XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 3 luglio 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


      La Camera,
          premesso che:
              l'annoso problema della presenza capillare della criminalità organizzata nel Mezzogiorno va affrontato come emergenza, rappresentando uno dei più gravi elementi che non permette al Sud Italia di riallacciarsi al resto del Paese;
              il Meridione è fortemente caratterizzato dalla criminalità organizzata di stampo mafioso, che si è sviluppata secondo modelli volti a mantenere un forte e sostanziale radicamento sul territorio d'influenza, specializzandosi nell'infiltrazione nel tessuto economico finanziario. «Cosa nostra», in Sicilia, la ’ndrangheta, in Calabria, la camorra, in Campania e la criminalità organizzata pugliese hanno esercitato una pervasiva azione di controllo del territorio, talvolta egemonizzando le attività illecite e rappresentando una minaccia anche ai settori economici e finanziari;
              in Campania, Calabria e Sicilia risulta essere concentrato circa il 75 per cento del crimine organizzato; le conseguenze della presenza delle associazioni mafiose nel Mezzogiorno si intrecciano in modo complesso con l'economia del Sud, stravolgendo le regole del «fare impresa» e scoraggiando gli investimenti stranieri, oltre che creando un grave e indiscusso disagio sociale;
              è fondamentale che lo Stato rafforzi la propria presenza in tali territori, consolidando i tribunali, presidio di legalità e freno alla criminalità; desta pertanto preoccupazione e perplessità la proposta di ridefinizione della geografia giudiziaria italiana, avanzata dal Governo;
              la legge 14 settembre 2011, n.  148, «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n.  138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari» stabilisce che il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dall'entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi con l'obiettivo di «riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza»; nel medesimo testo sono menzionati i criteri oggettivi e omogenei da applicare per la realizzazione di tale scopo, fra cui: l'estensione del territorio, la densità della popolazione, i carichi di lavoro e l'indice delle sopravvenienze, la specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale, e il tasso d'impatto della criminalità organizzata;
              come anticipato e tristemente noto, il territorio del Mezzogiorno risulta essere fortemente caratterizzato dalla presenza della criminalità organizzata, ma si contraddistingue anche per evidenti carenze infrastrutturali e dei collegamenti; è necessario che la nuova geografia giudiziaria del Paese non sottovaluti le peculiarità delle regioni meridionali,

impegna il Governo

a tener conto delle specificità dei territori del Sud Italia, non solo evitando un «taglio lineare» delle sedi giudiziarie nel Mezzogiorno, ma mettendo in atto una politica volta ad assicurare un efficiente lavoro di tali fondamentali presidi di legalità ed eliminando nel contempo gli sprechi che nell'amministrazione della giustizia risultano marcatamente evidenti.
(1-01105) «Misiti, Pittelli, Fallica, Grimaldi, Iapicca, Miccichè, Pugliese, Soglia, Stagno d'Alcontres, Terranova».


      La Camera,
          premesso che:
              con l'insediamento di questo Esecutivo si sta verificando un continuo ed irrazionale indebolimento del settore della giustizia, che i Governi precedenti, al contrario, tenuto conto delle limitate risorse finanziarie disponibili, avevano cercato, anche attraverso le riforme dei riti di procedura civile penale, di rendere più efficiente e adeguato, anche riguardo agli altri Paesi dell'Unione europea;
              più precisamente, questo Governo, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, sta procedendo ad una «rottamazione» del settore della giustizia, attraverso l'adozione di provvedimenti di revisione della geografia giudiziaria che appaiono anomali e molto discutibili;
              infatti, la politica di revisione della geografia giudiziaria del Governo Monti deriva da scelte ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo irrazionali, che si riveleranno perdenti e, in merito, i numeri sono esemplificativi, dato che si intendono chiudere più di 600 uffici di giudici di pace, mentre si prospetta la soppressione di circa 160 sezioni distaccate di tribunale;
              in particolare, la totale soppressione su tutto il territorio nazionale delle sezioni distaccate di tribunale e di un cospicuo numero di sedi di tribunale non capoluogo di provincia, si pone, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, in netto contrasto con i principi e criteri direttivi contenuti nell'articolo 1, comma 2, della delega prevista dalla legge n.  148 del 2011, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n.  138 del 2011, ed indi in violazione dell'articolo 76 della Costituzione, perché l'assetto territoriale degli uffici giudiziari doveva (riforma varata dal precedente Esecutivo) e deve tenere conto, tra l'altro, dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze, della specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale e del tasso d'impatto della criminalità organizzata;
              appare con immediata evidenza che non può considerarsi aderente ai principi e criteri direttivi in parola, un riassetto territoriale degli uffici giudiziari che prevede l'intera soppressione delle sezioni distaccate dei tribunali, la quasi integrale soppressione dei tribunali non capoluogo di provincia ed infine la soppressione, anch'essa molto rilevante degli uffici dei giudici di pace, poiché appare inverosimile che, tenuto conto delle specificità territoriali del bacino di utenza, ovvero della situazione infrastrutturale, del tasso d'impatto della criminalità organizzata, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze, non sia giustificata la permanenza di nemmeno una delle attuali sezioni distaccate di tribunale;
              dalle anticipazioni dei contenuti dei provvedimenti di esercizio della delega appaiono disattesi i principi e criteri direttivi detti, e gli stessi provvedimenti non osserverebbero la cosiddetta tecnica del minimo mezzo per realizzare l'obiettivo dell'efficiente allocazione delle risorse giudiziarie, senza diminuirne oltre misura la naturale suddivisione territoriale; appare ai firmatari del presente atto di indirizzo del tutto chiaro, ed evidente, che la motivazione sottesa alle scelte dell'esecutivo Monti, è quella di fare solo «cassa» nell'immediato per importi modesti (pari circa a 70 milioni di euro), a discapito di una giustizia di prossimità, che come dimostrano i dati statistici, è efficiente e oltremodo la più conforme ai parametri europei;
              la logica sottesa al progetto governativo è quella di mantenere i tribunali che si trovano in città che fanno provincia, anche a discapito di quelli che gestiscono, in proporzione, un carico di lavoro maggiore e portano a compimento una mole di cause in tempi più brevi;
              è evidente che attraverso l'accorpamento selvaggio, indiscriminato e di dubbia legittimità delle sezioni distaccate dei tribunali,    la soppressione delle sedi di tribunale capoluogo, nonché la soppressione della quasi totalità degli uffici dei giudici di pace, che il Governo sta realizzando, si produrranno solo delle diseconomie di scala dovute a macro strutture di tribunali che risulterebbero dei veri e propri «carrozzoni», tali da compromettere ulteriormente il già carente servizio della giustizia, dato che molti saranno indotti a rinunciare alla tutela costituzionalmente garantita dei propri diritti in una sede accentrata e molte volte lontana,

impegna il Governo

a riconsiderare, nell'esercizio della delega citata, le scelte di ridefinizione della geografia giudiziaria, affinché, attraverso una più aderente applicazione dei principi e criteri direttivi di cui all'articolo 1, comma 2, della delega prevista dalla legge n.  148 del 2011, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n.  138 del 2011, non si proceda, secondo le linee prospettate e nella dimensione enunciata, ad una pura e semplice soppressione degli uffici giudiziari interessati dalla riforma e venga comunque pienamente assicurata la giustizia di prossimità a garanzia del diritto sancito dalla Costituzione alla tutela giurisdizionale dei diritti.
(1-01106) «Nicola Molteni, Dozzo, Lussana, Follegot, Paolini, Isidori, Fugatti, Fedriga, Montagnoli, Fogliato, Alessandri, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Comaroli, Consiglio, Crosio, D'Amico, Dal Lago, Desiderati, Di Vizia, Dussin, Fabi, Forcolin, Gidoni, Giancarlo Giorgetti, Goisis, Grimoldi, Lanzarin, Maggioni, Maroni, Martini, Meroni, Molgora, Laura Molteni, Munerato, Negro, Pastore, Pini, Polledri, Rainieri, Reguzzoni, Rivolta, Rondini, Simonetti, Stefani, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli, Volpi».

Risoluzioni in Commissione:


      La IV Commissione,
          con legge n.  68 del 1960, l'Igm di Firenze è stato inserito tra gli organi cartografici dello Stato. La sua funzione è di soddisfare le esigenze militari e civili del Paese nel campo geotopocartografico attraverso l'espletamento di compiti specifici nella sua veste di: Ente di supporto dell'Esercito italiano, organo cartografico dello Stato, ed Organo scolastico formativo;
          in qualità di organo militare operativo: provvede alla definizione di una rete topografica operativa e distacca nuclei operativi (Geo Tac Print) per fornire servizio e supporto ad unità dell'Esercito, provvedendo alla realizzazione, stampa e distribuzione di prodotti geocartografici standard e non standard;
          in qualità ente di supporto dell'Esercito italiano, aggiorna e la cede la cartografia ufficiale dello Stato e relative documentazioni, allestisce e gestisce la banca dati geografici, esegue lavori topografici e di manutenzione dei confini nazionali;
          in qualità di organo scolastico formativo, per mezzo della dipendente Scuola superiore di scienze geografiche: forma professionalmente il personale militare e civile dell'amministrazione della difesa nel campo specifico del settore geotopocartografico oltre che di formazione generale (sicurezza negli ambienti di lavoro, informatica, giuridica, amministrativa) costituendo spesso sede periferica decentrata di Civilscuoladife;
          pertanto in virtù delle funzioni che l'Igm chiamato a svolgere, le nuove tabelle organiche OT/V GEO 35.00/10 proposte da uno specifico gruppo di progetto per la «razionalizzazione delle attività dell'Igm», approvate ed emanate dagli organi competenti nel settembre 2010, non sono mai state messe in attuazione a causa della loro assoluta incompatibilità con gli stessi compiti istituzionali. Al riguardo lo SME si è impegnato a rivedere, nel rispetto dei volumi organici definiti nella nuova proposta di TO, la struttura organica dell'Igm proponendo l'apertura di un tavolo di lavoro cui peraltro non è stato dato ancora seguito. In particolar modo, le nuove tabelle organiche OT/V GEO 35.00/ hanno creato una inaccettabile criticità nel funzionamento della Scuola superiore di scienze geografiche, indispensabile alla stessa sopravvivenza dell'istituto;
          con la presente risoluzione, si vuole ribadire la necessità e l'irrinunciabilità dei compiti istituzionali di un istituto unico nel suo genere, a livello nazionale, che negli ultimi anni ha visto ridotti i finanziamenti a solo circa 400.00 euro contro i 3 milioni del passato;
          la drastica riduzione del finanziamento, sta impedendo all'Istituto di erogare molti servizi quali:
              a) la formazione professionale di personale militare e civile dell'amministrazione della Difesa nel campo specifico del settore geotopocartografico oltre che di formazione generale (sicurezza negli ambienti di lavoro, qualificazione informatica, giuridica-amministrativa) anche come sede periferica decentrata di Civilscuoladife oltre all'addestramento e il mantenimento del personale da impiegare nei nuclei operativi (denominati Geo Tac Print, al seguito di grandi unità per il loro tempestivo supporto, con capacità di provvedere autonomamente alla realizzazione, integrazione, stampa e distribuzione di prodotti geo-cartografici in settori parzialmente o non coperti da cartografia di dettaglio) e corsi di specializzazione per allievi sergenti previsti dalla direttiva SME – circolare 01», autorizzati ma non finanziati già dal 2011;
              b) sviluppo di dati geografici strutturati in database, immagini satellitari (in particolare l'impiego della costellazione di satelliti Cosmo sky med) e da vettore aereo di varie tipologie, a colori, infrarosso, multispettrali, rilevamenti con metodologia laser scanner (LIDAR) ed altre tecniche radar che permettono in breve tempo e con un'elevata accuratezza, in virtù dell'aumento delle professionalità degli operatori, dei passi giganti della scienza e ricerca e degli utenti di tali strumenti, che consentirebbero di mettere, in parte, in soffitta, la produzione di prodotti cartacei, mediante rilievi geodetici e restituzioni fotogrammetriche ormai poco competitiva e sempre meno economica;
          un recente decreto legislativo (10 novembre 2011) ha voluto normalizzare ed uniformare a livello nazionale la produzione dei database alle scale 1:5.000/1; 10.000 (database regionali e carte tecniche a grande scala) consentendo ad altri enti di intraprendere attività proprie dell'Igm caso dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) che, per conto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali è responsabile dell'erogazione di circa 7 miliardi l'anno di contributi per l'agricoltura versati dalla Comunità europea e che esegue i necessari controlli sul territorio nazionale avvalendosi di riprese aerofotogrammetiche), integrandole con le nuove tecnologie satellitari;
          nell'ambito dello stesso decreto assegnare, all'Igm un mero ruolo di controllo della nuova rete geodetica nazionale (RDN) e di monitoraggio dell'efficienza della rete, sancendo l'adozione del sistema di riferimento geodetico nazionale, tenendo a mente che l'Igm deve essere proiettato nelle nuove tecnologie dei satelliti GPS europei GALILEO;
          a fronte di ciò, anche a causa della pesante riduzione delle risorse assegnate, sempre comunque fornite con finanziamenti esclusivamente del settore difesa, l'Igm assolve sia i compiti in ambito civile, essendo, come sopra ricordato, per legge uno degli organi cartografici dello Stato, sia, nelle veste di, Ente militare, compiti specifici afferenti in particolare finalizzati a fornire il supporto geospaziale agli enti delle Forze armate per esigenze di pianificazione, operative e di addestramento;
          la drastica riduzione del finanziamento e conseguentemente delle risorse disponibili riguarda in particolar modo il personale civile dell'Istituto, che garantisce la continuità produttiva;
          la recente riconfigurazione dell'Igm prevista con l'emanazione delle nuove tabelle organiche del 16 settembre 2010 (01/V GEO 35.00/10) non è mai stata attuata in quanto la sua attuazione da parte del comandante dell'ente, avrebbe portato di fatto al blocco della quasi totalità delle attività, contrariamente a quanto ipotizzato dalla forza armata che si prefiggeva la salvaguardia, sotto il profilo organizzativo dell'attività dell'istituto in ambito civile, della funzione di ente cartografico dello Stato,

impegna il Governo

          ad attivare un nuovo gruppo di progetto, costituito da professionisti del settore, per l'emanazione di nuove tabelle organiche rispondenti alle esigenze istituzionali, ed alle nuove moderne tecnologie e far sì che l'Igm, per ottemperare con linearità ed in tempi congrui i compiti istituzionali, affidatogli, passi quantomeno alle dirette dipendenze dello SME;
          a far sì che l'Igm diventi un ente che oltre ad avvalersi delle fonti di dati regionali, catastali, immagini aeree e radar aggiornate con periodicità in linea con i cambiamenti del territorio e altre banche dati, si interfacci con gli altri Enti analoghi europei e che risponda alla direttiva comunitaria 2007/2/CE che istituisce una infrastruttura per informazione territoriale nell'Unione europea (INSPIRE);
          a far sì che l'Igm possa promuovere con risorse finalizzate, personale civile e militare specializzato l'impiego della costellazione di satelliti «Cosmo sky med», uno dei progetti di punto della difesa e dell'Agenzia spaziale italiana della difesa (ASI);
          a far sì che l'Igm sia lo strumento di controllo della proliferazione dei dati geografici anche da fonti non istituzionali, incrociandoli e verificandone la congruità, con l'assunzione del ruolo di ente certificatore della qualità delle informazioni costituenti l'infrastruttura nazionale dei dati nazionali (decreto legislativo n.  32 del 27 gennaio 2010) il tutto non disgiunto della necessità di un progressivo svecchiamento delle precipue personalità tecniche (l'Igm ha al riguardo personale con età media di 52 anni) da ricercarsi attraverso concorsi mirati riservando una parte delle assunzioni relative al 20 per cento del turn over annuale;
          a far sì che all'Igm venga concessa mediante decreto ministeriale, l'autonomia amministrativa e che gli permetta, in parte, di autofinanziarsi con i proventi delle vendite dei materiali prodotti e con eventuali corsi di formazione per enti anche esterni al Ministero della difesa.
(7-00935) «Mazzoni».


      La IX Commissione,
          premesso che:
              con la riforma del codice della strada, introdotta con la legge 29 luglio 2010, n.  120 (Disposizioni in materia di sicurezza stradale), è stata modificata la normativa in materia di dispositivi per il rilevamento a distanza delle violazioni (autovelox);
              il comma 2 dell'articolo 25, infatti, nel rinviare all'emanazione di un apposito decreto interministeriale la definizione delle modalità di collocazione e uso dei dispositivi o mezzi tecnici di controllo, finalizzati al rilevamento a distanza delle violazioni delle norme di comportamento di cui all'articolo 142 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n.  285, ha stabilito, in maniera chiara ed inequivocabile, che «fuori dei centri abitati non possono comunque essere utilizzati o installati ad una distanza inferiore ad un chilometro dal segnale che impone il limite di velocità»;
              successivamente il Ministero dell'interno – dipartimento pubblica sicurezza, con la circolare del 29 dicembre 2010, ha fornito specifiche precisazioni sulle nuove norme, stabilendo espressamente che «nel caso in cui, lungo il tratto oggetto del controllo, siano presenti intersezioni stradali che, ai sensi dell'articolo 104 del regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada, impongono la ripetizione del segnale stradale stesso, la predetta distanza deve essere calcolata dal segnale con il quale viene ripetuto il limite di velocità dopo l'intersezione»;
              al fine di chiarire l'esatto ambito applicativo della norma ed evitare ambiguità dal punto di vista pratico, il dipartimento della pubblica sicurezza, con la circolare del 12 agosto 2010, ha fornito indicazioni applicative ed operative, al riguardo, specificando che «la previsione normativa intende riferirsi unicamente ai casi in cui i dispositivi siano finalizzati al controllo remoto delle violazioni e cioè siano collocati ai sensi dell'articolo 4 della legge 168 del 2002 e, perciò, non riguarda i casi in cui l'accertamento dell'illecito sia effettuato con la presenza di un organo di polizia stradale;
          tale circolare, ad avviso dei firmatari del presente atto, risulta non perfettamente rispondente all'assetto normativo vigente – teleologicamente orientato alla sicurezza della circolazione ed alla tutela della vita umana, ma al contempo volto a garantire la legalità e trasparenza dell'azione amministrativa, in quanto, dal tenore letterale delle disposizioni, non si evince affatto che le citate previsioni siano da ritenersi applicabili unicamente ai casi in cui il rilevamento delle violazioni venga effettuata con postazione mobile presidiata;
              occorre precisare, infatti, che il citato articolo 25, nel fissare l'obbligo di rispettare la distanza minima di un chilometro, esplicitamente non fa alcuna distinzione in merito alle modalità mediante le quali le violazioni stesse sono rilevate, né si può sostenere che la disposizione di cui all'articolo 4 del decreto legge 20 giugno 2002, n.  121, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 agosto 2002, n.  168, sostituisca le norme generali del codice della strada in materia di accertamenti degli illeciti, in quanto esso piuttosto le integra, prevedendo una procedura speciale per le attività di controllo e di accertamento delle violazioni realizzato anche senza il diretto intervento di un operatore di polizia stradale ed introducendo un'espressa eccezione al principio della contestazione immediata in casi particolari;
              d'altra parte, nell'ambito della più generale attività di prevenzione e contrasto dell'eccesso di velocità sulle strade, un principio cardine, pacificamente accettato dalla giurisprudenza dominante, è quello della necessaria e adeguata conoscibilità come presupposto e precondizione della legittimità delle eventuali sanzioni comminate: non si può, infatti, muovere al conducente di un autoveicolo il rimprovero per aver violato una regola di prudenza alla guida, se quest'ultimo non è stato messo nelle condizioni di conoscere preventivamente ed adeguatamente il precetto, attraverso controlli automatici della velocità che siano segnalati e ben visibili,

impegna il Governo:

          a rivalutare le indicazioni contenute nella circolare del 12 agosto 2010, chiarendo che la disposizione contenuta nell'articolo 25 della legge 29 luglio 2010, n.  120, relativa alla distanza non inferiore ad un chilometro dei dispositivi di controllo rispetto al segnale che impone il limite di velocità, è applicabile anche ai casi in cui l'accertamento dell'illecito sia effettuato senza la presenza di un organo di polizia stradale;
          ad adottare tutte le opportune iniziative di competenza volte a garantire l'effettiva legittimità del posizionamento dei citati dispositivi nonché a revocare i decreti che autorizzano l'uso e l'installazione degli apparecchi rilevatori di velocità (autovelox) in contrasto con la normativa vigente in materia.
(7-00936) «Toto, Proietti Cosimi».


      La XIII Commissione,
          premesso che:
              la questione delle quote latte ha assunto un rilievo significativo per il bilancio stesso dello Stato, con un importo posto a carico dell'erario, e quindi dei contribuenti, pari ad oltre 1,5 milioni di euro;
              questo importo si è accumulato nel corso degli anni, dal 1996 al 2009, senza che, con tutta evidenza, ne sia stato efficacemente perseguito il recupero;
              alle aziende debitrici sono state offerte ben 2 occasioni di rateizzazione, con le leggi n.  119 del 2003 e n.  33 del 2009;
              la parte più significativa del debito accumulato risulta dovuta da non più di un migliaio di soggetti;
              nonostante si tratti di un credito accertato e posto a carico dell'erario, l'ente attualmente incaricato della riscossione è l'Agea, Agenzia per le erogazioni in agricoltura;
              al momento non risulta attiva alcuna procedura di recupero forzoso, fatta eccezione per la compensazione con gli aiuti comunitari, visto che, con le recenti sentenze, il TAR Lazio non ha giudicato legittimo il ricorso da parte dell'Agea alla procedura di iscrizione a ruolo mediante Equitalia;
              di conseguenza, l'unico strumento a disposizione dell'Agea, oltre alla compensazione con gli aiuti, resta la procedura di cui al regio decreto n.  639 del 1910, strumento certamente di minore efficacia del ruolo e senza che l'Agenzia sia dotata delle necessarie strutture per la riscossione;
              ad oggi non è stata data attuazione all'articolo 39, comma 13, del decreto-legge n.  98 del 2011, convertito dalla legge n.  111 del 2011, che dovrebbe dare disposizioni attuative in materia di riscossioni,

impegna il Governo:

          a garantire rapidità ed efficienza nella riscossione degli importi del prelievo latte non coperti dal regime di pagamento rateizzato;
          a chiarire, per tale scopo, quale sia lo strumento e la struttura più idonea al raggiungimento di questo obiettivo, proponendo eventuali adeguamenti della vigente normativa.
(7-00934) «Biava».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
          la Presidenza del Consiglio dei ministri, nel maggio 2012, nell'ambito degli obiettivi di spending review, ha disposto la restituzione, alle amministrazioni di provenienza, del personale di prestito cosiddetto «fuori comparto», nei confronti del quale sussiste a carico della Presidenza l'onere totale o parziale di rimborsare gli emolumenti stipendiali;
          in particolare, il termine per il rientro di detto personale alle sedi di appartenenza viene fissato alla data del 1° novembre 2012, per consentire alle strutture interessate di avviare i processi di riorganizzazione dei rispettivi organici;
          il contingente complessivo di questi ultimi è di 132 unità, di cui n.  86 appartenenti alla cat. A e n.  46 appartenenti alla cat. B; l'importo medio pro-capite che la Presidenza rimborsa alle amministrazioni di appartenenza, fatte salve le competenze accessorie che sono comunque a carico della Presidenza medesima, costituisce ad avviso degli interpellanti un'inezia rispetto a voci di spesa di maggiore aggredibilità in un'ottica di contenimento;
          peraltro, nella fattispecie, il provvedimento restitutorio, oltre che essere carente sul piano della motivazione, nella parte in cui, a giudizio degli interpellanti, viola il principio di adeguatezza tra i presupposti ispiratori della determinazione autoritativa del comando (speciale competenza del dipendente in relazione a riconosciute esigenze di servizio – articolo 56 del decreto del Presidente della Repubblica n.  3 del 1957) e il fine posto a presidio del provvedimento di revoca, funzionale alla restituzione (contenimento della spesa pubblica), è censurabile anche sotto il profilo della mancanza di proporzionalità tra il sacrificio imposto a detto personale (raggiungimento per molti di loro di sedi lontane in un quadro reddituale pro-capite ridimensionato) a fronte di un risparmio di spesa, come evidenziato, modesto, che produce il solo effetto di procurare un grave danno socio-economico con impatto su situazioni tendenzialmente consolidate;
          nella prospettiva, poi, della tutela del parametro di efficienza dell'organizzazione delle strutture presidenziali, il provvedimento restitutorio adottato iure imperii e al di fuori di un confronto istituzionale con le organizzazioni sindacali, svilisce in modo inequivocabile il principio di buon andamento (articolo 97 della Costituzione), in quanto la sua adozione non costituisce la naturale conseguenza di una ponderata preventiva valutazione delle risorse e dei fabbisogni delle singole articolazioni, in funzione dei rispettivi obiettivi da conseguire, ma si palesa avulsa da un congruo bilanciamento degli interessi in gioco e da un auspicabile criterio di selezione del personale da mantenere all'interno delle proprie strutture, basato sul merito e sulla professionalità individuale;
          in una logica di ripartizione delle voci di costo da iscrivere in bilancio appare, poi, improprio tracciare una linea di differenziazione tra il bilancio della Presidenza e quello delle amministrazioni «fuori comparto», atteso che lo stesso costo, senza variazioni sostanziali, (di fatto si tratterebbe di «una partita di giro») viene a ricadere nella sfera di un altro soggetto pubblico mediante un trasferimento formale di imputazione all'interno di un unico grande contenitore che è il bilancio dello Stato. In tale ambito, tra l'altro, la distinzione tra soggetti del comparto Ministeri e quelli fuori comparto non è giuridicamente appropriata, in quanto le due categorie istituzionali rappresentano altrettante entità dell'apparato amministrativo tra loro collegate, quanto alla natura giuridica e al fine perseguito, dal connotato della pubblicità e, quanto alla missione attribuita, dal vincolo della vigilanza e del controllo da parte del Ministero di riferimento sui risultati conseguiti. In questo contesto, ad esempio, le Agenzie fiscali – che costituiscono il più consistente serbatoio da cui si è finora attinto per il reclutamento del personale fuori comparto – ancorché dotate di autonoma personalità giuridica, predispongono, in allegato al proprio bilancio, appositi raccordi riguardanti gli schemi di stato patrimoniale e conto economico con i pertinenti capitoli di spesa del bilancio dello Stato;
          con riferimento alle politiche di contenimento della spesa, è utile sottolineare che, già prima dell'insediamento dell'attuale Governo, la Presidenza, al pari delle altre amministrazioni, non è stata esentata dalle riduzioni degli stanziamenti di pertinenza. Infatti, le previsioni iniziali di bilancio del 2011 – già oggetto di diminuzione in adeguamento a disposizioni normative – hanno scontato il taglio lineare del 10 per cento delle dotazioni finanziarie riferite alle spese rimodulabili disposte dall'articolo 2, comma 1, del decreto legge n.  78 del 2009, incidendo sensibilmente sia sul capitolo 2115 (fondo di funzionamento della Presidenza), sia sui capitoli pertinenti alle politiche attive, per un totale di circa 57.869.124 milioni di euro;
          in relazione al primo capitolo, in applicazione del decreto legge 112 del 2008, sono stati realizzati risparmi di spesa, attraverso la riduzione del 10 per cento del fondo unico di Presidenza, pari a 1,9 milioni di euro;
          nel corso del 2011, successivi interventi normativi hanno ulteriormente ridotto gli stanziamenti, determinando diminuzioni di spesa per un totale complessivo di 126.066.938 milioni di euro;
          il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° marzo 2011, che ha ridefinito l'assetto ordinamentale delle strutture presidenziali, ha disposto una prima riduzione delle dotazioni organiche dirigenziali di 7 posti di funzione di prima fascia e di 48 unità di seconda fascia per un risparmio complessivo annuo a regime pari a circa 7.130.000 milioni di euro;
          ulteriori tagli, incidenti prevalentemente sulle spese di funzionamento della Presidenza, si sono verificati in applicazione delle norme recate dal citato decreto legge n.  78 del 2009 ed in particolare:
              a) taglio del 5-10 per cento dei trattamenti economici complessivi dei dirigenti per un risparmio a regime pari a 989.411,78 euro;
              b) taglio del 10 per cento delle indennità da corrispondere ai responsabili degli uffici di diretta collaborazione, per un risparmio pari a circa 96.000 euro, che si innesta nel più generale taglio di 12,2 milioni di euro, stabilito dall'attuale Governo, per effetto della riduzione dei Ministri senza portafoglio e dei relativi Sottosegretari, cui è seguito il ridimensionamento di complessive 241 unità;
              c) risparmi per circa 3 milioni di euro conseguiti per effetto della riduzione dei contingenti assegnati alle strutture di missione;
              d) risparmi per 7,9 milioni di euro, relativi ai nuovi limiti di spesa per organi collegiali, incarichi di studio e consulenza, relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza, formazione, missioni, acquisto, manutenzioni, noleggio ed esercizio di autovetture; sul punto, vi è da aggiungere che il Governo ha disposto un ulteriore taglio di esperti e consulenti di 99 unità pari a 750.000 euro; in relazione ai tagli in materia di trasporti, poi, è stato conseguito un significativo risparmio di spesa pari a circa 23,5 milioni di euro, su base annua, determinato dalla contrazione dei voli di Stato, non obbligati da ragioni di sicurezza, nella misura del 90 per cento, un risparmio di circa 270.000 euro per un più efficiente uso del servizio automezzi;
          la Presidenza ha conseguito ancora risparmi per 4 milioni di euro sui costi del personale, mediante il blocco del turn over, il congelamento dei contratti e i pensionamenti;
          da ultimo si aggiunge che con recente decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e stata disposta, con effetto immediato, la riduzione degli organici della Presidenza in misura del 20 per cento dei dirigenti e del 10 per cento del personale di qualifica non dirigenziale;
          è opportuno sottolineare che uno dei principali protagonisti delle politiche di contenimento dei costi della Presidenza, in funzione del precipuo ruolo di coordinamento che è chiamato a svolgere, è il segretario generale della Presidenza, che ha svolto e svolge con lealtà istituzionale generalmente riconosciuta, anche un ruolo tecnico di assoluta garanzia nei confronti degli organi costituzionali e delle pubbliche amministrazioni  –:
          se non sia il caso che il Governo, sulla base del quadro prospettico sopra delineato, che evidenzia un palese squilibrio e disallineamento dei tagli fortemente proiettato sul versante delle risorse umane (spese di funzionamento), orienti la propria azione di contenimento sulle cosiddette politiche attive, ossia sugli interventi e le spese in conto capitale che rappresentano ben il 90 per cento dell'impegno complessivo di spesa del bilancio della Presidenza, a fronte del modesto 10 per cento che costituisce, viceversa, il dato relativo alla spesa per il personale e per i beni e i servizi;
          se, in tale prospettiva, non sia opportuno, anche al fine di evitare un pericoloso contenzioso che sarebbe certamente controproducente dell'immagine della Presidenza, procedere al ritiro del provvedimento restitutorio del personale fuori comparto ed indirizzare gli interventi volti a conseguire (ben più consistenti) risparmi su altre ipotesi di tagli alla spesa, tra le quali, solo per citarne alcune:
              a) eliminazione delle consulenze esterne con contestuale reinternalizzazione dei servizi da affidare a personale interno alla Presidenza dotato di competenze e professionalità adeguate;
              b) affidamento, ove possibile, degli incarichi di vertice degli uffici di gabinetto e dei dipartimenti, nonché delle altre strutture di vertice della Presidenza, a dirigenti della corrispondente fascia dei ruoli della Presidenza medesima;
              c) blocco del reclutamento di ulteriori unità, in regime di prestito, al fine di favorire, in una prospettiva di continuità con l'impegno assunto dal precedente Governo, la graduale stabilizzazione nei ruoli della Presidenza, delle unità già organicamente incardinate nelle articolazioni presidenziali;
          in subordine, solo ove non ritenute adottabili le suindicate misure alternative, se non sia maggiormente rispondente al principio costituzionale di buon andamento rimettere la valutazione degli eventuali esuberi di personale di prestito alla competenza ed alla responsabilità dei titolari delle singole strutture dell'ordinamento presidenziale che provvederanno, se del caso, a rimodulare gli assetti organizzativi di competenza in proporzione del budget loro rispettivamente assegnato e all'esito della ridefinizione delle piante organiche che fotografi le effettive necessità di personale da adibire ai servizi delle singole articolazioni.
(2-01572) «Moffa, Castellani, D'Anna, Ceroni, Lehner, Massimo Parisi, Marmo, Mannucci, Germanà, De Nichilo Rizzoli, Polidori, Taddei, Cazzola, Razzi, Abelli, Cesario, De Corato, De Luca, Luciano Rossi, Girlanda, Barani, Pagano, Iannaccone, Garofalo, Belcastro, Garagnani, Romele, Marinello, Torrisi, Vincenzo Antonio Fontana, Giammanco, Crolla, Gibiino, Antonino Foti, Gioacchino Alfano, Pionati, Gianni».

Interrogazione a risposta orale:


      LO MORO, ZAMPA, VIOLA, LIVIA TURCO, VELO, POLLASTRINI, ZACCARIA, FERRANTI, RAMPI, SERVODIO, TENAGLIA, SAMPERI, VACCARO, DE MICHELI, NANNICINI, BOSSA, PES, VASSALLO, MARINI, SPOSETTI, ZUNINO, NARDUCCI, SBROLLINI, FEDERICO TESTA, CUPERLO, CORSINI, CONCIA, CODURELLI, MURER, GINEFRA, MATTESINI, DE BIASI e LUCÀ. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in data 2 luglio 2012 l'associazione Equality Italia ha denunciato a mezzo stampa le parole inqualificabili contenute nel sito www.umoremaligno.it contro i disabili e le persone omosessuali. Inoltre, le pagine del sito contengono inaccettabili sberleffi rivolti al carabiniere Manuele Braj recentemente scomparso in Afghanistan nel corso di una missione di pace;
          nel sito si raccontano in maniera minuziosa violenze perpetrate ai danni di adolescenti disabili;
          nel sito web si legge «L'handicap è una malattia che può essere facilmente evitata seguendo normali regole di prevenzione. Anzitutto è bene non accompagnarsi a persone disabili per evitare il rischio di contagio. L'handicap si può, infatti, trasmettere anche per via aerea o con la posta ordinaria. Occhio sempre ai francobolli mongoli, particolarmente insidiosi»;
          ad oggi il sito continua a offendere le persone che si sono schierate contro questi messaggi che ledono la dignità (tutelata all'articolo 3 della nostra Costituzione) e i diritti fondamentali delle persone;
          il problema è stato posto all'attenzione dell'Aula dall'onorevole Argentin, con un intervento condiviso da tutti i deputati presenti, al di là delle appartenenze politiche  –:
          se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e non ritenga opportuno avviare un istruttoria;
          se non si ritenga di assumere tutte le iniziative necessarie perché si giunga all'oscuramento immediato del sito www.umoremaligno.it. (3-02360)

Interrogazioni a risposta scritta:


      MINNITI, LAGANÀ FORTUGNO, LARATTA, LO MORO, MARINI, OLIVERIO e VILLECCO CALIPARI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il 15 giugno 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha decretato «la compatibilità ambientale e l'autorizzazione al successivo esercizio relativamente al progetto proposto dalla Società S.E.I. (Saline Energie Joniche) S.p.A., concernente la realizzazione di una centrale termoelettrica alimentata a carbone, di potenza elettrica complessiva di 1320 MWe, da ubicarsi nella località Saline Joniche nel comune di Montebello Jonico (Reggio Calabria) e relative opere connesse a condizione che vengano ottemperate le prescrizioni e disposizioni contenute negli allegati al decreto:
              allegato A: quadro prescrittivo e adempimenti di natura amministrativa;
              allegato B: piano di monitoraggio e controllo;
              allegato C: relativo al parere della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA-VAS n.  559 del 21 ottobre 2010»;
          la costruzione della suddetta centrale termoelettrica a carbone di proprietà della società italo-svizzera S.E.I. Spa di potenza pari a 1.320 MVe lordi costituita da due linee gemelle da 660 megawatt ciascuna e relative opere connesse (opere portuali, sistema di trasporto per il carbone, sottoprodotti di processo ed altri materiali solidi, presa acqua mare, scarico acque di raffreddamento, elettrodotto) presso l'area industrializzata ex-Liquichimica di Saline Joniche nel comune di Montebello Jonico (Reggio Calabria) comporterebbe un investimento di un miliardo e duecento milioni di euro (cifra a cui si aggiungerebbero 500 milioni di euro di investimento per le infrastrutture necessarie al suo funzionamento), con l'assunzione di sole 140 unità lavorative all'interno della centrale;
          la procedura amministrativa per lo start up della mega-opera progettata dalla multinazionale svizzera dell'energia S.E.I. s.p.a., sul piano del suo perfezionamento, non è ancora conclusa: manca infatti il parere del Ministero dello sviluppo economico e si dovrà esprimere la Conferenza di servizi, ma gran parte dell’iter autorizzativo e valutativo da parte delle pubbliche amministrazioni è stato compiuto;
          la mega-struttura, in linea di continuità con i precedenti (e falliti) modelli di industrializzazione regionale del passato, andrebbe ad inserirsi in uno dei contesti più suggestivi e preziosi del territorio calabrese, finendo con il compromettere definitivamente la vocazione turistica dell'area reggina-grecanica e penalizzando l'intera filiera del bergamotto e gran parte delle attività afferenti agli altri settori produttivi;
          la decisione del Presidente del Consiglio dei ministri del 15 giugno 2012 si basa essenzialmente sul parere positivo con prescrizioni del 21 ottobre 2010, espresso dalla Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA-VAS n.  559, in seno al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
          il parere positivo della Commissione tecnica di verifica dell'impianto ambientale VIA-VAS n.  559 del 21 ottobre 2012, è corredato, in premessa, da una serie impressionante di rilievi e dalla richiesta di numerosi approfondimenti di analisi da parte della Commissione, che evidenziano quantomeno a giudizio degli interroganti una ingiustificata fretta e superficialità nelle valutazioni effettuate e nella concessione dell'autorizzazione dell'opera prevista;
          infatti, secondo la premessa del parere n.  559 del 21 ottobre 2010, nel progetto della S.E.I. s.p.a. non c’è ancora «un sufficiente approfondimento delle cause del degrado ambientale locale e delle previsioni sugli effetti dell'esercizio dell'impianto», inoltre «non è presa in considerazione la presenza dei centri abitati di Saline Joniche, Sant'Elia, Caracciolino, Masella, Riace e di Annà di Melito Porto Salvo e le conseguenze che il Progetto avrebbe su di essi»;
          la stessa premessa recita come «il progetto non sembra coerente con i documenti di pianificazione e programmazione della Regione Calabria e degli Enti Locali dell'area grecanica» e, per quanto riguarda il porto, i prelievi e gli scarichi idrici, si registrano «carenze nell'analisi dello stato ante operam e delle conseguenze e ricadute prodotte dalla costruzione, dalla ricostruzione e dall'ampliamento del porto, dal movimento delle navi carbonifere e delle altre navi che dovranno servire per il carico delle ceneri e del gesso, dall'elevato flusso di prelievo e scarico di acqua marina e della temperatura dell'acqua dello scarico»;
          manca altresì – si legge ancora nella premessa del parere n.  559 del 21 ottobre 2010, «un progetto integrato di gestione delle scorie e dei rifiuti, l'individuazione delle modalità per lo smaltimento dei rifiuti, la caratterizzazione delle ceneri e degli altri rifiuti solidi e l'indicazione degli impianti di destinazione»; non vi è stata «una sufficiente valutazione dei danni alla salute e delle conseguenze economiche e sanitarie a carico delle popolazioni che ospitano gli impianti», e risulta assente «la valutazione dell'impatto sulla qualità dell'aria e le ricadute degli inquinanti sul territorio circostante e sulle aree abitate»; risultano altresì assenti «la quantificazione dell'impatto radiologico derivante dai radionuclidi contenuti nel carbone e nelle ceneri di combustione», nonché «la valutazione degli impatti su tutti i centri abitati interessati dalla deposizione degli inquinanti dispersi dalla Centrale»;
          si tratta di approfondimenti di analisi e integrazioni progettuali che la S.E.I. s.p.a. è stata invitata a produrre e che la multinazionale svizzera ha – ovviamente – promesso di realizzare; tuttavia, allo stato dei fatti, il Governo ha concesso l'autorizzazione alla realizzazione della centrale a carbone e questo rappresenta un passaggio determinante nella fase di definizione ultima della procedura amministrativa;
          l'esecutivo, dal canto suo, ha tenuto a specificare che gli allegati A e B che integrano il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 15 giugno 2012 contengono una serie di «disposizioni e prescrizioni» che la S.E.I. s.p.a. è obbligata a ottemperare per poter proseguire con il progetto: in questo senso, in coda al decreto sono sintetizzate, in ben 59 punti, le lacune cui la S.E.I. s.p.a. dovrà rimediare, ma al momento nessuno è in grado di produrre delle garanzie al riguardo e di predire l'esatta evoluzione della vicenda della centrale a carbone di Saline Ioniche;
          va inoltre evidenziato che la regione Calabria, in più occasioni, ha espresso parere negativo rispetto alla costruzione della centrale termoelettrica a carbone (cfr. conferenza preliminare presso il Ministero dello sviluppo economico del 17 settembre 2008, nota protocollo 4538/Gab) e già con deliberazione n.  686 del 6 ottobre 2008, la giunta regionale aveva stabilito «di non accordare l'intesa prevista dalle leggi n.  55/02 e n.  239/04 al procedimento amministrativo avviato dal Ministero dello sviluppo economico sull'opera “Centrale a carbone circa 1320 MWe, da ubicarsi nel Comune di Montebello Jonico (RC)”, proposto dalla società Energie Joniche (SEI SpA)»;
          la mozione n.  17 del consiglio regionale della regione Calabria del 16 novembre 2010 approvata da tutti i gruppi consiliari ha impegnato «il Presidente della Giunta Regionale e la Giunta regionale ad attivarsi presso il Ministero dello Sviluppo Economico, per impedire la realizzazione di centrali termoelettriche a carbone sul territorio della Regione Calabria nel rispetto di quanto previsto dal vigente PEAR». Il tutto in considerazione del fatto che – recita la mozione – «il Piano Regionale (PEAR) approvato con deliberazione Consiglio n.  315 del 14 febbraio 2005 fa assoluto divieto dell'utilizzo del carbone ai fini energetici» e che «lo sviluppo economico del territorio regionale può ottenersi con attività alternative all'utilizzo delle fonti fossili, attività imperniate sullo sviluppo delle fonti rinnovabili e sulla promozione di manifatturiere delle fonti rinnovabili e dell'efficienza energetica»;
          a questo si aggiunga poi che il Ministero per i beni e le attività culturali (MIBAC) ha perentoriamente bocciato il progetto di impiantare la centrale a carbone tra Saline Joniche e Montebello Jonico per la presenza di diciotto aree vincolate e cinque siti di interesse comunitario che dovrebbero essere attraversati e quindi irrimediabilmente deturpati dall'elettrodotto destinato a immettere l'energia in rete a Rizziconi (Reggio Calabria); il MIBAC ha espresso parere contrario alla richiesta di pronuncia di compatibilità ambientale presentata dal proponente S.E.I. s.p.a. e relativa al progetto della centrale e dell'elettrodotto (cfr. nota dell'8 giugno 2010 – prot. DVA-2010-0015065 dell'11 giugno 2010, CTVA-2010-0001942 del 17 giugno 2010), in conformità con i pareri contrari espressi dalla Soprintendenza per beni archeologici della Calabria, dalla Soprintendenza per beni architettonici e paesaggistici per le province di Reggio Calabria e Vibo Valentia e dalla direzione generale per le antichità;
          infine, la centrale di Saline Joniche, oltre a stravolgere il territorio sul piano paesaggistico e ambientale, presenta numerose lacune o omissioni a partire dal fatto che non utilizzerà (e non è previsto lo faccia in futuro) il sistema di cattura e immagazzinamento di CO2. Un punto, questo, che la S.E.I. s.p.a., esplicita chiaramente nei propri documenti ufficiali, affermando che l'implementazione dei sistemi di cattura della CO2 dipenderà dal quadro più generale di sostegno nella fase dimostrativa di una tecnologia sperimentata dal punto di vista tecnologico, ma non ancora commercialmente matura e per questo motivo allo stato attuale non è stato approntato, relativamente all'impianto, uno stadio di dettaglio sull'implementazione del sistema di cattura e stoccaggio della CO2. La sperimentazione e l'utilizzo del sistema di cattura e immagazzinamento di CO2 comporterebbe una lievitazione dei costi che renderebbe antieconomico l'investimento. In pratica, per la centrale quindi verrà predisposta una tecnologia che è tuttora in fase sperimentale e non ancora commercialmente matura. La conseguenza sarà che 7,5 milioni di metri cubi di CO2 l'anno si riverseranno nell'atmosfera, con immediate conseguenze sull'ambiente circostante e sulla salute dei cittadini –:
          se il Governo sia a conoscenza di tutte le questioni relative alla costruzione della centrale termoelettrica di 1.320 MVe lordi tra Saline Joniche e Montebello Jonico e delle controversie di ordine giuridico-amministrativo e ambientale che hanno accompagnato sin dall'inizio il progetto della S.E.I. s.p.a.;
          quali iniziative urgenti, di competenza il Governo intenda assumere per bloccare la costruzione della centrale, dal momento che la regione Calabria presenta un saldo elettrico positivo, ed in considerazione dello scarso impatto, a fronte dei vistosi problemi che si verranno a creare, che la mega-opera avrà sul reddito e l'occupazione regionali, delle negative ripercussioni di carattere ambientale e paesaggistico legate alla realizzazione delle infrastrutture ed anche del parere contrario espresso dal Ministero per i beni e le attività culturali per la realizzazione dell'opera;
          se il Governo sia a conoscenza, nella loro specificità e puntualità, dei fatti predetti e della grande quantità di adempimenti, di approfondimenti e di integrazioni progettuali richiesti alla SEI spa;
          se il Governo sia a conoscenza dei potenziali conflitti istituzionali e amministrativi che potrebbero insorgere in sede di implementazione della mega-struttura (tra Governo e Ministeri, da un lato, e regione Calabria, comuni e comunità locali che hanno già manifestato la loro netta contrarietà alla mega struttura, dall'altro);
          quali iniziative e provvedimenti urgenti (tra cui il ritiro del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 15 giugno 2012) il Governo intenda assumere per evitare la costruzione di un'opera che, oltre ad inscriversi nell'ambito di obsoleti modelli di industrializzazione, si presenta assolutamente priva delle necessarie garanzie in merito alle ricadute sul piano ambientale, paesaggistico e naturalistico e sulla salute dei cittadini. (4-16811)


      ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nel tardo pomeriggio del 27 giugno 2012, a Marcon (Venezia) è scattato l'allarme per un incendio che si era sviluppato all'interno del piazzale della fabbrica Nuova Esa di via Fornace, chiusa dal 2004;
          da notizie stampa non è chiara la causa delle fiamme né che tipo di materiale esattamente abbia preso fuoco anche se si ipotizza che a provocare l'incendio sia stato un ladro che stava tagliando alcune parti metalliche con una sega o con un flessibile;
          a provocare grande allarme vi è il fatto che in quel piazzale da 8 anni sono depositati centinaia di sacchi di bombolette spray esauste e 2 mila tonnellate di balle di bottiglie di plastica pressate da riciclo, oltre a bidoni che contengono catrame e scarti vari di ogni tipo di lavorazione industriale;
          se sono stati fatti rilievi e monitoraggi di tutti i materiali contenuti all'interno della fabbrica, non si è ancora provveduto ad esaminare la parte stoccata sui piazzali esterni;
          tuttavia a destare preoccupazione è la storia che ha visto protagonista a Marcon la Nuova Esa, che nel 1998, nonostante le proteste dei cittadini residenti nella zona attorno alla fabbrica, chiese la possibilità di ampliare lo spazio a disposizione per lo stoccaggio dei rifiuti richiesta alla quale si oppose il TAR;
          nel 2004 poi, la Nuova Esa fu coinvolta nell'operazione «Houdini» relativamente ad un colossale traffico di rifiuti pericolosi che portò all'arresto di undici persone e ad una settantina di indagati. Nell'occasione gli impianti vennero posti sotto sequestro. In quel caso, l'operazione fu condotta dai carabinieri del Nucleo operativo ecologico. Le indagini coinvolsero anche la ditta Servizi Costieri di Marghera. In un secondo momento, la Nuova Esa srl balzò agli onori delle cronache nell'ambito dell'operazione «Sabina» condotta dalla procura di Rieti e gestita sempre dai carabinieri per un traffico illegale di scorie. In questo caso, relativo all'utilizzo di una cava dismessa nel Lazio per riciclare rifiuti speciali e tossici, erano state 39 le persone denunciate tra i quali numerosi responsabili dell'azienda di Marcon;
          l'ultima notifica di sgombero dei rifiuti depositati nell'ex stabilimento della Nuova Esa risale a soli tre mesi fa, quando il 20 marzo 2012, la procura generale presso la corte d'appello di Venezia ha inviato a Gianni Giommi, l'amministratore delegato della società che ha «confezionato» le 6.000 tonnellate di rifiuti tossici nocivi tuttora depositate presso l'impianto di via Fornace l'ordine di provvedere entro 90 giorni al ripristino dell'area mediante evacuazione totale dei rifiuti. Il provvedimento della procura, unitamente alle ordinanze emesse un mese prima dai comuni di Marcon e Mogliano Veneto, sempre aventi come oggetto l'ordine di smaltimento, sono state disattese atteso che i rifiuti sono rimasti al loro posto  –:
          di quali informazioni disponga il Governo in merito ai fatti riferiti in premessa e quali iniziative di competenza intenda promuovere ai fini dell'accertamento delle sostanze ancora depositate nel piazzale della Nuova Esa e della loro regolare rimozione. (4-16819)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      NARDUCCI e TEMPESTINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          la convenzione delle Nazioni Unite «sui contratti per il trasporto internazionale di merci in tutto o in parte per mare», sottoscritta il 29 settembre 2009 e nota come le «Regole di Rotterdam» disciplina la responsabilità del vettore marittimo nei trasporti internazionali di merci;
          le regole di Rotterdam adeguano la copertura giuridica a requisiti già da tempo attuati nel campo dei trasporti (merci in container), armonizzando, uniformando ed equilibrando diritti e doveri tra i contraenti, oltre ad introdurre principi come la dematerializzazione dei documenti, il rispetto delle norme contro l'inquinamento marino, applicati e rispettati già in molti altri comparti e che consentono quello scatto verso la maggior eticità e competitività in ambito internazionale;
          i tempi attuali esigono modifiche al sistema dei trasporti in cui il fattore chiave di successo è evidentemente la normalizzazione del trasporto multimodale, attraverso un contratto (door to door) che consente di non distinguere i mezzi attraverso cui avviene il trasporto, purché uno di essi sia marittimo;
          la regolamentazione internazionale del trasporto marittimo di merci è stata per lungo tempo caratterizzata da un alto grado di uniformità successivamente all'entrata in vigore della Convenzione di Bruxelles del 1924 sulla polizza di carico, la quale è stata ratificata da tutti i principali Stati «marittimi» del mondo. Attualmente tale uniformità è, però, in larga parte compromessa a causa della compresenza di vari regimi giuridici della responsabilità del vettore marittimo. Infatti, oltre alla predetta Convenzione di Bruxelles sono oggi presenti altri strumenti normativi internazionali in materia di trasporto marittimo di merci, segnatamente: i due protocolli modificativi della stessa Convenzione di Bruxelles (del 1968 e del 1979), in vigore in Italia e tra alcuni rilevanti Stati «marittimi» (ad esempio, il Regno Unito, la Francia e la Grecia) e le cosiddette regole di Amburgo del 1978, in vigore dal 1992 tra un ristretto numero di Stati (prevalentemente costituiti da Paesi in via di sviluppo) tra cui non è compresa l'Italia;
          la Convenzione è il frutto di un lavoro di gruppo in cui sono stati coinvolti tutti gli stakeholder marittimi internazionali (armatori, vettori, caricatori, spedizionieri, distributori, e le istituzioni che li rappresentano) al fine di rispondere pienamente alle esigenze del settore;
          nonostante la forte spinta innovativa, relativa soprattutto all'introduzione dei documenti elettronici, alla gestione delle merci in container, dell'attenzione agli impatti dell'inquinamento sull'ambiente marino e del trasporto multimodale, le regole di Rotterdam mantengono fattori di continuità con la normativa internazionale in vigore in Italia;
          le regole di Rotterdam traducono in normativa la prassi consolidata degli operatori del settore, trasformando quello che nei fatti è un complesso processo di operazioni logistiche integrato e funzionale in un corpus armonico giurisprudenziale, a supporto e tutela degli operatori del settore;
          le regole di Rotterdam rispondono alla peculiarità del trasporto multimodale, cioè all'esigenza di «sganciarlo» dagli orientamenti attualmente in essere (1-articolo 1680 codice civile, 2-network liability system, ciascuna tratta regolata dalla propria disciplina, 3-regime giuridico della tratta prevalente o teoria dell'assorbimento) che lo sottopongono alle discipline dei singoli contratti di trasporto e di farlo sottostare al principio della uniform liability proprio per rispettare il forte carattere internazionale in ambito marittimo;
          la convenzione delle Nazioni Unite sui contratti di trasporto internazionale di merci interamente o parzialmente effettuati via mare («Regole di Rotterdam»), è stata sottoscritta da 24 Stati ed il Parlamento europeo, nella Risoluzione del 5 maggio 2010 sugli obiettivi strategici e le raccomandazioni per la politica comunitaria dei trasporti fino al 2018, ha invitato tutti gli Stati membri a firmare, ratificare ed applicare rapidamente tale convenzione delle Nazioni Unite che definisce il nuovo regime di responsabilità marittima in linea con la strategia di ammodernamento del sistema dei trasporti europeo nella prospettiva della sostenibilità e dell'intermodalità secondo un regime giuridico moderno ed uniforme a livello globale;
          l'Italia, pur avendo partecipato molto attivamente ai lavori di stesura delle regole, non ha ancora firmato la convenzione, passo indispensabile per il processo di ratifica  –:
          cosa intenda fare il Governo per procedere tempestivamente alla firma e per accelerare poi la ratifica della convenzione in questione, nota come «regole di Rotterdam», in virtù dell'universalità dei principi che sottostanno al progetto, cioè amichevoli relazioni tra gli Stati, riduzione degli ostacoli al commercio internazionale, cooperazione economica basata su uguaglianza, equità e bene comune, oltre alla esigenza di armonizzazione del diritto in ambito internazionale.
(5-07242)

Interrogazioni a risposta scritta:


      FEDI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le retribuzioni del personale locale operante presso le rappresentanze diplomatiche e consolari sono stabilite in euro ai sensi del decreto ministeriale n.  033/5949 del 2002 che prevede che «a decorrere dal 1° gennaio 2003, la retribuzione del personale assunto a contratto dalle rappresentanze diplomatico-consolari e dagli Istituti italiani di cultura viene determinata e corrisposta in euro (...)»;
          il decreto ministeriale n.  033/5949 del 2002, dettato da esigenze di razionalizzazione e uniformità, rappresenta una deroga al principio generale previsto dall'articolo 157 quarto comma del decreto del Presidente della Repubblica n.  18 del 1967, secondo cui «la retribuzione è di norma fissata e corrisposta in valuta locale, salva la possibilità di ricorrere ad un'altra valuta in presenza di particolari motivi (...)»;
          il Consiglio di Stato con parere del 12 ottobre 2011 ha escluso il personale a contratto del Ministero degli affari esteri dal blocco delle retribuzioni stabilito per i dipendenti pubblici dall'articolo 9, comma 1, decreto-legge n.  78 del 2010;
          la tipologia dei contratti di assunzione del personale locale all'estero, nonché la peculiarità della relativa disciplina, non consentono l'allineamento alla contrattazione collettiva del pubblico impiego, né quindi per tale via, l'attribuzione degli stessi aumenti concessi ai pubblici dipendenti;
          la decisione circa l'opportunità di rivalutare i trattamenti economici, nonché l'entità dei relativi importi, nei limiti delle risorse disponibili a tale scopo, compete pertanto all'autonomia negoziale del Ministero degli affari esteri;
          in numerose realtà estere, a fronte dei consistenti aumenti del costo della vita dovuti alla crisi economica e della repentina svalutazione dell'euro nei confronti di alcune valute, si registrano difficoltà pratiche per il sostentamento quotidiano delle famiglie del personale a contratto impiegato dal Ministero degli affari esteri;
          in Australia, a seguito delle incongruità contenute nel decreto legislativo n.  103 del 2000, sono venute a crearsi condizioni di ampia sperequazione, con una parte del personale retribuito in euro altra parte in dollari australiani, con tre diverse tipologie contrattuali, nell'ambito della stessa qualifica ed a parità di mansioni e di orari di servizio;
          questa situazione ha indotto i contrattisti locali impiegati presso la rete diplomatico-consolare a intraprendere azioni legali contro il Ministero degli affari esteri, anche alla luce del recente pronunciamento della Corte di Coazione in materia delle controversie instaurate dai dipendenti a contratto locale del Ministero degli affari esteri;
          il 23 aprile si è tenuta l'udienza preliminare davanti al Fair Work Australia ed è ormai imminente una prossima udienza nella quale i legali della rete dei contrattisti presenteranno una serie di rivendicazioni tra cui:
              a) inquadramento contrattuale basato su parametri e condizioni di impiego previsti dal servizio pubblico australiano che tenga conto del costo della vita locale così come illustrato dalle tabelle inviate dai contrattisti al Ministero degli affari esteri per il tramite dell'ambasciata italiana in Canberra;
              b) livello retributivo che non dia luogo a ingiuste sperequazioni per mansioni omogenee nell'ambito lavorativo dello stesso Paese;
              c) contratto di lavoro che assicuri a tutti gli impiegati locali, nell'ambito di qualifiche omogenee, parità di diritti e di doveri;
              d) retribuzione in valuta locale, tenuto conto che il personale con «contratto a legge locale», in seguito alla inevitabile oscillazione del valore di cambio, subisce gravi disagi di natura economica ed una perdita reale del potere di acquisto;
          il personale a contratto rileva, inoltre, che la rivalutazione degli stipendi, prevista dal 1o luglio 2012, produrrà ancora una volta sperequazioni e discriminazioni con adeguamenti del 18 per cento per il personale ausiliario e del 25 per cento per il personale esecutivo, entrambe inferiori alla perdita di potere d'acquisto del 35 per cento dello stipendio verificatasi per tutto il personale retribuito in euro;    
          la retribuzione in euro dei contrattisti a legge locale nonostante il previsto aumento del 25 per cento risulterà di fatto inferiore di circa 5.000 dollari annui rispetto alla retribuzione percepita tre anni fa;
          la sperequazione già esistente tra il personale a legge locale, assunto prima del 1o gennaio 2003, retribuito in valuta locale, e quello che, a parità di mansioni, qualifica e termini contrattuali, viene invece retribuito in euro in virtù del decreto interministeriale n.033/5949 del 31 dicembre 2002, si aggraverà ulteriormente di AUD 14.000 annui (AUD 1.172 mensili), equivalenti ad euro 11.250 annui (euro 935 mensili)  –:
          quali iniziative si intendano adottare, anche alla luce delle prossime scadenze connesse ai ricorsi legali alla Fair Work Australia, per giungere a un unico contratto per i lavoratori che rivestono la stessa qualifica e svolgono mansioni omogenee superando una situazione retributiva gravemente discriminatoria;
          quali iniziative si intendano adottare per rivalutare i trattamenti economici del personale a contratto in Australia e finora retribuito in euro;
          se non si ritenga di dover ripristinare, per la totalità degli impiegati a contratto presenti sul territorio australiano, un sistema di retribuzioni in valuta locale, come del resto previsto dalle norme introdotte dal decreto legislativo n.  103 del 13 maggio 2000, nella misura in cui si stabilisce che «la valuta in cui viene fissata e corrisposta la retribuzione degli impiegati è quella locale». (4-16810)


      GALLI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro per gli affari europei, al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
          le cronache degli ultimi giorni hanno evidenziato una recrudescenza degli attacchi nei confronti dei cristiani, in modo particolare in alcune regioni dell'Africa, fra cui la Nigeria ed il Kenya, ad opera di gruppi terroristici di ispirazione islamica, che si sono concretizzati in vere e proprie stragi;
          la persecuzione moderna dei cristiani avviene sotto varie forme, di cui l'eliminazione fisica è la più cruenta, ma non la sola: i due continenti nei quali le persecuzioni contro i cristiani sono maggiormente presenti sono l'Africa e l'Asia; in generale nei Paesi arabi i cristiani, nonostante in tutto il Vicino Oriente ed in Nordafrica costituissero la popolazione originaria, sono oggetto, da parte della popolazione musulmana, di forme di discriminazione più o meno gravi, che negli ultimi decenni hanno portato molti di loro a emigrare o essere forzati a convertirsi all'Islam;
          la popolazione cristiana è in calo più o meno pronunciato in tutti i Paesi del Vicino Oriente, ed in via di sparizione in Iraq. La conversione di musulmani al Cristianesimo è poi vista come un crimine (apostasia) la cui pena è la morte e, anche nei Paesi in cui la legge non la vieta apertamente, i convertiti sono spesso oggetto di minacce, vendette, ricatti, linciaggi da parte della popolazione;
          pare opportuno ricordare gli episodi più gravemente lesivi dei diritti umani di questa vera e propria persecuzione:
              in Algeria nel maggio 2011 nella provincia di Béjaïa è stata ordinata la chiusura di sette luoghi di culto evangelici;
              in Egitto nel 2011 un attentato nella chiesa dei Santi, ad Alessandria d'Egitto, ha provocato 21 morti. L'episodio si inserisce nel contesto di numerosi attacchi alla chiesa cristiano-copta: nel 2010 un agguato all'uscita della messa di Natale aveva provocato otto vittime. La situazione è degenerata ulteriormente il 9 ottobre 2011, quando migliaia di cristiani copti si riuniscono ali Cairo per manifestare contro l'ennesimo attacco a una chiesa: l'intervento dell'esercito provocò una strage, con più di 20 morti e 200 feriti. L'episodio ha avuto un precedente nel novembre 2010, quando due cristiani sono stati uccisi, e quasi duecento arrestati, durante una protesta per il rifiuto della costruzione di una chiesa a Giza. Contrasti e prevaricazioni da parte dei mussulmani nel Paese sono spesso legate alla mancanza di eguaglianza tra moschee e chiese: mentre le prime possono infatti essere costruite ovunque, per le chiese cristiane dei copti, che rappresentano circa il 5-10 per cento della popolazione egiziana, è invece necessario un permesso da parte del Presidente della Repubblica;
              in Libia nel gennaio 2012 viene annunciata la creazione del primo partito islamico libico, che mira alla costruzione del nuovo Stato secondo la sharia, annunciando il rifiuto di trattare con «formazioni in contraddizione con la sharia», la quale proibisce l'evangelizzazione e prevede la pena di morte per «bestemmia» (critica dell'islam) e «apostasia» (conversione ad altra religione);
              in Nigeria la vigilia di Natale 2010 è segnata da una serie di attacchi armati ed esplosivi che causano 86 vittime. La vicenda si ripete l'anno successivo, dove già a novembre sei chiese erano state attaccate a Damaturu, con numerose vittime. In occasione del Natale 2011, cinque attentati sono stati condotti contro chiese cristiane provocando la morte di almeno 39 persone. Nelle settimane successive una serie ulteriore di attentati, realizzati da una setta mussulmana con l'obiettivo dichiarato di provocare l'esodo dei cristiani dal nord del Paese, ha provocato la morte di altre 28 persone. Gli eventi provocano la fuga di decine di migliaia di cristiani dal nord del Paese. L'8 aprile 2012, in occasione della Pasqua, un nuovo attentato con esplosivo vicino a una chiesa a Kaduna ha colpito la Nigeria settentrionale: almeno venti i morti e decine i feriti. Poche settimane dopo, un commando armato ha aperto il fuoco sui fedeli che assistevano a una messa a Kano, causando venti morti e decine di feriti gravi. Il 3 giugno 2012 un attacco condotto da un kamikaze, che conduce un'auto imbottita di esplosivo contro una chiesa a Yalwa (Bauchi) nel nord nel Paese, causa oltre 15 morti. La settimana successiva un duplice attentato condotto da un kamikaze e da uomini armati contro due chiese durante lo svolgimento di funzioni religiose ha causato la morte di almeno quattro persone e il ferimento di decine, alcune delle quali in gravissime condizioni. Anche questi attentati sono stati rivendicati dalla setta islamica Boko Haram, che vuole cacciare i cristiani dal Nord del Paese, dove vuole imporre un califfato islamico. Il macabro rituale degli attentati contro i cristiani in occasione delle messe festive è proseguito anche nella domenica successiva: nello stato settentrionale di Kaduna sono state colpite tre chiese, con un bilancio di almeno 23 morti, compresi diversi bambini, e circa 80 feriti;
              in Somalia, nel 1989 fu ucciso il vescovo di Mogadiscio e nel 2008 rasa al suolo la cattedrale. Ogni pratica religiosa diversa dall'islam è proibita. Il 25 settembre 2011 un ragazzo cristiano di 17 anni, rapito, viene decapitato ad Oddur da militanti al-Shabaab. Gli stessi estremisti islamici sono responsabili dell'uccisione di donne cristiane a Mogadiscio (7 gennaio 2011), Warbhigly (gennaio 2011), della decapitazione di un altro giovane cristiano il 2 settembre 2011, e dell'uccisione a colpi di arma da fuoco di un giovane cristiano di 21 anni il 18 aprile 2011. Ad essi viene attribuito il rapimento di due volontari spagnoli dal campo profughi di Dadaab il 13 ottobre 2011;
              in Sudan il conflitto tra nord del paese prevalentemente arabo ed un sud cristiano e animista ha alimentato una guerra civile che è durata più di 40 anni e costituisce una delle più gravi situazioni umanitarie esistenti e ha portato all'indipendenza del Sud Sudan il 9 luglio 2011. Tuttavia questo ha lasciato i cristiani del nord, oltre 1 milione, in una situazione molto precaria. L'8 giugno 2011 uno studente del seminario di San Paolo è ucciso di fronte alle porte della Missione ONU a Kadugli's al Shaeer. Il 18 luglio, estremisti islamici attaccano la casa del vescovo anglicano Andudu Adam Elnail, al momento fortunatamente assente, con l'intenzione di ucciderlo. Gli attaccanti lasciano una lettera minatoria. Il 5 agosto cristiani che lavoravano alla costruzione della Chiesa Sudanese di Cristo vicino Khartoum sono aggrediti e gli viene intimato che «il Cristianesimo non è più una religione accettata nel paese»;
              in Afghanistan la conversione al cristianesimo è ancora punibile con la morte. I cristiani non si radunano pubblicamente e, se sono noti come tali, subiscono pressioni dalla società e dalle istituzioni;
              in Arabia Saudita, in base alle disposizioni sciaraitiche circa la dhimmitudine, che significa soggezione con umiliazione, è formalmente vietata ogni religione che non sia quella musulmana; la presenza di stranieri cristiani è tacitamente tollerata, ma essi non possono in alcun modo manifestare la propria fede. Persino il possesso della Bibbia è considerato un crimine;
              in Bhutan il processo di transizione democratica, sancito nel 2008 dall'approvazione della Costituzione da parte del parlamento, sta migliorando notevolmente il livello di libertà religiosa nel Paese. La pratica cristiana è comunque ancora esercitata privatamente, e con discrezione. Nel 2010 un cristiano nepalese è stato condannato a tre anni per «tentata promozione di disordini civili» dopo aver proiettato film a contenuto cristiano;
              in Corea del Nord la dittatura comunista proibisce qualsiasi appartenenza a gruppi cristiani. Dal 1949 non si hanno più notizie del vescovo di Pyongyang, mons. Francis Hong Yong-ho e di altri 166 sacerdoti;
              in Cina il governo ha istituito una «Chiesa patriottica nazionale», separata da Roma. I cattolici fedeli al Papa sono considerati «agenti di una potenza straniera». Anche se in tempi recenti il governo cinese ha aperto una trattativa con il Vaticano, tuttora continuano le incarcerazioni di sacerdoti e vescovi. Anche altre religioni «non autorizzate» vengono duramente represse;
              in India, molti cristiani sono oggetto di torture ed uccisioni da parte di fondamentalisti indù. Nel 2008 un'ondata di violenza culminata con numerose uccisioni ha costretto 20.000 cristiani a cercare riparo in rifugi allestiti nello stato dell'Orissa. Il 14 gennaio 2012 viene pubblicato il rapporto sulle persecuzioni in India dal «Catholic Secular Forum», organizzazione ecumenica fondata da cattolici indiani e sostenuta dal cardinale Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay. In esso si afferma che nel 2011 sono stati 2.141 i cristiani colpiti in India da aggressioni, attacchi e persecuzioni, senza contare familiari ed amici, e che le violenze, in gran parte opera di gruppi estremisti indù, sono destinate a crescere nel 2012;
              in Indonesia, dal 1975 al 30 agosto 1999, la regione di Timor Est, prevalentemente cristiana, è stata occupata dal regime di Suharto nonostante l'opposizione dell'ONU. L'occupazione militare ha provocato 200.000 vittime e 250.000 profughi su una popolazione totale di circa 800-900.000 abitanti. Nel 1999 iniziano le stragi nell'arcipelago delle Molucche che causeranno almeno 13.500 vittime e circa 500.000 profughi. Numerosi sono i casi registrati di conversioni forzate, circoncisioni fatte col rasoio e senza anestesia, stupri, infibulazioni, evirazioni, sventramenti e decapitazioni. E poi distruzioni di chiese, scuole, ospedali, lebbrosari e centri medici. A Poso tre ragazze furono assalite mentre andavano ad una scuola cattolica e sgozzate. La testa di una di loro fu ritrovata davanti alla chiesa cristiana di Kasiguncu. Dal 17 al 19 ottobre 2011 oltre 5.000 abitanti della Nuova Guinea Occidentale si riunirono a Jayapura per il terzo Congresso annuale, il quale si apre con preghiere ed al quale presenziano molti leader religiosi. Il 19 ottobre giunsero oltre 3.100 militari in assetto da combattimento: oltre 300 gli arresti, decine i feriti, e sei i morti;
              in Iran le persecuzioni contro i cristiani e altre minoranze religiose hanno conosciuto un crescendo dopo le elezioni presidenziali del 2009: Amnesty International denuncia casi di imprigionamento, anche senza processo. Particolare attenzione presso i media ha destato la vicenda di un sacerdote cristiano, Yousef Nadarkhani, che, essendo nato da genitori mussulmani, rischia condanna a morte per apostasia;
              in Iraq molti cristiani vengono uccisi, perseguitati o costretti ad abbandonare il Paese. Dal 2004 al 2009 si sono registrati circa 65 attentati a chiese cristiane: quello realizzato nel 2010 nella chiesa della Nostra Signora della Salvezza, a Baghdad, ha provocato da solo oltre 50 morti;
              nelle Maldive l'Atto di unità religiosa, proclamato nel 1994, vieta la promozione di ogni religione diversa dall'Islam o di ogni opinione che sia in disaccordo con quella degli esperti islamici. Nel 2011 le autorità espellono un'insegnante accusata di diffondere il Cristianesimo, dato il ritrovamento di una Bibbia nella sua casa. Il 10 dicembre 2011 manifestanti riuniti per chiedere la libertà di religione nelle Maldive sono attaccati con lancio di sassi e minacciati di morte;
              in Pakistan la legge contro la blasfemia viene utilizzata come strumento di pressione: la semplice professione di fede cristiana può diventare bestemmia punibile con la pena di morte. In generale, i membri delle minoranze religiose soffrono nel Paese di abusi crescenti che riguardano omicidi, sequestri e intimidazioni. Le manifestazioni di intolleranza, anche violenta, sono numerose: nel 2010 a Gorja, nel Punjab, una folla di mille persone ha attaccato un quartiere cristiano, bruciando vive sei persone, tra le quali un bambino. Nello stesso anno la condanna a morte per blasfemia di una donna cristiana, Asia Bibi, ha sollevato ampie proteste internazionali. L’Asian Human Rights Commission ha inoltre denunciato la diffusione ormai allarmante raggiunta dalla pratica del sequestro e dello stupro di donne per forzarne la conversione all'islam: il fenomeno si estende e si allarga anche per l'atteggiamento delle forze di polizia, che si schiera a fianco dei gruppi islamisti e tratta le minoranze religiose come «forme inferiori di vita». La pressione e la discriminazione in atto contro i cristiani sono confermate anche da un recente provvedimento dell'Autorità per le telecomunicazioni che ha imposto alle società di telefonia mobile di bloccare ogni SMS contenente la parola «Gesù Cristo». Contro il divieto ha protestato P. John Shakir Nadeem, della locale Conferenza episcopale, che ha affermato: «Se il divieto venisse confermato, sarebbe davvero una pagina nera per il paese, un ulteriore atto di discriminazione verso i cristiani e una aperta violazione della Costituzione del Pakistan»;
              in Vietnam tutti i gruppi religiosi devono essere registrati presso il governo. Nel 2010-2011 i cristiani che vivono nelle montagne centrali e frequentano chiese non registrate sono stati vittime di un'ondata di violenze, arresti e intimidazioni;
              in Turchia il 25 dicembre 2010 la messa di Natale celebrata nei villaggi di Rizokarpaso e Ayia Triada per i trecento cristiani residenti nel Cipro settentrionale è stata interrotta con la forza dalle autorità locali. Il Parlamento europeo ha condannato l'episodio;
          tale elenco, non esaustivo e purtroppo reso ancor più tragico dalle recenti stragi perpetrate in Nigeria e Kenya, rende palese come tali sistematiche uccisioni di cristiani stiano assumendo il carattere di un diffuso genocidio;
          l'evoluzione internazionale dopo la caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda, ha finalmente collocato i diritti umani, le libertà fondamentali, quali le libertà politiche, di espressione e di religione, la spinta verso la democratizzazione e lo stato di diritto, al centro delle relazioni internazionali;
          l'Italia pone alla base della politica estera il rispetto dei diritti umani e del principio di legalità che sono condizioni per prevenire i conflitti e per favorire la crescita di società stabili;
          è innegabile l'importanza che riveste l'azione di promozione e di tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali nell'attuale quadro delle relazioni internazionali, anche nella prospettiva della prevenzione dei conflitti e della promozione dello sviluppo e della pace;
          in seno alla comunità internazionale si registra in effetti una crescente consapevolezza che le situazioni di crisi potenzialmente in grado di mettere a rischio la sicurezza e la stabilità internazionali traggano spesso origine da contesti di sopraffazioni ed abusi dei diritti fondamentali e che pertanto una efficace ed adeguata attività di monitoraggio nel settore adempia anche ad una utile funzione di «early warning»;
          tale azione viene promossa dall'Italia sia a livello bilaterale che nel quadro di concertazione dell'Unione europea;
          la tutela dei diritti umani fondamentali ed il rispetto del principio di legalità formano oggetto di costante attenzione da parte dell'Unione europea e rappresentano delle linee guida cui sono stabilmente improntati il dialogo politico e le iniziative dell'Unione europea nei confronti dei Paesi terzi;
          in particolare, si sottolinea che la promozione del rispetto dei diritti umani, dello stato di diritto e delle libertà fondamentali costituisce una delle priorità della politica di assistenza dell'Unione europea nei confronti dei Paesi terzi. Il ruolo dell'Unione europea è in tale ambito duplice, potendosi esplicare, da un lato, nella predisposizione di programmi di intervento volti ad assicurare la tutela di tali diritti, e dall'altro, in una sorta di potestà di sezione nei confronti delle violazioni commesse dai Paesi beneficiari degli aiuti;
          la promozione del rispetto dei diritti umani si attua anche attraverso le cosiddette «clausole di sospensione», con le quali l'Unione condiziona la concessione degli aiuti all'adempimento, da parte dei Paesi beneficiari, degli impegni presi in tema di tutela dei diritti umani nel quadro di accordi multilaterali (in particolare, l'Accordo di Cotonou, concluso dall'Unione europea con i Paesi ACP) e bilaterali. Tali clausole vincolano gli effetti degli accordi sugli scambi e sull'attività di assistenza al rispetto, da parte del Paese terzo contraente, dei diritti umani e delle libertà fondamentali;
          i regolamenti relativi ai programmi geografici di assistenza dell'Unione europea, nel quadro delle prospettive finanziarie per il periodo 2007-2013, contengono clausole specifiche in merito alla sospensione dei finanziamenti in presenza di violazione dei diritti umani e di interruzione del processo democratico;
          lo strumento di pre-adesione (l'IPA, Turchia e Paesi dei Balcani), lo strumento di vicinato e partenariato (ENPI, Repubbliche ex-sovietiche dell'Europa, Orientale, del Caucaso e Federazione Russa, Maghreb e Mashrek) e lo strumento di cooperazione allo sviluppo e cooperazione economica (DCECI, che concerne l'assistenza offerta agli altri Paesi non coperti dai primi due strumenti) stabiliscono che il Consiglio dell'Unione europea, su proposta della Commissione, è in grado di prendere le misure più appropriate nel caso in cui ritenga che uno dei Paesi beneficiari non abbia rispettato i diritti umani e le libertà fondamentali;
          per quanto concerne il tema degli «aiuti umanitari», è bene sottolineare che questi ultimi hanno come destinatari primari e diretti le popolazioni civili, e non i singoli Governi beneficiari, ma nei fatti tali aiuti stentano ad arrivare alle popolazioni interessate, poiché proprio a causa degli attacchi terroristici contro i quali i Governi in questione non possono o non intendono intervenire con fermezza, o di cui sono conniventi per omissione di intervento, gli aiuti spesso si disperdono prima di poter incidere favorevolmente sulle popolazioni vittime di persecuzioni e di abusi  –:
          se non si ritenga necessario operare un monitoraggio efficace per conoscere quali tra i Paesi che ricevono aiuti umanitari dall'Italia e non rispettano i diritti umani abbiano realmente adottato ogni comportamento utile a far raggiungere tali aiuti alle popolazioni e se non si ritenga doveroso, d'intesa con i Paesi dell'Unione europea, adottare una strategia comune che leghi strettamente gli aiuti umanitari ad un progressivo miglioramento della tutela dei diritti fondamentali delle persone, in particolare a difesa della libertà di religione, o comunque adottare ogni azione necessaria a garantire che tali aiuti arrivino correttamente a destinazione;
          se non si ritenga che l'Italia debba intervenire, quale primo proponente, in sede europea, per promuovere una drastica sospensione degli aiuti finanziari citati in premessa previsti o già in via di erogazione, nonché l'attuazione anche di altre misure sanzionatorie di carattere economico, nei confronti dei Paesi in cui la persecuzione per motivi religiosi sia pratica costante, come dall'elenco citato in premessa;
          se il Governo non ritenga opportuno intervenire in sede di Nazioni Unite per richiedere interventi decisi, di condanna e di carattere sanzionatorio, ivi compreso l'embargo, nei confronti degli Stati che permettono tacitamente o approvino palesemente la repressione religiosa, e qualunque intervento idoneo a salvaguardare la libertà di religione, nei confronti dei Paesi che pur tentando di salvaguardare tale diritto fondamentale non abbiano i mezzi e le capacità per far fronte a tali sanguinari atti di terrorismo. (4-16824)

AFFARI EUROPEI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      CONTENTO e GOTTARDO. — Al Ministro per gli affari europei, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          in Friuli Venezia Giulia si respira un clima di diffuso malessere tra gli allevatori a causa di un sistematico abbassamento dei prezzi di acquisto del latte;
          il fenomeno è generalizzato ma presenta punte più gravi in certe zone del territorio nazionale;
          nel caso del Friuli Venezia Giulia il crollo dei prezzi non dipenderebbe solo dalla concorrenza di altri partner europei (Germania, Austria, Repubblica Ceca e Slovenia in primo luogo) e dal calo dei consumi ma anche da problematiche interne ai vari consorziati, nonché a questioni logistiche non meglio chiarite;
          al momento risulta che gli allevatori di gran parte del Friuli Venezia Giulia siano costretti a vendere il latte ad una quota media di 0,36 centesimi di euro al litro, cioè vicinissimi al livello minimo vitale per centinaia di piccole aziende a conduzione familiare;
          la vicenda coinvolge necessariamente anche l'Unione Europea, non foss'altro che per le oggettive competenze in materia di Pac e per le gravi ripercussioni che eventuali crisi del settore potrebbero comportare per l'economia, la ruralità e l'approvvigionamento alimentare del Paese  –:
          se la notizia di cui in premessa sia vera e quante realtà produttive interessi a livello nazionale e, nello specifico, in Friuli Venezia Giulia;
          quali cause abbiano portato ad una così netta riduzione del prezzo del latte;
          in caso di risposta affermativa al precedente quesito, se intendano assumere una qualche iniziativa di rapido coordinamento tra la Commissione europea e le singole regioni al fine di scongiurare così il rischio di default generalizzati tra le piccole aziende agricole italiane. (5-07237)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interpellanza:


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per i beni e le attività culturali, per sapere – premesso che:
          il 28 giugno 2012 si è svolta presso la VIII Commissione Ambiente territorio e lavori pubblici l'audizione del Sottosegretario Roberto Cecchi, concernente i danni del terremoto ai beni culturali dell'Emilia-Romagna ed, in particolare, delle province di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia;
          durante l'audizione a parere degli interpellanti è stato sostanzialmente preso l'impegno dal Governo di saldare ex post le spese per le ristrutturazioni di chiese e locali annessi alle medesime parzialmente lesi dal sisma, e di approntare le misure necessarie per compensare, entro tempi brevi più che ragionevoli, le spese delle parrocchie e delle curie diocesane colpite dal terremoto, per la restituzione delle stesse al culto;
          il significato culturale, storico e religioso degli edifici adibiti al culto costituisce memoria vivente di secoli della nostra civiltà locale e come tale la sua tutela deve essere ricompresa tra le priorità, lasciando ovviamente agli organi tecnici preposti il ripristino o se possibile la ricostruzione delle chiese e dei beni culturali danneggiati in modo gravissimo e bisognosi di interventi di alta qualità;
          si rileva l'importanza e l'urgenza di attivare e ripristinare l'economia nelle zone colpite con interventi immediati che restituiscano alla popolazione la sensazione di una possibile ripresa, aiutando in tal senso gli imprenditori che si fanno carico della ristrutturazione dei fabbricati di loro proprietà, al fine di non interrompere il ciclo produttivo  –:
          in quali tempi intenda procedere per dare seguito all'impegno assunto e, con riferimento specifico al ricovero, nel Palazzo ducale di Sassuolo, delle opere d'arte di proprietà delle parrocchie o delle curie diocesane se non ritenga opportuno approntare in tempi ragionevoli una relazione tecnica sui restauri eseguiti e sulle modalità di custodia e di riconsegna ai legittimi proprietari.
(2-01581) «Garagnani, Romele, Nastri, Calderisi, Milanese, Cazzola, Ventucci, Cassinelli, Torrisi, Abelli, Bocciardo, Dell'Elce, Lainati, Renato Farina, Nizzi, Minardo, Germanà, Stradella, Armosino, Ceroni, Luciano Rossi, Rosso, Crolla, Formichella, Scandroglio, Castellani, De Corato, Di Caterina, Repetti, Di Virgilio, Gottardo, Saglia, Lazzari, Paniz, Pescante, Pelino, Bernardo, Lorenzin, Gioacchino Alfano, Antonino Foti, Crosetto».

Interrogazione a risposta scritta:


      MADIA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          il consiglio comunale di San Cesareo, nella seduta del 21 dicembre 2010 con deliberazione n.  53 ha approvato il piano edilizio integrato denominato «Parco della Pietrara» con contestuale variante di piano regolatore presentato dalla società DueGi Immobiliare, che prevede, sul territorio del comune in esame, in particolare nell'area ricompresa tra la via della Resistenza e la via Casilina, la realizzazione di edifici con destinazione abitativa e la nuova sede parrocchiale per una cubatura complessiva di metri quadrati 54.0000;
          il piano approvato costituisce una rivisitazione di un progetto analogo approvato dal consiglio comunale di San Cesareo con delibera n.  9 del 20 marzo 2007, progetto che a seguito di importantissimi rinvenimenti archeologici sull'area è stato appunto modificato;
          gli scavi archeologici hanno avuto inizio nel mese di novembre 2009 e del rinvenimento è stata data notizia dalla dottoressa Maria Cristina Recco nel convegno di studi «Lazio e Sabina» tenutosi l'11 marzo 2011 presso l'Accademia olandese di Roma;
          l'area in questione si trova a nord-ovest del centro abitato, misura circa 30.000 metri quadrati, ha un ingresso posto su via della Resistenza ed un altro su via Casilina; la villa ha per ora una superficie di circa 7.000 metri quadrati, è posta in una zona collinare, orientata verso Nord ed adiacente il tracciato viario di cui si conservano resti nei terreni circostanti;
          le stanze per ora individuate sono una decina, presentano pavimenti musivi a tessere bianche e nere e policromi con paste vitree di rara bellezza, motivi ornamentali a vasi di fiori, trecce e volti umani vegetalizzati, le pareti sono rivestite da intonaco bianco e rosso diviso da una riga gialla; verso nord, all'esterno al muro di recinzione della villa, si individua un'area di necropoli non ancora messa in luce. Sempre procedendo verso Nord, è emersa a circa 30,00 metri dal limite della villa, una imponente struttura muraria a carattere monumentale dalla forma rettangolare con superficie di circa 400 metri quadrati, ha muri alti più di 2,00 metri, con grandi nicchie esterne. Da alcuni saggi esplorativi, si è ipotizzato trattarsi di un ninfeo monumentale e conserva d'acqua, data la presenza di rivestimento interno in cocciopesto idraulico;
          adiacente tale struttura, sempre procedendo verso Nord, sta emergendo, dai sondaggi archeologici in corso, una grande struttura termale, il cui solo caldarium, occupa una superficie di 500 metri quadrati. Tutta l'area sottostante il terreno in questione è percorsa da una fitta rete di canali sotterranei per il passaggio dell'acqua da una cisterna all'altra, che sono stati parzialmente ispezionati con saggi d'indagine. Gli scavi parziali finora effettuati su Colle Noce hanno permesso di individuare un'area di altissimo interesse archeologico, per ora dell'estensione di circa 10.000 metri quadrati, con strutture murarie molto ben conservate;
          la cronologia delle strutture attualmente individuate della villa va dalla fine dell'età repubblicana al II secolo d.C., mentre il grande ninfeo monumentale e la struttura termale apparterrebbero alla fine del III sec.-IV d.C.; l'estensione delle strutture, la qualità dei mosaici policromi, la ricchezza dei marmi pregiati e rari, la presenza del ninfeo e di terme monumentali, ha portato gli studiosi ad ipotizzare di essere di fronte a una villa imperiale, forse proprio la grandiosa villa citata da illustri studiosi, nella quale si sarebbe trovato Massenzio il giorno in cui fu acclamato Augusto (306 d.C.);
          già il presidente del consiglio comunale di San Cesareo in una nota pubblica inviata alla stampa locale, ancor prima dell'approvazione del piano sollevava forti dubbi sulla legittimità di tale atto dichiarando che: «La Sovrintendenza non ha dato un parere definitivo, ma solo un parere di massima sul progetto presentato, tant’è che si è riservata di esprimere il parere definitivo soltanto quando saranno state definite le condizioni poste ai punti A-B-C-D-E-F del documento inviato all'Impresa, cosa che avrebbe dovuto ottenere il comune prima di portare all'approvazione del Consiglio il punto all'O.D.G»;
          sul Piano sono stati presentati due documenti di sindacato ispettivo presso il consiglio regionale del Lazio a firma onorevoli Di Carlo e Storace, interrogazioni volte a verificare la corretta procedura seguita dall'organo di governo locale, che in particolare sollevavano le seguenti obiezioni: il comma n.4 della legge regionale n.  22 del 1997 indica perentoriamente che il programma integrato può comprendere anche zone agricole contigue ai perimetri urbani ma esclude quelle di pregio ambientale; alla luce dei rilievi della Soprintendenza archeologica del Lazio, l'area agricola interessata dal complesso monumentale è, senza ombra di dubbio, una «zona agricola di pregio ambientale» e comunque le aree agricole possono essere destinate solo ad opere di umanizzazione e recupero degli standard urbanistici se non disponibili all'interno dell'ambito;
          il consiglio comunale di San Cesareo ha respinto le osservazioni al piano presentate nei termini di legge dal signor Roberto Scaramella, osservazioni che oltre a rilevare le già citate perplessità sull’iter seguito dall'organo di governo locale suggerivano:
              a) che il Comune di San Cesareo, modifichi il piano integrato «la Pietrara» conservando delle opere in esso contenute la sola realizzazione della chiesa parrocchiale, assolutamente utile ai cittadini, pur con il rispetto dei vincoli archeologici attuali e di altri che dovessero pervenire dalla scoperta di nuove insorgenze archeologiche, e nel rispetto di distanze dai reperti, tali da consentirne la conservazione e fruizione più complete;
              b) che il comune di San Cesareo preveda una piena valorizzazione del sito archeologico anche eventualmente prevedendo una integrazione con l'attiguo «bosco della macchiarella» realizzando il primo ed unico parco archeologico del territorio, ciò sulla strada dell'individuazione di una nuova vocazione turistico/culturale del comune ed una tutela e diffusione della storia del comune che ha rilevanza millenaria;
              c) che il comune nello stesso tempo preveda, per i soggetti privati promotori del piano integrato, delle opportune compensazioni per il mancato investimento, anche prevedendo la realizzazione degli immobili abitativi contenuti nel suddetto piano integrato in altra area da individuarsi;
          la diffusa preoccupazione dei cittadini sulla vicenda ha prodotto, in data 13 giugno 2011 la costituzione di un comitato denominato «Salviamo la villa di Cesare-Massenzio» e che tale comitato ha organizzato assemblee ed incontri pubblici sull'argomento, che si sono distinti per la numerosissima partecipazione dei cittadini, a conferma di una diffusa sensibilità sul tema della preservazione del bene archeologico e sul tema della sua valorizzazione;
          le iniziative citate hanno portato il sottosegretario ai beni culturali onorevole Francesco Giro ad intervenire sulla vicenda effettuando un sopralluogo sull'area in data 22 luglio 2011, e che durante tale sopralluogo e in interventi pubblici successivi lo stesso Sottosegretario ha avuto modo di cassare pesantemente il progetto approvato sollecitando gli uffici della soprintendenza alla immediata apposizione del vincolo assoluto sulla Villa Imperiale vincolo che risulta effettivamente apposto;
          a partire dall'apposizione del vincolo diretto sulla Villa imperiale i cittadini non hanno più avuto informazioni sulla sorte del bene archeologico, che lo stesso nel frattempo è stato abbandonato completamente all'incuria, che le precipitazioni nevose invernali si presume abbiano danneggiato gravemente i mosaici policromi e le altre testimonianze rinvenute, e che al momento tutta l'area risulta invasa dalle erbe infestanti;
          nel frattempo circolano nella comunità di San Cesareo enormi incertezze sulla sorte dell'area in esame, incertezze rafforzate da notizie di organi di stampa locali su un «tavolo tecnico» che sarebbe stato aperto presso la regione Lazio sul tema, tavolo a cui sembra abbiano partecipato rappresentanti del comune, della sovrintendenza, della regione e a quanto risulta all'interrogante anche la ditta DueGi immobiliare, e, sempre stando alle fonti di stampa, in tali incontri presso la Regione Lazio pare siano state «delineate le linee guida per la realizzazione del Piano», e inoltre «sia stato deciso il rinterro quasi completo della villa imperiale»;
          l'eventualità del rinterro della villa desta viva preoccupazione nei cittadini perché con tale decisione essi vedrebbero svanire definitivamente la prospettiva della realizzazione sull'area di un parco archeologico, e con esso le radici di un paese che sembrava aver trovato appunto nei reperti rinvenuti, una storia che ad oggi non possiede;
          per quanto riguarda la realizzazione del piano edilizio, i cittadini di San Cesareo, ad oggi, non hanno alcuna informazione e cognizione su quale piano sia effettivamente da considerarsi in itinere, se il piano approvato dal comune, pur sanzionato dalla Sovrintendenza tramite l'apposizione del vincolo o se altro piano di cui però ad oggi non v’è notizia, non, risultando essere stato presentato in presso gli uffici tecnici comunali;
          il funzionario incaricato della Soprintendenza, dottoressa De Spagnolis, in un recente incontro richiesto dal comitato dei cittadini per avere maggiori informazioni sulla vicenda ha avuto modo di dichiarare che pur avendo partecipato ad incontri presso la regione non le è stato mostrato il nuovo progetto e che anche qualora ciò fosse stato fatto non avrebbe potuto pronunciarsi perché il rilievo archeologico non è ancora terminato;
          la stessa funzionaria ha ulteriormente precisato che essa, in qualità di funzionario della sovrintendenza incaricato di vigilare sul cantiere in oggetto non ha mai avuto occasione di prendere visione del progetto del piano integrato approvato dal consiglio comunale di San Cesareo in data del 21 dicembre 2010 con delibera n.  53;
          sulla base di altre fonti la dottoressa De Spagnolis avrebbe invece concordato con i funzionari della regione, del comune e della ditta DueGi immobiliare, il dettaglio dell’iter per la realizzazione del piano integrato oltre ad aver rassicurato gli stessi sul fatto che «il vincolo emesso potrà essere modulato in fase di approvazione del progetto» e inoltre che «non è in discussione la realizzazione della nuova chiesa»;
          le citate notizie di stampa e le citate dichiarazioni del funzionario della soprintendenza sono visibilmente contrastanti e ingenerano nella popolazione una vivissima preoccupazione e oltretutto una certa indeterminatezza delle decisioni, unita ad una complessiva scarsa cautela del funzionario della soprintendenza ha determinato nei cittadini una complessiva sfiducia sull'operato di quell'ufficio che a più riprese sembra essersi posto più come il pianificatore dello sviluppo urbanistico di San Cesareo che come il vero organo tutelare dei tesori archeologici rinvenuti;
          tutto ciò è unito ad una carenza assoluta di informazione e coinvolgimento, anche a causa dell'atteggiamento omissivo dell'amministrazione comunale che non ha risposto ad una interrogazione sul tema presentata in data 15 settembre 2011 e non ha mai ritenuto, pur richiesta, di incontrare i cittadini pubblicamente per discutere dell'argomento e di coinvolgerli verso una decisione condivisa, l'unica che potrebbe tranquillizzare la cittadinanza;
          alla preoccupazione dei cittadini si è aggiunta la beffa data dalla notizia del trasferimento presso il museo archeologico di Sperlonga, di un importantissimo reperto rinvenuto sul territorio della villa, ovvero del cosiddetto «orologio di Giulio Cesare» (una meridiana marmorea di epoca imperiale) episodio che ha destato sdegno e acredine verso l'ufficio della soprintendenza  –:
          se il Governo disponga di elementi in ordine all'esito del piano edilizio integrato approvato dal comune di San Cesareo in data 21 dicembre 2010 con delibera n.  53, alla luce dell'intervento del sottosegretario pro tempore onorevole Francesco Giro e della successiva apposizione dei vincoli archeologici diretti sulla villa;
          quali siano le determinazioni del Ministero alla luce delle notizie in possesso sulla presunta partecipazione della funzionaria della soprintendenza del Lazio dottoressa Marisa De Spagnolis ad un incontro presso la regione Lazio a cui avrebbero partecipato appunto non meglio precisati rappresentanti della regione oltre a rappresentanti del comune di San Cesareo e della ditta Duegi Immobiliare, incontro nel quale, secondo appunto organi di stampa, si sarebbe delineato l’iter per la realizzazione del piano edilizio integrato citato in premessa;
          se corrisponda al vero che la suddetta funzionaria, nel suddetto incontro abbia avuto a garantire, a tutela delle richieste edificatorie dell'impresa e della volontà del comune di san Cesareo, che per quanto riguarda il vincolo emesso «esso potrà essere adeguato in fase di approvazione del progetto»;
          se, alla luce della mobilitazione popolare sul tema, il Ministro non ritenga di fornire ai cittadini corrette informazioni sull’iter del vincolo archeologico diretto ed indiretto sulla villa imperiale, fornire ai cittadini corrette informazioni sull’iter del piano edilizio integrato citato o sulla presenza di altro progetto già illustrato alla soprintendenza e sollecitare la soprintendenza all'apertura di un tavolo negoziale con i cittadini nel quale essi possano correttamente esporre le loro perplessità e preoccupazioni ed essere informati dagli enti coinvolti, anche tramite una consultazione pubblica dei cittadini, che possa orientare l'amministrazione locale verso soluzioni condivise. (4-16829)

COOPERAZIONE INTERNAZIONALE E INTEGRAZIONE

Interrogazione a risposta immediata:


      VOLONTÈ, GALLETTI, TASSONE, COMPAGNON, CICCANTI, NARO, RAO, DE POLI e LIBÈ, OCCHIUTO, BONCIANI, POLI e PEZZOTTA. — Al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
          l'Assemblea plenaria del Consiglio d'Europa, riunita in questi giorni, ha approvato il rapporto dal titolo «La giovane generazione sacrificata: conseguenze sociali, economiche e politiche della crisi finanziaria»;
          il documento è segnale d'allarme e un forte invito che il Consiglio d'Europa rivolge ai suoi 47 Stati membri, affinché adottino misure adeguate per far fronte alla situazione preoccupante in cui versano i giovani in Europa;
          la persistente instabilità economica che sta investendo l'Europa espone i giovani a delle difficoltà senza precedenti; disoccupazione, sottoccupazione, disuguaglianze socio-economiche, povertà ed esclusione sociale colpiscono in maniera sproporzionata le giovani generazioni, la cui autonomia, dignità, benessere e accesso ai diritti sono soggetti ad una rapida erosione;
          in conseguenza di ciò, l'Europa rischia non solo di produrre una «generazione perduta» di giovani disillusi, ma anche di mettere in pericolo la sua stabilità politica e la coesione sociale, la giustizia e la pace, oltre che la sua competitività a lungo termine e le prospettive di sviluppo nel contesto mondiale;
          i giovani sono un fattore essenziale di un'Europa che tende ad invecchiare e attori cruciali per aiutare la società ad uscire dalla crisi e ciò implica un rafforzamento delle politiche giovanili e della partecipazione, la creazione di nuovi posti di lavoro, il miglioramento delle opportunità di formazione e la protezione sociale;
          nel meeting di San Pietroburgo di settembre 2012, i Ministri per le politiche giovanili dei 47 Paesi membri analizzeranno le conclusione del rapporto, alla cui elaborazione hanno partecipato le tantissime associazioni di giovani europei –:
          quali iniziative intenda adottare, d'intesa con gli altri Ministri competenti, alla luce delle conclusioni del rapporto ed in vista del meeting di San Pietroburgo di settembre 2012. (3-02363)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro degli affari esteri, per sapere – premesso che:
          la Valvitalia spa, con sede a Rivanazzano Terme (Pavia), è il maggior gruppo italiano nel settore delle valvole e dei raccordi per l'industria petrolifera, con un fatturato 2011 di 313 milioni di euro, ed occupa 1050 persone, di cui 400 nella provincia di Pavia;
          le esportazioni in Iran sono state autorizzate dal Ministero dello sviluppo economico, e sono transitate dalle dogane italiane nel 2010 e 2011, ossia prima che entrasse in vigore l'attuale regime di sanzioni europee contro l'Iran;
          nonostante quanto sopra esposto, le lunghe, complesse, e senza termine prefissato, procedure imposte dal Comitato di sicurezza finanziaria (CSF), che ha sede presso il Ministero dell'economia e delle finanze, impedirebbero l'utilizzo dell'ingente somma di circa 15 milioni di euro incassati per le citate esportazioni in Iran, in relazione alle quali sono già state regolarmente pagate le tasse ed i fornitori, oltre agli stipendi dei dipendenti ed alle spese di trasporto;
          le pratiche in questione sono presso il CSF dal 18 maggio 2012, e pur avendo Valvitalia spa ottemperato a tutte le richieste d'informazioni aggiuntive, non si hanno notizie delle pratiche dalla metà del mese di giugno 2012;
          in particolare, sono bloccati 10 milioni di euro sui conti correnti bancari italiani della Valvitalia spa, e 5 milioni di euro sul conto corrente dell'EIH Bank di Amburgo (Banca europeo-iraniana per il commercio), bloccati prima da Bundesbank e poi da BAFA (Ufficio Federale tedesco per il controllo dell’export);
          il presidente ed amministratore delegato della Valvitalia spa Salvatore Ruggeri ha rivolto nell'aprile 2012 un pressante appello al Ministero dello sviluppo economico, a quello degli affari esteri, al CSF, ed altre autorità competenti, per ottenere l'intervento immediato su Bundesbank e su BAFA per ottenere lo sblocco delle somme sopra ricordate, senza, però, ottenere risposte;
          le somme citate riguardano contratti relativi a vecchie forniture, mentre la Valvitalia si è impegnata a non stipulare nuovi contratti con l'Iran, rispettando quindi le sanzioni europee;
          il blocco dei 15 milioni di euro mette a fortissimo rischio di fallimento un'azienda sana, con rischi gravissimi anche per l'occupazione  –:
          se i Ministri interrogati, per quanto sopra esposto, non intendano assumere iniziative, per quanto di loro competenza, in modo da sbloccare una situazione gravissima e paradossale che sta compromettendo gravemente la situazione di un'azienda sana, mettendone in forse le stesse possibilità di sopravvivenza, con le evidenti ricadute anche sull'occupazione in un momento di gravissima crisi economica.
(2-01574) «Fabbri, Brugger».


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
          ai sensi dell'articolo 7 del decreto legislativo n.  504 del 1992 gli immobili degli enti no profit, delle Onlus e di confessioni religiose che hanno stipulato con lo Stato un concordato e destinati ad utilizzi diversi da quelli commerciali, erano esenti dall'imposta municipale;
          l'articolo 91-bis del decreto-legge n.  1 del 2012, inserito durante l'esame del decreto-legge n.  1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  27 del 2012 al Senato, prevede che, dal 2013, l'esenzione da IMU (ex ICI) per gli immobili di enti non commerciali adibiti a specifiche attività sarà applicabile solo nel caso in cui le predette siano svolte con modalità non commerciali;
          il Presidente del Consiglio dichiarò in Commissione bilancio del Senato l'esclusione dell'imposta per le scuole dell'infanzia paritarie parrocchiali, fondazioni e associazioni o comunque statutariamente senza fini di lucro, paritarie e che accolgono gli alunni senza discriminazioni;
          il concetto di attività «non commerciale» risulta essere di difficile interpretazione dato che anche attività no profit possono operare senza fini di lucro ma mettendo in pratica attività commerciali connesse alle attività svolte, con rette, convenzioni, stipendi, contratti; anche per questo si è stabilito che, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, il Ministro dell'economia e delle finanze avrebbe emanato un decreto stabilendo le modalità e le procedure delle esenzioni Imu;
          la situazione si è complicata il 18 maggio 2012 quando con una circolare del Ministero dell'economia, pur richiamando l'ottemperanza ai tre requisiti necessari per le paritarie, attività scolastica paritaria rispetto a quella statale, accettazione degli alunni senza discriminazioni e reinvestimento degli avanzi di gestione nell'attività didattica, non ha tenuto conto del fatto che queste istituzioni scolastiche paritarie, in quanto scuole e non enti assistenziali, sono considerate fiscalmente enti commerciali. Questo ha significato che le scuole dell'infanzia paritarie, anche se senza scopo di lucro, avrebbero dovuto pagare;
          durante l'approvazione del decreto-legge «Liberalizzazioni» sono stati approvati ordini del giorno che prevedevano l'impegno del Governo ad approfondire la tematica delle esenzioni Imu per lo svolgimento delle attività senza fini di lucro nell'ambito del decreto di cui al comma 3 dell'articolo 91-bis;
          è urgente un chiarimento interpretativo del Governo anche tramite circolare o regolamento così come preventivato dallo stesso Governo  –:
          in virtù della complessità e non univocità interpretativa, se sia previsto che il Governo intervenga con chiarificazioni o se sia previsto un provvedimento in tal senso da parte dell'Agenzia delle entrate, così da stabilire l'interpretazione del concetto di attività «non commerciale» riferito agli enti no profit e onlus, per l'eventuale mantenimento dell'esenzione Imu;
          se gli enti no profit, onlus, fondazioni per i quali era prevista l'esenzione Imu ex articolo 7 decreto legislativo n.  504 del 1992, debbano versare l'Imu nel 2012 o se saranno tenuti al pagamento a partire dal 2013, così come previsto dall'articolo 91-bis del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1, come convertito, con modificazioni, dalla legge n.  27 del 2012;
          se la dizione «con modalità non commerciale» inserita nell'articolo 7, comma 1, lettera i), decreto legislativo n.  504 del 1992 dall'articolo 91-bis del decreto-legge 24 gennaio 2012 – decreto «liberalizzazioni» – sia da intendersi quale previsione di assenza di lucratività dell'ente e delle attività esercitate nell'immobile, nel senso che l'ente e conseguentemente le attività non devono comportare alcuna distribuzione di utili;
          se le onlus – comprese quelle «di diritto» di cui all'articolo 10, comma 8, e il «ramo onlus» di cui all'articolo 10, comma 9, del decreto legislativo n.  460 del 1997 e indipendentemente dalla loro forma giuridica – in virtù della non lucratività sancita dalla norma istitutiva siano considerate esenti da Imu.
(2-01575) «Toccafondi, Renato Farina, Di Centa, Gottardo, Vincenzo Antonio Fontana, Lorenzin, Nizzi, Vella, Pili, Mazzoni, Speciale, Centemero, Gioacchino Alfano, Garagnani, Frassinetti, Porcu, Castellani, Vignali, Cazzola, Antonino Foti, Di Caterina, Sisto, Pagano, Marinello, Palmieri, Lupi, Corsaro, Scalera, Malgieri, Contento, Sbai, Bernini Bovicelli, La Loggia».


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
          l'individuazione e l'assegnazione di risorse per gli interventi di rilievo nazionale ed interregionale di rilevanza strategica regionale, per l'attuazione del piano nazionale per il Sud, deliberate dal Cipe il 3 agosto 2011, il cui obiettivo prioritario è la realizzazione ed il completamento di numerose opere infrastrutturali dotate di rilevanza strategica regionale, ai sensi del punto 3 della delibera dell'11 gennaio del 2011, n.  1, ha previsto a favore della regione Sardegna, lo stanziamento di oltre 100 milioni di euro, per il compimento dell'intera opera della strada statale n.  125 Cagliari-Tortoli, come individuato nell'allegato dell'elenco infrastrutture strategiche interregionali e regionali pubblicato dalla Gazzetta Ufficiale n.  304 del 31 dicembre 2011;
          in particolare la citata delibera CIPE ha assegnato:
              a) 19 milioni di euro al tronco Tertenia-Tortoli (4o lotto 2o stralcio) della strada statale 125 Cagliari-Tortoli;
              b) 40 milioni di euro al 1o stralcio del 1o lotto della Tertenia-San Priamo;
              c) 50 milioni di euro al 2o stralcio del 1o lotto della Tertenia-San Priamo;
          gli interventi stradali precedentemente esposti, rientrano in un generale e più articolato Piano nazionale per il Sud, fortemente sostenuto dal precedente Governo Berlusconi ed in particolare dal Ministro per gli affari regionali e la coesione territoriale pro tempore, Fitto, che rispondono all'esigenza di colmare rilevanti fabbisogni trasportistici attualmente non adeguatamente soddisfatti;
          l'insieme degli interventi consente di attivare un volume complessivo di investimenti di 192,8 milioni di euro con ingenti ripercussioni sul sistema economico della regione Sardegna sia in termini di adeguamento infrastrutturale sia soprattutto in chiave anticiclica;
          la realizzazione definitiva del collegamento stradale Cagliari-Tortoli, la cui arteria è ad alto scorrimento, a giudizio degli interpellanti, risulta determinante e prioritaria, in considerazione che il completamento garantirà un traffico più fluido e veloce consentendo l'aggiramento di alcuni centri abitati;
          lo stato di attuazione per la realizzazione definitiva della suesposta opera infrastrutturale affidata al gestore della rete stradale ed autostradale italiana di interesse nazionale, risulta attualmente incompleta e in grave ritardo rispetto ai tempi previsti e indicati dall'ANAS, in considerazione sia dell'avvio di cantierizzazione dei lavori risalenti ad alcuni decenni trascorsi, sia alla mancata assegnazioni dei lotti, la cui aggiudicazione sarebbe dovuta avvenire di recente;
          a giudizio degli interpellanti, il grave ritardo e le criticità derivanti dallo stato di attuazione della strada statale n.  125, con riferimento alla definitiva realizzazione dell'opera, appaiono ancora più evidenti, se si valuta che l'intervento infrastrutturale rientra, come precedentemente riportato, all'interno di una serie di interventi di rilevanza strategica previsti dal Piano nazionale per il Sud che costituiscono uno strumento prioritario per lo sviluppo del Mezzogiorno ed in coerenza con quanto previsto dal decreto legislativo n.  88 del 2011;
          la citata delibera CIPE n.  62 prevedeva la sottoscrizione dei contratti istituzionali di sviluppo, quale strumento attutivo per la definizione delle responsabilità, dei tempi e delle regole di realizzazione degli interventi programmati, le sanzioni per eventuali inadempienze e le condizioni per l'attivazione di poteri sostitutivi;
          i finanziamenti assegnati inoltre, secondo quanto risulta all'interpellante, risultano tuttora non disponibili e contribuiscono in maniera sostanziale a determinare il mancato completamento dell'opera stradale del tratto regionale interessato  –:
          quali iniziative urgenti si intendano intraprendere al fine di avviare concretamente il completamento della strada statale n.  125 Cagliari-Tortoli esposto in premessa, anche attraverso la sottoscrizione del contratto istituzionale di sviluppo con l'obiettivo di individuare tempi e responsabilità certe per la realizzazione delle opere anche al fine di favorire politiche infrastrutturali di riequilibrio nei confronti del Mezzogiorno.
(2-01578) «Cicu, Testoni, Romele, Nola, Brancher, De Angelis, Aracu, Bernardo, Laffranco, Gregorio Fontana, Bertolini, Distaso, Berardi, Lainati, Valentini, Roccella, Pagano, Moles, Mazzoni, Speciale, Cosenza, Petrenga, Costa, Miserotti, Osvaldo Napoli, Saltamartini, Frassinetti, Abrignani, Pescante, Pianetta, Fucci, Nicolucci, Picchi, Di Caterina, Castiello».


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, per sapere – premesso che:
          il CONI, ente pubblico vigilato dal Ministero per gli affari regionali, il turismo e lo sport e finanziato annualmente da un contributo dello Stato, dal 2002 si avvale della CONI Servizi Spa per l'espletamento dei suoi compiti, mediante apposito contratto di servizio annuale nel quale vengono identificati gli obiettivi e i risultati da raggiungere, tenuto conto del necessario perseguimento del pubblico interesse nel settore dello sport e nella gestione delle risorse a questo destinate;
          la CONI Servizi Spa, partecipata al cento per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze e costituita ai sensi dell'articolo 8 del decreto legge 8 luglio 2002, n.  138, convertito dalla legge 8 agosto 2002, n.  178, è succeduta in tutti i rapporti attivi e passivi già facenti capo al CONI, con l'obiettivo – tra gli altri – di risanare i bilanci di questo;
          per il risanamento del bilancio del CONI Ente, la CONI Servizi Spa ha deciso di operare, tra l'altro, tagli al personale (all'origine 2615 dipendenti in servizio tra CONI centrale-territoriale e distaccati presso le federazioni sportive nazionali) che hanno prodotto l'uscita di circa 1.400 dipendenti in primo luogo con forme di mobilità verso altri enti della pubblica amministrazione – n.  757 unità – e con incentivi economici per pensionamenti anticipati – n.  685 unità;
          in secondo luogo, il processo di dismissione del personale è proseguito con il meccanismo dell'aspettativa volontaria. Infatti, con la firma del CCNL nel 2008, in base all'articolo 30, è stata introdotta la possibilità per i dipendenti in servizio presso le federazioni sportive nazionali che ne facciano richiesta, di ottenere il trasferimento cosiddetto volontario alle dirette dipendenze delle stesse presso cui operano, sottoscrivendo con queste un contratto a tempo indeterminato;
          quest'ultima via è stata percorsa dalla Coni Servizi Spa non solo utilizzando fondi pubblici come forma di incentivo, ma chiedendo agli stessi suoi dipendenti di sottoscrivere una aspettativa volontaria quinquennale rinnovabile per farsi poi assumere dalle federazioni sportive nazionali;
          nel contempo, il CONI Servizi e le federazioni sportive nazionali hanno dato avvio ad un complesso sistema di assunzioni che hanno di fatto vanificato tutta la manovra di snellimento effettuata con i prepensionamenti e la mobilità verso altre amministrazioni pubbliche: si è giunti ad un totale di 2.279 unità che erano e restano comunque a carico pubblico a cui vanno sommati i circa 1.400 dipendenti dismessi nella prima fase con la mobilità verso altre pubbliche amministrazioni e pensionamenti pagati totalmente con contributi del CONI Ente;
          allo stato attuale l'amministratore delegato della CONI Servizi Spa ha aperto la procedura di mobilità confermando il rifiuto dell'azienda di assorbire i propri dipendenti. Con tale procedura, violando, ad avviso degli interpellanti, i contenuti del contratto, si annullano di fatto gli effetti delle norme ivi contenute, prime fra tutte la revoca dell'aspettativa e la volontarietà dei passaggi;
          la CONI Servizi Spa ha sostenuto la necessità di questo passaggio affermando di non poter tenere alle proprie dipendenze personale considerato non funzionale per competenze ed esperienze professionali al CONI Ente, poiché al momento in cui la società è entrata in azione questo era in servizio presso le federazioni sportive nazionali ed era pertanto estraneo ai processi e alle attività «core» del CONI, tralasciando la formazione e l'esperienza confermata dagli identici profili professionali;
          la procedura avviata non ha, a giudizio degli interpellanti, alcun fondamento di legge, poiché non esiste alcuna norma tale da imporre ai dipendenti che ancora non sono transitati alle dirette dipendenze delle federazioni sportive nazionali di farlo; anzi l'articolo 35, comma 4, della legge n.  14 del 2009 dispone che la permanenza dei dipendenti CONI Servizi s.p.a. presso, le federazioni sportive nazionali sia finalizzata al loro funzionamento e non prevede alcun obbligo di cambio di datore di lavoro, né incentivi o altre spese a ciò finalizzate;
          la considerazione del perimetro di competenza ridotto a quello delle mere attività della società Coni Servizi s.p.a. per l'individuazione dei dipendenti in esubero, secondo gli interpellanti, viola la suddetta disposizione di legge che ha di fatto legittimato il distacco dei dipendenti presso le federazioni per il funzionamento delle stesse, e vìola la volontà del legislatore di confermare l'interesse dello Stato a tale distacco riferito ad un ampio perimetro: Coni-Coni Servizi spa-federazioni sportive nazionali;
          il taglio al personale è stato presentato come necessario in ottica di risanamento dei conti del CONI, ma il risparmio che si genera è fittizio: si registrerà infatti un'economia per il CONI Ente sotto il profilo del «costo del personale» nel contratto sottoscritto annualmente con la CONI Servizi s.p.a., ma questo costo sarà sottoscritto a bilancio dal CONI Ente come «contributo alle federazioni», dal momento che il personale CONI Servizi s.p.a. transitato alle dirette dipendenze delle federazioni sportive nazionali verrà pagato con i contributi (statali) erogati dal CONI alle federazioni;
          a fronte di una politica di riduzione del personale previsto dal piano industriale 2007-2009 e dal successivo, anziché utilizzare quello già presente in organico, si sono registrate continue e nuove assunzioni presso gli organi centrali e periferici CONI, nonché presso le federazioni sportive nazionali, con un evidente ulteriore aggravio di spesa;
          il presidente e l'amministratore delegato della Coni Servizi s.p.a. coincidono con il presidente e al segretario generale dell'Ente CONI generando ad avviso degli interpellanti, una situazione di evidente conflitto di interessi e un corpo unico che rende fittizia la suddivisione artificiosamente creata nel 2002;
          la CONI Servizi s.p.a. è sottoposta al controllo della corte dei conti  –:
          cosa il Governo intenda fare, nell'ambito delle proprie competenze, per assicurare che, rispetto alla situazione illustrata in premessa, non venga effettuata nessuna forzatura normativa, ma venga al contrario tutelato un patrimonio di professionalità e competenza formatosi nel tempo, impedendo l'adozione di qualsiasi provvedimento lesivo dei diritti dei lavoratori e dell'interesse del sistema sportivo italiano in nome di una presunta ottimizzazione delle risorse.
(2-01579) «Di Biagio, Della Vedova».

Interrogazioni a risposta immediata:


      TOTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il concessionario della riscossione Equitalia spa è da tempo, anche per effetto della crisi in atto nel Paese, al centro di polemiche e di tensioni, alcune delle quali sono pure sfociate in inaccettabili e deprecabili atti di violenza;
          i parlamentari della Repubblica hanno prestato, in più occasioni, attenzione alle ragioni del disagio crescente che la situazione economico-finanziaria di contesto genera, incrementando le difficoltà di tanti soggetti, cittadini e imprenditori ad adempiere ai propri doveri fiscali, corrispondendo all'erario quanto dovuto a vario titolo;
          com’è noto a gran parte degli italiani, ad un livello di per sé elevato di pressione fiscale si accompagna, purtroppo, una gestione amministrativa del rapporto tra l'erario, in tutte le sue articolazioni, e i contribuenti connotato, troppo spesso, da tratti di «schizofrenia operativa» che appaiono insopprimibili, probabilmente in ragione delle interferenze che, direttamente, col ruolo esercitato dagli uffici legislativi, in particolare, e dalle direzioni generali dei dicasteri la burocrazia proietta sul corpus legislativo condendo, quando i provvedimenti siano di competenza ministeriale o di iniziativa governativa, com’è nel caso dei disegni di legge, oppure, indirettamente, se si tratti di proposte di legge o di emendamenti di iniziativa parlamentare, sulla scorta dei monitoraggi operati dagli stessi uffici legislativi e dalle direzioni generali ministeriali, sempre tradotti in proposte di pareri a supporto dei rappresentanti del Governo intenti a seguire, in Parlamento, l’iter di esame e votazione dei progetti di legge. Innumerevoli sono gli esempi esposti nella letteratura come cifra di una dissolutezza nella gestione della cosa pubblica, a causa della quale si giunge persino a precludere a un ente, per intervenuta prescrizione, comunicata dalla compagnia assicuratrice coinvolta, l'incasso del risarcimento di un sinistro conseguente all'incendio di un immobile, perché, nelle more di una gara tra vari uffici del comune di Napoli, a cui è da ascrivere questo assurdo e inquietante primato di pubblica inefficienza, a scaricarsi addosso, l'un l'altro, il barile dell'attribuzione della competenza alla firma di quietanza, intervenne, nel frattempo, trascorsi i due anni di legge, la prescrizione del diritto al risarcimento, che l'agenzia assicurativa competente si rassegnò essa stessa, incredula, a rilevare, per chiudere definitivamente la pratica, essendo infruttuoso qualsivoglia tentativo di «svegliare» dal sonno burocratico la «parte» assicurata;
          nella contezza e consapevolezza di siffatta mentalità, il Parlamento ha anche provveduto a introdurre, palliativamente, taluni adeguamenti normativi e procedurali, nell'ottica del riequilibrio del rapporto tra amministrazione finanziaria e contribuenti e, perciò stesso, di rendere meno vessatoria non solo e non tanto l'entità dell'imposizione sul contribuente ma il «calvario» burocratico a cui in più ambiti, quelli dei controlli, della giustizia tributaria, persino delle procedure di autotutela, sono sottoposti, di norma, soggetti privati e imprenditoriali;
          ciononostante, qualunque azione volta a imprimere caratteri di normalità al rapporto del contribuente con il fisco, a qualunque livello, da quello comunale a quello statale, fatalmente, in un numero spropositato di volte, è frustrata da un'azione contraria e diseguale, nel senso di iniquamente ed eccezionalmente sperequata, che, se non la rende vana, in ogni caso non previene e non reprime nessuna delle «scorrerie» burocratiche, impunite e pregiudizievoli per l'intero Paese. E ciò sovviene, immutabile, quantunque sia calcolato in miliardi di euro il danno di cui la burocrazia è responsabile e che zavorra i processi produttivi e la competitività dell'Italia. In proposito, turba oltremodo la stima di 61 miliardi di euro del costo della burocrazia, per le sole imprese, indicata dall'allora presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, dottor Antonio Catricalà, il 12 maggio 2008, nel corso della sua partecipazione ad un programma televisivo;
          l'inopinata criticità di rapporti spesso vissuta dai contribuenti è ulteriormente confermata dalla vicenda che ha avuto ed ha per protagonista un'azienda abruzzese, localizzata in provincia di Pescara, la quale, con inizio dall'anno 2009, si è vista iscrivere ipoteche sul compendio immobiliare di sua proprietà dal concessionario Equitalia Pragma spa, al fine di cautelare il recupero di crediti asseritamente vantati nei confronti delle società;
          le dette iscrizioni ipotecarie, rispettivamente, la n.  3050 registro particolare, iscritta in data 16 luglio 2009, la n.  2412 registro particolare, iscritta il 10 giugno 2010, e la n.  3435 registro particolare, iscritta il 12 agosto 2010, apparivano viziate da plurimi profili di illegittimità, sul presupposto dei quali la società incardinava appositi giudizi di opposizione presso la competente commissione tributaria provinciale di Pescara, che accoglieva le ragioni della ricorrente nei primi due sopra indicati procedimenti instaurati, essendo in attesa di deposito della sentenza relativo al terzo procedimento, compensando, tuttavia, integralmente le spese di giudizio;
          successivamente, la competente commissione tributaria regionale confermava l'annullamento della prima iscrizione ipotecaria, contrassegnata col n.  3050 registro particolare in data 16 luglio 2009, in rigetto dell'appello, proposto da Equitalia Pragma spa, avverso la relativa sentenza, n.  1160/01/10. I giudici, nuovamente, compensavano le spese di giudizio;
          la società depositava, altresì, ricorsi in opposizione a due cartelle di pagamento, per un importo complessivo di circa euro duecentocinquantamila, i quali, sulla scorta dei rilievi eccepiti dalla ricorrente, venivano accolti dalla competente commissione tributaria provinciale di Pescara, ancorché, more solito, pronunciandosi per la compensazione integrale delle spese di giudizio;
          nel tentativo di pervenire ad una definizione delle pendenze risultanti presso Equitalia Pragma spa, la società di cui si tratta, nella primavera del 2011, rappresentava al concessionario la necessità di riscuotere una somma ammontante, all'epoca, a circa euro 470.000,00, della quale la società stessa era creditrice nei confronti di un'altra azienda, in forza del regolare adempimento delle obbligazioni nascenti da un contratto di subappalto. L'azienda debitrice, dal canto proprio, nel mettere a disposizione di Equitalia Pragma quelle somme, reiterava, inutilmente, comunicazioni al concessionario per ottenere indicazioni specifiche in relazione a modalità e importo da versare. La corrispondenza sia della società in vertenza con Equitalia Pragma che della sua debitrice restava, inopinatamente, negletta;
          alla gravità della pratica di non fornire risposte, inaccettabile sotto ogni punto di vista, e di non rispettare i basilari principi relazionali come quelli, ad avviso dell'interrogante, ampiamente misconosciuti nella pubblica amministrazione, dello stile e dei più elementari e beneducati canoni comportamentali, per non evocare l'altro ancora della consapevolezza del ruolo di servizio pubblico, da rendere, cioè, al cittadino che lo finanzia attraverso la fiscalità generale, Equitalia Pragma aggiungeva, ad abundantiam, quella che all'interrogante appare una sconcertante inerzia appercettiva rispetta a somme già nella sua giuridica disponibilità e intorno alle quali, pressantemente, l'azienda debitrice della società invano aveva richiesto istruzioni;
          in contraddizione patente con tale condotta, Equitalia Pragma, peraltro, in data 23 novembre 2011, procedeva all'iscrizione di vincolo pignoratizio su un bene strumentale indispensabile all'esercizio dell'attività lavorativa della società. In ogni caso, la società era nuovamente costretta ad agire per la tutela dei propri diritti, promuovendo un giudizio di opposizione all'esecuzione, attualmente pendente innanzi al tribunale di Pescara, in funzione del quale ha eccepito la sopravvenienza di fatti successivi alla formazione del titolo esecutivo, idonei ad annullarne l'efficacia esecutiva;
          in tale ultimo predetto atto, è stata evidenziata, tra le altre, la violazione dell'articolo 53 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.  602, recante «Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito». Infatti, non avendo completato le formalità necessarie alla vendita nei 120 giorni successivi al pignoramento, Equitalia Pragma, entro il termine di ulteriori e consecutivi dieci giorni, avrebbe dovuto cancellare, ex lege, l'atto di gravame. Così non è ancora stato. Il gravame, pertanto, permane ancora iscritto con le intuitive e prevaricatorie conseguenze in danno della società di cui si tratta. Confermando un comportamento inaccettabile, Equitalia Pragma è rimasta sorda anche alla richiesta, formulata dal legale della società, di cancellazione dell'atto di gravame in via di autotutela;
          a giudizio dell'interrogante, è incontrovertibile, alla luce degli esaustivi elementi riferiti, l'attitudine della condotta di Equitalia Pragma a ignorare la certezza e le statuizioni del diritto, com’è pure evidente che tale condotta è passibile di azione giudiziale, intanto in sede civile, per la richiesta di ristoro dei danni patiti e patiendi dalla società, con potenziale ed eventualmente conseguente depauperamento delle pubbliche risorse –:
          se, con riferimento alle vicende che nel rapporto con Equitalia Pragma srl hanno coinvolto la società di cui al caso di specie, il Ministro interrogato non intenda promuovere un'attività ispettiva presso gli uffici della sede di Pescara del concessionario per accertare la correttezza, la legittimità, la trasparenza, l'economicità e l'imparzialità delle procedure e delle decisioni che il medesimo adotta e, nel caso di esiti positivi dell'ispezione, se non intenda adottare, con ogni urgenza e senza indugio alcuno, tutte le misure, anche cautelari, per inibire al personale eventualmente in difetto almeno ogni ulteriore attività decisionale, potenzialmente dannosa per i contribuenti e per l'apparato dello Stato, e se, per evitare che in futuro si ripetano casi di discrezionalità giurisdizionale nelle decisioni intorno alle spese di giudizio, il Ministro interrogato non intenda farsi promotore di un'opportuna iniziativa normativa volta a tutelare integralmente le ragioni eventualmente riconosciute in capo al contribuente. (3-02367)


      DOZZO, BOSSI, LUSSANA, FOGLIATO, MONTAGNOLI, FEDRIGA, FUGATTI, ALESSANDRI, ALLASIA, BITONCI, BONINO, BRAGANTINI, BUONANNO, CALLEGARI, CAPARINI, CAVALLOTTO, CHIAPPORI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, D'AMICO, DAL LAGO, DESIDERATI, DI VIZIA, DUSSIN, FABI, FAVA, FOLLEGOT, FORCOLIN, GIDONI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, GRIMOLDI, ISIDORI, LANZARIN, MAGGIONI, MARONI, MARTINI, MERONI, MOLGORA, LAURA MOLTENI, NICOLA MOLTENI, MUNERATO, NEGRO, PAOLINI, PASTORE, PINI, POLLEDRI, RAINIERI, REGUZZONI, RIVOLTA, RONDINI, SIMONETTI, STEFANI, STUCCHI, TOGNI, TORAZZI, VANALLI e VOLPI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          è notizia di questi giorni, riportata da vari articoli di stampa e quotidiani on line, quella riguardante la pressione esercitata dall'attuale Esecutivo su un emendamento cosiddetto taglia pensioni d'oro, presentato al disegno di legge cosiddetto spending review;
          trattasi di un emendamento finalizzato a porre il tetto di 6.000 euro netti al mese sulle pensioni erogate in base al sistema retributivo, con esclusione delle pensioni corrisposte esclusivamente in base al sistema contributivo;
          in particolare, da varie fonti di stampa risulta che se l'emendamento fosse passato alcuni membri dell'attuale compagine governativa si sarebbero trovati decurtata la propria pensione di migliaia di euro netti al mese;
          il tetto alle cosiddette pensioni d'oro avrebbe consentito un notevole risparmio di euro l'anno solo sulle pensioni pubbliche, cui si aggiungerebbe un ulteriore introito se fosse applicato anche a quelle del settore privato;
          di contro, sempre da fonti di stampa risulta che il Governo preferisca tagliare sui buoni pasto per 450 mila dipendenti pubblici, per un risparmio di «soli» 10 milioni di euro –:
          se sia stato quantificato il risparmio derivante dall'applicazione di una simile misura di contenimento della spesa pubblica ed a quanto ammonti e se il parere contrario del Governo all'emendamento medesimo non derivi da un evidente conflitto di interessi per alcuni componenti dell'Esecutivo titolari di trattamenti pensionistici di importo superiore ai 6.000 euro netti mensili. (3-02368)

Interrogazione a risposta orale:


      BURTONE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il Paese non è tutto uguale per dimensioni e per numeri di abitanti;
          il criterio numerico non può essere l'unico elemento discriminante per la permanenza o la cessazione di servizi e uffici pubblici;
          dalla soppressione delle province possono venire conseguenze molto gravi per tutte le strutture pubbliche presenti sul territorio;
          ci si riferisce alla provincia di Matera e al comune di Pisticci che dopo il tribunale vedono a rischio anche la presenza dell'ufficio territoriale dell'Agenzia delle entrate;
          l'Agenzia delle entrate di Pisticci consta di oltre 30 dipendenti e da essa dipendono anche gli sportelli di Stigliano e Policoro;
          l'elemento preoccupante è legato alla dimensione provinciale cui si fa riferimento e, cioè, non meno di 300 mila abitanti;
          è paradossale che nel momento in cui la lotta all'evasione diventa prioritaria si possa semplicemente ipotizzare la chiusura di un ufficio così importante  –:
          se e quali iniziative il Governo intenda adottare per evitare che una declinazione esclusivamente numerica delle norme possa ridimensionare l'ufficio di Pisticci con conseguenze a cascata anche per Stigliano e Policoro. (3-02362)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


      LEO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 13 del decreto-legge n.  201 del 2011 ha anticipato in via sperimentale l'istituzione dell'imposta municipale propria (IMU) di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n.  23 del 2011;
          nel passaggio dall'imposta comunale sugli immobili (ICI) all'IMU, il predetto articolo 13 del decreto-legge n.  201, delineando la disciplina del nuovo tributo, ha espressamente richiamato soltanto alcune delle disposizioni concernenti la disciplina dell'ICI, contenuta nel decreto legislativo n.  504 del 1992 e in successivi provvedimenti legislativi;
          l'articolo 13, comma 2, del decreto-legge n. 201, prevede che il presupposto impositivo dell'IMU è costituito dal possesso di qualunque immobile, ivi comprese l'abitazione principale e le pertinenze della stessa;
          l'articolo 9, comma 1, del decreto legislativo n.  23 del 2011, cui fa rinvio l'articolo 13, comma 1, del predetto decreto-legge n.  201, stabilisce che sono soggetti passivi dell'IMU:
              il proprietario di fabbricati, aree fabbricabili e terreni a qualsiasi uso destinati, compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l'attività dell'impresa;
              il titolare del diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie sugli stessi;
              il concessionario nel caso di concessione di aree demaniali;
              il locatario per gli immobili, anche da costruire o in corso di costruzione, concessi in locazione finanziaria dalla data della stipula e per tutta la durata del contratto;
          in caso di misure conservative-cautelari, l'autorità giudiziaria può disporre il sequestro di immobili e di qualsiasi altro bene facente capo ai soggetti indagati e la nomina di amministratori-custodi giudiziari, chiamati a gestire le attività e i beni sequestrati, con l'obiettivo di conservarne la produttività e, ove ne sussistano le condizioni, di incrementarla;
          in tali ipotesi non risulta chiaro chi sia il soggetto chiamato a corrispondere l'ICI, prima, ed ora l'IMU per gli immobili sottoposti a tali misure di sequestro;
          a tale proposito il provvedimento n.  1260/2008 del 4 maggio 2011 del tribunale di Napoli, in materia di ICI, afferma che il soggetto passivo dell'imposta, per quanto riguarda i beni sequestrati e pignorati, rimane il proprietario dell'immobile, ovvero il titolare del diritto reale di godimento sull'immobile stesso, fino al decreto di trasferimento;
          in materia il provvedimento del 29 luglio 2002 del tribunale di Taranto, ufficio misure prevenzione P.S., afferma che il tributo deve essere assolto dal proprietario del bene immobile; tuttavia, lo stesso provvedimento specifica che, essendo il provvedimento solo un parere non vincolante per l'amministratore giudiziario, quest'ultimo può disattendere detto parere, essendo titolare di proprie ed autonome responsabilità rispetto al giudice delegato, al quale possono essere rimesse le determinazioni di competenza;
          la circolare dell'Agenzia delle entrate del 7 agosto 2000, n.  156, ha chiarito che, in merito al cosiddetto «sequestro anti-mafia» di cui alla legge n.  575 del 1965, trovano applicazione le norme sull'eredità giacente, in ordine al trattamento tributario dei redditi derivanti dai beni sequestrati ai soggetti indiziati di appartenere ad associazioni di stampo mafioso;
          l'articolo 530 del codice civile prevede che il curatore può provvedere al pagamento dei debiti ereditari e dei legati, previa autorizzazione del tribunale  –:
          in caso di sequestro di beni immobili e conseguente nomina di custodi-amministratori giudiziari nel corso del procedimento, ai sensi della relativa normativa sulle misure conservative-cautelari, quale sia il soggetto obbligato ad adempiere agli obblighi di versamento dell'imposta municipale propria sugli immobili oggetto del sequestro. (5-07247)


      CESARIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il comma 5 dell'articolo 96 del TUIR prevede un particolare regime di integrale deducibilità degli interessi passivi, per banche e soggetti finanziari, assicurazioni, capigruppo di gruppi bancari ed assicurativi, società consortili di progetto, società di gestione di interporti; prima di una modifica introdotta dal decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività», l'ambito di applicazione della norma era esteso anche alle «società il cui capitale sociale è sottoscritto prevalentemente da enti pubblici, che costruiscono o gestiscono impianti per la fornitura di acqua, energia e teleriscaldamento, nonché impianti per lo smaltimento e la depurazione»;
          la locuzione, che comportava l'applicazione del beneficio alle utility a controllo pubblico, è stata soppressa dal decreto-legge cosiddetto liberalizzazioni, in quanto, riservando alle sole utility pubbliche il beneficio della integrale deducibilità degli interessi passivi, comportava – secondo la Commissione europea e l'Autorità garante delle concorrenza e del mercato, della quale si veda la segnalazione nel Bollettino n.  34 del 15 ottobre 2008 – una anticoncorrenziale disparità di trattamento a favore delle utility pubbliche rispetto alle private;
          analogo risultato, ovvero il superamento di tale censura di anticoncorrenzialità, avrebbe sortito l'estensione della misura, prevista per le sole utility pubbliche, anche alle utility private; in particolare, estendendola alle sole imprese di taglia piccola e media, con un impatto particolarmente contenuto sulle finanze pubbliche, si sarebbe ottenuto di:
              a) sostenere con un intervento strutturale ed immediato settori in cui sono particolarmente incidenti gli interessi passivi sui mutui bancari, a causa dei cospicui investimenti richiesti per mantenere gli standard di continuità e qualità prescritti da normativa e regolazione;
              b) sostenere imprese la cui dimensione rende difficoltoso e più costoso l'accesso al credito;
              c) scongiurare la soggezione della misura alla complessa e limitante normativa comunitaria sugli aiuti di Stato;
          allo stato, gli interventi contenuti nel decreto-legge n.  83 del 2012, cosiddetto «decreto incentivi» non sembrano offrire, con particolare riferimento alle piccole e medie imprese, strumenti realmente idonei e diretti ad affrontare con successo il problema dell'accesso al credito e dei suoi costi o a mitigare la insostenibile pressione fiscale  –:
          se non ritenga opportuno, in questa fase di recessione, assumere iniziative volte a sostenere con misure di efficacia immediata le imprese piccole e medie, che costituiscono notoriamente il volano dell'economia italiana, ripristinando il regime di integrale deducibilità degli interessi passivi, previgente alle modifiche apportate all'articolo 96 del TUIR dalla legge finanziaria per il 2008, per le piccole e medie imprese che gestiscono reti ed impianti per la fornitura di energia, di acqua e teleriscaldamento, nonché impianti per lo smaltimento e la depurazione e quali iniziative intenda adottare, nell'ambito descritto in premessa, al fine di consentire di superare la discriminazione tra imprese pubbliche e private censurata dell'autorità garante della concorrenza e del mercato, senza ricorrere alla ingiustificata totale soppressione del beneficio per le utility. (5-07248)


      LO MONTE, BRUGGER e ZELLER. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2007, n.  244, «legge finanziaria 2008», e successive modificazioni, in materia di proroga delle agevolazioni Irpef per le spese di ristrutturazione edilizia, ha introdotto per gli anni dal 2008 al 2011 una proroga delle agevolazioni tributarie per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio;
          ai sensi dell'articolo 16-bis comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1996, n.  917, come introdotto dall'articolo 4, comma 1, lettera c) del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito con modificazioni dalla legge 22, dicembre 2011, n.  214, a decorrere dal 1o gennaio 2012, dall'imposta lorda si detrae un importo pari al 36 per cento delle spese documentate, fino ad un ammontare complessivo delle stesse non superiore a 48.000,00 euro per unita immobiliare, sostenute ed effettivamente rimaste a carico dei contribuenti che possiedono o detengono, sulla base di titolo idoneo, l'immobile sul quale sono effettuati gli interventi;
          a norma dello stesso articolo, comma 1, lettere dalla a) alla l), le agevolazioni in questione si applicano, tra gli altri, agli interventi necessari alla ricostruzione o al ripristino dell'immobile danneggiato a seguito di eventi calamitosi, a quelli finalizzati alla eliminazione delle barriere architettoniche e a interventi relativi alla realizzazione di autorimesse o posti auto pertinenziali, anche a proprietà comune;
          l'articolo 11, comma 1, del decreto-legge del 22 giugno 2012, n.  83, recante «misure urgenti per la crescita del paese», ha da ultimo disposto che, per le spese documentate, sostenute dalla data di entrata in vigore del decreto stesso fino al 30 giugno 2013, relativamente agli interventi di cui all'articolo 16-bis di cui sopra si applichi una detrazione dell'imposta lorda pari al 50 per cento;
          il nuovo importo, pari al 50 per cento delle spese documentate, si applica su un ammontare complessivo delle stesse praticamente raddoppiato, da 48.000.00 a 96.000,00 euro, con conseguente aumento dello sconto massimo annuale da 1.728,00 euro a 4.800,00 euro;
          dal tenore della norma risulta evidente che possano beneficiare della detrazione del 50 per cento anche i committenti di lavori relativi a interventi già in atto, limitatamente ai pagamenti avvenuti successivamente all'entrata in vigore del decreto-legge;
          non è invece chiaro come il nuovo limite di euro 96.000,00 debba applicarsi nel caso di interventi già effettuati o ancora in corso alla data di entrata in vigore del decreto-legge in questione e per i quali i pagamenti avvengano successivamente alla stessa data;
          secondo un'interpretazione coerente con la ratio della normativa in materia di ristrutturazioni, il nuovo limite massimo agevolabile pari a 96.000,00 euro, da cui andrebbero detratti gli importi versati in precedenza, per i quali resta ferma la detrazione del 36 per cento, dovrebbe valere anche per i lavori già in atto, con la conseguenza che la detrazione del 50 per cento dovrebbe applicarsi per la differenza  –:
          se, nel caso di interventi già in corso alla data di entrata in vigore del decreto-legge n.  83 del 2012 e per i quali siano già stati effettuati esborsi con detrazione del 36 per cento, ai fini del computo del limite di spesa ancora sostenibile e ammesso a fruire della detrazione Irpef del 50 per cento per i pagamenti effettuati dopo l'entrata in vigore dello stesso, il nuovo limite massimo agevolabile sia pari a 96.000,00 euro, sottratti gli importi versati in precedenza e per i quali resta ferma la detrazione del 36 per cento. (5-07249)


      FLUVI e VICO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il comune di Maruggio (Taranto) con delibera di giunta comunale n.  69 del 30 marzo 2001 ha affidato direttamente la gestione della riscossione dell'ICI e della TARSU alla SOGET spa ed ha approvato la relativa convenzione;
          nella medesima convenzione, all'articolo 22, è stabilito un aggio per la riscossione della TARSU nella misura del 6,5 per cento delle somme riscosse;
          con successiva delibera di giunta comunale n.  331 del 28 dicembre 2004 è stata rinnovata la convenzione con la SOGET spa per la gestione della riscossione delle entrate comunali per altri 4 anni ed è stato ridotto l'aggio di riscossione della TARSU dai 6,5 per cento al 6 per cento in deroga a quanto stabilito dall'articolo 22 della convenzione;
          la delibera di giunta comunale n.  96 del 13 giugno 2007 ha disposto la proroga della convenzione per la gestione della riscossione delle entrate comunali alla società SOGET spa fino al 31 dicembre 2010 alle stesse condizioni contrattuali che erano stabilite dal citato atto giuntale n.  331 del 2004;
          il decreto 4 agosto 2000 del Ministero delle finanze per l'ambito territoriale costituito dalla provincia di Taranto, ha previsto, ai sensi dell'articolo 79, un aggio sulle somme riscosse a seguito di riscossione spontanea a mezzo ruolo delle entrate non erariali pari all'1 per cento;
          l'articolo 31, comma 5-bis, della legge 28 gennaio 2009, n.  2, ha previsto, limitatamente alla riscossione spontanea a mezzo ruolo, che l'aggio spetti agli agenti della riscossione nella percentuale stabilita dal citato decreto ministeriale, ovvero dell'1 per cento;
          la stessa SOGET nel 2008, a seguito della delibera di giunta comunale di Taranto n.  35 del 6 ottobre 2008, ha rivisto l'aggio sulla riscossione della TARSU, così come avvenuto anche in altri comuni, modificando la convenzione e portandolo rispettivamente: per la riscossione ordinaria tramite avviso notificato, dal 6 per cento all'1 per cento e per la riscossione coattiva all'8,74 per cento così come stabilito, per tutta la provincia di Taranto, ai sensi dall'articolo 79, lettera a) del citato decreto ministeriale 4 agosto 2000;
          l'aggio del 6 per cento sulla riscossione volontaria della TARSU, comprensivo dei servizi aggiuntivi, appare ingiustificabile e sproporzionato rispetto all'1 per cento stabilito dalla legge;
          le fatture emesse dalla SOGET hanno determinato per l'amministrazione comunale di Maruggio la corresponsione di maggiori oneri per l'aggio di riscossione della TARSU, a far data dall'anno di convenzione dell'affidamento diretto (delibera giunta 69/2001) e fino al corrente anno in proroga  –:
          alla luce dei fatti richiamati in premessa, quali iniziative, anche di carattere normativo, intenda assumere al fine di chiarire se sia effettivamente possibile, per i comuni, corrispondere ai concessionari della riscossione un aggio, relativo alle attività di riscossione volontaria della TARSU, notevolmente superiore a quello previsto dalla legge, nonché onde evitare che i rapporti concessori tra i comuni stessi e le società di riscossione si pongano in violazione della disciplina in materia. (5-07250)


      FUGATTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la lotta all'evasione ed all'elusione fiscale ha ottenuto, dal 2008 fino al 2011, risultati importanti, mai raggiunti dai precedenti Governi;
          la devastante crisi economica emersa nel 2008, ma esplosa a partire dal 2010, deve necessariamente far rivedere le strategie di riscossione, per tenere conto della drammatica situazione in cui versa l'economia italiana e, conseguentemente, della difficoltà delle imprese a proseguire l'attività;
          le aziende, soprattutto le più piccole, sono state travolte dalla crisi, dai ritardi ormai cronici delle pubbliche amministrazioni nei pagamenti delle forniture di beni e di servizi e dalla difficoltà del sistema bancario ad erogare credito in maniera sufficiente per sostenere la ripresa;
          le persone fisiche devono fare i conti con un tasso di disoccupazione senza precedenti, nonché con la difficoltà di far fronte agli impegni quotidiani di una famiglia, bollette, affitti o mutui, spese scolastiche, tasse e tariffe locali e, ovviamente, la capacità di risparmiare delle famiglie italiane, al contrario di quello che avveniva fino a pochi anni fa, è ormai prossima allo zero;
          a fine maggio l'Agenzia delle entrate ha spedito 300.000 lettere ai contribuenti italiani, compresi i contribuenti emiliani colpiti dal dramma del recente terremoto, che nel 2010 avrebbero sostenuto spese non congrue con il reddito dichiarato; si tratta, in pratica, di un accertamento sintetico puro, per cui il contribuente deve sommare le spese rilevanti sostenute nel 2010 e verificare se eccedono per almeno un quinto (20 per cento) il reddito; in questo caso dovrà dimostrare che le spese extra sono state finanziate «con redditi diversi da quelli posseduti nel 2010, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile»;
          al di là dei dubbi interpretativi sulla lista dei beni «sotto esame», tra cui, ad esempio gli immobili, nonché sulle reali spese da calcolare (intera somma del bene o quota parte), colpisce il tenore delle comunicazioni, che «invitano» il contribuente a valutare «le opportunità di ravvedimento offerte dalla normativa fiscale», quasi come se il contribuente fosse per definizione evasore  –:
          se, visto il perdurare della crisi economica che sta colpendo le persone fisiche e le imprese, il Governo abbia ponderato con attenzione l'opportunità di spedire lettere di simile tenore a 300.000 contribuenti italiani, di fatto accusandoli, in forma nemmeno troppo nascosta, di essere evasori, considerando anche il fatto che tali comunicazioni sono state inviate anche ai contribuenti emiliani, veneti e lombardi, colpiti dal dramma del terremoto. (5-07251)


      BARBATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          come ampiamente riportato dalla stampa nazionale, alcune delle principali banche italiane sono state coinvolte in un'inchiesta penale per frode fiscale, susseguente ad accertamenti fiscali svolti dall'Agenzia delle entrate;
          in particolare, agli istituti di credito l'Agenzia delle entrate aveva contestato il cosiddetto abuso di diritto, cioè l'aver utilizzato la vigente normativa fiscale per ottenere impropriamente riduzioni di imposta, ponendo in tal modo in essere una vera e propria elusione fiscale;
          nell'ambito di tale indagine è coinvolto, tra gli altri, l'attuale Ministro dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti Corrado Passera, nella sua precedente qualità di amministratore delegato di Banca Intesa Spa;
          in sede tributaria alcune delle banche coinvolte hanno fatto ricorso all'istituto dell'accertamento con adesione, mentre altre hanno presentato ricorso agli organi della giustizia tributaria avverso gli atti di accertamento dell'Agenzia;
          in sede penale alcune procure della Repubblica hanno contestato ai dirigenti dei gruppi bancari coinvolti, tra i quali, appunto, Corrado Passera, nonché l’ex amministratore delegato del gruppo Unicredit, ora Presidente del gruppo MPS, Alessandro Profumo, il reato di dichiarazione fraudolenta;
          in tale contesto notizie di stampa indicano come il Governo, in sede di predisposizione del nuovo disegno di legge recante delega per la riforma del sistema fiscale, avesse previsto, nel testo originario del predetto disegno di legge, una sostanziale depenalizzazione dei reati fiscali, in particolare escludendo la rilevanza penale dei comportamenti ascrivibili a fattispecie abusive ed a forme di elusione fiscale;
          dal momento che tale bozza del disegno di legge era stata predisposta quando la predetta inchiesta penale era già nota, l'Esecutivo, ad avviso dell'interrogante, ha dato l'impressione, inquietante, di subordinare le proprie scelte di politica legislativa in un settore tanto delicato dell'ordinamento tributario all'esigenza di salvaguardare alcuni esponenti del mondo bancario, uno dei quali, il Ministro Passera, autorevolissimo esponente della stessa compagine governativa;
          successivamente, sull'onda delle polemiche seguite in merito alla predetta scelta, il Governo ha ritenuto di tornare sui propri passi, presentando alla Camera un disegno di legge di delega (A.C. 5291) che non contiene più tale ipotesi di depenalizzazione nell'articolo 8, recante una delega per la revisione del sistema sanzionatorio penale tributario;
          vista la rilevanza della problematica, appare evidente la necessità che il Governo assuma una posizione chiara in merito, onde fugare anche solo il dubbio, di per sé vergognoso di voler tutelare la posizione di alcuni soggetti, tra i quali il Ministro Passera  –:
          quale sia la posizione del Governo relativamente alla revisione del sistema sanzionatorio in materia tributaria prevista dall'articolo 8 del disegno di legge C. 5291 e se non ritenga opportuno chiarire in modo inequivocabile che ogni iniziativa normativa del Governo in merito non sarà volta a favorire soggetti coinvolti in indagini penali per comportamenti elusivi o evasivi, ma sarà invece finalizzata a rafforzare gli strumenti di tutela della legalità in tale fondamentale comparto dell'ordinamento. (5-07252)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BARBATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          appare imminente l'emanazione del decreto-legge il quale prevedrebbe anche la sottoscrizione, da parte dello Stato, di «Tremonti bond», dei quali si avvarrebbe, in particolare, il gruppo Monte dei Paschi di Siena;
          il gruppo MPS, si trova, da tempo, in una delicata situazione finanziaria e patrimoniale;
          in particolare L’European Banking Authority (EBA) ha richiesto al gruppo di aumentare il proprio patrimonio di circa 3,2 miliardi di euro al fine di rispettare i più stringenti requisiti patrimoniali richiesti alle banche europee nell'attuale fase di instabilità finanziaria;
          le difficoltà del gruppo MPS derivano, sostanzialmente, da alcune avventate operazioni finanziarie, che l'hanno portata, nel corso degli ultimi anni, ad acquisire alcune banche italiane (ad esempio, Banca del Salento ed Antonveneta), a prezzi eccessivamente alti, anche in ragione delle pressioni di natura politica che, a quanto consta all'interrogante, hanno condizionato tali operazioni;
          nella situazione di scarsa liquidità che caratterizza i mercati finanziari, il gruppo MPS ha incontrato grandi difficoltà a reperire sul mercato le risorse finanziarie necessarie a ricapitalizzarsi dovendo pertanto ricorrere allo strumento dei «Tremonti bond»;
          parrebbe evincersi da notizie riportate dal Fatto Quotidiano del 27 giugno 2012 che le condizioni di sottoscrizione della nuova emissione dei «Tremonti bond» siano più favorevoli per le banche di quelle previste in precedenza dall'articolo 12 del decreto-legge n.  185 del 2008, che per primo ha introdotto nell'ordinamento italiano tale strumento;
          il gruppo dirigente di MPS è stato recentemente coinvolto da indagini di rilevanza penale: in particolare, il precedente presidente, Giuseppe Mussari, è stato oggetto di una perquisizione domiciliare nell'ambito dell'inchiesta in corso sull'acquisizione di Antonveneta, oltre ad essere indagato dalla procura di Siena per falso e turbativa d'asta nell'ambito di un'indagine sull'ampliamento dell'aeroporto Siena-Ampugnano, altri dirigenti di MPS sono invece indagati nell'ambito della citata indagine sull'acquisizione di Antonveneta, mentre il nuovo presidente di MPS, Alessandro Profumo, risulta indagato nell'ambito di un'indagine per frode fiscale, nella sua precedente qualità di amministratore delegato del gruppo Unicredit;
          le finanze pubbliche italiane stanno attraversando, ormai da tempo, una situazione di gravissima criticità, legata, oltre che all'enorme debito pubblico accumulato da più di trent'anni, alle conseguenze dirompenti della crisi economica e finanziaria, che sta costringendo i cittadini italiani e le imprese nazionali a sacrifici, a volte insostenibili, dovuti principalmente al continuo incremento della pressione fiscale, e agli inaccettabili ritardi nel pagamento dei debiti nella pubblica amministrazione;
          in tale contesto, appare paradossale che lo Stato debba venire in soccorso di gruppi bancari che si sono caratterizzati per una cattiva gestione e la cui dirigenza risulta addirittura coinvolta in indagini penali, mentre non si adottano misure concrete per venire incontro alla drammatica situazione delle fasce più deboli della popolazione, dei disoccupati, degli esodati, degli anziani a basso reddito e degli imprenditori «strangolati» dalla pressione fiscale e dalla restrizione del credito bancario  –:
          quali informazioni intenda fornire in merito alle misure indicate in premessa, quali siano le motivazioni che avrebbero indotto a rendere più favorevoli per le banche le condizioni di, emissione e sottoscrizione dei «Tremonti bond», e se non ritenga necessario assumere iniziative per introdurre nella relativa disciplina condizioni più stringenti, per le banche acquirenti, in merito alla trasparenza della gestione, ai requisiti di onorabilità ed alla politica di remunerazione degli esponenti aziendali. (4-16805)


      BORGHESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          un socio dell'Aeroclub Milano, pilota sportivo dal 1981, presidente e amministratore delegato di una società, da molti considerata la società leader in Italia nel settore delle coperture assicurative dedicate alla Generale Aviation, contesta il comportamento del commissario straordinario dell'Aero Club d'Italia, senatore Giuseppe Leoni, il quale, in data 7 giugno 2012, ha disposto il commissariamento dell'Aeroclub Milano, affidando l'incarico all'avvocato Andrea Corte, consigliere di amministrazione di Enac;
          il provvedimento, ad avviso dell'interrogante, presenta numerosi punti discutibili in quanto:
              l'onorevole Leoni, commissario straordinario rinnovato per 3 mesi con esclusivi e specifici compiti (statuto e nomine), non sembra avesse poteri di commissariamento;
              il provvedimento dovrebbe essere approvato dal consiglio federale, attualmente inesistente stante il commissariamento;
              occorrerebbe un preavviso di 60 giorni che consenta il contraddittorio;
              mancherebbero i presupposti per un commissariamento (impossibilità di costituzione degli organi sociali e approvazione bilancio, per i quali i soci erano prontissimi per il giorno successivo, anzi a loro era stato più volte negata la possibilità di votare);
          l'avvocato Corte sembra poter essere in conflitto di interessi quale consigliere di Enac;
          l'avvocato Corte avrebbe comunicato via e-mail ad alcuni soci la sospensione dell'assemblea dei soci convocata per l'8 giugno 2012;
          la club house di proprietà dei soci sarebbe risultata chiusa a chiave, apparentemente allo scopo di impedire il regolare svolgimento dell'assemblea;
          l'assemblea si sarebbe tenuta ugualmente e 94 soci sono pervenuti, votando bilancio all'unanimità e la sfiducia al presidente con 91 voti su 92 (una scheda nulla);
          nonostante tale voto il giorno successivo sarebbero stati conferiti incarichi gestionali ai medesimi soggetti che i soci avevano estromesso in una precedente assemblea del 30 marzo 2012 con una maggioranza di oltre il 75 per cento (150 conto 40);
          circa trenta dipendenti, istruttori e meccanici rischiano il posto di lavoro e l'Aeroclub più prestigioso d'Italia (e forse d'Europa) rischia di chiudere se ai soci non verrà urgentemente concesso il diritto di eleggere gli organi sociali e riprendere regolarmente l'attività  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra riportati, e se confermi la ricostruzione sopra riportata;
          come intenda intervenire affinché i soci possano esprimere liberamente la propria opinione ed eleggere i candidati ritenuti più idonei. (4-16835)

GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
          nella legge 14 settembre 2011, n.  148, conversione in legge con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n.  138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo si reca, all'articolo 1, delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari;
          con questo testo il Governo viene delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi per riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza;
          l'esercizio della delega, però, è condizionato all'osservanza di principi e criteri direttivi che sono ampiamente articolati al comma 2 dell'articolo 1 nelle lettere da a) a q);
          nello specifico si propone di ridurre gli uffici giudiziari di primo grado, di ridefinire l'assetto territoriale degli uffici giudiziari e di procedere alla soppressione, ovvero alla riduzione, delle sezioni distaccate di tribunale mediante accorpamento con tribunali limitrofi;
          la riorganizzazione di cui al capo precedente deve, però, avvenire seguendo alcuni criteri che rendano tale intervento efficace e positivo per il sistema della giustizia, conveniente per il Paese e non penalizzante per i cittadini;
          fra questi criteri elencati chiaramente alla lettera b), del citato comma 2, dell'articolo 1 della legge n.  148 del 2011 vi sono naturalmente condizioni e criteri omogenei di dipendenza dai carichi di lavoro degli uffici ma anche della specificità territoriale del bacino di utenza con riguardo alla situazione infrastrutturale e ciò ovviamente con il chiaro intento di non creare, in presenza di una sostenibilità economica complessiva, inutili e dannosi aggravi per i cittadini utenti residenti nelle aree più disagiate del Paese;
          nel dettaglio la richiamata lettera b) prevede che la revisione debba avvenire «secondo criteri oggettivi e omogenei che tengano conto dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze, della specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale, e del tasso d'impatto della criminalità organizzata, nonché della necessità di razionalizzare il servizio giustizia nelle grandi aree metropolitane»;
          in questa situazione le condizioni operative delle sezioni distaccate in aree montane meritano una particolare attenzione, poiché come è noto le aree montane del nostro Paese costituiscono sovente zone nelle quali i servizi e le infrastrutture (purtroppo in molti casi carenti) sono essenziali per garantire sviluppo e residenzialità;
          in Italia sono 3.538 i comuni montani (il 43,7 per cento dei comuni) ed in essi risiedono poco più di 9 milioni di abitanti (il 17,6 per cento della popolazione totale), in genere sono principalmente realtà di piccole dimensioni demografiche e la popolazione residente è mediamente meno giovane della popolazione complessiva italiana: i giovani con meno di quattordici anni rappresentano il 13,2 per cento, mentre gli ultra sessantacinquenni il 21,7 per cento (a fronte, rispettivamente, del 14 per cento e del 20,3 per cento a livello nazionale);
          per contro la difesa e la valorizzazione delle zone montane, ai sensi dell'articolo 44 della Costituzione, rivestono per la Repubblica carattere di preminente interesse nazionale ed ad esse devono concorrere, per quanto di rispettiva competenza, lo Stato, le regioni, le province autonome e gli enti locali;
          tale impostazione ha trovato nella legge n.  97 del 1994 sua piena conferma, tanto che l'articolo 22 di tale legge aveva previsto che la riorganizzazione degli uffici statali esistenti nei comuni montani potesse prevedere accorpamenti solo previo parere dei sindaci e dei presidenti delle comunità montane;
          molti sono stati i provvedimenti che hanno riguardato le aree montane dopo la legge n.  97 del 1994, soprattutto in termini di tentativi di ridefinizione del concetto di comune montano e sui finanziamenti erogati, ma mai è venuto meno l'impianto complessivo su cui si reggono le politiche per le aree montane;
          proprio per questo appare quanto mai corretto che nella rideterminazione della strutturazione degli uffici decentrati dello Stato sul territorio si tenga presente una corretta combinazione fra le giuste esigenze di contenimento dei costi e quelle di mantenere un servizio su territori svantaggiati in cui spesso svolgono una funzione primaria;
          le sezioni distaccate dei tribunali locate in area montana sovente svolgono una funzione di elevato valore non solo sociale ma anche economico, poiché è necessario che i cittadini possano usufruire di una giustizia di prossimità efficiente e razionale senza sovra costi gravosi dovuti alle difficoltà infrastrutturali e di mobilità;
          considerando, poi, quanto riportato dal protocollo d'intesa sottoscritto da ANCI e Consiglio Nazionale Forense ovvero che: «i presìdi giudiziari sul territorio nazionale sono strategici nell'ambito del sistema economico e sociale del Paese, rispondono alla domanda di giustizia dei cittadini, garantiscono la convivenza civile e contribuiscono ad assicurare l'equilibrio e la credibilità dello Stato democratico» e che desta «forte preoccupazione l'ipotesi di riduzione circoscrizioni giudiziarie in assenza di un'indagine dettagliata sui costi complessivi effettivamente sostenuti per il servizio giustizia ed in assenza di criteri programmatici con i quali le spese vengono determinate» non si può non notare come queste osservazioni siano particolarmente vere per le aree montane;
          in questo senso un opportuno studio di valutazione, trasmesso di recente dagli estensori anche al Ministero della giustizia, ha evidenziato come in funzione di differenti criteri oggettivi ed omogenei che tengono conto di specificità demografiche (quali il numero minino di abitanti) e territoriali (quali la distanza dalla sede centrale e la dimensione territoriale) e definendo severe caratteristiche di montuosità del territorio, il numero delle sezioni distaccate interessate è, comunque, non eccessivo variando da quattro a diciotto in funzione dei parametri considerati;
          le sezioni di Breno, Brunico, Susa e Porretta Terme, quelle di Fabriano, Gubbio, Pontremoli, Varallo, Cavalese, Silandro, Pieve di Cadore e Bressanone, ma anche Pavullo, Domodossola, Clusone, Borgo Val Sugana, Cles e Tione di Trento sono realtà che in funzione di parametri oggettivi presentano specificità e problematiche meritevoli di attenzione;
          il doveroso lavoro di valutazione dei costi e dei risparmi effettivi per la collettività dell'operazione di riordino, così come previsto dalla legge n.  148 del 2011, è necessario per non arrischiare di apportare inutili danni ma vi è la certezza che difficilmente potrà valutare propriamente il disagio apportato dalle possibili chiusure delle sezioni distaccate su riportate  –:
          se quanto in premessa corrisponda al vero e se il Ministero intenda procedere nella riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, secondo quanto previsto dai principi direttivi e dai criteri di cui all'articolo 1, comma 2, della legge n.  148 del 2011, a valle di una severa valutazione dei costi avendo particolare attenzione alle condizioni di specificità delle aree montane nei termini previsti della legislazione vigente.
(2-01580) «Benamati, Esposito, Nicco, Cambursano, Scanderebech, Portas, Fedi, Boccuzzi, Osvaldo Napoli, Allasia, Buonanno, Calgaro, Cavallotto, Bucchino, Porta, Vitali, Pianetta, Nastri, Di Centa, Aracu, Mazzuca, Pizzolante, Distaso, Sisto, De Angelis, Vessa, Losacco, Viola, Bobba, Mario Pepe (PD), Piffari, Ginoble, Lenzi, Sanga, Miglioli, Cimadoro».

Interrogazioni a risposta scritta:


      FORMICHELLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          è necessario che il Governo consideri le conseguenze negative, in termini di economicità, legalità e sicurezza, che la soppressione della sezione distaccata del tribunale di Guardia Sanframondi (BN) comporterebbe. Nel pieno rispetto della legge e dei principi di razionalizzazione e di risparmio, occorre che il Ministro adotti una seria ed attenta rivalutazione di realtà locali, come quella di Guardia Sanframondi, le cui peculiari caratteristiche, legate alla specificità territoriale, alle evidenti criticità di accorpamento e al forte rischio di infiltrazioni camorristiche, rendono questo presidio giudiziario indispensabile per la collettività, da cui giunge un forte grido d'allarme. Analizzando i dati, in assoluto, la sezione di Guardia Sanframondi occupa, considerando il tasso di litigiosità, pari al 4,2 per cento, l'ottavo posto sulle 220 sezioni che dovrebbero essere soppresse; bisogna, altresì, considerare che il cittadino del territorio, sarebbe costretto a sopportare un aggravio economico per le spese di viaggio per raggiungere il capoluogo di provincia, dovendo obbligatoriamente usare un mezzo proprio, perché i comuni del circondario, tutti di modesta consistenza abitativa, non sono serviti da adeguati servizi di trasporto pubblico; l'accorpamento alla sede centrale di Benevento, comporterebbe un forte aumento del carico di lavoro ed, inoltre, la struttura del capoluogo non sarebbe sufficiente ad ospitare i nuovi uffici, costringendo il Ministero della giustizia a reperire nuovi immobili in locazione  –:
          se il Ministro interrogato, in sede di revisione delle circoscrizioni giudiziarie, intenda tener conto di quanto esposto in premessa. (4-16807)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato da un articolo apparso sul quotidiano Il Centro il 29 giugno 2012, un 32enne avrebbe tentato il suicidio nel carcere di Pescara, e ora sarebbe ricoverato nel reparto di rianimazione dell'ospedale cittadino. L'uomo, che avrebbe problemi di droga, avrebbe cercato di impiccarsi, dopodiché sarebbe stato tratto in salvo e condotto al nosocomio;
          a quanto sembra qualche ora prima, a margine di una udienza in tribunale, l'uomo avrebbe anche tentato la fuga ma sarebbe stato subito riacciuffato. Poi, rientrato in carcere, ha tentato il suicidio e sembra che in quei momenti fosse solo, in cella. Al momento non si conoscono altri dettagli. L'uomo, detenuto da pochi giorni, non sarebbe in pericolo di vita  –:
          se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
          se intenda avviare una indagine amministrativa interna, al fine di appurare se nei confronti del detenuto che ha tentato il suicidio fossero state messe in atto tutte le misure di sorveglianza previste e necessarie;
          se e quali misure precauzionali e di vigilanza siano state adottate dall'amministrazione penitenziaria nei confronti del detenuto dopo questo episodio;
          se non si intenda adottare o implementare, per quanto di competenza, le opportune misure di supporto psicologico ai detenuti, al fine di ridurre sensibilmente gli episodi di suicidio, tentato suicidio e di autolesionismo;
          più in particolare, quali iniziative, anche normative, si intendano prendere per rafforzare l'assistenza medico-psichiatrica ai detenuti malati, sia attraverso un'attenta valutazione preventiva che consenta di identificare le persone a rischio, sia per sostenere adeguatamente sotto il profilo psicologico le persone che tentano il suicidio, senza riuscirci la prima volta, ma spesso ben decisi a tentare ancora.
(4-16809)


      PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          l'organizzazione sindacale UGL Polizia penitenziaria, nelle persone dei segretari regionali Salvatore Argiolas e Alessandro Cara, ha sottoposto all'interrogante la questione relativa al personale distaccato a vario titolo presso l'amministrazione penitenziaria in Sardegna;
          a quanto risulta all'interrogante, l'amministrazione penitenziaria avrebbe predisposto o starebbe predisponendo un piano relativo all'attivazione di nuove carceri sarde ed, in particolare, dei nuovi istituti penitenziari di Tempio Pausania e Oristano-Massama, che comporterebbe un notevole incremento della popolazione detenuta ristretta nella regione Sardegna;
          la polizia penitenziaria soffre attualmente una carenza in organico di almeno 300 unità, carenza destinata ad aggravarsi ulteriormente proprio a causa dell'apertura dei nuovi istituti, con maggiore capienza detentiva e, conseguentemente, maggiore necessità di poliziotti penitenziari per la gestione del servizio di custodia e riabilitazione;
          attualmente il personale di polizia penitenziaria distaccato a vario titolo, specie per l'espletamento del mandato amministrativo o per usufruire della legge n.  104 del 1992, da istituti della penisola, garantisce un importante apporto all'organico;
          tale personale svolge servizio nell'isola da diverso tempo, anche quindici-venti anni, in una situazione di assoluta precarietà, stante l'incertezza sulla durata del provvedimento che motiva il distacco;
          è indispensabile un significativo incremento dell'organico della polizia penitenziaria presso la regione Sardegna per l'apertura dei nuovi istituti, stimato in circa 500 unità da reperirsi comunque attraverso la mobilità ordinaria  –:
          se non ritenga necessario, nell'ambito di un più articolato piano di reclutamento per l'apertura delle nuove carceri e il soddisfacimento delle carenze attuali, promuovere un provvedimento sanatorio di tali unità attualmente distacco negli istituti penitenziari della Sardegna — cosiddetta sanatoria —, almeno negli istituti di nuova apertura, come già avvenuto negli anni precedenti, che consenta a tale personale e alle rispettive famiglie di stabilirsi definitivamente nella regione d'origine per poi procedere all'incremento dell'organico, così come previsto attraverso gli interpelli nazionali di mobilità. (4-16812)


      VITALI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          nel carcere di Taranto sono rinchiuse 686 persone contro una capienza regolamentare di 340; la calura di questi giorni sta aggravando ulteriormente i problemi derivanti dal sovraffollamento; a questo si aggiunga che da oltre una settimana manca l'acqua in alcune fasce orarie; da informazioni provenienti dalle organizzazioni sindacali degli agenti (OSAPP, UGL-Polizia penitenziaria, FNS-CISL), per i servizi igienici è stata utilizzata acqua minerale, acquistata nel bar dell'istituto di pena, da poliziotti penitenziari e detenuti, ed è salita fortemente la tensione tra gruppi diversi di detenuti;
          alle 21 del 25 giugno 2012 alla mancanza d'acqua si è aggiunto un black-out, i detenuti hanno cominciato a urlare, ad agitarsi e ad armeggiare pericolosamente con le bombolette da campeggio, dando loro fuoco e scagliando fuori dalle celle suppellettili e oggetti vari; gli agenti di polizia penitenziaria sono stati richiamati in servizio all'ultimo momento per contenere la situazione, mentre nei pressi della casa circondariale sono intervenute anche le forze dell'ordine pronte a dare manforte in caso di necessità;
          secondo le sigle sindacali, l'opera degli agenti ha evitato che la protesta degenerasse in rivolta; osservano però gli operatori che il problema dell'erogazione dell'acqua è noto e persistente, sia nel carcere di Taranto che in altre strutture penitenziarie pugliesi, ma non è mai stato fatto nulla di concreto per risolverlo; anche il black-out elettrico è dovuto ad un sovraccarico degli impianti, inadeguati a sostenere il fabbisogno di una struttura così sovraffollata;
          denunciano i sindacati che quanto avvenuto è il risultato di oltre tre anni di riduzione nell'erogazione dei fondi per la manutenzione ordinaria e straordinaria delle strutture penitenziarie, che ha prodotto anche la riduzione della fornitura d'acqua al carcere da parte dell'Acquedotto pugliese; più in generale, i sindacati parlano «della distrazione di enormi somme di denaro per la realizzazione del fantomatico Piano carceri, sulla base del quale in concreto sono stati realizzati solo 2 dei 13 nuovi penitenziari, annunciati ormai tre anni fa»  –:
          quali iniziative intenda adottare per garantire alla popolazione carceraria i servizi fondamentali, anche eventualmente stornando talune risorse del piano carceri;
          quali intendimenti abbia il Ministro interrogato in merito alla spending review in corso, sulle spese di funzionamento e i consumi intermedi delle pubbliche amministrazioni, con riferimento alle spese per il sistema carcerario, che sembrano già essere al di sotto del minimo necessario.
(4-16816)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          Aldo Tavola, detenuto nella casa circondariale di Castrovillari, è deceduto all'ospedale dell'Annunziata di Cosenza dopo una serie di visite e ricoveri. Sulla vicenda il sostituto procuratore, dottor Giuseppe Cava, ha aperto una inchiesta dopo aver ricevuto una denuncia da parte dei familiari detenuto disponendo l'autopsia sul corpo dell'uomo;
          Aldo Tavola era stato arrestato il 21 gennaio 2012, dalla polizia di Stato. Associato in un primo momento alla casa circondariale di Paola, a febbraio era stato trasferito a Castrovillari. Le condizioni di salute dell'uomo sono andate via via peggiorando fino a quando lo stesso non ha cominciato a mostrare problemi di deambulazione finendo sulla sedia a rotelle. A quel punto, il figlio Vincenzo ed i legali hanno sollecitato visite specialistiche per capire quali fossero le cause dei problemi dell'uomo. Successivamente Aldo Tavola è stato trasferito all'ospedale di Castrovillari fino allo spostamento, la scorsa settimana, all'ospedale dell'Annunziata. I familiari riferiscono di aver parlato con il loro prossimo congiunto. Tant’è che qualcuno avrebbe sollevato la possibile presenza di problemi neurologici;
          sulla vicenda il 27 giugno 2012 Emilio Quintieri — già consigliere nazionale dei Vas ed esponente dei Verdi — ha diramato il seguente comunicato. «È stata una morte assurda. Aldo Tavola non stava bene da oltre un mese. E nonostante le sue condizioni di salute peggioravano di giorno in giorno non è stato adeguatamente curato ed assistito. Neanche in seguito alle formali richieste del figlio Vincenzo e dei suoi avvocati difensori che diffidavano la Direzione della Casa Circondariale di Castrovillari a farlo ricoverare in una struttura sanitaria anche per fargli praticare tutti gli accertamenti specialistici necessari ad individuare di cosa soffriva perché neanche lui riusciva a spiegarlo. Ma quando l'hanno finalmente trasferito in Ospedale, prima a Castrovillari e poi a Cosenza, probabilmente era troppo tardi anche se il personale medico, nel tardo pomeriggio precedente al decesso, riferiva ai familiari che la situazione non era preoccupante e non c'era alcun pericolo di vita ritenendo si trattasse di problemi neurologici. Sta di fatto che il giorno successivo, dopo aver eseguito alcuni accertamenti, l'uomo è improvvisamente ed inspiegabilmente spirato in una camera di sicurezza vigilata dalla Polizia Penitenziaria. Ieri, quando sono stato informato della notizia, non ci potevo credere. Conoscevo personalmente Aldo Tavola; tra di noi c'era un grande rapporto di amicizia e sono rimasto veramente mortificato di non aver fatto abbastanza per poter soddisfare le sue “richieste di aiuto”. Ovviamente adesso è mia intenzione, oltre quella della famiglia distrutta dal dolore, di andare fino in fondo per conoscere tutta la verità perché se ci sono delle responsabilità, sia da parte del Carcere che dei Sanitari che lo avevano in custodia, debbono essere accertate e perseguite a termini di Legge. L'autopsia disposta dalla Procura della Repubblica di Cosenza mi auguro faccia piena luce, senza lasciare alcun dubbio, sulle reali cause della morte di Aldo Tavola e su ciò che è accaduto nei suoi ultimi giorni di vita. Ormai le carceri non sono più solo un luogo di privazione della libertà personale ma delle strutture dove si rischia la vita ogni giorno. Bisogna rendersi conto che quando si calpesta la dignità dell'uomo, ovunque ciò avvenga e chiunque sia quell'uomo, sono minacciati anche il fondamento dei nostri diritti e i valori della democrazia nel suo complesso. Ancora non si riesce a cogliere a livello di opinione pubblica quanto sia aberrante e pericoloso che lo Stato non riesca concretamente a garantire la vita e la dignità delle persone che ha in sua custodia. Siamo già ad 81 decessi in pochi mesi (di cui 27 suicidi), dove vogliamo arrivare ? Possibile che si continui imperterriti con questa politica penitenziaria criminale nonostante le migliaia di condanne inflitte allo Stato dalla Corte Europea dei Diritti Umani, i richiami e le raccomandazioni del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura e del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa ? Proprio nei giorni scorsi la Corte Suprema di Cassazione ha respinto il ricorso dell'Avvocatura Generale dello Stato e confermato la condanna del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia per il trattamento inumano, crudele e degradante, al limite di condizioni di vera e propria “tortura”, a cui era stato sottoposto un detenuto tunisino nel Carcere di Lecce. Tutto quello che sta accadendo nelle carceri italiane è indegno per un Paese che voglia definirsi civile ! I detenuti vengono prima ammassati nelle celle e poi ignorati fino a quando alcuni di essi finiscono in gravissime condizioni di salute o, peggio ancora, vengono trovati morti. Ammazzati dall'incuria, dall'indifferenza, dalla solitudine e, purtroppo, in alcune occasioni, dalla violenza impunita dello Stato ! Solleciterò la presentazione di una specifica Interrogazione Parlamentare ai Ministri della Giustizia e della Salute per conoscere se e quale sia stata l'assistenza medica prestata al detenuto durante la sua permanenza in Carcere, se il ricovero in Ospedale sia stato tempestivo e, se lo stesso, avrebbe potuto effettuarsi prima che le condizioni del signor Tavola peggiorassero in modo tale da recare pregiudizio alla sua sopravvivenza nonché l'esatta dinamica del suo decesso. Inoltre chiederò al Gruppo Parlamentare dei Verdi in seno al Parlamento Europeo di chiedere ufficialmente alla Commissione Europea di aprire una procedura d'infrazione contro la Repubblica Italiana per ripetuta violazione del diritto dell'unione in materia di salvaguardia dei diritti umani fondamentali»  –:
          quali iniziative intendano intraprendere, negli ambiti di rispettiva competenza, per fare piena luce su questo decesso, in particolare, chiarendo:
              a) quale sia stata l'esatta dinamica del decesso e la cause del decesso di Aldo Tavola;
              b)    se e come sia stata prestata l'assistenza medica al detenuto durante la sua permanenza in carcere anche con riferimento all'opportunità e alla tempestività del ricovero;
          quali siano le condizioni umane e sociali della casa circondariale di Castrovillari e se, all'interno della stessa, sia garantita l'assistenza sanitaria ai detenuti; in particolare se non si ritenga di assumere sollecite, mirate ed efficaci iniziative, per quanto di competenza, anche a seguito di immediate verifiche ispettive in loco, volte a garantire il rispetto della Costituzione, della legge e dei regolamenti.
(4-16823)


      ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riferito da numerosi articoli apparsi su quotidiani siciliani, come ad esempio Magma e La Civetta di Minerva, emergerebbero legami tra esponenti della magistratura siracusana e catanese e avvocati che esercitano la professione;
          a seguito dei numerosi articoli di stampa, la sottosezione dell'Associazione nazionale magistrati (ANM) di Siracusa si è espressa, il 5 dicembre 2011, a favore dell'annunciata volontà del procuratore della Repubblica di Siracusa di richiedere al Consiglio superiore della magistratura l'apertura di una pratica a tutela della procura in ordine alla sussistenza di cointeressenze economiche tra magistrati della procura della Repubblica di Siracusa ed alcuni avvocati del libero foro;
          tale richiesta è stata accolta e nel mese di maggio gli uffici della procura della Repubblica di Siracusa sono stati oggetto di una visita ispettiva da parte di funzionari del Ministero della giustizia;
          l'ispezione doveva servire a dissipare le ombre sulla terzietà dei magistrati coinvolti, terzietà che è elemento indispensabile per un credibile esercizio della giurisdizione, affinché non sia oggetto di strumentalizzazione da parte di chi può avere oggi interesse a screditare gli uffici inquirenti e a condizionarne l'operato  –:
          se le risultanze siano state trasmesse al Consiglio superiore della magistratura per una valutazione in merito ai magistrati coinvolti e, in caso contrario, quali siano le ragioni della mancata trasmissione degli atti. (4-16830)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          i detenuti della casa circondariale di Fuorni (Salerno) hanno diramato la seguente nota alla stampa: «In data 2 luglio 2012 inizieremo una protesta non violenta, con una durata di giorni tre, per chiedere l'attenzione del Tribunale di Sorveglianza di Salerno. Tale protesta si svolgerà secondo la seguente forma: vi sarà una totale astensione dal ritirare il vitto, che quotidianamente consegna questa amministrazione, il cosiddetto sciopero del carrello; si effettueranno tre serie di battiture delle inferriate con cadenza di trenta minuti ciascuna a partire dalle ore 7 e secondo la seguente modalità: 7.00-7.30, 15.00-15.30, 22.30 23.00. Questa decisione è stata presa col fine di ottenere l'attenzione del Tribunale di Sorveglianza di Salerno, affinché sia ripristinato l'uso delle misure alternative, applicando e rispettando i contenuti della “famosa” legge Gozzini che è puntualmente disattesa dal nostro Tribunale. Inoltre chiediamo l'applicazione della legge 26 novembre 2010 (cosiddetta legge salva-carceri). Tale norma in questo istituto non è assolutamente considerata nonostante sia stata appositamente concepita per far fronte al sovraffollamento, piaga che affligge l'intero “pianeta carcerario” ma che potrebbe in particolar modo risollevare l'istituto in cui ci troviamo ammassati in oltre 500, nonostante questa struttura sia in grado di ospitare meno della metà dei detenuti che effettivamente vi sono. Tutto ciò aggiunge alla pena che stiamo scontando un'ulteriore condanna che è quella di sopravvivere stipati in celle roventi, vedendo calpestati ogni giorno non solo i nostri diritti ma anche quello che è il Principio basilare della nostra Costituzione secondo cui: “La pena deve tendere alla rieducazione del condannato e non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità” (articolo 27). Infine chiediamo al Magistrato di Sorveglianza un dibattito aperto con questa amministrazione affinché vi siano delle visite periodiche per un reale controllo delle condizioni in cui ci troviamo, solo in questo modo il magistrato potrà rendere Giusto e “Umano” (secondo l'articolo sopra citato) il suo operato, avendo ben presente lo stato in cui ci troviamo che ci costringe a vivere in condizioni disumane e degradanti, in un luogo così saturo in cui non vi è spazio sufficiente per ciascun detenuto. Fiduciosi che questa direzione comprenda appieno le motivazioni della nostra protesta e certi che appoggerà le nostre richieste»  –:
          se il Ministro interrogato, nell'ambito delle proprie competenze, non ritenga di disporre una ispezione ministeriale ad avviso dell'interrogante opportuna, quanto necessaria nei confronti del tribunale di sorveglianza di Salerno, e, se del caso, promuovere l'azione disciplinare nei confronti del citato organo giurisdizionale in relazione alla trattazione delle istanze avanzate dai detenuti;
          quale sia la situazione, a livello nazionale, dei tribunali di sorveglianza quanto a carenza di risorse, mezzi e personale;
          in quale maniera ed entro quali tempi intenda riportare il carcere di Fuorni all'interno dei perimetri della legalità costituzionale e del rispetto di quanto stabilito dall'ordinamento penitenziario. (4-16833)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata:


      MISITI, FALLICA, GRIMALDI, IAPICCA, MICCICHÈ, PITTELLI, PUGLIESE, SOGLIA, STAGNO d'ALCONTRES e TERRANOVA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il sistema autostradale italiano, costruito negli anni del boom economico, è stato realizzato con investimenti finanziati dall'Iri, che gli utenti, nei successivi cinquant'anni, hanno rimborsato sia in termini di capitale che di interessi, fornendo anche le risorse per la manutenzione e la gestione autostradale;
          le uniche eccezioni sono rappresentate da: Salerno-Reggio Calabria, Catania-Palermo, Palermo-Trapani-Castelvetrano; tali autostrade sono state realizzate con finanziamento a fondo perduto dello Stato, la cui gestione ha lasciato molto a desiderare in quanto a manutenzione e sicurezza dell'infrastruttura;
          si rende necessario completare il sistema autostradale meridionale attraverso il completamento o la realizzazione delle seguenti arterie viarie: A3, nuova 106 jonica e relative trasversali, tangenziale di Palermo, Palermo-Agrigento, Gela-Castelvetrano, Trapani-Marsala-Mazara del Vallo, ricorrendo al project-financing;
          nel Mezzogiorno, contrariamente a quanto avviene al Nord, un progetto autostradale o di altra opera pubblica viene considerato «bancabile» se lo Stato contribuisce al finanziamento per almeno il cinquanta per cento dell'investimento;
          in carenza di risorse finanziarie lo Stato renderebbe «bancabili» i progetti di nuove autostrade sopra menzionati attraverso la messa a disposizione delle infrastrutture già realizzate, trasformando così i finanziamenti a fondo perduto, prima concessi, in finanziamenti produttivi;
          la gestione delle strade e delle autostrade in cui è previsto il pedaggio, per esperienza cinquantennale, risulta la più conveniente per lo Stato e per i cittadini;
          la riforma in atto dell'Anas consente, se attuata secondo la lettera e lo spirito dell'articolo 36 del decreto-legge n.  98 del 2011, di ricercare il partner privato, composto da quaranta-cinquanta tra imprese e banche nazionali o internazionali, con bando internazionale pubblicato dalla costituenda agenzia, e di utilizzare l'Anas s.p.a. concessionaria nella gestione, insieme al partner privato, di tutto il sistema autostradale meridionale –:
          se sia nell'agenda del Governo l'obiettivo del completamento del sistema autostradale italiano con il project-financing, al fine di contribuire al superamento del gap infrastrutturale ed economico tra il Sud e il Centro-Nord del Paese. (3-02365)


      CATONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          recentemente sono stati resi noti i dati relativi alle sentenze di sfratto da eseguire ed eseguite con l'ausilio della forza pubblica;
          i dati sconcertanti certificano il profondo disagio economico e abitativo di decine di migliaia di famiglie in Italia;
          nel corso del 2011 sono state emesse 63.846 sentenze di sfratto; di queste 55.843 sono motivate da morosità, 7.471 sono motivate da finita locazione e solo 832 si riferiscono a necessità del proprietario;
          il dato sulla morosità è in continua ascesa e ad oggi oltre l'85 per cento degli sfratti è relativo alla citata motivazione, ma in alcune zone d'Italia, ad esempio la Lombardia e il Veneto, si è giunti al 95 per cento;
          nel 2011 le richieste di esecuzione degli sfratti presentate dagli ufficiali giudiziari per poter usufruire della forza pubblica sono state 123.914, mentre gli sfratti eseguiti con l'ausilio delle forze dell'ordine sono stati 28.641;
          la situazione non può che diventare ancora più preoccupante tenendo conto del fatto che è stato completamente azzerato, dal 2012, il fondo contributi affitti previsto dall'articolo 11 della legge n.  431 del 1998, al quale avevano diritto sulla base di bandi comunali circa 300.000 famiglie: questo, di fatto, era l'unico ammortizzatore sociale esistente;
          a Firenze recentemente il comitato per l'ordine e la sicurezza ha deciso di sospendere l'esecuzione di tutti gli sfratti fino al 30 settembre 2012 e sindaci, come quello di Livorno, hanno chiesto al prefetto di sospendere gli sfratti fino al 31 dicembre 2012; analoghe richieste sono venute dai sindacati degli inquilini;
          si deve ricordare che sono oltre 650.000 le famiglie italiane collocate utilmente nelle graduatorie comunali per l'accesso a case di edilizia residenziale pubblica a canone sociale;
          allo stato non appaiono avviate dal Governo congrue ed efficaci iniziative che affrontino sia il problema del passaggio da casa a casa per sfrattati che la dotazione di un adeguato numero di case popolari che possano rispondere alle esigenze delle famiglie presenti nelle graduatorie comunali;
          tra le città più colpite dagli sfratti figurano Roma, Napoli, Torino, Milano e Bari, ma preoccupanti sono anche i dati relativi ai comuni piccoli e medi –:
          quali iniziative siano allo studio o siano state avviate, in che termini, con quale quantità di risorse, affinché si risponda con programmi efficaci alla questione sfratti, in particolare quelli per morosità incolpevole, che è ormai di carattere strutturale, al fine di garantire il passaggio da casa a casa per gli sfrattati e una dotazione adeguata di alloggi di edilizia residenziale pubblica capace di rispondere alle 650.000 richieste delle famiglie collocate nelle graduatorie comunali, evitando che la questione sfratti sia, da una parte, un onere che ricade solo su comuni e regioni e, dall'altra, che diventi solo una questione di ordine pubblico. (3-02366)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      CODURELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          in data 3 novembre 2011 l'onorevole Vico e l'interrogante presentavano un atto di sindacato ispettivo n.  4/13804, ad oggi senza risposta, con il quale si chiedeva al Ministro competente di chiarire alcuni aspetti tecnici riguardanti la ditta Beco, di Lecco, uno dei maggiori produttori di bulloneria e accessori zincali a caldo per impianti di elettrificazione e tutt'oggi una delle poche aziende in grado di offrire un prodotto finito, il cui ciclo è interamente eseguito all'interno dell'azienda, garantendo quindi un elevato controllo dell'intero processo;
          poiché l'azienda è sempre stata in grado di fornire un'ampia gamma di prodotti, dalla tipica bulloneria definita dalle tabelle unificate ISO (DIN e UNI), ai prodotti speciali su specifiche indicazioni del cliente, riuscendo in questo modo a coprire l'intera richiesta e dal momento che i prodotti sono confezionati in kit come da specifiche del cliente, corredati di packing list per facilitarne la rintracciabilità e il montaggio, imballati in contenitori resistenti anche per lunghi periodi in cantiere, ha destato molte perplessità il fatto che da un po’ di tempo sui tralicci di una recente linea è stata rilevata bulloneria che riporta il marchio «A», identificativo del prodotto della ditta in essere e bulloneria con marchio «I» assolutamente sconosciuto (come prodotto europeo);
          non si conosce la situazione riguardante le altre linee, tuttavia si potrebbe essere in grado di quantificare le tonnellate fornite per confrontarle con le quantità richieste dagli appalti;
          la produzione della Beco riporta da moltissimi anni esclusivamente i marchi «A» e «S» e, solo recentemente, il marchio depositato «BBL», mentre il marchio «I» non è mai stato utilizzato su alcun prodotto. Inoltre, per Beco srl i marchi «A» ed «S» identificano da sempre prodotti ENEL/TERNA, essendo subentrata, per la produzione di bulloneria, alle società SAE ed ABB;
          le certificazioni fornite dalla ditta Beco, con riguardo alla bulloneria utilizzata per il montaggio dei tralicci Enel-Terna, hanno sempre riguardato, e riguardano, esclusivamente la bulloneria recante i sopracitati marchi;
          per questo motivo la Beco si dichiara del tutto estranea alla produzione della bulloneria marcata «I» od altri marchi non suoi, e si ritiene esente, anche per il futuro, da ogni eventuale responsabilità al riguardo (tralicci dove compagno altri marchi). Inoltre, vista la gravi crisi economica che si ripercuote ancor di più sulle piccole e medie imprese, (ritardati pagamenti, difficoltà nell'accesso al credito, concorrenza sleale, e altro) chiarire con urgenza questa situazione è quanto mai doveroso al fine di non lasciare alcuna ombra ma soprattutto di salvaguardare la produttività di un'azienda sana e numerosi posti di lavoro  –:
          se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa ed, in particolare, se al servizio tecnico centrale del Consiglio superiore dei lavori pubblici risulti che la bulloneria della ditta Beco srl è marchiata esclusivamente con le lettere «A» ed «S» e col marchio BBL;
          se risulti chi faccia uso del marchio «I», non utilizzato dalla Beco srl;
          se i direttori dei lavori abbiano verificato la sussistenza di forniture con bulloni marchiati «I» facendo le opportune segnalazioni. (5-07235)

Interrogazioni a risposta scritta:


      DAL LAGO, DOZZO, MONTAGNOLI, NEGRO, BRAGANTINI, BITONCI, LANZARIN, MUNERATO, FORCOLIN, CALLEGARI, DUSSIN, FABI e MARTINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          a gennaio 2012 la società Trenitalia spa ha comunicato l'intenzione di concentrare l'attività di distribuzione delle Frecce argento a Roma chiudendo la sede di Venezia, al fine di ottimizzare i recuperi economici;
          la gestione veneziana interessa 31 macchinisti e 40 capitreno, in quanto metà della flotta Trenitalia opera su questa tratta (Nord est capitale) che è, indubbiamente, il principale bacino di traffico e di valore economico della società. Il mantenimento si pone quindi come una necessità corredata dai risultati e dal mantenimento dell'attuale condizione qualitativa offerta alla clientela;
          la gestione unica accentrata a Roma comporterebbe problemi in merito alle comunicazioni, alla tempestività di risposta ai problemi, alla gestione delle situazioni emergenziali e alla conoscenza del territorio, oltre a compromettere la competizione con la società Nuovi trasporti viaggiatori NTV spa, che ha preventivato una base operativa a Venezia per il lancio di «Italo»;
          alla luce di quanto espresso, l'attività di distribuzione a Roma non sembrerebbe conseguire risultati né sul piano della economicità né sul piano dell'efficacia, anzi peggiorerebbe notevolmente proprio l'efficacia  –:
          se, a garanzia della massima capacità funzionale del servizio ferroviario nazionale, non ritenga opportuno intervenire presso la società Trenitalia spa al fine di mantenere una presenza operativa qualificata a Venezia;
          se non ritenga necessario promuovere un tavolo di concertazione fra la società Trenitalia spa e le organizzazioni sindacali, per definire le sedi e le attività Frecce argento. (4-16817)


      DIMA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il tratto calabrese della strada statale 106 «Ionica» è nuovamente balzato agli onori della cronaca della stampa regionale a causa di alcuni incidenti stradali mortali che si sono verificati nelle scorse settimane;
          l'ANAS dovrebbe realizzare un complessivo intervento di ammodernamento e messa in sicurezza dell'intera arteria stradale a causa della sua vetustà e pericolosità al fine di ridurne l'evidente livello di rischiosità;
          nei 415 chilometri del tratto calabrese, l'ANAS avrebbe previsto sia la realizzazione di lavori di adeguamento della strada statale 106 esistente, nei punti di maggiore pericolosità, sia la realizzazione di nuovi tratti In variante a quattro corsie;
          gli interventi previsti per la realizzazione della «nuova ionica» fuori sede dovrebbero essere complessivamente costituiti da 12 megalotti alcuni dei quali già affidati ed altri da affidare a contraente generale;
          sono in corso i lavori di messa in sicurezza degli innesti a raso di maggiore pericolosità presenti lungo l'attuale strada statale 106 nel territorio delle province di Crotone e Cosenza attraverso la realizzazione di rotatorie, rifunzionalizzazioni e nuova illuminazione per un totale di 42 interventi, mentre l'ANAS ha appaltato ma non ancora cantierizzato altri 32 interventi della stessa natura sempre nei territori di competenza delle suddette province per un complessivo completamento delle opere di messa in sicurezza;
          in attesa del reperimento del finanziamento necessario alla realizzazione del megalotto 8 (Mandatoriccio-Sibari), ed alla luce del fatto che nel tratto della strada statale 106 ricadente nel comune di Corigliano (Cosenza) esistono alcuni innesti a raso di evidente pericolosità, l'amministrazione comunale pro tempore ha più volte sollecitato il compartimento ANAS di Catanzaro ad intervenire per ovviare al problema evidenziato;
          a seguito di alcuni sopralluoghi effettuati dai tecnici comunali e da quelli ANAS si è deciso di procedere alla realizzazione di 2 rotatorie in corrispondenza dell'area industriale e del sito dove dovrà sorgere il nuovo ospedale al fine di rendere meno pericolosi gli innesti presenti in queste due aree e più fluida la circolazione;
          dopo le rassicurazioni iniziali e la manifesta volontà dell'azienda di procedere alla messa in sicurezza dei tratti sopra evidenziati, allo stato attuale non si sa a che punto sia l’iter realizzativo, quale sia lo stato della progettazione, e quale sia l'ammontare dei finanziamenti da utilizzare per gli interventi in questione  –:
          quali iniziative il Ministro intenda porre in essere per far sì che l'ANAS possa garantire l'intervento necessario per la messa in sicurezza del tratto in questione e per la realizzazione di queste rotatorie che hanno la funzione di rendere più sicura la circolazione stradale. (4-16822)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


      BERTOLINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nella galleria di accesso alla stazione della metropolitana di piazza di Spagna a Roma e nella diramazione verso il parcheggio sotterraneo di Villa Borghese, ogni pomeriggio dalle ore 17, in poi si svolge, da anni, un mercato clandestino di merci contraffatte senza che, a quanto consta all'interrogante, vi sia un adeguato contrasto da parte delle forze dell'ordine che sono, invece, largamente presenti nell'arco della mattinata in misura a volte superiore alle necessità;
          tale punto di passaggio, frequentatissimo anche da turisti stranieri, tutti i pomeriggi diventa praticamente una terra di nessuno dove si svolgono impunemente varie attività illegali, determinando una situazione di pericolo per l'incolumità pubblica e fornendo una pessima immagine ai turisti stranieri;
          in condizioni analoghe si trovano molti accessi alla metropolitana di Roma  –:
          se non si ritenga necessario ed urgente impartire direttive ai responsabili locali di polizia e carabinieri, per un più equilibrato impiego delle forze dell'ordine, prevedendo interventi di prevenzione e contrasto dei reati sia nell'importante sito citato in premessa, sia nelle altre stazioni della metropolitana di Roma, anche nelle ore pomeridiane e serali. (4-16818)


      BITONCI, GIDONI, LANZARIN, MOLGORA e CAPARINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il decreto legislativo n.  23 del 2011, recante «Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale», all'articolo 8, aveva istituto, dal 2014, l'IMU (imposta municipale propria) finalizzata a sostituire – per la componente immobiliare – l'IRPEF e le addizionali sui redditi relativi ai beni non locati, escludendo dall'imposizione l'abitazione principale e le relative pertinenze;
          il decreto-legge n.  201 del 2011, ha anticipato al 2012 l'istituzione dell'imposta municipale propria (IMU), stabilendo altresì che la stessa imposta non sostituisca altre imposte, come invece previsto dal decreto legislativo sul federalismo fiscale, e prevedendo che il 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla seconda casa e sugli altri immobili (non definibili come abitazione principale) spetterà allo Stato;
          nell'ambito di tale quadro normativo sono state adottate anche altre disposizioni di estrema importanza per gli enti locali, ovvero la proporzionale riduzione delle risorse del fondo sperimentale di riequilibrio (Fsr) destinate al singolo ente sulla base della differenza tra il gettito incassato dal medesimo per effetto dell'applicazione dell'IMU e il gettito introitato con l'ICI del 2010; l'IFEL, Istituto per la finanza e l'economia locale, ha pubblicato i primi dati sull'ammontare del fondo sperimentale di riequilibrio che nel complesso ammonterà a 6,8 miliardi di euro, con una riduzione di 4,2 miliardi di euro rispetto all'ammontare del fondo nel 2011 a causa della compensazione dell'IMU definita dall'articolo 13, comma 17, del medesimo decreto-legge n.  201 del 2011, sulla base delle norme contenute all'interno del decreto-legge n.  16 del 2012, che parzialmente modifica il decreto-legge n.  201 del 2011, oggi i comuni iscrivono a bilancio previsionale 2012 il gettito derivante dall'applicazione dell'IMU ad aliquote ordinarie sulla base dei valori stimati dal Ministero dell'interno;
          si è già dimostrato che in numerosissimi casi la differenza tra il gettito atteso dal Ministero e quello considerato dai comuni è estremamente elevata, tanto da far apparire errata la previsione del Ministero, così che sarebbe necessario conoscere con quali criteri il Ministero abbia operato le proprie proiezioni sul gettito atteso dall'imposta municipale propria;
          la normativa vigente, consentendo agli enti locali di poter intervenire entro il 30 settembre per modificare le aliquote dell'imposta sulla base del gettito derivante dalla prima rata della medesima imposta, evidenzia, ad avviso degli interroganti, come lo stesso Stato dubiti delle proprie stime relative al gettito dell'IMU; il Governo, in ragione del gettito incassato con il pagamento della prima rata dell'IMU del 18 giugno, si riserva la facoltà di rivedere, entro il 10 dicembre, ovvero ad un massimo di una settimana dal termine oggi previsto per il pagamento dell'ultima rata dell'imposta municipale propria le aliquote di base dell'IMU i margini di manovra comunali ovvero l'ammontare delle detrazioni oggi vigenti  –:
          se non si ritenga opportuno, anche alla luce delle evidenti eterogeneità all'interno di ciascuna realtà regionale, adottare le opportune iniziative, affinché il dato sul gettito incassato in relazione all'IMU, con il pagamento della prima rata di giugno, venga specificato anche su base regionale. (4-16820)


      FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nei giorni scorsi su un gruppo che si propone di tutelare gratuitamente gli uomini della polizia e delle forze armate denominato «Prima difesa 2» — aperto sul noto social network Facebook — Paolo Forlani, uno dei poliziotti condannati insieme a Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri dalla Corte di Cassazione per l'omicidio colposo del giovane Federico Aldovrandi, ha pesantemente offeso la signora Patrizia Moretti, madre di Federico;
          in particolare, commentando un'intervista della signora Moretti, Forlani ha pronunciato parole volgari e offensive affermando: «una falsa e ipocrita... spero che i soldi che ha avuto ingiustamente possa non goderseli come vorrebbe... adesso non sto più zitto dico quello che penso e scarico la rabbia di sette anni di ingiustizie...»;
          l'interrogante ritiene che non possano accettarsi siffatte parole verso la signora Moretti da parte di appartenenti alle forze dell'ordine — che per altro come accertato dalla giustizia sono responsabili dell'uccisione di suo figlio  –:
          se non ritenga queste dichiarazioni incompatibili con il ruolo di agente di pubblica sicurezza e quali iniziative disciplinari si intendano promuovere nei confronti dei suddetti poliziotti condannati per omicidio colposo in Cassazione.
(4-16821)


      TOUADI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          le elezioni del 2011 per il rinnovo dell'amministrazione comunale di Ariccia (Roma) sono state annullate da una sentenza del TAR del Lazio dell'8 marzo 2012, così vanificando la volontà espressa da circa 11.000 cittadini votanti;
          è stato nominato un commissario prefettizio che rimarrà in carica, laddove la sentenza del TAR del Lazio venisse confermata dal Consiglio di Stato, fino a maggio 2013, con ulteriore mortificazione della volontà espressa dalla maggioranza dei cittadini di Ariccia nel corso delle elezioni del maggio 2011;
          la sentenza del TAR, sulla base di due irregolarità formali, ha azzerato l'amministrazione del comune di Ariccia senza che, in realtà, sia stato accertato alcun broglio elettorale, sia nelle operazioni di voto sia in quelle di scrutinio;
          la prima di queste irregolarità, dall'attenta lettura del verbale di una sezione speciale (cosiddetto «seggio volante») si è rivelata, ad avviso dell'interrogante, del tutto infondata;
          la seconda irregolarità è stata determinata dal mancato ritrovamento dell'atto di delega (ex articolo 20 decreto del Presidente della Repubblica n.  570 del 1960) del presidente del seggio n.  15;
          tale mancato ritrovamento è attualmente oggetto di un'inchiesta da parte della procura della Repubblica presso il tribunale di Velletri poiché la responsabile dell'ufficio elettorale risulta indagata per violazione dei doveri di ufficio — ex articolo 368 e 61, n.  2, c.p.(atti n.  1058/12 R.G. N.R. e n.  1153/12 R.G. G.I.P. della procura della Repubblica presso il tribunale di Velletri);
          dalla presente fattispecie concreta emerge una problematica rilevante e di carattere generale che, ad avviso dell'interrogante, merita di essere esaminata;
          è infatti evidente che se l'assenza di un documento presso la casa comunale, come nel caso di specie, può essere causa di annullamento delle elezioni, tale espediente potrebbe essere utilizzato in futuro da qualsiasi partito o fazione politica, al solo fine di far annullare le elezioni nelle quali si è visto soccombente;
          ad avviso dell'interrogante, se la sentenza del TAR venisse confermata dal Consiglio di Stato si verrebbe a creare un pericoloso precedente in una materia, quella elettorale, di fondamentale importanza per la vita democratica del Paese  –:
          se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti;
          se e quali iniziative di competenza, anche di carattere normativo, intenda intervenire per impedire che irregolarità come quella esposta in premessa possano determinare l'annullamento delle elezioni in spregio della volontà popolare.
(4-16825)


      BORGHESI. – Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il Sindacato italiano appartenenti polizia (SIAP) in persona del segretario generale Luigi Empirio lamenta che la polizia di Stato della Polaria Malpensa (500 poliziotti) non ha la mensa di servizio e si appoggia alla mensa della SEA, Società di gestione dell'aeroporto della Malpensa;
          in particolare, dopo la cessazione del contratto con la società SEASERVICE e la nuova stipula del contratto in essere con la Società SERIST, la mensa presente al «Terminal 2» il pomeriggio e la sera non è in funzione; situazione che di fatto «impone» al personale che deve espletare il turno 19.00/24.00 di recarsi in mensa non oltre le ore 17.15, dato che il «Terminal 1» dista circa 3 chilometri dalla caserma della polizia di Stato e circa 4/5 chilometri dal «Terminal 2». Da ciò ne risulta che il personale, libero dal servizio, esce dalla caserma della polizia di Stato e deve percorrere 3 chilometri per raggiungere la mensa, dove, dopo aver atteso il proprio turno per prelevare le pietanze e consumare la cena, nel caso in cui risulta comandato di servizio al «Terminal 2», deve percorrere ben 5/6 chilometri per raggiungere la postazione di lavoro (da calcoli orientativi, arrotondati anche per difetto, risulta che i tempi minimi per detta operazione non sono inferiori a 60 minuti). Risulta, inoltre, che la mensa della SEA offra una qualità delle pietanze non ritenuta soddisfacente; inoltre sembra non organizzata a fornire il cosiddetto «sacchetto» sostitutivo del pasto (pasto da asporto);
          in data 29 maggio 2012 è stato richiesto l'accesso agli atti amministrativi, in virtù della vigente normativa, finalizzata all'acquisizione del contratto stipulato tra l'ufficio territoriale del Governo di Varese e la ditta «SEA» o, comunque, qualsivoglia contratto di convenzione in essere, relativamente alla somministrazione del vitto al personale della polizia di Stato per le sedi mensa del «Terminal 1 e 2» di Malpensa. Lo scopo è di fornire la giusta informazione relativa agli obblighi della ditta. Da uno stralcio del contratto (valido dal 1o giugno 2005 al 31 dicembre 2006) stipulato tra l'ufficio territoriale del Governo di Napoli e la ditta «Ladina Ristorazione S.r.l.», rep. N. 18899, per la somministrazione del vitto al personale della polizia di Stato presso i locali del IV Reparto Mobile di Napoli si evidenzi come il servizio reso comporta una spesa pari a 4,65 euro per pasto, mentre il corrispettivo previsto per Malpensa è di 7,00 euro. La prefettura di Varese quindi, elargisce annualmente alla società SEA circa 870.000,00 euro (il tutto si apprende dai verbali della commissione provinciale mensa e salubrità annuali);
          è evidente che ciò comporta un doppio danno: il primo all'erario, che spende risorse per un pranzo poi sostanzialmente non consumato, ed il secondo per i poliziotti, che, pur vedendo formalmente riconosciuto un loro diritto sostanziale, rimangono a digiuno o quasi;
          il sindacato SIAP ha segnalato, inoltre, che non risulta se si sia tenuta una gara d'appalto per il servizio –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra riportati;
          se il Ministro non intenda procedere ad immediata verifica del rispetto degli obblighi contrattuali per le conseguenti determinazioni del caso;
          come intenda procedere per far fronte «all'emergenza» mensa mediante l'erogazione, per il tempo strettamente necessario, a tutti gli aventi diritti della mensa obbligatoria, del ticket restaurant e/o se intenda procedere a stipulare una convenzione con punti di ristorazione allocati nelle immediate vicinanze dell'aeroporto di Malpensa. (4-16828)


      MIGLIORI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          in occasione del recente dibattito che si è svolto nel consiglio comunale di San Miniato, l'amministrazione comunale ha presentato le aliquote IMU e l'addizionale comunale IRPEF;
          i residui attivi ammontano al 31 dicembre 2010 a ben 20 milioni di euro;
          la Corte dei conti, che ha il compito di controllare i provvedimenti contabili e amministrativi degli organi pubblici, sezione regionale di controllo per la Toscana, a seguito di un accertamento del bilancio consuntivo 2010 del comune di San Miniato, in data 3 maggio 2012 ha emesso una pronuncia sulla gestione economico-finanziaria di tale comune;
          secondo la Corte, dall'esame dei documenti in suo possesso emergono «criticità e/o irregolarità gravi... che ineriscono a comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria e/o violazione degli obiettivi della finanza pubblica e/o irregolarità contabili e/o squilibri strutturali del bilancio del Comune»;
          la Corte dei conti evidenzia, altresì, la presenza di ingenti crediti pregressi – i cosiddetti residui attivi – costituiti in anni precedenti il 2006 e ciò «solleva dubbi sulla veridicità e attendibilità delle partite conservate nella gestione residui con ripercussioni negative sul risultato amministrativo e, in assenza di un corrispondente accantonamento nel fondo svalutazione crediti nell'ambito dell'avanzo di amministrazione, comporta un potenziale rischio per la tenuta degli equilibri di bilancio dell'Ente degli esercizi futuri»;
          la Corte rileva inoltre che la gestione di parte corrente e la gestione di competenza hanno registrato un risultato negativo e ciò rappresenta un potenziale rischio in ordine all'equilibrio dei bilanci dei futuri esercizi. Il risultato della gestione di parte corrente è risultato negativo nel triennio 2008-2010 e ciò sarebbe sintomo, secondo la Corte, di una strutturale mancanza di entrate di natura ricorrente e stabile destinate a finanziare le spese correnti;
          l'esistenza di debiti per investimenti da pagare da oltre due esercizi – i cosiddetti residui passivi – per i quali non vi sia stato affidamento dei lavori denota – secondo l'organo di controllo – difficoltà nella gestione della spesa per investimenti;
          la Corte dei conti ha disposto infine che copia della sua deliberazione venisse trasmessa al consiglio comunale, cosa avvenuta solo dopo specifica richiesta dei consiglieri di opposizione;
          quanto contenuto nella pronuncia della Corte dei conti conferma quella che all'interrogante appare una consolidata e pluriennale cattiva gestione del comune, cattiva gestione che – per usare le medesime espressioni dell'organo di controllo – ha dato luogo a criticità e gravi irregolarità, con un giudizio complessivo negativo dell'attività del comune di San Miniato con riferimento al bilancio esaminato ed a quelli pregressi;
          la evidente cattiva gestione finanziaria dell'amministrazione comunale ha portato alla conseguente eccessiva onerosità delle aliquote dell'IMU e dell'addizionale comunale IRPEF; una azione di riscossione dei crediti arretrati, oltreché una più appropriata selezione degli investimenti, avrebbero potuto evitare un ulteriore aggravio della pressione fiscale sulla cittadinanza in un periodo in cui si è chiamati a gravosi sacrifici, come confermato dalla Corte dei conti, se il Governo del comune fosse stato improntato a principi di sana e corretta gestione contabile finanziaria  –:
          quali iniziative urgenti, anche di carattere normativo, si intendano assumere per far sì che nel comune di San Miniato, come altri in Italia, si eviti di gravare il cittadino con eccessive aliquote e addizionali conseguenti alla cattiva gestione amministrativa; se i fatti come sopra esposti, per la loro gravità, non meritino circostanziate iniziative ispettive da parte dei competenti organi del Ministero dell'economia e delle finanze e del Dipartimento della funzione pubblica e, qualora ne sussistano i presupposti, se non si intendano adottare le opportune iniziative per l'eventuale scioglimento del comune. (4-16832)


      TOTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'8 novembre 2006, il sindaco pro-tempore di Napoli, onorevole Rosa Russo Jervolino, con proprio decreto, nominò quale componente della commissione edilizia comunale, tra gli altri, l'architetto Paolo Giardiello, notoriamente legato affettivamente all'architetto Maria Rosaria Santangelo, figlia del vice-sindaco e assessore con delega all'urbanistica, dell'amministrazione comunale partenopea, notaio Sabatino Santangelo. Nello stesso anno 2006, successivamente alla nomina, per quel che è dato di sapere all'interrogante, a componente della commissione edilizia, l'architetto Giardiello costituì con altri professionisti una società di progettazione, denominata FGP St.udio srl, presso lo studio del notaio Stefano Santangelo, figlio, a sua volta, del sunnominato vice-sindaco;
          il 15 dicembre 2006, una società di Cagliari, Media Com srl, presentò un progetto di riconversione di un opificio, già sede di uno stabilimento di Birra Peroni, sito nel quartiere di Miano di Napoli. In relazione a tale progetto fu coinvolta, sul piano professionale, la citata società FGP St.udio srl. nella cui compagine sociale era annoverato l'architetto Giardiello, componente, come sopra evidenziato, della commissione edilizia comunale, competente per il rilascio dell'autorizzazione urbanistica attinente al progetto in discorso. Peraltro, di detta commissione, l'architetto Giardiello non era l'unico componente coinvolto, direttamente o indirettamente, nella nuova progettazione. Vi era, infatti, anche interessata la dottoressa Fabia Bellofatto, componente, essa stessa, della predetta commissione. Probabilmente per ovviare a potenziali conflitti di interesse, i due menzionati componenti, architetto Giardiello e dottoressa Bellofatto, non parteciparono alla votazione che, sul progetto in questione, ebbe luogo in commissione edilizia, il 25 settembre 2008, dopo appena tre giorni di istruttoria della pratica edilizia, nonostante la sua complessità;
          il progetto era stato, infatti, presentato, direttamente al dipartimento urbanistica del comune di Napoli, il 6 agosto 2007, e approvato, il 15 luglio 2008, con deliberazione n.  1021 della giunta comunale, su proposta del vice-sindaco e assessore con delega all'urbanistica Sabatino Santangelo. A tale atto seguirono il rilascio del parere favorevole, in data 25 settembre 2008, da parte della commissione edilizia e la definitiva approvazione del piano di recupero, con valore di permesso a costruire, in data 6 febbraio 2009, con deliberazione n.  64 della giunta comunale di Napoli, sempre su proposta del vice-sindaco e assessore all'urbanistica, Sabatino Santangelo;
          le citate deliberazioni, proposte in giunta comunale dal vice-sindaco e assessore Santangelo, furono approvate, non è stato dato, all'interrogante, di sapere se alla sua stessa presenza. Se così fosse stato, sarebbe anche da rilevare che, nel frattempo, la figlia del vice-sindaco e assessore comunale, architetto Maria Rosaria Santangelo, era divenuta socia di FGP St.udio srl, cinque mesi prima dell'approvazione in giunta comunale, su proposta di suo padre, vicesindaco e assessore Santangelo, della prima deliberazione inerente al progetto;
          l'ultima deliberazione, n.  889 del 4 giugno 2010, proposta dal vice-sindaco e assessore Santangelo ed approvata in giunta comunale, origina una riduzione di costi in capo a Media Com srl. L'oggetto della deliberazione reca «Approvazione dello schema di convenzione relativo al Piano di recupero La Birreria con le modifiche apportate allo schema già approvato con delibera di Giunta comunale n.  1028 del 26 giugno 2009. Provvedimento senza impegno di spesa». Il 26 giugno 2009, la giunta comunale partenopea, su proposta dall'assessorato diretto dal Santangelo, aveva approvata la richiamata deliberazione n.  1028, avente ad oggetto: «Approvazione del progetto definitivo delle opere di urbanizzazione primaria da realizzare a scomputo della quota del contributo previsto per il permesso di costruire relativo al piano di recupero la Birreria approvato con delibera di Giunta comunale n.  64 del 6 febbraio 2009 e pubblicato sul Bollettino ufficiale della Regione Campania n.  31 del 25 maggio 2009, commisurata all'incidenza degli oneri di urbanizzazione; approvazione dello schema di convenzione. Provvedimento senza impegno di spesa»; la società, dunque, in virtù della convenzione col comune, avrebbe dovuto realizzare opere di interesse pubblico, a scomputo sugli oneri di urbanizzazione, le quali, tuttavia, evidentemente sulla scorta della deliberazione della giunta regionale della Campania 29 dicembre 2009, n.  1914 ad oggetto: «Prezzario dei lavori pubblici – Edizione 2010», pubblicata sul Bollettino ufficiale della regione Campania n.  2 del 7 gennaio 2010, in vigore, nella regione Campania, in pari data, vennero rimodulate così come definito con la menzionata deliberazione n.  889 del 2010. Le modificazioni conseguivano, cioè, all'aumento del prezziario dei lavori pubblici e delle opere pubbliche. Infatti, essendo divenute più onerose per effetto delle nuove tariffe, la riduzione delle opere di urbanizzazione che Media Com srl avrebbe dovuto realizzare si rese necessaria per mantenerne inalterato il loro valore complessivo. Concretamente, a dare attuazione alle previsioni della delibera in menzione dovrà essere l'attuale amministrazione comunale, mediante l'adozione di varianti progettuali e l'eliminazione della previsione di opere di interesse pubblico, originariamente previste a carico di Media Com srl, nella menzionata convenzione;
          i fatti sopra riferiti furono esposti dal consigliere comunale di Napoli, Andrea Santoro, e dall'allora consigliere regionale della Campania, Pietro Diodato, in due conferenze stampa tenute, rispettivamente, il 14 ed il 18 febbraio 2009 a seguito delle quali l'allora vice-sindaco di Napoli, notaio Sabatino Santangelo, la figlia, architetto Maria Rosaria, e l'architetto Paolo Giardiello, affettivamente legato alla collega Maria Rosaria Santangelo, nel mese di marzo 2009, citarono in giudizio, in sede civile, il Santoro e il Diodato;
          in data 17 novembre 2011, a distanza di poco più di anni dall'inizio della lite in sede civile, il giudice monocratico del tribunale di Napoli, dottor Raffaele Sdino, pronunciava, nei confronti di Santoro e Diodato, una sentenza, inattesa e che desta perplessità, di condanna al risarcimento dei danni d'immagine a favore delle parti attrici, per un importo complessivo di duecentosettantacinquemila euro, oltre le spese accessorie e con condanna, altresì, alle spese legali. La condanna muove, a parere dell'interrogante, da una lettura inappropriata dei fatti da parte del magistrato giudicante che sembra aver tenuto conto poco o punto del ruolo istituzionale esercitato dai consiglieri Santoro e Diodato, rispettivamente, comunale, il primo, e regionale, il secondo. Tra le prerogative di quei ruoli, infatti, è certamente ricompreso l'esercizio di funzioni di controllo e ispettive sull'operato degli enti locali di cui sono amministratori, in virtù del mandato elettorale. D'altronde, la critica, esercitata sul piano politico da Santoro e Diodato, fu sicuramente contenuta e veritiera. Secondo la valutazione del giudice Sdino, diversamente, la critica sviluppata fu sì contenuta ma viziata dall’«intento» di screditare la famiglia Santangelo. L'aspetto che appare di più difficile comprensione nel dispositivo della sentenza è la condanna, nei confronti di Santoro e Diodato, alle spese legali a favore del patrocinante dei Santangelo, avvocato Achille Janes Carratù, per un'ammontare di circa quarantamila euro. Eccessiva e non agevolmente intelligibile, a parere dell'interrogante, appare la sproporzione, tra l'entità della somma e la durata, di poco di due anni, della causa  –:
          se, anche alla luce dell'episodio descritto in premessa, non intenda assumere iniziative normative per assicurare una forma di protezione ai consiglieri comunali, specie di minoranza, in modo da garantire la piena esplicazione del diritto di critica politica. (4-16834)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza:


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
          l'ordinanza del Consiglio di Stato del 18 giugno 2012, n.  3541 ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 4, comma 1, legge 2 agosto 1999, n.  264, nella parte in cui, relativamente all'esito dello svolgimento delle prove preselettive per l'accesso alle facoltà a numero chiuso, non prevede formazione di una graduatoria unica nazionale in luogo di graduatorie plurime per singoli atenei, con riferimento agli articoli 3, 34, 97 e 117, comma 1, della Costituzione; pertanto il Consiglio di Stato ha rinviato alla Consulta la decisione sulla questione;
          nello specifico si osserva che, a fronte di una prova unica nazionale, con 80 quesiti, «l'ammissione al corso di laurea non dipende dal merito del candidato, ma da fattori casuali e affatto aleatori legati al numero di posti disponibili presso ciascun Ateneo e dal numero di concorrenti presso ciascun Ateneo, ossia fattori non ponderabili ex ante»;
          tale modalità è del tutto contraria alla logica del concorso unico nazionale, per cui, svolgendosi la prova unica nazionale nello stesso giorno in tutti gli atenei, a ciascun candidato è data un'unica possibilità di concorrere, in una sola università, per una sola graduatoria (one shot), con l'effetto pratico che coloro che conseguono in un dato ateneo un punteggio più elevato di quello conseguito da altri in un altro ateneo, rischiano di essere scartati, e dunque posposti, solo in virtù del dato casuale del numero di posti e di concorrenti in ciascun ateneo;
          secondo quanto spiegato nell'ordinanza si «lede l'eguaglianza tra i candidati, e il loro diritto fondamentale allo studio (diritto sancito anche dall'articolo 2 della Carta europea dei diritti dell'uomo, protocollo firmato a Parigi il 20 marzo 1952) e si determina una penalizzazione della aspettativa dei candidati di essere giudicati con un criterio meritocratico, senza consentire alle università la selezione dei migliori;
          il sistema di ingresso a numero chiuso è di per sé un metodo di selezione per molti aspetti inefficace nel garantire merito e pari opportunità e risulta superato da sistemi diversi, come in Francia e in altri Paesi, i quali si basano sulla valutazione del rendimento dello studente nel corso del primo anno di studi;
          nel 2011 si sono avuti diversi casi di scarsa professionalità nell'elaborazione dei test di ingresso, quali ad esempio una domanda sulla «gratta checca» romana, inserita tra le domande di cultura generale;
          il numero dei posti messo al bando nel 2011 inoltre, nel caso di medicina, è risultato essere inferiore al reale fabbisogno di medici di almeno 2000 unità, come denunciato da Andrea Lenzi, presidente del Consiglio universitario nazionale  –:
          se il Ministro intenda assumere iniziative normative per procedere per il prossimo anno accademico 2012/2013 all'istituzione di una graduatoria nazionale per l'accesso alle facoltà a numero chiuso, così come indicato dal Consiglio di Stato;
          se il Ministro intenda assumere ogni iniziativa di competenza affinché siano garantite la professionalità e le modalità di selezione di coloro che elaboreranno i test;
          se il Ministro intenda assumere iniziative affinché il numero dei posti messi a bando non sia mai inferiore al reale fabbisogno delle relative figure professionali.
(2-01577) «Di Pietro, Zazzera».

Interrogazione a risposta immediata:


      PELINO e BALDELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          in molte regioni d'Italia si protraggono ricorsi pendenti dal 2006, da parte di circa un centinaio di soggetti, per le gravi censure documentate nello svolgimento del corso concorso per dirigente scolastico indetto con determinazione del direttore generale del 22 novembre 2004 del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
          i candidati di undici regioni, in particolare, sono stati oggetto di una grave discriminazione, poiché i tribunali amministrativi regionali non hanno deciso i ricorsi presentati da quanti hanno ritenuto ingiustificata la propria esclusione dal corso di formazione e dalla successiva immissione in graduatoria;
          per tale motivo essi sono stati penalizzati rispetto a candidati di altre regioni per effetto di quanto disposto dal comma 619 dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2008, che ha consentito l'inserimento in graduatoria soltanto ai candidati che avevano ottenuto in loro favore un provvedimento cautelare, per cui i ricorrenti di molte regioni sono rimasti esclusi, non essendo stati decisi i ricorsi presentati;
          il Parlamento ha approvato la proposta di legge atto Camera n.  3286, divenuta poi legge n.  202 del 2010, che ha previsto l'annullamento delle prove del corso concorso in Sicilia;
          il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con il precedente Governo, aveva già definito tutte le questioni legate a tale vicenda e verificatesi nel resto del territorio nazionale, con una norma equanime che teneva conto dei ricorsi ad oggi pendenti, prima della conclusione del nuovo concorso, norma che era stata già inviata alla Presidenza del Consiglio dei ministri e che non è, però, giunta a conclusione a causa delle dimissioni del Governo;
          anche la prima firmataria del presente atto di sindacato ispettivo ha presentato una proposta emendativa al decreto-legge 9 febbraio 2012, n.  5 («decreto-legge semplificazioni»), che ha ricevuto l'approvazione unanime delle commissioni referenti, ma che è stata espunta a seguito del parere contrario della Commissione bilancio, tesoro e programmazione –:
          se il Ministro interrogato non ritenga urgente adottare al più presto le opportune iniziative di propria competenza al fine di definire l'annosa questione relativa al corso concorso di cui in premessa. (3-02370)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VII Commissione:


      COSCIA, DE PASQUALE, BACHELET, DE TORRE, SIRAGUSA, PES, ROSSA e ANTONINO RUSSO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          la sentenza n.  147 espressa lo scorso 7 giugno dalla Corte costituzionale ha accolto il ricorso presentato da 7 regioni (Toscana, Emilia Romagna, Liguria, Umbria, Sicilia, Puglia e Basilicata) ritenendo fondata la richiesta di incostituzionalità del comma 4 dell'articolo 19 del decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98, convertito, con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n.  111, che dispone per il prossimo anno scolastico la creazione di istituti comprensivi di almeno 1.000 alunni e la conseguente cancellazione – mediante accorpamento – delle scuole dell'infanzia, primarie e secondarie di primo grado;
          la Corte nell'esprimere le proprie argomentazioni ribadisce le precedenti sentenze n.  200 del 2009 e n.  92 del 2011, con le quali è stata esplicitamente chiarita la differenza esistente tra le norme generali sull'istruzione riservate alla competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera n) della Costituzione e le norme sull'istruzione attribuite alla competenza legislativa concorrente delle regioni. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato;
          le suddette argomentazioni dimostrano come la norma contenuta nell'articolo 19, comma 4, che regola la rete scolastica e il dimensionamento degli istituti sia di competenza regionale;
          con precedenti atti di sindacato ispettivo (interpellanza urgente 2-01231) gli interroganti avevano già rilevato l'oggettiva complessità e la delicatezza del percorso di ridefinizione dei piani regionali di dimensionamento della rete scolastica di cui al medesimo articolo 19, comma 4;
          nella situazione attuale oggi appare urgente al fine di garantire il corretto avvio dell'anno scolastico che garantisca il diritto allo studio e che tuteli la qualità dell'offerta didattica agli studenti, valutare la necessità di assumere le opportune iniziative normative a seguito della pronuncia della Corte costituzionale -:
          se il ministro interrogato, in vista di una organica e costituzionalmente corretta definizione della materia, non ritenga urgente avviare, fatte salve le competenze regionali, un monitoraggio anche attraverso l'istituzione di un tavolo tecnico con i rappresentanti delle regioni e delle province autonome, al fine di valutare la necessità di assumere le opportune iniziative normative conseguenti alla pronuncia della Corte costituzionale. (5-07243)


      ZAZZERA e DI GIUSEPPE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          la Corte costituzionale, con la sentenza n.  147 del 4 giugno 2012, ha dichiarato illegittimo l'articolo 19, comma 4 del decreto-legge n.  98 del 2011 convertito, con modificazioni, dalla legge n.  111 del 2011;
          la norma dichiarata illegittima così dispone: «4. Per garantire un processo di continuità didattica nell'ambito dello stesso ciclo di istruzione, a decorrere dall'anno scolastico 2011-2012 la scuola dell'infanzia, la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado sono aggregate in istituti comprensivi, con la conseguente soppressione delle istituzioni scolastiche autonome costituite separatamente da direzioni didattiche e scuole secondarie di I grado; gli istituti comprensivi per acquisire l'autonomia devono essere costituiti con almeno 1.000 alunni, ridotti a 500 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche»;
          la succitata disposizione, concernente la «razionalizzazione e contenimento della spesa relativa all'organizzazione scolastica» e che si inserisce nel progetto di riorganizzazione della rete scolastica, esautorava di fatto le competenze della regione in materia di accorpamenti scolastici. In sostanza, secondo la legge non sarebbe spettato più alle regioni decidere di programmare le autonomie scolastiche sul territorio e valutare gli eventuali accorpamenti tenendo conto delle condizioni geografiche, socioeconomiche e storiche del territorio, nonché della situazione dell'edilizia scolastica;
          la Corte costituzionale, ha accolto il ricorso presentato da 7 regioni (Toscana, Emilia Romagna, Liguria, Umbria, Sicilia, Puglia e Basilicata) che ritenevano la norma sul dimensionamento lesiva delle proprie prerogative. La Corte infatti riconosce che la norma sul dimensionamento viola l'articolo 117 della Costituzione, che definisce le competenze tra Stato e regioni, perché interviene su una norma di dettaglio (i parametri per costituire gli istituti comprensivi) che avrebbe dovuto essere concertata con le regioni perché rientrante in un ambito di competenza concorrente; la Corte ha ribadito quindi la prevalenza delle norme regionali in materia di dimensionamento, sulle corrispondenti norme statali;
          del resto, tale sentenza, era facilmente prevedibile visto l'orientamento già espresso in passato dalla Corte costituzionale su un problema analogo con la sentenza n.  200 del 2009, ma si è preferito varare una norma incostituzionale, solo per esigenze di cassa e incurante dei danni profondi che essa avrebbe potuto produrre (e ha prodotto) alla qualità della scuola; si tratta di conseguenze gravissime che si aggiungono alla situazione già difficile dei lavoratori della scuola presi di mira dalle regressive politiche del precedente Governo;
          i piani di dimensionamento approvati dalle regioni – e purtroppo anche da parte di molte di quelle presentatrici del ricorso alla Corte costituzionale – comportano la chiusura di oltre 1000 scuole sull'intero territorio nazionale, un ulteriore taglio di organico di tutto il personale, la determinazione di numerosissimi soprannumerari, in particolare dirigenti scolastici e Dsga, la costituzione di istituti comprensivi abnormi senza alcun fondamento didattico;
          ora la sentenza offre l'opportunità alle diverse regioni di rivedere i propri piani di dimensionamento scolastico varati secondo parametri dichiarati incostituzionali; quindi le regioni avranno la possibilità di intervenire sulle situazioni più eclatanti, quelle in cui sono state fatte aggregazioni scolastiche abnormi o tra più comuni e pertanto non in grado di assicurare quella qualità e quella continuità didattica che pure sono tra le finalità richiamate dalla stessa legge istitutiva;
          molte amministrazioni regionali, però, avrebbero già dichiarato di non volere riconsiderare i piani scolastici deliberati, contravvenendo così ad una precisa responsabilità politica e normativa che è quella di rispettare la sentenza della Corte costituzionale. La conseguenza sarà che il prossimo anno scolastico inizierà con una rete scolastica modificata secondo parametri dichiarati illegittimi sul piano giuridico oltre che deleteri sul piano qualitativo;
          sarebbe necessario che la sentenza costituzionale possa offrire l'occasione per rivedere le scelte fin qui assunte in materia di dimensionamento, di riconsiderare il sistema scolastico secondo una modalità più partecipata e condivisa e sulla base di parametri effettivamente rispondenti a esigenze di funzionalità organizzativa e qualità didattica;
          in assenza di ciò si corre il rischio come sta già avvenendo, che le diverse scuole o i singoli lavoratori che ritengano lesi i propri diritti ottengano per via legale il rispetto della sentenza; infatti, già ad oggi sono numerosi i casi in cui a seguito di ricorso da parte dell'ente locale o della comunità scolastica è stato chiesto e ottenuto dal Tar la sospensione degli effetti della legge sul dimensionamento per singoli istituti scolastici;
          vi è la totale confusione sul destino che avranno tutti i piani regionali di dimensionamento approvati tra le polemiche, i ricorsi presentati dalle famiglie e le misure organizzative approntate in fretta e furia dalle segretarie degli istituti scolastici  –:
          come il Ministro interrogato intenda affrontare per quanto di sua competenza la difficile situazione determinatasi alla luce della sentenza della Corte costituzionale, attivandosi sempre nei limiti della propria competenza affinché, in vista di futuri processi di modifica della rete scolastica, sia possibile avviare una discussione ampia in grado di coinvolgere i diversi soggetti in campo: enti locali, scuole, sindacati, amministrazione, a vantaggio della qualità e la piena funzionalità delle strutture scolastiche interessate.
(5-07244)


      CAPITANIO SANTOLINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          la chiusura di oltre mille scuole, l'affidamento a un unico dirigente e a un unico direttore di più scuole avrà pesanti ricadute sulla qualità didattica e la funzionalità organizzativa;
          secondo i dati forniti dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca sul dimensionamento della rete scolastica saranno 1.013 le istituzioni scolastiche che verranno chiuse a partire dal prossimo anno scolastico a seguito dei piani di dimensionamento deliberati dalle amministrazioni regionali;
          il numero suddetto dimensionamento comporterà un rilevante impoverimento tanto dell'organico che della rete scolastica pubblica con il rischio di sguarnire vaste aree del paese da veri e propri presidi formativi;
          non meno complicata sarà la situazione di quelle scuole con meno di 600 alunni che, per effetto della legge n.  183 del 2011, non potranno avere un Dirigente scolastico e un Dsga titolare con ricadute inevitabili sull'organizzazione dei servizi e della didattica;
          le istituzioni dei due cicli con meno di 600 alunni saranno affidate a reggenza ad un dirigente scolastico, mentre per i direttori dei servizi è previsto dalla legge 183 del 2011 che ad essi non può essere assegnato in via esclusiva una posto di Dsga;
          si ridurrà il numero dei dirigenti, direttori e anche collaboratori scolastici ma il processo di dimensionamento non potrà proseguire ulteriormente, anzi, le scuole dovrebbero tornate a dimensioni quanto meno «europee»;
          occorre, infine, sottolineare, la difficoltà in cui si troveranno nei prossimi mesi le scuole coinvolte nei dimensionamenti, dal momento che dovranno in un contesto caratterizzato da una notevole mobilità del personale, a rivedere, a chiudere ed aprire bilanci, a trasferire risorse finanziarie e strumentali, a riorganizzare le attività amministrative e a riprogrammare le attività didattiche adeguandole alle nuove situazioni;
          verrà richiesto alle scuole ed ai lavoratori una enorme mole di lavoro per la ristrutturazione del servizio di istruzione per conseguire risparmi sul personale, senza sostegno per la formazione e senza le risorse necessarie, ma al contrario con un aumento delle prestazioni richieste e delle responsabilità  –:
          se non ritenga opportuno procedere ad un tavolo di confronto con tutte le parti interessate, ove non fosse già istituito, o in via di istituzione, al fine di tutelare nell'ambito di una politica di ridimensionamento l'offerta formativa, la qualità della didattica e il buon funzionamento dell'anno scolastico. (5-07245)


      CENTEMERO, FRASSINETTI, BARBIERI e PALMIERI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          la Corte Costituzionale, con la sentenza 147 dei 4 giugno 2012, riconosce la fondatezza del ricorso presentato da sette regioni, e dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 19, comma 4, del decreto-legge n.  98 del 2011, poi convertito con modificazioni dalla legge n.  111 del 2011, in tema di dimensionamento scolastico, dispone che: «Per garantire un processo di continuità didattica nell'ambito dello stesso ciclo di istruzione, a decorrere dall'anno scolastico 2011-2012 la scuola dell'infanzia, la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado sono aggregate in istituti comprensivi, con la conseguente soppressione delle istituzioni scolastiche autonome costituite separatamente da direzioni didattiche e scuole secondarie di 1o grado; gli istituti comprensivi per acquisire l'autonomia devono essere costituiti con almeno 1.000 alunni, ridotti a 500 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche»;
          la citata sentenza dichiara l'illegittimità della riportata disposizione essendo la programmazione del dimensionamento della rete scolastica, in base all'articolo 138 del decreto legislativo n.  112 del 1998, funzione della regione sulla base dei piani provinciali;
          molte Regioni, tra cui la Lombardia, hanno approvato piani di dimensionamento della rete scolastica, in attuazione di una misura finalizzata a «garantire la continuità didattica», ma anche, come specificato da una prima circolare applicativa del MIUR del 2011, n.  8220, rispondente «a finalità di contenimento della spesa e al raggiungimento dell'obiettivo della stabilizzazione della finanza pubblica»;
          sono stati effettuati ricorsi al T.A.R., da parte delle istituzioni scolastiche e delle famiglie e alla Corte costituzionale da parte delle giunte delle regioni Puglia, Toscana, Emilia-Romagna, Umbria, sulla base della complessa ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni, così come disegnata dall'articolo 117 della Costituzione, che lascia alla legislazione esclusiva dello Stato le «norme generali sull'istruzione», demandando alla potestà legislativa concorrente Stato-Regioni la materia dell'istruzione, che si esplica tramite poteri legislativi autonomi ma circoscritti;
          nel caso del dimensionamento già una sentenza della Consulta, la n.  200 del 2009, aveva ricostruito il variegato e stratificato quadro normativo in materia. La Corte, nel ricordare che le «norme generali sull'istruzione» attengono alla competenza legislativa esclusiva statale, richiamava la precedente pronuncia del 2004, n.  13, rammentando che «nel complesso intrecciarsi in una stessa materia di norme generali, principi fondamentali, leggi regionali e determinazioni autonome delle istituzioni scolastiche... il prescritto ambito di legislazione regionale sta proprio nella programmazione della rete scolastica. È infatti implausibile che il legislatore costituzionale abbia voluto spogliare le Regioni di una funzione che era già ad esse conferita nella forma della competenza delegata dall'articolo 138 del decreto legislativo n.  112 del 1998»;
          la sentenza della Corte costituzionale richiama anche altre norme intervenute nel tempo, come il decreto del Presidente della Repubblica n.  233 del 1998 o la legge del decreto-legge n.  154 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  189 del 2008, che ribadiscono la competenza delle Regioni, e degli enti locali, in ordine al dimensionamento scolastico. La Corte ha riconosciuto, con la recente sentenza 147, la competenza delle regioni, ricordando le proprie precedenti pronunce a proposito del dimensionamento e negando che le disposizioni censurate possano rappresentare norme generali dell'istruzione (di competenza statale nell'ambito della legislazione esclusiva) ma anche escludendo che le stesse possano ricomprendersi nei «principi fondamentali», riservati allo Stato nell'ambito della legislazione concorrente;
          le norme censurate, secondo la Corte, esplicano un «intervento di dettaglio, da parte dello Stato, in una sfera che, viceversa, deve rimanere affidata allo competenza regionale»;
          la legge n.  59 articolo 21 comma 3 del 15 marzo 1997 afferma che «I requisiti dimensionali ottimali per l'attribuzione della personalità giuridica e dell'autonomia alle istituzioni scolastiche... anche tra loro unificate nell'ottica di garantire agli utenti una più agevole fruizione del servizio di istruzione, e le deroghe dimensionali in relazione a particolari situazioni territoriali o ambientali sono individuati in rapporto alle esigenze e alla varietà delle situazioni locali e alla tipologia dei settori di istruzione compresi nell'istituzione scolastica. Le deroghe dimensionali saranno automaticamente concesse nelle province il cui territorio è per almeno un terzo montano, in cui le condizioni di viabilità statale e provinciale siano disagevoli e in cui vi sia una dispersione e rarefazione di insediamenti abitativi» e al comma 4 afferma che «La personalità giuridica e l'autonomia sono attribuite alle istituzioni scolastiche... a mano a mano che raggiungono i requisiti dimensionali di cui al comma 3 attraverso piani di dimensionamento della rete scolastica, e comunque non oltre il 31 dicembre 2000 contestualmente alla gestione di tutte le funzioni amministrative che per loro natura possono essere esercitate dalle istituzioni autonome»;
          il decreto del Presidente della Repubblica n.  233 del 18 giugno 1998 recita che il raggiungimento delle dimensioni ottimali delle istituzioni scolastiche ha lo scopo di garantire l'efficace esercizio dell'autonomia, dando stabilità nel tempo alle istituzioni scolastiche, offrendo alle comunità locali una pluralità di scelte. I parametri individuati all'articolo 2 comma 2 del suddetto regolamento prevedono di norma una popolazione scolastica compresa tra 500 e 900 alunni, escludendo le piccole isole, i comuni montani e le aree geografiche contraddistinte da specificità etniche o linguistiche, che possono essere ridotti fino a 300;
          molte istituzioni scolastiche sono in reggenza a causa della non ancora immissione in ruolo dei candidati che hanno superato le prove del concorso per dirigente scolastico, creando un grave disservizio al sistema nazionale di istruzione  –:
          quale iter si intenda seguire, alla luce della sentenza costituzionale n.  147 del 2012, per definire cosa accadrà del dimensionamento della rete scolastica dell'anno 2012/2013 e di tutti i piani di dimensionamento approvati dalle regioni sulla base delle indicazioni dei comuni e delle Province alla luce dell'articolo 19, comma 4, del decreto-legge n.  98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  111 del 2011 o se si intenda rendere effettivo il dimensionamento, in tutte le regioni, alla luce dei parametri individuati dell'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica n.  233 del 1998. (5-07246)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      SIRAGUSA. —Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 4, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n.  462 del 2001 attribuisce l'obbligo di verifica periodica degli impianti elettrici di messa a terra e dei dispositivi di protezione contro le scariche atmosferiche, nonché della regolare manutenzione degli impianti al datore di lavoro al fine di tutelare l'incolumità fisica dei lavoratori e senza distinzione tra datore di lavoro privato e pubblico. L'articolo 4, comma 4, precisa che: «le verifiche sono onerose e le spese per la loro effettuazione sono a carico del datore di lavoro»;
          in data 6 giugno 2012, con lettera protocollo n.  426863, l’«area infrastrutture» del comune di Palermo ha comunicato ai dirigenti scolastici la loro responsabilità nel dover provvedere a tale operazione;
          i costi relativi al rinnovo di tali impianti sono molto onerosi e né gli enti locali, né il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca erogano risorse sufficienti in ordine alla sicurezza dei locali: le stesse vengono utilizzate per le attività formative obbligatorie di tutto il personale, così come previsto decreto legislativo n.  81 del 2008;
          l'Osservatorio regionale sulla sicurezza nelle scuole con un parere espresso in data 25 ottobre 2011 rimanda all'ente locale la responsabilità delle operazioni di revisione degli impianti, lasciando al dirigente scolastico l'obbligo di richiedere il servizio;
          nel suddetto parere si legge infatti che «L'articolo 18, comma 3, del decreto legislativo n.  81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni, con espresso riferimento alla sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni o a pubblici uffici, ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, precisa che “gli obblighi relativi negli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare la sicurezza dei locali e degli edifici, restano a carico dell'amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura e manutenzione”. L'articolo 18, comma 3, del decreto legislativo n.  81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni, chiarisce che “gli obblighi previsti dal decreto legislativo n.  81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni, relativi agli interventi strutturali e di manutenzione, si intendono assolti da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all'amministrazione competente”. La legge 23 gennaio 1996 all'articolo 3, recita “Gli enti locali provvedono alla realizzazione, alla fornitura e alla manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici”. Il decreto ministeriale del 22 gennaio 2008, o. 37, Gazzetta Ufficiale n.  61 del 12 marzo 2008, che regolamenta il riordino delle disposizioni in materia di installazione degli impianti all'interno degli edifici, fa riferimento non al datore di lavoro ma al proprietario dell'impianto che dovrà “adottare le misure necessarie per conservare le caratteristiche di sicurezza previste dalla normativa vigente in materia”. Tenuto conto anche che le attività di verifica rientrano nelle attività di manutenzione preventiva disciplinate dalle norme UNI 9910 del 1991 poi UNI 10147 del 1993 (le norme UNI sono riconosciute dalla Direttiva europea 98/34/CE del 22 giugno 1998). Le norme UNI 10147, definiscono la manutenzione preventiva come “la manutenzione eseguita ad intervalli di tempo predeterminati, volta a ridurre la probabilità di guasto o la degradazione del funzionamento di un'entità” e le stesse, nelle questioni di sicurezza, sono riconducibili a norme cogenti de facto in virtù della legge 1o marzo 1968, n.  186, nei casi in cui non esiste il rinvio alla norme tecniche CEI. Tutto ciò premesso, l'Osservatorio regionale per la sicurezza nelle scuole, esprime il seguente parere: l'obbligo di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.  462 del 2001 di effettuare le verifiche periodiche dei dispositivi di messa a terra dell'impianto elettrico e dei dispositivi di protezione contro le scariche atmosferiche, installati presso gli edifici scolastici, è a carico dell'Ente locale proprietario dell'immobile e degli impianti, tenuto a provvedere agli interventi necessari per il mantenimento della sicurezza dei locali e degli edifici e non già del Dirigente Scolastico, per il quale rimane l'obbligo di sollecitare l'amministrazione inadempiente, come previsto in particolare dal decreto legislativo n.  81 del 2008»;
          nel parere dell'Avvocatura di Stato, P.N. 384467 del 14 dicembre 2010, riguardante le attribuzioni di titolarità delle procedure pratiche finalizzate all'acquisizione del certificato di prevenzione incendi (CPI) degli edifici scolastici, che ben si trasferisce anche all'adempimento oggetto dell'interrogazione in quanto si tratta di mantenere inalterate le condizioni di sicurezza dell'immobile, si assegna in via «esclusiva» all'ente proprietario degli immobili l'onere di conservare, inalterate, le condizioni di sicurezza degli immobili destinati a scuole;
          ai dirigenti scolastici spetterebbe quindi solo il compito di segnalare le eventuali criticità e di diffidare l'ente stesso in caso di inadempienza  –:
          se l'interpretazione del Governo circa il soggetto che deve farsi carico della spesa per la revisione biennale degli impianti di terra degli edifici scolastici sia la stessa del comune di Palermo e, in tal caso, se non intenda assumere iniziative per destinare agli istituti le risorse necessarie per farvi fronte. (5-07234)


      CONTENTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          ha suscitato clamore il recente caso di un alunno della scuola media di Sesto al Reghena (Pordenone) risultato positivo alla tubercolosi;
          secondo notizie di stampa simili episodi non sarebbero così isolati, soprattutto nelle classi con un'alta concentrazione di allievi stranieri giunti da poco tempo nel territorio nazionale  –:
          se la notizia di cui in premessa corrisponda al vero e di quali dati disponga circa l'effettiva diffusione della tubercolosi e altre malattie infettive similari nella scuola dell'obbligo italiana;    
          quali iniziative abbia già intrapreso o intenda intraprendere al più presto per evitare che episodi di questo genere, pur risolvibili e circoscritti, abbiano a ripetersi con cadenze cicliche. (5-07236)


      SAMPERI, ROSSA e PES. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          dal 2008 al 2011 la quota di FFO (finanziamento ordinario) accordata dal Ministero all'ateneo di Catania si è notevolmente ridotta, passando dai 202 milioni di euro del 2008 ai 177 del 2011;
          mentre il corpo docente e il personale tecnico-amministrativo subivano il blocco stipendiale, del turn-over e degli avanzamenti di carriera, la spesa per i dirigenti dell'università di Catania aumentava di oltre il 25 per cento passando da 1.510.000 euro (2008) a poco meno di 2.000.000 euro (2011);
          il Ministero dell'economia e delle finanze aveva formulato pesanti rilievi ispettivi già nel 2011, ribaditi in una nota del 6 aprile 2012 in riferimento alla particolare regolamentazione predisposta dall'ateneo in tema di dirigenza, ritenendosi illegittimo «il regolamento per l'assunzione a tempo determinato di personale da inquadrare nella qualifica dirigenziale e per il conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato». Il conferimento infatti della qualifica di prima fascia in base alla sola anzianità di cinque anni nella stessa funzione, a prescindere dall'inquadramento nella funzione dirigenziale generale viola l'articolo 23 del decreto legislativo n.  165 del 2001;
          contestava inoltre lo stesso Ministero «l'illegittimo affidamento di incarichi di collaudo a docenti dell'ateneo e a professionisti esterni senza l'esperimento di procedure comparative». Con nota ufficiale del 2 dicembre 2008, il rettore dell'università di Catania aveva infatti informato il dirigente dell'ufficio tecnico che «al fine di garantire, in misura ancora maggiore, l'efficacia e la trasparenza dell'azione amministrativa in materia di Lavori Pubblici, è mia intenzione, d'ora in avanti, operando in difformità dalla prassi fin qui adottata, conferire l'incarico di collaudatore, di norma, a docenti dell'ateneo e non al personale tecnico facente parte dell'ufficio che ha curato la redazione degli elaborati di progetto e ne ha verificato l'effettiva realizzazione. Pertanto, per il prosieguo, invito la S.V. ad inviare richieste generiche di nomina di collaudatore, che mi riserverò di scegliere di volta in volta»;
          tale pratica, a quanto consta all'interrogante, è stata sistematicamente reiterata, portando al riconoscimento di parcelle fino a 25 volte superiori a quanto sarebbe stato riconosciuto per i collaudi di opere ai tecnici interni nonostante l'articolo 188, comma 3, del regolamento dei lavori pubblici (decreto del Presidente della Repubblica n.  554 del 1999) recita: «Il collaudatore è nominato dalle stazioni appaltanti all'interno delle proprie strutture sulla base dei criteri che le stesse sono tenute a fissare preventivamente. Nell'ipotesi di carenza nel proprio organico di soggetti in possesso dei necessari requisiti, accertata e certificata dal responsabile del procedimento, l'incarico di collaudatore è affidato a soggetti esterni scelti ai sensi del comma 11...»;
          le pur esigue risorse finanziarie, se equamente distribuite, avrebbero potuto evitare aumenti di tasse universitarie, ripristinare borse di dottorato, strutturare alcuni tra i precari storici, inquadrare a tempo indeterminato personale tecnico amministrativo altamente qualificato benché precario, riconoscere ai ricercatori strutturati cui sono affidati moduli o corsi curriculari la retribuzione aggiuntiva prevista dall'articolo 6, comma 4, della legge n.  240 del 2010, costruire meccanismi che consentano un flusso di spesa per coprire anticipazioni di progetti a finanziamento esterno che rischiano di andare perduti, oppure evitare paventate e odiose chiusure di corsi di laurea;
          appare fondato il danno pur alla luce della normativa di legge che sancisce l'autonomia gestionale dell'università, ma dentro un quadro compatibile con le regole e le norme più elementari di buon andamento e trasparente gestione che si impongono per ogni ramo dello Stato e della pubblica amministrazione  –:
          di quali elementi dispongano in relazione ai fatti esposti e quali conseguenti iniziative di competenza intendano assumere al riguardo. (5-07253)

Interrogazione a risposta scritta:


      CALEARO CIMAN. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          in questo periodo dell'anno, come è noto, il Governo sta predisponendo il bilancio dello Stato per il 2013;
          a tutt'oggi, non si ravvisa alcun segnale positivo riguardo al mantenimento dei contributi alle scuole paritarie nella stessa misura di quella del 2012, e ciò è motivato ovviamente facendo appello alla grave situazione economica del Paese;
          da 12 anni (dalla entrata in vigore della legge n.  62 del 2000 sulla parità scolastica) la questione del finanziamento delle scuole paritarie, pilastro del sistema pubblico nazionale dell'istruzione, è irrisolto. Negli ultimi anni, si è consolidata la prassi del «doppio binario»: in sede di bilancio annuale dello Stato viene previsto un contributo ordinario di importo «ridotto»; con la legge finanziaria (ora di stabilità), il Parlamento provvede ad una integrazione, spesso dopo le numerose e frequenti proteste degli operatori del settore;
          il contributo pubblico per le scuole paritarie, facendo una breve analisi a ritroso nel tempo, appare praticamente analogo da dieci anni, con una tendenza al ribasso;
          di questo irrisolto grave problema soffrono, in particolare, le scuole dell'infanzia. In Italia sono 650 mila i bambini dai 3 ai 6 anni che le frequentano (il 40 per cento della popolazione scolastica di quella età);
          nel Veneto tale percentuale sale al 67 per cento (prima in Italia): cioè due bambini su tre frequentano le scuole materne paritarie, in gran parte gestite da parrocchie, associazioni genitori, congregazioni ed enti no profit;
          esse sono, come unanimemente viene riconosciuto, un unico, straordinario patrimonio civile, sociale ed economico di valore incommensurabile della regione e non sostenerle limitandone vieppiù il finanziamento, come sembra stia avvenendo, significa provocarne il declino e la chiusura;
          tale politica appare oltretutto priva di razionalità dal momento che, solo nel Veneto, le scuole materne parificate consentono un risparmio per la finanza pubblica di oltre 520 milioni di euro l'anno  –:
          quali siano le intenzioni del Governo in relazione alla definizione dei contributi pubblici spettanti per il 2013 alle scuole paritarie. (4-16815)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
          da decenni ormai in Calabria si trascina la vertenza lavoratori socialmente utili/lavoratori di pubblica utilità che vede coinvolti oltre cinquemila lavoratori precari che vivono ormai nella più completa incertezza lavorativa, oltre a non ricevere nessuna copertura di tipo previdenziale;
          nel 2008 con la legge finanziaria del Governo Prodi si era iniziato un percorso volto a conciliare la progressiva stabilizzazione dei lavoratori con le esigenze di copertura finanziaria, ma ad oggi tale percorso sembra essersi arrestato;
          il 2 novembre 2011 in un accordo tra Governo, regione e sindacati si conveniva la necessità di dar vita ad un tavolo nazionale con il compito di trovare le soluzioni più idonee per l'incresciosa vicenda, ma, nonostante le varie sollecitazioni, la convocazione del tavolo non risulta calendarizzata;
          in data 20 giugno 2012 il Ministro interpellato ha firmato con l'assessore regionale della Calabria con delega al lavoro una convenzione nella quale si assegnano risorse finanziarie di circa 20 milioni di euro a copertura dell'assegno per le attività socialmente utili per l'annualità 2012 e si accenna ad un impegno della regione, in sinergia con il Ministero, al fine dello svuotamento del bacino regionale in relazione alle possibilità offerte dall'attuale legislazione, senza però che venga espressamente delineato un percorso organico di azione  –:
          quali iniziative intenda adottare per convocare con la massima urgenza un tavolo di crisi nazionale presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, a cui partecipino la regione Calabria e le organizzazioni sindacali, al fine di concordare le iniziative da intraprendere, in funzione delle risorse disponibili e dei tempi di attuazione, che consentano la progressiva risoluzione di questa ultradecennale vicenda.
(2-01573) «Laganà Fortugno, Servodio, Narducci, Lulli, Sbrollini, Vico, Bellanova, Damiano, Lo Moro, Zampa, Boffa, Codurelli, Gatti, Genovese, Murer, Brandolini, Trappolino, Albini, Cavallaro, D'Incecco, Minniti, Oliverio, Adinolfi, Gnecchi, Graziano, Laratta, Concia, D'Ippolito Vitale, Tassone, Angela Napoli, Antonino Foti, Santagata, Cuomo, Villecco Calipari».

Interpellanza:


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
          a partire dai primi mesi del 2011, in concomitanza con i fatti della cosiddetta «primavera araba» un numero considerevole di comunità alloggio, si stanno occupando della accoglienza dei minori stranieri non accompagnati rientranti nell'emergenza nord Africa così come previsto dall'Opcm 3924 del 18 febbraio 2011 e dall'Opcm n.  3933 del 13 aprile 2011;
          a seguito dell’escalation della guerra in Libia e della fuga di migliaia di cittadini nordafricani, le coste italiane, e quindi europee, sono state raggiunte da migranti alla ricerca di un destino meno «crudele», e tra questi, ci sono migliaia di minorenni;
          in seguito a questi avvenimenti, il Governo italiano ha coinvolto le Comunità di accoglienza per minori, e quindi comuni nei quali le stesse insistono, al fine di adoperarsi per l'accoglienza dei minorenni non accompagnati sbarcati sulle coste italiane;
          la retta giornaliera «riconosciuta» per l'accoglienza, l'assistenza, l'integrazione e il programma psicoterapeutico ed educativo da svolgere, fu stabilita in euro 80,00 al giorno. Le comunità, condividendo il particolare momento storico e la particolare crisi umanitaria determinata dagli eventi bellici, consapevoli delle difficoltà vissute dai minori coinvolti in queste «ondate migratorie», loro malgrado, decisero di accettare queste «condizioni» poste per l'accoglienza, tra le proteste delle varie organizzazioni di categoria che auspicavano la rinuncia, in quanto le rette per garantire tutti i servizi e le attività indispensabili per i minori ospitati, non potevano essere inferiori ai 130,00 al giorno;
          a più di un anno dall'inizio di questa crisi umanitaria, i minori extracomunitari accolti presso le suddette strutture, hanno avuto la possibilità di vivere in maniera normale;
          tutto questo processo di normalizzazione, a detta del coordinamento delle comunità alloggio per minori italiane, sta però per cessare. Nonostante la proroga dell'emergenza sia stata procrastinata al 31 dicembre 2012 non è ancora chiaro quali potranno essere le prospettive per le migliaia di ragazzi ospiti in dette strutture. Di fatto manca da parte delle istituzioni preposte un «indirizzo operativo» attraverso il quale percepire le intenzioni e la programmazione futura per questi minori. Inoltre, alla scadenza della proroga i minori non risulterebbero più in carico al comitato minori ma ospiti presso le comunità presenti nei comuni dove sono stati precedentemente collocati;
          a ciò si aggiunge che le strutture di accoglienza non ricevono il pagamento delle rette da più di un anno, poiché manca lo stanziamento di fondi sul bilancio dello Stato;
          risulta che alcuni comuni hanno provveduto alle anticipazioni dei fondi alle strutture, in particolare i comuni dell'Emilia-Romagna, della Lombardia e il comune di Roma. Tutto ciò è però molto relativo, in quanto le strutture nella maggior parte dei casi sono collocate in piccoli comuni che non hanno in nessun modo la possibilità di effettuare anticipazioni, perché questo comporterebbe il dissesto dell'ente;
          questa situazione sta determinando il licenziamento di molti operatori e diverse imprese sociali sono sull'orlo del fallimento. Inoltre, c’è il rischio che i minori ospiti saranno dimessi e lasciati al loro destino;
          è evidente che risulta difficile ipotizzare che le singole strutture di accoglienza, tanto meno i comuni, possano interamente sobbarcarsi «il peso di questa crisi umanitaria» sia in termini economici che sociali;
          il coordinamento delle comunità alloggio ha richiesto un incontro con il Ministro dell'interno ma ad oggi, a quanto consta agli interpellanti, non c’è stata alcuna risposta  –:
          se sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e quali iniziative intenda assumere per assicurare ai soggetti gestori l'erogazione, dovuta e necessaria, dei contributi relativi alle spese sostenute per l'accoglienza di minori stranieri non accompagnati.
(2-01576) «Zampa, De Torre, Mattesini, Sbrollini, Schirru, Brandolini».

Interrogazione a risposta immediata:


      LIVIA TURCO, BOSSA, BUCCHINO, MIOTTO, PEDOTO, SARUBBI, SBROLLINI, ZAMPA, MARAN, AMICI, LENZI, QUARTIANI e GIACHETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la presenza dei minori stranieri non accompagnati in Italia si manifesta in forma crescente da ormai più di dieci anni. In particolare, nel 2011 la loro presenza ha raggiunto un picco quantitativo considerevole, superiore ai 7.400 minori (dati del Comitato minori stranieri), anche a seguito degli oltre 4.500 arrivi in Italia dal 1o gennaio 2011 conseguenti alla cosiddetta emergenza Nord Africa;
          le dimensioni del fenomeno e la conseguente pressione sul sistema dell'accoglienza hanno posto in maniera stringente la questione della loro protezione, che ha coinvolto, soprattutto, i comuni, i quali, oltre ad essere gli spazi fisici e istituzionali dell'accoglienza, sono i responsabili della tutela dei minori stranieri non accompagnati;
          in questo contesto, nel 2008 ha preso il via il programma nazionale di protezione dei minori stranieri non accompagnati, promosso e finanziato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e realizzato dall'Anci, che ha coinvolto una rete di 32 comuni, includendo anche grandi città metropolitane dove la presenza dei minori stranieri non accompagnati è particolarmente rilevante, per sostenerne le attività di pronta accoglienza realizzate nei confronti dei minori stranieri non accompagnati;
          il programma nasce con l'intento di sostenere concretamente i comuni, sperimentando un sistema nazionale di protezione e integrazione, con particolare riguardo alla pronta accoglienza dei minori stranieri non accompagnati;
          nell'ambito del programma sono stati accolti più di 2.750 minori di 44 diverse nazionalità per un totale di oltre 160.000 giornate di accoglienza e oltre 140 minori sono stati inseriti in famiglie italiane e straniere, grazie alla promozione dell'affido familiare come strumento qualificante dei percorsi di accoglienza ed integrazione sociale dei minori stranieri non accompagnati da parte dei comuni del programma;
          il programma, scaduto il 31 dicembre 2011, non è stato rifinanziato e preme sottolineare che il documento approvato dalla Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, a conclusione dell'indagine conoscitiva sui minori stranieri non accompagnati, lo cita come un'ottima esperienza e ne chiede il rifinanziamento;
          sin dall'inizio dell'emergenza i comuni italiani hanno confermato il forte impegno solidale, mobilitandosi per assicurare la migliore assistenza possibile agli immigrati in arrivo e, in particolare, ai minori non accompagnati, collaborando con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali per approntare un modello organizzativo volto a dare attuazione all'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 13 aprile 2011, n. 3933;
          la presenza del programma nazionale di protezione dei minori stranieri non accompagnati ha contribuito a rafforzare la rete di accoglienza attraverso il coordinamento e l'affiancamento ai comuni coinvolti, che hanno particolarmente apprezzato la possibilità di partecipare fin dal primo momento all'assetto organizzativo relativo alla distribuzione sull'intero territorio nazionale dei minori stranieri non accompagnati, salvaguardando modalità di accoglienza sostenibili e di massima tutela per tali soggetti vulnerabili;
          l'enorme afflusso di minori stranieri non accompagnati provenienti dal Nord Africa e la necessità di assicurare loro un'accoglienza immediata hanno condizionato la possibilità di potenziare questo processo virtuoso, determinando la concentrazione, prevista come temporanea, di un gran numero di minori sul territorio di pochi comuni disponibili, molti dei quali di piccole dimensioni;
          si teme che tale situazione possa aggravarsi a causa della mancata emanazione delle ordinanze che regolino la gestione dell'emergenza nel 2012 e di quelle che permettano la chiusura delle attività relative al 2011 –:
          alla luce di quanto sopra esposto, quale sia il motivo del mancato rifinanziamento del programma nazionale di protezione dei minori stranieri non accompagnati, la cui validità è stata anche sancita nel documento approvato dalla Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, a conclusione dell'indagine conoscitiva sui minori stranieri non accompagnati, e la cui articolazione permetterebbe di affrontare nuove emergenze in grado di assicurare la disponibilità di una rete di comuni con servizi di accoglienza qualificati, che potrebbero rappresentare un volano di qualità anche per tutto il territorio regionale, e se il Governo, vista la continua emergenza in atto, non ritenga opportuno ampliare la rete di accoglienza del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (sprar) anche relativamente ai posti destinati ai minori stranieri non accompagnati che richiedono asilo, poiché sono sempre di più quei minori che non trovano un posto in questi progetti a loro specificatamente destinati nei quali godrebbero di servizi specifici a tutela della loro condizione doppiamente vulnerabile. (3-02369)

Interrogazione a risposta orale:


      GALLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          le assunzioni nella pubblica amministrazione avvengono in forma pubblica per concorso o selezione da una graduatoria e se il titolo di studio richiesto è la scuola dell'obbligo, il comune o l'ente inoltra una richiesta di personale al centro per l'impiego della provincia, che a sua volta pubblicizza l'offerta di lavoro, raccoglie le adesioni degli interessati e stabilisce una graduatoria tra i candidati in possesso dei requisiti richiesti;
          nel modo di operare dei centri per l'impiego provinciali si riscontrano notevoli differenze, sia nel rendere pubbliche le richieste di lavoratori, che nella documentazione richiesta all'atto della domanda di ammissione alla graduatoria;
          nel caso specifico il Centro per l'impiego della provincia di Novara ha pubblicato la seguente richiesta:
              «si avvisano i disoccupati iscritti al Cpi di Borgomanero che venerdì 22 giugno 2012, sarà pubblicata la richiesta a tempo determinato fino al 31 agosto 2012, della navigazione lago maggiore scalo di Arona, per n.  1 Op. d'ufficio da adibire al numero verde. Requisiti richiesti: conoscenza lingue inglese, francese e tedesco; uso pc. Il servizio sarà articolato su turni anche in giorni festivi ed in ore notturne. Gli interessati in possesso dei requisiti per l'accesso al pubblico impiego, dovranno presentarsi il 22 giugno 2012, con documento di riconoscimento e copia cert. Isee (redditi anno 2010) per prenotarsi»;
          persone interessate hanno informato l'interrogante che all'atto di presentazione della domanda, non è stato richiesto alcun documento riguardo al titolo di studio conseguito, né alcun curriculum attestante le precedenti esperienze lavorative, e nessun documento o certificazione attestanti il livello di conoscenza delle lingue richieste, di modo che è palesemente impossibile una selezione rispetto alle caratteristiche richieste ai candidati;
          la logica imporrebbe che, oltre ai requisiti minimi indispensabili (luogo/data di nascita, residenza, iscrizione liste disoccupazione), si raccolgano anche una serie di informazioni tali da poter meglio integrare le caratteristiche e il background lavorativo di ogni singolo candidato, in modo da rendere un effettivo servizio all'ente (ed anche al privato) che ricerca personale);
          in tal modo all'ente od al privato richiedente verranno inviati candidati che potrebbero essere anche privi delle capacità richieste, e chi offre il lavoro dovrà valutare ogni candidato, svolgendo di fatto il lavoro del Centro per l'impiego, con dispendio di risorse e tempo;
          non essendo in possesso delle informazioni basilari per la selezione dei candidati, non si comprende quali criteri vengano seguiti dal Centro per l'impiego per la formazione delle graduatorie;
          l'operatività dei Centri per l'impiego è un costo che grava sui cittadini ed il loro scopo prevalente dovrebbe essere quello di avviare in tempi veloci, con efficacia ed efficienza al lavoro il miglior candidato possibile;
          di fatto la reale selezione avviene all'interno dell'ente o dell'azienda interessati, e lo stesso risultato si potrebbe ottenere pubblicando le richieste in rete e raccogliendo le domande nello stesso modo, senza dover passare per la mediazione di operatori ed uffici decentrati, che rappresentano ad avviso dell'interrogante un costo non necessario ed un passaggio inutile;
          se nel funzionamento dei Centri per l'impiego si introducesse un concetto di meritocrazia reale, formale e anche attuativa, si riuscirebbe ad avere un più qualificato personale pubblico, ed anche le imprese private troverebbero fiducia nel Centro per l'impiego, che finalmente potrebbe assicurare un accettabile rapporto tra qualità del servizio e costo del suo mantenimento  –:
          se non si ritenga di effettuare, anche con il coinvolgimento delle Regioni e delle Province, un monitoraggio su tutto il territorio nazionale dei risultati di tali centri, sotto l'aspetto della soddisfazione degli enti od aziende richiedenti;
          se non si reputi necessario, al fine di assicurare in tempi veloci la collocazione di personale realmente idoneo alla mansione richiesta, di valutare la sussistenza dei presupposti per assumere, iniziative normative volte a uniformare i criteri di selezione di tutti i Centri per l'impiego sul territorio nazionale, includendo la raccolta di curriculum lavorativi e di studio dei candidati. (3-02371)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XI Commissione:


      DAMIANO, BELLANOVA, BERRETTA, BOCCUZZI, BOBBA, CODURELLI, GATTI, GNECCHI, MADIA, MATTESINI, MIGLIOLI, MOSCA, RAMPI, SANTAGATA e SCHIRRU. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          nella scorsa legislatura il Governo di centrosinistra aveva provveduto ad approvare il decreto-legge n.  81 del 2007 (convertito, con modificazioni, dall'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n.  127) con il quale erano stati effettuati, a seguito delle maggiori entrate tributarie incassate dallo Stato, incisivi interventi volti, tra l'altro, a supportare le misure di sviluppo ed equità sociale destinate al sostegno al reddito dei soggetti incapienti ovvero appartenenti alle fasce di reddito più basse;
          a questo scopo, l'articolo 5 del predetto decreto disponeva, a partire dal 2007, a favore dei pensionati con età pari o superiore a sessantaquattro anni la corresponsione di una somma aggiuntiva di alcune centinaia di euro: per il 2007 la cifra variava, a seconda degli anni di contribuzione, dai 262 ai 392 euro; dal 2008 tale somma era aumentata, e mutava dai 334 ai 506 euro;
          tale somma aggiuntiva doveva essere corrisposta dall'INPS, con riferimento all'anno 2007, in sede di erogazione della mensilità di novembre ovvero della tredicesima mensilità e, dall'anno 2008, in sede di erogazione della mensilità di luglio ovvero dell'ultima mensilità corrisposta nell'anno; la condizione per poterne beneficiare era che il soggetto non possedesse un reddito complessivo individuale relativo all'anno stesso superiore a una volta e mezza il trattamento minimo annuo del fondo pensioni lavoratori dipendenti;
          il provvedimento adottato dal Governo Prodi era inserito in un più organico contesto di misure — delle quali la legge n.  247 del 2007, contenente le norme di attuazione del protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, ha rappresentato l'atto più organico e completo — miranti a supportare la situazione economica delle fasce più deboli della popolazione, allo scopo di attenuare gli effetti di una congiuntura economica che, pur non avendo ancora toccato i drammatici picchi di questi ultimi tempi, già da anni mostrava preoccupanti segnali di debolezza;
          l'interrogante, a distanza di cinque anni — e in una situazione economica internazionale, e italiana in particolare, profondamente modificata, tanto da costringere il Governo in carica, subentrato a quello presieduto dall'onorevole Berlusconi in prossimità del rischio di un default finanziario dello Stato, ad adottare rapidamente una severa riforma del sistema pensionistico che ha, purtroppo, condotto con sé numerose storture e ingiustizie, prima fra tutte quella relativa ai cosiddetti «esodati», cui il Partito democratico sta tentando in ogni sede di porre rimedio — ritiene necessario venire a conoscenza dei dati a disposizione del Ministero relativamente al numero di beneficiari delle disposizioni suddette e alle somme effettivamente erogate per farvi fronte  –:
          quali siano i dati, in termini annuali e assoluti, relativi alle disposizioni, sommariamente esposte in premessa, contenute nell'articolo 5 del decreto-legge n.  81 del 2007, in particolare con riferimento all'entità delle somme erogate e al numero di soggetti che ne abbiano beneficiato nel corso del 2012. (5-07238)


      ANTONINO FOTI, CAZZOLA e PELINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 1 della legge n.  183 del 2010 ha riaperto il termine per l'esercizio della delega di cui alla legge n.  247 del 2007, al fine di concedere ai lavoratori dipendenti impegnati in lavori particolarmente usuranti il diritto al pensionamento anticipato con requisiti inferiori a quelli previsti per la generalità dei lavoratori dipendenti;
          tale norma ha portato all'emanazione del decreto legislativo n.  67 del 2011, che contiene: la lista dei lavoratori addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, per i quali si applicano le deroghe pensionistiche suddette; le modalità di presentazione della domanda per l'accesso al beneficio; il meccanismo di salvaguardia; le modalità attuative; gli obblighi di comunicazione; le disposizioni sanzionatone; la copertura finanziaria;
          la riforma pensionistica adottata dal Governo in carica ha irrigidito, ritardandoli, anche per i soggetti impiegati nei lavori «usuranti», i requisiti di accesso al pensionamento, penalizzando una categoria di lavoratori già ampiamente provata;
          come già richiesto con l'interrogazione n.  5-07112, a prima firma Damiano, presentata il 19 giugno 2012, appare pertanto indispensabile conoscere i dati ufficiali relativi al numero di soggetti rientranti nella categoria di lavoratori impiegati in lavori particolarmente usuranti e faticosi, per poter fare il punto sulla situazione che si è venuta a determinare  –:
          quali siano i dati relativi al numero di soggetti rientranti nelle categorie di lavoratori addetti alle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, di cui al decreto legislativo n.  67 del 2011, specificando quanti lavoratori, rientranti in tali categorie, abbiano effettivamente avuto accesso anticipato al trattamento pensionistico. (5-07239)


      PALADINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          Ferrania è uno stabilimento in cui i lavoratori sono stati esposti all'assimilazione quotidiana e continua di fibre di amianto nei vari reparti;
          tale situazione ha reso indispensabile l'inserimento dello stabilimento Ferrania nell'elenco delle fabbriche di lavoratori occupati in aziende interessate agli atti di indirizzo ministeriale per la tutela della salute e dei redditi dei lavoratori in chiaro riferimento al decreto «Damiano» del 12 marzo 2008;
          con un emendamento al decreto «Mille proroghe» 2011, si era proposto di aggiungere al comma 20 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n.  247, dopo le parole «e della previdenza sociale» le seguenti: «, al cui elenco di aziende si aggiunge lo stabilimento “Ferrania” di Cairo Montenotte;
          pertanto dopo una lunga battaglia va riconosciuto ai lavoratori dello stabilimento in questione il sacrosanto diritto alla tutela della salute;
          in data 23 febbraio 2012 è stato accolto un ordine del giorno per l'inserimento di Ferrania nelle liste di aziende interessate agli atti di indirizzo ministeriale, con il conseguente allargamento dei benefici dovuti all'esposizione amianto  –:
          attraverso quali forme il Ministro intenda dar luogo alla effettiva tutela dei lavoratori dello stabilimento di Ferrania, dando seguito all'ordine del giorno Paladini n.  9/4865-B/69. (5-07240)


      FABBRI, ZELLER e BRUGGER. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la Cassa edile provinciale dell'Alto Adige (CEPA-SLBK) è stata istituita nel 2005 ad iniziativa dell'organizzazione artigiana APA – aderente alla Confartigianato – e dell'organizzazione sindacale ASGB – in rappresentanza dei lavoratori di lingua tedesca e ladina, riconosciuta ufficialmente con il decreto del Presidente della Repubblica n.  58 del 6 aprile 1978, che all'articolo 9 la parifica alle altre tre maggiori sigle sindacali nazionali;
          sin dalla sua costituzione, la Commissione nazionale paritetica per le casse edili (CNCE) ha negato alla CEPA l'accesso diretto alla banca dati nazionale ditte irregolari (BNI), gestita dalla CNCE, nonostante i vari tentativi da parte della CEPA e anche del ministero del lavoro e delle politiche sociali; (protocollo n.25/I/0014472 del 20 ottobre 2008), rendendo impossibile reperire le informazioni necessarie per comprovare il pieno adempimento di ogni tipo di obbligo contributivo;
          sebbene la CEPA sia stata riconosciuta dal Ministero quale organismo legittimato all'emanazione del documento unico di regolarità contributiva (DURC), il Ministero del lavoro e delle politiche sociali – direzione generale attività ispettiva – in data 2 maggio 2012 ha inoltrato alla stessa una lettera (protocollo n.  8367), chiarendo che «gli organismi non costituiti da contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative e non in possesso del requisito della reciprocità, assicurato attraverso il collegamento con la CNCE, non possono definirsi Casse edili, ai sensi del decreto legislativo n.  267 del 2003 e, conseguentemente, non possono rilasciare il Documento Unico di Regolarità Contributiva», annunciando la disabilitazione della CEPA;
          nello specifico, con riferimento alle motivazioni della lettera di cui sopra, si fa notare che lo stesso legislatore, con l'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica n.  58 del 6 gennaio 1978, ha stabilito per il territorio della provincia di Bolzano e per le associazioni sindacali appartenenti alle minoranze di lingua tedesca e ladina, gli stessi diritti riconosciuti «alle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale»;
          in proposito, all'obiezione secondo cui la citata previsione si riferisce ai diritti spettanti alle associazioni «maggiormente (e non comparativamente) rappresentative sul piano nazionale», il Ministero ha già dato risposta alla Commissione nazionale paritetica per le casse edili (CNCE) con protocollo n.  25/I/0014472 del 20 ottobre 2008, specificando che la norma nasceva in un momento storico in cui ancora non era stato introdotto il requisito della «maggiore rappresentatività comparata», come noto in uso solo a partire dalla metà degli anni ’90;
          in riferimento al principio di reciprocità con le altre Casse richiesto dall'articolo 9, commi 76 e 77, della legge n.  415 del 1998, la CEPA è stata riconosciuta dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali quale organismo legittimato all'emanazione del documento unico di regolarità contributiva, secondo le procedure e le modalità previste dalla circolare INAIL n.  38 del 26 luglio 2005, il cui contenuto è frutto della collaborazione dei soggetti firmatari della convenzione del 15 aprile 2004, stipulata con gli istituti INAIL e INPS e approvata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
          si ricorda che tale orientamento è stato già formalizzato dal Ministero con le note dell'ufficio legislativo protocollo n.  102635 del 3 novembre 2005 e della Direzione generale protocollo n.  2594 di pari data con le quali si è ritenuta la CEPA soggetto legittimato al rilascio del documento unico di regolarità contributiva  –:
          se il Ministro interrogato intenda fornire chiarimenti sulla legittimazione all'emanazione del documento unico di regolarità contributiva da parte della CEPA, intervenendo anche al fine di evitare la disabilitazione della stessa e riconfermandone la regolarità. (5-07241)

Interrogazioni a risposta scritta:


      MESSINA, EVANGELISTI, PALADINI e ANIELLO FORMISANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la Cooperativa Euroservice di Pineta di Castiglione del Lago è nata nel 1989, quando dopo un accordo tra sindacati, istituzioni locali e l'allora società Perugina, si decise di ricollocare alcuni operai della sede di Castiglione creando così un'impresa per esternalizzare il confezionamento di alcuni prodotti. Si tratta di un'operazione che ha permesso di tagliare i costi aziendali relativi allo stabilimento di San Sisto;
          con l'arrivo della multinazionale Nestlè poi, il rapporto è andato avanti fino alle notizie degli scorsi giorni che vedrebbero la Nestlè voler interrompere ogni rapporto con la cooperativa;
          la decisione della multinazionale di non rinnovare il contratto è un colpo letale per la cooperativa del Trasimeno, con alle spalle una storia ventennale e già provata dalla riduzione del fatturato degli ultimi anni;
          il territorio del Trasimeno ha già subito conseguenze occupazionali per la crisi di diverse grandi aziende ed è già gravemente compromesso in termini economici;
          le quaranta lavoratrici, che rischiano di perdere il loro posto di lavoro sono già da tempo mobilitate in una serie di iniziative che in queste ore si sono concretizzate con il blocco delle merci di fronte allo stabilimento Nestlè di San Sisto;
          le istituzioni hanno il dovere di intervenire sia in termini preventivi, sia per fronteggiare una situazione di crisi già conclamata ed appare fondamentale offrire la disponibilità delle istituzioni, al fine di prendere parte ad un tavolo di concertazione, che le lavoratrici peraltro richiedono  –:
          quali iniziative intenda assumere per salvaguardare l'occupazione messa in discussione dalle decisioni della multinazionale svizzera ed al fine di mantenere un'attività di lungo corso importante per l'economia di quel territorio, e se non intenda, al riguardo, aprire un tavolo presso il Ministero con le parti in causa.
(4-16808)


      BORGHESI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          le misure previste nel decreto attuativo in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, a firma congiunta dei Ministri del lavoro e delle politiche sociali e dell'economia e delle finanze, che stabilisce la salvaguardia a favore di chi è stato autorizzato a versare i contributi volontari (articolo 24, 14o comma, lettera d) del decreto-legge n.  201 del 2011 e articolo 2, lettera d) del decreto attuativo in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale) sono subordinate al fatto che gli interessati:
              a) «non devono avere ripreso attività lavorativa successivamente all'autorizzazione alla prosecuzione volontaria della contribuzione»;
              b) «devono avere almeno un contributo volontario accreditato o accreditabile alla data di entrata in vigore del decreto-legge n.  201 del 2011»;
          questo decreto suscita dubbi di legittimità in particolare in relazione al fatto che una norma secondaria introduca dei limiti non previsti nella primaria - decreto-legge n.  201 del 2011;
          l'Inps con una relazione indirizzata al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, datata 22 maggio 2012 e firmata dal direttore generale dell'Inps dottor Nori, pone i due limiti sopra citati in modo inedito: mai prima erano stati previsti o indicati in qualsiasi legge o circolare Inps;
          non si comprende la ragione della fissazione di un requisito che si presta a suscitare dubbi e a privilegiare alcuni a danno di altri sulla base di un fatto che potrebbe essere assolutamente accidentale –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra riportati;
          se il Ministro intenda comunicare quante persone, autorizzate a versare i contributi volontari prima del 4 dicembre 2011, abbiano provveduto tra il 7 dicembre 2011 ed il 31 marzo 2012 a versare un solo contributo volontario settimanale e la loro suddivisione per provincia di residenza. (4-16827)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:


      BURTONE e CUOMO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          la sharka è una malattia delle drupacee che sta distruggendo i frutteti del Metapontino;
          pesche, albicocche e susine sono state aggredite da questa malattia che sta pregiudicando il raccolto e il futuro delle piante;
          la sharka malattia non pericolosa per i consumatori, si trasmette attraverso la moltiplicazione vegetativa di piante infette e tramite afidi e porta alla distruzione della pianta aggredita;
          molti imprenditori sono in difficoltà e chiedono interventi a sostegno del settore;
          va ricordato che la qualità delle drupacee metapontine è eccellente e che esse hanno un mercato importante essendo la Basilicata tra le principali regioni produttrici  –:
          se e quali iniziative di competenza il Governo di concerto con la regione Basilicata, intenda attivare per sostenere il settore interessato da questa crisi legata alla diffusione della sharka. (3-02361)

Interrogazioni a risposta scritta:


      GIANNI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          in Italia, da decenni, si sono state costituite le associazioni provinciali allevatori e tra esse l'Associazione italiana allevatori, con personalità giuridica riconosciuta, con lo scopo di sviluppare e migliorare il sistema zootecnico nazionale;
          anche in Sicilia sono stati istituiti i consorzi provinciali allevatori, i quali nonostante la natura autonoma della regione siciliana, si sono organizzati in associazione regionale dei consorzi provinciali allevatori per sviluppare i rapporti con l'ente regione e organizzare servizi tecnici agli allevatori siciliani;
          tutt'oggi all'ARAS sono registrati oltre 200.000 capi per diverse specie e razze in selezione in Sicilia in oltre 2.000 aziende che si Sono sviluppate nell'applicazione delle migliori tecniche di allevamento e di produzione con stalle adeguate e produzioni di qualità;
          il patrimonio zootecnico nella media ha un valore del 30 per cento in più del prezzo di mercato di bestiame non selezionato e le produzioni controllate attraverso un sistema che comprende anche analisi di qualità del prodotto hanno certamente un valore di mercato superiore a quelle prive di controlli;
          il controllo della produzione nelle aziende, effettuato dai controllori zootecnici Aras è un'attività che non può trovare sospensione, in quanto si disperderebbe e annullerebbe il lavoro eseguito nella cura della genealogia degli animali in produzione;
          è impegno dell'associazione degli allevatori e responsabilità della pubblica amministrazione assicurare la continuità e il funzionamento di tale attività per non minare alla base la zootecnia siciliana che già per altro sopporta la crisi del mercato e la mancanza di interventi a sostegno del settore;
          l'Associazione da sempre ha attuato altre iniziative per promuovere in Sicilia lo sviluppo della zootecnia, quali ad esempio: la diffusione e impiego dei mangimi; l'organizzazione della raccolta del latte; lo sviluppo di mini caseifici aziendali; lo studio per la tipizzazione dei formaggi siciliani che ha portato ai riconoscimenti DOPC, DOP nazionali e comunitari; l'assegnazione alle aziende di tori di razza pura per il miglioramento delle produzioni; la promozione di prodotti con l'organizzazione e/o partecipazione a manifestazioni regionali, nazionali ed estere; la diffusione della pratica della fecondazione artificiale; l'assistenza per agevolare gli allevatori nelle procedure per l'ottenimento dei contributi per il miglioramento delle strutture aziendali, per l'ottenimento dei premi comunitari alle produzioni;
          l'attività dell'ARAS ha interessato oltre 5.000 aziende cui sono stati assicurate migliaia di sopralluoghi tecnici aziendali all'anno; ciò si è potuto attuare grazie al contributo del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e dell'assessorato regionale agricoltura e foreste, oltre al contributo pagato dagli associati per pareggiare la spesa tra il contributo pubblico e la spesa stessa;
          dal 2005, la linea di contribuzione pubblica si è andata riducendo, dai 12.500.000,00 euro dell'anno 2005 ai 6.500.000,00 euro dell'anno 2011, mentre l'ARAS ha continuato ad assicurare i servizi agli allevatori sperando che la riduzione di contributo fosse momentanea e che le risorse patrimoniali dei fondi dell'ARAS consentissero di ripianare le differenze contributive dell'anno ricorrendo a moderati aumenti di quote per gli allevatori associati;
          a causa della riduzione dei contributi ministeriali, l'ARAS si è trovata costretta a utilizzare gli accantonamenti patrimoniali e a cominciare ad avere perdite di bilancio, oggi valutabili in circa 4.000.000,00 di euro per contributi non ricevuti;
          il 23 dicembre 2009 si è attivato il commissariamento dell'ente che non ha comunque ancora risolto la situazione delle annualità pregresse né ha formulato alcuna proposta di rilancio concreta;
          nella conferenza Stato-regioni del 27 luglio 2011 è stata sancita l'intesa sulla rimodulazione finanziaria delle risorse destinate alle associazioni allevatori, garantendo la disponibilità al sistema di 25 milioni di euro per l'anno 2011 e una compensazione delle regioni a statuto speciale con un'assegnazione di risorse PAR-FAS in misura corrispondente al depotenziamento conseguente alla suddetta rimodulazione finanziaria; l'intesa ha alleviato la problematica, permettendo lo svolgimento di attività che, per lavoro stessa natura, hanno però bisogno di continuità e certezza a carattere pluriennale, nel medio-lungo termine;
          i lavoratori dell'ARAS stanno rivendicando il proprio credito pari a cinque mensilità, oltre ad altri accessori relativi agli anni 2009 e 2010;
          il sindacato Flai-CGIL lamenta inoltre una mancanza di chiarezza da parte della Regione siciliana nella gestione della vicenda dei lavoratori dell'ARAS, considerato che non si è ancora pronunciata sull'ipotesi di cassa integrazione ma ha comunque dimezzato il finanziamento regionale;
          per operare un rilancio, l'ARAS dovrebbe poter contare sul contributo di 4.700.000 euro della regione in aggiunta ai 2.030.000,00 euro del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali nonché sul contributo di euro 250.000,00, quale rifinanziamento dell'articolo 57 della legge regionale 1o settembre 2007, n.  33, per la marcatura del bestiame e sul rifinanziamento della legge 5 ottobre 2010, n.  20, articolo 4, concernente l'eliminazione delle carcasse animali pari ad euro 300.000. Ciò consentirebbe all'ARAS di proseguire l'attività salvaguardando i posti di lavoro di 156 unità tecniche e amministrative;
          circa il disavanzo di bilancio stimabile in 4.000.000,00 di euro, dal 2009 al 2011 determinato prevalentemente, dalla riduzione dei contributi, di cui oltre euro 2.300.000,00 non liquidati dal Ministero nel 2011, è necessario definire un piano di rientro, ricorrendo, in parte, per 1.000.000,00 di euro, ad un contributo straordinario degli allevatori beneficiari dei servizi ed in parte, ad un intervento in compensazione della Regione per il contributo erogato in meno all'ARAS nel periodo 2009/2011;
          i dipendenti dell'ARAS, con decorrenza dal 1o maggio 2012, hanno sottoscritto l'accordo di cassa integrazione guadagni straordinaria, ma, come comunicato dai sindacati, il capitolo finanziario di riferimento si è esaurito a marzo 2012  –:
          quali iniziative il Ministro intenda adottare, se non già adottate per scongiurare la sicura interruzione del servizio pubblico per la tenuta dei libri genealogia e dei controlli funzionali ufficiali;      
          quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato per il rispetto degli impegni assunti a seguito dell'intesa sancita in sede di Conferenza Stato – regioni ove, si prevede di colmare la riduzione del finanziamento nazionale attraverso l'utilizzo dei fondi FAS;
          tenuto conto che la crisi dell'Aras si riproduce con effetti uguali in altre regioni, come ad esempio accade nelle ARA della Calabria e del Lazio, quali siano gli intendimenti del Governo, per quanto di competenza, in merito al sistema delle associazioni allevatori ed, in particolare, in merito al futuro dell'Ara siciliana, il cui smantellamento comporterebbe una ricaduta sulla sicurezza alimentare, oltre che      la gravissima perdita certa di n.  156 posti di lavoro. (4-16813)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il vicepresidente dell'associazione «Futuragra» Silvano Della Libera, in una lettera aperta ha denunciato che il Corpo della guardia forestale ha effettuato alcuni prelievi di piante all'interno della sua proprietà;
          detti prelievi sarebbero stati effettuati anche in altri campi e proprietà della regione Friuli Venezia-Giulia;
          nella citata lettera aperta Silvano Della Libera chiede «se forse si pensa che il vicepresidente di un'associazione che da anni si batte per l'innovazione in agricoltura con l'unico strumento possibile in una società civile che è quello della legalità e del dialogo, possa aver seminato impunemente OGM»;
          detti prelievi sono stati effettuati senza che i proprietari ne fossero stati preavvisati o informati di quanto stava avvenendo;
          tali provvedimenti ad avviso degli interroganti alimentano una ingiustificata «caccia alle streghe», tanto più perché sembrano basati su una legge regionale (quella sul divieto di seminare piante geneticamente modificate) che appare in contrasto con la normativa comunitaria e non è mai stata notificata alla Commissione europea, come la prassi avrebbe previsto  –:
          se quanto denunciato dal vicepresidente di Futuragra Silvano Della Libera corrisponda a verità;
          chi abbia disposto tale prelievo, e come l'abbia motivato;
          se risulti quali saino le ragioni per cui il signor Della Libera non è stato preavvertito e informato di quanto veniva effettuato nella sua proprietà;
          se altri prelievi simili a quelli effettuati nella proprietà del signor Della Libera, siano stati disposti ed effettuati anche in altre proprietà della regione Friuli Venezia-Giulia e quali siano stati i risultati;
          quali siano gli orientamenti dei Ministri sui fatti sopra esposti e, nel caso, quali immediate iniziative di competenza intendano avviare. (4-16826)

RAPPORTI CON IL PARLAMENTO

Interrogazione a risposta immediata:


      EVANGELISTI, DONADI, BORGHESI, DI STANISLAO, PIFFARI e CIMADORO. — Al Ministro per i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
          come accade sempre in occasione di eventi tellurici o atmosferici avversi e devastanti, gli italiani, anche e soprattutto quelli che vivono difficoltà economiche quotidiane, si mostrano spesso generosi in quanto a solidarietà attraverso donazioni effettuate per la maggior parte con sms o telefonate a numeri speciali comunicati di volta in volta;
          come è drammaticamente noto, i terremoti del 20 e 29 maggio 2012 in Emilia hanno causato danni notevoli per affrontare i quali è stato anche attivato, appunto, un numero ad hoc, il 45500, che consente di donare 2 euro con un messaggino; si tratta di un flusso notevole di denaro sulla destinazione del quale gli stessi italiani che donano si interrogano, anche attraverso quel potente strumento informativo che è ormai internet; ed è proprio l'incessante domanda su che fine fanno questi preziosi sms che sta scuotendo, in particolar modo, il popolo dei blog, dei post e dei twitter;
          il vice capo dipartimento della Protezione civile, Angelo Borrelli, ha recentemente affermato che: «La cifra raccolta sarà interamente destinata alle popolazioni colpite e, come è già accaduto in passato, le cifre donate non saranno gravate da iva, né alcuna quota sarà trattenuta dai vari operatori di telefonia. Ma i soldi, questo è bene precisarlo, non arrivano immediatamente nella disponibilità della Protezione civile, né degli operatori telefonici. Quella che si fa con gli sms è, infatti, una sorta di promessa di donazione e fino a quando Tim, Vodafone, Wind ed altri non riscuotono le bollette, non possono entrare in possesso dei soldi e, quindi, non possono trasferirli alla Protezione civile sul conto che la stessa Protezione civile ha presso la tesoreria dello Stato alla Banca d'Italia»;
          è noto che i tempi tecnici di trasferimento dei fondi sono di circa 60 giorni, in pratica quando il donatore paga la bolletta, ma va detto, però, che normalmente le donazioni attraverso sms vengono effettuate con schede ricaricabili, quindi con denaro sottratto contestualmente e quindi immediatamente disponibile;
          a gran voce tutti coloro che seguono attentamente questo drammatico evento tellurico si chiedono dove vanno a finire i soldi che si donano attraverso gli sms inviati con i cellulari, se arrivino a destinazione, che fine fanno le centinaia di migliaia di euro che transitano verso i conti correnti creati proprio per aiutare le popolazioni colpite dal terremoto e quali garanzie si hanno e come si può controllare che l'aiuto sia effettivamente «incanalato» nei giusti binari;
          è bene ricordare che, nel caso del terremoto che colpì L'Aquila nel 2009, vennero raccolti 5 milioni di euro, frutto delle donazioni arrivate tramite gli sms solidali, che furono, però, affidati dalla Protezione civile a Etimos, un consorzio finanziario internazionale che si occupa di microcredito in molte realtà in giro per il mondo, con una convenzione stipulata il 23 novembre 2009 e con l'assegnazione di tali fondi destinati ad attività di recupero del tessuto socio-economico nel post-terremoto; di quei 5 milioni di euro iniziali, 470.000 furono destinati per «oneri riferiti alla gestione operativa del progetto per tre anni, a far data da dicembre 2009»;
          con il senno di poi viene ancora da chiedersi se gli italiani avessero immaginato un siffatto utilizzo delle loro donazioni, con costi di gestione che sono apparsi eccessivi e fondi residui che sono andati ad alimentare un circuito di prestiti bancari, come si sarebbero comportati, visto che non è ancora dato di sapere quanti dei 5 milioni di euro donati dagli italiani siano arrivati effettivamente, senza costi aggiuntivi non necessari e a fondo perduto, agli aquilani –:
          se la stessa procedura di gestione delle donazioni per il sisma del 2009 sarà attuata anche per gli sms inviati al 45500 in questi giorni per gli aiuti ai terremotati dell'Emilia e se non si intendano adottare opportune iniziative al fine di informare i numerosi italiani su come verranno utilizzati i soldi da loro donati via sms. (3-02364)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          sul sito web del quotidiano il Corriere della sera il 2 luglio 2012 è stato pubblicato un articolo dall'inquietante titolo «Manca rassicurazione, si ferma la Croce Rossa – Ambulanze costrette allo stop, servizio bloccato. Da Roma non sono arrivate indicazioni univoche»  –:
          se i fatti narrati nell'articolo in premessa corrispondano al vero, quali siano state le conseguenze sui servizi offerti dalla Croce Rossa ai cittadini e quali immediate azioni intenda avviare nei confronti del commissario straordinario pro tempore. (5-07231)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dal quotidiano Il Mattino nella sua edizione del 26 giugno 2012, in una parte della Campania, e in particolare l'agro aversano, le farmacie comunali sarebbero diventate «la nuova frontiera dell'investimento» da parte di clan della camorra;
          il presidente dell'ordine dei farmacisti di Caserta Ferdinando Foglia ha trasmesso due note che valgono come esposti e che portano la data del 26 aprile e del 6 giugno;
          nel primo esposto si fa riferimento ad accordi di collaborazione con la Guardia di finanza per la segnalazione di «istituzioni di nuove farmacie o di trasferimenti di altre già esistenti sul territorio», un'intesa maturata dopo l'allarme dei «Liberi farmacisti campani» e di Federfarma, che avevano segnalato già un anno e mezzo fa «strani movimenti di compravendita per le farmacie e i laboratori di analisi», ipotizzando che nascondessero operazioni di riciclaggio;
          detto sospetto risulterebbe confermato da quanto emerso da indagini della direzione distrettuale antimafia napoletana, secondo la quale la camorra starebbe investendo nel settore delle farmacie, e avrebbe già rastrellato punti vendita e licenze in Sicilia e in Campania;
          le due farmacie cui si fa riferimento negli esposti sono quelle di Sant'Arpino e San Marcellino, acquisite dai comuni, esercitando, come prevede la legge, il diritto di prelazione al momento dell'istituzione, da parte della regione, di una nuova farmacia;
          il presidente Foglia, a proposito di quella in allestimento a Sant'Arpino, e affidata in gestione alla Inco.Farma Spa, ha chiesto alla regione e alla procura di verificare se siano o meno stati rispettati i termini relativi alla prelazione, fatto su cui, evidentemente, l'Ordine nutre dubbi;
          a proposito della farmacia di San Marcellino, data in gestione a un privato attraverso un concorso contestato da altri farmacisti della zona, il presidente Foglia chiede di conoscere la ragione di tanta fretta, «visto che tra meno di un mese ci sarà il concorso per l'affidamento delle farmacie campane, e chi abbia interesse ad aggirare la prossima graduatoria»  –:
          di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa;
          quali iniziative, per quanto di competenza, intendano adottare o promuovere in ordine al grave sospetto che clan della camorra e della criminalità organizzata abbiano esteso, o stiano estendendo i loro «tentacoli» su farmacie comunali, così come adombrato nel citato esposto del presidente Foglia, che fa esplicito riferimento ad assegnazioni sospette e procedure irregolari nell'agro versano. (5-07232)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          gli scienziati e gli esperti della Federation of american scientists hanno redatto una mappa divisa tra zone «rosse» e «aree bianche», dove le «zone rosse» sono quelle in cui sono presenti centri impegnati su virus e malattie contagiose;
          in Italia risultano esserci due centri, a Milano e a Roma: il polo ospedaliero «Luigi Sacco», centro di riferimento nazionale dove sono arrivate, per esempio, le polveri sospette recapitate al Presidente del Consiglio sotto Natale, e le buste ricevute da Equitalia e dove vengono analizzate le persone potenzialmente considerate sospette rispetto a nuovi virus; l'Istituto nazionale malattie infettive Spallanzani, fiore all'occhiello per la diagnosi e presidio di sicurezza per tutti i nuovi virus;
          detti centri e laboratori scientifici risultano impegnati nel non facile compito di debellare e diagnosticare malattie rare, nuovi virus, casi dubbi, come negli anni sono stati la Sars, l'antrace, e ogni pericolo di bioterrorismo da verificare — rapidamente e in totale sicurezza — sul campo;
          nel caso dei laboratori italiani, sono classificati «livello 4» quelli che trattano i virus più pericolosi o emergenti;
          gli agenti che possono essere trattati nelle citate strutture sono, per esempio Ebola, vaiolo, febbre emorragica della Crimea e del Congo  –:
          quali misure, accorgimenti e protocolli siano stati adottati per garantirsi da possibili rischi per la salute e l'incolumità del personale che lavora in quelle strutture e le popolazioni residenti. (5-07233)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BUCCHINO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'Associazione italiana medici per l'ambiente – Isde (International Society of Doctors for the Environment) di Viterbo, in considerazione del gravissimo e documentato degrado delle acque del lago di Vico, ha più volte chiesto di conoscere l'attuale classificazione di queste acque e il tipo di trattamento cui sono ordinariamente sottoposte;
          questa richiesta, ancora senza una risposta ufficiale, si è resa necessaria ed è urgente in quanto gli acquedotti dei comuni di Ronciglione e Caprarola sono riforniti per la maggior parte da acque captate proprio da questo lago;
          sono ormai ben documentate le gravi problematiche ambientali del lago di Vico: frequenti ed intense fioriture – favorite anche dall'utilizzo di fertilizzanti e fitofarmaci – dell'alga rossa Plankthotrix rubescens produttrice di numerosi tipi di tossine dette microcistine (non termolabili) a valenza epatotossica, gastroenterica e con possibile azione cancerogena, marcata riduzione del quantitativo di ossigeno nelle sue acque, sempre più scarsa trasparenza di esse e presenza di metalli pesanti in elevata concentrazione nei sedimenti;
          nel corso degli ultimi due anni sono stati presentati dati allarmanti («Attività di contrasto al degrado della qualità delle acque del lago di Vico» assessorato all'ambiente della provincia di Viterbo) che hanno evidenziato la presenza di arsenico e di altre sostanze tossiche e cancerogene di norma estranee alle acque del lago, quali mercurio, idrocarburi policiclici aromatici (IPA), e nei suoi sedimenti alte concentrazioni di arsenico – 647 mg/kg SS (valore soglia 20 mg/kg SS) –, cadmio – 12 mg/kg SS (valore soglia 2 mg/kg SS) – e nichel – 566 mg/kg SS (valore soglia 120 mg/kg SS);
          ulteriori risultati di indagine presentati dall'Arpa Lazio – sezione di Viterbo presso il dipartimento regionale rifiuti ed energia – hanno confermano la presenza di arsenico in concentrazioni molto elevate nei sedimenti lacustri;
          un rapporto del centro tecnico logistico interforze Nbc di Civitavecchia del 25 marzo 2010, protocollo 38, relativo ai risultati di una indagine geofisica commissionata dal Ministero della difesa per la ricerca di masse anomale interrate presso il magazzino materiali di difesa Nbc di Ronciglione (sede posta in prossimità del lago, nella quale durante l'ultimo conflitto mondiale, era attivo «un impianto per la produzione e il deposito di ordigni a caricamento speciale» presumibilmente atto alla produzione di armi chimiche), ha evidenziato la presenza di masse metalliche e non metalliche interrate in diversi punti del sito e, da carotaggi ed analisi chimiche su campioni di terreno prelevati, valori di arsenico superiori a quanto previsto dalla normativa in vigore;
          le popolazioni di Caprarola e Ronciglione che utilizzano ordinariamente l'acqua captata dal lago come bevanda, per le preparazioni alimentari ed uso igienico-sanitario, possono essere esposte alle tossine prodotte dall'alga rossa e alle altre sostanze tossiche e cancerogene;
          l'Isde di Viterbo, non avendo ricevuto specifica risposta da parte delle competenti istituzioni, con lettera del giorno 10 aprile 2012 ha sollecitato anche l'intervento del prefetto di Viterbo per acquisire l'attuale classificazione delle acque del lago e per verificare, l'ottemperanza, da parte delle istituzioni ed enti preposti, al decreto legislativo n.  152 del 2006;
          questo decreto individua tra le acque superficiali a specifica destinazione funzionale, le «acque dolci superficiali destinate alla produzione di acqua potabile» e stabilisce che le acque dolci superficiali destinate alla produzione di acqua potabile, in base alle caratteristiche fisiche, chimiche e microbiologiche possedute, siano classificate dalle regioni, nelle categorie A1, A2, A3 e sottoposte ai seguenti trattamenti:
              a) categoria A1: trattamento fisico semplice e disinfezione;
              b) categoria A2: trattamento fisico e chimico normale e disinfezione;
              c) categoria A3: trattamento fisico e chimico spinto, affinazione e disinfezione;
          sempre questo stesso decreto legislativo impone che le acque dolci superficiali che presentano caratteristiche fisiche, chimiche e microbiologiche qualitativamente inferiori ai valori limite imperativi della categoria A3 possono essere utilizzate, in via eccezionale, solo nel caso in cui non sia possibile ricorrere ad altre fonti di approvvigionamento e a condizione che le acque siano sottoposte ad opportuno trattamento che consenta di rispettare le norme di qualità delle acque destinate al consumo umano;
          risulta che la regione Lazio è stata più volte sollecitata anche dalla prefettura di Viterbo a fornire risposta alla questione di cui sopra  –:
          quali iniziative urgenti abbiano assunto o intendano assumere, per quanto di competenza, al fine di:
              a) rendere nota l'attuale classificazione delle acque del lago di Vico erogate per consumo umano e, nel caso la classificazione, come appare presumibile, sia A3, predisporre subito fonti alternative di approvvigionamento idrico per le popolazioni, per gli esercizi commerciali, per le scuole e le mense della scuola dell'infanzia e primaria, per l'ospedale di Ronciglione e per tutte le industrie alimentari locali;
              b) rispettare le note della Asl di Viterbo che, in relazione alla gravità del degrado di queste acque e alla difficoltà di realizzare processi di potabilizzazione veramente efficaci a garantirne salubrità e pulizia, ha chiesto da tempo forniture di acque in forme alternative a quelle lacustri;
              c) individuare la provenienza di quelle sostanze tossiche e cancerogene rilevate nel lago di Vico e di norma estranee agli ecosistemi lacustri;
              d) intensificare i controlli di tutte le attività notturne e diurne all'interno della riserva del lago di Vico;
              e) avviare studi di monitoraggio e sorveglianza di lungo periodo dello stato di salute delle popolazioni di Caprarola e Ronciglione;
              f) realizzare controlli regolari e costanti sulla qualità e provenienza dell'acqua utilizzata nelle preparazioni alimentari distribuite nei pubblici esercizi e nelle scuole;
              g) realizzare controlli regolari e costanti sulla fauna ittica ad uso commestibile relativamente alla presenza nelle loro carni di metalli pesanti e microcistine;
              h) controllare le pratiche agricole e l'uso di fitofarmaci e fertilizzanti nei terreni circostanti il lago e controllare, altresì, come ulteriori possibili fonti d'inquinamento del lago, gli scarichi degli insediamenti civili e quelli dedicati ad attività turistiche posti in prossimità del lago di Vico. (4-16806)


      PALAGIANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la nimesulide è una molecola appartenente alla categoria degli antinfiammatori non steroidei, i cosiddetti FANS ed è stata scoperta negli anni Ottanta da una casa farmaceutica americana. Essa è principio attivo di molti medicinali – tra i quali, il più conosciuto e diffuso è l'Aulin – utili al trattamento di infiammazioni, dolore cronico ed osteopatie;
          in Italia si consuma il 60 per cento della produzione mondiale di nimesulide e, per molto tempo, l'Aulin – entrato nel commercio italiano nel 1985 – è stato addirittura considerato un farmaco Otc (over the counter), cioè vendibile senza necessità di ricetta medica. Nel 2002 nel nostro Paese si è registrato il più alto consumo di questo farmaco rispetto al resto dell'Europa;
          questo medicinale è stato ritirato dal commercio nel 2002 in Spagna e Finlandia, dopo 66 casi di danni epatici e un decesso, mentre nel 2007 è stato bandito anche in Irlanda per sospetta tossicità epatica, dal momento che sei pazienti, che seguivano un trattamento a base di Aulin, sono stati costretti ad un trapianto di fegato;
          in Giappone, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna non è stata mai fatta richiesta per la registrazione del principio attivo e la FDA (Agenzia americana per gli alimenti e i medicinali) ne ha vietato la circolazione;
          nel maggio 2007, dopo i numerosi episodi di pazienti con danni al fegato e all'apparato gastrointestinale causati dalla molecola nimesulide, la Federazione italiana delle Associazioni dei dirigenti ospedalieri internisti ha lanciato un allarme sui potenziali rischi dei medicinali contenenti questo principio attivo;
          in Italia, il «caso Aulin», è iniziato solo nel 2008 a seguito di un'inchiesta condotta dal pubblico ministero Raffaele Guariniello, dalla quale emersero episodi di corruzione tra alcuni dirigenti dell'AIFA (Agenzia italiana del farmaco) e una causa farmaceutica, proprio al fine di non intaccare la commercializzazione del farmaco nel nostro Paese;
          da allora, comunque, nessun atto ufficiale dello Stato è stato messo in campo per ridurre la diffusione del prodotto o per valutarne la sicurezza, se non attraverso la diffusione delle informazioni diffuse dall'Agenzia europea del farmaco (Emea). Anzi, appare evidente che tra i rischi e i benefici di questo medicinale, nel nostro Paese si continui a considerare solo i secondi. Infatti, nel maggio 2008 la SIF (Società italiana di farmacologia) ha riportato una nota che citava testualmente: «Se essa (nimesulide) resta in commercio oltre che in Italia in ben altri 16 Paesi europei, fra cui Francia, Portogallo, Svizzera, Ungheria, è perché l'Agenzia regolatoria europea ha ritenuto che, nonostante quanto autonomamente stabilito da alcuni Paesi, il suo profilo di beneficio/rischio rimanga ancora favorevole pur ritenendo necessario limitarne l'uso al fine di ridurre al minimo il rischio di problemi epatici»;
          in ogni caso, nel 2010, una circolare dell'Emea – elaborata a seguito di un riesame del rapporto rischio-beneficio della nimesulide, commissionato dalla Commissione europea – ha imposto ai medici di prescrivere nimesulide solo se gli altri antidolorifici non hanno avuto effetto, mai per febbre o influenza. E comunque per non più di 15 giorni, raccomandando, inoltre, la sospensione immediata del trattamento all'insorgere dei primi segni e sintomi di sofferenza epatica. L'Emea ha inoltre stabilito che i medicinali contenenti tale principio attivo non possano più essere utilizzati per il trattamento sintomatico dell'osteoartrosi dolorosa;
          tali attente precauzioni da parte della Commissione europea, insieme ai divieti in molti Paesi, lasciano pensare che i rischi nell'assunzione di medicinali a base di nimesulide, effettivamente sussistano e sembra alquanto singolare, agli occhi dell'interrogante, che il nostro Paese non si sia mai posto delle domande sull'entità degli effetti collaterali di questo farmaco. Anzi, il Sistema sanitario nazionale italiano prevede, ancora oggi, la rimborsabilità della nimesulide (attraverso la nota 66) proprio per il trattamento delle patologie infiammatorie croniche di tipo osteoarticolare, quelle stesse che la Commissione europea ha stabilito di eliminare  –:
          se, sulla base di quanto esposto in premessa, non intenda avviare un'indagine medico scientifica nazionale che analizzi il rapporto rischi-benefici dei farmaci contenenti nimesulide, così da giustificare ancora la commercializzazione di tali prodotti nel nostro Paese e assicurare il diritto alla salute dei cittadini italiani;
          se, in base a quanto disposto dalla Commissione europea, non intenda assumere iniziative per modificare la rimborsabilità dei farmaci a base di nimesulide per i trattamenti di dolore cronico, come le patologie osteoarticolari, al fine di prevenire i possibili danni epatici che potrebbero derivare da un uso duraturo e continuativo del principio attivo. (4-16814)


      DI PIETRO e PALAGIANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          nell'atto di sindacato ispettivo n.  4/16186 del 21 maggio 2012, ancora senza risposta, si chiedeva al Ministro interrogato quali iniziative intendesse intraprendere al fine di evitare l'ennesimo spreco di denaro pubblico in una struttura nuova, ma già fatiscente, quale è il nosocomio pubblico «Veneziale» di Isernia, che a lungo ha sofferto della gestione familiare degli Iorio;
          gli interroganti, da notizie stampa, hanno, altresì, appreso che l'azienda sanitaria regionale del Molise (Asrem) ha appena deciso di spendere 174.240 euro all'anno per l'acquisto di filtri dell'acqua — utili alla prevenzione e protezione dai rischi di contaminazione da legionella e altri agenti microbici — destinati, tra l'altro, a una struttura, il «Veneziale» di Isernia, a tutt'oggi inutilizzata;
          la struttura, infatti, nuova, ultramoderna, costata circa 2 milioni e 250 mila euro, è inutilizzabile a causa della mancanza dell'ascensore che consentirebbe l'accesso all'intero blocco di chirurgia e alla sala operatoria, completata nel 2010;
          la violazione del blocco totale del turnover da parte della direzione aziendale dell'Asrem ha fatto sì che per gli organismi di verifica del Ministero non sussistessero i presupposti per erogare alla regione Molise i fondi residui e accedere ai fondi Fas destinati alla copertura del disavanzo a tutto il 2009;
          il disavanzo della regione Molise — a oggi di oltre 42 milioni di euro — verrà ridotto attraverso un ulteriore incremento delle aliquote fiscali di Irap e addizionale regionale all'Irpef per l'anno di imposta in corso, rispettivamente nelle misure di 0,15 e 0,30 punti percentuali;
          le inadempienze della regione ricadranno ancora una volta sui cittadini molisani, che oltre al danno economico subiranno la beffa di non poter usufruire di un servizio sanitario per il quale continuano, e continueranno, a pagare  –:
          se, alla luce di quanto esposto in premessa, non ritenga doveroso intervenire con urgenza, al fine di evitare, in una regione in grave sofferenza economica e sottoposta a commissariamento quello che agli interroganti appare l'ennesimo spreco di denaro pubblico ingiustificato, immorale e ora più che mai inaccettabile.
(4-16831)

Pubblicazione di un testo riformulato.

      Si pubblica il testo riformulato della mozione Renato Farina ed altri n.  1-01029, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n.  628 dell'8 maggio 2012:

      La Camera,
          premesso che:
              ripetuti gravissimi episodi di violenza che hanno di mira le comunità cristiane hanno di nuovo sconvolto nei giorni scorsi l'Africa. Ormai, dall'inizio dell'anno, ogni domenica è segnata, negli Stati del Nord della Nigeria e in Kenia, dall'aggressione contro inermi fedeli che partecipano alle celebrazioni liturgiche. Secondo fonti autorevoli (si vedano le cifre fornite da Domenico Quirico su La Stampa, 11 giugno 2012) soltanto in Nigeria sono più di seicento le vittime mietute nella comunità cristiana nel corso di questa escalation dei terroristi islamici del gruppo Boko Haram, ideologicamente e organizzativamente prossimo ad Al Qaeda. Questa fazione, che nel gennaio 2012 aveva ucciso in un attacco almeno 160 persone a Kano, ha rivendicato gli attacchi susseguitisi con cadenza ininterrotta fino a domenica 17 giugno, ed oggi è congiunta strategicamente con analoghe formazioni che occupano di fatto buona parte del Mali e importanti città della Mauritania, e stanno allargando le loro zone d'influenza nell'Africa subsahariana;
              il 1o luglio due attentati hanno causato 17 vittime e almeno 45 feriti gravi tra i fedeli presenti alla messa domenicale nella città keniana di Sarissa, a un centinaio di chilometri dal confine somalo. Questo duplice attacco si ritiene opera degli Shabaab, i talebani somali, e fa seguito a un altro agguato terroristico perpetrato in una chiesa di Nairobi il 29 aprile scorso;
              i fatti più recenti illustrano l'infame strategia dei terroristi in Nigeria. Cinque chiese in città diverse sono state assaltate in sequenza. In particolare a Zaria, nello Stato di Kaduna, un commando a colpi di granata ha assassinato quattro bambini che giocavano all'esterno di una chiesa. Gli autori di questo atto orribile sono stati circondati e linciati dalla folla, e la rappresaglia si è estesa coinvolgendo musulmani senza colpa. La logica del Boko Haram, innestandosi anche su divisioni tribali, è proprio quella di esasperare la comunità cristiana, che è una fortissima minoranza, e spingerla all'emigrazione o comunque a reazioni indiscriminate per determinare l'esplosione di una vera e propria guerra civile che esasperi la situazione già tesa per l'imposizione della legge islamica a tutti i cittadini;
              «La Chiesa, specie quella cattolica, è un obiettivo perché, agli occhi dei fanatici di Boko Haram, rappresenta quella cultura e quei valori occidentali che essi affermano di combattere, in particolare l'istruzione occidentale», ha detto il presidente della Conferenza episcopale della Nigeria, monsignor Ignatius Ayau Kaigama;
              a questi casi eclatanti si somma in Paesi del vicino e medio Oriente nonché dell'Asia profonda la quotidiana e progressiva pratica silenziosa di omicidi confessionali e l'induzione all'espatrio dei fedeli delle antiche Chiese apostoliche, determinata oltre che dallo stillicidio cruento, dalla compressione crescente degli spazi di presenza e libertà per le minoranze cristiane in numerosi Paesi dell'Asia;
              non si tratta di episodi isolati, ma di un'aggressione sistematica alla libertà religiosa, «madre di tutte le libertà», come già affermato nella Risoluzione unitaria Mazzocchi ed altri del 12 gennaio 2011. In essa si denunciava la «cristianofobia» e si chiedeva l'intervento ad ogni livello del Governo e delle istanze internazionali per garantire i diritti umani e tra essi specificamente quello della libertà di religione;
              da allora la pratica di omicidi singoli o di massa di cristiani lungi dall'essere abbandonata, è cresciuta di intensità e di qualità. Basti solo segnalare l'omicidio di Shabhaz Bhatti, Ministro per le minoranze in Pakistan, assassinato da un commando di terroristi islamici a Islamabad il 2 marzo del 2011, per la sua strenua difesa in particolare di Asja Bibi, una donna condannata a morte per «blasfemia»;
              in Iraq è in corso una vera e propria pulizia etnica, che si attua con rapimenti e assassini selettivi, così da indurre alla diaspora una comunità che preesisteva all'Islam. Lo stesso rischia di accadere alla comunità copta in Egitto;
              la persecuzione ai danni dei cristiani e ogni persecuzione religiosa sono intollerabili non solo da un punto di vista confessionale, ma soprattutto in ragione della garanzia e della tutela della giustizia e della libertà di tutti;
              occorre assumere iniziative perché queste vittime non siano oltraggiate, oltre che dalla barbara uccisione, anche con il silenzio e l'indifferenza,

impegna il Governo:

          ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché la persecuzione contro i cristiani sia considerata un'emergenza internazionale gravissima in ogni consesso e diventi oggetto di condanna esplicita, e di interventi coordinati ed efficaci da parte delle autorità e delle organizzazioni sovranazionali e internazionali;
          ad intraprendere in particolare, nel caso della Nigeria, una decisa azione nell'ambito dell'Onu, dell'Unione europea e del Consiglio d'Europa per tutelare, con idonei strumenti di «soccorso umanitario», la popolazione civile nei beni supremi della vita e della libertà religiosa.
(1-01029)
«Renato Farina, Tempestini, Allasia, Adornato, Di Biagio, Evangelisti, Moffa, Misiti, Mosella, Antonione, Belcastro, Pianetta, Baldelli, Craxi».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
          interrogazione a risposta orale Toto n.  3-02310 del 4 giugno 2012;
          interrogazione a risposta scritta Evangelisti n.  4-16503 del 7 giugno 2012;
          interrogazione a risposta in Commissione Damiano n.  5-07189 del 25 giugno 2012;
          interrogazione a risposta immediata in Commissione Barbato n.  5-07218 del 27 giugno 2012;
          interpellanza Moffa n.  2-01571 del 28 giugno 2012.

ERRATA CORRIGE

      Interpellanza Moffa e altri n.  2-01571 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n.  658 del 28 giugno 2012. Alla pagina 32366, prima colonna, alla riga trentaseiesima, deve leggersi: «(2-01571) «Moffa, Castellani, D'Anna, Ceroni, Lehner, Massimo Parisi, Marmo, Mannucci, Germanà,» e non «Moffa, Castellani, D'Anna, Ceroni, Lehner, Massimo Parisi, Marmo, Nannicini, Germanà,», come stampato.