
          occorre, al di là delle mere affermazioni di stile, partire da una radicale modifica legislativa che consenta di far sì che il fisco concentri le proprie risorse materiali ed umane nello scovare i veri evasori, evitando «accanimenti» con chi spontaneamente dichiara il dovuto al fisco, anche se spesso è nelle condizioni di non potere adempiere regolarmente alle obbligazioni fiscali;
          il caso è quello relativo a contribuenti che, dopo avere regolarmente e spontaneamente indicato nelle dichiarazioni dei redditi le imposte dovute, omettono poi in tutto od in parte di versare alle scadenze le imposte autoliquidate, e spontaneamente indicate come dovute, in questi casi la normativa di riferimento (articolo 36-bis, decreto del Presidente della Repubblica n.  600 del 1973 e articolo 13, decreto legislativo n.  471 del 1997) prevede sanzioni pari al 30 per cento delle imposte non versate. Il tutto oltre interessi e aggi del concessionario, cui viene affidata la riscossione delle imposte non versate;
          prima di affidare il carico al concessionario della riscossione, l'amministrazione finanziaria invia un cosiddetto avviso bonario, atto endoprocedimentale non direttamente impugnabile, con il quale invita il contribuente a sanare la propria posizione, con il beneficio della riduzione delle sanzioni ad 1/3 della sanzione prevista per legge, salva la dimostrazione che in effetti nessuna imposta è dovuta, in quanto si sia verificato un errore in fase di liquidazione automatizzata; entro i trenta giorni il contribuente può infatti fornire i propri chiarimenti o rilevare eventuali errori nella liquidazione automatizzata, sì da ottenere l'annullamento della comunicazione;
          gli avvisi bonari non sono impugnabili innanzi alle commissioni tributarie; pertanto il contribuente che ritenga la riliquidazione non corretta, non può impugnare l'avviso bonario ma deve attendere l'emissione della cartella esattoriale di Equitalia, che tuttavia conterrà non solamente l'importo della sanzione elevata al 30 per cento, ma altresì l'aggio spettante all'esattore, oltre agli interessi fino al momento del soddisfo. Oltretutto le attuali disposizioni prevedono che decorso il termine di sessanta giorni senza che sia intervenuto il pagamento, anche l'aggio attualmente a carico dell'amministrazione finanziaria pari al 50 per cento del totale gravi per intero sul contribuente, per un importo complessivo pari al 9 per cento dell'importo portato in cartella;
          il «cittadino medio» ignora che in caso di mancato versamento delle imposte a seguito dell'avviso bonario la successiva cartella esattoriale sarà gravata delle ulteriori somme che contribuiscono a far lievitare in modo abnorme il carico fiscale, fin quasi a renderlo non più tollerabile;
          nel comune sentire si trova irragionevole e vessatorio applicare sanzioni ed aggi abnormi, a detta dell'interrogante, quasi usurari, su somme autodichiarate al fisco, ma spesso non versate per obbiettive condizioni di indigenza o comunque di materiale impossibilità ad adempiere all'obbligazione tributaria, o semplicemente perché si ritiene non dovuta la somma;
          in caso di ricorso, il cittadino contribuente sarà costretto, salvo una improbabile sospensione della riscossione, a versare gli importi della cartella esattoriale così gravata;
          le situazioni sopra descritte contribuiscono ad alimentare il clima di sfiducia verso lo Stato e si arriva così al paradosso di chi, avendo sempre dichiarato tutto al fisco, valuti, per il futuro, di omettere totalmente la dichiarazione dei redditi;
          queste procedure hanno contribuito in misura determinante all'enorme carico di lavoro delle commissioni tributarie che nella migliore delle ipotesi pongono in discussione le causa non prima di due-tre anni; ciò contribuisce ad un ulteriore aggravio di interessi moratori a carico dei contribuenti, tant’è che sinora, in questi casi, la soluzione è stata quella, come nel 2002 della cosiddetta rottamazione delle cartelle; così gli unici importi che l'amministrazione riesce effettivamente ad introitare sono quelle che derivano dalla «chiusura» della posizione tramite «condono fiscale»: l'incassato sarà pertanto una cifra «risibile» se rapportata al dovuto: variabile dal 10 al 50 per cento delle sole imposte; somme pagate peraltro a distanza di anni, senza sanzioni ed interessi (dopo che l'amministrazione finanziaria avrà impiegato notevolissime risorse umane e materiali);
          si ritiene pertanto che possa e debba trovarsi una situazione volta a modificare il sistema di riscossione legato all'adempimento spontaneo, in tutti quei casi di effettiva impossibilità per il contribuente di potere adempiere con regolarità alle proprie obbligazioni;
          il sistema della riscossione spontanea deve, a detta dell'interrogante, quindi essere modificato, con l'eliminazione di tutte le sanzioni – nel caso di non contestazione delle somme – ed applicazione dei soli interessi da dilazione. Solo così potrebbe essere incentivata la dichiarazione spontanea delle somme, anche da parte di chi effettivamente non può pagare le imposte. Infatti solo l'enorme divario sanzionatorio che verrebbe a crearsi fra le ipotesi di omessa dichiarazione dei redditi e dichiarazione dei redditi regolarmente presentata, seppure con imposte non versate costituirebbe deterrente fortissimo all'evasione;
          in particolare si dovrebbe, a detta dell'interrogante, procedere alla modifica della normativa vigente, che dovrebbe prevedere in particolare:
              a) l'eliminazione di sanzioni nel caso di espressa acquiescenza circa le debenza delle somme autoliquidate in dichiarazione, con possibilità di rateizzazione «lunga» in un tempo congruo tale da permettere al debitore di poter reperire le risorse necessarie (5 anni). A tal fine, anche il mancato pagamento di una o più rate previste nel piano di rateizzazione concordate con l'Agenzia delle entrate non comporterebbe l'applicazione di sanzioni, ma unicamente di interessi legali con una piccola maggiorazione (nell'ordine di 2 punti percentuali). La situazione potrebbe essere «gestita» in autonomia dal contribuente con l'inserimento, all'interno del «cassetto fiscale» di un apposito software che conteggi esattamente l'obbligazione tributaria dovuta ad una precisa data (con generazione del modello F24), tale da determinare, in maniera oggettiva il debito fiscale alla data individuata per il pagamento ed evitare l'insorgere di contestazioni circa l’an ed il quantum debeatur;
              b) l'introduzione di un forte fattore disincentivante a instaurare liti con il fisco per le ipotesi di mancato versamento di imposte autoliquidate. Tale obbiettivo potrebbe essere ottenuto con applicazione di sanzioni triple rispetto a quelle attuali (le sanzioni passerebbero dal 30 per cento al 90 per cento delle imposte) nei casi di impugnazione dell'atto, con motivazioni pretestuose e con motivi di legittimità e di merito che poi la commissione tributaria accerti come infondati;
              c) la modifica dell'articolo 19, decreto legislativo n.  546 del 1992, con la specifica previsione dell'impugnabilità del cosiddetto avviso bonario, che pertanto diverrebbe non più atto endoprocedimentale, avente finalità di mero invito, ma vero e proprio atto impositivo, alla stregua di un normale avviso di accertamento. L'avviso bonario, la cui denominazione dovrebbe essere mutata in avviso di liquidazione imposte dichiarate, appunto, nel caso di impugnazione e soccombenza del contribuente costituirebbe titolo per la riscossione di imposte, interessi e sanzioni nella misura del 90 per cento. Nel caso di acquiescenza da parte del contribuente, costituirebbe titolo per la riscossione delle sole imposte ed interessi, senza sanzioni, con il vantaggio della rateizzazione in 5 anni, e con l'applicazione di sanzioni super-ridotte anche nelle ipotesi di lieve mancato rispetto del pagamento del piano di rateizzazione. Solo nel caso di conclamato mancato rispetto del piano di rateizzazione (mancato pagamento di 5 rate consecutive, senza che il contribuente si sia ravveduto) le somme verrebbero affidate per la riscossione al Concessionario della Riscossione, con ulteriore aggravio costituito dall'aggio spettante all'esattore;
          la mini-riforma come sopra evidenziata avrebbe senza dubbio l'effetto di migliorare sensibilmente il perseguimento della cosiddetta tax compliance; il contribuente vedrebbe finalmente l'amministrazione finanziaria non più come uno «strozzino» che applica condizioni inaccettabili nei confronti dei contribuenti più deboli, ma come ente che comprende le difficoltà dei cittadini, perseguendo con vigore – nel rispetto della normativa – chi utilizza vari espedienti per sottrarsi al pagamento delle imposte;
          altra modifica che l'interrogante riterrebbe necessaria è quella all'articolo 36-ter, decreto del Presidente della Repubblica n.  600 del 1973;
          l'articolo 36-ter, decreto del Presidente della Repubblica n.  600 del 1973 prevede attualmente che «Gli uffici periferici dell'amministrazione finanziaria, procedono (...) al controllo formale delle dichiarazioni presentate dai contribuenti e dai sostituti d'imposta sulla base dei criteri selettivi fissati dal Ministro delle finanze (...), ed ancora (...) il contribuente o il sostituto d'imposta è invitato, anche telefonicamente o in forma scritta o telematica, a fornire chiarimenti in ordine ai dati contenuti nella dichiarazione e ad eseguire o trasmettere ricevute di versamento e altri documenti non allegati alla dichiarazione o difformi dai dati forniti da terzi. 4. L'esito del controllo formale è comunicato al contribuente o al sostituto d'imposta con l'indicazione dei motivi che hanno dato luogo alla rettifica degli imponibili, delle imposte, delle ritenute alla fonte, dei contributi e dei premi dichiarati, per consentire anche la segnalazione di eventuali dati ed elementi non considerati o valutati erroneamente in sede di controllo formale»;
          nella sostanza, gli oneri e detrazioni indicate in dichiarazione dai contribuenti vengono oggi controllati a campione. L'ufficio invia una comunicazione al contribuente chiedendo l'esibizione della documentazione giustificativa degli oneri indicati in dichiarazione (spese mediche, detrazioni per interventi edilizi, contributi previdenziali, ritenute subite, eccetera). Tali oneri e spese – che spesso incidono per decine di migliaia di euro – devono essere debitamente documentati dal contribuente, al quale è pertanto richiesto di conservare tale documentazione, allo scopo di esibirla all'ufficio in caso di controllo;
          ebbene, tale attività di controllo che non porta grossi gettiti per l'erario, i recuperi sono spesso nell'ordine di poche centinaia di euro, comporta l'impiego di enormi risorse umane e materiali e l'irritazione dei contribuenti, che spesso sono costretti a riconsegnare all'ufficio la stessa documentazione già consegnata per annualità precedente;
          se venisse introdotto l'obbligo di scannerizzare la documentazione inerente tali oneri, in modo da allegarla obbligatoriamente telematicamente alla dichiarazione dei redditi trasmessa, si avrebbero i seguenti indubbi vantaggi e tra questi:
              a) l'impossibilità per il contribuente di alterare la documentazione (poiché la scannerizzazione, con invio in allegato alla dichiarazione dei redditi) «cristallizzerebbe» il documento;
              b) il forte effetto deterrente: nessuno andrebbe più ad indicare oneri o spese non documentate (come invece purtroppo oggi viene fatto, poiché ci sono contribuenti che confidano sul fatto che l'estrazione della propria dichiarazione è fatto casuale);
              c) l'enorme abbattimento dell'impiego di risorse: gli Uffici non dovrebbero più fare richieste documentali (spesso con raccomandate che non vanno a buon fine), aspettare le richieste dei contribuenti che spesso non arrivano, procedere all'iscrizione a ruolo (nei casi di omessa esibizione documentale) e poi sgravare le somme iscritte a ruolo (quando dopo la ricezione della cartella di pagamento il contribuente presenta all'ufficio i documenti)  –:
          quale sia l'orientamento del Governo in relazione alle proposte indicate in premessa;
          se non ritenga che le proposte indicate in premessa possano essere percorribili utilizzando un atto normativo di urgenza che preveda anche norme che tendano a mitigare il carico delle sanzioni e more che grava sulle cartelle esattoriali attualmente in riscossione presso Equitalia, per consentire ad una gran massa di cittadini, già provati dalla crisi, di poter assolvere ai propri doveri di pagamento delle imposte dovute senza l'insopportabile carico delle sanzioni, aggi e more.
(4-16722)

GIUSTIZIA

Interpellanza:


      Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
          il decreto-legge n.  1 del 2012 (decreto liberalizzazioni) all'articolo 3 ha inserito nel codice civile l'articolo 2463-bis, sulla srl semplificata, stabilendo che l'atto costitutivo di tale società debba essere redatto per atto pubblico in conformità ad un modello standard tipizzato con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico. Sempre con decreto adottato di concerto tra le medesime amministrazioni, deve essere tipizzato lo statuto standard della società a responsabilità limitata semplificata e devono essere individuati i criteri di accertamento delle qualità soggettive dei soci;
          in attuazione di tali previsioni, lo schema di regolamento adottato dal Ministero della giustizia, è stato sottoposto al vaglio del Consiglio di Stato. Tale regolamento si compone di due articoli, uno intitolato «Modello standard dell'atto costitutivo e dello statuto della società a responsabilità limitata semplificata» e l'articolo 2 «Individuazione dei criteri di accertamento delle qualità soggettive dei soci della società a responsabilità limitata semplificata». L'articolo 1 prevede che l'atto costitutivo e lo statuto della srl deve essere redatto per atto pubblico in conformità al modello standard. Tutti i profili non espressamente regolati dalle disposizioni espresse nel modello standard devono essere integrati dalle opzioni normative del Codice civile, ove non diversamente voluto dalle parti. L'articolo 2 invece prevede che sia il notaio a verificare che l'età anagrafica delle persone fisiche che intendono costituire una società a responsabilità limitata semplificata sia quella prevista dall'articolo 2463-bis del codice civile. Il Consiglio di Stato ha affermato che lo schema di regolamento così previsto appare nel complesso tecnicamente corretto  –:
          se il Ministro intenda emanare rapidamente i decreti attuativi per rendere operativa questa modalità di impresa che molti giovani italiani attendono per far partire i loro progetti imprenditoriali.
(2-01562) «Adinolfi».

Interrogazioni a risposta scritta:


      DI PIETRO. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          la legge delega n.  148 del 2011 ha previsto la riorganizzazione degli uffici giudiziari in tutt'Italia nell'ottica della razionalizzazione del settore e del contenimento dei costi che – come precisato all'articolo 1, comma 2 lettera b) – deve tener conto «dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, del carico di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze, della specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale, e del tasso di impatto della criminalità organizzata, nonché della necessità di razionalizzare il servizio giustizia nelle grandi aree metropolitane»;
          i tribunali di Lamezia Terme (Catanzaro), Paola (Cosenza), Castrovillari (Cosenza) e Rossano (Cosenza) operano in un territorio ad alto tasso di criminalità organizzata;
          chiudere i sopracitati tribunali non farebbe altro che incoraggiare le attività illegali, alimentando, al contempo, una sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni  –:
          se non ritenga di assumere iniziative per evitare la paventata chiusura dei tribunali calabresi, che appare in perfetta contraddizione con quanto previsto dalla legge delega n.  148 del 2011 e che altro non farebbe se non condizionare il tessuto socioeconomico di quei territori lasciati in balia delle politiche del malaffare.
(4-16718)


      DONADI, CIMADORO e PALADINI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legge cosiddetto «Liberalizzazioni» (decreto-legge n.  1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n.  27), ha introdotto una norma (articolo 3 – Accesso dei giovani alla costituzione di società a responsabilità limitata) per permettere agli under 35 di avviare un'attività di impresa senza oneri (le Società semplificate a responsabilità limitata);
          l'articolo 3 citato prevedeva che con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, venisse tipizzato lo statuto standard della società e fossero individuati i criteri di accertamento delle qualità soggettive dei soci;
          passati oltre 3 mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge «liberalizzazioni», non è possibile costituire questa tipologia societaria a causa della mancata emanazione del decreto attuativo, secondo la norma, entro il 23 maggio 2012  –:
          cosa abbia impedito l'emanazione del decreto attuativo con il quale si doveva tipizzare lo statuto standard della società e dovevano essere individuati i criteri di accertamento delle qualità soggettive dei soci, e se non intenda accelerare al massimo, e come, i tempi per l'emanazione di tale decreto. (4-16720)


      SANTELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          le intercettazioni rappresentano uno strumento utile e talora fondamentale per le indagini, soprattutto in un Paese come l'Italia in cui la lotta alla corruzione e alla criminalità sono una priorità;
          tuttavia, negli ultimi venti anni, si è rilevato un utilizzo talvolta spropositato di questo strumento investigativo e di indagine da parte delle procure, tale da ingenerare sconcerto e preoccupazione per l'uso a volte improprio delle intercettazioni, col risultato di infrangere il diritto alla riservatezza, visto che molte volte le predette intercettazioni non vengono utilizzate a fini processuali, se non in parte modesta;
          oltre al problema connesso alla tutela delle libertà personali, fondamentali in uno Stato democratico, esiste anche un generale problema di spreco di denaro pubblico, particolarmente grave se non utilizzato per specifici scopi di giustizia;
          come noto, il sistema delle intercettazioni telefoniche ha, in Italia, un costo elevatissimo: bollette telefoniche, apparecchiature sofisticate, cassette, decrittazioni, e altro, anche di parecchie centinaia di milioni per ogni singolo caso;
          in altri Paesi le tariffe sono inferiori, se non addirittura nulle perché il noleggio delle apparecchiature, l'acquisizione dei tabulati sono concessi come servizi gratuiti per lo Stato;
          dalla relazione presentata – in data 10 maggio 2012 – dal Ministro per i rapporti con il Parlamento Giarda alle Commissioni riunite Bilancio di Senato e Camera sulla revisione della spesa pubblica, emerge – con riferimento ai costi del Dipartimento per l'organizzazione giudiziaria – una voce di spesa che incide per il 40 per cento del totale delle spese di giustizia proprio per la gestione del servizio intercettazioni telefoniche, telematiche ed ambientali;
          sempre nella relazione si legge che l'attività «di noleggio apparati» («registrazione, conservazione analisi, trattamento dei dati relativi all'attività di intercettazione telefonica, ambientale, telematica o via internet») «viene acquisita sul libero mercato dalle singole Procure della Repubblica in assenza di specifica normativa in materia» e che, pertanto, il «noleggio delle strumentazioni in questione» avviene «mediante affidamento diretto»;
          questo modus operandi ha «determinato, oltre ai maggiori costi derivanti dalla parcellizzazione della domanda, anche l'instaurazione di una procedura di infrazione comunitaria da parte della Commissione Europea» che contesta in particolare «l'assoluta assenza di un procedimento ad evidenza pubblica europea per l'acquisizione e il noleggio di tali strumentazioni»;
          secondo la Commissione dell'Unione europea l'Italia ha violato la direttiva in materia di appalti pubblici, libera circolazione di merci, servizi e libertà di stabilimento, primo passo verso un ricorso alla Corte di giustizia che potrebbe portare ad una multa ingente  –:
          quali provvedimenti urgenti il Ministro intenda adottare per verificare i fatti evidenziati nella relazione del Ministro per i rapporti con il Parlamento con particolare riferimento alle numerose criticità sulle spese relative alle intercettazioni;
          perché il Ministro non abbia dato attuazione alla annunciata gara unica nazionale per le intercettazioni che, secondo le stime fatte dal Ministro stesso, avrebbe fatto risparmiare tra i 200 e i 250 milioni di euro l'anno e quali provvedimenti tempestivi intende adottare per evitare la procedura di infrazione davanti alla Corte europea;
          se il Ministro sia a conoscenza delle modalità in base alle quali le procure selezionano i fornitori ed in particolare se vengano fatte indagini di mercato, come vengono effettuate le trascrizioni e quanto costano e se su tale materia sia o meno intervenuta un'azione della Corte dei conti;
          se risulti per quale motivo le procure interessate pur in assenza di specifica normativa in materia, non abbiano, comunque, ritenuto di dover ricorrere a procedure di evidenza pubblica europea per l'acquisizione ed il noleggio delle strumentazioni in questione. (4-16726)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


      Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
          il Ministero dei trasporti, le Ferrovie dello Stato, la TAV e la regione Toscana hanno sottoscritto un accordo quadro e poi un protocollo d'intesa in data 24 aprile 1997 nel quale la Ferrovie dello Stato spa si impegnava a realizzare l'elettrificazione della linea ferroviaria denominata «Faentina» che collega Firenze con i comuni di Borgo S. Lorenzo e Pontassieve;
          in data 3 marzo 1999 è stato integrato con l'impegno alla costruzione della linea Osmannoro-Campi Bisenzio, sempre nella provincia di Firenze;
          in date successive (15 febbraio 2001 e 22 gennaio 2010) gli stessi promotori dell'accordo originario hanno sottoscritto patti con le date e gli importi relativi ai finanziamenti necessari alla realizzazione delle opere per elettrificazione della «Faentina» e per la nuova tratta Osmannoro-Campi Bisenzio;
          a tutt'oggi niente è accaduto nonostante gli impegni formali assunti;
          il disagio quotidiano dei pendolari della valle del Mugello, diretti a Firenze, che usano una linea ferroviaria non più sicura a causa di mezzi vecchi, inefficienti ed a volte pericolosi  –:
          il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti sia a conoscenza di siffatta situazione che si protrae da tempi insopportabilmente lunghi;
          se risultino accantonati i finanziamenti necessari e quale sia l'ente o la società che deve provvedere all'elettrificazione della «Faentina».
(2-01563) «Bosi».

Interrogazione a risposta in Commissione:


      GAVA e MISTRELLO DESTRO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          i quotidiani del 14 giugno 2012 hanno reso noto che nella stazione Ostiense di Roma, è stata realizzata tra il centro servizi e biglietteria della società NTV SpA ed il binario sul quale transitano i treni della stessa NTV una cancellata che di fatto impedisce ai viaggiatori di accedere al treno direttamente dal marciapiede;
          tale stato di fatto cagiona gravi disagi ai viaggiatori che sono costretti ad un ben più lungo percorso fatto di un estenuante sali-scendi attraverso tapis roulant, scale mobili e ascensori;
          un simile percorso crea evidentemente disagi ulteriori e non meno gravi ai viaggiatori diversamente abili  –:
          quali azioni siano state poste in essere per impedire che il processo di liberalizzazione del trasporto ferroviario venga ostacolato;
          se la realizzazione della cancellata da parte di RFI spa sia avvenuta nel rispetto della normativa vigente;
          quali provvedimenti verranno assunti nei confronti di RFI spa nel caso in cui si accertasse la non correttezza del suo comportamento. (5-07186)

Interrogazioni a risposta scritta:


      SCILIPOTI. —Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il rapporto Aci-Istat del 2010 rileva segni di miglioramento nei decessi a seguito di incidenti, ma non ancora in linea con gli obbiettivi fissati dall'Unione europea. L'Italia è al tredicesimo posto; infatti sono i seguenti:
              a) vittime 3.998 (-5,6 per cento sul 2009);
              b) feriti 296.000 (3,7 per cento sul 2009);
              c) incidenti 207.000 (-3,9 per cento sul 2009);
          il rapporto ACI quantifica in 30 miliardi di euro/anno, il costo sociale dei feriti da incidenti d'auto. In termini di sofferenze alle persone e di costi è elevatissimo e in questo modo viene sprecata una somma di tale entità mentre non si riescono a mettere in atto provvedimenti efficaci, di prevenzione e contro chi causa il ferimento di una persona;
          vi sarebbero provvedimenti efficaci a costo zero, come il ritiro della patente a vita, oppure per un periodo significativo di 5 anni, il sequestro e la confisca dell'auto, quale che sia il proprietario, al momento l'autovettura non viene sequestrata se non è condotta dal proprietario;
          la condanna con pena sostitutiva al carcere, con possibilità di riabilitazione con affidamento ai servizi sociali, potrebbe essere una misura efficace;
          negli USA, la guida in stato d'ebbrezza è condannata a pena detentiva ed è applicata in maniera ferrea e senza distinzione a quanti vengono individuati con tassi alcolici non compatibili con la sicurezza della guida;
          anche una significativo aumento del premio assicurativo per coloro che provocano il ferimento di una persona potrebbero essere forme efficaci di prevenzione degli incidenti  –:
          quali iniziative siano allo studio o si intendano intraprendere al fine di porre in essere azioni e sanzioni ancora più efficaci di quelle già previste dalla legislazione vigente al fine di avvicinare ulteriormente l'Italia ai parametri europei relativi alla prevenzione degli incidenti stradali e alle sanzioni per coloro che causano feriti negli stessi. (4-16719)


      MONAI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          gli ispettori del lavoro sono ufficiali di polizia giudiziaria (UPG) nell'esercizio delle loro funzioni e, per poter operare sul territorio urbano e extraurbana, si trovano a utilizzare mezzi pubblici o privati con notevole frequenza, mettendo a disposizione dell'amministrazione proprie autovetture autorizzate all'espletamento dei compiti assegnati;
          su tutto il territorio nazionale gli ufficiale di polizia giudiziaria mostrando il tesserino di riconoscimento possono usufruire gratuitamente dei mezzi pubblici e in alcune realtà cittadine, come a esempio nella città di Milano, l'ispettore è dotato – alla stregua del nucleo ispettori del lavoro (NIL) dei carabinieri – di una tessera magnetica che consente la libera fruizione del servizio;
          a quanto consta all'interrogante con un ordine di servizio n.  716 dell'8 luglio 2011 del «responsabile marketing» del Gruppo Torinese Trasporti (GTT) intitolato «Libera circolazione sui mezzi di trasporto pubblico» la città di Torino è diventata l'unica realtà che non solo non consente a queste figure professionali di usufruire gratuitamente del servizio pubblico, ma, nei casi di utilizzo di mezzi privati, li rende passibili di sanzioni in caso di sosta nelle aree riservate;
          a seguito delle numerose lamentele, il Ministero delle infrastrutture e trasporti, per avere indicazioni nel merito, ha contattato il GTT che ha trasmesso una nota protocollo n.  16310 del 2 settembre 2011 alla regione Piemonte, la quale, a sua volta, con lettera protocollo n.  5979 del 19 settembre 2011 ha coinvolto la propria direzione generale – settore affari istituzionali e avvocatura richiedendo se fosse «possibile o meno riconoscere la libera circolazione sui mezzi di trasporto pubblico» agli ufficiali di polizia giudiziaria  –:
          se non si ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza per consentire agli ispettori del lavoro – ufficiali di polizia giudiziaria la fruizione gratuita del servizio di trasporto pubblico su tutto il territorio urbano e suburbano così da non ostacolare l'opera di vigilanza e da sanare al contempo la differenza di trattamento riservata al nucleo ispettori del lavoro dell'arma dei Carabinieri, dotando i medesimi ispettori del lavoro, di appositi permessi di sosta da utilizzare sulle autovetture private messe a disposizione dell'amministrazione ed autorizzate al servizio, onde non incorrere nelle sanzioni relative alla violazione delle aree di sosta riservate a pagamento. (4-16724)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      ANTONINO RUSSO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          la legge n.  14 del 24 febbraio 2012, di conversione del decreto-legge 29 dicembre 2011, n.  216, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative, ne ha modificato l'articolo 14 aggiungendo al comma 2-ter. che «fermo restando che le graduatorie ad esaurimento di cui all'articolo 1, commi 605, lettera c), e 607, della legge 27 dicembre 2006, n.  296, e successive modificazioni, restano chiuse, limitatamente ai docenti che hanno conseguito l'abilitazione dopo aver frequentato ...(omissis) i corsi di laurea in scienze della formazione primaria negli anni accademici 2008-2009, 2009-2010 e 2010-2011, è istituita una fascia aggiuntiva alle predette graduatorie;
          l'ordine del giorno n.  9/4865-b/21, approvato nella seduta della camera n.  591 di giovedì 23 febbraio 2012, ha, fra l'altro, impegnato il Governo a «inserire nella fascia aggiuntiva tutti i docenti che conseguono l'abilitazione presso le facoltà di scienze della formazione primaria entro la data di scadenza delle domande prevista dal decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ai sensi del comma 2-ter all'articolo 14 del decreto-legge n.  216 del 2011»;
          il decreto ministeriale n.  53 del 2012 che ha dato attuazione alla suddetta norma all'articolo 1 comma 1, prevede che «possono presentare domanda di inclusione in una fascia aggiuntiva alla III fascia delle graduatorie ad esaurimento costituite in applicazione del decreto ministeriale 12    maggio 2011 n.  44, modificato dal decreto ministeriale 26 maggio 2011 n.  47, i docenti che negli anni accademici 2008/09, 2009/10 e 2010/11 hanno conseguito l'abilitazione dopo aver frequentato ...(omissis) i corsi di laurea in scienze della formazione primaria»;
          con siffatta interpretazione della legge restano esclusi dall'inserimento nella IV fascia tutti quei docenti che conseguono l'abilitazione presso le facoltà di scienze della formazione primaria entro la data di scadenza delle domande prevista dal decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca  –:
          se intenda modificare le indicazioni contenute nel decreto n.  53 del 2012 che, contrariamente a quanto previsto dal sopra richiamato ordine del giorno approvato dalla Camera, riferendosi a coloro che hanno conseguito l'abilitazione negli anni accademici 2008/09, 2009/10 e 2010/11, escludono dall'inserimento nella IV fascia quei docenti che abbiano conseguito l'abilitazione entro la data di scadenza delle domande prevista dal decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. (5-07187)


      ZAZZERA. —Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere premesso che:
          la legge 204 del 2010 disciplina, all'articolo 18, la chiamata dei professori da parte delle università stabilendo, al comma 1 lettera b), che ai procedimenti per la chiamata di professori di prima e seconda fascia possono partecipare anche «gli studiosi stabilmente impegnati all'estero in attività di ricerca o insegnamento a livello universitario in posizioni di livello pari a quelle oggetto del bando, sulla base di tabelle di corrispondenza, aggiornate ogni tre anni, definite dal Ministro, sentito il CUN»;
          la direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 settembre 2005, recepita in Italia con decreto legislativo n.  206 del 2007, dà la possibilità ad un cittadino comunitario di richiedere il riconoscimento in uno Stato membro della qualifica professionale «di pari livello» acquisita in un altro Stato membro, «purché si tratti di una professione regolamentata»;
          sullo stesso argomento, la Corte di giustizia delle Comunità europee, nella «questione pregiudiziale» C-586/08 sollevata dal TAR del Lazio, pone un obbligo per lo Stato italiano affinché «le qualifiche acquisite in altri Stati membri siano riconosciute per il loro giusto valore e siano debitamente prese in considerazione nell'ambito di tale procedura»;
          la comparazione della qualifica ottenuta per accedere ad una posizione accademica è elemento ben diverso dalla comparazione delle stesse posizioni accademiche di «studiosi stabilmente impegnati», comparazione basata su semplici corrispondenze di grado;
          l'articolo 18 della legge 240 del 2010 tiene di fatto al di fuori della possibilità di partecipare alla chiamata dei professori coloro che hanno ottenuto una qualifica professionale all'estero per accedere al ruolo, ma non sono stabilmente impiegati nella relativa posizione accademica, creando un'evidente disparità di trattamento tra gli italiani, ai quali basta il possesso della qualifica, gli stranieri, che debbono invece anche già esercitare la professione e gli italiani all'estero che si trovano nella medesima condizione;
          ciò accade perché la normativa attuale concede nei fatti l'abilitazione nazionale, studiosi che, all'estero, abbiano un posto fisso di professore equivalente a quello di professore ordinario o associato, ma nulla viene riconosciuto a chi possiede un'abilitazione comunitaria corrispondente a quella italiana di prima o di seconda fascia;
          è evidente che coloro che sono stabilmente impegnati all'estero in una posizione accademica tendono a rimanervi, mentre coloro che hanno una qualifica ma non ancora la relativa posizione sono naturalmente più propensi a ritornare in Italia;
          si verifica in tal modo una possibile violazione della normativa europea citata, per via della palese confusione tra la comparazione del ruolo accademico, normata dalle tabelle ministeriali di cui all'articolo 18, n.  240 del 2010, e la comparazione delle qualifiche, che andrebbe invece effettuata in base alle reali competenze di coloro che aspirano ad accedere a determinati ruoli;
          si apprende, inoltre, che il Ministero avrebbe rifiutato il riconoscimento dell'equiparazione della Habilitation tedesca come titolo valido per partecipare alla chiamata dei professori in Italia, con la motivazione che il titolo equivalente in Italia, abilitazione scientifica nazionale, avrebbe una durata limitata a quattro anni;
          tale motivazione risulta del tutto infondata, in quanto la ratio della normativa europea a riguardo è quella di rendere possibile per i cittadini l'esercizio della professione nel proprio Paese così come nel Paese che ne riconosce le competenze, per cui eventuali limiti temporali previsti da quest'ultimo decorrerebbero a partire dal momento del riconoscimento del titolo, senza precluderlo in alcun modo a priori;
          tale situazione costituisce un palese ostacolo a tutti coloro che intendono rientrare in Italia portando nel nostro Paese il bagaglio di formazione acquisito all'estero e presuppone un sistema chiuso di riproduzione del personale accademico, refrattario a valutare merito e competenze piuttosto che rapporti personali e di «appartenenza»;
          in un momento in cui per ragioni di diverso tipo ci troviamo di fronte ad un gravissimo fenomeno di emigrazione giovanile, delle competenze e delle migliori intelligenze, è indispensabile rimuovere ogni ostacolo che impedisca ai nostri concittadini all'estero di rientrare in Italia, ponendo in essere le condizioni minime, come in questo caso, affinché il nostro Paese non «regali» i suoi migliori talenti all'estero, formatisi grazie ad un investimento cospicuo dello Stato in termini di istruzione e formazione  –:
          se il Ministro non ritenga opportuno chiarire il senso dell'articolo 18, comma 1, lettera b), della legge n.  240 del 2010 intendendo le espressioni «stabilmente impegnati all'estero» e «posizioni accademiche» come inclusive innanzitutto di coloro che possiedono le idoneità e le qualifiche necessarie per ricoprire i ruoli accademici corrispondenti anche non esercitandoli direttamente;
          come il Ministro intenda, nell'ambito del proprio impegno programmatico in favore del merito nell'università, rivedere i metodi di comparazione di cui all'articolo 18, legge n.  240 del 2010 comma 1, lettera b), basandoli sull'effettiva comparazione di qualifiche e competenze. (5-07188)


      SIRAGUSA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il 15 giugno 2012 la FLC CGIL ha denunciato, con un esposto alla procura della Repubblica, una serie di fatti accaduti al conservatorio Musicale «Antonio Scontrino» di Trapani da tempo sottoposto ad una gestione familiare e personalistica da parte della professoressa Lea Pavarini a capo dell'istituzione musicale da quasi 20 anni e rinviata a giudizio nel marzo 2010 per peculato e il cui processo è ancora in corso;
          nei mesi scorsi, anche a seguito delle proteste di studenti, insegnanti e sindacato e presentazione dell'interrogazione parlamentare 4-14891, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha deciso il commissariamento dell'ente;
          anche i media si sono occupati della vicenda, da ultimo con un articolo pubblicato dal quotidiano la Repubblica il 19 giugno 2012 nel quel si legge che «Mentre la professoressa Pavarini era in carica come direttrice il figlio, Luca Lombardo, viene più volte scritturato – si legge nell'esposto – quale solista con l'orchestra dell'istituto nelle stagioni concertistiche programmate e finanziate dal conservatorio». E ancora, «al marito Salvatore Lombardo – continua l'atto d'accusa della Cgil – viene assegnata la gestione del sito Internet del conservatorio». Ma non solo. Il sindacato denuncia una serie di omissioni e l'anomala gestione delle elezioni per il nuovo direttore, che non può più essere la Pavarini perché non sono ammessi più di due mandati. Le urne, nell'ottobre scorso, hanno visto prevalere Angelo Guaragna, docente che vive e lavora a Cagliari. Le elezioni però, secondo quanto denunciano alcuni professori in un lungo documento inviato al Ministero e alla procura, sarebbero state falsate dalla Pavarini. Che avrebbe fatto forti pressioni sui professori invitandoli «a votare e a fare propaganda elettorale per il proprio candidato» e intimando, in caso contrario, «di lasciare il conservatorio e di tornarsene a casa». Sta di fatto che Guaragna viene eletto con 42 voti su 73 votanti. Secondo il bando, accusano i docenti, per diventare direttore occorrevano almeno i due terzi dei voti, ma nonostante ciò Guaragna viene nominato direttore, e poco tempo dopo sceglie come sua vice proprio la Pavarini. Poi arriva il commissariamento del Ministero. Ma, secondo il sindacato, il commissario – l’ex direttore del conservatorio di Messina, Angelo Anastasi – sarebbe un amico personale della Pavarini, che in questo modo continuerebbe a gestire il conservatorio»;
          tra le tante decisioni prese dalla ex-direttrice, nella totale indipendenza da qualsiasi confronto collegiale, vi è la delibera del Consiglio di amministrazione n.  87 del 9 marzo 2011 con la quale è stato approvato un ordine di spesa di complessivi 100.378 euro relativo alla fornitura di arredi;
          nella delibera si legge che «l'improcrastinabilità dell'intervento di spesa è determinato da ragioni di ordine e di sicurezza». Tuttavia, la fornitura, a quanto risulta all'interrogante si sarebbe poi concretizzata nell'acquisto di poltrone in pelle, scrivanie di cristallo e altre suppellettili per l'amministrazione e la direzione il tutto seguendo una logica ad avviso dell'interrogante molto lontana dalle fondamentali necessità del conservatorio;
          è difficile comprendere come in un'istituzione statale sia stata autorizzata a questo tipo di spesa;
          quanto sopra illustrato, se confermato, appare molto inquietante  –:
          se il Ministro non ritenga opportuno vigilare sull'intera vicenda, anche disponendo un'apposita ispezione;
          se non ritenga altresì opportuno verificare che sia data piena applicazione a quanto previsto dall'articolo 3 della legge n.  97 del 2001 e del contratto collettivo che, in casi simili, prescrivono la sospensione o il trasferimento d'ufficio, al fine di garantire il ripristino del buon funzionamento del conservatorio e di condizioni di serenità a tutto il personale. (5-07190)

Interrogazioni a risposta scritta:


      MARINELLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          in Italia storicamente le accademie di belle Arti ed i conservatori di musica sono stati considerati istituzioni scolastiche, mentre negli anni novanta, la necessità di dare valore di tipo universitario ai diplomi rilasciati da queste istituzioni spinse le stesse a chiedere l'equipollenza con le università. Ciò anche con l'obiettivo di uniformarsi con le analoghe istituzioni comunitarie, che avevano lo status di università, per cui si verificava il paradosso che i professionisti esteri fossero formalmente più qualificati degli italiani pur avendo seguito lo stesso percorso di studi;
          nel 1999 il legislatore riordinò l'intera materia, attraverso la legge quadro 21 dicembre 1999, n.  508, di riforma delle accademie e dei conservatori, equiparandoli dunque alle istituzioni universitarie e ponendoli sotto la vigilanza del dipartimento università e ricerca;
          la riforma del 1999 ha avuto un iter lentissimo e ad oggi, nonostante siano trascorsi molti anni dalla sua approvazione, non sono ancora stati emanati tutti i decreti attuativi e sono peraltro rimaste irrisolte alcune questioni di fondamentale importanza, tra cui quella della corrispondenza dei titoli alta formazione artistica musicale e coreutica ai titoli universitari e quella dell'equiparazione del personale AFAM a quello universitario;
          una lodevole intenzione di dare piena e completa attuazione alla citata legge si è concretizzata con l'approvazione in Senato del disegno di legge 1693 (progetto di legge 4822 al passaggio successivo alla Camera dei deputati) che prevede l'equipollenza dei diplomi accademici di I e II livello alle lauree umanistiche, rispettivamente triennali e magistrali; l'equipollenza dei diplomi di vecchio ordinamento ai diplomi accademici di II livello e dunque alle lauree magistrali; la messa ad ordinamento dei corsi accademici biennali di II livello, tuttora sperimentali, mentre per l'equiparazione del personale un emendamento è stato accolto come ordine del giorno;
          tale equiparazione, però, non tiene conto delle differenze sostanziali tra i due progetti formativi, ovvero della diversità tra vecchio e nuovo ordinamento;
          inoltre, se è vero che il decreto-legge 25 settembre 2002, n.  212, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 novembre 2002, n.  268, modificando l'articolo 4, comma 3, della legge n.  508 del 1999, ha disposto che i possessori dei diplomi rilasciati in base all'ordinamento previgente all'entrata in vigore della stessa legge n.  508 del 1999 sono ammessi, purché in possesso di diploma di istruzione secondaria di secondo grado, ai corsi di diploma accademico di secondo livello, si cancella inopinatamente una deliberazione del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca dell'8 gennaio 2004, nella quale viene specificato che il diploma di vecchio ordinamento è equipollente al I livello del nuovo ordinamento e che l'accesso al II livello prevede il possesso di un diploma tradizionale del vecchio ordinamento e di un diploma di maturità di scuola superiore;
          del resto anche confrontando i piani di studio del vecchio ordinamento con quelli previsti dai bienni di II livello, è impensabile poterli mettere sullo stesso piano, sia per quanto concerne la preparazione specifica musicale, sia per il livello di cultura generale;
          bisogna poi evidenziare che un diploma di conservatorio, conseguito con il vecchio ordinamento, frutto di un percorso di studi che non prevedeva all'atto dell'iscrizione neanche il possesso di un diploma di scuola secondaria superiore, è equipollente ad un diploma di II livello, cioè alle lauree magistrali, penalizzando professionalmente (ed economicamente) numerosi soggetti che hanno frequentato i bienni superiori;
          a ciò si aggiunga che, ad oggi, la quasi totalità di coloro che hanno conseguito il diploma di II livello e degli attuali iscritti è composta da musicisti ed insegnanti precari che hanno ritenuto utile proseguire la loro formazione ed il loro aggiornamento anche nella speranza di poter migliorare la loro situazione professionale. Una speranza peraltro basata sulle premesse contenute nell'istituzione di questi corsi: a titolo superiore sarebbe corrisposto un punteggio superiore in qualunque graduatoria, e la nascita di graduatorie e classi di concorso specifiche  –:
          se il Ministro interrogato non ritenga opportuno intervenire affinché sia rispettato quanto disposto dal decreto ministeriale 8 gennaio 2004 di cui in premessa e venga previsto che i diplomi finali rilasciati dai conservatori al termine dei percorsi formativi del vecchio ordinamento siano equipollenti ai diplomi accademici di I livello, purché congiunti ad un titolo di studio pari ad un diploma di maturità quinquennale. (4-16715)


      BRAMBILLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la vigente legge n.  413 del 1993 tutela il diritto dei cittadini «che si oppongono alla violenza su tutti gli esseri viventi» di dichiarare la propria obiezione di coscienza «ad ogni atto connesso con la sperimentazione animale»;
          in base all'articolo 2 di detta legge i medici, i ricercatori e il personale sanitario dei ruoli dei professionisti laureati, tecnici ed infermieristici e gli studenti universitari interessati, che abbiano dichiarato la propria obiezione di coscienza, non sono tenuti a prendere parte direttamente alle attività ed agli interventi specificamente e necessariamente diretti alla sperimentazione animale;
          la suddetta norma prevede, inoltre, che gli studenti che intendano esercitare il diritto all'obiezione di coscienza siano messi in condizione di poter seguire dei corsi sostitutivi e sostenere i dovuti esami, finalizzati al conseguimento della laurea, con gli stessi diritti di chi non ha fatto ricorso alla sopracitata normativa;
          l'articolo 3 stabilisce inoltre che «tutte le strutture pubbliche e private legittimate a svolgere sperimentazione animale hanno l'obbligo di rendere noto a tutti i lavoratori e agli studenti il loro diritto ad esercitare l'obiezione di coscienza alla sperimentazione animale». Anzi, le strutture sono tenute a «predisporre un modulo per la dichiarazione di obiezione di coscienza alla sperimentazione animale»;
          la legge sancisce anche il divieto di discriminazione, prevedendo che nessuno possa subire «conseguenze sfavorevoli» per aver rifiutato di «praticare o cooperare all'esecuzione di sperimentazione animale» e l'obbligo, per gli organi competenti di «rendere facoltativa la frequenza alle esercitazioni di laboratorio in cui è prevista la sperimentazione animale»  –:
          se sia noto in quali e quante strutture afferenti direttamente ai due Ministeri, quali e quanti enti vigilati, quali e quante università statali e non statali siano applicate le disposizioni della legge, e in particolare l'obbligo di rendere noto che esiste la possibilità di dichiarare l'obiezione di coscienza e quello di predisporre appositi moduli per la dichiarazione;
          se sia noto in quanti Atenei e in quali facoltà universitarie siano stati istituiti i corsi sostitutivi e quanti fondi siano stati destinati alla realizzazione di essi, al fine di garantire agli studenti i diritti previsti dalla sopracitata norma e quello di conseguire la laurea;
          se sia noto se questi obblighi risultino assolti nei principali istituti di ricerca privati, quali ad esempio il «Mario Negri» di Milano e il «Mario Negri Sud»;
          quanti docenti, medici, tecnici, paramedici e studenti universitari, nell'ultimo quinquennio o comunque nell'ultimo periodo per il quale tali dati siano a disposizione, abbiano dichiarato la loro obiezione di coscienza;
          quali iniziative intenda assumere il Governo per rendere effettivo il diritto all'obiezione e segnalare alle autorità competenti i responsabili dell'eventuale inosservanza della legge. (4-16723)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      DAMIANO, BELLANOVA, BERRETTA, BOCCUZZI, BOBBA, CODURELLI, GATTI, GNECCHI, MADIA, MATTESINI, MIGLIOLI, MOSCA, RAMPI, SANTAGATA e SCHIRRU. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          nella scorsa legislatura il Governo di centrosinistra aveva provveduto ad approvare il decreto-legge n.  81 del 2007 (convertito, con modificazioni, dall'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n.  127) con il quale erano stati effettuati, a seguito delle maggiori entrate tributarie incassate dallo Stato, incisivi interventi volti, tra l'altro, a supportare le misure di sviluppo ed equità sociale destinate al sostegno al reddito dei soggetti incapienti ovvero appartenenti alle fasce di reddito più basse;
          a questo scopo, l'articolo 5 del predetto decreto disponeva, a partire dal 2007, a favore dei pensionati con età pari o superiore a sessantaquattro anni la corresponsione di una somma aggiuntiva di alcune centinaia di euro: per il 2007 la cifra variava, a seconda degli anni di contribuzione, dai 262 ai 392 euro; dal 2008 tale somma era aumentata, e mutava dai 334 ai 506 euro;
          tale somma aggiuntiva doveva essere corrisposta dall'INPS, con riferimento all'anno 2007, in sede di erogazione della mensilità di novembre ovvero della tredicesima mensilità e, dall'anno 2008, in sede di erogazione della mensilità di luglio ovvero dell'ultima mensilità corrisposta nell'anno; la condizione per poterne beneficiare era che il soggetto non possedesse un reddito complessivo individuale relativo all'anno stesso superiore a una volta e mezza il trattamento minimo annuo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti;
          il provvedimento adottato dal Governo Prodi era inserito in un più organico contesto di misure – delle quali la legge n.  247 del 2007, contenente le norme di attuazione del protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, ha rappresentato l'atto più organico e completo – miranti a supportare la situazione economica delle fasce più deboli della popolazione, allo scopo di attenuare gli effetti di una congiuntura economica che, pur non avendo ancora toccato i drammatici picchi di questi ultimi tempi, già da anni mostrava preoccupanti segnali di debolezza;
          l'interrogante, a distanza di cinque anni – e in una situazione economica internazionale, e italiana in particolare, profondamente modificata, tanto da costringere il Governo in carica, subentrato a quello presieduto dall'onorevole Berlusconi in prossimità del rischio di un default finanziario dello Stato, ad adottare rapidamente una severa riforma del sistema pensionistico che ha, purtroppo, condotto con sé numerose storture e ingiustizie, prima fra tutte quella relativa ai cosiddetti «esodati», cui il Partito democratico sta tentando in ogni sede di porre rimedio – ritiene necessario venire a conoscenza dei dati a disposizione del Ministero relativamente al numero di beneficiari delle disposizioni suddette e alle somme effettivamente erogate per farvi fronte  –:
          quali siano i dati, in termini annuali e assoluti, relativi alle disposizioni, sommariamente esposte in premessa, contenute nell'articolo 5 del decreto-legge n.  81 del 2007, in particolare con riferimento all'entità delle somme erogate e al numero di soggetti che ne abbiano beneficiato nel corso del 2012. (5-07189)

Interrogazioni a risposta scritta:


      DUSSIN. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          da diversi articoli apparsi sui media, si apprende dallo studio effettuato dalla Fondazione Leone Moressa e da alcuni sociologi, che nella regione Veneto sono circa 30 i suicidi di piccoli imprenditori negli ultimi 3 anni;
          tali suicidi sono causati dall'impossibilità degli imprenditori di ricevere finanziamenti bancari e/o di incassare i crediti vantati verso terzi – tra cui lo Stato –, per far fronte alle necessità di denaro liquido;
          la risposta del governatore della regione Veneto, Luca Zaia, con l'istituzione di un fondo di rotazione che mette a disposizione denaro liquido è una concreta risposta all'emergenza del mondo imprenditoriale;
          la regione Veneto, e tutto il Nord, è pesantemente colpita dalla grave crisi economica mondiale, rappresentando un territorio fortemente industrializzato e produttivo del Paese  –:
          quali concrete misure intendano assumere con tempestività, affinché le piccole e medie imprese esposte agli effetti della crisi, possano mantenere i livelli di produzione e di occupazione attuali, e per evitare gesti sconsiderati degli imprenditori veneti, dettati dalla disperazione del momento. (4-16717)


      COSENZA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          sono sempre più impressionanti le statistiche riguardanti un fenomeno gravissimo e ancora, per molti aspetti, sottovalutato dalla politica e dall'opinione pubblica: quello delle violenze che ogni anno, con regolarità inquietante, puntualmente colpiscono le donne;
          nelle due maggiori città italiane il trend è in ulteriore peggioramento: a Roma, nel 2011, le violenze sessuali e gli atti persecutori sono cresciuti del 34,4 per cento e del 16 per cento su base annua; a Milano gli stupri sono passati da 430 casi nel 2010 a 578 l'anno successivo e, sempre nel medesimo periodo, lo stalking è passato da 932 a 1.084 casi;
          inoltre i dati (fonte: Istat) sono inaccettabili perché si parla, per il solo 2011, di 139 omicidi di donne causati non da episodi di criminalità, ma da casi di violenza subita da uomini con cui era in corso o vi era stato in passato un legame sentimentale o di conoscenza;
          nel 70 per cento dei casi autori di queste violenze sono stati i partner delle vittime, il che conferma come in Italia rimanga ancora forte il fenomeno delle violenze consumate in famiglia;
          l'anno in corso è cominciato nel modo peggiore perché, dal 1° gennaio 2012 in poi, sono stati già 46 i casi di donne uccise e quasi sempre con «protagonisti» mariti, compagni, fidanzati o persone con le quali esse erano in precedenza legate sentimentalmente;
          inoltre in Italia rimane alto il numero di episodi di violenza sessuale che colpisce le donne, il che è un fatto inaccettabile tanto più perché ciclicamente avvengono episodi a dir poco sconcertanti come quelli che di recente, nel mese di marzo, hanno visto gruppi di giovani accusati di violenze sessuali e subito dopo scarcerati;
          il quadro appena descritto impone allo Stato una presa di coscienza sul fatto che è anche dalla capacità di prevenire e reprimere la violenza fisica e psicologica sulle donne che si denota la civiltà di qualsiasi Paese;
          purtroppo in Italia i casi di uccisioni e violenze contro le donne, ancor più perché nella maggior parte dei casi essi avvengono dentro le mura domestiche, cioè nel luogo per definizione più sicuro, sono la dimostrazione lampante che ancora oggi vi sono pregiudizi e permangono modelli stereotipati ormai del tutto anacronistici e fuori da qualsiasi logica;
          tale situazione è assurda perché in famiglia, proprio nell'ambito dove si registrano più violenze fisiche e psicologiche, le donne portano avanti quello che è un vero e proprio lavoro fondamentale per l'esistenza stessa della nostra società, e al tempo stesso sono ormai sempre più protagoniste (benché quasi sempre disconosciute sul piano economico rispetto agli uomini che ricoprono i medesimi ruoli) del mondo del lavoro, dell'imprenditoria, della cultura e della scienza;
          quanto sopra affermato viene confermato, pur in una dimensione ben diversa rispetto a quella drammatica delle violenze e degli omicidi, dal fatto che in Italia c’è una cultura anacronistica che vede e promuove la donna non come soggetto, ma come oggetto di attrazione sessuale. Inoltre si finisce con il far apparire, agli occhi delle stesse bambine e adolescenti, vincente il «modello donna sexy, diva e mangiatrice di uomini». Ciò si traduce per esempio nel modo in cui i programmi e le pubblicità televisive, così come i cartelloni stradali che reclamizzano i prodotti più vari, usano il corpo delle donne per vendere ogni tipo di merce;
          è quindi necessario, oltre all'intervento repressivo per i casi di violenza e omicidio e alle misure in vigore per far ritirare (cosa che peraltro avviene molto raramente e al termine di iter sfibranti) pubblicità squallide e degradanti, un grande intervento sul piano culturale e formativo per trasmettere la cultura del rispetto e del rapporto equilibrato tra i generi  –:
          quali iniziative il Governo intenda assumere per mettere in atto politiche e dotare la magistratura e le forze dell'ordine di strumenti che siano in grado, sul piano sia della prevenzione che della repressione, di scoraggiare un fenomeno del tutto indegno di un Paese civile quale è quello della violenza, sia in famiglia che fuori, sulle donne;
          in che modo si intendano studiare e applicare forme di insegnamento e percorsi educativi da inserire nei programmi scolastici così da insegnare ai giovani a tener conto della complementarietà tra uomo e donna e a offrire una visione sana del rapporto umano tra i sessi all'insegna dell'amicizia, della solidarietà del rispetto;
          se si ritenga opportuno e urgente per quanto di competenza intervenire sul mondo della pubblicità e sul mondo della televisione perché si smetta di strumentalizzare il corpo femminile e di trasmettere ai giovani modelli culturali e di comportamenti profondamente sbagliati e che spiegano molto delle degenerazioni oggi esistenti nelle relazioni tra uomini e donne. (4-16721)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


      PES. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          si è appresa la notizia dagli organi di stampa (Unione Sarda, La Nuova Sardegna 20 giugno 2012, www.alguer.it) dell'autorizzazione da parte del Ministro interrogato al peschereccio toscano «I dieci Angelillo» per praticare la pesca con il cianciolo nei mari di Bosa (Or);
          la pesca con il cianciolo consiste nel circuire i branchi e, con l'impiego di grandi reti, si ha la possibilità di salpare enormi quantità di pescato in tempi brevissimi;
          tale tecnica provoca l'impoverimento del mare;
          su internet sono reperibili diversi video che mostrano l'enorme danno che tale tecnica di pesca provoca all'ecosistema marino;
          l'attività della pesca sta attraversando un periodo particolarmente delicato, e a Bosa il settore sta vivendo una condizione particolarmente critica anche a causa del limitato tratto di mare fruibile e del suo eccessivo sfruttamento;
          i pescatori di Bosa, per cercare di salvaguardare e tutelare l’habitat marino hanno progettato, in collaborazione con l'università di Cagliari, un piano di gestione del territorio;
          per raggiungere tale scopo, i pescatori si sono prefissati alcuni obiettivi, tra i quali ridurre lo sforzo di pesca diminuendo le attrezzature, nonché proponendo di aumentare le distanze dalla costa e i fondali per la pesca a strascico o simili metodi di pesca non selettivi, tra cui appunto la pesca a cianciolo;
          è stata inoltre creata una prima zona per la raccolta e il ripopolamento dell'aragosta a cui si pensa di farne seguire altre per tutelare al meglio la fauna ittica del territorio;
          i pescatori di Bosa in un documento, nel quale mostrano la loro contrarietà per le autorizzazioni concesse, denunciano che anche l'estate scorsa, gli stessi pescherecci che hanno fatto richiesta quest'anno hanno praticato tale attività, arrecando in breve tempo notevoli danni al territorio e rigettando in mare grandi quantità di pescato di scarso valore economico;
          i pescatori di Bosa hanno organizzato una manifestazione popolare contro tale sistema;
          risulta all'interrogante che in data 6 maggio 2012 il sindaco di Bosa ha chiesto un provvedimento sospensivo urgente degli effetti del nulla osta che autorizza il cambio ufficio d'iscrizione da porto Azzurro a Bosa della M/b «I Dieci Angiolillo», nonché l'utilizzo dei palangari in aggiunta alla rete a circuizione;
          risulta, inoltre, che con nota 1o giugno 2012 il direttore generale del Ministero conferma la validità del provvedimento col quale autorizzava il cambio ufficio d'iscrizione della M/b di cui sopra e l'utilizzo dei palangari in aggiunta alla rete a circuizione  –:
          se quanto riportato in premessa corrisponda verità, ovvero se sono state rilasciate autorizzazioni per la pratica della pesca con il cianciolo nel territorio di Bosa;
          se non ritenga che questo disastroso metodo di pesca non sia in evidente contrasto con la necessità di tutelare il territorio, anche in una prospettiva di sviluppo economico e di sfruttamento delle risorse di pesca in maniera sostenibile;
          se non ritenga prioritario salvaguardare l’habitat marino ed evitare quindi che sia consentito esercitare la pesca con il cianciolo. (4-16725)

Apposizione di firme a risoluzioni.

      La risoluzione in Commissione Pes e altri n.  7-00449, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o dicembre 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Antonino Russo.

      La risoluzione in Commissione De Biasi e altri n.  7-00914, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 giugno 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Coscia, Rossa.

      La risoluzione in Commissione Barbato n.  7-00922, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 giugno 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Paladini.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

      L'interrogazione a risposta scritta Montagnoli e altri n.  4-16692, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 giugno 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Desiderati.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


      ARACRI. — Al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la RAI radiotelevisione italiana ha una Cassa di Previdenza – CRAIPI – Fondo Pensione dei dipendenti Rai e delle altre Società del Gruppo: Rai Way, Rai Net, Rai Cinema, Rai Sat, Rai Trade, istituito con accordo sindacale del 18 dicembre 1989, con l'obiettivo di consentire agli aderenti di disporre, all'atto del pensionamento, di prestazioni pensioni sii che complementari del sistema obbligatorio;
          tale Fondo è autorizzato da COVIP e sottoposto alla «vigilanza» dal 1999. La gestione amministrativa è affidata ad un CDA nominato dall'Assemblea dei Delegati in rappresentanza degli iscritti (1 ogni 200);
          i delegati restano in carica 3 anni e sono rieleggibili;
          la Craipi è amministrata da un CDA composto da 8 membri, 4 di nomina Rai (Direzione del Personale) e 4 eletti dall'Assemblea in rappresentanza degli iscritti (rappresentati al momento da 4 sigle Sindacali, 3 confederali (CGL-CISL-UIL) e 1 non (SNATER);
          l'Amministrazione della Craipi vige in regime di prorogatio non essendosi effettuate più elezioni dal 2001;
          il Craipi ha un Collegio dei Revisori composto da 4 membri effettivi e 2 supplenti (3 nominati Rai e il resto dall'Assemblea). Anche questo organo risulta incompleto ed in regime di prorogatio;
          il CRAIPI risulta con esercizio in passività da diversi anni;
          i risultati finanziari relativi al periodo 2000-2007, non sarebbero in linea con i principali benchmark di riferimento (TFR, Titoli di Stato, Fondo Pensione dei Dirigenti Rai, rendimenti dei Fondi monocomparto, Fondo dei dipendenti gruppo Mediaset)  –:
          se siano fondate le notizie su presunti rischi di stabilità economico-finanziaria del Fondo Craipi, attestati da indicatori oggettivi quali rendimenti negativi di gestione sin dal 2000 e effettivi per il 2007 e attesi per il 2008, non in linea con i principali benchmark;
          se corrisponda al vero che il portafoglio del Fondo Craipi sia composto da titoli e/o polizze e/o gestioni ad alto rischio anziché da titoli di Stato o simili a rischio contenuto;
          quali iniziative intenda assumere per dare risposta della scarsa chiarezza sia delle comunicazioni periodiche, sia dell'informativa di bilancio che giungono agli iscritti al Fondo Craipi e al fine di fare luce su questa vicenda che sta facendo perdere molti soldi agli ignari dipendenti Rai aderenti al Fondo Craipi. (4-02738)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame con cui si chiede quali iniziative si intendano assumere in merito alla composizione del portafoglio del fondo pensione Craipi e sulla scarsa chiarezza delle comunicazioni periodiche agli iscritti a tale Fondo, si rappresenta quanto segue.
      Il Craipi è un fondo pensione complementare a capitalizzazione per i dipendenti della Rai Radiotelevisione Italiana Spa e delle altre società del gruppo Rai.
      Costituito in forma di associazione non riconosciuta sulla base dell'accordo sottoscritto il 18 dicembre 1989 dalla RAI e dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori (Filis-Cgil, Fis-Cisl, Uil Sic, Snater), il fondo è rivolto ai dipendenti (operai, impiegati, quadri e professori d'orchestra) appartenenti al gruppo Rai.
      In base alle risultanze della Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensione), alla fine del 2010 il Fondo Craipi annoverava 7620 iscritti attivi, 1330 pensionati ed un patrimonio di circa 217 milioni di euro.
      Con riferimento ai profili richiamati dall'interrogante, la Covip ha disposto accertamento ispettivo i cui esiti vengono di seguito descritti.
      Quanto alla governance, ed in particolare al rinnovo degli organi collegiali scaduti nel 2004, la Covip ha rappresentato che la procedura è stata caratterizzata da difficoltà di interlocuzione con la fonte istitutiva di parte aziendale. Quest'ultima, per quanto sollecitata periodicamente dall'organo di amministrazione del fondo, non provvedeva alla presentazione delle candidature per consentire lo svolgimento delle elezioni. Al contempo, alcuni candidati proposti dalle organizzazioni sindacali risultavano privi dei requisiti di legge. Tale stato di cose ha comportato che gli organi operassero in regime di prorogatio e che taluni componenti, nel frattempo cessati dalle cariche, non venissero sostituiti.
      Al riguardo la Covip è intervenuta richiamando il fondo a ripristinare la corretta composizione e il regolare funzionamento degli organi, sollecitando altresì il più ampio confronto con le fonti istitutive. In tale contesto, è stata espressa la preoccupazione che i perduranti impedimenti nel corretto funzionamento del fondo potessero rendere impossibile il perseguimento dello scopo previdenziale, con le conseguenze di cui all'articolo 15, comma 5, del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n.  252 («Ai fondi pensione si applica esclusivamente la disciplina dell'amministrazione straordinaria e della liquidazione coatta amministrativa, con esclusione del fallimento, ai sensi degli articolo 70 e seguenti, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n.  385, e successive modificazioni ed integrazioni, attribuendosi le relative competenze esclusivamente al Ministro del lavoro e delle politiche sociali e alla Covip»).
      Con nota del 9 febbraio 2010 il fondo ha comunicato alla Covip che, in relazione al rinnovo degli organi, la situazione si è risolta, essendo stati da ultimo nominati anche i componenti degli organi di amministrazione e di controllo da parte datoriale che si sono insediati ponendo fine al regime di prorogatio dei mandati dei componenti dei precedenti organi.
      In ordine al profilo finanziario del fondo, le risorse, che ammontano a circa 190 milioni di euro, sono gestite mediante investimenti diretti. Dall'esame del bilancio di esercizio dell'anno 2008 sono risultati investimenti in polizze assicurative (38,8 per cento), gestioni patrimoniali (19,32 per cento), Oicr (organismi di investimento collettivo del risparmio, 20,84 per cento), titoli di Stato e di debito (13,36 per cento), titoli di capitale (0,11 per cento).
      Sulla base degli approfondimenti effettuati dalla Covip, è stato riscontrato che nel decennio 2000/2009 il fondo ha registrato rendimenti netti al di sotto della media di mercato, con un rendimento medio annuo composto pari a zero rispetto al 2,5 per cento registrato, nel medesimo arco temporale, dai mercati di riferimento e dai principali fondi pensione.
      Sempre in materia di gestione finanziaria, l'attività istruttoria – che si è in particolare concentrata sugli esercizi 2008/2009 – ha evidenziato alcune rilevanti criticità sostanzialmente connesse a:
          a) una elevata frammentazione del patrimonio tra differenti modalità gestionali (gestione diretta in strumenti finanziari e in polizze assicurative, gestione indiretta tramite gestioni patrimoniali) con conseguente difficoltà di ricostruzione del profilo di rischi del fondo;
          b) una rilevante movimentazione del patrimonio tra strumenti finanziari e polizze assicurative con conseguente imputazione al fondo di rilevanti costi amministrativi;
          c) la presenza di strumenti finanziari derivati con finalità spiccatamente speculativa;
          d) la scarsa trasparenza dei bilanci.

      L'interlocuzione con il nuovo consiglio di amministrazione non ha consentito finora di acquisire chiari elementi di giudizio circa le ragioni alla base delle scelte gestionali compiute dal fondo che presentano significative anomalie. In ragione di ciò, la Covip, in virtù del protocollo d'intesa sottoscritto con la Guardia di finanza, che ha definito le modalità di collaborazione tra le due istituzioni, ha ritenuto utile chiedere un intervento del Nucleo speciale di polizia tributaria al fine di acquisire dati, notizie, informazioni e documenti utili a valutare la rispondenza delle scelte assunte in materia di investimenti nel periodo 2008-2009 ai criteri di sana e prudente gestione, nonché ogni altro elemento conoscitivo che consenta di ricostruire i processi decisionali connessi a dette scelte.
      Riguardo ai rischi di stabilità economico-finanziaria, la Covip rappresenta che Craipi è un fondo a contribuzione definita, dove ad ogni iscritto corrisponde un proprio conto individuale e la prestazione finale dipende dal rendimento della gestione delle risorse che ivi affluiscono. Sotto questo profilo, non può pertanto prospettare rischi di insufficienza di risorse per il pagamento delle prestazioni. Vi è tuttavia da considerare che il fondo provvede direttamente all'erogazione delle rendite; ciò comporta l'esigenza di monitorare l'equilibrio complessivo del fondo, con periodiche verifiche attuariali.
      Per quanto concerne i profili di trasparenza nei confronti degli iscritti, si rappresenta che i fondi pensione preesistenti (come Craipi) sono stati assoggettati alla medesima disciplina prevista per i fondi di nuova istituzione con la delibera Covip del 22 luglio 2010. Il fondo ha pertanto redatto nel 2011 la comunicazione periodica agli iscritti seguendo le istruzioni e adottando lo schema deliberato dalla Commissione.
      Quanto all'informativa pre-contrattuale, il fondo si sta inoltre dotando di una nota informativa redatta secondo lo schema deliberato dalla Covip (delibera del 31 ottobre 2006). Il fondo ha comunque provveduto ad adeguarsi alla disciplina di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n.  252 («Disciplina delle forme pensionistiche complementari»); inoltre, si è dotato, a partire dal 1° ottobre 2011, di una banca depositaria e ha intrapreso il processo di selezione dei nuovi gestori finanziari sulla base delle istruzioni dettate dalla stessa Covip (delibera del 9 dicembre 1999).
      Altri aspetti di approfondimento in sede di accertamento ispettivo hanno riguardato la tenuta e la conservazione dei libri sociali e della documentazione del fondo, nonché il rispetto delle procedure e degli adempimenti previsti. Anche su questi punti si sono resi necessari interventi da parte della Covip che ha richiamato i componenti degli organi di amministrazione e controllo, nonché il responsabile, per quanto di rispettiva competenza, ad adempiere con la dovuta professionalità e diligenza ai doveri che agli stessi fanno capo, rispettando e facendo rispettare le procedure e curando che la tenuta e la conservazione dei libri sociali e della documentazione del fondo avvenga regolarmente.
      Continueranno comunque a rimanere sotto attenzione della Covip gli esercizi 2008 e 2009, nonché la funzionalità attuale del fondo e, in considerazione del rinnovo dei componenti degli organi statutari, sarà cura della Commissione stessa vigilare sul loro comportamento affinché le disfunzioni riscontrate possano trovare soluzione.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'allungamento dei tempi di pagamento è causa di fallimento di attività economicamente sane, quali quelle di tante piccole e medie imprese, oltre che causa di fallimento di numerosi liberi professionisti, assimilati agli imprenditori sotto questo particolare punto di vista;
          ciò è grave in sé stesso perché viola lo stato di diritto, ma ancor più è grave in un momento di grave crisi economica in cui gli imprenditori capaci sono gravemente penalizzati, sino alla perdita dello status ed all'uscita dal mercato per fatti non imputabili a loro scelte, incapacità o comportamenti;
          non si conoscono stime attendibili degli importi dovuti e pagati in ritardo tra privati, ma il fenomeno è imponente poiché in Italia le piccole e medie imprese sono circa 4,5 milioni. L'importo è sicuramente notevole ed è un importo di cui le imprese, soprattutto quelle piccole, devono farsi carico per far fronte alla mancanza di liquidità provocata dal ritardo nell'incasso delle fatture emesse soprattutto nei confronti della grande impresa italiana;
          questa situazione, diffusissima in Italia, costringe molte aziende a ricorrere a prestiti bancari per finanziare l'attività. In questo extraonere sono da includere anche i costi delle risorse umane impegnate nel sollecito dei pagamenti o quelli da sostenere quando si è costretti a rivolgersi ad un legale o ad una società di recupero crediti;
          la giustizia, inoltre, in Italia versa in uno stato drammatico, uno stato tale da non garantire alcuna giustizia ad imprenditori seri, capaci e onesti, ed i tempi della giustizia civile sono una delle prime cause di mancati investimenti stranieri nel nostro Paese;
          sempre il cattivo funzionamento della giustizia civile pesa sul sistema delle imprese, secondo le stime diffuse dalla Banca d'Italia, per circa l'1 per cento del prodotto interno lordo;
          molto è stato fatto per il ritardo nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni da questo Governo il quale, meritoriamente, ha iniziato a reperire risorse per effettuare i pagamenti, come imposto dal codice civile e dalla normativa comunitaria;
          ciò è particolarmente grave perché, da una ricerca effettuata dall'Unione europea emerge con chiarezza come in Italia i ritardi di pagamento imputabili alle grandi imprese si verificano con una frequenza doppia rispetto a quelli addebitabili alle piccole imprese. Inoltre, la durata delle dilazioni è doppia nel caso dei pagamenti effettuati dalle grandi imprese alle piccole e medie imprese, rispetto a quelli effettuati da queste ultime alle grandi imprese;
          in conseguenza di quanto descritto, tra il 2008 ed il 2011 hanno fallito oltre 39.500 imprese, generando il pericolo che si verifichi un aumento dell'usura e del numero di infiltrazioni malavitose nel nostro sistema economico;
          nel 2011, quasi un fallimento su tre è stato causato dai ritardi nei pagamenti. A fronte di 11.615 imprenditori italiani che hanno portato i libri contabili in tribunale, circa 3.600 (pari al 31 per cento del totale) lo hanno fatto a causa dell'impossibilità di incassare in tempi ragionevoli le proprie spettanze. Una situazione, purtroppo, che non ha eguali in Europa;
          se in Italia fallisce circa il 31 per cento delle imprese, la percentuale di aziende che in Europa falliscono a causa dei ritardati pagamenti è pari al 25 per cento del totale. Se si tiene conto che nel nostro Paese i ritardi superano la media europea di 26 giorni, si stima che la nostra media nazionale oltrepassi il 30 per cento del totale europeo;
          indubbiamente anche la crisi economica ha contribuito ad aggravare questa situazione. Infatti, il trend dei ritardi in Italia in questi ultimi 4 anni è quasi raddoppiato (+97,5 per cento). Se, infatti, nel 2008 la media era di 27 giorni, l'anno scorso gli imprenditori italiani sono stati pagati mediamente con 53 giorni di ritardo. Se poi si tiene conto che i tempi medi effettivi di pagamento che si registrano in Italia sono i più elevati d'Europa, la situazione che si è sviluppata in questi ultimi anni è drammatica: tra il 2008 ed il 2011 hanno fallito in numero assoluto oltre 39.500 aziende;
          pur ribadendo che questo Governo ha dimostrato ottime intenzioni con riguardo ai pagamenti della pubblica amministrazione verso i privati, è necessario che si adoperi con efficacia anche nel caso dei ritardi tra privati. Si consideri, altresì, che la mancanza di liquidità sta facendo crescere il numero degli «sfiduciati», ovvero di quegli imprenditori che hanno deciso, nonostante i grossi problemi che si sono accumulati in questi ultimi anni, di non ricorrere all'aiuto di una banca;
          un ulteriore elemento di analisi è contenuto nel dato che informa del fatto che il mancato pagamento dei crediti costa alle imprese attorno ai 10 miliardi di euro l'anno. Un importo di cui le imprese, soprattutto quelle piccole, devono farsi carico per far fronte alla mancanza di liquidità provocata dal ritardo nell'incasso delle fatture. Questa situazione, diffusissima in Italia, costringe molte aziende a ricorrere a prestiti bancari per finanziare l'attività. In questo extraonere sono da includere anche i costi delle risorse umane impegnate nel sollecito dei pagamenti, o quelli da sostenere quando si è costretti a rivolgersi ad un legale o ad una società di recupero crediti;
          quella descritta è una situazione critica, la quale, benché aggravata dalle problematiche di mercato, ha portato a una catena di eventi drammatici con decine di casi di suicidio tra gli imprenditori;
          i casi di suicidio per crediti sono particolarmente odiosi perché sono il frutto di violazioni di legge, violazioni che lo Stato avrebbe il dovere di impedire sia per una ordinata convivenza sociale, sia per evitare che il disordine si trasformi in tragedia  –:
          se i fatti esposti in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti il Governo intenda assumere, soprattutto riguardo al caso dei ritardi nei pagamenti tra privati, a partire da una efficace riforma della giustizia, e, comunque se si intenda aprire un tavolo di consultazione con i rappresentanti delle categorie interessate per approfondire le problematiche collegate alla questione addotta e provvedere ad uno studio specifico sulla filiera produttiva al fine di verificare fino a che punto corrisponda al vero che le grandi imprese utilizzino le piccole e medie imprese come una sorta di banca, soprattutto nei confronti di quegli imprenditori gergalmente detti «terzocontisti», poiché il ritardato pagamento del credito, oltretutto connotato da un termine finale incerto, è del tutto assimilabile al reperimento di risorse finanziarie normalmente devolute all'opera di imprese in ciò specializzate, ovvero le banche e gli altri istituti finanziari, generando un onere ingiusto e insopportabile a danno della parte più debole della transazione commerciale avvenuta. (4-14886)

      Risposta. — L'interrogante, in relazione alla problematica concernente i ritardi nei pagamenti tra privati, causa di fallimento di attività economicamente sane, soprattutto di tante piccole medie imprese (oltre che di numerosi liberi professionisti, assimilati, sotto questo particolare punto di vista, agli imprenditori), chiede di conoscere quali iniziative urgenti il Governo intenda assumere con riferimento, soprattutto, al tema della giustizia e se intenda, altresì, aprire un tavolo di consultazione con i rappresentanti delle categorie interessate per approfondire le problematiche collegate alla questione addotta.
      L'interrogante evidenzia, altresì, che, come emerso da una ricerca effettuata dall'Unione europea, in Italia i ritardi di pagamento imputabili alle grandi imprese si verificano con una frequenza doppia rispetto a quelli addebitabili alle piccole imprese, così come la durata delle dilazioni è doppia nel caso dei pagamenti effettuati dalle grandi imprese alle piccole e medie imprese, rispetto a quelli effettuati da queste ultime alle grandi imprese.
      Il Ministero dello sviluppo economico, per quanto di competenza, rappresenta quanto segue.
      Con la legge n.  180 dell'11 novembre 2011, il Parlamento ha approvato il disegno di legge recante «Norme per la tutela della libertà di impresa. Statuto delle imprese».
      Si tratta di un pacchetto di disposizioni finalizzate a stabilire i diritti fondamentali delle imprese definendone lo statuto giuridico, con particolare riferimento alle micro, piccole e medie imprese (Mpmi), relativamente alle quali si è inteso recepire le indicazioni contenute nello small business act, adottato a livello comunitario.
      Sotto il profilo della lotta ai ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione l'articolo 10 dello Statuto delle imprese contiene una delega al Governo affinché lo stesso attui, attraverso lo strumento della legislazione delegata, il recepimento della direttiva 2011/7/UE. In forza di tale delega, il Governo, entro il termine di dodici mesi dall'entrata in vigore della legge n.  180 del 2011, adotterà un decreto legislativo in materia di contrasto ai ritardi nei pagamenti: il termine per attuare il recepimento scade il 15 novembre 2012.
      Nell'ambito della delega legislativa vengono anche esplicitati due criteri cui il Governo dovrà attenersi nel dare recepimento alla direttiva:
           contrastare gli effetti negativi della posizione dominante di imprese sui propri fornitori o sulle imprese sub-committenti, in particolare nel caso in cui si tratti di micro, piccole e medie imprese;
          prevedere la possibilità che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato proceda ad indagini e interventi in prima istanza (diffide e sanzioni) per contrastare comportamenti illeciti messi in atto da grandi imprese.

      Al fine del recepimento nell'ordinamento italiano della direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, si osserva che anche l'Atto Senato AS 3129 recante «Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee (Legge comunitaria 2011) stabilisce, all'articolo 12, che il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi per dare attuazione alla direttiva citata, sulla base dei principi e criteri direttivi di cui all'articolo 2 della summenzionata legge comunitaria, nonché di ulteriori principi e criteri direttivi, quali l'individuazione di modalità applicative della direttiva 2011/7/UE, l'individuazione di una disciplina transitoria relativa ai pagamenti delle imprese che vantano crediti nei confronti delle pubbliche amministrazioni, l'adeguamento delle procedure contabili in materia di flessibilità di bilancio e rafforzamento della programmazione dei flussi di cassa.
      Si richiamano, chiarito questo primo punto, le recenti disposizioni introdotte nell'ordinamento.
      Con il decreto-legge n.  1 del 24 gennaio 2012, convertito con modificazioni dalla legge n.  27 del 24 marzo 2012, sono state introdotte, all'articolo 62 «Disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari», una serie di azioni volte a tutelare le relazioni commerciali tra operatori economici operanti nel comparto dei prodotti agricoli e agroalimentari.
      In particolare, la norma stabilisce che i contratti che hanno ad oggetto la cessione dei prodotti agricoli e alimentari, ad eccezione di quelli conclusi con il consumatore finale, sono stipulati obbligatoriamente in forma scritta. Il pagamento del corrispettivo deve essere effettuato, per le merci deteriorabili, entro il termine legale di trenta giorni e, per tutte le altre merci, entro il termine di sessanta giorni a partire dall'ultimo giorno del mese di ricevimento della fattura. Gli interessi decorrono automaticamente dal giorno successivo alla scadenza del termine e il saggio degli interessi, maggiorato di ulteriori due punti percentuali, è inderogabile.
      Sono inoltre previste tutta una serie di sanzioni per chi contravviene agli obblighi stabiliti dalla legge. Della vigilanza sull'applicazione delle disposizioni e dell'irrogazione delle sanzioni previste è incaricata l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, ai sensi della legge n.  689 del 24 novembre 1981.
      Con decreto del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, da emanare entro tre mesi dalla data di pubblicazione della legge di conversione (24 marzo 2012), saranno definite le modalità applicative delle disposizioni in discorso.
      Con riferimento, in particolare, ai ritardi nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione, si ritiene altresì opportuno segnalare nuovamente il decreto legge 24 gennaio 2012, n.  1, convertito con modificazioni dalla legge n.  27 del 24 marzo 2012, che contiene, all'articolo 35 «misure per la tempestività dei pagamenti per l'estinzione dei debiti pregressi delle amministrazioni statali nonché disposizioni in materia di tesoreria unica», una serie di azioni volte ad accelerare il pagamento dei crediti commerciali da parte dello Stato, connessi a transazioni commerciali per l'acquisizione di servizi e forniture.
      In particolare, sono previste risorse aggiuntive ai fondi speciali per la reiscrizione dei residui passivi perenti di parte corrente e di conto capitale, di cui all'articolo 27 della legge 31 dicembre 2009, n.  196, integrati rispettivamente degli importi di euro 2.000 milioni e 700 milioni per l'anno 2012, mediante riassegnazione, previo versamento all'entrata del bilancio dello Stato per il medesimo anno, di una corrispondente quota delle risorse complessivamente disponibili relative a rimborsi e compensazioni di crediti di imposta, esistenti presso la contabilità speciale 1778 «Agenzia delle entrate – Fondi di bilancio».
      I crediti maturati alla data del 31 dicembre 2011, su richiesta dei soggetti creditori, possono essere estinti, in luogo del pagamento disposto, con le risorse finanziarie su evidenziate, anche mediante assegnazione di titoli di Stato nel limite massimo di 2.000 milioni di euro. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze saranno definite le caratteristiche dei titoli e le relative modalità di assegnazione.
      Ai fini dell'estinzione dei crediti per spese relative a consumi intermedi, maturati nei confronti dei Ministeri alla data del 31 dicembre 2011, il cui pagamento rientri, secondo i criteri di contabilità nazionale, tra le regolazioni debitorie pregresse e il cui ammontare è accertato con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, il fondo di cui all'articolo 1, comma 50, della legge 23 dicembre 2005, n.  266 è altresì incrementato, per l'anno 2012, di un importo di euro 1.000 milioni, mediante riassegnazione, previo versamento all'entrata del bilancio dello Stato, di euro 740 milioni delle risorse complessivamente disponibili relative a rimborsi e compensazioni di crediti di imposta, esistenti presso la contabilità speciale 1778 «Agenzia delle entrate – Fondi di bilancio», e di euro 260 milioni, mediante utilizzo del risparmio degli interessi derivante dal comma 9 dell'articolo 35 del citato decreto-legge n.  27 del 2012.
Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      DE BIASI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          la Costituzione, all'articolo 38, secondo comma, stabilisce che «I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria»;
          il Parlamento europeo, nella proposta di risoluzione del 25 febbraio 1999, ha invitato gli Stati membri a «garantire una protezione sociale adeguata che permetta agli artisti di essere assicurati durante i periodi in cui non percepiscono alcuna retribuzione»;
          l'articolo 45, terzo comma, del regio decreto-legge n.  1827 del 1935, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  1155 del 1936 stabilisce che «L'assicurazione per la disoccupazione involontaria ha per scopo l'assegnazione agli assicurati di indennità nei casi di disoccupazione involontaria per mancanza di lavoro»;
          la sentenza della Corte costituzionale n.  103 del 1968 dichiara incostituzionale l'articolo 40, primo comma, numero 6°, del regio decreto-legge n.  1827 del 1935 con la motivazione che «Va peraltro rilevato che ai sensi dell'articolo 38 della Costituzione tutti i lavoratori hanno diritto ad essere assicurati contro la disoccupazione e che solo l'assicurazione sociale, in quanto basata sulla generalità ed obbligatorietà del rapporto assicurativo, rappresenta l'idoneo strumento per indennizzare indistintamente e concretamente tutti coloro che vengono colpiti dalla mancanza di lavoro»;
          la Commissione cultura del Parlamento europeo, nella relazione approvata il 25 febbraio 1999, sostiene che «Il vigore e la vitalità della creazione artistica dipendono soprattutto dal benessere materiale e intellettuale degli artisti in quanto individui e in quanto collettività»;
          al contrario, l'articolo 40, primo comma, numero 5°, del regio decreto-legge n.  1827 del 1935 stabilisce che non è soggetto all'assicurazione obbligatoria per la disoccupazione involontaria «il personale artistico, teatrale e cinematografico»;
          ai sensi del regolamento di cui al regio decreto 7 dicembre 1924, n.  2270, non sono considerati appartenenti al personale artistico, teatrale e cinematografico agli effetti dell'articolo 2, n.  5, del regio decreto n.  3158 del 1923 tutti coloro che al teatro o al cinematografo prestano opera la quale non richieda una preparazione tecnica, culturale o artistica;
          il regio decreto-legge n.  1827, che esclude gli artisti dall'assicurazione contro la disoccupazione, è stato scritto nel 1935 e cioè in un contesto storico in cui l'attività dell'artista era considerata non come attività professionale ma come attività dilettantistica e aleatoria;
          molti giovani talentuosi, in considerazione della previsione dell'articolo 7 del regolamento di cui al regio decreto n.  2270 del 1924 che nega l'indennità di disoccupazione proprio agli artisti senza preparazione tecnica, culturale e artistica, o rinunciano allo studio della musica e delle arti o decidono di trasferirsi in altri Paesi europei, dove l'arte è tutelata come un vero patrimonio morale ed economico, privando il nostro Paese di talenti preziosi per l'economia, la cultura e l'orgoglio nazionale;
          nonostante la maggiore diffusione di opere artistiche o letterarie e il sorgere di vere e proprie industrie culturali, la maggior parte degli artisti vive ancora in condizione di precarietà, indegna del proprio ruolo sociale. Il lavoro da essi svolto è spesso pagato con cachet miseri, con rapporti di lavoro precari e senza nessuna sicurezza per il futuro;
          la negazione della indennità per disoccupazione involontaria – fondamentale per l'integrazione dei loro redditi precari – costringe molti artisti a cercare lavori alternativi, che prima o poi finiscono per allontanarli definitivamente dalle professioni artistiche e rinunciarvi per sempre;
          la società non ha solamente il dovere ma tutto l'interesse a sostenere gli artisti, tenuto conto del ruolo indispensabile che essi svolgono per migliorare la qualità della vita nella società e del contributo che forniscono per il consolidamento della democrazia e della promozione umana;
          la spesa per l'indennità contro la disoccupazione involontaria viene finanziata dai datori di lavoro  –:
          se, alla luce delle considerazioni svolte, il Governo non ritenga opportuno promuovere l'abrogazione dell'articolo 40, primo comma, numero 5°, del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n.  1827, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 aprile 1936, n.  1155, nonché dell'articolo 7 del regolamento di cui al regio decreto 7 dicembre 1924, n.  2270, risolvendo in tal modo l'ingiusta, confusa e controproducente situazione in atto. (4-13415)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativo all'esclusione del personale artistico, teatrale e cinematografico dall'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria, si rappresenta quanto segue.
      Preliminarmente occorre ricordare che l'istituto dell'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria trova la sua fonte primaria nel regio decreto-legge 4 ottobre 1935 n.  1827 (convertito, con modificazioni, dalla legge 6 aprile 1936, n.  1155) nonché nel regolamento di cui al regio decreto 7 dicembre 1924, n.  2270.
      In particolare, l'articolo 37 del regio decreto-legge n.  1827 del 1935 dispone, in via generale, l'obbligatorietà di tale assicurazione nei confronti di tutti i lavoratori subordinati.
      Tuttavia, il legislatore ha previsto un limite alla platea dei soggetti assicurati, escludendo dalla predetta assicurazione alcune categorie di lavoratori subordinati tra i quali il personale artistico, teatrale e cinematografico articolo 40, n. 5, del regio decreto- legge n.  1827 del 1935), la cui definizione si rinviene sulla base di quanto indicato all'articolo 7 del regolamento di cui al regio decreto n.  2270 del 1924.
      Pertanto, in linea con la normativa sopra citata, e conformemente all'orientamento giurisprudenziale espresso dalla Corte di Cassazione, già richiamato dall'interrogante, l'Inps ha fornito istruzioni con la circolare n.  105 del 5 agosto 2011, contenente, in allegato, l'elenco delle categorie professionali da annoverare nell'ambito del personale artistico, teatrale e cinematografico per il quale è escluso l'obbligo assicurativo contro la disoccupazione involontaria.
      Tale elenco è stato successivamente aggiornato, a seguito di ulteriori approfondimenti, con circolare Inps n.  22 del 13 febbraio 2012 che, nel fornire chiarimenti e precisazioni, ha esteso la tutela della disoccupazione involontaria ad altre categorie di lavoratori dello spettacolo (aiuti registi, assistenti coreografi, generici figuranti e comparse, suggeritori del coro, eccetera).
      Tutto ciò premesso, si precisa che la questione rappresentata dall'interrogante è stata oggetto di attenzione da parte del Governo che – nell'ambito del disegno di legge recante: «Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita», attualmente all'esame del Senato della Repubblica – ha proposto il riordino delle tutele in caso di perdita involontaria dell'occupazione, estendendo la nuova Assicurazione sociale per l'impiego (Aspl) anche al personale artistico, teatrale e cinematografico. A tal fine è stata prevista l'abrogazione, a decorrere dal 1o gennaio 2013, dell'articolo 40 del regio decreto-legge n.  1827 del 1935.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.


      DE POLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          il Paese si trova a vivere una profonda crisi economica. In molti evidenziano, in particolare, il made in Italy agroalimentare come straordinariamente efficace per accrescere la leva competitiva economica nazionale;
          la Coldiretti ha puntualizzato quanto il brand Italia rappresenti una fortissima attrattiva per i consumatori di tutto il mondo e ha evidenziato il fenomeno dell’italian sounding che è in continua crescita tanto che oltre 60 miliardi di euro vengono sottratti ogni anno alla nostra economia. I nostri prodotti agroalimentari si trovano ormai sempre più preda di sofisticazioni e frodi. Pare evidente quanto la circolazione e la spinta diffusione di prodotti ingannevoli circa la vera origine geografica rappresentino un danno all'immagine della produzione agroalimentare nazionale, raggirando i consumatori che non vengono messi in condizione di scegliere in modo consapevole;
          si assiste ormai da troppo tempo ad una vera e propria svendita dell'economia e dei nostri territori che ha fatto parlare, attraverso i vari organi di comunicazione, di una vera e propria «contraffazione di Stato». Questo fenomeno rappresenta fonte di grande preoccupazione per i consumatori e per le parti sociali che, attraverso un documento unitario del 4 agosto 2011, hanno chiesto di «attuare politiche incisive volte alla promozione e alla difesa del made in Italy per valorizzare all'Estero il lavoro, il capitale e il territorio italiano;
          si rende urgente e necessario attuare il prima possibile una strategia tesa a contrastare questi fenomeni degenerativi denominati, per l'appunto, italian sounding che vanificano ingiustamente il sacrificio dei nostri operatori e abusano della credibilità italiana nei mercati internazionali;
          l’italian sounding blocca ogni potenzialità di crescita delle imprese italiane a causa della «saturazione» del mercato con prodotti che richiamano qualità italiane senza essere di origine nazionale;
          numerose sono state le manifestazioni di condivisione e di adesione giunte da parte dei rappresentanti di istituzioni, associazioni ed enti economici alla denuncia avanzata da Coldiretti su questa grave mancanza di tutela in un settore strategico italiano come quello agroalimentare, che ad oggi ancora non vede attuata, ad esempio, l'indicazione obbligatoria in etichetta dell'origine delle materie prime;
          si è assistito alle iniziative della Coldiretti sul territorio nazionale che hanno sensibilizzato nelle varie realtà regionali, come quella veneta, la difesa, la valorizzazione, la tutela e la promozione all'estero dell'autentico made in Italy;
          sono in molti ad attendere che il Governo agisca a tutela dei consumatori e delle imprese nazionali su questa delicata questione del made in Italy in generale e agroalimentare in particolare  –:
          quali iniziative intenda adottare il Governo per verificare i criteri con cui vengono scelti i progetti da finanziare in campo agroalimentare e se ritenga di porre un blocco agli attuali investimenti statali in attività di delocalizzazione di produzioni agroalimentari fonte di attività di concorrenza sleale;
          in che modo si intenda valutare il danno sofferto dalle imprese nazionali a fronte dell'avvenuta occupazione di mercato da parte di imprese imitative dei nostri prodotti locali;
          quali iniziative si intendano adottare a difesa delle aziende esportatrici italiane che agiscono in rappresentanza della nostra forza, cultura e tradizione. (4-14188)

      Risposta. — L’Italian sounding rappresenta la forma più diffusa di concorrenza sleale e falso Made in Italy nel settore agroalimentare.
      Sempre più spesso vengono utilizzati denominazioni geografiche, immagini e marchi che si richiamano all'Italia per reclamizzare e commercializzare prodotti che nulla hanno a che fare con la nostra realtà nazionale. Le aziende estere che utilizzano impropriamente tali segni distintivi adottano tecniche di mercato che inducono il consumatore ad attribuire ai prodotti commercializzati caratteristiche di qualità di cui in realtà sono privi, se confrontati con i veri prodotti. Tali comportamenti forniscono, pertanto, alle imprese estere un vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza, associando indebitamente ai propri prodotti valori riconosciuti ed apprezzati dai consumatori stranieri e deprimendo le capacità di export delle imprese italiane.
      I problemi economici e di immagine alla produzione e all'esportazione italiana di prodotti agroalimentari sono enormi. A livello mondiale si stima che il giro d'affari dell’Italian sounding sia di un valore di circa 60 miliardi di euro l'anno, superiore di 2,6 volte a quello delle esportazioni italiane di prodotti agroalimentari, pari a circa 23,3 miliardi di euro stimati nel 2009. Negli Stati Uniti e nel Canada la commercializzazione di prodotti falsi ha generato nel 2009 un fatturato di 24 miliardi di euro circa, nella proporzione di 1 prodotto falso su 9.
      La Direzione generale di questo Ministero competente in materia di contraffazione, pur non trovandosi di fronte a un fenomeno di contraffazione in senso proprio, alla luce di queste evidenze e a tutela dell’export italiano dalla concorrenza sleale, si è impegnata per la costituzione di un'apposita Task Force, con la partecipazione sia dalla principale associazione di categoria di riferimento – Federalimentare –, sia delle altre Amministrazioni centrali competenti – Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, Ministero degli affari esteri – sia degli enti ad esse collegati – Unioncamere, Assocamerestero e Ice. Dal luglio 2010, data di costituzione della suddetta Task Force, sono state avviate una serie di iniziative ed eventi, sia in Italia sia all'estero, al fine di valorizzare la qualità peculiare della produzione alimentare nazionale, guidare i consumatori nei mercati rilevanti per il settore, nonché promuovere i prodotti autentici italiani presso gli operatori specializzati locali, al fine di attivare un volano in grado di innestare la successiva diffusione del vero «Made in Italy».
      Per l'anno 2011 è stato approvato un progetto ad hoc mirato al mercato canadese, a cui ha fatto seguito la stipula di una specifica convenzione tra il Ministero dello sviluppo economico, l'Ice e Federalimentare, con la finalità di promuovere e valorizzare i prodotti della filiera agroalimentare effettivamente di origine italiana. La scelta del Canada è stata dettata dal recente aumento dell’export dell'industria alimentare nazionale su tale mercato. Da ricordare, tra le varie attività, la partecipazione dell'Italia, quale Paese d'onore alla manifestazione Sial Canada – the north american market place; la realizzazione di seminari tematici, concordata con Federalimentare in base all'interesse manifestato dalle associazioni di settore, su: «Il modello alimentare italiano: i formaggi», «Il modello alimentare italiano: i salumi», «Il modello alimentare italiano: le conserve vegetali».
      Per quanto concerne i finanziamenti rivolti alle imprese del settore, in particolare per quelle che intraprendono iniziative all'estero, le stesse possono avvalersi del sostegno offerto dalla temporanea partecipazione della Simest SpA, nonché di fondi pubblici da essa gestiti, al capitale di imprese estere costituite da imprenditori italiani per lo sviluppo di progetti di investimento che possono comprendere anche la produzione in loco.
      La Simest SpA, costituita nel 1991, ai sensi della legge n.  100 del 24 aprile 1990, è infatti una società «finanziaria di sviluppo» pubblico-privata, partecipata al 24 per cento dalle principali banche italiane e al 76 per cento dalla Confindustria e dal Ministero dello sviluppo economico. Il suo scopo primario è di affiancare, attraverso l'utilizzo di strumenti tecnici e finanziari, le attività e gli investimenti internazionali delle imprese italiane, rafforzandone le capacità sui mercati internazionali. Ai sensi del decreto legislativo n.  143 del 1998, la società gestisce gli interventi di sostegno finanziario all'internazionalizzazione del sistema produttivo nazionale.
      Nell'ambito delle iniziative sostenute attraverso la Simest, si evidenzia che non è prevista alcuna delocalizzazione, tra l'altro non consentita ai sensi dell'articolo 1 della legge n.  80 del 2005, mentre si producono effetti positivi sulla competitività delle aziende italiane e sull'occupazione in Italia. Infatti, in merito al piano di investimenti di detta società, la stessa acquisisce partecipazioni societarie in imprese italiane, al fine di migliorarne l'efficienza nei processi di internazionalizzazione che presentino programmi di sviluppo produttivo e/o di ricerca e di innovazione e che garantiscano il mantenimento delle capacità produttive interne.
      Per una maggiore tutela del settore agroalimentare, nel mese di marzo 2012, è stata emanata una dettagliata direttiva alla Simest Spa. Tale direttiva è incentrata ad evitare che le aziende destinatarie di tali azioni di sostegno possano attuare sui mercati esteri pratiche sleali o ingannevoli, comunque riconducibili all’italian sounding, e ad assicurare una corretta e trasparente informazione al consumatore circa l'origine delle produzioni estere. Al fine, quindi, di tutelare la trasparenza dei mercati, tale direttiva prevede che la Simest, mediante opportuni interventi ordinamentali o organizzativi, revochi gli atti relativi a partecipazioni deliberate a favore delle imprese operanti nel settore agroalimentare nel caso in cui le società attivino pratiche commerciali tali da indurre in errore i consumatori sull'origine o sulla provenienza dei prodotti, ai sensi del decreto legislativo n.  206 del 2005. Allo stesso orientamento dovranno conformarsi gli organi di gestione dei fondi pubblici di intervento, la cui gestione è affidata alla stessa Società in relazione alla problematica sopradescritta.
      A tutto ciò si aggiunge il costante impegno del Ministero ad intensificare le politiche di internazionalizzazione e di tutela del Made in Italy, nonché a promuovere iniziative condivise anche con altre amministrazioni per rafforzare l’export del settore agroalimentare.
Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      DI PIETRO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la sopravvivenza delle emittenti locali nel passaggio delle trasmissioni dal sistema analogico al digitale terrestre rappresenta un'esigenza cruciale per il nostro Paese;
          le associazioni di categoria delle tv locali da tempo denunciano l'esproprio subito in modo che appare di dubbia legittimità e, soprattutto, a fronte di un indennizzo gravemente irrisorio, dei canali dal 61 al 69;
          le frequenze in questione, come noto, saranno assegnate attraverso la procedura dell'asta pubblica, alle compagnie telefoniche per garantire alla loro fornitura di servizi in mobilità una maggiore capacità e velocità di trasmissione;
          detta procedura (segnatamente l'asta per l'assegnazione delle frequenze in banda 800, 1800, 2000 e 2600) è per altro già in corso e, sino ad oggi, ha già superato il tetto dei 3 miliardi di euro;
          ovviamente, ad avviso delle associazioni di categoria delle tv locali, non può essere contestata la circostanza che l'assegnazione agli operatori telefonici avvenga attraverso il ricorso ad un'asta pubblica. Ciò che dette associazioni ritengono inammissibile è che tale operazione avvenga ad esclusivo carico delle emittenti locali, mentre a Mediaset e Rai non venga chiesto alcun tipo di sacrificio;
          le associazioni di categoria delle tv locali hanno peraltro denunciato, inoltre, i criteri con i quali l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha attribuito la numerazione dei canali digitali;
          l'articolo 32 del Testo Unico dei servizi media audiovisivi (decreto legislativo 31 luglio 2005, n.  177, come modificato dalla legge 29 novembre 2007, n.  222, dalla legge 6 giugno 2008, n.  101, dalla legge 24 dicembre 2007 n.  244 (legge finanziaria 2008) e dal decreto legislativo 15 marzo 2010, n.  44) prevede espressamente al comma 2:
      «Fermo il diritto di ciascun utente di riordinare i canali offerti sulla televisione digitale nonché la possibilità per gli operatori di offerta televisiva a pagamento di introdurre ulteriori e aggiuntivi servizi di guida ai programmi e di ordinamento canali, l'Autorità, al fine di assicurare condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie, adotta un apposito piano di numerazione automatica dei canali della televisione digitale terrestre, in chiaro e a pagamento, e stabilisce con proprio regolamento le modalità di attribuzione dei numeri ai fornitori di servizi di media audiovisivi autorizzati alla diffusione di contenuti audiovisivi in tecnica digitale terrestre, sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi in ordine di priorità:
          a) garanzia della semplicità d'uso del sistema di ordinamento automatico dei canali;
          b) rispetto delle abitudini e preferenze degli utenti, con particolare riferimento ai canali generalisti nazionali e alle emittenti locali;
          l'AGCOM, diversamente da quanto previsto dalla legge, secondo quanto denunciato dalle associazioni di categoria delle tv locali, ha previsto l'assegnazione alle emittenti locali della numerazione a partire dal numero 10, essendo i primi nove tasti riservati alla emittenza nazionale, sulla base di graduatorie che fanno riferimento a criteri (quali il fatturato, il numero dei giornalisti assunti o altro) che nulla hanno a chiedere con le finalità previste dal citato testo unico dei servizi media audiovisivi: testo unico che fa, invece, riferimento al principio della preferenza degli utenti e quindi all’audience delle emittenti televisive;
          alla luce di tutto ciò dette associazioni hanno presento ricorso al Tar del Lazio che ha annullato gli atti emanati dall'AGCOM relativi al piano di numerazione dei canali della televisione digitale terrestre ed in particolare la delibera con cui l'Autorità garante delle comunicazioni fissava la numerazione, la cosiddetta LCN (logical channel number). Una pronuncia immediatamente esecutiva, cui però la stessa AGCOM ha immediatamente replicato con un ricorso d'urgenza al Consiglio di Stato per ottenere – quanto meno nell'immediato – la sospensiva della decisione del tribunale amministrativo di primo grado;
          successivamente, il Consiglio di Stato ha accolto la richiesta di sospendere l'esecuzione di quanto stabilito dal Tar del Lazio ovvero l'annullamento della delibera n.  366 del 2010 che, come si è detto, assegnava in automatico i numeri LCN sui tasti dei telecomandi dei televisori, lasciando al momento la questione aperta;
          l'annosa questione descritta dalla presente interrogazione rischia di infliggere l'ennesimo colpo al pluralismo televisivo nel nuovo scenario tecnologico digitale, ma anche all'informazione territoriale;
          particolarmente criticabile appare, inoltre, come attraverso un diverso tipo di procedura, ovvero un bando in modalità beauty contest, emanato dal Ministero dello sviluppo economico, sei frequenze verranno, di fatto, assegnate praticamente a costo zero sia a Rai che a Mediaset;
          l'applicazione dell'asta pubblica per l'assegnazione delle predette 6 frequenze potrebbe invece produrre un introito stimato da 1 a 2 miliardi di euro, qualora le condizioni di gara mirino ad assicurare la massima valorizzazione economica delle frequenze da assegnare;
          martedì 6 settembre 2011 è scaduto il termine per la presentazione delle domande di partecipazione alla procedura per l'assegnazione dei diritti d'uso di 6 frequenze televisive in digitale terrestre (5 in DVB-T e 1 in DVB -H), di cui alla delibera n.  497/10/CONS dell'Agcom e i soli 10 richiedenti corrispondono a Canale Italia srl, Telecom Italia Media Broadcasting srl. Elettronica Industriale spa (gruppo Mediaset), Sky Italia Network Service srl. Prima Tv spa, Europa Way srl, Elettronica Industriale spa (gruppo 3 Italia), Rai-Radiotelevisione Italiana spa, Tivuitalia spa, Dbox srl  –:
          se e quali iniziative per quanto di competenze, urgenti il Governo intenda assumere alla luce di quanto descritto in premessa affinché la riduzione delle frequenze televisive non avvenga ad esclusivo carico delle emittenti locali;
          quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare per incrementare l'entità delle misure compensative finalizzate a promuovere un uso più efficiente dello spettro destinato alla diffusione di trasmissioni in ambito locale;
          quali iniziative di competenza intenda assumere al fine della puntuale applicazione nell'ambito del nostro ordinamento giuridico dell'articolo 32 del testo unico dei servizi media audiovisivi, affinché l'attribuzione dei numeri ai fornitori di servizi di media audiovisivi avvenga in ossequio ai principi di garanzia della semplicità d'uso del sistema di ordinamento automatico dei canali, nonché del rispetto delle abitudini e delle preferenze degli utenti;
          se e quali iniziative il Governo intenda assumere affinché venga revocato il citato bando in modalità beauty contest attraverso il quale sei frequenze verranno con assoluta probabilità assegnate a costo zero alla Rai e a Mediaset;
          se il Governo intenda assumere iniziative normative affinché siano stabilite le condizioni economiche di assegnazione tramite gara delle frequenze per la radiodiffusione televisiva in ambito nazionale. (4-13203)

      Risposta. — In merito alla questione relativa al sistema di ordinamento automatico dei canali digitali, si evidenzia che, con la delibera n.  366/10/CONS., l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, sulla base di quanto disposto dall'articolo 32, comma 2 del decreto legislativo n.  34 del 15 marzo 2010, ha stabilito le modalità di attribuzione dei numeri ai fornitori di servizi di media audiovisivi, autorizzati alla diffusione di contenuti in tecnica digitale terrestre, sulla base di principi e criteri, successivamente recepiti dai bandi di attuazione emanati dal Ministero dello sviluppo economico.
      Nello specifico, si evidenzia che il Piano di numerazione adottato dall'Autorità, con delibera n.  366/10/CONS, ha accolto gran parte delle richieste avanzate dalle tv locali in sede di consultazione pubblica, nell'intento di garantire la semplicità dell'uso del sistema di ordinamento automatico dei canali ed il rispetto delle abitudini e preferenze degli utenti, con particolare riferimento ai canali generalisti nazionali e alle emittenti locali.
      Specificatamente, l'Agcom ha definito la seguente ripartizione:
          i primi 9 numeri del telecomando sono assegnati ai canali generalisti nazionali analogici diffusi in
simulcast digitale);
          i numeri da 10 a 19 e da 71 a 99 alle emittenti locali, ripetuti con la stessa successione anche il secondo (110-119 e 171-199) e terzo arco (210-219 e 271-299) della numerazione, oltre a tutto il settimo arco (601-699) per le nuove offerte digitali;
          i numeri da 21 a 70 ai canali nazionali digitali suddivisi per generi di programmazione (semigeneralisti, bambini/ragazzi, informazione, cultura, sport, musica, televendite).

      Il posizionamento delle emittenti locali nei numeri da 10 a 19, prima ancora dei nuovi entranti a diffusione nazionale, rappresenta un esplicito riconoscimento dell'importanza che l'emittenza locale di qualità riveste per il sistema radiotelevisivo del Paese, in termini di arricchimento pluralista dell'offerta e della garanzia di conservazione del valore dell'avviamento.
      Tale regolamentazione è stata difesa dall'Agcom, nell'ambito dei giudizi instaurati davanti al Tar Lazio, a seguito dei ricorsi presentati da alcune associazioni di categoria delle tv locali. Contro le pronunce del predetto tribunale, che annullavano in parte il provvedimento di regolamentazione relativo alla numerazione dei canali digitali, la stessa Autorità ha, inoltre, proposto appello al Consiglio di Stato, ottenendo le sospensive delle sentenze.
      L'azzeramento del piano di numerazione ad opera di pronunce giurisdizionali, in questo delicato momento in cui si sta compiendo l'ultimo passaggio alla televisione digitale, avrebbe, infatti, comportato enormi disagi in una situazione che ormai si è stabilizzata.
      Il Consiglio di Stato, nell'accogliere le istanze cautelari (confrontare) da ultimo ordinanza n.  904 del 2 marzo 2012, con riferimento alla sentenza di primo grado di accoglimento del ricorso proposto dalla società Sky Italia srl), ha riconosciuto che «il provvedimento di regolamentazione ... realizza allo stato, un ordinato e coerente sistema di accesso ai canali della trasmissione televisiva digitale che, nelle more della decisione nel merito, ... persegue fini di rilievo pubblico prevalenti su singole posizioni ... prevenendo situazioni di generale incertezza e, di fatto, di deregolamentazione dell'accesso e dell'utilizzo di canali di radiodiffusione digitale».
      La stessa Agcom si è, comunque, resa disponibile, una volta avvenuto lo
switch-off su tutto il territorio nazionale, a revisionare il Piano, per dare definitiva stabilizzazione al processo.
      Per quanto concerne le questioni relative alle frequenze, si premette che le frequenze in banda 800, 1800, 2000 e 2600 sono state assegnate, attraverso la procedura d'asta pubblica, agli operatori telefonici per garantire alla loro fornitura di servizi in mobilità una maggiore capacità e velocità di trasmissione. L'introito complessivo, ricavato dalla suddetta asta, è stato di circa 4 miliardi di euro.
      La destinazione della banda 800 MHz a servizi di comunicazione elettronica mobili in larga banda, conformemente all'orientamento comunitario in tal senso, è stata prevista dall'articolo 1, comma 8, della legge n.  220 del 2010.
      I relativi canali da 61 a 69 erano stati assegnati dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni agli operatori televisivi in ambito locale nelle pianificazioni delle frequenze delle diverse aree tecniche o regioni in data antecedente alla delibera 300/10/CONS, recante il «Piano nazionale di assegnazione delle frequenze per il servizio di radiodiffusione televisiva in tecnica digitale», e in particolare nelle delibere 53/08/CONS (Sardegna), 506/08/CONS (Valle d'Aosta), 294/09/CONS (Piemonte occidentale), 295/09/CONS (Trentino-Alto Adige), 426/09/CONS (Lazio), 625/09/CONS (Campania), 475/10/CONS (Piemonte orientale e Lombardia), 603/10/CONS (Emilia Romagna, Veneto, Friuli e Venezia Giulia); successivamente all'emanazione della legge n.  220 del 2010 citata, nelle delibere di pianificazione delle frequenze regionali, 423/11/CONS (Liguria, Toscana, Umbria e Marche) e 93/12/CONS (Abruzzo, Molise, Basilicata, Puglia, Calabria e Sicilia), rispettando comunque la riserva in favore dell'emittenza televisiva in ambito locale di un terzo dei canali irradiabili per ogni bacino di utenza, prevista dall'articolo 8 del decreto legislativo n.  177 del 2005 e della delibera 181/09/CONS dell'Autorità.
      Per quanto riguarda, in particolare, la banda 800 MHz, si rappresenta che, con decreto ministeriale del 23 gennaio 2012, è stata avviata la procedura della volontaria dismissione delle frequenze (canali 61 – 69) nelle regioni già digitalizzate alla data del 1o gennaio 2011, con il riconoscimento, quale misura compensativa, della somma complessiva di 174.684.709 euro. La stessa costituisce un ristoro finanziario per i costi sostenuti dalle emittenti locali per effettuare la transizione al digitale.
      Si fa presente inoltre che, ai sensi di quanto disposto all'articolo 4 del decreto-legge n.  34 del 2011, convertito in legge n.  75 del 2011, nelle regioni digitalizzate a partire dal 2011 i canali compresi tra il 61 e 69 non sono stati assegnati dal Ministero dello sviluppo economico e, pertanto, le emittenti locali non hanno sostenuto spese per la digitalizzazione su canali da liberare in seguito.
      Pertanto l'assegnazione e/o la riduzione delle frequenze avviene sempre in base ad una previsione normativa, cui il Ministero deve dare attuazione ed eventuali incrementi delle suddette misure compensative sono comunque sempre correlati ai vincoli della finanza pubblica.
      Per quanto concerne, infine, la procedura di assegnazione delle 6 frequenze nazionali ad uso televisivo in modalità
beauty contest, si evidenzia che a seguito dell'approvazione al Senato, il 24 aprile 2012, della legge di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 2 marzo 2012, n.  16, recante «disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento», è stato previsto, all'articolo 3-quinquies riguardante «misure urgenti per l'uso efficiente e la valorizzazione economica dello spettro radio ed in materia di contributi per l'utilizzo delle frequenze televisive», l'annullamento della predetta procedura.
      La norma ha disposto, infatti, l'assegnazione delle suddette frequenze tramite asta con rilanci, che verrà indetta dal Ministero dello sviluppo economico, entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge, secondo principi e criteri direttivi, sulla base dei quali l'Agcom dovrà definire le procedure della gara, nel rispetto delle soglie massime di cui alla delibera n.  181/09/Cons emanata dalla stessa Autorità.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Massimo Vari.


      DI STANISLAO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per gli affari europei, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il 27 settembre 2009 Marco Bazzoni, metalmeccanico di Firenze, competente rappresentante dei lavoratori sulla sicurezza (RLS) con un'adeguata formazione in materia di normativa sulla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, in materia di diritti e doveri dei diversi attori della sicurezza nelle aziende, ha inviato una vere e propria denuncia alla Commissione europea sulle difformità di alcuni articoli del decreto legislativo n.  106 del 2009 rispetto alle direttive europee;
          la Commissione ha risposto al signor Bazzoni il 13 ottobre 2011 con una lettera relativa all'approvazione del progetto di costituzione in mora contro l'Italia per il recepimento scorretto, nell'ordinamento giuridico italiano, di alcune disposizioni della direttiva 89/391/CEE;
          l'Italia, in sostanza, è stata messa sotto accusa dall'Unione europea per non aver rispettato in modo adeguato le disposizioni europee in materia di sicurezza sul lavoro;
          il progetto di costituzione in mora è stato approvato dalla Commissione il 29 settembre 2011 e la comunicazione alla Repubblica italiana è stata inviata il 30 settembre 2011;
          nella comunicazione ufficiale la Commissione si sofferma su una serie di punti su cui l'Italia deve dar conto entro 2 mesi dalla ricezione: la deresponsabilizzazione del datore di lavoro in caso di delega e subdelega; la violazione dell'obbligo di disporre di una valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro per i datori di lavoro che occupano fino a 10 lavoratori; la proroga dei termini impartiti per la redazione dei documento di valutazione dei rischi per le nuove imprese o per modifiche sostanziali apportate ad imprese esistenti; la posticipazione dell'obbligo di valutazione del rischio di stress legato al lavoro; la posticipazione dell'applicazione della legislazione in materia di protezione della salute e sicurezza sul luogo di lavoro per le persone appartenenti alle cooperative sociali e alle organizzazioni di volontariato della protezione civile; la prorogarci termine per completare l'adeguamento alle disposizioni di prevenzione incendi per le strutture ricettive turistico-alberghiere, con oltre 25 posti letto esistenti in data del 9 aprile 1994;
          secondo l'Osservatorio indipendente di Bologna sui morti sul lavoro dall'inizio del 2011, i morti per infortuni sui luoghi di lavoro sono stati ben 542, oltre il 15 per cento di queste vittime lavoravano in nero o erano già in pensione. Una cifra che supera i 900 morti (stima minima) se si aggiungono i lavoratori deceduti in itinere, ovvero lungo il tragitto casa-lavoro lavoro-casa;
          è evidente, pertanto, che la problematica è complessa e costituisce un tassello tragico e rilevante all'interno del mondo del lavoro  –:
          come il Governo si stia adoperando al fine di evitare un ulteriore sanzione da parte dell'Unione europea;
          se il Governo non ritenga di dover promuovere l'adeguamento della attuale normativa sulla sicurezza e salute sul lavoro ed il percorso per il raggiungimento dei suoi obiettivi al fine di una efficace tutela della salute dei lavoratori.
(4-13952)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con cui si chiede quali interventi si intendano promuovere per adeguare l'attuale normativa sulla sicurezza e salute sui luoghi di lavoro alle disposizioni europee, si rappresenta quanto segue.
      Sulla base dell'istruttoria avviata con la Direzione generale per le relazioni industriali e per i rapporti di lavoro di questo Ministero, risulta che è attualmente pendente una procedura d'infrazione (n.  2010/4227) per la presunta difformità di alcune previsioni del decreto legislativo n.  106 del 2009 cosiddetto «correttivo» al «testo unico») rispetto alle disposizioni della direttiva n.  89/391/CE (Direttiva del Consiglio del 12 giugno 1989 concernente l'attuazione di misure volte, a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro).
      Quanto al merito delle contestazioni formulate, è stato concesso termine all'Italia per proporre controdeduzioni, in modo che dalla loro analisi la Commissione possa decidere se rimettere la questione alla Corte di Giustizia innescando così il vero e proprio procedimento di infrazione.
      Con la messa in mora la Commissione ha mosso allo Stato italiano diverse censure in ordine al presunto mancato rispetto di vari obblighi che incombono in virtù di alcune disposizioni della direttiva n.  89/391/CE. Con nota del 2 dicembre 2011 è stata fornita risposta alla medesima Commissione, sulla base dell'istruttoria effettuata presso la Direzione generale delle relazioni industriali e dei rapporti di lavoro.
      Si è provveduto, in ragione della delicatezza della materia, a chiedere informazioni anche alla rappresentanza permanente d'Italia a Bruxelles in ordine all'orientamento della Commissione.
      Nel rispondere all'ultimo quesito posto dall'Interrogante, occorre precisare che il tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali costituisce obiettivo strategico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'Inail, nell'ottica del tendenziale azzeramento del fenomeno infortunistico e tecnopatico.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, infatti, intende perseguire la promozione di comportamenti rispettosi delle norme di legge applicabili in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed efficaci in funzione prevenzionistica, sia completando l'attuazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81 (Testo Unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro) e successive modificazioni e integrazioni, sia favorendo ogni iniziativa promozionale idonea a determinare un accrescimento delle conoscenze in materia di salute e sicurezza nelle aziende, nei lavoratori e negli studenti, con particolare attenzione all'aspetto della formazione.
      In relazione allo specifico e gravissimo problema degli infortuni sul lavoro si rende necessario intervenire sulla formazione – informazione dei lavoratori e delle imprese, nonché sulla prevenzione e sul rafforzamento dei controlli da parte degli enti preposti, al fine di promuovere una consapevolezza sempre più ampia sulle esigenze della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è attivamente impegnato su tali fronti, nell'intento precipuo di favorire il dialogo e la collaborazione fra tutti i soggetti interessati, istituzionali e sociali, al fine di ridurre gli incidenti e le malattie professionali e la diffusione di sempre più elevati
standards di sicurezza nei luoghi di lavoro. L'esistenza in concreto di una efficace strategia di contrasto al fenomeno infortunistico non passa solo attraverso il completamento, mediante le fonti di rango secondario previste dal decreto legislativo n.  81 del 2008, del quadro giuridico di riferimento ma anche attraverso la realizzazione di una serie di azioni pubbliche e private dirette a migliorare la prevenzione e i livelli di tutela in tutti gli ambienti di lavoro.
      Per tale ragione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta attivando ogni possibile sinergia con soggetti pubblici e privati, al fine di migliorare «l'impatto» delle rispettive attività in termini di efficacia.
      In tale ottica si colloca, ad esempio, la definizione, con Accordo in Conferenza Stato-regioni del 20 novembre 2008, dei criteri di impiego e l'attivazione delle somme (pari a 50 milioni di euro) di cui all'articolo 11, comma 7, del Testo Unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, da destinare in favore di attività promozionali della salute e sicurezza, tra le quali una campagna di comunicazione (per complessivi 20 milioni di euro) sulla salute e sicurezza sul lavoro ed attività di formazione su base regionale (per complessivi 30 milioni di euro).
      Con il decreto correttivo n.  106 del 2009 si è poi consentito il superamento delle difficoltà operative da più parti evidenziate nel corso dei primi mesi di applicazione del Testo Unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, perfezionando, in tal modo, il quadro normativo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e rendendolo, oltre che pienamente coerente con le normative internazionali e comunitarie in materia, idoneo a costituire il fondamento giuridico della strategia di contrasto ai fenomeno infortunistico.
      L'imprescindibile finalità delle misure varate resta quella di rendere maggiormente effettiva la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro secondo linee di azione consistenti, tra l'altro, nel miglioramento dell'efficacia dell'apparato sanzionatorio al fine precipuo di assicurare una migliore corrispondenza tra infrazioni e sanzioni.
      A tale scopo si tiene conto dei compiti effettivamente svolti da ciascun attore della sicurezza, favorendo l'utilizzo di procedure di estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi mediante regolarizzazione da parte del soggetto inadempiente. La sanzione penale è riservata ai soli casi di violazione delle disposizioni sostanziali e non di quelle meramente formali (come, ad esempio, la trasmissione di documentazione, notifiche, eccetera.
      Tutti gli interventi proposti garantiscono, in ogni caso, il rispetto dei livelli di tutela oggi assicurati ai lavoratori e alle loro rappresentanze in qualsiasi ambiente di lavoro e in tutto il territorio nazionale nonché l'equilibrio delle competenze tra lo Stato e le Regioni in materia.
      Il risultato finale dell'intervento legislativo di riforma potrà comunque compiutamente apprezzarsi una volta che verrà completata l'emanazione di provvedimenti attuativi del Testo Unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, di grande rilevanza e impatto sulle aziende e sui lavoratori.
      Molte delle iniziative dirette alla attuazione delle disposizioni del Testo Unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro sono devolute dal legislatore alla Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro (
ex articolo del decreto legislativo n.  81 del 2008), composta, in maniera paritaria e tripartita, da rappresentanti delle amministrazioni pubbliche centrali competenti in materia, delle regioni, dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro.
      Ricostituita con decreto ministeriale del 3 dicembre 2008, la Commissione ha costituito al suo interno nove gruppi «tecnici» di lavoro, nei quali è garantita la presenza paritetica di rappresentanti delle amministrazioni pubbliche (comprese le regioni) e delle parti sociali, per affrontare, in tali sedi, gli argomenti attribuiti dalla legge alla Commissione (ad esempio l'elaborazione di linee metodologiche per la valutazione dello
stress lavoro-correlato, l'individuazione delle regole di funzionamento della cosiddetta «patente a punti» per gli edili) e per i quali si prevedono attività finalizzate alla attuazione del Testo Unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
      Tali gruppi si sono regolarmente insediati e svolgono con continuità le attività ad essi attribuiti. All'esito delle attività istruttorie compiute in tali consessi, sono stati elaborati documenti di notevole importanza per gli operatori della salute e sicurezza sul lavoro e altri sono di prossima emanazione.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha completato talune ulteriori attività previste dal decreto legislativo n.  81 del 2008, tra le quali occorre ricordare:
          la predisposizione, in data 17 novembre 2010, delle indicazioni per la valutazione dello
stress lavoro-correlato (articolo 28, comma 1-bis, del «Testo Unico») da parte della Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro, con avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.  304 del 30 dicembre;
          la pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale n.  159 dell'11 luglio 2011 del decreto interdipartimentale del 13 aprile 2011, recante: «Disposizioni in attuazione dell'articolo 3, comma 3-bis, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81, come modificato ed integrato dal decreto legislativo 3 agosto 2009, n.  106 in materia di salute e sicurezza sul lavoro» che disciplina le particolari modalità di svolgimento delle attività delle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n.  381, delle organizzazioni di volontariato della Protezione civile, compresi i volontari della Croce rossa italiana e del Corpo nazionale soccorso alpini e speleologico, e i volontari dei vigili del fuoco;
          la pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale n.  98 del 29 aprile 2011 – supplemento ordinario n.  111 – del decreto interministeriale dell'11 aprile 2011 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero della salute e con il Ministero dello sviluppo economico, che disciplina le modalità di effettuazione delle verifiche periodiche di cui all'allegato VII del decreto legislativo del 9 aprile 2008, n.  81, nonché i criteri per l'abilitazione dei soggetti di cui all'articolo 71, comma 13, del medesimo decreto legislativo;
          la pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale n.  60 del 12 marzo 2012 – supplemento ordinario n.  47 – dell'accordo, ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo n.  281 del 28 agosto 1997 tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, stipulato il 22 febbraio 2012, concernente l'individuazione delle attrezzature di lavoro per le quali è richiesta una specifica abilitazione degli operatori, nonché le modalità per il riconoscimento di tale abilitazione, i soggetti formatori, la durata, gli indirizzi ed i requisiti minimi di validità della formazione, in attuazione dell'articolo 73, comma 5, del decreto legislativo n.  81 del 9 aprile 2008, e successive modifiche e integrazioni;
          la pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale n.  83 dell'11 aprile 2011 del decreto del 4 febbraio 2011 «Lavori su impianti elettrici ad alta tensione» a firma del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro della salute, che definisce i criteri per il rilascio delle autorizzazioni alle aziende che effettuano lavori sotto tensione, in attuazione dell'articolo 82, comma 2, del decreto legislativo n.  81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni;
          l'istituzione, con decreto interministeriale del 27 maggio 2011 (pubblicato sul Bollettino ufficiale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n.  6 del 30 giugno 2011), del comitato consultivo per la determinazione e l'aggiornamento dei valori limite di esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici previsto dall'articolo 232, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81 e successive modificazioni e integrazioni;
          la pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale n.  8 dell'11 gennaio 2012 degli accordi, approvati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, regioni e province autonome di Trento, in tema di formazione dei datori di lavoro che intendano svolgere i compiti del Servizio di prevenzione e protezione e dei lavoratori, dirigente e preposti, adottati ai sensi degli articoli 34 e 37 del decreto legislativo n.  81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni;

      merita menzione il decreto interministeriale per la costituzione e la regolamentazione del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (Sinp), ex articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 2008 n.  81, che prevede la costituzione di un sistema volto a fornire dati utili per orientare, programmare, pianificare e valutare l'efficacia della attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, relativamente ai lavoratori iscritti e non iscritti agli enti assicurativi pubblici. Su tale decreto è stato acquisito il parere favorevole della Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e province autonome di Trento e di Bolzano e, allo stato, si è in attesa dell'espressione del parere da parte del Consiglio di Stato.
      In ordine alle iniziative in materia di lavorazioni in «ambienti confinati», si evidenzia che nella
Gazzetta Ufficiale n.  260 dell'8 novembre 2011 è stato pubblicato il decreto del Presidente della Repubblica n.  177 del 14 settembre 2011 recante: «Norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati», a norma dell'articolo 6, comma 8, lettera g) del decreto legislativo n.  81 del 2008.
      Il decreto è frutto di un lavoro che ha coinvolto Stato, Regioni e Parti sociali nell'intento, da tutti condiviso, di predisporre misure innovative ed efficaci a contrasto al fenomeno degli infortuni, gravissimi per numero e drammatici per modalità, verificatisi, negli ultimi anni, nei lavori in ambienti cosiddetti «confinati», quali silos, cisterne e simili.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali persegue l'obiettivo della riduzione del fenomeno infortunistico anche perseguendo la massima efficacia delle attività di vigilanza sui luoghi di lavoro di propria competenza. In tali ambiti, ed in primo luogo nell'edilizia, è stata da tempo fornita alle strutture amministrative di riferimento l'indicazione di realizzare, innanzitutto, le attività dirette a perseguire le violazioni in materia di salute e sicurezza più gravi, in quanto in grado di mettere in pericolo la vita dei lavoratori. Tale impostazione ha consentito di raggiungere risultati molto soddisfacenti.
      Infine, va ricordato come il Ministero del lavoro e delle politiche sociali abbia predisposto e messo a disposizione dell'utenza una sezione del sito
internet specificamente dedicata alla diffusione di notizie e pubblicazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
      Tutto quanto sin qui esposto consente di affermare come la riforma delle regole volte a tutelare la salute e sicurezza sul lavoro abbia fornito l'Italia di un sistema di regole moderno e sistematicamente coeso, suscitando un interesse, finalmente non più solo specialistico, sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro che costituisce, a sua volta, un importante punto di partenza per l'abbattimento del numero e della gravità degli infortuni.

Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.


      FALLICA, GRIMALDI, TERRANOVA, PUGLIESE, IAPICCA, MICCICHÈ, STAGNO D'ALCONTRES, MISITI e SOGLIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la riforma delle pensioni contenuta nella manovra «Salva Italia» del Governo Monti ha creato non pochi scompensi nel sistema pensionistico e lavorativo italiano: in particolare alcune categorie di lavoratori sono state pesantemente discriminate;
          non sono stati tutelati, infatti, tra gli altri, i lavoratori delle aziende che, prima della manovra, sono stati avviati verso il cosiddetto «esodo volontario anticipato incentivato» e che con i nuovi requisiti previsti dalla legge si trovano in una posizione ambigua: sono ufficialmente fuori dalle aziende, perché «esodati» o in termini tecnici «soprannumerari», e nello stesso tempo, non ricevono alcuna indennità pensionistica perché non hanno più i requisiti per andare in pensione subito e dovranno aspettare diversi anni prima di poterlo fare; sono in pratica dei disoccupati;
          tra questi lavoratori abbandonati al loro destino, in una condizione di particolare disagio si trovano quelli di Poste Italiane. L'azienda ha incentivato, infatti, negli ultimi tempi, un nutrito esodo dei suoi dipendenti più anziani che, adesso, con la nuova normativa, si troveranno senza lavoro e senza pensione; sono più di 5000;
          la tutela dei diritti dei lavoratori è un valore inestimabile per la nostra democrazia e non può essere derogato in nessun modo, nemmeno in tempo di crisi economica  –:
          quali iniziative il Governo intenda assumere per ristabilire un ordine e un equilibrio in questo settore e se abbia intenzione di proporre una norma transitoria che permetta ai lavoratori soprannumerari delle varie aziende di riacquisire le proprie prerogative. (4-14496)

      Risposta. — Con riferimento alla possibilità di prevedere delle ulteriori «salvaguardie» rispetto a quelle originariamente previste dall'articolo 24, comma 14, del cosiddetto decreto-legge salva-Italia per ricomprendere quei lavoratori che, prima dell'approvazione della riforma previdenziale, hanno risolto il contratto di lavoro – con accordi individuali o collettivi di incentivo all'esodo – con la prospettiva di ottenere la pensione dopo un breve periodo di attesa, ma che, all'esito della riforma, non posseggono né i nuovi requisiti per il pensionamento, né i requisiti derogatori per accedere al pensionamento anticipato rispetto alle previgenti regole, si rappresenta quanto segue.
      In occasione dell'approvazione della riforma previdenziale, il legislatore ha inteso salvaguardare alcune categorie di lavoratori, che si sarebbero trovate senza reddito e senza pensione, in presenza di precisi requisiti previsti, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, dal citato articolo 24, comma 14, del decreto-legge salva-Italia, così come successivamente integrato dalla legge di conversione 24 febbraio 2012, n.  14, del decreto-legge di proroga termini.
      In particolare, ai sensi dell'articolo 6, comma 2-
ter, del cosiddetto decreto-legge Milleproroghe, come modificato dalla citata legge di conversione, è consentito il pensionamento anticipato rispetto alle norme in vigore dal 1o gennaio 2012 di quei lavoratori che abbiano risolto il rapporto di lavoro entro il 31 dicembre 2011 sulla base di accordi individuali o sulla base di accordi collettivi di incentivo all'esodo, purché la cessazione del rapporto di lavoro risulti da elementi certi e oggettivi e abbiano requisiti anagrafici e contributivi che, ai sensi della previgente disciplina pensionistica avrebbero comportato la decorrenza della pensione entro i 24 mesi dalla data di approvazione del decreto-legge n.  201 del 2011, cosiddetta salva-Italia.
      Sebbene il tavolo tecnico composto da rappresentanti dei Ministeri del lavoro e delle politiche sociali e dell'economia e finanze e dell'Inps abbia accertato che il numero di persone complessivamente interessate alle «salvaguardie previste dalle disposizioni vigenti è di circa 65 mila – confermando che l'importo finanziario individuato dalla riforma delle pensioni, attuata con il cosiddetto decreto salva-Italia, è adeguato a corrispondere a tutte le esigenze, incluse quelle introdotte dal cosiddetto decreto Milleproroghe, senza dover ricorrere a risorse aggiuntive – il Governo e consapevole che un'ulteriore platea di lavoratori, non direttamente interessata dalle attuali misure di salvaguardia, merita particolare attenzione in quanto nei prossimi anni dovrà ugualmente confrontarsi con gli effetti prodotti dalla riforma pensionistica recentemente adottata.
      Si tratta, ad esempio, dei cosiddetti collocandi in mobilità ai sensi di accordi collettivi governativi (i.e. stipulati con il Ministero dell'economia e delle finanze o del lavoro e delle politiche sociali) fatti entro il 4 dicembre 2011, che avrebbero conseguito il trattamento pensionistico al termine del periodo di mobilità.
      In tal senso il Governo sta valutando la possibilità di adottare, anche a seguito di consultazioni con le parti sociali, misure aggiuntive volte a garantire tutela reddituale a tali lavoratori, le cui caratteristiche andranno attentamente definite anche in relazione alla maggiore o minore estensione dell'arco temporale che separa ciascuno di essi dal raggiungimento dei nuovi requisiti pensionistici anche al fine di garantire nel tempo l'equità e la sostenibilità della riforma pensionistica varata dal Governo.

Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.


      FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la perdurante inadeguata rappresentazione del mondo femminile nei media, con stereotipi riduttivi rispetto alla pluralità espressa dalle donne nella realtà, rende sempre più urgente dare risposte al piano di riforme sostenuto attraverso l’«Appello donne e media», lanciato con la campagna diffusa nel web da key4biz a partire da novembre 2009 e con una serie di iniziative condivise in rete e in numerosi dibattiti pubblici;
          le oltre mille sottoscrizioni da parte di associazioni e singole persone, a sostegno delle riforme proposte, rendono ancora più evidente la necessità che la classe politica dia risposte puntali alle altrettanto puntuali richieste;
          l'impegno assunto in sede pubblica dal Ministro dello sviluppo economico il 15 aprile 2010, con l'affermazione che un ruolo importante può e deve essere svolto dalla televisione e da tutti i mezzi di comunicazione, che sempre più hanno la responsabilità sociale di promuovere un'immagine femminile moderna fedele alla realtà, rispettosa della dignità umana, culturale e professionale delle donne. Proprio in linea con questa esigenza, nel parere obbligatorio ma non vincolante reso dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi sul nuovo contratto nazionale di servizio Rai 2010-2012, è stata dedicata particolare attenzione al ruolo femminile, anche recependo molte delle indicazioni contenute nell'appello «Donne e media»;
          fra queste indicazioni si segnala, in particolare, l'impegno della Rai ad operare un monitoraggio, con produzione idonea di reportistica semestrale, che consenta di controllare il rispetto di quanto previsto dal contratto di servizio o da altre disposizioni che la Rai è tenuta ad osservare circa le pari opportunità. I report devono essere trasmessi al Ministero, all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e alla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi e contenere un'informazione che sia quanto più possibile esaustiva; tuttavia il nuovo testo del contratto di servizio pubblico televisivo 2010-2012 non è stato ancora sottoscritto dal consiglio di amministrazione della Rai, anche contro il parere espresso del direttore generale della Rai Mauro Masi;
          nel medesimo contesto del 15 aprile, il Governo ha ammesso la necessità di un profondo cambiamento culturale, «una maggiore “educazione” del pubblico, un diverso approccio nel rappresentare sui mezzi di comunicazione l'immagine della donna, le sue esigenze, le sue aspirazioni e che in tale prospettiva, risultati positivi possano essere raggiunti attraverso iniziative di autoregolamentazione, come l'adozione – da parte degli operatori dei settori dell'informazione, dello spettacolo e della pubblicità – di un apposito codice deontologico condiviso, orientato al rispetto della dignità delle donne e alla valorizzazione della figura femminile in tutte le sue espressioni»  –:
          se non ritenga urgente ed opportuno adoperarsi, per quanto di competenza, affinché nell'ambito del nuovo contratto di servizio per gli anni 2010-2012 – atteso che il precedente è scaduto a dicembre 2009 – sia previsto in particolare il monitoraggio circa le pari opportunità, con obbligo di reportistica semestrale, promosso dall'Appello per una migliore rappresentazione delle donne e già inserito nel parere al contratto di servizio reso all'unanimità dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi;
          se non ritenga inoltre necessario adottare le opportune iniziative al fine di:
          convocare il tavolo tecnico di confronto tra soggetti istituzionali e datoriali per l'adozione di un codice di autoregolamentazione «donne e media» condiviso, in linea con gli altri Paesi europei;
          istituire ed insediare un comitato ad hoc per l'applicazione del codice medesimo, con compiti di monitoraggio, vigilanza, sanzione e proposta per il raggiungimento degli obiettivi;
          promuovere un'armonizzazione dei sistemi regolatori attualmente esistenti nei Paesi membri dell'Unione, per il raggiungimento di uno standard europeo nel settore regolamentare «donne e media».
(4-09948)

      Risposta. — In occasione del rinnovo del contratto di servizio con la Rai 2010-2012 il Comitato pari opportunità del Ministero (ora denominato Comitato unico di garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni) ha aderito all'appello donne e media, lanciato sulla rete a novembre 2009, volto ad inserire degli appositi articoli a tutela della rappresentazione dell'immagine femminile.
      L'appello ha raccolto tantissime adesioni, dagli organismi istituzionali alle associazioni femminili, dal mondo imprenditoriale a quello universitario, e da molti esponenti del mondo politico, a dimostrazione di un'esigenza sentita da tutta la società civile.
      Il risultato di tale impegno è stato l'inserimento nel Contratto di servizio, attualmente in vigore, di ben 13 articoli che, nel rispetto dei principi costituzionali, obbligano la Rai a una migliore rappresentazione e valorizzazione dei molteplici ruoli in cui la donna è impegnata nella società, ad una offerta televisiva, soprattutto nelle fasce di maggior ascolto, che promuova modelli di riferimento non stereotipati che possano indurre a una fuorviante percezione dell'immagine femminile e della violenza sulle donne.
      Il citato contratto di servizio prevede, inoltre, l'obbligo per la Rai di operare un monitoraggio, con produzione di idonea reportistica annuale, che consenta di verificare il rispetto delle pari opportunità nonché la corretta rappresentazione della dignità della persona nella programmazione complessiva. I
report devono essere trasmessi al Ministero, all'Agcom e alla Commissione parlamentare.
      Il gruppo dirigente della Rai ha dimostrato, quindi, di volersi impegnare al fine di promuovere e valorizzare un nuovo corso nell'impiego della figura femminile, nel pieno rispetto della dignità culturale e professionale delle donne, anche al fine di contribuire alla rimozione degli ostacoli che di fatto limitano le pari opportunità.
      A tal riguardo, si evidenzia che il 24 novembre 2011, si è tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico un seminario di approfondimento promosso dal Comitato unico di garanzia che ha avuto come interlocutore specifico la Rai. Tale incontro ha portato all'elaborazione di proposte finalizzate a tradurre gli impegni assunti dalla azienda nel contratto di servizio in risposte concrete e attività conseguenti.
      Per quanto riguarda l'adozione di un codice di autoregolamentazione «donne e
media» il Governo è ben consapevole che il resto del mondo dei media, dalle emittenti televisive, ai giornali, alla pubblicità, veicolano messaggi e comunicazioni altrettanto lesivi della dignità femminile. Per tale ragione è stato aperto, a suo tempo, un tavolo paritetico tra il Ministero dello sviluppo economico e quello delle pari opportunità perché, analogamente agli altri Paesi europei, l'Italia si doti di un codice di autoregolamentazione al quale aderiscano tutti gli operatori del settore impegnati nella comunicazione e nell'informazione che accettino regole condivise e sanzioni adeguate.
      Il tavolo aveva già cominciato a lavorare elaborando una prima di bozza di articolato. L'attuale Governo ha ritenuto di non trascurare questo importante percorso, che è stato recentemente confermato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con delega alle pari opportunità.
      Con il decreto ministeriale del 20 aprile 2012, è stato infatti costituito il tavolo tecnico paritetico presso il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri per l'elaborazione di una proposta di codice di autoregolamentazione, recante linee guida a garanzia del rispetto della rappresentazione della figura femminile dei
media.
      In tale quadro verrebbe valutata anche l'istituzione di meccanismi di monitoraggio, sanzione e proposta, nonché la promozione di iniziative di armonizzazione a livello comunitario.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Massimo Vari.


      FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          da come si apprende da agenzie di stampa e siti web il signor Giovanni Castelletti, dipendente da oltre 35 anni della cantina sociale del consorzio del Garda, in provincia di Verona, è deceduto dopo essere rimasto incastrato nel macchinario per sollevare le bottiglie di vetro  –:
          quale sia l'esatta dinamica dell'incidente;
          se le norme relative alla sicurezza del lavoro siano state rispettate o disattese;
          quali iniziative si intendano promuovere o adottare in ordine a quest'ennesimo incidente mortale nell'ambito del lavoro. (4-15133)

      Risposta. — L'interrogazione in esame si riferisce all'infortunio sul lavoro occorso al signor Giovanni Castelletti, operaio specializzato-vinificatore, impiegato presso la cantina di Castelnuovo del Garda (Verona), società cooperativa agricola dedita alla produzione e commercializzazione di vini.
      Preliminarmente, si precisa che in questa sede ci si limiterà ad illustrare gli elementi informativi acquisiti presso la Direzione territoriale del lavoro di Verona nonché quelli forniti dall'Inail.
      La mattina del 28 febbraio 2012, il signor Castelletti, insieme ad un collega, era intento ad utilizzare un depalettizzatore (un macchinario che provvede a «depalettizzare» le bottiglie vuote da avviare al successivo imbottigliamento del vino).
      Nel corso dell'operazione, a causa del ribaltamento di alcune bottiglie, i due operai provvedevano, in conformità alle procedure di sicurezza, a bloccare il macchinario, entrando nel perimetro interno dello stesso.
      Dopo aver riposizionato correttamente le bottiglie, i due lavoratori si accingevano ad uscire dall'area interna della macchina.
      Tuttavia, mentre il collega, uscito dall'area, si preparava a riavviare il macchinario, il signor Castelletti, accortosi che una bottiglia si era nuovamente ribaltata, si stendeva sopra il pianale del pallet per raddrizzarla, uscendo in tal modo dall'angolo di visuale del collega.
      Nel frattempo il collega procedeva all'avvio del macchinario che, nel movimento di discesa verso il basso, schiacciava il signor Castelletti all'altezza delle vertebre verticali, provocandone la morte.
      Per quanto riguarda le prestazioni di legge dovute all'Inail, la competente sede dell'Istituto, in base alle risultanze dell'istruttoria, ha provveduto alla costituzione della rendita ai superstiti e alla erogazione dell'assegno funerario, ai sensi dell'articolo 85 del decreto del Presidente della Repubblica n.  1124 del 1965.
      Sul luogo dell'infortunio sono intervenuti, oltre al Servizio 118, i tecnici dello Spisal dell'Ulss 22 (Verona) nonché Carabinieri di Peschiera del Garda che hanno provveduto al sequestro probatorio dell'impianto.
      Nel corso degli accertamenti è emerso che il signor Castelletti non indossava gli ortoprotettori. Si precisa comunque che le cause e le circostanze dell'evento nonché l'accertamento delle eventuali responsabilità sono tutt'ora al vaglio della competente Autorità giudiziaria.
      Nel rispondere all'ultimo quesito posto nell'interrogazione in esame, occorre precisare che il tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali costituisce obiettivo strategico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'Inail, nell'ottica del tendenziale azzeramento del fenomeno infortunistico e tecnopatico.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, infatti, intende perseguire la promozione di comportamenti rispettosi delle norme di legge applicabili in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed efficaci in funzione prevenzionistica, sia completando l'attuazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81
(Testo Unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro) e successive modificazioni e integrazioni, sia favorendo ogni iniziativa promozionale idonea a determinare un accrescimento delle conoscenze in materia di salute e sicurezza nelle aziende, nei lavoratori e negli studenti, con particolare attenzione all'aspetto della formazione.
      In relazione allo specifico e gravissimo problema degli infortuni sul lavoro si rende necessario intervenire sulla formazione - informazione dei lavoratori e delle imprese, nonché sulla prevenzione e sul rafforzamento dei controlli da parte degli enti preposti, al fine di promuovere una consapevolezza sempre più ampia sulle esigenze della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è attivamente impegnato su tali fronti, nell'intento precipuo di favorire il dialogo e la collaborazione fra tutti i soggetti interessati, istituzionali e sociali, al fine di ridurre gli incidenti e le malattie professionali e la diffusione di sempre più elevati
standards di sicurezza nei luoghi di lavoro. L'esistenza in concreto di una efficace strategia di contrasto al fenomeno infortunistico non passa solo attraverso il completamento, mediante le fonti di rango secondario previste dal decreto legislativo n.  81 del 2008, del quadro giuridico di riferimento ma anche attraverso la realizzazione di una serie di azioni pubbliche e private dirette a migliorare la prevenzione e i livelli di tutela in tutti gli ambienti di lavoro.
      Per tale ragione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta attivando ogni possibile sinergia con soggetti pubblici e privati, al fine di migliorare «l'impatto» delle rispettive attività in termini di efficacia.
      In tale ottica si colloca, ad esempio, la definizione, con Accordo in Conferenza Stato – Regioni del 20 novembre 2008, dei criteri di impiego e l'attivazione delle somme (pari a 50 milioni di euro) di cui all'articolo 11, comma 7, del Testo Unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, da destinare in favore di attività promozionali della salute e sicurezza, tra le quali una campagna di comunicazione (per complessivi 20 milioni di euro) sulla salute e sicurezza sul lavoro ed attività di formazione su base regionale (per complessivi 30 milioni di euro).
      Con il decreto correttivo n.  106 del 2009, si è poi consentito il superamento delle difficoltà operative da più parti evidenziate nel corso dei primi mesi di applicazione del Testo Unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, perfezionando, in tal modo, il quadro normativo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e rendendolo, oltre che pienamente coerente con le normative internazionali e comunitarie in materia, idoneo a costituire il fondamento giuridico della strategia di contrasto al fenomeno infortunistico.
      L'imprescindibile finalità delle misure varate resta quella di rendere maggiormente effettiva la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro secondo linee di azione consistenti, tra l'altro, nel miglioramento dell'efficacia dell'apparato sanzionatorio al fine precipuo di assicurare una migliore corrispondenza tra infrazioni e sanzioni.
      A tale scopo si tiene conto dei compiti effettivamente svolti da ciascun attore della sicurezza, favorendo l'utilizzo di procedure di estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi mediante regolarizzazione da parte del soggetto inadempiente. La sanzione penale è riservata ai soli casi di violazione delle disposizioni sostanziali e non di quelle meramente formali (come, ad esempio, la trasmissione di documentazione, notifiche, eccetera.
      Tutti gli interventi proposti garantiscono, in ogni caso, il rispetto dei livelli di tutela oggi assicurati ai lavoratori e alle loro rappresentanze in qualsiasi ambiente di lavoro e in tutto il territorio nazionale nonché l'equilibrio delle competenze tra lo Stato e le Regioni in materia.
      Il risultato finale dell'intervento legislativo di riforma potrà comunque compiutamente apprezzarsi una volta che verrà completata l'emanazione di provvedimenti attuativi del Testo Unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, di grande rilevanza e impatto sulle aziende e sui lavoratori.
      Molte delle iniziative dirette alla attuazione delle disposizioni del Testo Unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro sono devolute dal legislatore alla Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro (
ex articolo 6 del decreto legislativo n.  81 del 2008) composta, in maniera paritaria e tripartita, da rappresentanti delle amministrazioni pubbliche centrali competenti in materia, delle regioni, dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro.
      Ricostituita con decreto ministeriale del 3 dicembre 2008, la Commissione ha costituito al suo interno nove gruppi «tecnici» di lavoro, nei quali è garantita la presenza paritetica di rappresentanti delle amministrazioni pubbliche (comprese le regioni) e delle parti sociali, per affrontare, in tali sedi, gli argomenti attribuiti dalla legge alla Commissione (ad esempio, l'elaborazione di linee metodologiche per la valutazione dello
stress lavoro-correlato, l'individuazione delle regole di funzionamento della cosiddetta «patente a punti» per gli edili) e per i quali si prevedono attività finalizzate alla attuazione del Testo Unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
      Tali gruppi si sono regolarmente insediati e svolgono con continuità le attività ad essi attribuiti. All'esito delle attività istruttorie compiute in tali consessi, sono stati elaborati documenti di notevole importanza per gli operatori della salute e sicurezza sul lavoro e altri sono di prossima emanazione.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha completato talune ulteriori attività previste dal decreto legislativo n.  81 del 2008, tra le quali occorre ricordare:
          la predisposizione, in data 17 novembre 2010, delle indicazioni per la valutazione dello stress lavoro-correlato (articolo 28, comma 1-
bis, del «Testo Unico») da parte della Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro, con avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.  304 del 30 dicembre;
          la pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale n.  159 dell'11 luglio 2011 del decreto interdipartimentale del 13 aprile 2011, recante: «Disposizioni in attuazione dell'articolo 3, comma 3-bis, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81, come modificato ed integrato dal decreto legislativo 3 agosto 2009, n.  106 in materia di salute e sicurezza sul lavoro» che disciplina le particolari modalità di svolgimento delle attività delle Cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n.  381, delle organizzazioni di volontariato della Protezione civile, compresi i volontari della Croce rossa italiana e del Corpo nazionale soccorso alpini e speleologico, e i volontari dei vigili del fuoco;
          la pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale n.  98 del 29 aprile 2011 – supplemento ordinario n.  111 – del decreto interministeriale dell'11 aprile 2011, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero della salute e con il Ministero dello sviluppo economico, che disciplina le modalità di effettuazione delle verifiche periodiche di cui all'allegato VII del decreto legislativo del 9 aprile 2008, n.  81, nonché i criteri per l'abilitazione dei soggetti di cui all'articolo 71, comma 13, del medesimo decreto legislativo;
          la pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale n.  60 del 12 marzo 2012 – supplemento ordinario n.  47 – dell'accordo, ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo n.  281 del 28 agosto 1997 tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, stipulato il 22 febbraio 2012, concernente l'individuazione delle attrezzature di lavoro per le quali è richiesta una specifica abilitazione degli operatori, nonché le modalità per il riconoscimento di tale abilitazione, i soggetti formatori, la durata, gli indirizzi ed i requisiti minimi di validità della formazione, in attuazione dell'articolo 73, comma 5, del decreto legislativo n.  81 del 9 aprile 2008, e successive modifiche e integrazioni;
          la pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale n.  83 dell'11 aprile 2011 del decreto del 4 febbraio 2011 «Lavori su impianti elettrici ad alta tensione» a firma del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro della salute, che definisce i criteri per il rilascio delle autorizzazioni alle aziende che effettuano lavori sotto tensione, in attuazione dell'articolo 82, comma 2, del decreto legislativo n.  81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni;
          l'istituzione, con decreto interministeriale del 27 maggio 2011 (pubblicato sul Bollettino ufficiale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n.  6 del 30 giugno 2011), del Comitato consultivo per la determinazione e l'aggiornamento dei valori limite di esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici previsto dall'articolo 232, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81 e successive modificazioni e integrazioni;
          la pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale n.  8 dell'11 gennaio 2012, degli accordi, approvati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, regioni e province autonome di Trento, in tema di formazione dei datori di lavoro che intendano svolgere i compiti del Servizio di prevenzione e protezione e dei lavoratori, dirigente e preposti, adottati ai sensi degli articoli 34 e 37 del decreto legislativo n.  81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni;

      merita menzione, inoltre, il decreto interministeriale recante regole tecniche per la realizzazione e il funzionamento del Sistema informativo nazionale per la prevenzione (Sinp), ai sensi dell'articolo 8, comma 4, del decreto legislativo n.   81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni;
      Il Sinp, in particolare, mira a fornire dati utili per orientare, programmare, pianificare e valutare l'efficacia della attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, relativamente ai lavoratori iscritti e non iscritti agli enti assicurativi pubblici, nonché per indirizzare le attività di vigilanza, attraverso l'utilizzo integrato delle informazioni disponibili negli attuali sistemi informativi, anche tramite l'integrazione di specifici archivi e la creazione di banche dati unificate.
      Su tale decreto è stato acquisito il parere favorevole della Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e province autonome di Trento e di Bolzano e, allo stato, si è in attesa dell'espressione del parere da parte del Consiglio di Stato.
      In ordine alle iniziative in materia di lavorazioni in «ambienti confinati», si evidenzia che nella
Gazzetta Ufficiale n.  260 dell'8 novembre 2011, è stato pubblicato il decreto del Presidente della Repubblica n.  177, del 14 settembre 2011, recante: «Norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati», a norma dell'articolo 6, comma 8 lettera g) del decreto legislativo n.  81 del 2008.
      Il decreto è frutto di un lavoro che ha coinvolto Stato, Regioni e Parti sociali nell'intento, da tutti condiviso, di predisporre misure innovative ed efficaci a contrasto al fenomeno degli infortuni, gravissimi per numero e drammatici per modalità, verificatisi, negli ultimi anni, nei lavori in ambienti cosiddetti «confinati», quali silos, cisterne e simili.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali persegue l'obiettivo della riduzione del fenomeno infortunistico anche perseguendo la massima efficacia delle attività di vigilanza sui luoghi di lavoro di propria competenza. In tali ambiti, ed in primo luogo nell'edilizia, è stata da tempo fornita alle strutture amministrative di riferimento l'indicazione di realizzare, innanzitutto, le attività dirette a perseguire le violazioni in materia di salute e sicurezza più gravi, in quanto in grado di mettere in pericolo la vita dei lavoratori. Tale impostazione ha consentito di raggiungere risultati molto soddisfacenti.
      Infine, va ricordato come il Ministero del lavoro e delle politiche sociali abbia predisposto e messo a disposizione dell'utenza una sezione del sito
internet specificamente dedicata alla diffusione di notizie e pubblicazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
      Tutto quanto sin qui esposto consente di affermare come la riforma delle regole volte a tutelare la salute e sicurezza sul lavoro abbia fornito l'Italia di un sistema di regole moderno e sistematicamente coeso, suscitando un interesse, finalmente non più solo specialistico, sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro che costituisce, a sua volta, un importante punto di partenza per l'abbattimento del numero e della gravità degli infortuni.

Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.


      FEDI, BUCCHINO, GIANNI FARINA, GARAVINI, NARDUCCI e PORTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la verifica di esistenza in vita è una necessaria operazione di controllo che gli istituti previdenziali, tra cui l'INPS, debbono portare avanti con assoluta precisione e tempestività;
          la verifica dovrebbe avvenire automaticamente attraverso lo scambio di informazioni con gli enti previdenziali e fiscali, nonché gli istituti di credito preposti al pagamento delle pensioni medesime e ogni altra banca dati collegata agli istituti previdenziali o alla quale i medesimi possono accedere;
          la verifica dell'esistenza in vita per i residenti all'estero avviene esclusivamente attraverso l'invio cartaceo di una dichiarazione che deve essere compilata, firmata, autenticata e rispedita all'istituto di credito;
          l'istituto centrale delle banche popolari italiane ha svolto a novembre 2011, prima della conclusione del contratto per il pagamento delle pensioni INPS all'estero, una verifica di esistenza in vita;
          dal 1o febbraio 2012, il servizio del pagamento delle pensioni INPS per beneficiari residenti all'estero è svolto da Citibank NA, con sede legale a New York e con sede secondaria a Milano, via mercanti 12;
          in vista dell'avvio del servizio, è stata spedita una comunicazione personalizzata di presentazione ai pensionati contenente una lettera di introduzione, un opuscolo con le domande frequenti, la richiesta di certificazione di esistenza in vita ed il modulo di dichiarazione di intestazione congiunta del conto corrente;
          particolare spazio è stato dedicato all'attestazione dell'esistenza in vita, alle modalità da seguire per contattare Citibank ed al servizio di assistenza che sarà assicurato nel periodo precedente l'avvio del servizio;
          l'accertamento dell'esistenza in vita, avviato con l'invio del pacchetto introduttivo ai pensionati, è basato sulla richiesta di compilare e restituire a Citibank un'attestazione di esistenza in vita avallata da un «testimone accettabile», e che per «testimone accettabile» si intende un rappresentante di un'ambasciata o consolato italiano o un'autorità locale abilitata ad avallare la sottoscrizione dell'attestazione di esistenza in vita;
          in alcune realtà geografiche, a partire dalla mensilità di dicembre 2011, sono stati riscontrati problemi gravissimi ed ingiustificati ritardi nel pagamento delle pensioni INPS, con un numero abnorme di pensioni per le quali la sospensione di fatto delle mensilità arriva fino a tre mesi e coinvolge quindi entrambi gli istituti di credito, ICBPI e Citibank;
          tale situazione pone a serio rischio molti connazionali che fanno unico affidamento sul reddito derivante da pensione italiana e segnalazioni in tal senso sono pervenute da pensionati, patronati e Comitati degli italiani all'estero;
          il servizio di pagamento delle pensioni è carente sotto il profilo della trasparenza delle informazioni poiché non viene riportato, sui singoli pagamenti, l'importo della mensilità in euro, il corrispettivo in valuta locale o il valore di cambio –:
          se non si ritenga opportuno prevedere sempre, nella stipula di convenzioni bilaterali, un'apposita clausola sullo scambio di informazioni limitatamente alla verifica di esistenza in vita;
          se non si ritenga comunque opportuno procedere alla stipula di accordi sullo scambio di informazioni e sulla verifica dell'esistenza in vita con i Paesi con i quali sono in vigore convenzioni bilaterali di sicurezza sociale e/o fiscali;
          se non si ritenga analogamente indispensabile adottare moderni ed efficienti meccanismi di verifica dell'esistenza in vita che tengano conto delle esigenze degli utenti, prevedendo la possibilità di trasmettere elettronicamente l'esistenza in vita all'istituto previdenziale – attraverso terminale consolare oppure a mezzo posta elettronica certificata – per evitare o ridurre i casi di impropria sospensione della pensione o di pagamento differenziato dal normale accredito bancario;
          quali urgenti iniziative si intendano intraprendere per assicurare che l'istituto nazionale della previdenza sociale ottemperi ai pagamenti di pensione e garantisca quindi l'unica fonte di reddito di molti pensionati italiani nel mondo;
          quali immediate iniziative si intendano assumere per chiarire in relazione a ciascuna delle aree geografiche, e per ciascun Paese, i soggetti abilitati ed autorizzati alla certificazione dell'esistenza in vita, tenendo anche conto delle chiusure di consolati e della sostanziale assenza dello Stato italiano in alcune realtà;
          quali altre immediate iniziative si intendano adottare per garantire che nel passaggio di consegne da un istituto di credito all'altro, e nelle more contrattuali, non si determinino situazioni analoghe a quella odierna, con due verifiche di esistenza in vita a distanza di pochi mesi, un notevole carteggio inviato ai pensionati, una grande confusione sulle responsabilità dei vari enti, con potenziale perdita di dati, lungaggini burocratiche aggiuntive e penalizzazioni a carico dei pensionati;
          quali immediate iniziative si intendano adottare per garantire la trasparenza delle informazioni sui pagamenti in relazione al valore del cambio ed agli importi in euro e valuta locale, oltre che alle eventuali commissioni bancarie a carico dei pensionati;
          se non si ritenga indispensabile, infine, al fine di evitare situazioni di grave disagio e rischio ai connazionali nel mondo, svolgere direttamente come Istituto previdenziale la verifica di esistenza in vita separando tale iniziativa dall'effettivo pagamento delle pensioni. (4-15334)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con cui si chiede quali interventi si intendano adottare in merito alle procedure relative all'accertamento dell'esistenza in vita dei titolari di prestazioni pensionistiche residenti all'estero, si rappresenta quanto segue.
      Sulla base degli elementi forniti dall'Inps, risulta che l'Istituto ha rivolto particolare attenzione alle procedure connesse all'accertamento dell'esistenza in vita dei beneficiari delle pensioni all'estero, adempimento che rappresenta, per la banca aggiudicataria del servizio, un preciso obbligo contrattuale da effettuare almeno una volta all'anno.
      Tale accertamento rappresenta lo strumento più efficace per arginare i casi di riscossione fraudolenta di prestazioni da parte di soggetti diversi dal titolare deceduto ed assicurare che quanto dovuto sia attribuito a chi ne abbia veramente diritto.
      Consapevole della delicatezza dell'operazione in relazione alla platea dei destinatari, l'Istituto ha tenuto numerosi incontri con Citibank, nuovo aggiudicatario del servizio, tenendo presente l'esigenza di individuare modalità esecutive delle verifiche in grado di contemperare la certezza dei pagamenti da parte della banca con quella del diritto del pensionato ad un servizio efficiente, senza che sul medesimo gravi un onere probatorio particolarmente impegnativo.
      L'affidamento del servizio a Citibank, avvenuto dopo l'espletamento di procedura europea ad evidenza pubblica, ha consentito di individuare soluzioni che rispondessero ai requisiti richiesti dall'istituto. Citibank ha quindi predisposto diversi sistemi di accertamento basati:
          sulla richiesta di attestazioni del pensionato avallate da «testimoni attendibili» (sia rappresentanze diplomatiche italiane che Autorità locali);
          sulla richiesta di certificati di esistenza in vita;
          sulla localizzazione di una rata di pensione presso sportelli di un operatore locale («
Partner di appoggio») per la riscossione personale da parte del pensionato.

      La combinazione di tali sistemi è finalizzata a limitare disagi ai pensionati in relazione alla verifica e a venire incontro alle particolari esigenze personali di coloro i quali si trovino in condizioni fisiche che ne impediscono la deambulazione o la cura dei propri interessi.
      Tenuto conto che il servizio di pagamento viene svolto in più di centoventi Paesi, con ordinamenti giuridici, prassi amministrative, sistemi finanziari e caratteristiche geografiche notevolmente differenziate, la gestione dei vari aspetti del servizio di pagamento è caratterizzata anche da ulteriori e peculiari elementi che incidono sulla qualità della comunicazione richiedendo particolari capacità di ascolto e di monitoraggio delle iniziative che vengono assunte.
      In considerazione delle peculiarità locali, che comportano adattamenti delle attività pianificate, l'Inps assicura un monitoraggio costante del processo di avvio del nuovo servizio di pagamento delle pensioni ai residenti all'estero, sia attraverso l'analisi delle segnalazioni che pervengono dai pensionati, sia delle indicazioni fornite dai consolati, direttamente o per il tramite del Ministero degli affari esteri, nonché delle comunicazioni dei patronati, con i quali si svolgono periodici incontri finalizzati all'analisi delle problematiche che in tale sede vengono rappresentate.
      Rispetto alle soluzioni proposte da Citibank, a seguito delle difficoltà lamentate relativamente alla procedura avviata a partire dal 1° novembre 2011, l'Inps ha rappresentato di aver formalmente richiesto all'istituto bancario azioni immediate volte a rimuovere le cause dell'insoddisfazione. In particolar modo è stato richiesto che le verifiche, che necessitano della partecipazione attiva dei pensionati, siano condotte con modalità tali da evitare che ai soggetti interessati siano richiesti spostamenti personali, spese o altri disagi.
      Citibank ha preso atto dell'opportunità di migliorare il servizio e ha adottato, di conseguenza, misure che hanno consentito di adattare meglio le procedure pianificate alle realtà locali, rendendo il sistema più flessibile e adeguato alle aspettative dei pensionati.
      A tal proposito, appare utile riportare alcune delle principali iniziative già adottate nel periodo compreso tra novembre 2011 e la prima metà di gennaio 2012, così come comunicato dall'Inps:
          
a) per superare le difficoltà incontrate dai pensionati in relazione alla modulistica redatta in lingua diversa da quella nazionale e quanto alla corretta indicazione dei cognomi delle pensionate coniugate in alcuni paesi, la migliore soluzione è apparsa quella di chiedere a Citibank di accettare, nei casi in cui il pensionato non possa produrre l'attestazione standard per i suddetti problemi, i moduli di certificazione di esistenza in vita emessi da enti pubblici locali. Tali moduli devono costituire valida attestazione della circostanza che il pensionato è in vita, ai sensi della legge del paese di residenza del pensionato; sono pervenute al riguardo diverse migliaia di attestazioni di esistenza in vita redatte secondo la modulistica in uso nei paesi di residenza dei pensionati, che sono state accettate da Citibank per il completamento del processo di verifica;
          
b) è stata accolta la richiesta, pervenuta da più parti, di implementare la già nutrita lista dei funzionari di Autorità locali abilitati ad autenticare la sottoscrizione, da parte del pensionato, del modulo di attestazione dell'esistenza in vita. Infatti, sono state ammesse nuove figure di «Testimoni accettabili»: per l'Australia, i funzionari pubblici dell'Ente previdenziale Centrelink; per gli Stati Uniti, i Notary Public e, per il Regno Unito, il General Pratictioner del National Health Service;
          c) nel caso in cui il pensionato si trovi in grave stato di infermità fisica o mentale o risieda in istituti di riposo o sanitari, pubblici o privati, ovvero sia recluso in istituti di detenzione, è stata elaborata una procedura alternativa la quale prevede che il modulo di attestazione dell'esistenza in vita sia compilato da soggetti facilmente raggiungibili dal pensionato o dalle persone che lo assistono, quali il medico curante o il tutore, il funzionario della casa di cura o di riposo ovvero il funzionario della struttura carceraria;
          
d) l'Inps e la Citibank hanno concordato di semplificare la procedura per l'autentica della firma dei pensionati. Gli unici campi del modulo la cui compilazione è tuttora richiesta sono nome e indirizzo dell'organizzazione di appartenenza. Queste informazioni possono anche essere completate dal pensionato qualora il «testimone accettabile» non voglia provvedere personalmente alla compilazione;
          
e) è stato chiarito che nessuna conseguenza per il pensionato è collegata alla mancata conservazione da parte del «testimone accettabile» di una copia dell'attestazione dell'esistenza in vita.

      La conoscenza delle suddette modalità introdotte successivamente all'avvio della verifica è stata diffusa ampiamente attraverso i consueti canali di comunicazione dell'Inps, la rete consolare e quella dei patronati.
      Per i nuovi pensionati inseriti nel
database Inps a partire dal mese di dicembre 2011, il processo di certificazione di esistenza in vita è stato avviato nel febbraio 2012. Da tale data, tutti i nuovi pensionati, nel mese in cui viene corrisposto il loro primo pagamento pensionistico, ricevono anche un modulo di certificazione di esistenza in vita. A tali soggetti viene concesso un termine di tre mesi per la restituzione dell'attestazione, durante i quali Citibank continuerà ad eseguire i pagamenti.
      Il mancato ricevimento, da parte del pensionato, della modulistica, è dovuto nella gran parte dei casi al mancato aggiornamento degli indirizzi dei pensionati custoditi negli archivi Inps: tuttavia l'istituto ha fatto rilevare che il regolare aggiornamento di tali archivi presuppone la puntuale e tempestiva comunicazione di eventuali variazioni da parte dei pensionati medesimi.
      In ogni caso, i pensionati che non dovessero ricevere il modulo di attestazione dell'esistenza in vita e le relative istruzioni, possono contattare l'Inps o il Servizio assistenza clienti di Citibank e, una volta comunicato il proprio indirizzo, richiedere l'invio della modulistica.

Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.


      GALLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          si fa riferimento alla segnalazione dell'associazione dei consumatori Asso-Consum in cui si evidenziano, relativamente al «falso pecorino romano» prodotto in Romania, le ricadute negative nei settori economico, agricolo e occupazionale, nonché il palese danno d'immagine e il dumping concorrenziale a un prodotto tipico della filiera alimentare regionale italiana;
          anche la Coldiretti in data 15 marzo 2012 ha manifestato davanti alla sede del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, evidenziando l'incongruenza inerente alla produzione di prodotti alimentari «nostrani» totalmente lavorati all'estero e con finanziamenti dello Stato italiano  –:
          se alla luce della normativa relativa alle delocalizzazioni sia da ritenere legittimo anche il caso richiamato in premessa;
          quali finanziamenti siano stati assegnati a tali produzioni;
          se la normativa a sostegno di queste produzioni su territorio estero sia tuttora operativa e nel caso lo fosse, se non ritenga il Governo di assumere iniziative normative urgenti per abrogare con effetto immediato la normativa stessa. (4-15393)

      Risposta. — Preliminarmente si precisa che la Simest Spa, costituita nel 1991, ai sensi della legge n.  100 del 24 aprile 1990, è una società «finanziaria di sviluppo» pubblico-privata, partecipata al 24 per cento dalle principali banche italiane e al 76 per cento dalla Confindustria e dal Ministero dello sviluppo economico. Il suo scopo primario è di affiancare, attraverso l'utilizzo di strumenti tecnici e finanziari, le attività e gli investimenti internazionali delle imprese italiane, rafforzandone le capacità di competere sui mercati internazionali. Ai sensi del decreto legislativo n.  143 del 1998, la società gestisce gli interventi di sostegno finanziario all'internazionalizzazione del sistema produttivo nazionale.
      Nell'ambito delle iniziative sostenute attraverso la Simest si evidenzia che non è prevista alcuna delocalizzazione, tra l'altro non consentita ai sensi dell'articolo 1 della legge n.  80 del 2005, mentre si producono effetti positivi sulla competitività delle aziende italiane e sull'occupazione in Italia. Infatti, in merito al piano di investimenti di detta società, la stessa acquisisce partecipazioni societarie in imprese italiane che presentino programmi di sviluppo produttivo e/o di ricerca e di innovazione e che garantiscano il mantenimento delle capacità produttive interne, al fine di migliorarne l'efficienza nei processi di internazionalizzazione.
      Per quanto concerne i finanziamenti rivolti alle imprese del settore, ed in particolare per quelle che intraprendono iniziative all'estero, le stesse possono avvalersi del sostegno offerto dalla temporanea partecipazione della Simest Spa, nonché di fondi pubblici da essa gestiti, al capitale di imprese estere costituite da imprenditori italiani per lo sviluppo di progetti di investimento che possono comprendere anche la produzione
in loco.
      In relazione alla domanda posta dall'interrogante relativamente al «falso pecorino romano» prodotto in Romania e che ha coinvolto la società «Lactitalia», partecipata dalla Simest Spa e dal Fondo venture capital da questo gestito, si fa presente che nello scorso novembre 2010 è stata effettuata un'ispezione, congiuntamente con il Ministero per le politiche agricole, alimentari e forestali, presso la suddetta società in Romania, che non ha rilevato infrazioni e/o contraffazioni, o utilizzo di marchi e denominazioni protette, anche se in quell'occasione la delegazione ha richiesto di eliminare la denominazione «Toscanella» ad un formaggio prodotto per il mercato locale, nonché di rendere più evidente il Paese di produzione nel packaging di tutti i prodotti.
      Si fa presente che attualmente la Simest Spa ha dismesso la propria partecipazione nella società Lactitalia.
      Si informa che, per una maggiore tutela del settore agroalimentare, nel mese di marzo 2012, è stata emanata una dettagliata direttiva alla Simest Spa. Tale direttiva è incentrata ad evitare che le aziende destinatarie di tali azioni di sostegno possano attuare sui mercati esteri pratiche sleali o ingannevoli, comunque riconducibili all’
italian sounding, e ad assicurare una corretta e trasparente informazione al consumatore circa l'origine delle produzione estere.
      Al fine quindi di tutelare la trasparenza dei mercati, tale direttiva prevede che la Simest, mediante opportuni interventi ordinamentali o organizzativi, revochi gli atti relativi a partecipazioni deliberate a favore delle imprese operanti nel settore agroalimentare nel caso in cui le società attivino pratiche commerciali tali da indurre in errore i consumatori sull'origine o sulla provenienza dei prodotti commercializzati, ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo n.  206 del 2005. Allo stesso orientamento dovranno conformarsi gli organi di gestione dei fondi pubblici di intervento, la cui gestione è affidata alla stessa società in relazione alla problematica sopradescritta.
      A tutto ciò si aggiunge il costante impegno del Ministero ad intensificare le politiche di internazionalizzazione e di tutela del
Made in Italy, nonché a promuovere iniziative condivise anche con altre Amministrazioni per rafforzare l’export del settore agroalimentare.
Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      JANNONE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          ben il 24 per cento delle imprese italiane punta sulla sostenibilità ambientale, seppur in uno scenario economico di crisi, e il 38 per cento delle assunzioni fatte nel 2011 riguarda professionisti della green economy; l'economia verde in Italia interessa un'azienda su 4, cioè 370 mila imprese che, dal 2008 a oggi, hanno investito in prodotti e tecnologie a basso impatto ambientale. Addirittura, l'Italia risulta al primo posto in Europa, con il 55 per cento delle risorse totali impegnate nella green economy. Sono questi i dati principali del rapporto GreenItaly 2011, che Symbola e Unioncamere hanno presentato a Milano, alla presenza, tra gli altri di Stefano Boeri, assessore alla Cultura del comune di Milano, Alberto Meomartini, presidente di Assolombarda e Giuseppe Sala, amministratore delegato dell'Expo di Milano, a sottolineare come l'evento del 2015 ambisce a contraddistinguersi per pratiche di sostenibilità;
          secondo i relatori, questa crisi si può vincere continuando a puntare su innovazione, qualità e sostenibilità. «Tre valori che, coniugati tra loro – ha spiegato Claudio Gagliardi, segretario generale di Unioncamere – consentono alle nostre imprese di intercettare le preferenze dei consumatori del mondo, di rendere i propri prodotti unici e non riproducibili, di fare efficienza puntando sulla creatività delle risorse umane e sull'uso responsabile delle risorse naturali». L'Italia ha forse saputo interpretare in maniera originale la green economy: nel nostro Paese, infatti, la vera forza delle imprese «green» non è solo nel prodotto finito, ma nella capacità delle singole aziende di integrare territorio e produzione, comprendendo tutte le fasi del processo produttivo, dalle risorse primarie alle emissioni finali. In pratica, in Italia si assisterebbe soprattutto – secondo il rapporto – alla riconversione in chiave ecosostenibile di comparti tradizionali dell'industria, più che allo sviluppo di settori innovativi legati alle rinnovabili o ad altri settori chiave. A testimoniarlo ci sono i numeri: oltre un terzo delle imprese che investono in tecnologie per la riduzione dell'impatto ambientale (il 34,8 per cento) opera all'estero – quota quasi doppia rispetto a quella rilevata per le aziende che non puntano sulla sostenibilità ambientale (meno di 2 su 5, pari al 18,6 per cento). Tanto che, entro la fine del 2011, queste imprese prevedono nuove assunzioni, addirittura al Sud. Ma c’è un altro dato che lascia positivamente sorpresi: la classifica regionale per incidenza delle imprese «green» sul totale, infatti, vede in testa il Trentino Alto Adige, seguito da Valle d'Aosta, Molise, Abruzzo e Basilicata. Segno che dalla sostenibilità può anche arrivare un rilancio per l'economia del Mezzogiorno;
          dati alla mano, sono state soprattutto le medie imprese (quelle dai 20 ai 499 dipendenti) a investire su prodotti e tecnologie a maggior risparmio energetico e a minor impatto ambientale. La parte più importante la fa il settore manifatturiero, dove la quota di imprese che realizzano investimenti in sostenibilità sfiora il 28 per cento. Per quanto riguarda l'agricoltura, invece, basti ricordare che l'Italia è il Paese al primo posto in Europa per numero di aziende che hanno scelto il metodo di produzione biologico ed è anche il maggior esportatore mondiale di prodotti biologici. Esempi positivi emergono tuttavia in tutti i maggiori settori produttivi: la concia, la carta, la ceramica, il legno-arredo, la nautica, l'edilizia, il tessile. Una crescita dunque che si collega alle eccellenze del made in Italy che offre prospettive concrete, come quelle legate all'Expo, «momento di traguardo – sintetizza Boeri – di una conversione ecologica di Milano e dell'intero paese». Proprio durante il periodo dell'Expo, verranno realizzati progetti di sostenibilità ambientale ed energetica per promuovere quei primati imprenditoriali italiani che «nonostante il periodo di crisi non sono in declino, soprattutto in Lombardia»;
          la green economy si, conferma dunque un fattore propulsivo della competitività: in tempi di cassa integrazione e di licenziamenti, le 116 mila imprese che investono in tecnologie green prevedono, entro la fine dell'anno, 344 mila nuove assunzioni, per lo più a tempo indeterminato, nei settori della bioedilizia e delle costruzioni. Ciò vuol anche dire che bisogna ripensare la formazione professionale perché, nonostante l'offerta appaia ricca (soprattutto per il numero di strutture e atenei che propongono corsi e master in green economy), in realtà si evidenzia un disallineamento tra i bisogni professionali delle imprese e le competenze disponibili. Un gap che lascia intravedere il rischio di guadagni facili e pochi risultati;
          «La green economy – puntualizza Marco Frey, docente di economia alla Scuola Superiore S. Anna di Pisa – è un campo in cui c’è bisogno di sistematicità: il rischio, altrimenti, è che rimanga soltanto uno slogan, mentre è necessario che i business models si trasformino in un'ottica di impresa». Un concetto che anche Legambiente condivide, confermando come, almeno nello scenario della green economy, voci differenti e spesso opposte convergano tutte all'unisono. «La green economy – precisa Andrea Poggio, vicedirettore nazionale di Legambiente – non è un settore di nicchia, c’è la capacità del sistema Italia di rispondere positivamente anche a fronte di una carenza di incentivi. Servono però politiche industriali per valorizzare le eccellenze, fare rete e riuscire a competere nel mondo». Un campo nel quale l'Italia ha le potenzialità per farcela, anche in un momento critico come quello attuale  –:
          quali interventi i Ministri intendano adottare al fine di incentivare le imprese italiane ad adottare una policy aziendale volta alle esigenze e ai dettami delle green economy. (4-14129)

      Risposta. — L'interrogante evidenzia l'importanza della green economy e delle politiche volte ad incentivarla tanto ai fini occupazionali, quanto per la realizzazione di un equilibrato sistema produttivo nazionale.
      In particolare, sottolinea come, secondo il rapporto
GreenItaly 2011, presentato da Unioncamere e Symbola, in Italia si assisterebbe alla riconversione in chiave ecosostenibile del made in Italy soprattutto in comparti tradizionali dell'industria come il settore manifatturiero, con opportunità di sviluppo di nuovi processi e nuovi prodotti e ricadute positive, in termini di quantità e qualità, sull'occupazione anche nel Mezzogiorno.
      Inoltre, osservata l'importanza di continuare a puntare su innovazione, qualità e sostenibilità, l'interrogante rileva la carenza di incentivi a favore del settore e segnala la necessità di politiche industriali per valorizzare le eccellenze, fare rete e sviluppare la competitività delle imprese.
      Alla luce di tali premesse, si chiede di conoscere quali interventi il Ministro dello sviluppo economico intenda adottare al fine di incentivare le imprese italiane ad adottare una
policy aziendale volta alle esigenze e ai dettami delle green economy.
      Le politiche nazionali attuate fino ad oggi, volte allo sviluppo sostenibile, all'innovazione, allo sviluppo delle fonti rinnovabili e all'efficienza energetica hanno consentito il miglioramento della
performance italiana a livello europeo e mondiale, complice anche il rallentamento della crescita economica, permettendo di avviare la riconversione del sistema produttivo e dei servizi energetici attraverso l'adozione di tecnologie più innovative.
      Con riguardo agli strumenti incentivanti, il Ministero dello sviluppo economico sta accentuando l'attenzione che finora è stata dedicata alle ricadute industriali e produttive delle politiche di sostegno a favore delle energie rinnovabili e dell'efficienza energetica, nella convinzione che siano settori strategici per rilanciare crescita sostenibile.
      Con specifico riguardo al Mezzogiorno, il Ministero partecipa al programma comunitario sulle energie da fonti rinnovabili «Poi energia» e ha competenze sulle attività di cui ai punti 1.1, 1.2 e 2.1 del predetto programma, indirizzate in modo specifico alle imprese.
      Tali attività vengono descritte come segue.

Attività 1.1: «interventi di attivazione di filiere produttive che integrino obiettivi energetici e obiettivi di salvaguardia dell'ambiente e sviluppo del territorio».
      L'attività si esplica attraverso la realizzazione di impianti per la produzione di energia elettrica e termica utilizzando la biomassa. Gli interventi riguarderanno progetti che introducono modelli organizzativi e gestionali di tipo innovativo e ricomprendendo l'intera filiera delle biomasse.
      A tale prima linea di attività è stata data recentemente attivazione con il decreto del 13 dicembre 2011, che prevede una dotazione finanziaria pari a 100 milioni di euro.
      Dal 19 marzo 2012 è possibile presentare le domande di agevolazione per il bando biomasse. Dal monitoraggio della procedura telematica di inoltro risulta che le domande in corso di rilevazione sono circa 120.
      Inoltre è in corso di registrazione un provvedimento di modifica del sopra citato decreto, destinato a favorire una maggiore accessibilità del bando; da un parte, si abbassa la potenza nominale minima da > 1 a > di 0,65 MWT elettrici, dall'altra, si consente di accedere anche alle società cooperative.

Attività 1.2: «interventi a sostegno dello sviluppo dell'imprenditoria collegata alla ricerca e approvazione di tecnologie innovative nel settore delle fonti rinnovabili».
      Gli interventi ricompresi in questo ambito sono rivolti alla realizzazione di componenti per la produzione di energia da fonti rinnovabili.
      Con il decreto del Ministro dello sviluppo economico del 6 agosto 2010 è stato attivato tale intervento, con una dotazione finanziaria pari a 200 milioni di euro.

Attività 2.1: «interventi a sostegno dell'imprenditorialità collegata al risparmio energetico con particolare riferimento alla creazione di imprese e alle reti».
      Gli interventi consistono nello sviluppo di tecnologie per l'efficienza energetica, materiali e componentistica per l'edilizia che concorrono a ridurre i consumi nei settori residenziali e terziario in modo da innalzare gli
standard di qualità.
      Con il sopra citato decreto è stato attivato anche il bando relativo all'attività 2.1, con una dotazione finanziaria pari a 100 milioni di euro.
      Sempre in relazione alle medesime attività, è stata anche incrementata la dotazione del Fondo di garanzia di cui all'articolo 2, comma 100, lettera
a) della legge 23 dicembre 1996, n.  662, per un importo complessivo di 45 milioni di euro.
      Si segnala, inoltre, che nell'ambito del programma «Industria 2015» è stato emanato, con decreto ministeriale del 5 marzo 2008, il bando relativo al Piano efficienza energetica, finalizzato allo sviluppo di prodotti e/o servizi innovativi in aree tecnologiche ad alto potenziale innovativo e applicativo, mediante l'utilizzo anche di fonti rinnovabili, nell'ottica del risparmio energetico e della sostenibilità ambientale.
      A seguito del predetto bando sono stati agevolati n.  37 progetti, con il coinvolgimento di 241 imprese e 89 organismi di ricerca, per un ammontare complessivo di investimenti pari a circa 605 milioni di euro, a fronte dei quali sono previste agevolazioni per circa 253 milioni di euro.
      Con riguardo alle tecnologie delle fonti energetiche rinnovabili, si segnala il Grande progetto 3Sun per la produzione di celle fotovoltaiche nello stabilimento M6 di Catania (già oggetto del programma di investimento di STM per la produzione di memorie in silicio nella versione originaria del contratto di programma). Tale progetto è stato approvato dalla Commissione europea il 5 aprile 2011 (Aiuto 405/2010) e le risorse stanziate consistono in circa 50 milioni di euro di fondi Poi energia, anche se in merito alla effettiva possibilità di rendicontare il progetto sul Poi è tuttora in corso l'interlocuzione con la Direzione generale per la politica regionale della Commissione, che ha da ultimo sollevato dubbi sulla necessità dell'aiuto.
      Infine, in materia energie rinnovabili, sono stati varati, di concerto col Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e delle politiche agricole alimentari e forestali, due schemi di decreti ministeriali, attualmente all'esame dell'Autorità dell'energia e della Conferenza unificata, che definiscono i nuovi incentivi per l'energia fotovoltaica (quinto conto energia) e per le rinnovabili elettriche non fotovoltaiche (idroelettrico, geotermico, eolico, biomasse, biogas).
      Il Ministero dello sviluppo economico intende continuare a supportare le imprese nazionali che si stanno sviluppando nel settore, incentivando le tecnologie «virtuose» (esempio filiera nazionale, innovazione, impatto ambientale) con un approccio alla crescita basato sull'efficienza dei costi e sulla massimizzazione del ritorno economico e ambientale per il Paese.
      Ulteriore obiettivo è quello di favorire le condizioni per la creazione e lo sviluppo di nuovi progetti imprenditoriali. A tale scopo, è stata costituita una
Task force che avrà il compito di analizzare e individuare in tempi brevi le misure da attuare per creare nel nostro Paese un ambiente favorevole alle start up innovative, tra le quali ci sono quelle legate a temi energetici e ambientali.
      In raccordo con tali priorità, il Ministero lavora attivamente, inoltre, su altri interventi complementari, come il riordino del sistema degli incentivi, l'accesso al credito, una nuova politica di sostegno all'internazionalizzazione.

Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      LAZZARI, ANTONIO PEPE, LISI, DISTASO, FUCCI, SAVINO, VITALI, TORRISI, DI CAGNO ABBRESCIA, BARBA, SISTO e ROSSO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          si fa riferimento alla grave situazione che si è creata nel comparto delle aziende televisive locali private della Puglia che per oltre 40 anni hanno assicurato un patrimonio di idee e di comunicazione pluralista in favore delle comunità pugliesi. Il processo di attuazione per il digitale delle frequenze radiotelevisive della regione Puglia, infatti, sta producendo sin da ora effetti devastanti che potrebbero avere la conseguenza della scomparsa della stragrande maggioranza della televisione locale in ambito provinciale o territoriale;
          infatti il bando mette a disposizione della Puglia (territorio che ha una lunghezza di circa 400 chilometri) un numero di frequenze pari a 18, ma sarebbero in effetti 16 perché per il 2015 è prevista la riduzione di altre frequenze, in considerazione del fatto che ancora 10 canali saranno sottratti per altri servizi;
          per l'assegnazione di queste frequenze il bando mette a disposizione 45 punti su 100 per chi ha una copertura regionale. Tuttavia, lo stesso bando, pur ammettendo una forma di intesa associativa tra più televisioni di diverse province della Puglia, per l'interpretazione che gli uffici ministeriali darebbero al bando medesimo, non consentirebbe la possibilità di sommare il punteggio di ciascuna azienda televisiva, provinciale e territoriale in un'associazione di intesa, ma il punteggio sarebbe soltanto calcolato per un'azienda capofila, cioè un'azienda provinciale o territoriale, anche se nell'intesa le aziende associate, insieme, coprono gran parte del territorio regionale;
          la conseguenza che se ne ricava da tutto ciò è che le frequenze programmate per il digitale in Puglia saranno esclusivamente a favore di gruppi televisivi regionali e di altre aziende televisive, provenienti da altre regioni, che sono presenti con impianti di alta frequenza sul territorio pugliese e dove per lo più si programmano televendite e messaggi promozionali;
          finora gli elementi di riferimento per fare una graduatoria regionale, come quella del Corecom, sono stati il numero dei dipendenti e il fatturato. In sede di assegnazione delle frequenze regionali, invece, diventa determinante per il bando la presenza territoriale di una singola azienda con copertura regionale o di quelle aziende che fino alla pubblicazione del bando hanno fatto intese con altre strutture aziendali operando con il passaggio dei canali all'azienda capofila. Questo evento è stato possibile soltanto per quei pochi che sapevano dell'interpretazione che si sarebbe data al bando;
          gli interroganti denunciano questa situazione di enorme gravità che riguarda non solo l'apparato televisivo locale, che ha dato voce in tutti questi anni ai cento «campanili d'Italia», ma anche le norme del bando e le interpretazioni «capestro», che impediscono di fatto alla vera tv locale di sopravvivere alla riforma digitale;
          per tutto quanto rappresentato gli interroganti chiedono che il Governo si faccia carico, in via urgente, di una decisione assolutamente portata a garantire un pluralismo democratico del quale finora si è fatta carico la tv locale di dimensione provinciale;
          sarebbe opportuno, per dare un segnale utile consentire, in un'associazione di intesa la somma dei punteggi di ciascuna azienda televisiva partecipante;
          se tutto questo non dovesse avvenire in tempi brevi, le aziende televisive colpite da questo iniquo trattamento hanno annunciato che si rivolgeranno ai comparti dello Stato e agli organismi europei di vigilanza per la difesa del pluralismo e di una democrazia veramente partecipata e vissuta  –:
          quali iniziative di competenza, anche normative, il Ministro interrogato intenda assumere per favorire un maggiore pluralismo nel settore delle comunicazioni, con particolare riferimento all'emittenza locale. (4-15588)

      Risposta. — Nella Gazzetta Ufficiale n.  31 del 14 marzo 2012 – 5a serie speciale è stato pubblicato il bando di gara per l'assegnazione delle frequenze in tecnica digitale terrestre alle emittenti televisive locali della regione Puglia, area tecnica da digitalizzare nel corso dell'anno 2012, ai sensi dell'articolo 4 del decreto-legge n.  34 del 2011, convertito con modificazioni dalla legge n.  75 del 2011.
      Nel bando in questione è previsto che tutti i soggetti legittimamente abilitati alla trasmissione radiotelevisiva in ambito locale, operanti nella regione Puglia, possano fare domanda per avere l'attribuzione di un diritto d'uso delle frequenze, indipendentemente dalla sede legale o dalla natura provinciale o regionale della emittente.
      I criteri per la redazione della graduatoria, conformemente all'articolo 4 della citata legge n.  75 del 2011, sono: l'entità del patrimonio al netto delle perdite, il numero dei lavoratori dipendenti con contratto di lavoro a tempo indeterminato in posizione di regolarità contributiva, l'ampiezza della copertura della popolazione e la priorità cronologica di svolgimento dell'attività nell'area, anche con riferimento all'area di copertura.
      Il bando prevede altresì la possibilità di costituire consorzi o intese, per i quali non è esatto dire che vale solo il punteggio più alto di un partecipante, perché tale punteggio viene aumentato del 20 per cento, 30 per cento, 40 per cento fino ad un massimo del 50 per cento se i componenti sono rispettivamente due, tre, quattro, cinque o più.
      Nello stesso tempo il bando prevede dei meccanismi correttivi per i soggetti pluriregionali, con imputazione percentuale dei valori considerati nelle Regioni diverse da quella con la sede legale.
      Al fine di assicurare il pluralismo informativo sono stati, quindi, previsti nel bando vari meccanismi a tutela delle emittenti provinciali che, riunite in intese o consorzi, possono ragionevolmente ottenere l'assegnazione del diritto d'uso, fermo restando il numero complessivo di frequenze pianificate per le emittenti locali, pari a 18.
      Un'ulteriore garanzia per la continuità del servizio per tutte le attuali emittenti televisive locali viene altresì fornita dall'obbligo di trasporto (per non meno di due programmi) dei contenuti dei soggetti non utilmente collocati nelle graduatorie, posto a carico degli operatori assegnatari di una delle 18 frequenze, ai sensi del citato articolo 4 del decreto-legge n.  34 del 2011, con prezzi orientati al costo e regolamentati dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. È da rilevare, inoltre, che nelle aree già digitalizzate alla fine del 2011 (Liguria, Toscana, provincia di Viterbo, Umbria e Marche), la modulazione dei diversi ma sostanzialmente identici bandi di gara ha prodotto risultati significativi nell'assegnazione delle frequenze alle intese costituite tra emittenti a copertura provinciale.

Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      MORASSUT. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          nell'aprile del 2004 il consorzio cooperativo «Casa Lazio» fu messo in liquidazione al termine di una lunga vicenda giudiziaria che mise in luce malversazioni e truffe della dirigenza del consorzio;
          le cooperative facenti parte del consorzio vennero di conseguenza coinvolte nel fallimento e nella indagine giudiziaria;
          la sede della cooperativa Capannelle 2000 venne sequestrata – con tutto la relativa documentazione – dalla Guardia di Finanza interrompendo quindi le attività e lasciando le famiglie ed i soci in una difficile situazione di incertezza;
          nel novembre del 2008 la società cooperativa Capannelle 2000 veniva posta in gestione commissariale con la nomina del commissario governativo Raffaele Mazzei di Lamezia Terme;
          con varie proroghe l'attività del commissario è proseguita fino al settembre del 2008 consentendo alle famiglie di rientrare in possesso di ingenti somme di danaro pari a circa 2 milioni e 800 mila euro;
          conseguentemente nel giugno del 2008 i soci della cooperativa riuniti in assemblea generale votavano la liquidazione della cooperativa ed il ristorno delle somme ai singoli soci;
          tale operazione di liquidazione e ristorno non poteva però attuarsi senza una formale liquidazione della cooperativa da parte del Ministero sotto il quale essa era stata posta attraverso il commissariamento nel frattempo scaduto;
          il Ministero non ha mai provveduto alla messa in liquidazione della cooperativa che ha dovuto quindi necessariamente sostenere spese di gestione assottigliando le liquidità disponibili e destinate invece al ristorno ai soci;
          i soci hanno ripetutamente sollecitato al Ministero – presso la direzione degli enti cooperativi – la formulazione di un atto formale dimessa in liquidazione ma non hanno mai avuto alcuna risposta e si sono visti costretti, nel marzo 2011, ad inviare attraverso i legali una diffida al Ministero;
          per tale assurda situazione, che sembra configurarsi come l'effetto di un mostruoso muro di gomma burocratico, le famiglie dei soci hanno perso circa un terzo delle risorse spettanti ad ognuna come riparto delle liquidità recuperate nel 2008  –:
          se intenda assumere con rapidità e estrema urgenza un provvedimento per la messa in liquidazione di Capannelle 2000 prima che il fondo in attivo sia totalmente compromesso. (4-14657)

      Risposta. — Con decreto del Direttore generale per le piccole e medie imprese e gli enti cooperativi n.  210 del 2012 del 20 marzo 2012 la società cooperativa Società cooperativa Capannelle 2000 – Soc. Coop. Edil a responsabilità limitata con sede in Roma, è stata posta in liquidazione coatta amministrativa e l'avvocato Giuseppe Leone ne è stato nominato Commissario liquidatore.
      Risulta, pertanto, essersi concretata la richiesta dell'interrogante.
      Per quanto riguarda la vicenda precedente l'adozione del provvedimento previsto dall'articolo 2545-
terdecies del codice civile si rappresenta che, con decreto del Ministro delle attività produttive dell'8 novembre 2005, la Società cooperativa Capannelle 2000 – Soc. Coop. Edil a responsabilità limitata, con sede in Roma, è stata assoggettata al provvedimento di gestione commissariale ai sensi dell'articolo 2545-sexiesdecies del codice civile ed al dottor Raffaele Mazzei è stato conferito l'incarico di Commissario governativo. Tale incarico è stato prorogato, con decreto ministeriale del 5 dicembre 2006 e con decreto ministeriale del 14 dicembre 2007, fino all'8 luglio 2008.
      Con relazione in data 23 giugno 2008, il Commissario governativo rappresentava una grave situazione di dissesto economico e patrimoniale dell'ente e richiedeva l'adozione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa della cooperativa.
      In data 17 settembre 2008 la Divisione IV della Direzione generale per le piccole e medie imprese e gli enti cooperativi del Ministero dello sviluppo economico, titolare della competenza in materia di gestioni commissariali, trasmetteva alla Divisione VI «Liquidazioni coatte amministrative», della medesima Direzione generale, la relazione con la quale il Commissario governativo aveva richiesto l'adozione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa della cooperativa per le valutazioni al riguardo.
      La predetta Divisione VI, rilevando che dalla relazione del Commissario governativo si evincesse lo stato di decozione dell'ente, ha ritenuto che fosse necessario disporre il provvedimento di liquidazione coatta amministrativa.
      Lo stesso Ufficio, con nota ministeriale n.  4320 del 15 gennaio 2009, ha inviato al Commissario governativo la comunicazione dell'avvio del procedimento per l'adozione del provvedimento di liquidazione coatta della cooperativa, ai sensi dell'articolo 7 della legge n.  241 del 1990.
      Si rappresenta che nel periodo 2009/2011 la Direzione generale per le piccole e medie imprese e gli enti cooperativi ha trasferito la sede dei propri uffici da vicolo d'Aste 12 a viale Boston 25 – circostanza che ha comportato una lenta e complessa risistemazione degli archivi – ed ha subìto un avvicendamento di vari direttori generali. La suddetta direzione ha, inoltre, assunto una diversa modalità di adozione dei provvedimenti di propria competenza, che si è concretata nella sottoscrizione dei provvedimenti medesimi da parte del direttore generale.
      Ciò anche a seguito di reiterate soccombenze di fronte ad impugnazioni di decreti di liquidazione coatta amministrativa e di gestione commissariale assunti a firma del Ministro, per i quali i Tribunali amministrativi regionali aditi hanno accolto l'eccezione di incompetenza dell'organo che aveva adottato tali provvedimenti.
      Infatti, poiché l'articolo 12, ultimo comma, del decreto legislativo n.  220 del 2 agosto 2002 prevede che i provvedimenti (anche di liquidazione coatta amministrativa) vengano adottati dal Ministero dello sviluppo economico, e non già dal Ministro, ed in aderenza con le previsioni di cui all'articolo 4, commi 2 e 3, del decreto legislativo n.  165 del 30 marzo 2001 (che prevede l'incompetenza degli organi politici in materia di gestione amministrativa in favore degli organi dirigenziali), la direzione generale per le piccole e medie imprese e gli enti cooperativi ha iniziato ad adottare i provvedimenti di liquidazione coatta amministrativa recanti la sottoscrizione del direttore generale.

Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      OLIVERIO e RUBINATO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          la SIMEST S.p.a. è un «ente istituzionale» che riveste un ruolo importante nel processo di internazionalizzazione delle imprese italiane, sostenendole sia in modo diretto attraverso la partecipazione nel capitale delle società estere, sia indirettamente mediante la gestione di strumenti agevolativi che consentono di finanziare, con fondi pubblici, iniziative sui diversi mercati; la SIMEST S.p.a., costituita nel 1990, è partecipata dal Ministero dello sviluppo economico che ne detiene la quota maggioritaria, pari al 76 per cento del suo capitale, mentre la restante quota, pari al 24 per cento, è detenuta da soci privati;
          in particolare la SIMEST S.p.a., al fianco delle aziende italiane, può acquisire partecipazioni nelle imprese all'estero fino al 49 per cento del capitale sociale, sia investendo direttamente, sia attraverso la gestione del Fondo partecipativo di venture capital, destinato alla promozione di investimenti esteri in Paesi extra europei; la partecipazione SIMEST consente all'impresa italiana l'accesso alle agevolazioni (contributi agli interessi) per il finanziamento della propria quota di partecipazione nelle imprese fuori dall'Unione europea;
          il settore agroalimentare è uno dei settori produttivi maggiormente interessati dall'attività della SIMEST S.p.a. che può svolgere un ruolo fondamentale nell'accrescere, a livello internazionale, le quote di mercato del made in Italy agroalimentare contribuendo alla crescita del Paese;
          intervenendo in una audizione alla Commissione agricoltura della Camera dei deputati l'8 novembre scorso, il Presidente nazionale della Coldiretti ha denunciato l'operato della Simest, in particolare, per il finanziamento di due società estere, Parmacotto negli Stati Uniti e Lactitalia in Romania; l'accusa è quella di finanziare, attraverso la SIMEST, imprese italiane per produrre e commercializzare all'estero prodotti che di italiano hanno solo il nome; prodotti che nascono all'estero, con materia prima e manodopera estere; in pratica una vera e propria contraffazione di Stato che utilizza ingenti risorse pubbliche per finanziare la produzione in paesi terzi di prodotti agroalimentari che nulla hanno a che fare con il tessuto produttivo del nostro paese;
          la tutela e la valorizzazione delle produzioni italiane devono essere la stella polare dell'attività della SIMEST e del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali in un momento come l'attuale in cui l'impresa agricola vive una situazione di grandissima sofferenza e l'Italia paga la qualità che produce sui mercati globali; schiacciato dall'offerta di prodotti a prezzi bassi, il prodotto italiano non trova una remunerazione giusta per la qualità che esprime;
          risulta quindi inaccettabile il comportamento della SIMEST che contribuisce ad incrementare il danno che il falso made in Italy produce per il sistema Paese, un danno che raggiunge i 60 miliardi di euro;
          la società è sotto accusa per i casi di Lactalis (in Romania) e soprattutto di Parmacotto (negli USA), che attraverso i finanziamenti di Simest ha realizzato negli Stati Uniti una filiera produttiva che nulla ha a che fare con il sistema agroalimentare nazionale, perché completamente delocalizzata, finanziando la promozione di salumi ed insaccati, prodotti con carne straniera e venduti con il marchio «Parmacotto» e «Salumeria biellese», senza che di italiano ci fosse nulla oltre il nome;
          il Gruppo Parmacotto ha già avviato negli Stati Uniti un progetto che ha portato all'apertura di un punto vendita monomarca a New York e prevede di strutturare una vera e propria catena di locali caratterizzati dall'offerta di prodotti «Italian sounding», ossia che evocano una provenienza italiana nei nomi;
          il caso della Parmacotto segue quello Lactalia, società a responsabilità limitata costituita nel 2005 in Romania per la lavorazione e la commercializzazione di prodotti lattiero caseari e posseduta al 29,5 per cento dalla Simest; Lactitalia commercializza in Italia e in altri Paesi europei formaggi di «tradizione italiana» col marchio «Dolce vita» (mozzarella, pecorino, mascarpone, caciotta) e di tradizione romena tra cui anche una ricotta con la denominazione «Ricotta toscanella» che in realtà non sono ottenuti da materie prime italiane;
          leggendo alcuni nomi dei prodotti venduti all'estero da Parmacotto e Lactalia (tra cui bresaola, finocchiona, salame toscano, soppressata, pecorino, toscanella) è evidente il danno che viene prodotto evocando denominazioni di territori e di prodotti che sono il frutto di secoli di storia, tradizione, impegno diligente degli imprenditori agricoli;
          Alessandro Rosi, amministratore delegato di Parmacotto, ha dichiarato: «la metà circa delle carni suine lavorate nel mio gruppo, che non produce solo prosciutto cotto, viene da fuori: Francia, Danimarca, Spagna e Germania, per lo più»... «Ciò che conta è il know how, la lavorazione delle carni. È un fatto di cultura»... «Prendiamo il caso del salame. Negli Stati Uniti ne è proibita l'esportazione, perciò nel nostro emporio di Manhattan non possiamo vendere i nostri prodotti italiani. Perciò un tecnico della nostra azienda di San Gimignano si è trasferito nel New Jersey importando lì metodi e processi di produzione in ogni passaggio, adottati in Toscana. Il risultato è che a Manhattan lei può trovare una finocchiona che non teme il confronto con quella toscana»... «Dal punto di vista culturale è una finocchiona Made in Italy. L'importante è che la carne sia di prima scelta, trattata nelle condizioni migliori...»;
          in un momento di grave crisi in cui il nostro Paese è alla ricerca di azioni e risorse per il rilancio dell'economia e della crescita occupazionale, il «Made in Italy», e in particolare quello agroalimentare, è universalmente riconosciuto come straordinaria leva competitiva e di sviluppo del Paese rappresentando oltre il 16 per cento del Pil nazionale;
          l'export agroalimentare raggiunge quasi 28 miliardi di euro e ha segnato, anche durante la crisi, tassi di crescita del 13 per cento, l’Italian sounding rappresenta un pericolo mortale per il settore primario italiano perché sottrae ingenti risorse all'economia nazionale e rischiano di bloccare ogni potenzialità di crescita delle imprese italiane a causa della «saturazione» del mercato con prodotti che richiamano qualità italiane senza essere di origine nazionale, impedendo ai consumatori di effettuare una corretta comparazione sulla base della diversa qualità e convenienza con prodotti autentici del Made in Italy  –:
          se i Ministri interrogati ritengano che la strategia di finanziamento all'estero della SIMEST s.p.a. a favore imprese che commercializzano prodotti con una falsa identità di origine sia conforme alle funzioni e agli scopi sociali attribuiti ex lege alla medesima società e in caso contrario se non ritengano opportuno revocare il mandato di rappresentanza agli attuali amministratori di SIMEST;
          se non ritengano urgente intervenire per impedire che continui l'uso improprio di risorse pubbliche per la commercializzazione sui mercati esteri di prodotti di imitazione che danneggiano le autentiche eccellenze del territorio e dell'agricoltura italiana, verificando altresì quali siano i criteri con cui la SIMEST sceglie i progetti da finanziare;
          quali iniziative intendano deliberare per sanzionare quella che all'interrogante appare la più grave irregolarità commessa dai responsabili di SIMEST di violazione nel commercio da parte della società Parmacotto da essa partecipata delle norme in materia di protezione di denominazioni di origine protetta a proposito della promozione di un prodotto (salumi calabresi) che gode del riconoscimento europeo;
          se non ritenga necessario intervenire per agevolare e realizzare progetti di promozione all'estero dei prodotti del Made in Italy agroalimentare eliminando quelle barriere sanitarie che, proprio nel settore della carne, ostacolano il commercio con l'estero. (4-14131)

      Risposta. — Preliminarmente si precisa che la Simest Spa costituita nel 1991, ai sensi della legge 24 aprile 1990, n.  100, è una società «finanziaria di sviluppo» pubblico-privata, partecipata al 24 per cento dalle principali banche italiane e al 76 per cento dalla Confindustria e dal Ministero dello sviluppo economico. Lo scopo principale della Simest Spa è di affiancare, attraverso l'utilizzo di strumenti tecnici e finanziari, le attività e gli investimenti internazionali delle imprese italiane, rafforzandone le capacità sugli stessi mercati.
      Ai sensi del decreto legislativo n.  143 del 1998, la società gestisce anche gli interventi di sostegno finanziario all'internazionalizzazione del sistema produttivo nazionale.
      Per quanto riguarda la prima istanza posta dagli interroganti – ossia se si ritiene che la strategia di finanziamento all'estero della Simest Spa a favore di imprese che commercializzano prodotti sia conforme alle funzioni e agli scopi sociali attribuiti alla medesima società e dunque quali siano le valutazioni sull'operato dell'attuale
management di Simest – e la terza istanza – ossia quella che chiede quali iniziative si intendano intraprendere per la promozione all'estero dei prodotti Made in Italy –, si rappresenta quanto segue.
      È fondamentale soffermarsi sulla valutazione che, ai sensi dell'articolo 1 della legge n.  80 del 2005, non è consentita, nell'ambito del sostegno alle imprese italiane nel loro percorso di internazionalizzazione (operato attraverso il sostegno di società come la Simest Spa), alcuna delocalizzazione dell'attività produttiva: anzi, scopo dell'intervento è quello di indurre a potenziare gli effetti positivi sulla competitività complessiva delle aziende interessate e, conseguentemente, sull'incremento dell'occupazione nelle stesse aziende in Italia e in settori nevralgici.
      In questo senso e su questi principi di economia di mercato e di strategia occupazionale, nel mese di marzo 2012, il Ministero dello sviluppo economico ha emanato direttive alla Simest Spa volte a contrastare ed evitare la pratica dell’
italian sounding (letteralmente «suona italiano», fenomeno per cui un prodotto o un bene vengono rinominati in modo che il loro nome, appunto, «suoni» italiano), attuando un piano di maggiore tutela del settore agroalimentare e del consumatore.
      Tali direttive, infatti, prevedono la revoca delle partecipazioni Simest a quelle imprese che, per le proprie iniziative di internazionalizzazione, pur usufruendo del supporto pubblico, pongano in essere pratiche commerciali in grado di indurre in errore i consumatori sull'origine o sulla provenienza dei prodotti commercializzati, ovvero di indurre in errore i consumatori mediante pratiche commerciali «non corrette» circa l'origine geografica dei prodotti, anche mediante indicazioni riconducibili all’
italian sounding.
      Per quanto riguarda invece la seconda istanza posta dagli interroganti, circa i controlli effettuati da Simest Spa sulle attività del settore agroalimentare delle quali acquisisce partecipazioni o che comunque Simest sostiene e, nello specifico, al contestuale riferimento alla partecipazione della Simest nella Parmacotto Spa, si rappresenta quanto segue.
      Preliminarmente si evidenzia che la Simest Spa, con un preciso piano di investimenti, acquisisce partecipazioni in imprese che presentino programmi sia di sviluppo produttivo, sia nel campo della ricerca e della innovazione.
      Gli interventi devono essere collegati ad un preciso progetto aziendale di investimento, volto al mantenimento delle esistenti capacità produttive e, al contempo, devono prevedere un ulteriore sviluppo delle aziende di volta in volta interessate, con impatto positivo sulla realtà delle imprese italiane maggiormente presenti nel settore dell'investimento estero.
      È evidente, nel caso sollevato dagli interroganti, che l'investimento della Simest è finalizzato a sostenere il piano di sviluppo della società italiana a favore della cosiddetta produzione
Made in Italy. In particolare il piano industriale è teso all'incremento della capacità autonoma di stagionatura attraverso il potenziamento della struttura produttiva (quindi impianti ed immobili necessari a tal fine) ed al potenziamento del piano di sviluppo commerciale estero, con particolare riguardo al mercato statunitense e a quello europeo (Francia e Germania).
      In questa ottica preme precisare che, ad esempio, negli Stati Uniti d'America è prevista la realizzazione, attraverso la Parmacotto Usa Incorporated, di alcune «prosciutterie» e di uno stabilimento, al fine di consolidare un laboratorio di affettamento e non di produzione di prodotti italiani destinati al mercato americano.
      La Parmacotto Spa ha comunicato alla Simest Spa che nello
store di New York vengono commercializzati prodotti tipici di salumeria italiana, la cui importazione è permessa dalle competenti autorità americane.
      La Parmacotto ha precisato di non produrre salumi di fuori dei confini italiani e che tutti i prodotti commercializzati negli Usa riportano in etichetta indicazioni chiare e precise sul luogo di produzione del prodotto alimentare, la ragione sociale e la sede del produttore, al fine di evitare qualsiasi fraintendimento o possibilità di errore da parte del consumatore sull'effettiva origine geografica dei prodotti stessi.

Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      SCILIPOTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per le pari opportunità, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. — Per sapere – premesso che:
          nel 1925 (durante il periodo fascista) veniva istituita l'Opera nazionale maternità e infanzia (ONMI), con prevalenti orientamenti di carità, assistenza e di istruzione dei bambini verso il regime. Gli asili nido nascono anche quale supporto alle famiglie per l'incremento delle nascite. Nel 1971 viene approvata la legge 1044 che colloca gli asili nido nell'ambito della sanità dei servizi a domanda individuale, insieme ai servizi funerari, ai parcheggi, ai mattatoi, e altri;
          a distanza di anni, in una realtà che cambia costantemente, ricca di nuove opportunità ma anche di crescenti degradi, le bambine e i bambini crescono in situazioni sempre più precarie, in famiglie ansiose, in molti casi impreparate nel delicato compito «educativo» verso i propri figli, afflitte da difficoltà relazionali, economiche, da disoccupazione e, al tempo stesso, da pressanti condizionamenti, superficialità e sistemi consumistici che creano frammentazioni e individualismi che favoriscono i gruppi e le istituzioni forti e ben organizzate, non sicuramente le famiglie;
          dalla famiglia i bambini passano all'asilo (dove esistono). Nota è purtroppo l'assenza e la carenza di asili nido in gran parte di comuni, soprattutto nel centro e nel sud del nostro Paese;
          nei confronti dei bambini, dalla famiglia all'asilo nido, a gran parte delle scuole dell'infanzia, persistono conoscenze e sistemi di allevamento sostanzialmente datati («la persona oggi non è più quella di ieri»), estese mentalità e pratiche «formative» fuori dal tempo che, al di la di vani auspici e rare realtà, di fatto agiscono dalla prima infanzia, con prevalenti funzioni di «cura» e di «assistenza» che, pur significative, non rispondono ai nuovi bisogni e soprattutto allo sviluppo delle «potenzialità» della persona oggi, a modalità di vita che richiedono aggiornate competenze e abilità, in particolare delle nuove generazioni;
          in certi asili privati le famiglie arrivano a pagare rette altissime, e in gran parte di altri casi i genitori devono integrare il nido con la baby sitter, lasciare i propri figli per ore davanti alla TV o in situazioni precarie, che non incentivano sicuramente le nascite dei bambini nel nostro Paese;
          nel nostro Paese hanno competenze in materia di asili nido, con iniziative che costituiscono un «campionario» di interventi segmentati e dispersivi, il Ministero della salute, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il dipartimento delle pari opportunità, il dipartimento delle politiche per la famiglia presso la Presidenza del Consiglio: il Ministro delle pari opportunità ha stanziato diversi milioni di euro per gli asili nido di condominio ispirati all'esperienza delle Tagesmutter – mamme di giorno e anche il Ministro per la pubblica amministrazione, con le maggiori entrate ricavate dall'innalzamento dell'età pensionabile delle donne, ha annunciato l'obiettivo di istituire asili nido su un'amministrazione pubblica ogni tre, entro i prossimi dieci anni;
          al di là di scoordinati o impropri interventi e spesso di confusioni, che poco hanno a che fare con il primario obiettivo del diritto dei bambini allo sviluppo delle loro «qualità», gli oneri della organizzazione e della gestione degli asili nido (ancora classificati servizi a domanda individuale e non sociali e/o educativi), di fatto pesa soprattutto sulle famiglie e sugli enti locali che sono indotti a stabilire rette di frequenza sempre più costose e, in sempre più casi, ad affidare la gestione di asili e di pseudo iniziative educative dell'infanzia (sezioni primavera, asili nido aziendali, ludoteche e quant'altro), a realtà private, a strutture e gestioni in molti casi improprie e professionalmente impreparate, in relazione alle delicatissime e importantissime competenze, necessarie per un qualificato sviluppo psico/fisico/relazionale delle nuove generazioni, anche in funzione del fatto che saranno le future classi «dirigenti» di domani;
          il perdurare di un'infanzia assistita da forme di asilo e, a seguire, da insegnamenti preformulati, da consuetudini e nozioni uguali per tutti i bambini, da una progressiva «formazione» che, pur significativa in vari aspetti è sostanzialmente «preparatoria» ai successivi ordini scolastici, non contempla e non promuove, sin dall'infanzia, le proprietà della «ricerca», dell’«osservazione», della «creatività» delle idee e del saper fare, hanno prodotto e continuano a produrre «disequilibri», analfabetismi di andata e ritorno, inerzie e rassegnazioni o viceversa quelle «violenze» che colpiscono soprattutto le bambine e i bambini e che i media (con più che discutibili etiche e professionalità) ci rappresentano quotidianamente, insieme a reality, notti bianche e lotterie;
          esperienze e accreditate verifiche sostengono che l'auspicato e sempre più necessario sviluppo della persona, delle sue idee ed esperienze, evolvono (o viceversa regrediscono) soprattutto sulla base delle «qualità delle relazioni, in particolare dell'offerta educativa» vissuta nella prima infanzia  –:
          se i Ministri interrogati non ritengano opportuno avviare, in tempi e modalità spedite, appositi approfondimenti e concrete iniziative per lo sviluppo della «qualità dell'offerta educativa», a partire dalla prima infanzia, (nel periodo in cui si definiscono le strutture neuro-anatomiche della persona) e non dopo (quando è difficile e forsanche impossibile modificare, evolvere schemi mentali e mentalità acquisite), raccordabili con le esigenze e le potenzialità dei successivi ordini scolastici;
          se e quali iniziative si intendano adottare per l'avvio di chiare e coordinate azioni, soprattutto educative, per scoprire, promuovere, investire sullo sviluppo dei valori e delle «qualità» della persona, a partire dalla sua prima infanzia, che superino gli anacronistici sistemi di assistenza e insegnamento ancora largamente estesi, fondati su conoscenze, concetti, strutture c pratiche di «asilo» datate (nel nome e nei fatti), realizzando effettive istituzioni educative, i «laboratori educativi dell'infanzia», quali prime qualificate sequenze educative di una «innovativa filiera formativa» che, proprio dai primi anni di vita, offrano a tutti i bambini e costruiscano con loro progressivi e lungimiranti processi di qualità del pensare e del fare. (4-08001)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, inerente agli interventi per la prima infanzia, sulla base dei dati informativi trasmessi dalla competente Direzione generale per l'inclusione e le politiche sociali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si rappresenta quanto segue.
      A partire dal 2001, i servizi per la prima infanzia sono stati trasformati da servizi a prioritaria finalità assistenziale (custodia, sostegno alla famiglia e al lavoro femminile) in servizi educativi e sociali finalizzati a garantire «la formazione e la socializzazione delle bambine e dei bambini di età compresa tra i tre mesi ed i tre anni ed a sostenere le famiglie ed i genitori», volti anche a favorire la conciliazione tra esigenze professionali e familiari (legge 28 dicembre 2001, n.  448, finanziaria per il 2002, articolo 70, commi 2 e 5).
      Il carattere socio-educativo dei servizi per la prima infanzia, è stato ribadito successivamente con la legge finanziaria per il 2007 (legge 27 dicembre 2006, n.  296, articolo 1, comma 1259), sulla base della quale, a seguito dell'intesa raggiunta il 26 settembre 2007 in sede di Conferenza unificata, è stato avviato il Piano straordinario per lo sviluppo della rete integrata dei servizi socio-educativi per la prima infanzia con la finalità di promuovere il benessere e lo sviluppo dei bambini, il sostegno del ruolo educativo dei genitori e della conciliazione dei tempi di lavoro e di cura e a rafforzare il sistema nazionale dei servizi.
      Il Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, per garantire la qualità di tale rete integrata, hanno avviato l'attività di monitoraggio per la valutazione del livello di attuazione del predetto Piano, avvalendosi anche del Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza e in collaborazione con l'Istat.
      In particolare il monitoraggio ha riguardato i seguenti ambiti:
          quantità dei servizi presenti sul territorio regionale;
          tipologie diverse di offerta ricondotte alle due macro-aree riferite al nomenclatore statistico Cisis (nido d'infanzia e servizi integrativi costituiti da spazio gioco per bambini, centro per bambini e famiglie, servizi in contesto domiciliare);
          normativa regionale e gli atti regolamentari;
          risorse destinate ed utilizzate ai servizi nella regione;
          dati sulla rete dei servizi.

      In tale contesto, nel gennaio 2009, è stato avviato il progetto «Azioni di sistema e assistenza tecnica per gli obiettivi di servizio» per i servizi di cura alla persona, tra cui quelli socio-educativi per l'infanzia, finanziato nell'ambito del Quadro strategico nazionale per la politica regionale aggiuntiva 2007-2013 (Qsn), con l'obiettivo di sostenere le otto regioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Molise, Sardegna, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia) nella realizzazione dei Piani regionali.
      Lo scopo del progetto è di rafforzare le azioni congiunte tra le amministrazioni centrali del Ministero e della Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche della famiglia e i livelli di governo regionale e locale, al fine di raggiungere l'obiettivo di servizio «servizi di cura per l'infanzia e per gli anziani – aumentare i servizi per l'infanzia e di cura per gli anziani per favorire la partecipazione femminile al mercato del lavoro» i cosiddetti «obiettivi di servizio» attraverso l'aumento:
          della percentuale di Comuni con servizi per l'infanzia dal 21 per cento al 35 per cento;
          della percentuale di bambini che usufruiscono di servizi di cura per l'infanzia dal 4 per cento al 12 per cento;
          della percentuale di anziani beneficiari di assistenza domiciliare integrata (Adi) dall'1,6 per cento al 3,5 per cento.

      Le azioni del progetto di assistenza tecnica sono:
          implementare e migliorare la qualità dell'offerta dei servizi socio-educativi per la prima infanzia (0-3 anni), tramite la programmazione, il controllo e l'innovazione nel settore dei servizi socio-educativi;
          sviluppare e integrare i sistemi di monitoraggio regionali dei servizi offerti basati anche sulla valutazione delle condizioni quantitative e qualitative di erogazione dei servizi da parte della utenza;
          favorire il confronto, lo scambio di esperienze per promuovere innovazioni e sperimentazioni e lo sviluppo di nuovi modelli organizzativi (
best practices).

      Tutte le attività realizzate sono state finalizzate all'eliminazione delle criticità presenti nel sistema integrato dei servizi per la prima infanzia per promuoverne la qualità anche con riferimento ai requisiti strutturali e organizzativi; all'interno di questi ultimi, particolare rilevanza assumono le figure professionali dell'educatore e del coordinatore pedagogico per la validità dei progetti educativi.
      Mentre proseguono le attività relative al monitoraggio del Piano, a testimonianza dell'attenzione che si intende rivolgere alle tematiche ed alle iniziative rivolte allo sviluppo dei valori e delle qualità della persona fin dalla sua prima infanzia, con l'intesa del 2 febbraio 2012 in Conferenza unificata, il Governo ha trasferito 25 milioni di euro, stornati da precedenti finalizzazioni di competenza statale, alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano, in accordo con le Autonomie locali, per la realizzazione di azioni in favore della famiglia, tra le quali i servizi socio-educativi per la prima infanzia e di assistenza domiciliare integrata.
      Infine, con l'intesa del 19 aprile 2012, il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e le Autonomie locali hanno stabilito in Conferenza unificata i criteri di ripartizione di ulteriori 45 milioni di euro da destinare al finanziamento di servizi socioeducativi per la prima infanzia e azioni in favore degli anziani e della famiglia, stabilendo modalità, tempi di realizzazione degli interventi e il monitoraggio.
      In entrambe le intese è presente la previsione che stabilisce che le regioni concorreranno ai finanziamenti in base alle rispettive disponibilità.
      Si fa presente, infine, che il Governo, nell'ambito della riprogrammazione dei fondi comunitari, aggiornamento n.  2 al Piano di azione coesione, ha previsto di destinare 845 milioni di euro ad obiettivi di inclusione sociale, di cui 400 alla cura dell'infanzia.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Cecilia Guerra.


      SIRAGUSA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          in base a quanto denunciato dagli enti del terzo settore impegnati nella gestione dei servizi per l'infanzia e l'adolescenza, è intenzione dell'amministrazione comunale di Palermo non rinnovare la convenzione per l'anno 2012 ai servizi socio educativi (centri aggregativi) affidati con D/D n.  1754 del 1 dicembre 2010 e sospenderne il servizio in attesa dell'espletamento di una nuova gara e di una nuova assegnazione degli stessi;
          tali servizi sono stati messi a bando nel novembre 2009 ed assegnati soltanto dopo 13 mesi, con una interruzione dell'attività dei centri per tutto il 2010 che è ripresa, a fatica, nel gennaio 2011 con una prospettiva, dichiarata dal bando, di tipo triennale, così come previsto dalla legge n.  285 del 1997;
          è in un'ottica pluriennale che gli enti gestori dei servizi hanno programmato impegni ed attività al fine di dare efficacia all'azione educativa e sociale richiesta dal piano locale e dal bando pubblico di affidamento dei servizi;
          ora il comune di Palermo si accinge a mettere a bando i servizi, per 10 mesi, da marzo a dicembre 2012, prevedendo due mesi di sospensione (gennaio febbraio) per l'espletamento del bando che, nella precedente edizione ha richiesto un anno di lavoro;
          tale decisione, secondo quanto riportato dal Giornale di Sicilia del 17 novembre 2011, deriverebbe da un divieto dell'ufficio contratti del comune di Palermo e del dirigente delle attività socio-assistenziali, di prorogare le convenzioni, poiché si violerebbe la normativa sugli appalti;
          nel sopra citato articolo si legge che «l'articolo 57 del Codice dei contratti pubblici (legge n.  163 del 2006), infatti, consente la proroga solo se il bando prevede la continuità, la durata e l'importo. Poiché il bando per il 2011 parla solo di una generica possibilità di proroga, gli uffici hanno applicato in maniera restrittiva la norma, anche sulla base di sentenze come quella che dà ragione al Centro Padre Nostro»;
          secondo gli enti del terzo settore i servizi in questione rientrano nel piano infanzia e adolescenza del comune di Palermo il quale è redatto secondo quanto previsto dalla legge n.  285 del 1997 e prevede una programmazione triennale finalizzata proprio a servizi di cui, peraltro, vi è copertura di spesa;
          tale previsione – sempre secondo gli enti – era contenuta nel bando e pertanto si tratta di una «prosecuzione programmata»;
          in base a quanto deciso dall'amministrazione comunale da gennaio 2012 verranno interrotti i servizi per l'infanzia;
          i centri socio educativi sono rimasti gli unici servizi per l'infanzia attivi sul territorio a causa della contrazione della spesa sociale;
          se tali centri fossero messi in condizione di non poter svolgere il loro servizio, circa 2.000 bambini e adolescenti palermitani ne sarebbero privati in pieno anno scolastico e in un momento storico nel quale le famiglie vivono gravi difficoltà economiche e sociali;
          molti dei bambini e dei ragazzi iscritti ai centri socio educativi sono stati accolti su invio dei servizi sociali del comune di Palermo, dell'ASF, della giustizia minorile e del tribunale di Palermo e per molti di questi l'inserimento nei centri ha evitato l'inserimento in servizi residenziali;
          si produrrebbe altresì un grave danno sociale ed economico per il comune di Palermo dovuto all'istituzionalizzazione dei bambini ed adolescenti privati del servizio offerto dai centri. Ad oggi il comune di Palermo paga 16 milioni di euro per il ricovero di circa 700 minori in comunità. Tre bambini in comunità costano quanto un centro socio-educativo 6-12 anni rivolto mediamente a 60 bambini e sei adolescenti in comunità costano quanto un centro socio-educativo 12-18 anni rivolto mediamente a 80 adolescenti e giovani;
          la necessità di dare continuità ai servizi, la cui interruzione rappresenta un fatto grave che danneggia innanzitutto i ragazzi e il loro futuro, è sostenuta con forza da tutti i servizi sociali, educativi, scolastici e religiosi che operano a Palermo a favore dell'infanzia e dell'adolescenza  –:
          se il Ministro non ritenga, nell'ambito delle proprie competenze anche alla luce della legge n.  285 del 1997, opportuno assumere iniziative dirette a garantire la continuità ai servizi e agli interventi educativi evitando l'interruzione di tali servizi a partire da gennaio 2012. (4-14014)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, inerente i servizi e gli interventi educativi nel comune di Palermo, si rappresenta quanto segue tenuto conto dei dati informativi trasmessi dal comune medesimo.
      In primo luogo, appare opportuno evidenziare che la convenzione con la quale l'ente locale affida i servizi socio-educativi trova la sua copertura di spesa negli ordini di pagamento che gli pervengono a fine anno e che si riferiscono ad una annualità.
      Con particolare riferimento al finanziamento previsto dalla legge n.  285 del 1997, che ha istituito un apposito fondo per la realizzazione di interventi finalizzati ad incentivare e difendere i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza (a cui attingono le quindici città riservatarie tra cui Palermo), si fa presente che lo stesso viene indicato nella tabella C, allegata alla legge di stabilità che quantifica, annualmente e per il triennio, gli importi da destinare agli interventi sul territorio, tra cui sono inclusi anche quelli di carattere sociale.
      In proposito, si fa presente che la legge 23 dicembre 2009, n.  192 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2010 e bilancio pluriennale per il triennio 2010-2012) ha stanziato (capitolo 3527 dello Stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali) 39.960 mila euro sul citato Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza per la realizzazione di interventi a livello nazionale, regionale e locale.
      Per quanto attiene alle quote di spettanza delle città riservatarie per l'anno 2012, l'articolo 3 del decreto interministeriale 25 maggio 2011 prevede, per gli anni finanziari 2012 e 2013, che le somme iscritte sul capitolo di spesa sopra evidenziato vengano assegnate, mediante decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con le stesse percentuali di riparto utilizzate per il 2011.
      Con riferimento all'affidamento dei servizi socio-assistenziali, il comune di Palermo ha informato che la situazione descritta nell'interrogazione in esame risulta in fase di avanzata definizione in quanto, con decreto dirigenziale n.  226 del 22 febbraio 2012, è stata approvata la graduatoria per la gestione, tra l'altro, dei centri aggregativi, in modo da poter procedere, previa acquisizione della documentazione di rito, alla sottoscrizione delle predette convenzioni.
      Lo scorso 26 aprile 2012 e stata approvata la graduatoria definitiva e il comune ha reso noto di star procedendo agli affidamenti a partire da quegli interventi che non risultano gravati da ricorsi.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Cecilia Guerra.


      ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          da un articolo pubblicato dal quotidiano Libero dell'11 dicembre 2009, si apprende che è fissato a Roma, per il 19 gennaio 2010, un incontro a cui prenderanno parte tutte le 300 imprese del nostro Paese interessate a fare affari con il nucleare e dal titolo preciso: «supply chain meeting»;
          sarebbe Enel ad aver già messo attorno al tavolo, d'intesa con i vertici di Confindustria, tutte le società da coinvolgere nella partita;
          il quotidiano rivela alcuni dettagli riservati sulle manovre compiute finora da Enel che, con Edf, il colosso transalpino dell'energia, di fatto ripercorrerà il cammino che ha portato alla costruzione, in Normandia, della centrale di nuova generazione (Epr) a Flamanville;
          i colloqui fra Enel-Edf e le aziende interessate a entrare nel consorzio italo-francese, come accennato, sarebbero già stati avviati. Almeno due, finora, secondo quanto risulta a Libero, le riunioni a viale dell'Astronomia, sede degli industriali. La prima il 12 novembre, la seconda la scorsa settimana;
          al tavolo di lavoro parteciperanno tutte le imprese che, sulla carta, possono dare un contributo alla progettazione e alla realizzazione degli impianti nucleari. E le 34 aziende italiane che hanno preso parte al progetto Flamanville, secondo gli addetti ai lavori, potrebbero beneficiare di una sorta di corsia preferenziale;
          si tratta, in sostanza, del confronto a 360 gradi con tutta la «catena di fornitori»: dalle società di ingegneria ai produttori di singoli componenti necessari a mettere in piedi gli impianti. Il programma dei lavori sarebbe già scritto: una mattinata di lavori comuni a tutte le categorie e poi, nel pomeriggio, incontri dedicati ai settori specifici (come forniture meccaniche e lavori civili);
          le linee generali dei requisiti saranno illustrati da esperti Enel, Edf e, probabilmente, pure di Areva, l'azienda francese che confeziona i reattori nucleari;
          nel corso dell'incontro saranno affrontati anche gli aspetti legislativi e quelli legati alla sicurezza dei siti, con analisi su standard e caratteristiche tecniche. Temi che, in parte, sono già stati sviscerati nella riunione di novembre e in quella della scorsa settimana, in cui Enel ha raccolto una prima parte di informazioni dalle imprese;
          dopo il summit di gennaio, si dovrebbe passare a una fase più dettagliata. In quest'ottica, Enel dovrebbe completare alcuni documenti sulla base dell'esperienza di Flamanville, calandoli, ovviamente, sulla realtà italiana. In pratica si tratterebbe di ulteriori specifiche tecniche per la scelte dei fornitori. Scelte che Enel, Edf e Areva compiranno anche grazie a una panoramica sull'intero mercato italiano, cui dedicheranno tutto il primo semestre del 2010;
          la radiografia finale alle aziende pronte a entrare nel consorzio, invece, dovrebbe essere fatta a giugno con verifiche a tappeto sui requisiti richiesti dalla normativa internazionale e dalla procedura amministrativa;
          il gruppo di lavoro Enel-Confindustria non avrebbe affrontato la questione dei siti ma fra gli esperti del settore si andrebbe consolidando l'idea che, visto il quadro geografico della Penisola, non ci saranno discussioni estenuanti. Smentite a parte, non sembrano esserci molte alternative a Montalto di Castro (Viterbo), Borgo Sabotino (Latina), Garigliano (Caserta), Trino Vercellese (Vercelli), Caorso (Piacenza), Oristano, Palma (Agrigento) e Monfalcone (Gorizia);
          pochi giorni fa il Governo ha affermato che: «...il Governo non ha ricevuto nessuna richiesta dalle imprese per la costruzione per il semplice fatto che non è ancora possibile fare richieste perché non c’è un'architettura normativa. Mancano ancora alcuni passaggi normativi»;
          tali passaggi normativi si dovrebbero sostanziare, nella istituzione dell'Agenzia per la sicurezza del nucleare; nell'adozione, entro il 15 febbraio dei decreti per la localizzazione dei siti, per la definizioni delle compensazioni ambientali ai territori che ospitano le centrali, nell'individuazione del deposito delle scorie ed infine con delibera CIPE nella scelta della tecnologia;
          Areva ha dovuto ammettere che il cantiere finlandese dove è in costruzione un reattore analogo a quello oggetto di discussione nella riunione del 19 gennaio, ha già prodotto 2,7 miliardi di euro di perdite destinate a crescere e superare così il prezzo di vendita (3 miliardi) del reattore stesso, così come ha dovuto riconoscere ritardi tali da far entrare in servizio l'EPR nel 2012 nonostante le previsioni iniziali parlassero del 2009, così come EDF ha annunciato il rinvio almeno di un anno della messa in servizio dell'EPR di Flamanville  –:
          questo modo di procedere affida di fatto alle aziende scelte nel campo delle strategie energetiche che dovrebbero competere alla politica attraverso innanzitutto la definizione un quadro normativo di riferimento;
          se siano vere le notizie riferite dal quotidiano Libero;
          se si siano valutati i dati sul fallimento industriale dell'EPR francese e dei connessi problemi di sicurezza evidenziati dalle autorità francesi, inglesi e finlandesi. (4-05419)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente le strategie energetiche connesse alla costruzione degli impianti nucleari, sulla base degli elementi forniti dalla Direzione generale competente, si rappresenta quanto segue.
      Preliminarmente occorre evidenziare, l'impatto che ha avuto dapprima la decisione del precedente Governo di interrompere il programma nucleare (attuata con la legge 26 maggio 2011, n.  75 di conversione del decreto-legge 31 marzo 2011, n.  34) e successivamente all'esito del
referendum abrogativo del giugno 2011, sul tema sollevato nell'interrogazione in esame, dal momento che l'atto di sindacato ispettivo risale al dicembre 2009, quando era in corso di sviluppo programma di rilancio della produzione nucleare in Italia promosso dal precedente Governo, in seguito interrotto.
      A tal proposito, gli Interroganti si preoccupavano delle iniziative poste in essere dalla imprese interessate al
business nucleare, a fronte della mancata definizione da parte del Governo del quadro normativo e di sicurezza necessario per lo sviluppo del programma.
      In particolare, la passività del Governo avrebbe, a parere degli interroganti, affidato di fatto alle sole aziende, scelte di strategia energetica che dovrebbero piuttosto competere alla politica,
in primis, attraverso la definizione di un quadro normativo di riferimento.
      A tal proposito, si rappresenta che il Governo aveva posto in essere diversi atti normativi nel settore nucleare, tra i quali giova ricordare il decreto legislativo 15 febbraio 2010, n.  31 – che, unitamente alle modifiche ed integrazioni contenute nel 23 marzo 2011, n.  41 costituiva il quadro di riferimento per la costruzione di nuovi impianti nucleari, nonché il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 aprile 2010, recante l'approvazione dello Statuto dell'Agenzia per la sicurezza nucleare.
      Tutte, le iniziative assunte in ambito industriale, tendenti soprattutto alla qualificazione delle imprese nazionali che avrebbero potuto avere un ruolo attivo nello sviluppo del programma nucleare, erano coerenti con l'orientamento espresso dal Governo. All'epoca, inoltre, era già stata emanata la legge n.  99 del 2009 che sanciva in modo chiaro la volontà di rilanciare la produzione dell'energia nucleare in Italia.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Claudio De Vincenti.


      ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il cosiddetto Quarto conto energia contempla vari premi per specifiche tipologie e applicazioni di impianti fotovoltaici ed in particolare, prevede un premio fisso di 0,05 euro al kilowattora di energia prodotta nel caso di impianti installati su edifici che vadano a sostituire le relative coperture in eternit o comunque contenenti amianto (articolo 14, comma 1, lettera c));
          si tratta di una misura contenuta in parte già nel precedente Conto energia che all'articolo 10 del decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 24 agosto 2010, stabiliva premi aggiuntivi per rimpiazzare il pericolosissimo eternit con pannelli fotovoltaici  –:
          di quali dati disponga il Ministero dello sviluppo economico in merito alle superfici oggetto di sostituzione di coperture in eternit con impianti fotovoltaici, il relativo costo e la quota di megawatt in tal modo raggiunta divisi per regione;
          se si intenda adottare iniziative per prorogare la misura. (4-14373)

      Risposta. — L'interrogante chiede di conoscere informazioni in merito ai premi per l'energia prodotta con impianti installati su edifici che vadano a sostituire le coperture in eternit o comunque contenenti amianto, nonché i dati, divisi per regione, di cui questa Amministrazione disponga in merito alle superfici oggetto di sostituzione di coperture in eternit con impianti fotovoltaici, il relativo costo e la quota di megawatt raggiunta.
      Il decreto ministeriale 5 maggio 2011 (cosiddetto quarto conto energia), che disciplina l'incentivazione della produzione di elettricità da fotovoltaico degli impianti entrati in esercizio dopo il 31 maggio 2011, ha previsto uno specifico premio (5 centesimi di euro/kWh) per le iniziative di installazione di pannelli fotovoltaici in sostituzione delle coperture in eternit o comunque contenenti amianto (con l'articolo 14, comma 1, lettera
c)) e ciò proprio in considerazione dell'importanza che le stesse hanno sotto il profilo della tutela ambientale e della salute pubblica.
      Va sottolineato che, nel quarto conto energia, il premio viene espresso in valore assoluto e non, come previsto nel decreto ministeriale 6 agosto 2010 (cosiddetto terzo conto energia) in una maggiorazione espressa in percentuale della tariffa. La nuova disposizione è stata ritenuta più idonea a promuovere le iniziative di questo tipo, atteso che le tariffe incentivanti hanno un andamento progressivamente calante e che, pertanto, il premio espresso in percentuale avrebbe comportato una corrispondente riduzione dell'entità del premio, rendendo sempre meno efficace la misura.
      Relativamente ai dati sulle superfici oggetto di sostituzione di coperture in eternit con impianti fotovoltaici, così come il relativo costo e la quota di megawatt raggiunta, il GSE Spa, ossia la società pubblica deputata al riconoscimento degli incentivi per l'energia elettrica prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili, ha trasmesso i seguenti dati, che forniscono il quadro, come da tabella allegata, per ciascuna Regione, del numero di impianti fotovoltaici realizzati in sostituzione delle superfici in eternit, della superficie occupata dagli impianti, della potenza degli stessi e dell'ammontare del premio per la sostituzione. I valori si riferiscono al totale realizzato al 31 dicembre 2011 con i vari conti energia (dal secondo al quarto).

Regione Numero Impianti con sostituzione Eternit Potenza Impianti (kW) Stima superficie bonificata (mq) Premio annuo (euro) (stima) Premio nei 20 anni (euro) (stima) Contributo cumulato per la sostituzione eternit (euro/mq)
ABRUZZO 256 20.601 215.668 662.752 13.255.040 61
BASILICATA 49 2.318 23.576 87.513 1.750.253 74
CALABRIA 195 9.578 93.781 279.968 5.599.370 60
CAMPANIA 93 24.251 248.636 878.090 17.561.805 71
EMILIA
ROMAGNA
2.743 202.669 1.982.240 7.004.807 140.096.143 71
FRIULI
VENEZIA
GIULIA
820 45.026 417.872 1.599.527 31.990.531 77
LAZIO 392 37.496 379.861 1.326.640 26.532.801 70
LIGURIA 88 6.064 57.089 256.774 5.135.486 90
LOMBARDIA 4.155 352.958 3.163.923 12.152.996 243.059.928 77
MARCHE 617 70.780 778.105 2.451.054 49.021.085 63
MOLISE 29 3.216 27.600 110.167 2.203.340 80
PIEMONTE 2.123 168.234 1.493.698 5.644.621 112.892.420 76
PUGLIA 218 16.978 183.564 608.844 12.176.887 66
SARDEGNA 266 28.480 328.560 1.070.728 21.414.560 65
SICILIA 243 29.973 258.382 1.041.667 20.883.348 81
TOSCANA 1.053 82.069 827.120 2.806.918 56.138.352 68
TRENTINO
ALTO ADIGE
213 22.014 197.941 714.339 14.286.785 72
UMBRIA 548 40.650 368.131 1.415.144 28.302.885 77
VALLE
D'AOSTA
42 1.487 18.645 52.502 1.050.031 56
VENETO 2.202 175.020 1.724.392 5.670.736 113.414.716 66
TOTALE 16.345 1.339.860 12.788.782 45.835.788 916.715.765 72

      Esprimendo in percentuale il costo del premio, sul totale pari a euro 916.715.765, al secondo conto energia è imputabile il 33 per cento, al terzo il 10 per cento e al quarto il 56 per cento.
      Per quanto riguarda poi, l'ulteriore richiesta dell'interrogante sull'intenzione di prorogare tale misura, si fa presente che il decreto ministeriale per la nuova incentivazione dell'energia elettrica da impianti solari fotovoltaici non è stato ancora definito.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Claudio De Vincenti.