XVI LEGISLATURA
COMUNICAZIONI
Missioni valevoli nella seduta del 26 giugno 2012.
Albonetti, Barbi, Bergamini, Bindi, Brugger, Buonfiglio, Buttiglione, Caparini, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Commercio, Gianfranco Conte, Corsini, D'Alema, Dal Lago, De Girolamo, Della Vedova, Donadi, Dozzo, Fallica, Renato Farina, Fava, Tommaso Foti, Franceschini, Galli, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guzzanti, Iannaccone, Jannone, La Malfa, Leone, Lombardo, Lucà, Lupi, Malgieri, Mazzocchi, Melchiorre, Migliavacca, Milanato, Misiti, Moffa, Mogherini Rebesani, Mosca, Mura, Mussolini, Nirenstein, Nucara, Leoluca Orlando, Pisicchio, Rigoni, Stefani, Stucchi, Valducci, Vitali, Volontè.
(Alla ripresa pomeridiana della seduta).
Barbi, Bergamini, Bindi, Brugger, Buonfiglio, Buttiglione, Caparini, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Commercio, Gianfranco Conte, Corsini, D'Alema, Dal Lago, De Girolamo, Della Vedova, Donadi, Dozzo, Fallica, Renato Farina, Fava, Tommaso Foti, Franceschini, Galli, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guzzanti, Iannaccone, Jannone, La Malfa, Leone, Lombardo, Lucà, Lupi, Malgieri, Mazzocchi, Melchiorre, Migliavacca, Milanato, Misiti, Moffa, Mogherini Rebesani, Mosca, Mura, Mussolini, Nirenstein, Nucara, Leoluca Orlando, Pisicchio, Rigoni, Stefani, Stucchi, Valducci, Vitali, Volontè.
Annunzio di una proposta di legge.
In data 25 giugno 2012 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di legge d'iniziativa del deputato:
DE PASQUALE: «Modifica all'articolo 5 del decreto-legge 1o settembre 2008, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169, concernente la disciplina dell'adozione dei libri di testo nella scuola primaria e nella scuola secondaria di primo e di secondo grado» (5310).
Sarà stampata e distribuita.
Annunzio di un disegno di legge.
In data 26 giugno 2012 è stato presentato alla Presidenza il seguente disegno di legge:
dal Presidente del Consiglio dei ministri e dai ministri dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti:
«Conversione in legge del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, recante misure urgenti per la crescita del Paese» (5312).
Sarà stampato e distribuito.
Annunzio di una proposta di legge d'iniziativa regionale.
In data 25 giugno 2012 è stata presentata alla Presidenza, ai sensi dell'articolo 121 della Costituzione, la seguente proposta di legge:
PROPOSTA DI LEGGE D'INIZIATIVA DELL'ASSEMBLEA REGIONALE SICILIANA: «Modifiche all'articolo 17, commi 10, 11 e 12, del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, e all'articolo 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122» (5311).
Sarà stampata e distribuita.
Adesione di un deputato ad una proposta di legge.
La proposta di legge SANTELLI ed altri: «Modifiche all'articolo 7 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, in materia di pagamento dell'imposta sul valore aggiunto al momento dell'effettiva riscossione del corrispettivo, e agli articoli 53 e 54 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, in materia di realizzazione dei crediti tributari privilegiati nelle procedure fallimentari» (5255) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Cosenza.
Trasmissione dal Presidente del Senato .
Il Presidente del Senato, con lettera in data 14 giugno 2012, ha comunicato che la 3a Commissione (Affari esteri) del Senato ha approvato, ai sensi dell'articolo 144, commi 1 e 6, del regolamento del Senato, una risoluzione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce uno strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo (COM(2011)840 final), sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce uno strumento di partenariato per la cooperazione con i Paesi terzi (COM(2011)843 final) e sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce uno strumento per la stabilità (COM(2011)845 final) (atto Senato doc. XVIII, n. 164), che è trasmessa alla III Commissione (Affari esteri) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
Trasmissione dal ministro dell'interno.
Il ministro dell'interno, con lettera del 12 giugno 2012, ha trasmesso una nota relativa all'attuazione data all'ordine del giorno ZELLER ed altri n. 9/4865-AR/38, accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 26 gennaio 2012, concernente l'opportunità di differire il termine per l'adeguamento alle disposizioni di prevenzione incendi da parte delle strutture ricettive turistico-alberghiere.
La suddetta nota è a disposizione degli onorevoli deputati presso il Servizio per il Controllo parlamentare ed è trasmessa alle Commissioni VIII (Ambiente) e X (Attività produttive) competenti per materia.
Trasmissione dal Comitato interministeriale per la programmazione economica.
La Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica, in data 25 giugno 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, comma 4, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, la delibera CIPE n. 42/2012 del 23 marzo 2012, concernente «Sistema conti pubblici territoriali (CPT). Attribuzione della seconda tranche dell'assegnazione di cui alla delibera CIPE n. 1/2006 e della prima tranche dell'assegnazione di cui alla delibera CIPE n. 19/2008».
Tale delibera è trasmessa alla V Commissione (Bilancio).
Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.
La Commissione europea, in data 25 giugno 2012, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, la comunicazione della Commissione – Regioni ultraperiferiche dell'Unione europea: verso una partnership per la crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva (COM(2012)287 final), che è assegnata, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alla V Commissione (Bilancio), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
Atti di controllo e di indirizzo.
Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.
ERRATA CORRIGE
Nell’Allegato A al resoconto della seduta del 18 giugno 2012, alla pagina 6, seconda colonna, le righe dalla trentatreesima alla quarantacinquesima, devono intendersi sostituite integralmente dal seguente annuncio:
«Il ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con lettera in data 12 giugno 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1, comma 4, della legge 18 giugno 1998, n. 194, la relazione sull'andamento del processo di liberalizzazione e di privatizzazione del trasporto aereo relativa al secondo semestre 2011 (doc. LXXI, n. 6).
Questo documento è trasmesso alla IX Commissione (Trasporti).».
MOZIONI FRANCESCHINI ED ALTRI N. 1-01075, CICCHITTO ED ALTRI N. 1-01076, MOFFA ED ALTRI N. 1-01088, NUCARA ED ALTRI N. 1-01089, CAMBURSANO E BRUGGER N. 1-01092, DONADI ED ALTRI N. 1-01095, DOZZO ED ALTRI N. 1-01096, PISICCHIO ED ALTRI N. 1-01097 E GALLETTI, DELLA VEDOVA ED ALTRI N. 1-01098 SULLA POLITICA EUROPEA DELL'ITALIA IN VISTA DEL CONSIGLIO EUROPEO DEL 28-29 GIUGNO 2012
Mozioni
La Camera,
premesso che:
l'attuale crisi economica, sociale e politica che colpisce l'Unione europea e, in particolare, i Paesi della zona euro, rappresenta certamente la più grave dai trattati di Roma. Durante questa crisi, l'Unione europea ha reagito molto lentamente, spesso in ritardo, a volte con sottovalutazione e non si è dimostrata capace di articolare una visione e una risposta politica adeguata. In assenza di una netta svolta, a partire dal vertice europeo del 28-29 giugno 2012, si potrebbe assistere alla fine dello stesso progetto europeo, con catastrofiche conseguenze: impoverimento dei cittadini, instabilità politica e sociale e il rischio di una conflittualità che, più volte in passato, ha devastato l'intero continente;
la durezza della crisi è avvertita in quasi tutti i Paesi, ma non vi è dubbio che la drammatica situazione sociale ed economica in Grecia e le crescenti difficoltà del sistema bancario della Spagna, con possibili effetti negativi sul resto della zona euro, sono oggi al centro delle preoccupazioni dell'Italia;
di fronte a ritardi ed esitazioni incomprensibili e a dichiarazioni irresponsabili, che adombrano la possibile fuoriuscita della Grecia dall'euro e ne sottovalutano le imprevedibili ripercussioni negative per l'intera Unione europea, occorre ribadire: l'assoluta necessità di evitare la fuoriuscita della Grecia dall'eurozona; l'esigenza, politica ed economica, di dimostrare piena solidarietà ad Atene; l'urgenza di gestire efficacemente una crisi economica e finanziaria che rimane di portata contenuta rispetto all'entità complessiva del prodotto interno lordo europeo;
occorre, quindi, sottolineare con forza che non esistono opzioni alternative al sostegno della Grecia e ai piani di salvataggio dello stato ellenico, se si vogliono evitare le ripercussioni immediate sugli altri Paesi della zona euro - ivi inclusa l'Italia ma anche la stessa Germania - che sarebbero, ad uno ad uno, attaccati dalla speculazione, soprattutto a causa dell'attuale debolezza politica dell'Europa e degli squilibri strutturali dell'Unione economica e monetaria;
per questo motivo si ritiene che la cura decisiva alla malattia europea consista nella capacità di rilanciare con coraggio la visione federalista di un'Europa unita, unica possibilità di ritrovare insieme, in un'unione più ampia e federale, quella sovranità condivisa che i singoli Stati nazionali hanno ormai perso, di fatto, nell'epoca della globalizzazione, e che la soluzione venga dalla volontà di denunciare, ridurre e progressivamente annullare i costi della cosiddetta «non-Europa», realizzando istituzioni europee con vera legittimazione democratica e capacità di governo, riformando i trattati e rilanciando il processo costituente e politico;
si devono, in particolare, correggere gli squilibri del progetto iniziale dell'Unione economica e monetaria e completare e aggiornare il Trattato di Lisbona, superando le sue insufficienze per andare al di là del puro e semplice coordinamento fra Stati membri che appare sempre più inadeguato;
d'altra parte, l'opacità e la debolezza politica dell'Unione europea, largamente basata sulla rappresentanza indiretta dei Governi nazionali e su una Commissione europea non legittimata dal voto popolare, apparentemente lontana dai suoi cittadini, alimenta populismi, estremismi e demagogie neo-nazionaliste e provoca crescenti reazioni di rigetto da parte delle sue popolazioni;
la debolezza politica, l'assenza di legittimazione democratica reale e la crisi di fiducia tra l'Unione europea e i cittadini rimangono poi un ostacolo, oggi insormontabile, per avanzare in settori vitali quali la sicurezza interna ed esterna, l'immigrazione, la politica energetica ed industriale, la ricerca e l'innovazione, la mobilità dei giovani, la politica estera e la difesa comune, e per definire nuove politiche economiche, fiscali e sociali comuni; in assenza di un mutamento delle strategie a livello europeo – e se tale scenario dovesse prolungarsi – l'Unione europea non potrebbe più disporre dei mezzi per resistere alle tendenze centrifughe ed alla crescita dei populismi;
in questo spirito appare urgente ed indispensabile un segnale forte rivolto dal Parlamento europeo alle opinioni pubbliche ed alle istituzioni nazionali ed europee, eventualmente attraverso una sessione straordinaria chiamata a fissare gli elementi essenziali di un progetto costituente, del metodo e dell'agenda per realizzarlo;
in questo senso, occorre che l'Italia accetti la sfida posta dalle recenti dichiarazioni della Cancelliera Merkel e di altri esponenti del Governo tedesco, che collegano ogni meccanismo di solidarietà a livello europeo e di mutualizzazione del debito a un aumento della cessione di sovranità dei singoli Stati in campo fiscale e politico, ribadendo la propria disponibilità a compiere subito, senza alcun indugio, passi decisivi verso una sempre maggiore integrazione e verso un'Unione federale;
in tale contesto, si attende con molto interesse di conoscere i risultati del lavoro affidato ai presidenti della Commissione europea, José Manuel Barroso, del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, della Banca centrale europea, Mario Draghi, e del presidente dell'Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, che dovranno presentare proposte innovative per una maggiore integrazione politica, economica e fiscale in vista del vertice europeo del 28-29 giugno 2012;
se la risposta politica è quella decisiva per rafforzare in modo concreto l'Unione europea e per rilanciare il progetto europeo, nell'immediato è assolutamente urgente trovare una via di uscita comune da una crisi economica e sociale, causa di crescente povertà e ingiustizia sociale in gran parte del continente;
la perdurante situazione di instabilità dei mercati finanziari, le incertezze sulle prospettive dell'economia europea e sullo stato della crisi, riconfermate dagli ultimi rapporti della Banca centrale europea e della Commissione europea, rendono ancora necessaria la politica di stabilità, qualificazione e razionalizzazione delle spese, in particolare per Stati come l'Italia;
la credibilità del risanamento dei conti pubblici, la maggiore omogeneità tra i debiti sovrani dei membri dell'eurozona, nonché il perseguimento di equilibri di bilancio sostenibili sono, in effetti, elementi molto importanti per far uscire l'eurozona dalla crisi attuale, ridare fiducia nel potenziale di crescita dell'economia europea, garantire solidità all'euro e credibilità al progetto europeo;
tuttavia, è oramai opinione condivisa che la sola politica di stabilità non sia sufficiente per rilanciare l'economia europea e che, anzi, spinta oltre un limite ragionevole, comporti effetti recessivi che deprimono l'economia, aumentano il disagio sociale e rendono impossibile il raggiungimento degli stessi obiettivi di risanamento;
anche all'ultimo vertice del G8 i Capi di Stato e di Governo hanno affermato che «l'imperativo è creare crescita e occupazione» e che «saranno intrapresi tutti i passi necessari per rafforzare le nostre economie e combattere le tensioni finanziarie», aggiungendo che «servono riforme e investimenti appropriati in istruzione e infrastrutture»;
vanno in questo senso anche le più recenti prese di posizione del presidente della Banca centrale europea Mario Draghi, che ha affermato che «la crescita deve tornare al centro dell'agenda» e del presidente della Commissione europea José Manuel Barroso, il quale ha ribadito come occorra affiancare all'austerità una strategia europea per l'occupazione e la crescita attraverso riforme e investimenti mirati, anche se l'azione di proposta della Commissione europea non si è tradotta in proposte adeguate, in particolare nel settore delle politiche con conseguenze finanziarie pluriennali;
per quanto riguarda l'azione italiana, si deve ribadire quanto affermato nelle premesse della risoluzione n. 6-00109 di accompagnamento all'ultimo Documento di economia e finanza, vale a dire che: «la priorità dell'azione del Governo e del Parlamento non può essere, da questo momento in avanti, che la crescita dell'economia nazionale, attraverso il rafforzamento della produttività totale dei fattori di sistema, da perseguire con assoluta determinazione sia a livello interno che dell'Unione europea, sensibilizzando i nostri partner e tenendo conto delle indicazioni che provengono anche dalle più influenti organizzazioni internazionali», realizzando quelle azioni volte a promuovere la competitività e la crescita indicate nel nuovo piano nazionale di riforma: l'apertura dei mercati, la promozione del merito, la tutela dei consumatori, il potenziamento delle infrastrutture digitali e di trasporto, il miglioramento del servizio giustizia, il sostegno allo start up delle nuove imprese e alla internazionalizzazione;
occorre ribadire poi, sul piano europeo, che il vincolo a correggere eccessivi e perduranti squilibri nel quadro macroeconomico generale dei singoli Paesi deve valere non solo per il risanamento richiesto ai Paesi in deficit di bilancio, ma anche per quelli in avanzo strutturale, come la Germania; Paesi che devono sviluppare un'azione di politica economica attiva volta a stimolare l'aumento della loro domanda interna, ottenendo, quindi, un riequilibrio della bilancia commerciale, anche tollerando una dinamica dei salari e dei prezzi in controllato incremento;
la crisi greca, infatti, ha messo in luce questi squilibri strutturali creando una crisi di fiducia nella sostenibilità dei debiti pubblici, provocando un repentino aumento dei tassi di interesse e un circolo vizioso che, in assenza di importanti surplus di bilancio, ha portato il debito pubblico ad autoalimentarsi;
ogni Paese ha così dovuto adottare rigorosi piani di salvataggio, accompagnati e sostenuti dall'immissione di liquidità decisa dalla Banca centrale europea, ma la mancanza di un vero coordinamento ed i piani di salvataggio adottati volta per volta, ad hoc, non hanno permesso di conciliare le esigenze del rigore finanziario e della crescita economica, mentre i tagli alle spese hanno colpito soprattutto le spese sociali e gli investimenti; i Paesi più indebitati rischiano così di soffrire di una crescita molto debole per molti anni, con conseguente aggravarsi del peso dei loro debiti e delle tensioni sociali;
di recente, l'Unione europea ha deciso un intervento senza precedenti a favore della Spagna, mettendo a disposizione fino a 100 miliardi di euro del Fondo europeo di stabilità finanziaria (cosiddetto fondo salva Stati) per sostenere le banche spagnole in difficoltà, con l'impegno del Governo spagnolo di riformare e risanare il settore finanziario iberico sulla base di un piano che la Spagna dovrà presentare alle istituzioni comunitarie; in parallelo, la Banca centrale europea ha messo a disposizione del sistema bancario della zona euro liquidità illimitate sino al 15 ottobre 2013; anche questi interventi, necessari e che i firmatari del presente atto di indirizzo sostengono convintamente, hanno comunque dimostrato la necessità di creare una vera vigilanza europea e un sistema di assicurazione europea dei depositi bancari della zona euro, per rafforzare l'efficacia dell'azione delle istituzioni comunitarie, prevenire ulteriori crisi e rafforzare l'unione monetaria contro gli attacchi speculativi;
il clima politico mutato in Europa, maggiormente attento ai pericoli di una recessione provocata da politiche fiscali troppo restrittive e favorevole ad azioni più coraggiose sul piano del sostegno alla crescita, è stato ulteriormente rafforzato dalla vittoria in Francia del presidente François Hollande, il quale, nei suoi primi incontri con la Cancelliera tedesca Angela Merkel e al vertice del G8, ha inteso portare avanti alcune proposte che rappresentano primi importanti passi in avanti: project bond, potenziamento delle capacità di investimento della Banca europea degli investimenti, tassa sulle transazioni finanziarie, uso dei fondi strutturali rimasti inutilizzati ed eurobond;
in coerenza con gli impegni assunti dall'Italia e nella consapevolezza della delicata situazione del suo debito pubblico, il Parlamento ha già avviato l’iter di esame ed approvazione del cosiddetto trattato sul «fiscal compact», così come di quello istitutivo del meccanismo europeo di stabilità, prevedendo scambi ufficiali di visite tra i relatori dei provvedimenti della Camera dei deputati e del Senato e gli omologhi relatori al Bundestag e Bundesrat; la regolare ratifica dei due trattati va, infatti, considerata come un ulteriore esempio di affidabilità del Paese e può dare un più forte impulso ed una maggiore credibilità agli sforzi del Governo per ottenere - dagli altri partner e, in particolare, dalla Germania - un accordo sugli strumenti di crescita, stabilità e mutualizzazione del debito che il Governo richiede in sede europea;
tutti questi temi saranno affrontati al Consiglio europeo del 28-29 giugno 2012, occasione nella quale i Capi di Stato e di Governo europeo dovranno necessariamente definire un'azione chiara e incisiva di sostegno alla crescita europea, individuando gli strumenti, le priorità e le disponibilità economiche per dare contenuto ad una nuova strategia, un «growth compact» che affianchi e completi il «fiscal compact», e prendendo alcune prime decisioni immediatamente operative,
impegna il Governo:
a ribadire la necessità della costruzione dell'Europa politica e federale, rilanciando la discussione sul futuro dell'Europa con tutti i Paesi disponibili, anche richiedendo la convocazione di una convenzione per la riforma dei trattati e il riavvio del processo costituente, interrotto nel 2005, in occasione delle elezioni europee del 2014, a cento anni dallo scoppio della prima guerra mondiale e a perseguire i seguenti obiettivi: rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo; ampliamento del ricorso al voto a maggioranza; effettiva creazione di una unione fiscale e bancaria, con una politica economica e fiscale comune ed un apposito Ministro del tesoro per l'eurozona; elezione del presidente della Commissione europea in occasione delle elezioni europee, attribuendo alla stessa personalità le funzioni di presidente della Commissione e del Consiglio europeo; rafforzamento delle funzioni esecutive della Commissione europea, da trasformare in un vero e proprio governo europeo sotto controllo democratico; più forte coinvolgimento dei parlamenti nazionali; rafforzamento dell'Europa sociale; costruzione di una reale politica della ricerca, dell'immigrazione, della sicurezza, estera e di difesa comune; modifica della struttura, aumento delle risorse del bilancio comunitario e introduzione di nuove risorse proprie, come una tassa sulle transazioni finanziarie internazionali e una carbon tax europea;
a promuovere in questo spirito una dichiarazione dell'insieme dei Governi che hanno firmato il cosiddetto «fiscal compact», o di una maggioranza di essi, che riaffermi il ruolo democratico del Parlamento europeo in collaborazione con i Parlamenti nazionali, cogliendo l'occasione del sessantesimo anniversario della nascita dell'Assemblea della Comunità europea del carbone e dell'acciaio il 10 settembre 1952, e che si impegni a rilanciare il processo di integrazione politica;
a proporre una road map che preveda l'Unione bancaria entro il 2012 e l'Unione fiscale entro la primavera 2014, prima del riavvio del processo costituente nel giugno del 2014; ad avviare, in particolare, una discussione sui poteri, le finalità e le funzioni della Banca centrale europea che, anche attraverso una modifica dei trattati, le dia un mandato più ampio di quello attuale e la doti di prerogative simili a quelle delle maggiori banche centrali mondiali, inclusi i poteri di vigilanza bancaria e l'effettivo potere di controllo e verifica dell'effettiva destinazione, all'economia reale e alle imprese, dei prestiti della stessa Banca centrale europea al sistema bancario;
a sostenere le proposte per la creazione di una effettiva ed unitaria vigilanza europea sul settore creditizio e bancario, così come è stabilito dalla proposta legislativa, adottata dalla Commissione europea il 6 giugno 2012, relativa ad un quadro di nuovi strumenti comunitari per il risanamento delle banche e per la risoluzione delle crisi bancarie, volti ad assicurare la possibilità per le autorità di intervenire «preventivamente», in fase di «allerta precoce» e, infine, con il salvataggio delle funzioni essenziali della banca, senza che i costi della ristrutturazione e della risoluzione ricadano sui contribuenti piuttosto che sui proprietari e sui creditori della banca stessa;
nel campo della regolamentazione europea dei mercati finanziari, a sostenere la necessità di rafforzare l'attività normativa avviata nel corso degli ultimi anni in materia, per completare il quadro di vigilanza a livello europeo, integrando, sempre a tale proposito, il quadro normativo sugli strumenti derivati over the counter (otc), completando il processo di revisione della direttiva 2004/39/CE (cosiddetta direttiva mifid), rafforzando il quadro regolamentare sulle agenzie di rating, anche attraverso una limitazione dell'affidamento delle istituzioni finanziarie sui giudizi di rating emessi dalle agenzie e prevedendo un'efficace tutela giurisdizionale civilistica per gli investitori, nonché riproponendo il potenziamento delle attività di rating svolte direttamente dalle banche centrali e la creazione di un'agenzia di rating europea indipendente;
a sostenere, a livello europeo, una politica di investimenti finalizzati allo sviluppo dell'impresa e dell'occupazione allo scopo di ridurre il differenziale di competitività tra Paesi europei, prevedendo il finanziamento di tale politica attraverso l'emissione di project bond, l'aumento del capitale della Banca europea degli investimenti e della sua capacità operativa per investire in progetti di avvenire e rilanciare una vera crescita;
a sostenere la proposta del Parlamento europeo di creare un redemption fund, composto dalla parte del debito di ogni Stato membro eccedente il 60 per cento da trasferire in un periodo di 5 anni, gestito dalla Commissione europea, per lo stock di debito accumulato, e a insistere con forza affinché divengano proposte operative le soluzioni tecniche contenute nel Libro verde della Commissione europea, quanto alle future emissioni di debito, per l'effettiva mutualizzazione, almeno parziale, dei debiti sovrani, con particolare riferimento agli eurobond, nonché ad approfondire le più recenti ipotesi dei cosiddetti eurobill, anche considerando la possibilità di combinare le diverse opzioni per permettere una loro rapida attuazione;
considerata la pesante recessione in corso nel nostro Paese, a concordare con la Commissione europea, entro la fine di giugno 2012, l'eliminazione per l'Italia delle spese per investimento dal computo dei saldi di finanza pubblica a partire dal 2012, al fine di innalzare la spesa per investimenti qualificati immediatamente realizzabili, evitare l'ulteriore aggravamento delle condizioni economiche e sociali e avvicinare gli obiettivi di indebitamento e debito pubblico;
a rilanciare con forza l'idea di portare «il mercato comune alla successiva fase di sviluppo», perseguendo le iniziative indicate nella lettera dei 12 Primi Ministri a Herman Van Rompuy e José Manuel Barroso, del 20 febbraio 2012, dando particolare rilievo all'apertura del settore dei servizi, al mercato unico digitale e a quello dell'energia, all'area europea della ricerca e al sostegno delle piccole e medie imprese e delle micro imprese;
a rilanciare, altresì, il tema dell'Europa sociale, chiedendo di avviare azioni in questo campo per la mobilità dei lavoratori, i nuovi programmi di apprendistato, l'aumento degli scambi e della mobilità tra studenti, stagisti e apprendisti.
(1-01075) «Franceschini, Gozi, Ventura, Maran, Villecco Calipari, Amici, Boccia, Lenzi, Quartiani, Giachetti, Rosato, Tempestini, Fluvi, Baretta».
La Camera,
premesso che:
l'attuale crisi economica, sociale e politica che colpisce l'Unione europea e, in particolare, i paesi della zona euro, rappresenta certamente la più grave dai trattati di Roma. Durante questa crisi, l'Unione europea ha reagito molto lentamente, spesso in ritardo, a volte con sottovalutazione e non si è dimostrata capace di articolare una visione e una risposta politica adeguata. In assenza di una netta svolta, a partire dal vertice europeo del 28-29 giugno 2012, si potrebbe assistere alla fine dello stesso progetto europeo, con catastrofiche conseguenze: impoverimento dei cittadini, instabilità politica e sociale e il rischio di una conflittualità che, più volte in passato, ha devastato l'intero continente;
la durezza della crisi è avvertita in quasi tutti i paesi, ma non vi è dubbio che la drammatica situazione sociale ed economica in Grecia e le crescenti difficoltà del sistema bancario della Spagna, con possibili effetti negativi sul resto della zona euro, sono oggi al centro delle preoccupazioni dell'Italia;
di fronte a ritardi ed esitazioni incomprensibili e a dichiarazioni irresponsabili, che adombrano la possibile fuoriuscita della Grecia dall'euro e ne sottovalutano le imprevedibili ripercussioni negative per l'intera Unione europea, occorre ribadire: l'assoluta necessità di evitare la fuoriuscita della Grecia dall'eurozona; l'esigenza, politica ed economica, di dimostrare piena solidarietà ad Atene; l'urgenza di gestire efficacemente una crisi economica e finanziaria che rimane di portata contenuta rispetto all'entità complessiva del prodotto interno lordo europeo;
occorre, quindi, sottolineare con forza che non esistono opzioni alternative al sostegno della Grecia e ai piani di salvataggio dello stato ellenico, se si vogliono evitare le ripercussioni immediate sugli altri paesi della zona euro – ivi inclusa l'Italia ma anche la stessa Germania – che sarebbero, ad uno ad uno, attaccati dalla speculazione, soprattutto a causa dell'attuale debolezza politica dell'Europa e degli squilibri strutturali dell'Unione economica e monetaria;
per questo motivo si ritiene che la cura decisiva alla malattia europea consista nella capacità di rilanciare con coraggio la visione federalista di un'Europa unita, unica possibilità di ritrovare insieme, in un'unione più ampia e federale, quella sovranità condivisa che i singoli Stati nazionali hanno ormai perso, di fatto, nell'epoca della globalizzazione, e che la soluzione venga dalla volontà di denunciare, ridurre e progressivamente annullare i costi della cosiddetta «non-Europa», realizzando istituzioni europee con vera legittimazione democratica e capacità di governo, riformando i trattati e rilanciando il processo costituente e politico;
si devono, in particolare, correggere gli squilibri del progetto iniziale dell'Unione economica e monetaria e completare e aggiornare il Trattato di Lisbona, superando le sue insufficienze per andare al di là del puro e semplice coordinamento fra Stati membri che appare sempre più inadeguato;
d'altra parte, l'opacità e la debolezza politica dell'Unione europea, largamente basata sulla rappresentanza indiretta dei Governi nazionali e su una Commissione europea non legittimata dal voto popolare, apparentemente lontana dai suoi cittadini, alimenta populismi, estremismi e demagogie neo-nazionaliste e provoca crescenti reazioni di rigetto da parte delle sue popolazioni;
la debolezza politica, l'assenza di legittimazione democratica reale e la crisi di fiducia tra l'Unione europea e i cittadini rimangono poi un ostacolo, oggi insormontabile, per avanzare in settori vitali quali la sicurezza interna ed esterna, l'immigrazione, la politica energetica ed industriale, la ricerca e l'innovazione, la mobilità dei giovani, la politica estera e la difesa comune, e per definire nuove politiche economiche, fiscali e sociali comuni; in assenza di un mutamento delle strategie a livello europeo – e se tale scenario dovesse prolungarsi – l'Unione europea non potrebbe più disporre dei mezzi per resistere alle tendenze centrifughe ed alla crescita dei populismi;
in questo spirito appare urgente ed indispensabile un segnale forte rivolto dal Parlamento europeo alle opinioni pubbliche ed alle istituzioni nazionali ed europee, eventualmente attraverso una sessione straordinaria chiamata a fissare gli elementi essenziali di un progetto costituente, del metodo e dell'agenda per realizzarlo;
in questo senso, occorre che l'Italia accetti la sfida posta dalle recenti dichiarazioni della cancelliera Merkel e di altri esponenti del Governo tedesco, che collegano ogni meccanismo di solidarietà a livello europeo e di mutualizzazione del debito a un aumento della cessione di sovranità dei singoli Stati in campo fiscale e politico, ribadendo la propria disponibilità a compiere subito, senza alcun indugio, passi decisivi verso una sempre maggiore integrazione e verso un'Unione federale;
in tale contesto, si attende con molto interesse di conoscere i risultati del lavoro affidato ai presidenti della Commissione europea, José Manuel Barroso, del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, della Banca centrale europea, Mario Draghi, e del presidente dell'Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, che dovranno presentare proposte innovative per una maggiore integrazione politica, economica e fiscale in vista del vertice europeo del 28-29 giugno 2012;
se la risposta politica è quella decisiva per rafforzare in modo concreto l'Unione europea e per rilanciare il progetto europeo, nell'immediato è assolutamente urgente trovare una via di uscita comune da una crisi economica e sociale, causa di crescente povertà e ingiustizia sociale in gran parte del continente;
la perdurante situazione di instabilità dei mercati finanziari, le incertezze sulle prospettive dell'economia europea e sullo stato della crisi, riconfermate dagli ultimi rapporti della Banca centrale europea e della Commissione europea, rendono ancora necessaria la politica di stabilità, qualificazione e razionalizzazione delle spese, in particolare per Stati come l'Italia;
la credibilità del risanamento dei conti pubblici, la maggiore omogeneità tra i debiti sovrani dei membri dell'eurozona, nonché il perseguimento di equilibri di bilancio sostenibili sono, in effetti, elementi molto importanti per far uscire l'eurozona dalla crisi attuale, ridare fiducia nel potenziale di crescita dell'economia europea, garantire solidità all'euro e credibilità al progetto europeo;
tuttavia, è oramai opinione condivisa che la sola politica di stabilità non sia sufficiente per rilanciare l'economia europea e che, anzi, spinta oltre un limite ragionevole, comporti effetti recessivi che deprimono l'economia, aumentano il disagio sociale e rendono impossibile il raggiungimento degli stessi obiettivi di risanamento;
anche all'ultimo vertice del G8 i Capi di Stato e di Governo hanno affermato che «l'imperativo è creare crescita e occupazione» e che «saranno intrapresi tutti i passi necessari per rafforzare le nostre economie e combattere le tensioni finanziarie», aggiungendo che «servono riforme e investimenti appropriati in istruzione e infrastrutture»;
vanno in questo senso anche le più recenti prese di posizione del presidente della Banca centrale europea Mario Draghi, che ha affermato che «la crescita deve tornare al centro dell'agenda» e del presidente della Commissione europea José Manuel Barroso, il quale ha ribadito come occorra affiancare all'austerità una strategia europea per l'occupazione e la crescita attraverso riforme e investimenti mirati, anche se l'azione di proposta della Commissione europea non si è tradotta in proposte adeguate, in particolare nel settore delle politiche con conseguenze finanziarie pluriennali;
per quanto riguarda l'azione italiana, si deve ribadire quanto affermato nelle premesse della risoluzione n. 6-00109 di accompagnamento all'ultimo Documento di economia e finanza, vale a dire che: «la priorità dell'azione del Governo e del Parlamento non può essere, da questo momento in avanti, che la crescita dell'economia nazionale, attraverso il rafforzamento della produttività totale dei fattori di sistema, da perseguire con assoluta determinazione sia a livello interno che dell'Unione europea, sensibilizzando i nostri partner e tenendo conto delle indicazioni che provengono anche dalle più influenti organizzazioni internazionali», realizzando quelle azioni volte a promuovere la competitività e la crescita indicate nel nuovo piano nazionale di riforma: l'apertura dei mercati, la promozione del merito, la tutela dei consumatori, il potenziamento delle infrastrutture digitali e di trasporto, il miglioramento del servizio giustizia, il sostegno allo start up delle nuove imprese e alla internazionalizzazione;
occorre ribadire poi, sul piano europeo, che il vincolo a correggere eccessivi e perduranti squilibri nel quadro macroeconomico generale dei singoli paesi deve valere non solo per il risanamento richiesto ai paesi in deficit di bilancio, ma anche per quelli in avanzo strutturale, come la Germania;
paesi che devono sviluppare un'azione di politica economica attiva volta a stimolare l'aumento della loro domanda interna, ottenendo, quindi, un riequilibrio della bilancia commerciale, anche tollerando una dinamica dei salari e dei prezzi in controllato incremento;
la crisi greca, infatti, ha messo in luce questi squilibri strutturali creando una crisi di fiducia nella sostenibilità dei debiti pubblici, provocando un repentino aumento dei tassi di interesse e un circolo vizioso che, in assenza di importanti surplus di bilancio, ha portato il debito pubblico ad autoalimentarsi;
ogni paese ha così dovuto adottare rigorosi piani di salvataggio, accompagnati e sostenuti dall'immissione di liquidità decisa dalla Banca centrale europea, ma la mancanza di un vero coordinamento ed i piani di salvataggio adottati volta per volta, ad hoc, non hanno permesso di conciliare le esigenze del rigore finanziario e della crescita economica, mentre i tagli alle spese hanno colpito soprattutto le spese sociali e gli investimenti; i paesi più indebitati rischiano così di soffrire di una crescita molto debole per molti anni, con conseguente aggravarsi del peso dei loro debiti e delle tensioni sociali;
di recente, l'Unione europea ha deciso un intervento senza precedenti a favore della Spagna, mettendo a disposizione fino a 100 miliardi di euro del Fondo europeo di stabilità finanziaria (cosiddetto Fondo salva Stati) per sostenere le banche spagnole in difficoltà, con l'impegno del Governo spagnolo di riformare e risanare il settore finanziario iberico sulla base di un piano che la Spagna dovrà presentare alle istituzioni comunitarie; in parallelo, la Banca centrale europea ha messo a disposizione del sistema bancario della zona euro liquidità illimitate sino al 15 ottobre 2013; anche questi interventi, necessari e che i firmatari del presente atto di indirizzo sostengono convintamente, hanno comunque dimostrato la necessità di creare una vera vigilanza europea e un sistema di assicurazione europea dei depositi bancari della zona euro, per rafforzare l'efficacia dell'azione delle istituzioni comunitarie, prevenire ulteriori crisi e rafforzare l'unione monetaria contro gli attacchi speculativi;
il clima politico mutato in Europa, maggiormente attento ai pericoli di una recessione provocata da politiche fiscali troppo restrittive e favorevole ad azioni più coraggiose sul piano del sostegno alla crescita, è stato ulteriormente rafforzato dalla vittoria in Francia del presidente François Hollande, il quale, nei suoi primi incontri con la Cancelliera tedesca Angela Merkel e al vertice del G8, ha inteso portare avanti alcune proposte che rappresentano primi importanti passi in avanti; project bond, potenziamento delle capacità di investimento della Banca europea per gli investimenti, tassa sulle transazioni finanziarie, uso dei fondi strutturali rimasti inutilizzati ed eurobond;
peraltro, innegabilmente tra le cause della crisi finanziaria vi è l'azione della speculazione internazionale che non ha ancora trovato una regolamentazione stringente e adeguata, nonostante la Banca dei regolamenti internazionali (Bri) nel suo rapporto abbia ancora sottolineato con preoccupazione come l'utilizzo dei derivati negoziati su mercati non regolamentati (OtC) sia oramai ripreso con intensità crescente, raggiungendo il valore nozionale di 650 mila miliardi di dollari (nove volte e mezzo il prodotto interno lordo del mondo), aspetto del tutto inaccettabile alla luce del fatto che già due anni fa il rapporto La Rosière, in Europa, così come il Dodd-Frank Act negli Stati Uniti nel 2010, avevano per tempo evidenziato l'esigenza di porre sotto controllo il mercato degli OtC, imponendo la contrattazione attraverso stanze di compensazione opportunamente capitalizzate e con meccanismi di margine;
sembra, pertanto, non rinviabile la necessità di definire accordi a livello europeo e mondiale al fine di porre restrizioni sui credit default swap sovrani, evitando il rischio che il mercato dei derivati negoziati, al di fuori dei mercati regolamentati, anticipi e forzi lo spread sovrano per trarne profitto, esaltando il rischio endogeno e quello sistemico;
in coerenza con gli impegni assunti dall'Italia e nella consapevolezza della delicata situazione del suo debito pubblico, il Parlamento ha già avviato l’iter di esame ed approvazione del cosiddetto trattato sul «fiscal compact», così come di quello istitutivo del meccanismo europeo di stabilità, prevedendo scambi ufficiali di visite tra i relatori dei provvedimenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e gli omologhi relatori al Bundestag e Bundesrat; la regolare ratifica dei due trattati va, infatti, considerata come un ulteriore esempio di affidabilità del Paese e può dare un più forte impulso ed una maggiore credibilità agli sforzi del Governo per ottenere – dagli altri partner e, in particolare, dalla Germania – un accordo sugli strumenti di crescita, stabilità e mutualizzazione del debito che il Governo richiede in sede europea;
tutti questi temi saranno affrontati al Consiglio europeo del 28-29 giugno 2012, occasione nella quale i Capi di Stato e di Governo europeo dovranno necessariamente definire un'azione chiara e incisiva di sostegno alla crescita europea, individuando gli strumenti, le priorità e le disponibilità economiche per dare contenuto ad una nuova strategia, un growth compact che affianchi e completi il «fiscal compact», e prendendo alcune prime decisioni immediatamente operative,
impegna il Governo:
a ribadire la necessità della costruzione dell'Europa politica e federale, rilanciando la discussione sul futuro dell'Europa con tutti i paesi disponibili, promuovendo, a termine, la convocazione di una convenzione per la riforma dei trattati e il riavvio del processo costituente, interrotto nel 2005;
a promuovere in questo spirito una dichiarazione dell'insieme dei Governi che hanno firmato il cosiddetto «fiscal compact», o di una maggioranza di essi, che riaffermi il ruolo democratico del Parlamento europeo in collaborazione con i Parlamenti nazionali, cogliendo l'occasione del sessantesimo anniversario della nascita dell'Assemblea della Comunità europea del carbone e dell'acciaio il 10 settembre 1952, e che si impegni a rilanciare il processo di integrazione politica;
a proporre un percorso a tappe che preveda la realizzazione, nei tempi più rapidi possibili, dell'unione bancaria e dell'unione fiscale in vista del riavvio del processo costituente nel giugno del 2014; ad avviare, in particolare, una discussione sui poteri, le finalità e le funzioni della Banca centrale europea che, anche attraverso una modifica dei trattati, valuti l'opportunità di conferirle un mandato più ampio di quello attuale e la doti di prerogative simili a quelle delle maggiori banche centrali mondiali, inclusi i poteri di vigilanza bancaria e l'effettivo potere di controllo e verifica dell'effettiva destinazione, all'economia reale e alle imprese, dei prestiti della stessa Banca centrale europea al sistema bancario;
a sostenere le proposte per la creazione di una effettiva ed unitaria vigilanza europea sul settore creditizio e bancario, così come è stabilito dalla proposta legislativa, adottata dalla Commissione europea il 6 giugno 2012, relativa ad un quadro di nuovi strumenti comunitari per il risanamento delle banche e per la risoluzione delle crisi bancarie, volti ad assicurare la possibilità per le autorità di intervenire «preventivamente», in fase di «allerta precoce» e, infine, con il salvataggio delle funzioni essenziali della banca, senza che i costi della ristrutturazione e della risoluzione ricadano sui contribuenti piuttosto che sui proprietari e sui creditori della banca stessa;
a sostenere ogni iniziativa necessaria ad accelerare la regolamentazione europea dei mercati creditizi e finanziari, quale elemento indispensabile per il superamento della crisi dei debiti sovrani, ponendosi, tra l'altro, gli obiettivi di restringere l'utilizzo di strumenti derivati negoziati in mercati non regolamentati (OtC), di adeguare la capitalizzazione delle banche alla reale entità delle perdite subite e di rafforzare il quadro regolamentare sulle agenzie di rating;
a sostenere, a livello europeo, una politica di investimenti finalizzati allo sviluppo dell'impresa e dell'occupazione allo scopo di ridurre il differenziale di competitività tra paesi europei, prevedendo il finanziamento di tale politica attraverso l'emissione di project bond, l'aumento del capitale della Banca europea per gli investimenti e della sua capacità operativa per investire in progetti di avvenire e rilanciare una vera crescita;
a valutare l'opportunità di sostenere la proposta del Parlamento europeo di creare un redemption fund, composto dalla parte del debito di ogni Stato membro eccedente il 60 per cento da trasferire in un periodo di 5 anni, gestito dalla Commissione europea, per lo stock di debito accumulato, e le soluzioni tecniche contenute nel Libro verde della Commissione europea, quanto alle future emissioni di debito, per l'effettiva mutualizzazione, almeno parziale, dei debiti sovrani, con particolare riferimento agli eurobond, nonché ad approfondire le più recenti ipotesi dei cosiddetti eurobill, anche considerando la possibilità di combinare le diverse opzioni per permettere una loro rapida attuazione;
considerata la pesante recessione in corso nel nostro Paese, a negoziare con la Commissione europea le soluzioni più opportune relative alla valutazione da attribuire alle spese per investimento nel computo dei saldi di finanza pubblica a partire dal 2012;
a rilanciare con forza l'idea di portare «il mercato comune alla successiva fase di sviluppo», perseguendo le iniziative indicate nella lettera dei 12 primi ministri a Herman Van Rompuy e José Manuel Barroso, del 20 febbraio 2012, dando particolare rilievo all'apertura del settore dei servizi, al mercato unico digitale e a quello dell'energia, all'area europea della ricerca e al sostegno delle piccole e medie imprese e delle micro-imprese;
a rilanciare, altresì, il tema dell'Europa sociale, chiedendo di avviare azioni in questo campo per la mobilità dei lavoratori, i nuovi programmi di apprendistato, l'aumento degli scambi e della mobilità tra studenti, stagisti e apprendisti.
(1-01075)
(Nuova formulazione) «Franceschini, Gozi, Letta, Ventura, Maran, Villecco Calipari, Amici, Boccia, Lenzi, Quartiani, Giachetti, Rosato, Tempestini, Fluvi, Baretta».
La Camera,
premesso che:
nella attuale fase di crisi economica e finanziaria e di generalizzata recessione, i Paesi dell'eurozona e gli altri membri dell'Unione europea hanno avviato iniziative volte a coniugare le politiche di rigore dei bilanci con la crescita e lo sviluppo;
tali iniziative, dopo il dibattito tenuto in occasione del pranzo informale dei Capi di Stato e di Governo del 23 maggio 2012, dovranno necessariamente tradursi in decisioni, ambiziose, concrete, lungimiranti e di lungo periodo al Consiglio europeo del 28-29 giugno 2012;
il quadro europeo vede ancora irrisolta la crisi della Grecia, per la quale in questi ultimi tre anni è stato fatto troppo poco e troppo tardi, e dove un Paese ed un popolo hanno pagato e pagano prezzi gravissimi anche a causa della tardiva e incerta reazione cui la riluttanza di alcuni partner ha portato l'Europa sin dalle fasi iniziali della grave crisi, allorché con assai minore aggravio di oneri per tutti la Grecia avrebbe dovuta essere condotta fuori dal tunnel, consolidando la sua permanenza nell'area euro;
cittadini e imprese subiscono le gravi conseguenze della recessione e della crisi, che è anzitutto una crisi politica e di governance, ovvero ciò che ha impedito ed impedisce di assumere, in modo unitario, decisioni politiche strategiche, e non solo, di reazione emergenziale agli attacchi speculativi, ancora in corso, ai debiti sovrani;
il Parlamento, con la risoluzione n. 6-00109 di accompagnamento al Documento di economia e finanza, approvato il 26 aprile 2012, ha sottolineato l'importanza che il Governo operi affinché modifiche strutturali nei trattati siano introdotte verso l'attribuzione alla Banca centrale europea del ruolo di prestatore di ultima istanza; affinché la politica europea per la crescita utilizzi gli strumenti dei project bond, degli eurobond e degli stability bond; affinché il cosiddetto «fiscal compact» sia ratificato contestualmente dai principali Paesi dell'eurozona, e comunque dall'Italia non prima che intervenga la ratifica tedesca;
il Parlamento europeo, nell'esame dei regolamenti presentati dalla Commissione (two pack) relativi alla disciplina di bilancio, ha respinto la proposta di scorporo degli investimenti dal calcolo del deficit di bilancio, ma ha approvato la creazione di un fondo europeo che assume i debiti dei Paesi che eccedono il 60 per cento del prodotto interno lordo, e che emette obbligazioni a tassi di interesse ridotti con la garanzia di tutti i Paesi membri entro limiti temporali determinati;
appare ormai evidente come il Consiglio europeo informale di maggio 2012 ha mostrato che politiche dell'Unione europea, basate sulla carenza di azione comune di governance e sulla mera prosecuzione di ricette di puro e semplice rigore, sono inidonee tanto a contrastare la speculazione finanziaria quanto a creare nuove condizioni per lo sviluppo ed accentuano, in tutti i Paesi, assieme alla spirale recessiva, pericolose dinamiche euroscettiche cui sempre più larghe aree di opinione pubblica sono sensibili;
è, dunque, indispensabile per l'interesse nazionale dell'Italia promuovere azioni di stimolo effettivo dello sviluppo, senza abbandonare la parallela linea del controllo dei conti pubblici; considerare insieme disciplina della spesa e spinta verso lo sviluppo rappresenta la sintesi, possibile ed oggi doverosa, tra ricette che finora hanno visto Paesi europei tra loro divisi con contrasti gravemente dannosi per l'intera eurozona;
sarà, dunque, essenziale che il Governo italiano promuova e consolidi le opportune sinergie con l'obbiettivo di raggiungere l'accordo che sinora è mancato sulle iniziative per lo sviluppo;
sulla base di quanto sopra espresso e di quanto precisato negli impegni che seguono, si assicura il sostegno al Presidente del Consiglio dei ministri e all'azione che egli dovrà svolgere in occasione del prossimo Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2012,
impegna il Governo:
in preparazione e nel corso del Consiglio europeo del mese di giugno 2012, a sostenere e promuovere iniziative europee per lo sviluppo e la crescita con l'obiettivo di:
a) creare un'unione bancaria dell'area euro, che preveda un fondo europeo di garanzia sui depositi bancari, un sistema centralizzato di sorveglianza sugli istituti di credito, una regolamentazione uniforme dei fallimenti bancari, l'istituzione di un'agenzia europea di rating del credito;
b) attivare con effetto immediato i project bond europei e delineare criteri condivisi perché anche eurobond e stability bond siano attivati in tempi certi, nell'ambito di un'unione economica dell'area euro;
c) coordinare tali strumenti con il potenziamento degli interventi della Banca europea degli investimenti e con l'uso migliore e più efficace dei fondi strutturali nazionali;
d) sostenere un dibattito politico europeo non formale sul «cantiere istituzionale» verso un'unione politica dell'area euro, cui gli Stati membri non dovrebbero più opporre obiezioni pregiudiziali, includendo, tra gli altri, il tema cruciale dell'unione fiscale e dei relativi meccanismi di controllo sovranazionale delle politiche di bilancio;
e) favorire, attraverso opportune modifiche dei trattati, un processo riformatore volto ad attribuire alla Banca centrale europea un nuovo mandato che preveda il ruolo di prestatore di ultima istanza;
f) garantire l'accesso al credito da parte delle imprese, anche attraverso un adeguato monitoraggio dei flussi di credito erogati dalla Banca centrale europea ad istituti bancari nazionali, preservandone la prioritaria destinazione ad alimentare le capacità di credito del settore bancario verso la produzione e l'economia reale, con particolare riferimento alle piccole e medie imprese;
g) insistere nel sostegno a criteri europei per lo scorporo strutturale di alcune categorie di investimento, di riconosciuto interesse comune, dal computo del deficit dei Paesi membri;
h) proseguire nell'istituzione di un fondo speciale comunitario, già approvato dal Parlamento europeo, che assume i debiti dei Paesi che eccedono il limite del 60 per cento del prodotto interno lordo, fissato dal «fiscal compact», e che emette obbligazioni a tassi di interesse ridotti con la garanzia di tutti gli Stati membri entro limiti temporali determinati;
i) definire tempi certi per il completamento del mercato interno, aumentando competitività ed introducendo flessibilità nel mercato del lavoro secondo i principi europei;
l) proporre, secondo la tradizione europeistica italiana, una più forte prospettiva di Europa solidale che, accanto alla capacità di governo «politico», sia pronta a reagire con effetto immediato ad attacchi diretti ad uno o più degli Stati membri, compresi gli attacchi speculativi e finanziari, al pari di quelli ambientali o terroristici, e stabilire, quindi, interpretando in tal senso, con l'impulso dell'Italia, il Trattato di Lisbona, una clausola europea di solidarietà di fronte alle minacce ed agli attacchi, così da mostrare ai cittadini la funzione di «protezione» europea come ulteriore e concreto effetto positivo dell'appartenenza alla casa comune.
(1-01076) «Cicchitto, Frattini, Brunetta».
La Camera,
premesso che:
il 28 e 29 giugno 2012 si riunisce il Consiglio europeo che dovrebbe prendere decisioni, tra le altre, in materia di: a) misure di stabilizzazione dell'eurozona; b) iniziative in materia di crescita; c) rafforzamento dell'Unione europea e ulteriore integrazione politica dell'Unione; d) quadro finanziario pluriennale 2014-2020;
a quattro anni dalla crisi del 2008 la situazione si è aggravata, in quanto non è stata circoscritta agli interessi privati ma si è estesa a quelli pubblici, non si è limitata alle banche ma ha colpito violentemente gli Stati;
la crisi ha prodotto negli Stati un effetto da esplosione a catena di fenomeni che possono diventare inarrestabili e che hanno messo in luce il fallimento dell'architettura europea, figlia di un meccanismo che è partito dal mercato unico per giungere alla moneta unica;
l'Unione europea fondata sul monetarismo come elemento strategico ha mostrato tutta la sua fragilità, in quanto non può esistere una moneta senza Stati e una moneta europea senza uno spazio politico europeo;
appare evidente che la trasmissione politica monetaria nell'eurozona non ha funzionato e il motivo sta tutto nel fatto che questa non ha impattato con l'economia reale; gli stessi interventi a sostegno delle banche hanno finanziato esclusivamente la tenuta del sistema creditizio senza alcuna ricaduta sulle imprese, in particolare piccole e medie, e sulle stesse famiglie;
all'esclusivo sostegno del sistema creditizio si è associata l'azione di smantellamento della democrazia stessa; il principio democratico non è stato solo accantonato dal Consiglio dell'Unione europea ma anche dalla Commissione e il Parlamento europeo e, in tale contesto, non è stato in grado di assolvere alla sua funzione;
è necessario modificare le regole del trattato per costruire un'Europa diversa, un'Europa dei popoli che sia in grado di coniugare rigore, crescita e sviluppo, con azioni sinergiche che siano contestuali e coordinate tra loro;
il primo intervento di modifica al trattato è prevedere che la Banca centrale europea sia una banca che agisce da banca e non da supporto o aiuto ai processi speculativi;
le liquidità straordinarie messe a disposizione dalla Banca centrale europea per prestiti triennali alle banche sono pari a mille miliardi di euro, una somma che coincide per entità con i debiti delle banche dell'area euro che scadono nel triennio 2012-2014; queste risorse, appare evidente, saranno utilizzate per rimborsare i bond bancari in scadenza dal 2012 e nulla andrà alle imprese e alle famiglie, nulla al sostegno allo sviluppo e alla crescita;
tra le priorità deve figurare l'accelerazione dell'entrata in vigore della modifica dell'articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che ha istituito il meccanismo europeo di stabilità (Esm); questi deve diventare operativo già dal mese di luglio 2012 per far si che esso si possa cumulare con l'intervento del Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf); questo consentirebbe nella seconda metà del 2012 una capacità di prestito combinata pari a 700 miliardi di euro;
è, altresì, necessario e improcrastinabile procedere alla creazione di un'unione bancaria dei Paesi aderenti all'Unione europea che si basi su: a) un sistema comune di garanzia dei depositi; b) un fondo europeo di risoluzione dei fallimenti bancari; c) una centralizzazione della vigilanza bancaria;
in un contesto di crisi recessiva è fondamentale ricorrere a eurobond e project bond, tenuto conto che il ricorso ai project bond è già previsto nell'abito delle proposte della Commissione europea per il quadro finanziario pluriennale dell'Unione europea e al sistema delle risorse proprie per il 2014-2020 e sarà avviato in via sperimentale già nel prossimo biennio;
la Commissione europea il 28 settembre 2011 ha presentato una proposta di direttiva che riguarda l'istituzione di un'imposta sulle transazioni finanziarie;
il Governo in tale ambito deve adoperarsi affinché questa direttiva sia oggetto di una condivisione tra gli Stati dell'Unione europea, affinché tale proposta sia efficace e produca effetti positivi, che verrebbero meno senza una condivisione sinergica dei Paesi aderenti;
al fine di sostenere la crescita e lo sviluppo è necessario prevedere lo scomputo dal calcolo del deficit dei singoli Stati di una quota significativa della spesa pubblica per investimenti,
impegna il Governo:
ad attivarsi con adeguate iniziative al superamento dell'attuale Unione europea fondata esclusivamente sul monetarismo e unificata dai mercati, un'impostazione che è alla base della crisi recessiva, affinché si costruisca una Unione europea dei popoli, politica e solidale, che risponda alle esigenze di crescita e di sviluppo delle imprese e delle famiglie;
a sostenere e favorire la modifica dei trattati con l'obiettivo di prevedere che la Banca centrale europea divenga il sostegno agli Stati e ai programmi di crescita e sviluppo, in qualità di prestatore di ultima istanza;
ad adoperarsi affinché i flussi di credito erogati dalla Banca centrale europea al sistema creditizio siano utilizzati da quest'ultimo per il sostegno all'economia reale e alle famiglie, anche attraverso forme effettive ed efficaci di monitoraggio delle liquidità fornite dalla Banca centrale europea alle banche;
a superare la fase sperimentale dei project bond allo scopo di attivarli come modalità di sostegno strutturale alle imprese e per la realizzazione di progetti infrastrutturali, e a sostenere con decisione l'attivazione di eurobond e stability bond in tempi brevi, sollecitando gli Stati europei a stabilire criteri condivisi;
a proporre in sede di Unione europea la possibilità dello scomputo dal calcolo del deficit dei singoli Stati di una quota significativa della spesa pubblica per investimenti;
a sostenere la proposta di direttiva presentata dalla Commissione europea il 28 settembre 2011 in merito all'istituzione di un'imposta sulle transazioni finanziarie, favorendo la condivisione di tale proposta tra gli Stati dell'Unione europea, condizione imprescindibile per l'efficace applicazione dell'imposta.
(1-01088) «Moffa, Calearo Ciman, Catone, Cesario, D'Anna, Gianni, Lehner, Marmo, Milo, Mottola, Orsini, Pionati, Pisacane, Polidori, Razzi, Romano, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini, Stasi, Taddei».
La Camera,
premesso che:
la crisi finanziaria che attanaglia quasi tutta l'Europa è, a tutti gli effetti, una crisi economica che, inevitabilmente, porta con sé effetti sociali dirompenti e in alcuni casi drammatici;
la progressiva finanziarizzazione dell'economia, che si è sviluppata fin dagli anni Ottanta del secolo scorso, ha provocato effetti che ora mostrano le loro drammatiche controindicazioni. Le banche sono diventate delle società finanziarie attive su scala globale operanti a 360 gradi sui mercati finanziari di tutto il mondo: così facendo hanno perso la loro originale funzione che resta, o almeno dovrebbe restare, quella di garanzia del credito per sostenere l'economia, gli investimenti, lo sviluppo. In virtù di questa loro finalità, le banche hanno svolto un ruolo cruciale per lo sviluppo economico del sistema capitalista;
allontanare la finanza dall'economia, creando un'entità virtuale separata dal valore reale dei beni, ha creato una frattura difficile da ricomporre, il cui prezzo si sta rivelando altissimo;
contemporaneamente, a partire dal crollo del muro di Berlino, si è affermata la cosiddetta globalizzazione, un fenomeno che ha, di fatto, rivelato un mondo nuovo molto più grande del precedente, nel quale la dimensione nazionale è divenuta rapidamente insufficiente a governare il presente. Il destino del cittadino non si sviluppa più esclusivamente all'interno dello Stato nazionale, ma è influenzato direttamente da avvenimenti e realtà anche molto distanti, che un tempo non avrebbero influito in maniera così diretta sulla sua condizione;
se si pensa all'allargamento dell'Unione europea verso i Paesi dell'est Europa, occorre considerare che solo pochi anni fa questi erano al centro di profondi conflitti interni; oggi, invece, sono diventati mercati appetibili per gli investimenti e le installazioni di aziende e multinazionali: molte aziende italiane hanno dislocato in quella regione le proprie produzioni;
lo stesso fenomeno con molta probabilità avverrà – in tempi più brevi – nei Paesi arabi del Mediterraneo, coinvolti nel 2011 dalla cosiddetta «Primavera araba». Appare, cioè, evidente che oggi, a differenza di ieri, quello che accade al Cairo o a Belgrado ha una ricaduta immediata sull'Italia e, quindi, sulla vita quotidiana dei nostri concittadini. La globalizzazione finanziaria ha preceduto, e forse accelerato, questo percorso, ma non ha delineato, perché non è il suo compito, una forma di governo di questo nuovo mondo globale. Governare, infatti, è compito della politica;
la politica deve, dunque, riappropriarsi del proprio ruolo. Il processo di unificazione europea, nato certamente sotto la spinta di necessità finanziarie ed economiche, deve essere governato politicamente;
si devono precisare i luoghi deputati alle decisioni sovranazionali e le istituzioni predisposte a farlo. Devono, cioè, essere chiarite le responsabilità e, soprattutto, deve essere definito con la massima decisione ed urgenza dove ed in capo a chi risieda la sovranità;
si è detto e si continua a dire Europa, ma non può essere il Fondo monetario internazionale né la Banca centrale europea ha delineare le scelte politiche dell'Unione europea. Urgono, perciò, scelte politiche assunte in comune dalle istituzioni preposte a delineare una politica comune. La rivendicazione di questo principio è il primo ma inevitabile passo verso la possibilità concreta di affrontare la crisi, che non è solo finanziaria né solo economica, ma anche sociale e, dunque, politica;
spesso si è detto e si è auspicato che l'Europa deve riuscire a parlare con una sola voce. Ad oggi, questo pare essere più che altro un augurio. Solo pochi giorni fa Bernard Cazeneuve, Ministro francese per gli affari europei, ha dichiarato che gli eurobond non sono uno strumento per aggiungere debito a debito o per mutualizzare il deficit dei singoli Paesi, bensì solo un mezzo per assicurare il risanamento, che garantirà la crescita e posti di lavoro. Aggiunge anche che «senza solidarietà» finanziaria, per l'Europa non c’è avvenire. Contemporaneamente, Wolfgang Schaeuble ha dichiarato che prima degli eurobond all'Europa serve una reale unione fiscale, ribadendo pochi giorni dopo che, a prescindere da come finiranno le elezioni in Grecia, questa dovrà onorare fino in fondo il suo debito. E mentre dalla Spagna si invocavano fondi europei per le banche del Paese, dall'Olanda si ribadiva il rifiuto ad uno schema di garanzie europeo sui depositi. È evidente che una situazione del genere non può che creare dubbi e confusione e facilitare ogni tentativo di speculazione;
il risultato delle elezioni in Grecia rappresenta un segnale molto importante per il futuro non solo di quel Paese, ma dell'intero continente, a dimostrazione che la crisi greca non era e non è solo una crisi nazionale. Fino ad oggi, si è voluto affrontare ogni crisi come se fosse un caso singolo e nazionale e non - come invece dovrebbe essere - come la crisi di un pezzo d'Europa; il prossimo Consiglio europeo è l'occasione per certificare un chiaro cambio di rotta in questo senso;
anche lo Stato più forte tra quelli europei, se rimanesse da solo, nella malaugurata ipotesi di un crollo dell'Europa, si troverebbe ad essere una piccola realtà nel panorama globale. Un'Europa veramente unita è l'unica possibilità di rilancio di ogni sua singola nazione appartenente, dalla più forte alla più debole;
l'Europa è una soluzione difficile quanto ambiziosa. Ma resta inevitabile. Ovviamente, comporta dei costi per tutti, si tratta di dover declinare la sovranità nazionale, inevitabilmente perdendone una parte consistente, come sta già comunque avvenendo. Ciò sarà inevitabile, ma è impensabile che i Paesi deboli chiedano di distribuire il proprio debito a scapito di quelli più forti. Troppi Paesi, finora, compresa l'Italia, hanno vissuto per troppi anni al di sopra delle proprie possibilità;
il sacrificio deve, dunque, essere collettivo. Solo così il debito e la compartecipazione al debito possono diventare una leva per futuri investimenti che, in particolare, dovranno essere finalizzati e puntati allo sviluppo delle aree più depresse del vecchio continente;
il Mediterraneo, alla luce dei rivolgimenti avvenuti sulla sua sponda meridionale, deve diventare la frontiera del nuovo sviluppo e dei nuovi investimenti europei: è questa l'area strategica dove investire per creare un'Europa più forte e competitiva;
allo stato attuale, molti cittadini europei subiscono le gravi conseguenze della crisi, che, come detto, è anzitutto una crisi politica perché sono mancate decisioni politiche comuni e strategiche;
appare, dunque, necessario affrontare definitivamente la prospettiva di una vera Unione federale, democratica e solidale al suo interno, ed il prossimo Consiglio europeo deve dare risposte adeguate nel merito di questo sviluppo;
l'Italia sta facendo la propria parte. L'Unione europea deve fornire risposte politiche adeguate, finalizzate a forme di investimento solidale. È, quindi, necessario che gli strumenti di intervento, soprattutto nei mercati finanziari, siano potenziati e messi in grado di agire senza eccessivi ritardi. In quest'ottica occorre prevedere forme di integrazione dei debiti pubblici nazionali ed anche di emissione di titoli di debito pubblico europeo perché i soli obiettivi del rigore finanziario e della riduzione del debito pubblico non esauriscono l'orizzonte della risposta europea alla crisi;
appare necessario vagliare con attenzione l'ipotesi avanzata per la creazione di un fondo europeo, il cosiddetto «european redemption pact», nel quale potrebbe confluire la parte eccedente il 60 per cento del prodotto interno lordo dei debiti dei Paesi europei che, a loro volta, si impegnerebbero a ripagare le passività con le loro entrate fiscali. Una soluzione complessa e forse tecnicamente impraticabile al momento, vista la profonda disomogeneità dei vari sistemi fiscali nazionali, ma che coglie, comunque, l'aspetto più profondo del problema, andando nella direzione di una gestione condivisa del debito, al prezzo della perdita di una parte di sovranità da parte dei singoli Stati;
si è chiamati a costruire una vera e propria federazione europea, capace di garantire un equilibrio democratico alla rappresentanza di Stati e popoli e di assicurare il principio di responsabilità del governo dell'Unione europea di fronte ai cittadini d'Europa. Le difficoltà che si hanno di fronte sono l'occasione e l'opportunità per rilanciare l'Europa come realtà politica prima che finanziaria ed economica;
alla luce di quanto esposto in premessa ed in vista del prossimo Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2012,
impegna il Governo:
a perseguire il rafforzamento del metodo comunitario, quale strumento centrale del processo di integrazione europea, riducendo il peso eccessivo del metodo intergovernativo e rilanciando, quindi, la prospettiva di un'Europa federale;
ad assumere le necessarie iniziative affinché l'adozione di politiche di rigore di bilancio e di riduzione del deficit siano necessariamente contestuali al delinearsi di precisi impegni di investimento strutturale in chiave di sviluppo comune, collegando, quindi, l'azione di risanamento a quella per la crescita e ponendo fine alla distinzione delle due;
ad assumere iniziative per affermare la necessità di una sempre più stretta integrazione economica all'interno dell'Unione europea, in particolare con programmi specifici per l'avvio, nel breve periodo, di titoli di debito pubblico comuni dell'area euro;
a prevedere che si possa investire sulle grandi infrastrutture trans-europee attraverso il ricorso a specifici europroject finanziati da eurobond, creando debiti europei per investimenti europei;
a prevedere la creazione di un fondo europeo di garanzia sui depositi bancari, un sistema di sorveglianza comune sugli istituti di credito e un'agenzia europea di rating;
a promuovere una modifica dello statuto della Banca centrale europea, inserendo tra i suoi compiti anche quello di sostenere e promuovere politiche di investimento e sviluppo, sul modello della Federal reserve, e di assolvere al ruolo di prestatrice di ultima istanza;
a farsi promotore, infine, presso le istituzioni europee di un coordinamento dei diversi sistemi fiscali, allo scopo di poter contare su parametri di politica fiscale omogenei in tutta l'Unione europea.
(1-01089) «Nucara, Ossorio, Brugger».
La Camera,
premesso che:
il Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2012, secondo le indicazioni emerse nel corso del precedente incontro informale del 23 maggio 2012, dovrebbe incentrarsi sui seguenti temi: misure di stabilizzazione dell'eurozona; iniziative in materia di crescita; rafforzamento dell'Unione economica e ipotesi di ulteriore integrazione politica dell'Unione europea; quadro finanziario pluriennale 2014-2020;
la discussione sui primi tre punti dovrebbe svolgersi sulla base di una relazione che sarà predisposta dal presidente del Consiglio europeo Van Rompuy, che dovrebbe individuare i principali elementi costitutivi e un metodo di lavoro per condurre l'unione economica e monetaria verso una nuova fase;
la discussione sulla stabilizzazione dell'eurozona dovrebbe incentrarsi su due profili: a) il primo attiene agli strumenti di sostegno ai Paesi colpiti da crisi del debito sovrano, con particolare riferimento all'effettiva entrata in vigore del nuovo meccanismo europeo di stabilità (European stability mechanism, Esm) dell'area euro e alla sua combinazione con gli strumenti attualmente operanti, nonché al loro utilizzo per sostenere il settore creditizio; b) il secondo concerne la creazione di nuovi strumenti volti ad assicurare una gestione o garanzia comune (di parte) del debito sovrano degli Stati membri dell'eurozona al fine di prevenire future crisi;
le opzioni «sul tavolo» sono numerose: dagli stability bond (emissione in comune di titoli di debito da parte degli Stati dell'eurozona) alla creazione di un fondo europeo di redenzione;
sui primi, la Commissione europea nel novembre 2011 individuò tre opzioni a seconda del grado di sostituzione: a) sostituzione totale dei titoli nazionali con gli stability bond, con garanzia congiunta e differenziata; b) sostituzione parziale dei titoli nazionali, con garanzia congiunta e differenziata; c) sostituzione parziale dei titoli nazionali con gli stability bond con garanzia differenziata;
la proposta di creare un fondo europeo di redenzione (Erf), invece, prevede di far confluire nel fondo l'importo dei debiti pubblici degli Stati dell'eurozona per la parte eccedente il 60 per cento del prodotto interno lordo. Il fondo europeo di redenzione emetterebbe titoli per una durata massima di 20-25 anni garantiti dal gettito delle imposte riscosse a livello nazionale e da asset pubblici dei Paesi assistiti;
in un sistema chiuso come quello dell'euro non possono essere tutti creditori. Il fatto che una politica controproducente venga imposta crea una dinamica politica molto pericolosa, che invece di unire i Paesi membri, li spingerà a recriminazioni reciproche e potrebbe provocare il rischio concreto che l'euro possa minare la coesione politica dell'Unione europea;
i tagli alla spesa imposti ad alcuni Paesi stanno spingendo l'Europa in una trappola deflazionistica. La riduzione del deficit di bilancio crea una pressione verso il basso sui salari e sui profitti, le economie si contraggono e il gettito fiscale potrebbe crollare;
l'ammontare del debito, che è dato dal rapporto tra debito cumulato e prodotto interno lordo, di fatto aumenta, richiedendo ulteriori tagli di bilancio e ingenerando così un circolo vizioso;
con l'arrivo dell'euro la Banca centrale europea ha trattato su un piano di parità i titoli di Stato dei diversi Paesi membri. Questo ha incentivato le banche ad accumulate titoli dei Paesi più deboli per guadagnare qualche punto base in più. L'introduzione della moneta unica ha poi provocato la divergenza di competitività che, oggi, è così difficile da correggere. Le banche sono state «zavorrate» con i buoni del tesoro di Paesi meno competitivi, che, da privi di rischio com'erano, sono diventati più rischiosi. Le autorità hanno allora ordinato al sistema bancario europeo di ricapitalizzarsi: è stato il colpo di grazia, perché le banche sono state fortemente incentivate a ridurre il bilancio, chiedendo il rimborso dei prestiti e sbarazzandosi dei rischiosi titoli di Stato;
il «credit crunch» ha fatto sentire i suoi effetti sull'economia reale. La Banca centrale europea ha iniziato prima a ridurre i tassi d'interesse e a comprare titoli di Stato sul mercato aperto;
il meccanismo del ltro (operazioni di rifinanziamento a lungo termine) della Banca centrale ha alleviato le pene del sistema bancario, ma l'effetto positivo è già terminato;
il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, il 30 maggio 2012 ha prospettato l'esigenza di creare una «Unione bancaria» fra i Paesi dell'eurozona, basata su tre pilastri: un sistema comune di garanzia dei depositi; un fondo europeo di risoluzione (per i fallimenti bancari); una più forte centralizzazione della vigilanza bancaria a livello di Unione europea;
ciò costituirebbe lo strumento necessario per affrontare la causa fondamentale dell'instabilità finanziaria in Europa, vale a dire il nesso tra le difficoltà del sistema bancario («stress bancario») e quelle della finanza pubblica («stress sovrano»);
se l'appuntamento europeo di fine giugno 2012 non avviasse un immediato cambio di rotta, il deterioramento dell'economia e la disintegrazione politica e sociale si rafforzerebbero a vicenda. Chi trova intollerabile questo stato di cose e cerca il cambiamento è spinto all'estremismo anti europeo. Se l'Europa avrà la forza ed il coraggio di portare a compimento una drastica regolazione del mercato finanziario e di avviare finalmente una precisa strategia per la crescita, si potrebbe pensare di diventare a medio termine una zona di stabilita;
il Parlamento italiano, con la risoluzione n. 6-00109 di accompagnamento al documento di economia e finanza approvato il 26 aprile 2012, ha sottolineato l'importanza che il Governo operi affinché modifiche strutturali nei trattati siano introdotte in direzione dell'attribuzione alla Banca centrale europea del ruolo di prestatore di ultima istanza;
il Parlamento europeo, nell'esame delle proposte di regolamenti della Commissione europea (two pack) relativi alla disciplina di bilancio, ha respinto la proposta di scorporo degli investimenti dal calcolo del deficit di bilancio, ma ha approvato la creazione di un fondo europeo che assuma i debiti dei Paesi che eccedono il 60 per cento del prodotto interno lordo, e che emetta obbligazioni a tassi di interesse ridotti con la garanzia di tutti i Paesi membri entro limiti temporali determinati,
impegna il Governo:
a sostenere un dibattito politico europeo sul «cantiere istituzionale» verso una Unione politica dell'area euro che comprenda l'unione fiscale con i relativi meccanismi di controllo sovranazionale delle politiche di bilancio;
a sostenere e a promuovere iniziative europee per lo sviluppo con l'obiettivo di:
a) creare una Unione bancaria dell'area euro così come evidenziato in premessa;
b) attivare con effetto immediato i project bond europei;
c) sostenere, attraverso opportune modifiche dei trattati, un processo riformatore volto ad attribuire alla Banca centrale europea un nuovo mandato che preveda il ruolo di prestatore di ultima istanza;
d) sostenere con forza lo scorporo strutturale di alcune categorie di investimento dal computo del deficit del Paesi membri («golden rule»);
e) definire tempi certi per il completamento del mercato interno, aumentando competitività ed introducendo flessibilità nel mercato del lavoro secondo i principi europei;
a promuovere la prosecuzione dei lavori del Consiglio europeo relativamente all'imposta sulle transazioni finanziarie;
a stimolare le sinergie tra strumenti nazionali ed europei, compresi i fondi strutturali, in particolare al fine di combattere la disoccupazione giovanile;
a promuovere un aumento di capitale della Banca europea per gli investimenti.
(1-01092) «Cambursano, Brugger».
La Camera,
premesso che:
secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, in una sua dichiarazione fatta a Los Cabos in Messico, dove si è svolto il 18 e il 19 giugno 2012 il G20, i prossimi dieci giorni saranno decisivi per il futuro dell'euro in vista del vertice europeo di fine giugno 2012. Infatti, il 28-29 giugno 2012 si terrà il vertice europeo che dovrà assumere decisioni impegnative, dalle quali dipende il destino non solo dell'euro, ma quello dell'integrità e della stabilità dell'eurozona, nonché l'avvenire dello stesso processo di unificazione europeo;
le misure che devono essere prese dovranno segnare una discontinuità reale rispetto a quanto deciso finora dalle autorità europee che, di fronte alla crisi finanziaria ed economica che ha investito in particolare i Paesi dell'eurozona, hanno adottato misure che, imponendo rigore e politiche di austerità di bilancio contemporaneamente a tutti i Paesi che utilizzano la moneta unica, hanno innescato una spirale recessiva che impedisce la stessa messa in sicurezza dei conti pubblici e offre spazio alle manovre speculative dei mercati finanziari che scommettono contro l'euro o, perlomeno, sull'uscita di uno o più Paesi dall'area euro;
l'errore è soprattutto di analisi: la questione fondamentale è rappresentata non dalle politiche di austerità ma dalle divergenze di competitività. Per affrontarle, se si esclude l'uscita dall'euro, è necessaria la ripresa dell'economia dell'eurozona e l'espansione del credito e dei redditi nei Paesi con saldi commerciali attivi. Se non si riconosce la vera natura della crisi, l'eurozona non ha alcuna possibilità di risolvere i problemi o di prevenire la loro riproduzione;
in quest'ultimo decennio, la Germania ed i Paesi dell'area «tedesca» (Olanda ed Austria in particolare) hanno accumulato, a causa di un cambio marco-euro sottovalutato e di un forte differenziale di produttività, enormi avanzi commerciali, mentre le bilance commerciali dei Paesi «periferici» registravano deficit crescenti. Le banche dell'area tedesca e quelle francesi elargivano finanziamenti ai Paesi in deficit commerciale. Un meccanismo perfetto e conveniente per tutte le parti in causa per un periodo, ma intrinsecamente e strutturalmente, insostenibile, e, in effetti, messo in discussione dalla crisi economico-finanziaria iniziata nel 2007-2008;
la spirale austerità-recessione-austerità gonfia il debito pubblico e condanna a morte l'Unione europea. Non esiste la possibilità di una «austerità espansiva»: si tratta solo di un ossimoro che rispecchia gli interessi di pochi Paesi europei e che riproduce le cause profonde della crisi che si sta vivendo. È impossibile che abbia successo una politica coordinata di austerità in un'area economica così integrata come l'eurozona;
l'unione monetaria è vulnerabile a causa della crisi delle bilance dei pagamenti, che, in assenza di una piena integrazione delle politiche di bilancio e della finanza, rende quasi certo il riprodursi della crisi;
la moneta unica è a rischio non solo per colpa degli speculatori attirati dagli squilibri di finanza pubblica dei «Piigs», tant’è che nonostante le pesanti e ricorrenti manovre di finanza pubblica, gli spread dall'inizio del 2012 sono ancora alti nei Paesi della cosiddetta «periferia» dell'Unione europea, ma salgono anche nell'area centrale dell'Unione stessa, come, ad esempio, testimonia il downgrading inflitto alla Francia dalle agenzie di rating. Le radici della rottura del fragile equilibrio sul quale si è retto l'euro nell'ultimo decennio non stanno essenzialmente nei debiti pubblici dei Paesi oggi in difficoltà, ma in un sistema squilibrato dove i Paesi della «periferia», grazie al loro indebitamento in larga misura privato, hanno alimentato le esportazioni dei Paesi centrali a partire da quelle della Germania;
il debito pubblico medio della zona euro è inferiore a quella degli Usa. Paesi che rispettavano in pieno i criteri del patto di stabilità riguardanti il deficit e lo stock del debito, quali la Spagna e l'Irlanda, hanno visto il loro modello di sviluppo, basato su delle bolle immobiliari o bancarie, implodere nel corso dell'anno 2008, quando la congiuntura economica internazionale è mutata;
nella maggior parte dei Paesi dell'eurozona, gli squilibri delle finanze pubbliche sono la conseguenza delle politiche di salvataggio delle banche attuate negli anni 2008 e 2009 e delle forti riduzioni di imposte sulle società nell'ambito di una concorrenza al ribasso tra Paesi europei: la pressione fiscale ufficiale sulle società dei Paesi della zona euro si è mediamente ridotta di 10 punti percentuali tra il 2000 e il 2010;
l'euro e l'Unione europea sono a rischio a causa delle ampie asimmetrie di competitività delle aree legate alla moneta unica e delle risposte sbagliate date a questa crisi: le politiche di «svalutazione interna» orientate unicamente all’export, ossia alla ricerca della competitività attraverso la riduzione del costo del lavoro e delle misure di welfare, rappresentano quella che si potrebbe definire una vera e propria guerra commerciale fredda giocata sulla regressione del lavoro;
viceversa, è necessario ed urgente sostenere la domanda aggregata interna all'area euro, un sostegno alla domanda che deve arrivare sia da risorse pubbliche che da una più equa distribuzione del reddito e della ricchezza, un'equità che può diventare una variabile macroeconomica propulsiva di uno sviluppo sostenibile;
in particolare, sono urgenti interventi anticiclici a livello di eurozona da finanziare attraverso risorse comuni;
lo stesso impianto della cosiddetta «agenda di Lisbona» era culturalmente debole: esso assumeva il pieno dispiegamento del mercato interno come condizione sufficiente, dato il controllo dell'inflazione ed il pareggio di bilancio, per il rilancio delle economie europee e lo sviluppo. La «società della conoscenza» e le riforme strutturali per liberalizzare le economie, il mercato del lavoro, i servizi pubblici, non erano però in grado di dare una risposta compiuta alla crisi economica ed occupazionale, anche di fronte all'emergere dei cosiddetti «Brics» (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa), in quanto risultava totalmente assente una politica industriale trainata da un domanda aggregata qualificata rivolta, innanzitutto, all'innovazione ed alla riconversione ecologica del nostro modello produttivo. Questa strategia è fallita e l'Europa sembra non averne una di ricambio;
per un'inversione di rotta occorre, dunque, partire dai seguenti presupposti: a) la finanza pubblica non è indipendente dall'economia reale; b) il debito pubblico, con l'eccezione della Grecia (ed in parte dell'Italia), ha conosciuto un rapido incremento non a causa delle spese pubbliche tradizionali, ma a causa dell'assorbimento del debito privato in seguito all'implosione delle bolle speculative degli ultimi quindici anni; c) il blocco della ripresa non dipende dalla rigidità dell'offerta ma da un'insufficiente domanda aggregata; d) l'aumento delle diseguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza inibisce la domanda interna dell'eurozona;
un'area a moneta unica, segnata da ampi differenziali di competitività, può sopravvivere soltanto o con un trasferimento di risorse (come nel caso del Mezzogiorno italiano oppure della Germania dell'Est), oppure rimuovendo tali differenziali con una politica economica adeguata. Se la Germania rifiuta tutte e due le soluzioni non c’è via d'uscita se non la frammentazione dell'area euro;
la stessa Francia deve accettare un reale trasferimento di competenze dal piano nazionale a quello comunitario;
occorre disegnare le grandi linee di un nuovo patto europeo e uscire dalla politica dei piccoli aggiustamenti per arrivare ad un nuovo grande compromesso che dia l'avvio ad una nuova fase della costruzione dell'Europa unita,
impegna il Governo:
in occasione della preparazione e dello svolgimento del Consiglio europeo del 28-29 giugno 2012, a sostenere le seguenti posizioni ed iniziative:
a) porre in essere misure e provvedimenti che delineino una vera unione politica del continente con un ruolo maggiore del Parlamento europeo, con una comune politica fiscale e finanziaria, con obiettivi comuni per lo sviluppo economico, sociale e culturale dell'area monetaria;
b) promuovere azioni concrete per rilanciare gli ideali europei tramite: un sempre maggiore ruolo del Parlamento europeo nelle decisioni dell'Unione europea e nella definizione dei suoi organismi dirigenti; un rafforzamento della collaborazione culturale; una politica comune della difesa europea resa necessaria dalle nuove modalità e sensibilità nella gestione dei conflitti internazionali e dagli inevitabili tagli nei bilanci nazionali di una spesa militare tanto eccessiva quanto inappropriata; il completamento del mercato interno europeo che non è ancora una realtà pienamente operativa; la realizzazione di una vera armonizzazione fiscale dei Paesi dell'Unione europea da perseguire nel prossimo decennio; l'armonizzazione degli istituti in materia di diritto societario e di esercizio dell'impresa, essendo opportuno al riguardo che si promuova il ricorso a cooperazioni rafforzate; una politica comune della mobilità delle persone e l'aggiornamento degli accordi di Schengen;
c) rivedere la cosiddetta agenda di Lisbona con la definizione di un programma europeo, pur mantenendo l'impegno al risanamento dei bilanci pubblici, rivolto a:
1) avviare in Europa una trasformazione sociale ed ecologica del modello di sviluppo a partire dal settore energetico e da quello dei trasporti, con l'istituzione di una nuova catena di creazione di valori nei mercati-pilota del futuro;
2) realizzare investimenti nelle infrastrutture materiali ed immateriali finanziati da obbligazioni europee ed attraverso un rafforzamento del ruolo della Banca europea per gli investimenti;
3) sostenere l'innovazione, la diffusione delle infrastrutture digitali e la ricerca;
4) rilanciare la domanda interna aggregata, in particolare nei Paesi dell'eurozona con bilance commerciali in forte attivo nei confronti degli altri partner europei, mediante spese pubbliche e tramite una politica di ridistribuzione dei redditi che favorisca la domanda privata;
d) modificare il mandato della Banca centrale europea, dandogli prerogative simili a quelle delle più importanti banche centrali mondiali, per consentirle di concedere prestiti agli Stati nazionali e/o per acquistare titoli di Stato direttamente sul mercato primario, prevedendo un suo ruolo di prestatore di ultima istanza;
e) promuovere una riformulazione degli articoli 3 e 4 della bozza del trattato su un'unione economica rafforzata che tenga conto di «fattori nazionali rilevanti», tra i quali l'ammontare del debito del settore privato, del risparmio delle famiglie e dell'andamento del ciclo economico;
f) introdurre l'esclusione dal computo, ai fini della determinazione dei parametri per il rispetto dei trattati europei, di alcune fattispecie di investimenti pubblici nazionali concordati in sede europea;
g) costituire un fondo europeo di redenzione per la parte degli stock dei debiti accumulati nel passato superiore al 60 per cento del prodotto interno lordo di ogni singolo Paese dell'eurozona, emettendo obbligazioni europee garantite da tutti gli Stati membri;
h) prevedere in tempi rapidi l'Unione bancaria dell'area euro che si articoli in: una vigilanza unitaria europea sul settore del credito; un fondo europeo di garanzia dei depositi; un'autorità europea per la liquidazione degli istituti di credito insolventi;
i) sostenere la proposta dell'istituzione di una tassa sulle transazioni finanziarie (compravendita di titoli, azioni, obbligazioni, valute e di ogni altro prodotto finanziario) valida innanzitutto per tutti i Paesi dell'eurogruppo, prendendo a riferimento un'aliquota tra lo 0,1 e lo 0,5 per cento del valore scambiato, in modo che i Paesi europei abbiano a disposizione risorse aggiuntive per raggiungere gli obiettivi di sviluppo citati;
l) istituire un'agenzia di rating europea che, nel rispetto delle regole imposte dall'Unione europea, tratti in modo trasparente le metodologie di valutazione, rivolgendo, altresì, a tale organismo la valutazione dei debiti sovrani, nonché implementare con più incisività sul piano giuridico il concetto di responsabilità per le conseguenze delle valutazioni errate delle stesse agenzie di rating oggi esistenti;
m) proporre una riforma delle regole della finanza che operi introducendo trasparenza, limitando i conflitti di interesse e gli accumuli di potere eccessivo, risolvendo il problema degli istituti «too big to fail», regolando meglio le banche e gli altri operatori (speculativi e non), valutando l'abolizione di alcuni strumenti finanziari (come alcuni derivati over the counter), adottando regole che separino l'attività delle banche di credito ordinario da quella delle banche d'investimento e ponendo in essere qualsiasi altra azione necessaria a ricondurre l'operato dei mercati nell'alveo del pubblico interesse e del bene comune.
(1-01095) «Donadi, Di Pietro, Borghesi, Evangelisti, Barbato, Cimadoro, Di Giuseppe, Di Stanislao, Favia, Aniello Formisano, Messina, Monai, Mura, Leoluca Orlando, Paladini, Palagiano, Palomba, Piffari, Porcino, Rota, Zazzera».
La Camera,
premesso che:
i prossimi 28 e 29 giugno 2012 avrà luogo un Consiglio europeo su cui vertono grandi aspettative non solo a livello europeo, ma pressoché mondiale. È unanime l'idea che la moneta unica europea, le economie nazionali dei Paesi del vecchio continente e forse la stessa Unione europea siano ad un punto decisivo nel quale è minacciata la loro stessa sopravvivenza;
benché pubblicamente ed ufficialmente si discuta solo del «come» salvare l'euro, molti ufficiosamente si stanno chiedendo «se» l'euro si possa salvare; la domanda successiva, dal punto di vista dei firmatari del presente atto di indirizzo doverosa per onestà e trasparenza verso cittadini italiani e quelli di tutta l'Europa, è se, alla luce dei sacrifici che ciò comporterà per le persone, ne valga davvero la pena;
il prossimo Consiglio europeo sarà chiamato a prendere decisioni sui temi della stabilizzazione monetaria, della crescita economica e anche di un nuovo assetto politico per l'Unione europea, temi sui quali circolano proposte e progetti elaborati dalle istituzioni europee, dalla Banca centrale europea, da Governi di altri Paesi europei, che avranno un impatto determinato, in positivo od in negativo, sulla vita dei cittadini italiani, ma sui quali il dibattito nel nostro Paese è stato del tutto assente e nulla ha ritenuto di comunicare al Parlamento il Governo, nemmeno nell'informativa del Presidente del Consiglio dei ministri appositamente convocata sui temi europei solo pochi giorni fa, il 13 giugno 2012;
il vertice dovrà fare il punto sul processo di ratifica ed effettiva entrata in vigore del nuovo meccanismo europeo di stabilità (European stability mechanism, Esm) che subentrerà al meccanismo provvisorio, che ha sostenuto finanziariamente fino ad oggi la Grecia. È un fondo cui gli altri Stati dell'Unione europea contribuiscono con le proprie finanze e che, a determinate condizioni, concede dei prestiti ai Paesi in difficoltà, ma è anche l'organismo che ha il potere, a fronte di questi prestiti, di intervenire pesantemente nelle scelte di politica economica e sociale dei Paesi beneficiari, di fatto avocandone la sovranità non solo sulle questioni finanziarie ma nella gestione corrente che attiene alle politiche fiscali della scuola, della sanità, delle infrastrutture e del mercato del lavoro, senza alcun limite prestabilito a questi interventi; il nuovo meccanismo europeo di stabilità avrà tutto questo potere, che, però, sarà gestito da un vero e proprio «consiglio di amministrazione» di membri certamente non eletti ma nominati dai Governi, che godranno di immunità e insindacabilità in tutti i loro atti. Il paradosso è che le scelte riguardo alle politiche sociali italiane, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, saranno prese da amministratori oscuri che ragioneranno in virtù di una contrattazione finanziaria; si assiste, quindi, alla definitiva consacrazione della finanza alla guida degli Stati sovrani;
di questo interventismo grossolano dell'Unione europea si stanno accorgendo in molti, compreso il presidente di Confindustria che ha dovuto ammettere, ad esempio, che la riforma del lavoro proposta dal Ministro Fornero è una «boiata», ma va fatta lo stesso, perché la vuole l'Unione europea. L'affermazione è emblematica di come stiano costringendo a provvedimenti che non hanno nulla a che vedere con il bene del nostro Paese, che non avranno alcun effetto positivo, che non risolveranno i problemi strutturali dell'Italia che pure ci sono, ma sono solo cieche prove di adempimento disciplinato ai compiti assegnati;
è stato calcolato che solo nel 2012 l'Italia verserà a vario titolo, nei vari sistemi di aiuto ai membri dell'euro in difficoltà, almeno 48 miliardi di euro: 48 miliardi sono l'equivalente dell'effetto positivo per le finanze pubbliche italiane delle pesantissime manovre del 2011, culminate con l'introduzione dell'imposta municipale unica e la riforma pensionistica. Un sacrificio enorme per il Paese, interamente non investito per la ripresa del Paese ed il sostegno a chi ne ha bisogno, ma riversato nel «buco nero» del sistema bancario spagnolo e del debito pubblico greco attaccato dalla finanza speculativa. I sacrifici degli italiani non serviranno a nulla e se ne dovranno fare ancora molti altri perché niente si è fatto per colpire le cause della crisi, nessun prezzo è stato chiesto alle banche fonte della crisi, ed i meccanismi speculativi non sono stati bloccati e nemmeno arginati; le banche vengono aiutate senza che nessuno chieda loro conto degli errori commessi. Sono, anzi, incentivate a continuare sulla strada della speculazione perché, se dal gioco perverso dei mercati ottengono dei guadagni, questi finiscono nelle loro casse, mentre se perdono i debiti vengono ripianati dai fondi pubblici e, quindi, dai cittadini;
la crisi finanziaria nata negli Stati Uniti ha provocato una crisi economica che sta sconvolgendo l'Europa, ma che ha frenato e sta minacciando fortemente anche tutte le altre aree del pianeta, compresi i Paesi emergenti, i cosiddetti Brics, i cui tassi di crescita a due cifre hanno subito una brusca frenata. Ciò aumenta esponenzialmente i rischi di default perché sono questi Paesi che alimentano, attraverso il Fondo monetario internazionale, i fondi di sostegno e salvataggio di cui stanno già beneficiando alcuni Paesi europei. Si pone, inoltre, il dubbio morale, avanzato al vertice G20 di Los Cabos del 18 e 19 giugno 2012, se sia giusto pretendere da Paesi, che di fatto sono ancora in via di sviluppo, le cui popolazioni in larga parte vivono in condizioni di povertà, versamenti di miliardi di dollari per sostenere l'euro e, indirettamente, la costruzione europea;
tra le proposte sul tavolo del vertice europeo di fine giugno 2012 c’è quella dell'unione bancaria: una regolamentazione europea dei requisiti di patrimonializzazione delle banche (che peraltro già esiste); un sistema unitario di monitoraggio, ma anche di ricapitalizzazione; un fondo comune sovranazionale di garanzia dei depositi; questo dovrebbe impedire che l'insolvenza di un istituto o degli istituti di un Paese possa contagiare l'intera area. Un simile meccanismo presenta numerosi punti discutibili: fino ad oggi le norme europee sulle capitalizzazioni bancarie (Basilea I, II e III) che, con le loro rigidità, sono costruite su misura per sistemi economici diversi da quello italiano, hanno penalizzato moltissimo la possibilità di concedere il credito necessario al sistema produttivo tipico del nostro Paese, quello della piccola e media impresa, e hanno in questo modo provocato un credit crunch che, a tutt'oggi, non è stato affatto superato; è, inoltre, riconosciuto a livello internazionale che il sistema bancario del nostro Paese, fondato su un risparmio privato solido e in assenza di bolle immobiliari e speculative forti, presenta una solidità maggiore a quella di tutti gli altri Paesi del Sud Europa e comparabile, se non superiore, a quello delle banche tedesche; in questo modo il risparmio bancario del nostro Paese confluirebbe in un unico fondo europeo per essere reimpiegato per salvare le banche straniere, mettendo a rischio i risparmi dei cittadini che sparirebbero dalle banche italiane per finire nel pozzo senza fondo dei salvataggi bancari di mezza Europa;
il Consiglio europeo valuterà la proposta di creare un fondo europeo di redenzione (European redemption fund, Erf), proposto dalla Germania. Si tratterebbe di un fondo in cui far confluire l'importo dei debiti pubblici degli Stati dell'eurozona per la parte eccedente il 60 per cento del prodotto interno lordo, sui quali si emetterebbero titoli garantiti dal gettito delle imposte riscosse a livello nazionale e da asset pubblici (in particolare, riserve auree e di valuta estera) dei Paesi assistiti. Si tratta di un meccanismo complesso, che certamente ipotecherebbe le entrate fiscali di molti Paesi e sposterebbe a livello europeo il momento decisionale relativo alle tasse che ogni cittadino deve pagare; rappresenta probabilmente il massimo che la mentalità tedesca possa accettare rispetto agli eurobond; è anche l'estremo tentativo di Berlino di far comprendere agli altri partner europei che, dopo aver attuato pesanti riforme in casa propria e avere tenuto dritta la barra del rigore, non è possibile semplicemente accettare di mettere il frutto dei propri sacrifici nel calderone di Paesi europei che, fino ad oggi, hanno condotto politiche dissennate, come la Grecia, la Spagna e la stessa Italia, che continua a non porre rimedio ai suoi problemi strutturali: una pubblica amministrazione inefficiente e penalizzante, un mercato del lavoro rigido, la mancanza di infrastrutture, un Mezzogiorno che non affronta i suoi problemi storici;
in Europa e nel nostro Paese in particolare esistono migliaia di banche di piccole e medie dimensioni, che per grandezza e struttura difficilmente possono essere la causa di un rischio sistemico al pari di colossi transnazionali che, invece, proprio perché sono «too big to fail», devono essere sottoposti a controlli e discipline molto rigorose. Non sono i piccoli istituti cooperativi, che raccolgono i risparmi privati delle famiglie e danno credito principalmente alle attività economiche del territorio, ad avere creato la crisi, bensì questi colossi che hanno abdicato alla funzione di sostegno all'economia per dedicarsi alla finanza speculativa, alimentata da banche di investimento internazionali, e consentita nel recente passato da alcune zone d'ombra di applicazione delle norme prudenziali;
il riconoscimento del ruolo delle banche commerciali sarebbe un vero strumento per la crescita, perché permetterebbe di distinguere gli investimenti destinati alle attività produttive dai fondi (come quelli della Banca centrale europea prestati alle banche tra dicembre 2011 e febbraio 2012), immessi nel sistema bancario solo per coprire le perdite della speculazione, che non sono minimamente arrivati all'economia;
l'esigenza di una normativa per la separazione bancaria sta entrando nella consapevolezza di tutti i Paesi europei, ne sono prova la mozione in tal senso presentata al Parlamento svedese, quella proposta da Hollande in Francia, che dovrebbe diventare più specifica in luglio 2012, quella proposta dal presidente dei socialdemocratici tedeschi Gabriel, oltre al dibattito acceso sul tema (anche se non riportato dalla stampa italiana) negli Stati Uniti;
si è parlato da più parti anche di un progetto «politico» per l'Europa da discutere al tavolo del futuro Consiglio europeo, senza tuttavia chiarire quale contenuto si intenda dare a questo termine. Se si è giunti ad un'unione monetaria rivelatasi fallimentare, è legittimo, prima di fare ulteriori passi, ragionare sulle cause e sulle debolezze dell'attuale sistema e prima di procedere in ulteriori rafforzamenti. Pare opportuno, perlomeno, uscire dagli schemi dogmatici delle istituzioni già esistenti e ragionare semmai su un progetto politico europeo che superi gli Stati nazionali, oggi in piena crisi e, di fatto, svuotati di ogni sovranità, e lavorare per un'Europa dei popoli e delle regioni, fondata sulle persone e sulla loro cultura ed identità, anziché sull'aridità del mercato e della finanza che non ha saputo colpire i cuori delle persone e, anzi, le ha trasformate in puri «utilizzatori» di Europa, non in protagonisti;
i forti attacchi speculativi alla moneta unica e la crisi del debito sovrano, che si sta propagando a molti Stati europei, hanno causato una vera crisi economica, stanno obbligando gli Stati a politiche molto pesanti e repressive sulle persone fisiche e sulle imprese, e secondo alcuni arriveranno ad incidere pesantemente anche sulle politiche di welfare, tanto da rendere oggi più che legittimo il dubbio se un'eventuale uscita dal sistema della moneta unica, per quanto drammatica, sia più o meno dolorosa del susseguirsi di sacrifici potenzialmente senza limite e senza alcuna certezza che essi portino alla fine ad una situazione di ritrovata fiducia e serenità,
impegna il Governo:
a riconoscere insieme agli altri partner europei, in seno al Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2012, che l'attuale situazione di crisi della moneta unica e del sistema economico europeo è la diretta ed inevitabile conseguenza di una costruzione europea partita al contrario, eretta sulle fragili fondamenta dell'unione monetaria e di mercato, priva di unità politica e, soprattutto, di legittimazione popolare, e che per queste mancanze non solo subisce ora la crisi economica mondiale, ma annaspa nella propria, più grave, crisi di legittimità e di identità;
a farsi promotore del progetto di una vera Europa politica, federale, che superi definitivamente gli Stati nazionali per rendere protagonisti i popoli e le regioni dell'Europa, attraverso meccanismi democratici, fondandosi su scelte che devono partire dal basso e mai essere calate dall'alto, pena l'implosione del progetto europeo proprio a causa della sua mancata legittimità popolare;
a pretendere, come unica logica possibilità per la condivisione dei debiti sovrani creati dai singoli Stati, una equivalente cessione del controllo sui meccanismi di bilancio, affinché i meccanismi europei di stabilità non divengano un incentivo alla deresponsabilizzazione degli Stati in difficoltà ed un mero travaso senza fine di risorse da un lato all'altro dell'Europa;
ad aprire, all'interno del nostro Paese, un confronto vero, approfondito, trasparente sui meccanismi economici, finanziari e bancari in discussione in sede internazionale e comunitaria, in particolare il meccanismo europeo di stabilità, il redemption fund e l'unione bancaria, prima di procedere all'assunzione di ulteriori impegni, sia in sede parlamentare che a tutti i livelli di coinvolgimento popolare, comprese mirate ipotesi referendarie;
nel campo della regolamentazione europea dei mercati finanziari, a promuovere una riforma normativa volta ad affermare la separazione tra «banca commerciale» e «banca d'affari», tenendo conto della necessità di valorizzare il modello di banca tradizionale e non speculativa, per il suo ruolo economico e sociale e di riconoscerne la specificità che ne impedisce il rischio di crollo sistemico.
(1-01096) «Dozzo, Maroni, Bossi, Maggioni, Fugatti, Stefani, Alessandri, Dal Lago, Giancarlo Giorgetti, Caparini, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Cavallotto, Chiappori, Comaroli, Consiglio, Crosio, D'Amico, Desiderati, Di Vizia, Dussin, Fabi, Fava, Fedriga, Fogliato, Follegot, Forcolin, Gidoni, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lanzarin, Lussana, Martini, Meroni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Montagnoli, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Polledri, Rainieri, Reguzzoni, Rivolta, Rondini, Simonetti, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli, Volpi».
La Camera,
premesso che:
nell'esporre la propria idea di Europa, Edmund Husserl annotava a mo’ di premessa che: «sin dai suoi esordi la storia europea è scandita tra il risveglio della ragione e le potenze della realtà storica». Alle seconde è da addebitarsi, per certo, la grande crisi dei nostri giorni, al primo è da affidarsi, confidandovi, il compito di sovrintendere il vertice del Consiglio europeo di Bruxelles il prossimo 28 e 29 giugno 2012;
mentre le elezioni politiche tenutesi in Grecia il 17 giugno 2012 si sono trasformate in una sorta di referendum sulla permanenza nell'euro, a cui i greci hanno risposto in modo chiaro, dimostrando la netta intenzione di proseguire all'interno del percorso europeo, in modo da assicurare un obiettivo di lungo periodo, nell'ottica di una maggiore stabilità di una moneta affidabile, non può non considerarsi un'ulteriore passaggio del pensiero husserliano secondo il quale «il carattere più proprio della cultura europea» affonda le proprie radici proprio nell'antica Grecia, in particolare « in quel movimento di libertà» che trae linfa vitale da quella nuova forma di cultura e di filosofia;
nelle pur necessarie spire degli imperativi categorici della crescita economica europea, usando a ragione l'aggettivazione in luogo della locuzione «in Europa», a rafforzare sentimenti di appartenenza che almeno i Paesi fondatori dovrebbero testimoniare in ogni loro atto formale e sostanziale, la forza di resistenza dei principi contenuti nei trattati non può che essere rappresentata dalla luce istituzionale dei principi, scolpiti nel trattato di Parigi istitutivo della Comunità europea del carbone e dell'acciaio, al pari del trattato di Lisbona, firmato meno di cinque anni fa;
a distanza di due anni dalla sua deflagrazione, la crisi del debito sovrano in Grecia, iniziata come una crisi fiscale, si è estesa assumendo una dimensione economica, sociale e politica, ed ha prodotto pesanti ripercussioni sulla tenuta politica dell'intera zona euro;
la crisi greca ha messo in luce le debolezze di una Unione europea che si trova, anzitutto, a dover affrontare una crisi politica e che, per molto tempo, ha fatto perno su un sistema monetario comune senza, tuttavia, la necessaria previsione di un adeguato ed unico quadro politico, economico, fiscale e di bilancio;
le risposte giunte dai leader europei non hanno sortito gli effetti sperati e, anziché procedere alle necessarie riforme strutturali per il perfezionamento del sistema europeo, essi hanno preferito avanzare soluzioni volte ad arginare la crisi contingente, cosa che ha senso nel breve periodo, ma risulta insufficiente in vista della realizzazione di obiettivi di medio e lungo periodo ed anzi, mentre si sono accuratamente sottratti dal dovere di dare prospettiva alle loro decisioni contingenti nella logica lunga della solidarietà europea, commerciale, bancaria, tributaria, produttiva ma soprattutto e inevitabilmente politica;
a dispetto degli alti obiettivi e delle finalità profonde, che la realizzazione del progetto europeo ha raggiunto, le incertezze e le difficoltà della crisi dell'euro hanno fatto riemergere e incoraggiato antiquate prospettazioni di stampo nazionalistico e neocorporativo fondate sull'ostinata miopia, in alcuni momenti tendente alla cecità di mantenere una sovranità, inevitabilmente condita di richiami populistici, talvolta banali;
nella crisi, gli Stati e l'Europa, presi al laccio della speculazione finanziaria immune dal controllo politico democratico, appaiono oggi, agli occhi dei firmatari del presente atto di indirizzo, come i polli di manzoniana memoria, mentre neppure vengono enunciati credibilmente gli obiettivi di consolidare un'Europa vicina ai suoi cittadini, mai come ora, solitari e avvolti in un grave senso di smarrimento mentre subiscono gli effetti di una crisi le cui ragioni appaiono e sono lontane e nascoste;
le conseguenze di tale instabilità, infatti, si sono trasformate ben presto in effetti diretti e indiretti non solo sul sistema finanziario, ma anche e pericolosamente sull'economia reale, cioè sulla vita delle persone, delle famiglie e delle imprese;
appare evidente che tra le questioni da affrontare vi sia, pertanto, la necessità di trovare una soluzione anzitutto politica. Ogni sforzo dei leader e dei Paesi europei dovrà essere volto a realizzare azioni concrete concertate per raggiungere il definitivo completamento dell'Unione europea, andando ad incidere in prima battuta su quei pilastri ora mancanti ma necessari per il rilancio del progetto europeo; una condizione da conseguirsi senza alcuna indulgenza leaderistica, intendendo che il nome di questo o quel Capo di governo nient'altro è che la propria nazione con le sue passioni, la sua intelligenza collettiva, la sua paura contingente;
vi è, tuttavia, la consapevolezza che, nell'immediato, appaiono urgenti e necessarie soluzioni comuni in grado di superare la crisi economica e sociale e l'ondata di recessione generalizzata nella quale versa l'Europa;
le debolezze del sistema dell'euro, l'instabilità dei mercati finanziari e le incertezze sulle prospettive future e sulla gestione della crisi, hanno ancora una volta confermato la necessità che gli Stati membri, tra cui l'Italia, perseverino nella loro politica di riduzione dei disavanzi allo scopo di assicurare stabilità finanziaria e bilanci solidi ed evitare, in tal modo che siano le future generazioni a dover pagare le conseguenze di gestioni finanziarie fallimentari;
se, da un lato, il risanamento dei conti pubblici e il raggiungimento degli equilibri di bilancio rappresentano uno sforzo necessario per restituire credibilità ai Paesi e nuove prospettive di crescita alla zona dell'euro, dall'altra, non sembrano politiche sufficienti a stimolare l'economia e a superare la drammatica fase recessiva o di crescita stentata che soffoca l'Europa;
è ormai ampiamente riconosciuto che una politica del rigore, benché imprescindibile, non possa resistere nella coscienza generale e nella sua accettazione senza le opportune misure per lo sviluppo e la crescita economica;
appare, pertanto, di primaria importanza appoggiare l'adozione di misure in grado di assicurare la sostenibilità fiscale ed economica, accompagnata da una maggiore competitività e sostenere, al tempo stesso, politiche che producano effetti immediati sull'occupazione e sull'attività economica;
sino ad ora, l'Europa si è mostrata sorda di fronte alle urgenze che la gravità della crisi imponeva di affrontare. I prossimi incontri, dunque, saranno decisivi per affrontare le questioni dell'agenda politica europea e per compiere scelte non più prorogabili, che potrebbero influenzare il futuro del progetto europeo per i prossimi anni. In caso contrario, il default di alcuni Paesi dell'eurozona provocherebbe un contagio immediato, andando a destabilizzare l'intero continente, oltre a rendere certo il rischio della sopravvivenza stessa della moneta unica,
impegna il Governo:
a farsi promotore, nelle competenti sedi europee, di un dibattito che ponga al centro dell'azione europea la costruzione di un'Europa politica e l'avvio di quelle riforme istituzionali per il completamento del progetto europeo;
a sostenere incondizionatamente l'applicazione alla crisi del metodo comunitario, con una drastica e definitiva riduzione della metodologia della cooperazione intergovernativa e, in particolare, con una intelligente review dei casi di prevalenza accordata agli organi degli Stati, al principio dell'unanimità, nonché con un ricorso più esplicito, previo riconoscimento politico, agli atti vincolanti assunti dalle istituzioni europee, con il necessario corollario di un rinnovato disegno dei controlli giurisdizionali di legittimità;
a correlare alla crisi corrente la perdurante crisi da deficit democratico delle istituzioni, così da convalidare, nella prospettiva della copertura democratica delle decisioni funzionali in area economica e sociale, la domanda di rafforzamento del ruolo e dei poteri del Parlamento europeo e di trasformazione della Commissione europea in autentica espressione di un unico, unitario e omogeneo potere esecutivo europeo;
ad operare affinché la politica estera generale europea, le politiche di cooperazione giudiziaria in materia civile e commerciale, le politiche di cooperazione giudiziaria in materia penale, con particolare riguardo a quelle orientate alla lotta contro la corruzione in tutte le sue forme, costituiscano tout court le politiche degli Stati europei, senza specificazioni nazionali sprovviste, in questi ambiti, di giustificazione.
(1-01097) «Pisicchio, Fabbri, Mosella, Tabacci, Brugger».
La Camera,
premesso che:
la stagnazione dell'economia europea e il perdurare della crisi del debito sovrano in diversi Paesi della zona euro rendono evidente che l'attuale assetto istituzionale e politico dell'Unione europea e, in particolare, dell'Unione economica e monetaria non è in grado né di assicurare la stabilità dell'area euro contro attacchi speculativi, né di promuovere il rilancio della crescita e dell'occupazione;
in particolare, il nuovo sistema di governance economica europea, incentrato sull'irrigidimento dei vincoli posti a presidio della stabilità delle finanze pubbliche e non accompagnato da adeguate misure per la crescita a livello europeo, ha prodotto effetti prociclici, come dimostrato dal caso della Grecia;
le tensioni sui mercati dei titoli di debito di numerosi Paesi dell'eurozona e le difficoltà di istituti bancari confermano, inoltre, l'insufficienza dei meccanismi di stabilizzazione costituiti o in via di costituzione e la necessità di creare meccanismi per l'emissione o la garanzia in comune dei debiti sovrani dell'eurozona;
è, quindi, emerso con evidenza che soltanto l'avvio di un processo che, partendo dall'integrazione delle politiche economiche e fiscali, conduca a medio-lungo termine ad un'unione di tipo federale può assicurare la sopravvivenza della moneta unica e della stessa costruzione europea;
se l'area euro fosse uno Stato federale, avrebbe una situazione complessiva di bilancio migliore di gran parte degli altri partner globali e sarebbe al riparo da manovre speculative alimentate dai dubbi in merito alla solvibilità dei suoi membri e delle banche, nonostante l'entità dei debiti sovrani;
occorre, pertanto, avviare, contestualmente al completamento del processo di ratifica del fiscalcompact, della modifica all'articolo 136 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e del Trattato istitutivo del meccanismo europeo di stabilità, un processo di integrazione economica e politica articolato in impegni precisi e in tappe e scadenze certe;
le proposte sinora avanzate per definire a livello europeo un'efficace strategia europea per la crescita e creare strumenti per la gestione comune del debito non si sono tradotte sinora in misure concrete, venendo recepite solo in modo parziale e in via di principio nella dichiarazione sulla crescita adottata dal Consiglio europeo del 30 gennaio 2012, nelle conclusioni del Consiglio europeo dell'1-2 marzo 2012 e il vertice straordinario sulla crescita del 23 maggio 2012;
il 25 gennaio 2012 la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica hanno approvato a larghissima maggioranza, tra le altre, due mozioni in identico testo (mozione Camera 1-00800 e mozione Senato 1-00534), che impegnavano il Governo, subito dopo la stipulazione del nuovo Trattato sulla stabilità, la governance e il coordinamento delle politiche economiche (cosiddetto fiscal compact) «a porre al centro della riflessione politica europea le politiche dello sviluppo e della crescita» e a riaprire, in tempi e modi opportuni, il processo costituente verso una unione politica dei popoli europei;
il Governo italiano ha svolto un ruolo di primo piano nel promuovere iniziative per la crescita e la stabilizzazione dell'area euro, anche sottoscrivendo, il 20 febbraio 2012, insieme a Regno Unito, Spagna, Paesi Bassi, Finlandia, Estonia, Lettonia, Irlanda, Repubblica Ceca, Slovacchia, Svezia e Polonia una lettera al Presidente del Consiglio europeo, Van Rompuy, e al Presidente della Commissione europea, Barroso, recante un «Piano per la crescita in Europa»;
il Governo ha già, inoltre, prospettato, in vista del vertice del 23 maggio 2012, alcune opzioni di intervento, relative all'applicazione delle regole patto di stabilità alle spese per investimenti, all'incremento delle risorse per gli investimenti ad alto potenziale di crescita e al completamento del mercato interno e alla creazione di meccanismi di garanzia comune del debito;
la credibilità e la portata delle misure adottate e degli impegni assunti sinora dall'Italia per il risanamento danno al Governo l'autorevolezza necessaria per ribadire in seno alle istituzioni europee l'esigenza di una risposta più efficace, solidale dell'Unione europea alla crisi,
impegna il Governo:
in occasione del Consiglio europeo del 28-29 giugno 2012:
a) ad adoperarsi affinché sia adottato un piano europeo per la crescita e l'occupazione, dotato di un preciso programma di interventi coordinati e cofinanziati con risorse significative dell'Unione;
b) a reiterare la proposta di classificare in maniera diversa gli aggregati rilevanti ai fini della verifica del rapporto deficit/prodotto interno lordo, in particolare la parte delle spese per investimenti produttivi (cosiddetta golden rule);
c) a sostenere la necessità di rafforzare il ruolo e la capacità operativa della Banca europea per gli investimenti, procedendo ad una ricapitalizzazione di almeno 10 miliardi di euro, che consentirebbe di accrescerne il sostegno alla emissione di project bond e di prestiti per investimenti nelle infrastrutture e ad altri progetti comuni ai diversi Paesi dell'Unione europea;
d) a promuovere una valutazione approfondita dell'ipotesi di ricorrere all'emissione diretta di titoli obbligazionari della Banca europea per gli investimenti o della Commissione europea per finanziare integralmente progetti di rilievo europeo (cosiddetti eurobond);
e) a sollecitare l'adozione di una garanzia comune dei debiti sovrani secondo la proposta, avanzata dal Parlamento europeo, di trasferire per ciascuno Stato membro il debito eccedente il valore di riferimento del 60 per cento ad un fondo comune a responsabilità solidale (fondo per il rimborso del debito o European redemption fund), definendo un percorso di consolidamento per il rimborso del debito trasferito nell'arco di un periodo di 20-25 anni;
f) a valutare, a medio e lungo termine, anche il ricorso agli stability bond (emissioni comuni di debito) che assicurerebbe, a regime, la garanzia comune del debito sovrano dell'eurozona, in coerenza con una prospettiva federale;
g) a procedere a breve termine, come auspicato dalla Commissione europea e dalla Banca centrale europea, alla creazione di una unione bancaria fra i Paesi dell'eurozona, basata su un sistema comune di garanzia dei depositi, un fondo europeo di risoluzione per i fallimenti bancari e una centralizzazione della vigilanza bancaria a livello di Unione europea.
(1-01098) «Galletti, Della Vedova, Ciccanti».
MOZIONE DOZZO ED ALTRI N. 1-01065 CONCERNENTE INIZIATIVE DI COMPETENZA PER L'INDIZIONE DI UN REFERENDUM CONSULTIVO SULLA ADESIONE AL TRATTATO SULLA STABILITÀ, SUL COORDINAMENTO E SULLA GOVERNANCE NELL'UNIONE ECONOMICA E MONETARIA, NOTO COME «FISCAL COMPACT»
Mozione
La Camera,
premesso che:
l'Unione europea si fonda sul principio dello Stato di diritto: ciò significa che tutte le azioni intraprese dall'Unione europea si fondano su trattati approvati liberamente e democraticamente da tutti i Paesi membri dell'Unione europea;
un trattato è un accordo vincolante tra i Paesi membri dell'Unione europea, esso definisce gli obiettivi dell'Unione europea, le regole di funzionamento delle istituzioni europee, le procedure per l'adozione delle decisioni e le relazioni tra l'Unione europea e i suoi Paesi membri;
i trattati vengono modificati per ragioni diverse: rendere l'Unione europea più efficiente e trasparente, preparare l'adesione di nuovi Paesi ed estendere la cooperazione a nuovi settori, come la moneta unica;
il cosiddetto «fiscal compact», noto anche come atto di bilancio, è il trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance dell'Unione economica e monetaria che è stato firmato da 25 Capi di Governo dell'Unione europea, ad eccezione del Regno Unito e della Repubblica Ceca, il 2 marzo 2012. Il trattato entrerà in vigore il 1o gennaio 2013 a condizione che almeno 12 Stati membri della zona euro lo ratifichino. Se tale condizione dovesse verificarsi prima di tale data, il trattato entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo al deposito del dodicesimo strumento di ratifica;
ogni Paese, dopo la ratifica del trattato, ha tempo fino al 1o gennaio 2014 per introdurre la regola che impone il pareggio di bilancio nella legislazione nazionale. L'obiettivo, dopo l'entrata in vigore del trattato, è quello di incorporare, entro cinque anni, il nuovo trattato nella vigente legislazione europea;
il «fiscal compact» è un nuovo insieme di regole, chiamate «regole d'oro», concertate tra Paesi dell'Unione europea, che sono vincolanti e prevedono criteri stringenti sulla disciplina di bilancio e, di fatto, segnano un primo passo verso la rinuncia a parte della sovranità nazionale su questo versante;
ai fini dell'osservanza del trattato, gli Stati membri s'impegnano ad introdurre, nelle legislazioni nazionali, il pareggio di bilancio con disposizioni vincolanti e di natura permanente, preferibilmente di tipo costituzionale;
il trattato stabilisce: la regola del pareggio di bilancio (con un margine massimo di scostamento consentito per il deficit strutturale pari allo 0,5 per cento del prodotto interno lordo) che le parti contraenti dovranno recepire a livello costituzionale o equivalente; la regola della riduzione del debito pubblico secondo le condizioni e le modalità previste dalla vigente normativa dell'Unione europea; la competenza della Corte di giustizia dell'Unione europea a monitorare il corretto recepimento della regola del pareggio di bilancio; l'istituzionalizzazione dei «vertici euro» che dovranno essere convocati almeno due volte l'anno;
il motivo che ha suggerito ai 25 Capi di Governo di non inserire l'obbligo della modifica costituzionale nel trattato è stato quello di evitare il rischio costituito dalle consultazioni referendarie, che in alcuni Stati membri sono obbligatorie per le modifiche costituzionali;
l'Irlanda ha deciso di sottoporre a referendum popolare l'accordo sul rafforzamento della governance economica, cosiddetto «fiscal compact». L'Irlanda ha indetto per ben due volte, nel 2001 e nel 2008, referendum sui trattati europei;
la ratifica di trattati da parte degli Stati membri è necessaria per l'entrata in vigore del trattato stesso ed avviene secondo le rispettive norme costituzionali. Nel nostro ordinamento, la Costituzione prevede (articolo 80) che le Camere procedano alla ratifica dei trattati tramite legge e che (articolo 75) non è ammesso il ricorso a referendum per leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali. Questa norma fu concepita quando i trattati e le modifiche ai trattati erano un'eccezionalità;
risulta doveroso e quanto mai opportuno rimediare all'esclusione dei cittadini dalla partecipazione al processo normativo e decisionale comunitario, permettendo di indire referendum ad hoc sull'adesione o modifica di trattati internazionali che sono, per loro natura, vincolanti per il Paese membro;
non passare attraverso la «voce del popolo sovrano» sarebbe, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, ai limiti della legalità costituzionale, da parte di un Governo non legittimato da un'elezione popolare che firma un trattato che, di fatto, riduce per i prossimi decenni la sovranità dello Stato italiano e riporta il Paese in condizioni di povertà;
essendo posta sempre più in discussione la sovranità dello Stato, appare urgente e necessario prevedere che la rinuncia di parte della sovranità statale, che si accompagna alla ratifica di trattati comunitari, sia sottoposta a forme di consultazione popolare, mediante referendum. Ciò consentirebbe, peraltro, di rimediare a quel «deficit di democraticità» che continua a caratterizzare le istituzioni comunitarie;
sulla base delle ragioni illustrate la Lega Nord intende presentare una proposta di legge costituzionale per l'indizione di un referendum consultivo sull'adesione al trattato sulla stabilità,
impegna il Governo
ad assumere le iniziative di competenza per promuovere l'indizione di un referendum consultivo sulla adesione al trattato sulla stabilità, cosiddetto «fiscal compact», al fine di dare ai cittadini la libertà di decidere sul proprio futuro economico e sociale.
(1-01065) «Dozzo, Bossi, Maroni, Fugatti, Fedriga, Fogliato, Montagnoli, Lussana, Alessandri, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Comaroli, Consiglio, Crosio, Dal Lago, D'Amico, Desiderati, Di Vizia, Dussin, Fabi, Fava, Follegot, Forcolin, Gidoni, Giancarlo Giorgetti, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lanzarin, Maggioni, Martini, Meroni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Polledri, Rainieri, Reguzzoni, Rivolta, Rondini, Simonetti, Stefani, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli, Volpi».