XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 16 luglio 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


      La Camera,
          premesso che:
              va tenuto conto della strategica importanza delle scuole paritarie nel panorama dell'offerta formativa italiana, sia dal lato sociale che culturale;
              le scuole paritarie suppliscono molte volte a carenze delle scuole statali e una eventuale chiusura delle stesse causerebbe gravi disservizi all'utenza che oggi usufruisce del servizio e, al contempo, determinerebbe gravi problemi gestionali per gli enti locali ove si trovano le strutture, dal momento che questi si ritroverebbero con un aggravio di costi e di problematicità difficilmente assolvibili dai medesimi enti locali;
              mentre l'articolo 7 del decreto legislativo n.  504 del 1992 prevedeva che gli immobili degli enti no profit, delle onlus e di confessioni religiose che hanno stipulato con lo Stato un concordato e destinati ad utilizzi diversi da quelli commerciali fossero esentati dal sostenere l'imposta comunale sugli immobili, oggi l'eventuale applicazione alle scuole paritarie dell'imposta municipale propria (IMU) introdotta dal decreto-legge n.  201 del 2011 rappresenterebbe una pesante penalizzazione verso una parte importante del sistema formativo nazionale;
              organi di stampa nazionali riportano la notizia secondo la quale le scuole dell'infanzia paritarie parrocchiali, fondazioni e associazioni o comunque statutariamente senza fini di lucro e paritarie stanno ricevendo una serie di cartelle esattoriali Imu da parte dell'Agenzia delle entrate, così che ad oggi tali enti si ritrovano nella condizione di dover pagare l'imposta;
              alcuni membri del Governo si sarebbero impegnati per adottare un decreto al fine di stabilire le modalità e le procedure di esenzione per l'Imu nelle scuole paritarie ma tale provvedimento, ad oggi, non è ancora stato definito,

impegna il Governo

ad assumere quanto prima iniziative normative finalizzate alla esclusione degli enti senza fini di lucro come le scuole paritarie dall'applicazione dell'Imu.
(1-01108) «Fugatti, Negro».

Risoluzioni in Commissione:


      La VII Commissione,
          premesso che:
              il decreto legislativo, 29 marzo 2012, n.  68 dà attuazione alle deleghe previste dalla legge 30 dicembre 2010, n.  240 per la revisione della normativa di principio in materia di diritto allo studio e per la valorizzazione dei collegi universitari legalmente riconosciuti;
              le disposizioni contenute nell'articolo 2 del medesimo decreto legislativo, in attuazione del titolo V della parte II della Costituzione, individuano gli strumenti e i servizi per il diritto allo studio, nonché i relativi livelli essenziali delle prestazioni (LEP), da garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale e i requisiti di eleggibilità per l'accesso a tali prestazioni;
              la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) di cui all'articolo 7, come già osservato in sede di discussione dello schema di decreto legislativo (atto 436) in occasione dei pareri espressi dalla VII Commissione, risulta fortemente inadeguata in quanto tali prestazioni dovrebbero riguardare non solo le borse di studio, ma il complesso del welfare studentesco: residenze, trasporti, servizi culturali, contributi di mobilità internazionale (in particolare ERASMUS), ristorazione e materiale didattico;
              inoltre, le disposizioni dell'articolo 7, comma 3 e dell'articolo 8, prevedendo la valutazione con ISEE delle condizioni economiche della famiglia dello studente anche tenuto conto della situazione economica del territorio in cui ha sede l'università, di fatto stabiliscono differenti condizioni di accesso, non garantiscono a tutti gli studenti con eguali requisiti il diritto della borsa di studio e rappresentano un forte ostacolo alla mobilità degli studenti non abbienti di regioni a più basso reddito medio che hanno minori possibilità ad accedere ad una borsa di studio;
              dai dati più recenti sull'erogazione delle borse di studio emerge che l'Italia presta servizi di diritto allo studio solo al 7 per cento degli iscritti, a fronte del 18 per cento della Spagna, del 25 per cento della Francia, del 30 per cento della Germania;
              dall'analisi condotta dall'OCSE nel volume «Education at a Glance, 2011» risulta (Tabella B5.1, pag. 266) che i costi universitari a carico degli studenti e delle loro famiglie sono in Italia decisamente tra i più alti in Europa;
              è ben nota la situazione di pesante crisi economica che l'Italia attraversa, con gravi difficoltà finanziarie di molti cittadini, e, al contempo, la netta diminuzione degli studenti che si immatricolano all'università, certamente influenzata dai costi troppo alti non affrontabili da molte famiglie;
              la quota di diplomati che si iscrive all'università è inferiore a quella degli altri Paesi europei e il numero totale degli immatricolati è diminuito negli ultimi anni più della contrazione demografica, rendendo sempre più improbabile il raggiungimento degli obiettivi europei di costruire una economia basata sulla conoscenza e sul sapere,

impegna il Governo:

      ad assumere iniziative per ridefinire i livelli essenziali di prestazione nel complesso del welfare studentesco e a prevedere ulteriori interventi finalizzati a garantire il diritto allo studio secondo i dettami dell'articolo 34 della Costituzione, anche in vista degli eventuali decreti correttivi previsti dall'articolo 5, comma 9, della legge n.  240;
      ad incrementare il fondo nazionale per il diritto allo studio garantendo la copertura finanziaria per erogare le borse di studio a tutti gli aventi diritto senza alzare ulteriormente la tassa regionale dedicata;
      ad istituire un'agenzia di coordinamento nazionale per il diritto allo studio, modificando all'uopo la missione della fondazione di cui all'articolo 9, commi da 3 a 16 del decreto-legge 13 maggio 2011 n.  70 convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 2011, n.  106, con l'obiettivo di coordinare i diversi sistemi regionali di diritto allo studio, ai quali comunque spettano l'organizzazione e la gestione del welfare studentesco in tutti i suoi aspetti (alloggi, trasporti, cultura e altre) attraverso il rispetto dei seguenti criteri:
          a) assegnazione di borse di studio nazionali sulla base della carriera scolastica o universitaria pregressa, in tempo utile per poter scegliere liberamente ateneo e corso di studio anche attraverso un sistema di raccordo tra il percorso scolastico secondario e quello terziario;
          b) uniformità dei criteri di accesso alle borse di studio su tutto il territorio nazionale;
          c) importo graduato della borsa di studio in relazione al reddito e patrimonio della famiglia d'origine, comunque totale per coloro che si trovano al di sotto di un certo livello ISEE;
          d) importo maggiorato per coloro che scelgono di studiare in atenei fuori della regione d'origine e per gli studenti autonomi dal proprio nucleo familiare che si mantengono da soli;
      a prevedere, all'interno del piano di riuso del patrimonio immobiliare pubblico la possibilità di realizzare residenze universitarie, anche di concerto con operatori immobiliari no profit, per garantire il diritto di scegliere il proprio corso di studi a prescindere dalle condizione economica di partenza;
      ad assumere tutte le iniziative necessarie per garantire il pieno rispetto della normativa esistente circa la contribuzione studentesca al finanziamento delle università che non può superare la quota del 20 per cento del Fondo di finanziamento ordinario.
(7-00946) «Tocci».


      La IX Commissione,
          premesso che:
              la legge 29 luglio 2010, Disposizioni in materia di sicurezza stradale, all'articolo 25, comma 2, dispone che un decreto interministeriale provveda alla definizione delle modalità di collocazione e uso del dispositivi o mezzi tecnici di controllo, finalizzati al rilevamento a distanza delle violazioni delle norme di comportamento di cui all'articolo 142 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n.  285, specificando che «fuori dei centri abitati, non possono comunque essere utilizzati o installati ad una distanza inferiore ad un chilometro dal segnale che impone il limite di velocità»;
              nell'articolo succitato non viene fatto alcun distinguo fra le diverse modalità di effettuazione del rilevamento dell'illecito: con postazione mobile presidiata o con postazione fissa, e pertanto l'indicazione della distanza chilometrica fra il segnale e il dispositivo non sembra in alcun modo correlata ai diversi tipi di postazione di rilevamento;
              in riferimento al controllo e rilevamento della velocità, la circolare del Ministero dell'interno del 29 dicembre 2010, ha precisato che «nel caso in cui, lungo il tratto oggetto del controllo, siano presenti intersezioni stradali che, ai sensi dell'articolo 104 del regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada, impongono la ripetizione del segnale stradale stesso, la predetta distanza deve essere calcolata dal segnale con il quale viene ripetuto il limite di velocità dopo l'intersezione»;
              una successiva circolare del Ministero dell'interno, datata 12 agosto 2010, ha ritenuto di dover fornire indicazioni operative ed applicative in riferimento alla norma sugli apparecchi di controllo della velocità specificando che «la previsione normativa intende riferirsi unicamente ai casi in cui i dispositivi siano finalizzati al controllo remoto delle violazioni e cioè siano collocati ai sensi dell'articolo 4 della legge 168 del 2002 e, perciò, non riguarda i casi in cui l'accertamento dell'illecito sia effettuato con la presenza di un organo di polizia stradale»;
              la disposizione di cui all'articolo 4 del decreto-legge 20 giugno 2002, n.  121, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 agosto 2002, n.  168, non sostituisce le norme generali del codice della strada in materia di accertamenti degli illeciti, ma piuttosto le integra, prevedendo una procedura speciale per le attività di controllo e di accertamento delle violazioni realizzato anche senza il diretto intervento di un operatore di polizia stradale ed introducendo un'espressa eccezione al principio della contestazione immediata in casi particolari;
              l'interpretazione fornita dalla circolare ministeriale non sembra in linea con l'interpretazione letterale della normativa vigente, e pertanto genera una sorta di confusione sulla legittimità delle eventuali sanzioni comminate, perché non accompagnate da una necessaria ed adeguata conoscibilità del precetto;
              l'intento del legislatore e dell'interrogante è chiaramente quello di agire ai fini della prevenzione e del contrasto dell'eccesso di velocità sulle strade,

impegna il Governo:

          ad intervenire con gli opportuni strumenti, anche di carattere interpretativo e correttivo rispetto a circolari già emanate, per chiarire che la disposizione contenuta nell'articolo 25 della legge 29 luglio 2010, n.  120, relativa alla distanza non inferiore ad un chilometro dei dispositivi di controllo rispetto al segnale che impone il limite di velocità, è applicabile anche ai casi in cui l'accertamento dell'illecito sia effettuato senza la presenza di un organo di polizia stradale;
          ad adottare tutte le opportune iniziative di competenza volte a garantire l'effettiva legittimità del posizionamento dei citati dispositivi nonché a revocare i decreti che autorizzano l'uso e l'installazione degli apparecchi rilevatori di velocità (autovelox) in contrasto con la normativa vigente in materia.
(7-00947) «Crosio, Caparini, Fava, Desiderati, Buonanno, Di Vizia».


      La XI Commissione,
          premesso che:
              esiste una profonda incoerenza tra unità territoriale ed unificazione economica del Paese, in quanto tutti gli indicatori economici hanno confermato che negli ultimi anni il Mezzogiorno è rimasto fermo rispetto al resto del Paese;
              la situazione economica meridionale, resa più drammatica dalla crisi del 2007-2008, precede con tutta evidenza quella crisi, mentre la crescita media del prodotto interno lordo al Sud è stata pari a poco più della metà di quella del Centro-nord;
              il divario può essere analizzato suddividendo gli ultimi centocinquanta anni in distinti periodi: nei primi trent'anni, cioè dal 1861 al 1891, il prodotto interno lordo pro capite del Sud superava o eguagliava quello del Centro-nord alla fine dell'ottocento inizia una chiara divergenza costante di tutte le regioni meridionali dal resto del Paese fino al 1920; dal 1921 al 1940 i divari accelerano e nel periodo bellico le differenze si acuiscono, sempre a svantaggio del Mezzogiorno; la fase che va dal dopoguerra fino allo shock petrolifero, 1973, durante la quale l'intero Paese ha vissuto un momento di crescita, è il principale periodo di convergenza: le regioni del Mezzogiorno si riavvicinano ai livelli medi nazionali; tuttavia, dal 1970 i processi di convergenza appaiono arrestarsi e il divario si riallarga; sebbene nei primi anni del nuovo secolo vi siano deboli segnali positivi, nel 2009 il prodotto interno lordo pro capite del Mezzogiorno è pari al 59 per cento di quello del Centro-nord e nessuna delle regioni del meridionali raggiunge il prodotto interno lordo pro capite medio nazionale;
              l'impostazione e l'andamento attuativo del nuovo «quadro strategico nazionale» 2007-2013 si muovono all'interno di una sostanziale continuità con il precedente periodo di programmazione dimostratosi deludente;
              nel complesso del periodo 1891-2009 l'aumento del divario è attribuibile a una minore dinamica della produttività con conseguente riduzione del tasso di occupazione. Tra il 1951 e il 2009, il costo del lavoro per unità di prodotto è aumentato costantemente al Sud rispetto a quello del Centro-nord;
              nel Meridione la futura uscita dalla crisi, rispetto al resto del Paese, sconta: la debolezza del settore industriale, la sua minore competitività e quindi anche la maggiore pressione concorrenziale originata dalla globalizzazione dei mercati, che influenza maggiormente i settori di specializzazione dell'economia del Mezzogiorno;
              alla luce dei dati e delle considerazioni sopra riportati, si può affermare che per ottenere la crescita al Sud, che porti nel lungo periodo non solo a una riduzione della forbice ma a un'affermazione dell'economia meridionale, occorre una profonda riorganizzazione dei contratti nazionali di lavoro;
              è fondamentale mantenere l'eguaglianza giuridica fra lavoratori di tutto il territorio nazionale, ma nel tempo stesso la parte economica del contratto va collegata strettamente al costo della vita nel territorio. In altre parole, la definizione del salario base deve essere affrontata regione per regione e categoria per categoria, onde tener conto delle differenze;
              per creare attrattività dei territori meridionali, lo Stato deve assicurare la fiscalità di vantaggio, mentre i sindacati dei lavoratori e delle imprese devono dare il loro concreto contributo, rinunciando per un determinato periodo di tempo a parte dell'utile e del salario, ciò consentirà di attrarre capitali e progetti dal resto del mondo;
              l'intervento così delineato darà al Meridione una ritrovata centralità nel Mediterraneo, permettendo l'attuarsi di una politica industriale attiva che sappia interpretare la vocazione del Sud ad uno sviluppo centrato su: risorse naturali, archeologiche e ambientali, fonti energetiche e logistica al servizio della distribuzione della ricchezza che attraversa il Mediterraneo e che va intercettata dal sistema di trasporto intermodale,

impegna il Governo

a promuovere un'incontro tra sindacati dei lavoratori e associazioni imprenditoriali al fine di valutare congiuntamente se sussista una possibilità di intesa per la revisione del contratto nazionale di lavoro nel senso sopraindicato e nello stesso tempo rassicurare le parti sociali in ordine al fatto che il contributo dello Stato in termini di fiscalità di vantaggio sarà realtà nel momento in cui si realizzerà un accordo quadro, che preveda il contributo dell'impresa e dei lavoratori, per rendere competitivi e attrattivi i territori meridionali.
(7-00948) «Miccichè, Misiti, Fallica, Grimaldi, Iapicca, Pittelli, Pugliese, Soglia, Stagno d'Alcontres, Terranova».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
          le previsioni di andamento del reddito nazionale formulate in varie sedi sono significativamente peggiori di quelle contenute nel documento di economia e finanza 2012;
          vanno valutati i riflessi negativi che tali andamenti avrebbero sul già elevatissimo tasso di disoccupazione generale e giovanile in particolare;
          nelle motivazioni del grave declassamento operato da Moody's del debito pubblico italiano si rileva la mancanza di crescita prevista per l'economia italiana;
          dopo aver dato l'impressione di avere valutato in tutta la sua gravità la crisi dell'Eurozona, ancora una volta l'Europa tende a rinviare l'operatività delle decisioni prese dal Consiglio dei Capi di Stato e di Governo;
          per tutte queste ragioni, l'Italia è sostanzialmente sola davanti ai suoi problemi  –:
          quali siano attualmente le valutazioni del Governo sull'andamento dell'economia italiana nel biennio 2012-2013 e se non ritenga di dover aggiornare le indicazioni contenute nel documento di economia e finanza;
          se il Governo intenda adottare iniziative capaci di imprimere un andamento meno negativo all'economia italiana;
          quali siano le misure atte a questo scopo e quale possa essere il diverso profilo congiunturale che tali decisioni possano determinare.
(2-01597) «La Malfa, Brugger».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 30 maggio 2012, l'associazione II Carcere Possibile Onlus ha diramato il seguente comunicato stampa: «Il Carcere Possibile Onlus si rivolge al Ministro della Giustizia affinché il Governo emani immediatamente un decreto-legge per evitare l'ingresso in carcere di persone che potrebbero aver già scontato la pena detentiva. Da tempo si discute su come evitare, negli Istituti di Pena italiani, il fenomeno c.d. ”delle porte girevoli”, che vede l'ingresso in carcere di persone che escono dopo pochi giorni. L'ultima norma c.d. ”svuota carceri” si è basata proprio su tale principio. Tra le cause del fenomeno c’è senz'altro una mancanza di coordinamento tra l'articolo 656 codice procedura penale e l'articolo 54 della legge 26 luglio 1975, n.  354 (Ordinamento Penitenziario), cioè tra l'esecuzione della pena detentiva e la liberazione anticipata, che prevede, in alcuni casi, una detrazione di giorni 45 per ogni singolo semestre di pena scontata. Accade, infatti, che un soggetto che abbia scontato uno o più semestri di pena in regime di misura cautelare (custodia in carcere e/o arresti domiciliari) e si trovi libero o agli arresti domiciliari al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna a pena detentiva, debba necessariamente entrare in carcere per poter ottenere la detrazione prevista, anche se con tale detrazione, egli avrebbe finito di scontare l'intera pena. La ”liberazione anticipata” è istituto che può essere concesso solo dal Magistrato di Sorveglianza che diventa competente dopo l'emissione dell'ordine di esecuzione della pena. L'accertamento operato dal Magistrato per verificare se vi sono le condizioni per concedere il beneficio, comporta, inoltre, un periodo di tempo non breve, durante il quale il soggetto resta in carcere pur avendo, probabilmente, già espiato la pena. Occorre, pertanto, a nostro avviso un'integrazione all'articolo 656 codice procedura penale per modificare tale situazione che incide sul sovraffollamento degli istituti di pena. Integrazione che certamente non influirebbe sulla c.d. ”sicurezza sociale”, in quanto indirizzata a imputati che, in attesa della sentenza definitiva, sono in libertà o posti agli arresti domiciliari dopo la valutazione di un organo giudiziario. Essi potrebbero attendere, nello stesso stato (invece di entrare in carcere), l'esito della valutazione del Magistrato di Sorveglianza sulla richiesta di liberazione anticipata»;
          in particolare, per evitare il fenomeno delle cosiddette «porte girevoli», l'associazione II Carcere Possibile Onlus, invita il Governo ad adottare un decreto-legge composto da un solo articolo. Il seguente: «Proposta di integrazione dell'articolo 656 codice procedura penale. Art. 656 - comma 10-bis. In ogni caso, il Pubblico Ministero verifica se il condannato ha già scontato uno o più semestri di pena detentiva, anche agli arresti domiciliari, e se il residuo di pena da scontare è inferiore o uguale ai giorni che sarebbero detratti, ove venisse concessa la liberazione anticipata prevista dall'articolo 54 della n.  26 luglio 1975, n.  354. In tal caso, sospende l'esecuzione e trasmette immediatamente gli atti al Magistrato di Sorveglianza perché provveda sull'eventuale applicazione della liberazione anticipata. Fino alla decisione il condannato permane nello stato di libertà o detentivo in cui si trova. Il Magistrato di Sorveglianza trasmette immediatamente al Pubblico Ministero la decisione sul provvedimento ex articolo 54 della legge n.  354 del 1975. Il Pubblico Ministero, riformulato il calcolo della pena residua, dichiara la pena totalmente espiata o pone in esecuzione l'ordine di carcerazione. La richiesta, inviata al Ministro della Giustizia, è accompagnata da ”considerazioni in diritto”, dalle quali emerge non solo l'applicabilità della norma, ma anche la sua necessità in base al principio rieducativo della pena, al principio della ragionevole durata del processo e a quello del corretto e, buon andamento della Pubblica Amministrazione»  –:
          se il Governo non intenda assumere un'iniziativa normativa urgente volta a modificare l'articolo 656 del codice di procedura penale così come indicato nella proposta elaborata dal Carcere Possibile Onlus. (5-07362)


      TOUADI e MELIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 maggio 2008 il Governo ha dichiarato lo stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità rom e sinti nel territorio delle regioni Campania, Lombardia e Lazio;
          con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 maggio 2009 viene prorogato fino al 31 dicembre 2010 lo stato di emergenza, che si estende, inoltre, anche al territorio delle regioni Piemonte e Veneto. A giustificazione di ciò vi sarebbero le segnalazioni provenienti dalle prefetture di Torino e Venezia, dalle quali è emersa analoga situazione di criticità nel territorio delle regioni Piemonte e Veneto, in relazione alla presenza di numerosi cittadini extracomunitari irregolari e nomadi stabilmente insediatisi nelle aree urbane e tale situazione richiedere l'urgente adozione di misure di carattere eccezionale;
          successivamente, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 dicembre 2010 i poteri straordinari legati all'emergenza sono stati prorogati fino al dicembre del 2011. Allo stato, dunque, i prefetti del Lazio (dunque anche il prefetto di Roma), della Campania, della Lombardia, del Piemonte e del Veneto sono in possesso dei poteri straordinari previsti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del maggio del 2008;
          con le ordinanze del Presidente del Consiglio dei ministri n.  3676, 3677, 3678 del 2008 sono stati nominati commissari delegati per fronteggiare l'emergenza nomadi i prefetti di Napoli, Roma e Milano. I compiti delegati sono:
              a) definizione dei programmi di azione per il superamento dell'emergenza;
              b) monitoraggio dei campi autorizzati in cui sono presenti comunità nomadi ed individuazione degli insediamenti abusivi;
              c) identificazione e censimento delle persone, anche minori di età, e dei nuclei familiari presenti nei luoghi di cui al punto b), attraverso rilievi segnaletici;
              d) adozione delle necessarie misure, avvalendosi delle Forze di polizia, nei confronti delle persone di cui al punto c) che risultino o possano essere destinatarie di provvedimenti amministrativi o giudiziari di allontanamento o di espulsione;
              e) programmazione, qualora quelli esistenti non riescano a soddisfare le esigenze abitative, della individuazione di altri siti idonei per la realizzazione di campi autorizzati;
              f) adozione di misure finalizzate allo sgombero ed al ripristino delle aree occupate dagli insediamenti abusivi;
              g) realizzazione dei primi interventi idonei a ripristinare i livelli minimi delle prestazioni sociali e sanitarie;
              h) interventi finalizzati a favorire l'inserimento e l'integrazione sociale delle persone trasferite nei campi autorizzati, con particolare riferimento a misure di sostegno ed a progetti integrati per i minori, nonché ad azioni volte a contrastare i fenomeni del commercio abusivo, dell'accattonaggio e della prostituzione;
              i) monitoraggio e promozione delle iniziative poste in essere nei campi autorizzati per favorire la scolarizzazione e l'avviamento professionale e il coinvolgimento nelle attività di realizzazione o di recupero di abitazioni;
              l) adozione di ogni misura utile e necessaria per il superamento dell'emergenza;
          con le ordinanze 3751 del 1° aprile 2009 e n.  3764 del 6 maggio 2009, al fine di favorire il rapido espletamento degli interventi previsti per il superamento dello stato di emergenza e, sempre, al fine di assicurare il necessario supporto giuridico da porre in essere per il superamento dell'emergenza, si è conferita la possibilità ai commissari delegati di avvalersi di uno specifico contingente di personale e di avvalersi rispettivamente di un consulente, scelto tra gli avvocati dello Stato o tra i magistrati amministrativi, cui riconoscere un'indennità mensile onnicomprensiva, ad eccezione del solo trattamento di missione, pari al 20 per cento del trattamento economico in godimento;
          con ordinanza di protezione civile n.  3792 del 24 luglio 2009 i commissari delegati, ove ritenuto indispensabile, sono autorizzati a derogare:
              a direttive comunitarie;
              alla direttiva del Presidente del Consiglio in materia di protezione civile in relazione all'attività contrattuale riguardante gli appalti pubblici di lavori, di servizi e di forniture di rilievo comunitario;
              agli articoli 53 (tipologia e oggetto dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture) e 93 (livelli della progettazione per gli appalti e per le concessioni dei lavori) del decreto legislativo n.  163 del 2006 e successive modificazioni ed integrazioni (codice dei contratti pubblici)   –:
          quali siano gli orientamenti del Governo in merito alla richiesta di ulteriori poteri speciali da parte del sindaco di Roma, Gianni Alemanno;
          quali iniziative intendano assumere, nell'ambito delle proprie competenze, per assicurare che sull'intero territorio interessato tali poteri vengano effettivamente esercitati al fine di sviluppare un'azione efficace e coerente da parte dei poteri pubblici a tutti i livelli e di porre rimedio alle gravissime problematiche non ancora adeguatamente risolte;
          se non si ritenga urgente attingere al fondo sociale europeo per ottenere le risorse necessarie per tutelare i diritti e garantire l'integrazione socio-abitativa, economica e culturale delle minoranze etniche presenti sul territorio nazionale. (5-07373)

Interrogazioni a risposta scritta:


      GELMINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          il 29 giugno 2012 il Consiglio europeo ha deciso di assegnare a Parigi la sede centrale del tribunale di prima istanza dei brevetti nonché l'ufficio del presidente, decidendo altresì la costituzione di due sedi distaccate, a Londra e a Monaco, con importanti competenze settoriali;
          tale compromesso è di tutta evidenza frutto della volontà di non escludere tutte e tre le principali città candidate, pur configurandosi sin d'ora come un inspiegabile fonte di maggiori costi e complicazioni burocratiche per i soggetti interessati;
          tale decisione ha fatto venir meno ogni residua speranza di poter consentire la riapertura delle candidature a beneficio di quella di Milano, come pure chiesto a più riprese, a nome del governo italiano, dal Ministro Moavero  –:
          quale sia stata l'azione negoziale dell'Esecutivo in tale vicenda, in special modo nella fase finale, e quale sia stata la sua posizione in merito alla soluzione sulla sede adottata dal Consiglio europeo;
          quali siano stati i motivi che hanno indotto il Governo a mantenere il ricorso davanti alla Corte di giustizia dell'Unione europea in merito alla compatibilità del ricorso allo strumento della cooperazione rafforzata in materia brevettuale con il Trattato, pregiudicando così ogni possibilità di prendere in considerazione la richiesta italiana di riapertura delle candidature;
          cosa intenda fare il Governo, di fronte alla situazione creatasi, anche per quanto riguarda la residua possibilità di proporre la città di Milano come sede regionale per i Paesi del Mediterraneo. (4-16962)


      SCANDROGLIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la crisi economica e finanziaria richiede l'ulteriore rafforzamento delle politiche tese a difendere e rilanciare l'economia nazionale, nonché l'individuazione di precise misure e azioni di sistema su cui costruire solidi modelli di riferimento a carattere sociale, economico e finanziario, strettamente connessi alla vita reale ed all'ambiente;
          secondo dati del Censis (luglio 2012), nel 2011 il numero di imprese coinvolte in procedure fallimentari è quasi raddoppiato rispetto al 2007, superando gli 11.000 casi. Tra dicembre 2011 e febbraio 2012 i prestiti bancari alle imprese si sono ridotti di oltre 16 miliardi di euro. E anche gli investimenti produttivi sono scesi di più del 6 per cento nei primi mesi dell'anno rispetto al 2011. La costituzione di nuove imprese rallenta e la disoccupazione, specie quella giovanile, aumenta;
          occorre sostenere nuovi sforzi congiunti tra tutte le istituzioni nazionali impegnate a promuovere processi virtuosi di sviluppo, al fine di creare nel Paese un ambiente più confacente all'imprenditoria;
          la «questione giovanile» – alta disoccupazione, blocco dell'ascensore sociale, sfiducia diffusa – è diventata una grave questione generazionale, urge risposte immediate e non si risolve con provvedimenti settoriali o assistenziali, ma con un'economia più aperta basata sul binomio opportunità-responsabilità;
          la crisi economica e finanziaria ha evidenziato l'importanza del microcredito e più in generale della microfinanza quale insieme di prodotti e servizi utili per aggredire l'emergenza occupazionale e, al contempo, quali strumenti strategici finalizzati a costruire nuovi paradigmi di sviluppo strutturale, in un'ottica di sostenibilità;
          secondo studi del Censis (luglio 2012), il microcredito costituisce un efficace ed essenziale «puntello contro la crisi» per le famiglie e più in generale le persone con difficoltà economiche e prive di garanzie da prestare agli istituti di credito (il 18 per cento della popolazione italiana);
          il microcredito ha dimostrato, sia a livello nazionale che internazionale, di essere un valido strumento di politica economica capace di sostenere l'autoimpiego di categorie di soggetti particolarmente svantaggiati, in primis le donne, i giovani, gli immigrati, persone che a causa della crisi hanno perso il proprio posto di lavoro;
          la strategia della Commissione europea «Europa 2020», che mira ad uscire dalla crisi e preparare l'economia dell'Unione europea ad affrontare le sfide del prossimo decennio, incentiva il sostegno al mercato del lavoro e la lotta alla povertà;
          la comunicazione della Commissione europea al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni «A European initiative for the development of micro-credit in support of growth and employment» (COM(2007) 708 final/2), evidenzia che lo strumento del microcredito può svolgere un ruolo importante nella promozione dell'integrazione sociale, in linea con l'enfasi data oggi alla «flessicurezza», cioè alla combinazione di flessibilità e sicurezza sociale;
          nello stesso documento la Commissione invita gli Stati membri ad adeguare in modo appropriato i quadri istituzionali, giuridici e commerciali necessari per promuovere un ambiente più favorevole al microcredito;
          il programma quadro per la competitività e l'innovazione in Europa (CIP), avendo come obiettivo primario le piccole e medie imprese (PMI), sostiene la necessità di un più facile accesso ai finanziamenti;
          inoltre, la Commissione europea ha sviluppato una complessa strategia in materia di microfinanza, a sostegno della crescita e dell'occupazione, caratterizzata da tre principali iniziative: a) JEREMIE, che consente alle regioni e a tutti gli Stati membri dell'Unione europea di usare parte dei loro fondi strutturali per ottenere strumenti finanziari in supporto delle piccole e medie imprese, b) JASMINE, che fornisce assistenza tecnica alle istituzioni di microfinanza al fine di rafforzarne la capacità operativa, c) PROGRESS, che intende fornire un aiuto finanziario all'attuazione degli obiettivi dell'Unione europea nel settore dell'occupazione e degli affari sociali, attraverso gli strumenti della microfinanza;
          anche il Santo padre, nell'enciclica Caritas in Veritate, cita la microfinanza quale importante strumento di crescita e di sviluppo economico ed umano, anche nei Paesi avanzati, in un momento di impoverimento della società;
          la microfinanza sta progressivamente assumendo un ruolo di rilievo anche all'interno del dibattito politico, economico e sociale italiano. Una pluralità di soggetti – espressione delle istituzioni europee, centrali e locali, del no-profit e del settore privato – a vario titolo competenti in materia di servizi finanziari inclusivi, sono infatti impegnati, ciascuno sulla base delle proprie prerogative, nella promozione o nel sostegno diretto di iniziative microfinanziarie;
          pertanto occorre un'azione capace di mettere a sistema le migliori forze, le professionalità, le politiche pubbliche e le azioni private tese a rafforzare la lotta alla povertà, creando nuove reti di protezione sociale, improntate ad una nuova concezione di welfare;
          il microcredito si colloca tra gli strumenti di welfare moderni, in quanto diretto a promuovere le professionalità e l'impegno, poggiando sulla responsabilità attiva dei soggetti, in linea con quanto enunciato nel libro verde sul nuovo modello di welfare;
          peraltro, mentre la disoccupazione genera evasione fiscale e le iniziative di mero sostegno al reddito non producono nuova ricchezza, il microcredito non solo si basa su sistemi rotativi che consentono la restituzione delle risorse impiegate, ma crea nuove categorie di contribuenti;
          in risposta ad un appello dell'allora segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan ed alle successive risoluzioni dell'assemblea generale dell'ONU che promuovevano il 2005 quale anno internazionale del microcredito, l'Italia ha costituito nell'anno 2004 un comitato 2005 per il microcredito, poi trasformato nel 2006 in soggetto a carattere permanente ed insignito, in ragione del valore particolarmente solidaristico della propria attività, dell'alto patronato del Presidente della Repubblica;
          il Parlamento e i Governi Prodi, Berlusconi e recentemente lo stesso Governo Monti, attraverso una serie di iniziative legislative e regolamentari di seguito ricordate, ne hanno determinato lo sviluppo ed il rafforzamento istituzionale;
          con la legge 24 dicembre 2007, n.  244, articolo 2, commi 185-186-187, il Comitato nazionale italiano permanente per il microcredito ha acquisito lo status giuridico di ente di diritto pubblico (di seguito ente nazionale per il microcredito o anche ente);
          la legge 3 agosto 2009, n.  102, articolo 2, comma 4-bis sottolinea la centralità del microcredito quale strumento anticrisi finalizzato allo sviluppo economico e sociale del Paese e rafforza l'operatività dell'ente anche quale strumento di cooperazione allo sviluppo, in sinergia con il Ministero degli affari esteri;
          ai sensi della legge 12 luglio 2011, n.  106, l'ente nazionale per il microcredito è individuato quale centro nazionale di promozione e coordinamento dei programmi microfinanziari finanziati anche a valere su risorse dell'Unione europea;
          l'ente è stato pertanto individuato quale contact point nazionale per il programma europeo PROGRESS precedentemente richiamato (decisione N. 283/2010/UE del Parlamento europeo e del Consiglio);
          ai sensi della direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 2 luglio 2010 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale n.  220 del 20 settembre 2010) all'ente sono stati attribuiti specifici compiti operativi di promozione, monitoraggio e valutazione di tutte le iniziative italiane di microcredito e microfinanza;
          ai sensi dell'articolo 39, comma 7-bis, della legge del 22 dicembre 2011 n.  214, l'ente nazionale per il microcredito ricopre un ruolo centrale nella gestione operativa delle operazioni di microcredito attivabili a valere sul fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese; in particolare, l'ente stipula «convenzioni con enti pubblici, privati ed istituzioni nazionali ed europee, per l'incremento delle risorse del fondo di garanzia e dei fondi di riserva separati presso il medesimo Fondo»;
          in qualità di organismo intermedio, in considerazione delle proprie caratteristiche di unicità e infungibilità, l'ente è il beneficiario dell'asse B del PON Governance e azioni di sistema obiettivo 1 – convergenza;
          a valere su fonti di finanziamento europee, è in corso di avvio da parte dell'ente un progetto finalizzato a trasferire alla pubblica amministrazione competenze utili ad utilizzare i fondi comunitari per programmare, progettare e realizzare progetti di microcredito e autoimpiego. Si tratta di fondi che attualmente in parte rientrano a Bruxelles per incapacità di spesa. È già stato avviato, inoltre, il progetto di formazione sul microcredito per i servizi per il lavoro e segnatamente per i centri pubblici per l'impiego. Infine, l'ente realizza e promuove, in sinergia col sistema universitario, dottorati, master e corsi executive per quanti operano o intendono operare nel settore;
          a valere su fonti di finanziamento europee, in attuazione della direttiva della Presidenza del Consiglio dei ministri del 2 luglio 2010 di cui sopra, l'ente realizza una puntuale attività di monitoraggio di tutti i progetti di microcredito realizzati sul territorio nazionale, indicandone volumi, default, impatto sul territorio e pertanto evidenziando, in particolare, la capacità degli operatori istituzionali di impiegare le risorse pubbliche;
          conformemente alle proprie attribuzioni, l'ente promuove dei partenariati strategici con le istituzioni pubbliche, il settore privato e le organizzazioni del terzo settore per la realizzazione di attività aventi sia componenti creditizie che tecniche. A tal fine, sono stati siglati diversi protocolli d'intesa che hanno prodotto la realizzazione o la pianificazione di uno sviluppo progettuale;
          in attuazione di quanto disposto dall'articolo 39, comma 7-bis, della legge del 22 dicembre 2011, n.  214, di cui sopra, grazie all'iniziativa e sotto il coordinamento tecnico e operativo dell'ente una pluralità di soggetti pubblici e privati stanno costituendo un fondo di garanzia di circa 9.500.000,00 euro;
          in virtù del proprio status di unicità e di centro nazionale di competenza sul microcredito, a fronte di un milione annuo di euro di risorse spese nel triennio 2009-2011 per il suo funzionamento, l'ente ha sottoscritto una serie di accordi interistituzionali per lo svolgimento di attività rientranti nel PON, per un totale di euro 7.824,249,00. Tali risorse sarebbero diversamente rimaste inutilizzate causando un danno al sistema economico e sociale del Paese e minori entrate per lo Stato;
          per costi di funzionamento pari a 1.000.000 euro l'anno l'ente attrae 8.000.000 di euro l'anno, che generano entrate fiscali pari ad almeno 3.200.000 euro;
          l'ente ha assunto precisi obblighi in sede internazionale, anche nell'ambito della campagna per gli obiettivi del millennio, tra i quali spicca quello di combattere la povertà e la fame;
          attraverso l'ente, l'Italia ricopre oggi un ruolo di primo piano nelle iniziative e nei forum internazionali per il microcredito e la microfinanza. A titolo esemplificativo, l'ente partecipa attivamente al Microcredit Summit Campaign e siede al tavolo dei componenti della prestigiosa European Microfinance Platform;
          quale centro di competenza nazionale, l'ente è inoltre impegnato in sinergia col Ministero degli affari esteri, con accordi di collaborazione con i Governi e i sistemi finanziari in diversi Paesi in via di sviluppo ed economie in transizione;
          l'ente è altresì impegnato insieme al Ministero degli affari esteri in materia di canalizzazione di rimesse (con progettualità che pertanto incideranno su più di 7 miliardi di rimesse che ogni anno partono dall'Italia verso Paesi meno sviluppati), e nella costituzione di un gruppo di lavoro specializzato di supporto al G8;
          l'ente ha ricevuto delle lettere di plauso ed encomio per la qualità della propria performance istituzionale e l'alto valore sociale, economico e morale della propria attività ai più alti livelli istituzionali, da diversi membri del Governo, tra cui il Ministro degli affari esteri Terzi, il sottosegretario di Stato Antonio Catricalà, il sottosegretario del Ministero dello sviluppo economico Vari, nonché dal vicepresidente della Commissione europea Antonio Tajani  –:
          quali siano le ragioni tecniche e finanziarie per cui, attraverso il decreto legge 6 luglio 2012, n.  95, il Governo abbia ritenuto opportuno e conforme ai principi di razionalizzazione della spesa pubblica che dovrebbero guidare la cosiddetta spending review, sopprimere l'ente nazionale per il microcredito, visti i risultati ottenuti e la necessità comunque di dare continuità ad una cooperazione tra famiglia, piccola impresa e credito indispensabile per dare corpo alla ripresa economica, ristoro alla famiglia e alla piccola impresa e risposte al credito negato. (4-16971)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nell'ottobre 2007 l'allora Ministro dell'interno Giuliano Amato ha diffuso la circolare n.  55 avente per oggetto «Matrimoni contratti all'estero tra persone dello stesso sesso. Estratti plurilingue di atti dello stato civile» (Protocollo n.  15100/397/0009861); la circolare è stata inviata in tutti i comuni italiani dando precise disposizioni sulla non trascrizione dei matrimoni effettuati all'estero dalle coppie dello stesso sesso;
          ad avviso della prima firmataria del presente atto, la circolare ministeriale è in netto contrasto con il Trattato di Nizza sulla libera circolazione, con il Trattato di Lisbona sulla lotta ad ogni forma di discriminazione e con la direttiva europea 2004/38/CE, in particolare gli articoli 3, 9, 10 e 33;
          l'articolo 2 del decreto-legge n.  30 del 6 febbraio 2007, che recepisce la direttiva europea 2004/38/CE, cita in modo chiaro il fatto che i «familiari» possono ricongiungersi e vengono definiti come tali anche i «coniugi», ed è fuor di dubbio che il termine si riferisca alla figura del coniuge così come essa è configurata nel Paese in cui il matrimonio tra persone dello stesso sesso è celebrato e che in base alla direttiva stessa deve essere riconosciuto come tale; tale interpretazione è stata sostenuta anche dalla Corte di cassazione (Cassazione Penale Sezione I Sentenza n.  1328 del 19 gennaio 2011), e, più recentemente, dal tribunale civile di Reggio Emilia con ordinanza 1401/2011 depositata il 13 febbraio 2012;
          la circolare Amato del 2007 dal punto di vista del diritto antidiscriminatorio vìola l'articolo 43 del decreto legislativo n.  286 del 1998 (testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero);
          diverse sentenze della Corte di cassazione, in particolare la più recente 4184/2012, hanno esplicitamente escluso che i matrimoni tra persone dello stesso sesso possano dirsi contrari all'ordine pubblico, tale indicazione si ricava anche dalla sentenza 138 della Corte costituzionale, invece la circolare Amato 2007/55 motiva proprio per ragioni di ordine pubblico l'indicazione riguardo la non trascrivibilità dei matrimoni contratti all'estero;
          il Parlamento europeo ha recentemente approvato il rapporto Lechner sulla «giurisdizione, la legge, il riconoscimento e l'applicazione delle decisioni e degli strumenti relativi alla successione e la creazione di un Certificato Europeo di Successione» e del rapporto della deputata Sophie In't Veld sull'eguaglianza, che chiede alla Commissione ed agli Stati membri di «elaborare proposte per il mutuo riconoscimento delle unioni civili e delle famiglie dello stesso sesso»;
          il 14 aprile 2012 l'associazione radicale Certi Diritti, che da anni si batte per il ritiro della circolare Amato, ha mandato una lettera ai membri del Governo, co-firmata oltre che dalla prima firmataria del presente atto anche da Anna Paola Concia, deputata del Pd, Yuri Guaiana, segretario associazione Radicale Certi Diritti, Paolo Patanè, presidente nazionale Arcigay, Paola Brandolini, presidente Arcilesbica, Luca Possenti, vice presidente famiglie Arcobaleno e Rita De Santis, presidente AGEDO, nella quale veniva chiesto ai destinatari di attivarsi per ritirare la circolare Amato 2007/55;
          in risposta a quella lettera il Ministro per i rapporti con il Parlamento con lettera del 15 maggio 2012 (prot. 62-2012) scrisse che aveva ritenuto «di inoltrare la nota di trasmissione al Ministro dell'interno, competente per valutare la richiesta in merito alla circolare Amato n.  55 del 18 ottobre 2007»;
          recentemente il Ministro dell'interno ha fatto sapere per le vie brevi ai rappresentanti della associazione radicale Certi Diritti che la sollecitavano a dare una risposta riguardo alla richiesta di ritiro della circolare Amato, che della questione era stato investito anche un altro Ministro  –:
          quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogai riguardo alle questioni poste in premessa con particolare riguardo agli effetti prodotti dalla circolare Amato 2007 n.  55 rispetto alle leggi citate, alla direttiva europea citata, ai documenti votati dal Parlamento europeo, così come per le diverse sentenze del tribunale di Reggio Emilia e della Corte di cassazione;
          se il Ministro dell'interno non ritenga urgente ritirare la circolare Amato 2007 n.  55 viste le evidenti diverse forme di discriminazione che determina;
          se la questione sia all'attenzione del Ministro dell'interno o se, e in relazione a quali profili, sia trattata anche da altri Ministri;
          se non ritengano che tale circolare Amato possa porsi in netto contrasto con la lotta alle discriminazioni nei confronti delle persone lesbiche e gay e in contrasto con le norme che prevedono la trascrizione dei matrimoni contratti all'estero da cittadini italiani nelle anagrafi dei Comuni. (4-16987)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta scritta:


      BELLOTTI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          in occasione di una visita a Bengasi, nella seconda settimana di giugno, l'interrogante ha potuto incontrare i pescatori italiani di Mazara del Vallo (Trapani) fermati dalle autorità libiche il 7 giugno e tuttora trattenuti nel porto di Bengasi;
          in quei giorni, dopo aver appreso del fermo di alcune barche da pesca con equipaggi italiani da parte delle autorità locali, l'interrogante si è recato immediatamente a Bengasi per incontrare i nostri concittadini e manifestare loro supporto e sostegno, cercando di farsi carico delle loro apprensioni;
          in tale occasione, si è potuto constatare che erano in buona salute e non avevano subito alcun maltrattamento;
          si è successivamente appreso che, dopo un periodo trascorso in carcere a Bengasi, i nostri connazionali sarebbero stati rilasciati;
          è tuttavia importante non trascurare di mantenere la dovuta attenzione sul caso sopra esposto, dato che non è escluso, nonostante il rilascio dei suddetti pescatori, che fatti del genere possano riproporsi;
          è fondamentale inoltre, anche per evitare in futuro problematiche simili a quelle che si sono poste, pervenire ad accordi con il nuovo Governo libico, in modo da consentire una rapida risoluzione in vicende come quelle avvenute nel caso dei pescatori di Mazara del Vallo;
          garantire agli operatori nel settore ittico che esercitano la propria attività nel Canale di Sicilia dei rapporti solidi e di buon vicinato con i Paesi della sponda sud, e in special modo la Libia, sarebbe di stimolo positivo ad un'attività che già versa in una situazione di difficoltà, come quella della pesca  –:
          se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali azioni di propria competenza il Governo intenda attuare per evitare il ripetersi di lunghi fermi come quello cui sono stati sottoposti i pescatori di Mazara del Vallo trattenuti nel mese di giugno dalle autorità libiche;
          se non possano essere stipulati ulteriori accordi tra Italia e Libia per consentire agli operatori nel settore della pesca di esercitare la loro attività in un contesto di piena sicurezza, ottenendo, in caso di un involontario ed occasionale sconfinamento nelle acque territoriali libiche, un rapido rilascio del personale coinvolto. (4-16961)


      DI STANISLAO. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il 19 febbraio 2012 i due militari italiani del Reggimento San Marco, forza di protezione anfibia delle Forze armate Italiane, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone imbarcati in servizio di protezione anti-pirateria, sul mercantile battente bandiera italiana, Enrica Lexie, ai sensi dell'articolo 5 del decreto-legge 12 luglio 2011, n.  107, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 agosto 2011, n.  130 venivano fermati e poi arrestati con l'accusa di omicidio di due marinai del peschereccio indiano St. Anthony;
          attualmente non sono più in carcere, ma rimangono costretti ad una permanenza forzata in balia della giustizia straniera e subendo rinvii del processo ormai non più accettabili e che hanno concretamente solo peggiorato la loro situazione;
          a cinque mesi dall'accaduto la situazione continua ad essere tesa e problematica e non risulta che vengano rispettate le leggi internazionali;
          l'opinione pubblica è stata fortemente scossa e i numerosi appelli e promesse sono rimasti lettera morta;
          è nato anche il gruppo Facebook «Ridateci i nostri Leoni», che conta più di 70.000 iscritti, con l'intento di sensibilizzare ulteriormente i cittadini e le istituzioni sulla vicenda;
          le dinamiche dell'accaduto e l'interpretazione dei fatti data fin dall'inizio dalle autorità indiane sono discutibili ed evidenziano numerosi dubbi ed incongruenze e l'episodio è avvenuto in acque internazionali e pertanto, in base al diritto internazionale, è applicabile la giurisdizione nazionale dello Stato di bandiera;
          in India vige la pena di morte quale condanna per omicidio e va considerato il recente rinvio del processo per il 17 luglio  –:
          quali siano gli sviluppi delle trattative che il Governo italiano ha messo in campo e se e come si stia muovendo affinché si giunga ad una soluzione in tempi rapidi della vicenda, permettendo ai due marò di rientrare in Italia. (4-16975)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


      ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          nel corso di una Conferenza stampa tenuta a Potenza il 6 luglio 2012, Maurizio Bolognetti, segretario di Radicali lucani e componente della direzione nazionale di Radicali italiani ha divulgato un carteggio, iniziato il 24 maggio 2012, tra il comune di Viggiano e l'Eni;
          in base a quanto riferito risulterebbe che l'amministrazione del piccolo centro della Val d'Agri, in merito all'autorizzazione integrata ambientale (rilasciata con la delibera n.  627 del 4 maggio del 2011) e ad alcuni procedimenti di caratterizzazione ambientale, avrebbe lamentato l'assenza di alcuni monitoraggi nei certificati di analisi trasmessi dall'Eni sulle emissioni odorigene;
          in particolare, dall'elenco mancherebbero il metilsolfuro e l'etilsolfuro e in base ai dati trasmessi dall'ENI, relativi ad un arco temporale di 12 mesi, vi sarebbero numerosi superamenti sia di medie orarie, sia di medie giornaliere, degli inquinanti monitorati in continuo dalla stessa Eni;
          i suddetti dati sarebbero stati trasmessi al comune di Viggiano solo da pochi mesi ed il comune avrebbe trasmesso i propri rilievi critici anche ad Arpab e regione Basilicata, sottolineando il possibile danno ambientale determinato dai sopracitati superamenti;
          in sintesi, il comune di Viggiano avrebbe definito abusivi i lavori di manutenzione straordinaria effettuati sull'impianto di recupero di zolfo e avrebbe ordinato all'Eni di sospendere gli stessi;
          l'Eni avrebbe contro argomentato affermando che i lavori non sono da ritenersi abusivi e avrebbe invitato l'amministrazione comunale a ritirare il provvedimento di sospensione. Il DIME comunica inoltre che i lavori di manutenzione straordinari/ordinari erano stati completati proprio pochi minuti prima dell'arrivo del messo comunale;
          a questo va aggiunto il fatto che il comune di Viggiano non risulta aver sottoscritto il «protocollo operativo verifica dello stato di qualità ambientale» allegato alla delibera n.  627 del 2011, avente per oggetto il «procedimento autorizzativo all'ampliamento e all'ammodernamento del centro oli», ritenendo il «piano di monitoraggio» assolutamente inadeguato;
          la firma del Protocollo da parte del comune è un prerequisito previsto tra le prescrizioni contenute nel sopra citato Dgr;
          lo stesso Ministro della salute Balduzzi, nel rispondere all'interrogazione n.  4-13109 a prima firma Elisabetta Zamparutti, ha fatto sapere che da «campioni prelevati da Arpa nel luglio 2011» emergevano «alte quantità di idrocarburi totali»  –:
          quale tipo di informazione sui suddetti sforamenti sia stata assicurata alla popolazione locale in base alla convenzione di Arus e quali eventuali iniziative si intendano promuovere in proposito;
          se e quali iniziative si intendano promuovere presso ENI società a controllo pubblico, perché sia assicurato il rispetto delle corrette procedure di ampliamento;
          di quali ulteriori informazioni disponga il Governo in merito ai fatti riferiti in premessa. (4-16960)


      DI STANISLAO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          nei giorni scorsi è apparso sul sito dell'AgenParl un articolo dal titolo «Pescara: emergenza porto, storia di un dragaggio che non c’è» con un video di testimonianze di alcuni pescatori del posto;
          attualmente il principale problema da affrontare è il mancato dragaggio del porto che sta comportando gravi e notevoli disagi e problemi tanto da far nascere il comitato «Insieme per il porto» costituito da associazioni di categoria, cooperative, sindacati, ed una rappresentanza della marineria pescarese, Confesercenti, Confcommercio, Confartigianato, Cgil, Cisl, Uil e Ugl;
          l'obiettivo del comitato è quello di sensibilizzare l'opinione pubblica e avviare una raccolta firme al fine di far intervenire il Governo sulla questione. L'articolo citato ricostruisce la questione mettendo in evidenza i disagi che devono affrontare i pescatori che non potendo uscire in mare sono bloccati con una perdita di guadagno per le tante imprese a conduzione familiare con un volume di affari che si aggira intorno ai 10 milioni di euro, il dragaggio del porto viene bloccato dalla procura antimafia de L'Aquila in quanto dalle analisi effettuate dal Nucleo operativo ecologico, il nucleo operativo ecologico dei carabinieri, era emersa la presenza di naftalene e Ddt. Nell'articolo appaiono inoltre riscontri negativi da parte dei pescatori sul progetto del nuovo porto ritenuto deleterio e inefficiente tanto che 60 tra armatori e comandanti hanno presentato una contro proposta per un assetto portuale più sobrio che potrebbe essere realizzato con pochi investimenti risolvendo anche il problema della diga foranea;
          inoltre, marittimi e Wwf hanno studiato i documenti e respingono l'ipotesi di deviare il corso del fiume verso la diga foranea perché la foce artificiale è contro natura, bocciano l'idea di portare a nord-ovest la darsena dei pescherecci, perché per rientrare in porto i pescatori avrebbero sempre correnti e venti in senso opposto. Wwf e marineria hanno dubbi anche sui costi stimati intorno ai 120 milioni di euro. Secondo i loro esperti ce ne vorranno almeno il doppio  –:
          se il Governo non ritenga di dover intervenire per risolvere definitivamente la questione del dragaggio del porto di Pescara affinché nell'immediato si intervenga nell'area del molo Nord per rimuovere alghe e pattume, che si sono accumulati generando cattivo odore e creando una situazione a rischio del punto di vista igienico sanitario e si avvii un sistema di dragaggio che ogni anno liberi i fondali del porto canale da sabbia e fango in eccesso. (4-16977)


      PALOMBA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          in data lunedì 25 giugno 2012, alle ore 7:00, presso lo stabilimento della Portovesme srl, localizzato nella zona industriale di Portovesme (CI), veniva rilevata, mediante l'apposito portale radiometrico posto all'ingresso del suddetto stabilimento, una fonte radioattiva proveniente dai contenitori (big bag), che contenevano i fumi di acciaieria (utilizzati quale materia prima nel processo produttivo). Detti materiali, venivano attinti, e trasportati all'interno dello stabilimento, da una nave cargo, proveniente dalla Grecia, ormeggiata nel porto industriale di Portovesme;
          scattato l'allarme, grazie al portale radiometrico sopra citato, gli esperti della stessa società Portovesme srl, con l'utilizzo di due contatori «geiger» portatili, hanno riscontrato che alcuni sacchi di fumi, scaricati all'interno della fabbrica, erano contaminati dal Cesio 137;
          nel frattempo, lo scarico dei fumi di acciaieria dal cargo greco è proseguito regolarmente, ma in altre due occasioni è scattato nuovamente l'allarme radioattività; a quel punto, i responsabili della Portovesme srl, hanno provveduto ad inviare un campione del materiale presso l'università di Cagliari. Anche l'università di Cagliari, dipartimento di fisica, ha confermato la presenza di Cesio 137 con una concentrazione di 3.7 becquerel/gr. Sabato 30 giugno 2012, la nave cargo con il suo carico di fumi di acciaieria, è stata rispedita al porto di provenienza (Grecia);
          il Cesio 137 è un metallo alcalino molto solubile in acqua e chimicamente tossico in piccoli quantitativi. L'impropria manipolazione delle sorgenti di raggi gamma da Cesio 137 può portare al rilascio di questo radionuclide e a malattie o danni da radiazione;
          esiste l'oggettiva suscettibilità degli scarti di acciaieria di essere contaminati da fonti radioattive;
          la società Portovesme srl ha già dovuto far fronte ad emergenze connesse alla presenza di fonti radioattive presenti nei materiali di recupero acquistati dalle acciaierie  –:
          se i Ministri interrogati non ritengano opportuno assumere iniziative per prevedere un rilevatore di radioattività già nella fase di scarico dei materiali che vengono manipolati nel porto industriale di Portovesme (possibilmente installati negli apparati della gru con controllo remoto da parte dell'operatore);
          se ritengano opportuno assumere iniziative per installare o, laddove già presente, attivare un portale radiometrico nei porti dove tali fumi di acciaieria (nella fattispecie i porti di Cagliari e Porto Torres), sempre destinati alla società Portovesme srl, transitano. (4-16981)

COOPERAZIONE INTERNAZIONALE E INTEGRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


      POLLEDRI. — Al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
          in data 22 giugno 2012 è comparso sul sito internet di un parlamentare, quanto segue: «Il Ministero della Cooperazione Internazionale e l'Integrazione, guidato dal Ministro Andrea Riccardi, sta valutando gli strumenti per assicurare un finanziamento di 500.000 euro nel 2013 al fine di sostenere le attività del Programma Speciale delle Nazioni Unite per la Salute Riproduttiva (HRP).»;
          i programmi di salute riproduttiva delle Nazioni Unite perseguono una linea di indirizzo molto articolata che comprende tutte le scelte possibili in materia di procreazione, dalla salute in gravidanza fino all'aborto, dalla lotta alla mortalità materna fino alla contraccezione in tutte le sue forme, dalla sterilizzazione fino alla fecondazione assistita;
          sempre dalla lettura della nota postata sul sito citato si evince che l'impegno politico il Ministro lo aveva assunto come posizione ufficiale, in una sede istituzionale, a nome del Governo italiano: «Si tratta di un'apertura che ho fatto a Ginevra dove ho rappresentato l'Italia presso la sede dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) alla venticinquesima riunione del Comitato di Coordinamento del Programma Speciale delle Nazioni Unite per la Salute Riproduttiva»;
          in data 29 giugno 2012, il quotidiano Il Foglio, in un articolo in cui si raccontava la vicenda, riportava la seguente dichiarazione rilasciata al giornale dall'ufficio stampa del Ministero: «allo stato attuale dei fatti ancora non esiste nessuna decisione del Ministro al riguardo. Il Ministro valuta, di tutte le proposte che arrivano sul suo tavolo, tutte le compatibilità, dal punto di vista finanziario e da quello etico»;
          in data 9 luglio 2012 il quotidiano Avvenire pubblicava una lettera del parlamentare che, confermando la veridicità dell'impegno preso a nome del Governo, spiegava quanto segue: «a Ginevra rappresentavo l'Esecutivo alla venticinquesima riunione del Comitato di coordinamento del Programma speciale delle Nazioni Unite per la salute riproduttiva, come attesta l'invito dell'Organizzazione mondiale della Sanità che ha concordato la mia presenza con il Ministero degli Esteri. È in questa veste che ho ritenuto opportuno chiedere al Ministro Andrea Riccardi la posizione da tenere durante l'incontro. A Ginevra ho dichiarato, come risulta dagli atti della riunione, che il Ministero “sta valutando gli strumenti per assicurare un finanziamento di 500 mila euro nel 2013”»:
          il direttore del quotidiano Avvenire nella sua risposta riferisce che «Il Ministero della Cooperazione internazionale, nei giorni scorsi, ha già fatto sapere che nessun fondo è stato assegnato a questi programmi di pianificazione delle nascite»;
          sempre invece secondo il parlamentare, il Ministro sta valutando «gli strumenti per assicurare il finanziamento», cioè le modalità di erogazione del finanziamento, e non il finanziamento in sé;
          la denatalità in Europa, e soprattutto in Italia, è ormai una emergenza. Entro il 2025 i primi Paesi europei – Italia, Spagna, Germania, Grecia – potrebbero sperimentare l'implosione demografica, ovvero la diminuzione effettiva della popolazione;
          attualmente l'Europa ha un tasso di fecondità medio di 1,4 figli per donna quando il livello di sostituzione – ossia il livello che permette di mantenere l'equilibrio – è di 2,1. L'evoluzione della percentuale di popolazione giovanile sul totale: nel 1950 si attestava su una percentuale del 26,2 per cento della popolazione europea al di sotto dei 15 anni, nel 1975 al 23,7 per cento, nel 2000 si sono ridotti al 17,5 per cento;
          l'Organizzazione mondiale della sanità ha individuato quale obiettivo primario il miglioramento della qualità della vita della madre e del bambino;
          nei Paesi industrializzati, mentre da un lato è aumentata in modo esponenziale la soglia di attenzione in merito agli interventi volti a garantire la tutela socio sanitaria materno-infantile, dall'altro lato e in modo proporzionalmente inverso, sono drasticamente diminuite le nascite;
          è opportuno da un lato concentrare gli sforzi nei Paesi cosiddetti sviluppati in azioni politiche volte a modificare il tasso negativo di natalità dall'altro lato è necessario avviare una politica internazionale capace di estendere anche ai Paesi in via di sviluppo interventi mirati ad una presa in carico della donna e del nascituro;
          gli enormi passi in avanti compiuti dal nostro Paese debbono rappresentare un punto di partenza per avviare anche a livello internazionale una cooperazione diretta alla programmazione politica di interventi volti al raggiungimento di obiettivi finalizzati ad estendere a tutti i Paesi del mondo interventi per promuovere la tutela della salute materno infantile;
          vi è la necessità di aumentare la consapevolezza sull'interesse di promuovere azioni e mobilitare risorse per migliorare la salute riproduttiva in tutto il mondo;
          in alcuni Paesi l'aborto non è considerato soltanto un diritto ma è anche obbligatorio;
          per legge, in Cina dai primi anni Ottanta è entrato in vigore il programma di controllo delle nascite che impone il limite di un solo figlio per famiglia. Il contravvenire a tale disposizione coercitiva è sanzionato con multe di elevata entità, aborto forzato, infanticidio, requisizione dei beni;
          il programma di controllo della nascite dello Stato cinese ha portato a 300 milioni di nascite in meno in 21 anni;
          le Nazioni Unite e la loro agenzia per la questione demografica, l'Unfpa (United nations fund for population activities) hanno perseguito una politica di implicita complicità con il Governo cinese. Nel 1978 l'agenzia delle Nazioni Unite aveva firmato un memorandum d'intesa con la Cina. L'Unfpa ha infatti fortemente contribuito a finanziare la politica coercitiva cinese, le ha garantito supporti tecnici e ha collaborato fornendo le proprie competenze, per esempio nell'organizzazione e nell'analisi dei dati. Ma, peggio di tutto, non ha mai denunciato i responsabili di questa gigantesca violazione dei diritti umani;
          l'Onu, che nel 1983 decide di assegnare il premio per la popolazione a Qian Xinzhong, Ministro per la pianificazione familiare. Il segretario dell'Onu, Perez de Cuellar, alla consegna del premio esprime il suo apprezzamento per la capacità dimostrata dai cinesi di organizzare politiche di controllo della fertilità «su larga scala»;
          il nostro Paese deve essere d'esempio nell'elaborare una linea politica di invito alla vita e deve operare per garantire tutte le condizioni utili ad una crescita della società incentrata sui valori di un umanesimo diffuso. Occorre, quindi, rimodulare l'azione politica sui valori fondanti della vita e della persona umana  –:
          se il Ministro interrogato non intenda chiarire in maniera univoca se effettivamente sia stata comunicata la disponibilità del proprio Ministero a finanziare con 500.000 euro per il 2013 le attività del programma speciale delle Nazioni unite per la salute riproduttiva (HRP), e, nel caso, se intenda procedere con l'erogazione del finanziamento suddetto. (4-16986)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


      MAURIZIO TURCO, FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          sul sito internet del quotidiano La Stampa il 15 luglio 2012 è stato pubblicato un articolo dal titolo «Amianto sui carri armati, il mesotelioma fra i militari» a firma di Massimiliano Peggio in cui è riportato che «(...) c’è un lungo elenco di militari deceduti colpiti da mesotelioma pleurico, nel fascicolo per malattie professionali aperto dal pubblico ministero torinese Raffaele Guariniello, raccogliendo le informazioni tra centinaia di cartelle cliniche in Piemonte e nel resto d'Italia. Sempre l'amianto killer. Questa indagine riguarda gli uomini dell'esercito che prestavano servizio nei settori meccanizzati. Per lavoro, venivano a contatto con mezzi corazzati o carri armati, dotati fino a qualche anno fa di rivestimenti di amianto, oppure allestiti con componenti meccanici ricchi di fibre del minerale, il cui contatto può aver provocato la malattia. L'inchiesta è scaturita dal monitoraggio dell'Osservatorio regionale piemontese sull'amianto, che ha riscontrato un'incidenza anomala di mesotelioma tra i militari deceduti negli ultimi anni o tuttora sottoposti a cure intensive (...) il pm Guariniello (...) si è rivolto alla Commissione parlamentare d'inchiesta sui casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito i militari dell'esercito, istituita presso il Senato della Repubblica. La stessa Commissione che si sta occupando dei soldati colpiti da tumore alla vescica e dei rischi da esposizione all'uranio impoverito, presente nei proiettili utilizzati nelle missioni internazionali (...)»  –:
          se sia a conoscenza dei fatti in premessa e se presso i reparti dell'esercito o delle forze armate siano in uso, o lo siano mai stati, mezzi contenenti sostanze radioattive o fibre di amianto o similari;
          quanti siano i casi accertati di decessi per i fatti riportati nell'articolo in premessa;
          se siano state impartite e, nel caso quali siano, le disposizioni relative all'uso e alla permanenza a bordo dei mezzi militari, quali siano le precauzioni adottate per evitare che il personale militare o civile, che vi è impiegato o è addetto alla loro manutenzione, sia esposto alla possibile contaminazione da radiazioni o da fibre di amianto. (4-16972)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          sul sito www.forzearmate.org è pubblicata una lettera del delegato del consiglio centrale della rappresentanza militare, sezione esercito, Girolamo Poti, in cui tra l'altro si legge «[...] Non ho vergogna ad ammettere che è demagogico pensare che un uomo od una donna a 40 anni di età rinunci alla famiglia, faccia 1800 kilometri, ad esempio, per andare al COIR delle FORZE OPERATIVE TERRESTRI di Verona per poi essere accasermato, in alloggi sicuramente non confortevoli e magari rimettendoci economicamente. Inoltre c’è da chiedersi: è questa una regola che varrebbe per tutti ? C’è disparità di trattamento ad esempio tra i delegati COIR, COCER, delle FORZE ARMATE con le FORZE DI POLIZIA AD ORDINAMENTO MILITARE ? Vorrei avere il privilegio del dubbio a pensare che c’è chi frequenta certi corsi di aggiornamento o simili (ad esempio il corso ISMI) e non sarebbe sottoposto a tale disciplina. Pertanto la soluzione migliore ai presunti costi della rappresentanza è una sola: la sindacalizzazione. Si eviterebbe così il malessere di chi la chiede da anni e costi inutili»;
          con l'accoglimento dell'ordine del giorno n.  9/4865-B/5, a firma degli interroganti, il Governo si è impegnato a dare completa e puntuale attuazione alla legge 12 novembre 2011, 1836, all'articolo 4, comma 98 che stabilisce: «Il personale appartenente alle amministrazioni statali di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165, e successive modificazioni, in occasione delle missioni all'interno del territorio nazionale fuori della sede ordinaria di impiego per motivi di servizio, è tenuto a fruire, per il vitto e l'alloggio, delle apposite strutture delle amministrazioni di appartenenza, ove esistenti e disponibili»  –:
          se il Ministro interrogato abbia già dato puntuale e corretta applicazione alla norma di legge citata in premessa e quindi all'ordine del giorno sopra richiamato e in caso contrario quali siano stati i motivi che l'abbiano impedito e a quanto ammontino i costi sostenuti dal 1° gennaio 2012;
          se c’è disparità di trattamento COIR, COCER, delle Forze Armate con le Forze di Ordinamento Militare;
          se chi frequenta corsi di aggiornamento e simili (ad esempio il corso ISMI) sin sottoposto alla qualora non lo fosse, per quali ragioni. (4-16980)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          la Gazzetta Ufficiale 4a serie speciale n.  99 del 14 dicembre 2001 ha indetto il concorso, per titoli ed esami, per la nomina di 12 guardiamarina in servizio permanente effettivo del ruolo speciale nel corpo di commissariato militare marittimo;
          la sentenza del Consiglio di Stato, sezione quarta, del 6 dicembre 2011, n.  982, ha accolto il ricorso proposto dal signor Daloiso Michele, ha annullato parte della graduatoria ed ha condannato il Ministero della difesa al pagamento delle spese di giudizio e di risarcimento danni per violazione dei princìpi in materia di ammissione ai concorsi pubblici poiché tre concorrenti, risultati vincitori, non avrebbero potuto essere ammessi per mancanza dei requisiti morali di ammissione;
          i tre concorrenti con i ricorsi n.  3904/2012, n.  3907/2012 e n.  3911/2012 hanno proposto la revocazione della sentenza di secondo grado e la sospensione dell'efficacia della stessa;
          le ordinanze del Consiglio di Stato, sezione quarta, del 19 giugno 2012, n.  2355/2012, n.  2356/2012 e n.  2357/2012 hanno respinto le istanze cautelari;
          l'interrogazione a risposta scritta 4-15523 degli stessi interroganti, nonostante ben due solleciti, non ha trovato ancora risposta  –:
          se e quali siano i provvedimenti disciplinari adottati nei confronti dei membri della commissione esaminatrice e se siano state effettuate eventuali segnalazioni all'autorità giudiziaria e alla magistratura contabile;
          se non ritenga doveroso e urgente conformarsi ai dettami dell'alto consesso. (4-16984)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


      MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 36, comma 2, del decreto-legge 4 luglio 2006, n.  223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n.  248, era intervenuto nella controversa questione della nozione di edificabilità di un'area ai fini ICI/IMU e imposte sia dirette sia indirette
          la norma di interpretazione autentica stabilisce che, «un'area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall'approvazione della regione e dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo»;
          in base a quanto stabilito da detta disposizione, un'area ha suscettibilità edificatoria solo se lo strumento urbanistico generale del comune lo prevede ed è il comune stesso che, su richiesta del contribuente, lo attesta;
          una recente sentenza della seconda sezione della commissione tributaria provinciale di Ragusa (numero 295 del 14 maggio 2012) ha stabilito che un terreno deve essere sempre considerato edificabile se chi lo acquista svolge l'attività di imprenditore edile; conseguentemente la compravendita del terreno dà luogo in capo al venditore ad una plusvalenza tassabile ai fini IRPEF;
          il principio espresso dalla sentenza è, quindi, sicuramente in contrasto con le norma in vigore, che espressamente subordina l'edificabilità di un terreno al fatto che lo strumento urbanistico adottato dal comune lo preveda;
          detta sentenza può generare pericolosi precedenti, dal momento che la sola qualifica di imprenditore edile dell'acquirente non può e non deve assegnare, se pur ai soli fini fiscali, al terreno oggetto di compravendita alcuna capacità edificatoria;
          a parere dell'interrogante è necessario un chiarimento del Ministero o dell'Agenzia delle entrate per ribadire quanto già espresso dall'articolo 36, comma 2, del decreto-legge n.  223 del 2006  –:
          se il Ministro intenda chiarire la nozione, ai fini fiscali, di edificabilità di un'area, confermando l'interpretazione già fornita dall'articolo 36, comma 2, del decreto-legge n.  223 del 2006. (4-16964)


      DI STANISLAO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          una recente agenzia dell'AgenParl ha raccolto l'appello di Confindustria Abruzzo circa le frequenti interruzioni di energia elettrica senza preavviso che incidono negativamente ed in maniera notevole sulle attività delle imprese;
          la questione coinvolge le aziende industriali in Abruzzo ed in particolare il nucleo industriale de L'Aquila;
          Confindustria Abruzzo da anni segnala il problema senza però alcun intervento risolutore. Dopo aver segnalato all'Autorità dell'energia elettrica ed il gas, ad Enel ed a Terna la grave situazione del territorio, curato una raccolta dati unica in Italia per evidenziare i luoghi più colpiti ed i danni subiti, chiesto incontri e tentato di redigere protocolli per intervenire nei casi più gravi, ancora la situazione è grave e le imprese già fortemente colpite dalla crisi economica faticano enormemente a lavorare in queste condizioni;
          le industrie dell'aquilano, dopo la tragedia del terremoto che le ha colpite non solo materialmente, ma che ha appesantito in maniera drammatica la situazione dal punto di vista economico, sociale e occupazionale hanno denunciato le difficoltà che riscontrano quando improvvisamente la corrente elettrica viene staccata ipotizzando per qualcuna anche un eventuale abbandono dell'insediamento produttivo in questo territorio;
          l'Enel spa è l'azienda principale in Italia e la seconda in Europa tra quelle fornitrici di energia elettrica agli utenti finali attraverso centrali elettriche di produzione e la rete di distribuzione. Tutt'ora il Ministero dell'economia e delle finanze è l'azionista di riferimento  –:
          se il Governo non ritenga di dover intervenire per chiarire la questione citata in premessa e verificare quali siano i motivi per cui si sono verificate interruzioni di energia elettrica nella zona (9 dall'inizio dell'anno) senza alcun preavviso alle industrie minando fortemente la produzione e provocando gravi disagi.
(4-16976)


      LAFFRANCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il piano di riorganizzazione che Poste Italiane ha già inviato all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni rischia di portare alla chiusura di oltre mille uffici postali in tutta Italia;
          qualche giorno fa in proposito Massimo Sarmi, l'amministratore delegato di Poste Italiane ha precisato che il piano non sarebbe definitivo: «Quel report è una lista che siamo obbligati a inviare ogni anno all'autorità di riferimento, cioè all'Agcom. Però sono sportelli effettivamente sotto i parametri di economicità, quindi per non tagliarli stiamo raggiungendo accordi con gli enti locali per trasformarli in centri multi servizi»;
          a quanto pare però la lista ufficiale dei presidi passibili di chiusura entro il 2012 proveniente da Poste italiane è ben più ampia: si tratterebbe di 1.156 uffici postali in tutto il Paese 174 sportelli in Toscana, 134 in Emilia, 100 in Calabria, 96 in Campania. A questi si vanno ad aggiungere 638 sportelli da razionalizzare il che comporterà la riduzione sia degli orari che dei giorni di apertura;
          anche diversi uffici postali della regione Umbria sono finiti in questa sorta di «lista nera» di Poste Italiane. Per la precisione sono cinquanta gli uffici postali umbri presenti nel piano di riorganizzazione che Poste Italiane ha inviato all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;
          gli uffici che sono interessati da una possibile chiusura sono inevitabilmente ubicati nelle frazioni più piccole di molti comuni tra cui Annifo (Foligno), Borgo Cerreto di Spoleto, Castel Rigone (Passignano sul Trasimeno), Colpalombo (Gubbio), Fossato di Vico, Preggio (Umbertide), Spina (Marsciano), Bettona, Sant'Enea (Perugia), Castelnuovo d'Assisi, San Marco di Montefalco, Viole (Assisi), Castiglion Fosco (Piegaro), Castiglion della Valle (Marsciano), Citerna, Ilci (Todi), Petrignano del Lago (Castiglione del Lago), Cesi Paese (Terni), Fabro, Sugano (Orvieto);
          appare evidente che un piano di tale portata non può certo essere portato avanti unilateralmente dall'azienda, anche perché comporta, oltre che un drastico calo dei servizi forniti, in particolare in zone come quelle delle frazioni e dei piccoli comuni già tendenzialmente carenti di una rete di servizi adeguata, anche un numero elevato di potenziali esuberi;
          non a caso l'Anci, l'Associazione nazionale dei comuni italiani, ha precisato che ogni iniziativa deve avvenire «in collaborazione con gli enti interessati», e non unilateralmente, mentre tutti i sindacati del settore, hanno annunciato la loro netta contrarietà; sul tavolo della trattativa ci si sarebbero infatti ben 1.763 esuberi nel settore «recapito»;
          in questi mesi la crisi economica che il Paese sta vivendo si è tradotta in una serie di iniziative che hanno avuto ed hanno un peso enorme sulla vita dei cittadini italiani; purtroppo tale peso si scarica, in particolare, sulle fasce più deboli della società, ed anche il piano presentato da Poste dimostra questa tendenza;
          nell'ottica di una necessaria e comprensibile razionalizzazione della spesa non si possono colpire però servizi essenziali destinati a fasce della popolazione che già vivono e sopportano disagi considerevoli, non si può legittimare una distinzione tra cittadini italiani di seria A e di serie B che vivono nelle frazioni o nei piccoli comuni e già scontano un'inefficienza cronica di servizi, mentre proprio in questa direzione sembra muoversi il piano di razionalizzazione presentato da Poste;
          dopo la riforma delle pensioni e del lavoro non si può continuare a concentrarsi sulle solite categorie: pensionati, lavoratori, piccoli risparmiatori, frazioni, piccoli comuni, sono stati e continuano ad essere colpiti quasi fossero loro e solo loro a dover pagare il costo della crisi;
          a quanto si apprende, la lista presentata dalle Poste è basata sul rapporto di calcolo tra costi/ricavi effettuato per ogni singolo ufficio postale; ebbene è necessario intervenire perché in questo rapporto sia inserita un'altra variabile, il servizio, tanto più qualificante quanto più si effettua in situazioni e contesti periferici che più ne hanno bisogno; gli uffici individuati possono anche essere anti-economici sulla carta, ma sono indispensabili perché situati in zone impervie;
          è necessario dunque riflettere con attenzione sui criteri che guidano e guideranno il processo necessario di spending review perché se lo si baserà solo sui principi economici si rischia la rottura del tessuto sociale del Paese; serve equità che per essere ottenuta deve essere fondata anche sull'utilità reale del servizio offerto e sulle condizioni in cui questo viene reso; se questi due parametri non verranno considerati sarà la parte più debole della popolazione italiana a pagare ancora una volta da sola il prezzo della crisi;
          il bilancio di Poste italiane non sembra giustificare un intervento come quello proposto. Il gruppo, nel 2011, ha realizzato un risultato operativo e di intermediazione di 1.641 milioni di euro (1.870 milioni di euro nel 2010) e un utile netto di esercizio di 846 milioni di euro (1.018 milioni di euro nel 2010), mentre la capogruppo ha realizzato un risultato operativo e di intermediazione di 1.402 milioni di euro (1.452 milioni di euro nel 2010) con utili per 699 milioni di euro (729 milioni di euro nel 2010);
          nel 2011 il gruppo Poste italiane ha conseguito ricavi totali per 21.693 milioni di euro registrando una flessione dello 0,7 rispetto al 2010 (21.837 milioni di euro di ricavi totali nel 2010) per effetto principalmente del fisiologico calo dei ricavi da mercato del settore postale e della riduzione della componente delle cosiddette partite da Stato per integrazioni tariffarie, in parte compensati dai maggiori proventi realizzati nell'ambito dell'operatività finanziaria e assicurativa;
          i servizi finanziari hanno contribuito alla formazione dei ricavi totali per 5.003 milioni di euro (4.946 milioni di euro nel 2010) e i servizi assicurativi sono passati da 11.206 milioni di euro del 2010 a 11.278 milioni di euro nel 2011, pur in presenza di un mercato assicurativo che ha fortemente risentito delle conseguenze della crisi economica e finanziaria in atto e che ha visto un'inversione del trend di crescita conseguito nel corso biennio precedente. In tale contesto, Poste vita ha conseguito un importante risultato, con 9.526 milioni di euro di premi emessi (9.505 milioni di euro nel 2010) a livello di consolidato e al netto dei premi ceduti in riassicurazione;
          Poste spa è società interamente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze  –:
          se non ritenga necessario intervenire con la massima celerità affinché sia fatta chiarezza sulla reale volontà della società medesima in relazione al piano di riorganizzazione che Poste italiane ha già inviato all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, e se non ritenga necessario che tale piano non sia basato esclusivamente sul rapporto tra costi/ricavi effettuato per ogni singolo ufficio postale ma anche sulla constatazione della sua utilità sociale.
(4-16983)

GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
          la legge 14 settembre 2011, n.  148, di conversione del decreto-legge n.  138 del 13 agosto 2011, conferisce al Governo la delega per l'adozione di decreti legislativi volti a riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza, tenendo conto dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro, e di altri criteri oggettivi e omogenei;
          la razionalizzazione della allocazione degli uffici giudiziari non può che essere obiettivo condivisibile, nell'ottica della efficienza della giurisdizione e delle esigenze di economicità;
          appare però non sufficientemente adeguato il richiamo alla dimensione provinciale come primario criterio di permanenza dei presidi giudiziari visto che le attuali province italiane presentano caratteristiche molto diversificate tra loro se si pensa alle dimensioni geografiche, alle connotazioni orografiche, alla loro consistenza demografica, alla domanda di giustizia, ai sistemi di viabilità, agli edifici già esistenti e destinati alla giurisdizione;
          la presenza del tribunale, in molti contesti territoriali, non risponde solo alla funzione di amministrazione della giustizia, ma rappresenta un segno tangibile della presenza dello Stato, efficace rassicurazione alla domanda di legalità e tutela della società civile, costituendo un fattore stabilizzante della comunità e degli interessi economici, sociali e politici;
          i tribunali rappresentano in molte parti d'Italia, e in particolar modo al sud, una cultura preventiva e giudiziaria al fine di contrastare il fenomeno della criminalità;
          l'amministrazione della giustizia non va affrontata con tagli lineari e proporzionali, ma piuttosto essere, in particolar modo al Sud, incentivata al fine di garantire qualsiasi forma di sviluppo e di tutelare il principio di diritto di prossimità della giustizia, il quale può essere realmente garantito solo ed esclusivamente con la permanenza sul territoriodi un tribunale o di una sezione distaccata  –:
          quale sia stato l'orientamento del Governo sulla riorganizzazione degli uffici giudiziari;
          se il Ministro, nell'ambito della ristrutturazione degli uffici giudiziari prevista, abbia ritenuto di tenere conto della necessità di una applicazione diversificata, in relazione alla diversa efficienza, produttività dei tribunali operanti sul territorio, considerando anche le conseguenze negative, in termini di economicità, legalità e sicurezza;
          se il Ministro, prima di procedere alla soppressione di una sede di giustizia di prossimità, abbia valutato attentamente il livello di carico di lavoro che essa assolve e considerato se la sua ubicazione è strategica in termini di facile fruibilità da parte dei cittadini e degli addetti ai lavori, altrimenti costretti a sopportare un aggravio economico per le spese di viaggio per raggiungere il capoluogo di provincia;
          quali vantaggi si ritenga che possano derivare al Paese da tale paventata aggregazione, atteso che essa certamente determinerà, in moltissimi casi, oltre al disagio della cittadinanza e degli addetti ai lavori, un aggravio di costi in contrasto assoluto con gli obbiettivi della riforma.
(2-01598) «Vitali, Torrisi, Catanoso, Cassinelli, Scelli, Lisi, Galati, Traversa, Antonino Foti, Golfo, Santelli, Dima».

Interrogazione a risposta orale:


      COSTA, SISTO, TOCCAFONDI, VELLA, IANNARILLI, DI CATERINA e GIOACCHINO ALFANO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          sulla edizione on line della rivista Tempi in data 11 luglio 2012 è stata pubblicata una lettera «venticinquesima», inviata alla stessa rivista da Antonio Simone, detenuto da tre mesi nel carcere di San Vittore a Milano;
          in tale missiva Simone dichiara «sono in carcere da tre mesi perché per i PM non dico “tutto”, cioè non confermo le loro ipotesi accusatorie...sono istigato continuamente a dire il falso (cioè che ho corrotto qualcuno)...La mia vita resta l'ultima arma disponibile per denunciare i metodi staliniani di odio politico che i PM usano in questo caso. Tutto questo perché non accuso Formigoni, né Lucchina e altri funzionari della sanità?»;
          tali preoccupanti, se non inquietanti, affermazioni dettagliate mostrano, nella lettera del Simone, uno spaccato incompatibile con le più elementari regole del processo e della giustizia penale;
          è pertanto necessario verificare la fondatezza di tali affermazioni per evitare anche il rischio più remoto che si possa riproporre, a venti anni di distanza da «Mani pulite», il fenomeno dell'uso della custodia cautelare in carcere come strumento deviante di acquisizione della prova  –:
          se il Ministro interrogato intenda assumere tutte le iniziative del caso, non esclusa una ispezione, ai fini dell'eventuale esercizio di tutti i poteri di competenza, e quali siano i dati relativi al numero ed alla durata dei procedimenti di custodia cautelare in carcere anche in riferimento agli esiti finali dei procedimenti giudiziari.
(3-02391)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 27 giugno 2012 sul Corriere Veneto è apparso un articolo intitolato: «Inquinamento, udienza nel 2013 ma i reati saranno tutti prescritti»;
          alla luce dei contenuti allarmanti contenuti nel citato articolo di giornale, la prima firmataria del presente atto ritiene opportuno riportarne integralmente il contenuto: «Venezia – Alla data del dibattimento in aula, nel gennaio 2013, i reati saranno già tutti caduti in prescrizione. Il processo in questione è quello nei confronti di Fabrizio Cappelletto (che aveva poi patteggiato), e altri, imputato per reati ambientali (l'utilizzo di cemento, tossico, ricavato da fanghi industriali non adeguatamente trattati sulla tratta della linea ad alta velocità in costruzione ad Arino di Dolo) riconducibili alla Ditta C&C di Malcontenta e Pernumia e condannato in primo grado insieme ad altri nel 2009. I reati per cui è stato condannato, però, al momento del dibattimento di secondo grado in Corte d'Appello, saranno già prescritti. La segnalazione diretta al Presidente del Tribunale di Venezia Arturo Toppan, arriva dall'avvocato Elio Zaffalon, legale della parte civile del Comune di Monselice che parla di totale impunità per fatti pur gravissimi di inquinamento ambientale. Nella pratica secondo l'avvocato a determinare la situazione sono stati dei ritardi burocratici. Primo fra tutti quello connesso alla notifica agli imputati e ai responsabili civili della sentenza di primo grado, per cui la cancelleria avrebbe impiegato quasi due anni. Ma neppure quando il fascicolo è arrivato in Corte d'Appello, secondo l'avvocato le tempistiche non sono affatto cambiate. L'udienza è stata fissata infatti solo dopo un sollecito scritto, per lunedì scorso (25 giugno 2012), tenendo conto della scadenza della prescrizione, in agosto 2012, essendo stato il sequestro preventivo degli impianti eseguito nel febbraio 2005. Durante l'udienza, le difese hanno però eccepito l'omessa notifica degli appelli alle parti civili, e il dibattimento è stato allora rinviato (la corte ha ordinato la restituzione degli atti al tribunale per l'effettuazione delle notifiche mancanti) al 28 gennaio 2013, data in cui però, tutti i reati saranno prescritti. Le disposizioni civili, invece saranno ineseguibili per la nullatenenza degli imputati e dei responsabili civili. Quindi, nella pratica, non saranno perseguibili. Una situazione, questa, secondo l'avvocato, di incuria pesante, tale da non poter essere ignorata»  –:
          se i fatti riportati in premessa corrispondano al vero;
          quali urgenti iniziative il Ministro interrogato intenda adottare al fine di verificare la correttezza sotto il profilo disciplinare delle condotte dei magistrati che – in primo grado ed in appello – si sono dedicati a questa vicenda, nonché dei funzionali di cancelleria responsabili della notifica della sentenza di primo grado agli imputati e alle parti civili. (5-07333)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo notizie diffuse dalla stampa Giampiero Converso, quarantatreenne di Corigliano Calabro ed ex collaboratore di giustizia, si sarebbe suicidato la sera di giovedì 21 giugno 2012 nel carcere di Busto Arsizio inalando il gas di una bomboletta nel bagno della sua cella;
          secondo l'Osservatorio permanente sulle morti in carcere di Ristretti orizzonti – che ricorda come Giampiero Converso avesse testimoniato nel processo «Santa Tecla» e sui rapporti della ’ndrina di Corigliano Calabro – esiste «qualche dubbio» sul fatto che Giampiero Converso sia morto per un «incidente» occorsogli mentre sniffava gas per sballarsi tanto più che «dai documenti giornalistici esaminati non risulta fosse tossicodipendente»;
          l'Osservatorio permanente sulle morti in carcere di Ristretti orizzonti precisa: «Non è compito nostro fare ipotesi “investigative” e sicuramente ci saranno tutti gli accertamenti del caso da parte degli organi giudiziari e amministrativi competenti. Invece è compito nostro tenere sempre alta l'attenzione sulle condizioni di vita e sulle troppe morti che avvengono nelle carceri del nostro Paese: dal 2000 ad oggi, 2.012 decessi, di cui 717 per suicidio. Da inizio giugno 6 decessi, di cui 2 per suicidio e 3 per “cause da accertare”»;
          l'Osservatorio permanente sulle morti in carcere di Ristretti orizzonti, nel riscostruire la vicenda di collaboratore di giustizia di Giampiero Converso fa presente che la collaborazione iniziò il 22 settembre 2004 mentre egli era detenuto in carcere; Converso allora spiegava «d'essersi pentito perché temeva d'essere assassinato, “Lo capii da una serie di sguardi e poi fu Arcangelo Conocchia (altro imputato di ‘Santa Tecla’) a dirmi, mentre eravamo detenuti insieme, di stare attento, di non accettare passaggi in auto e di non andare ad appuntamenti. Successivamente, quando venni rimesso in libertà, appresi che era partita da due boss detenuti nel carcere di Siano a Catanzaro l'imbasciata di farmi fuori”» (Fonte: www.sibarinet.it, 21 novembre 2011);
          anche il sito www.coriglianocalabro.it, avanza qualche dubbio nel titolo del pezzo di cronaca: «MORTO IN CARCERE L'EX PENTITO GIAMPIERO CONVERSO. SUICIDIO O ALTRO ?»; inoltre scrive: «La morte dell'ex collaboratore di giustizia (difeso in questi anni dall'avv. Mario Migliano del foro di Paola) sarebbe avvenuta giovedì sera, ma la notizia si è diffusa solo nella tarda mattinata di ieri. Converso che viene descritto come tossicodipendente potrebbe anche essere morto perché colto da malore provocato da altra causa. In proposito crediamo che maggiori informazioni si dovrebbero conoscere nei prossimi giorni anche perché l'autorità inquirente ha stabilito che questa mattina (23 giugno N.d.R.) sarà effettuata l'autopsia sul corpo dell'uomo. Giampiero Converso, era rinchiuso nel carcere di Busto Arsizio dal gennaio del 2010 per i reati di rapina e ricettazione legati alle operazioni della DDA di Catanzaro, denominate Big Pire e Set Up, e avrebbe finito di scontare la pena nel 2013. Giampiero Converso, “picciotto” arruolato alla fine degli anni ’80 dal clan un tempo guidato da Santo Carelli, aveva scelto infatti di collaborare con la Giustizia. Il pentimento risale al 22 settembre del 2004 anche se i primi verbali contenenti le confessioni del nuovo pentito sono stati depositati dal PM antimafia Vincenzo Luberto nel maxiprocesso “Set up” nel 2007. Converso, infatti, è stato chiamato più volte a deporre di fronte ai giudici. “Sono stato battezzato – rivelava l'ex picciotto – nel 1989 e portavo in copiata Santo Carelli”»  –:
          se e come, il giorno del suicidio, fosse garantita la sorveglianza all'interno dell'istituto di pena in questione e se da parte dell'area sanitaria del carcere fosse stata certificata o meno la condizione di tossicodipendente del detenuto suicida;
          quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come seguissero la vicenda di Giampiero Converso;
          quali precauzioni siano state poste in essere da parte della direzione del carcere in considerazione dello status di collaboratore di giustizia del detenuto;
          con chi dividesse la cella e di quanti metri quadrati disponesse il detenuto morto suicida;
          se il detenuto morto suicida fosse alloggiato all'interno di una cella rispondente a requisiti di sanità e igiene;
          se nel corso della detenzione il detenuto fosse stato identificato come potenziale suicida e, in questo caso, se fosse tenuto sotto un programma di osservazione speciale;
          quali siano le condizioni umane e sociali del carcere di Busto Arsizio, in particolare se non ritenga di assumere sollecite, mirate ed efficaci iniziative, anche a seguito di immediate verifiche ispettive in loco, volte a garantire il rispetto della Costituzione, della legge e dei regolamenti, ampliando la dotazione del personale di polizia penitenziaria e di quello addetto ai servizi. (5-07336)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa AGI dello scorso 23 giugno, una detenuta madre di due figli in tenera età si è tolta la vita in carcere, precisamente nel reparto giudiziario della sezione femminile del carcere di Firenze Sollicciano dove la giovane si è impiccata alle sbarre della sua cella;
          la notizia è stata resa nota da Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, il quale ha detto: «È l'ennesima triste notizia che di troviamo a commentare. Il suicidio in carcere è sempre, oltre che una tragedia personale, una sconfitta per lo Stato» secondo il sito internet Firenze Today, «l'estremo gesto della 36enne, madre di due bimbi piccoli, tossicodipendente, è avvenuto mentre le altre detenute stavano seguendo una rassegna cinematografica»;
          sempre secondo Firenze Today la donna «era in carcere dal gennaio scorso e ci sarebbe dovuta rimanere fino al gennaio 2013»  –:
          se il Governo non intenda urgentemente attuare iniziative di competenza per capire, anche attraverso l'avvio di un'indagine interna, se vi siano responsabilità nella morte della detenuta avvenuta nel carcere di Sollicciano;
          in particolare, se non intenda verificare se ed in che misura la detenuta morta suicida disponesse di un adeguato supporto psicologico in considerazione della sua condizione di tossicodipendente; quali contatti avesse la donna morta suicida con i suoi figli minori;
          se, in considerazione dei pochi mesi di pena da scontare, la donna avesse avanzato istanza ai sensi della legge n.  199 del 2010 e, in caso affermativo, da quanto tempo; oppure, se avendo avanzato l'istanza, questa fosse stata respinta dal magistrato di sorveglianza e con quali motivazioni;
          se si ritenga necessaria e indifferibile, proprio per garantire i diritti fondamentali delle persone, la creazione di un «osservatorio» per il monitoraggio delle morti che avvengono in situazioni di privazione o limitazione della libertà personale, anche al di fuori del sistema penitenziario, osservatorio in cui siano presenti anche le associazioni per i diritti dei detenuti e degli immigrati. (5-07337)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 20 giugno 2012 sul sito www.poliziapenitenziaria.it è apparsa la notizia dell'acquisto da parte dell'amministrazione penitenziaria di trenta Land Rover da centomila euro, per una spesa totale pari a tre milioni di euro;
          all'interrogante appare una spesa sconsiderata soprattutto mentre è sotto gli occhi di tutti la grave emergenza che sta vivendo il nostro sistema penitenziario – dal sovraffollamento, alla mancanza di mezzi e di personale, alla carenza dell'assistenza sanitaria e psicologica, passando attraverso lo sfacelo ed il disastro dei mezzi per le traduzioni e per i servizi istituzionali in genere della polizia penitenziaria  –:
          se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
          a cosa servano e come saranno utilizzate le trenta Land Rover appena acquistate;
          in quali luoghi saranno dislocate le autovetture e per quale motivo;
          a chi saranno effettivamente assegnate;
          se corrisponda al vero che una delle Land Rover acquistate sia utilizzata anche da un Sottosegretario del precedente Governo;
          se corrisponda al vero che una delle Land Rover acquistate sia utilizzata anche da «un giovane magistrato in Toscana»;
          se non intenda emanare una nuova circolare che rafforzi il divieto dell'uso delle autovetture di servizio per l'accompagnamento dei dirigenti del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria;
          più in generale, quali misure urgenti intenda realmente attivare per ridurre sprechi all'interno dell'amministrazione penitenziaria. (5-07338)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dal quotidiano Il Tirreno lo scorso 14 giugno, la direzione generale delle risorse materiali, dei beni e dei servizi del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria avrebbe dato disposizione di riaprire, a partire dal 15 giugno 2012, la sezione detentiva «B», un reparto in grado di ospitare circa 100 detenuti;
          secondo i sindacati degli agenti di polizia penitenziaria, alla predetta disposizione non è stata accompagnato alcun incremento di organico del personale sicché ora sarebbero a rischio le ferie degli agenti;
          ed invero già da tempo il reparto di polizia penitenziaria del carcere di Massa è di per sé carente e non potrà dunque sicuramente assolvere agli ulteriori e gravosi impegni lavorativi che ne deriveranno, qualora non venisse integrato, da subito, con un'importante assegnazione di agenti;
          nella casa di reclusione di Massa, a fronte di una pianta organica prevista di 159 unità di polizia penitenziaria, ve ne operano in realtà 125  –:
          per quali motivi sia stata disposta la riapertura della sezione detentiva B del carcere di Massa in assenza di un incremento di organico del personale della polizia penitenziaria;
          in quale maniera ed entro quali tempi intenda risolvere la carenza di personale di polizia penitenziaria del carcere di Massa. (5-07339)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato da un comunicato stampa di Ristretti Orizzonti dello scorso 11 giugno, Simone Milia, 40enne, affetto da HIV, è morto la scorsa notte per arresto cardiaco nella sua cella all'interno del carcere di Genova Marassi;
          secondo Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato autonomo polizia penitenziaria Sappe, «la notizia della morte del detenuto intristisce tutti, specie coloro che il carcere lo vivono quotidianamente nella prima linea delle sezioni detentive, come le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria che svolgono quotidianamente il servizio con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità in un contesto assai complicato per l'esasperante sovraffollamento. Ad esempio proprio a Marassi, alla data del 31 maggio scorso, c'erano più di 800 detenuti stipati in celle realizzate per ospitarne 450 e oltre 130 Agenti di Polizia Penitenziaria in meno rispetto agli organici previsti. Questa ennesima morte di un detenuto testimonia ancora una volta la drammaticità della vita nelle carceri italiane. Nonostante l'Italia sia un Paese il cui ordinamento è caratterizzato da una legislazione all'avanguardia per quanto riguarda la possibilità che i tossicodipendenti possano scontare la pena all'esterno, i drogati detenuti in carcere sono tantissimi. La legge prevede che i condannati a pene fino a sei anni di reclusione, quattro anni per coloro che si sono resi responsabili di reati particolarmente gravi, possano essere ammessi a scontare la pena all'esterno, presso strutture pubbliche o private, dopo aver superato positivamente o intrapreso un programma di recupero sociale. Eppure queste persone continuano a rimanere in carcere. Noi riteniamo sia invece preferibile che i detenuti tossicodipendenti, spesso condannati per spaccio di lieve entità, scontino la pena fuori dal carcere, nelle Comunità di recupero, per porre in essere ogni sforzo concreto necessario ad aiutarli ad uscire definitivamente dal tragico tunnel della droga e, quindi, a non tornare a delinquere. I detenuti tossicodipendenti sono persone che commetto reati in relazione allo stato di malattia e quindi hanno bisogno di cure piuttosto che di reclusione»  –:
          se non ritenga opportuno incoraggiare l'esperienza delle strutture a pena attenuata per il recupero dei detenuti tossicodipendenti, come quella del carcere di Rebibbia, ampliandone il numero e prevedendo un potenziamento di quelle già esistenti. (5-07346)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          un agente di polizia penitenziaria di 35 anni, in servizio nel carcere palermitano dell'Ucciardone, si è infatti suicidato lo scorso 15 giugno nella sua abitazione di Trapani;
          la tragedia è avvenuta a pochi mesi dal suicidio di altri appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria a Formia, San Vito al Tagliamento, Battipaglia e Torino, e prima ancora altri tragici casi sono avvenuti a Mamone Lodè, Caltagirone e Viterbo;
          ed invero dal 2000 ad oggi si sono uccisi circa 100 poliziotti penitenziari, 1 direttore di istituto (Armida Miserere, nel 2003 a Sulmona) e 1 dirigente regionale (Paolino Quattrone, nel 2010 a Cosenza). Da tempo i sindacati della polizia penitenziaria sostengono che bisogna comprendere e accertare quanto abbiano eventualmente inciso l'attività lavorativa e le difficili condizioni lavorative nel tragico gesto estremo posto in essere;
          è stato proprio il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ad accertare che i suicidi di appartenenti alla polizia penitenziaria, benché verosimilmente indotti dalle ragioni più varie e comunque strettamente personali, siano in taluni casi le manifestazioni più drammatiche e dolorose di un disagio derivante da un lavoro difficile e carico di tensioni. Proprio per questo il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria assicurò a suo tempo i sindacati di categoria che avrebbe prestato particolare attenzione al tragico problema, con la verifica delle condizioni di disagio del personale e l'eventuale istituzione di centri di ascolto, ma a tutt'oggi non sono stati colpevolmente attivati questi importanti centri di ascolto  –:
          se siano state avviati accertamenti per risalire alle cause di questo suicidio;
          se risulti esservi connessione diretta o indiretta di questo tragico gesto con le condizioni ambientali e lavorative in cui opera la polizia penitenziaria;
          se non si ritenga di dover assumere iniziative affinché la direzione della amministrazione penitenziaria avvii una immediata consultazione con le organizzazioni sindacali dei lavoratori della polizia penitenziaria al fine di valutare e concordare l'assunzione di immediati provvedimenti atti a scongiurare il ripetersi di tragedie simili. (5-07348)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          qualche settimana fa, a causa del terremoto che ha martoriato l'Emilia Romagna, i 63 detenuti rinchiusi nella casa di lavoro di Saliceta San Giuliano sono stati trasferiti in analoghe strutture a Padova e a Parma;
          la garante regionale per i diritti dei detenuti, Desi Bruno, è recentemente tornata a chiedere la chiusura della casa lavoro di Saliceta atteso che nei fatti il reinserimento sociale degli internati è difficile da raggiungere: i detenuti, infatti, sono lontani dalle loro famiglie e non ci sono spesso neppure progetti di sostegno per inserirli nel mondo del lavoro dopo la detenzione;
          a giudizio della prima firmataria del presente atto, le case lavoro hanno fallito nel loro intento e il terremoto, proprio perché ha sgomberato quegli ambienti, può ora permettere di pensare alla definitiva chiusura della struttura di Saliceta San Giuliano e a un cambiamento di programma. La chiusura renderebbe anche più leggero il lavoro dell'ufficio esecuzione penale modenese e alleggerirebbe i compiti del personale  –:
          se non intenda provvedere alla immediata chiusura della casa di lavoro di Saliceta San Giuliano, o quanto meno, prendere le opportune iniziative per rivedere la sua organizzazione e funzionalità, considerata, allo stato, l'inefficacia risocializzante delle misure di sicurezza personali detentive a cui sono sottoposti gli internati;
          quali misure amministrative intenda assumere, per quanto di competenza, in tempi immediati, al fine di affrontare la condizione di insostenibile disagio, difficoltà e precarietà cui sono sottoposti gli internati trasferiti nelle strutture di Padova e Parma a causa del terremoto.
(5-07350)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa l'11 giugno 2012, Maurizio Foresi, 55 anni, si è tolto la vita nel carcere di Montacuto ad Ancona impiccandosi a un termosifone;
          il detenuto era rinchiuso in una cella della «sezione filtro», insieme ad altri tre compagni: il corpo senza vita è stato ritrovato stamattina;
          l'uomo, affetto da tempo da patologie psichiatriche, anche in carcere era seguito dal servizio psichiatrico dell'Asur  –:
          se e come, il giorno del suicidio, fosse garantita la sorveglianza all'interno dell'istituto di pena in questione e se, con riferimento al gesto del detenuto, non siano ravvisabili profili di responsabilità amministrativa o disciplinare, in capo al personale penitenziario;
          quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Montacuto;
          con chi dividesse la cella e di quanti metri quadrati disponesse il detenuto morto suicida;
          se il detenuto morto suicida fosse alloggiato all'interno di una cella rispondente a requisiti di sanità e igiene;
          se nel corso della detenzione il detenuto fosse stato identificato come potenziale suicida e, in questo caso, se fosse tenuto sotto un programma di osservazione speciale;
          quali siano le condizioni umane e sociali del carcere di Ancona, in particolare se non ritenga di assumere sollecite, mirate ed efficaci iniziative, anche a seguito di immediate verifiche ispettive in loco, volte a garantire il rispetto della Costituzione, della legge e dei regolamenti, ampliando la dotazione del personale di polizia penitenziaria e di quello addetto ai servizi. (5-07352)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato il 4 giugno 2012 dal quotidiano Metropolis web, un detenuto di 41 anni, Nicola Grieco, originario di Paduli (Benevento), è stato trovato morto nella sua cella della sezione penale del carcere di Sulmona;
          da un primo esame del corpo da parte dei medici del carcere, sembrerebbe che a causare la morte dell'uomo sia stato un infarto. Secondo le prime informazioni, il detenuto non soffriva di patologie cardiache. La procura ha disposto l'autopsia che sarà eseguita dall'anatomopatologo Luigi Miccolis;
          il detenuto era stato trasferito nel carcere abruzzese circa un anno fa; all'epoca usufruiva della misura di sicurezza detentiva della casa lavoro. A Sulmona aveva avuto la notifica della sentenza, passata in giudicato, a due anni e due mesi di reclusione per reati contro il patrimonio ed era quindi stato trasferito nella sezione penale dove è stato trovato esanime  –:
          quali siano le cause che hanno provocato il decesso dell'uomo;
          con chi dividesse la cella e di quanti metri quadrati disponesse il detenuto rinvenuto cadavere nella sua cella;
          se il detenuto morto fosse alloggiato all'interno di una cella rispondente a requisiti di sanità e igiene;
          se al momento del decesso all'interno del carcere fosse presente il medico di turno;
          se sia noto se l'uomo soffrisse di patologie cardiache e se in precedenza fosse stato già sottoposto a controlli medici. (5-07355)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          nel febbraio 2011, il signor Angelo Massaro – condannato in primo grado per omicidio premeditato – viene assolto dalla corte di assise d'appello di Taranto;
          avverso la predetta sentenza di assoluzione, la procura generale fa ricorso in Cassazione;
          il processo in Cassazione si celebra il 4 maggio 2012; l'udienza termina alle ore 12.00 circa ed i giudici si ritirano in camera di consiglio per emettere la sentenza di cui danno lettura verso le ore 16.00;
          i giudici di legittimità accolgono il ricorso della procura generale e annullano con rinvio la sentenza di assoluzione;
          il giorno precedente alla celebrazione dell'udienza in Cassazione, ossia in data 3 maggio 2012, sul quotidiano TarantoOggi compare l'articolo di Vittorio Ricapito intitolato: «Delitto di mala, nuovo processo d'appello». L'articolo – che si occupa del processo in Cassazione che sarà celebrato il giorno successivo nei confronti di Angelo Massaro – presenta il seguente incipit: «La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio a nuova udienza davanti alla Corte d'Assise d'Appello la sentenza di assoluzione del febbraio 2011 (...)»;
          il giornalista era dunque a conoscenza della decisione presa dai giudici di legittimità prima ancora che si celebrasse il processo innanzi alla suprema corte;
          il signor Angelo Massaro, nato a Fragagnano (Taranto) in data 17 giugno 1966, ed ivi residente, fino a poco tempo fa si trovava recluso presso la casa circondariale di Melfi (Potenza), mentre ora è stato trasferito presso il carcere di Catanzaro;
          i familiari del signor Angelo Massaro si sono rivolti al Difensore civico dei diritti delle persone private della libertà dell'Associazione Antigone esponendo la seguente situazione del loro congiunto;
          detenuto sin dal 15 maggio 1996, il signor Massaro ha subito diversi trasferimenti, presso la casa circondariale di Foggia, presso quella di Carinola, poi di Taranto e Melfi e da ultimo, come menzionato, nel carcere di Catanzaro;
          salvo un periodo di due mesi trascorso nella casa circondariale di Taranto nel 2008, questi ha sempre trascorso il periodo detentivo lontano dalla residenza familiare;
          tale circostanza e, in particolare, la lontananza dai due figli minori, rispettivamente di 13 e 15 anni, entrambi residenti in provincia di Taranto, implica l'impossibilità di vederli con indubbie conseguenze sia rispetto al recupero e reinserimento sociale del Massaro, sia rispetto alle ripercussioni sullo sviluppo emotivo e relazionale dei bambini;
          l'impossibilità delle visite, e dunque degli spostamenti della famiglia da Fragagnano (Taranto) a Melfi (Potenza) prima ed a Catanzaro ora, oltre ad avere motivazioni economiche (i risparmi della famiglia, infatti, sono stati pressoché tutti impiegati per la vicenda giudiziaria), ha purtroppo anche un'altra ragione da ricercarsi nel cattivo stato di salute di entrambi i figli del detenuto;
          il più piccolo, infatti, soffre di chinetosi e di gravi stati di ansia al punto che, anche nel periodo di assegnazione provvisoria del signor Massaro al carcere di Taranto dal 19 maggio 2008 al 22 luglio 2008, che si trova a soli 15 chilometri dal luogo di residenza della famiglia, lo stesso bambino, nello spostamento per far visita al padre, aveva difficoltà e malori, seppur a fronte di un tragitto limitato;
          le visite specialistiche hanno evidenziato ed attestato l'impossibilità del figlio piccolo a viaggiare (certificato del 24 marzo 2009);
          non è esente da problemi di salute il figlio più grande, colpito da depressione al pari del fratellino sempre a causa della lontananza dal padre, e dal non averlo incontrato per un lunghissimo periodo di tempo, come accertato dal tribunale dei minorenni di Taranto;
          nel provvedimento datato 28 dicembre 2007 del tribunale dei minorenni si stabiliva la necessità di un apporto psicologico da parte dei servizi sociali consultoriali in favore dei figli «(...) in quanto versano in uno stato di depressione a causa dello stato di detenzione del padre che, ristretto in un carcere lontano, non possono incontrare (...);
          il signor Massaro, infatti, dall'aprile 2006 al maggio 2008 si trovava nella casa circondariale di Carinola, e in tal periodo non ha potuto incontrare la sua famiglia per le difficoltà evidenziate: periodo al quale il tribunale dei minorenni fa risalire l'insorgere dei problemi psicologici dei figli;
          allo stato, sono quasi due anni che i figli e la moglie del Massaro non hanno la possibilità di far visita al loro congiunto;
          la grave situazione di salute in cui versano i figli del Massaro, ha creato anche problemi di salute (e in particolare di depressione «secondaria») alla madre, la moglie del signor Massaro, già seriamente provata da tutta la vicenda giudiziaria del marito;
          vi è da segnalare che il signor Massaro, come riportato nelle relazioni di osservazione e trattamento ed anche nelle numerose istanze presentate dallo stesso per il trasferimento presso l'istituto di pena di Taranto – e, in primis, per comprendere le reali motivazioni del suo trasferimento da Taranto a Melfi del 2008 – ha sempre tenuto un comportamento corretto e, in ogni caso, nel pieno rispetto delle regole del carcere di Taranto, nel quale era recluso (come riportato nel rapporto informativo del 5 agosto 2008, inviato dalla direzione della casa circondariale di Taranto all'ufficio di Sorveglianza di Potenza);
          proprio in relazione all'ottimo comportamento avuto durante la reclusione, il detenuto in questione ha ottenuto la concessione della liberazione anticipata per un totale di 1.080 giorni (alla data di aprile 2009) ed ha terminato di scontare il regime di alta sicurezza (A.S.) da quattro anni;
          il magistrato di sorveglianza di Potenza ha negato peraltro i permessi di visita alla famiglia ex articolo 30 della legge sull'ordinamento penitenziario al signor Massaro in quanto, anche in riferimento al figlio più piccolo, il più grave, seppur afflitto da depressione e sofferenza, non verserebbe in pericolo imminente di vita, né di situazione di eccezionale gravità;
          in relazione al caso Massaro, e per favorire il trasferimento del medesimo nella casa circondariale di Taranto, il sindaco del comune di Fragagnano (Taranto), luogo di residenza della famiglia del detenuto, in data 9 aprile 2009 ha scritto una lettera di sensibilizzazione al Ministero della giustizia, al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, all'associazione «Antigone» e all'associazione «Bambini senza Sbarre»  –:
          se il Ministro sia a conoscenza della situazione riportata in premessa;
          se intenda attivare i propri poteri ispettivi al fine di verificare come sia potuto accadere che la decisione della Suprema Corte nei confronti del signor Angelo Massaro sia stata resa nota dalla stampa prima ancora della celebrazione del giudizio di Cassazione e della conseguente lettura del dispositivo;
          se intenda far trasferire al più presto, e finalmente, il signor Massaro nella casa circondariale di Taranto, in tal modo rendendo possibili le visite da parte dei suoi familiari e in particolare dei figli e della moglie, afflitti da gravi problemi psicologici a causa della lontananza del loro congiunto;
          quali siano, in caso di diniego del trasferimento, le precise motivazioni dello stesso, ivi comprese le ragioni per le quali il signor Massaro sia stato trasferito dal carcere di Taranto alla casa circondariale di Melfi (prima) e al carcere di Catanzaro (dopo), il tutto peraltro dopo appena due mesi di permanenza nel carcere pugliese;
          quali provvedimenti intenda adottare per dare piena e concreta attuazione al principio della territorialità della pena previsto dall'ordinamento penitenziario, anche al fine di poter garantire tutte quelle attività di sostegno e trattamento del detenuto che richiedono relazioni stabili e assidue tra quest'ultimo, i propri familiari e i servizi territoriali della regione di residenza. (5-07357)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il 26 maggio 2012, l'interrogante ha visitato il carcere di Bari accompagnata dai locali esponenti radicali Pasquale Marino e Donato Volpicella;
          i detenuti presenti erano in totale 523, di cui 504 uomini e 19 donne; a tale proposito occorre tenere presente che secondo il sito internetwww.giustizia.it, la capienza regolamentare dell'istituto è di 292 posti, ma non è dato sapere se in tale cifra siano compresi anche i posti della II sezione che è chiusa;
          il 25 per cento dei reclusi è tossicodipendente e per tale categoria l'assistenza psichiatrica del SERT è del tutto insufficiente, in quanto le visite sono previste solo per due giorni a settimana anziché, come sarebbe necessario, per cinque;
          l'istituto è sede di centro clinico di 20 posti letto che ospita detenuti con gravi patologie provenienti anche da altre regioni essendo uno dei pochi disponibili in Italia; la singolarità sta nel fatto che detenuti con salute gravemente compromessa trasferiti nel carcere di Bari proprio per la presenza del Centro, nella realtà dei fatti, vivano nelle celle disagiatissime, sovraffollate e igienicamente carenti delle sezioni per mancanza di posti disponibili nel nosocomio carcerario; d'altra parte è bene sottolineare che i venti posti disponibili non sono destinati tutti ai malati per il semplice fatto che, essendo molti dei degenti totalmente disabili, hanno bisogno di un piantone che li assista 24 ore su 24;
          quanto al personale presente in Istituto risultano carenti gli organici degli agenti del Corpo di polizia penitenziaria (venti in meno), gli educatori (due in meno rispetto alla pianta organica), gli psicologi (figura che sta del tutto scomparendo nelle carceri italiane); con il passaggio della sanità penitenziaria alle asl non sono state via via rimpiazzate le figure professionali che in precedenza prestavano la loro opera; in particolare, si registra la necessità di stabilizzare figure come quella della fisioterapista che, pur lavorando da circa vent'anni nell'istituto, ancora non ha visto regolarizzata la sua posizione lavorativa;
          in generale, le condizioni igieniche sono così degradate da rendere il sovraffollamento ancora più insopportabile della grave prostrazione umana che in genere determina sia per i detenuti che per il personale che è costretto a subirlo; nella sala colloqui c’è ancora il vietatissimo muretto divisorio; i detenuti segnalano che i loro congiunti fanno la fila dalle 5 di mattina; nell'istituto non è presente l'area verde per i colloqui dei detenuti con i figli minori;
          nella sezione «accoglienza», dove dovrebbero essere appoggiati i detenuti nell'attesa di essere assegnati in sezione, la delegazione ha incontrato persone che lì si trovavano da diversi mesi in attesa di sistemazione; nella cella n.  1, di 33 metri quadrati, dove i letti a castello arrivano fino a 4 piani, sono ristrette 13 persone: 8 georgiani, 3 rumeni, 1 bulgaro e un italiano; un rumeno afferma di essere in sciopero della fame perché senza avvocato, un altro stentatamente dice di non aver mai visto l'avvocato d'ufficio e di non aver potuto leggere le carte, perché non sa né leggere né scrivere; N.P.M. che è lì da 1 mese e tre giorni con una condanna definitiva a 8 mesi e 25 giorni, lamenta il fatto che non gli sia stata ancora consegnata la borsa con i suoi vestiti e di non essere stato posto nelle condizioni di parlare al telefono con i familiari; da segnalare che nella cella oltremodo fatiscente e igienicamente compromessa, i 13 detenuti hanno a disposizione solo due sgabelli;
          la direttrice e il comandante – che raggiungono la delegazione proprio nel corso della visita alla cella n.  1 della sezione accoglienza – spiegano che per casi particolari come quelli dei rumeni, nell'istituto operano «mediatori culturali volontari»; inoltre, precisano che – quanto alle telefonate – c’è spesso un problema di accertamento delle utenze perché i consolati dei Paesi di riferimento non rispondono;
          nella cella n.  7 (24 metri quadrati) della «media sicurezza» si trovano 11 detenuti sistemati in due letti a castello 2 da 4 piani e uno da tre; aprire e chiudere la finestra risulta impresa piuttosto complicata perché nel poco spazio disponibile occorre spostare uno dei due letti a castello; i ristretti – tranne due lavoranti – passano in cella 20 delle 24 ore e fra loro ci sono sia detenuti definitivi che in attesa di giudizio; alla domanda se il magistrato di sorveglianza avesse mai potuto constatare direttamente le loro condizioni di detenzione, un detenuto ha risposto «sono qui dal 2010 e non è mai venuto a visitare la nostra cella»; R.I. fa presente che da due mesi chiede inutilmente di andare al centro clinico, perché è malato di cirrosi epatica e in cella non riesce a seguire correttamente la terapia che faceva prima di entrare in carcere;
          nella cella n.  6 (24 metri quadrati) ci sono 11 detenuti tutti di Bari, cinque definitivi e sei in attesa di giudizio; alcuni di loro sono giovanissimi, un diciannovenne è lì da otto mesi; un detenuto ha gravi difficoltà di movimento perché è senza una gamba ma non ha le stampelle «perché il medico non le ha prescritte»; rischia moltissimo soprattutto quando fa la doccia; manca uno sgabello e non ci sono le «bilancette» per tutti; tre di loro lavorano, uno fa lo scopino e due prestano i loro servizi in cucina; le graduatorie scorrono ogni tre mesi;
          nella cella n.  5 (24 metri quadrati) ci sono 9 albanesi, due definitivi e sette in attesa di giudizio;
          nella cella n.  4 (24 metri quadrati) sono in 11 di cui 2 definitivi; un detenuto di 67 anni ha già scontato 4 mesi dei 12 che deve scontare; tre mesi fa ha presentato l'istanza per accedere alla detenzione domiciliare secondo quanto previsto dalla legge n.  199 del 2010, ma ancora non ha ricevuto risposta; un invalido con stampelle per una lesione al midollo è senza piantone e racconta di essere già scivolato in bagno dove non ci sono i maniglioni per appoggiarsi; un altro invalido alla gamba destra con gravi difficoltà di deambulazione si lamenta per l'assenza di fisioterapia di cui avrebbe un estremo bisogno; i materassi sono in condizioni indecenti: «sono sottilette», dice un detenuto;
          nella cella n.  3 A.B. ha 75 anni e deve ancora scontare tre anni, è cardiopatico e dice di stare molto male; sta portando avanti uno sciopero della fame per essere curato;
          la delegazione incontra i reclusi dell'alta sicurezza nel cortile del passeggio; affermano che anche lì le celle sono 33 metri quadrati, bagno incluso e che esse sono occupate dalle 10 alle 11 persone;
          G.S. 74 anni, è stato mandato dal carcere di Palmi a quello di Bari perché l'istituto di Palmi è privo di centro clinico in grado di seguire adeguatamente le gravi patologie di cui l'anziano detenuto è affetto; G.S. lamenta il fatto che, considerato il sovraffollamento del carcere di Bari e l'impraticabilità del centro clinico che è riservato solo a pochi degenti, con il trasferimento, alla sofferenza del suo gravissimo stato di salute e delle indecenti condizioni di detenzione, si è aggiunta la lontananza di centinaia di chilometri dai suoi familiari;
          V.Z. sofferente di diabete mellito e operato al cuore, tutti i giorni viene portato all'esterno per essere sottoposto a dialisi; è in attesa di giudizio: «rischio di morire in carcere prima del processo», dice;
          S.V. è affetto da varie patologie; ha chiesto di essere trasferito vicino a Napoli per fare i colloqui con i familiari; «nella stanza non si può vivere», dice;
          F.A. è assistito da un piantone per le sue gravi condizioni di salute; racconta di aver fatto un lungo sciopero della fame e di essere stato trasferito dal centro clinico di Torino a quello di Bari, ma la sua famiglia è di Torino per cui in un anno ha potuto fare solo un colloquio con i suoi congiunti;
          S.S. è anoressico e pesa 40 chili, ma è costretto a stare in cella al 4° piano del letto a castello perché i piani sottostanti sono riservati agli anziani patologici; ha fatto richiesta di trasferimento a Napoli perché non fa colloqui per la distanza e ha tre figli tutti minori;
          in tutto l'Istituto non sono disponibili scalette per raggiungere i piani superiori dei letti a castello: i detenuti mostrano alla delegazione come sono costretti ad arrampicarsi;
          G.M. è un detenuto di Napoli che sta in carrozzella ed è in attesa di giudizio da 13 mesi; racconta di essere entrato in carcere che pesava 115 chili e ora ne pesa 50 (cachessia); vive in cella (non al centro clinico) e la carrozzella è troppo larga per entrare dalla porta e d'altra parte, considerato il sovraffollamento, sarebbe impossibile muoversi con la carrozzina in quegli spazi limitati; G.M. fa presente di avere a disposizione il piantone per un'ora al giorno e che per andare in bagno deve superare un gradino e fare la doccia è oltremodo rischioso; G. M. da quando sta in carcere ha tentato il suicidio due volte;
          V.P. ha 42 anni ed è trapiantato di fegato; è stato un mese al centro clinico ed ora è in sezione con altri 9 detenuti; afferma che per le precarie condizioni di detenzione rischia infezioni e fa presente che al centro clinico non abbiano i farmaci anti-rigetto che gli debbono arrivare da fuori;
          G.T. ha 28 anni, è di Napoli ed è padre di due bambine piccolissime; per regolamento potrebbe fare 6 ore di colloqui al mese ma ne fa solo 4 perché la famiglia non può venire tre volte; identico problema per L.I. che ha 27 anni, è di Napoli ed ha una bambina di sei anni; G.T. e L.I. hanno avanzato richieste di trasferimento che sono state rigettate «per sovraffollamento delle carceri campane»;
          A.O. è nel carcere di Bari per il processo ma è assegnato a Spoleto; ha fatto richiesta al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria di essere assegnato definitivamente a Bari, ma il dipartimento non ha risposto; stesso discorso per A.P. assegnato al carcere di Teramo; A.P. ha tre figli di 4, 10 e 18 anni;
          P.C. ha avuto due ischemie cerebrali e due ernie del disco; qui a Bari vive in cella con altre 8 persone; non fa colloqui perché soffre di claustrofobia e vorrebbe essere trasferito nel centro clinico di Secondigliano per stare vicino alla famiglia;
          V.A. è della provincia di Napoli assegnato al carcere di Frosinone; si trova a Bari per varie patologie tra le quali una grave ipertensione; il problema, anche per lui, è che però non sta al centro clinico, ma in cella; vorrebbe tornare a Frosinone (perché la moglie non può fare lunghi viaggi) o ad un centro clinico dove possa essere effettivamente ricoverato e curato;
          F.L.G. è di Napoli e appellante in Cassazione; ha fatto richiesta di trasferimento per avvicinamento colloqui ma non ha ricevuto risposta dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria;
          il 2 giugno 2012, la sezione provinciale (di Bari) della Federazione italiana medici di famiglia ha diramato un comunicato stampa in cui, fra l'altro, si legge «Con provvedimento regionale il Carcere di Bari è stato considerato fra le “unità operative semplici” eppure in questo istituto penitenziale è attivo uno dei dieci centri clinici italiani con annesso reparto di medicina interna e uno due raparti presenti in Italia per il trattamento dei para/tetraplegici dove affluiscono detenuti affetti da importanti e gravi patologie, provenienti dagli Istituti Penitenziari regionali e nazionali. Il SAPPE, sindacato autonomo polizia penitenziaria, ha già denunciato che presso “il carcere di Bari vengono inviati detenuti da altre carceri con gravissime patologie che non trovano posto nel centro clinico per mancanza di posti, per cui sono costretti a vivere nelle normali celle con gravissimi rischi per la propria e altrui salute”»;
          inoltre, si legge nel comunicato stampa, il segretario nazionale della FIMMG, dottor Giacomo Milillo, ha inviato una lettera al Ministro Balduzzi e agli assessori regionali invitandoli ad «una maggiore attenzione alle problematiche del personale medico operante nelle carceri, avendo cura di assicurare omogeneità di trattamento economico e normativo, garantendo il posto di lavoro e tenendo conto sul piano economico e normativo della peculiare condizione di rischio personale e professionale». Ha chiesto, inoltre, «l'avvio di un tavolo che, senza oneri di spesa, definisca la figura e il ruolo del medico penitenziario che sia di riferimento per tutte le realtà regionali al fine di prospettare una medicina penitenziaria che sia uguale in tutte le Regioni annullando di fatto le diversità attuali»;
          sempre recentemente, il vicesegretario generale nazionale dell'OSAPP Domenico Mastrilli, ha chiesto l'apertura di un'indagine conoscitiva sulle criticità igienico-sanitarie del carcere di Bari anche per chi nel carcere ci lavora. In particolare, Mastrilli ha sottolineato un aspetto che riguarda il personale dipendente femminile: «da tempo non risulta che sia stato sottoposto a visite di routine e di controllo, o invero, sottoposte ad esami clinici e di laboratorio né, risulta a chi scrive, la presenza mensile nei reparti dove lavorano i dipendenti del medico del lavoro così come richiede la legge»  –:
          se il Governo sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se intenda intervenire per ridurre, fino a portarla a quella regolamentare, la popolazione detenuta nel carcere di Bari;
          se e quando si intenda intervenire, per quanto di competenza, per colmare il deficit di organico della polizia penitenziaria, degli psicologi e degli educatori;
          se e quali iniziative si intendano assumere, per quanto di competenza, affinché sia assicurata un'adeguata assistenza sanitaria ai detenuti e l'assoluto rispetto dei livelli essenziali di assistenza;
          se siano stati previsti adeguati finanziamenti per la messa a norma dell'istituto, per assicurare l'igiene dei luoghi, per intraprendere iniziative trattamentali che consentano ai detenuti attività lavorative, scolastiche, sportive e culturali indirizzate alle finalità rieducative della pena previste dalla nostra Costituzione;
          in che tempi si intenda rimuovere il muretto divisorio della sala colloqui che umilia i detenuti nei loro incontri con i familiari, soprattutto se minori; se si intenda istituire l'area verde di cui è privo il carcere di Bari;
          se si intenda intervenire immediatamente per separare i detenuti con pena definitiva da coloro che sono in attesa di giudizio;
          in che modo si intenda intervenire, per quanto di competenza, in merito ai casi singoli segnalati in premessa;
          cosa si intenda fare affinché sia rispettato il principio della territorializzazione della pena;
          quale sia il motivo dei trasferimenti di detenuti dalle carceri sovraffollate di alcune regioni nell'altrettanto sovraffollato carcere di Bari, atteso che, per molti ristretti, alla pena di condizioni di detenzione indecenti si aggiunge quella della lontananza dai familiari, in particolare, figli minori;
          quale sia la ragione dei trasferimenti di detenuti gravemente malati da altre regioni nel carcere di Bari, atteso che essi non potranno essere ospitati nel centro clinico, che è dotato di posti limitati, e che dovranno, come purtroppo gli interroganti hanno potuto constatare, essere destinati a celle superaffollate con letti a castello a tre e quattro piani;
          in che modo intendano rispondere, per quanto di competenza, ai rilievi evidenziati dalla sezione provinciale (di Bari) della Federazione italiana medici di famiglia, soprattutto sotto il profilo del trattamento del personale medico operante nelle carceri;
          quali provvedimenti di competenza si intendano assumere per tutelare i diritti del personale dipendente femminile in merito alla mancate visite sanitarie di routine e di controllo e se corrisponda al vero la mancata presenza mensile nei reparti del carcere di Bari del medico del lavoro;
          cosa intendano fare per assicurare l'incolumità dei detenuti disabili nel momento in cui accedono a celle, wc e docce del tutto inadeguate alle loro infermità;
          cosa intenda fare il Ministro della giustizia per i detenuti stranieri che necessitino di un mediatore culturale per conoscere i propri diritti e i propri doveri nel corso della detenzione, atteso che i volontari, come è stato possibile constatare nel carcere di Bari, sono del tutto insufficienti;
          quali iniziative di competenza si intendano assumere in relazione alle criticità rappresentate in premessa con riferimento al ruolo della magistratura di sorveglianza;
          se il magistrato di sorveglianza abbia prospettato al Ministro le esigenze dei vari servizi del carcere di Bari, con particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo;
          quali iniziative di competenza ritenga opportuno adottare al fine di modificare radicalmente le condizioni della vita penitenziaria nel carcere di Bari, così da garantire finalmente il rispetto dei diritti alla dignità, alla salute, allo studio, alla tutela dei rapporti familiari dei detenuti e di quanto prescritto dall'articolo 27 della Costituzione riguardo alle finalità rieducative della pena. (5-07358)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          la casa di lavoro di Saliceta San Giuliano (Modena) è ubicata all'interno di un vecchio edificio, un tempo adibito a convento delle suore;
          le forti scosse di terremoto che nelle scorse settimane hanno reiteratamente funestato la zona dell'Emilia Romagna, si sono fatte sentire anche all'interno della predetta struttura sebbene al momento la stessa non presenti evidenti segni di danneggiamento  –:
          quali iniziative urgenti intenda assumere il Ministro al fine di verificare in tempi brevi la piena agibilità della casa di lavoro in questione e quali provvedimenti intenda adottare al fine di mettere in sicurezza gli internati e il personale.
(5-07360)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa lo scorso 3 giugno, poco dopo mezzanotte, un giovane di 25 anni, italiano, detenuto nel carcere di Vercelli per reati di natura sessuale, si è ucciso impiccandosi nella sua cella con un lenzuolo che ha legato ad una grata;
          la notizia è stata resa nota dall'Osapp, sindacato autonomo della polizia penitenziaria, il cui segretario, Leo Beneduci, ha denunciato il protrarsi di condizioni inaccettabili all'interno dell'istituto di pena. «Siamo al settantunesimo morto in carcere dall'inizio dell'anno e al ventunesimo suicidio. Si tratta di numeri davvero inaccettabili, così come quelli del perdurante sovraffollamento, che indicano la presenza di 66.300 detenuti nelle carceri italiane contro 35.500 posti disponibili. È ora che il Governo, e in particolare il Ministro della giustizia, affrontino la situazione in maniera risolutiva»  –:
          se e come il 3 giugno 2012 fosse garantita la sorveglianza all'interno dell'istituto di pena in questione;
          quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Vercelli;
          con chi divideva la cella e di quanti metri quadrati disponesse il detenuto morto suicida;
          se il detenuto morto suicida fosse alloggiato all'interno di una cella rispondente a requisiti di sanità e igiene;
          se nel corso della detenzione il detenuto fosse stato identificato come potenziale suicida e, in questo caso, se fosse tenuto sotto un programma di osservazione speciale;
          quali siano le condizioni umane e sociali del carcere di Vercelli, in particolare se non ritenga di assumere sollecite, mirate ed efficaci iniziative, anche a seguito di immediate verifiche ispettive in loco, volte a garantire il rispetto della Costituzione, della legge e dei regolamenti, ampliando la dotazione del personale di polizia penitenziaria e di quello addetto ai servizi. (5-07361)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa AGI, il personale della polizia penitenziaria di Reggio Calabria, con l'ausilio delle unità cinofile della polizia penitenziaria della Sardegna, avrebbe rinvenuto due involucri contenenti cannabis all'interno del carcere reggino. Gli involucri sono stati rinvenuti tra il piazzale esterno del carcere e il settore colloqui, luogo cui hanno accesso anche le persone provenienti dall'esterno;
          secondo quanto riferito da Giovanni Battista Durante in qualità di segretario generale aggiunto del Sappe, «sono sempre più frequenti i tentativi di introdurre droga in carcere, dove, a livello nazionale, i detenuti tossicodipendenti sono il 25 per cento circa. Nonostante in Italia ci sia una legislazione molto favorevole che consente di accedere ai benefici della sospensione della pena e dell'affidamento terapeutico, quando si è superato un programma di recupero o tale programma è in corso, i tossicodipendenti continuano a rimanere in carcere e la polizia penitenziaria non ha neanche gli strumenti idonei per contrastare i tentativi di portare le sostanze stupefacenti all'interno delle strutture  –:
          se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative volte a destinare maggiori fondi e risorse al potenziamento delle misure alternative al carcere per i detenuti tossicodipendenti, anche attraverso il potenziamento dei progetti volti all'attivazione di percorsi di affidamento terapeutico. (5-07363)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa del 27 maggio 2012, un agente della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di contrada Cavadonna, a Siracusa, avrebbe sventato il suicidio di un giovane detenuto marocchino ristretto all'interno della sezione protetta;
          la vicenda è stata resa nota dal vice segretario nazionale dell'Osapp, Mimmo Nicotra. Il detenuto avrebbe tentato di soffocarsi con la cintura dell'accappatoio dopo averla legata alla finestra della sua cella  –:
          quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Siracusa;
          con chi dividesse la cella e di quanti metri quadrati disponesse il detenuto che ha tentato di togliersi la vita;
          se il detenuto in questione fosse alloggiato all'interno di una cella rispondente a requisiti di sanità e igiene;
          se nel corso della detenzione il detenuto fosse stato identificato come potenziale suicida e, in questo caso, se fosse tenuto sotto un programma di osservazione speciale;
          quali siano le condizioni umane e sociali del carcere di Siracusa, in particolare se non ritenga di assumere sollecite, mirate ed efficaci iniziative in loco, anche a seguito di immediate verifiche ispettive in loco, volte a ripristinare condizioni di legalità all'interno del carcere siciliano, ampliando la dotazione del personale di polizia penitenziaria e di quello addetto ai servizi.
(5-07364)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA, nelle carceri liguri vi sarebbero 870 detenuti in più e 400 agenti della polizia penitenziaria in meno;
          il dato sarebbe stato diffuso dal sindacato autonomo della polizia penitenziaria nel giorno della celebrazione dell'annuale festa regionale dell'amministrazione carceraria a Genova;
          secondo Roberto Martinelli, segretario aggiunto del Sappe, «siamo di fronte ad una situazione critica in cui ogni giorno avvengono risse, suicidi e scontri all'interno delle carceri per via del sovraffollamento. Per non parlare degli stessi mezzi della polizia penitenziaria che cadono a pezzi. L'amministrazione penitenziaria sembra vivere in una realtà virtuale e non si rende evidentemente conto della drammaticità del momento, che costringe le donne e gli uomini della polizia penitenziaria a condizioni di lavoro sempre più difficili: la situazione penitenziaria è sempre più incandescente»  –:
          quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di ridurre drasticamente l'abnorme numero delle persone recluse nelle carceri della Liguria;
          se non intenda disporre quanto prima un immediato aumento del numero degli agenti di polizia penitenziaria assegnati presso le strutture penitenziari liguri. (5-07365)


      BERNARDINI, BELTRANDI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          gli interroganti hanno già presentato due atti di sindacato ispettivo a risposta scritta – 4-10292 e 4-16046 – relativamente alle condizioni di salute della signora Grazia Marine, 76 anni, rinchiusa nel carcere sardo di Badu ’e Carros da 5 anni (con fine pena gennaio 2013) perché accusata di essere stata la carceriera di Silvia Melis. Entrambi i predetti atti di sindacato ispettivo sono rimasti privi di risposta da parte del Governo;
          recentemente la dottoressa Paola Matera, su incarico del presidente del tribunale di sorveglianza di Sassari, è stata chiamata a rispondere al seguente quesito: «Accerti le condizioni di salute della signora Marine Grazia e se le stesse siano compatibili con lo stato di detenzione (se la donna si trovi in gravi condizioni di infermità psico-fisica che la rendano incompatibile con lo stato di detenzione);
          la relazione medico-legale, depositata in cancelleria il 26 aprile 2012, risponde al citato quesito nel modo seguente: «(...) Ne discende che allo stato, le condizioni psico-fisiche di Marine Grazia sono apparentemente buone in relazione alla stabilità delle infermità da cui è affetta, ciò che consente di affermare che non si trova in “condizioni di grave infermità psico-fisica” nell'accezione di cui all'articolo 147 del codice penale. Si tratta comunque, di una situazione complessiva delicata ed in equilibrio precario, da cui si deve attendere una continua e certa evoluzione peggiorativa, come anche episodiche riacutizzazioni e accidenti cardio o cerebrovascolari), per la coesistenza ed il sinergismo di fattori di rischio specifici, quali l'obesità, l'ipertensione arteriosa, il diabete mellito tipo II, la coronaropatia, l'insufficienza renale cronica. Da questo punto di vista particolarmente insidiosi sono i danni vascolari da diabete mellito: il 55 per cento dei diabetici muore per infartio miocardio (arteriosclerosi delle arterie coronarie epicardiche), nei diabetici la coronaropatia è caratterizzata: da prevalente interessamento dei tratti distali, da alterazione della soglia di percezione del dolore da ischemia cardiaca (angina) a causa della neuropatia diabetica autonoma, da prognosi meno favorevole. I diabetici anche ipertesi hanno una probabilità maggiore del 20-30 per cento di manifestare un infarto o un ictus entro 10 anni, se si sviluppa una nefropatia diabetica, il rischio cardiovascolare è maggiore del 30 per cento. Questo per dire conclusivamente che le condizioni cliniche di MG, attualmente definibili solo «apparentemente» buone, devono essere attentamente monitorate per la concomitanza di vari fattori di rischio capaci di compromettere sia cronicamente che acutamente la funzionalità di cuore, rene e cervello con rapido declino dello stato generale e incerta prognosi quoad vitam»;
          la predetta relazione-medico legale è stata effettuata dalla dottoressa Matera basandosi solo sui referti clinici e senza che venissero effettuati esami medici più approfonditi;
          i familiari della detenuta sostengono che – nonostante le attenzioni dei medici e della polizia penitenziaria – la signora Marine Grazia non possa più essere curata in modo adeguato all'interno del carcere visto e considerato, fra l'altro, che la stessa ultimamente fatica sempre più a camminare e a parlare;
          nella consulenza medico legale di parte (C.T.P.) effettuata a fine maggio 2011 è risultato che Marine Grazie è affetta dalle seguenti patologie: insufficienza mitralica, aortosclerosi, dislipidemia, diabete mellito insulino-dipendente, insufficienza renale cronica grave (stadio 3), bronchite cronica enfisematosa, anemia aplastica, gozzo multinodulare tossico, diverticolosi del sigma, osteoporosi, rotoscoliosi e segni di lomboartrosi, mastopatia fibrocistica, prolasso uterino, rettocolite ulcerosa, rene sinistro ipoplastico, calcolosi renale, sdr varicosa e lieve insufficienza venosa arti inferiori, gonartrosi a sinistra e artrosi tibiotarsica, gastropatia antrale e dermatite irritativa pruriginosa;
          nonostante i rischi per l'incolumità fisica che la signora Grazia Marine corre stando in carcere, alla detenuta non è stata concessa sinora alcuna misura tale da tutelarne effettivamente il diritto alla salute, come in particolare sarebbe possibile attraverso il differimento dell'esecuzione della pena;
          la mancata concessione di tale misura non può del resto fondarsi su ragioni inerenti alla pericolosità della detenuta, né su motivi di prevenzione speciale; sicché allo stato non si comprende quali siano le ragioni ostative che non consentono, nel caso specifico, il ricorso al differimento dell'esecuzione della pena;
          tale provvedimento sarebbe, del resto, il solo idoneo ad evitare che la condizione fisica della signora Grazia Marine peggiori in maniera irreversibile, pregiudicandone per sempre l'incolumità e l'integrità psicofisica, così come evidenziato anche nella relazione medico-legale effettuata dal consulente tecnico, dottoressa Patrizia Matera, laddove si fa riferimento a «fattori di rischio capaci di compromettere sia cronicamente che acutamente la funzionalità di cuore, rene e cervello con rapido declino dello stato generale e incerta prognosi quoad vitam»;
          la prima firmataria del presente atto, nel reiterare le richieste contenute negli atti di sindacato ispettivo 4-10292 e 4-16046, sottolinea la irresponsabilità e gravità del comportamento del Governo il quale, sebbene interpellato su questa delicata vicenda fin dal lontano 10 gennaio 2011, non ha fornito agli interroganti alcun tipo di risposta nonostante i numerosi e ripetuti solleciti  –:
          se sia a conoscenza della questione e se possa fornire ulteriori informazioni in merito;
          se sia noto quali siano attualmente le condizioni di salute della signora Grazia Marine e se venga garantita alla detenuta tutta l'assistenza medico-sanitaria che il suo precario stato di salute richiede;
          se non si ritenga necessario adottare le iniziative di competenza ritenute opportune, al fine di garantire la tutela della salute, della dignità, e dell'incolumità della signora Grazia Marine, nonché allo scopo di evitare che l'ulteriore permanenza nella struttura carceraria dell'anziana donna possa pregiudicarne irreparabilmente le condizioni cliniche generali;
          se non intendano promuovere, anche alla luce delle considerazioni sinora svolte, ogni accertamento di competenza, in rapporto ai fatti esposti in premessa, e quali ulteriori iniziative di competenza intendano assumere al fine di tutelare il diritto alla salute della signora Grazia Marine.
(5-07366)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, un nordafricano di 32 anni, fino a un mese e mezzo fa ristretto nel carcere di Vicenza, e poi scarcerato, sarebbe risultato affetto da tubercolosi;
          la vicenda ha fatto esplodere la preoccupazione fra gli agenti di polizia penitenziaria che lavorano all'interno della casa circondariale di San Pio X, anche perché Stefano Tolio, dirigente dell'unità operativa di sanità penitenziaria dell'Ulss, ha disposto le visite mediche per i 30 detenuti ritenuti più a rischio per essere venuti a contatto con l'extracomunitario (sono i 16 compagni di cella che si sono alternati accanto a lui nei 6 mesi in cui è rimasto a Vicenza, ma anche altri 14 reclusi che lo hanno affiancato nelle lezioni della scuola interna);
          l'agente scelto Francesco Colacino, segretario nazionale del sindacato Cnpp, Coordinamento della polizia penitenziaria, ha dichiarato: «Come si fa a restare tranquilli dinanzi a una notizia del genere ? Ai controlli fatti fra i colleghi del carcere di Verona il 30 per cento del personale è risultato positivo al virus della tubercolosi. Qui c’è gente sposata, ci sono padri di famiglia. Ovvio che si pensa al contagio, al pericolo di infettare moglie e figli. Vogliamo capire quale sia il rischio, ma soprattutto chiediamo che lo screening si faccia subito. Invece, ci parlano di settembre»;
          secondo quanto riferito dal dottor Tolio, non sarebbe il caso di fare allarmismo: «Capisco il panico che la notizia può aver generato ma la situazione è sotto controllo. Noi sapevamo del problema, due giorni fa io e il collega infettivologo Vinicio Manfrin avevamo riferito al direttore del carcere, e si era già deciso cosa fare. Dovevamo dare delle priorità e abbiamo scelto subito coloro che rischiano di più, anche perché a giugno, in base a un protocollo regionale, faremo uno screening sistematico a tutta la popolazione carceraria. Stiamo solo aspettando che arrivi l'apparecchio radiologico portatile che l'Ulss ha acquistato»  –:
          se il Governo non intenda intervenire al più presto, per quanto di competenza, affinché il personale di polizia penitenziaria e i detenuti siano accuratamente controllati attraverso uno screening celere ed immediato, il tutto al fine di scongiurare il diffondersi della tubercolosi. (5-07367)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dal quotidiano Il Piccolo del 24 maggio 2012, nel carcere di Gorizia vi sarebbe una vera e propria emergenza sanitaria a causa delle gravi carenze che si registrano nel sistema di assistenza sanitaria, il che avviene in una struttura che peraltro è interessata anche da patologie importanti quali epatite e tubercolosi. Anche il supporto psicologico risulta inadeguato, dato che solo per 12 ore al mese, e per tutti i 42 detenuti, sarebbe a disposizione uno psicologo  –:
          se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
          se non ritengano di dover promuovere, negli ambiti di rispettiva competenza, un'accurata visita medica a tutte le persone recluse all'interno del carcere in questione;
          quali iniziative urgenti intendano adottare al fine di prevenire il rischio della diffusione della epatite e della tubercolosi tra i detenuti del carcere di Gorizia;
          a quando risalga e cosa vi sia scritto nell'ultima relazione che la ASL di competenza deve fare in merito alle condizioni igienico-sanitarie del carcere di Gorizia;
          se non si intenda intervenire immediatamente, per quanto di competenza, affinché l'assistenza sanitaria necessaria all'interno del carcere di Gorizia sia garantita h24;
          cosa si intenda fare, infine, per colmare la carenza di organico degli psicologi. (5-07368)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa il 25 maggio 2012, poco dopo mezzanotte, un uomo, di circa 50 anni, ristretto nel carcere fiorentino di Sollicciano e in attesa di giudizio per tentata rapina si è ucciso nel bagno della sua cella;
          la notizia è stata diffusa dal Sindacato autonomo della polizia penitenziaria (Sappe). L'uomo si sarebbe impiccato nel bagno della sua cella, utilizzando un lenzuolo;
          nel carcere di Sollicciano attualmente sono stipati più di mille detenuti, il doppio della capienza regolamentare. Per questo motivo Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti del comune di Firenze, ha avviato uno sciopero della fame di qualche giorno con l'intento di formare «una catena» che veda impegnati anche gli altri garanti ed esponenti del volontariato e delle associazioni;
          il 23 gennaio 2012, lo stesso Ministro della giustizia, uscendo dal carcere di Sollicciano dove si era recato in visita, rilasciò la seguente dichiarazione: «Il carcere è, sì, un luogo di espiazione ma che non deve perdere di vista i diritti dell'uomo. L'uomo in carcere è un uomo sofferente, che deve essere rispettato. Oggi invece il carcere è una tortura più di quanto non sia la detenzione che deve portare invece alla rieducazione. Con i detenuti di Sollicciano abbiamo anche pensato al cammino che si sta percorrendo, che vorrebbe mettere insieme un insieme di piccole misure. Che, però, tutte riunite potrebbero dare un sollievo alla situazione carceraria. Quello che si deve fare in una proiezione futura è mettere insieme una serie di forme alternative alla detenzione. Che rendano effettivo il principio per cui la detenzione deve essere veramente l'ultima spiaggia, da attivare quando le altre strade non si possono più percorrere. Un rovesciamento di proporzioni: è normale la misura alternativa al carcere, il carcere deve rappresentare una misura eccezionale, che come tale deve essere espressamente motivata. Ciò non vuol dire dare la libertà a tutti o negare le esigenze di difesa sociale, ma vuol dire riservare il carcere alle sole situazioni nelle quali le esigenze di difesa sociale prevalgono su quelle di un'alternativa alla carcerazione»  –:
          se e come il 25 maggio 2012 fosse garantita la sorveglianza all'interno dell'istituto di pena in questione e se con riferimento al suicidio del detenuto non siano ravvisabili profili di responsabilità amministrativa o disciplinare in capo al personale penitenziario;
          quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Sollicciano;
          con chi dividesse la cella e di quanti metri quadrati disponesse il detenuto morto suicida;
          se il detenuto morto suicida fosse alloggiato all'interno di una cella rispondente a requisiti di sanità e igiene;
          se, nel corso della detenzione, il detenuto fosse stato identificato come potenziale suicida e, in questo calo, se fosse tenuto sotto un programma di osservazione speciale;
          quali siano le condizioni umane e sociali del carcere di Sollicciano, in particolare se non ritenga di assumere — coerentemente con quanto dichiarato il 23 gennaio all'uscita dall'istituto penitenziario fiorentino — sollecite, mirate ed efficaci iniziative volte a instaurare condizioni rispondenti ai parametri di legalità contenuti nel nostro ordinamento. (5-07369)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA il 24 maggio 2012, Calogero Costa, 42enne di Borgo Ticino, si è tolto la vita nella sua cella nel carcere di Novara;
          a quanto pare, l'uomo si è tolto il cordino che sosteneva i pantaloni della tuta, se l’è stretto attorno al collo e poi ha legato l'altro capo alla brandina e si è lasciato cadere per terra  –:
          se e come il giorno del suicidio fosse garantita la sorveglianza all'interno dell'istituto di pena in questione e se, con riferimento al suicidio del detenuto, non siano ravvisabili profili di responsabilità amministrativa o disciplinare in capo al personale penitenziario;
          quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Novara;
          con chi dividesse la cella e di quanti metri quadrati disponesse il detenuto morto suicida;
          se il detenuto morto suicida fosse alloggiato all'interno di una cella rispondente a requisiti di sanità e igiene;
          se nel corso della detenzione il detenuto fosse stato identificato come potenziale suicida e, in questo caso, se fosse tenuto sotto un programma di osservazione speciale;
          se sia vero che il detenuto si trovasse in isolamento e, in caso di risposta affermativa, per quali motivo sia stato adottato questo provvedimento. (5-07370)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa il 24 maggio 2012, un detenuto italiano di 28 anni sarebbe morto all'interno della sua cella nel carcere di Latina;
          stando alle prime notizie diffuse dalla stampa, l'uomo – un 28enne originario di Gaeta con problemi legati all'uso di sostanze stupefacenti – era appena stato arrestato per il furto di un portafogli e trasferito in serata nel carcere di Latina. Subito dopo il suo ingresso nel penitenziario il detenuto aveva accusato dei dolori ad un fianco, era stato visitato e gli era stato somministrato un antidolorifico. Ad accorgersi del decesso, sarebbe stato il compagno di cella che rientrando dall'ora d'aria lo ha trovato esanime;
          la notizia del decesso è stata diffusa dal Garante regionale per i diritti dei detenuti, avvocato Angiolo Marroni, il quale ha rilasciato la seguente dichiarazione: «Dalle informazioni in mio possesso è stato fatto tutto il possibile per salvare la vita di quest'uomo e, dunque, non mi sembra vi siano addebiti specifici da fare, anche se spetterà alla magistratura fare chiarezza anche attraverso una eventuale autopsia. Ma, al di là di questa tragedia, l'ennesima dall'inizio dell'anno nelle carceri della regione, mi preoccupa la situazione della struttura di Latina. Un carcere con evidenti problemi strutturali aggravati dalle gravi carenze di organico della polizia penitenziaria e, soprattutto da un sovraffollamento record: oggi i detenuti erano 193 a fronte di una capienza regolamentare di 86 posti. Da mesi il saldo fra chi entra e chi esce dal carcere è negativo e, ormai da giorni, una ventina di detenuti devono dormire per terra per mancanza di spazi. In queste condizioni diventa problematico non solo salvare vite, ma anche garantire condizioni minime di vivibilità»;
          si tratta del settimo decesso dall'inizio dell'anno nelle carceri della regione Lazio: prima di questo, cinque altri decessi erano stati registrati a Roma ed uno a Viterbo  –:
          quali siano le cause che hanno provocato il decesso dell'uomo;
          con chi dividesse la cella e di quanti metri quadrati disponesse il detenuto rinvenuto cadavere nella sua cella;
          se il detenuto morto fosse alloggiato all'interno di una cella rispondente a requisiti di sanità e igiene;
          se al momento del decesso all'interno del carcere fosse presente il medico di turno;
          quali provvedimenti urgenti si intendano adottare al fine di contrastare il grave e preoccupante sovraffollamento che si registra nel carcere di Latina. (5-07371)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalla agenzia di stampa AGI del 21 maggio 2012, il grave evento sismico che ha colpito alcune zone dell'Emilia Romagna ha riguardato anche le carceri, in modo particolare l'istituto penitenziario di Ferrara, dove la polizia penitenziaria, a partire dalle quattro circa di mattina, è stata costretta ad evacuare 500 detenuti, molti dei quali hanno il divieto di incontro tra di loro, perché collaboratori di giustizia o perché sottoposti al regime di alta sicurezza;
          i detenuti sono stati portati in spazi esterni, come il campo di calcio, nel rispetto del piano di evacuazione e, soprattutto, delle norme di sicurezza;
          sulla vicenda Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe, ha dichiarato: «Fortunatamente tutto si è svolto nel migliore dei modi senza conseguenze per nessuno, nonostante le grandi difficoltà incontrate per l'esiguità degli spazi a disposizione e la carenza di personale, soprattutto di notte, quando si riduce ulteriormente. Infatti, sono stati richiamati gli agenti liberi dal servizio, in quel momento reperibili, e quei pochi che erano rimasti in caserma a dormire. I vertici dell'istituto hanno chiesto l'intervento dei vigili del fuoco, per verificare eventuali danni strutturali. In luoghi come le carceri eventi di questo tipo possono assumere aspetti ancora più drammatici, considerato che coloro che si trovano nelle strutture detentive, perché reclusi, oppure perché ci lavorano, non possono allontanarsi, per evidenti ragioni»  –:
          dove siano stati allocati i detenuti in questione nei giorni immediatamente successivi all'evacuazione e se intenda intervenire affinché la predetta azione di sfollamento non arrechi pregiudizi ai diritti delle persone recluse;
          se sia stata verificata la presenza di eventuali danni strutturali nel carcere di Ferrara dopo l'evento sismico. (5-07386)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          nel corso dell'assemblea generale dei quadri permanenti del sindacato di polizia penitenziaria, svoltasi nel mese di maggio 2012, è emersa la situazione di profondo degrado igienico-sanitario in cui versa il carcere di Bari, compresa la sezione femminile;
          secondo quanto riferito dal sindacato di polizia penitenziaria Osapp, nella predetta struttura carceraria l'invivibilità verrebbe aggravata dalla presenza di «insetti, volatili, scarafaggi, zanzare, millepiedi, piccioni e finanche intrusioni di roditori»;
          sempre secondo quanto riferito dalla citata organizzazione sindacale, anni fa l'intero terzo piano dell'istituto penitenziario di Bari è stato dichiarato inagibile ed è attualmente «vietato» alle persone che altrimenti si troverebbero a combattere con l'odore nauseante di escrementi animali  –:
          se non si ritenga urgente procedere ad una verifica sulle criticità igieniche segnalate in premessa;
          quali iniziative intendano adottare, negli ambiti di rispettiva competenza, al fine di rendere conforme la struttura penitenziaria barese alle norme igienico-sanitarie così come prescritte dalle leggi e dai regolamenti. (5-07387)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA del 20 maggio 2012, un uomo 50enne originario di Napoli, ristretto presso il carcere di Bellizzi Irpino, allocato nella locale infermeria, detenuto per sequestro di persona e spaccio di stupefacenti, classificato alta sicurezza, è stato trasportato d'urgenza all'ospedale del capoluogo irpino dove attualmente si trova in coma ed in pericolo di vita dopo essere caduto dal muro di cinta del carcere sul quale si era arrampicato  –:
          di quali informazioni disponga circa i fatti narrati in premessa;
          se non intenda promuovere ogni accertamento di competenza in rapporto ai fatti esposti in premessa, e quali ulteriori iniziative di competenza intenda assumere al fine di verificare l'eventuale esistenza di responsabilità disciplinari in capo al personale di custodia. (5-07388)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dal quotidiano La Nuova Sardegna dello scorso 17 maggio 2012, domenica 13 maggio nel carcere di Alghero mancava il personale sanitario per la distribuzione dei farmaci;
          sembrerebbe infatti che l'unico medico incaricato disponibile si sia improvvisamente ammalato sicché quel giorno non risultava in turno alcun infermiere. A quel punto non si è potuto far altro che chiamare con urgenza la guardia medica cittadina, che alla fine si è dovuta sostituire al collega assente, facendo oltretutto un lavoro improprio;
          i sindacati della polizia penitenziaria non esitano a definire la situazione gravissima, anche perché i detenuti a correre il rischio di una crisi di astinenza sarebbero circa 60 su 175, senza contare che un certo tipo di terapie non possono essere interrotte con disinvoltura  –:
          di quali informazioni dispongano circa i fatti narrati in premessa;
          se non intendano promuovere ogni iniziativa di competenza in rapporto ai fatti esposti in premessa, anche al fine di evitare che un episodio del genere abbia a ripetersi in futuro. (5-07389)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa il 14 maggio 2012, gli agenti della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Reggio Calabria hanno sventato un tentativo di suicidio di un detenuto italiano di circa 30 anni;
          l'accaduto è stato riferito da Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe e Damiano Bellucci, segretario nazionale;
          l'uomo, usando i lacci delle scarpe, si è appeso alle grate della finestra, dopo essere salito su uno sgabello, e poi si è lasciato cadere. Il rumore dello sgabello ha però attirato l'attenzione dell'agente di polizia penitenziaria in servizio nella sezione detentiva; l'agente è intervenuto immediatamente e, accortosi di ciò che il detenuto aveva fatto, ha chiamato aiuto e contestualmente è entrato in cella, riuscendo a salvare l'uomo  –:
          se quanto riportato in premessa corrisponda al vero;
          se e quali misure precauzionali e di vigilanza siano state adottate dall'amministrazione penitenziaria nei confronti del detenuto dopo questo episodio;
          se non si intendano assumere iniziative volte ad adottare o implementare, per quanto di competenza, le opportune misure di supporto psicologico ai detenuti, al fine di ridurre sensibilmente gli episodi di suicidio, tentato suicidio e di autolesionismo;
          più in particolare, quali iniziative, anche normative, si intendano assumere per rafforzare l'assistenza medico-psichiatrica ai detenuti malati, sia attraverso un'attenta valutazione preventiva che consenta di identificare le persone a rischio, sia per sostenere adeguatamente sotto il profilo psicologico le persone che tentano il suicidio, senza riuscirci la prima volta, ma spesso ben decisi a tentare ancora.
(5-07390)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 6 maggio 2012 l'agenzia di stampa ADNKRONOS ha diramato gli stralci di una lettera-denuncia che il segretario generale della Uil penitenziari, Eugenio Sarno, ha inviato ai vertici dell'amministrazione penitenziaria;
          nel documento della Uil-Pa Penitenziari è dato leggere quanto segue: «Abbiamo motivate ragioni per affermare che lo stato degli automezzi assegnati al Nucleo traduzioni e piantonamenti di Avellino determini fattore di grave rischio per l'incolumità degli operatori della polizia penitenziaria, per gli utenti trasportati e per i comuni cittadini, considerato che i veicoli che non hanno superato i collaudi di affidabilità sono, comunque, utilizzati per soddisfare le esigenze operative del servizio traduzioni. Più in generale la questione degli automezzi riguarda tutto il territorio nazionale, ma ad Avellino credo si registri un vero record: su dieci furgoni della polizia penitenziaria adibiti al trasporto detenuti ben nove non hanno superato i previsti ed obbligatori collaudi di affidabilità ed il decimo non ha effettuato tali controlli. Nonostante ciò tali automezzi sono impiegati ordinariamente e quotidianamente nel servizio su strada. Noi riteniamo che ciò sia in contrasto con il codice della strada, oltre a determinare un serio pericolo per gli agenti, i detenuti e per i comuni cittadini. Quella di Avellino è la prima di una serie di denunce particolareggiate e dettagliate che invieremo al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, così non avranno l'alibi della non conoscenza e se non interverranno non esiteremo a proporre denunce alla magistratura, alla motorizzazione civile, alla Polizia Stradale e persino alle Asl. La questione è troppo seria e troppo grave perché passi sotto traccia. Anche il Ministro Severino farebbe bene ad attenzionare la questione. Vi sono Dirigenti che viaggiano in Suv ed in berline di lusso, mentre il personale della polizia penitenziaria ed i detenuti sono costretti a viaggiare su automezzi vecchi, inidonei, obsoleti e pericolosi»  –:
          se intenda acquisire ulteriori informazioni, anche attraverso un'ispezione, in merito alle ragioni delle carenze strutturali lamentate dalla Uil-Pa Penitenziari con riferimento degli automezzi assegnati al nucleo traduzioni e piantonamenti di Avellino;
          se e quali urgenti provvedimenti ritenga opportuno adottare al fine di rimuovere le rilevate disfunzioni e carenze;
          se, infine, non ritenga opportuno verificare se le suddette carenze strutturali si riferiscano anche agli automezzi assegnati al nucleo traduzioni e piantonamenti di altre città. (5-07391)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dal quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno del 14 maggio 2012, un uomo, Popo Virgil Cristria, 38enne di Bucarest, rinchiuso nel carcere di Lecce per reati contro il patrimonio ma che si era sempre dichiarato innocente, è morto a 38 anni nell'ospedale «Vito Pazzi» di Lecce dopo lo sciopero della fame intrapreso 50 giorni perché voleva richiamare l'attenzione delle autorità sulla sua situazione;
          l'uomo nel corso dello sciopero della fame non ha mai toccato cibo, ed ha più volte chiesto la sospensione della pena che però non gli è stata concessa. Le sue condizioni di salute sono via via peggiorate fino alla morte. Il magistrato di turno, il sostituto procuratore Carmen Ruggiero, ha disposto il sequestro delle cartelle cliniche e della documentazione sanitaria che si trova in carcere  –:
          se il Ministro in indirizzo abbia disposto una specifica indagine sul decesso del detenuto;
          se al detenuto sia stata assicurata tutta l'assistenza possibile oltre che umana, competente per le sue condizioni fisiche e mentali;
          se siano noti i motivi per cui non sia stato disposto d'urgenza il ricovero in ospedale prima che le condizioni di Popo Virgil Cristria peggiorassero in modo fatale come è avvenuto;
          se, infine, il Ministro non ritenga urgente avviare un'indagine sui decessi che avvengono tra i detenuti delle carceri italiane, inclusi i suicidi, per verificarne le cause reali e scongiurarne di nuovi.
(5-07392)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato nell'articolo scritto da Anna Grezzi e pubblicato sul quotidiano La provincia di Pavia dello scorso 11 maggio, Dani Renati, detenuto al carcere di Torre del Gallo a Pavia per un cumulo di reati, dal furto di bicicletta al borseggio, è morto di tumore a 28 anni, all'ospedale San Matteo, dove era arrivato all'inizio di aprile. E poi era tornato in carcere, prima di essere ricoverato di nuovo il 16 aprile;
          sulla vicenda i genitori dell'uomo hanno rilasciato le seguenti dichiarazioni: «In carcere nostro figlio non è stato curato. Vogliamo capire come sia possibile che nessuno si sia accorto della malattia prima di aprile»;
          i medici del policlinico sono tranquilli: «Sono stati fatti subito tutti gli accertamenti ma è arrivato all'ospedale con metastasi in tutto il corpo e senza diagnosi. L'unica possibilità era la chemioterapia, non risolutiva. Dal 2009 fino al ricovero non risultano altri contatti con l'ospedale»;
          nell'articolo scritto da Anna Grezzi è dato leggere quanto segue: «Dani, detto Tito, è morto il 7 maggio in ospedale. Era in carcere da 22 mesi, il 25 aprile è stato scarcerato perché malato terminale per decisione del magistrato di sorveglianza e della Corte d'appello, come ha ricordato ieri il direttore di Torre del Gallo, Jolanda Vitale. I genitori sostengono che da quattro mesi avesse dolori lancinanti, solo sedati con antidolorifici. In realtà aveva diversi problemi di salute, era in cura dagli infettivologi di Torre del Gallo per problemi al fegato e altre patologie. Risulta che ad agosto 2011 i sanitari della casa circondariale avessero chiesto una biopsia del fegato. A marzo, secondo quanto risulta dagli stessi, era stato inviato in pronto soccorso per violenti dolori lombari e dimesso immediatamente con antidolorifici. All'inizio di aprile compare l'ittero. Il dirigente sanitario di Torre del Gallo Roberto Marino, psichiatra dell'Asl chiede il ricovero. Al San Matteo l'unico posto letto per carcerati è in chirurgia. Dani resta piantonato in ospedale per 10 giorni. Il 13 aprile è dimesso. Il policlinico. Al San Matteo Dani arriva il 3 aprile, «per una caduta – spiegano dalla fondazione – con forti dolori. È stato visitato da neurologi, internisti, oncologi, ematologi già al primo ricovero. È stato dimesso il 13 aprile, con una lettera per il direttore sanitario del carcere in cui si consigliava di farlo ricoverare nel reparto di medicina penitenziaria a Milano. L'invito è stato ignorato, l'hanno rinviato da noi il 16». Dani sta male, non cammina. All'ospedale San Paolo di Milano, riferiscono dal carcere, dicono che per i pazienti ematologici anche detenuti si rivolgono al San Matteo, struttura d'eccellenza. Che però non ha un reparto di medicina penitenziaria, e in cui ospitare un detenuto significa distaccare agenti carcerari di Torre del Gallo. Già sotto organico. Ricoverare i detenuti. Roberto Marin, il direttore sanitario di Torre del Gallo assicura: «In carcere sono stati fatti tutti gli accertamenti possibili. Quando ha manifestato dolori, sono state fatte analisi che hanno dato esito negativo. Ha continuato a peggiorare, è stato fatto ricoverare al San Matteo. Inizialmente anche lì pensavano non ci fossero particolari patologie. Non era facile capire la gravità della malattia, ma i sanitari del carcere sono stati acuti nell'insistere sul ricovero, caldeggiato fortemente da loro: il magistrato di sorveglianza è stato da me informato sulla situazione. Avevamo chiesto due volte il ricovero ma il ragazzo era stato mandato indietro». È la prassi? «Accade più spesso di quello che noi vorremmo – risponde Marino – Ci sono diversi casi clinici in cui noi lo chiediamo ma i medici dell'ospedale non lo ritengono necessario. Così li rinviamo più volte finché non viene deciso di ricoverarli: cerchiamo di dare standard sanitari elevati anche in carcere, facciamo screening diagnostici approfonditi perché i detenuti sono soggetti delicati, esposti a patologie, con diritti limitati. Ma c’è carenza oggettiva di informazioni per la famiglia, ne comprendo l'angoscia, il dubbio che non sia stato fatto quello che occorreva. Ben venga la denuncia, servirà ai familiari a capire com’è andata». I Radicali. Riccardo Canevari, segretario dei Radicali pavesi, commenta: «Sarà bene chiarire perché il giovane era stato dimesso e perché il direttore sanitario del carcere ha rifiutato l'ipotesi del ricovero a Milano. Da qualche mese non facciamo visite in carcere perché non ci sono parlamentari disponibili ad accompagnarci, ma dall'ultima rilevazione sembra che a Pavia il trattamento sanitario in carcere sia accettabile per gli standard carcerari italiani. Ma quella dei ricoveri è effettivamente una difficoltà causata, in parte, anche dalle difficoltà che comporta per gli agenti di polizia penitenziaria»  –:
          se non ritengano – in via cautelativa nei confronti degli altri detenuti ristretti nel carcere di Pavia – di dover verificare, attraverso un'approfondita indagine interna, se il trattamento sanitario previsto nell'istituto e garantito al detenuto Dani Renati, abbia avuto corrispondenza con le leggi dello Stato e, soprattutto, con quanto previsto dagli articoli 3, 13 (comma 4), 27 (comma 3), 32 della Costituzione;
          quanti siano, negli ultimi cinque anni i detenuti morti in carcere per malattia e quanto coloro che, usciti dal carcere in sospensione della pena per malattia, siano successivamente morti in ospedale o nelle proprie abitazioni. (5-07393)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa il 10 maggio 2012, Bernardo Provenzano, detenuto nel carcere di Parma, avrebbe tentato il suicidio, cercando di soffocarsi mettendo la testa in un sacchetto di plastica. Prontamente soccorso dagli agenti della polizia penitenziaria, l'uomo è stato salvato;
          Bernardo Provenzano, 79 anni il 31 gennaio 2012, è detenuto da quasi un anno nel carcere di Parma. La quarta sezione della corte d'appello di Palermo ne dispose il trasferimento da Novara. I giudici, considerate le precarie condizioni di salute dell'uomo arrestato l'11 aprile 2006 dopo 43 anni di latitanza, accolsero la richiesta del procuratore generale Carmelo Carrara, ritenendo che avesse bisogno di una struttura adeguata dal punto di vista clinico;
          il carcere di Parma è dotato di un centro clinico e nelle sue vicinanze c’è un reparto ospedaliero per detenuti. Sono stati numerosi, nei mesi scorsi, gli appelli del legale del detenuto, avvocato Rosalba Di Gregorio: «Provenzano è molto malato, rischia la morte ogni giorno. Basta col 41-bis. Venga detenuto ma in condizioni civili. Oltre alla recidiva di un cancro alla prostata, l'uomo ha subito una ischemia che gli ha distrutto parzialmente il cervello. Peraltro i tremori e i movimenti rallentati che manifesta sono quelli tipici di una sindrome parkinsoniana»;
          lo stesso difensore dell'uomo ha chiesto che venga fatta piena luce su questo tentato suicidio rilasciando la seguente dichiarazione alle agenzie di stampa: «Qualcuno sostiene che il mio assistito ha tentato il suicidio con il sacchetto dei medicinali. Bene, è assolutamente impossibile perché in cella è vietato, non solo per Provenzano, ma per tutti detenuti, tenere delle medicine. Quindi, continuo a chiedermi cosa ci facesse una sacchetto nella cella del mio assistito. Inoltre, nei giorni scorsi un pool di periti tra cui psichiatri e psicologi avevano sostenuto che Provenzano fosse compatibile con la detenzione in carcere. Noi non avevamo chiesto di scarcerarlo ma di controllare il suo stato psicologico. Loro hanno detto che aveva le capacità di intendere e di volere. E che può stare “validamente in giudizio” e presenziare al processo che si terrà questa mattina a Palermo per l'omicidio di Ignazio Panetinto. A questo punto, o è un simulatore oppure è un depresso. Quindi mi chiedo se la perizia degli psichiatri ha una sua validità. Loro avevano escluso la depressione»;
          secondo quanto si apprende da fonti del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Bernardo Provenzano avrebbe simulato di volersi suicidare. Il detenuto, sottoposto recentemente a perizie che hanno stabilito che è in grado di intendere e di volere, già da giorni, secondo quanto riferito, avrebbe cercato di dimostrare la sua pazzia. L'altra sera, quando l'addetto alla sorveglianza si è avvicinato, Provenzano ha messo la testa dentro un sacchetto di plastica di piccole dimensioni usato per tenere i farmaci. Per dare prova della sua instabilità mentale, il boss diceva di non riuscire a sedersi e di non trovare la sedia;
          sulla vicenda il dottor Francesco Messineo, procuratore di Palermo, ha rilasciato la seguente dichiarazione: «Ogni lettura è legittima: sia che siamo davanti a un reale tentativo di suicidio, sia che si sia trattato di un gesto fatto per “attirare l'attenzione” sulla propria condizione. In ogni caso quanto accaduto è una spia importante di un disagio personale, di una mancanza di equilibrio, soprattutto per un capomafia di quel livello. Si è trattato di un gesto allo stato assolutamente iniziale: Provenzano si era appena infilato il sacchetto in testa tenendolo stretto con le mani, quando è stato visto dall'agente»;
          il trattamento penitenziario deve essere realizzato secondo modalità tali da garantire a ciascun detenuto il diritto inviabile al rispetto della propria dignità, sancito dagli articoli 2 e 3 della Costituzione, dagli articoli 1 e 4 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 2000, dagli articoli 7 e 10 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1977, dall'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali del 1950, dagli articoli 1 e 5 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, nonché dagli articoli 1, 2 e 3 della Raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa del 12 febbraio 1987, recante «Regole minime per il trattamento dei detenuti» e dall'articolo 1 della raccomandazione (2006)2 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa dell'11 gennaio 2006, sulle norme penitenziarie in ambito europeo;
          il diritto alla salute, sancito dall'articolo 32 della Costituzione, rappresenta un diritto inviolabile della persona umana, non suscettibile di limitazione alcuna e idoneo a costituire un parametro di legittimità della stessa esecuzione della pena, che non può in alcuna misura svolgersi secondo modalità idonee a pregiudicare il diritto del detenuto alla salute ed alla salvaguardia della propria incolumità psico-fisica;
          l'articolo 11 della legge 26 luglio 1975, n.  354, sancisce una rigorosa disciplina in ordine alle modalità ed ai requisiti del servizio sanitario di ogni istituto di pena, prescrivendo tra l'altro che «ove siano necessari cure o accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti, i condannati e gli internati sono trasferiti (...) in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura»;
          la prima firmataria del presente atto ha già presentato, più volte sollecitando risposta, l'atto di sindacato ispettivo a risposta scritta n.  4-10765, nel quale si chiede conto di quali siano le condizioni di salute del signor Bernardo Provenzano e se lo stesso venga sottoposto alle visite mediche e alle terapie imposteci suo precario quadro clinico;
          a giudizio della prima firmataria del presente atto, è necessario un intervento urgente al fine di verificare le reali condizioni di salute del detenuto in questione, affinché siano adottati i provvedimenti più opportuni, ciò al fine di garantire che l'espiazione della pena non si traduca di fatto in un'illegittima violazione dei diritti umani fondamentali, secondo modalità tali peraltro da pregiudicarne irreversibilmente le condizioni psico-fisiche, già gravemente compromesse. Come radicali gli interroganti sono sempre stati convinti, e continueranno ad esserlo, che in un sistema democratico quel che più conta è la legalità dei mezzi rispetto alla legittimità dei fini  –:
          quale sia l'esatta dinamica del tentato suicidio messo in atto dal signor Provenzano;
          se sulla vicenda si intenda avviare una indagine amministrativa interna, in particolare al fine di verificare se effettivamente il detenuto avesse nella propria disponibilità un sacchetto dei medicinali;
          se e quali misure precauzionali e di vigilanza siano state adottate dall'amministrazione penitenziaria nei confronti del detenuto dopo questo episodio;
          se non si intendano adottare, per quanto di competenza, iniziative urgenti al fine di verificare le reali condizioni di salute del detenuto in questione al fine di prendere le misure più opportune, garantendo che l'espiazione della pena non si traduca di fatto in un'illegittima violazione dei diritti umani fondamentali, secondo modalità tali peraltro da rischiare di pregiudicare irreversibilmente le condizioni psico-fisiche dell'uomo;
          se e quali verifiche siano state compiute dall'amministrazione penitenziaria dopo la presentazione dell'interrogazione n.  4-10765 del 7 febbraio 2011, alla quale il Governo non ha comunque ancora risposto. (5-07394)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il 6 maggio 2012 la prima firmataria del presente atto è tornata a visitare il carcere di Badu e Carros accompagnata dal garante dei detenuti del comune di Nuoro, professor Gianfranco Oppo; la visita è stata guidata dalla direttrice, dottoressa Patrizia Incollu;
          la precedente visita risale al 4 febbraio 2012 ed è stata oggetto di un'altra interrogazione n.  4-15287 (poi trasformata nell'interrogazione n.  5-06776) che, pur essendo stata sollecitata, non ha mai ricevuto risposta;
          la situazione del carcere, illegale per le modalità di detenzione e per le condizioni di lavoro di tutto il personale che registra significative carenze nell'organico, è sostanzialmente rimasta immutata; gli unici miglioramenti si registrano grazie alla presenza del garante comunale che, insediatosi a febbraio di quest'anno, è riuscito ad instaurare un buon rapporto con la direzione del carcere e con i detenuti; condizione positiva che ha portato alla soluzione di alcuni piccoli problemi che sono però molto importanti per i detenuti;
          i detenuti presenti sono 189; ristretti nella sovraffollata sezione ordinaria vi sono 76 uomini e 13 donne; in alta sicurezza 1 vi sono 25 uomini, mentre in alta sicurezza 3 ve ne sono 66; un detenuto è ristretto in regime di 41-bis ed occupa, da solo, la IV sezione; 8 sono i semiliberi, tutti uomini; i detenuti stranieri sono in tutto 18, di cui 7 donne; quanto alla posizione giuridica, i detenuti in attesa di primo giudizio sono 24, gli appellanti 17, i ricorrenti 10; coloro che scontano una pena definitiva sono 138;
          sul sito del Ministero della giustizia, al 31 dicembre 2011, per l'istituto di Badu e Carros, è scritto che la capienza regolamentare del carcere è di 281 posti: il dato è ad avviso degli interroganti con ogni evidenza erroneo; è probabile che si siano conteggiati nei posti regolamentari anche quelli del nuovo padiglione che però è chiuso essendo ancora in attesa del collaudo;
          in altre occasioni la prima firmataria del presente atto ha evidenziato la mancata corrispondenza fra i dati inseriti sul sito internet del Ministero della giustizia e la realtà dei fatti (si veda il caso del carcere di piazza Lanza a Catania);
          di fronte ad una situazione emergenziale come quella descritta in questa e nella precedente interrogazione (4-15287), appare gravissimo il fatto che non si sia ancora proceduto all'apertura del nuovo reparto completamente ristrutturato e a norma;
          fra i casi particolari da segnalare, ci sono:
              G. M. 76 anni, detenuta con molte patologie che non possono curarsi in regime detentivo e per la quale la prima firmataria del presente atto aveva già presentato il 10 gennaio del 2011 un'interrogazione (4/10292) che non ha ricevuto risposta;
              N. Y. catturato in Albania per un reato commesso in Italia è stato portato prima nel carcere di Voghera e poi a Badu e Carros; non si spiega il motivo per cui non possa scontare la pena in Albania dove vive la figlia undicenne che non vede da cinque anni;
              F. G., si è visto rigettare la richiesta di trasferimento nella regione di residenza, la Puglia, dove vive il figlio affetto dalla sindrome di Marfan che non è in alcun modo in grado di viaggiare per avere colloqui con il padre; nel provvedimento del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria si legge che la richiesta di trasferimento non può essere accolta «in ragione dell'attuale condizione di sovraffollamento degli istituti penitenziari»;
              rimane invariata la condizione di F.D'A. segnalata nella precedente interrogazione; F.D'A, 31 anni, ergastolano che si trova in carcere da 11 anni; F.D'A. ha studiato in stato di detenzione partendo dalle scuole medie; iscrittosi all'università di Sassari presso la facoltà di scienze della comunicazione ha potuto sostenere un solo esame perché nel carcere di Nuoro non ci sono sufficienti risorse per consentirgli di fare altri esami; pur di studiare è disponibile ad essere trasferito; anche B. R. segnala che da 2 anni non gli è consentito di iscriversi all'università;
              S. A. lamenta di essersi visto confermare dal magistrato di sorveglianza di Sassari il rifiuto di un permesso già emesso dal tribunale di Nuoro; il magistrato di sorveglianza di Sassari ha respinto l'istanza di permesso, sposando in pieno le motivazioni di quello di Nuoro: «rilevato che il detenuto, è ancora sottoposto ad osservazione e che non risulta formulato alcun programma trattamentale»; da sottolineare il fatto che S.A. ha già scontata dieci anni e che gli mancano 9 mesi al fine pena;
              inoltre, è stato trasferito in Sardegna dal carcere di Catanzaro Siano per sfollamento e che a causa di ciò ha dovuto interrompere gli studi (3° anno di geometra) che non può proseguire a Badu e Carros;
              anche D. F. è stato trasferito a Nuoro dal carcere di Catanzaro Siano per sfollamento; da un anno non fa più colloqui con la moglie malata di tumore e con le sue due figlie di 10 e 13 anni;
          molti sono i detenuti che affermano di non aver mai ottenuto un permesso nonostante i tanti anni di detenzione già subita: si segnala il caso di V. P. che afferma di aver già scontato 22 anni e che nel corso della detenzione è riuscito a diplomarsi ragioniere;
          un caso singolare è quello di P. L. trasferito a Badu e Carros proprio perché voleva stare in un cella singola per i suoi problemi di tipo psichiatrico; ora teme il trasferimento nel nuovo padiglione perché lì non sono previste celle singole;
          F. D., detenuto comune che si trova però in alta sicurezza, deve scontare meno di due anni e da nove mesi non vede moglie e figli che vivono a Bari; è arrivato a Badu e Carros dal carcere di Palmi per sfollamento a causa del sovraffollamento di quell'istituto; lamenta che gli sia stato rigettato il permesso premio per la cresima dei figli;
          V. D'A. passa il tempo a scrivere poesie; ha vinto anche alcuni premi nazionali ma non può disporre di una macchina per scrivere;
          non avendo la regione Sardegna rinnovato la convenzione per la gestione della biblioteca, peraltro molto fornita, oggi non v’è chi la conduca in modo regolare;
          permangono le difficoltà di rapporto, anche d'incontro, dei detenuti con il magistrato di sorveglianza;
          i commi 1 e 2 dell'articolo 69 della legge 26 luglio 1975, n.  354, stabiliscono che «Il magistrato di sorveglianza vigila sulla organizzazione degli istituti di prevenzione e di pena e prospetta al Ministro le esigenze dei vari servizi, con particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo. Esercita, altresì, la vigilanza diretta ad assicurare che l'esecuzione della custodia degli imputati sia attuata in conformità delle leggi e dei regolamenti»;
          il 1° comma dell'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n.  230 del 30 giugno 2000 prevede altresì che «Il magistrato di sorveglianza» visita «con frequenza i locali dove si trovano i detenuti e gli internati, agevolando anche in tal modo la possibilità che questi si rivolgano individualmente ad essi per i necessari colloqui ovvero per presentare eventuali istanze o reclami orali (...)»;
          il comma 4 dell'articolo 19 della legge n.  354 del 1975 (ordinamento penitenziario) stabilisce che «è agevolato il compimento degli studi dei corsi universitari ed equiparati ed è favorita la frequenza a corsi scolastici per corrispondenza, per radio e per televisione»;
          l'articolo 15, comma 2, dell'ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975, n.  354) stabilisce che «Il trattamento del condannato e dell'internato è svolto avvalendosi principalmente dell'istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia;
          l'articolo 28 dell'ordinamento penitenziario, che regola i rapporti con la famiglia, al comma 1, recita «Particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie. Nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza delle famiglie. (.. .)»  –:
          se siano a conoscenza di quanto descritto in premessa e se si intenda intervenire per ridurre, fino a portarla a quella regolamentare, la popolazione detenuta nel carcere Badu e Carros di Nuoro;
          se e quando si intenda intervenire, per quanto di competenza, per colmare il deficit di organico della polizia penitenziaria, degli psicologi e degli educatori;
          se e quali iniziative di competenza si intendano assumere affinché sia assicurata un'adeguata assistenza sanitaria ai detenuti e l'assoluto rispetto dei livelli essenziali di assistenza;
          se nelle relazioni semestrali della competente ASL siano state segnalate le evidenti scadenti condizioni igienico-sanitarie delle celle;
          se si intendano incrementare i fondi relativi alle mercedi per il lavoro dei detenuti, quelli riguardanti i sussidi per i più indigenti, quelli per le attività trattamentali e, infine, quelli da destinare alla pulizia dell'istituto e, in particolare, delle celle;
          in che modo si intenda intervenire, per quanto di competenza, in merito ai casi singoli segnalati in premessa;
          cosa si intenda fare, affinché sia rispettato il principio della territorializzazione della pena e della concreta possibilità di rapporto dei detenuti con la propria famiglia;
          quali iniziative di propria competenza il Ministro della giustizia intenda assumere in relazione alle criticità rappresentate in premessa con riferimento al ruolo della magistratura di sorveglianza;
          se il magistrato di sorveglianza abbia prospettato al Ministro della giustizia le esigenze dei vari servizi del carcere di Badu e Carros, con particolare riguardo all'attuazione del trattamento rieducativo;
          cosa si intenda fare per agevolare il compimento degli studi dei detenuti segnalati in premessa;
          se intenda intervenire immediatamente per aprire il nuovo padiglione; se siano stati previsti stanziamenti per la ristrutturazione del vecchio istituto, quando inizieranno i lavori e dove e come verranno sistemati i detenuti che non possono trovare posto nel nuovo padiglione. (5-07395)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          in merito alla costruzione del nuovo istituto penitenziario di Cagliari, il quotidiano l'Unione Sarda dello scorso 8 maggio 2012 riporta le seguenti dichiarazioni di Maria Grazia Caligaris, Presidente dell'associazione «Socialismo, Diritti, Riforme»: «Appare sconcertante che mentre il Presidente del Consiglio invita i cittadini a segnalare gli sprechi, nella relazione del Ministero della Giustizia a quello dei Rapporti con il Parlamento, non si faccia alcun cenno ai gravissimi ritardi nel completamento delle opere relative alla costruzione del nuovo carcere di Cagliari la cui realizzazione doveva essere ultimata da oltre un anno. Il fallimento del Piano straordinario carceri promosso dal Consiglio dei Ministri nel gennaio 2009 è chiaro ormai a tutti ma non sembra interessare il Governo. In una situazione di totale immobilità, l'unica strada percorribile è quella di un sopralluogo dei tecnici del Ministero competente in grado di valutare l'entità della struttura e fornire spiegazioni sul comportamento anomalo di Opere Pubbliche che, pur avendo utilizzato una parte rilevante dei 58 milioni e 840 mila euro stanziati dallo Stato per la costruzione del nuovo carcere di Cagliari e sebbene abbia anche utilizzato le facilitazioni derivanti dal carattere di urgenza dei lavori, senza rispettare tempi, adempimenti e assumendo atteggiamenti lesivi dei diritti dei lavoratori, non ha risolto il problema del sovraffollamento, imperativo categorico del Piano ministeriale. La questione peraltro non si limita al caso Uta. Si deve ricordare che l'investimento complessivo del Piano in Sardegna è stato di 160 milioni di euro. Oltre quello di Cagliari, sono stati finanziati i nuovi Istituti Penitenziari di Sassari (53 milioni e 710 mila euro), Oristano (36 milioni e 150 mila euro) e Tempio (33 milioni). Nessun nuova struttura però è entrata in funzione con buona pace di quelli che ritengono la trasparenza un valore da perseguire costantemente e gli Istituti Penitenziari di grandi dimensioni sono antistorici e antieconomici»  –:
          per quali motivi non sia stata ancora ultimata la realizzazione del nuovo carcere di Cagliari, programmata già oltre un anno fa;
          se il Ministro competente non intenda effettuare un sopralluogo al fine di valutare l'entità della struttura e fornire spiegazioni sul comportamento anomalo di opere pubbliche che, pur avendo utilizzato una parte rilevante dei 58 milioni e 840 mila euro stanziati dallo Stato per la costruzione del nuovo carcere di Cagliari, non è ancora riuscita a ultimare la costruzione del nuovo istituto penitenziario;
          a che punto siano i lavori relativi alla costruzione delle nuove strutture penitenziarie di Sassari, Oristano e Tempio, quanti soldi siano stati spesi fino ad oggi per la loro realizzazione e per quali motivi i lavori non siano stati ancora ultimati. (5-07396)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dal quotidiano La Nuova Sardegna il 6 maggio 2012, all'interno dell'istituto penale minorile di Quartucciu gli agenti di polizia penitenziaria operano in condizioni che rasentano l'insostenibilità;
          la denuncia proviene da un comunicato firmato dalla segreteria provinciale della Cgil Funzione pubblica nel quale è dato leggere quanto segue: «La carenza oramai strutturale dell'organico, corroborata dalla mancanza di investimenti, mettono costantemente in discussione i diritti alla salute, alla sicurezza e alla cittadinanza dei detenuti. A fronte di un organico di polizia penitenziaria di 47 unità, all'istituto ne sono assegnate solo 27. La situazione risulta ulteriormente aggravata dalle attività svolte presso il Centro di prima accoglienza di Quartucciu, limitrofo all'Ipm che, non avendo personale proprio, utilizza quello in servizio nell'Istituto di pena minorile. Senza contare lo stato di degrado della caserma agenti: in tutte le camere manca l'acqua calda. Solo in una camera della foresteria è presente un boiler. Tutti i poliziotti che pernottano in caserma devono a turno usufruire dell'unica doccia disponibile che, per ovvi motivi, non può essere usata dalle unità di polizia penitenziaria femminile. Per garantire lo svolgimento di tutte le attività trattamentali che si svolgono nell'Istituto, le traduzioni dei detenuti verso la penisola, per tutti i compiti istituzionali e il mantenimento dell'ordine e della sicurezza interna, si ricorre richiamando il personale di polizia penitenziaria dal congedo ordinario e dai riposi. Questo determina un elevato numero di riposi e di ferie non fruite, in alcuni casi accumulate fin dal 2010»  –:
          se quanto denunciato segreteria provinciale della Cgil-funzione pubblica corrisponda al vero;
          se non intenda provvedere all'immediato potenziamento dell'organico degli agenti di polizia penitenziaria assegnati presso la struttura penitenziaria minorile di Quartucciu;
          quali provvedimenti urgenti intenda effettuare all'interno della caserma degli agenti di polizia penitenziaria in modo da rendere accettabili le loro condizioni di lavoro e, in particolare, se non ritenga urgente e necessario attivarsi per garantire la presenza dell'acqua calda per tutti gli agenti ivi assegnati. (5-07398)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 6 maggio 2012, sul quotidiano Il Messaggero Veneto, è apparso un articolo intitolato: «Pannella: vigilare sui lavori di ristrutturazione della Casa Circondariale»;
          l'articolo prende spunto da alcune dichiarazioni rilasciate dal leader radicale all'esito della visita ispettiva dallo stesso effettuata – insieme al consigliere regionale del PdL Gaetano Valenti e al candidato consigliere Pietro Pipi – all'interno del penitenziario di Gorizia;
          in merito alle condizioni in cui versa la struttura penitenziaria goriziana Marco Pannella ha rilasciato le seguenti dichiarazioni: «Il carcere di Gorizia necessita di manutenzione, ma non è in condizioni peggiori rispetto a quelle che ho trovato nelle altre case circondariali che ho visitato in questi anni. Mi ha colpito scoprire che nel penitenziario operano quaranta agenti di Polizia a fronte di una popolazione carceraria di appena 39 detenuti, venti dei quali romeni. Dal tetto però filtra l'acqua, mentre un'intera stanza, con uno splendido pavimento in cotto, non può essere utilizzata: si rischia il cedimento. Bisogna individuare i responsabili della ditta che ha eseguito i lavori e farsi restituire i soldi. Ora arriveranno circa 2 milioni di euro: sarà compito delle istituzioni vigilare affinché i lavori vengano effettuati a regola d'arte»  –:
          se intenda acquisire ulteriori informazioni, anche attraverso un'ispezione, in merito alle ragioni delle carenze strutturali del suddetto carcere;
          se e quali urgenti provvedimenti ritenga opportuno adottare al fine di rimuovere le rilevate disfunzioni e carenze dell'istituto di pena in esame, e garantire adeguate misure di sicurezza ai detenuti e al personale in servizio presso la struttura stessa;
          se, infine, non ritenga opportuno verificare le ragioni che hanno causato la cattiva esecuzione dei lavori di ristrutturazione e la presenza di eventuali sprechi nella conduzione dei lavori medesimi.
(5-07402)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia ASCA del 6 maggio 2012, un detenuto gravemente malato avrebbe rinunciato ad un intervento chirurgico per essere subito trasferito da Roma a Cosenza e incontrare la madre ed figlio minorenne che non vede dal giorno del suo arresto;
          secondo il leader del Movimento dei Diritti Civili, Franco Corbelli, «l'uomo chiede solo di poter incontrare la madre, da molti anni gravemente malata, e il figlio minorenne, entrambi residenti a Cosenza, che non vede dal momento del suo arresto. È una storia drammatica e incredibile, che evidenzia ancora una volta quali drammi, sofferenze, ingiustizie si consumano, in silenzio, nelle carceri italiane. Questo detenuto, che deve scontare una condanna per un piccolo reato, era stato, per motivi di salute, trasferito da Cosenza prima a Bari (dove è rimasto nove mesi) e quindi a Roma. Qui gli è stata diagnosticata una malattia per la quale avrebbe dovuto sottoporsi ad una operazione. I tempi di attesa per l'intervento però erano molto lunghi»  –:
          per quali motivi il detenuto non sia ancora riuscito ad incontrare la madre malata ed il figlio minorenne dal momento del suo arresto;
          se non intenda valutare la possibilità di trasferire il detenuto presso un istituto di pena il più vicino possibile al luogo di residenza dei suoi familiari;
          quali iniziative il Ministro intenda adottare, sollecitare o promuovere al fine di garantire e tutelare il fondamentale diritto alla salute del detenuto. (5-07403)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          in un comunicato stampa del 3 maggio 2012, un gruppo di detenuti del carcere di Lanusei, la struttura penitenziaria dell'Ogliastra risalente al 1870, ricavata da un antico convento, hanno denunciato i numerosi disagi con i quali sono costretti a convivere;
          in particolare i detenuti scrivono quanto segue: «Siamo collocati in una cella non fumatori – hanno scritto – perché tra di noi ci sono alcuni che hanno gravi problemi respiratori avendo anche subito interventi chirurgici. Accade però che ogni tanto viene aggiunto qualche detenuto fumatore con inevitabili tensioni e rischi per la salute. Attualmente siamo in 6 ma in cella ci sono 7 brande e purtroppo presto aumenteremo di numero. Viviamo in condizioni non sopportabili anche perché siamo chiusi per troppe ore. Non ci sono soldi per poter svolgere qualche lavoro. Abbiamo trascorso un inverno freddissimo e ora, che siamo in procinto dell'estate ci preoccupano non poco le condizioni di vivibilità. Non abbiamo neppure la possibilità di avere neppure un po’ di acqua fresca. Il nostro convincimento è che non si possa andare avanti in questo modo. Diteci voi come ci dobbiamo comportare»;
          nel carcere di Lanusei le persone sono costrette a condividere spazi angusti e a trascorrere le giornate in totale inattività con evidenti rischi per la sicurezza considerando la oggettiva difficoltà a condividere la cella quando si è in sei persone e si registrano problemi di salute. In questo modo non è possibile la rieducazione e il reinserimento sociale e la detenzione si limita alla pena che incattivisce e disumanizza  –:
          quali provvedimenti urgenti intendano adottare, sollecitare e promuovere, negli ambiti di rispettiva competenza, al fine di risolvere tutte le criticità strutturali che affliggono il carcere di Lanusei così come denunciate dagli stessi detenuti ivi reclusi. (5-07404)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dal quotidiano La Stampa il 1° maggio 2012, l'Osapp (Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria), attraverso il suo responsabile generale Leo Beneduci, ha protestato contro la creazione di nuovi padiglioni nel carcere di Biella, con il conseguente aumento della popolazione carceraria, mentre la carenza del personale resta invariata;
          in particolare i responsabili dell'Osapp hanno dichiarato quanto segue: «All'interno del penitenziario biellese sono conclusi i lavori per i due nuovi padiglioni che, sulla carta, dovrebbero ospitare 200 reclusi, in aggiunta agli altri 300 già presenti nella parte vecchia della casa circondariale. Il timore del personale, però, è che i detenuti possano lievitare a più di 300. E questo a fronte di un organico di 180 agenti, quindi carente del 50 per cento. I carichi di lavoro, infatti, aumenteranno e già i poliziotti sono in difficoltà con piantonamenti, traduzioni e altro. Tutto questo, a Biella come altrove, si ripercuote su due fronti. Il primo riguarda la sicurezza del personale, costretto anche a turni estenuanti, mentre il secondo la sicurezza degli stessi reclusi, che ci vengono affidati. Se vogliono aprire dei nuovi padiglioni allora ci diano dell'altro personale»  –:
          se non intenda disporre quanto prima un immediato aumento del numero degli agenti di polizia penitenziaria assegnati presso la struttura penitenziaria biellese, ciò alla luce della costruzione del nuovo padiglione e del conseguente aumento, nel breve periodo, del numero dei detenuti ivi ristretti. (5-07405)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dal La Gazzetta del Sud del 29 aprile 2012, trasferire i detenuti da un carcere all'altro per farli colloquiare costerebbe troppo e quindi il Ministero della giustizia avrebbe imposto lo stop ai viaggi delle persone private della libertà personale, evitando così che i blindati sprechino carburante;
          la disposizione penalizza tutti quei reclusi, che, ad esempio, vorrebbero fosse soddisfatto il diritto di avere un dialogo con un parente, ristretto altrove. È il caso di Carmelo Porto, rinchiuso nella casa circondariale di Catania Bicocca, il quale ha invocato di essere trasportato con un blindato a Messina per un faccia a faccia con la figlia Francesca, dietro le sbarre nella prigione di Gazzi. Ma il direttore dell'ufficio detenuti e trattamento, del dipartimento Amministrazione penitenziaria, ha vietato il trasferimento con la seguente motivazione: «Ostano ragioni che impongono il mantenimento delle rispettive sedi di assegnazione. L'attuale situazione finanziaria, che già comporta sforzi al fine di assicurare le traduzioni, non consente di dare seguito alla richiesta, che imporrebbe rilevanti e non sostenibili oneri, in termini di risorse umane e logistiche»  –:
          se e quali provvedimenti si intendano assumere per evitare che in futuro il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria decida di vietare nuovamente le richieste di trasferimento di quei detenuti che intendono esercitare il loro sacrosanto diritto ad avere un colloquio con un parente ristretto in un altro istituto di pena. (5-07406)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          lo scorso 30 aprile il Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria) ha chiesto conto al Ministro della Giustizia delle spese sostenute dall'Amministrazione penitenziaria in redazione alla partecipazione del Capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dottor Giovanni Tamburino, al convegno dell'Unione camere penali che si è tenuto a Chiavari il 28 aprile 2012;
          nel comunicato è dato leggere quanto segue: «Si è trattato di un Convegno certamente interessante sul tema del carcere e delle misure alternative. Ma da quel che si è visto nelle riprese tv dei telegiornali erano tra gli altri presenti nella sala tutti i Direttori e i Comandanti delle carceri liguri, il Provveditore regionale ligure e molte unità di Polizia Penitenziaria provenienti da tutta la Regione per rappresentanza ed autisti. Quanto è costato tutto ciò in termini di servizi di missione, ore di straordinario, consumo carburante, evidentemente solo per garantire un servizio autoreferenziale al Capo del Dap, soprattutto ora che si invoca sobrietà e risparmio tanto che non si pagano lo straordinario e le missioni ai poliziotti che lavorano in carcere ? Persino le mura del carcere di Chiavari sono state ridipinte in tutta fretta in onore della visita del Capo Dap, come se questo potesse bastare a risolvere i problemi della struttura: perché Tamburino non è andato a visitare il carcere di Marassi, con oltre 800 presenti a fronte di 400 posti letto, o quello di Savona, a vedere le persone detenute in celle senza finestre ?»  –:
          a quanto ammontino le spese sostenute dall'amministrazione penitenziaria in occasione dell'evento che si è tenuto a Chiavari il 28 aprile 2012;
          se e in quali modi il Ministro interrogato intenda intervenire al fine di vigilare e, quindi, evitare che, soprattutto in un delicato momento di crisi economico-finanziaria e di mancanza di fondi financo per l'acquisto dei beni di prima necessità per le persone recluse, abbiano a verificarsi spese inutili in danno dei detenuti stessi e del personale della polizia penitenziaria. (5-07407)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dal quotidiano La Nuova Sardegna dello scorso 29 aprile, un detenuto, cittadino nigeriano, ha tentato di togliersi la vita nel carcere di San Sebastiano;
          a salvargli la vita sono stati gli agenti di polizia penitenziaria i quali, dallo spioncino della serratura del bagno, hanno visto i piedi dell'uomo penzolare, dopodiché hanno sfondato la porta e afferrato il corpo del detenuto prima che fosse troppo tardi, liberandogli il collo dal cappio, creato con le lenzuola della branda. I medici che l'hanno soccorso hanno parlato di intervento in extremis: qualche istante di ritardo, e sarebbe spirato  –:
          quali misure di sorveglianza siano state disposte nei confronti dell'uomo dopo il tentato suicidio;
          quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di San Sebastiano;
          quali siano le condizioni umane e sociali del carcere di San Sebastiano e quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di rendere le condizioni di detenzione delle persone ivi recluse conformi al dettato costituzionale e alle norme dell'ordinamento penitenziario.
(5-07408)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          lo scorso 3 maggio sul quotidiano II Corriere della Sera è uscito un articolo firmato da Antonio Crispino intitolato: «Ecco come pestavamo i detenuti», le intercettazioni dei cinque agenti di Asti;
          l'articolo in questione riporta fatti e circostanze di una gravità enorme e per questo motivo la prima firmataria del presente atto ritiene opportuno riportarne integralmente il contenuto: «La falange del dito destro l'hanno cercata tutto il giorno in cella. Era nello stomaco del detenuto assieme ai tendini strappati alla guardia penitenziaria. A.P. era intervenuto per sedare una rissa nel carcere di Barcellona Pozzo di Gotto. Lui, piccolo, magro, contro un extracomunitario due volte la sua altezza, rinchiuso in una piccola cella da chissà quante ore. Esasperato, non ci ha visto più e l'ha aggredito. I colleghi, i sindacati, la stampa sono intervenuti per sottolineare la gravità del fatto, la violenza che si vive quotidianamente in carcere. Tra l'altro anche la beffa giudiziaria di vedere assolto il proprio aggressore. Ma la violenza in carcere ha tante facce. Quella più oscura è quella sui detenuti, difficile da trattare, da dimostrare e persino da ipotizzare. Quello che avviene all'interno del carcere resta chiuso tra quattro mura. Nessuno denuncia niente. O si trova il modo di fargli cambiare idea. “A Sollicciano, il carcere fiorentino, i detenuti si stavano rivoltando per i pestaggi. Le rivolte sono state sedate con la semplice promessa che li avrebbero fatti lavorare e guadagnare qualche soldo in carcere” racconta Alessio Scandurra dell'associazione Antigone. Andiamo a Poggioreale. Da qui ci giungono la maggior parte di segnalazioni di violenze, pestaggi, vessazioni. “Non credete a quello che vi fanno vedere. Sicuramente vi porteranno nei reparti migliori come l'Avellino. Ma negli altri reparti i detenuti malmenati non si contano”. Lo scrive la moglie di un ragazzo detenuto a Poggioreale da quattro anni. Quasi una veggenza. Il giorno dopo ci portano a visitare il padiglione Avellino e quello Venezia. Tutto pulito e nuovo. I detenuti all'interno non ci sono. Solo televisori accesi. Non ci permettono di parlare con nessuno. La nostra domanda è sempre la stessa: “Vi risultano violenze in carcere ?”. Quando un anziano si avvicina alle sbarre e inizia a raccontare qualcosa, il capitano delle guardie penitenziarie di Poggioreale ci spintona via, cerca di strapparci la telecamera di mano. “Se non chiudi ’sta telecamera te la spacco in testa”. La visita finisce lì. Ma è ad Asti che capiamo bene cosa davvero può succedere in un carcere. Le intercettazioni di un processo descrivono cinque guardie dedite quotidianamente al pestaggio. Ma la scoperta avviene per caso. Gli inquirenti se ne accorgono seguendo il filone della droga che gira in quel carcere. Troppa. Tanti detenuti, anche non tossicodipendenti, risultati positivi ai test durante le visite mediche. Sono gli agenti che la portano, insieme con i superalcolici ed altro. Si scopre uno strano scambio di favori tra guardie e detenuti che consigliano dove comprare la cocaina. Da qui vengono fuori pestaggi gratuiti, ingiustificati, coperti dall'omertà degli altri agenti, il digiuno forzato (fin anche una settimana) e poi le celle. Quelle di isolamento. “Le chiamavamo una estiva e l'altra invernale” racconta Andrea Fruncillo, una ex guardia penitenziaria cacciata dal corpo per favoreggiamento ai detenuti e altri reati. Lui era tra quelli che assistevano ai pestaggi, per non dissociarsi girava la faccia dall'altra parte. “Nella invernale li portavamo quando faceva freddo perché alle finestre non c'erano i vetri. In quella estiva quando era troppo caldo. La finestra c'era ma era sigillata con una lamiera e solo due buchi per far passare l'aria”. I particolari che racconta sono agghiaccianti. Tutti riscontrati nel processo di primo grado conclusosi a fine gennaio scorso. “Tutti assolti” scrive il giudice. Secondo il magistrato i comportamenti delle guardie configurerebbero il reato di tortura e in Italia sono anni che si tenta di introdurlo nel nostro ordinamento. L'udienza di appello è stata fissata il 21 maggio prossimo. “Prima che un'altra sentenza di Stato racconti una verità di carta – dice Fruncillo – voglio che la gente sappia cosa avviene in quel carcere e penso in tanti altri posti. Sono stanco di vedere davanti agli occhi gente pestata. Vivo con il rimorso di non aver denunciato prima. È ora che se ne parli e si inizi a parlare di questo strazio”»;
          nella legislazione italiana non è stato introdotto il reato di tortura come previsto dagli impegni che l'Italia ha assunto quando ha sottoscritto l'adesione alla convenzione ONU contro la tortura;
          il Governo nella seduta dell'8 giugno 2011 aveva accolto un ordine del giorno (9/1439-A/2) della prima firmataria del presente atto che lo impegnava a predisporre con la massima urgenza un disegno di legge volto ad introdurre il reato di tortura nel nostro codice penale;
          l'effettiva prevenzione della tortura e delle altre pene crudeli, inumane o degradanti richiede misure non solo in campo legislativo, amministrativo e giudiziario ma anche in quello dell'educazione  –:
          quali provvedimenti disciplinari siano stati adottati nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria responsabili dei fatti accaduti nel carcere di Asti;
          se il Governo non ritenga di chiarire la sua posizione in merito alle effettive misure adottate per prevenire gli atti di tortura e le altre pene crudeli, inumane o degradanti;
          se il Governo non ritenga di esporre le motivazioni della mancata presentazione del disegno di legge di ratifica del protocollo aggiuntivo alla convenzione ONU contro la tortura, firmato nel 2003.
(5-07409)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che
          il 2 maggio 2012 la prima firmataria del presente atto è tornata a visitare il carcere di Pistoia insieme agli esponenti radicali Matteo Angioli e Manila Michelotti e al leader radicale Marco Pannella; la visita è stata guidata dalla comandante Barbara D'Orefice e dalla direttrice dell'organizzazione e delle relazioni Alessandra Di Fortunato;
          la precedente visita risale al 18 luglio 2011 ed è stata oggetto di un'altra interrogazione (n.  4-12744) che pur essendo stata sollecitata 4 volte dalla prima firmataria del presente atto non ha mai ricevuto risposta;
          la situazione del carcere, già illegale e drammatica 9 mesi fa, è addirittura peggiorata: se allora, infatti, i detenuti presenti erano 117 a fronte di una capienza regolamentare di 74 posti, il 2 maggio 2012 la delegazione ha trovato ben 147 ristretti; 4 detenuti erano assenti temporanei per permessi; i detenuti in attesa di giudizio erano 73 (51 in attesa di 1° giudizio, 14 appellanti, 8 ricorrenti), 78 i definitivi; i detenuti stranieri – in tutto 77 – erano così divisi per nazionalità: 23 albanesi, 1 bulgaro, 1 ivoriano, 1 algerino, 2 egiziani, 1 spagnolo, 22 marocchini, 4 nigeriani, 1 pakistano, 16 rumeni, 4 tunisini, 1 iugoslavo;
          permane la carenza di agenti di polizia penitenziaria: a fronte di una pianta organica che ne prevede 79, gli agenti assegnati sono 67 ma gli effettivamente in servizio sono 49; 1 solo psicologo ex articolo 80 ha un incarico per poche ore settimanali ed è oggettivamente impossibile che possa farsi carico della popolazione detenuta, in particolare dei nuovi giunti; gli educatori sono solamente 2;
          perdura la pressoché totale carenza di attività: ridottissime le possibilità di studio, di lavoro, di attività ricreative e sportive; solo la piccola sezione riservata ai collaboratori di giustizia ha le celle aperte di giorno dalle 8 alle 18;
          impressionante è stato per la delegazione trovare nella sezione destinata all'isolamento detenuti classificati come «media sicurezza» ristretti in celle di circa 6 metri quadrati in tre, con il letto a castello a tre piani; stessa situazione nelle celle al primo piano: tre detenuti in sei metri quadrati e anche nei camerotti del primo piano dove sono stipati dai 6 ai 10 detenuti, sempre in letti a castello a tre piani; le condizioni igienico sanitarie e di struttura continuano ad essere molto precarie: persino la carta igienica viene lesinata, tanto che alcuni detenuti più indigenti, quando vanno in bagno, usano la carta di riviste donate dai volontari; proprio il 2 maggio tutti i detenuti avevano però finalmente ricevuto il kit mancante da mesi e consistente in alcune saponette, una bottiglia di detergente per pulire la cella e alcune spugnette;
          se si considera che nelle condizioni sopra descritte i detenuti del carcere di Pistoia «vivono» per 21 ore al giorno e che le 3 ore d'aria le trascorrono in squallidi cortili denominati «passeggi» alcuni dei quali senza tettoia, è consequenziale comprendere come questo tipo di detenzione corrisponda ad un sequestro di persona che nulla ha a che vedere con quanto previsto dall'articolo 27 della Costituzione; il che, ad avviso dell'interrogante, provoca inevitabilmente un costante stato di frustrazione e mortificazione del personale, in qualsiasi profilo professionale operi;
          nel corso della visita, la delegazione ha potuto osservare che gli unici lavori in corso nella fatiscente struttura del carcere di Pistoia riguardavano la creazione di locali da adibire alla costituzione della banca dati del DNA;
          una buona percentuale dei detenuti incontrati si trovava nel carcere di Pistoia per scontare vecchi residui pena di pochi giorni o di pochi mesi, incarcerazioni intervenute nel momento in cui i soggetti avevano ormai intrapreso un sano percorso di reinserimento sociale attraverso il lavoro; in molti hanno sottolineato la difficoltà ad incontrare gli educatori; fra le lamentele anche quella di periodi di sovraffollamento ancora superiori dell'attuale che hanno determinato l'utilizzo di materassi buttati per terra senza branda, oltre che l'occupazione per il pernottamento della sala colloqui;
          la popolazione detenuta, nella quasi totalità indigente, ha deplorato l'aumento esorbitante del sopravvitto: il prezzo del caffè è quasi raddoppiato, l'olio di semi è passato da 1,30 euro a 1,90, il burro da 0,93 euro a 1,30; solo il prezzo della pasta è diminuito da 0,96 euro a 0,84;
          a domanda esplicita rivolta ai detenuti dalla prima firmataria del presente atto in merito alle visite alle celle di detenzione da parte del magistrato di sorveglianza, la risposta unanime è stata quella di non averlo mai visto;
          il 1° comma dell'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n.  230 del 30 giugno 2000 prevede che «Il magistrato di sorveglianza, il provveditore regionale e il direttore dell'istituto, devono offrire la possibilità a tutti i detenuti e gli internati di entrare direttamente in contatto con loro. Ciò deve avvenire con periodici colloqui individuali, che devono essere particolarmente frequenti per il direttore. I predetti visitano con frequenza i locali dove si trovano i detenuti e gli internati, agevolando anche in tal modo la possibilità che questi si rivolgano individualmente ad essi per i necessari colloqui ovvero per presentare eventuali istanze o reclami orali»;
          da segnalare, infine, il caso di E. H. che da un anno aspetta di fare una radiografia per una caduta accidentale dalle scale del carcere;
          rimangono purtroppo tuttora valide tutte le questioni poste nella precedente interrogazione n.  4-12744  –:
          se sia a conoscenza dei fatti rappresentati in premessa;
          quali siano le ragioni del peggioramento delle condizioni già disastrate del carcere di Pistoia;
          da quanto tempo il magistrato di sorveglianza non visiti i locali ove si trovano i detenuti;
          se il magistrato di sorveglianza abbia prospettato al Ministro le esigenze dei vari servizi del carcere di Pistoia, con particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo;
          quali siano le ragioni dell'eccessivo aumento dei prezzi del sopravvitto e se ritenga di dover intervenire;
          se risulti se sia stata programmata la radiografia del detenuto E.H.;
          quali siano i costi, nel carcere di Pistoia, della creazione di locali da adibire alla costituzione della banca dati del DNA;
          se negli altri 205 istituti penitenziari italiani siano state già costituite le banche dati del DNA e a quanto ammonti la spesa complessiva effettuata o da effettuare;
          se a seguito dell'approvazione della legge di ratifica del trattato di Prum sia stata approvata e diramata una regolamentazione organica e standard operativi chiari che indichino criteri etici in grado di garantire il rispetto dei concorrenti diritti di riservatezza, libertà e pubblica sicurezza;
          se il Governo non intenda assumere iniziative normative volte a garantire forme alternative di esecuzione della pena per chi deve scontare un breve residuo di pena relativamente a fatti di reato commessi in epoca molto risalente nel tempo. (5-07410)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          alla prima firmataria del presente atto è pervenuto il seguente appello sottoscritto da Alessandro Cataldo, persona detenuta nel carcere di Siano (Catanzaro), e affetta dal linfoma di Hodgkin, la quale aspetta da diversi mesi di essere sottoposta alle cure urgenti e necessarie imposte dal suo precario stato di salute: «Mi chiamo Cataldo Alessandro, nato il 23 luglio 1977 a Cetraro (Cosenza). Sono un detenuto dal 2 dicembre 2010 per l'operazione Over Loading e quindi da un anno e mezzo detenuto e praticamente da otto mesi nel carcere di Siano in attesa di un processo. In questi otto mesi ho riscontrato un disturbo che mi portava dolore al collo e quindi dopo aver fatto tutti gli esami specifici, il 27 marzo 2012 sono venuto a conoscenza tramite il dirigente sanitario che il disturbo dipendeva da noduli, cioè tumore e quindi io dovrei urgentemente essere sottoposto a chemioterapia ed altre cure specifiche. Però ad oggi, 24 aprile 2012, nessuna di queste terapie essenziali mi è stata applicata. Io, con questa missiva mi appello alle istituzioni competenti o chi di dovere per risolvere il mio drammatico problema che essendo ristretto in carcere non ho nessuna possibilità di curarmi cioè un diritto che in un paese civile mi toccherebbe a livello di umanità e diritto alla vita. Inoltre, per quello che riguarda la mia posizione giuridica sono ancora giudicabile e quindi avendo una custodia cautelare non colpevole fino al terzo grado di giudizio, e pure che io fossi un condannato, sarebbe sempre un mio diritto come essere umano curarmi di un male perché non capisco per quale motivo le istituzioni competenti alla mia posizione giuridica e sanitaria non prendono decisione sul da farsi mandandomi o in un centro per cure specifiche oppure dando a me la possibilità e l'autonomia di andarmi a curare in una clinica o un centro apposito. Con questo mio scritto non voglio esonerarmi da nessuna responsabilità penale che potrebbe esserci su di me. La ringrazio per essere stato ascoltato e spero che al più presto qualcuna delle istituzioni a cui mi sono appellato mi dia risposta»;
          il trattamento penitenziario deve essere realizzato secondo modalità tali da garantire a ciascun detenuto il diritto inviolabile al rispetto della propria dignità, sancito dagli articoli 2 e 3 della Costituzione; dagli articoli 1 e 4 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 2000; dagli articoli 7 e 10 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1977; dall'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali del 1950; dagli articoli 1 e 5 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948; nonché dagli articoli 1, 2 e 3 della Raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa del 12 febbraio 1987, recante «Regole minime per il trattamento dei detenuti» e dall'articolo 1 della Raccomandazione (2006)2 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa dell'11 gennaio 2006, sulle norme penitenziarie in ambito europeo;
          il diritto alla salute, sancito dall'articolo 32 della Costituzione, rappresenta un diritto inviolabile della persona umana, non suscettibile di limitazione alcuna e idoneo a costituire un parametro di legittimità della stessa esecuzione della pena, che non può in alcuna misura svolgersi secondo modalità idonee a pregiudicare il diritto del detenuto alla salute ed alla salvaguardia della propria incolumità psico-fisica;
          l'articolo 11 della legge 26 luglio 1975, n.  354, sancisce una rigorosa disciplina in ordine alle modalità ed ai requisiti del servizio sanitario di ogni istituto di pena, prescrivendo tra l'altro che «ove siano necessari cure o accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti, i condannati e gli internati sono trasferiti (...) in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura»;
          la recente sentenza della Corte di cassazione n.  46479/2011, del 14 dicembre 2011 ha evidenziato, fra l'altro, come «il diritto alla salute del detenuto va tutelato anche al di sopra delle esigenze di sicurezza sicché, in presenza di gravi patologie, si impone la sottoposizione al regime degli arresti domiciliari o comunque il ricovero in idonee strutture»;
          a giudizio della prima firmataria del presente atto, è necessario un intervento urgente al fine di verificare le reali condizioni di salute del detenuto in questione, affinché siano adottati i provvedimenti più opportuni, per garantire che l'espiazione della custodia cautelare in carcere non si traduca di fatto in un'illegittima violazione dei diritti umani fondamentali, secondo modalità tali peraltro da pregiudicare irreversibilmente le condizioni psico-fisiche del detenuto, già gravemente compromesse  –:
          di quali informazioni dispongano circa i fatti narrati in premessa;
          se sia noto per quali motivi il detenuto in questione non sia ancora stato sottoposto al ciclo di chemioterapia e a tutte le altre cure specifiche richieste dal suo stato di salute;
          se non intendano promuovere ogni accertamento di competenza, anche attraverso un'ispezione ministeriale, in rapporto ai fatti esposti in premessa, e quali ulteriori iniziative di competenza intendano assumere al fine di tutelare il diritto alla salute del signor Alessandro Cataldo. (5-07411)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, lo scorso 18 aprile un detenuto croato avrebbe tentato di togliersi la vita nel carcere di Canton Mombello;
          sulla vicenda il Sindacato nazionale di polizia penitenziaria ha diramato il seguente comunicato: «È accaduto nel tardo pomeriggio di ieri presso il carcere di Canton Mombello. A porre in essere il gesto estremo un giovane detenuto croato, ma la prontezza dei poliziotti penitenziari in servizio ha evitato il peggio. Un tentativo di impiccagione attuato con una corda rudimentale ricavata da brandelli di lenzuola agganciata a tubi che attraversano la stanza detentiva. Nonostante si lavori in un continuo clima emergenziale, in una struttura fatiscente ed inadeguata, con una carenza di uomini che definirei «patologica» possiamo affermare con orgoglio che l'indiscussa professionalità dei poliziotti penitenziari affastella giorno dopo giorno gesti eroici di cui quasi nessuno parla. È solo grazie alla prontezza e alla competenza della polizia penitenziaria che oggi parliamo di un tentativo di suicidio e non dell'ennesima vittima di questo sistema penitenziario «indecente». Diciotto i suicidi in carcere solo in questo primo quadrimestre dell'anno in corso: e di certo la causa di questa mattanza non può non ricercarsi nel sovraffollamento delle carceri che ospitano circa 21.000 detenuti in più rispetto ai posti letto regolamentari. È ora di dire basta  –:
          quali misure di sorveglianza siano state disposte nei confronti dell'uomo dopo il tentato suicidio;
          quante siano le unità dell’equipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Canton Mombello;
          se e come dopo il tentativo di suicidio l'uomo sia seguito dalla equipe degli psicologi del carcere;
          quali siano le condizioni umane e sociali del carcere di Canton Mombello e quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di rendere le condizioni di detenzione delle persone ivi recluse conformi al dettato costituzionale e alle norme dell'ordinamento penitenziario.
(5-07415)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto pubblicato sulle agenzie di stampa, la mattina del 16 aprile 2012 i sindacati di polizia hanno manifestato di fronte al carcere di Matera lamentando la grave carenza di poliziotti penitenziari e denunciando le attuali condizioni di livelli minimi di sicurezza;
          gli stessi sindacati dei baschi azzurri hanno sollecitato il provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria ad un confronto al fine di garantire condizioni lavorative dignitose  –:
          quali provvedimenti urgenti intenda adottare, sollecitare e/o promuovere al fine di risolvere tutte le criticità strutturali che affliggono il carcere di Matera così come denunciate dai sindacati di polizia penitenziaria. (5-07416)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          per contenere la spesa pubblica, è stato deciso che la nuova struttura penitenziaria di Marsala non si potrà più fare;
          nel frattempo anche il vecchio carcere, quello del Castello, in pieno centro storico a Marsala, sarà chiuso, atteso che un decreto del Ministero della giustizia ha stabilito la chiusura della struttura che fa da carcere dal 1818;
          sia la locale camera penale, presieduta dall'avvocato Diego Tranchida, che il consiglio dell'ordine degli avvocati, guidato da Gianfranco Zarzana, hanno preparato duri documenti di protesta. Per gli avvocati, infatti, una città sede di tribunale e procura non può, infatti, rimanere senza un carcere;
          la chiusura del carcere di piazza Castello comporterà non pochi disagi sia per i familiari dei detenuti che per gli avvocati difensori. I reclusi (una quarantina) dovranno, infatti, essere trasferiti altrove e per i colloqui saranno necessarie lunghe trasferte  –:
          quali provvedimenti urgenti intenda adottare affinché la chiusura del carcere di Marsala non comporti disagi per le persone recluse e i loro familiari.
(5-07417)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA del 17 aprile 2012, un detenuto nel carcere di Palmi ha tentato di togliersi la vita due volte nel corso di poche ore cercando prima di darsi fuoco e poi, una volta portato nell'infermeria, ingerendo del liquido e dei farmaci;
          la notizia è stata resa nota dal delegato regionale e consigliere nazionale dell'Ugl polizia penitenziaria, Walter Campagna il quale ha dichiarato quanto segue: «Quanto accaduto pone ancora una volta l'attenzione sulla gravissima carenza di personale esistente presso la Casa Circondariale di Palmi, dove la Polizia Penitenziaria per garantire il regolare servizio non fruisce del previsto riposo settimanale, ed è costretto, inoltre, ad effettuare circa cinquanta ore di straordinario al mese per sopperire alla carenza di organico»  –:
          quali misure di sorveglianza siano state disposte nei confronti dell'uomo dopo il duplice tentato suicidio;
          quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Palmi;
          quali siano le condizioni umane e sociali del carcere in questione e quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di rendere le condizioni di detenzione delle persone ivi recluse conformi al dettato costituzionale e alle norme dell'ordinamento penitenziario;
          se intenda aumentare l'organico degli agenti di polizia penitenziaria assegnati presso il predetto istituto di pena.
(5-07419)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ADNKRONOS del 16 aprile 2012, una cittadina ucraina, Alina Diachuk, di 31 anni, si è suicidata in una stanza nel commissariato di Villa Opicina, una frazione di Trieste, dove vengono temporaneamente trattenute le persone straniere in attesa di essere accompagnate alla frontiera;
          in base alla ricostruzione fornita dalla questura di Trieste, l'ucraina si sarebbe suicidata usando il cordino della felpa  –:
          quanto fosse grande la cella di sicurezza all'interno della quale la donna si è impiccata;
          se la cella di sicurezza in questione godesse di illuminazione (in particolare di luce naturale) e aerazione adeguata; se la stessa fosse attrezzata con mezzi di appoggio (per esempio sedie fisse o panche) e se nella stessa vi fossero un materasso e coperte pulite;
          se la persona morta suicida abbia potuto avere accesso ad un legale fin dalle fasi immediatamente successive all'arresto e quando il suo legale sia stato informato dell'arresto dalle forze dell'ordine;
          se la donna avesse dei parenti e se questi siano stati informati dell'avvenuto arresto;
          se non intenda avviare un programma urgente di potenziamento, ampliamento e ristrutturazione delle camere di sicurezza all'interno delle quali vengono trattenute le persone straniere prive del permesso di soggiorno in attesa di essere accompagnate alla frontiera. (5-07420)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, un detenuto straniero, di nazionalità marocchina, è morto l'8 aprile, all'alba, per infarto, nella sua cella all'interno del carcere di Genova Marassi che condivideva con altri ristretti. L'uomo era in carcere per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti;
          nel carcere di Marassi, alla data del 31 marzo 2012, c'erano 820 detenuti stipati in celle realizzate per ospitarne 450 e oltre 130 agenti di Polizia penitenziaria in meno rispetto agli organici previsti  –:
          quali siano le cause che hanno provocato il decesso dell'uomo;
          con chi divideva la cella e di quanti metri quadrati disponesse il detenuto rinvenuto cadavere nella sua cella;
          se il detenuto morto fosse alloggiato all'interno di una cella rispondente a requisiti di sanità e igiene;
          se al momento del decesso all'interno del carcere fosse presente il medico di turno;
          quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di contrastare il grave e preoccupante sovraffollamento che si registra nel carcere di Marassi. (5-07421)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA lo scorso 11 aprile 2012, l'Ugl-Polizia penitenziaria della Basilicata ha duramente protestato contro l'apertura di una nuova sezione nel carcere di Matera, atteso che la stessa potrebbe portare a «criticità» nella gestione della struttura. Per questi motivi il sindacato dei baschi blu ha deciso l'astensione del personale di sorveglianza dalla mensa dell'istituto, per poi scendere in piazza con un sit-in di protesta, il più presto possibile. Il sindacato ha denunciato «disinteresse» e la mancanza di «un confronto serio e serrato tra amministrazione e parti sociali»  –:
           se non ritenga opportuno aprire un tavolo di confronto con i sindacati della polizia penitenziaria in merito all'apertura di una nuova sezione nel carcere di Matera. (5-07422)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dal quotidiano La Provincia del 12 aprile 2012, una persona detenuta nel carcere di Sondrio avrebbe tentato per ben due volte di togliersi la vita la seconda volta in pochi giorni ha tentato il suicidio in carcere. E per la seconda volta è stato salvato all'ultimo momento;
          l'uomo, adesso piantonato all'ospedale, è stato rinvenuto dagli uomini della polizia penitenziaria ormai privo di conoscenza all'interno della sua cella. Per questo la centrale operativa del 118 ha dato l'allarme in codice rosso. L'ambulanza è arrivata pochi istanti dopo dall'ospedale, dopodiché il personale medico è riuscito a rianimare il giovane, che è così stato caricato sull'ambulanza, seguita da un mezzo della polizia penitenziaria, per l'immediato trasporto all'ospedale;
          appena entrato in prigione, il detenuto aveva già tentato di togliersi la vita  –:
          quali misure di sorveglianza siano state disposte nei confronti dell'uomo dopo il tentato suicidio;
          quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Sondrio;
          se risulti se e come dopo il primo tentativo di suicidio l'uomo fosse seguito dalla équipe degli psicologi del carcere;
          quali siano le condizioni umane e sociali del carcere di Sondrio e quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di rendere le condizioni di detenzione delle persone ivi recluse conformi al dettato costituzionale e alle norme dell'ordinamento penitenziario. (5-07423)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA il 12 aprile 2012, un detenuto del carcere di Modena, che aveva tentato di togliersi la vita il giorno di Pasqua, è deceduto dopo quattro giorni in ospedale. Si era impiccato alla terza branda del letto a castello usando un maglione come cappio. Era intervenuto immediatamente un agente della polizia penitenziaria che lo aveva adagiato a terra e lo aveva soccorso. Condotto in ospedale, l'uomo – dietro le sbarre per reati di natura sessuale – era però entrato in coma senza riprendersi più  –:
          se e come il giorno di Pasqua fosse garantita la sorveglianza all'interno dell'istituto di pena in questione e se con riferimento al suicidio del detenuto non siano ravvisabili profili di responsabilità in capo al personale penitenziario;
          quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Modena;
          con chi divideva la cella e di quanti metri quadrati disponesse il detenuto morto suicida;
          se il detenuto morto suicida fosse alloggiato all'interno di una cella rispondente a requisiti di sanità e igiene;
          se nel corso della detenzione il detenuto fosse stato identificato come potenziale suicida e, in questo caso, se fosse tenuto sotto un programma di osservazione speciale;
          quali provvedimenti urgenti intenda attuare al fine di reperire le risorse e i finanziamenti necessari per dare concreta attuazione a quanto previsto e stabilito nella circolare GDAP-032296-2010 avente ad oggetto «Emergenza suicidi. Istituzione di unità di ascolto di Polizia Penitenziaria»; in particolare se intenda attivarsi al fine di consentire l'immediato avvio dei progetti formativi in essa previsti per il personale di polizia penitenziaria;
          quali siano le condizioni umane e sociali del carcere di Modena e, più in generale, degli istituti di pena presenti in Emilia-Romagna, in particolare se non ritenga di assumere sollecite, mirate ed efficaci iniziative, anche a seguito di immediate verifiche ispettive in loco, volte a ripristinare condizioni minime di vivibilità nelle carceri della regione, ampliando la dotazione del personale di polizia penitenziaria e di quello addetto ai servizi.
(5-07424)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, Alessandro Benvenuti, 43 anni, sarebbe stato trovato morto lo scorso 7 aprile nel carcere di Perugia. L'ipotesi più accreditata, non essendoci segni di violenza sul corpo, resta per il momento quella del malore. Ad accorgersi dell'accaduto è stato un agente di polizia penitenziaria durante il giro di «battitura» delle sbarre. Il detenuto, disteso sul letto già morto, era rinchiuso in una cella d'isolamento;
          il 43enne era in carcere da pochi giorni per avere ucciso, colpendolo con delle coltellate, il fratello Walter, 50 anni, sotto agli occhi della madre. L'aggressore, da tempo in cura al centro d'igiene mentale, era stato subito arrestato dai carabinieri  –:
          quali siano le cause che hanno provocato il decesso dell'uomo;
          per quali motivi l'uomo si trovasse in cella d'isolamento;
          se il detenuto morto fosse alloggiato all'interno di una cella rispondente a requisiti di sanità e igiene;
          se al momento del decesso all'interno del carcere fosse presente il medico di turno. (5-07425)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          lo scorso 11 aprile sull'agenzia di stampa Agenparl è stato dato grande risalto al fatto che in Calabria – essendosi prospettata l'urgenza di nominare il sostituto del precedente provveditore dell'amministrazione penitenziaria della regione Calabria – il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha provveduto con una copertura del posto vacante cosiddetta «a scavalco» la quale, al di là delle competenze e della professionalità della persona scelta, non è in condizioni di dare la risposta giusta ai problemi delle carceri calabresi;
          ed invero attualmente il provveditore della Calabria, Gianfranco De Gesu, ricopre lo stesso ruolo anche in Sardegna. A giudizio della prima firmataria del presente atto servirebbe invece un provveditore nominato in pianta stabile che conosca il personale, che sappia scegliere in maniera adeguata i direttori e che parli con i dipendenti  –:
          quali provvedimenti urgenti intenda adottare affinché si arrivi quanto prima alla nomina stabile e definitiva e, soprattutto, a tempo pieno, del provveditore dell'amministrazione penitenziaria della regione Calabria. (5-07426)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il signor Aldo Bianzino, arrestato il 12 ottobre 2007, è deceduto a 24 ore di distanza all'interno dell'istituto di pena «Capanne» di Perugia in circostanze del tutto oscure e che lascerebbero ipotizzare un decesso per cause non accidentali;
          giunto in carcere dopo essere stato tratto in arresto con l'accusa di coltivare piante di cannabis presso la propria abitazione, il Bianzino è deceduto nella notte tra il 13 e il 14 ottobre; secondo quanto riportato dagli organi di stampa, un primo esame autoptico sulla salma avrebbe riscontrato lesioni massive al cervello e all'addome e la rottura di un paio di costole; in particolare le prime indagini seguite al decesso avrebbero riscontrato «(...) lesioni viscerali di indubbia natura traumatica (lacerazione del fegato) e a livello cerebrale una vasta soffusione emorragica subpiale, ritenuta al momento di origine parimenti traumatici (...)»;
          appare certo che il Bianzino sia giunto presso l'istituto «Capanne» in perfetta salute e che durante il viaggio dalla sua abitazione verso il carcere non sia intervenuto alcun evento che possa aver determinato le lesioni che sarebbero state riscontrate in sede di autopsia;
          la gravità della vicenda in esame ha indotto il Comitato europeo per la prevenzione della tortura del Consiglio d'Europa a seguire gli sviluppi del caso, al fine di individuare eventuali responsabilità per la morte del signor Bianzino, nonché eventuali violazioni delle norme sull'ordinamento penitenziario e sui requisiti di legittimità del trattamento penitenziario, oltre che, ovviamente, dei diritti fondamentali dei detenuti;
          dopo mesi di indagini, la procura della Repubblica di Perugia, nella persona del sostituto procuratore dottor Giuseppe Petrazzini, è giunta alla conclusione che il decesso del signor Bianzino sarebbe avvenuto per «cause naturali» ossia in conseguenza di un aneurisma cerebrale; atteso che la fuoriuscita del fegato dalla sua sede naturale sarebbe avvenuta a causa di un tentativo di rianimazione particolarmente vigoroso e violento;
          alla richiesta di archiviazione avanzata dagli organi inquirenti perugini, si sono opposti i familiari del signor Bianzino, i quali, al contrario, ritengono che il decesso dell'uomo non sia dipeso da «cause naturali», né tanto meno da un ipotetico aneurisma cerebrale, quanto piuttosto da una azione violenta commessa in qualche modo da terze persone ai danni del detenuto;
          a dicembre 2009 il giudice per le indagini preliminari, dottor Massimo Ricciarelli, accoglie la richiesta avanzata dal sostituto procuratore Petrazzini ed archivia il procedimento respingendo l'opposizione avanzata dai familiari del detenuto;
          ufficialmente la morte del signor Aldo Bianzino è dunque avvenuta a causa dello scoppio di una vena che avrebbe prodotto nell'uomo un devastante aneurisma cerebrale; l'unica persona in parte ritenuta responsabile di quanto accaduto sarebbe stata individuata in un agente di polizia penitenziaria accusato di omissione di soccorso, falso e omissione di atti d'ufficio e per questo condannato lo Scorso marzo ad un anno e mezzo con pena sospesa;
          sul mensile Terra – numero 2, mese di aprile 2012, pag. 26 – è apparso un articolo a firma Emanuele Giordana intitolato: «Aldo Bianzino, il caso non è chiuso»;
          dalla lettura del citato articolo si apprende che nel corso del processo celebrato a carico dell'agente di polizia penitenziaria poi condannato, sarebbero emersi tre elementi nuovi i quali gettano più di qualche ombra sulla decisione con la quale il giudice per le indagini preliminari ha archiviato il procedimento a carico di ignoti aderendo così alla tesi della Procura della Repubblica secondo la quale la morte del detenuto sarebbe avvenuta a causa di un aneurisma cerebrale;
          in particolare, nel suo articolo il giornalista Emanuele Giordana scrive quanto segue: «(...) L'aneurisma che non c’è. Tutta l'ipotesi dell'archiviazione si basa sull'esistenza di un aneurisma che viene ampiamente documentato dai consulenti del pm Anna Aprile e Luca Lalli in una minuta documentazione del 2008, nella quale si vedono (figura 1) le parti smembrate del cervello di Bianzino. A pagina 20 del loro dossier mostrano un'altra immagine (figura 2) dove viene fotografata una sezione del cervello con, cerchiata in rosso, “la malformazione vascolare aneurismatica origine del sanguinamento”, come riportato nella didascalia. Ovvio che le due figure vengano messe in relazione. Ma non è così. Il fotogramma 2, con tanto di cerchio rosso, non è del cervello di Bianzino. È materiale d'archivio ! Tanto che, interrogata dal giudice, la professoressa Aprile spiega che: “Noi non abbiamo riscontrato l'aneurisma, ma abbiamo riscontrato dei vasi con delle caratteristiche alterate, che ben si correlano con l'ipotesi di una rottura, diciamo, spontanea”. Insomma, quella immagine era nulla più che letteratura medica per, diciamo, mettere in relazione vasi con delle caratteristiche alterate, che ben si correlano con l'ipotesi di una rottura, diciamo, spontanea... Insomma l'aneurisma per cui Bianzino morì, nel suo cervello non ci sarebbe o almeno non è così visibile da poterne fare un fotogramma che non lasci ombra di dubbio. 2. Il fegato che sanguina. I medici rilevano che attorno al fegato di Aldo ci sono 280 centilitri di sangue, in una parola un terzo di litro. Quella fuoriuscita di sangue sarebbe dovuta alla pressione esercitata durante la rianimazione. Ma allora Bianzino era già morto. Oltre ai dubbi, già sollevati, anche le spiegazioni tecniche lasciano aperte molte porte. Ancora Aprile davanti al giudice: “Arresto cardiaco o non arresto cardiaco, lesione in vita o lesione in morte, l'immagine che si deve avere rispetto a questa azione di compressione a livello locale è quella di una spugna. Il fegato è pieno di sangue...”. Anche il magistrato ha un momento di apparente perplessità: “...si, ecco, riguardo a questo punto, però, la manovra rianimatoria ha come punto di riferimento il cuore, ecco, più che il fegato...”, commenta in aula. La perplessità rimane tutta. Possibile che due esperti rianimatori, pur eccitati dal desiderio di salvare un uomo (già morto), gli facciano a pezzi il fegato tanto da far uscire poco meno di mezzo litro di sangue ? La rianimazione (sul cuore) durò almeno venti minuti. E qui sta l'altro punto debole. Non ve ne è traccia. 3. Il video che non c’è. Il carcere ha ovviamente un sistema di telesorveglianza. Non riprende in maniera continuativa; lo fa a spezzoni. Ma sicuramente non a intervalli di venti minuti, altrimenti il carcere di Capanne sarebbe un colabrodo di evasioni o atti illegali consumati al riparo di occhi indiscreti. Eppure, tra tutte le immagini acquisite di quella maledetta notte, non vi è un solo fotogramma in cui appaia Branzino nel corridoio dove si cercò di rianimarlo (...)»  –:
          se alla luce di quanto esposto in premessa il Ministro interrogato non intenda attivare i poteri ispettivi conferitigli dalla normativa vigente, al fine di esercitare tutti i poteri di competenza;
          se non si ritenga oramai indifferibile riferire sulla reale consistenza del fenomeno delle morti in carcere in modo che possano essere concretamente distinti i suicidi dalle morti per cause naturali e da quelle, invece, avvenute per cause sospette;
          quanti siano stati i decessi avvenuti per «cause naturali» che si sono registrati negli ultimi cinque anni all'interno degli istituti penitenziari e quanti di questi – in percentuale – si siano verificati a poche ore dall'ingresso in carcere del detenuto;
          quali provvedimenti intenda adottare, al fine di garantire, anche per il futuro, un attento monitoraggio delle condizioni in cui versano i detenuti negli istanti immediatamente successivi al loro ingresso in carcere, assicurando, per quanto possibile, l'eliminazione di ogni fattore di rischio per la loro vita e incolumità fisio-psichica.
(5-07427)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il 24 marzo 2012 la prima firmataria del presente atto ha effettuato una visita al carcere di Foggia accompagnata dai responsabili locali dell'associazione radicale Mariateresa Di Lascia, Antonella Soldo, Elisabetta Tomaiuolo e Dino Tinè; l'ispezione si è svolta alla presenza del comandante della polizia penitenziaria Montanaro e dalla direttrice Maria Consiglia Affatato;
          la direttrice ha preso servizio da pochi mesi, dopo aver efficacemente amministrato il carcere di Spinazzola che purtroppo, ad avviso dell'interrogante, è stato chiuso (vedi interrogazione n.  5-05330);
          da dieci anni nel carcere di Foggia manca la figura del vicedirettore;
          i detenuti presenti sono 710 a fronte di 378 posti regolamentari disponibili; 407 hanno una sentenza definitiva, 182 sono in attesa del 1° giudizio, 60 sono appellanti, 57 hanno fatto ricorso in cassazione, 3 sono gli internati e 1 detenuto è «da impostare»; gli stranieri sono circa il 30 per cento;
          il nucleo traduzioni della polizia penitenziaria deve far fronte a tutte le incombenze con 49 agenti effettivamente in servizio, mentre la pianta organica del 2001 – quando i detenuti erano molti di meno – ne prevedeva 64; per comprendere la mole di lavoro sopportata dal nucleo, basti pensare che nel 2011 ha effettuato 2.234 traduzioni di cui 137 solo per ricoveri in ospedale e 684 per visite ambulatoriali; il nucleo effettua spesso traduzioni presso tribunali fuori regione e si occupa del piantonamento in corsia negli ospedali di Foggia (D'Avanzo e ospedali riuniti), Cerignola, Manfredonia e San Giovanni Rotondo; capita frequentemente che gli agenti siano costretti a chiedere l'autorizzazione affinché i detenuti ai domiciliari possano raggiungere tribunale per l'udienza senza scorta a causa della mancanza di un auto di servizio disponibile; ci sono agenti che ancora non hanno goduto le ferie del 2010;
          il reparto detentivo ospedaliero pronto da tempo è chiuso in attesa del collaudo;
          l'infermeria del carcere è tale per modo di dire in quanto non sopperisce nemmeno alle minime cure, come mettere dei punti di sutura in casi di autolesionismo; i medici della ASL preferiscono mandare i detenuti in ospedale e ciò crea ulteriore sovraccarico di lavoro per gli agenti di polizia penitenziaria; incredibilmente il reparto risulta essere «centro clinico» tanto che nel carcere di Foggia vengono indirizzati detenuti malati prevenienti da altre realtà penitenziarie;
          all'ingresso che porta all'ufficio matricola e alle sezioni detentive c’è una parte recintata a causa della caduta di calcinacci dalla facciata che non viene riparata per mancanza di fondi; l'area verde destinata ai colloqui dei detenuti con i figli minori non è utilizzata per mancanza di personale; in 3 delle 4 sale colloqui esiste ancora il muretto divisorio; per incontrare i familiari i detenuti attendono anche un'ora in piccole celle; la chiesa è chiusa a causa di un cedimento delle fondamenta e, per questo motivo, la messa si celebra nel teatro dell'istituto;
          all'ufficio matricola ci dicono che ogni giorno ci sono molti nuovi ingressi: «del decreto Severino – afferma qualcuno – non ce ne siamo nemmeno accorti»;
          il carcere di Foggia è organizzato in vari reparti:
              a) il «nuovo complesso» ha 5 sezioni ognuna della quali è divisa in «lato destro» e «lato sinistro»; qui sono reclusi 202 detenuti definitivi (media sicurezza) in una capienza «regolamentare» di 77 posti; in alta sicurezza ci sono invece 74 detenuti in 20 posti «regolamentari»;
              b) nel reparto «protetti» ci sono 11 detenuti ex appartenenti alle forze dell'ordine a fronte di 6 posti regolamentari e 35 «precauzionali» (sex offender e detenuti con divieto di incontro) a fronte di 13 posti; 2 celle sono destinate a detenuti omosessuali mentre i presenti sono 3; i transessuali, invece, vengono destinati direttamente a Napoli dove esistono apposite sezioni;
              c) il «vecchio reparto» ha in tutto sei sezioni, una della quali (la II) ospita 75 detenuti definitivi a fronte di una capienza «regolamentare» di 32 posti; nelle altre sezioni ci sono 278 detenuti in attesa di giudizio (indagati e imputati) in 135 posti;
              d) nel «reparto reclusione» (per condanne superiori ai 5 anni) ci sono 25 presenti in 34 posti «regolamentari»;
              e) ci sono inoltre 3 celle di «accoglienza» per i nuovi giunti che possono ospitare al massimo 12 persone per un tempo di permanenza massimo di 7 giorni;
              f) nel reparto «disciplinare» ci sono 4 celle di isolamento singole che, al momento della visita ospitano 2 detenuti;
              g) nel reparto «semiliberi maschi» ci sono 23 presenti a fronte di 18 posti regolamentari suddivisi in 3 celle;
              h) nel reparto «femminile» ci sono 36 detenute e due bambini in 18 posti «regolamentari»; i bambini si trovano con le loro madri in una sezione «nido» con due posti;
          il reparto transito è isolato rispetto al resto della struttura e ciò comporta non poche problematiche organizzative;
          i nuovi giunti sostano una settimana in celle apposite prima di essere assegnati in sezione; vengono visitati nell'immediato dal medico mentre la visita da parte dello psicologo avviene anche dopo qualche giorno; nella struttura lavorano due psicologi per un totale di 80 ore mensili (40 ciascuno);
          gli educatori dell'istituto sono solamente 2;
          le agenti donne sono 12 rispetto alle 25 previste in pianta organica: un agente di sesso femminile fa da sola il turno notturno;
          secondo le informazioni ricevute, alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, è prevista la creazione di un reparto psichiatrico anche nel carcere di Foggia;      
          nel nuovo complesso, in media sicurezza, la delegazione acquisisce informazioni che risultano poi confermate nel prosieguo della visita: la doccia è possibile farla tutti i giorni, ma calda la mattina e fredda il pomeriggio (peraltro durante l'ora d'aria); nella sezione ci sono 4 docce esterne per 70 persone; ogni giorno le ore d'aria disponibili sono 3, le restanti 21 vengono trascorse in cella; le lenzuola per le brande non sono fornite dall'amministrazione e i reclusi devono farsele portare da casa;
          una volta a settimana, dicono i detenuti, è possibile utilizzare il campo di calcetto; per i definitivi è possibile seguire i corsi scolastici: scuole elementari, medie e geometra ma, in totale, i detenuti iscritti ai corsi sono solo 60;
          i detenuti interpellati nel corso della visita affermano di non avere mai visto il magistrato di sorveglianza; nella cella n.  1, per esempio, ci sono due detenuti definitivi e due in attesa di giudizio;
          D.B. afferma di aver inviato decine di lettere al magistrato di sorveglianza senza mai aver ricevuto risposta; A.H. ha presentato domanda per trasferimento colloqui vicino alla famiglia che si trova a Pescara e non può venirlo a trovare; spesso le celle sono sguarnite anche di mobilia essenziale, come nella cella n.  3 dove si trovano 8 detenuti ma sei «bilancette», i piccoli armadi dove i detenuti ripongono vestiario ed altri effetti personali;
          nella sezione femminile, si segnalano i seguenti casi: E.O. nigeriana che deve ancora scontare un anno e ha presentato istanza per scontarlo ai domiciliari senza aver ricevuto risposta; E.O. ha tre figli piccoli di 8, 5 e 3 anni che vivono con il padre a Foggia; S. E. anche lei nigeriana, è in attesa di giudizio da un anno e racconta di avere un figlio di dieci anni; D.O. ha molte gravi patologie e un fine pena di tre anni (sottraendo i giorni della liberazione anticipata); ha fatto richiesta di trasferimento a Messina, città dove vivono i figli di 18 e 20 anni e dove potrebbe usufruire del centro clinico del carcere di Gazzi; A. P. deve ancora scontare due mesi e H. A. tre mesi; ambedue hanno presentato domanda per la detenzione domiciliare (L. 199/2010), ma non hanno ancora ricevuto risposta; O.O. nigeriana, si lamenta del fatto di non poter fare telefonate al suo paese d'origine e di non poter frequentare la scuola; «noi – dice amareggiata – non facciamo colloqui, non facciamo telefonate, qui non facciamo niente»;
          la direttrice ha riferito alla delegazione di avere numerosi progetti, anche di revisione organizzativa, per migliorare le condizioni di vita e di lavoro; per esempio, intende impiegare i detenuti nei lavori di tinteggiatura delle celle, della costruzione di muretti che separino la zona bagno dalla zona dove sono i fornelli: il progetto dovrebbe essere finanziato entro l'anno; quanto all'organizzazione del lavoro ha rilevato l'esigenza di un miglioramento che passi anche dalla rotazione delle mansioni fra gli agenti; un altro obiettivo è quello di potenziare il gruppo MOF, ovvero la squadra di agenti preposta alla sorveglianza dei detenuti impiegati in attività lavorative di manutenzione; tra gli altri progetti c’è quello teatrale per i detenuti in alta sicurezza, quello di modista per la sezione femminile, un corso di informatica e, ancora per la sezione femminile, quello della produzione di monili di alta bigiotteria; inoltre, nel carcere ci sono già una falegnameria ed una sartoria, dotate di tutti i macchinari, ma completamente abbandonate, che la direttrice vorrebbe rimettere in funzione;
          altre zone del carcere necessitano di lavori di ristrutturazione concepiti nell'ottica di una diversa e più razionale sistemazione delle diverse tipologie di detenuti;
          nell'ottica di offrire occasioni di lavoro ai detenuti non si comprende molto, ad avviso dell'interrogante, la scelta del provveditorato che ha imposto una ditta esterna per le pulizie;
          il 1° comma dell'articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n.  230 del 30 giugno 2000 prevede che «Il magistrato di sorveglianza, il provveditore regionale e il direttore dell'istituto, devono offrire la possibilità a tutti i detenuti e gli internati di entrare direttamente in contatto con loro. Ciò deve avvenire con periodici colloqui individuali, che devono essere particolarmente frequenti per il direttore. I predetti visitano con frequenza i locali dove si trovano i detenuti e gli internati, agevolando anche in tal modo la possibilità che questi si rivolgano individualmente ad essi per i necessari colloqui ovvero per presentare eventuali istanze o reclami orali. (...)  –:
          se sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se intenda intervenire per ridurre, fino a portarla a quella regolamentare, la popolazione detenuta nel carcere Foggia;
          se e quando intenda intervenire, per quanto di competenza, per colmare il deficit di organico della polizia penitenziaria, degli psicologi e degli educatori;
          se e quali iniziative di competenza si intendano assumere per quanto di competenza affinché sia assicurata un'adeguata assistenza sanitaria ai detenuti e l'assoluto rispetto dei livelli essenziali di assistenza;
          quando verrà aperto il reparto detentivo ospedaliero pronto da tempo;
          se corrisponda al vero la creazione di un «repartino» psichiatrico all'interno del carcere di Foggia;
          se siano stati previsti adeguati finanziamenti per le opere di ristrutturazione e per le iniziative trattamentali descritte in premessa;
          in che modo intenda intervenire in merito ai casi singoli segnalati in premessa;
          cosa intenda fare affinché sia rispettato il principio della territorializzazione della pena;
          se abbia mai valutato o intenda valutare la possibilità di utilizzare tecnologie tipo Skype per ridurre il costo delle telefonate effettuate dai detenuti ai loro congiunti;
          quali iniziative di propria competenza intenda assumere in relazione alle criticità rappresentate in premessa con riferimento al ruolo della magistratura di sorveglianza;
          se il magistrato di sorveglianza abbia prospettato al Ministro le esigenze dei vari servizi del carcere di Foggia, con particolare riguardo alla attuazione del trattamento rieducativo;
          cosa intenda fare per incrementare le possibilità di studio per i detenuti;
          se intenda intervenire per fare in modo che i bambini detenuti con le loro madri nel carcere di Foggia possano avere nel corso della giornata momenti di vita all'esterno dell'istituto senza vivere 24 ore su 24 l'incubo delle sbarre;
          quali provvedimenti di competenza ritenga opportuno adottare al fine di modificare radicalmente le condizioni della vita penitenziaria nel carcere di Foggia, così da garantire finalmente il rispetto dei diritti alla dignità, alla salute, allo studio, alla tutela dei rapporti familiari dei detenuti e di quanto prescritto dall'articolo 27 della Costituzione riguardo alle finalità rieducative della pena. (5-07428)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          sul sito www.repubblica.it, in data 10 aprile 2012, è stata riportata la notizia riguardante le drammatiche condizioni di salute del detenuto Vito Manciaracina, 76 anni, condannato alla pena dell'ergastolo che sta scontando nel carcere di Bari; secondo Alberto Custodero, autore dell'articolo, si tratta del «carcerato in peggiori condizioni di salute di cui si abbia notizia in Italia»;
          ad evidenziare le disumane condizioni di detenzione di Manciaracina, si legge nell'articolo, è «una consulenza medico legale, al di sopra di ogni sospetto in quanto disposta dal tribunale di Sorveglianza di Bari. Tuttavia, nonostante quella perizia descriva un quadro clinico drammatico, i magistrati continuano a trattenerlo in cella, negandogli, inspiegabilmente, i domiciliari. E lasciandolo, di fatto, in uno stato di detenzione ai limiti della dignità umana: immobilizzato a letto con il pannolone, in stato confusionale, in preda a crisi epilettiche, in condizioni igieniche precarie.»
          sono gli stessi detenuti, denuncia il suo avvocato Debora Speciale, «ad accudirlo per pietà, per quanto possono, ma col risultato che Manciaracina vive come un barbone in cella, sporco, maleodorante, le piaghe di decubito». Ecco come il medico legale del tribunale – la neurologa del Policlinico barese Elena Tripaldi – riassume il quadro clinico dell'uomo, portato in carcere nel 2008 per scontare l'ergastolo nonostante fosse già allora semiparalizzato. Le sue gravi patologie, va detto, cominciano molto tempo prima della detenzione, ma peggiorano dopo l'ingresso in prigione;
          «In seguito ad un ictus subito nel 1994 – si legge nella perizia medico legale – Manciaracina ha la parte sinistra del corpo (faccia, braccio e gamba), paralizzata». Il distretto sanitario di Mazara del Vallo lo ha riconosciuto invalido al 100 per cento nel 2002: «Deficit neurologico grave a sinistra. Deambulazione autonoma impedita. Incontinenza urinaria. Necessita di sedia a rotelle». Il quadro clinico già precario dieci anni fa, s’è ulteriormente aggravato nel tempo. Il corpo di Manciaracina è aggredito da un tumore alla prostata, che gli viene asportata: durante l'intervento chirurgico, il detenuto ha un arresto respiratorio e poi un arresto cardiaco da shok emorragico. Il cuore è minato da una cardiopatia ipertensiva. L'uomo crolla in depressione, e viene sottoposto ad una terapia farmacologica;
          venti ore al giorno su una barella. Questa la sua condizione nel momento in cui la polizia penitenziaria si reca a casa sua, nel 2008, a Mazara del Vallo, per portarlo nel carcere di Bari. Ma proprio quando l'uomo è tradotto in carcere, iniziano violente crisi epilettiche che gli impediscono praticamente di stare seduto sulla sedia a rotelle, costringendolo 20 ore al giorno inchiodato immobile su una barella. Come accenna ad alzarsi, è aggredito dall'epilessia, alla quale si aggiungono «ernie discali multiple». La situazione in cella precipita. La dose massiccia di farmaci che ingerisce gli intossica lo stomaco, procurandogli nausea e vomito continuo. (...) Lo psichiatra che lo visita diagnostica «un atteggiamento a tratti pseudo demenziale». La vita clinica del detenuto è ricostruita nei minimi dettagli dalla specialista Tripaldi che, ad un certo punto della sua relazione, annota: nel 2009 le autorità carcerarie sono costrette ad emettere «un ordine di servizio per disporre la grande sorveglianza del detenuto, per gravi problemi di adattamento alla vita carceraria, per rischio suicidario e autolesionistico». Quando il medico legale del tribunale lo visita dopo averne ricostruito l'anamnesi, gli diagnostica una «piaga di decubito sacrale» provocata dalla eccessiva permanenza in posizione orizzontale sulla barella;
          registra nel verbale il perito: necessita di «pannolone per incontinenza sfinterica» e trova il detenuto settantaseienne «estremamente trascurato in generale e nell'igiene personale, barba e capelli lunghi incolti». «Negli ultimi mesi – annota ancora il perito – s’è aggiunta gastrite atrofica erosiva e stenosi pilorica». Nonostante questo quadro clinico sconcertante, la neurologa conclude la sua relazione per il Tribunale ritenendo (incredibilmente) il paziente idoneo alla vita carceraria. «Manciaracina non è in pericolo di vita – asserisce la specialista – le sue sono patologie gravissime, ma croniche, e in carcere, del resto, è ben curato». (...) Ma non deve essere poi così ben curato, se la stessa Tripaldi, nella stessa relazione, ammette che «un po’ di riabilitazione quotidiana potrebbe avere una ricaduta positiva sulla sindrome da immobilizzazione e prevenire le piaghe di decubito, il trofismo muscolare, la stipsi». E le crisi epilettiche ? «Di per sé – spiega ancora la Tripaldi – non aumentano la probabilità di mortalità». E la forte depressione curata con una dose massiccia di farmaci ? «Indubbiamente – ammette la Tripaldi – il detenuto vive il proprio stato con disagio psicologico». «Però – aggiunge – come per ogni essere umano, tocca a lui volere stabilire se incrementare il proprio benessere fisico e mentale»;
          la perizia di parte, redatta dal dott. Vincenzo Cavaliere, psichiatra, psicoterapeuta e dirigente presso il reparto di psichiatria dell'ospedale «Cervello» di Palermo, si conclude con le seguenti, amare parole: «Il nostro Stato non prevede più la pena di morte, probabilmente in un futuro più o meno prossimo non sarà più vigente l'ergastolo, da più parti segnalato come in contrasto con alcuni nostri principi costituzionali, ma per quanto detto sopra (relazione di perizia, N.d.R.) si deve necessariamente ammettere che protrarre la carcerazione del Mangiaracina, condizione prognostica sfavorevole sia “quoad vitam” che “quoad valetudinem”, possa corrispondere in questo specifico caso ad una “condanna a morte al rallentatore” se non ad una induzione, in qualche modo, al gesto anticonservativo: “non ti posso uccidere, ma pongo le condizioni ambientali per le quali sarai tu a volerlo fare”»  –:
          se siano a conoscenza di quanto rappresentato in premessa;
          se non ritengano di dover verificare, attraverso un'approfondita indagine interna, se il trattamento sanitario riservato al detenuto in questione abbia corrispondenza con le leggi dello Stato e, soprattutto, con quanto previsto dagli articoli 3, 13 (comma 4), 27 (comma 3), 32 della Costituzione;
          quali iniziative urgenti intendano adottare, negli ambiti di rispettiva competenza, al fine di garantire al detenuto in questione il proprio fondamentale diritto alla salute. (5-07429)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia dal quotidiano La Nuova Sardegna lo scorso 30 marzo 2012, Domenico Trogu, 52enne, ha cercato di togliersi la vita nel carcere di Marassi impiccandosi alle sbarre della finestra. Al momento l'uomo è ricoverato in rianimazione con prognosi riservata nell'ospedale di Genova; le sue condizioni sono considerate molto serie, anche se non correrebbe pericolo di vita;
          l'uomo era detenuto da poche ore perché aveva cercato di uccidere la moglie in preda a un raptus di follia  –:
          quali misure di sorveglianza siano state disposte nei confronti dell'uomo dopo il tentato suicidio;
          quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere Marassi di Genova;
          quali siano le condizioni umane e sociali del carcere in questione e quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di rendere le condizioni di detenzione delle persone ivi recluse conformi al dettato costituzionale e alle norme dell'ordinamento penitenziario. (5-07430)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dal quotidiano La Repubblica lo scorso 29 marzo 2012, una donna di 46 anni, di origine campana è morta – probabilmente per infarto – nel carcere di Taranto;
          la detenuta doveva scontare una pena fino al 2015 e si trovava nella sezione femminile del carcere pugliese. A dare l'allarme è stato un agente di polizia penitenziaria, il quale non ha potuto fare altro se non rimettersi alle valutazioni delle autorità sanitarie e penitenziarie;
          nel carcere di Taranto chi gestisce la sezione femminile nel turno serale e notturno sono al massimo due, spesso uno, agenti di polizia. La struttura penitenziaria inoltre ha una capienza regolamentare di 315 detenuti di cui 24 donne, mentre effettivamente attualmente i detenuti rinchiusi sono 716, 37 dei quali sono donne  –:
          quali siano le informazioni del Ministro sui fatti riferiti in premessa e, in particolare, se non intenda avviare, nel rispetto e a prescindere dalla eventuale inchiesta che sulla vicenda aprirà la magistratura, un'indagine amministrativa interna volta a verificare le cause che hanno cagionato la morte della donna detenuta;
          se ritenga necessario assumere iniziative normative volte a modificare il regolamento sull'ordinamento penitenziario al fine di assicurare, attraverso una maggiore personalizzazione del trattamento, una «detenzione giusta», rispettosa del diritto alla vita e degli altri diritti fondamentali degli individui, se del caso, istituendo in ogni carcere degli appositi presidi specializzati per prevenire il rischio-suicidi e le altre emergenze legate ai disagi psicologici delle persone recluse negli istituti di pena;
          quali provvedimenti ritenga opportuno e urgente adottare per ricondurre il carcere di Taranto in condizioni rispettose della normativa, così da assicurare condizioni di vita dignitose sia ai detenuti che al personale di polizia penitenziaria.
(5-07431)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa ANSA lo scorso 23 marzo, Stefano Rossi, persona detenuta nel carcere della Burla dal 2007, si è ucciso inalando il gas della proprio bomboletta;
          sulla vicenda, l'avvocato dell'uomo ha rilasciato la seguente dichiarazione: «È stata una tragedia annunciata e che si va ad aggiungere alla decine che interessano purtroppo ogni mese le carceri italiane. Quello di Stefano Rossi è solo l'ultimo caso di una lunga lista. Nel 2010 ci sono state 186 morti negli istituti italiani, nel 2011 ben 184 e molti sono dovuti proprio a suicidi»  –:
          se e come il 23 marzo 2012 fosse garantita la sorveglianza all'interno dell'istituto di pena in questione e se con riferimento al suicidio del detenuto non siano ravvisabili profili di responsabilità in capo al personale penitenziario;
          quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Taranto;
          con chi dividesse la cella e di quanti metri quadrati disponesse il detenuto morto suicida;
          se il detenuto morto suicida fosse alloggiato all'interno di una cella rispondente a requisiti di sanità e igiene;
          se nel corso della detenzione il detenuto fosse stato identificato come potenziale suicida e, in questo caso, se fosse tenuto sotto un programma di osservazione speciale;
          quali provvedimenti urgenti intenda attuare al fine di reperire le risorse e i finanziamenti necessari per dare concreta attuazione a quanto previsto e stabilito nella circolare GDAP-0032296-2010 avente ad oggetto «Emergenza suicidi. Istituzione di unità di ascolto di Polizia Penitenziaria», in particolare se intenda attivarsi al fine di consentire l'immediato avvio dei progetti formativi in essa previsti per il personale di polizia penitenziaria.
(5-07432)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa Ansa il 30 marzo 2012, un detenuto romeno di circa 40 anni si è ucciso impiccandosi nel bagno della sua cella nel carcere di Taranto con una corda ricavata dalle lenzuola. L'uomo era in attesa di giudizio per reati contro il patrimonio;
          secondo il vice presidente nazionale dell'Osapp, Domenico Mastrulli, il carcere di Taranto – a fronte di una capienza regolamentare di 315 detenuti (di cui 24 donne) – ospita 716 detenuti (di cui 37 donne);
          il segretario del Sappe ha rilasciato la seguente dichiarazione alla stampa: «Siamo stanchi di gridare, purtroppo senza esiti positivi, la grave situazione in cui versa il penitenziario del capoluogo jonico. Celle nate per ospitare un solo, al massimo due detenuti, ne arrivano stabilmente ad averne quattro, con un solo agente che deve attendere alla sicurezza di quasi 90 detenuti, e con un organico carente di almeno 50 unità»  –:
          se e come il 30 marzo 2012 fosse garantita la sorveglianza all'interno dell'istituto di pena in questione e se con riferimento al suicidio del detenuto non siano ravvisabili profili di responsabilità in capo al personale penitenziario;
          quante siano le unità dell’équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Taranto;
          con chi divideva la cella e di quanti metri quadrati disponesse il detenuto morto suicida;
          se il detenuto morto suicida fosse alloggiato all'interno di una cella rispondente a requisiti di sanità e igiene;
          se nel corso della detenzione il detenuto fosse stato identificato come potenziale suicida e, in questo caso, se fosse tenuto sotto un programma di osservazione speciale;
          quali provvedimenti urgenti intenda attuare al fine di reperire le risorse e i finanziamenti necessari per dare concreta attuazione a quanto previsto e stabilito nella circolare GDAP-0032296-2010 avente ad oggetto «Emergenza suicidi. Istituzione di unità di ascolto di Polizia Penitenziaria», in particolare se intenda attivarsi al fine di consentire l'immediato avvio dei progetti formativi in essa previsti per il personale di polizia penitenziaria;
          quali siano le condizioni umane e sociali del carcere di Taranto e, più in generale, degli istituti di pena presenti in Puglia, in particolare se non ritenga di assumere sollecite, mirate ed efficaci iniziative, anche a seguito di immediate verifiche ispettive in loco, volte a ripristinare condizioni minime di vivibilità nelle carceri pugliesi, ampliando la dotazione del personale di polizia penitenziaria e di quello addetto ai servizi. (5-07433)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il leader del movimento diritti civili, Franco Corbelli, in una nota diffusa dall'agenzia di stampa Asca il 1° aprile 2012, ha rivolto un appello in favore di un detenuto nel carcere di Palmi, malato di tumore, che chiede di essere curato in una struttura adeguata;
          i familiari del detenuto hanno inviato la seguente lettera al leader del Movimento diritti civili: «Un nostro congiunto rischia di morire in carcere se non si interviene subito. È detenuto da poche settimane a Palmi, dopo essere stato nel carcere di Vibo Valentia. È in carcere da un anno e mezzo. È innocente. Ma quello che ci preoccupa e angoscia a tutti noi in famiglia è la sua malattia. In vita sua ha sempre sofferto. È stato operato per un tumore. Ogni mese doveva andare a controllarsi, da quando è in carcere non lo può più fare. Rischia di morire abbandonato e dimenticato in una cella»;
          il trattamento penitenziario deve essere realizzato secondo modalità tali da garantire a ciascun detenuto il diritto inviolabile al rispetto della propria dignità, sancito dagli articoli 2 e 3 della Costituzione; dagli articoli 1 e 4 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 2000; dagli articoli 7 e 10 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1977; dall'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali del 1950; dagli articoli 1 e 5 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948; nonché dagli articoli 1, 2 e 3 della raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa del 12 febbraio 1987, recante «Regole minime per il trattamento dei detenuti» e dall'articolo l della Raccomandazione (2006) 2 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa dell'11 gennaio 2006, sulle norme penitenziarie in ambito europeo;
          il diritto alla salute, sancito dall'articolo 32 della Costituzione, rappresenta un diritto inviolabile della persona umana, non suscettibile di limitazione alcuna e idoneo a costituire un parametro di legittimità della stessa esecuzione della pena, che non può in alcuna misura svolgersi secondo modalità idonee a pregiudicare il diritto del detenuto alla salute ed alla salvaguardia della propria incolumità psico-fisica;
          l'articolo 11 della legge 26 luglio 1975, n.  354, sancisce una rigorosa disciplina in ordine alle modalità ed ai requisiti del servizio sanitario di ogni istituto di pena, prescrivendo tra l'altro che «ove siano necessari cure o accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti, i condannati e gli internati sono trasferiti (...) in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura»;
          la recente sentenza della Corte di cassazione n.  46479/2011, del 14 dicembre 2011 ha evidenziato, fra l'altro, come «il diritto alla salute del detenuto va tutelato anche al di sopra delle esigenze di sicurezza sicché, in presenza di gravi patologie, si impone la sottoposizione al regime degli arresti domiciliari o comunque il ricovero in idonee strutture»;
          a giudizio della prima firmataria del presente atto, è necessario un intervento urgente al fine di verificare le reali condizioni di salute del detenuto in questione, affinché siano adottati i provvedimenti più opportuni, per garantire che l'espiazione della pena non si traduca di fatto in un'illegittima violazione dei diritti umani fondamentali, secondo modalità tali peraltro da pregiudicarne irreversibilmente le condizioni psico-fisiche, già gravemente compromesse  –:
          di quali informazioni dispongano circa i fatti narrati in premessa;
          se non intendano promuovere ogni accertamento di competenza, anche attraverso un'ispezione ministeriale, in rapporto ai fatti esposti in premessa, e quali ulteriori iniziative di competenza intendano assumere al fine di tutelare il diritto alla salute del detenuto. (5-07434)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 1o luglio 2012 la prima firmataria del presente atto si è recata in visita ispettiva presso la casa circondariale di Trapani «San Giuliano», accompagnata dagli esponenti radicali di Palermo e Catania, Donatella Corleo e Gianmarco Ciccarelli;
          il penitenziario, inaugurato nel 1965, è ubicato in località Casa Santa, una frazione del comune di Erice (TP) contigua all'agglomerato urbano della città di Trapani;
          la visita ha avuto una durata di 5 ore e 50 minuti; la delegazione è stata ricevuta e accompagnata dal comandante di polizia penitenziaria Giuseppe Romano e, nella seconda fase della visita, anche dal direttore dell'istituto Renato Persico;
          l'istituto è gravemente sovraffollato: i detenuti presenti sono 495 mentre la capienza regolamentare dell'istituto è di 271 posti, a cui vanno aggiunti 11 posti letto della sezione «semilibertà»; il numero dei detenuti presenti è superiore perfino rispetto alla capienza cosiddetta «tollerabile» che, secondo quanto riferito, è di 443 posti letto; l'istituto è articolato in diverse sezioni; nel reparto «Mediterraneo», che ospita detenuti comuni in regime di media sicurezza, i detenuti presenti sono 277 a fronte di una capienza regolamentare di 169 posti; nel reparto «Ionio» (alta sicurezza) sono ristretti 112 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 64 posti; nella sezione «Egeo» (femminile) le detenute presenti sono 18 a fronte di una capienza regolamentare di 14 posti; nel reparto «Tirreno» (detenuti protetti) i reclusi sono 63, mentre la capienza regolamentare è di 24 posti; sono presenti inoltre un reparto «semilibertà» con una capienza regolamentare di 11 posti e un reparto «isolamento» denominato sezione «BLU»;
          il personale di polizia penitenziaria risulta fortemente sottodimensionato: la pianta organica prevede 330 agenti, ma quelli in servizio sono 282, di cui 48 unità sono in forza al nucleo traduzioni e piantonamenti e 9 unità sono distaccate presso altri istituti e presso l'Ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE); gli agenti effettivamente in servizio nel carcere di Trapani, dunque, sono soltanto 225, con una carenza effettiva di oltre 100 unità rispetto alla pianta organica (la cui previsione è commisurata, evidentemente, ad una popolazione detenuta corrispondente alla capienza regolamentare, e quindi di gran lunga inferiore rispetto a quella attualmente presente nella casa circondariale); «l'età del personale di polizia penitenziaria è aumentata molto, quelli che in questi anni sono andati in pensione non sono stati rimpiazzati», afferma il comandante; alla marcata carenza di agenti si affianca la carenza di risorse e di mezzi in dotazione alla polizia penitenziaria, con grave pregiudizio per la serenità degli agenti e con rilevanti ripercussioni in termini di sicurezza: «non ci sono i soldi per la manutenzione e la riparazione dei mezzi», riferisce il comandante, «abbiamo soltanto un furgone funzionante e a volte siamo costretti ad accompagnare i detenuti alle udienze con l'automobile: l'altro giorno un detenuto ha tentato di afferrare il volante»;
          le condizioni strutturali del penitenziario sono discrete; «tutto sommato, per essere un carcere che ha 50 anni, le condizioni dal punto di vista strutturale non sono cattive; ci vorrebbero un po’ di lavori di manutenzione ma i soldi sono pochi», riferisce il comandante; una delle maggiori criticità della struttura è rappresentata dalla gravissima carenza idrica: l'acqua viene erogata soltanto per 4 ore al giorno, a causa di problemi di approvvigionamento che riguardano l'intero comprensorio della val d'Erice; «abbiamo l'acqua col contagocce, e alcuni giorni fa – racconta il comandante – siamo stati addirittura senz'acqua per un problema tecnico del comune di Erice, un guasto al dissalatore: i detenuti hanno protestato, ma poi quando abbiamo spiegato che il problema non dipendeva da noi la protesta è rientrata, i detenuti hanno compreso»; la direzione del carcere, secondo quanto riferito, ha avanzato richiesta per l'installazione di un potabilizzatore d'acqua, un intervento per il quale sono necessari circa 20 mila euro, che consentirebbe di assicurare un'erogazione di acqua per 8/10 ore al giorno;
          gli stranieri ristretti nella casa circondariale di Trapani sono 124, circa il 25 per cento della popolazione detenuta; i detenuti tossicodipendenti sono 82; i detenuti che lavorano sono circa 40, meno del 10 per cento della popolazione detenuta: si tratta esclusivamente di lavori non professionalizzanti alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria; fino ai primi anni ’90 era presente un'officina di falegnameria, poi chiusa, e attualmente nella casa circondariale di Trapani non sono attive lavorazioni di alcun tipo; per quanto riguarda l'istruzione, sono attivi corsi di scuola elementare, media e superiore: «da settembre sarà attiva la scuola alberghiera», riferisce il direttore;
          la delegazione visita il reparto «Mediterraneo» (detenuti comuni), che si articola su tre piani (piano terra, primo e secondo piano); reti di sicurezza orizzontali sono applicate ai ballatoi dei piani, a separare un piano dall'altro, secondo una obsoleta concezione di struttura carceraria;
          in questa sezione le celle, di circa 16 metri quadrati, ospitano fino a 6 detenuti (meno di 3 metri quadrati a testa) in letti a castello a tre piani e sono dotate di bagno con doccia; inoltre, sono dotate di frigorifero e hanno finestre che assicurano un ingresso di luce naturale da ritenersi soddisfacente;
          i detenuti trascorrono in cella 20 ore al giorno e possono usufruire di 4 ore d'aria, due al mattino e due al pomeriggio; in questo istituto c’è un campo sportivo dove i detenuti, a turno, possono giocare a pallone; non ci sono, invece, sale per la socialità;
          il rapporto fra la popolazione detenuta e gli agenti di polizia penitenziaria è molto buono, e sono tanti i detenuti che sottolineano questo aspetto: «qui gli agenti ci trattano bene, con umanità»; «in questo carcere ci sono tanti problemi, a partire dal sovraffollamento, ma degli agenti non possiamo lamentarci»; «ho grande stima del comandante e di tutti gli agenti, lavorano con professionalità in una situazione che è difficile anche per loro»;
          anche il rapporto con il magistrato di sorveglianza è descritto dalla maggioranza dei detenuti in termini positivi, specialmente con riferimento agli ultimi mesi: «prima il magistrato di sorveglianza veniva da Palermo, e non funzionava granché; adesso invece è a Trapani e da meno di un anno funziona meglio»;
          una delle lamentele più diffuse riguarda la carenza di acqua: «è assurdo farci stare in 6 in una cella con questo caldo e per di più senza acqua corrente per quasi tutto il giorno», afferma un detenuto; «sappiamo che è un problema generale della città, ma per chi è recluso è ancora più dura», evidenzia un altro; «se manca l'acqua, manca tutto, e quella poca acqua che esce è ruggine!»;
          la poca acqua che viene erogata presenta un colore giallastro che è motivo di forte preoccupazione per molti detenuti, soprattutto per quelli che sono costretti a bere l'acqua del rubinetto perché non hanno i soldi per acquistare l'acqua imbottigliata; nella cella n.  4, piano terra, ad esempio, sono ristretti 4 detenuti tunisini completamente indigenti: «non abbiamo soldi, beviamo questa acqua che esce dal rubinetto – affermano – ma ha un brutto colore, un brutto sapore, non si può bere!»; questi detenuti hanno applicato una pezza al rubinetto per tentare di filtrare l'acqua trattenendo i residui, e mostrano con angoscia il colore marroncino della pezza, a riprova del fatto che l'acqua erogata non è pura; uno di loro lamenta: «bevo quest'acqua da un anno e otto mesi e adesso ho un forte dolore al fegato: è giusto questo, secondo voi?»; «per l'ASP (azienda sanitaria provinciale) l'acqua del rubinetto è potabile», informa il comandante;
          molti detenuti, inoltre, lamentano di non avere prodotti per l'igiene personale e per la pulizia della cella: «siamo senza shampoo, senza detersivo, non si può vivere così»; «l'amministrazione ha pochissimi soldi», riferisce il comandante, che aggiunge: «riusciamo a comprare qualcosa grazie al cappellano»;
          la delegazione si reca nei cosiddetti «passeggi», cioè i cortili dove i detenuti trascorrono le ore d'aria; nel reparto «Mediterraneo» ci sono tre passeggi, ognuno destinato ad accogliere i detenuti di un determinato piano; in queste aree esterne c’è un wc degradato, un calcetto balilla, e una piccola tettoia che assicura una limitata porzione di ombra, dove la delegazione si sofferma a colloquiare con i detenuti;
          «la situazione è critica, non ce la facciamo più», lamentano alcuni detenuti, sottolineando il problema del sovraffollamento e la carenza di acqua; altri lamentano che nella loro cella, pur essendo in 6 detenuti, le «bilancette» (piccoli armadietti dove i detenuti ripongono il vestiario) sono soltanto quattro; altri ancora lamentano l'assenza di socialità e di attività volte alla rieducazione: «qui non facciamo niente, stiamo per 20 ore chiusi in cella, siamo dimenticati da Dio»; alcuni detenuti raccontano che «di notte escono gli scarafaggi dal gabinetto»; molti lamentano il fatto che «le forniture sono scarse: in un mese ci danno soltanto due rotoli di carta igienica, uno straccio e una confezione di detergente per pulire la cella, il dentifricio ce lo danno ogni 3 o 4 mesi»; «i prezzi del sopravitto sono cari, – lamentano alcuni detenuti – accanto ai prodotti di prima qualità dovrebbero esserci anche prodotti meno cari, per consentire a chi ha pochi soldi di poter risparmiare»; un'altra criticità segnalata dai detenuti riguarda la quantità del vitto, «scarsa», a detta di molti, e i limiti posti all'acquisto dei prodotti: «chi non ha soldi mangia pochissimo, e chi è benestante non può nemmeno dare aiuto ai compagni di cella più poveri perché, ad esempio, ognuno di noi può acquistare al massimo 3 kg di pasta alla settimana, non di più: che senso hanno questi limiti nell'acquisto dei prodotti?», lamentano i detenuti, «ci consentono di comprare soltanto un bagnoschiuma alla settimana, oppure soltanto una confezione di 20 forchette di plastica alla settimana, ma a volte questi prodotti li dividiamo con i nostri compagni di cella che non hanno soldi, e quindi sono insufficienti»; un detenuto lamenta il fatto che tra i prodotti che possono essere acquistati non ci sia la pentola grande, ma soltanto il tris di pentolini: «in cella siamo in 6, è impossibile fare la pasta per tutti nei pentolini piccoli, e così siamo costretti a utilizzare una pentola rotta che abbiamo trovato in cella: una pentola vecchissima, che ha più dell'ergastolo», scherza amaramente; quando la delegazione si reca a visitare le celle del primo piano viene mostrata questa pentola che in effetti è vecchissima e rotta, con lo scotch nella parte superiore «per non fare uscire l'acqua», spiegano i detenuti, che aggiungono: «per lavarla spesso ci tagliamo»;
          un numero consistente di detenuti, soprattutto stranieri provenienti da istituti del nord Italia e campani provenienti da istituti della Campania, riferisce di essere stato trasferito «per sfollamento: ci hanno portato qua perché proveniamo da carceri sovraffollate, ma anche questo carcere è sovraffollato!»; molti evidenziano la sofferenza di dover scontare la pena (o la custodia cautelare in carcere) lontano dalla famiglia, e spesso a pagare le conseguenze di questi trasferimenti in altre regioni sono i figli, anche minorenni; un detenuto napoletano racconta: «preferivo stare a Poggioreale, da quando sono qua non ho più visto mio figlio di 8 anni, so che va dallo psicologo due volte alla settimana, lui mi cerca continuamente e la mamma gli dice che il suo papà sta lavorando, mi farei anche un anno di pena in più pur di stare vicino alla mia famiglia e poter fare i colloqui»;
          un detenuto lamenta: «sono definitivo con 10 anni di pena da scontare, e mi tengono in questo carcere che è una casa circondariale, ma io non dovrei stare qua, dovrei stare in un carcere dove ci sono attività, dove si lavora»;
          alcuni detenuti palermitani riferiscono di essere stati trasferiti a Trapani dal carcere Ucciardone di Palermo soltanto per il fatto di aver parlato con la prima firmataria del presente atto in occasione di una precedente visita ispettiva all'interno della casa circondariale palermitana;
          diversi detenuti stranieri manifestano il timore di finire in un CIE (centro di identificazione ed espulsione), una volta usciti dal carcere: «perché non ci identificano mentre siamo qua?»; «qui hanno il nostro nome, cognome e tutto, se ci identificano quando siamo in carcere per quale motivo poi ci mandano nei CIE?»;
          inoltre, molti detenuti stranieri riferiscono che il meccanismo per ottenere il trasferimento in un carcere del proprio paese, al fine di scontare in quel luogo gli ultimi 2 anni, è lento ed estremamente complicato; un detenuto di nazionalità kosovara, ormai prossimo al rimpatrio, racconta: «è difficilissimo, non c’è nessuno che ci aiuta, non ci sono mediatori, io ho atteso 6 mesi soltanto per capire se dovevo rivolgermi all'ufficio stranieri o all'ambasciata, poi dal momento in cui ci fanno fare la domanda al momento del rimpatrio passa molto tempo, per me addirittura un anno, ma se invece la pratica per l'espulsione funzionasse bene sarebbe meglio non solo per noi, ma anche per l'istituto e per lo Stato italiano»; e aggiunge: «per quelli che come me non fanno i colloqui con i familiari, 4 telefonate al mese sono poche, non sarebbe più giusto consentire a chi non fa mai i colloqui di poter telefonare 6 volte al mese?»; e infine: «per Natale ho chiesto di poter fare una telefonata straordinaria a mia madre che è malata, e non me l'hanno concessa»;
          molti detenuti manifestano delusione con riferimento alla legge n.  199 del 2010: «altro che svuota carceri, questa legge qui non ha avuto nessun effetto positivo, praticamente non ha funzionato»; alcuni detenuti lamentano lentezze nell'invio della relazione di sintesi: «mi mancano 14 mesi di pena da scontare e ho chiesto gli arresti domiciliari, ma il carcere dopo 7 mesi dalla richiesta non ha ancora mandato la relazione»; «se il carcere non invia la relazione la mia pratica si blocca»;
          nella casa circondariale di Trapani gli educatori sono quattro, più il responsabile dell'area trattamento educativo: «c’è carenza di educatori», afferma il direttore;
          un detenuto riferisce di essere stato trasferito nell'ultimo periodo per ben cinque volte in istituti diversi, sottolineando un aspetto negativo di questi continui spostamenti: «io di carceri ne ho girati 6, ma non per cattiva condotta, per sfollamento!»; e aggiunge: «quindi apro una sintesi in un carcere e poi devo ricominciare tutto da capo nel nuovo carcere»;
          un detenuto lamenta: «il magistrato di sorveglianza non mi ha dato il permesso di vedere mia figlia appena nata»;
          alcuni detenuti tossicodipendenti lamentano: «per parlare col SERT passano mesi»; altri detenuti riferiscono che spesso le iniezioni vengono fatte attraverso le sbarre, senza nemmeno aprire la porta della cella;
          FC., ristretto nella cella n.  22, piano terra, riferisce di essere affetto dal morbo di Raynaud e di non ricevere in questo carcere, a differenza di quanto avveniva nel carcere di Caltagirone e in quello di Caltanissetta, il farmaco «Trental» (a base di Pentossifillina);
          la delegazione prosegue la visita e si reca al 2o piano del reparto «Mediterraneo»;
          M.S., detenuto marocchino ristretto nella cella n.  67, racconta di essere stato trasferito a Trapani «per sfollamento» dal carcere napoletano Poggioreale: «vorrei tornare in Campania, lì ho un fratello e una sorella, un mese fa ho fatto la domanda per avvicinamento colloqui ma ancora non ho ricevuto alcuna risposta»;
          R.N., riferisce di soffrire di crisi epilettiche e di avere una madre anziana e malata («operata alla schiena») e aggiunge: «4 mesi fa, quando mi mancavano 8 mesi di pena da scontare, ho fatto la domanda per scontare la pena nel mio domicilio (legge n.  199 del 2010), adesso mi mancano soltanto 4 mesi e ancora come vedete sono qua»;
          S.R., detenuto di nazionalità tunisina, invece, teme di dover ritornare nel carcere Sant'Angelo dei Lombardi (Avellino), in cui è assegnato: «mia madre vive a Mazara del Vallo (Trapani), vorrei restare in questo carcere o comunque in uno vicino»;
          L.M., detenuto residente a Torre Annunziata (NA) con fine pena nel 2021, afferma di soffrire molto a causa della lontananza dalla famiglia e soprattutto dai due figli minorenni (di 8 anni e 12 anni): «sto qui da un anno e da un anno non vedo la mia famiglia, da un anno non faccio un colloquio, i miei familiari non hanno i soldi per venirmi a trovare, 5 mesi fa ho fatto la richiesta per il trasferimento in Campania ma è stata rigettata, 3 mesi fa ne ho fatta un'altra ma ancora non ho avuto risposta; io vorrei lavorare, ho bisogno di lavorare, per mandare qualcosa alla mia famiglia e anche per me, ma in questo carcere non mi chiamano per lavorare, chiamano quelli che hanno fatto domanda dopo di me»;
          i detenuti che lamentano l'assenza di lavoro sono molti;
          S.I. lamenta: «io sul libretto non ho un centesimo e fuori non c’è nessuno che si preoccupa di me, ho soltanto mia mamma che era in una clinica e ora non so nemmeno se è ancora viva oppure è morta»;
          W.P. è un detenuto di nazionalità albanese trasferito «per sfollamento» dal carcere milanese di San Vittore: «da Milano mi hanno mandato a Catania, dove sono stato per 6 mesi, e ora sono qui a Trapani da 20 mesi; la mia famiglia vive a Milano, ho moglie e figli, ho fatto 3 domande di trasferimento per stare più vicino alla famiglia ma non ho mai ricevuto alcuna risposta»;
          un detenuto della cella n.  55 riferisce con angoscia della presenza notturna di scarafaggi: «di notte escono dal bagno e passeggiano nella cella»; i suoi compagni di cella confermano: «ha la fobia degli scarafaggi, quando li vede sta male e sale al 3o piano del letto a castello»;
          alcuni detenuti stranieri lamentano l'assenza di forniture per la pulizia della cella e mostrano quello che utilizzano per lavare il tavolino e il pavimento: «usiamo questa pezza sporca per pulire il tavolo e questo pezzo di accappatoio come straccio per pulire a terra»;
          A.H., detenuto tunisino che sconta una condanna definitiva, lamenta: «mi è stata rigettata la domanda per fare una telefonata a mia moglie in Tunisia, sono qui da 4 mesi e ancora non ho mai potuto parlare al telefono con mia moglie»;
          la delegazione prosegue la visita e si reca al 1o piano del reparto «Mediterraneo»;
          nella cella n.  29 è ristretto P.T., quarantenne, che riferisce di essere stato trasferito dalla casa di lavoro di Modena «Saliceta San Giuliano» alla casa di lavoro di Favignana per aver praticato lo sciopero della fame e la battitura delle inferriate: «il magistrato di sorveglianza di Trapani ha ritenuto legittimo questo mio trasferimento, ma allora è vietato fare lo sciopero della fame?»;
          A.H., tunisino, ristretto nella cella n.  30, mostra la bocca completamente priva di denti, e lamenta: «sono qui da 4 anni e da 4 anni aspetto una dentiera»;
          R.H., tunisino, riferisce di aver fatto domanda per essere trasferito in un carcere toscano, per stare vicino ai familiari: «tutta la mia famiglia vive a Firenze, anche i miei processi sono là, ho fatto la domanda per andare in un carcere più vicino ma non mi rispondono»;
          nella cella n.  31 sono ristretti 6 detenuti, tra cui A.C., che afferma: «non ho genitori né parenti, ho soltanto una compagna che è l'unica persona che mi è rimasta, è l'unico affetto che ho, lei vive a Bologna e non ha la possibilità di venirmi a trovare per i colloqui, ho fatto la domanda per poter avere almeno un colloquio telefonico con lei, vorrei almeno poterla sentire per telefono, ma ancora non me l'hanno accordato»;
          R.P., detenuto catanese ristretto nella cella n.  32, riferisce di aver fatto varie domande per essere trasferito in un istituto più vicino alla famiglia, che risiede a Catania: «da quando sono qui a Trapani, cioè da 8 mesi, non vedo mio figlio di 8 anni; prima stavo nel carcere di Enna e lì ero più vicino alla mia famiglia; ho fatto domande per andare al carcere di Augusta, di Noto, di Caltagirone ma me le hanno rigettate, dicono per problemi di posti, ma anche questo carcere è sovraffollato!»;
          anche R.P., detenuto di nazionalità albanese ristretto nella cella n.  41, vorrebbe scontare la sua pena in un carcere vicino alla famiglia, che risiede a Roma, e riferisce di avere presentato una domanda per avvicinamento senza aver mai ricevuto alcuna risposta: «la mia famiglia risiede a Roma, ho un figlio di 8 anni che è nato a Roma, non lo vedo da 3 anni e mezzo, cioè da quando mi hanno trasferito in Sicilia, prima infatti ero a Regina Coeli, poi mi hanno mandato nel carcere di Enna, poi in quello di Augusta e ora da 2 anni e mezzo sono qui a Trapani; ho fatto domanda per essere trasferito a Rebibbia o comunque in un carcere del Lazio, ho anche allegato tutta la documentazione con il certificato di residenza di mio figlio minorenne, non mi hanno mai risposto»;
          H.T. (cella n.  47), detenuto di nazionalità tunisina con un residuo di pena da scontare di 7 mesi, riferisce di aver presentato la domanda per l'accesso alla detenzione presso il domicilio, ai sensi della legge n.  199 del 2010, senza aver ancora ricevuto alcuna risposta: «sono residente a Catania, dove ho una moglie e avrei anche un lavoro»;
          nella casa circondariale di Trapani, secondo quanto riferito, c’è un elevato turn-over di detenuti: «in questo carcere il problema delle porte girevoli c’è ancora», sottolinea il direttore;
          la sala colloqui del reparto «Mediterraneo» è ampia, arredata con tavolini e sedie, e si presenta in buone condizioni; anche la sala colloqui della sezione femminile, di dimensioni più ridotte, appare in buono stato;
          il penitenziario, sebbene sia dotato di ampi spazi esterni, non ha un'area verde attrezzata per lo svolgimento del colloquio dei detenuti con i familiari minori: «speriamo di attrezzarlo a breve – riferisce il comandante – grazie ai fondi donati dal kiwanis, lo spazio è già stato individuato»;
          «purtroppo la carenza di fondi rende tutto più difficile, quasi tutti i nostri capitoli sono asciutti», sottolinea il direttore;
          l'articolo 28 della legge 26 luglio 1975, n.  354 (ordinamento penitenziario), stabilisce che «particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie»;
          l'articolo 15 della medesima legge prescrive che «nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza delle famiglie»;
          il comma 2 dell'articolo 62 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n.  230 (Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà), dispone che «particolare attenzione è dedicata ad affrontare la crisi conseguente all'allontanamento del soggetto dal nucleo familiare, a rendere possibile il mantenimento di un valido rapporto con i figli, specie in età minore, e a preparare la famiglia, gli ambienti prossimi di vita e il soggetto stesso al rientro nel contesto sociale» (...)  –:
          se sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se intenda intervenire per ridurre, fino a portarla a quella regolamentare, la popolazione detenuta nel carcere «San Giuliano» di Trapani;
          se e quando si intenda intervenire per colmare il deficit di organico della polizia penitenziaria, degli psicologi e degli educatori;
          se si intendano incrementare i fondi relativi alle mercedi per il lavoro dei detenuti, quelli riguardanti i sussidi per i più indigenti, quelli per le attività trattamentali e, infine, quelli da destinare alla pulizia dell'istituto e, in particolare, delle celle;
          quanto alla carenza idrica, se intenda intervenire immediatamente per l'installazione di un potabilizzatore d'acqua che consentirebbe l'erogazione dell'acqua per 8/10 ore al giorno;
          a quando risalga l'ultima analisi effettuata dall'ASL sulla potabilità dell'acqua erogata nelle celle detentive stante lo stato di indigenza di molti detenuti che non hanno i mezzi per acquistare l'acqua minerale imbottigliata;
          in che modo si intenda intervenire in merito ai casi singoli segnalati in premessa;
          a quanti dei detenuti definitivi del carcere di Trapani venga applicato il trattamento rieducativo previsto dall'ordinamento penitenziario, trattamento che deve tendere, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi, secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti;
          cosa si intenda fare affinché sia rispettato il principio della territorializzazione della pena;
          in particolare, come si giustifichino gli sfollamenti dalle carceri sovraffollate del Nord e campane che sradicano i detenuti dal loro ambiente familiare costringendo peraltro l'amministrazione a sostenere costi ingenti per le traduzioni necessarie ad assicurare la presenza dei detenuti alle udienze che li riguardano;
          quanto spende l'amministrazione per le traduzioni dei detenuti e quanto personale venga utilizzato, nel complesso, per effettuarle;
          come questi sfollamenti a centinaia di chilometri di distanza siano compatibili con la normativa citata in premessa;
          se corrisponda al vero che la legge n.  199 del 2010 e la sua recente estensione a 18 mesi per l'esecuzione presso il domicilio delle pene, venga applicata agli aventi diritto solo a ridosso del fine pena e, comunque, quanti siano i detenuti che hanno beneficiato dell'intero periodo, 12 mesi prima e 18 mesi con l'adeguamento della nuova normativa;
          se intenda intervenire per favorire la presenza dei mediatori culturali per i detenuti stranieri;
          se e come intenda intervenire per assicurare che l'identificazione dei detenuti stranieri avvenga nel periodo della detenzione in carcere, evitando così il successivo trattenimento degli stessi nei centri di identificazione ed espulsione;
          se e quali iniziative intenda assumere per rendere effettiva la possibilità per i detenuti stranieri di scontare gli ultimi due anni di pena nel Paese d'origine;
          se intenda intervenire per allestire l'area verde per gli incontri dei detenuti con i loro familiari, in particolare se minorenni;
          se corrisponda al vero il fatto che alcuni detenuti del carcere Ucciardone di Palermo siano stati trasferiti a Trapani dopo aver «parlato» con la prima firmataria del presente atto in occasione di una precedente visita ispettiva; se intenda verificare quanti e quali detenuti siano stati trasferiti dall'Ucciardone a Trapani e quali siano state le ragioni del trasferimento.
(4-16978)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il 29 giugno 2012 la prima firmataria del presente atto si è recata in visita ispettiva presso la casa circondariale «Piazza Lanza» di Catania accompagnata da Gianmarco Ciccarelli, segretario dell'associazione Radicali Catania;
          la delegazione è stata ricevuta e accompagnata dal comandante di polizia penitenziaria Salvatore Tramontana e, nella seconda parte della visita, anche dalla direttrice dell'istituto Elisabetta Zito;
          il carcere è gravemente sovraffollato: i detenuti presenti sono 545 (528 uomini e 17 donne) a fronte di una capienza regolamentare di 155 posti; questo dato relativo alla capienza regolamentare (155 posti), confermato ancora una volta dalla direzione dell'istituto (esattamente corrispondente a quello fornito all'interrogante in occasione di precedenti visite effettuate nella casa circondariale piazza Lanza di Catania in data 10 luglio 2008, 15 novembre 2009, 18 novembre 2010, 31 dicembre 2011) e peraltro indicato anche in un'ordinanza emessa in data 5 marzo 2012 dal magistrato di sorveglianza di Catania dottor Salvatore Meli, risulta di gran lunga inferiore a quanto recentemente dichiarato dal Ministero della giustizia nella risposta scritta all'interrogazione n.  5-06720 (già n.  4-14404), laddove si indica una capienza regolamentare di 361 posti;
          il carcere ospita detenuti comuni in regime di media sicurezza; circa il 75 per cento dei detenuti è in attesa di giudizio: gli imputati sono 252, gli appellanti sono 109, i ricorrenti 45; i detenuti che scontano una condanna definitiva sono 139, di cui 2 ergastolani; i detenuti stranieri sono 60 (58 uomini e 2 donne);
          la carenza di personale di polizia penitenziaria risulta particolarmente marcata; a fronte di una pianta organica determinata nel numero di 430 unità, gli agenti assegnati – secondo quanto riferito dal comandante Tramontana – sono circa 330, di cui circa 100 distaccati (circa 60 agenti in servizio presso il nucleo traduzioni e piantonamenti e circa 40 agenti distaccati in altri istituti di pena), per cui gli agenti di polizia penitenziaria effettivamente in servizio presso la casa circondariale piazza Lanza sono circa 230, comprese 12 unità addette alla scorta di autorità sotto tutela; le informazioni fornite all'interrogante in occasione della visita si discostano notevolmente, anche in questo caso, da quanto dichiarato dal ministero della giustizia nella sopramenzionata risposta, ove risulta scritto che «il personale di Polizia penitenziaria effettivamente presente alla data 31 marzo 2012 è composto da 366 unità»;
          la casa circondariale di piazza Lanza consta di quattro sezioni attualmente funzionanti («Amenano», «Simeto», «Nicito», «Etna») e di un reparto (il cosiddetto «terzo padiglione») chiuso da circa 10 anni per inagibilità;
          secondo quanto riferito, non sono ancora state apportate al reparto «Nicito» le necessarie e urgenti opere di adeguamento strutturale volte a renderlo conforme alle normative di legge;
          la delegazione visita il primo piano del reparto «Amenano», accedendo all'interno di ciascuna cella e soffermandosi a colloquiare con le persone detenute;
          tutte le celle di questa sezione misurano circa 20 metri quadi e sono dotate di bagno con doccia;
          lo spazio a disposizione di ciascun detenuto è inferiore a 3 metri quadri e la temperatura all'interno delle celle è molto elevata; «fa un caldo bestiale, non abbiamo nemmeno un frigorifero», lamentano i detenuti;
          i detenuti lamentano carenze nell'erogazione dell'acqua: «abbiamo l'acqua soltanto per 6 ore al giorno, riempiamo le bottiglie per avere un po’ di acqua nelle altre ore del giorno, ci serve per le emergenze, per lavarci e soprattutto per tirare il wc», raccontano i detenuti;
          i detenuti trascorrono chiusi in cella almeno 20 ore al giorno; le ore d'aria in cui i detenuti possono recarsi nel cortile esterno (il cosiddetto «passeggio») sono quattro, due al mattino e due al pomeriggio: «ma ci alterniamo anche nelle ore d'aria, perché nei passeggi non ci entriamo tutti, siamo troppi», sottolineano alcuni; «stiamo in cella per 20 ore al giorno, spesso anche per 22», conferma un altro detenuto; molti detenuti lamentano l'assenza di socialità e di attività trattamentali: «stiamo chiusi in cella dalle 15 alle 9 dell'indomani, qui la giornata non passa mai, la rieducazione non esiste»; «nelle condizioni in cui siamo, 3 anni di carcere equivalgono a 9 anni di carcere», lamenta un detenuto;
          il carcere non è dotato di sale per la socialità né di palestra: «la palestra la facciamo in cella con le bottiglie d'acqua», riferiscono i detenuti; il comandante Tramontana informa che «dopo agosto la palestra dovrebbe aprire»;
          le celle ospitano indistintamente persone giovanissime e persone anziane, detenuti in attesa di giudizio e detenuti che scontano una condanna definitiva;
          molti detenuti lamentano carenze nell'assistenza sanitaria, che negli istituti di pena della Sicilia dipende ancora dal Ministero della giustizia; un detenuto mostra il dito anulare della mano destra storto e riferisce di esserselo fratturato in cella, per salire al quarto piano del letto a castello, e di non aver ricevuto cure adeguate: «il dito mi è rimasto storto a causa di un ritardo nell'operazione per togliere il ferro»; un altro detenuto, con un evidente rigonfiamento sulla guancia, afferma: «aspetto da più di un anno per togliere questa ciste nella guancia»; un detenuto tossicodipendente riferisce che l'unico trattamento che gli viene somministrato sono «le gocce per dormire»; un detenuto racconta quel che gli è accaduto qualche sera prima: «soffro di asma, la sera della partita di calcio Italia-Inghilterra mi sono sentito male e ho chiamato il medico intorno alle ore 21.00, ma il medico è arrivato solo dopo la fine della partita»; molti detenuti lamentano: «qui se stai male ti danno sempre la stessa pillola, vale per tutto, sia che hai mal di testa, sia che hai mal di pancia, sia che hai mal di schiena: è la pillola che cura tutto»;
          a detta di molti, l'assistenza psicologica è del tutto insufficiente rispetto alle esigenze della popolazione detenuta: «qui la psicologa si vede soltanto quando entriamo», sottolineano i detenuti;
          i detenuti evidenziano che il rapporto con gli agenti di polizia penitenziaria è buono;
          i detenuti lamentano criticità in relazione ai compiti propri del magistrato di sorveglianza: «per ottenere i giorni di liberazione anticipata aspettiamo molti mesi, anche 7 mesi»; un detenuto afferma: «se mi venissero riconosciuti i giorni di liberazione anticipata, potrei uscire e andare a lavorare alla Città del Sole»; un altro riferisce: «gli educatori del carcere sono presenti e ci seguono con la relazione, il problema dipende dal magistrato di sorveglianza»; molti detenuti con condanna definitiva riferiscono che la richiesta di poter scontare il residuo della pena presso il proprio domicilio (ai sensi della legge n.  199 del 2010 e successive modifiche) viene evasa, «bene che vada», a distanza di molti mesi: «si fa prima a scontare tutta la pena che ad ottenere una risposta»; secondo quanto riferito dalla direttrice dell'istituto, i detenuti con condanna definitiva che hanno potuto usufruire della detenzione presso il domicilio, ex legge n.  199 del 2010 e successive modifiche, sono in tutto 6, e soltanto 1 da quando il residuo pena che è possibile scontare presso il domicilio è stato esteso a 18 mesi; alcuni detenuti riferiscono di trovarsi in carcere per scontare pene di pochi mesi: «io sto scontando una condanna definitiva di 2 anni e 10 giorni, per un fatto commesso tantissimo tempo fa, ed è la prima volta che entro in carcere», riferisce un detenuto; «io devo scontare ancora un mese, sono qua da 10 giorni, per via di una vecchia condanna che è diventata definitiva», racconta un altro;
          nella cella n.  11 sono ristrette 10 persone; sono presenti due letti a castello a tre piani e un letto a castello a quattro piani: la distanza tra il tetto e il quarto piano del letto a castello è di circa 20 centimetri per questa ragione il detenuto a cui è riservata questa sistemazione generalmente trascorre la notte sugli sgabelli;
          la cella n.  20 ospita 10 persone; anche in questa cella è presente un letto a castello a quattro piani e uno dei detenuti dorme sugli sgabelli; i detenuti sottolineano l'assenza della scaletta: «per salire sul letto ci dobbiamo arrampicare»;
          nella cella n.  19 sono ristretti 9 detenuti; «fino a lunedì scorso eravamo in 10, non c’è spazio e manca l'aria, stiamo peggio degli animali», sottolineano i detenuti;
          nella cella n.  12 sono ristretti 8 detenuti; alcuni lamentano la presenza di scarafaggi: «escono dal tombino, entrano dalla finestra: ogni sera facciamo la lotta con le blatte»;
          la cella n.  13 ospita 9 detenuti; in questa cella è ristretto M.T. (nato a Giarre (CT) il 14 agosto 1973), il quale racconta così la sua vicenda: «ho il fine pena nel maggio del 2013, sono tossicodipendente, ho fatto la domanda per andare in comunità, la comunità «Faro» di Messina era disponibile ad accogliermi, ma il magistrato di sorveglianza ha rigettato la mia richiesta»;
          nella cella n.  18 sono presenti 9 detenuti; un detenuto lamenta: «la legge 199 non funziona: io sono qui dall'altro ieri e in tutto devo fare 8 mesi, ma il tempo che presento la domanda e che il magistrato di sorveglianza mi risponde... faccio prima a scontare gli 8 mesi»;
          nella cella n.  14 sono ristretti 10 detenuti; anche in questa cella un detenuto è costretto a dormire sugli sgabelli; un detenuto con condanna definitiva lamenta: «il definitivo dovrebbe farsi il carcere in pace, ma qui non si può vivere»;
          anche nella cella n.  17 sono presenti in 10; i detenuti lamentano: «siamo troppo stretti, qui dobbiamo fare i turni anche per andare in bagno»; un detenuto con la stampella riferisce di stare molto male e di non aver ancora ricevuto assistenza: «ho problemi ai legamenti, un dolore atroce, i ragazzi mi danno una mano per vestirmi, aspetto da 30 giorni che i medici mi chiamino»;
          nella cella n.  16 sono ristretti 9 detenuti;
          la cella n.  15 ospita 9 detenuti; C.V. detenuto in questa cella, riferisce di essere completamente cieco da un occhio e di non ricevere adeguate cure: «mi mancano dieci gradi da un occhio, non ci vedo completamente, avrei bisogno di una visita specialistica»;
          un altro detenuto lamenta l'assenza di lavoro: «qui è ozio forzato, io ho fatto la domanda per lavorare 10 mesi fa e ancora non mi hanno chiamato»;
          nella casa circondariale di Catania piazza Lanza, secondo quanto riferito dal comandante, i detenuti che lavorano sono circa 50: meno del 10 per cento della popolazione detenuta  –:
          se sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se intenda intervenire per ridurre, fino a portarla a quella regolamentare, la popolazione detenuta nel carcere piazza Lanza di Catania;
          se intende finalmente chiarire il dato della capienza regolamentare dell'istituto e spiegare il motivo per quale il dato del Ministero si discosti in modo così ragguardevole da quanto affermato dal magistrato di sorveglianza e dalla direttrice dell'istituto;
          se e quando si intenda intervenire per colmare il deficit di organico della polizia penitenziaria, degli psicologi e degli educatori;
          se si intendano incrementare i fondi relativi alle mercedi per il lavoro dei detenuti, quelli riguardanti i sussidi per i più indigenti, quelli per le attività trattamentali e, infine, quelli da destinare alla pulizia dell'istituto e, in particolare, delle celle;
          quanto alla carenza idrica, se intenda intervenire immediatamente, visto il sovraffollamento delle celle e il pericolo – da non sottovalutare – di diffusione di malattie contagiose;
          se, e in che tempi, verranno effettuate le opere di adeguamento strutturale necessarie a rendere il reparto «Nicito» conforme alla normativa vigente;
          in che modo si intenda intervenire in merito ai casi singoli segnalati in premessa;
          a quanti dei detenuti definitivi del carcere di piazza Lanza viene applicato il trattamento rieducativo previsto dall'ordinamento penitenziario, trattamento che deve tendere, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi, secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti;
          come giustifichino la presenza nella stessa cella di detenuti definitivi e in attesa di giudizio e, addirittura, di un ergastolano;
          se corrisponda al vero che la legge n.  199 del 2010 e la sua recente estensione a 18 mesi per l'esecuzione presso il domicilio delle pene, venga applicata agli aventi diritto solo a ridosso del fine pena e, comunque, quanti siano i detenuti che hanno beneficiato dell'intero periodo richiesto;
          se il magistrato di sorveglianza abbia mai dato disposizioni per il rispetto della normativa riguardante le condizioni di detenzione e, in caso affermativo, quali siano le ragioni per le quali le disposizioni stesse non siano state rispettate;
          quali iniziative si intendano assumere affinché sia pienamente garantito il diritto alla salute delle persone ristrette;
          se ed in che modo si intendano potenziare le attività trattamentali, in particolare quelle lavorative, scolastiche, di formazione e sportive. (4-16979)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato dalla rivista Ristretti Orizzonti, Vincenzo Boscarino, detenuto in espiazione pena presso il carcere di Padova, è deceduto l'11 luglio 2012 a seguito di una grave malattia;
          sulle circostanze che hanno provocato la triste fine di Vincenzo Boscarino, l'11 luglio 2012 Elton Kalica ha scritto il seguente articolo pubblicato sulla rivista Ristretti Orizzonti intitolato «La tragedia di Vincenzo, il dolore di una madre». «È morto Vincenzo Boscarino. Aveva quarantaquattro anni, e di fronte a una simile tragedia, in galera si usa dire “povera sua madre”. È un detto antico, che però esprime in modo perfetto il pensiero di chi ha sperimentato l'amore incondizionato di una madre verso il proprio figlio, e la capacità di resistere ai peggiori drammi della vita: e la madre di Vincenzo oggi dovrà resistere ad una tragedia, una nuova sfida, nuovo dolore. Ho conosciuto Vincenzo circa quattro anni fa, quando entrò nella redazione di Ristretti. Non parlava tanto di sé, ma mi raccontò un po’ dei suoi trascorsi: figlio di immigrati siciliani, era cresciuto nella periferia di Milano guardando la ricchezza degli altri, finché non aveva deciso di prendersene un po’ anche lui, illegalmente. Poi le condanne, lunghe per la recidiva, e così il destino alla fine aveva portato lui, vagante da una galera all'altra per il sovraffollamento, in carcere a Padova. La madre di Vincenzo vive a Milano, ma conosce a memoria i treni, gli autobus e le strade che la portavano a vedere per un'ora il suo unico figlio a colloquio. Forse, durante gli ultimi colloqui si era accorta che Vincenzo dimagriva, forse si era preoccupata in silenzio – si sa come si annoiano i figli delle preoccupazioni delle madri – e non aveva avuto il coraggio di pensare alla malattia; alla fine, in quell'ora di colloquio, si finisce sempre per parlare di un futuro migliore, sognando il giorno in cui ci si potrà abbracciare fuori, in libertà. Vincenzo però si era accorto del suo anomalo e progressivo dimagrire, e si era anche rivolto ai medici del carcere lamentando forti dolori allo stomaco e non solo. Ci eravamo accorti anche noi che qualcosa non andava: una volta a settimana si andava al campo e Vincenzo giocava a pallone sempre, ma poi, tutto d'un tratto, non veniva più. “Ma come sei magro”, gli dicevano anche i volontari in redazione. “Mi curano per una infezione allo stomaco”, raccontava Vincenzo, “sto prendendo dei gastroprotettori”. Solo che i mesi passavano e Vincenzo aveva continuamente febbre e alla fine molte ghiandole si erano gonfiate grosse come delle noci. Altre visite mediche in carcere, altri farmaci, mentre Vincenzo peggiorava: aveva ormai un colorito di un pallore anormale e gli occhi sempre più scavati. Alla fine la diagnosi è arrivata. Scortato in ospedale, è bastata una visita per scoprire che quei grappoli di linfonodi gonfi erano l'effetto dall'attività micidiale di una forma tumorale che si chiama linfoma non Hodgkin.  A quel punto i medici dell'ospedale lo hanno ricoverato d'urgenza. In corridoio, i primi giorni era sempre sorvegliato da agenti. La madre l'ha raggiunto immediatamente all'ospedale, piangeva, pregava in corridoio aspettando l'orario per abbracciarlo, per toccarlo. Dopo alcuni giorni il magistrato ha ordinato la sospensione della pena, così Vincenzo è tornato ad essere un uomo libero e poteva ricevere visite. Sua madre non si separava più da lui, l'accarezzava, nonostante l'insofferenza del figlio a tanta tenerezza, lo baciava, lo guardava dormire, e poi dormiva anche lei, ai suoi piedi. Dopo pochi giorni sono venuti i parenti, silenziosi e gentili, gli hanno fatto capire che non era solo. Che potevano essere più uniti ora, senza le mura del carcere di mezzo. Però Vincenzo stava male. La pelle si era colorita di un giallo che spaventava. I dottori dicevano che era arrivato in ospedale troppo tardi, ma nessuno voleva crederci. Quando qualcuno gli chiedeva come stava, diceva “adesso sto meglio” e i suoi occhi cercavano sempre di trasmettere tranquillità al visitatore. Tuttavia, riusciva difficile a chiunque essere tranquilli, e immancabilmente ci si domandava come mai i medici non gli avevano fatto fare degli esami prima, molto prima. Dopo qualche giorno ha iniziato il trattamento con la chemioterapia, che all'inizio ha dato dei risultati buoni. I linfonodi si sono sgonfiati e per Vincenzo le settimane passavano aspettando il prossimo ciclo di cure. Ogni tanto si alzava lentamente e guardava allo specchio i rilievi scolpiti sul proprio corpo ossuto, e probabilmente sentiva muovere nello stomaco un sentimento misto di paura e di ottimismo, ma la fiducia che il proprio corpo sarebbe riuscito a sconfiggere la malattia aveva sempre la meglio sulla paura della morte. Aspettava anche la madre di vedere il figlio rinascere. Ogni tanto però era costretta a scappare a Milano: nulla l'avrebbe mai staccata dal letto del figlio, se non fosse che, dopo tanti anni, era arrivata l'ora che le assegnassero una casa popolare, e alcune pratiche richiedevano la sua presenza. Nel frattempo, c'erano alcuni volontari della redazione a fargli visita, a turno, per tenergli compagnia. Alcune volte l'ho anche sorpreso portando a fargli visita qualche detenuto in misura alternativa, che Vincenzo accoglieva con l'allegria di chi incontra una persona in circostanze inimmaginabili. Poi sua madre tornava, e prendeva posto ai suoi piedi. Pochi giorni fa Vincenzo ha iniziato a sentirsi male di nuovo. I medici hanno cominciato a fare dei controlli, ma la morte l'ha colto di sorpresa, senza dargli nemmeno il tempo di arrabbiarsi, come si arrabbierebbe qualsiasi persona ancora forte se rischiasse una morte prematura. Ha colto di sorpresa anche la madre che ha chiesto di andargli di nuovo vicino per vederlo, per toccarlo e salutarlo, un'ultima volta. Di fronte alla morte di una persona ancora giovane, il pensiero va alla madre che gli è sopravvissuta. Ma come si fa a capire il dolore che porta nel cuore la madre di Vincenzo? Impossibile calcolare le fatiche di una madre che viaggia per centinaia di chilometri per abbracciare il proprio figlio in una sala colloqui; inimmaginabile la rabbia verso un destino così crudele che dal carcere ha offerto quel figlio alla morte traghettandolo lungo i dolori della malattia; forse lei andrà avanti cercando forza nella fede, oppure sarà lo stoicismo di una vita di battaglie a farle superare anche questa prova, ma noi continuiamo a chiederci come mai è arrivato in ospedale così tardi. Se si cercano notizie su questo linfoma, si legge ovunque che “negli ultimi anni il trattamento dei linfomi non Hodgkin ha fatto registrare enormi progressi, anche nei casi in cui il tumore si è diffuso dal sito primitivo, ed è in costante aumento il numero di malati che oggi possono guarire”. Può darsi che quello che ha aggredito Vincenzo sia stato un tumore più cattivo di altri, ma i tempi del carcere sono davvero incompatibili con i tempi della cura. Vincenzo ha avuto il destino di tanti detenuti malati: è stato “consegnato” agli specialisti quando ormai era troppo tardi. La vera battaglia in carcere è quella per costringere tutti a fare più in fretta nella corsa contro la malattia, perché la malattia non si ferma ad aspettare i tempi della galera»  –:
          se, negli ambiti di rispettiva competenza, intendano avviare iniziative volte a fare piena luce sull'accaduto;
          se risulti a quanti giorni di distanza dalla morte si siano svolti i funerali di Vincenzo Boscarino, quanto tempo il suo corpo sia rimasto all'obitorio e quali siano le ragioni della ritardata sepoltura;
          come, in che modo e secondo quali criteri e parametri il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria conteggia dal punto di vista statistico i decessi dei detenuti avvenuti all'interno degli ospedali e, quindi, fuori dagli istituti di pena.
(4-16985)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


      Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
          è trascorso ormai qualche mese dalla decisione del comune di Bologna, d'intesa con ATC, di sospendere il progetto di metro tranvia, cosiddetto CIVIS, costato in termini economici allo Stato ed alla collettività, per non parlare del degrado causato alla viabilità bolognese con la distruzione di tratti stradali e la creazione di inutili pensiline che ancora oggi rendono molto difficoltoso il traffico urbano;
          si ricorda che l'interpellante ha presentato innumerevoli atti di sindacato ispettivo in merito ai vari problemi sorti, evidenziando le responsabilità delle varie giunte comunali e dei vertici ATC per una infrastruttura che partita male è finita anche peggio, sospesa dopo avere provocato danni notevoli alla città di Bologna, a numerosi settori della popolazione ed al centro storico medievale, con dispendio di mezzi economici notevoli; se a tutto questo si aggiungono le inchieste della magistratura ordinaria e contabile si configura, a giudizio dell'interpellante, un quadro con aspetti oscuri, con «rinpalli» di responsabilità fra le autorità competenti, disagi e rischi per i cittadini e i commercianti del centro;
          si segnala altresì che il consiglio comunale di Bologna, a quanto consta all'interpellante, non è mai stato coinvolto in nessuna decisione rilevante sul cosiddetto piano alternativo volto a evitare la restituzione dei finanziamenti  –:
          se il Governo disponga di elementi in merito al piano alternativo predisposto dalla giunta di Bologna, per evitare di restituire i finanziamenti ricevuti, piano alternativo che anche in riferimento alla recente corrispondenza intercorsa fra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e comune di Bologna non risulta ancora pronto e viene continuamente rinviato per dissensi fra i tecnici addetti e la giunta medesima.
(2-01596) «Garagnani».

Interrogazione a risposta scritta:


      CROSIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il settore dei trasporti è un settore strategico importante per la ripresa economica del Paese e rappresenta un importante generatore di valore aggiunto e di occupazione a livello locale, regionale, nazionale ed europeo, eppure in questo drammatico scenario di crisi economica, non si sta dando attuazione ad opere concrete ed utili in questo ambito;
          i principali quotidiani nazionali hanno dato spazio in questi giorni a diverse notizie relative al mondo dei trasporti, anche se risulta quasi imbarazzante prendere atto che tali notizie siano relative a diatribe fra i due più grandi gruppi ferroviari concorrenti e alla mancata nomina del presidente dell'autorità;
          in particolare, in data 9 luglio 2012 è stata pubblicata una lettera rivolta al presidente del Consiglio Mario Monti in cui si muovono accuse sulla stazione ferroviaria romana Tiburtina, per la situazione di abbandono che vive, per il ridotto numero dei treni che vi transita e per le promesse disattese di valorizzazione e di trasformazione in un grande polo di attrazione per i viaggiatori;
          nella stessa lettera si denuncia anche la situazione della stazione Ostiense, per la penalizzazione a mezzo «gabbia» di separazione ai danni dei treni Italo della Ntv, ai quali si arriva solo attraverso un percorso poco comodo e insicuro;
          la lettera porta la firma del gruppo concorrente delle Ferrovie dello Stato per l'alta velocità che fa capo a Luca Cordero di Montezemolo e Diego Della Valle che ha eletto i due terminal romani come base operativa e a tale lettera è seguita la replica, in data 10 luglio 2012, delle Ferrovie dello Stato che smentiscono le accuse di abbandono, di costi esagerati e di interventi non programmati per le due stazioni;
          a prescindere dalla diatriba in corso fra le due grandi società ferroviarie, i problemi legati alle stazioni restano comunque molti: la mancata realizzazione delle opere compensative per il quartiere, l'insufficienza dei servizi a disposizione dei viaggiatori, i cantieri ancora aperti;
          in data 12 luglio 2012, le notizie invece si riferiscono alla mancata nomina del presidente dell'Autorità per i trasporti, istituita da questo Governo e chiesta dall'Unione europea, su cui le diverse forze partitiche di maggioranza stanno cercando di intervenire  –:
          se il Ministro non ritenga doveroso rendere noto quali siano le priorità del Governo in tema di trasporti e quali siano gli interventi e le tempistiche che intende mettere in atto per raggiungerle. (4-16982)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      TOUADI e VILLECCO CALIPARI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'Italia è firmataria della Convenzione di Ginevra del 1951 che prevede all'articolo 33 comma 1 che: «Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche»;
          il 7 maggio scorso, 227 migranti a bordo di tre carrette del mare, dopo essere stati soccorsi da unità navali italiane nel Canale di Sicilia sono stati riportati verso le coste libiche;
          in base agli accordi internazionali e alle leggi italiane in vigore, i cittadini stranieri hanno il diritto di presentare richiesta d'asilo al momento dell'ingresso nel territorio nazionale;
          la Libia non è firmataria della Convenzione di Ginevra del 1951 «Convenzione sullo statuto dei rifugiati»  –:
          come si sia svolta l'esatta dinamica dei fatti e se è vero che i migranti sono stati trasbordati su navi italiane per il rimpatrio collettivo in Libia;
          quali siano le valutazioni che hanno portato al respingimento dei 227 migranti, tra cui 40 donne;
          se il Governo abbia ponderato le conseguenze di questa grave violazione del diritto internazionale e del dovere di protezione umanitario;
          quali disposizioni intende assumere per evitare di porre il nostro Paese fuori dalla legalità internazionale. (5-07332)


      TOUADI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in data 23 luglio 2009 in un articolo comparso sul noto settimanale L'Espresso il giornalista Tommaso Cerno ha denunciato con foto e testimonianze che in data 30 giugno 2009 ci sia stata una violazione da parte dell'Italia dell'articolo 33, comma 1, della Convenzione di Ginevra avendo negato l'asilo a rifugiati eritrei;
          il medesimo articolo precisa che 82 eritrei, fra cui donne e bambini, sono stati riportati in Libia e attualmente sono detenuti presso le carceri attorno a Tripoli;
          l'Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite in data 14 luglio 2009 ha reso noto che suoi rappresentanti hanno svolto dei colloqui con le 82 persone che erano state intercettate mercoledì 1° luglio dalla Marina Militare italiana a circa 30 miglia da Lampedusa e trasferite poi su una motovedetta libica per essere ricondotte in Libia. Dai medesimi colloqui non risulta che le autorità italiane si siano accertate della nazionalità delle 82 persone né tantomeno abbiano verificato che tra le 82 persone potessero esserci dei potenziali richiedenti asilo politico, stante la situazione drammatica di questo Paese;
          sempre l'Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite riporta che dalle testimonianze raccolte le forze militari italiane hanno usato la forza durante il trasbordo sulla motovedetta libica, inoltre i medesimi trasbordati hanno raccontato che i loro effetti personali, fra i quali i documenti personali, sarebbero stati confiscati dai militari italiani e non più riconsegnati;
          l'Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite proprio sulla base di queste testimonianze ha inviato una lettera al Governo italiano chiedendo chiarimenti sui fatti sopraindicati;
          l'Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite, l'Agenzia Onu per i rifugiati ha più volte sottolineato l'assoluta illegalità della pratica dei respingimenti in quanto impedisce l'accesso all'asilo e mina il principio internazionale del non respingimento;
          l'Italia è firmataria della Convenzione di Ginevra del 1951 che prevede all'articolo 33, comma 1, che: «Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche»  –:
          se il Governo sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa;
          qualora il Governo fosse a conoscenza di questa vicenda, come si sia svolta l'esatta dinamica dei fatti e se sia vero che i migranti sono stati trasbordati su navi italiane per il rimpatrio collettivo in Libia;
          se il Governo sia stato informato della destinazione ultima dei migranti respinti una volta riportati sul territorio libico;
          se il Governo abbia ponderato le conseguenze di questa grave violazione del diritto internazionale e del dovere di protezione umanitario;
          quali disposizioni intenda assumere per evitare di porre il nostro Paese fuori dalla legalità internazionale. (5-07334)


      TOUADI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in data 5 febbraio 2010 sul giornale locale Calabria Ora è stato pubblicato un articolo a firma dei giornalisti Massimiliano Trotta e Alessandro Trotta dal titolo «Ho sborsato seimila euro: era tutto falso»;
          nell'articolo in oggetto un immigrato marocchino racconta di essere arrivato in Italia con in mano un permesso di soggiorno e un contratto di lavoro che aveva ottenuto pagando prima di partire, ma una volta giunto nel nostro Paese gli è stato detto che la sua assunzione era fittizia;
          l'immigrato marocchino accortosi del raggiro subito dice di aver denunciato più di un anno fa a Castrovillari la sua condizione irregolare di extracomunitario, ma, a seguito dell'autodenuncia gli è stato ritirato il permesso di soggiorno (sostituito da uno temporaneo, oggi scaduto);
          dalla testimonianza di Ahmed (è il nome immaginario del ventottenne marocchino) raccolta dai due giornalisti del quotidiano calabrese emerge che c’è un traffico di permessi di soggiorno fittizi di cui sono vittime numerosi immigrati, i quali sborsano diverse migliaia di euro convinti di ottenere quel contratto regolare di lavoro promesso da alcuni imprenditori che alla fine li assoldano in nero;
          dal medesimo articolo emerge chiaramente che nella provincia di Cosenza sono numerosi gli episodi simili a quelli dell'immigrato marocchino che ha avuto il coraggio di denunciare quanto accadutogli;
          lo stesso Ahmed sottolinea nell'intervista rilasciata a Calabria Ora che dalla sua denuncia non è scattata nessuna indagine  –:
          se il Ministro sia al corrente di questa diffusa pratica di truffa ai danni degli immigrati che giungono in Italia, in particolare in Calabria;
          se il Ministro, a seguito dell'articolo comparso sul quotidiano Calabria Ora, intenda assumere maggiori informazioni presso le autorità competenti per accertare se a seguito della denuncia dell'immigrato marocchino siano state effettivamente avviate delle indagini. (5-07335)


      TOUADI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in data 21 aprile 2010 nel quartiere romano di San Lorenzo si è svolta una fiaccolata contro lo spaccio e il degrado promossa dai cittadini che abitano nel quartiere;
          San Lorenzo ospita numerosi locali ed è abituale ritrovo notturno di migliaia di giovani;
          da diversi anni si è registrato un crescente incremento di spaccio di droga, episodi di violenza urbana e di microcriminalità, fatti che hanno contribuito ad aumentare il degrado urbano del quartiere;
          i cittadini del quartiere in più occasioni hanno portato all'attenzione delle istituzioni locali i problemi di ordine pubblico e di sicurezza che interessano il quartiere di San Lorenzo  –:
          se il Ministro, attraverso il questore, sia al corrente delle difficili condizioni di ordine pubblico che interessano il quartiere di San Lorenzo;
          se il Ministro ritenga sufficiente la dotazione di organico della polizia di Stato presente nella città di Roma;
          se il Ministro sia al corrente di progetti specifici tra comune di Roma e questura di Roma per fare fronte ai problemi di sicurezza che attraversano il quartiere di San Lorenzo e altre zone centrali e periferiche della città tra cui Trastevere, Testaccio, Tor Bella Monaca ed il Litorale di Ostia;
          se il Ministro intenda intraprendere misure specifiche per stroncare le organizzazioni criminali che hanno preso di mira i locali di maggiore frequentazione dei giovani per smerciare droghe tradizionali e nuove sostanze stupefacenti e quali strumenti di contrasto e di prevenzione intenda assumere. (5-07340)


      TOUADI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 4 luglio del 2010 è stato assassinato presso il quartiere Aurelio di Roma a colpi di pistola il pregiudicato Carmine Gallo, giova rilevare che la relazione della direzione investigativa antimafia al Parlamento del secondo semestre del 2009 ha rilevato l'operatività del clan Gallo di Torre Annunziata anche a Roma e nel Lazio;
          il 10 settembre del 2001 veniva ucciso da un commando a Torvaianica Giuseppe Carlino, 43 anni, assieme ai fratelli Francesco e Calogero, boss di spicco della banda della Marranella;
          il 18 ottobre 2002, alle ore 16,40, Paolo Frau, pluripregiudicato, già membro di spicco della «Banda della Magliana» e fino al decesso notoriamente capo dell'organizzazione criminale operante sul litorale romano e dedita alla commissione di molteplici e gravi delitti, veniva ucciso sotto la sua abitazione, sita in Ostia Lido, da due uomini con il volto coperto da caschi integrali, a colpi di arma da fuoco;
          il 22 novembre dello stesso anno veniva assassinato a Ciampino Michele Stettanni, pregiudicato collegato alla consorteria criminale Senese;
          il 29 febbraio del 2008 veniva assassinato a Roma Umberto Morzilli, collegato ai figli di Enrico Nicoletti, con i quali risultava essere condannato in primo grado per il delitto di tentata estorsione; Morzilli risultava altresì indagato nel procedimento contro il faccendiere Danilo Coppola;
          il 5 giugno del 2009 veniva assassinato ad Acilia Emidio Salomone, già raggiunto da un provvedimento cautelare per il delitto di associazione a delinquere di tipo mafioso e secondo le indagini della squadra mobile di Roma elemento apicale di una consorteria criminale attiva ad Ostia;
          il giudice per le indagini preliminari distrettuale di Roma, nell'ordinanza di custodia cautelare del 28 ottobre 2004, così descrive il Salomone: «Salomone Emidio è uno dei promotori, unitamente al Pergola Roberto, dell'associazione delinquenziale mafiosa individuata ed operante in Ostia Lido. Il predetto, già membro di spicco della cosiddetta “Banda della Magliana” e “braccio armato” del defunto Frau Paolo, dal quale ha “ereditato” il sodalizio in questione, annovera numerosi e gravi pregiudizi penali per traffico di sostanze stupefacenti, rapina, porto abusivo d'armi da fuoco, evasione, furto, ricettazione, lesioni dolose e danneggiamento aggravato, evasione, ed altro»;
          il delitto di Carmine Gallo con molta probabilità è ascrivibile alla criminalità organizzata  –:
          di quali elementi disponga il Ministro interrogato per quanto riguarda la penetrazione e l'operato delle mafie nel tessuto finanziario e produttivo della capitale e della regione Lazio, nonché sull'incidenza delle operazioni malavitose sulla sicurezza dei cittadini e la trasparenza e libertà delle attività economiche;
          quali iniziative intenda assumere per rafforzare l'attività di contrasto alla criminalità organizzata nella capitale e nel Lazio, anche in relazione ai fatti delittuosi di cui in premessa. (5-07341)


      TOUADI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 18 ottobre 2002, alle ore 16,40, Paolo Frau, pluripregiudicato, già membro di spicco della «banda della Magliana» e fino al decesso notoriamente capo dell'organizzazione criminale operante sul litorale romano e dedita alla commissione di molteplici e gravi delitti, veniva ucciso a colpi di arma da fuoco sotto la sua abitazione, sita in Ostia Lido, da due uomini con il volto coperto da caschi integrali;
          il 5 giugno del 2009 veniva assassinato ad Acilia Emidio Salomone, già raggiunto da un provvedimento cautelare per il delitto di associazione a delinquere di tipo mafioso e secondo le indagini della squadra mobile di Roma, elemento apicale di una consorteria criminale attiva a Ostia;
          il 5 maggio del 2010 i carabinieri di Ostia arrestavano Roberto De Santis e Roberto Giordani che il 20 settembre del 2007, a Casal Palocco, hanno gambizzato il boss Vito Triassi, secondo gli inquirenti legato alla cosca mafiosa siciliana dei Cuntrera-Caruana;
          Triassi sarebbe stato gambizzato per motivi di leadership tra due bande per il controllo e la gestione di chioschi e altre attività commerciali del litorale di Ostia. Dalle indagini emergeva che dopo l'agguato, De Santis e Giordani si erano rivolti a Michele Senese, che secondo gli inquirenti è uno dei punti di riferimento a Roma del narcotraffico internazionale, per avviare una mediazione con i fratelli Triassi ed evitare una escalation di violenza. Senese contattò per questo il narcotrafficante Carmine Fasciani che invitò i fratelli Triassi a non reagire all'attentato con altra violenza;
          il 14 maggio del 2010 veniva colpito da un attentato incendiario il caffè Salerno di Ostia;
          il 19 luglio veniva colpito da un grave attentato incendiario al «Punta Ovest», uno dei chioschi sulle spiagge libere di Ostia Ponente. La struttura, era già stata completamente distrutta da un incendio il 22 novembre 2009  –:
          se il Ministro interrogato sia al corrente di tali fatti e quali iniziative intenda avviare per contrastare l’escalation della criminalità organizzata nel territorio di Ostia. (5-07342)


      TOUADI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nel territorio di Anzio e Nettuno secondo numerose indagini coordinate dalla procura distrettuale antimafia di Roma risultano operative consorterie criminali come il clan Gallace e il clan dei Casalesi;
          la relazione della commissione parlamentare antimafia del 2008 sulla ’ndrangheta ha rilevato la presenza della cosca Gallace nell'area di Anzio e Nettuno;
          il Gip di Roma, dottor Sante Spinaci, emetteva in data una misura di custodia cautelare a carico di Pasquale Noviello ed altri soggetti perché costituivano una associazione mafiosa di tipo camorrista, denominata «famiglia Schiavone-Noviello» alleata al sodalizio camorrista denominato «clan dei casalesi» operante in Nettuno, Aprilia, Latina, e zone limitrofe;      
          nelle città di Anzio e Nettuno negli ultimi tre anni sono state messe a segno diverse intimidazioni ed attentati ai danni di imprenditori e commercianti;
          il 19 maggio del 2009 una bomba carta danneggiava il locale che ospitava «Il Buena Vista» sala da ballo di Nettuno il cui nome era già finito nel 2005 nell'inchiesta, della procura di Velletri, sui rapporti della criminalità organizzata con alcuni amministratori di Nettuno;
          la notte del 26 maggio del 2009 un'altra bomba carta semi distruggeva una Clio parcheggiata in via Montenero, zona centrale di Nettuno, mandando in frantumi i vetri del palazzo di fronte, quelli di un'altra auto, di un'officina di meccanico e di un club privato in cui si gioca a poker: il circolo Italian Poker;
          la notte del 21 gennaio del 2010 venivano sparati cinque colpi di pistola calibro 9x21 contro il portoncino blindato del un pub «The Mithicals» a Nettuno;
          il 4 giugno del 2010 veniva fatta esplodere una bomba artigianale sul cancello della villa dell'ex assessore di Nettuno Gianni Cancelli;
          il 1° luglio del 2010 una bomba carta danneggiava l'auto di un familiare del titolare del circolo Italian Poker;
          il 14 ottobre del 2010 ignoti appiccavano il fuoco il ristorante «al Sarago» che si affaccia su largo S. Antonio, all'inizio della Riviera Mallozzi ad Anzio;
          la notte del 7 gennaio 2011 veniva colpita da un grave incendio doloso l'azienda di Anzio Eco Imballaggi che subiva danni per circa 70.000 euro  –:
          se il Ministro interrogato sia al corrente di tali fatti;
          quali misure il Ministro intenda adottare, alla luce dei fatti esposti in premessa, al fine di garantire la sicurezza dei cittadini residenti e del loro patrimonio nel territorio in questione;
          se il Ministro non intenda sollecitare iniziative opportune del Commissario per il coordinamento delle iniziative anti-racket ed anti-usura. (5-07343)


      TOUADI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in diverse città d'Italia sono state registrate numerose truffe ai danni di immigrati clandestini raggirati da loro connazionali, finti avvocati, avvocati radiati dall'albo, finte agenzie o vere e proprie organizzazioni criminali; molte denunce sono anche pervenute da comuni cittadini che si sono visti convocare dalla prefettura per incontrare la colf o la badante richiesta, mentre loro non avevano mai presentato alcuna domanda di assunzione;
          nel solo 2010 sono giunte all'ufficio immigrazione della questura del comune di Roma – per la regolarizzazione di colf e Badanti – 32 mila pratiche, il 25 per cento delle quali risultano «sospese» per accertamenti penali;
          l'ufficio immigrazione della questura di Roma rende noto che nel 75 per cento dei casi riscontrati a produrre le frodi sono vere e proprie associazioni a delinquere con guadagni che possono raggiungere gli ottomila euro a pratica;
          la buona fede dello straniero – intenzionato a regolarizzare la sua posizione – lo trasforma in maniera automatica da richiedente di permesso di soggiorno a persona che verrà espulsa, con trattenimento al CIE e denuncia per concorso nei reati di falso e per violazione delle norme sull'immigrazione clandestina  –:
          se il Ministro interrogato sia al corrente di tali fatti:
          quali misure il Ministro intenda adottare, alla luce dei fatti esposti in premessa, per prevenire e contrastare il fenomeno delle frodi ai danni degli immigrati e come intenda tutelare i cittadini che a loro insaputa ne vengono coinvolti;
          se il Governo, in linea con quanto affermato dell'articolo 18 del Testo unico sull'immigrazione, intenda rilasciare uno speciale permesso di soggiorno per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza ed ai condizionamenti dell'organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale. (5-07344)


      TOUADI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il territorio di Anzio (Roma) risulta fortemente infiltrato da organizzazioni criminali: come testimoniato dai processi «Appia» e «Mithos» pendenti innanzi al tribunale di Velletri per il delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale, in tale territorio da anni opera il clan Gallace;
          l'indagine della direzione distrettuale antimafia di Roma «Paredra» e le indagini della DDA di Milano «Infinito» e «Bagliori» hanno confermato l'operatività della cosca e le sue proiezioni anche in Lombardia;
          nel territorio risulta operativo, altresì, il clan dei casalesi come attestano le indagini della DDA di Roma nonché la sentenza emessa dal tribunale di Latina a carico di Pasquale Noviello ed altri per gravi reati aggravati dalle modalità mafiose;
          nelle città di Anzio e Nettuno (Roma) negli ultimi tre anni sono state messe a segno diverse intimidazioni ed attentati ai danni di imprenditori e commercianti;
          il 19 maggio 2009 una bomba carta danneggiava il locale che ospitava «Il Buena Vista», sala da ballo di Nettuno il cui nome era già finito nel 2005 nell'inchiesta della procura di Velletri, sui rapporti della criminalità organizzata con alcuni amministratori di Nettuno; la notte del 26 maggio 2009 un'altra bomba carta distruggeva una Clio parcheggiata in via Montenero, zona centrale di Nettuno, mandando in frantumi i vetri del palazzo di fronte, quelli di un'altra auto, di un'officina meccanica e di un club privato in cui si gioca a poker, il circolo «Italian Poker»;
          la notte del 21 gennaio 2010 venivano sparati cinque colpi di pistola calibro 9x21 contro il portoncino blindato del pub «The Mithicals» a Nettuno;
          il 4 giugno veniva fatta esplodere una bomba artigianale sul cancello della villa dell'ex assessore di Nettuno Gianni Cancelli;
          il 10 luglio una bomba carta danneggiava l'auto di un familiare del titolare del circolo «Italian Poker»;
          il 14 ottobre 2010 ignoti appiccavano il fuoco al ristorante «al Sarago» che si affaccia su largo S. Antonio, all'inizio della riviera Mallozzi ad Anzio;
          la notte del 7 gennaio 2011 veniva colpita da un grave incendio doloso l'azienda di Anzio «Eco Imballaggi», che subiva danni per circa 70.000 euro;
          nel novembre 2005 il consiglio comunale di Nettuno (a pochi chilometri da Anzio) è stato sciolto per gravi condizionamenti da parte della criminalità organizzata, decisione confermata in tutti i gradi di giudizio dalla giustizia amministrativa;
          nella giunta di Anzio siede l'assessore Pasquale Perronace, fratello del defunto Nicola Perronace già tratto in arresto su richiesta delle DDA di Roma e Catanzaro per il delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale, e per il quale era stato chiesto il rinvio a giudizio per tale delitto;
          Nicola Perronace già nel 1983 era stato attinto da mandato di cattura emesso dal giudice istruttore di Locri per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso e sequestro di persona a scopo di estorsione;
          le attività di indagine dei carabinieri portavano a sostenere che Nicola Perronace sosteneva la latitanza di importanti boss della ’ndrangheta già negli anni ’80, come Cosimo Ruga;
          il collaboratore di giustizia Giacomo Lauro riferiva di aver passato il Natale e il Capodanno del 1978 a Roma, in località Falasche di Nettuno, assieme ad altri latitanti facenti parte del crimine organizzato della provincia ionica di Reggio Calabria, come Cosimo Ruga. Erano latitanti, perché durante l'inverno nelle montagne fa freddo e allora il latitante va e cerca un riparo. Quindi loro a novembre e i primi di dicembre erano saliti dalla Calabria, dalla zona di Guardavalle, Gioiosa, Platì e si erano trasferiti presso Nicola Perronace di Guardavalle che aveva casa e abitazione a Falasche (dichiarazione rilasciata durante l'udienza del 1° dicembre 1998 del processo per l'omicidio Pecorelli, come si può riscontrare nell'audio sul sito di Radio radicale);
          Pasquale Perronace, inoltre, risulta essere cugino di primo grado di Agazio e Vincenzo Gallace, esponenti apicali del clan Gallace;
          nell'ambito dell'inchiesta a carico del pregiudicato Franco D'Agapiti ed altri coordinata dalla procura di Velletri nel 2005 risultarono contatti tra lo stesso D'Agapiti e l'allora direttore del comune di Anzio Giorgio Zucchini e attuale consigliere del Popolo della libertà di Anzio; la Corte dei conti, in appello, ha condannato Zucchini per danno erariale;
          bisogna rilevare che anche l'attuale assessore all'ambiente Patrizio Placidi risulta condannato per danno erariale nel medesimo processo;
          il comandante dei vigili urbani di Anzio Bartolomeo Schioppa risulta essere stato condannato in appello per corruzione a due anni e otto mesi;
          nel novembre 2007 veniva disposta dal giudice per le indagini preliminari di Velletri la misura coercitiva degli arresti domiciliari per corruzione nei confronti dell'allora comandante dei vigili urbani di Anzio Samuele Carannante;
          un mese dopo veniva ordinata dal giudice per le indagini preliminari di Velletri la misura coercitiva degli arresti domiciliari per corruzione e calunnia nei confronti del vice comandante dei vigili urbani di Anzio Lorenzo Giusti;
          l'assessore al turismo Umberto Succi è stato vittima dal 2002 al 2004 di ben tre attentati che hanno colpito il suo stabilimento balneare «il Bungalow» e la vettura del suo albergo;
          il consigliere Mario Pennata ha subito due gravi intimidazioni nel 2003 ad un negozio di ottica già di proprietà dello stesso consigliere  –:
          se il Ministro interrogato sia al coprente di tali gravi fatti e se intenda insediare una commissione d'accesso presso il comune di Anzio per verificare, ai sensi della normativa vigente, la presenza di condizionamenti da parte della criminalità organizzata. (5-07345)


      TOUADI e VELTRONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nell'ambito delle indagini coordinate dalla DDA di Roma, il 9 maggio 2012, su un vasto giro di usura, è stato arrestato Vittorio Di Gangi;
          secondo quanto riportato dalla stampa al Di Gangi sarebbe riferibile la società di vigilanza SIPRO;
          la SIPRO risulta sia stata oggetto di parere negativo, da parte del prefetto di Roma pro tempore, in ordine al rilascio della certificazione antimafia ex articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica n.  252 del 1998, come risulta dal decreto della prefettura di Roma n.  8634 area I-bis o.s.p. del 6 febbraio 2007 e dal verbale n.  4 del 2007 della prefettura di Roma relativo alla riunione di coordinamento delle Forze di polizia tenutasi in data 2 febbraio 2007;
          la società di vigilanza sopra citata faceva ricorso al giudice amministrativo;
          dopo un primo giudizio del Tar, che accoglieva le doglianze della SIPRO, il Consiglio di Stato sospendeva la sentenza del tribunale amministrativo di prima istanza riconoscendo valide le ragioni della prefettura con l'ordinanza 2365 del 13 maggio del 2009;
          allo stato pertanto risulterebbe ancora in vigore l'interdittiva antimafia atipica nei confronti della società di vigilanza sopra indicata;
          secondo quanto pubblicato sul sito web della società la suddetta svolge i suoi servizi per il Ministro della difesa, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero per i beni e le attività culturali, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero dell'economia e delle finanze, la Rai, il Comune di Roma, Equitalia, INAL, l'Agenzia del territorio, ANAS, INPS, la regione Lazio ed altri enti  –:
          se il Ministro interrogato sia al corrente di tali fatti, se tali fatti corrispondano al vero e quali iniziative intenda intraprendere e se sia noto al Ministro se altri ministeri ed enti pubblici intendano rescindere i contratti con la società in questione. (5-07347)


      TOUADI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 18 novembre 2011 il quotidiano La Repubblica pubblicava due lunghe pagine d'inchiesta sul racket nella capitale;
          secondo l'inchiesta le denunce per il delitto di estorsione dall'inizio dell'anno sono state 283, nel 2010 ne sono state presentate 363;
          quasi la metà proviene dal quartiere Centocelle, da Ostia e dal quadrante periferico di Roma sud-est;
          secondo quanto dichiara Gianni Ciotti, segretario del SILP CGIL, allo stesso giornale: «a Centocelle-Tuscolano pagano quasi tutti i commercianti, solo che pochi denunciano»;
          l'articolo mette in evidenza il ruolo nel racket e nell'usura del potente clan dei Casamonica, in vaste aree della capitale e del clan Fasciani ad Ostia;
          nella breve relazione di sintesi sull'andamento della criminalità organizzata consegnata dalla DDA di Roma alla commissione parlamentare antimafia, si fa riferimento al clan dei Casamonica: «il clan dei Casamonica ha posto solide basi in alcune aree della capitale dove esplica il suo potere economico e finanziario tramite forme d'intimidazione. Nel suo territorio attua un rigido controllo, anche tramite alcuni sistemi di videosorveglianza ed impiego di sentinelle, di tutte le attività illecite che vi si sviluppano»;
          il clan presenta quindi le caratteristiche tipiche delle associazioni a delinquere di stampo mafioso: vincolo associativo, forza d'intimidazione e stato di assoggettamento;
          giova rilevare che nel territorio di Ostia, tra i più colpiti dal fenomeno del racket secondo l'articolo sopra citato, dai primi mesi dell'anno sono stati compiuti numerosi attentati ai danni di commercianti;
          il 3 gennaio venivano distrutti da fiamme dolose 3 casotti dello stabilimento balneare Anima e Core;
          l'11 marzo bruciava a causa di un incendio doloso il chiosco «Blanco»;
          il 27 luglio il ristorante Villa Irma e la discoteca Kristall venivano distrutti da un grave incendio doloso;
          il 29 luglio una bomba artigianale faceva esplodere la saracinesca del locale Pronto Pizza  –:
          se sia al corrente di tali gravi fatti e se intenda verificare quali iniziative siano state avviate dal commissario di Governo per la lotta al racket e all'usura;
          se intenda convocare un tavolo di concerto con le istituzioni locali per una diffusa attività di prevenzione attraverso sportelli mirati all'azione antiracket.
(5-07349)


      TOUADI e VELTRONI. — Al Ministro dell'interno. – per sapere – premesso che:
          il territorio di Anzio risulta fortemente infiltrato da organizzazioni criminali: in tale territorio da anni opera il clan Gallace, come testimoniato dai processi APPIA e MITHOS pendenti innanzi al tribunale di Velletri per il delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale;
          l'indagine della Direzione distrettuale antimafia di Roma PAREDRA e le indagini della Direzione distrettuale antimafia di Milano INFINITO e BAGLIORI hanno confermato l'operatività della cosca e le sue proiezioni anche in Lombardia;
          nel territorio in questione risulta operativo, altresì, il clan dei casalesi come attestano le indagini della Direzione distrettuale antimafia di Roma nonché la sentenza emessa dal tribunale di Latina a carico di Pasquale Noviello ed altri per gravi reati aggravati dalle modalità mafiose;
          il tribunale di Latina ha condannato già in primo grado numerosi appartenenti a tale sodalizio per reati gravi come il tentato omicidio, la detenzione di armi da guerra aggravati dalle modalità mafiose;
          l'indagine ARCOBALENO coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli portava ad individuare consistenti investimenti immobiliari del clan camorrista dei Mallardo nel territorio di Nettuno ed Anzio;
          nell'ambito dell'operazione veniva tratto in arresto per il delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale Pietro Dell'Aquila in un cantiere per la realizzazione di immobili;
          nel dicembre del 2005 il consiglio comunale di Nettuno (a pochi chilometri da Anzio) è stato sciolto per gravi condizionamenti da parte della criminalità organizzata, decisione confermata in tutti i gradi di giudizio dalla giustizia amministrativa;
          la sentenza del TAR di Roma del 7 giugno del 2006, che conferma lo scioglimento del consiglio comunale affermava tra l'altro in relazione al settore dell'urbanistica e dell'edilizia, precisato che «il controllo sul territorio per l'attività di contrasto all'abusivismo edilizio si svolge quasi esclusivamente sulla base degli esposti», evidenzia: a) che l'amministrazione aveva «rilasciato titoli concessori prevalentemente in variante al piano regolatore», apparendo la concessione «in alcuni casi [...] strumentale a favorire operazioni di lievitazione del prezzo dell'immobile o ad incrementare l'attività di società di costruzione vicine ad esponenti della criminalità organizzata locale»; b) in altri casi, che «i passaggi di proprietà dei terreni oggetto di concessioni edilizie e le conseguenti volture del titolo concessorio [apparivano] unicamente finalizzati ad evitare il decorso del termine di scadenza della concessione o ad aspettare l'approvazione delle varianti al piano regolatore generale per sanare eventuali abusi edilizi. Anche in tali casi, beneficiari delle procedure dilatorie figurano soggetti contigui ad ambienti criminali»; c) che in relazione a «titoli concessori rilasciati a seguito di lottizzazioni di aree site in diverse località del territorio comunale, [erano] presenti quali diretti intestatari, quali amministratori, rappresentanti o soci delle imprese titolari, esponenti della malavita locale, alcuni dei quali gravati da diversi precedenti e di recente indagati anche per il reato di associazione illecita per traffico di sostanze stupefacenti»;
          l'indagine ZETA, del 12 novembre del 2007, della procura di Velletri che portava all'individuazione di una pericolosa associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, composta da funzionari apicali della polizia locale di Anzio e da funzionari dell'ufficio tecnico partiva in seguito ai lavori della commissione d'accesso insediata ad Ardea per verificare infiltrazioni mafiose nell'ente comunale della città; la commissione attenzionava l'attività imprenditoriale di due soggetti di origine campana attivi nel settore immobiliare tra Ardea ed Anzio;
          risultano pendenti presso la procura di Velletri diverse indagini che riguardano la concessione di permessi ad edificare; in particolare la procura ha più volte perquisito ed acquisito documentazione presso l'ufficio tecnico;
          risultano essere stati raggiunti da informazione di garanzia emessa dalla procura di Velletri i consiglieri comunali Giulio Godente, Nello Monti e il dirigente dell'ufficio tecnico Marco Pistelli;
          nella giunta di Anzio siede l'assessore Pasquale Perronace fratello del defunto Nicola Perronace già tratto in arresto su richiesta delle Direzioni distrettuali antimafia di Roma e Catanzaro per il delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale, nonché rinviato a giudizio per tale delitto;
          Nicola Perronace già nel 1983 era stato attinto da mandato di cattura emesso dal giudice istruttore di Locri per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso e sequestro di persona a scopo di estorsione;
          le attività di indagine dei carabinieri portavano a sostenere che Nicola Perronace sosteneva la latitanza di importanti boss della ’ndrangheta già negli anni Ottanta come Cosimo Ruga;
          il collaboratore di giustizia Giacomo Lauro riferiva: «io passai il Natale e il Capodanno del 1978 a Roma, in località Falasche di Nettuno, assieme ad altri latitanti facenti parte del crimine organizzato della provincia ionica di Reggio Calabria, mi riferisco a Cosimo Ruga (tuttora vivente), Andrea Gallella (deceduto per cause di omicidio), Francesco Musitano di Platì. Facevamo la latitanza, perché durante l'inverno nelle nostre montagne fa freddo e allora il latitante va e cerca un riparo. Quindi loro a novembre e i primi di dicembre erano saliti dalla Calabria, dalla zona di Guardavalle, Gioiosa, Platì e si erano trasferiti presso Nicola Perronace di Guardavalle che aveva casa e abitazione a Falasche» (dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaetano Lauro, rilasciate durante l'udienza del 1° dicembre 1998 del processo per l'omicidio Pecorelli in www.radioradicale.it);
          Pasquale Perronace, inoltre, risulta essere cugino di primo grado di Agazio e Vincenzo Gallace esponenti apicali del clan Gallace;
          nell'ambito dell'inchiesta a carico del pregiudicato narcotrafficante Franco D'Agapiti ed altri coordinata dalla procura di Velletri nel 2005 risultarono contatti tra lo stesso D'Agapiti e l'allora direttore del comune di Anzio Giorgio Zucchini e attuale consigliere del PdL di Anzio;
          il 29 marzo 2008 veniva distrutta da un incendio doloso l'autovettura del candidato Bruno Mugnai per la lista Uniti per Anzio che sosteneva l'attuale sindaco Luciano Bruschini;
          le numerose indagini della procura di Velletri sull'ufficio tecnico ed i pesanti provvedimenti emessi in capo a responsabili apicali della polizia locale testimoniano la permeabilità degli uffici comunali alle illegalità;
          tale permeabilità potrebbe essersi realizzata anche nei confronti di soggetti ascrivibili alle organizzazioni criminali di diversa matrice attive nel territorio; l'indagine della Direzione distrettuale antimafia di Napoli Arcobaleno e i lavori della commissione d'accesso di Nettuno hanno dimostrato i forti interessi delle consorterie criminali per il settore dell'urbanistica;
          risultano pendenti innanzi alla procura di Velletri anche indagini relative ai precedenti appalti per la raccolta dei rifiuti nel comune  –:
          se il Ministro sia al corrente di tali gravi fatti e se si intenda insediare una commissione d'accesso in seno al comune di Anzio per verificare, ai sensi della normativa vigente, la presenza di condizionamenti da parte della criminalità organizzata. (5-07351)


      TOUADI, GIACHETTI, MORASSUT, TOCCI, CARELLA, COSCIA, META, RECCHIA, GENTILONI SILVERI, MADIA, ARGENTIN, POMPILI, BACHELET, VELTRONI e VERINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          negli ultimi tre anni e mezzo si sono susseguiti nella città di Roma una serie di episodi di violenza politica perpetrati da organizzazioni che si richiamano esplicitamente al fascismo;
          il 16 marzo 2009, tre studenti dell'università di Roma Tre subirono un'aggressione con caschi e spranghe da parte di attivisti di organizzazioni di estrema destra. Fu poi ritrovato un piccolo arsenale anche nei locali gestiti da Azione universitaria con materiale divulgativo di chiara matrice neofascita;
          il 15 marzo 2010, un gruppo di studenti appartenenti al collettivo «Lavori in corso» fu aggredito durante un volantinaggio all'interno dell'università di Tor Vergata da alcuni militanti del Blocco Studentesco. Sei degli studenti aggrediti ricorsero a cure mediche, uno di loro fu ricoverato. Il giorno seguente, in concomitanza con la conferenza stampa convocata per denunciare l'accaduto, si verificò un altro scontro al quale avrebbero partecipato persone esterne al mondo universitario ed appartenenti ad organizzazioni di estrema destra;
          il 2 febbraio 2011, nei dintorni di Ponte Milvio, un ragazzo venne aggredito e picchiato per strada da tre persone perché reo di aver risposto affermativamente alla domanda se fosse o meno antifascista;
          la notte del 26 aprile 2011, sei studenti appartenenti a collettivi studenteschi di sinistra furono aggrediti nel quartiere Talenti da una quindicina di persone armate di caschi e bastoni di legno. Alcuni degli aggressori furono riconosciuti dai ragazzi come appartenenti all'organizzazione «Casapound», in particolare il portavoce di zona, Alberto Palladino detto «Zippo»;
          ancora nel IV municipio, in particolare nel quartiere Montesacro, l'11 maggio 2011 fu aggredito e malmenato da sei persone a volto coperto Luca Blasi, responsabile del centro sociale Horus Project;
          il 20 settembre 2011, un ragazzo appartenente al collettivo del liceo Anco Marzio di Ostia, venne aggredito e pesantemente minacciato di fronte a tutti gli studenti all'uscita di scuola dal responsabile locale di Casapound;
          il 2 novembre 2011 è di nuovo il IV municipio ad essere teatro di intimidazioni e violenze di matrice neofascista. Un gruppo di giovani appartenenti al Partito democratico, fra i quali anche Paolo Marchionne, capogruppo del Pd in municipio, furono aggrediti con mazze e spranghe d'acciaio mentre erano intenti ad attaccare manifesti per una iniziativa antimafia. Le conseguenze furono piuttosto gravi: diversi punti alla testa, allo zigomo e due braccia rotte. Il successivo lavoro degli inquirenti dimostrò che gli aggressori appartenevano a Casapound ed in particolare portarono all'arresto di Alberto Palladino, responsabile di zona dell'organizzazione, già noto alle cronache per episodi simili;
          nella notte fra il 23 e il 24 febbraio 2012 a Ostia, un gruppo di ragazzi (appartenenti al gruppo degli artisti ed ex-lavoratori del Teatro del Lido, al collettivo L'Officina) intenti ad attaccare locandine per una manifestazione sulla cultura da tenere nei giorni seguenti, subirono una violenta aggressione con caschi e spranghe da parte di militanti di Casapound. La polizia sopraggiunse poco dopo per fermare l'aggressione e la colluttazione seguente. Ventiquattro furono fermate e denunciate per rissa e tre degli aggrediti furono refertati in ospedale. Un ragazzo aggredito ha avuto trenta giorni di prognosi mentre quindici gli altri due;
          il 9 marzo 2012, alcuni studenti intenti a volantinare davanti al liceo Righi in appoggio alla mobilitazione della Fiom, furono aggrediti da persone appartenenti al gruppo di estrema destra «Controtempo». Uno dei ragazzi è stato ricoverato per una frattura del setto nasale, mentre alcuni insegnanti, intervenuti per soccorrere gli studenti, hanno ricevuto cure mediche;
          nella mattinata del 22 marzo 2012 una decina di militanti locali del circolo futurista di Casapound avrebbero aggredito con caschi e bastoni due ragazzi dei collettivi di fronte alla sede dei «Magazzini popolari», episodio che, nel pomeriggio dello stesso giorno, portò allo scatenarsi di una guerriglia urbana fra i gruppi contrapposti che avrebbe coinvolto circa duecento persone. Oltre ai numerosi danni materiali, lo scontro causò il ferimento di circa dieci giovani dei collettivi (di cui cinque refertati in ospedale) e tre del circolo Futurista di Casapound;
          questi sono solo alcuni dei numerosi episodi di violenza politica di cui la città di Roma è stata teatro negli ultimi tempi connotando una vera è propria escalation. Ciò che preoccupa maggiormente è la stretta connessione che sembra legare fra loro molte delle aggressioni. Nella notte successiva ai fatti di Ostia del 23 febbraio, ad esempio, sono comparse per le strade di Roma e della provincia alcune scritte che rivendicavano l'attentato legandole con altri episodi analoghi. In particolare, nel quartiere Talenti sono comparse – anche sui muri del municipio – frasi inquietanti («Ostia: piatto del giorno zuppa di pesce», «Con Casapound fino alla vittoria» – «Da Ostia a Talenti compagni confidenti») firmate con un inequivocabile fascio littorio stilizzato;
          fino ad ora, le conseguenze delle aggressioni non sono risultate drammaticamente gravi (contusioni, ferite, arti spezzati), ma le loro dinamiche attestano che solo per caso non abbiano assistito ad esiti ben più funesti. È intollerabile che il confronto democratico a Roma possa essere inquinato da questo genere di episodi che, per la frequenza e la violenza crescenti, rischiano di far precipitare la città in un clima caratteristico di periodi che si sperava fossero definitivamente superati e che la comunità cittadina tutta non intende rivivere mai più  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza degli episodi illustrati in premessa e della loro gravità;
          se non ritenga di dover fare tutto ciò che è in suo potere perché le responsabilità di queste aggressioni, specialmente le più recenti, siano celermente acclarate;
          se il Ministro, al fine di tutelare la convivenza civile e ristabilire il valore costituzionale dell'antifascismo nella città di Roma, non ravveda la necessità di predisporre, di concerto con gli enti locali coinvolti, un piano apposito per prevenire e contrastare la violenza politica di stampo neofascista e per rimuovere il sostegno diretto ed indiretto che i gruppi protagonisti di questa escalation ricevono.
(5-07353)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 14 giugno 2012, il gruppo EveryOne ha diramato un comunicato stampa intitolato: «Bologna, coppia di sposi Rom aggredita: lui massacrato di botte, lei, incinta, stuprata dal branco. Polizia li preleva dall'ospedale Sant'Orsola e notifica al marito un decreto di espulsione. EveryOne deposita un esposto in procura e chiede apertura di un'indagine interna al Ministro Cancellieri»;
          nel comunicato è dato leggere che all'una di notte di mercoledì 13 giugno, una giovane coppia senza fissa dimora di origine Rom, Ljubo Halilovic e la moglie Brenda Salcanovic, è stata assalita da sei cittadini stranieri mentre dormiva all'aperto a Bologna, in un giardino pubblico in via Torino, all'angolo con via Firenze. I sei uomini si sono avvicinati alla coppia chiedendo conferma circa la loro etnia Rom, dopo di che hanno iniziato a picchiare brutalmente l'uomo, mentre due componenti del branco prendevano a calci e pugni la ragazza, incinta, e subito dopo la stupravano a turno. Ljubo, quando il branco è fuggito, è riuscito, grazie a un cittadino bolognese la cui casa si affaccia sul parco pubblico, a dare l'allarme alla polizia, che è intervenuta e ha fatto trasportare i giovani dal 118 all'ospedale di Sant'Orsola. Dalle prime indagini diagnostiche fatte dal reparto di ginecologia la gravidanza non sarebbe a rischio. Passata la notte in pronto soccorso, intorno alle 7 del 13 giugno, Ljubo, giovane cittadino Rom di vent'anni nato in Italia, è stato prelevato dalla polizia dall'ospedale e portato con sua moglie in questura. Dopo averli identificati e aver rinchiuso il giovane in una cella di sicurezza per diverse ore, gli agenti di polizia hanno notificato all'uomo un ordine di espulsione dall'Italia e hanno riaccompagnato la coppia in ospedale. Ljubo e Brenda sono tutt'ora ricoverati al Sant'Orsola. «Quanto è avvenuto» commentano i co-presidenti dell'organizzazione umanitaria EveryOne, Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, «è assolutamente spaventoso. Il comportamento delle forze dell'ordine bolognesi, che avrebbero dovuto sin da subito indagare senza esitazioni e assicurare alla giustizia i malviventi che hanno seviziato i due giovani, appare in violazione dei più elementari diritti della giovane coppia: prelevati dall'ospedale nonostante la necessità di cure mediche e di assistenza psicologica, le due vittime della barbara violenza hanno cercato di raccontare agli inquirenti quanto era loro accaduto. Tuttavia, secondo quanto riferito da Ljubo, gli agenti avrebbero dimostrato indifferenza, cercando di sminuire l'episodio e ricondurlo a una semplice aggressione, senza menzionare nella denuncia lo stupro subito dalla moglie». Il giovane, che pur essendo nato e cresciuto in Italia non sa leggere né scrivere bene, si è limitato a raccontare l'episodio ai poliziotti e a controfirmare la denuncia, di cui non gli è stata rilasciata copia. «Notificare nelle mani del giovane, ancora provato fisicamente e psicologicamente dalla violenza, un provvedimento di espulsione per la mancanza del permesso di soggiorno è la dimostrazione che le forze dell'ordine considerano un problema di sicurezza maggiore la permanenza in Italia di un rom innocente e per altro vittima di violenza ma irregolare sul piano burocratico perché apolide anziché un gruppo di malviventi colpevoli di rapina, lesioni gravi e stupro, tutti ancora a piede libero». EveryOne, che ha presentato un esposto in procura sulla vicenda per sollecitare l'apertura di un'inchiesta, chiede al Ministro dell'interno, assieme all'associazione Nazione Rom – che per prima ha denunciato il caso –, di disporre quanto prima l'avvio di un'indagine interna presso la questura di Bologna per accertare il comportamento delle forze dell'ordine e individuare eventuali responsabilità. Si chiede di far luce anche con iniziative parlamentari, sulla vicenda e che venga predisposta una maggiore tutela per la giovane coppia, costretta da anni a vivere in strada per l'indifferenza e l'inerzia dell'amministrazione comunale di Bologna. La coppia è ora assistita da un legale di fiducia, l'avvocato Immaccolata Tropiano del Foro di Bologna  –:
          di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa e se intenda avviare una indagine amministrativa interna alla luce della denuncia avanzata dal gruppo EveryOne per appurare se, in merito alla vicenda vi siano eventuali responsabilità disciplinari degli agenti di polizia che sono intervenuti prelevando i due giovani rom per portarli in questura.
(5-07354)


      TOUADI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il territorio di Civitavecchia risulta infiltrato da organizzazioni criminali di varia matrice, in particolare «il litorale nord del Lazio (Ladispoli, Cerveteri, S. Marinella e Civitavecchia) continua a rappresentare un'area d'interesse criminale per diverse propaggini di sodalizi camorristici attivi nel traffico e spaccio di sostanze stupefacenti» (Relazione semestrale Direzione investigativa antimafia al Parlamento secondo semestre 2009);
          a Civitavecchia, «nell'ambito dell'operazione Civita-Memento sono state riscontrate le attività delle famiglie gelesi dei Rinzivillo ed Emanuello, interessate all'acquisizione di subappalti e fornitura di manodopera per i lavori della Centrale di Torrevaldaliga Nord» (Relazione semestrale Direzione investigativa antimafia al Parlamento secondo semestre 2009);
          nella città di Civitavecchia risulta attiva nel settore della ristorazione anche la famiglia Stassi contigua a cosa nostra trapanese;
          il porto di Civitavecchia è, secondo la Direzione investigativa antimafia, uno dei principali ingressi illeciti di merci;
          il 26 novembre del 2011 nell'ambito dell'inchiesta Vesuvio i carabinieri eseguivano diverse ordinanze custodiali nei confronti di appartenenti a clan camorristici operanti a Ladispoli;
          tra il 2010 e il 2011 nella città di Civitavecchia sono stati compiuti diversi attentati ai danni di operatori commerciali: il 12 giugno 2010 è stato incendiato il capannone nella zona industriale della ditta «Ceramiche dal Mondo», il 4 gennaio del 2011 è stato incendiato il locale del commerciante del mercato Giuseppe Sammarco  –:
          quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per contrastare al meglio le organizzazioni criminali nell'alto Lazio, in particolare in relazione alla possibilità di infiltrazioni nei lavori pubblici e nella realizzazione dell'ampliamento del porto di Civitavecchia. (5-07356)


      TOUADI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la città di Ardea (RM) è storicamente caratterizzata da infiltrazioni mafiose, poiché già negli anni cinquanta vi si era insediato il boss Francesco Paolo Coppola, detto «Frank Tre Dita», e alla fine degli anni novanta e il 2000 diverse indagini della procura distrettuale hanno individuato pericolose organizzazioni di narcotrafficanti che comprendevano anche esponenti della ’ndrangheta ivi residenti (vedasi le relazioni della Commissione parlamentare antimafia dall'XI alla XIV legislatura);
          la notte tra il 29 e il 30 maggio del 2011 venivano assassinati, a colpi di pistola, in località Cecchina di Albano Fabio Giorgi di Ardea e Rabii Baridii di Roma, nell'agguato rimanevano feriti anche altri soggetti;
          le indagini della procura distrettuale antimafia di Roma individuavano gli autori della strage in alcuni soggetti contigui al clan Santapaola da anni attivi tra Ardea e Pomezia;
          il 7 luglio del 2011 venivano sequestrati, su richiesta della procura distrettuale di Roma, tra Ardea e Roma beni appartenenti ad un soggetto contiguo al clan Gallico della ’ndrangheta;
          il 31 agosto del 2011 venivano sequestrati, su richiesta della procura distrettuale di Reggio Calabria, numerosi beni al dottor Marcello Fondacaro già condannato in primo grado per associazione a delinquere di stampo mafioso in quanto sodale del clan calabrese dei Molè;
          nella città di Ardea negli anni passati sono stati compiuti eclatanti delitti che sembrerebbero stampo mafioso: in particolare, il 17 giugno del 2007 veniva assassinato il pregiudicato siciliano Michele Di Grazia e il 4 gennaio del 2008 veniva assassinato il pregiudicato Alessandro Torni, già coinvolto nelle indagini per il delitto di Mario Guzzon;
          tra il 2009 e il 2010 venivano compiute numerose intimidazioni ai danni dei consiglieri del PdL Franco Marcucci e Nicola Tedesco nonché nei confronti del bar ristorante B Palace;
          nel corso delle recenti elezioni amministrative, secondo quanto denunciato da diversi esponenti politici anche dell'UdC, vi sarebbero state gravi irregolarità e fatti ascrivibili al voto di scambio;
          il 23 maggio il quotidiano Latina Oggi pubblicava la notizia relativa ad una grave intimidazione nei confronti dell'ex consigliere dell'UdC Alberto Sgrò che aveva denunciato i brogli  –:
          se il Ministro dell'interno sia al corrente di questi gravi fatti, se intenda avviare un'attività di verifica sull'eventuale esistenza di condizionamenti in relazione alle elezioni, da parte delle organizzazioni criminali attive nel territorio, nel comune di Ardea. (5-07359)


      TOUADI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la mattina del 29 settembre 2010 un gruppo di cittadini, comitati ed ex-lavoratori manifestano di fronte al municipio XIII di Roma per chiedere una soluzione per la riapertura del teatro del Lido di Ostia che da più di due anni e mezzo, nonostante le rassicurazioni delle istituzioni, ha chiuso i battenti con ripercussioni gravi sui lavoratori e sulla cittadinanza;
          la manifestazione non è stata oggetto di comunicazione ma evidentemente pacifica tanto che i promotori della protesta sono accolti dal presidente del municipio ed invitati a partecipare ai lavori della commissione deputata alla stesura della delibera che ha per oggetto il teatro del Lido e che, di lì a poco, il consiglio dovrà votare;
          i lavori della commissione sono presenziati da due agenti di polizia in borghese, circostanza tale da suscitare le proteste di un consigliere che a verbale dichiara inaccettabile la presenza di un agente di pubblica sicurezza all'interno di un organo istituzionale in fase deliberativa;
          redatta di concerto la delibera – che sarà poi approvata unanimemente dalle forze politiche, a testimonianza della assenza di conflitto sulla vertenza in questione – i rappresentanti dei comitati abbandonano temporaneamente il municipio in attesa dell'inizio della seduta del consiglio in cui sarebbe avvenuta la votazione;
          rientrando per assistere ai lavori, presso il varco esterno di ingresso ai locali che ospitano la sala conciliare, è presente un individuo in borghese che si identifica come agente di polizia chiedendo a chiunque intenda assistere ai lavori – manifestanti, come semplici cittadini – di mostrare i documenti. Essendo prassi quanto meno insolita, non tutti accettano. Successivamente invece, come consuetudine, tutti coloro che intendono assistere alla seduta consiliare consegnano i documenti agli agenti di polizia municipale posti all'ingresso dell'Aula per essere segnalati in una apposita lista;
          nei giorni scorsi tutte le persone registrate per assistere alla seduta del consiglio municipale il 29 settembre vengono convocate presso il commissariato di Ostia per procedere alla rilevazione delle impronte digitali e alle foto segnaletiche in quanto indagate per i «fatti accaduti c/o il Municipio XIII in data 29/09/2010» e denunciate in qualità di promotori di una manifestazione non preavvisata (articolo 18 T.U.L.P.S). Fra di essi ci sono alcuni membri del comitato cittadino per il teatro del Lido così come cittadini presenti quel giorno in municipio ad assistere alla seduta per tutt'altre ragioni. Di particolare rilevanza appare la circostanza secondo la quale non tutte le persone che risultano denunciate rilasciarono i propri estremi all'agente di polizia posto all'ingresso esterno del palazzo del municipio, mentre invece tutti consegnarono i documenti, come prassi, ai vigili urbani prima dell'ingresso in Aula. Tutto ciò lascia presupporre che gli agenti di pubblica sicurezza, per procedere con gli inviti a comparire di cui sopra, abbiano usufruito della lista redatta dagli agenti di polizia municipale per tutt'altro scopo  –:
          se il Ministro non ravveda l'opportunità di chiarire l'esatta dinamica dei fatti, i metodi adottati nella circostanza segnalata dal commissariato di Ostia e comunque le cause che hanno portato al coinvolgimento di cittadini presenti presso il municipio XIII di Roma per ragioni non ascrivibili ai fatti contestatigli;
          se il Ministro non intenda adottare tutti i provvedimenti necessari per tutelare i diritti dei cittadini implicati nella vicenda. (5-07372)


      TOUADI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 19 gennaio del 2011 veniva assassinato Angelo Di Masi nei pressi di un sala giochi nel quartiere romano di Tor Tre Teste, il soggetto pregiudicato veniva attinto da numerosi colpi di pistola;
          il 15 ottobre del 2010 veniva assassinato a colpi di pistola all'Infernetto, Roma, Giuseppe Criniti pregiudicato già raggiunto da un provvedimento restrittivo emesso nell'ambito di indagini della DDA di Firenze;
          il 5 giugno del 2009 veniva assassinato ad Acilia Emidio Salomone, già raggiunto da un provvedimento cautelare per il delitto di associazione a delinquere di tipo mafioso e secondo le indagini della squadra mobile di Roma elemento apicale di una consorteria criminale attiva ad Ostia;
          il 29 febbraio del 2008 veniva assassinato a Roma Umberto Morzilli, collegato ai figli di Enrico Nicoletti, con i quali risultava essere condannato in primo grado per il delitto di tentata estorsione; Morzilli risultava altresì indagato nel procedimento contro il faccendiere Danilo Coppola;
          il 18 ottobre 2002, alle ore 16,40, Paolo Frau, pluripregiudicato, già membro di spicco della «Banda della Magliana» e fino al decesso notoriamente capo dell'organizzazione criminale operante sul litorale romano e dedita alla commissione di molteplici e gravi delitti, veniva ucciso sotto la sua abitazione, sita in Ostia Lido, da due uomini con il volto coperto da caschi integrali, a colpi di arma da fuoco;
          il 22 novembre 2002 veniva assassinato nel comune di Ciampino il pregiudicato Michele Stettanni, collegato alla consorteria criminale Senese  –:
          se il Ministro sia al corrente dei fatti espressi in premessa e quali misure intenda adottare per contrastare l’escalation della criminalità organizzata nel territorio in questione;
          se il Ministro dell'interno intenda promuovere una convocazione straordinaria del comitato per l'ordine e la sicurezza esclusivamente dedicato alla lotta della criminalità organizzata nella provincia di Roma e più in generale nella regione Lazio. (5-07374)


      TOUADI e GARAVINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la relazione del procuratore generale presso la corte d'appello di Roma per l'inaugurazione dell'anno giudiziario del 2011 ha evidenziato la grave situazione della criminalità organizzata nel comprensorio della procura di Tivoli, segnalando in particolare che: «Il territorio di Tivoli presenta un tessuto criminale di spessore in cui la gestione degli affari illeciti viene ripartita pacificamente tra criminalità italiana e criminalità straniera»;
          i gruppi criminali italiani hanno sviluppato un particolare interesse nel settore dell'usura e delle estorsioni, prendendo di mira soprattutto gli imprenditori del settore ittico, ortofrutticolo e agroalimentare che operano nella zona per la presenza del centro agroalimentare di Roma (CAR);
          sempre nella zona di Tivoli e Palestrina si è riscontrata la presenza di alcune famiglie calabresi, legate alla «ndrina», attiva nella zona di Sinopoli (Reggio Calabria). Tali famiglie non pongono in atto comportamenti criminali nella zona nella quale vivono, ma fungono da punto di riferimento per le attività economiche della «ndrina» e danno occasionalmente supporto a soggetti provenienti dalla terra di origine;
          anche i comuni a nord di Roma, registrano la presenza di elementi collegati a formazioni criminali di origine calabrese della zona di Reggio Calabria (Africo, Melito Porto Salvo, Bruzzano Zeffirio), alcuni dei quali pregiudicati per reati in materia associativa. Si tratta di famiglie tra loro legate da rapporti di parentela e residenti nei comuni di Rignano Flaminio, Castelnuovo di Porto, Morlupo e Campagnano di Roma;
          per quanto riguarda l'usura, il fenomeno dell'erogazione e gestione dei finanziamenti usurari interessa capillarmente la vita economica del territorio, soprattutto le fasce maggiormente urbanizzate come quelle di Tivoli, Guidonia e Monterotondo, tanto da generare un vero e proprio sistema alternativo del credito. Tale attività criminosa è diffusa, oltre che nell'ambito nelle imprese edili, in quelle commerciali, soprattutto nell'attività che viene svolta nel centro agroalimentare di Roma  –:
          se il Governo sia al corrente di tali fatti;
          quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare, alla luce dei fatti esposti in premessa, al fine di garantire la sicurezza dei cittadini residenti e del loro patrimonio nel territorio in questione;
          se si intendano rafforzare i presidi delle forze di polizia nella città di Guidonia, istituendo un commissariato di polizia e una compagnia della guardia di finanza;
          se si intenda attivare il centro operativo della direzione investigativa antimafia, al fine di monitorare il centro agroalimentare di Guidonia. (5-07375)


      TOUADI e GARAVINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          solamente nei primi quindici giorni del mese di marzo 2011 nella provincia di Roma e più in generale nella regione Lazio è stata più volte evidenziata dalle forze dell'ordine, dalla magistratura, dai giornali e dalle associazioni la massiccia e crescente presenza di infiltrazioni mafiose, principalmente di stampo camorristico, su tutto il territorio;
          l'importante operazione, denominata «Verde Bottiglia» del 15 marzo 2011, condotta dalla direzione investigativa antimafia di Napoli nel basso Lazio, ha portato al sequestro di società, ditte individuali, fabbricati, terreni, potenti vetture e rapporti finanziari per una valore stimato di 100 milioni di euro e tutte riconducibili al clan camorristico dei Casalesi;
          l'importante operazione denominata «Hummer» del 9 marzo 2011, condotta dalla Guardia di finanza, contro la mafia calabrese, su tutto il territorio nazionale, ed in particolare nella regione Lazio, ha consentito il sequestro di numerosi fabbricati, terreni, quote di partecipazioni societarie, aziende, autovetture di lusso per un valore stimato che si aggirerebbe attorno ai 40 milioni di euro;
          l'11 marzo 2011 è avvenuto l'arresto, con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, del sindaco di Pignataro Maggiore (Caserta), Giorgio Magliocca, nonché consulente di gabinetto della segreteria dall'attuale sindaco di Roma Alemanno;
          l'associazione Libera nel suo rapporto «Riprendiamoci il Maltolto» ha denunciato che il Lazio è la sesta regione in Italia per numero di beni confiscati alle mafie presenti sul territorio, mentre Roma si pone come settima provincia per numero di beni sequestrati, dopo Palermo, Reggio Calabria, Napoli, Catania, Milano e Caserta. Dal rapporto emerge anche che circa il 40 per cento degli stabili sequestrati alle mafie e affidati alle decisioni del comune di Roma, giace in uno stato di abbandono o non viene utilizzato per i fini sociali. Secondo Libera la causa di questo sarebbe riconducibile non al mancato rispetto delle norme di legge e quindi degli accordi previsti fra prefettura, demanio e comune per il riutilizzo de beni confiscati, ma alle inefficienze decisionali del comune di Roma;
          il problema delle infiltrazioni mafiose nella regione Lazio non è una questione nuova, anzi è stato oggetto, sin dall'inizio della XVI legislatura, di numerose interrogazioni parlamentari al Ministro dell'interno, alle quali nella maggior parte dei casi non è stata data alcuna risposta  —:
          se il Ministro abbia disposto una mappatura puntuale del fenomeno per comprendere e monitorare la penetrazione e l'operato delle mafie nel tessuto finanziario e produttivo della capitale e della regione Lazio, nonché dell'incidenza delle operazioni malavitose sulla sicurezza dei cittadini e sulla trasparenza e libertà delle attività economiche;
          se intenda promuovere una convocazione straordinaria del comitato per l'ordine e la sicurezza esclusivamente dedicato alla lotta della criminalità organizzata nella provincia di Roma e, più in generale, nella regione Lazio;
          se intenda promuovere delle attività per sensibilizzare — in chiave di prevenzione — l'opinione pubblica, gli operatori economici e i giovani delle scuole di Roma e del Lazio;
          se non intenda assicurare, tramite l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, il rispetto degli obblighi di legge e quindi la congrua destinazione dei beni sequestrati alle mafie nel territorio del comune di Roma. (5-07376)


      TOUADI e VILLECCO CALIPARI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          negli ultimi 45 giorni nella regione Lazio si sono verificati fatti criminosi che in misura crescente, hanno fatto emergere la gravità delle infiltrazioni della criminalità organizzata su tutto il territorio. Sebbene negli ultimi mesi siano state diverse le operazioni svolte dalle forze dell'ordine che hanno portato a numerosi arresti e alla confisca di beni per il valore di svariati milioni di euro, la gravità del problema appare ancora molto rivelante; i casi più emblematici sono stati quelli delle operazioni «Verde Bottiglia» e «Hummer» nonché la confisca nel basso Lazio di beni della famiglia dei Casalesi da parte della direzione investigativa antimafia di Napoli il 6 aprile 2011;
          sono diversi i casi sospetti di infiltrazione della criminalità organizzata e di fatti di sangue legati a tali attività sui quali la magistratura e le forze dell'ordine stanno indagando. Le infiltrazioni nell'isola di Ponza, nel comune di Fondi, il caso della truffa dei Parioli e non ultimo l'omicidio avvenuto a Roma l'8 marzo 2011 dell'imprenditore Roberto Ceccarelli;
          il Sindacato italiano lavoratori polizia (SILP-CGIL) ha pubblicato negli scorsi giorni la mappatura delle organizzazioni criminali presenti del territorio della regione Lazio, lo studio è stato elaborato sulla base del lavoro svolto dalla direzione investigativa antimafia e dall'osservatorio regionale sulla legalità ed è l'ulteriore dimostrazione di quanto attive siano le diverse organizzazioni criminali che, secondo quanto riportato dallo studio, operano nel Lazio: 24 ’ndrine calabresi, 16 clan di camorra, 12 famiglie di cosa nostra e due della sacra corona unita a cui si debbono aggiungere gli ex componenti della banda della Magliana e le diverse organizzazioni straniere;
          lo studio del SILP-CGIL, grazie all'analisi delle consistenti tracce processuali, ha consentito di far emergere la consistente partecipazione di persone con precedenti per mafia, disoccupate e senza reddito in imprese nelle quali sono utilizzati capitali d'illecita provenienza. Dal suddetto studio si evince che i settori economici di maggior presenza della criminalità organizzata sono quello commerciale (supermercati, autosaloni, ristorazione, negozi abbigliamento), delle imprese individuali nel settore dei servizi, importazione e vendita materiali di telefonia mobile, società immobiliari, imprese per costruzioni destinate ad abitazione;
          il procuratore antimafia Giancarlo Capaldo, in una intervista a Repubblica il 10 aprile 2011, sottolinea quanto Roma sia la «piazza ideale» per l'infiltrazione delle organizzazioni criminali. Nell'intervista sottolinea più volte la gravità del problema con particolare riferimento ai settori di maggiore infiltrazione quali: «Commercio e investimenti immobiliari. Il primo in particolare, perché i clan hanno più soldi dei commercianti normali e, in un momento di crisi, questo provoca una forma di concorrenza sleale che permette alla malavita di fare affari d'oro»;
          il Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi, in occasione della presentazione del rapporto annuale sull'azione di prevenzione e contrasto al riciclaggio, alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, avverte che: «Durante le crisi le imprese vedono inaridire i propri flussi di cassa e vedono cadere il valore di mercato del proprio patrimonio. Entrambi i fenomeni rendono le imprese più facilmente aggredibili da parte della criminalità organizzata. Anzitutto – ma non solo – attraverso l'esercizio dell'usura, nelle sue diverse configurazioni. Durante la crisi, dunque, l'azione di contrasto deve farsi più attenta e decisa»;
          l'Unità di informazione finanziaria (UIF), ovvero la struttura nazionale incaricata di prevenire e contrastare il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo istituita presso la Banca d'Italia nel rapporto 2009 registra una crescita sostenuta del flusso di segnalazioni inviate dai soggetti obbligati. La UIF ha ricevuto oltre 21.000 segnalazioni (oltre il 44 per cento in più rispetto all'anno precedente) e ne ha approfondite e trasmesse quasi 19.000 agli organi investigativi (con un incremento di circa il 41 per cento rispetto al 2008). La tendenza registrata nei primi mesi del 2010 induce a presagire un ulteriore intensificarsi di tali flussi. La ripartizione su base regionale conferma che anche nel 2009 il maggior numero di segnalazioni è pervenuto dalla Lombardia e dal Lazio, che per numerosità della popolazione e intensità di attività economica rappresentano i principali mercati verso cui si dirige il reinvestimento dei proventi delle attività criminali. La contenuta quota di segnalazioni provenienti dalle regioni tradizionalmente considerate ad alto tasso di criminalità trova spiegazione, tra l'altro, in intuibili condizionamenti ambientali;
          il problema delle infiltrazioni mafiose nella regione Lazio non è una questione nuova, anzi è stato oggetto, sin dall'inizio della legislatura, di numerose interrogazioni parlamentari al Ministro dell'interno Maroni alle quali, nella maggior parte dei casi, non è stata data alcuna risposta  –:

          se il Ministro interrogato:
              a) non intenda adoperarsi al fine di potenziare le capacità d'organico e di risorse delle forze dell'ordine che si trovano direttamente impegnate, con attività di prevenzione e contrasto, alla lotta alla criminalità organizzata nella regione Lazio;
              b) abbia disposto una mappatura puntuale del fenomeno per comprendere e monitorare la penetrazione e l'operato delle mafie nel tessuto finanziario, produttivo e sociale nella regione Lazio ed in particolare nella provincia di Roma anche in applicazione delle disposizioni del piano strategico contro le mafie approvato il 7 settembre 2010 con la legge n.  136;
              c) intenda promuovere una convocazione straordinaria del comitato per l'ordine e la sicurezza esclusivamente dedicato alla lotta della criminalità organizzata per quanto riguarda tutte le province della regione Lazio ed in particolare per la provincia di Roma;
              d) se il Ministro non intenda prontamente promuovere – in chiave di prevenzione – delle iniziative volte ad informare e sensibilizzare l'opinione pubblica con particolare attenzione a quei settori produttivi, famiglie e istituzioni locali che risultano maggiormente esposti alla criminalità organizzata. (5-07377)


      TOUADI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 3 aprile 2011, veniva gravemente ferito con un colpo di machete, a Tor Bella Monaca, un nigeriano. Nei giorni precedenti altri nigeriani erano stati gravemente feriti. Secondo i carabinieri, si tratterebbe di regolamenti di conti per il controllo dello spaccio di droga nell'area di Tor Bella Monaca;
          è opportuno ricordare che secondo quanto documentato dalle relazioni semestrali della Dia al parlamento la cosiddetta mafia nigeriana ha un ruolo crescente nel territorio nazionale soprattutto per quanto concerne il traffico di droga;
          nell'area dell'VIII municipio di Roma, tuttavia, da diversi mesi si registrano gravi fatti ascrivibili alla criminalità organizzata;
          nell'aprile del 2010, venivano gambizzati due pregiudicati in via dell'Archeologia, il 23 giugno del 2010 i carabinieri della compagnia di Frascati unitamente ad unità dei vigili del fuoco intervenivano in un palazzo di via dell'Archeologia rimuovendo una serie di sbarramenti predisposti dagli spacciatori per proteggersi dagli interventi delle forze dell'ordine nonché garantire ai tossicodipendenti aree «protette» per il consumo degli stupefacenti. L'intervento dei carabinieri faceva seguito ad un altro già svolto nell'ottobre del 2010;
          il 3 dicembre del 2010, personale della polizia di stato veniva aggredito da numerose persone perché colpevole di aver fermato per un controllo un'appartenente alla famiglia campana Moccia già al centro di numerose indagini sulla criminalità organizzata;
          il 6 dicembre del 2010, esplodeva una bomba carta innanzi ai locali del comando della polizia locale dell'VIII municipio particolarmente attiva nel contrasto all'illegalità;
          nel suddetto municipio secondo quanto emerso dalla sintesi del rapporto dell'osservatorio regionale sulla sicurezza e la legalità del 12 maggio del 2008 operano anche consorterie criminali come: il clan Casamonica, il clan Senese;
          nell'ottavo municipio è presente solamente una stazione dei carabinieri, risulta competente per tutto il municipio la compagnia dei carabinieri di Frascati competente anche per una vasta area dei castelli romani  –:
          quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per garantire la sicurezza dei cittadini residenti nel municipio in questione;
          se non intenda rafforzare i presidi delle forze dell'ordine del tutto inadeguati istituendo una compagnia dei carabinieri e un commissariato di polizia;
          se intenda attivare il raggruppamento operativo speciale dei carabinieri e il centro operativo della DIA di Roma per svolgere un monitoraggio dei clan malavitosi attivi nell'area sopra citata. (5-07378)


      TOUADI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nella notte dell'11 maggio 2001 Luca Blasi, giovane leader del centro sociale Horus di Roma, veniva aggredito da sei persone a viso coperto con calci, pugni e bottiglie rotte. In seguito all'aggressione è stato ricoverato all'ospedale Sant'Andrea per farsi medicare i tagli riportati alle mani e al volto;
          in seguito all'aggressione il 12 maggio all'università la Sapienza vi sono stati diversi momenti di tensione tra studenti di Forza Nuova e collettivi di sinistra;
          il IV municipio di Roma da diversi mesi è sconvolto da numerosi e crescenti episodi violenti e di tensione sociale, essenzialmente riconducibili alle contrapposizioni fra centri sociali e gruppi di estrema destra, in particolare suscitate da diverse attività dell'associazione CasaPound;
          la mattina del 5 aprile 2011 veniva occupata, da parte di attivisti di CasaPound, la scuola elementare Parini a piazza Capri. La richiesta che venne espressa alle autorità fu quella di destinare lo stabile, non utilizzato dal 2008 per ristrutturazione, a 17 famiglie che versavano in uno stato di gravissima situazione abitativa;
          nel pomeriggio del 5 aprile 2011 davanti alla scuola Parini di piazza Capri veniva organizzata dai centri sociali una manifestazione pacifica contro l'occupazione della scuola coordinata da CasaPound;
          il giorno 6 aprile 2011 i capigruppo di opposizione in IV municipio appartenenti ai partiti PD-SEL-IDV, denunciano con un comunicato una nuova occupazione a via Val D'Ala da parte di attivisti di CasaPound. Il palazzo, occupato ancora oggi, è di proprietà della Cassa dei ragionieri. Il comunicato riporta le seguenti dichiarazioni: «è stato avvistato un gruppetto di attivisti del movimento neo-fascista intenti ad occupare il palazzo dell'Enel. Crediamo che questa nuova occupazione dello stabile Enel di via Val D'Ala sia il frutto di uno scellerato patto tra il Gabinetto del Sindaco e i fascisti di CasaPound per liberare la scuola elementare Parini a piazza Capri, con uno scambio di palazzi da occupare, magari suggerito direttamente da qualche rappresentante del Comune di Roma agli attivisti di CasaPound. Sarà forse anche per questo che gli occupanti hanno in dotazione il nastro segnaletico della Polizia Municipale. Per contrastare le iniziative dei fascisti di CasaPound – conclude la nota dei capigruppo PD-SEL-IDV – torneremo a manifestare contro i gruppi di estrema destra che vogliono aprire una loro filiale in zona con la copertura del Sindaco Alemanno»;
          il giorno 26 aprile 2011, nel quartiere Talenti in via Ugo Ojetti, secondo fonti giornalistiche, un gruppo di 15 neofascisti aggredisce tre ragazzi uno dei quali facente parte del collettivo Senza Tregua. Da quanto emerge i tre giovani, portati successivamente al policlinico Gemelli, sono stati prima accerchiati da tre macchine e poi picchiati con caschi e bastoni;
          in seguito all'accaduto, nel pomeriggio del 27 aprile 2011, circa cento manifestanti dei collettivi studenteschi e dei movimenti romani, si sono mossi in corteo verso l'edificio occupato da CasaPound in via D'Ala. Le agenzie di stampa segnalano che vi sono stati alcuni momenti di tensione con le forze dell'ordine che hanno portato all'esplosione di alcuni petardi e fumogeni e al rovesciamento di alcuni cassonetti per la raccolta dei rifiuti; la tensione è stata tale che ha fatto desistere il corteo dal raggiungimento dello stabile occupato;
          da fonti giornalistiche si apprende che nella notte del 28 aprile 2011 veniva fatta esplodere una bomba carta contro il palazzo nel quale risiede Alberto Palladino portavoce dell'occupazione dello stabile di via D'Ala, numero 200, sostenuta dall'associazione CasaPound  –:
          se i Ministri siano a conoscenza dei fatti di cui in premessa e della loro gravità;
          quali iniziative di competenza il Ministro dell'interno intenda adottare per prevenire e contrastare questi fenomeni di violenza politica nel segno dell'intolleranza al fine di ristabilire e rafforzare la convivenza civile e riconfermare il valore costituzionale dell'antifascismo nella città di Roma ed, in particolare, nel IV municipio;
          quali misure il Ministro della gioventù intenda adottare relativamente alle politiche giovanili per la creazione e la promozione di spazi democratici per l'aggregazione giovanile. (5-07379)


      TOUADI e TULLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          con il decreto ministeriale 15 agosto 2009 recante le misure di accertamento, da parte delle questure, della sussistenza dei requisiti ostativi al rilancio di accesso ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive, viene varata dal Governo la tessera del tifoso. Tale tessera è da considerarsi – secondo le linee guida elaborate dall'Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive – come uno strumento nuovo delle società sportive che serve a valorizzare il rapporto trasparente ed aperto con i propri tifosi, veri protagonisti dell'evento sportivo;
          l'articolo 8, comma 4, del decreto-legge n.  8 del 2007 prevede che: «In deroga al divieto di cui al comma 1 è consentito alle società sportive stipulare con associazioni riconosciute, ai sensi dell'articolo 12 del codice civile, aventi tra le finalità statutarie la promozione e la divulgazione dei valori e dei princìpi della cultura sportiva e della non violenza e della pacifica convivenza, come sanciti dalla Carta olimpica, contratti e convenzioni in forma scritta aventi ad oggetto progetti di interesse comune per la realizzazione delle predette finalità statutarie»;
          la tessera del tifoso, istituita con il decreto-legge 15 agosto 2009, è resa necessariamente obbligatoria per il rilascio da parte delle società degli abbonamenti e per accedere al settore riservato agli ospiti che seguono la propria squadra in trasferta;
          secondo i dati del Centro nazionale di informazione sulle manifestazioni sportive (CNISM) aggiornati al giorno 21 maggio 2011 a oggi state rilasciate più di 723.856 mila tessere;
          la trasmissione Report nella puntata trasmessa su RAI 3 il giorno 15 maggio 2011 denuncia il possibile abuso che alcune società appartenenti al campionato di serie A (FIGC) compiono sul trattamento dei dati personali raccolti per la concessione della tessera del tifoso. In particolare, viene sollevata la questione dell'utilizzo della tessera del tifoso come strumento di fidelizzazione dei richiedenti alle banche che forniscono le tessere;
          il Garante per la protezione dei dati personali il 10 novembre 2010 in virtù di numerose segnalazioni approva un provvedimento inviato al Ministro dell'interno, al CONI e alla FIGC che così recita:
              «ai sensi degli articoli 143, comma 1, lettera b), 144 e 154, comma 1, lettera c) del Codice, prescrive ai titolari dei trattamenti che non abbiano già provveduto in tal senso di:
          integrare l'informativa da rendere agli aderenti, evidenziando:
              a) i trattamenti che prescindono dalla manifestazione del consenso degli utenti perché necessariamente connessi al rilascio della tessera del tifoso, precisando, in tale ambito, che l'informativa dovrà contenere uno specifico riferimento alla comunicazione dei dati personali degli utenti alle questure (per l'accertamento dei requisiti di cui al decreto ministeriale 15 agosto 2009), nonché alle caratteristiche del trattamento svolto mediante l'utilizzo di tecnologie rfid;
              b) i trattamenti che possono essere effettuati su base meramente volontaria, precisando che l'informativa dovrà indicare chiaramente le diverse finalità perseguite e che le relative operazioni di trattamento dovranno essere effettuate solo sulla base di un espresso consenso dell'interessato;
              c) le conseguenze dell'eventuale rifiuto di rispondere;
          adottare accorgimenti idonei a garantire agli interessati l'effettiva possibilità di formalizzare anche il proprio diniego al trattamento per finalità di marketing, prevenendo così possibili manipolazioni successive dei moduli sottoscritti dagli utenti;
          riformulare i modelli utilizzati, adottando soluzioni idonee a garantire la possibilità agli aderenti di manifestare liberamente la propria volontà di ricevere o meno, anche da parte di società terze, comunicazioni a carattere commerciale o promozionale;
          ai sensi degli articoli 143, comma 1, lettera b), 144 e 154, comma 1, lettera c) del Codice, prescrive ai titolari dei trattamenti di pubblicare il presente provvedimento sui rispettivi siti web, ove esistenti, evidenziandolo adeguatamente in un autonomo riquadro per favorirne una immediata consultazione da parte degli utenti, anche predisponendo eventuali link appositamente dedicati alla sottoscrizione degli abbonamenti o alla partecipazione al programma “tessera del tifoso”;
          dispone che le misure e gli accorgimenti di cui ai punti precedenti siano adottati entro il termine di quarantacinque giorni dalla data di ricezione del presente provvedimento, dando riscontro a questa Autorità, entro lo stesso termine, dell'avvenuto adempimento;
          invita le società sportive che non abbiano già provveduto in tal senso, per le ragioni di cui in motivazione, a voler valutare l'opportunità di predisporre moduli separati per l'attivazione di ulteriori funzionalità della tessera o per la fornitura di servizi “accessori” agli interessati che abbiano espresso a tal fine il proprio specifico consenso;
          invita gli effettivi titolari, anche nell'interesse degli utenti, a valutare l'opportunità di designare quali responsabili del trattamento i soggetti che, all'esito delle operazioni di verifica concernenti il ruolo concretamente svolto da ciascuno di essi, risultino privi di reale e autonoma capacità decisionale in ordine alle finalità e modalità del trattamento;
          richiama l'attenzione delle società che intendono effettuare attività di profilazione sulla necessità di acquisire un consenso specifico e distinto da parte degli interessati (come pure in relazione alla medesima attività svolta da società terze), provvedendo altresì alla notifica del relativo trattamento ove ne ricorrano i presupposti»;
          il Garante per la protezione dei dati personali il 12 gennaio 2011 ribadiva in un comunicato che i supporter delle squadre di calcio che aderiscono al programma «tessera del tifoso» devono essere informati in modo chiaro e dettagliato sull'uso dei dati personali forniti al momento della sottoscrizione. Devono inoltre essere messi in condizione di poter scegliere liberamente se autorizzare l'uso di questi dati anche per le finalità di marketing e pubblicità  –:
          se il Ministro sia al corrente di tali fatti e se non intenda intervenire con fermezza sostenendo le indicazioni del Garante per la protezione dei dati personali presso l'Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive;
          se non intenda fornire elementi sui risultati ottenuti e sulle criticità emerse a seguito dell'approvazione del decreto-legge che ha istituito la tessera del tifoso;
          se non intenda adottare, per quanto di competenza, misure di contrasto affinché nella stagione calcistica 2011/2012 non si riproducano le stesse problematiche relative alle gestione dei dati personali da parte delle società che per legge sono obbligate a predisporre la tessera ai propri tifosi. (5-07380)


      TOUADI, MORASSUT e GASBARRA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'azione investigativa che quotidianamente le forze dell'ordine svolgono con prodigalità, sollecitudine e grande senso di responsabilità ha confermato in tantissime operazioni investigative la presenza, in provincia di Latina ed in tutta l'area del sud pontino, di attività camorristico-mafiose volte al traffico di stupefacenti, estorsioni, riciclaggio ed inquinamento degli appalti pubblici;
          è unanime l'allarme che le forze di polizia, in particolare la DIA (direzione investigativa antimafia), continuano a segnalare in merito alla forte offensiva che le mafie stanno realizzando per accaparrarsi ampi segmenti dell'economia del basso Lazio, in particolare della provincia di Latina, in settori chiave come quello dell'edilizia e del commercio, provocando inevitabilmente un progressivo inquinamento del tessuto sociale;
          nel mese di ottobre 2010, il questore di Latina, dottor Nicolò Marcello D'Angelo, il capo della squadra mobile, dottor Cristiano Tatarelli, e due ispettori di Formia hanno ricevuto rispettivamente per corrispondenza intimidazioni mafiose attraverso un plico contenente proiettili calibro nove;
          nel mese di aprile 2011, l'ispettore di polizia, Pasquale Natissi, organico al nucleo di polizia giudiziaria del commissariato di Fondi, è stato fatto oggetto di intimidazioni mafiose tramite l'esplosione, nel comune di Lenola, di quattro colpi di pistola indirizzati all'automobile di proprietà della moglie;
          il 4 maggio 2011 la direzione investigativa antimafia di Roma, su disposizione del tribunale di Latina, ha eseguito nei comuni di Lenola e Fondi una confisca di beni stimati in oltre 10 milioni di euro, tra cui una lussuosa villa con piscina, 4 fabbricati, 36 appezzamenti di terreno, numerose quote societarie riferite a 11 imprese ubicate in Roma e Fondi. Il patrimonio confiscato è riconducibile, secondo fonti di stampa, alla famiglia dell'imprenditore di Fondi Franco Peppe in sodalizio malavitoso con la più ben nota famiglia mafiosa dei Tripodo di origine calabrese; sempre dalle informazioni diramate a mezzo stampa, sembrerebbe che lo scopo del sodalizio criminoso fosse quello di controllare le attività economiche di alcuni settori del MOF (mercato ortofrutticolo di Fondi);
          l'imprenditore Franco Peppe, operante nel MOF, era stato arrestato nel luglio del 2009 con altre sedici persone nell'abito dell'inchiesta denominata Damasco con cui l'antimafia metteva in evidenza i condizionamenti della criminalità nel contesto amministrativo ed imprenditoriale di Fondi;
          le forze dell'ordine, in particolare la direzione investigativa antimafia, hanno più volte evidenziato i rischi di infiltrazioni camorristiche, con particolare riferimento al clan dei Casalesi, nel territorio della provincia di Latina, definita «colonia» dei camorristi del nord casertano, che incontrastati si espandono in tutto il territorio, vista anche la contiguità con la regione Campania;
          i clan camorristico-mafiosi, presenti sul territorio del sud pontino, agiscono con sempre maggiore spregiudicatezza per il controllo del territorio, rendendosi protagonisti di efferati episodi di cronaca nonché di atti intimidatori e di ritorsione nei confronti di appartenenti alle forze dell'ordine, giornalisti, imprenditori, commercianti e per ultimo anche nei confronti di singoli cittadini, come sta trapelando dalle ultime inchieste che vedono la pratica del «prestito a strozzo» sempre più stringente;
          da molto tempo a viva voce i rappresentanti sindacali di categoria chiedono, al fine di arrestare l'avanzata della criminalità organizzata nel sud pontino, un'intensificazione della presenza dello Stato, attraverso l'aumento dell'organico delle forze dell'ordine e la creazione in loco di una sede distaccata della divisione investigativa antimafia  –:
          se il Ministro non intenda attivare iniziative urgenti al fine di intensificare l'attività di repressione della criminalità organizzata nella provincia di Latina, anche in considerazione della gravità dei fatti esposti in premessa;
          se non ritenga di intervenire tempestivamente al fine di garantire nella provincia di Latina e nel sud pontino l'incolumità di forze dell'ordine, giornalisti, imprenditori, commercianti e comuni cittadini, vista la pericolosa situazione d'emergenza criminale che si è venuta a creare;
          se non intenda assumere, per quanto di competenza, provvedimenti urgenti al fine di dare una risposta ferma e concreta per contrastare il continuo aumento di infiltrazioni malavitose nelle pubbliche amministrazioni della provincia di Latina. (5-07381)


      TOUADI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in data 14 maggio 2011 il signor Khemiri Nizar, cittadino tunisino, dopo avere inutilmente richiesto più volte un visto Schengen per ricongiungimento con la moglie Winny Methorstm, cittadina europea, presso l'ambasciata olandese a Tunisi, arrivava sul territorio italiano senza alcun valido titolo di ingresso;
          in data 27 maggio 2011 il signor Nizar lasciava il centro di primo soccorso ed accoglienza di Lampedusa, dove era stato trattenuto per tredici giorni in assenza di una convalida da parte dell'autorità giudiziaria e in data 30 maggio 2011 l'ufficio immigrazione presso la questura di Agrigento gli notificava il provvedimento di espulsione ed accompagnamento alla frontiera n.  69 Cat. A. 11/2009/IMM emesso dalla prefettura di Agrigento; nella stessa data, il signor Nizar veniva altresì raggiunto dall'ordine del questore di Agrigento di trattenimento presso un centro di identificazione ed espulsione di Trapani n.  971 Cat. A. 11/2009/IMM;
          in data 6 giugno 2011 il giudice di pace di Trapani convalidava il provvedimento di trattenimento;
          in data 10 giugno 2011 l'ambasciata olandese in Roma, su disposizione dell'autorità giudiziaria olandese, emetteva un visto Schengen in favore del signor Nizar;
          la direttiva n.  2008/115/CE – cui spetta il primato – dispone all'articolo 2, comma 3, il divieto di applicazione delle norme sul rimpatrio ai cittadini che godono (o dovrebbero godere) del diritto di libera circolazione sul territorio Schengen;
          ad ogni modo, in ossequio alla norma dell'articolo 6, comma 5, della direttiva n.  2008/115/CE, l'avvio di un iter di regolarizzazione sul territorio europeo da parte del signor Nizar, conclusosi con il rilascio di un visto Schengen in data 10 giugno 2011, avrebbe dovuto far sorgere nella autorità amministrativa «l'opportunità di astenersi dall'emettere una decisione di rimpatrio fino al completamento della procedura»;
          in data 27 giugno 2011 il giudice di pace di Agrigento accoglieva il ricorso del signor Nizar contro il provvedimento di trattenimento ed espulsione permettendo così al signor Nizar di ricongiungersi con la moglie in Olanda;
          il signor Nizar racconta di aver subito percosse e maltrattamenti da parte delle forze dell'ordine in occasione di un tentativo di fuga dal centro di identificazione ed espulsione di Chinisia presso Trapani  –:
          se il Ministro non ritenga di doversi impegnare perché non accada più che cittadini stranieri in possesso di un regolare permesso di libera circolazione sul territorio Schengen vengano detenuti all'interno di centri di espulsione, contravvenendo alla legislazione europea;
          se il Ministro non ritenga di dover applicare nella loro integrità le disposizioni della direttiva n.  2008/115/CE che prevede una gradualità di misure nei procedimenti di espulsione, considerando il trattenimento come ultima istanza. (5-07382)


      TOUADI. —Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 10 luglio del 2011 veniva gravemente ferito da un commando in moto Giulio Saltalippi pregiudicato in località Casal Bruciato;
          il 5 luglio 2011 veniva ucciso da due killer a bordo di una moto, a Prati, Flavio Simmi già precedentemente gambizzato;
          il 17 giugno 2011 alle 1,30 veniva gambizzato un giovane albanese al Casalino;
          il 30 maggio 2011 in località Porta Furba veniva gambizzato un'appartenente alla nota famiglia Casamonica davanti ad un fast food;
          il 15 maggio 2011 una bomba rudimentale esplodeva davanti ad un bar in via Marco Valerio Corvo, angolo via Lucio Sciano in Cinecittà;
          il 14 maggio 2011 veniva gambizzato un pregiudicato di 34 anni in località Trullo;
          il 13 maggio 2011 venivano sparati diversi colpi d'arma da fuoco contro il centro scommesse ALL in Casina in Via Tuscolana;
          il 18 aprile 2011 un commando in moto sparava diversi colpi d'arma da fuoco, in località Tuscolana, contro la vettura Smart guidata da Alessandro Andreini che riusciva a sfuggire all'agguato;
          la notte del 17 aprile 2011 veniva gravemente ferito da numerosi colpi di pistola, ad Ostia, il pregiudicato Fabio Aragona;
          l'11 aprile 2011 veniva bruciato il chiosco balneare Blanco ad Ostia;
          l'8 aprile 2011 veniva assassinato in località Prati Roberto Ceccarelli già coinvolto nelle indagini sul clan catanese dei Tomasello;
          il 19 gennaio del 2011 veniva assassinato Angelo Di Masi nei pressi di un sala giochi nel quartiere romano di Tor Tre Teste; il soggetto pregiudicato veniva attinto da numerosi colpi di pistola;
          il 3 gennaio del 2011 venivano incendiati tre casotti dello stabilimento balneare Anema e Core ad Ostia;
          il 15 ottobre del 2010 veniva assassinato a colpi di pistola all'Infernetto, Roma, Giuseppe Criniti pregiudicato già raggiunto da un provvedimento restrittivo emesso nell'ambito di indagini della direzione distrettuale antimafia di Firenze;
          il 5 giugno del 2009 veniva assassinato ad Acilia Emidio Salomone, già raggiunto da un provvedimento cautelare per il delitto di associazione a delinquere di tipo mafioso e secondo le indagini della squadra mobile di Roma elemento apicale di una consorteria criminale attiva ad Ostia;
          il 29 febbraio del 2008 veniva assassinato a Roma Umberto Morzilli, collegato ai figli di Enrico Nicoletti, con i quali risultava essere condannato in primo grado per il delitto di tentata estorsione; Morzilli risultava, altresì, indagato nel procedimento contro il faccendiere Danilo Coppola;
          il 22 novembre 2002 veniva assassinato nel comune di Ciampino il pregiudicato Michele Stettanni, collegato alla consorteria criminale Senese;
          il 18 ottobre 2002, alle ore 16,40, Paolo Frau, pluripregiudicato, già membro di spicco della «Banda della Magliana» e fino al decesso notoriamente capo dell'organizzazione criminale operante sul litorale romano e dedita alla commissione di molteplici e gravi delitti, veniva ucciso sotto la sua abitazione, sita in Ostia Lido, da due uomini con il volto coperto da caschi integrali, a colpi di arma da fuoco  –:
          se il Ministro sia al corrente dei fatti esposti in premessa e quali misure intenda adottare per contrastare l’escalation della criminalità organizzata nella provincia di Roma. (5-07383)


      TOUADI e GARAVINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la direzione investigativa antimafia nella relazione del secondo semestre del 2010 al Parlamento segnalava l'operatività di gruppi misti criminali associabili alle mafie tradizionali mentre la precedente relazione semestrale segnalava l'attività del clan Triassi, diramazione del clan siciliano dei Cuntrera Caruana;
          a più riprese la Direzione distrettuale antimafia di Roma ha coordinato inchieste nei confronti di sodalizi criminali dediti al narcotraffico guidati dal noto pregiudicato di Ostia Carmine Fasciani esponente di spicco della malavita organizzata locale;
          dal 2007 al 2011 nel municipio di Ostia si sono verificati numerosi attentati ai danni di stabilimenti ed esercizi commerciali;
          nella notte del 1° gennaio del 2007 bruciava il ristorante annesso allo stabilimento balneare Med;
          il 18 luglio del 2007 veniva incendiato lo stabilimento balneare dell'Happy Surf;
          il 18 marzo del 2009 veniva bruciato un magazzino del Buca Beach;
          il 22 novembre 2009 il chiosco dello stabilimento balneare Punto Ovest;
          il 19 luglio del 2010 venivano distrutti da fiamme dolose centinaia di lettini e ombrelloni dello stabilimento balneare Punto Ovest;
          il 14 maggio del 2010 veniva bruciata la veranda del Caffè Salerno;
          il 3 gennaio del 2011 bruciavano tre casotti dello stabilimento Anima e Core;
          l'11 aprile del 2011 veniva distrutto da un grave incendio il chiosco Blanco;
          la notte tra il 27 e 28 luglio del 2011 subivano un grave incendio doloso la discoteca Kristal e il ristorante Villa Irma;
          verso le 4 di mattina del 29 luglio 2011 esplodeva una bomba contro la saracinesca della pizzeria Pronto Pizza  –:
          se il Ministro sia al corrente di questi fatti, se intenda verificare quali iniziative siano state avviate dalla squadra mobile di Roma, dal raggruppamento operativo speciale dei carabinieri, dal centro operativo della direzione investigativa antimafia per contrastare questi gravi fatti chiaramente indicativi di una attività della criminalità organizzata, se, infine, intenda attivare il commissariato per la lotta al racket e all'usura. (5-07384)


      TOUADI, GASBARRA, FERRANTI, GARAVINI, TIDEI, VELTRONI, CARELLA, META, POMPILI e ARGENTIN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          a Latina in via Strade Alte, lungo il canale Mussolini esiste un'area di quattro ettari composta da campi da calcetto, una sala convegni all'interno di una struttura che può contenere quattrocento persone, aree di sosta per camper, bungalow e servizi igienici, su di un terreno agricolo con una strada realizzata sul ciglio del canale e opere di urbanizzazione su tutto il terreno, asservite ai camper (fogne, acqua, luce);
          la struttura è stata confiscata da tempo per abusivismo edilizio ed affidata dal dottore Tardone, ex Commissario prefettizio del comune di Latina, all'Associazione Libera;
          la struttura è stata intitolata nel mese di luglio 2011, alla presenza del prefetto di Latina, all'avvocato Serafino Famà, avvocato ucciso dalla mafia;
          sin dall'inizio si sono verificati numerosi danneggiamenti e persino avvelenamenti dell'acqua potabile con soda caustica, in presenza di gruppi di scout provenienti da tutta Italia (progetto Ministeriale «Estateliberi»);
          durante la notte tra venerdì e sabato 22 ottobre 2011, persone ignote con un atto di vandalismo criminale hanno devastato tutte le strutture, procurando gravissimi danni onde impedire la riuscita di un raduno di scouts organizzato per la mattinata con la proiezione del documentario «La quinta mafia», il raduno si è poi tenuto ugualmente;
          l'incendio doloso è stato una vera e propria intimidazione di stampo mafioso;
          nella provincia di Latina operano da anni il clan dei casalesi, il clan Maliardo, il clan Tripode della ’ndrangheta, come attestano tra l'altro le relazioni semestrali della DIA al Parlamento;
          le indagini della squadra mobile di Latina coordinate dalla locale procura hanno colpito a più riprese il clan Ciarelli-Di Silvio protagonista di una vera e propria guerra criminale che in poche settimane ha causato 2 morti e diversi feriti nel 2010;
          le indagini della squadra mobile hanno scoperto piani di vendetta del suddetto clan che miravano a colpire il capo della squadra mobile dottore Cristiano Tatarelli ed alcuni agenti della polizia penitenziaria;
          il clan Ciarelli-di Silvio si caratterizza sempre più come un'associazione criminale, con una forte carica intimidatrice e un forte vincolo associativo tipico delle associazioni mafiose tradizionali  –:
          se il Ministro sia a conoscenza di quanto espresso in premessa;
          quali iniziative intenda avviare il Ministro interrogato per tutelare l'associazione Libera, rafforzando gli organici delle forze dell'ordine a Latina e provincia, costituendo sezioni distaccate nella provincia di Latina del ROS dei carabinieri e del GICO della Guardia di finanza;
          se non ritenga altresì di intervenire per dare una risposta tempestiva a questa vera e propria sfida allo Stato che proviene dalla malavita organizzata del pontino, potenziando la magistratura e le forze dell'ordine, dando segnali forti e chiari per contrastare a tutti i livelli il radicamento del crimine organizzato e sostenendo quelle associazioni che come Libera si battono per diffondere e difendere il concetto di legalità. (5-07385)

Interrogazioni a risposta scritta:


      CALLEGARI, BITONCI, FORCOLIN, LANZARIN e MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          organi di stampa nazionali (settimanale Panorama) riportano la notizia secondo la quale nel comune di Godrano (Palermo), su 1.096 abitanti e 2 mila ettari di superficie boschiva, 190 persone risultano impiegate come forestali della regione Sicilia, tra le quali risultano anche il sindaco del paese, il vicesindaco e parte della giunta comunale;
          la percentuale dei forestali impiegati nel piccolo paese siciliano, se rapportata alla popolazione attiva del paese, arriva al 90 per cento, mentre nell'intera ragione Molise, a fronte dei 320 mila abitanti e dei 160 mila ettari di superficie forestale, vi sono 172 forestali impiegati;
          altri esempi di spropositata percentuale di forestali si registrano tuttavia anche a Sortino (provincia di Siracusa, 9 mila abitanti e 473 impiegati), quando nell'intera regione Lombardia a fronte dei quasi dieci milioni di abitanti sono impiegati 460 forestali;
          secondo i principali dati riportati dall'inchiesta del settimanale, nella sola regione Sicilia 26 mila persone sono impiegate, pur a periodi alterni normalmente di sei mesi, con diverse mansioni, dal bracciante semplice alla guardia antincendio, e che annualmente costa quasi 700 milioni di euro l'anno, di cui 180 a carico dell'Inps;
          il Governo ha deciso di adottare, in queste ultime settimane, un provvedimento d'urgenza, denominato «spending review» e che fa seguito a precedenti e simili accorgimenti finalizzati ad adottare delle disposizioni per limitare voci della spesa pubblica e che gravano sempre più sul debito pubblico italiano, giunto ormai a lambire i 2.000 miliardi di euro e che continua a rappresentare un freno alla ripresa e alla crescita del sistema Paese  –:
          quali orientamenti intendano esprimere i Ministri interrogati in merito alla vicenda esposta e se, in virtù anche dell'attuale situazione economica e finanziaria degli enti locali e delle norme europee in materia di contenimento dei debiti pubblici nazionali, non ritengano opportuno adottare ogni iniziativa di competenza per ridurre i costi a carico del bilancio pubblico. (4-16970)


      BITONCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          organi di stampa locali (Mattino di Padova di domenica 15 luglio 2012) riportano la notizia secondo la quale il comune di Padova avrebbe deciso di destinare la palestra di Giotto di via Fra Paolo Sarpi per il periodo che va dal 17 luglio al 20 agosto, ovvero per trenta quattro giorni, al comitato provvisorio moschea Rahma;
          la concessione della palestra al comitato è finalizzata all'utilizzo da parte dello stesso comitato per il periodo del Ramadan;
          nella città di Padova il rapporto tra le diverse comunità straniere e la locale cittadinanza ha già dato luogo, in un tempo non lontano, a forti tensioni sociali, sfociate in violenti scontri, violenze e numerosi episodi che hanno comportato l'intervento delle forze militari a supporto della polizia municipale, creando forti allarmismi e tensione tra la popolazione residente  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti descritti e degli scontri avvenuti all'interno della comunità musulmana padovana;
          se, in ragione delle preoccupazioni della cittadinanza, non ritenga di assumere iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, allo scopo di verificare il regolare utilizzo dell'edificio, anche ai fini della sicurezza pubblica, assumendo altresì ulteriori iniziative volte a monitorare la situazione. (4-16974)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


      BINETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          l'attuazione della riforma «Gelmini» sta comportando un notevole sforzo da parte del sistema universitario chiamato ad una radicale riorganizzazione e a confrontarsi con la complessità degli oltre quaranta decreti necessari per rendere operativa la riforma stessa;
          si attende da tempo l'avvio della abilitazione nazionale che costituisce uno dei più importanti banchi di prova della riforma ispirata alla realizzazione di obiettivi di meritocrazia, responsabilità ed autonomia;
          il 7 giugno 2012 scorso è stato adottato il regolamento ministeriale recante criteri e parametri per la valutazione dei candidati ai fini dell'attribuzione dell'abilitazione scientifica nazionale per l'accesso alla prima e alla seconda fascia dei professori universitari, nonché le modalità di accertamento della qualificazione dei commissari;
          il decreto, tuttavia, presenta criticità anche in relazione alla sua attuazione connesse alle peculiarità delle diverse aree scientifiche e, a detta dell'Associazione italiana dei costituzionalisti, il decreto presenta anche elementi di incostituzionalità per quanto riguarda i parametri non bibliometrici applicati all'area 12;
          diversi sono gli aspetti problematici segnalati dalla comunità scientifica. L'utilizzo, per la valutazione della qualità scientifica, di parametri e criteri prevalentemente quantitativi, l'attribuzione all'ANVUR della competenza a provvedere alla collocazione in classi di merito delle riviste per determinate aree, l'utilizzo della mediana degli indicatori bibliometrici per la valutazione dell'impatto della produzione scientifica, sono alcuni aspetti critici che emergono su cui sarebbe utile avere rassicurazioni;
          nell'ambito delle diverse facoltà ci sono settori scientifico disciplinari più «piccoli» che sono stati accorpati ad altri settori scientifico disciplinari di maggiore consistenza in quanto a numero di docenti incardinati, sulla base di una potenziale affinità culturale, ma senza una specifica affinità metodologica (ad esempio il settore MED 02 a carattere prevalentemente storico non prevede una produzione scientifica analoga a quella delle scienze sperimentali come la stessa patologia generale; i settori MED 45-50 hanno una produzione scientifica con peculiarità specifiche che potrebbero non essere adeguatamente valorizzate con i parametri di valutazione che sono stati scelti);
          trattandosi della prima applicazione di un sistema di reclutamento del tutto nuovo si rende necessaria una valutazione in itinere, anche perché una abilitazione nazionale basata su criteri e procedure che si rivelassero inadeguati rischia di produrre, quanto meno in alcune aree scientifiche, risultati qualitativamente scadenti vanificando l'obiettivo principale della riforma;
          sono state create aspettative nei giovani sul fronte della valutazione, del merito e della responsabilità che rischiano di essere deluse;
          appare evidente che riforme e controriforme non sono strumenti sufficienti ad indurre un cambiamento soprattutto quando tali complesse manovre non sono accompagnate da investimenti in termini finanziari. Piuttosto nei limiti sempre più stretti delle risorse a disposizione servono segnali concreti sul rispetto delle regole e maggiore chiarezza sulle prospettive del sistema  –:
          se non intenda individuare risorse e strumenti per effettuare un monitoraggio costante e continuo della fase attuativa delle procedure per l'abilitazione scientifica nazionale per l'accesso alla prima e seconda fascia dei professori universitari e per consentire un continuo affinamento dei criteri nei primi anni di applicazione delle nuove disposizioni al fine di raggiungere un sistema equilibrato attraverso una verifica dei risultati e un confronto con gli altri standard internazionali. (3-02390)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      ANTONINO RUSSO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          la comunità monastica di San Martino delle Scale, nel solco della plurisecolare tradizione benedettina, ha maturato l'esigenza di intervenire incisivamente nel campo del restauro e della conservazione del patrimonio artistico della Sicilia, con l'istituzione di una Accademia di belle arti;
          in tal senso, l'Accademia di belle arti «Abadir» di San Martino alle Scale rappresenta la volontà di salvare dal tempo le opere d'arte, attraverso l'istituzione di corsi di arte e restauro e laboratori di restauro e progettazione;
          recupero e conservazione del patrimonio artistico, unitamente all'interesse verso il multiforme spazio della ricerca, costituiscono il binario su cui muove il progetto culturale dell'accademia che l'attività didattica con la ricerca e la programmazione, lo studio e le conoscenze con l'operatività;
          inoltre, l'Accademia di belle arti Abadir è membro dell'ELIA (European league of institutes of the arts), organizzazione che comprende tra i suoi associati Facoltà di belle arti europee, Accademie di belle arti italiane pubbliche e private, scuole e istituti specializzati d'arte italiani ed europei e, inoltre, si è fatta promotrice, già da alcuni anni, di numero di scambi internazionali, prendendo parte ai progetti LLP/ERASMUS;
          il C.N.A.M. nella seduta del 17 settembre 2008 ha espresso parere favorevole in ordine ai corsi di primo livello della suddetta istituzione e ai sensi dell'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 6 luglio 2005 n.  212 ha autorizzato l'attivazione dei corsi di pittura e restauro;
          in tal senso, l'accademia Abadir rilascia i seguenti titoli di studio validi a tutti gli effetti di legge:
              a) diploma accademico di 1o livello in «Arti visive e Discipline dello Spettacolo»;
              b) diploma accademico (vecchio ordinamento in 4 anni) in pittura con sperimentazione in restauro nei seguenti settori: restauro pittorico, restauro della pittura e della doratura su supporti lignei, restauro della ceramica e dei materiali lapidei, restauro dei beni bibliografici e archivistici, restauro dei tessuti e parati sacri;
          vi sono tuttavia alcune anomalie che rischiano di compromettere la vita di questa importante e storica istituzione;
          sebbene, infatti, da molti anni l'accademia abbia attivato entrambe le cattedre di pittura e di restauro con tutte le specificità richieste, nell'ultimo periodo le domande ricevute hanno condotto ad un progressivo spostamento dell'utenza verso i corsi di restauro rispetto a quelli di pittura;
          se questa situazione dovesse perdurare ci sarebbero dei rischi circa l'accreditamento dell'Accademia e, proprio per scongiurare questo rischio, il direttore, insieme a tutto lo staff, sta realizzando una importante e capillare campagna di preiscrizioni e di promozione della cattedra di pittura che, secondo le previsioni, consentirà di riattivare il corso a partire già dal prossimo anno accademico;
          da questo accreditamento dipende anche l'accreditamento futuro dei corsi di restauro e quindi la vita stessa dell'accademia che opera con successo da oltre un ventennio ed è conosciuta a livello internazionale rappresentando un fondamentale punto di riferimento per tutta le regione;
          recentemente la commissione incaricata dall'ANVUR per la valutazione della struttura ha visitato l'accademia esprimendo preoccupazione circa la mancata attivazione del corso di pittura e rimanendo, invece, positivamente impressionata dalla struttura formativa, dall'ambiente, dai laboratori di pittura e di incisione (afferenti il corso in pittura)  –:
          quali iniziative di competenza intenda adottare per assecondare e sostenere il progetto di rilancio dell'Accademia. (5-07397)


      MURGIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          l'accesso ai corsi di laurea a numero programmato è regolato a livello nazionale da un'apposita legge;
          gli aventi diritto all'immatricolazione per ogni singolo percorso formativo vengono individuati tramite decreto ministeriale;
          gli Atenei sono tenuti ad attenersi ai requisiti quantitativi determinati dal dipartimento dell'università del Ministero;
          nella regione Sardegna è attiva una sola facoltà di veterinaria presso l'università degli studi di Sassari;
          il Comparto agricolo riveste importanza fondamentale nel tessuto produttivo isolano. I veterinari forniscono quotidianamente il loro apporto alle aziende agricole anche per quanto concerne la cura e la diagnosi di patologie presenti solo in Sardegna (echinococcosi, lingua blu, febbre del Nilo, e altro);
          la pubblicistica e le pubblicazioni della letteratura scientifica evidenziano come la facoltà di Sassari sia punto di riferimento a livello planetario per la ricerca nel campo delle patologie sopraccitate;
          in data 28 giugno 2012 un provvedimento del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca collocava la facoltà sarda all'ultimo posto a livello nazionale per quanto concerne i posti a concorso nel prossimo «test d'ingresso» di settembre;
          durante il prossimo anno accademico potranno essere ammessi all'immatricolazione solo 30 candidati risultati idonei;
          Il Ministero ha giustificato questa scelta facendo notare come la Eave (European association of establishments for veterinary education) non abbia riscontrato requisiti adeguati nell'organizzazione e nell'offerta formativa della struttura turritana;
          tale scelta comporterà, inevitabilmente, una riduzione nel livello di trasferimenti garantiti dal Ministero all'università degli studi di Sassari  –:
          se il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca non ritenga opportuno modificare, in autotutela, il decreto ministeriale emesso il 28 giugno 2012 e ristabilire il numero originario di 80 posti messi a concorso;
          se il decreto ministeriale del 3 luglio 2009 in cui si prevedeva di soprassedere su ogni decisione in merito al numero di ammessi sino al 2013 sia stato revocato prima della pubblicazione del nuovo;
          quali azioni intenda mettere in atto per venire incontro alle problematiche denunciate dal magnifico rettore Attilio Mastino considerata l'importanza della presenza di una facoltà di veterinaria in Sardegna. (5-07399)


      DE PASQUALE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il 27 giugno 2012 al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca è stata presentata ai sindacati della scuola la nuova bozza di «Accordo tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano concernente finalità, tempi e modalità di attuazione del Titolo V, Parte II della Costituzione per quanto attiene alla materia istruzione e sperimentazione di interventi condivisi tra Stato e Regioni per la migliore allocazione delle risorse umane, strumentali ed economiche al fine di elevare la qualità del servizio»;
          il titolo della suddetta bozza reca la seguente dizione:
              bozza di accordo tra governo, regioni e province autonome di Trento e Bolzano concernente finalità, tempi e modalità di attuazione del titolo V, parte II, della costituzione, per quanto attiene alla materia istruzione e sperimentazione di interventi condivisi tra stato e regioni per la migliore allocazione delle risorse umane, strumentali ed economiche al fine di elevare la qualità del servizio accordo ai sensi dell'articolo 9, comma 2, lett. c) del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.  281;
          l'articolo 9 del decreto legislativo n.  281 del 1997 al comma 2, lettera c), prevede che la conferenza unificata:
              «c) promuove e sancisce accordi tra Governo, regioni, province, comuni e comunità montane, al fine di coordinare l'esercizio delle rispettive competenze e svolger in collaborazione attività di interesse comune»;
          la citata bozza attribuisce la suddetta funzione della redazione di un documento alla Conferenza unificata (articolo 9, comma 2, lettera c) del decreto legislativo n.  281 del 1997) redazione che invece nel suo complesso, nel testo attualmente sottoscritto, riguarda solo lo Stato e le regioni;
          il Ministro interrogato, nella risposta fornita ad un'interrogazione a risposta immediata l'11 luglio 2012 ha ribadito tale impostazione affermando che detta bozza di accordo «tra Governo, regioni e province autonome di Trento e Bolzano, sarà a breve sottoposta all'esame della Conferenza Stato-Regioni, e che ovviamente, nel prosieguo dell'iter di perfezionamento della bozza di accordo, saranno coinvolte anche l'ANCI e l'UPI per l'esame congiunto delle ricadute sugli enti locali dell'effettiva attuazione del trasferimento alle regioni delle funzioni amministrative in materia di istruzione»;
          i comuni e le province esercitano in materia di istruzione funzioni amministrative proprie o delegate ai sensi della normativa vigente  –:
          se intenda confermare l'impostazione ministeriale descritta in premessa e se sussista la scelta di una futura iniziativa normativa anche di carattere costituzionale, volta a modificare il ruolo attuale degli enti locali, che preveda solo un coinvolgimento istituzionale dell'ANCI e dell'UPI per l'esame congiunto delle ricadute sugli enti locali dell'effettiva attuazione del trasferimento alle regioni delle funzioni amministrative in materia di istruzione. (5-07435)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BORGHESI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 142, secondo comma, del regio decreto 31 agosto 1933, n.  1592, recante il «Testo unico delle leggi sull'istruzione superiore», stabilisce che: «è vietata l'iscrizione contemporanea a diverse Università e a diversi Istituti di istruzione superiore, a diverse Facoltà o Scuole della stessa Università o dello stesso Istituto e a diversi corsi di laurea o di diploma della stessa Facoltà o Scuola».
          la predetta norma del 1933, e dunque anteriore alla Costituzione, contestualizzata nel periodo storico del totalitarismo fascista indirizzato al pregnante controllo delle istituzioni accademiche nazionali, mirava a porre un controllo alle iscrizioni universitarie evitando la frequenza di più corsi da parte degli stessi studenti onde evitarne in ultima analisi l'addottorarsi plurimo e dunque limitarne (rectius, controllarne) la formazione;
          il divieto di iscrizione contemporanea a più corsi universitari costituisce infatti un limite alla possibilità di plurime iscrizioni universitarie da parte del medesimo studente che, oltre ad essere meramente illogico e irrazionale in quanto nulla può escludere in capo ad uno studente la capacità di seguire più corsi universitari, configura vieppiù un'evidente restrizione alla formazione culturale e scientifica dei cittadini;
          in molti Paesi dell'Unione europea non sussistono limiti all'iscrizione contemporanea a più corsi universitari da parte del medesimo studente, con il chiaro intento di favorire l'interdisciplinarietà degli studi superiori;
          sulla scorta di quanto sopra: il limite posto dalla citata norma anteriore alla Costituzione circa il divieto dell’«iscrizione contemporanea a diverse Università e a diversi Istituti di istruzione superiore, a diverse Facoltà o Scuole della stessa Università o dello stesso Istituto e a diversi corsi di laurea o di diploma della stessa Facoltà o Scuola» costituisce un'evidente ed ingiustificata compressione della possibilità di sviluppo del percorso formativo dello studente universitario, inibendo al medesimo la possibilità di iscriversi a più corsi universitari, anche attivati presso atenei diversi  –:
          se e quali iniziative normative intenda assumere al fine di garantire agli studenti universitari la possibilità dell'iscrizione contemporanea a più corsi universitari, anche attivati presso atenei diversi, in linea con quanto avviene nei principali Paesi dell'Unione europea.
(4-16963)


      BRIGUGLIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          la Corte costituzionale con sentenza n.  191 del 2008 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, dell'articolo 103, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n.  382, modificato dalla legge 23 dicembre 1999, n.  488, nella parte in cui non riconosce ai ricercatori universitari, all'atto della loro conferma, per intero ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza e per i due terzi ai fini della carriera l'attività effettivamente prestata nelle università in qualità di tecnici laureati con almeno tre anni di attività;
          prima della decisione della Corte costituzionale le richiesta di riconoscimento di servizio pre-ruolo da parte dei ricercatori sono state rigettate dalle università di appartenenza e anche i ricorsi contro tali provvedimenti, proposti ai Tribunali amministrativi, non hanno trovato accoglimento;
          l'efficacia della sentenza n.  191 del 2008 della Corte costituzionale non può estendersi a quei rapporti consolidatisi in virtù di decisioni giudiziali passate in giudicato, o a causa della definitività di provvedimenti amministrativi non più impugnabili;
          si è venuta a creare una situazione di evidente disparità e disuguaglianza di trattamento tra chi ha avanzato la richiesta di ricostruzione di carriera prima della sentenza della Corte costituzionale e chi invece ha potuto avvalersene anche in sede di ricorsi giudiziali  –:
          se il Ministro interrogato per quanto di sua competenza intenda intervenire e quali iniziative intenda adottare per assicurare una uniformità di trattamento in tema di riconoscimento di servizio pre-ruolo dei ricercatori universitari. (4-16967)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      LANZARIN, FUGATTI, FAVA, MONTAGNOLI e FEDRIGA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          notizie di cronaca delle ultime ore danno per ufficiale la chiusura dello stabilimento della Bayer Material Science di Mussolente (VC), società del gruppo Bayer;
          come meglio riportato sui mezzi d'informazione locali, si dà per certo che la multinazionale tedesca, nell'ambito del piano di riassetto dei propri siti industriali, abbia deciso il taglio di due unità produttive del ramo material science in Europa, trasferendo le produzioni in Germania e in tal modo facendo rientrare tra le soppressioni anche l'impianto produttivo misquilese, specializzato nel settore dei sistemi per poliuretani;
          giova ricordare che lo stabilimento in questione occupa circa cinquanta lavoratori e la sua storia appartiene ormai al tessuto storico ed economico di quel territorio; infatti questo insediamento industriale, originariamente denominato Apichem, fu inaugurato nel 1992 in virtù di una joint venture costituita tra il gruppo Bayer e la famiglia Brunetti, detentrice del pacchetto di maggioranza della società con il 51 per cento a fronte del 49 per cento detenuto dal socio tedesco;
          lo stabilimento, a seguito dell'uscita della famiglia Brunetti dall'assetto proprietario nel 1995, ha continuato le proprie attività con il marchio Deltapur e quindi Bay Systems Italia e successivamente Bayer Material Science;
          la decisione di chiudere lo stabilimento di Mussolente sarebbe stata assunta, stando ad una comunicazione formale di Bayer Material Science alle organizzazioni sindacali di categoria e alla rappresentanza sindaca unitaria dello stabilimento di Mussolente, a causa degli «insufficienti margini di guadagno realizzati dall'attività», pur riconoscendo l'importanza del sito produttivo misquilese nell'ambito del mercato italiano delle materie prime poliuretaniche;
          la dismissione della fabbrica dovrebbe materialmente avvenire dopo le ferie, per concludersi entro e non oltre il mese di dicembre 2012;
          le rappresentanze sindacali interessate hanno emesso un comunicato congiunto della rappresentanza sindacale unitaria aziendale, di Filtem Cgil e di Femca Cisl, in cui comunicano che i 50 lavoratori, sconcertati per intenzione di chiudere uno stabilimento efficiente, si sono riuniti in assemblea esprimendo «la loro forte preoccupazione per ciò che si prospetta, dato il momento di crisi economica che colpisce duramente anche la provincia di Vicenza e considerato altresì che il processo di chiusura, nell'intenzione della Bayer, si dovrà realizzare in tempi stretti a partire dal mese di settembre 2012 per terminare entro il 31 dicembre 2012.»;
          «Le lavoratrici i lavoratori della Bms di Mussolente unitamente alla Rsu ed alle organizzazioni sindacali territoriali – prosegue la nota – chiedono alla Bayer che nessun spostamento di attività venga avviato e di aprire un confronto serio e concreto che permetta di ricercare soluzioni alternative alla chiusura del sito, garantendo un futuro di lavoro ed occupazione alle lavoratrici ed ai lavoratori, anche attraverso il coinvolgimento delle istituzioni»;
          gli interroganti ritengono inaccettabile il comportamento dell'azienda, sia per i modi e l'intempestività con cui ha comunicato la propria decisione, sia e soprattutto perché prima di provocare sconcerto e smarrimento nelle famiglie dei lavoratori e nella comunità locale, avrebbe anche potuto avviare un percorso di approfondimento della situazione eventualmente studiando insieme alle istituzioni locali, alle organizzazioni imprenditoriali ed ai lavoratori interessati, possibili soluzioni alternative alla chiusura, se del caso chiedendo l'intervento del Governo  –:
          quali siano le intenzioni del Governo in merito alla vicenda segnalata in premessa e quali iniziative intenda porre in essere, anche mediante attività di moral suasion, nei confronti della Bayer, a salvaguardia dei livelli occupazionali dei dipendenti e delle famiglie interessati nonché di un patrimonio storico-economico importante nella storia di Mussolente e più in generale del territorio vicentino di Bassano del Grappa;
          se ed in quali termini, nell'ambito della propria competenza, il Governo intenda intervenire nel caso in questione al fine di scongiurare la chiusura dello stabilimento della Bayer di Mussolente così da favorirne il consolidamento e l'ulteriore sviluppo. (5-07412)

Interrogazioni a risposta scritta:


      ROSSA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          nel 2010 la fondazione Teatro Carlo Felice di Genova ha attraversato una profonda crisi dovuta anche al progressivo ridimensionamento del fondo unico per lo spettacolo;
          per affrontare tale situazione, in data 8 novembre 2010, a seguito di un incontro tecnico presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con la partecipazione di CGIL, CISL, UIL e la fondazione, si è convenuto di utilizzare i contratti di solidarietà tipo B per evitare la liquidazione coatta amministrativa della fondazione che avrebbe portato ai licenziamenti di tutto il personale;
          è stato utilizzato l'istituto del contratto di solidarietà per 285 dipendenti a tempo indeterminato e 3 lavoratori a tempo determinato, per una durata di ventiquattro mesi;
          dal 2010 il teatro ha intrapreso una tendenza virtuosa che ha permesso di chiudere il 2011 con un utile di esercizio che si profila intorno ai 2,5 milioni di euro, senza contare il valore delle patrimonializzazioni effettuate nell'esercizio pari a 4 milioni di euro;
          ad oggi l'indennità di solidarietà che l'INPS deve indicativamente versare alla Fondazione è di 2.200.000 euro annui;
          tale cifra è soggetta al conguaglio annuale della reale percentuale di riduzione dell'orario effettuato;
          l'INPS ha iniziato a versare le quote dall'ottobre 2011, ma a dicembre ha sospeso tale erogazione, senza aver completato il primo anno;
          allo stato attuale la Fondazione deve ricevere ancora l'ultimo trimestre del primo anno di solidarietà (euro 480.000) e tutto il secondo anno per un totale di euro 2.680.000 circa;
          le erogazioni da parte dell'INPS sono per la Fondazione vitali, non solo sul piano economico, ma soprattutto su quello finanziario in quanto la fondazione vi ha basato i propri flussi di cassa;      
          tale situazione genera un grave stato di crisi in quanto mette la fondazione nella condizione di non riuscire ad erogare lo stipendio ai dipendenti già dal mese di agosto  –:
          se sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali siano i motivi che hanno portato al blocco delle erogazioni;
          quali misure intenda intraprendere perché l'INPS sia messa nelle condizioni di erogare quanto dovuto alla Fondazione teatro Carlo Felice di Genova. (4-16965)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il 14 luglio il signor Mennato Marro, di professione marmista, mentre stava eseguendo lavori all'interno di un cantiere a Montesarchio nel Beneventano, è precipitato dalla tromba delle scale per 4-5 metri andando a sbattere con la testa a terra;
          in seguito alla caduta il signor Marra è deceduto sul colpo  –:
          di quali elementi disponga in merito alla dinamica del gravissimo incidente sul lavoro;
          se risultino esserci responsabilità per l'accaduto, e in particolare se risultino essere state osservate le normative relative alla sicurezza sul lavoro. (4-16973)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          secondo quanto denunciato dalla Lila, Lega italiana per la lotta all'Aids, nella traduzione dell'opuscolo redatto dall'Organizzazione mondiale della sanità per i tifosi che tra poco più di un mese si riverseranno in Polonia e Ucraina per i campionati europei di calcio 2012, è stato censurato il condom come mezzo di prevenzione della trasmissione dell'Hiv;
          l'opuscolo dell'Organizzazione mondiale della sanità dice testualmente che «Per evitare il rischio di malattie sessualmente trasmissibili, assicurarsi di usare correttamente il preservativo-femminile o maschile»;
          il 1° dicembre 2011, giornata mondiale di lotta contro l'Aids, prima in conferenza stampa e poi nel mezzo delle proteste per la circolare Rai che chiedeva ai redattori di omettere il termine «preservativo», il Ministro della salute Renato Balduzzi aveva rassicurato sul fatto che «il condom è previsto nei nostri programmi di prevenzione»; la stessa rassicurazione era stata reiterata in Commissione nazionale Aids, dove siede anche la Lega italiana per la lotta contro l'Aids. Nell'opuscolo tradotto in italiano ci si riferisce ad un generico «rapporti protetti» e si trasforma così un'informazione chiara e pragmatica in una sorta di precetto morale; secondo la Lila gli unici rapporti protetti sono quelli che prevedono l'uso del preservativo (il preservativo maschile e anche quello femminile), l'unico mezzo meccanico che garantisce, se usato correttamente, la protezione dall'Hiv e dalle altre malattie sessualmente trasmissibili  –:
          per quale motivo nella traduzione in italiano dell'opuscolo dell'Organizzazione mondiale della sanità sia scomparsa la parola preservativo;
          quanti siano i casi di trasmissione dell'infezione dell'Hiv negli ultimi anni in Italia;
          se non ritenga che censurare la parola «preservativo» dai documenti realizzati con l'obiettivo di prevenire la trasmissione delle malattie sessualmente trasmissibili sia inutile e dannoso. (5-07414)


      BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          i primi giorni di marzo 2012 un ragazzo gay di origine brasiliana R.F., di 24 anni si è recato accompagnato da Massimo Frana, un rappresentante dell'Associazione radicale Certi Diritti, all'ospedale di Roma, Policlinico Umberto I, per effettuare una visita medica;
          dopo alcune analisi viene diagnosticato che è affetto da sifilide;
          il medico del servizio malattie sessualmente trasmissibili, Professor Salvatore Sala, gli prescrive il Benzetacil, farmaco a base di penicillina; secondo informazioni lì raccolte il farmaco, non mutuabile, è stato ritirato da parecchio tempo in tutta Italia e si trova solo all'estero;
          il ragazzo accompagnato da Massimo Frana si reca, quindi, presso la Farmacia dello Stato della Città del Vaticano dove le fiale di Benzetacil costano l'una 25 euro;
          la prescrizione medica prevede 30 fiale, quindi il costo complessivo sarebbe stato di 750 Euro; secondo quanto detto dal medico della Farmacia esiste anche una versione di quelle fiale senza anestetico al costo cadauna di 6 euro; il ragazzo quindi acquista il medicinale più doloroso e meno costoso per una spesa complessiva di 180 Euro;
          lo stesso farmaco in Italia oltre un anno fa veniva venduto a 2 euro a fiala;
          dopo aver provveduto all'acquisto del farmaco il giovane si reca presso l'ospedale San Giovanni di Roma per iniziare le iniezioni ma gli viene detto di recarsi all'Ambulatorio della Croce Rossa dove però gli viene detto che l'ambulatorio non esiste più da diverso tempo;
          il ragazzo contatta quindi l'Ospedale San Giovanni per chiedere se l'iniezione la può fare la Guardia Medica ma la risposta che riceve testualmente che: «Qui non facciamo queste cose, cerchi un infermiere privato»;
          il ragazzo, trovandosi in una situazione sempre più elevata di disagio, si reca il giorno dopo al Policlinico, dove, grazie al volontario aiuto di una infermiera riesce ad avviare la cura a base di iniezioni  –:
          se sia vero che il farmaco contro la sifilide è introvabile nelle farmacie italiane e si trova ad un prezzo maggiorato di almeno 10 volte nella farmacia dello Stato della Città del Vaticano;
          per quale ragione lo stesso farmaco non risulterebbe nemmeno mutabile;
          quanti casi di sifilide siano stati registrati in Italia negli ultimi cinque anni e se sia vero che il trend della diffusione della malattia è in crescita;
          quali campagne di informazione finalizzate alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili sono state promosse nelle scuole e negli ambienti di lavoro e socialità;
          se risulti che nelle strutture sanitarie non si fanno iniezioni in casi di necessità, pur avendo i pazienti il farmaco e la prescrizione medica. (5-07418)

Interrogazione a risposta scritta:


      POLLEDRI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          sono particolarmente diffuse sugli organi di stampa le notizie relative al cosiddetto «test di paternità», cioè il test effettuato per accertare se un uomo sia il padre biologico di un altro individuo o meno;
          tale test viene attuato attraverso l'analisi ed il confronto del DNA degli individui in causa;
          secondo le notizie della stampa il test avrebbe raggiunto una notevole diffusione e avrebbe fornito dati statistici affatto trascurabili secondo i quali il 10 per cento dei figli sarebbero illegittimi;
          come stabilisce la dichiarazione di Helsinki, pietra angolare dell'etica della ricerca umana, sviluppata dalla World Medical Association nel 2000 e successivamente leggermente modificata, il progresso medico è fondato sulla ricerca e, nella ricerca su soggetti umani, le considerazioni correlate con il benessere del soggetto umano devono avere la precedenza sugli interessi della scienza;
          nel caso del test di paternità l'oggetto dell'analisi, cioè il bambino/figlio pare non avere la necessaria attenzione marcando pertanto un significativo spread tra il livello della privacy cui ha diritto l'adulto e quello che, invece, spetterebbe al figlio;
          l'Autorità garante per la protezione dei dati personali, con un provvedimento del novembre 2008, ha stabilito che se non è indispensabile in sede giudiziaria, non si può effettuare il test di paternità (e maternità) senza il consenso del figlio  –:
          se il Governo intenda assumere iniziative normative per disciplinare tale test, nuovo strumento della scienza medica, garantendo che i progressi scientifici e le esigenze degli adulti non compromettano il necessario diritto alla riservatezza dei figli. (4-16968)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      CODURELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          da notizie di stampa si apprende che Poste Italiane sta varando un nuovo piano di tagli. Nei giorni scorsi ha inviato all'autorità garante delle comunicazioni un dossier contenente il piano di riorganizzazione la cui ricaduta occupazionale per la chiusura degli sportelli coinvolgerebbe secondo alcune stime circa 3.000 dipendenti, 2.000 attualmente in forza negli uffici a rischio chiusura e 1.000 in quelli destinati ad essere razionalizzati;
          1.150 sarebbero gli uffici da chiudere e quasi 650 quelli da razionalizzare attraverso una riduzione di orario di apertura al pubblico nei prossimi mesi;
          la lista degli uffici postali finiti nel mirino, sarebbe stata redatta solo sulla base dei costi/ricavi valutati caso per caso;
          secondo l'azienda gli uffici presenti nell'elenco incriminato «fanno parte di una lista che sono obbligati a inviare ogni anno all'autorità di riferimento, cioè all'Agcom». Sono però sportelli sotto i parametri di economicità e per evitarne la chiusura poste Italiane sta trattando con gli enti locali per trasformarli in centri multiservizi;
          nella regione Lombarda gli uffici interessati alla riorganizzazione sarebbero 82 con oltre 21 mila dipendenti, con altri 600 con aperture a singhiozzo e altri 1.000 esuberi nel recapito:
              a) nella provincia di Lecco sarebbero 4 gli uffici a rischio di chiusura: Cremeno, Oliveto Lario, Onno, Limonta;
              b) nella provincia di Sondrio sarebbero 5: Le Prese Sondalo, Ravoledo Grosio, Tresenda Teglio, San Pietro Samolaco, Santa Caterina Valfurva;
              c) Bergano e Cremona 3, Brescia 16, Busto 2, 7 a Como, 1 a Lodi, 26 a Mantova, 1 a Milano, 1 a Monza, 2 a Pavia, 6 a Varese;
          la politica meramente improntata al rapporto tra costi e ricavi, adottata di fatto dall'azienda, rischia di tradursi in una pesante penalizzazione per il territorio, sopratutto di quello montano, e/o lontano dai centri urbani medio-grandi in pieno contrasto con il contenuto del decreto legislativo n.  58 del 31 maggio 2011 di recepimento della direttiva 2008/6/CE, che modifica la direttiva 96/67/CE per quanto riguarda il pieno completamento del mercato interno dei servizi postali, dispone che «è assicurata la fornitura del servizio universale e delle prestazioni in esso ricomprese, di qualità determinata, da fornire permanentemente in tutti i punti del territorio nazionale, incluse le situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali e montane, a prezzi accessibili all'utenza» e che «il servizio universale è affidato a Poste Italiane spa per un periodo di quindici anni» a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di attuazione della direttiva 2008/6/CE. Ogni cinque anni il Ministero dello sviluppo economico verifica, sulla base di un'analisi effettuata dall'autorità di regolamentazione, che l'affidamento del servizio universale a Poste Italiane spa sia conforme ai criteri di cui alle lettere da a) ad f) del comma 11 dell'articolo 3 e che nello svolgimento dello stesso si registri un miglioramento di efficienza, sulla base di indicatori definiti e quantificati dall'autorità. In caso di esito negativo della verifica di cui al periodo precedente, il Ministero dello sviluppo economico dispone la revoca dell'affidamento»;
          con ordine del giorno n.  9/54-A3 accolto dal Governo nella seduta del 5 aprile 2011, in sede di esame della proposta di legge atto Camera n.  54 «Disposizioni per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni», approvato dalla Camera in data 5 aprile 2011, si impegnava il Governo «a tutelare il diritto dei cittadini italiani ad avere un servizio postale universale, ossia diffuso su tutto il territorio nazionale, mediante un rigoroso e costante controllo del rispetto degli obblighi sottoscritti dalle parti in causa con il contratto di programma per quel che riguarda l'erogazione del servizio postale e la sua rimodulazione, in modo tale che venga tutelato il primario e ineludibile interesse dei cittadini;
          l'ipotesi di chiusura di uffici postali presenti nei piccoli centri di provincia sarebbe oltre ad essere un enorme disagio per tutte quelle persone, anziani, pensionati, e altri, che non hanno la possibilità di spostarsi in altri luoghi per il disbrigo delle pratiche ordinarie, per il pagamento delle pensioni o delle utenze, soprattutto perché trattasi di quella parte di popolazione che non accede a internet;
          in un momento di crisi come questo l'efficacia, molto c’è da migliorie in molte realtà, dei servizi postali è un elemento essenziale. I tagli sottoporrebbero invece i cittadini e le imprese ad ulteriori disagi, peggiorando anche l'efficienza degli altri sportelli;
          provvedimenti di questa entità non possono essere diktat imposti agli enti locali con una semplice comunicazione, magari in extremis. Ad avviso dell'interrogante chiarezza e trasparenza sono indispensabili alla luce del rispetto del contratto di servizio in essere  –:
          se non reputino urgente i Ministri interrogati intervenire, avviando un dialogo con Poste italiane al fine di poter avere immediati chiarimenti dalla dirigenza sul piano in oggetto e sugli effetti che ricadrebbero sull'occupazione e sul servizio. (5-07400)


      FEDRIGA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          dopo la vicenda della Stock Spirit Group e della chiusura della fabbrica di via Caboto, segnando la fine di un impero durato 128 anni e destinato oramai alla totale delocalizzazione ad Est, un altro storico marchio rischia di chiudere i battenti: lo stabilimento di via Muggia del salumificio Duke Grandi Marche;
          la Duke, si ricorda, è una Spa attiva sul mercato da 46 anni, testimone della tradizione del cotto caldo col Kren, che a causa della crisi probabilmente dal prossimo 16 luglio – stando a notizie di stampa – dovrà sospendere le attività di produzione e vendita per problemi di liquidità e per la sessantina circa di dipendenti si prospetta un anno di cassa integrazione guadagni straordinaria a zero ore;
          a lasciare un barlume di speranza nella possibilità di salvare l'azienda è la circostanza che – a differenza della Stock, la cui proprietà italiana è stata ceduta all'estero ed il gruppo è stato creato con il sostegno finanziario del fondo americano «Oaktree Capital Management» – nel caso della Duke la proprietà non è un fondo d'investimenti impersonale, bensì un imprenditore, Francesco Prioglio, che ha tutte le intenzioni di scongiurare una sentenza di morte;
          il problema che investe la Duke, infatti, non è di natura industriale né produttiva, bensì solo di liquidità immediata, mancanza di cash per via della stretta delle banche sui fidi concessi e concedibili e della parallela insolvenza per milioni di euro di alcuni grandi clienti, tra cui un paio di grossisti del Sud;
          trattasi del classico circolo vizioso di crisi che genera crisi; l'azienda continua a ricevere ordini, ma non ha soldi a sufficienza per acquistare le materie prime (i maiali), per cui non può fare i propri prodotti (i salumi) e dunque non può vendere per rientrare degli investimenti  –:
          se e quali urgenti iniziative di competenza il Governo intenda adottare affinché i prestiti agevolati al sistema bancario italiano da parte della BCE siano prioritariamente destinati alla concessione di credito e liquidità alle piccole e medie imprese e, con riguardo alla vicenda esposta in premessa, quali urgenti iniziative intenda intraprendere a salvaguardia dell'apparato economico ed occupazionale triestino. (5-07401)


      BOCCI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il piano di riorganizzazione inviato da Poste Italiane all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni prevede la chiusura di più di mille uffici postali in tutta Italia;
          in Umbria è prevista la soppressione di circa cinquanta uffici e questa notizia sta creando grande allarme presso le istituzioni locali e la cittadinanza. In queste ore molti sindaci di piccoli comuni, e anche consiglieri regionali, si stanno mobilitando per scongiurare questa eventualità;
          l'Umbria è una regione caratterizzata dalla presenza di un gran numero di piccoli comuni, frazioni, realtà di montagna che vivono già condizioni di disagio e sono a rischio di spopolamento;
          molti di questi sono borghi storici che, con grande impegno delle amministrazioni locali, cercano di mantenere viva la loro tradizione culturale e artistica e di sviluppare un'offerta turistica che possa rappresentare un volano per lo sviluppo di questo prezioso territorio;
          in questo contesto, la chiusura degli uffici postali periferici rischia di creare gravi disagi alle popolazioni e in particolare alle persone più anziane e con più difficoltà di spostamento  –:
          se non ritenga opportuno assumere iniziative per sospendere temporaneamente il provvedimento di chiusura degli uffici e avviare un confronto con le istituzioni locali e l'amministrazione regionale, per ragionare su una razionalizzazione del servizio postale che limiti i disagi per la popolazione, tenendo conto della specificità del territorio e dei suoi insediamenti. (5-07413)


      PICIERNO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          dal febbraio 2011 a tutt'oggi nelle frazioni a ovest del comune di Teano i cittadini residenti subiscono gravi disagi dovuti alla mancanza di linea telefonica. La causa dell'interruzione del servizio di comunicazione era stata individuata nel furto di cavi telefonici lungo la linea Telecom proveniente da Teano;
          è del 10 luglio 2012 la notizia dell'arresto di due persone di nazionalità romena, eseguito dai carabinieri della stazione di Teano, mentre erano intenti a tagliare e rubare cavi della linea telefonica Telecom;
          da quanto emergerebbe, però, dalle testimonianze di alcuni cittadini residenti nel comune di Teano, i disservizi telefonici sarebbero da imputare piuttosto a un'insufficienza e inidoneità a garantire copertura telefonica della centralina ubicata nella frazione di San Marco, peraltro a fronte di un eccessivo e ulteriore carico di utenze sulla stessa;
          nonostante i ripetuti reclami e le continue sollecitazioni degli utenti-cittadini, non ci sarebbero state azioni da parte di Telecom Italia finalizzate alla risoluzione del problema, ma, anzi, sarebbero state regolarmente inoltrate le fatture relative al conto telefonico, sebbene i residenti nelle frazioni comunali interessate dai disservizi non usufruissero del servizio telefonico da oltre un anno e mezzo;
          all'interruzione della linea telefonica consegue la mancanza di collegamento internet, che ha comportato, per periodi più o meno lunghi, la sospensione del servizio erogato dall'ufficio postale nella frazione di San Marco, le cui prestazioni sono state assolte dall'ufficio postale di Teano;
          la situazione descritta continua a causare ingenti danni di natura economica alle attività commerciali nelle frazioni ad ovest del comune di Teano, in specie quelle legate all'efficienza del servizio internet;
          in merito alle attività commerciali che subiscono i disservizi sopraindicati, l'interrogante ritiene di evidenziare la vicenda del signor T.D.T., titolare di una tabaccheria e ricevitoria autorizzata alla raccolta del gioco del lotto, vittima di un'insopportabile ingiustizia. Il 3 aprile 2012, difatti, il D.T., riceveva una raccomandata postale dall'AAMS che notificava un avviso di violazione della legge 23 dicembre 1994, n.  724, e degli articoli 1 e 2 della disciplinare annessa alla concessione, relativa al mancato versamento delle somme raccolte per il gioco del lotto nella settimana contabile del 6 marzo 2012: in sostanza, la somma di denaro presente sul conto corrente del titolare della tabaccheria non era stata sufficiente per la copertura del RID e, dunque, il pagamento in favore dei Monopoli di Stato non era andato a buon fine;
          in situazioni di normalità e senza i problemi di comunicazione dovuti ai disservizi della linea telefonica, qualora si fosse verificato un episodio del genere, Lottomatica spa avrebbe informato telefonicamente l'esercente del problema, il quale, a sua volta, avrebbe potuto effettuare il pagamento mediante bonifico, senza ulteriori conseguenze. Nel caso specifico, invece, non essendo stato possibile contattare telefonicamente il titolare della tabaccheria, il problema non gli è stato prontamente portato all'attenzione, protraendosi per le tre settimane contabili successive;
          nell'arco di un biennio sono tollerate al massimo tre «infrazioni» del genere, ma il signor D.T. si è trovato incolpevolmente a violare tre volte, consecutivamente, la regola citata. La sanzione prevista in questi casi è la revoca della concessione alla raccolta del gioco del Lotto, e la stessa è stata applicata al D.T.;
          da quanto si apprende, sarebbe prevista non solo la revoca della concessione del gioco del Lotto, ma, quale ulteriore sanzione, potrebbe essere revocata la concessione alla vendita di tabacchi;
          gli uffici dell'AAMS di Caserta non avrebbero ritenuto valide le giustificazioni addotte dal signor D.T., nonostante fossero corredate da opportune certificazioni attestanti i gravi disservizi telefonici di una intera comunità, ivi compresa l'attestazione del malfunzionamento della linea da parte dell'Ufficio affari generali, legale e URP del comune di Teano, protocollo n.  183, datata 4 maggio 2012;
          è del tutto evidente l'enorme preoccupazione del D.T. e dei suoi familiari circa il proprio futuro, dovuta all'incerta prospettiva di revocazione, oltre alla concessione della raccolta del gioco del Lotto, anche della concessione alla vendita di tabacchi, che provocherebbe il venir meno dell'unica fonte di sostentamento di un'intera famiglia  –:
          se si sia a conoscenza dei gravi disagi patiti da intere porzioni di territorio nel comune di Teano, descritte in premessa, e se si intendano mettere in atto iniziative utili, per quanto di competenza, per una rapida risoluzione di questa incomprensibile e intollerabile situazione di disagio;
          se e quali iniziative, il Ministro dell'economia e delle finanze, intenda assumere, per quanto di sua competenza, e d'intesa con l'AAMS, per scongiurare un gravissimo e sproporzionato atto di ingiustizia quale quello descritto in premessa. (5-07436)

Interrogazioni a risposta scritta:


      PISICCHIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          da martedì 3 luglio, 3 unità di personale (sulle 6 in organico del Ministero dello sviluppo economico) sono state allontanate dalla sala stampa italiana, presso Palazzo Marignoli, in piazza S. Silvestro 13, e destinate ad altro incarico con effetto immediato;
          a seguito della disposizione del Ministro, pertanto, da mercoledì 4 luglio l'orario di apertura della sala stampa si riduce drasticamente: il personale dovrebbe chiudere la sede intorno alle 15,30 con effetti negativi sui giornalisti che lì lavorano. Per il futuro, la situazione non cambierebbe: la sala stampa chiuderebbe tra le 15,30 e le 17, oltre che l'intera giornata del sabato e della domenica;
          è di tutta evidenza come tali orari appaiano inconciliabili con le esigenze dei giornali e dei giornalisti;      
          da parte dei giornalisti giunge la sollecitazione del passaggio delle competenze dal Ministero alla Presidenza del Consiglio dei ministri, così come avvenuto per la sala stampa estera e la richiesta del ripristino dell'organico necessario ad un normale ed efficiente funzionamento della struttura;
          è opportuno ricordare che in sala stampa lavorano abitualmente giornalisti in servizio, tra le altre, alle testate Il Secolo XIX, Quotidiano Nazionale (Giorno, Nazione, Resto del Carlino), Il Sole24Ore, Gruppo Aga (Arena Verona, Bresciaoggi, Giornale di Vicenza, Incittà Verona, IncittàBrescia, IncittàVicenza), La Gazzetta del Mezzogiorno, La Sicilia, Il Corriere del Mezzogiorno, Editoriale Trasporti, oltre a giornali online (First online, Ogginotizie). La sala stampa dà inoltre ospitalità a colleghi occasionalmente impegnati in servizi nella Capitale. Quotidianamente, a Palazzo Marignoli sono impegnati almeno settanta giornalisti;
          la decisione del Ministero rischia di pregiudicare gravemente la possibilità di lavoro dei giornalisti e, inoltre, si prefigura come l'anticipazione di ulteriori pesanti misure (dal Ministero si è lasciato trapelare che entro dicembre saranno allontanate anche le ultime 3 unità rimaste in servizio) verso una ipotizzata assoluta inagibilità della struttura, che così rischia la chiusura dopo quasi cento anni di vita al servizio dell'informazione. Saranno inevitabili gravi riflessi anche sul piano occupazionale, segnando così una incomprensibile disparità di trattamento con i colleghi della stampa estera ai quali viene garantita, in altra sede, la possibilità di fare il loro lavoro  –:
          quali urgenti misure il Ministro interrogato intenda assumere per consentire il normale prosieguo dell'attività giornalistica nella storica sala stampa di piazza S. Silvestro. (4-16966)


      DI BIAGIO, GRANATA e TOTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la tragedia della Costa Concordia, avvenuta nella notte del 13 gennaio 2012 presso l'isola del Giglio in Toscana si configura come uno degli eventi più drammatici della storia italiana recente in virtù del numero di vittime coinvolto, delle opacità procedurali che sottendono l'incidente e per i riflessi economici e ambientali che siffatto incidente sta determinando nel Paese e segnatamente nell'area direttamente coinvolta;
          un'associazione temporanea di imprese – comprendente le società piombinesi Bertocci, Siderpiombino, Gb e Comip – aveva provveduto a sottoporre alla Costa Crociere, un progetto per la realizzazione della piattaforma marina di sostegno per la messa in sicurezza della nave Concordia per un valore di circa un milione di euro: il progetto prevede la costruzione di cinque piattaforme per il sostegno dello scafo della nave durante le operazioni di raddrizzamento;
          dalle informazioni diramate a mezzo stampa, risulta che la Loc – Assicurazione della società americana che detiene la Costa Crociere –, abbia optato per l'affidamento del suddetto incarico alla Fincantieri s.p.a. azienda pubblica italia, controllata da Fintecna, società finanziaria italiana a sua volta controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze;
          l'affidamento dell'intero appalto a Fincantieri, di cui gli interroganti al momento ignorano le ragioni, rischia di escludere dalla dinamiche di partecipazione e di messa in sicurezza dell'area quelle società che sono operative nella stessa e che – conoscendo il territorio e avendo adeguati strumenti per operare – avrebbero di certo garantito maggiore efficienza in una condizione di trasparenza ed efficacia;
          sebbene i referenti istituzionali della regione siano favorevoli all'appalto unico alla società di Stato, hanno ventilato l'ipotesi di considerare Fincantieri come capo-commessa dell'appalto non negando l'ipotesi di un coinvolgimento di altre aziende toscane nelle varie fasi di intervento;
          non sussistendo al momento alcun tipo di vincolo in capo a Fincantieri di procedere con subappalti di parte di lavori alle aziende toscane, in primis quelle di Piombino, emerge in capo agli interroganti il dubbio che la società di Stato possa procedere con i lavori in forma autonoma e discrezionale coinvolgendo magari altre società ed escludendo di fatto quelle imprese del territorio che in più occasioni hanno manifestato l'intenzione di contribuire al risanamento dell'area;
          sebbene non si intenda mettere in discussione il coinvolgimento di Fincantieri, si intende piuttosto esorcizzare l'ipotesi che con il contratto unico di affidamento la società di Stato si senta libera di gestire i lavori in piena discrezionalità eventualmente rimettendo gli stessi e i relativi subappalti ad altre società, anche in considerazione delle attuali criticità che sembrano condizionare la società di Stato sul versante dei tempi di consegne e modalità di esecuzione dei lavori;
          il capo della protezione civile Gabrielli in data 4 luglio 2012 ha evidenziato che i lavori di messa in sicurezza della Nave Concordia, in particolare le procedure di raddrizzamento della struttura, – attività che originariamente avrebbero coinvolto le società piombinesi – inizieranno a partire dal 31 agosto;
          appare opportuno evidenziare che l'esclusione delle imprese toscane dalle dinamiche di affidamento dei lavori rischia di creare un ulteriore elemento di criticità economiche e operative per le tante imprese che già vivono un’impasse economica, segnatamente sul versante siderurgico;
          sarebbe auspicabile garantire il coinvolgimento delle aziende toscane nelle attività di messa in sicurezza della nave almeno attraverso la formula operativa del subappalto da parte di Fincantieri, al fine di consentire alle aziende del territorio di essere parte attiva del risanamento e della rinascita e per contribuire al rinvigorimento del tessuto economico di un'area pesantemente vessata dalla tragedia di gennaio e dalla congiuntura economica non semplice  –:
          quali iniziative di competenza si intendano intraprendere al fine di garantire il coinvolgimento delle aziende toscane nel progetto di recupero della nave Concordia, anche attraverso dinamiche di subappalto da parte di Fincantieri. (4-16969)

Apposizione di firme ad una interpellanza.

      L'interpellanza urgente Mogherini Rebesani e altri n.  2-01593, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 luglio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Touadi, Baretta, D'Incecco.

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

      Si pubblica il testo riformulato della mozione Renato Farina n.  1-01029, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n.  628 dell'8 maggio 2012.

      La Camera,
          premesso che:
              ripetuti gravissimi episodi di violenza che hanno di mira le comunità cristiane hanno di nuovo sconvolto nei giorni scorsi l'Africa. Ormai, dall'inizio dell'anno, ogni domenica è segnata, negli Stati del Nord della Nigeria e in Kenia, dall'aggressione contro inermi fedeli che partecipano alle celebrazioni liturgiche. Secondo fonti autorevoli (si vedano le cifre fornite da Domenico Quirico su La Stampa, 11 giugno 2012) soltanto in Nigeria sono più di seicento le vittime mietute nella comunità cristiana nel corso di questa escalation dei terroristi islamici del gruppo Boko Haram, ideologicamente e organizzativamente prossimo ad Al Qaeda. Questa fazione, che nel gennaio 2012 aveva ucciso in un attacco almeno 160 persone a Kano, ha rivendicato gli attacchi susseguitisi con cadenza ininterrotta fino a domenica 17 giugno, ed oggi è congiunta strategicamente con analoghe formazioni che occupano di fatto buona parte del Mali e importanti città della Mauritania, e stanno allargando le loro zone d'influenza nell'Africa sub-sahariana;
              tra sabato e domenica 7 e 8 luglio gruppi di uomini armati hanno attaccato numerosi villaggi cristiani nei pressi del capoluogo di Plateau, Jos. Secondo le informazioni della BBC, si tratta dei villaggi di Dogo, Kai, Kakuruk, Kuzen, Kogoduk, Kpapkpiduk, Kufang, Ngyo e Ruk. Durante i funerali delle prime vittime, sono stati uccisi da uomini armati, il senatore cristiano di Nord Plateau, Gyang Dantong, e anche il capo della maggioranza parlamentare dello Stato, Gyang Fulani;
              in una chiesa del villaggio di Matsai sono stati trovati i corpi carbonizzati di una cinquantina di persone, e i morti sarebbero, secondo fonti accreditate, almeno 135. Dopo che inizialmente la strage era stata attribuita ad un conflitto etnico, il 10 luglio il portavoce di Boko Haram, Abu Qaqa, ha diffuso un comunicato in cui si afferma che è stato il gruppo islamista a decidere e praticare le stragi aggiungendo che gli attacchi contro i cristiani nigeriani continueranno;
              secondo quanto affermato in questo documento, «i cristiani in Nigeria devono accettare l'Islam, che è la vera religione, altrimenti non avranno mai pace». Nel suo proclama Boko Haram ringrazia Dio per il massacro: «Lodiamo Dio nella sua guerra per il Profeta Mohamed, ringraziamo Allah per il riuscito attentato nello Stato di Plateau contro i cristiani e le forze dell'ordine»;
              il 1o luglio due attentati hanno causato 17 vittime e almeno 45 feriti gravi tra i fedeli presenti alla messa domenicale nella città keniana di Sarissa, a un centinaio di chilometri dal confine somalo. Questo duplice attacco si ritiene opera degli Shabab, i talebani somali, e fa seguito a un altro agguato terroristico perpetrato in una chiesa di Nairobi il 29 aprile scorso;
              i fatti più recenti illustrano l'infame strategia dei terroristi in Nigeria. Cinque chiese in città diverse sono state assaltate in sequenza. In particolare a Zaria, nello Stato di Kaduna, un commando a colpi di granata ha assassinato quattro bambini che giocavano all'esterno di una chiesa. Gli autori di questo atto orribile sono stati circondati e linciati dalla folla. E la rappresaglia si è estesa coinvolgendo musulmani senza colpa. La logica del Boko Haram, innestandosi anche su divisioni tribali, è proprio quella di esasperare la comunità cristiana, che è una fortissima minoranza, e spingerla all'emigrazione o comunque a reazioni indiscriminate per determinare l'esplosione di una vera e propria guerra civile che esasperi la situazione già tesa per l'imposizione della legge islamica a tutti i cittadini;
              «La Chiesa, specie quella cattolica, è un obiettivo perché, agli occhi dei fanatici di Boko Haram, rappresenta quella cultura e quei valori occidentali che essi affermano di combattere, in particolare l'istruzione occidentale», ha detto il presidente della Conferenza episcopale della Nigeria, monsignor Ignatius Ayau Kaigama;
              a questi casi eclatanti si somma in Paesi del vicino e medio Oriente nonché dell'Asia profonda la quotidiana e progressiva pratica silenziosa di omicidi confessionali e l'induzione all'espatrio dei fedeli delle antiche Chiese apostoliche, determinata oltre che dallo stillicidio cruento, dalla compressione crescente degli spazi di presenza e libertà per le minoranze cristiane in numerosi Paesi dell'Asia;
              non si tratta di episodi isolati, ma di un'aggressione sistematica alla libertà religiosa, «madre di tutte le libertà», come già affermato nella Risoluzione unitaria Mazzocchi ed altri del 12 gennaio 2011. In essa si denunciava la «cristianofobia» e si chiedeva l'intervento ad ogni livello del Governo e delle istanze internazionali per garantire i diritti umani e tra essi specificamente quello della libertà di religione;
              da allora la pratica di omicidi singoli o di massa di cristiani lungi dall'essere abbandonata, è cresciuta di intensità e di qualità. Basti solo segnalare l'omicidio di Shabhaz Bhatti, Ministro per le minoranze in Pakistan, assassinato da un commando di terroristi islamici a Islamabad il 2 marzo del 2011, per la sua strenua difesa in particolare di Asja Bibi, una donna condannata a morte per «blasfemia»;
              in Iraq è in corso una vera e propria pulizia etnica, che si attua con rapimenti e assassini selettivi, così da indurre alla diaspora una comunità che preesisteva all'Islam. Lo stesso rischia di accadere alla comunità copta in Egitto;
              la persecuzione ai danni dei cristiani e ogni persecuzione religiosa sono intollerabili non solo da un punto di vista confessionale, ma soprattutto in ragione della garanzia e della tutela della giustizia e della libertà di tutti;
              occorre assumere iniziative perché queste vittime non siano oltraggiate, oltre che dalla barbara uccisione, anche con il silenzio e l'indifferenza,

impegna il Governo:

          ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché la persecuzione contro i cristiani sia considerata un'emergenza internazionale gravissima in ogni consesso e diventi oggetto di condanna esplicita, e di interventi coordinati ed efficaci da parte delle autorità e delle organizzazioni sovranazionali e internazionali;
          ad intraprendere in particolare, nel caso della Nigeria, una decisa azione nell'ambito dell'Onu, dell'Unione europea e del Consiglio d'Europa per tutelare, con idonei strumenti di «soccorso umanitario», la popolazione civile nei beni supremi della vita e della libertà religiosa.
(1-01029)
(ulteriore nuova formulazione) «Renato Farina, Tempestini, Allasia, Adornato, Di Biagio, Evangelisti, Moffa, Misiti, Mosella, Antonione, Belcastro, Pianetta, Baldelli, Craxi».

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo ex articolo 134, comma 2, del Regolamento.

      I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
          interrogazione a risposta scritta Touadi e Villecco Calipari n.  4-02983 del 13 maggio 2009 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07332;
          interrogazione a risposta scritta Touadi n.  4-03975 del 14 settembre 2009 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07334;
          interrogazione a risposta scritta Touadi n.  4-06374 del 4 marzo 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07335;
          interrogazione a risposta scritta Touadi n.  4-06914 del 27 aprile 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07340;
          interrogazione a risposta scritta Touadi n.  4-08127 del 22 luglio 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07341;
          interrogazione a risposta scritta Touadi n.  4-08524 del 14 settembre 2010 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07342;
          interrogazione a risposta scritta Touadi n.  4-10586 del 25 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07343;
          interrogazione a risposta scritta Touadi n.  4-10638 del 31 gennaio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07344;
          interrogazione a risposta scritta Touadi n.  4-10701 del 2 febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07372;
          interrogazione a risposta scritta Touadi e Melis n.  4-10804 del 9 febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07373;
          interrogazione a risposta scritta Touadi n.  4-10837 del 15 febbraio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07374;
          interrogazione a risposta scritta Touadi e Garavini n.  4-11167 dell'8 marzo 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07375;
          interrogazione a risposta scritta Touadi e Garavini n.  4-11314 del 23 marzo 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07376;
          interrogazione a risposta scritta Touadi e Villecco Calipari n.  4-11659 del 19 aprile 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07377;
          interrogazione a risposta scritta Touadi n.  4-11775 del 3 maggio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07378;
          interrogazione a risposta scritta Touadi n.  4-11886 del 17 maggio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07379;
          interrogazione a risposta scritta Touadi e Tullo n.  4-12049 del 24 maggio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07380;
          interrogazione a risposta scritta Touadi e altri n.  4-12052 del 24 maggio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07381;
          interrogazione a risposta scritta Touadi n.  4-12675 del 13 luglio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07382;
          interrogazione a risposta scritta Touadi n.  4-12699 del 14 luglio 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07383;
          interrogazione a risposta scritta Touadi e Garavini n.  4-13291 del 26 settembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07384;
          interrogazione a risposta scritta Touadi e altri n.  4-13724 del 26 ottobre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07385;
          interrogazione a risposta scritta Touadi n.  4-13884 del 12 novembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07345;
          interrogazione a risposta scritta Touadi n.  4-14267 del 20 dicembre 2011 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07349;
          interrogazione a risposta scritta Touadi e Veltroni n.  4-14480 del 12 gennaio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07351;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15643 dell'11 aprile 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07434;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15644 dell'11 aprile 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07433;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15647 dell'11 aprile 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07432;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15648 dell'11 aprile 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07431;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15649 dell'11 aprile 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07430;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15656 dell'11 aprile 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07429;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15680 del 12 aprile 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07428;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15691 del 12 aprile 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07427;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15696 del 16 aprile 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07426;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15697 del 16 aprile 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07425;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15698 del 16 aprile 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07424;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15699 del 16 aprile 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07423;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15700 del 16 aprile 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07422;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15705 del 16 aprile 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07421;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15753 del 18 aprile 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07420;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15755 del 18 aprile 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07419;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15775 del 19 aprile 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07418;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15801 del 20 aprile 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07417;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15802 del 20 aprile 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07416;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15827 del 26 aprile 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07415;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15898 del 3 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07414;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15917 del 3 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07411;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15927 dell'8 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07410;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15929 dell'8 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07409;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15945 dell'8 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07408;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15946 dell'8 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07407;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15947 dell'8 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07406;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15948 dell'8 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07405;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15949 dell'8 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07404;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15954 dell'8 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07403;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15955 dell'8 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07402;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-15956 dell'8 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07398;
          interrogazione a risposta scritta Touadi e altri n.  4-15970 dell'8 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07353;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16003 del 10 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07396;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16046 del 14 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07395;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16049 del 14 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07394;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16064 del 15 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07393;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16065 del 15 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07392;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16129 del 17 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07391;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16130 del 17 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07390;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16183 del 21 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07389;
          interrogazione a risposta scritta Touadi e Veltroni n.  4-16233 del 23 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07347;
          interrogazione a risposta scritta Touadi n.  4-16245 del 24 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07356;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16250 del 24 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07388;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16251 del 24 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07387;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16252 del 24 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07386;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16284 del 28 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07371;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16285 del 28 maggio 2012 in interrogazione a risposta immediata in Commissione n.  5-07370;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16302 del 28 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07369;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16308 del 28 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07368;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16311 del 28 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07367;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16336 del 30 maggio 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07366;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16384 del 4 giugno 2012 in interrogazione a risposta immediata in Commissione n.  5-07365;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16385 del 4 giugno 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07364;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16386 del 4 giugno 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07363;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16387 del 4 giugno 2012 in interrogazione a risposta immediata in Commissione n.  5-07362;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16407 del 4 giugno 2012 in interrogazione a risposta immediata in Commissione n.  5-07361;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16414 del 5 giugno 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07360;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16416 del 5 giugno 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07358;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini n.  4-16433 del 5 giugno 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07357;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16474 del 6 giugno 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07355;
          interrogazione a risposta scritta Touadi n.  4-16507 del 7 giugno 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07359;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16627 del 18 giugno 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07354;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16629 del 18 giugno 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07352;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16632 del 18 giugno 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07350;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16633 del 18 giugno 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07348;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16634 del 18 giugno 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07346;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16635 del 18 giugno 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07339;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16728 del 26 giugno 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07338;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16731 del 26 giugno 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07337;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini e altri n.  4-16734 del 26 giugno 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07336;
          interrogazione a risposta scritta Bernardini è altri n.  4-16803 del 28 giugno 2012 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-07333.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


      AGOSTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la città di Ascoli Piceno è decorata al valor militare per attività partigiana durante l'occupazione nazi-fascista;
          i valori dell'antifascismo sono sempre stati alla base della cultura democratica della comunità e dei cittadini di Ascoli Piceno;
          la Costituzione italiana sancisce il divieto di qualsiasi attività che possa essere ricondotta al periodo ed all'ideologia fascista;
          l'associazione Casa Pound Italia ha organizzato nella giornata del 25 marzo 2012 presso la sede propria una mostra intitolata «Ascoli Città Fascista»;
          tale associazione anche recentemente in Italia si è distinta per episodi di violenza e di razzismo, estranei alla cultura democratica e repubblicana del nostro Paese;
          tale associazione si definisce «associazione di promozione sociale» mentre sono riconosciute associazioni di promozione sociale tutte quelle associazioni che si attengono alle disposizioni previste dalla legge 7 dicembre 2000 n.  383;
          tale iniziativa (mostra «Ascoli Città Fascista») ha prodotto sconcerto e disorientamento tra l'opinione pubblica cittadina;
          il titolo della mostra e la pubblicità fatta alla stessa lascia presupporre un chiaro intento provocatorio e nostalgico che nulla ha a che vedere con attività storiche e culturali  –:
          se attraverso la prefettura di Ascoli siano state assunte tutte le iniziative delle autorità ed istituzioni competenti in relazione all'iniziativa di cui in premessa;
          se risulti se le autorità di pubblica sicurezza abbiano assunto tutte le informazioni sull'attività cittadina e nazionale dell'associazione Casa Pound Italia e del movimento studentesco «Blocco Studentesco» e se risultino avviate indagini rispetto alle attività di tali movimenti;
          se si intendano mettere in atto iniziative di prevenzione onde evitare possibili problemi di ordine pubblico. (4-15530)

      Risposta. — La vicenda segnalata dall'interrogante è stata attentamente seguita da questa amministrazione per il tramite della prefettura di Ascoli Piceno che, il 23 marzo 2012, ha convocato il Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica al fine di valutare eventuali profili di rischio in ordine alla mostra fotografica organizzata dall'associazione «CasaPound» e coordinare gli opportuni interventi.
      Nel corso della riunione è emerso che la manifestazione si sarebbe tenuta il 25 marzo successivo in un circolo aperto ai soli soci.
      Proprio in relazione a possibili disordini, veniva disposta la sensibilizzazione dei dispositivi di prevenzione con servizi mirati.
      Le Forze di polizia hanno intensificato al massimo l'attività informativa per verificare eventuali iniziative di dissenso.
      L'evento è stato monitorato senza evidenziare alcuna illiceità sotto il profilo giuridico-ordinamentale.
      Al riguardo la questura ha riferito che la manifestazione non ha provocato alcun problema di ordine e sicurezza pubblica.
      La mostra fotografica si è tenuta presso la sede cittadina dalla sezione ascolana «CasaPound» ed aveva ad oggetto una retrospettiva incentrata sulle caratteristiche urbanistiche ed architettoniche della città, con particolare riferimento al periodo «littorio».
      Le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative hanno espresso il proprio dissenso sulla manifestazione ma, tuttavia, durante la fase preparatoria dell'evento non sono state registrate forme di protesta, né sconcerto o disorientamento nella cittadinanza.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      BELLANOVA. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          il 22 giugno del 2009 il comune di Lecce ha bandito il concorso pubblico per esami e titoli per la copertura di n.  6 posti a tempo indeterminato e pieno di istruttore amministrativo contabile categoria C, posizione economica C1 che ad oggi non risulta ancora essere giunto a conclusione;
          le prove scritte di tale concorso si sono tenute il 4 e 5 novembre 2010 e ad oggi i candidati per la mansione prevista sono 414;
          il decreto del Presidente della Repubblica n.  487 del 9 maggio 1994 «Regolamento recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi» all'articolo 11, comma 5, reca testualmente «Le procedure concorsuali devono concludersi entro sei mesi dalla data di effettuazione delle prove scritte o, se trattasi di concorsi per titoli, dalla data della prima convocazione. L'inosservanza di tale termine dovrà essere giustificata collegialmente dalla Commissione esaminatrice con motivata relazione da inoltrare alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica, o all'amministrazione o ente che ha proceduto all'emanazione del bando di concorso e per conoscenza al Dipartimento della funzione pubblica»;
          nonostante le prescrizioni della norma sopracitata le procedure concorsuali in questione hanno subìto e continuano a subire ritardi eclatanti;
          sebbene siano, come da prescrizione sopra riportata, trascorsi i sei mesi previsti la commissione esaminatrice non ha provveduto a giustificare tali eclatanti ritardi attraverso la motivata relazione;
          dagli organi di stampa si apprende che una ulteriore battuta d'arresto al normale svolgimento del concorso sia scaturita dalle dimissioni del presidente della Commissione dottor Domenico Capoccia, che ha abbandonato l'incarico per sostenere l'attuale sindaco alle elezioni di maggio;
          tra i vari rinvii si è dunque arrivati ad espletare il concorso in coincidenza delle elezioni per il rinnovo dell'amministrazione comunale. A tal proposito il sindaco di Lecce, nel corso di una conferenza dei capigruppo nel dicembre 2011 aveva assunto l'impegno a concludere il concorso con la pubblicazione della graduatoria dei vincitori prima della campagna elettorale, impegno che è stato ampiamente disatteso;
          visto il grave momento occupazionale che sta attraversando tutto il Meridione d'Italia ed, in particolare, il Salento, il Partito Democratico, raccogliendo le istanze dei cittadini che temevano la possibilità di una strumentalizzazione del concorso ai fini elettorali, aveva presentato a tal proposito anche un atto di sindacato ispettivo presso il comune che ad oggi risulta ancora inevaso;
          trattandosi di un concorso per trasparenza sarebbe stato opportuno pubblicare l'intero calendario delle prove di tutti i candidati, ma ad oggi si apprende che il comune di Lecce stia, invece, procedendo alla convocazione con un calendario che contiene dodici candidati per seduta  –:
          di quali elementi disponga il Ministro in merito alla vicenda di cui in premessa e quali iniziative di competenza intenda porre in essere. (4-15988)

      Risposta. — Si fa riferimento all'interrogazione relativa alle presunte irregolarità avvenute durante lo svolgimento del concorso pubblico bandito, nel giugno 2009, dal comune di Lecce per la copertura di 6 posti, a tempo pieno e indeterminato, di istruttore amministrativo contabile.
      Al riguardo, dagli elementi emersi a seguito dell'istruttoria avviata dall'ispettorato per la funzione pubblica, si rappresenta quanto segue.
      In primo luogo, in merito al rilievo dell'interrogante circa il ritardo registratosi nell’iter di svolgimento del concorso in questione, sulla base della relazione inviata dal segretario generale del comune di Lecce risulta che l'elevato numero di domande di partecipazione pervenute (circa 2.000) nonché l'assenza di una prova preselettiva hanno, di fatto, condizionato l'andamento della procedura concorsuale, determinandone un allungamento dei tempi di svolgimento.
      Peraltro, nel richiamare la natura ordinatoria del termine di cui all'articolo 11, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica n.  487 del 1994, recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e modalità di svolgimento dei concorsi – citato dall'interrogante – l'amministrazione comunale fa presente che, a causa dell'elevato numero dei candidati ammessi al concorso «lo svolgimento delle prove scritte è avvenuto nella prima data utile comunicata dall'Università del Salento, unico ente in grado di offrire la disponibilità di aule adeguate» successivamente, la valutazione dei titoli posseduti dai partecipanti, la correzione degli elaborati, nonché le operazioni di apertura delle buste anagrafiche ed il conseguente abbinamento con gli elaborati sono stati effettuati dalla commissione esaminatrice nell'arco temporale di un anno (dicembre 2010-dicembre 2011).
      Inoltre, la presenza all'interno della Commissione esaminatrice di due commissari esterni, dipendenti pubblici, ha determinato un rallentamento nello svolgimento delle operazioni concorsuali in considerazione della necessità di conciliare le esigenze degli uffici di appartenenza dei due commissari esterni con le riunioni della commissione.
      Le dimissioni del presidente della commissione e la sua sostituzione hanno poi determinato un ulteriore slittamento a febbraio 2012 dell'inizio delle prove orali nonché il differimento a giugno 2012 della conclusione dell'intera procedura concorsuale.
      In merito alla seconda questione segnalata dall'interrogante, relativa alla mancata pubblicazione di un elenco contenente i nominativi degli ammessi alle prove orali, si evidenzia che, secondo quanto rappresentato dalla citata Amministrazione, «il regolamento concorsuale previsto nel bando non imponeva la pubblicazione sul sito istituzionale dell'elenco di coloro che avevano superato le prove scritte»; la commissione sta quindi «procedendo alla convocazione frazionata, ed in ordine alfabetico, degli ammessi alle prove orali a mezzo raccomandata, tenendo conto della disponibilità dei commissari la cui presenza, per i motivi già esposti, può essere assicurata per non più di due o tre sessioni settimanali».
      Nel merito, alla luce degli elementi forniti dall'amministrazione interessata non risultano profili di interesse tali da rendere esperibili ulteriori iniziative di competenza dell'ispettorato per la funzione pubblica.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione: Filippo Patroni Griffi.


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          nel corso delle recenti vacanze natalizie, si è assistito ad un anomalo rialzo dei prezzi dei carburanti. Secondo i dati diffusi di Quotidiano Energia – le compagnie hanno messo in atto nuovi ritocchi ai listini facendo sì che il costo al litro arrivi a sfiorare l'euro e mezzo;
          la nuova ventata di aumenti ha suscitato la protesta dei consumatori, anche perché arriva nelle stesse ore in cui si profila una schiarita sul fronte delle quotazioni internazionali (il costo al barile è sceso sotto i 90 dollari), in una fase di crisi economica ancora acuta;
          è stato calcolato che, nell'ultimo anno, per la benzina vi sia stato un aumento complessivo di 18 centesimi (da 1,30 di gennaio agli attuali 1,48 euro), con una spesa complessiva degli automobilisti di 1,51 miliardi in più rispetto al 2009. Quanto al gasolio, il maggior costo è stato di 22 centesimi (da 1,14 di gennaio a 1,36 euro al litro oggi) con un aggravio di 3,3 miliardi in più rispetto al 2009;
          nel 2010 quindi, è stato stimato che gli automobilisti hanno speso 4,81 miliardi di euro in più per i carburanti, di cui ben 528 milioni andati a finire nelle casse dell'erario  –:
          se quanto esposto in premessa corrisponda al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti intenda assumere per dare soluzione alle criticità evidenziate, soprattutto per evitare la rapidità nell'innalzare i listini al risalire delle quotazioni del petrolio e la lentezza nel ribassarli quando il prezzo scende, senza che vengano seguite le naturali oscillazioni del prezzo del petrolio. (4-10282)

      Risposta. — Sulla scia della crisi petrolifera che ha interessato, negli ultimi mesi, i mercati internazionali dei prodotti greggi e raffinati, nonché per effetto dell'incidenza che la componente fiscale ha raggiunto sul prezzo finale dei prodotti benzina e gasolio auto, il prezzo alla pompa ha superato, nel corso del 2012 (ed in parte, fine 2011), i valori monitorati nel 2008.
      In particolare, quasi tutti i fondamentali internazionali dei prodotti venduti come carburante per autotrazione, hanno raggiunto e superato i massimi storici della crisi che ha coinvolto il nostro Paese nell'estate 2008: il petrolio di riferimento, brent, ha raggiunto e stabilmente superato i 90 euro al barile, ininterrottamente, tra il 15 febbraio ed il 16 aprile di quest'anno, con il contributo determinante della dinamica del cambio, più debole di quanto registrato nel 2008; quanto, invece, ai singoli prodotti raffinati, monitorati dall'agenzia Platt's (quotazioni internazionali), mentre la benzina ha raggiunto e superato i massimi storici più sopra richiamati, il gasolio si è più volte avvicinato ai propri massimi di prezzo.
      Da aprile 2011, fino a dicembre dello stesso anno, attraverso diversi provvedimenti (successive determinazioni dell'agenzia delle dogane, fino al decreto legge n.  201 del 2011) l'incremento percentuale della componente accisa su benzina gasolio auto, è cresciuta, rispettivamente, del 25 per cento (14 centesimi/litro) e del 40 per cento (+17 centesimi/litro): conseguentemente, il peso fiscale complessivo (accisa ed IVA), considerato l'aumento dell'aliquota IVA ordinaria dal 20 al 21 per cento – settembre 2011, ha raggiunto il 55,3 per cento ed il 51,5 per cento dei prezzi di vendita, per benzina e gasolio auto (dati del 16 aprile 2012).
      Per far fronte a questa contingenza – la crisi non ha colpito solo il settore petrolifero ma, complessivamente ha interessato i principali driver di crescita del nostro Paese e dell'Europa intera – il Governo ha adottato, come noto, provvedimenti strutturali di liberalizzazione dei settori più colpiti, tra cui proprio la distribuzione dei carburanti.
      Attraverso successivi provvedimenti di razionalizzazione del settore, sono state realizzate profonde modifiche e promosse altrettante iniziative, sia con riferimento alla contrattualistica di settore (tipologia e rapporti contrattuali di filiera e rivisitazione del sistema di esclusiva nella fornitura dei prodotti di vendita), sia con riferimento alla struttura complessiva del mercato (attraverso la promozione di sistemi di acquisto centralizzati e possibilità di cessione delle strutture di vendita secondo regole definite anche in via amministrativa), nonché una revisione degli aspetti più propriamente legati alla trasparenza dei prezzi di vendita, attraverso futuri decreti ministeriali che, in attuazione del codice del consumo, semplificheranno e chiariranno la corretta modalità di esposizione dei prezzi nell'ambito della cartellonistica pubblicitaria.
      Accanto a queste già note iniziative, in via amministrativa ed attraverso istituti inclusivi, nel confronto delle parti, il dipartimento per l'Impresa e internazionalizzazione del Ministero dello sviluppo economico, d'intesa con il Garante per la sorveglianza dei prezzi, ha in più circostanze analizzato e controllato la trasmissione e gli effetti delle variazioni dei prezzi petroliferi, nei settori di vendita dei beni di largo consumo per verificare – attraverso un tavolo di confronto sulla trasparenza delle dinamiche dei prezzi, presieduto dallo stesso capo dipartimento e dal Garante – la corretta dinamica nella formazione dei prezzi dei settori più esposti a crisi stagionali, come per i prodotti orticoli e frutta.
      L'attività di monitoraggio allargata a tutti i settori del consumo, si affianca e non sostituisce le verifiche ed i controlli sui prezzi dei prodotti petroliferi, realizzati nell'ambito della commissione tecnica di valutazione delle dinamiche dei prezzi dei carburanti che, dalla sua istituzione, è stata più volte convocata in occasione di verifiche puntuali sulla dinamica dei prezzi nazionali e comunitari dei prodotti benzina e gasolio auto (introduzione della nuova aliquota IVA al 21 per cento nonché specifiche tensioni inflazionistiche sui prezzi industriali dei prodotti, in Italia come in Europa), ovvero apposite richieste di organismi terzi, come l'incontro con la Corte dei conti, nell'ambito di apposite attività d'indagine dell'organo di controllo.
      Di recente, sempre su iniziativa del Garante per la sorveglianza dei prezzi, è stata avviata un'indagine conoscitiva sulla dinamica dei prezzi e la struttura dei mercati dei prodotti GPL e METANO per autotrazione, allo scopo di contrastare eventuali comportamenti speculativi degli operatori, in un settore di più modeste dimensioni quanto a consumi ed utilizzo – rispetto a quello dei carburanti di largo consumo – ma caratterizzato da potenzialità (considerati i prezzi minori ed il minore impatto ambientale) interamente a vantaggio dei consumatori, soprattutto in un periodo di forti tensioni sui prezzi.
      In occasione dei tavoli di confronto organizzati nell'ambito dell'indagine, sarà sollecitata un'azione di maggiore trasparenza sui prezzi di vendita dei prodotti indicati, eventualmente anche attraverso la partecipazione volontaria al monitoraggio ministeriale dei prezzi dei carburanti, ex articolo 51, legge 23 luglio 2009, n.  99.
      Quanto ad attività di controllo puntuale sul territorio, relativo alla corretta esposizione dei prezzi di vendita di benzina e gasolio, nel rispetto del codice del consumo, in avvio della scorsa estate, il Garante per la sorveglianza dei prezzi, con il supporto della Guardia di Finanza, ha realizzato un ciclo di verifiche nei mesi di maggio, giugno e luglio 2011, i cui risultati sono stati pubblicati anche sul sito del Ministero dello sviluppo economico, sezione Garante per la sorveglianza dei prezzi.
      Infine, quanto alla già richiamata attività di monitoraggio dei prezzi di vendita di benzina e gasolio auto che, in attuazione dell'articolo 51, legge sviluppo 2009, è stata avviata lungo le tratte autostradali, ad oggi, la prima fase può ritenersi operativa e a regime, avendo pubblicato i prezzi di tutti i distributori presenti nelle aree di servizio autostradali, ovvero più di 470 punti vendita nazionali. È stata così avviata, in via sperimentale, la successiva fase di monitoraggio, relativa ai prezzi di vendita praticati e comunicati dai distributori presenti lungo le strade statali e tutte le altre strade nazionali.
      Questa ulteriore attività di monitoraggio, avviata su adesione volontaria dei singoli gestori, è stata resa nota alle principali associazioni rappresentative della filiera (settore produzione, fornitura e vendita carburanti, piccola e grande distribuzione), nonché segnalata, attraverso una recente nota del Garante per la sorveglianza dei prezzi, al Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti, organo di raccordo delle principali associazioni nazionali dei consumatori: quanto ai risultati di questo ulteriore monitoraggio, i dati di prezzo potranno essere pubblicati sul sito del Ministero dello sviluppo economico – sezione osservatorio prezzi e tariffe, solo se e quando raggiungeranno un grado di rappresentatività significativo per i consumatori e per le possibili rilevazioni statistiche.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Claudio De Vincenti.


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          nel 1977 per iniziativa dei tre sindacati di settore della CGIL, CISL e UIL fu fondato l'Istituto mutualistico artisti interpreti esecutori (IMAIE) con il compito di gestire i diritti connessi spettanti agli artisti interpreti ed esecutori;
          il Parlamento italiano ne riconobbe il ruolo con la legge n.  93 del 1992, disponendo che l'Istituto avesse come finalità statutaria la tutela dei diritti degli artisti interpreti ed esecutori nonché l'attività di difesa e promozione degli interessi collettivi di queste categorie;
          l'IMAIE fu elevato ad ente morale attraverso il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 25 ottobre 1994 ed iscritto successivamente nel registro della persone giuridiche della prefettura di Roma;
          il 28 maggio 2009 l'IMAIE è stato dichiarato estinto dal prefetto di Roma ai sensi degli articoli 27 del codice civile e 6 del decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n.  361, per constatata e perdurante incapacità dell'Istituto di raggiungere gli obiettivi statutari;
          l'IMAIE aveva, infatti, nel corso degli anni incassato e depositato sui propri conti correnti bancari più di 100 milioni di euro dovuti agli artisti interpreti ed esecutori e non era poi stato in grado di distribuirli agli aventi diritto;
          a seguito dell'estinzione dell'IMAIE, gli aventi diritto – decine di migliaia di musicisti e attori italiani e stranieri – non hanno ancora ricevuto chiarimenti in merito ai criteri della liquidazione e della riscossione dei compensi loro spettanti, alcuni addirittura risalenti al secolo scorso;
          la storia dell'IMAIE e la sua estinzione sono un evidente segnale della fallimentare cornice normativa approntata a suo tempo dal legislatore, totalmente inadeguata a rispondere agli effettivi bisogni degli artisti interpreti ed esecutori, perché (i) ha centralizzato la gestione dei loro diritti in un ente imposto dall'alto e rigidamente configurato per legge (anziché lasciarla all'autonomia decisionale degli stessi interessati), (ii) ha costretto – all'interno di una gestione condivisa e comune – interessi che sono tra loro profondamente diversi: da un lato quelli degli artisti musicali (discografia) e, dall'altro, quelli degli artisti audiovisivi (cinema, TV) e di conseguenza (iii) ha consentito in capo all'ente il radicamento di un'inefficiente rendita di posizione economica in danno di tutti gli artisti aventi diritto;
          con l'articolo 7 del decreto-legge 30 aprile 2010, n.  64, recante disposizioni urgenti in materia di spettacolo e attività culturali, convertito con modificazioni dalla legge 29 giugno 2010, n.  100, il Governo ha voluto ri-costituire un nuovo istituto mutualistico artisti interpreti esecutori (nuovo IMAIE);
          l'articolo 7 prevede che il nuovo IMAIE sia istituito per garantire il mantenimento dei livelli occupazionali dell'Istituto mutualistico artisti interpreti ed esecutori (IMAIE) in liquidazione e per assicurare il raggiungimento degli obiettivi previsti dalla legge n.  93 del 1992;
          il Governo approvando queste disposizioni ha voluto, quindi, riproporre un modello già sperimentato con la gestione del vecchio IMAIE, che si è rivelato del tutto inefficiente e che continua a danneggiare economicamente, e non solo, gli artisti interpreti ed esecutori;
          il Governo ha inoltre previsto ope legis che il nuovo IMAIE erediti le funzioni e le attività del vecchio Istituto: è del tutto evidente che la governance del nuovo IMAIE non costituisca in alcun modo un fattore di continuità con il vecchio istituto liquidato, tant’è che ai sindacati è stato conferito un ruolo meramente consultivo e che gli aventi diritto si dovranno iscrivere volontariamente ed ex novo al nuovo IMAIE;
          i soggetti costituenti il nuovo IMAIE, che hanno contribuito alla redazione dello statuto, poi approvato dal Ministero per i beni e le attività culturali rappresentano solo un gruppo del tutto minoritario degli aventi diritto;
          le associazioni degli interpreti ed esecutori maggiormente rappresentative sono state di fatto escluse dalla fase di gestazione del nuovo ente: sia dal processo che ripristinava l'assetto normativo (che ha poi meramente ri-costituito un nuovo IMAIE), sia dalla redazione dello Statuto. Gli aventi diritto per consultare la proposta di statuto hanno dovuto addirittura avanzare una richiesta formale proprio ai vertici che avrebbero il compito di rappresentarli e tutelarli;
          l'associazione artisti 7607, che vede tra i suoi maggiori rappresentanti noti esponenti del nostro cinema e della televisione, ha infatti fatto ricorso al Tar per chiedere l'invalidazione dell'atto di approvazione dello statuto del nuovo IMAIE;
          ancora una volta, quindi, l'operazione è stata condotta dalle istituzioni in modo unilaterale e senza alcuno spazio per una reale e libera partecipazione democratica degli stessi soggetti beneficiari – gli artisti – all'autodeterminazione delle regole e delle soluzioni relative ai propri interessi economici. Basti leggere il contenuto dell'articolo 35 del vigente statuto del nuovo IMAIE che, per alcuni anni, conferisce al suo presidente, non eletto, ma prescelto nello stesso statuto, poteri di plenipotenziario di fatto, salvo sottoporne le decisioni ad un dibattito meramente consultivo;
          nella gran parte degli Stati membri dell'Unione europea la gestione collettiva dei diritti d'autore e connessi è lasciata alla libera autodeterminazione dei soggetti interessati: liberi di auto-organizzarsi nelle forme prescelte e soprattutto liberi di competere, in un sistema di libera concorrenza tra le società di collecting, per offrire servizi di raccolta e distribuzione più efficienti ed economicamente convenienti per gli aventi diritto;
          anche in Italia, proprio sul versante della gestione dei diritti connessi, le stesse organizzazioni delle imprese dell'industria dello spettacolo hanno dato vita a forme variegate di gestione collettiva, al servizio dei propri membri, specializzate per competenza e tra loro in competizione: SCF, AFI, Audiocoop, Anica, APT, Univideo, e altri; ciò invece non è stato consentito nella gestione dei diritti connessi spettanti agli artisti interpreti ed esecutori. Tant’è che le trattative portate avanti anche dal nuovo IMAIE, in virtù di una presunta esclusiva, sono contrarie al principio di concorrenza e di libera iniziativa privata che dovrebbe contraddistinguere qualsiasi attività di prestazioni di servizi;
          l'attuale assetto normativo viola secondo gli interroganti l'articolo 41 della Costituzione (libertà di iniziativa economica privata), non è affatto giustificato ai sensi dell'articolo 43 della Costituzione (monopoli di servizi pubblici essenziali) e lede l'articolo 3 della Costituzione (uguaglianza formale e sostanziale di tutti i cittadini), poiché – sulla medesima materia – consente all'industria piena libertà organizzativa, mentre comprime quella degli artisti;
          l'attività di gestione collettiva in un mercato libero comporta un abbattimento dei costi di gestione e amministrativi, maggiori efficienze operative e potenziali di crescita dei volumi di diritti raccolti: anche gli artisti italiani dovrebbero, quindi, poter liberamente scegliere la società di raccolta ritenuta più efficiente e beneficiare di maggiori introiti;
          l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nella propria segnalazione al Parlamento del 4 giugno 2004 ebbe già a censurare l'assetto di IMAIE allora in vigore ed auspicò in favore dell'artista che fosse «salvaguardata la sua facoltà di decidere liberamente se ed eventualmente a quale intermediario affidare l'esercizio dei propri diritti, con particolare riferimento all'esercizio del proprio credito al compenso»;
          nel settore audio, ad esempio, la gestione dei diritti connessi è di fatto in mano alle major che, per mezzo di SCF, Consorzio dei fonografici, raccolgono i compensi dovuti ai produttori discografici e agli artisti;
          le major consorziate in SCF sono le stesse rappresentate dalla Federazione industria musicale italiana (FIMI), associazione di categoria che aderisce a Confindustria;
          il presidente della FIMI è stato di recente nominato anche il Presidente di SCF; tale nomina è ad avviso degli interroganti in conflitto di interessi e in contrasto con gli impegni presi dalla FIMI, in occasione della costituzione di SCF, innanzi all'Autorità garante per la concorrenza e il mercato. Tali impegni prevedevano che le major si rendessero promotrici in assemblea FIMI di un'iniziativa volta a escludere dall'attività di quest'ultima le competenze che esercitava in materia di gestione collettiva dei diritti connessi. Il mantenimento dei suddetti impegni era pregiudiziale all'autorizzazione per le major di poter costituire il Consorzio SCF;
          l'Autorità garante per la concorrenza e il mercato nella sua Relazione annuale sulle attività svolte nel 2009 informava di aver trasmesso al Ministero per i beni e le attività culturali una segnalazione in merito alle problematiche di carattere concorrenziale delineatesi in materia di gestione dei diritti connessi degli artisti interpreti ed esecutori e dei produttori fonografici, sottolineando inoltre che la riscossione dei compensi fosse gestita in gran parte da SCF;
          per l'industria audio, risulta che il nuovo IMAIE abbia di recente firmato un accordo con SCF che detta disposizioni per la distribuzione dei compensi per la generalità degli artisti interpreti ed esecutori. Non si capisce come ciò sia potuto validamente accadere, posto che il nuovo IMAIE non ha ancora una propria compagine di artisti associati, essendo attualmente ancora impegnato nelle attività di costituzione dei propri organi;
          anche sul fronte del video è accaduto che il nuovo IMAIE abbia stipulato accordi transattivi sul passato con l'emittente televisiva RTI;
          con ciò, si corre il rischio di perpetuare in Italia una pericolosa situazione di posizione dominante, non solo da parte delle major sulla raccolta e distribuzione dei diritti connessi, ma anche da parte del nuovo IMAIE sulla ingiustificata ed intempestiva adozione di scelte di ripartizione che incidono sulle posizioni individuali dei singoli artisti;
          l'articolo 7 della legge n.  100 del 2010 prevede che i Ministeri vigilanti riordinino con proprio decreto l'intera materia del diritto connesso, in particolare per assicurare che l'assetto organizzativo sia tale da garantire efficaci forme di tutela dei diritti degli artisti interpreti esecutori  –:
          se il Governo abbia ricevuto segnalazioni o rilievi con riferimento ai profili problematici rappresentati in premessa da parte della Commissione europea o dell'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato;
          se sia a conoscenza della perdurante situazione di danno economico che subiscono gli artisti interpreti ed esecutori, che rappresentano la parte debole e poco tutelata della filiera;
          se sia a conoscenza della generale insoddisfazione delle società di collecting straniere sulla gestione italiana dei diritti connessi;
          se intenda assumere iniziative normative per modificare le disposizioni vigenti in materia di diritti connessi, incentivando l'ingresso di nuovi operatori nel mercato della gestione dei diritti connessi per gli artisti interpreti ed esecutori, al fine di migliorare, attraverso la concorrenza, costi e qualità del servizio e di bilanciare l'attuale posizione dominante delle major discografiche, cinematografiche e dei principali broadcast;
          se non ritenga necessario che l'intera materia del diritto d'autore e dei diritti connessi, anche alla luce delle possibilità offerte dalle nuove tecnologie e delle recenti evoluzioni di assetto, sia da assoggettare alla vigilanza di una specifica autorità garante indipendente per assicurare una tutela imparziale dei differenti interessi e diritti in materia. (4-12797)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, col quale l'interrogante lamenta le modalità di costituzione del nuovo Istituto mutualistico artisti interpreti ed esecutori (IMAIE) e chiede di sapere se vi siano stati rilievi da parte della Commissione europea o dell'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato nonché se si intendono assumere iniziative per modificare le disposizioni vigenti in materia di diritti connessi, si rappresenta quanto segue.
      L'articolo 7 del decreto-legge n.  64 del 2010 convertito, con modificazioni, dalla legge n.  100 del 2010, allo scopo di assicurare la realizzazione degli obiettivi di tutela di cui alla legge n.  93 del 1992 e garantire il mantenimento dei livelli occupazionali dell'Istituto mutualistico artisti interpreti esecutori (IMAIE), posto in liquidazione a decorrere dal 14 luglio 2009, ha previsto la costituzione, da parte degli artisti interpreti esecutori, del «nuovo IMAIE», associazione avente personalità giuridica di diritto privato, sottoposta alla vigilanza congiunta di questa Amministrazione, della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
      Con decreto interministeriale in data 29 settembre 2010, in aderenza a quanto disposto dal citato articolo 7, secondo cui il «nuovo IMAIE» è «costituito dagli artisti interpreti esecutori, assistiti dalle organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale, firmatarie dei contratti collettivi nazionali e dalle associazioni di artisti, interpreti ed esecutori che siano in grado di annoverare come propri iscritti almeno 200 artisti, interpreti ed esecutori professionisti», questo Ministero, d'intesa con le altre amministrazioni vigilanti, ha approvato lo statuto e l'atto costitutivo del nuovo IMAIE, dopo aver accertato la sussistenza dei citati presupposti di legge.
      Infatti, alla costituzione del nuovo IMAIE hanno partecipato, oltre agli artisti, interpreti ed esecutori, alcuni dei quali di chiara fama, anche i rappresentanti di tutte le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative firmatarie dei contratti collettivi di lavoro applicati al settore (la CGIL SEL, la Fistel-CISL, la UILCOM, la UGL-UGL Creativi), nonché i rappresentanti di cinque associazioni di artisti, interpreti ed esecutori, in grado di annoverare tra i propri iscritti almeno duecento artisti, interpreti ed esecutori professionisti.
      L'attuale assetto del «nuovo IMAIE» è il risultato di una intensa, quanto proficua attività di coordinamento ed integrazione delle istanze e delle posizioni riconducibili alle associazioni di artisti operanti nel nostro Paese e alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul territorio nazionale, attività tradottasi anche nell'accoglimento, nell'attuale formulazione dell'articolo 7 della legge n.  100 del 2010, delle proposte di emendamento avanzate da numerose associazioni.
      Occorre, infatti, precisare che, sia nella prima fase costitutiva che nell'attuale, caratterizzata dall'elaborazione dei principali regolamenti dell'associazione, è stata favorita la possibilità per altri artisti, e per le relative componenti associative, di aderire al «nuovo IMAIE» e di poter contribuire alla gestione dell'istituto medesimo.
      A tal fine, sul sito internet dell'associazione appena costituita è stato pubblicato un appello a tutte le associazioni di artisti, interpreti o esecutori in possesso dei requisiti prescritti dalla legge, anche a quelle che non avevano partecipato alla fase costitutiva del nuovo IMAIE, allo scopo di favorire il loro «libero accesso a tutte le delibere che saranno assunte dall'istituto, l'accesso a tutta la documentazione che riguarda la vita associativa, secondo una disciplina chiara ed agevole che verrà redatta dalle associazioni che rappresentano gli artisti e, dunque, si auspica, anche dalle associazioni che non hanno partecipato alla costituzione del nuovo IMAIE, ed al cui rispetto saranno tenuti tutti coloro che svolgeranno funzioni nell'ambito dell'istituto; il diritto di nominare un proprio esperto che abbia il potere di accedere alla documentazione suddetta».
      È stata, inoltre, definitivamente approvata dalle amministrazioni vigilanti la modifica all'articolo 35 dello statuto, volta a consentire, in occasione della prima tornata elettorale dell'associazione, la partecipazione alle elezioni a tutti gli artisti, interpreti ed esecutori, senza distinzione tra artisti professionisti e non.
      L'operato del «nuovo IMAIE», sembra, pertanto, essere stato sinora improntato al rispetto del principio di trasparenza, chiarezza ed efficienza con il pieno e democratico coinvolgimento di tutte le associazioni di artisti che operano sul territorio nazionale, confluite, insieme alle organizzazioni sindacali, nel citato comitato consultivo che, con il coordinamento del presidente dell'istituto, ha già licenziato i testi dei regolamenti di ripartizione e di iscrizione al «nuovo IMAIE» sottoposti alle amministrazioni vigilanti per la prescritta approvazione.
      Nel corso dell'istruttoria dei suddetti procedimenti, le stesse Amministrazioni hanno condotto l'audizione del presidente del nuovo IMAIE e di tutte le associazioni e le organizzazioni sindacali che ne hanno fatto richiesta, registrando, da parte della maggioranza degli intervenuti, documentati apprezzamenti per il lavoro fino ad ora svolto dal presidente e per l'attività esercitata dalle amministrazioni preposte alla vigilanza che, in tali occasioni, hanno potuto concretamente constatare la particolare cura dedicata dal nuovo istituto alla «partecipazione», quale elemento indefettibile di una struttura democratica.
      Proprio l'esigenza di garantire piena tutela agli artisti interpreti ed esecutori, ha orientato, infatti, il legislatore verso l'adozione di un sistema di gestione dei diritti conosciuto nel contesto europeo, nell'ambito del quale, occorre segnalare, appare forse più utile poter identificare un interlocutore qualificato ed unitario che possa contribuire all'evoluzione del sistema normativo ed esprimere la posizione dell'intera categoria.
      Per quanto concerne, poi, gli accordi sottoscritti da «nuovo IMAIE» menzionati nell'interrogazione, in cui ne viene contestata la validità atteso che non vi è ancora una compagine di artisti associati, va chiarito che, in virtù di quanto disposto dalla legge n.  101 del 2010 in ordine al trasferimento al «nuovo IMAIE» di tutte le funzioni ed i compiti che erano posti in capo ad IMAIE, ivi compresi quelli scaturenti dalla legge n.  93 del 1992 e dagli articoli 71-septies, 71-octies, 73, 73-bis, 80, 84 e 180-bis della legge n.  633 del 1941, l'associazione ha potuto sottoscrivere i necessari accordi, sia per il settore musicale che per quello audiovisivo, nonché promuovere e concludere gli accordi di reciprocità per la riscossione ed il pagamento dei diritti maturati dagli artisti italiani all'estero e viceversa. Contrariamente a quanto asserito nell'interrogazione, consta a questa amministrazione che proprio in quest'ultimo ambito il «nuovo IMAIE» abbia registrato apprezzamento per la trasparenza, la correttezza operativa e gestionale riscontrata nelle attività fino ad ora portate avanti e per gli interventi regolamentari avviati.
      Deve peraltro essere ricordato, infine, che, con decreto legge n.  1 del 24 gennaio 2012, convertito dalla legge 24 marzo 2012, n.  27, è stata prevista, all'articolo 39, commi 2 e 3, la liberalizzazione dell'attività di amministrazione e intermediazione dei diritti connessi al diritto d'autore, in qualunque forma attuata.
Il Ministro per i beni e le attività culturali: Lorenzo Ornaghi.


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il Nuovo IMAIE opera mediante un organo monocratico (il presidente) non essendoci ad oggi né artisti associati volontariamente né un'assemblea e di conseguenza un consiglio di amministrazione;
          il presidente del Nuovo IMAIE pubblica regolarmente sul sito internet dell'istituto i video delle riunioni del comitato consultivo;
          gli stessi componenti del comitato consultivo sono stati nominati dallo stesso presidente dell'IMAIE, così come previsto dallo statuto;
          nel corso della riunione del 12 luglio 2011 (http://www.nuovoimaie.it/it/galleria-video.html?video=34&type=bliptv), il presidente del Nuovo IMAIE ha sinceramente e candidamente dichiarato di aver elaborato un articolato del decreto ministeriale per il riordino della materia del diritto connesso nonché per definire le competenze e i poteri dello stesso Nuovo IMAIE;
          nell'illustrare ai componenti del comitato la bozza dell'articolato, il Presidente del Nuovo IMAIE ha tenuto a sottolineare come l'intero articolato ruoti tutto intorno al Nuovo IMAIE stesso;
          il presidente del Nuovo IMAIE ha altresì dichiarato che, nel corso di un'audizione davanti al comitato consultivo permanente sul diritto d'autore, istituito presso il Ministero per i beni e le attività culturali, era emersa l'opportunità di istituire un sottocomitato – di cui lo stesso presidente farà parte – che, prendendo le mosse dall'articolato elaborato sopra ricordato, avrebbe predisposto uno schema di decreto ministeriale;
          nel testo dell'articolato con una gravissima forzatura si introduce ex novo il principio della rappresentanza obbligatoria, esclusiva e generale del Nuovo IMAIE in Italia di tutti gli artisti, italiani e stranieri;
          si è in presenza di un caso clamoroso in cui il soggetto vigilato (Nuovo IMAIE) contribuirà significativamente a predisporre norme che spetterebbe invece redigere ai soggetti vigilanti (Presidenza del Consiglio dei ministri e Ministero per i beni e le attività culturali), coincidere nella sostanza il controllato con il controllore;
          il presidente del Nuovo IMAIE, nel corso della medesima riunione ha altresì annunciato l'intenzione di prevedere la costituzione di una non ben identificata struttura unica (peraltro valida solo per il settore audio) che vedrebbe la partecipazione alla raccolta e distribuzione dei diritti patrimoniali degli artisti interpreti ed esecutori, il Nuovo IMAIE da un lato e i produttori dall'altro (SCF e AFI). Anche di questa struttura unica ne divulga un documento precisando che sono in corso negoziazioni con le associazioni di produttori fonografici;
          la struttura unica porterebbe il Nuovo IMAIE a gestire in modo radicalmente differente il settore audio dal settore video e in aggiunta i costi operativi sarebbero anche a carico del titolare dei diritti i quali sono del tutto esclusi dalle scelte strategiche dell'istituto;
          tali negoziazioni avvengono in palese violazione dello statuto del Nuovo IMAIE, posto che ad oggi non risultino ancora costituiti gli organi deliberanti;
          vi è un palese conflitto di interessi nella creazione di una tale struttura unica dove i soggetti che dovranno comunicare i dati e raccogliere i diritti degli artisti interpreti ed esecutori (i produttori) sono gli stessi che dovrebbero poi definire all'interno della struttura unica i criteri per ripartirli agli aventi diritto  –:
          se i fatti descritti in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva:
              se i Ministri interrogati abbiano o meno consentito a che il presidente del Nuovo IMAIE contribuisca alla stesura di bozze di atti normativi relativi alla materia dei diritti connessi che non riguardano unicamente il Nuovo IMAIE;
              se i Ministri interrogati intendano esercitare sul Nuovo IMAIE quantomeno una doverosa moral suasion in merito all'opportunità delle iniziative di cui sopra;
              se risponda al vero che il Governo intenda attribuire con decreto ministeriale un monopolio legale al Nuovo IMAIE per la rappresentanza dei diritti patrimoniali degli artisti interpreti ed esecutori e se tale ipotesi sia stata preventivamente vagliata dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato e della Commissione europea;
              se siano a conoscenza dell'intenzione da parte del vertice del Nuovo IMAIE di procedere alla costituzione di un'unica società di servizi d'intesa con i produttori fonografici e in danno delle altre società di collecting e degli artisti stessi;
              se in vista del riordino della materia, così come previsto dall'articolo 7 legge n.  100 del 2010, il Governo intenda prevedere più momenti di confronto con le rappresentanze di artisti e di tutte le società di collecting, sia italiane che straniere, al fine di formulare un quadro normativo efficiente e competitivo nell'interesse dei titolari dei diritti;
              quali eventuali ed ulteriori iniziative, importanti ed urgentissime, intendano porre in essere per dare soluzione alla serie di vulnus arrecati all'ordinamento giuridico sopra descritti, che appaiono estremamente gravi al punto tale da revocare in dubbio ogni possibilità che nel nostro Paese vigano, effettivamente, i princìpi su cui si fonda ogni Stato di diritto. (4-13438)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, con cui l'interrogante chiede di sapere se corrisponda al vero il fatto che sarà il presidente dell'associazione «nuovo IMAIE» a predisporre la bozza di decreto ministeriale concernente il riordino dei diritti connessi, come dallo stesso dichiarato durante una riunione del consiglio di amministrazione dell'associazione, nonché di sapere se è in corso la costituzione di una struttura unica fra «nuovo IMAIE» e produttori discografici, soggetti, a suo dire, in palese conflitto di interessi, si espone quanto segue.
      Come è noto, l'articolo 7 del decreto-legge n.  64 del 2010 (convertito, con modificazioni, dalla legge n.  100 del 2010), allo scopo di assicurare la realizzazione degli obiettivi di tutela di cui alla legge n.  93 del 1992 e garantire il mantenimento dei livelli occupazionali dell'Istituto mutualistico artisti interpreti esecutori (IMAIE), posto in liquidazione a decorrere dal 14 luglio 2009, ha previsto la costituzione, da parte degli artisti interpreti esecutori, del «nuovo IMAIE», associazione avente personalità giuridica di diritto privato, sottoposta alla vigilanza congiunta di questo Ministero, della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
      Contestualmente, il medesimo articolo ha previsto che le amministrazioni vigilanti riordinino, con proprio decreto, l'intera materia del diritto connesso, «in particolare per assicurare che l'assetto organizzativo sia tale da garantire efficaci forme di tutela dei diritti degli artisti interpreti esecutori e per definire le sanzioni da applicare nel caso di mancato versamento al nuovo IMAIE dei compensi spettanti agli artisti interpreti esecutori ai sensi delle leggi 22 aprile 1941, n.  633, e 5 febbraio 1992, n.  93, e nel caso di mancata trasmissione al nuovo IMAIE della documentazione necessaria alla identificazione degli aventi diritto di cui al comma I dell'articolo 5 della legge 5 febbraio 1992, n.  93».
      In seguito alla costituzione dell'associazione denominata «nuovo IMAIE», presieduta dal presidente pro tempore avvocato Andrea Miccichè, le suddette amministrazioni hanno immediatamente attivato i meccanismi per addivenire, in tempi ragionevoli, al riordino della materia del diritto connesso, come disposto dalla norma in parola, che contempla espressamente, occorre ribadirlo, il trasferimento al «nuovo IMAIE» di tutte le funzioni ed i compiti che erano posti in capo ad IMAIE, ivi compresi quelli scaturenti dalla legge n.  93 del 1992 e dagli articoli 71-septies, 71-octies, 73, 73-bis, 80, 84 e 180-bis della legge n.  633 del 1941.
      Stante la complessità delle tematiche da svolgere, si è ritenuto che l'intera problematica potesse essere sottoposta allo studio del massimo organo consultivo del Ministro per i beni e le attività culturali in materia: il Comitato consultivo permanente per il diritto d'autore (CCPDA).
      Nel corso dell'adunanza generale del 21 giugno 2011, il presidente del CCPDA ha promosso l'audizione del presidente del «nuovo IMAIE» il quale, nella successiva seduta del 7 luglio 2011, ha illustrato alcuni aspetti delle attività condotte dall'associazione e sottoposto alla valutazione del comitato una proposta di decreto di riordino del diritto connesso che, malgrado il titolo attribuitogli dal suo relatore, non può che assumere i connotati di un contributo finalizzato al raggiungimento dell'obiettivo dichiarato dal citato articolo 7, comma 1, della legge n.  100 del 2010, ossia «assicurare che l'assetto organizzativo sia tale da garantire efficaci forme di tutela dei diritti degli artisti interpreti esecutori...».
      Pertanto sia la proposta del «nuovo IMAIE», sia quelle provenienti, eventualmente, da altri soggetti interessati, dovranno essere valutate quali elementi di partecipazione al dibattito su una materia alquanto complessa, la cui definizione resta di stretta competenza delle amministrazioni contemplate dalla legge.
      Al termine della citata adunanza il presidente del CCPDA, con l'unanime approvazione dei presenti, ai sensi dell'articolo 193 della legge n.  633 del 1941 e dell'articolo 3 del regolamento interno del CCPDA, ha proposto la costituzione di una commissione speciale incaricata di analizzare la tematica, valutare la proposta del presidente del «nuovo IMAIE» e formulare approfondite determinazioni in merito al decreto di riordino della materia del diritto connesso.
      Nel corso dell'adunanza generale del 20 luglio 2011 è stata deliberata all'unanimità l'istituzione, tra le altre, della «commissione dedicata all'approfondimento delle tematiche attinenti l'emanazione del decreto di riordino del diritto connesso, così come disposto dall'articolo 7 della legge 29 giugno 2010, n.  100, recante conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 20 aprile 2010, n.  64».
      Alla delibera da ultimo citata è seguita l'emanazione del decreto del 20 luglio 2011 istitutivo della commissione speciale, cui è stato attribuito il compito di redigere una proposta di riordino del diritto connesso che, attraverso il CCPDA, sarà inviata alle amministrazioni competenti.
      È doveroso altresì precisare che, stante la recente emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 agosto 2011, recante la proroga per un biennio degli organismi di cui agli articoli 1, 2, 3, 4 e 6, comma 1, lettere a), d), e), f), g) del decreto del Presidente della Repubblica del 14 maggio 2007 n.  89 tra i quali figura anche CCPDA, i lavori hanno subìto una temporanea sospensione correlata alla necessità di concludere preliminarmente il procedimento di rinnovo della composizione del predetto organo.
      In ordine a quanto asserito, poi, circa la costituzione di una «struttura unica» produttori/associazione «nuovo IMAIE», consta a questa amministrazione che il predetto istituto si sia efficacemente attivato per superare le difficoltà connesse al reperimento dei dati necessari ad individuare gli artisti e poter versare quanto loro dovuto.
      Non a caso, lo stesso articolo 7 della citata legge n.  100 del 2010 ha previsto che le amministrazioni vigilanti definiscano, nel decreto di riordino del diritto connesso, «le sanzioni da applicare nel caso di mancato versamento al nuovo IMAIE dei compensi spettanti agli artisti interpreti esecutori ai sensi delle leggi 22 aprile 1941, n.  633, e 5 febbraio 1992, n.  93, e nel caso di mancata trasmissione al nuovo IMAIE della documentazione necessaria alla identificazione degli aventi diritto di cui al comma 1 dell'articolo 5 della legge 5 febbraio 1992, n.  93».
      Tra i diversi strumenti attuabili per ottenere le informazioni necessarie a consentire all'associazione «nuovo IMAIE» di operare a vantaggio della categoria protetta secondo le finalità che sono state definite dalla legge, ben potrebbe figurare la costituzione di una banca dati condivisa, rispettivamente, con i produttori cine-televisivi, per il comparto video, e con quelli di fonogrammi per il comparto audio o con le associazioni che rappresentano le citate categorie, ove possano essere catalogati tutti i videogrammi e fonogrammi in circolazione con la specifica degli artisti interessati e dei loro dati anagrafici.
      Pertanto sembra a questa amministrazione che tale banca dati, se correttamente implementata e gestita, potrebbe delinearsi quali valido ausilio per attuare il dettato della legge: sia con riferimento allo snellimento delle procedure attualmente necessarie ad ottenere i dati utili ad individuare gli artisti, sia per abbreviare i tempi richiesti per i versamenti.
Il Ministro per i beni e le attività culturali: Lorenzo Ornaghi.


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          intervenendo nell'ultima puntata di «Chi l'ha visto ?», Pietro Orlandi ha rivelato che durante l'iniziativa «Verità e giustizia per Emanuela» svoltasi il 21 gennaio 2012 a Roma, in Sant'Apollinare, è stato notato un misterioso fotografo;
          il luogo della manifestazione è stato scelto perché ospita la sepoltura del cosiddetto Renatino, uno dei capi della famigerata banda della Magliana. Egli, tumulato inizialmente al cimitero del Verano, fu poi sepolto in grande riservatezza, il successivo 24 aprile, nella Basilica di Sant'Apollinare, dove si era sposato nel 1988;
          soltanto nel luglio del 2005 grazie ad una telefonata anonima alla trasmissione «Chi l'ha visto ?» che disse «Riguardo al caso di Emanuela Orlandi per trovare la soluzione del caso andate a vedere chi è sepolto nella cripta della Basilica di Sant'Apollinare e del favore che Renatino (Enrico De Pedis) fece al cardinal Poletti e chiedete alla figlia del barista di via Montebello che anche la figlia stava con lei... con l'altra Emanuela»;
          poco tempo dopo andò in onda un servizio di una giovane reporter, inviata speciale sempre per la trasmissione «Chi l'ha visto ?», in cui furono resi pubblici i documenti originali e le foto del sarcofago sistemato nel sotterraneo della Basilica di Sant'Apollinare confermando quanto detto dalla telefonata anonima;
          la manifestazione si è svolta davanti la basilica perché, per cercare nuovi elementi, in più di un'occasione, è stata chiesta l'apertura della tomba di Renatino. Per capire se il corpo è proprio quello di De Pedis, ma anche per allontanare il dubbio che in quella bara possa nascondersi chissà quale altro segreto. Finora però, l'apertura su disposizione della magistratura non è mai avvenuta;
          tornando al misterioso e inquietante fotografo, secondo alcuni manifestanti, che lo hanno fotografato a loro volta, si tratterebbe di un membro della vigilanza vaticana. Durante la trasmissione sono state mostrate due immagini dell'uomo e numerosi spettatori hanno risposto all'appello lanciato per identificarlo, chiamando in diretta e accreditando questa ipotesi; il fratello di Emanuela Orlandi si è rivolto quindi direttamente all'uomo affinché chiarisca le ragioni della sua presenza  –:
          sia a conoscenza dei fatti e, nell'eventualità positiva quali iniziative gravi ed urgenti intenda adottare per ottenere, anche dalle autorità vaticane, elementi per l'identificazione del misterioso fotografo, anche in considerazione del fatto che, se esso si rivelasse effettivamente un agente dello Stato Città del Vaticano, risulterebbero ad avviso degli interroganti violate numerose norme non solo dell'ordinamento giuridico nazionale, ma anche di quello internazionale, causando un vulnus alla sovranità nazionale ancor più grave che nella prima ipotesi formulata.
(4-14671)

      Risposta. — Il 21 gennaio 2012, come riferito dall'interrogante, si è svolta a Roma, in piazza Sant'Apollinare, una manifestazione allo scopo di «sensibilizzare l'opinione pubblica e per ricordare Emanuela Orlandi», alla quale hanno partecipato circa 200 persone, senza alcuna turbativa dell'ordine e della sicurezza pubblica.
      Sull'episodio relativo alla presenza di un presunto agente della sicurezza del Vaticano che avrebbe scattato alcune fotografie nel corso della predetta manifestazione, la squadra mobile di Roma, su delega dell'autorità giudiziaria, sta svolgendo indagini per giungere alla sua identificazione, attualmente coperte da segreto istruttorio.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          fonti di stampa hanno riportato la notizia in base alla quale se, nel settore dell'agricoltura, fosse reso obbligatorio il contratto in forma scritta per le cessioni di prodotti agricoli e agroalimentari su cui indicare a pena di nullità la durata del contratto, la quantità e le caratteristiche del prodotto venduto, il prezzo, le modalità di consegna e di pagamento, si provocherebbe una vera e propria disgrazia per le imprese della grande distribuzione, poiché, se da una parte si garantirebbero le fasce più deboli del settore agroindustriale, dall'altra si di metterebbero in difficoltà proprio le aziende della grande distribuzione che giungono a pagare per prassi, consuetudine o uso, i generi alimentari, nonostante la normativa imponga tempi di pagamento di sessanta giorni, anche a sei mesi;
          secondo le fonti da cui si desumono tali informazioni, la grande distribuzione nel settore agroalimentare è in procinto di utilizzare tutti i mezzi di cui dispone per evitare che tale evenienza accada poiché ciò significherebbe dover rispettare fedelmente le regole dettate per il mercato, regole che appaiono agli interroganti ampiamente, reiteratamente e manifestamente violate. Se, in ogni economia sana e ben funzionante, si ha necessità di liquidità, questa si reperisce ricorrendo ad imprese bancarie e finanziarie che professionalmente forniscono tale servizio. In Italia, invece, storicamente la grande impresa preferisce ricorrere alla pratica di dubbia legittimità dei pagamenti ritardati, particolarmente odiosa perché rende la parte contraente più debole, i micro, piccoli e medi imprenditori, una sorta di banca a buon mercato per le grandi imprese che in violazione delle norme non versano il dovuto nei tempi stabiliti in cambio di beni e servizi acquistati. Scaricando le difficoltà finanziarie sulle piccole e medie imprese che a causa delle grandi imprese possono subire una vera crisi economica che può condurre al fallimento e, purtroppo sempre più sovente, anche al suicidio dell'imprenditore il quale ha l'unica «colpa» di aver fatto affari con disonesti i quali, non pagando i crediti vantati, contribuiscono oggettivamente a tali situazioni drammatiche;
          se la grande distribuzione si lamenta, i micro, piccoli e medi imprenditori del settore agroalimentare sono invece esasperati, perché, si ripete, è ben noto il fatto che i contratti stipulati tra gli operatori della filiera agroalimentare sono spesso soggetti a violazioni di legge dimostrate dalle numerose segnalazioni di pratiche commerciali sleali proprio nella filiera agroalimentare, tutte criticità che rischiano di ampliarsi nei prossimi mesi in relazione alle condizioni di persistente crisi economica ed ai loro riflessi in termini di calo dei consumi;
          chiaramente sarebbe auspicabile, perché di fondamentale importanza, riuscire a salvaguardare i rapporti tra le parti da fattispecie dannose e da condizioni aleatorie che minano il buon andamento del sistema, sempre a danno del contraente debole;
          utile, ad avviso degli interroganti, potrebbe essere l'adozione di un sistema sanzionatorio adeguato, che introduca garanzie affinché nei rapporti negoziali vi siano condizioni di contrattazione prive di distorsione;
          in particolare i contratti aventi ad oggetto la cessione di beni agricoli ed alimentari dovrebbero essere conclusi, in coerenza con quanto previsto dal codice civile, in forma scritta e si dovrebbero anche identificare le fattispecie di comportamenti considerati sleali e che pertanto, dovrebbero essere vietate nelle relazioni commerciali tra operatori economici della filiera agroalimentare;
          si rammenta che, relativamente ai ritardi di pagamento per i prodotti alimentari deteriorabili, il corrispettivo, in base alla normativa, dovrebbe essere versato prima dei sei mesi dalla consegna o dal ritiro dei prodotti, e gli interessi dovrebbero decorrere automaticamente dal giorno successivo alla scadenza del termine;
          utile sarebbe la riduzione da sessanta a trenta giorni del termine di pagamento per le cessioni aventi ad oggetto i prodotti alimentari deteriorabili, di cui all'articolo 4, comma 3, del decreto legislativo 231 del 2002, assicurando pari tutela nelle transazioni commerciali tra privati che riguardano prodotti alimentari non deteriorabili e introducendo per queste transazioni un termine di pagamento di sessanta giorni;
          l'estensione della disciplina di cui al decreto legislativo 231 del 2002 si giustificherebbe per esigenze di omogeneità nel settore, al fine di evitare che vi sia una discriminazione tra gli stessi operatori alimentari, che sono tra le categorie di imprenditori maggiormente colpiti dai reiterati ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali tra privati, con particolare riguardo ai rapporti tra le piccole e medie industrie e la grande distribuzione organizzata  –:
          di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto sopra esposto e quali urgenti iniziative di competenza intendano adottare, anche al fine di rendere sterile l'attività di lobbyng operata dalla grande impresa che sta rendendo ancor più critiche le condizioni nelle quali gli imprenditori del settore agroalimentare versano, sia a causa della crisi economica globale, sia a causa del cosiddetto credit crunch che attanaglia soprattutto micro, piccoli e medi imprenditori, sia a causa delle condizioni climatiche pessime e anomale che tanti danni hanno arrecato al settore e che, stando alle previsioni metereologiche, altri ne provocheranno sino alla fine del mese. (4-14910)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame si fa presente quanto segue.
      L'interrogante chiede di conoscere se, nel settore dell'agricoltura, fosse reso obbligatorio il contratto in forma scritta per le cessioni di prodotti agricoli e agroalimentari su cui indicare a pena di nullità la durata del contratto, la quantità e le caratteristiche del prodotto venduto, il prezzo, le modalità di consegna e di pagamento e di conoscere di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto sopra esposto e quali urgenti iniziative di competenza si intendano adottare, al fine di rendere sterile l'attività di lobbing operata dalla grande impresa che sta rendendo ancor più critiche le condizioni nelle quali gli imprenditori del settore agroalimentare versano, sia a causa della crisi economica globale, sia a causa del cosiddetto credit crunch.
      Al riguardo si replica che le tematiche affrontate nell'interrogazione in esame sono da considerarsi superate, positivamente, dai più recenti sviluppi in materia.
      Infatti, come noto, la materia delle transazioni commerciali dei prodotti agroalimentari è stata regolata dall'articolo 62 (Disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari) del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, convertito dalla legge 24 marzo 2012, n.  27», che fornisce adeguata risposta a quanto evidenziato nell'interrogazione.
      In particolare l'articolo 62 prevede:
          che i contratti che hanno ad oggetto la cessione dei prodotti agricoli e alimentari, a pena di nullità, devono essere stipulati obbligatoriamente in forma scritta;
          è previsto un differente termine di pagamento nel caso in cui le merci siano deteriorabili (trenta giorni);
          si prevedono sanzioni nei casi di mancato rispetto dei tempi di pagamento previsti dall'articolo 62.

      Viene inoltre affidata all'Antitrust la vigilanza sull'applicazione delle disposizioni e l'irrogazione delle sanzioni previste nel caso in cui i contratti in forma scritta non vengano redatti secondo i principi di trasparenza, correttezza, proporzionalità e reciproca corrispettività delle prestazioni.
      L'azione del Governo è da considerarsi, pertanto, in linea con le richieste dell'interrogante.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Claudio De Vincenti.


      BIAVA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          nel recente libro Acca Larentia, quello che non è stato mai detto, di cui sono autori gli avvocati Valerio Cutonilli e Luca Valentinotti, viene affermato che la pistola mitragliatrice Skorpion cz calibro 7.65 – con cui taluni esponenti dell'eversione di sinistra uccisero i giovani missini Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta (1978), il professor Ezio Tarantelli (1985), l'ex sindaco di Firenze Lando Conti (1986) e il senatore democristiano Roberto Ruffilli (1988) – sarebbe stata acquistata presso un'armeria di Saint Vincent nel 1971 da Enrico Sbriccoli, il cantante noto con il nome di Jimmy Fontana;
          gli autori del suddetto libro riferiscono che, nei giorni successivi al rinvenimento della Skorpion in un covo brigatista di Milano nel 1988, il Fontana avrebbe dichiarato all'autorità giudiziaria di aver venduto l'arma a Roma, nell'anno 1977, a un non meglio specificato funzionario di polizia. Nel libro si sostiene che dell'asserita compravendita non sarebbe stata fatta alcuna dichiarazione presso gli uffici di pubblica sicurezza, nonostante le espresse disposizioni di legge all'epoca vigenti;
          nell'edizione del 27 marzo 2011 del quotidiano il Riformista è stato pubblicato un articolo, a firma del giornalista Tommaso Della Longa, nel quale si sostiene che già il 28 aprile 1979, nell'ambito dell'inchiesta sull'omicidio dell'onorevole Aldo Moro (ucciso con una pistola mitragliatrice diversa ma dello stesso tipo di quella impiegata nei cinque omicidi dinnanzi specificati) lo Sbriccoli aveva dichiarato alla Digos di Roma di aver venduto l'arma nel 1977 al dirigente del commissariato di pubblica sicurezza del Tuscolano in Roma, dottor Antonio Cetroli. La compravendita, a dire dello Sbriccoli, sarebbe avvenuta presso l'armeria Bonvicini in Roma, alla presenza della proprietaria del negozio;
          nel suddetto articolo si riferisce altresì che il commissario Cetroli, pur confermando la frequentazione dell'armeria Bonvicini, avrebbe negato in modo categorico di conoscere lo Sbriccoli e tanto più di aver acquistato armi dallo stesso e che anche la signora Milvia Bonvicini avrebbe negato la circostanza asserita dallo Sbriccoli;
          da verifiche svolte dagli odierni interroganti, presso gli archivi della commissione Moro consultabili on line, risulta che lo Sbriccoli rese effettivamente le suddette dichiarazioni alla Digos di Roma, il 28 aprile 1979. Lo Sbriccoli sostenne anche di essere stato pagato con un effetto bancario, poi regolarmente incassato, di circa lire 200.000, importo pari al prezzo di vendita complessivo della Skorpion e di una pistola Star calibro 7.63, anch'essa asseritamente alienata al dottor Cetroli. Nell'occasione lo Sbriccoli consegnò alla polizia giudiziaria un bigliettino recante l'indicazione delle due armi e i recapiti telefonici, di casa e di lavoro, del dottor Cetroli. Dai documenti presenti negli archivi della Commissione Moro risultano anche la smentita categorica del dottor Cetroli (con relazione di servizio del 18 maggio 1979) e quella della signora Bonvicini (con dichiarazioni rese dalla Digos di Roma in data 30 aprile 1979);
          da tali verifiche risulta altresì che della compravendita asserita dal signor Sbriccoli non è mai stata fatta alcuna dichiarazione agli uffici di pubblica sicurezza, nonostante le espresse disposizioni di legge vigenti nel 1977;
          dalle suddette verifiche risulta infine che, proprio nel giugno 1979, la Digos di Roma aveva scoperto che il noto terrorista di sinistra, Valerio Morucci, era un assiduo frequentatore della medesima armeria Bonvicini e ciò almeno dal 1975 o dal 1976;
          la Skorpion in questione è stata utilizzata per compiere ben cinque omicidi di natura politica, tre del quali commessi nel periodo successivo alle audizioni del signor Sbriccoli e del dottor Cetroli dinnanzi alla polizia giudiziaria nel 1979;
          le versioni fornite nel 1979 dal signor Sbriccoli e dal dottor Cetroli erano e restano tuttora incompatibili tra loro, avendo uno dei due sicuramente dichiarato il falso all'autorità giudiziaria;
          nel 1979 i reati in astratto ipotizzabili per la sola ed eventuale detenzione illecita della Skorpion, a prescindere quindi anche dal possibile nesso con l'attentato di Acca Larentia (i periti nel 1979 non avevano ancora individuato nella pistola mitragliatrice in questione una delle tre armi usate nell'attentato mortale contro Bigonzetti e Ciavatta), non potevano ancora ritenersi prescritti;
          sorprende che nel 1979 la presunta sparizione nel nulla di una pistola mitragliatrice, frequentemente impiegata dalle organizzazioni terroristiche nelle proprie imprese criminose, non sia stata adeguatamente presa in considerazione, e che nel 1979 non si sia proceduto ad adeguate verifiche bancarie;
          i reati ipotizzabili in relazione alla vicenda della Skorpion appaiono ormai da lungo tempo prescritti  –:
          se il Governo, nell'ambito delle sue competenze, disponga di elementi sui fatti di cui in premessa.       (4-12465)

      Risposta. — L'attentato di via Acca Larentia compiuto il 7 gennaio 1978, a Roma, nel quale vennero uccisi i giovani Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, fu rivendicato dai «Nuclei armati per il contropotere territoriale» mediante un comunicato registrato su un nastro magnetico e fatto rinvenire presso il quotidiano «Il Messaggero».
      Il 13 gennaio 1978 l'organizzazione si assunse formalmente la responsabilità dell'episodio, diffondendo anche volantini di rivendicazione.
      Lo stesso gruppo si era evidenziato in occasione di un attentato, compiuto il 27 novembre 1977, in danno della sede della «democrazia cristiana» di viale della Serenissima a Roma. Negli anni successivi, è stato accertato che la citata sigla, anche se ufficialmente comparsa soltanto in tali due casi, era in realtà, l'evoluzione di un sodalizio operante dal novembre del 1975 nella provincia di Roma, con la denominazione «Squadre armate proletarie», responsabile di cinque attentati perpetrati in danno di sedi del «Movimento sociale italiano» e di autovetture di esponenti di tale partito politico.
      In via Acca Larentia, in sede di sopralluogo, furono rinvenuti undici bossoli, alcuni recanti sul fondello la scritta «Winchester western cal. 32», in seguito rivelatisi di calibro 7.65. Dai corpi delle vittime furono estratti altri proiettili di questo stesso calibro; bossoli analoghi erano stati usati in attentati compiuti dalle «Brigate rosse», sparati con una pistola «CZ 61 Skorpion» calibro 7.65.
      Dieci anni dopo, il 15 giugno 1988, nell'ambito delle indagini relative all'omicidio del senatore della «Democrazia cristiana» Roberto Ruffilli, fu scoperto a Milano il «covo» brigatista di via Dogali; nel corso di tale operazione, condotta dall'Arma dei carabinieri, vennero arrestati sei noti terroristi. Nell'appartamento, tra l'altro, vennero rinvenuti numerosi documenti dell'organizzazione eversiva e venne sequestrata una pistola mitragliatrice «CZ Skorpion» calibro 7.65.
      Gli accertamenti peritali consentirono di stabilire che l'arma era stata utilizzata per compiere gli omicidi di via Acca Larentia e, dopo il 1978, quelli dell'economista Ezio Tarantelli, commesso a Roma il 27 marzo 1985, dell'ex-sindaco di Firenze Lando Conti, perpetrato nel capoluogo toscano l'11 febbraio 1986, e del senatore Ruffilli: per questi ultimi tre delitti, rivendicati dalle «Brigate rosse», sono stati condannati noti appartenenti all'organizzazione terroristica.
      Le indagini relative alla tracciabilità della «Skorpion» rinvenuta in via Dogali permisero di stabilire che, nel febbraio 1971, l'arma era stata regolarmente acquistata presso un'armeria di Sanremo da Enrico Sbriccoli, cantante noto al pubblico con il nome d'arte «Jimmy Fontana», il quale ne aveva denunciato l'acquisto presso la Stazione dei Carabinieri di Formello.
      Nel 1979, prima della scoperta del citato «covo» milanese, il cantante venne escusso dalla Digos della questura di Roma, e riferì di aver venduto nel 1977 la sua «Skorpion» al funzionario di polizia dottor Antonio Cetroli, che, in quel periodo, era il dirigente del commissariato di pubblica sicurezza «Tuscolano» di Roma.
      Secondo lo Sbriccoli, la compravendita sarebbe avvenuta presso l'armeria «Bonvicini» di Roma, alla presenza della moglie del titolare; nella circostanza, secondo la dichiarazione rilasciata dal cantante, quest'ultimo avrebbe ceduto al Cetroli anche una pistola «Star» calibro 7.63, per la somma di duecentomila lire, asseritamente corrisposta con un assegno.
      Sulla questione, sempre nel 1979, venne escussa la signora Ciani in Bonvicini, che, pur asserendo di conoscere il Cetroli e lo Sbriccoli, entrambi suoi clienti, non confermò i particolari riferiti agli inquirenti dal cantante.
      Le versioni dei protagonisti della vicenda non sono mai state concordanti, poiché il funzionario di polizia ha sempre escluso di aver acquistato le armi.
      Nel maggio del 1979, nell'appartamento «covo» di viale Giulio Cesare, a Roma, venne arrestato il noto brigatista Valerio Morucci; tra il materiale sequestrato nell'abitazione vi era una pistola «Skorpion» che, sino al successivo rinvenimento di quella di via Dogali e dei conseguenti accertamenti balistici, fu ritenuta l'arma utilizzata in via Acca Larentia. Soltanto al termine delle perizie si rivelò, invece, l'arma usata per uccidere l'onorevole Aldo Moro, presidente della «Democrazia cristiana».
      La necessità di sentire nuovamente lo Sbriccoli emerse a seguito degli omicidi Tarantelli, Conti e Ruffilli (sempre nel contesto di accertamenti estesi ai proprietari dell'arma in argomento), e, nel corso delle escussioni successive, l'artista confermò di aver ceduto le due pistole al Cetroli, precisando, però, di aver ricevuto come corrispettivo la somma di duecentomila lire in contanti.
      Escussa nuovamente sulla questione, la Ciani riferì altri particolari, affermando questa volta che il cantante le aveva confidato di essere intenzionato a vendere alcune sue pistole; per favorirlo, come suo cliente, la donna gli consegnò un foglietto con cognome e recapiti telefonici del funzionario di polizia, altro suo cliente, a lei noto anche come collezionista di armi, ritenendo che questi fosse interessato all'acquisto. La commerciante, però, non fu in grado di riferire se la trattativa si fosse effettivamente perfezionata.
      A seguito di tali nuove dichiarazioni, divenne necessario sentire il dottor Cetroli: nel corso dell'interrogatorio, reso il 21 settembre 1988 dinanzi al procuratore aggiunto della Repubblica di Firenze, il funzionario confermò di non aver mai acquistato le pistole, ammettendo soltanto un generico ed iniziale interesse, come collezionista, per la «Skorpion» dello Sbriccoli, presentatogli dalla Ciani, interesse venuto meno dopo la classificazione della stessa «Skorpion» come arma da guerra.
      Gli accertamenti esperiti presso le cancellerie penali del tribunale e della procura della Repubblica di Firenze non hanno consentito di rinvenire alcun atto concernente l'esito di un eventuale procedimento instaurato dall'autorità giudiziaria a carico del Cetroli, a seguito delle sue dichiarazioni. Il funzionario di polizia è deceduto a Roma il 30 giugno 2005.
      Gli autori materiali dell'eccidio di via Acca Larentia non sono mai stati individuati. È verosimile che l'arma utilizzata per l'attentato sia confluita nell'arsenale delle «Brigate rosse» attraverso la successiva adesione alla formazione eversiva di uno o più soggetti che la detenevano.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      CAMBURSANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il 6 e 7 di maggio 2012, a Chivasso, in provincia di Torino, si svolgeranno le elezioni amministrative per l'elezione del nuovo sindaco della città ed il rinnovo del consiglio comunale;
          dette elezioni anticipate si sono rese necessarie a seguito delle dimissioni, per gravi ragioni di salute, del sindaco Gianni De Mori, eletto nel mese di giugno del 2011;
          il 23 dicembre 2011 è stata nominata una «commissione di accesso agli atti» per verificare se nel corso degli ultimi anni a Chivasso ci siano state «infiltrazioni mafiose» e questo a seguito dell'arresto del vicesegretario dell'UdC locale, nel corso dell'operazione, definita dalla procura di Torino, «Minotauro»;
          il sindaco venne eletto al secondo turno, a seguito dell'apparentamento formale con l'UdC;
          la «commissione di acceso agli atti» dovrebbe ultimare – salvo proroghe – i propri lavori entro il prossimo 10 aprile 2012 e relazionare alla competente prefettura di Torino;
          il 2 aprile 2012 scadono i termini per la presentazione delle liste elettorali per la consultazione di inizio maggio;
          nel bel mezzo della campagna elettorale, o peggio ancora, ad elezioni appena svolte potrebbe essere commissariata la città di Chivasso, rendendo non solo inutili le elezioni ma anche facendo affrontare alla città e alle forze politiche un onere finanziario non indifferente in un momento di grave crisi economica e sociale;
          in tale ultima eventualità, la cittadinanza si troverebbe senza una guida politica e ciò nonostante il fatto che in soli 12 mesi ci siano state ben due consultazioni elettorali, con gravi conseguenze sul morale dei cittadini onesti e laboriosi  –:
          se il Ministro interrogato non ritenga opportuno evitare quanto in premessa, assumere iniziative, se del caso normative dirette al rinvio delle elezioni a data immediatamente successiva al termine dei lavori svolti dalla commissione, sempre che la commissione ritenga che sussistano le condizioni per tenere regolari consultazioni. (4-15529)

      Risposta. — In relazione all'interrogazione indicata in oggetto, si osserva che presso il comune di Chivasso è stata nominata la commissione d'accesso, con decreto del prefetto di Torino del 21 dicembre 2011.
      Il Consiglio comunale dell'ente è stato rinnovato a seguito delle consultazioni elettorali del maggio 2011. Il sindaco eletto ha rassegnato le dimissioni dalla carica il 31 gennaio di quest'anno, provocando lo scioglimento del Consiglio comunale, disposto con decreto del Presidente della Repubblica del successivo 24 febbraio.
      I lavori della Commissione – la cui attività è stata prorogata per ulteriori tre mesi con decreto del prefetto 3 aprile 2012 – termineranno il prossimo mese di luglio, dopo la tornata elettorale per il rinnovo degli organi elettivi dell'ente, svoltasi il 6 e 7 maggio di quest'anno.
      Il prefetto di Torino ha a disposizione 45 giorni per trasmettere una relazione al Ministro dell'interno, che, a sua volta, dispone di ulteriori tre mesi per l'assunzione delle definitive determinazioni.
      Il materiale relativo all'attività di indagine, pertanto, costituirà oggetto di attenta e approfondita valutazione da parte dei competenti uffici per verificare l'eventuale sussistenza dei requisiti richiesti per l'adozione del provvedimento di scioglimento e di altre connesse conseguenti iniziative.
      In ogni caso, l'esercizio del diritto di voto, costituzionalmente garantito, non poteva che essere tenuto distinto dallo svolgimento di un tale articolato e complesso iter procedimentale i cui tempi, nella recente riforma dell'articolo 143 del Testo unico degli enti locali, sono stati strettamente scanditi, anche a garanzia della trasparenza ed imparzialità del procedimento e della ponderatezza della conseguente decisione circa la sussistenza o meno dei presupposti di legge.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Saverio Ruperto.


      CIMADORO e PIFFARI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          nell'area di Bedford (UK) vivono oltre ventimila famiglie italiane;
          il vice consolato di Bedford è stato chiuso il 30 giugno 2008, sostituito da uno sportello consolare, con le competenze di sede distaccata dell'ufficio consolare di Londra. Vi operano tre dipendenti locali a contratto, collegati telematicamente con il consolato;
          i principali compiti cui assolve lo sportello consistono in genere: nel fornire informazioni al pubblico (ad esempio, in materia di assistenza sociale o di cittadinanza); nel raccogliere la documentazione da inoltrare al consolato di Londra (ad esempio, per i passaporti); nell'iscrivere i connazionali all'anagrafe consolare; nel rilasciare documenti (per esempio, un'autentica di firme); nell'assistere i connazionali in caso di incidenti; nell'apposizione dei sigilli per rimpatrio di salme in Italia; nell'autenticazione della firma per i moduli di esistenza in vita ai pensionati;
          la chiusura di questo sportello comporterebbe un grosso aggravio in termini economici per i molti italiani residenti a Bedford e nelle zone circostanti (Cambridge, Peterborough, Northampton, Kettering, Milton Keynes, Bletchley, Luton, Leighton Buzzard, Ipswich e altro) e un risparmio meno che nullo per il Ministero, poiché i tre impiegati verrebbero spostati su Londra, a costi nettamente superiori;
          per fare solo un esempio della maggiorazione dei costi a carico degli italiani che vivono nell'ex area consolare di Bedford, basta considerare che se oggi spendono 69,20 sterline per un passaporto valido per tutti i Paesi e una tassa annuale successiva per Paesi non aderenti all'Unione europea di 33,70 sterline, con la chiusura dello sportello spenderebbero 105 sterline per il passaporto e circa 70 sterline per la tassa annuale, in quanto al costo del documento si aggiungerebbe lo spostamento su Londra;
          ne consegue che in molti sarebbero costretti a optare per il passaporto inglese, spingendo vecchie e nuove generazioni a cambiare nazionalità. In particolare, diecimila connazionali, che hanno al momento la doppia cittadinanza, rinuncerebbero al passaporto italiano, con una perdita per le entrate stimabile in 690 mila sterline (circa 820 mila euro), rendendo di conseguenza completamente diseconomico la chiusura dello sportello. Le stesse spese per gli affitti del locale per 10 anni sono molto al disotto di questa cifra;
          inoltre, con l'assegnazione da parte dell'Inps al gruppo Citi dei pagamenti delle pensioni, si richiede con scadenza annuale l'autenticazione della firma al certificato d'esistenza in vita, dopo una certa età anche due volte l'anno. Questo servizio attualmente è offerto gratuitamente dallo sportello, cosa che non viene fatta da altre istituzioni in loco (ad esempio, dal medico di famiglia, che chiede circa 25 sterline);
          infine, sono migliaia gli anziani della prima generazione d'emigrati presenti nell'area che esprimono il desiderio di essere tumulati in Italia. In questo caso è necessaria l'apposizione dei sigilli al trasporto delle salme. Per far ciò, in caso di chiusura dello sportello di Bedford, bisognerà portare la cassa con la salma in consolato a Londra, con costi molto elevati di trasporto e d'ingresso nella città con l'automobile. Anche in termini di tempo c’è un aggravio sostanziale, in quanto per sbrigare il tutto presso il consolato di Londra sono richiesti un minimo di 15 giorni, in un momento di particolare stress per i famigliari. Allo stato attuale, invece, lo sportello di Bedford attua procedure veloci ed efficienti, con costi quasi nulli  –:
          di quali elementi disponga il Ministro interrogato in merito alla chiusura di tale sportello e se intenda compiere ogni possibile passo per garantire alle oltre ventimila famiglie italiane residenti nell'ex area consolare di Bedford un equivalente servizio. (4-15846)

      Risposta. — La rete consolare italiana nel Regno unito è stata oggetto di alcuni provvedimenti di razionalizzazione che hanno portato alla chiusura, il primo luglio 2008 del vice consolato di Bedford, sostituito da uno sportello consolare che dipende direttamente dal consolato generale d'Italia in Londra. Lo sportello consolare di Bedford è stato sin dall'inizio concepito con criteri di temporaneità strettamente connessi ai tempi tecnici di apertura della nuova sede del consolato generale di Londra, presso la quale esso andrà dunque a confluire.
      Tali misure si collocano nel quadro del processo di razionalizzazione della nostra rete diplomatico-consolare che, parimenti a quanto avviene presso i principali partner europei, si prefigge di renderla sostenibile economicamente in uno scenario di risorse ormai fortemente decrescenti ed al contempo di aggiornarla alle nuove esigenze geo-politiche, legate ai nuovi scacchieri internazionali.
      La soppressione dei nostri uffici all'estero è intesa anche a liberare risorse, in una valutazione comparativa degli interessi e delle priorità, per l'apertura di nuove sedi in contesti emergenti ove la promozione degli interessi nazionali sta acquistando crescente rilevanza.
      Peraltro, come noto, l'intero processo di razionalizzazione della rete diplomatico-consolare su precisa indicazione del Ministro Terzi, è al momento sottoposto ad un'attenta valutazione nel più generale ambito della cosiddetta «spending review», prevista per legge. Tale riflessione si sta avvalendo di un apposito gruppo di lavoro insediato presso l'amministrazione degli esteri, solo a completamento delle cui attività potranno essere delineati con maggiore precisione gli scenari dei futuri percorsi di razionalizzazione della nostra rete diplomatico-consolare.
      In particolare, qualora lo sportello consolare di Bedford vedesse esaurite le proprie funzioni transitorie potrebbe essere presa in considerazione l'ipotesi di attivare in loco un'agile struttura consolare onoraria, capace di garantire una stabile presenza a sostegno della comunità di connazionali residenti, in stretto raccordo con il sovraordinato Ufficio diplomatico.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Staffan de Mistura.


      CIMADORO e PIFFARI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          tra gli enti presenti in Gran Bretagna che ricevono contributi statali per corsi di lingua e cultura italiana extracurricolari, si è venuto a creare un palese stato di non conformità alla legge inglese sull'assunzione di personale docente in loco;
          lo stesso ente COASIT (Comitato assistenza scuole italiane) e la direzione scolastica di Londra, ammettono, anche con dichiarazioni scritte, che i docenti assunti sul posto, anche dopo 4 anni, non hanno nessuno status di permanenza e possono essere semplicemente sostituiti, in qualsiasi momento, da insegnanti del Ministero degli affari esteri. Ciò secondo quanto risulta agli interroganti è in palese violazione della vigente legislazione inglese sul lavoro, per la quale, dopo 4 anni lavorativi (o 4 contratti temporali successivi presso lo stesso ente), dovrebbero venire automaticamente assunti con un contratto permanente, assimilabile – in parte – a quello degli insegnanti di ruolo in Italia;
          attualmente, invece, i contratti, praticati da questi enti, sono di diverse tipologie, normalmente in uso nel Regno Unito, quali il fixed-term (contratto in relazione alla durata dell'anno scolastico), il temporary (contratto a tempo determinato) e il hourly paid (contratto ad ore), ma inadeguati a questo tipo di lavoro;
          in ogni caso le nuove norme inglesi in materia di lavoro del 10 luglio 2002 affermano che i contratti a termine non possono essere riproposti per più di 4 volte consecutive. Dopo la quarta, deve scattare un contratto di tipo permanente. Quindi dopo 4 anni gli enti non potrebbero licenziare un docente, salvo nei casi previsti dalla legge, così come sarebbero obbligati a pagare tutti i contributi pensionistici, al pari di altri docenti che lavorano istituzioni simili in Gran Bretagna;
          anche con gli attuali contratti, il COASIT sarebbe stato tenuto a pagare o tutte le ferie e le festività, cosa che è stata fatta solo in parte dal 2008, ma non per gli anni precedenti;
          inoltre, i docenti COASIT sono costretti a svolgere anche la funzione di esaminatori, il che comporta molte ore di lavoro extra, soltanto in parte retribuite, forfettariamente e secondo calcoli che appaiono poco chiari. Non è oltremodo retribuito il tempo destinato alla preparazione e all'organizzazione dei corsi stessi;
          gli insegnanti in loco, che sono nella maggioranza dei casi italiani all'estero, vengono in tal ottica discriminati e messi da parte a tutto vantaggio degli insegnanti del Ministero degli affari esteri. In questo modo si tradisce lo spirito della legge, per cui l'Italia manda in missione docenti italiani, allo scopo di promuovere la lingua e di far nascere in loco un processo di sviluppo autonomo dell'italiano. Di fatto, ad avviso degli interroganti si allontanano e demotivano gli insegnanti in loco, al fine di garantire composizioni di cattedre per gli insegnanti del Ministero degli affari esteri, con indubbi maggiori costi per lo Stato italiano. Gli insegnanti del Ministero degli affari esteri, infatti, percepiscono un doppio stipendio, il primo viene pagato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che deduce solo l'indennità integrativa speciale. Il secondo viene pagato dal Ministero degli affari esteri. Si chiama assegno di sede, con una maggiorazione del 20 per cento per il coniuge e del 5 per cento per ogni figlio. Quindi con un costo elevatissimo rispetto ai fondi che precedentemente venivano erogati agli enti, che invece hanno subito negli ultimi anni drastici tagli. Mandare un docente del Ministero degli affari esteri all'estero costa più del doppio rispetto a un insegnate in loco. Senza considerare che spesso vengono create cattedre in scuole dove solo una piccola percentuale degli alunni è d'origine italiana. Si tratta per lo più di istituti molto ricchi, che potrebbero provvedere tranquillamente da sé ad assumere insegnanti d'italiano;
          infine la legge inglese viene ignorata rispetto ad altre tre questioni molto importanti: la prima riguarda i controlli penali, che ogni ente deve fare su tutti i dipendenti, anche se sono stati controllati da altri enti o istituzioni (il cosiddetto «CRB checks); la seconda riguarda l'obbligo di fare il child protection training da parte di ogni insegnante; la terza verte sulla sicurezza degli studenti e degli insegnanti stessi, soprattutto quelli dei corsi serali. Questi obblighi di legge naturalmente riguardano tutti i docenti, in loco e del Ministero degli affari esteri, ma spesso a quanto consta agli interroganti vengono elusi  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza di queste ambiguità in cui versano gli enti erogatori di corsi di lingua italiana all'estero;
          se intenda compiere ogni possibile passo, nell'ambito delle proprie competenze, per ripristinare uno stato di maggiore conformità alla normativa vigente e di rispetto nei confronti sia degli italiani all'estero, che vorrebbero maggiori opportunità di lavoro e d'inserimento, sia dei contribuenti italiani che pagano per questi servizi. (4-15858)

      Risposta. — Le questioni relative ai contratti tra enti gestori ed insegnanti assunti all'estero hanno natura privatistica ed eventuali violazioni della normativa locale vanno fatte valere di fronte alle autorità giurisdizionali locali.
      Al riguardo tuttavia il Ministero degli esteri provvederà a comunicare quanto segnalato dagli interroganti al consolato generale di Londra, per le eventuali valutazioni di competenza nel quadro delle verifiche istituzionali che esso è chiamato a svolgere sull'operato complessivo dell'ente Comitato assistenza italiani in tale sede.
      In particolare per quanto attiene l'eventuale riduzione del contingente dei docenti di ruolo all'estero occorre tenere presente che è attualmente oggetto di riflessione nell'ambito della cosiddetta «spending review».

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Staffan de Mistura.


      CONTENTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          l'intera Val Tramontina (Pordenone) sta lamentando dei disagi prolungati e non più sostenibili in merito alla consegna della corrispondenza;
          da più di un mese, infatti, il portalettere si reca in questa area geografica in modo discontinuo, a volte non presentandosi al domicilio dell'utenza anche per 4-5 giorni di seguito;
          nella frazione di Campone, in comune di Tramonti di Sotto, risulta che la posta non venga recapitata addirittura da quattro settimane;
          la valle è abitata in larga maggioranza da anziani, impossibilitati dal muoversi da casa;
          la delicatezza della problematica appare palese se si pensa che l'inconveniente riguarda anche aziende e uffici pubblici, con ritardi nella partecipazione a gare di appalto e nella ricezione di comunicazioni di lavoro  –:
          se sia a conoscenza della vicenda indicata in premessa e quali iniziative intenda assume per risolvere al più presto la problematica;
          quali siano le cause del disagio evocato e se lo stesso riguardi altre aree geografiche del Friuli Venezia Giulia.
(4-14060)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, riguardante le modalità della consegna della corrispondenza nella frazione di Campone del comune di Tramonti di Sotto, in provincia di Pordenone, e nell'intera regione Friuli Venezia Giulia, sulla base degli elementi forniti dalla direzione generale competente e dalla società Poste italiane, si rappresenta quanto segue.
      La concessionaria designata del servizio postale universale assicura il proprio presidio nella regione Friuli con 349 uffici postali, di cui 309 monoturno e 40 a doppio turno, cui si aggiungono 3 uffici Poste impresa.
      Nel mese di gennaio 2012 sono stati chiusi 7 uffici postali nella provincia di Pordenone (Casiacco, Chievolis, Dardago, Pielungo, Rivarotta, Solimbergo e Toppo) e 8 uffici postali nella provincia di Udine (Cornino, Flagogna, Madonna di Buia, San Tommaso, Socchieve, Torsa di Pocenia, Trava e Urbignacco).
      L'Azienda ha evidenziato che tutti i citati uffici erano da tempo caratterizzati da una diseconomia insanabile e la loro chiusura è stata prevista nel piano degli interventi per l'anno 2011 sugli uffici postali in posizione di squilibrio economico, regolarmente trasmesso all'AGCOM lo scorso 17 gennaio 2011, ai sensi del vigente contratto di programma. In particolare, tutti gli interventi di chiusura sono stati adottati nel pieno rispetto dei criteri di cui al decreto 7 ottobre 2008 e nessuno degli uffici postali coinvolti risulta essere presidio unico di comune. Pertanto, in ciascuno di tali comuni, è garantito il regolare svolgimento del servizio universale.
      Nella medesima prospettiva, finalizzata al raggiungimento di un migliore equilibrio tra domanda e offerta ed in considerazione dei modesti flussi di traffico registrati e dell'esiguo bacino di utenza, durante il mese di gennaio 2012, sono stati anche disposti 22 provvedimenti di rimodulazione dell'orario di apertura al pubblico di uffici postali, di cui 4 nella provincia di Pordenone, 17 nella provincia di Udine e 1 nella provincia di Gorizia. L'andamento dell'operatività di tali uffici è costantemente monitorato al fine di garantire interventi tempestivi in caso di variazioni dei dati di produzione.
      Poste italiane spa ha precisato altresì che, in occasione delle predette iniziative, sono state rispettate le procedure previste dal vigente CCNL per quanto concerne l'informativa alle organizzazioni sindacali, e che i provvedimenti di chiusura e/o rimodulazione dell'orario di apertura degli uffici postali non hanno determinato ricadute occupazionali negative, poiché al personale assegnato agli uffici postali coinvolti è stata garantita la ricollocazione presso uffici limitrofi alla precedente sede di lavoro ovvero al comune di residenza, nel rispetto della professionalità delle risorse interessate.
      Con riferimento allo svolgimento del servizio di recapito, la società ha comunicato che la consegna della corrispondenza nel territorio della Valle Tramontina, in particolare nei comuni di Tramonti di Sopra e di Sotto, in provincia di Pordenone, è di competenza del presidio decentrato di distribuzione di Fanna. Tale presidio si articola in 5 zone di recapito, una delle quali cura lo svolgimento del servizio nelle località di interesse dell'interrogante. Quest'ultima, dal mese di agosto 2011 è priva del portalettere titolare. Tuttavia il servizio è stato effettuato con cadenza quotidiana grazie all'applicazione degli ordinari strumenti gestionali di flessibilità operativa ovvero impiegando portalettere assunti con contratto a tempo determinato.
      Al riguardo, Poste italiane ha anche evidenziato che nelle località in esame la toponomastica presenta numerose carenze (imprecisioni nell'indicazione delle vie e dei numeri civici, mancata apposizione dei nomi sulle cassette domiciliari), alle quali si è aggiunta una recente revisione della numerazione civica ed è pertanto possibile che, qualora in passato lo svolgimento del servizio sia stato affidato ad operatori sprovvisti di conoscenza diretta del territorio e degli abitanti, possano essersi effettivamente verificati sporadici rallentamenti nello svolgimento del servizio di recapito.
      In ogni caso, la Società ha assicurato che la situazione si è progressivamente normalizzata già a partire dal mese di gennaio 2012, grazie alla presenza di un operatore residente in zona, assunto con contratto a tempo determinato, la cui conoscenza dei luoghi e degli abitanti ha sopperito alle citate carenze toponomastiche, tuttora esistenti. Al momento, nella località Campone, frazione del comune di Tramonti di Sotto, il servizio di recapito si svolge con regolarità e non si registrano giacenze di corrispondenza.
      Il Ministero dello sviluppo economico, nell'ambito delle proprie competenze, tenuto conto che le funzioni di regolazione e vigilanza del servizio postale sono state trasferite all'Agcom con il decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, non mancherà, comunque, di avviare un'azione di sensibilizzazione nei confronti della concessionaria Poste italiane, in particolare per le problematiche relative alle aree più disagiate del territorio.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Massimo Vari.


      DE MICHELI e MIGLIAVACCA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          la TNT, una della aziende leader nel mondo per la logistica e i trasporti, ha aperto nel 2006 il centro di smistamento di Piacenza, concepito come un hub tecnologicamente all'avanguardia per garantire operatività e continuità al network distributivo su tutto il territorio di fronte a volumi di traffico crescenti;
          con circa 400 addetti e una capacità di smistamento pari a 205.000 colli al giorno e 51 milioni di colli all'anno, il centro di Piacenza è il più grande impianto del settore in Italia e uno dei più grandi in Europa;
          attualmente, la gran parte del personale impiegato per lo smistamento proviene ed è gestito dalle cooperative Stella e Vega, appartenenti al gruppo Gesco, alle quali è appaltato il servizio di facchinaggio da parte della TNT;
          si tratta di circa 350 lavoratori, per la maggior parte stranieri provenienti dal Nord Africa, soci delle citate cooperative o assunti a tempo indeterminato e che da contratto avrebbero diritto a lavorare 168 ore al mese;
          da notizie di stampa si è appreso che in realtà questi lavoratori vengono impiegati su chiamata: costretti a presentarsi quotidianamente davanti all'impianto, solo una parte di essi viene impiegata, a seconda delle esigenze per altro con turni lunghi anche 16 ore;
          ogni giorno circa il 40 per cento dei lavoratori, dopo ore di estenuanti attese ai cancelli, non viene nemmeno fatto entrare al lavoro;
          conseguentemente, i lavoratori che risultano impiegati per molte meno ore rispetto a quanto previsto dai contratti ricevono stipendi assai inferiori, senza la tredicesima e la quattordicesima, e con gli straordinari pagati come rimborso spese;
          numerosi lavoratori hanno anche denunciato di aver subito, in seguito a protesta, la minaccia di licenziamento, che per molti significa la perdita del permesso di soggiorno;
          il 9 luglio è esplosa la protesta contro le cooperative e la TNT: i lavoratori hanno bloccato i cancelli dell'impianto, impedendo l'entrata e l'uscita dei tir e paralizzando le attività di trasporto;
          la protesta si è quindi trasformata in un presidio permanente, con nuove interruzioni dei servizi della TNT e attimi di tensione in seguito alla serrata messa in atto dalle cooperative nei confronti dei protestanti;
          nella giornata del 18 luglio 2011, in seguito al coinvolgimento di vari rappresentanti dei sindacati e all'intervento delle istituzioni locali, la prefettura di Piacenza, in accordo con la questura, dimostrando grande sensibilità istituzionale, ha convocato un tavolo per esperire un tentativo di conciliazione tra le parti, che ha dato ad oggi risultati, seppur parziali;
          per venerdì 22 luglio è previsto un ulteriore tavolo di confronto alla presenza del Sottosegretario per le infrastrutture e i trasporti Bartolomeo Giachino  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza della vicenda in corso;
          quali iniziative i Ministri interrogati intendano porre in essere al fine di assicurare ai lavoratori impiegati presso la TNT condizioni di lavoro eque e dignitose e, in particolare, al fine di garantire l'applicazione del contratto nazionale di lavoro;
          quali ulteriori urgenti iniziative si intendano intraprendere al fine di una tempestiva soluzione della questione in corso, la quale comporta il blocco di servizi fondamentali con gravissimi danni economici per aziende e privati.
       (4-12762)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con cui si chiede quali provvedimenti si intendano assumere al fine di porre rimedio alle gravi condizioni di lavoro dei dipendenti della TNT, sede di Le Mose (Piacenza), si rappresenta quanto segue.
      Il territorio di Piacenza è sede di rilevanti insediamenti industriali relativi al settore «logistica» dove, in genere, le aziende ricorrono all’outsourcing, esternalizzando sia le fasi di trasporto merci, sia quelle di movimentazione (trattasi prevalentemente di cooperative di facchinaggio costituite ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n.  602 del 1970).
      Tra le aziende di spedizione rientra la società TNT che è stata oggetto di interesse dei media per la rilevanza delle proteste dei lavoratori delle cooperative appaltatrici dei servizi di movimentazione merci e di facchinaggio del deposito di Piacenza.
      Nel corso del mese di luglio 2011, per oltre una settimana, davanti ai cancelli dello stabilimento TNT sito nei pressi di Piacenza, in località di Le Mose, hanno scioperato e manifestato oltre un centinaio di lavoratori, per lo più stranieri con regolare permesso di soggiorno impiegati come facchini dalle cooperative operanti all'interno di quello stabilimento, causando anche un breve blocco delle merci.
      Precedentemente, nel corso del 2007, la direzione provinciale de lavoro di Piacenza ha effettuato un accesso notturno nel polo logistico per verificare la posizione di TNT e delle cooperative di facchinaggio appaltatrici; le indagini sono proseguite con la collaborazione delle sedi provinciali INPS ed INAIL e, a causa della complessità dell'accertamento implicante una decina di cooperative, è stato possibile pervenire a conclusione solo nell'anno successivo.
      Nel 2008, infatti, sono stati redatti i verbali ispettivi, uno per ciascuna cooperativa, notificati anche a TNT come obbligato solidale per il versamento dei contributi evasi. Per due casi, con implicazioni anche penali, l'accertamento è stato definito nel 2010. Nell'occasione sono stati contestati brevi periodi di lavoro nero, mancato rispetto del contratto per maggiorazione lavoro notturno, straordinari non pagati o pagati a titolo di trasferta.
      Una cooperativa è stata denunciata alla procura della Repubblica dal nucleo dei Carabinieri presso la direzione provinciale del lavoro per truffa ai danni dell'INPS, in quanto è emerso che, per ridurre al minimo la contribuzione mensilmente dovuta, la cooperativa poneva illecitamente a conguaglio ogni mese circa 20.000 euro a titolo di assegni familiari, che non sono risultati dovuti e nemmeno registrati a libro paga.
      I periodi oggetto delle verifiche, diversi da una cooperativa all'altra in relazione alla durata del rispettivo appalto, coprono l'arco temporale che va da giugno 2006 a dicembre 2009 e, complessivamente, sono stati addebitati alle varie cooperative 350.000 euro di contributi, richiesti a TNT per l'intero, quale obbligato in solido.
      Attualmente, risultano operanti due cooperative assegnatarie di appalti da parte del consorzio Gesconet con l'occupazione di circa 400 addetti.
      Si segnala, inoltre, che la competente sede INPS è parte attiva del tavolo interistituzionale per la regolarità, sicurezza e qualità del lavoro, coordinato dalla provincia di Piacenza, a cui partecipano le istituzioni locali e le amministrazioni periferiche dello Stato unitamente alle parti sociali, nel cui ambito è stata esaminata la situazione determinatasi nel polo logistico piacentino e deflagrata nel corso dell'estate 2011.
      Sotto il profilo dei controlli, si rappresenta che la sede INAIL di Piacenza è da tempo attenta al contrasto del fenomeno delle irregolarità negli appalti di movimentazione merci, che determinano riduzioni delle tutele dei lavoratori nelle cooperative di facchinaggio, attivando anche specifici piani operativi per il territorio di competenza.
      La vicenda, inizialmente seguita dai sindacati di base, ha attirato l'attenzione di tutti i sindacati e delle istituzioni, comprese le associazioni di categoria degli imprenditori, per la gravità delle condizioni di lavoro denunciate dai manifestanti: retribuzioni insufficienti, orari eccessivi, addirittura percosse e fenomeni di caporalato ai danni di lavoratori ancor più ricattabili perché a rischio di perdere il permesso di soggiorno in mancanza di un'occupazione.
      La vertenza – attivamente seguita dalle istituzioni locali – si è risolta con l'accordo siglato dalle cooperative il 27 luglio 2011, nel quale si concorda sulla necessaria applicazione integrale delle norme e del contratto collettivo di categoria.
      La direzione territoriale del lavoro di Piacenza ha rappresentato che le istituzioni sono state molto compatte nel condannare ogni pratica di sfruttamento del lavoro irregolare, anche per le ripercussioni sulla società e nel chiedere controlli più severi sul settore – che la stessa direzione territoriale del lavoro non mancherà di effettuare – prioritariamente sulle aziende che affidano lavorazioni ad un prezzo troppo basso per coprire il costo del lavoro.
      Conclusivamente, si osserva che il Governo ha già manifestato interesse per la questione segnalata dall'interrogante, la quale ha già costituito oggetto di interventi di ripristino della legalità delle condizioni di lavoro.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Michel Martone.


      DE POLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il 29 marzo 2011 è entrato in vigore il decreto legislativo 3 marzo 2011, n.  28 - «Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE»;
          il decreto si inserisce nel quadro della politica energetica europea volta a ridurre la dipendenza dalle fonti combustibili fossili e le emissioni di CO2, nel rispetto delle direttive comunitarie che impongono all'Italia l'obbligo di raggiungimento degli obiettivi del 17 per cento di energia prodotta da fonti rinnovabili entro il 2020;
          l'atto normativo, in attuazione della direttiva 2009/28/CE e nel rispetto dei criteri stabiliti dalla legge 4 giugno 2010 n.  96, definisce strumenti, meccanismi, incentivi e quadro istituzionale, finanziario e giuridico, necessari per il raggiungimento degli obiettivi fino al 2020 in materia di energia da fonti rinnovabili;
          dunque, alla luce di quanto eccepito in sede europea, l'Italia ha dovuto accelerare i tempi di adeguamento della propria normativa. L'obiettivo pertanto prefisso con il nuovo decreto legislativo n.  28 sulla promozione delle fonti rinnovabili è quello di adeguare la vigente disciplina edilizia al sistema europeo prevedendo al tempo stesso obbligo a carico dei costruttori per incentivare l'utilizzo di energia da fonti rinnovabili che possano trovare giusta tutela anche per i futuri acquirenti;
          riassumendo le principali novità contenute nel decreto legislativo 3 marzo 2011, n.  28, si evince che soltanto in alcuni casi le disposizioni del decreto legislativo risultano immediatamente applicabili; la maggior parte, invece, necessita di specifici provvedimenti attuativi (decreti ministeriali, delibere dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, e altri);
          la decorrenza dell'efficacia del decreto è stabilita tenendo conto dei tempi necessari all'adeguamento alle norme tecniche con riguardo alle diverse taglie di impianto e non può essere fissata prima di un anno dalla sua pubblicazione;
          in particolare, per gli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole, l'accesso agli incentivi statali è consentito a condizione che:
              a) la potenza nominale di ciascun impianto non sia superiore a 1 megawatt;
              b) gli impianti siano collocati ad una distanza non inferiore a 2 chilometri nel caso di terreni appartenenti allo stesso proprietario;
              c) non sia destinato all'installazione degli impianti più del 10 per cento della superficie totale del terreno;
          tali limiti non si applicano ai terreni abbandonati da oltre 5 anni e agli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole che hanno conseguito il titolo abilitativo entro la data di entrata in vigore del presente decreto o per i quali sia stata presentata richiesta per il conseguimento del titolo entro il primo gennaio 2011, con obbligo di messa in esercizio dell'impianto entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Tale obbligo desta preoccupazione in tutti coloro che stanno riscontrando difficoltà a regolarizzare la propria situazione entro la data stabilita e che desidererebbero una proroga in merito da parte del Governo  –:
          se i Ministeri competenti ritengono possibile assumere iniziative normative per posticipare di un anno la scadenza del primo gennaio 2011 di cui al decreto legislativo 3 marzo 2011, n.    28 (articolo 10, comma 4) per tutelare coloro che non hanno ottenuto o non hanno ancora presentato richiesta del titolo abitativo.
(4-14324)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame si fa presente quanto segue.
      L'interrogante premette che:
          con l'adozione del decreto legislativo 3 marzo 2011, n.  28, il legislatore italiano, nel quadro della politica energetica europea, ha inteso prescrivere le misure necessarie al conseguimento degli obiettivi al 2020 in materia di energia da fonti rinnovabili;
          con particolare riguardo alla installazione di impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole, tuttavia, l'articolo 10, comma 4, del citato decreto legislativo subordina l'accesso al meccanismo incentivante alla sussistenza di determinate condizioni;
          la disposizione di cui al comma 6 del medesimo articolo 10, esclude l'operatività di siffatti vincoli al ricorrere di determinati presupposti temporali concernenti il conseguimento del titolo abilitativo, l'inoltro della richiesta per il rilascio del titolo, nonché l'entrata in esercizio dell'impianto;
          il rispetto di siffatti obblighi di ordine temporale desterebbe la preoccupazione di quanti abbiano riscontrato difficoltà nel regolarizzare la propria situazione entro i termini prescritti dalla norma in esame.
      Ciò premesso, l'interrogante chiede:
          se i Ministeri competenti ritengano opportuno assumere iniziative tese a posticipare di un anno la scadenza del primo gennaio 2011, onde tutelare coloro i quali, entro tale data, non abbiano ottenuto o non abbiano inoltrato istanza del titolo abilitativo.
      Al riguardo si fa presente quanto segue.
      Occorre evidenziare che con l'adozione del decreto legislativo 3 marzo 2011, n.  28 sono state previste misure volte allo sviluppo delle fonti rinnovabili, in vista del conseguimento dell'obiettivo assunto dall'Italia a livello europeo in termini di consumo lordo di energia da fonti rinnovabili, nonché i criteri per la riforma del sistema degli incentivi anche allo scopo di renderlo economicamente sostenibile per i consumatori.
      Con riguardo agli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole, il legislatore, al fine di garantire un giusto equilibrio sul territorio nazionale tra l'obiettivo di incrementare la produzione di energia da fonti rinnovabili nel rispetto dei parametri europei e quello di evitare lo sfruttamento delle aree agricole a fini di produzione energetica, estranei alla loro destinazione d'uso, ha stabilito particolari condizioni per l'accesso agli incentivi, ritenendo prioritario garantire attraverso tali limitazioni l'uso agricolo delle aree.
      Al soddisfacimento di tale interesse pubblico risulta quindi preordinata la prescrizione limitativa di cui all'articolo 10, comma 4, del decreto legislativo 28 del 2011, volta a subordinare l'accesso agli incentivi alla sussistenza di determinate condizioni, di potenza, di distanza e di superficie massima occupabile, qualora gli impianti siano destinati ad insistere su aree a destinazione agricola.
      Ciò premesso, occorre sottolineare che il legislatore ha escluso l'operatività di tale disciplina limitativa in relazione a quegli impianti che abbiano conseguito il titolo abilitativo entro la data di entrata in vigore del decreto legislativo 28 del 2011 (29 marzo 2011) o per i quali sia stata inoltrata richiesta per il conseguimento del titolo medesimo entro il 1° gennaio 2011 e sempre che l'impianto entri in esercizio entro un anno dalla data di entrata in vigore del citato decreto (ex articolo 10, comma 6, del decreto legislativo citato).
      Il fondamento di tale disciplina derogatoria, si rinviene nell'esigenza di tutelare l'interesse al conseguimento degli incentivi vantato da quegli operatori che, avendo già inoltrato istanza per il rilascio del titolo abilitativo ovvero avendo conseguito quest'ultimo, possano aver maturato in virtù dello stato di avanzamento delle procedure per l'autorizzazione, una sorta di affidamento nell'accesso alle tariffe.
      Analoga esigenza di tutela e, dunque, di una eventuale proroga del termine, non sembra viceversa ravvisarsi in relazione all'ipotesi prospettata dall'interrogante, ossia nei confronti di coloro i quali, alla data del 1° gennaio 2011, non abbiano ancora inoltrato istanza volta al conseguimento del titolo abilitativo.
      A conferma di quanto premesso, si consideri che la disposizione di cui all'articolo 65, comma 2, della legge 24 marzo 2012, n.  27 («conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1, recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività»), pur nel quadro di una generale rivisitazione del sistema incentivante in tema di suoli agricoli, introduce una proroga del (solo) termine per l'entrata in esercizio dell'impianto, quale condizione cui è subordinato l'esonero dai vincoli all'accesso agli incentivi di cui all'articolo 10, comma 4 del medesimo decreto, incidendo sulla disciplina transitoria di cui all'articolo 10, comma 6, del decreto legislativo 28 del 2011.
      Sembra opportuno, infine, evidenziare la distinzione tra l'autorizzazione alla realizzazione ed esercizio degli impianti e l'accesso all'incentivazione, atteso che con la disciplina in esame il legislatore ha inteso non precludere aprioristicamente l'installazione degli impianti a fonti rinnovabili, ma limitare l'accesso al meccanismo incentivante, in ossequio all'interesse pubblico ritenuto prioritario di garantire un utilizzo delle aree agricole conforme alla loro naturale destinazione.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Claudio De Vincenti.


      DE POLI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          da numerose fonti giornalistiche e dall'intervento di una nota trasmissione televisiva è stato messo in evidenza uno dei malcostumi che attanagliano l'Italia, l'assenteismo durante l'orario di lavoro; nello specifico si tratta di alcuni dipendenti dell'Usl veneta finiti già al centro di una indagine ispettiva regionale;
          si sta occupando del caso anche la regione Veneto; in particolare il consiglio regionale che ha proposto l'applicazione di un modello statistico, basato su un'analisi delle presenze e delle assenze dei dipendenti delle 24 aziende sanitarie del Veneto attraverso il quale scoprire coloro i quali timbrano il cartellino e poi lasciano l'ufficio per recarsi a fare la spesa, al bar, alla posta... L'idea è di effettuare un monitoraggio a campione su diverse Usl scelte in modo tale da rappresentare l'intero sistema sanitario regionale, quindi il modello si baserà su indicatori capaci di evidenziare quelle che sono le assenze fisiologiche da quelle che dovrebbero indurre qualche sospetto;
          mai come questa volta possiamo definire il caso un reato punito dal codice penale: truffa ai danni dello Stato (...) ma ancor più ai danni dell'intera cittadinanza ! Sulla vicenda è intervenuto anche il Governatore del Veneto Zaia che giustamente ha sottolineato che la maggioranza dei lavoratori sono estremamente corretti e ligi al senso del dovere e che sui responsabili si userà il pugno duro. Occorre agire su due fronti: difendere i contribuenti sia dal punto di vista economico che da quello dell'efficienza del servizio pubblico che questi uffici devono svolgere con la massima trasparenza;
          l’iter legale che si intraprenderà non sarà breve. Le norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, se pur semplificate dal Ministro Brunetta, sono molto complesse e comportano lungaggini procedurali che rischiano di far decadere l'azione disciplinare  –:
          se il Ministro interrogato alla luce dell'attuale situazione ritenga opportuno, vista la gravità delle azioni, di poter intervenire a livello nazionale con gli organi competenti per poter arginare questo fenomeno che danneggia non solo la regione Veneto ma tutto il Paese. (4-15828)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame con il quale l'interrogante chiede al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione alcuni chiarimenti in merito agli strumenti adottati o da adottare per contrastare il fenomeno dell'assenteismo dei dipendenti pubblici durante l'orario di lavoro, si rappresenta quanto segue.
      In via preliminare, appare opportuno rilevare come un generico riferimento allo «assenteismo nel pubblico impiego» rischia di non essere un'obiettiva rappresentazione del fenomeno: infatti, dai dati acquisiti dall'ispettorato per la funzione pubblica, incaricato – in attuazione delle disposizioni contenute nel paragrafo 6 della direttiva n.  8 del 6 dicembre 2009 del Ministro per le riforme e l'innovazione nella pubblica amministrazione – di monitorare il numero e l'andamento (avvio, eventuale sospensione e conclusione) dei procedimenti disciplinari comunicati dalle amministrazioni, non emergono profili di criticità nell'ambito delle amministrazioni pubbliche operanti sul territorio nazionale. I dati emersi sono riportati, peraltro, nell'annuale relazione al Parlamento sullo stato della pubblica amministrazione 2010-2011.
      Il documento segnala un numero complessivo di provvedimenti disciplinari assunti analogo a quello dell'anno precedente, ma con una significativa e apprezzabile contrazione dei tempi medi di durata dei relativi procedimenti.
      Sotto il profilo normativo, infatti, il decreto legislativo 27 ottobre 2009, n.  150, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, ha previsto, al Capo V, modifiche in materia di sanzioni disciplinari e responsabilità dei dipendenti pubblici, al fine di potenziare il livello di efficienza degli uffici e di contrastare i fenomeni di scarsa produttività ed assenteismo.
      La nuova disciplina, costituita da sanzioni disciplinari più forti e da un regime di responsabilità dei dipendenti pubblici più rigido, rappresenta un intervento di natura amministrativa incisivo per l'eliminazione delle criticità del precedente assetto normativo caratterizzato dalla scarsa tempestività dell'intervento disciplinare, dalla lentezza dei procedimenti, dalla farraginosità delle fattispecie e dalla debolezza sanzionatoria.
      Con l'articolo 69 del citato decreto n.  150 del 2009, infatti, sono state introdotte una serie di disposizioni nel decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165, volte a contenere il fenomeno dell'assenteismo. In particolare:
          l'articolo 55-bis ha fissato termini brevi e perentori per l'avvio e la conclusione dei procedimenti sanzionatori;
          l'articolo 55-quater ha previsto l'ipotesi del «licenziamento disciplinare» per la «falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia»;
          l'articolo 55-quinquies ha affermato la specificità del reato di «falsa attestazione o certificazione, che si va ad aggiungere alla generale previsione di truffa aggravata; sulla base di ciò si dispone che «Fermo quanto previsto dal codice penale, il lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione che attesta falsamente la propria presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustifica l'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o falsamente attestante uno stato di malattia è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 400 ad euro 1.600. (...). In tali casi, «il lavoratore, ferme la responsabilità penale e disciplinare e le relative sanzioni, è obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché il danno all'immagine subiti dall'amministrazione.»;
          l'articolo 55-sexies, infine, ha attribuito al dirigente la responsabilità per le ipotesi di mancato esercizio o decadenza dell'azione disciplinare – che va ad integrare quella individuata dall'articolo 41 dello stesso decreto legislativo n.  150 del 2009 per la colpevole violazione del dovere di vigilanza sul rispetto da parte del personale assegnato ai propri uffici, degli standard qualitativi e quantitativi fissati dall'Amministrazione. Il comma 3 del citato articolo 55-sexies prevede che «il mancato esercizio o la decadenza dell'azione disciplinare, dovuti all'omissione o al ritardo, senza giustificare il motivo, degli atti del procedimento disciplinare o a valutazioni sull'insussistenza dell'illecito disciplinare irragionevoli o manifestamente infondate, in relazione a condotte aventi oggettiva e palese rilevanza disciplinare, comporta, per i soggetti responsabili aventi qualifica dirigenziale, l'applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione in proporzione alla gravità dell'infrazione non perseguita, fino ad un massimo di tre mesi in relazione alle infrazioni sanzionabili con il licenziamento, ed altresì la mancata attribuzione della retribuzione di risultato per un importo pari a quello spettante per il doppio del periodo della durata della sospensione.».
      Da quanto rappresentato, quindi, si ritiene di condividere le parole del governatore del Veneto Luca Zaia – intervenuto in merito ad episodi di assenteismo verificatisi in una Asl veneta – che ha sottolineato, correttamente, come la maggioranza dei lavoratori sono estremamente corretti e ligi al senso del dovere e che sui responsabili di comportamenti illeciti si interverrà con fermezza.
      In tal senso, il decreto legislativo n.  150 del 2009, con le modifiche apportate al sistema disciplinare e sanzionatorio, già contiene strumenti idonei al contrasto del fenomeno dell'assenteismo dal lavoro dei pubblici dipendenti.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione: Filippo Patroni Griffi.


      DI BIAGIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          la commissione per le adozioni internazionali, in data 25 nel giugno 2010, comunicava agli enti autorizzati ad operare nell'ambito dell'adozione internazionale in Nepal, la propria decisione di sospendere il deposito di nuovi dossier delle coppie adottive nel Paese, al fine di «esercitare una forte sensibilizzazione sul governo nepalese affinché collaborasse con la Comunità internazionale per l'adeguamento della propria organizzazione interna alla Convenzione de L'Aja» (1993);
          tale decisione era fondata sulla considerazione che il Nepal non aveva raggiunto standard normativi e operativi conformi alla predetta convenzione;
          l'Italia collabora ormai da 15 anni con il Nepal, investendo risorse umane e finanziarie in questo Paese dove l'emergenza dell'abbandono minorile ha proporzioni gravissime;
          il Nepal ha nel frattempo conseguito importanti risultati, come da dichiarazioni del Ministero nepalese delle donne, dei bambini e del benessere sociale sull'attuazione di alcune importanti riforme tra cui: la classificazione dei minori con bisogni speciali sulla base di categorie riferite alla gravità o alla tipologia della patologia sofferta; l'approvazione di procedure che garantiscano le ricerche necessarie prima della dichiarazione dello stato di adottabilità dei minori non accompagnati; la previsione di standard minimi per gli istituti di accoglienza dei minori e la limitazione della autorizzazione a quelli conformi alla legge; l'individuazione di 29 istituti per gli anni 2011 e 2012 che potranno lavorare per l'adozione internazionale; il riconoscimento di nuovi requisiti per le agenzie che si dovranno accreditare sul Paese, al fine di garantire competenza e trasparenza delle procedure;
          il Governo nepalese con comunicazione del 17 novembre 2011, ha previsto la riapertura delle adozioni internazionali – nel frattempo sospese anche da parte sua – stabilendo procedure definite;
          il 31 gennaio 2012, sul sito del Ministero nepalese, è stata pubblicata la lista dei minori adottabili classificati secondo le loro caratteristiche di salute ed età: si tratta di 263 minori, di cui 149 di età superiore ai 6 anni, 25 minori con problemi di salute, oltre a 89 bambini nel canale «normale», quindi di età minore ai 6 anni e in buono stato di salute; veniva in particolare, dato avviso della possibilità di depositare nuovi dossier entro 90 giorni nel caso di abbinamento con minori in buono stato di salute e di età inferiore ai 6 anni, e anche successivamente per gli altri casi;
          sulla base di questi aggiornamenti, e della chiara volontà del Governo nepalese di rendere trasparenti le proprie procedure di adozione, gli enti italiani autorizzati ad operare in Nepal hanno inviato alla commissione per le adozioni internazionali numerose comunicazioni, anche congiunte, con la richiesta specifica di convocare i tavoli di confronto fra commissione adozioni internazionali ed enti autorizzati per riattivare le procedure adottive verso il Nepal;
          ad oggi gli enti autorizzati non hanno avuto alcuna risposta ufficiale;
          la ratifica della convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza (New York 1989) e della convenzione sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale (L'Aja 1993), anche alla luce del richiamo contenuto nell'articolo 10 della Costituzione e del principio del superiore interesse del minore, rende opportuno l'intervento attivo dell'Italia rispetto al problema dell'infanzia abbandonata  –:
          quali siano i motivi che ostano alla mancia convocazione del tavolo di confronto fra commissione per le adozioni internazionali e gli enti autorizzati ad operare in Nepal;
          se persistano – e quali siano – le motivazioni per il mantenimento della chiusura delle procedura adottive in Nepal e, infine, quali siano le iniziative in programma per l'adempimento del dovere di solidarietà e cooperazione fra Paesi rispetto al problema dell'infanzia abbandonata, alla luce dei princìpi tutti sopra richiamati (4-14986)

      Risposta. — L'interrogazione in oggetto richiama l'attenzione del Governo su alcune delicate questioni concernenti le procedure di adozione internazionale in Nepal.
      In particolare, si chiede di conoscere se persistano le motivazioni per il mantenimento della chiusura delle procedure adottive in Nepal, riaperte dal governo nepalese nello scorso mese di novembre dopo la definizione di procedure più trasparenti e conformi agli standard della Convenzione de l'Aja. Viene chiesto, inoltre, quali siano i motivi ostativi alla convocazione del tavolo di confronto fra la commissione per le adozioni internazionali e gli enti autorizzati ad operare in Nepal e, infine, quali siano le azioni in programma a conferma del ruolo attivo dell'Italia rispetto al problema dell'infanzia abbandonata e in adempimento del dovere di solidarietà e cooperazione fra paesi.
      La situazione del Nepal e, in particolare, le politiche di tale paese a tutela dell'infanzia, sono da anni al centro dell'attenzione della comunità internazionale. Dapprima, per la decisione del governo nepalese di sospendere le adozioni internazionali a fronte di modifiche legislative interne nel corso degli anni 2007/2008 e, successivamente, per i consistenti dubbi sulla gestione delle adozioni da parte di alcuni istituti locali.
      Dai dati in possesso dei miei uffici, risulta che le criticità del sistema nepalese, solo in piccola parte superate dalle nuove norme introdotte nel 2008, avevano determinato le autorità di tutti i paesi d'accoglienza – già dal giugno 2010 – a non avviare nuove procedure adottive in Nepal. L'attuale sistema non prevede, infatti, una reale tutela dei diritti dell'infanzia, non garantisce l'accertamento dello stato di abbandono e non assicura il rispetto del principio di sussidiarietà.
      La commissione per le adozioni internazionali si è fatta promotrice di un'iniziativa volta a superare la suddetta decisione dei Paesi d'accoglienza, ospitando ed organizzando un incontro tra una delegazione di rappresentanti del Governo e alti funzionari del Nepal, i vertici del Permanent bureau della conferenza di diritto internazionale privato de l'Aja e i rappresentanti di ben 13 paesi di accoglienza (Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna, Svezia, Svizzera e Stati Uniti d'America), oltre che dell'Unicef e di altre organizzazioni sovranazionali. L'incontro si è svolto a Roma nei giorni 31 marzo e 1 aprile 2011 allo scopo di sollecitare e sostenere il Nepal nel processo di cambiamento culturale e di adeguamento del proprio sistema normativo e operativo ai principi della convenzione del 1993, firmata dal Paese asiatico nell'aprile 2009.
      Nel corso di tale incontro, la delegazione nepalese ha espresso la volontà di aderire al programma di assistenza tecnica offerta dal Permanent bureau, cui i paesi di accoglienza si sono impegnati a portare il loro supporto. In particolare, la rappresentanza italiana ha assicurato una significativa partecipazione al programma da definire.
      Nei mesi successivi è proseguito con discontinuità il confronto tra il Permanent bureau e il Nepal, soprattutto a causa dei ripetuti cambiamenti ai vertici politici, che impediscono l'individuazione di interlocutori stabili, nel Governo e nelle amministrazioni competenti.
      Dalle informazioni ricevute dagli uffici, la situazione attuale è la seguente: le adozioni internazionali dal Nepal verso i Paesi membri della Convenzione de l'Aja del 1993 sulla tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale sono tuttora sospese. Gli Stati Uniti, anche di recente, hanno confermato ufficialmente il loro forte scetticismo sulla reale attendibilità delle procedure locali.
      Appare evidente, pertanto, che la disponibilità manifestata dalle autorità nepalesi ad accettare nuovi dossier di coppie aspiranti all'adozione, della quale riferisce l'interrogante, debba essere valutata alla luce delle informazioni disponibili, di cui si è dato conto.
      Da notizie ricevute dal Ministero degli affari esteri risulta che, recentemente, il ministero nepalese per la donna, i bambini e il welfare, competente per le adozioni internazionali, ha pubblicato un comunicato che riassume i provvedimenti adottati o in via di applicazione. Gli aspetti salienti delle riforme in corso riguardano: l'istituzione di un'autorità centrale per le adozioni internazionali; la creazione di un comitato di esperti per studiare le modifiche legislative in materia; l'introduzione di nuovi criteri per l'idoneità dei soggetti all'adozione internazionale e una serie di previsioni inerenti l'accreditamento degli enti e le modalità di presentazione delle domande.
      Risulta, infine, che gli enti autorizzati italiani sono sempre stati informati in merito a tutti i dati sopra descritti, rispetto ai quali le valutazioni rientrano nelle attività di concertazione internazionale di competenza delle autorità centrali dei singoli paesi. Circa la mancata convocazione del tavolo di confronto fra la Commissione per le adozioni internazionali e gli enti autorizzati, cui fa riferimento l'interrogante, gli uffici confermano che si è svolta, di recente, una riunione di lavoro per condividere gli ultimi aggiornamenti, nonché per la verifica dei progetti di cooperazione avviati nel paese dagli enti con il finanziamento della commissione.
Il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione: Andrea Riccardi.


      DI BIAGIO e GIORGIO CONTE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
          la commissione per le adozioni internazionali, in data 2010, comunicava agli enti autorizzati ad operare nell'ambito dell'adozione internazionale in Nepal, la propria decisione di sospendere il deposito di nuovi dossier delle coppie adottive nel Paese, al fine di «esercitare una forte sensibilizzazione sul governo nepalese affinché collaborasse con la Comunità internazionale per l'adeguamento della propria organizzazione interna alla Convenzione de L'Aja» (1993);
          tale decisione era fondata sulla considerazione che il Nepal non aveva raggiunto standard normativi e operativi conformi alla predetta convenzione;
          l'Italia collabora ormai da 15 anni con il Nepal, investendo risorse umane e finanziarie in questo Paese dove l'emergenza dell'abbandono minorile ha proporzioni gravissime;
          il Nepal ha nel frattempo conseguito importanti risultati, come da dichiarazioni del Ministero nepalese delle donne, dei bambini e del benessere sociale attraverso l'attuazione di alcune importanti riforme tra cui: la classificazione dei minori con bisogni speciali sulla base di categorie riferite alla gravità o alla tipologia della patologia sofferta; l'approvazione di procedure che garantiscano le ricerche necessarie prima della dichiarazione dello stato di adottabilità dei minori non accompagnati; la previsione di standard minimi per gli istituti di accoglienza dei minori e la limitazione della autorizzazione a quelli conformi alla legge; l'individuazione di 29 istituti per gli anni 2011 e 2012 che potranno lavorare per l'adozione internazionale; il riconoscimento di nuovi requisiti per le agenzie che si dovranno accreditare sul Paese, al fine di garantire competenza e trasparenza delle procedure;
          il Governo nepalese con comunicazione del 17 novembre 2011, ha previsto la riapertura delle adozioni internazionali – nel frattempo sospese anche da parte sua – stabilendo procedure definite;
          il 31 gennaio 2012, sul sito del Ministero nepalese, è stata pubblicata la lista dei minori adottabili classificati secondo le loro caratteristiche di salute ed età: si tratta di 263 minori, di cui 149 di età superiore ai 6 anni, 25 minori con problemi di salute, oltre a 89 bambini nel canale «normale», quindi di età minore ai 6 anni e in buono stato di salute; veniva in particolare, dato avviso della possibilità di depositare nuovi dossier entro 90 giorni nel caso di abbinamento con minori in buono stato di salute e di età inferiore ai 6 anni, e anche successivamente per gli altri casi;
          sulla base di questi aggiornamenti e della chiara volontà del Governo nepalese di rendere trasparenti le proprie procedure di adozione, gli enti italiani autorizzati ad operare in Nepal hanno inviato alla commissione per le adozioni internazionali numerose comunicazioni, anche congiunte, con la richiesta specifica di convocare i tavoli di confronto fra commissione adozioni internazionali e agli enti autorizzati per riattivare le procedure adottive verso il Nepal;
          ad oggi gli enti autorizzati non hanno avuto alcuna risposta ufficiale;
          la ratifica della convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza (New York 1989) e della convenzione sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale (L'Aja 1993), anche alla luce del richiamo contenuto nell'articolo 10 della Costituzione e del principio del superiore interesse del minore, rende opportuno l'intervento attivo dell'Italia rispetto al problema dell'infanzia abbandonata  –:
          quali siano i motivi che ostano alla mancata convocazione del tavolo di confronto fra la Commissione per le adozioni internazionali e gli enti autorizzati ad operare in Nepal, se persistano – e quali siano – le motivazioni per il mantenimento della chiusura delle procedure, adottive in Nepal e quali siano le iniziative in programma per l'adempimento del dovere di solidarietà e cooperazione fra Paesi rispetto al problema dell'infanzia abbandonata alla luce dei principi tutti sopra richiamati. (4-15083)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame gli interroganti richiamano l'attenzione del Governo su alcune delicate questioni concernenti le procedure di adozione internazionale in Nepal.
      In particolare, gli interroganti chiedono di conoscere se persistano le motivazioni per il mantenimento della chiusura delle procedure adottive in Nepal, riaperte dal governo nepalese nel mese di novembre 2011 dopo la definizione di procedure più trasparenti e conformi agli standard della Convenzione de l'Aja. Viene chiesto, inoltre, quali siano i motivi ostativi alla convocazione del tavolo di confronto fra la commissione per le adozioni internazionali e gli enti autorizzati ad operare in Nepal e, infine, quali siano le azioni in programma a conferma del ruolo attivo dell'Italia rispetto al problema dell'infanzia abbandonata e in adempimento del dovere di solidarietà e cooperazione fra paesi.
      Nel sottolineare che, in merito alla delicata questione, ho già provveduto a rispondere ad altra interrogazione dell'interrogante, colgo l'occasione per ribadire quanto in precedenza comunicato e cioè che la situazione del Nepal e, in particolare, le politiche di tale Paese a tutela dell'infanzia, sono da anni al centro dell'attenzione della comunità internazionale. Dapprima, per la decisione del Governo nepalese di sospendere le adozioni internazionali a fronte di modifiche legislative interne nel corso degli anni 2007/2008 e, successivamente, per i consistenti dubbi sulla gestione delle adozioni da parte di alcuni istituti locali.
      Dai dati in possesso dei miei uffici, risulta che le criticità del sistema nepalese, solo in piccola parte superate dalle nuove norme introdotte nel 2008, avevano determinato le autorità di tutti i paesi d'accoglienza – già dal giugno 2010 – a non avviare nuove procedure adottive in Nepal. L'attuale sistema non prevede, infatti, una reale tutela dei diritti dell'infanzia, non garantisce l'accertamento dello stato di abbandono e non assicura il rispetto del principio di sussidiarietà.
      La commissione per le adozioni internazionali si è fatta promotrice di un'iniziativa volta a superare la suddetta decisione dei paesi d'accoglienza, ospitando ed organizzando un incontro tra una delegazione di rappresentanti del Governo e alti funzionari del Nepal, i vertici del Permanent Bureau della Conferenza di diritto internazionale privato de L'Aja e i rappresentanti di ben 13 paesi di accoglienza (Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna, Svezia, Svizzera e Stati Uniti d'America), oltre che dell'Unicef e di altre organizzazioni sovranazionali. L'incontro si è svolto a Roma nei giorni 31 marzo e 1 aprile 2011 allo scopo di sollecitare e sostenere il Nepal nel processo di cambiamento culturale e di adeguamento del proprio sistema normativo e operativo ai principi della Convenzione del 1993, firmata dal Paese asiatico nell'aprile 2009.
      Nel corso di tale incontro, la delegazione nepalese ha espresso la volontà di aderire al programma di assistenza tecnica offerta dal Permanent Bureau, cui i paesi di accoglienza si sono impegnati a portare il loro supporto. In particolare, la rappresentanza italiana ha assicurato una significativa partecipazione al programma da definire.
      Nei mesi successivi è proseguito con discontinuità il confronto tra il Permanent Bureau e il Nepal, soprattutto a causa dei ripetuti cambiamenti ai vertici politici, che impediscono l'individuazione di interlocutori stabili, nel Governo e nelle amministrazioni competenti.
      Dalle informazioni ricevute dagli uffici, la situazione attuale è la seguente: le adozioni internazionali dal Nepal verso i paesi membri della Convenzione de L'Aja del 1993 sulla tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale sono tuttora sospese. Gli Stati Uniti, anche di recente, hanno confermato ufficialmente il loro forte scetticismo sulla reale attendibilità delle procedure locali.
      Appare evidente, pertanto, che la disponibilità manifestata dalle autorità nepalesi ad accettare nuovi dossier di coppie aspiranti all'adozione, della quale riferiscono gli interroganti, debba essere valutata alla luce delle informazioni disponibili, di cui si è dato conto.
      Da notizie ricevute dal Ministero degli affari esteri risulta che, recentemente, il Ministero nepalese per la donna, i bambini e il welfare, competente per le adozioni internazionali, ha pubblicato un comunicato che riassume i provvedimenti adottati o in via di applicazione. Gli aspetti salienti delle riforme in corso riguardano: l'istituzione di un'autorità centrale per le adozioni internazionali; la creazione di un comitato di esperti per studiare le modifiche legislative in materia; l'introduzione di nuovi criteri per l'idoneità dei soggetti all'adozione internazionale e una serie di previsioni inerenti l'accreditamento degli enti e le modalità di presentazione delle domande.
      Risulta, infine, che gli enti autorizzati italiani sono sempre stati informati in merito a tutti i dati sopra descritti, rispetto ai quali le valutazioni rientrano nelle attività di concertazione internazionale di competenza delle autorità centrali dei singoli paesi. Circa la mancata convocazione del tavolo di confronto fra la commissione per le adozioni internazionali e gli enti autorizzati, cui fanno riferimento gli interroganti, gli uffici riferiscono che si è svolta, di recente, una riunione di lavoro per condividere gli ultimi aggiornamenti, nonché per la verifica dei progetti di cooperazione avviati nel Paese dagli enti con il finanziamento della commissione.
Il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione: Andrea Riccardi.


      DI BIAGIO, TOTO e PROIETTI COSIMI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          l'ufficio voli di Stato, di Governo e umanitari presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è stato più volte oggetto di atti di sindacato ispettivo e di interventi parlamentari, nonché di interventi da parte degli organi di stampa – nel corso della presente legislatura – in virtù delle presunte ambiguità operative e degli sprechi nella gestione dello stesso;
          nello specifico la stampa nazionale denunciava un utilizzo spregiudicato ed estremamente superficiale dei voli di Stato, per questioni strettamente personali, da parte degli alti referenti delle realtà istituzionali, anche afferenti alle forze armate e agli enti locali, spesso nella totale assenza di controllo da parte del vertice politico-amministrativo preposto;
          tale «scenario» oltre a mettere in luce il consistente dispendio di denaro pubblico e una rete di attenzioni e interessi focalizzati sull'ufficio da parte di altre amministrazioni, anche legate all'ambito militare, denunciava anche una fondamentale penuria di regole chiare e stringenti in materia di funzionamento dell'ufficio, nonché rispondenti alla situazione attualmente attraversata dal Paese;
          inoltre, la dovizia di informazioni su materie riservate che ha caratterizzato le notizie diffuse dalla stampa nazionale, ha altresì evidenziato una grave carenza nelle garanzie di riservatezza e tutela delle informazioni che un servizio di tale rilevanza dovrebbe garantire, per la sicurezza stessa delle persone interessate e delle operazioni effettuate;
          di recente il suindicato ufficio è stato nuovamente oggetto di attenzione da parte della stampa nazionale in virtù delle nuove attribuzioni di incarichi dirigenziali, da parte della Presidenza del Consiglio: nello specifico vi è stata la conferma del precedente dirigente dell'ufficio, con il rischio di garantire ad avviso degli interroganti una sorta di «continuità» con il presunto ambiguo sistema di gestione citato;
          il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Dino Piero Giarda nel dare riscontro all'interrogazione a risposta immediata 3-02150 avente ad oggetto la suindicata questione, ha evidenziato che nell'ambito della riduzione di spesa che interesserà anche l'organizzazione della Presidenza del Consiglio, «il Presidente del Consiglio ha ritenuto opportuno non confermare coloro che risultavano già collocati in pensione, ivi inclusi i nomi che sono indicati nella sua interrogazione a risposta immediata», tra i quali figura l'attuale dirigente dell'ufficio;
          a conferma del citato orientamento, è da segnalare che la stessa Presidenza del Consiglio, in un comunicato del 26 febbraio 2012, ha precisato che, «il dato relativo al risparmio di spese nel settore dei voli di Stato, a seguito della contrazione delle ore/volo pari al 92 per cento comporta un risparmio, su base annua, di 23,5 milioni di euro»;
          appaiono chiare le iniziative di contenimento delle risorse e di riduzione degli sprechi, – che ne hanno condizionato l'operatività in precedenza – coadiuvate dal perseguimento di obiettivi di trasparenza di cui il primo passo è stato senz'altro la pubblicazione sul web delle tabelle/resoconti relative all'impiego dei voli di Stato;
          in ragione degli aspetti illustrati, oltre che dell'importanza e della delicatezza delle situazioni e operazioni curate dal menzionato ufficio, – nonché della rilevanza economica delle stesse – sarebbe auspicabile una riorganizzazione della struttura che, nell'ottica di spending review che sta interessando tutte le amministrazioni statali, garantisca e potenzi quell'imprescindibile funzione di direzione strategica, coordinamento e controllo del trasporto aereo di Stato assegnato dalla normativa vigente alla Presidenza del Consiglio dei ministri, quale vertice politico-amministrativo, e ribadito nella direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 23 settembre 2011 e nel decreto-legge n.  98 del 2011) convertito dalla legge n.  111 del 2011;
          tale funzione, unitamente alle delicate ricadute in termini autorizzativi che essa comporta, costituisce una fondamentale garanzia rispetto a potenziali ingerenze ed interessi esterni e deve essere mantenuta a livello della massima autorità di vertice del Governo, scongiurando qualsiasi ipotesi di revisione che tenda a spostare il coordinamento del trasporto aereo di Stato, di Governo, di sicurezza e per ragioni umanitarie su altre amministrazioni statali;
          sarebbe pertanto auspicabile una riorganizzazione che mantenga il predetto ufficio alle dipendenze del Capo di Governo autorità politica delegata rispettandone così le specifiche peculiarità in accordo alle norme vigenti, e definendo altresì la chiara linea gerarchica – da mantenere sempre in ambito della Presidenza del Consiglio di ministri – che potrebbe consentire la soppressione di cariche superflue, quale l'attuale posizione di direttore generale ad esso associata, consentendo un consistente risparmio annuo nel bilancio dello Stato e una maggiore efficienza del servizio stesso  –:
          se non ritenga opportuno, in virtù di quanto evidenziato e nell'ottica di un risparmio di spesa che interesserà anche i profili organizzativi della Presidenza del Consiglio, valutare una riorganizzazione della struttura che, nel ribadire la centralità di quel ruolo di direzione strategica, di coordinamento e controllo che la normativa vigente assegna alla Presidenza del Consiglio dei ministri sia improntata ad una valorizzazione delle sue peculiarità e ad un'esigenza di sobrietà gestionale, evitando altresì ingerenze esterne, e in tale prospettiva, se si intenda rivedere l'attuale ammontare delle posizioni dell'ufficio, comprese quelle dirigenziali;      
          quali iniziative intenda predisporre al fine di garantire una chiara definizione delle modalità di finanziamento del trasporto aereo di Stato, alla quale corrisponda un'opportuna rendicontazione dei costi nel pieno rispetto di trasparenza;
          se non ritenga opportuno, in virtù della delicatezza della materia, nonché per la sicurezza delle persone interessate – in primis le massime cariche dello Stato e i membri del Governo – predisporre iniziative volte a garantire che sia rispettata la dovuta riservatezza nelle procedure e nell'accesso agli uffici e agli atti, anche prevedendo vincoli più stringenti di sicurezza e riservatezza per il personale e i mezzi dedicati al trasporto aereo di Stato, attività di fondamentale supporto allo svolgimento dei compiti istituzionali delle autorità di Stato e di Governo. (4-15716)

      Risposta. — In relazione all'atto di sindacato ispettivo indicato in oggetto, concernente utilizzo del trasporto aereo di Stato e in conformità a quanto comunicato dall'ufficio del segretario generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, si fa presente quanto segue.
      L'onorevole Di Biagio, partendo dalle stesse premesse degli altri interroganti (articoli di stampa) relative a censure alla gestione del trasporto aereo di Stato, ribadisce l'esigenza del contenimento della spesa per il settore di cui dà atto al Governo e invita l'Esecutivo a sopprimere la posizione di direttore generale (più esattamente di dirigente di 1a fascia) associata alla direzione dell'ufficio per i voli di Stato, pur respingendo ogni ipotesi di trasferimento delle competenze sul settore ad amministrazioni diverse dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
      L'interrogante chiede alla Presidenza del Consiglio dei Ministri di far conoscere quali iniziative intenda assumere per la garanzia del finanziamento del trasporto aereo di Stato, per la rendicontazione delle spese e se ritenga opportuno introdurre norme a garanzia della riservatezza della trattazione dei relativi atti.

      Premesso che non risulta alcunché dalla documentazione d'ufficio circa l'impiego di velivoli di Stato per «alti referenti delle realtà istituzionali» afferenti le Forze armate ed agli enti locali giacché i predetti, secondo le norme vigenti (decreto-legge n.  98 del 2011 e direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 settembre 2011), non sono ammessi a fruire del trasporto aereo governativo, semmai, solo relativamente ai primi, possono essere presenti altre forme di fruizione dei mezzi aerei militari, non è accettabile che si possa parlare, come fa l'interrogante, di uso «strettamente personale» degli aeromobili di stato «nella totale assenza di controllo del vertice politico-amministrativo preposto».
      Infatti non esiste alcun volo cui non corrisponda una istruttoria formale che si conclude, previo visto del segretario generale della P.C.M. in un'autorizzazione del Sottosegretario di Stato appositamente delegato.
      Non ha senso, inoltre, parlare di motivazioni strettamente personali del beneficiario poiché la suddetta istruttoria non potrebbe concludersi positivamente se non in presenza di motivazioni istituzionali e/o di sicurezza, come prescritto dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 settembre 2011, ora vigente e da tutte quelle che l'hanno preceduta.
      Si deve smentire anche l'ipotesi di penuria di regole chiare e stringenti poiché, a decorrere dall'anno 2000, per volontà governativa, stimolata e supportata dall'ufficio diretto dal comandante Di Loreto, è in vigore una regolazione compiuta della materia, semmai si poteva auspicare, in passato, la carenza di una norma primaria che desse maggiore autorevolezza alla stessa sul piano normativo.
      Oggi, con il decreto-legge n.  98 del 2011, convertito con legge n.  111 del 2011 si può ritenere che il quadro normativo sia sufficientemente completo.
      Quanto alla problematica del livello ordinamentale della struttura deputata al coordinamento del trasporto di Stato, il Governo assumerà le necessarie determinazioni nell'ambito del processo di spending review in corso avendo a mente l'esigenza primaria di contenere i costi di funzionamento della Presidenza del Consiglio dei ministri pur non trascurando la necessità di conferire ad ogni gruppo di funzioni il conveniente livello di supporto amministrativo.
      Relativamente alla garanzia del finanziamento del trasporto aereo di Stato ed alla definizione delle relative modalità, ove si leggano le premesse della direttiva 23 settembre 2011, si noterà il dichiarato intendimento di procedere all'emanazione di un regolamento di attuazione dell'articolo 3 del decreto-legge n.  98 del 2011, che dovrà evidentemente dedicare la dovuta attenzione alla questione del finanziamento; l'incombenza di molti e più urgenti adempimenti governativi non ha reso ancora possibile definire tale provvedimento, il cui iter procedimentale è alquanto laborioso poiché la materia richiede la previa intesa delle molteplici amministrazioni interessate.
      È appena il caso di ribadire che nella materia in parola è indiscutibile la presenza di un interesse governativo che ne determina l'attribuzione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri a prescindere dal soggetto al quale è affidata la gestione di mezzi aerei mentre si riconosce l'opportunità che le informazioni e gli atti siano considerati materia sensibile ragion per cui, in Presidenza, il personale destinato alla loro trattazione è convenientemente selezionato, indottrinato e dotato di N.O.
      È auspicabile, ed il Governo presterà la massima attenzione a tale aspetto, che altrettanto avvenga nell'ambito di tutte le componenti del sistema che provvedono all'erogazione del servizio la cui «impermeabilità» non appare, allo stato, altrettanto certa.
Il Ministro per i rapporti con il Parlamento: Dino Piero Giarda.


      DI PIETRO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          sul settimanale L'Espresso del 16 dicembre 2011 si legge che Raffaele Pernasetti, ex membro della banda della Magliana, attualmente in semilibertà, è impiegato come aiuto cuoco presso un noto ristorante del quartiere Testaccio di Roma;
          Pernasetti è stato descritto negli atti d'indagine come uno dei pistoleri che si occupò di vendicare proprio il capo dei testaccini ed ora ritorna in semilibertà proprio nel suo quartiere;
          il locale è noto ai verbali delle ultime inchieste sulla malavita, per essere, già dal 2003, la sede di riunioni di personaggi malavitosi e criminali;
          secondo la direzione antimafia di Roma e le deposizioni di un collaboratore di giustizia, Diego Marsiglia, i superstiti della banda si riunivano, infatti, proprio in quel ristorante, approfittando del giorno di chiusura, con l'intento di ricostruire quella holding criminale, capace, in passato, di controllare i traffici illeciti della capitale;
          i magistrati hanno ritenuto il Marsiglia un pentito attendibile: grazie alle sue rivelazioni è stato smantellato un grande giro di droga ed è stato riarrestato un altro personaggio storico della Banda, Giorgio Paradisi. Anche quest'ultimo, secondo il Marsiglia, avrebbe partecipato a più di una di quelle riunioni nel locale sopra detto;
          si evince in maniera chiara come la vicenda della banda della Magliana continui ad avere luci ed ombre che le inchieste giudiziarie stanno cercando di dissipare;
          ad oggi il collaboratore Marsiglia non usufruisce di un programma di protezione;
          inoltre risulta che i magistrati Lotti e Cavallone siano stati trasferiti in altre procure  –:
          se risulti come mai Raffaele Pernasetti, esponente di spicco di quel gruppo malavitoso, sia impiegato come aiuto cuoco proprio in quel ristorante, indicato dal collaboratore di giustizia Dario Marsiglia come «punto di incontro per la criminalità»;
          se il Ministro non ritenga opportuno garantire prima possibile il programma di protezione per il Marsiglia, considerato attendibile dai pubblici ministeri.
(4-14309)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione indicata in oggetto, si comunica che il collaboratore di giustizia Dario Marsiglia fu sottoposto alle misure urgenti di protezione in data 13 gennaio 1994. Per aver collaborato con gli inquirenti, fornendo informazioni utili su organizzazioni di tipo mafioso e su alcuni trafficanti di droga della malavita romana, fu, successivamente, ammesso – assieme al suo nucleo familiare – al programma speciale di protezione.
      Il 10 febbraio 2004, la commissione ha deliberato la fuoruscita sua e dei suoi familiari dal programma di protezione, previa capitalizzazione (ai fini del reinserimento sociale) delle misure assistenziali.
      Dopo essere stato arrestato il 3 aprile 2004 per possesso di droga e detenzione illegale di un fucile, Dario Marsiglia ha iniziato di nuovo a collaborare con l'autorità giudiziaria. Nel luglio del 2005, la direzione distrettuale antimafia di Roma ha chiesto l'ammissione alle misure di protezione per i suoi familiari. Il 19 febbraio 2007, infine, la direzione distrettuale antimafia ha chiesto alla commissione centrale di autorizzare Marsiglia a dimorare nel domicilio protetto dei propri familiari. La richiesta è stata accolta il 13 marzo 2007 e il programma di protezione è tuttora in corso.
      Per quanto concerne invece l'ex membro della «banda della Magliana» Raffaele Pernasetti, detenuto presso la casa circondariale di Prato, si comunica che in data 20 ottobre 2011 è stato ammesso dal tribunale di sorveglianza di Firenze al beneficio della semilibertà in relazione al residuo della pena detentiva da espiare (sino al 1° dicembre 2017). La richiesta di applicazione della misura alternativa alla detenzione è stata avanzata a seguito di un'opportunità lavorativa che gli è stata offerta da alcuni suoi familiari, gestori di un ristorante del quartiere Testaccio.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      DI PIETRO e DI STANISLAO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          la recente, tragica strage commessa da un sergente americano in Afghanistan è stata troppo frettolosamente rubricata come un caso isolato di follia;
          l'uccisione di 18 innocenti colti nel sonno, tra cui donne e moltissimi bambini, rivela invece quale assurda escalation di violenza si stia producendo in quella guerra che va condannata senza se e senza ma;
          a parere degli interroganti, l'Italia non è presente in Afghanistan per combattere il terrorismo, come quando era presente la minaccia del defunto leader di al Qaeda, Bin Laden, ma per affiancare una fazione contro le altre in quella che appare sempre più una guerra civile;
          le finalità e la struttura di questo conflitto sono tremendamente mutate nel corso del tempo e ormai è cambiata anche la natura dell'intervento italiano;
          negli ultimi tempi si anche sono succedute dichiarazioni da parte del Ministro interrogato, relative all'eventualità che gli aerei italiani non si limiteranno più solo alla ricognizione ma saranno dotati di bombe che, ad avviso dell'interrogante inevitabilmente, finiranno per colpire anche la popolazione civile;
          si assiste ormai a un assurdo e inutile sperpero di vite umane ma anche a uno spreco di soldi che sarebbero oggi necessari per alleviare il peso insopportabile della crisi che si riversa sui cittadini e sui lavoratori;      
          l'impegno di spesa per il rifinanziamento delle missioni internazionali, militari, per il 2012 è di 1 miliardo e 400 milioni di euro, di cui circa 747.650 milioni solo per la missione in Afghanistan, e pochi spiccioli per la cooperazione allo sviluppo e ricostruzione civile;
          appare evidente che la presenza delle truppe occidentali in Afghanistan non solo non aiuta in alcun modo quel Paese ma rende impossibile risolvere la situazione e porre fine alla guerra  –:
          quali siano gli sviluppi della missione in Afghanistan, se vi sia stato un cambiamento della partecipazione italiana e se non sia necessario valutare l'opportunità di approntare subito una exit strategy, a tutela e nel pieno rispetto dell'articolo 11 della Costituzione, in base al quale l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa e risoluzione dei conflitti. (4-15342)

      Risposta. — In merito alla partecipazione italiana alla missione International Security Assistance Force ed ai suoi prossimi sviluppi, faccio osservare che l'Afghanistan è stato uno degli argomenti principali affrontati nell'ambito del recente vertice di Chicago, da cui è emerso un messaggio chiaro ed univoco.
      A metà 2013 verrà raggiunta una pietra miliare nella missione International Security Assistance Force con l'inizio dell'ultima tranche della transizione.
      A quella data International Security Assistance Force orienterà il suo sforzo prevalente verso l'assistenza ed il supporto alle forze di sicurezza afghane.
      Conseguentemente inizierà un irreversibile processo di graduale e responsabile diminuzione dell'entità delle forze di International Security Assistance Force, fino al completamento della missione il 31 dicembre 2014.
      Alla fine del 2014, quindi, le autorità e le forze di sicurezza afghane avranno la piena responsabilità della sicurezza su tutto l'Afghanistan.
      La comunità internazionale e la Nato continueranno, tuttavia, a fornire un sostegno alle autorità afghane attraverso un rapporto di partenariato di lungo periodo con l'Afghanistan.
      Su richiesta del governo afghano la Nato è pronta a studiare un nuova missione post International Security Assistance Force.
      Questa nuova missione di natura «no combat» sarà notevolmente più ridotta di International Security Assistance Force, con il compito di continuare ad addestrare, consigliare ed assistere le forze di sicurezza afghane; queste ultime, nello scenario post 2014 avranno anche bisogno di un sostegno finanziario.
      In questo contesto, l'orientamento dell'Italia, espresso a Chicago, è quello di concorrere nel quadro dell'alleanza atlantica e della comunità internazionale, a questa nuova missione, a partire dal 2015, sia in termini di addestratori che di sostegno finanziario, in coerenza con lo sforzo fatto in questi anni per costruire forze di sicurezza afghane efficaci ed in sintonia con l'accordo bilaterale firmato dall'Italia con l'Afghanistan a Roma nel gennaio scorso, per un partenariato strategico tra Roma e Kabul.
      Quest'intendimento, che verrà ovviamente portato alle valutazioni del Parlamento, è coerente con gli sforzi fatti e con il ruolo dell'Italia di attore responsabile in seno alla comunità internazionale, dell'Unione europea e all'alleanza atlantica.
      Ricordo che lo stesso Presidente della Repubblica Napolitano ha affermato che la missione italiana in Afghanistan si realizza nel pieno rispetto dei princìpi e delle circostanze stabiliti dall'articolo 11 della nostra Costituzione e che la concertazione internazionale unitamente al supporto delle autorità afghane, sono le prove inconfutabili della legittimità e della valenza del nostro impegno.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      DI STANISLAO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
          in questi giorni le famiglie italiane che accolgono i bambini bielorussi hanno scritto una lettera aperta al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione;
          la Bielorussia ha dimostrato nei fatti, con il riesame a partire dal 2010 di oltre 500 pratiche adottive in sospeso, la sua volontà di riaprire le adozioni, tant’è che già nel 2010 (da statistiche CAI) sono stati adottati 99 minori ed altrettante adozioni sono state completate nei primi sei mesi del 2011;
          la Commissione adozioni internazionali, invece (come da comunicato del 22 marzo 2011), ritiene ancora di bloccare il deposito delle nuove domande di adozione;
          un passo importante è avvenuto il 10 giugno 2011 con la firma del protocollo d'intesa sui permessi studio che, però, attende i decreti attuativi per permettere a minori bielorussi di almeno 14 anni l'accesso alla scuola italiana;
          è nato il coordinamento delle famiglie adottanti in Bielorussia (www.adozionibielorussia.org), movimento di famiglie non solo adottanti che ha registrato un'incredibile partecipazione di persone che a vario titolo sono legate alle vicende bielorusse;
          si evidenzia, altresì, un problema di fondo della politica internazionale del nostro Paese poco attenta alle adozioni internazionali nonostante «il boom» delle stesse registrato dalla Commissione adozioni internazionali, sostanziandosi di fatto nella negazione all'avviare pratiche di adozione per decine di migliaia di famiglie italiane con decreto di idoneità già ottenuto ed in attesa di aprire la propria famiglia all'affetto di un minore;
          il boom delle adozioni dimostra la grande disponibilità delle coppie italiane all'adozione, che in numero ben superiore alla media di 4.000 unità attendono 4-5 anni per giungere all'adozione di un minore. Tra quelle in attesa ci sono quelle delle famiglie adottanti in Bielorussia che hanno un legame ben identificato con un minore che il più delle volte ha espresso la volontà chiara di essere adottato da una famiglia identificata;
          l'appello delle famiglie e delle associazioni e organizzazioni rivolto alle istituzioni è di spostare la Commissione delle adozioni internazionali sotto l'egida del Ministero degli affari esteri, piuttosto che in una posizione di ripiego;
          sostengono, altresì, una profonda riforma della Commissione delle adozioni internazionali, volta non solo a rappresentare un mero organo di controllo degli enti per le adozioni internazionali ma anche a sostenere il processo di espansione delle adozioni viste le sempre maggiori richieste di adozione da parte di coppie italiane. Tale azione raggiungerebbe il duplice obiettivo di efficacia ed efficienza derivante dal porre sotto la medesima guida del Ministro degli affari esteri sia la CAI sia il braccio operativo delle ambasciate rappresentanti dello Stato italiano nel mondo  –:
          se ed in che modo il Governo stia affrontando la questione dell'accoglienza, delle adozioni e del diritto allo studio dei bambini bielorussi;
          se il Governo intenda ascoltare le richieste del coordinamento delle famiglie adottanti in Bielorussia e farsi carico delle problematiche e dell'appello che ha lanciato. (4-14064)

      Risposta. — Nell'affrontare la delicata materia concernente le adozioni dei bambini bielorussi occorre, brevemente, ripercorrere la storia delle relazioni con la Bielorussia nel settore delle adozioni internazionali, con riferimento agli anni successivi alla costituzione della Commissione per le adozioni internazionali, autorità centrale per la convenzione de L'Aja del 1993.
      Secondo i dati della commissione, i minori bielorussi adottati da coniugi italiani sono stati 147 nel 2001, 185 nel 2002, 254 nel 2003 e 226 nel 2004.
      Nell'ottobre 2004 le autorità bielorusse decisero unilateralmente il blocco delle adozioni internazionali e iniziarono a respingere sistematicamente tutte le istanze pendenti. Tant’è che non risulta alcuna adozione perfezionata nel 2005.
      Malgrado i protocolli negoziati con l'Italia nel 2005 e nel 2007, nei quali le famiglie aspiranti all'adozione in Bielorussia (tutte famiglie che già ospitavano i minori bielorussi nell'ambito dei cosiddetti soggiorni di risanamento successivi al disastro di Chernobyl) riponevano molte speranze, negli anni successivi l'assoluta maggioranza delle procedure pendenti continuò a ricevere risposte negative dalle competenti autorità bielorusse: furono pertanto concluse solo 34 adozioni nel 2006, 12 nel 2007 e addirittura solo 4 nel 2008.
      Nel febbraio 2008, dopo che il presidente Lukashenko aveva nuovamente affermato di considerare chiuso l'argomento delle adozioni internazionali, mi viene riferito che gli enti autorizzati italiani, di concerto con la commissione per le adozioni internazionali, decisero di non accettare più mandati per la Bielorussia, ritenendo impossibile onorare le obbligazioni che avrebbero assunto contrattualmente.
      Nel novembre 2009, constatata una certa disponibilità delle autorità bielorusse, il presidente del Consiglio consegnò al presidente Lukashenko l'elenco aggiornato delle procedure che risultavano pendenti alla data del 28 febbraio 2008 (data in cui, come si è visto, gli enti italiani avevano deciso di non presentare più nuovi fascicoli).
      Tale elenco comprendeva 612 minori, tutti periodicamente ospiti di 520 famiglie italiane nell'ambito dei soggiorni di risanamento.
      Dopo tale incontro ai massimi livelli politici, la parte bielorussa ha periodicamente formulato elenchi parziali, comprensivi dei minori di cui all'elenco generale ritenuti effettivamente adottabili.
      Si è trattato finora di cinque elenchi, rispettivamente di 32, 100, 101, 100 e 46 minori, per un totale, ad oggi, di 379 minori.
      A fronte di questi elenchi parziali, sono state fin qui realizzate 280 adozioni (precisamente, 26 nel 2009, 99 nel 2010, 146 nel 2011 e 12 fino al 27 marzo 2012). Va segnalato che per circa 50 minori, compresi negli elenchi emessi dalla parte bielorussa, le procedure non sono state portate a termine per rinuncia degli interessati o per sopravvenuta maggiore età dei ragazzi. Il quinto elenco parziale è stato emesso solo il 4 novembre 2011 e, pertanto, le attività necessarie per la definizione delle procedure sono ancora in corso.
      In alternativa all'adozione, molte famiglie italiane hanno manifestato anche il desiderio di ospitare minori bielorussi per l'intero anno scolastico. In tale prospettiva è stato firmato a Trieste il 10 giugno 2011 dai Ministri pro-tempore degli affari esteri dei due paesi, l'accordo bilaterale sulla cooperazione nel campo dell'istruzione. Tale accordo, che dopo un celere completamento dell'iter di ratifica è entrato in vigore lo scorso 23 settembre, non riguarda la questione dei permessi di studio per studenti minorenni di nazionalità non italiana, ma si limita ad impegnare i due Paesi a creare le migliori condizioni per approfondire la conoscenza reciproca, anche attraverso gli scambi tra scuole ed atenei. Inoltre, indirizza e incoraggia iniziative di partenariati tra istituzioni educative e formative, alle quali offre l'opportunità di stabilire una diretta collaborazione. Gli organi, delegati dalle parti al coordinamento dell'attuazione dell'intesa, sono i rispettivi Ministeri dell'istruzione.
      Per venire incontro alle istanze in tal senso di tante famiglie italiane e di tanti bambini bielorussi si è inteso, comunque, tentare di ricondurre le azioni generiche previste dall'accordo ad una definizione di protocolli attuativi che possano concretamente consentire ai ragazzi bielorussi, che abbiano compiuto il 14° anno di età, di frequentare uno o più anni scolastici in Italia. A tal fine, su iniziativa del nostro Ministero dell'istruzione e con il tramite delle competenti autorità diplomatiche, è stata costituita ai sensi degli articoli 10 e 11 del predetto accordo, la commissione mista italo-bielorussa, composta, per la parte italiana, da dirigenti e funzionari del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, oltre che da un funzionario di questo Ministero per la cooperazione internazionale e l'integrazione. Su invito del Ministero dell'educazione bielorusso il primo incontro della commissione mista, guidata per parte bielorussa dal Vice-Ministro dell'educazione, si è svolto a Minsk, nei giorni 6, 7 e 8 febbraio 2012.
      Da notizie riferitemi, durante i lavori della commissione mista, la delegazione bielorussa ha rappresentato la più ampia disponibilità ed ha proposto la formulazione di un memorandum di intesa ad hoc, che regoli nel dettaglio lo svolgimento degli scambi di studenti. In conclusione dei lavori, il nostro Ministero dell'istruzione ha proposto di organizzare in Italia la prossima riunione della commissione mista. Tale proposta ha riscosso l'assenso dei colleghi bielorussi e ciò consente di sperare in una rapida attuazione dei regolamenti attuativi dell'accordo in questione.
      Per quanto concerne la proposta di riforma della commissione per le adozioni internazionali, di cui si prospetta lo spostamento presso il Ministero degli affari esteri, si sottolinea che l'incardinamento della commissione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è stato il frutto di una precisa scelta del legislatore, in considerazione del compito di coordinamento rispetto alle attività dei vari Ministeri che hanno competenze nella materia e, in particolare: il Ministero degli affari esteri (per la stipulazione di convenzioni bilaterali, la documentazione necessaria per l'ingresso del minore in Italia, i controlli consolari sullo svolgimento delle adozioni all'estero), il Ministero dell'interno (inizialmente per il permesso di soggiorno, ora abolito, e per i controlli alla frontiera), il Ministero della giustizia (competenze degli organi giudiziari) e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali (funzione sociale di protezione dell'infanzia e della famiglia).
      Nel corso degli anni, le attività della commissione sono state ben più articolate di quelle di un «mero» organo di controllo degli enti: controllo che, comunque, costituisce l'imprescindibile e fondamentale compito di un'autorità centrale, così come previsto dalla convenzione de l'Aja del 1993, per la tutela delle famiglie che, nel nostro sistema, devono necessariamente affidare il loro progetto adottivo ad un ente.
      La commissione ha svolto un'intensa attività di relazione con i paesi d'origine che ha portato il numero degli Stati in cui si realizzano adozioni da 34, quale erano nel 2001, a 60 nel 2009, con una crescita costante del numero di adozioni realizzate, a fronte del massiccio calo che si è registrato negli altri paesi d'accoglienza. Mi pare di poter affermare che anche solo questi dati confermino l'efficacia dell'azione della Commissione.
      Infine, faccio presente che sto svolgendo una serie di contatti per ripristinare le procedure delle adozioni dei bambini bielorussi nella consapevolezza che i tentativi finora svolti non hanno conseguito i risultati sperati e che l'attuale crisi diplomatica, con il richiamo in patria degli ambasciatori dei Paesi dell'Unione europea (Italia compresa), complica ogni buona volontà.
Il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione: Andrea Riccardi.


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i rapporti con le regioni, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          «Il Corriere della Sera» nella sua edizione dell'8 maggio 2010 pubblicava una dettagliata inchiesta dei giornalisti Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella significativamente intitolato «La grande truffa siciliana dell'eolico senza vento»;
          nella citata inchiesta, tra l'altro si sostiene che «non ce n’è una, nella selva di immense pale eoliche stagliate nel cielo della stupenda valle di Mazara, che accenni a muoversi sotto un refolo di vento, Non una»;
          secondo quanto riportato, il sindaco della città di Salemi Vittorio Sgarbi dette pale eoliche «...non si muovono mai... Peggio: se anche si muovessero e producessero energia, quelli di Terna, che gestiscono la rete, hanno detto che non sarebbero in grado di prenderla e redistribuirla»;
          per edificare le citate pale eoliche sono stati sventrati «i fianchi delle colline, devastato i crinali, annientato ettari ed ettari di vigne in tutta la valle, tutto il Belice, tutta la Sicilia. Anche a ridosso di aree di pregio altissimo dove aziende modello come Donnafugata, Pellegrino o Tasca d'Almerita tentano tra mille difficoltà di tenere alto con prodotti di eccellenza l'onore dell'isola;
          viene citata una tabella di Terna sull'attività degli impianti in Europa: «le pale girano mediamente per 1880 ore in Danimarca, 1960 in Belgio, 2000 in Svizzera, 2046 in Spagna, 2067 in Olanda, 2082 in Grecia, 2233 in Portogallo. Sapete quante ore, da noi? Solo 1466. E la media siciliana, spiegano gli esperti, è ancora più bassa»;
          Terna ha domande di connessione alla rete per il solo eolico pari a 88.171 megawatt, cioè una volta e mezzo la punta massima del consumo italiano, che è di 56.000 megawatt;
          l'Anev, che riunisce i produttori di energia eolica, stima che al massimo la produzione nel 2020 potrà raggiungere nel nostro paese 16.000 megawatt;
          la potenza installata in Sicilia è di 1.140 megawatt, cioè più di un quarto del totale italiano;
          non si comprende il senso di installare pale a vento dove non c’è vento;
          riferiscono i due giornalisti, «... il segreto è negli incentivi elevatissimi per le energie rinnovabili. Nettamente superiori alla media europea. Dice un rapporto dell'Autorità dell'energia che nel 2009 il costo totale per la spinta alle fonti rinnovabili, come l'eolico e il fotovoltaico, avrebbe superato i 2 miliardi di euro, per salire di questo passo a 3 miliardi quest'anno, 5 nel 2015 e 7 nel 2020. Chi paga? Semplice: gli utenti, sulle bollette»;
          sostengono ancora i due giornalisti, «il meccanismo speculativo si basa sui cosiddetti certificati verdi, dei veri e propri titoli che si vendono e si comprano alla borsa elettrica... mediamente questi certificati verdi cui hanno diritto i produttori valgono 80 euro a megavattora. Ai quali vanno aggiunti i soldi che lo stesso produttore incassa per l'energia venduta al sistema e immessa in rete. Una somma che varia fra 60 e 70 euro a megavattora nella media italiana ma che in Sicilia sale fino a 90-100 euro. Risultato finale: fatti tutti i conti, l'installazione e la manutenzione d'una pala media costa un milione in Danimarca (lo stato europeo che più ha investito sull'eolico) e può arrivare a costare in Sicilia, in 15 anni di vita, il quadruplo: quattro milioni»;
          anche dove i cavi di Terna non sono in grado di sopportare il carico elettrico, come spesso accade lungo la dorsale appenninica meridionale, con punte di crisi paradossali in Puglia, Basilicata, Campania, Sicilia, i produttori hanno comunque diritto al saldo per l'energia che «avrebbero prodotto se...», e anche questo si scarica sulle bollette;
          non è possibile al momento accertare quanto questo meccanismo costa al contribuente, perché i certificati verdi non sono disaggregabili per tipologia di fonte d'energia, ma le cifre contenute a gennaio nella segnalazione dell’Authority al Governo fanno ritenere che nel 2008 si siano sborsati ben 1.230 milioni di euro, e di questi metà (630 milioni) a causa «dell'eccesso di offerta»  –:
          se tutto ciò corrisponda a verità;
          in caso affermativo, cosa si intenda fare, promuovere, sollecitare, nell'ambito delle rispettive prerogative e facoltà, perché questa che agli interroganti appare una gigantesca speculazione realizzata a spese del contribuente, sperperando pubblico denaro abbia a terminare;
          se non si ritenga di dover segnalare la cosa all'autorità giudiziaria. (4-07130)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione indicata in oggetto, si rappresenta quanto segue.
      Per quanto concerne l'energia prodotta da fonti rinnovabili nel nostro Paese e, nel caso particolare riferito dagli interroganti sulla specifica situazione dell'eolico nella regione siciliana, ovvero sulla quantità di impianti ivi realizzati, è utile premettere innanzitutto che nelle regioni del sud Italia è concentrata la quasi totalità del potenziale eolico e, dunque, della potenza installata in Italia. Tra l'altro, si evidenzia che l'autorizzazione alla costruzione ed esercizio dei singoli impianti, nonché la più generale programmazione del loro sviluppo, è costituzionalmente devoluta alle regioni.
      In particolare, oltre alle ordinarie programmazioni settoriali in materia energetica e di governo del territorio, le regioni hanno il compito di individuare le aree non idonee per l'installazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, da effettuare, ai sensi delle linee guida nazionali di cui al decreto ministeriale 10 settembre 2010, in atti di programmazione integrata volti a contemperare le esigenze di tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, con il raggiungimento degli obiettivi nazionali, per quanto riguarda la quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale di energia, nel 2020.
      In risposta a quanto rappresentato dagli interroganti in merito all'incentivazione degli impianti eolici «fermi», si precisa che gli incentivi tariffari previsti dalla normativa vigente, i cosiddetti «certificati verdi», non vengono erogati in nessun caso a tali impianti. Solo nel caso in cui gli impianti, pur potendo produrre, siano fermati a seguito di ordini di dispacciamento impartiti da Terna, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas ha stabilito, con propria delibera (delibera ARG/elt 5/2010), che a tali impianti siano riconosciuti i mancati proventi derivanti dalla vendita sul mercato dell'energia potenzialmente producibile. Non si tratta dunque di un meccanismo di incentivazione, né tanto meno del riconoscimento di certificati verdi, ma di mero ristoro connesso al mancato dispacciamento.
      È bene chiarire, dunque, che i dati di costo richiamati anche dall'interrogante si riferiscono agli incentivi erogati in termini di certificati verdi e che vengono invece corrisposti esclusivamente sulla reale produzione di energia.
      Infine, più in generale si osserva che l'anomala pressione sulla rete elettrica e sulle regioni per l'autorizzazione alla costruzione ed esercizio di impianti a fonti rinnovabili è per buona parte riconducibile, come sottolineato anche dall'interrogante, all'elevato livello degli incentivi italiani. Su questo tema il Governo si è impegnato per una complessiva rimodulazione degli incentivi e del conseguente peso in bolletta.
      In particolare, nel decreto legislativo 3 marzo 2011, n.  28 – di recepimento della direttiva 2009/28/CE sulle fonti rinnovabili – è prevista la riforma dei regimi di sostegno applicati all'energia prodotta da fonti rinnovabili ed i criteri cui si conformano i decreti che nel dettaglio disciplineranno i meccanismi di incentivo.
      Tali criteri sono improntati all'efficacia, efficienza, semplificazione e stabilità nel tempo del sistema, perseguendo al contempo l'armonizzazione con altri strumenti di analoga finalità e la riduzione degli oneri di sostegno in capo ai consumatori. Sono quindi in corso di predisposizione due decreti attuativi del citato decreto legislativo 28 del 2011, che rivedranno il sistema di incentivazione sia per il fotovoltaico, che per tutte le altre fonti per la produzione di energia elettrica, ivi inclusa la produzione da fonte eolica.
      L'orientamento è quello di porre in essere una complessiva revisione che conduca i livelli di incentivo verso quelli medi europei, attraverso un processo di progressivo efficientamento volto, fra l'altro, a condurre il settore verso la così detta «grid parity».
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Claudio De Vincenti.


      FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il 19 agosto un uomo di 76 anni è deceduto precipitando dal tetto di uno stabile di Quattordio, nell'alessandrino, dove sembra stesse coordinando dei lavori di manutenzione  –:
          di quali elementi disponga in merito alla dinamica dell'incidente;
          se siano state rispettate le normative previste sulla sicurezza del lavoro;
          quali iniziative si intendano promuovere o adottare in relazione a vicende come quella sopra segnalata, che per dimensioni – dall'inizio dell'anno risultano decedute sul lavoro 332 persone, 562.451 gli infortuni, 1.328 gli invalidi – assumano i connotati di quella che non è esagerato definire una strage. (4-13026)

      Risposta. — In merito all'infortunio mortale occorso, il 19 agosto 2011, al signor Giovanni Porzio, si rappresenta quanto segue.
      Preliminarmente si precisa che in questa sede, in relazione ai primi due quesiti posti dall'interrogante, ci si limiterà ad illustrare gli elementi informativi acquisiti presso la direzione territoriale del lavoro di Alessandria nonché quelli forniti dall'Inail.
      Occorre altresì precisare che il signor Roberto Porzio, figlio del deceduto Giovanni, era titolare di un'impresa individuale artigiana esercente l'attività di tinteggiatura.
      Il signor Roberto Porzio aveva ricevuto l'incarico di imbiancare alcune parti del cornicione di un'abitazione privata, sita in località Quattordio (AL), compromesse dalle perdite di acqua provenienti da una grondaia.
      Il giorno 19 agosto 2011, il signor Roberto Porzio, insieme al padre, saliva su una piattaforma aerea (cestello), presa in noleggio, al fine di raggiungere la parte dell'edificio interessata dall'intervento di manutenzione. Tale piattaforma veniva posizionata all'esterno dell'abitazione al fine di poter intervenire sul vicino cornicione della copertura.
      Successivamente, poiché occorreva operare sulla porzione di cornicione angolare, prospettante il giardino interno, i due decidevano di salire direttamente sulla copertura dell'abitazione. In tale frangente, il signor Giovanni Porzio, perdendo l'equilibrio, cadeva al suolo da un'altezza di circa 8 metri, procurandosi lesioni mortali.
      Sul luogo dell'incidente sono intervenuti il servizio 118, che ne ha constatato il decesso, i carabinieri della locale stazione ed, in qualità di organo di polizia giudiziaria, il servizio prevenzione e sicurezza della competente ASL.
      Dagli accertamenti è emerso che il signor Giovanni Porzio non ricopriva alcun ruolo all'interno dell'impresa del figlio e, pertanto, la sua presenza sul luogo dei lavori era riconducibile esclusivamente alla volontà di aiutare quest'ultimo.
      La competente sede Inail, ritenendo insussistenti i presupposti di un rapporto di lavoro inquadrabile nella tutela assicurativa, ha proceduto a definire negativamente il caso.
      Con riferimento all'osservanza della normativa in materia di sicurezza sul lavoro, le indagini hanno evidenziato che i due lavoratori erano esposti al rischio di caduta dall'alto e che gli stessi, in assenza di misure di protezione collettiva, non impiegavano idonei sistemi di protezione individuale in conformità a quanto previsto dall'articolo 115 del decreto legislativo n.  81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni.
      Conseguentemente, la competente autorità giudiziaria ha provveduto a rinviare a giudizio il Roberto Porzio, in quanto nella sua qualità di titolare di impresa individuale e datore di lavoro di fatto di Porzio Giovanni ne cagionava la morte per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia nonché per violazione della normativa prevenzionale e, concesse le attenuanti ex articolo 62-bis codice penale, lo ha condannato alla pena di sei mesi di reclusione.
      Nel rispondere all'ultimo quesito posto nell'interrogazione in esame, occorre precisare che il tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali costituisce obiettivo strategico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'Inail, nell'ottica del tendenziale azzeramento del fenomeno infortunistico e tecnopatico.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, infatti, intende perseguire la promozione di comportamenti rispettosi delle norme di legge applicabili in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed efficaci in funzione prevenzionistica, sia completando l'attuazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81 (testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) e successive modificazioni e integrazioni, sia favorendo ogni iniziativa promozionale idonea a determinare un accrescimento delle conoscenze in materia di salute e sicurezza nelle aziende, nei lavoratori e negli studenti, con particolare attenzione all'aspetto della formazione.
      In relazione allo specifico e gravissimo problema degli infortuni sul lavoro si rende necessario intervenire sulla formazione-informazione dei lavoratori e delle imprese, nonché sulla prevenzione e sul rafforzamento dei controlli da parte degli enti preposti, al fine di promuovere una consapevolezza sempre più ampia sulle esigenze della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è attivamente impegnato su tali fronti, nell'intento precipuo di favorire il dialogo e la collaborazione fra tutti i soggetti interessati, istituzionali e sociali, al fine di ridurre gli incidenti e le malattie professionali e la diffusione di sempre più elevati standards di sicurezza nei luoghi di lavoro. L'esistenza in concreto di una efficace strategia di contrasto al fenomeno infortunistico non passa solo attraverso il completamento, mediante le fonti di rango secondario previste dal decreto legislativo n.  81 del 2008, del quadro giuridico di riferimento, ma anche attraverso la realizzazione di una serie di azioni pubbliche e private dirette a migliorare la prevenzione e i livelli di tutela in tutti gli ambienti di lavoro.
      Per tale ragione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta attivando ogni possibile sinergia con soggetti pubblici e privati, al fine di migliorare «l'impatto» delle rispettive attività in termini di efficacia.
      In tale ottica si colloca, ad esempio, la definizione, con accordo in conferenza Stato-regioni del 20 novembre 2008, dei criteri di impiego e l'attivazione delle somme (pari a 50 milioni di euro) di cui all'articolo 11, comma 7, del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, da destinare in favore di attività promozionali della salute e sicurezza, tra le quali una campagna di comunicazione (per complessivi 20 milioni di euro) sulla salute e sicurezza sul lavoro ed attività di formazione su base regionale (per complessivi 30 milioni di euro).
      Con il decreto correttivo n.  106 del 2009 si è poi consentito il superamento delle difficoltà operative da più parti evidenziate nel corso dei primi mesi di applicazione del testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, perfezionando, in tal modo, il quadro normativo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e rendendolo, oltre che pienamente coerente con le normative internazionali e comunitarie in materia, idoneo a costituire il fondamento giuridico della strategia di contrasto al fenomeno infortunistico.
      L'imprescindibile finalità delle misure varate resta quella di rendere maggiormente effettiva la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro secondo linee di azione consistenti, tra l'altro, nel miglioramento dell'efficacia dell'apparato sanzionatorio al fine precipuo di assicurare una migliore corrispondenza tra infrazioni e sanzioni.
      A tale scopo si tiene conto dei compiti effettivamente svolti da ciascun attore della sicurezza, favorendo l'utilizzo di procedure di estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi mediante regolarizzazione da parte del soggetto inadempiente. La sanzione penale è riservata ai soli casi di violazione delle disposizioni sostanziali e non di quelle meramente formali (come, ad esempio, la trasmissione di documentazione, notifiche, ecc.).
      Tutti gli interventi proposti garantiscono, in ogni caso, il rispetto dei livelli di tutela oggi assicurati ai lavoratori e alle loro rappresentanze in qualsiasi ambiente di lavoro e in tutto il territorio nazionale, nonché l'equilibrio delle competenze tra lo Stato e le regioni in materia.
      Il risultato finale dell'intervento legislativo di riforma potrà comunque compiutamente apprezzarsi una volta che verrà completata l'emanazione di provvedimenti attuativi del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, di grande rilevanza e impatto sulle aziende e sui lavoratori.
      Molte delle iniziative dirette alla attuazione delle disposizioni del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro sono devolute dal legislatore alla Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro (ex articolo 6 del decreto legislativo n.  81 del 2008), composta, in maniera paritaria e tripartita, da rappresentanti delle amministrazioni pubbliche centrali competenti in materia, delle regioni, dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro.
      Ricostituita con decreto ministeriale del 3 dicembre 2008, la commissione ha costituito al suo interno nove gruppi «tecnici» di lavoro, nei quali è garantita la presenza paritetica di rappresentanti delle amministrazioni pubbliche (comprese le regioni) e delle parti sociali, per affrontare, in tali sedi, gli argomenti attribuiti dalla legge alla commissione (ad es. l'elaborazione di linee metodologiche per la valutazione dello stress lavoro-correlato, l'individuazione delle regole di funzionamento della cosiddetta «patente a punti» per gli edili) e per i quali si prevedono attività finalizzate alla attuazione del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
      Tali gruppi si sono regolarmente insediati e svolgono con continuità le attività ad essi attribuiti. All'esito delle attività istruttorie compiute in tali consessi, sono stati elaborati documenti di notevole importanza per gli operatori della salute e sicurezza sul lavoro e altri sono di prossima emanazione.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha completato talune ulteriori attività previste dal decreto legislativo n.  81 del 2008, tra le quali occorre ricordare:
          la predisposizione, in data 17 novembre 2010, delle indicazioni per la valutazione dello stress lavoro-correlato (articolo 28, comma 1-bis, del «testo unico») da parte della Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro, con avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.  304 del 30 dicembre;
          la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n.  159 dell'11 luglio 2011 del decreto interdipartimentale del 13 aprile 2011, recante: «disposizioni in attuazione dell'articolo 3, comma 3-bis, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81, come modificato ed integrato dal decreto legislativo 3 agosto 2009, n.  106 in materia di salute e sicurezza sul lavoro» che disciplina le particolari modalità di svolgimento delle attività delle Cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n.  381, delle organizzazioni di volontariato della protezione civile, compresi i volontari della croce rossa italiana e del corpo nazionale soccorso alpini e Speleologico, e i volontari dei vigili del fuoco;
          la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n.  98 del 29 aprile 2011 – supplemento ordinario n.  111 – del decreto interministeriale dell'11 aprile 2011 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero della salute e con il Ministero dello sviluppo economico, che disciplina le modalità di effettuazione delle verifiche periodiche di cui all'allegato VII del decreto legislativo del 9 aprile 2008, n.  81, nonché i criteri per l'abilitazione dei soggetti di cui all'articolo 71, comma 13, del medesimo decreto legislativo;
          la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n.  60 del 12 marzo 2012 – supplemento ordinario n.  47 – dell'accordo, ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo n.  281 del 28 agosto 1997 tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, stipulato il 22 febbraio 2012, concernente l'individuazione delle attrezzature di lavoro per le quali è richiesta una specifica abilitazione degli operatori, nonché le modalità per il riconoscimento di tale abilitazione, i soggetti formatori, la durata, gli indirizzi ed i requisiti minimi di validità della formazione, in attuazione dell'articolo 73, comma 5, del decreto legislativo n.  81 del 9 aprile 2008, e successive modifiche e integrazioni;
          la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n.  83 dell'11 aprile 2011 del decreto del 4 febbraio 2011 «Lavori su impianti elettrici ad alta tensione» a firma del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro della salute, che definisce i criteri per il rilascio delle autorizzazioni alle aziende che effettuano lavori sotto tensione, in attuazione dell'articolo 82, comma 2, del decreto legislativo n.  81/2008 e successive modificazioni e integrazioni;
          l'istituzione, con decreto interministeriale del 27 maggio 2011 (pubblicato sul bollettino ufficiale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n.  6 del 30 giugno 2011), del comitato consultivo per la determinazione e l'aggiornamento dei valori limite di esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici previsto dall'articolo 232, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81 e successive modificazioni e integrazioni.

      Merita menzione, inoltre, il decreto interministeriale recante regole tecniche per la realizzazione ed il funzionamento del sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP), ai sensi dell'articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 2008 n.  81 e successive modificazioni e integrazioni.
      Il sistema informativo nazionale per la prevenzione, in particolare, mira a fornire dati utili per orientare, programmare, pianificare e valutare l'efficacia della attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, relativamente ai lavoratori iscritti e non iscritti agli enti assicurativi pubblici, nonché per indirizzare le attività di vigilanza, attraverso l'utilizzo integrato delle informazioni disponibili negli attuali sistemi informativi, anche tramite l'integrazione di specifici archivi e la creazione di banche dati unificate.
      Su tale decreto è stato acquisito il parere favorevole della conferenza permanente per i rapporti tra Stato, regioni e province autonome di Trento e di Bolzano e, allo stato, si è in attesa dell'espressione del parere da parte del Consiglio di Stato.
      Inoltre, nella medesima conferenza si sono perfezionati gli accordi concernenti gli articoli 34 e 37 del testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro che disciplinano, rispettivamente, la formazione del datore di lavoro, che svolge in proprio compiti di prevenzione e protezione, e la formazione dei lavoratori, preposti e dirigenti. Tali accordi sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n.  8 dell'11 gennaio 2012.
      In ordine alle iniziative in materia di lavorazioni in «ambienti confinati», si evidenzia che nella Gazzetta Ufficiale n.  260 dell'8 novembre 2011 è stato pubblicato il decreto del Presidente della Repubblica n.  177 del 14 settembre 2011 recante: «Norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati», a norma dell'articolo 6, comma 8. lettera g) del decreto legislativo n.  81 del 2008.
      Il decreto è frutto di un lavoro che ha coinvolto Stato, regioni e parti sociali nell'intento, da tutti condiviso, di predisporre misure innovative ed efficaci a contrasto al fenomeno degli infortuni, gravissimi per numero e drammatici per modalità, verificatisi, negli ultimi anni, nei lavori in ambienti cosiddetti «confinati», quali silos, cisterne e simili.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali persegue l'obiettivo della riduzione del fenomeno infortunistico anche perseguendo la massima efficacia delle attività di vigilanza sui luoghi di lavoro di propria competenza. In tali ambiti, ed in primo luogo nell'edilizia, è stata da tempo fornita alle strutture amministrative di riferimento l'indicazione di realizzare, innanzitutto, le attività dirette a perseguire le violazioni in materia di salute e sicurezza più gravi, in quanto in grado di mettere in pericolo la vita dei lavoratori. Tale impostazione ha consentito di raggiungere risultati molto soddisfacenti.
      Infine, va ricordato come il Ministero del lavoro e delle politiche sociali abbia predisposto e messo a disposizione dell'utenza una sezione del sito internet specificamente dedicata alla diffusione di notizie e pubblicazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
      Tutto quanto sin qui esposto consente di affermare come la riforma delle regole volte a tutelare la salute e sicurezza sul lavoro abbia fornito l'Italia di un sistema di regole moderno e sistematicamente coeso, suscitando un interesse, finalmente non più solo specialistico, sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro che costituisce, a sua volta, un importante punto di partenza per l'abbattimento del numero e della gravità degli infortuni.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.


      FARINA COSCIONI, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il 12 dicembre 2011, a Trieste, a poche ore dell'atteso concerto del cantante Jovanotti è crollata l'impalcatura all'interno del Pala Trieste che avrebbe dovuto ospitare lo spettacolo;
          nel grave incidente un operaio è morto, un giovane di 20 anni, e numerosi altri lavoratori sono rimasti feriti, alcuni in modo grave;
          dall'inizio dell'anno le vittime nel mondo del lavoro risultano essere 499; 844.825 gli infortuni; 1.996 gli invalidi  –:
          di quali elementi disponga in merito alla dinamica dell'incidente;
          se la causa dell'episodio sia attribuibile, come purtroppo frequentemente, a inosservanza delle norme sul lavoro e al fatto che – come in passato è accaduto – si allestiscano spettacoli sensibili più alle ragioni del risparmio da conseguire che alla sicurezza dei lavoratori;
          quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intendano adottare o promuovere in ordine a quanto sopra esposto. (4-14202)

      Risposta. — L'interrogazione parlamentare in esame si riferisce all'infortunio mortale sul lavoro occorso il 12 dicembre 2011 al signor Francesco Pinna in forza presso la società cooperativa On Stage di Trieste, azienda operante nel settore «montaggio palchi e altri servizi di supporto alle imprese».
      Nel rispondere ai primi due quesiti, ci si limiterà in questa sede, a riportare gli elementi informativi acquisiti presso la direzione territoriale del lavoro di Trieste, nonché quelli forniti dall'Inail.
      Dagli accertamenti esperiti e dalle dichiarazioni acquisite è emerso che il signor Francesco Pinna, di 20 anni, aveva sottoscritto, con la predetta società, un contratto di collaborazione coordinata e continuativa (ai sensi dell'articolo 61, 2ocomma, del decreto legislativo 276/03: cosiddetto mini co.co.co.) per il periodo dal 16 ottobre-18 dicembre 2011 e per un numero massimo di 30 giornate lavorative. È emerso, inoltre, che il giorno dell'infortunio il signor Pinna era impegnato nella movimentazione di casse musicali e di altre attrezzature audio dai mezzi di trasporto fino ai piedi della struttura «Ground Support» allestita presso il Palatrieste; tale struttura, realizzata per l'esecuzione del concerto musicale di un noto cantante, era stata montata la notte precedente dalla società Stage System s.r.l., con sede in Zibido S. Giacomo (MI).
      In particolare è emerso che alle ore 14 circa, mentre il signor Pinna era intento ad eseguire le predette movimentazioni, la suddetta struttura crollava finendogli addosso con immediate conseguenze mortali. Il cedimento della struttura provocava, inoltre, il ferimento di altri dieci lavoratori che stavano operando nello stesso luogo.

      Si precisa, che per l'accertamento delle cause e delle responsabilità dell'incidente è aperto un procedimento penale presso la Procura della Repubblica di Trieste mentre sono in corso accertamenti per la verifica del corretto assolvimento degli oneri contributivi e assicurativi per il lavoratore deceduto e per tutti gli altri lavoratori infortunati.
      Per quanto riguarda l'erogazione delle prestazioni dovute per tale infortunio mortale, la sede Inail competente, in base alle risultanze istruttorie, ha costituito la rendita in favore del coniuge del lavoratore ed ha corrisposto l'assegno funerario, ai sensi dell'articolo 85 del decreto del Presidente della Repubblica n.  1124/1965. La stessa sede ha provveduto alla erogazione del beneficio a carico del fondo per le vittime di gravi incidenti sul lavoro.
      Nel rispondere all'ultimo quesito posto nell'interrogazione in esame, occorre precisare che il tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali costituisce obiettivo strategico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'Inail, nell'ottica del tendenziale azzeramento del fenomeno infortunistico e tecnopatico.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, infatti, intende perseguire la promozione di comportamenti rispettosi delle norme di legge applicabili in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed efficaci in funzione prevenzionistica, sia completando l'attuazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81 (testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) e successive modificazioni, sia favorendo ogni iniziativa promozionale idonea a determinare un accrescimento delle conoscenze in materia di salute e sicurezza nelle aziende, nei lavoratori e negli studenti, con particolare attenzione all'aspetto della formazione.
      In relazione allo specifico e gravissimo problema degli infortuni sul lavoro si rende necessario intervenire sulla formazione-informazione dei lavoratori e delle imprese, nonché promuovere una consapevolezza sempre più ampia sulle esigenze della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è attivamente impegnato su tali fronti, nell'intento precipuo di favorire il dialogo e la collaborazione fra tutti i soggetti interessati, istituzionali e sociali, al fine di ridurre gli incidenti e le malattie professionali e la diffusione di sempre più elevati standards di sicurezza nei luoghi di lavoro. L'esistenza in concreto di una efficace strategia di contrasto al fenomeno infortunistico non passa solo attraverso il completamento, mediante le fonti di rango secondario previste dal decreto legislativo n.  81/2008, del quadro giuridico di riferimento, ma anche attraverso la realizzazione di una serie di azioni pubbliche e private dirette a migliorare la prevenzione e i livelli di tutela in tutti gli ambienti di lavoro.
      Per tale ragione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta attivando ogni possibile sinergia con soggetti pubblici e privati, al fine di migliorare «l'impatto» delle rispettive attività in termini di efficacia.
      In tale ottica si colloca, ad esempio, la definizione, con accordo in Conferenza Stato-regioni del 20 novembre 2008, dei criteri di impiego e l'attivazione delle somme (pari a 50 milioni di euro) di cui all'articolo 11, comma 7, del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, da destinare in favore di attività promozionali della salute e sicurezza, tra le quali una campagna di comunicazione (per complessivi 20 milioni di euro) sulla salute e sicurezza sul lavoro ed attività di formazione su base regionale (per complessivi 30 milioni di euro).
      Con il decreto correttivo n.  106 del 2009 si è poi consentito il superamento delle difficoltà operative da più parti evidenziate nel corso dei primi mesi di applicazione del testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, perfezionando, in tal modo, il quadro normativo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e rendendolo, oltre che pienamente coerente con le normative internazionali e comunitarie in materia, idoneo a costituire il fondamento giuridico della strategia di contrasto al fenomeno infortunistico.
      L'imprescindibile finalità delle misure varate resta quella di rendere maggiormente effettiva la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro secondo linee di azione consistenti, tra l'altro, nel miglioramento dell'efficacia dell'apparato sanzionatorio al fine precipuo di assicurare una migliore corrispondenza tra infrazioni e sanzioni.
      A tale scopo si tiene conto dei compiti effettivamente svolti da ciascun attore della sicurezza, favorendo l'utilizzo di procedure di estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi mediante regolarizzazione da parte del soggetto inadempiente. La sanzione penale è riservata ai soli casi di violazione delle disposizioni sostanziali e non di quelle meramente formali (come, ad esempio, la trasmissione di documentazione, notifiche, ecc.).
      Tutti gli interventi proposti garantiscono, in ogni caso, il rispetto dei livelli di tutela oggi assicurati ai lavoratori e alle loro rappresentanze in qualsiasi ambiente di lavoro e in tutto il territorio nazionale, nonché l'equilibrio delle competenze tra lo Stato e le regioni in materia.
      Il risultato finale dell'intervento legislativo di riforma potrà comunque compiutamente apprezzarsi una volta che verrà completata l'emanazione di provvedimenti attuativi del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, di grande rilevanza e impatto sulle aziende e sui lavoratori.
      Molte delle iniziative dirette alla attuazione delle disposizioni del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro sono devolute dal legislatore alla Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro (ex articolo 6 del decreto legislativo 81/2008), composta, in maniera paritaria e tripartita, da rappresentanti delle amministrazioni pubbliche centrali competenti in materia, delle regioni, dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro.
      Ricostituita con decreto ministeriale del 3 dicembre 2008, la commissione ha costituito al suo interno nove gruppi «tecnici» di lavoro, nei quali è garantita la presenza paritetica di rappresentanti delle amministrazioni pubbliche (comprese le regioni) e delle parti sociali, per affrontare, in tali sedi, gli argomenti attribuiti dalla legge alla commissione (ad es. l'elaborazione di linee metodologiche per la valutazione dello stress lavoro-correlato, l'individuazione delle regole di funzionamento della cosiddetta «patente a punti» per gli edili) e per i quali si prevedono attività finalizzate alla attuazione del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
      Tali gruppi si sono regolarmente insediati e svolgono con continuità le attività ad essi attribuiti. All'esito delle attività istruttorie compiute in tali consessi, sono stati elaborati documenti di notevole importanza per gli operatori della salute e sicurezza sul lavoro e altri sono di prossima emanazione.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha completato talune ulteriori attività previste dal decreto legislativo n.  81 del 2008, tra le quali occorre ricordare:
          la predisposizione, in data 17 novembre 2010, delle indicazioni per la valutazione dello stress lavoro-correlato (articolo 28, comma 1-bis, del «testo unico») da parte della commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro, con avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.  304 del 30 dicembre;
          la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n.  159 dell'11 luglio 2011 del decreto interdipartimentale del 13 aprile 2011, recante: «Disposizioni in attuazione dell'articolo 3, comma 3-bis, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81, come modificato ed integrato dal decreto legislativo 3 agosto 2009, n.  106 in materia di salute e sicurezza sul lavoro» che disciplina le particolari modalità di svolgimento delle attività delle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n.  381, delle Organizzazioni di volontariato della Protezione civile, compresi i volontari della croce rossa italiana e del corpo nazionale soccorso alpini e Speleologico, e i volontari dei vigili del fuoco;
          la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n.  98 del 29 aprile 2011 – supplemento ordinario n.  111 – del decreto interministeriale dell'11 aprile 2011 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero della salute e con il Ministero dello sviluppo economico, che disciplina le modalità di effettuazione delle verifiche periodiche di cui all'allegato VII del decreto legislativo del 9 aprile 2008, n.  81, nonché i criteri per l'abilitazione dei soggetti di cui all'articolo 71, comma 13, del medesimo decreto legislativo;
          la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n.  60 del 12 marzo 2012 – supplemento ordinario n.  47 – dell'accordo, ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo n.  281 del 28 agosto 1997 tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, stipulato il 22 febbraio 2012, concernente l'individuazione delle attrezzature di lavoro per le quali è richiesta una specifica abilitazione degli operatori, nonché le modalità per il riconoscimento di tale abilitazione, i soggetti formatori, la durata, gli indirizzi ed i requisiti minimi di validità della formazione, in attuazione dell'articolo 73, comma 5, del decreto legislativo n.  81 del 9 aprile 2008, e successive modifiche e integrazioni;
          la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n.  83 dell'11 aprile 2011 del decreto del 4 febbraio 2011 «Lavori su impianti elettrici ad alta tensione» a firma del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro della salute, che definisce i criteri per il rilascio delle autorizzazioni alle aziende che effettuano lavori sotto tensione, in attuazione dell'articolo 82, comma 2, del decreto legislativo n.  81/2008 e successive modificazioni e integrazioni;
          l'istituzione, con decreto interministeriale del 27 maggio 2011 (pubblicato sul bollettino ufficiale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n.  6 del 30 giugno 2011), del comitato consultivo per la determinazione e l'aggiornamento dei valori limite di esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici previsto dall'articolo 232, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81 e successive modificazioni e integrazioni.

      Merita menzione, inoltre, il decreto interministeriale recante regole tecniche per la realizzazione ed il funzionamento del sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP), sensi dell'articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 2008 n.  81 e successive modificazioni e integrazioni.
      Il sistema informativo nazionale per la prevenzione, in particolare, mira a fornire dati utili per orientare, programmare, pianificare e valutare l'efficacia della attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, relativamente ai lavoratori iscritti e non iscritti agli enti assicurativi pubblici, nonché per indirizzare le attività di vigilanza, attraverso l'utilizzo integrato delle informazioni disponibili negli attuali sistemi informativi, anche tramite l'integrazione di specifici archivi e la creazione di banche dati unificate.
      Su tale decreto è stato acquisito il parere favorevole della conferenza permanente per i rapporti tra Stato, regioni e province autonome di Trento e di Bolzano e, allo stato, si è in attesa dell'espressione del parere da parte del Consiglio di Stato.
      Inoltre, nella medesima conferenza si sono perfezionati gli accordi concernenti gli articoli 34 e 37 del testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro che disciplinano, rispettivamente, la formazione del datore di lavoro, che svolge in proprio compiti di prevenzione e protezione, e la formazione dei lavoratori, preposti e dirigenti. Tali accordi sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n.  8 dell'11 gennaio 2012.
      In ordine alle iniziative in materia di lavorazioni in «ambienti confinati», si evidenzia che nella Gazzetta Ufficiale n.  260 dell'8 novembre 2011 è stato pubblicato il decreto del Presidente della Repubblica n.  177 del 14 settembre 2011 recante: «Norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati», a norma dell'articolo 6, comma 8 lettera g) del decreto legislativo n.  81/2008.
      Il decreto è frutto di un lavoro che ha coinvolto Stato, regioni e parti sociali nell'intento, da tutti condiviso, di predisporre misure innovative ed efficaci a contrasto al fenomeno degli infortuni, gravissimi per numero e drammatici per modalità, verificatisi, negli ultimi anni, nei lavori in ambienti cosiddetti «confinati», quali silos, cisterne e simili.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali persegue l'obiettivo della riduzione del fenomeno infortunistico anche perseguendo la massima efficacia delle attività di vigilanza sui luoghi di lavoro di propria competenza. In tali ambiti, ed in primo luogo nell'edilizia, è stata da tempo fornita alle strutture amministrative di riferimento l'indicazione di realizzare, innanzitutto, le attività dirette a perseguire le violazioni in materia di salute e sicurezza più gravi, in quanto in grado di mettere in pericolo la vita dei lavoratori. Tale impostazione ha consentito di raggiungere risultati molto soddisfacenti.
      Infine, va ricordato come il Ministero del lavoro e delle politiche sociali abbia predisposto e messo a disposizione dell'utenza una sezione del sito internet specificamente dedicata alla diffusione di notizie e pubblicazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
      Tutto quanto sin qui esposto consente di affermare come la riforma delle regole volte a tutelare la salute e sicurezza sul lavoro abbia fornito l'Italia di un sistema di regole moderno e sistematicamente coeso, suscitando un interesse, finalmente non più solo specialistico, sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro che costituisce, a sua volta, un importante punto di partenza per l'abbattimento del numero e della gravità degli infortuni.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.


      JANNONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          compresa tra la Lanterna e l'aeroporto Cristoforo Colombo, Sampierdarena, a Genova, è una storica enclave strappata all'assedio del dominante tifo genoano grazie alla sua storia diversa: qui nacque l'Uc Sampdoria, nel 1946, fondendo la Sampierdarenese e l'Andrea Doria, società dell'Ottocento, oggi, è un quartiere ad appannaggio di baby gang. I giovani che vi abitano provengono soprattutto dal Sud America; insieme alle loro famiglie hanno portato le loro abitudini nella città riservata e iniziato a cambiare i nomi dei quartieri. In seguito, però, sono arrivati gli scontri alla sudamericana: mazze da baseball, coltelli, forchette arrotate. A seguire gli omicidi, tre in sei anni. L'ultima rissa tra Latin e Diamantes sull'autobus numero uno in movimento ha sfondato un bus e terrorizzato i passeggeri. Bastoni tra le mani dei sudamericani sopra il mezzo, spranghe per chi stava sotto. Non è noto perché Genova, la città che non figlia più, ha conosciuto in anteprima il fenomeno delle pandillas, le bande latine. In questa città i sudamericani migranti hanno fondato alla fine dei Novanta, prima nel centro storico poi spostandosi per contagio verso Ponente, le gang-nazione ispirate alle città di provenienza: a Quito, a Medellin, a Puerto Rico e ancor più a Chicago, approdo delle bande negli anni Quaranta. Si autodefiniscono gang-nazione perché il cordone ombelicale – il paese di provenienza – è presente in ogni azione e nei riti: «Siamo un gruppo di persone, una raza, con un solo governo»;
          grazie a un enorme flusso migratorio iniziato nel 1999 con il crollo dell'Ecuador dollarizzato (il 27 per cento delle persone lasciò il paese), a Genova si è sistemata la comunità ecuadoriana più grande d'Italia: ventimila persone. È di gran lunga il ceppo straniero più importante della città, da solo vale il tre per cento. La metà abbondante degli studenti forestieri, oggi, viene dall'Ecuador, e per loro Genova non ha molto da offrire. «Ho solo amici sudamericani ed è meglio così, non devo imparare una nuova lingua», dicono gli adolescenti: «Appena salgo sul bus i vecchi cercano con la mano il loro portafogli, per proteggerlo». Gli ecuadoriani di primo sbarco sono tutti sotto i quarant'anni e con low cost successivi hanno fatto arrivare le mogli, i figli, i cugini, i nipoti. Hanno trovato tutti lavoro in una città in crisi strutturale e dentro una crisi mondiale. A Sampierdarena e al Campasso, alla Certosa, a Rivarolo, oltre la ferrovia alla Fiumara si stanno comprando il loro «due camere e salotto». Lo raccontano all'immobiliare casa latina, dove le impiegate sono sudamericane: «Vendiamo otto appartamenti al mese, quando un'agenzia con una clientela italiana ne vende solo due». In questa semiperiferia post-industriale 75 metri quadrati costano 180 mila euro. Gli ecuadoriani, comunità in salute, insieme al pan duce hanno importato Latin King e Vatos Locos, Manhattan e Los Diamantes. Sono bande violente formate a Quito e a Guayaquil, città, tra l'altro, con un'ampia comunità genovese. Lo sono diventate anche a Genova. Le pandillas da esportazione hanno affinato gli interessi, i territori da controllare e tutti i fine settimana fanno registrare numerosi scontri;
          nel maggio del 2006 un'operazione del commissariato di Prè, diventata tesi di studio giudiziario, certificò in città 435 affiliati e diciassette bande. È l'ultimo dato conosciuto. Cinque anni fa in giro per le strade di Genova c'erano quattromila ragazzi sudamericani, uno su nove stava in una gang e le cose – dicono gli esperti – non sono cambiate. Furono quattordici gli arrestati allora, perlopiù adolescenti. Tra loro, i capi ventenni dei Latin e dei Netas (significa «La nuova vita», ma anche «Lotta e resistenza»). La polizia contò trentotto episodi criminali, sequestrò mazze ferrate, una pistola. L'operazione Pandillas aveva seguito l'operazione Colors, ed entrambe per i loro aspetti folk e tribali, i riti di iniziazione, gli stupri delle donne costrette ad aderire, erano planate sui notiziari della Cnn.  Quindi nelle case di Quito, Medellin, Chicago. Il messaggio era arrivato: i ragazzi migranti continuavano a dettare legge lontano, ricevevano le strategie dai «capi supremi» e le imponevano sul nuovo territorio. Di più, iniziavano ad affiliare disadattati italiani. Dopo la Cnn arrivarono i dibattiti in consiglio comunale, gli interventi della prefettura e dell'università di Genova, quindi le iniziative del centro sociale Zapata e dei ricercatori marxisti. Una coltellata in via di Sampierdarena, in una notte di festa allo Zapata, diede la morte a Stefano Perez Soto, 17 anni. Dicembre 2009, era il terzo omicidio nella storia genovese delle pandillas. Seguiva il ragazzo colombiano ucciso alla discoteca Victor Latino (in centro, nel 2003) e l'operaio dominicano all'Estrella (al porto, nel 2008). Il colpo al cuore di Perez Soto spezzò la tela dell'integrazione; le gang tornarono a picchiarsi in strada, con nuovi protagonisti come i Diamantes, cresciuti a Cornigliano sulle ceneri dei Rebeldes, a sfidare gli eterni Latin Kings;
          con quella morte il fenomeno delle baby gang sudamericane a Genova si è parcellizzato senza spegnersi, frantumandosi in cento ritorsioni. Nelle ultime due stagioni, inoltre, si sono intensificati i gesti brutali compiuti per meritare di essere accolti in banda: ecuadoriani hanno pestato a sangue due clochard rumeni nei giardinetti della stazione Brignole e il barista intervenuto per difenderlo. Il pubblico ministero Patrizia Petruzziello definisce le bande che ha affrontato in alcuni processi «istituzioni clandestine dove si gestisce una giustizia interna con atteggiamenti fortemente omertosi». Global gang, ma anche mafie latine;
          se Genova è la culla delle gang sudamericane in Italia, oggi è Milano la città dove sono più agguerrite. I gruppi rivali si contendono a colpi di coltello o di spranga i mezzanini del metrò o le piazze e i parcheggi di periferia. In palio il controllo delle rapine e dello spaccio di cocaina. Il commissariato Mecenate, Milano orientale a corona dell'aeroporto di Linate, ha sequestrato immagini dure ed esplicite girate dagli affiliati. Si vedono donne costrette a prendersi cinghiate per guadagnare l'ingresso nel gruppo e, quindi, a loro volta pronte agli scontri più cattivi. Le pandillas qui sono diventate organizzazioni criminali che si mantengono spacciando cocaina (sempre all'interno del gruppo sudamericano, mai in piazza) e realizzando rapine in strada con una frequenza impressionante;
          al commissariato Mecenate, che tra maggio e giugno ha chiuso due operazioni anti-gang, spiegano come l'ultima modalità di attacco dei «piranhas» si consumi nei parcheggi: coltello alla mano, si spoglia un ragazzo, una donna, un anziano e ci si fanno consegnare le chiavi dell'auto con cui si andrà a svaligiare una banca. Sette colpi li hanno realizzati così. Nelle ultime stagioni, si sono contati sei omicidi da gang tra Milano e la sua provincia, l'ultimo ad agosto in Brianza, a Sovico. Sfondo naturale di questa violenza sono rimasti gli scontri tra peruviani ed ecuadoriani, i Commando e i Netas. Si contendono mezzanini del metrò milanese e piazze di periferia. Alcuni psicologi hanno provato a seguire le famiglie immigrate di questi ragazzi violenti e ora spiegano: «L'arrivo in Italia degli adolescenti è troppo duro, spaesante. Il rifugio nella banda diventa un approdo naturale. Noi chiediamo alle loro madri di educarli da capo, partorirli una seconda volta». Gli anni più recenti hanno visto lo sbarco a Milano dei duri Trinitarios (dominicani) e dei salvadoregni Ms, i Mara Salvatrucha, Maria salvatrice. Dio e la Madonna, patria e libertà. Molti di loro si sono forgiati nei dodici anni di sanguinosa guerra civile del Salvador e poi hanno messo base a Los Angeles per diventare una gang criminale capace di affiliare mezzo milione di ragazzi. Lo sbarco in Europa è questione degli ultimi mesi. Ai Trinitarios apparteneva il dominicano di 21 anni che fece fuori un egiziano in via Padova, lo scorso febbraio  –:
          quali interventi il Ministro intenda adottare al fine di creare gli strumenti adeguati al contrasto e allo sradicamento delle baby gang sud americane nel Nord Italia. (4-14111)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede quali iniziative intende assumere il Governo per contrastare e smantellare le «baby gang» costituite da cittadini di origine sud americana presenti nel nord Italia.
      Al riguardo, assicuro che le problematiche connesse alla presenza delle «bande» è alla costante attenzione delle autorità di pubblica sicurezza e delle Forze di polizia, le quali effettuano un costante monitoraggio della loro attività, anche al fine di prevenire i comportamenti illeciti e antisociali.
      Peraltro, l'azione delle forze dell'ordine, negli ultimi anni, ha permesso di consegnare quasi sempre alla giustizia gli autori dei reati perpetrati da componenti dei citati sodalizi.
      L'attività di contrasto condotta dagli uffici investigativi territoriali della Polizia di Stato ha rilevato che figli minorenni di extracomunitari prevalentemente di nazionalità ecuadoriana, peruviana e cinese – residenti per lo più nelle grandi città del nord e del centro Italia quali Genova, Milano, Torino e Roma – tendono ad aggregarsi in bande, attraverso le quali si rendono corresponsabili di comportamenti violenti posti in essere prevalentemente ai danni di giovani connazionali.
      L'aumento degli episodi delittuosi ha indotto le Forze di polizia a confrontarsi con il nuovo fenomeno, studiandone le caratteristiche al fine di adottare adeguati dispositivi di contrasto.
      Gli investigatori hanno individuato tali bande, denominate «pandillas», le quali sono dotate di proprie simbologie e presenti in determinati quartieri, in contrapposizione ad altri gruppi.
      Queste formazioni richiamano lo schema tipico delle bande giovanili di strada sudamericane, presenti negli anni sessanta anche negli Stati Uniti d'America, ove si erano inizialmente costituite nella commissione dei più svariati tipi di reati.
      Le attività criminali poste in essere dalle bande in parola hanno interessato, soprattutto, le grandi città del Nord, in particolare Genova e Milano, ove storicamente è forte la presenza delle comunità latinoamericane.
      Nella città di Milano agiscono le «bande» denominate «Comando», composta per lo più da peruviani, e la «latin king» collegata alle compagini liguri di Genova e Chiavari, formata da circa ottanta affiliati principalmente ecuadoriani è divisa nei gruppi «New York», «Chicago» e «Luzbel».
      Le citate «bande» sono costantemente monitorate sia dalla locale squadra mobile, che da diversi commissariati, in primis dal commissariato di pubblica sicurezza «Mecenate».
      Nel novembre del 2005 è stato istituito, in seno alla squadra mobile, un gruppo di lavoro dedicato ai fenomeni criminali che vedono coinvolti soggetti di origine latino americana, la cui attività ha reso possibile la individuazione della descritta articolazione delle gang.
      Il suddetto gruppo di lavoro, nel corso degli anni, ha anche svolto un'attività informativa che ha portato a censire gli affiliati alle singole bande, che sono in continua evoluzione nel numero e nelle alleanze.
      Nella città di Genova, invece, sono presenti le «bande» note con i nomi di «latin king's», «Netas», «Vatos Locos» e «Diamantes», i cui componenti sono quasi esclusivamente figli di immigrati sudamericani.
      I «latin king's», gruppo dominante e numericamente più importante, è presente sin dal 2004.
      Le «bande» generano allarme sociale sia per la commissione di reati di tipo predatorio che per i violenti scontri che si consumano tra componenti di gang differenti.
      Tra i reati contro la persona, è stato rilevato che spesso le violenze sessuali, anche di gruppo, commesse da ragazzi sudamericani, sono perpetrate in pregiudizio di connazionali, in diversi casi anche di minore età.
      L'azione di controllo e di contrasto da parte delle Forze di polizia garantisce un costante monitoraggio delle dinamiche interne ai singoli gruppi e delle tensioni fra le diverse compagini; ciò anche grazie all'istituzione all'interno della sezione «reati contro la persona» di un apposito gruppo di lavoro dedito all'analisi dei dati ed al contrasto alle fattispecie di reato consumate.
      Le prime operazioni di polizia denominate «Pandillas» e «latin king», svolte nelle due metropoli nei confronti delle citate «bande», risalgono al 2006.
      Tali operazioni portarono all'arresto di numerosi individui, tra cui alcuni minorenni, responsabili di gravi reati.
      Nel corso degli anni numerose sono state le indagini che hanno portato all'arresto di componenti delle «bande» nelle due città, l'ultima il 7 febbraio scorso, quando personale della squadra mobile di Milano e del locale commissariato di pubblica sicurezza «Mecenate» ha eseguito un'ordinanza di custodia cautelare in carcere e un decreto di fermo di indiziato di reato nei confronti di 27 soggetti, di cui 7 minorenni (destinatari della misura cautelare della «permanenza in casa») originari di Perù, Ecuador ed El Salvador, presunti responsabili di reati, quali il tentato omicidio; i fatti contestati risalgono al periodo settembre-novembre 2011.
      Il Ministero dell'interno ha da tempo avviato numerose iniziative finalizzate alla prevenzione dei fenomeni legati alla «devianza» minorile, rientranti nel più ampio quadro degli interventi diretti ad affrontare, con criteri specialistici, le multiformi problematiche concernenti i minori.
      Sin dal 1996, nell'ambito del «Progetto Arcobaleno», sono stati costituiti gli «uffici minori» presso le Questure; dal 30 ottobre 1998, con decreto del Ministro dell'interno, sono operative presso le squadre mobili anche le «Sezioni specializzate» nelle indagini concernenti lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia ed il turismo sessuale in danno di minori.
      Mentre gli uffici minori, incardinati nelle divisioni anticrimine delle Questure, acquisiscono e analizzano informazioni concernenti le indagini condotte da tutti gli organismi investigativi della provincia e promuovono iniziative di carattere preventivo da avviare con enti pubblici e privati, impegnati nel settore minorile, le «sezioni specializzate» svolgono esclusivamente attività investigativa.
      A livello centrale, all'interno del servizio centrale operativo della direzione centrale anticrimine della polizia di Stato, opera la «sezione minori», che svolge un'azione di monitoraggio degli episodi delittuosi al fine di dare impulso e coordinare le attività investigative degli organi territoriali, impegnati nel contrasto di tali fenomenologie delittuose.
      Per concretizzare innovativi percorsi di educazione alla legalità e favorire la crescita, nelle nuove generazioni, della consapevolezza di una polizia vicina alla gente, sono state avviate proficue intese con il Ministero della pubblica istruzione e con il comitato italiano per l'Unicef che, dal 2001, hanno portato alla realizzazione del progetto «Il poliziotto: un amico in più», tuttora attivo, che si articola in visite presso le strutture di polizia da parte dei ragazzi, incontri nelle scuole, concorsi di disegno, la distribuzione di «gadget» e materiali informativi.
      Ulteriori iniziative sono state intraprese a livello territoriale, in particolare, d'intesa con diversi uffici scolastici provinciali, le questure organizzano periodicamente incontri tra operatori di polizia e classi di studenti, sia presso le scuole che presso le strutture della polizia di Stato; nel corso degli incontri vengono illustrate le possibili situazioni di rischio per i bambini, fornendo appropriati suggerimenti per evitarle.
      Negli anni scorsi il servizio centrale operativo ha realizzato un dispositivo di carattere investigativo e preventivo. L'iniziativa, denominata «progetto Davide», era rivolta a compulsare l'azione di contrasto delle squadre mobili affinché sviluppassero ogni iniziativa ritenuta valida per contrastare dette forme delittuose, operando, per i profili di competenza, in sinergia con la polizia postale e delle comunicazioni.
      In detto contesto, gli uffici minori delle divisioni anticrimine, nello stesso periodo, hanno intensificato l'azione di prevenzione, con particolare riguardo al fenomeno del «bullismo» nelle scuole, finalizzata a diffondere la cultura della legalità nel mondo giovanile.
      L'attività di contrasto dei reati commessi dai minori è attentamente monitorata dal predetto servizio attraverso l'analisi delle segnalazioni provenienti dagli uffici investigativi territoriali.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      JANNONE. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          l'Italia ha il più importante patrimonio culturale al mondo, ma la cultura contribuisce per poco più del 2 per cento al prodotto interno lordo, meno della metà di Francia e Germania. Il potenziale di crescita è enorme, ma mancano capacità e fondi. Il dibattito italiano si è a lungo focalizzato su quest'ultimo aspetto, lamentando la scarsità di fondi pubblici e il trattamento fiscale poco favorevole ai contributi privati. È necessario, quindi, avanzare proposte che inneschino un nuovo processo di sviluppo nel settore della cultura in Italia senza pesare sul bilancio pubblico. L'esperienza dimostra che il settore privato è disposto ed è interessato a finanziare la cultura, ma è scoraggiato dalla complessità delle procedure. Anche l'erario avrebbe un beneficio se un numero maggiore di aziende destinasse fondi al settore culturale, piuttosto che distribuirli sotto forma di utili. Il motivo è che le erogazioni a favore di enti no profit consentono di mantenere un flusso di fondi all'interno del sistema economico, sotto forma di acquisti di beni e servizi, mentre parte degli utili distribuiti esce dal sistema economico e fluisce in risparmio;
          in concreto, la proposta consiste nell'incentivare l'elargizione liberale da parte di aziende e di privati, consentendone la deducibilità dal reddito imponibile. Per evitare che vi sia un impatto negativo per l'erario, l'erogazione a favore degli enti culturali viene sottoposta a una trattenuta fiscale in capo a questi ultimi. In altre parole, l'erogazione a favore degli enti culturali viene considerata, fino a un certo massimale (ad esempio, il 10 per cento di ricavi) come un onere di gestione sul quale gli enti pagano una trattenuta (ad esempio, il 20 per cento). Tale meccanismo crea un incentivo per l'azienda, che può destinare parte dei ricavi ad elargizioni liberali a favore di enti culturali, invece che distribuirli sotto forma di utili. Crea anche l'incentivo, per gli enti culturali, a cercare finanziamenti privati. L'inversione dell'onere fiscale, da chi elargisce i fondi a chi li riceve, consente di evitare effetti negativi sulle entrate dello Stato;
          occorre tener presente che a fronte del finanziamento di attività culturali, è necessario un ritorno di immagine, quindi il progetto culturale deve essere qualitativamente valido. Le istituzioni culturali italiane devono essere spinte ad attrarre finanziamenti privati, migliorando la propria capacità di dotarsi di quei criteri di efficienza, trasparenza e rendicontazione che il settore privato richiede in cambio dei finanziamenti. Secondo un dossier de Il Sole 24 ore, la costituzione di una anagrafe dei beneficiari delle erogazioni liberali della cultura, stabilita su base di criteri rigorosi (come la certificazione dei conti da parte di società di revisione), dovrebbe incentivare tale sviluppo. La trasformazione in fondazioni dei musei o dei poli museali è un'ulteriore misura, adottata in altri Paesi europei, che incoraggerebbe ulteriormente la partecipazione finanziaria e gestionale dei privati. Metodologie moderne, sperimentate all'estero e applicate in Italia, ad esempio, da Palazzo Strozzi, consentono di dimostrare che un euro speso in cultura può generare un indotto sul territorio superiore a tre euro. La cultura non si mangia, ma di sicuro dà da mangiare. Tale riforma aiuterebbe, senza dubbio, l'economia a crescere e contribuirebbe a risanare le finanze pubbliche del Paese  –:
          quali iniziative si intendano adottare al fine di migliorare i criteri di efficienza, trasparenza e rendicontazione degli organismi culturali italiani;
          quali iniziative i Ministri intendano adottare al fine di mettere in atto una normativa, che permetta, agli investimenti privati, di contribuire al miglioramento e al mantenimento dei poli culturali italiani, prevedendo anche degli sgravi fiscali. (4-15409)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, con la quale l'interrogante chiede di sapere quali iniziative normative si vogliano assumere per permettere agli investimenti privati di contribuire al miglioramento ed al mantenimento dei poli culturali italiani, prevedendo anche degli sgravi fiscali, si rappresenta quanto segue.
      Ancora oggi, pur con qualche modifica introdotta dai recenti atti normativi adottati dal Governo Monti, la norma sulle erogazioni liberali di cui all'articolo 100 del decreto del Presidente della Repubblica n.  917 del 1986 e successive modificazioni e integrazioni prevede quanto segue:
          lettera e): deducibilità piena delle spese sostenute dai soggetti obbligati alla manutenzione, protezione o restauro delle cose vincolate ai sensi della vigente normativa di tutela nella misura effettivamente rimasta a loro carico;
          lettera f): deducibilità piena delle erogazioni liberali in denaro a favore dello Stato, di enti ed istituzioni pubbliche, di fondazioni e di associazioni senza scopo di lucro effettuate per l'acquisto, la manutenzione, la protezione o il restauro di beni culturali ivi comprese le erogazioni effettuate per l'organizzazione di mostre e di esposizioni che siano di rilevante interesse scientifico o culturale;
          lettera g): deducibilità piena delle erogazioni liberali in denaro, per un importo non superiore al 2 per cento del reddito d'impresa dichiarato, a favore di enti e istituzioni pubbliche, fondazioni e associazioni legalmente riconosciute che senza scopo di lucro svolgono esclusivamente attività nello spettacolo, per restauro e potenziamento delle strutture esistenti, nonché produzione nei vari settori;
          lettera m): deducibilità piena delle erogazioni liberali a favore dello Stato, regioni, enti locali territoriali, enti e istituzioni pubbliche ecc. per lo svolgimento dei loro compiti istituzionali e per la realizzazione di programmi culturali nei settori dei beni culturali e dello spettacolo.

      Tuttavia, la complessità delle procedure non ha certo favorito in questi anni l'incentivazione di contributi da parte di privati e imprese per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale: il report che annualmente il Ministero pubblica sugli esiti del rilevamento mostra importi sostanzialmente costanti, ma non certamente di soddisfazione e rappresentativi di una efficacia della strategia proposta.
      Il recente decreto-legge n.  201 del 2011 ha cercato, in qualche misura, di intervenire sulla materia disponendo, all'articolo 40, comma 9, che «la documentazione e le certificazioni attualmente richieste ai fini del conseguimento delle agevolazioni fiscali in materia di beni e attività culturali previste dall'articolo 100, comma 2 lettere e) e f) sono sostituite da un'apposita dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà presentata dal richiedente al Mibac, relativa alle spese effettivamente sostenute per lo svolgimento degli interventi e delle attività cui i benefici si riferiscono».
      Inoltre, il medesimo provvedimento, all'articolo 42, comma 9, dispone l'abrogazione – nell'elenco 1, recante disposizioni legislative autorizzative di riassegnazioni in entrata allegato alla legge finanziaria 2008 – di quanto segue: «Le somme elargite da soggetti pubblici e privati per uno scopo determinato, rientrante nei fini istituzionali del Mibac, versate all'erario sono riassegnate, con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, allo stato di previsione della spesa dell'esercizio in corso del Mibac, con imputazione ai capitoli corrispondenti, alla destinazione delle somme stesse o, in mancanza, ad appositi capitoli di nuova istituzione. Le predette somme non possono essere utilizzate per scopo diverso da quello per il quale sono state elargite».
      Entrambe le modifiche normative intervenute appaiono importanti.
      La prima, consistente in una misura di semplificazione, sicuramente potrà rendere più agevole le pratiche, anche se è difficile pensare che essa possa, da sola, determinare una ricaduta sul risultato particolarmente rilevante, essendo limitata all'autocertificazione delle spese sostenute.
      La seconda, viceversa, risulta importante in quanto corregge una disposizione che, prevedendo la confluenza nel bilancio dello Stato di tutte le somme versate all'erario in riferimento alle norme citate, di fatto vanificava qualsiasi iniziativa di erogazione liberale o sponsorizzazione con il venir meno della certezza del risultato.
      Considerato quanto sopra, per ottenere veramente un risultato convincente ed un coinvolgimento maggiore del privato, è necessario elaborare strategie complessive diverse, che partano da una governance condivisa e frutto di una autentica concertazione tra le istituzioni ed il mondo delle imprese e delle associazioni di categoria, nel cui ambito possano essere studiate anche forme più accessibili per tutti di ricorso ad una fiscalità più favorevole.
Il Ministro per i beni e le attività culturali: Lorenzo Ornaghi.


      LARATTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'avvocato Gianluca Gallo, sindaco di Cassano alla Ionio (Cosenza), è stato rieletto sindaco in data 7 giugno 2009;
          nel 2010 il sindaco Gianluca Gallo viene eletto consigliere regionale della Calabria;
          ai sensi dell'articolo 65 del Tuel, decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267, la carica di primo cittadino non è cumulabile con quella di consigliere regionale;
          l'avvocato Gianluca Gallo, sindaco e consigliere regionale, si trova quindi in una condizione di assoluta incompatibilità;
          il sindaco consigliere regionale, a tutt'oggi non ha optato per l'una o per l'altra carica elettiva, nonostante l'intervento nel merito del 16 settembre 2010 del prefetto di Cosenza, con la nota n.  41402, indirizzata al Presidente del consiglio comunale di Cassano Ionio;
          appare evidente il tentativo da parte del consiglio regionale della Calabria e del consiglio comunale di Cassano Ionio, di allungare i tempi della definizione dell'incompatibilità dell'avvocato Gianluca Gallo  –:
          se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra descritto;
          se si intenda promuovere con particolare urgenza, l'azione popolare ex articolo 70 del decreto legislativo n.  267 del 2000, anche in considerazione dell'imminenza dello svolgimento delle elezioni amministrative che potrebbero evidentemente interessare anche il comune di Cassano Ionio, se questo dovesse essere sciolto in seguito alle dimissioni del sindaco per incompatibilità. (4-14653)

      Risposta. — La questione sollevata dall'interrogante è stata attentamente seguita da questa amministrazione che, come è noto, per il tramite della prefettura di Cosenza, ha interessato formalmente il presidente del consiglio comunale di Cassano all'Ionio affinché avviasse la procedura di contestazione al sindaco Gianluca Gallo in ordine all'incompatibilità fra la carica di amministratore comunale e quella di consigliere regionale della Calabria.
      Al riguardo si rappresenta che le cause di incompatibilità per le cariche di amministratori locali sono espressamente previste dall'articolo 68 e dall'articolo 69 del decreto legislativo 267/2000.
      L'articolo 68 recita: «le cause di incompatibilità, sia che esistano al momento della elezione sia che sopravvengono ed essa, importano la decadenza delle predette cariche».
      La procedura di contestazione è stata, pertanto, avviata in data 16 gennaio 2012 e si è conclusa formalmente il 16 febbraio successivo con la deliberazione del Consiglio comunale che ha sancito la decadenza del sindaco ai sensi dell'articolo 69 del predetto testo unico degli enti locali.
      Alla luce di quanto sopra esposto, realizzatasi l'ipotesi prevista dall'articolo 141, comma 1, lettera b), n.  1 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n.  267, con decreto del Presidente della Repubblica del 24 febbraio 2012 è stato disposto lo scioglimento del consiglio comunale di Cassano all'Ionio, che è stato rinnovato nel corso delle ultime elezioni amministrative del 6 e 7 maggio 2012, con successivo ballottaggio del 20 e 21 maggio.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Saverio Ruperto.


      MANCUSO, DE LUCA e GIRLANDA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          da una decina di giorni uno sciopero degli autotrasportatori italiani sta bloccando il trasporto di molti beni commerciali;
          molti allevamenti sono in difficoltà per la mancanza di rifornimenti di mangime;
          ogni allevamento necessiterebbe di un rifornimento regolare di mangime ogni 3/4 giorni;
          ogni anno l'industria mangimistica italiana movimenta, tra materie prime e mangimi, oltre 30 milioni di tonnellate di merci, vale a dire una media giornaliera di circa 100 mila tonnellate che richiedono quasi 400 camion al giorno;
          la prosecuzione dei blocchi sta producendo milioni di euro di danni non solo alle industrie che producono mangimi, ma anche agli allevamenti che rischiano la totale perdita degli animali;
          Silvio Ferrari, Presidente Assalzoo, Associazione nazionale tra i produttori di alimenti zootecnici, ha inviato una segnalazione scritta al Presidente del Consiglio Mario Monti e ai Ministri dell'interno, delle politiche agricole, alimentari e forestali, della salute, dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti;
          Assalzoo chiede che vengano garantite scorte delle forze dell'ordine ai mezzi che trasportano generi di prima necessità, tra quali anche i margini e le materie prime necessarie a produrli  –:
          quali iniziative intenda intraprendere il Governo per permettere agli allevamenti un corretto approvvigionamento di mangimi ed evitare di causare eccessive sofferenze agli animali allevati. (4-14642)

      Risposta. — Lo sciopero degli autotrasportatori, con il conseguente blocco del trasporto di molti beni commerciali, è costato molto caro in termini di danni alla filiera agroalimentare. Per quanto riguarda il settore zootecnico, in particolare, si sono avuti gravi problemi non solo nell'ambito delle industrie che producono mangimi, ma anche negli allevamenti che si sono trovati in grande difficoltà per la mancanza di rifornimenti di mangime, rischiando la totale perdita dei loro animali.
      Al riguardo è opportuno ricordare come questa amministrazione abbia predisposto, fin dall'inizio della protesta, una massiccia e immediata mobilitazione delle Forze dell'ordine. La situazione sul territorio è stata tenuta costantemente sotto il controllo delle autorità provinciali di polizia, che hanno avuto un ruolo fondamentale nella risoluzione di molte criticità svolgendo una mirata ed efficace attività di mediazione.
      Lo sciopero si è articolato in due fasi principali, interessando in un primo momento la sola Sicilia, dal 16 al 20 gennaio 2012, ed estendendosi successivamente all'intero territorio nazionale, dal 23 al 27 gennaio 2012, con un'adesione locale diversificata a seconda degli orientamenti delle diverse sigle sindacali appartenenti al mondo dell'autotrasporto.
      Il monitoraggio nella regione siciliana ha riguardato, da subito, la localizzazione dei presidi dei manifestanti, con l'indicazione delle ripercussioni sulla circolazione stradale, la quantificazione dei veicoli e dei manifestanti presenti presso i presidi, la caratterizzazione dei mezzi pesanti in sosta e la designazione degli equipaggi di polizia stradale impiegati per la gestione dell'emergenza e dei servizi connessi. È stata attivata una «sala ordine pubblico» presso il centro situazioni della segreteria del dipartimento di pubblica sicurezza e, dal 19 gennaio, la segreteria tecnica del servizio polizia stradale ha segnalato ogni elemento utile alla valutazione delle dinamiche in atto e alla conseguente adozione delle linee di indirizzo per i dipendenti compartimenti della polizia stradale per la Sicilia occidentale, con sede a Palermo, e per la Sicilia orientale, con sede a Catania.
      Il Servizio di polizia stradale ha anche disposto l'intensificazione dei servizi di vigilanza stradale lungo le principali vie di comunicazione – soprattutto autostradali – segnalando con tempismo alle autorità di polizia eventuali situazioni problematiche.
      Il monitoraggio attuato dal servizio di polizia stradale nei diversi presidi dell'isola dal 16 al 21 gennaio ha evidenziato, in particolare, la presenza complessiva di 4.300 manifestanti e di 2.500 tra veicoli commerciali e trattori agricoli. Nell'area di Villa San Giovanni e di Campocalabro sono stati rilevati circa 250 veicoli commerciali in attesa d'imbarco per la Sicilia. Nel complesso, il 90 per cento circa dei veicoli presenti nei presidi siciliani sono risultati essere scarichi, mentre quelli diretti in Sicilia sono risultati quasi tutti carichi. In tutto, per la vigilanza dei presidi e dell'area d'imbarco di Villa San Giovanni – nonché per l'espletamento degli altri servizi connessi alla gestione dell'emergenza disposti dalle autorità provinciali di polizia – sono stati impiegati 70 funzionari, 131 ispettori e 749 pattuglie.
      Nella seconda fase degli scioperi, con l'estensione della protesta a tutto il territorio nazionale, si è avvertita la necessità di rendere omogenea la gestione delle attività delle Forze dell'ordine. Le operazioni di monitoraggio e coordinamento sono proseguite attraverso l'azione della sala ordine pubblico – con il contributo di rappresentanti dei comandi generali dell'Arma dei carabinieri e della guardia di finanza – e un'apposita unità istituita all'interno della sala operativa del servizio Polizia Stradale per valutare costantemente le situazioni di criticità su strade e autostrade. Sempre con funzioni di verifica della viabilità, inoltre, è stato attivato il centro di coordinamento nazionale «viabilità Italia». Dal 23 al 27 gennaio 2012 sono stati registrati 833 presidi, ai quali hanno partecipato 26.440 manifestanti e 25.144 veicoli fermi.
      Si rappresenta infine che, allo scopo di garantire la circolazione e l'approvvigionamento di carburanti e di altri beni essenziali destinati soprattutto a strutture pubbliche o di pubblico interesse, la polizia stradale ha assicurato i servizi di scorta disposti dalle autorità competenti. Particolarmente utili nello scongiurare forme più radicali di protesta si sono rivelati gli specifici provvedimenti adottati dai singoli Prefetti, come, ad esempio, l'adozione da parte di alcuni di loro delle ordinanze ex articolo 2 del Tulps e articolo 6 del codice della strada.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      MANCUSO, CICCIOLI, GIRO, CARFAGNA e CROLLA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          il sito archeologico di Paestum è uno dei più preziosi patrimoni del nostro paese e del mondo;
          un documento del Ministero per i beni e le attività culturali che il circuito campano (museo e scavi assieme) ha avuto nel 2011 solo 20.034 visitatori paganti, il museo 45.368, i templi 98.125: pochissimi rispetto alle potenzialità;
          l'area è vittima di totale degrado e abbandono: i parcheggi costruiti agli ingressi del sito archeologico sono stati sventrati, i bagni pubblici sono lordati e spaccati, i rivestimenti distrutti, gli impianti elettrici svuotati delle centraline e dei fili, i tombini scoperchiati perché vandali hanno rubato le piastre, siringhe di eroina sono abbandonate ovunque;
          in particolare i tre accessi principali risultano in stato di abbandono: la stazione ferroviaria, poche decine di metri dietro il museo, si presenta con vuota la biglietteria, vuoto l'ufficio turistico, rotto lo schermo elettronico con gli orari dei treni in partenza e in arrivo, strappati e stracciati gli orari, devastato il sottopassaggio pedonale, con tanto di sedia mobile per disabili già arrugginita, costata 2 milioni di euro;
          l'accesso ferroviario rivestirebbe un'importanza fondamentale in una città dal traffico congestionato quale Napoli;
          negli ultimi anni con il solo PIT (Progetto integrato territoriale) a Paestum sono stati investiti 22 milioni di euro;
          è stato acquistato, per 3 milioni e 98 mila euro un rudere di uno stabilimento Cirio costruito dov'era il cosiddetto tempio di Santa Venera;
          il progetto era il recupero e l'utilizzo dell'immobile, ma esso risulta abbandonato e infestato dalle sterpaglie;
          sono stati spesi 258 mila euro per due giardini davanti ai templi dove avrebbe dovuto rinascere la «rosa damascena», ma essi sono stati lasciati privi di manutenzione e sono ora alla sfacelo;
          è stata allestita, per 400 mila euro, una mostra sulla poliorcetica (l'arte di assediare ed espugnare le città fortificate) in una delle due magnifiche torri sopravvissute;
          la mostra è stata chiusa la sera stessa dell'inaugurazione perché mancavano i custodi;
          Legambiente sta promuovendo una colletta per acquistare i terreni privati del sito per «tagliare l'erba e mantenerli puliti, rendendoli subito disponibili allo Stato se volesse compiere altri scavi», come ha dichiarato il segretario generale Michele Buonomo  –:
          se il Governo intenda razionalizzare la gestione del sito archeologico di Paestum, anche affidandola a associazioni dedicate, stipulando contratti che prevedano serie penalità se non rispettati;
          se il Governo intenda avviare una ispezione per verificare la precedente gestione dei fondi dedicati a Paestum.
(4-15781)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto indicata, con la quale l'interrogante esprime preoccupazione per lo stato di degrado ed abbandono del sito archeologico di Paestum, si precisa quanto segue.
      Il sito archeologico di Paestum risulta essere visitato ogni anno, in media, da circa 443.976 unità. Tale affluenza, riferita all'anno 2011, ovviamente tiene conto non soltanto dei visitatori paganti a cui fa riferimento l'interrogazione, ma anche di tutte le categorie di visitatori che hanno diritto all'ingresso gratuito, in base alle normative vigenti per tutti i musei ed i siti archeologici dello Stato.
      In relazione, poi, a quanto lamentato dall'interrogante circa lo stato di abbandono in cui versano i parcheggi, situati uno a nord ed uno a sud della città antica, si rappresenta che essi sono stati realizzati dal comune di Capaccio con fondi programma operativo regionale Campania 2000-2006. La loro gestione e conservazione è, come ovvio, di specifica competenza del comune ed esula totalmente dalle attribuzioni proprie degli uffici periferici del Ministero per i beni e le attività culturali.
      Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione allo stato di abbandono della stazione ferroviaria di Paestum, che è stata progressivamente «abbandonata» dalle ferrovie dello Stato e, attualmente, viene utilizzata come fermata non vigilata da personale ferroviario e, pertanto, liberamente accessibile anche a vandali e malintenzionati.
      In relazione all'acquisto dello stabilimento ex-Cirio, che sorge nelle immediate vicinanze della città antica, esso risulta effettivamente acquisito al demanio dello Stato, con fondi programma operativo regionale Campania 2000-2006, in previsione di realizzarvi, con opportuni futuri stanziamenti, un già progettato nuovo polo espositivo e di servizi di livello europeo, anche con il concorso di capitali privati.
      Al riguardo appare, però, utile precisare che la cifra indicata nell'interrogazione parlamentare, pari a euro 3.098.741,39, in realtà ammonta ad euro 3.063.597,46 e non è relativa alla sola acquisizione dell'immobile, ma anche all'insieme dei lavori di scavo archeologico, di restauro integrale del complesso monumentale sacro ad Afrodite, ad est della ex-fabbrica, e della bonifica e messa in sicurezza dell'immobile.
      Per quanto riguarda, invece, il progetto di sistemazione aree a giardino ed impianto idrico, esso ha comportato la spesa effettiva di euro 182.810,18, anziché di euro 258.228,05 come riportato nell'interrogazione. Tali fondi sono stati prevalentemente impiegati per la realizzazione ex novo di due impianti idrici automatici tutt'ora efficienti, al servizio del verde della zona archeologica.
      Il progressivo esaurimento dei fondi ordinari a disposizione e la difficoltà di assumere nuovi dipendenti aventi la professionalità richiesta per questo delicato settore ha comportato il graduale abbandono della fase di coltivazione e mantenimento. Nonostante ciò, vaste aree aperte al pubblico sono stato comunque riqualificate e decorosamente risistemate con essenze diverse dalle rose (mirto, rosmarino etc), ma con minori esigenze colturali.
      Non rispondono al vero, inoltre, le affermazioni contenute nell'interrogazione, secondo cui sarebbero stati spesi euro 440.000,00 per allestire una mostra sulla poliorcetica in una delle Torri delle mura e che la stessa sarebbe stata chiusa la sera stessa dell'inaugurazione per mancanza di custodi. La spesa di euro 440.000,00, finanziata per l'evento culturale «vivi le mura» – programma operativo regionale Campania 2000-2006, ha comportato soprattutto la realizzazione ex novo dell'impianto di illuminazione scenografica all'interno e all'esterno del tratto orientale delle mura e della Porta Sirena, per complessivi 560 metri lineari, la realizzazione di una serie di pannelli lungo il percorso interno delle mura, una pubblicazione a stampa ed una interattiva, uno spettacolo teatrale in loco, la creazione di un apparato scenografico provvisorio alto oltre 8 metri per suggerire l'antica morfologia del circuito murario ed, infine, per meno di euro 10.000,00, la progettazione e la realizzazione di alcuni pannelli relativi alla poliorcetica collocati entro la torre 28 ed ancora fruibili, a richiesta, da parte del pubblico interessato.
      Infine, pur non entrando nel merito dell'iniziativa di azionariato popolare di Legambiente, si fa osservare che i terreni privati all'interno della cinta muraria sono razionalmente coltivati con colture foraggere e orticole che non danneggiano il sottosuolo e i resti della città antica. In ogni caso, detti terreni sono pressoché quotidianamente oggetto di controlli e sopralluoghi da parte del personale tecnico scientifico operante nell'ufficio scavi di Paestum.
Il Ministro per i beni e le attività culturali: Lorenzo Ornaghi.


      MANCUSO, CICCIOLI, DE LUCA, BARANI e CROLLA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          a Oplontis (Torre Annunziata) vi sono due siti archeologici di grande rilevanza: la Villa di Poppea, che un bellissimo arazzo con due pavoni fece attribuire alla moglie dell'imperatore Nerone, e la Villa di Lucius Crassius, in cui furono ritrovati i cosiddetti «Ori di Oplontis», elegantissimi gioielli trovati nel 1984 addosso ai resti di una ventina di persone che si erano rifugiate in una stanza della villa durante l'eruzione del Vesuvio del 79 d.C.;
          la Villa di Poppea si presenta in stato di forte degrado: pavimenti luridi di polvere, mosaici che si stanno gradualmente sgretolando, affreschi gonfi a causa delle infiltrazioni, tubi che reggono putrelle sostenitrici, nastri di plastica biancorossa di traverso, lampade arrugginite, erbacce che crescono a bordo piscina e altro;
          le stanze della Villa di Olimpia sono state coperte da pesantissimi soffitti sorretti da travi di cemento;
          in caso di terremoto, l'aver ammassato tonnellate di cemento armato su mattoni e pietre antiche moltiplicherebbe i danni rendendoli devastanti;
          nella Villa di Lucius Crassius i locali al piano terra, dove furono ritrovati gli Ori, versano in grave degrado a causa di infiltrazioni di acqua, che creano pericolo di crollo e i resti umani ritrovati giacciono in cassette di plastica;
          gli «Ori di Oplontis» furono oggetto, nel 1987, di una mostra a Castel Sant'Angelo che ebbe successo immenso;
          da allora quei gioielli giacciono in un deposito, nascosti alla vista dei visitatori, perché a Torre Annunziata non vi è un museo;
          dal deposito sono inoltre recentemente spariti due pezzi  –:
          se il Governo intenda acquisire elementi dalla Soprintendenza regionale in merito allo stato di manutenzione del patrimonio artistico e archeologico campano;
          se il Governo intenda assumere iniziative volte a stanziare appositi fondi per il mantenimento delle due Vile di Oplontis;
          se il Governo intenda promuovere, tramite la Soprintendenza, un progetto di prestito degli «Ori di Oplontis» a musei nazionali che ne possano garantire la sicurezza;
          se il Governo intenda avviare un'ispezione per far luce sulla sparizione, dal deposito dov'erano custoditi, di due dei gioielli ritrovati nella Villa di Lucius Crassius. (4-15868)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante esprime preoccupazione per lo stato di degrado delle ville di Poppea e di Lucius Crassius, entrambe situate nell'antica città di Oplontis, si rappresenta quanto segue.
      In relazione allo stato di degrado dei pavimenti a mosaico e degli ambienti della villa di Poppea, si rappresenta che sono in corso le procedure di gara per l'affidamento dei relativi lavori di restauro che riguarderanno l'intera pavimentazione, nonché le pitture e le strutture murarie che presentano maggiori elementi di rischio. Il completamento dei lavori consentirà la riapertura di alcuni ambienti attualmente chiusi al pubblico.
      Per la suddetta villa è, inoltre, previsto un programma di intervento di restauro strutturale che consentirà la rimozione delle impalcature metalliche attualmente presenti, nonché un intervento di miglioramento per una maggiore efficienza dell'impianto di illuminazione.
      In relazione allo stato di degrado della villa di Lucius Crassius, si rappresenta che per essa è già stato approntato un progetto di restauro integrale, riguardante sia le strutture che le decorazioni pittoriche. Per tale progetto, allo stato non ancora finanziato, il Ministero per i beni e le attività culturali, attraverso la competente Soprintendenza, porrà in essere ogni utile sforzo per reperire le risorse economiche necessarie.
      In relazione, infine, agli «ori di oplontis» rinvenuti all'interno della villa di Lucius Crassius, si rappresenta che alla competente soprintendenza non risulta alcuna richiesta di prestito da parte di enti pubblici e istituzioni, né tantomeno l'asserita sparizione di due gioielli.
Il Ministro per i beni e le attività culturali: Lorenzo Ornaghi.


      MANTINI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          concepito come un mezzo per avvicinare i vari cittadini europei, la Città europea della cultura venne lanciata nel 1985 dal Consiglio dei Ministri su iniziativa del Ministro della cultura greco Melina Mercouri. Da allora l'iniziativa ha avuto sempre più successo tra i cittadini europei e un crescente impatto culturale e socio-economico sui numerosi visitatori che ha attratto;
          le città europee della cultura sono state designate su basi intergovernative fino al 2004; gli stati membri selezionavano unanimemente le città più adatte ad ospitare l'evento e la Commissione europea garantiva un sussidio per le città selezionate ogni anno. Dal 2005 le istituzioni europee prendono parte alla procedura di selezione delle città che ospiteranno l'evento;
          nel 1999, la Città europea della cultura è stata ribattezzata Capitale europea della cultura ed è ora finanziata attraverso il programma Cultura 2000. Tre sono le città italiane che sinora hanno beneficiato della selezione: Firenze nel 1986, Bologna nel 2000 (per un'edizione straordinaria che prevedeva numerose città contemporaneamente capitali) e infine Genova nel 2004;
          con la decisione 1622/2006 del Parlamento Europeo e del Consiglio, è stato istituito un calendario, che assegna a rotazione a due Stati membri dell'UE per ogni anno il titolo di Capitale della cultura. L'Italia (insieme alla Bulgaria) avrà nuovamente diritto ad ospitare la Capitale Europea della Cultura nel 2019;
          si è costituito un comitato d'onore di alto profilo tra personalità delle istituzioni, dell'economia e della cultura a sostegno della candidatura della città di L'Aquila a Capitale europea della cultura 2019;
          la designazione di L'Aquila 2019 a Capitale europea della cultura è una scelta di grande profilo per molte ragioni. L'Aquila ha una storia rilevante nel panorama europeo: Acculi, da luogo d'acqua, nasce con diploma di Corrado IV nel 1254 e le prime fasi di consolidamento della città, nata, dal conurbamento delle popolazioni del contado, nelle terre che avevano visto le civiltà di importanti popolazione italiche quali i Vestini e i Sabini, vedono il susseguirsi di eventi importanti, primo tra tutti la sua trasformazione a sede episcopale grazie alla bolla di papa Alessandro IV, nel 1254;
          la città che ne derivò fu una realtà molto articolata caratterizzata dall'insediamento di questi nuovi cittadini nei «locali» intra moenia, cioè le aree di identificazione nelle quali fu divisa la città, in corrispondenza dei castelli di provenienza, i quali mantennero una loro popolazione di base. I locali furono poi raggruppati nei quattro quartieri di San Giorgio, San Giovanni, Santa Maria e San Pietro. È importante ricordare questa configurazione, che avrà molto peso nelle successive disposizioni amministrative e costituzionali della città nei secoli XVI e XVII;
          questo rapporto così intenso con il territorio fuori dalle mura costruì la morfologia dell'immagine urbana come un corpo con le sue membra: il contado in realtà fu, per secoli, il polmone dell'Aquila, il luogo dove, in virtù di una fiorente attività armentizia, i pascoli rendevano ottimo bestiame e pregiata lana, sfruttando i locali erbaggi, ma anche i pascoli della Capitanata, raggiunta attraverso la transumanza delle greggi;
          la particolare e preziosa coltivazione dello zafferano aveva poi instaurato un mercato ricco e assiduo con acquirenti italiani e tedeschi, favorendo la nascita di un ceto mercantile attivo e molto abile nell'imprenditoria. Altre arti, tra cui florida e attiva fino alla fine del ’600 fu quella della lana che la pose al centro di traffici con Firenze, vennero poi ad affermarsi e tra queste quella delle pelli e dei metalli: pertanto, all'inizio del Trecento, L'Aquila, che aveva redatto i suoi Statuti del Comune poteva già vantare un progredito sistema corporativo, che la avvicinava alle forme politiche organizzate e complesse dei comuni dell'Italia centrosettentrionale, di ben più consolidata tradizione;
          un successo suggellato anche dal grande evento costituito dall'incoronazione di Pietro Angelerio, salito al soglio pontificio con il nome di papa Celestino V il 29 agosto del 1294, con forte appoggio angioino; un segnale di grande impatto emotivo e politico che, oltre a dare inizio al ruolo di intensa spiritualità della città in relazione a Roma, rafforzerà la centralità dell'Aquila nei percorsi del Giubileo e delle grandi fiere del meridione della penisola, con l'istituzione della Perdonanza celestiniana;
          L'Aquila, infatti, si era dimostrata una comunità forte e, spesso, riottosa e, anche dopo la conquista aragonese del Regno, aveva mantenuto sempre una fazione filoangioina, pronta a riprendere il controllo politico. Il potere centrale, conscio della posizione strategica della città abruzzese e della ricca fonte tributaria che rappresentava, aveva concesso numerosi privilegi (ASA, ACA, ms., Regia Munificentia erga aquilanam urbem variis privilegiis exornatam, Aquila 1639, b. S55). Infatti dopo la fase incerta, seguita alla morte di Alfonso d'Aragona nel 1458, Ferrante d'Aragona conferì alla città il suo placet, con il quale consentì alla comunità aquilana di avere liberi commerci con le altre realtà urbane e numerose agevolazioni in materia fiscale;
          L'Aquila, grazie al placet, si arricchì della presenza di uno Studio cuiuscumque doctrine, equiparato a quelli di Bologna, Siena e Perugia. L'insediamento di una delle prime stamperie della penisola e d'Europa ad opera dell'allievo di Gutenberg, Adamo de Rottweill nel 1481 fecero della città il punto di riferimento per la diffusione di opere di pregevolissimo valore e di unico esempio quali le Vite di Plutarco e altre;
          nonostante i sanguinosi conflitti e le palpabili tensioni di fine secolo, la città, negli ultimi decenni del Quattrocento, assisterà al momento della sua più significativa espressione culturale. La predicazione di San Bernardino da Siena e di San Giovanni da Capestrano fecero dell'Aquila il crocevia di una delle forme di spiritualità più raffinate e attraenti del XV secolo in Europa. Tra i secoli XIV e XV la città fu sottoposta a molti terremoti che spesso ne modificarono l'impianto senza mai sconvolgere la morfologia urbanistica. La città tendeva sempre a riedificarsi su se stessa;
          le iniziative cittadine, l'attivismo dei mercanti-imprenditori, la morfologia della città, che si andava affermando architettonicamente tra gli esempi più raffinati di arte rinascimentale, faranno dell'Aquila uno dei centri di convergenza anche di personalità artistiche straniere, oltre che di letterati e cronachisti locali, quali Francesco Angeluccio da Bazzano e Vincenzo Basilii, che, dalla tradizione di Buccio di Ranallo, avevano proseguito l'opera di memorialistica cittadina. A questi si aggiunsero nei decenni successivi gli Accursio, gli Jaconelli, i Fonticulano, Salvatore Massonio, Bernardino Cirillo e tutti coloro attraverso i quali ben si può respirare il clima di consolidato spessore umanistico che ormai la città era capace di offrire;
          opere importanti diffonderanno l'immagine dell'Aquila, come il trattato di Girolamo Pico Fonticulano che, nella Breve descrittione di sette città illustri d'Italia (I.P. Fonticulano, Breve descrittione di sette città illustri d'Italia, Aquila, 1582, appresso Dagano e Compagni), fa emergere i caratteri della disposizione urbanistica che già lui stesso aveva evidenziato per Roma e Napoli, attraverso le osservazioni tipiche dei coevi trattati di architettura. Il Forte spagnolo progettato da Luis Escrivà, continuò a rappresentare a lungo l'unico esempio di fortificazione militare in città mai attaccato da forze nemiche. Un'opera colossale sia sotto il profilo dell'architettura che del valore simbolico, oggi studiato in tutta Europa;
          la scuola giuridica aquilana, che vide in insigni trattatisti e giuristi come Accursio, Vivio, Rustici, Crispomonti, Massonio, Cirillo esponenti di spicco della cultura politica del Regno di Napoli favorì la circolazione di idee e di modelli anche grazie alla successiva nascita del Collegium Aquilanum, voluto dal Gesuita Sartorio Caputo nel 1596 e nerbo della futura Università dell'Aquila. Il tardo-rinascimento, spesso solo identificato con i conflitti con la monarchia spagnola, fu l'età della corte di Margherita d'Austria, figlia dell'imperatore spagnolo Carlo V, la Madama che volle la ristrutturazione del Palazzo del Senato che di lei porta il nome e che a L'Aquila si insediò nell'attuale Palazzo del Comune, Palazzo Margherita, appunto. In questo, gli artisti della sua corte provenienti dalle Fiandre, di cui lei era governatrice, e anche da Firenze, da Napoli, da Parma e Piacenza di cui era duchessa farnesiana, arricchirono il clima cittadino di fasto e opere insigni, collocando la città all'interno di una visibilità che la vedevano spesso meta di ingressi trionfali di principi e personaggi illustri;
          ma anche che ponevano L'Aquila sulle rotte europee: qui giunsero l'urbanista e architetto di fortezze il bolognese Francesco de Marchi (autore della prima relazione sull'ascesa sul Gran Sasso), il pittore fiammingo Art Mitthens, il musicista Rinaldo del Mel, i fratelli organisti Vinck, mentre Raffaello donò la sua Natività alla Chiesa di San Silvestro, oggi conservata a Madrid al Museo del Prado e le maestranze lombarde e locali prepararono l'ingresso del fratello della duchessa Giovanni d'Austria, vincitore, nel 1571 della battaglia di Lepanto contro i Turchi;
          la duchessa inoltre insediò una Cascina, primo esempio di imprenditoria femminile, in cui importò i bovini delle Fiandre nel Meridione d'Italia che portarono buoni utili e soprattutto controllò il mercato dello zafferano, l'oro rosso, con i mercanti di Norimberga e del nord Europa;
          un tardo Rinascimento, quello aquilano, all'insegna dello splendore e del valore culturale di una delle città più significative della Monarchia spagnola. Le Accademie dei Fortunati, così come quella dei Velati e poi lo studio dell'Oratorio dei Padri Filippini diffusero modelli e opere letterarie e di retorica segno di una maturità culturale frutto dell'osmosi con la corte di Napoli e, soprattutto, con quella di Roma;
          tutto si sarebbe arrestato al grande sisma del 2 febbraio del 1703, che dimezzò la popolazione e rase al suolo molta parte della città. Sebbene gli interventi del viceré Fernandéz Pacheco Cabrera, marchese di Villena, si dimostrarono rapidi al fine di una politica di sgravi fiscali che potesse,aiutare la popolazione nella ricostruzione, la ripresa della città nel suo complesso fu lunga e articolata in molte fasi;
          il progetto di fare risorgere la città favorì lo sviluppo di una patriottica mobilitazione dei cittadini, che consentì una rapida ripresa dell'immagine urbana. Anche lo sviluppo edilizio intensificò l'impegno occupazionale degli imprenditori interessati da questo processo, con circolazione di capitali e disegni speculativi che stimolarono una conseguente immigrazione dal contado e avvantaggiarono corporazioni e maestranze competenti nel settore, quali quelle lombarde, già presenti in città da più di un secolo. Il terremoto del 1703 rappresentò un campo di speculazione affaristica che connotò le attività di numerosi gruppi familiari. Inoltre, il fenomeno della ruralizzazione delle famiglie legate al ceto dirigente rafforzò il possesso di casali e castelli extra moenia, con un consistente possesso immobiliare che, nel caso settecentesco aquilano, servì a veicolare i linguaggi di nobilitazione con l'acquisto di titoli associati al possesso delle terre, come nel caso dei Dragonetti, poi divenuti Dragonetti de’ Torres e dei Rivera (G. RiVERA, Relazione storica, cit., p. 47). Un fenomeno che attraversò tutto il Settecento fino all'editto intorno alla formazione dei registri delle Nobiltà del Regno, emanato il 25 aprile 1800 in cui «da piazza nobile dell'Aquila fè domanda per essere riconosciuta Piazza Chiusa»). Un rimpasto sociologico che ridisegnò nuove configurazioni, ma che nei decenni successivi permise anche una ristrutturazione raffinata figlia della ottima collaborazione con grandi artisti di scuola romana che importarono a L'Aquila le forme più raffinate del barocco che si è potuto ammirare fino a qualche mese fa. L'ostinazione della popolazione, il consolidarsi di un ceto dirigente moderno e colto portarono fino alle soglie dell'Ottocento e dell'Unità d'Italia, una città con una identità densa di molteplici configurazioni;
          L'Aquila è dunque città di grandi testimonianze culturali di rilievo europeo, in primis sotto il profilo architettonico (circuito delle Basiliche di Collemaggio, S. Maria del Suffragio e S. Bernardino, le chiese, la famosa fontana delle 99 cannelle, i numerosi castelli e palazzi disseminati sul territorio). Tuttavia, L'Aquila è anche sede di uno dei 18 teatri stabili in Italia, vanta una tradizione musicale e operistica ragguardevole, ed è attiva anche nel campo cinematografico;
          il 2019 rappresenta un orizzonte temporale congruo per procedere alla riqualificazione del patrimonio architettonico, capace di offrire alla popolazione una prospettiva certa sui tempi della ricostruzione complessiva della città;
          le risorse già stanziate per la ricostruzione si trasformerebbero da un mero «contributo alla ricostruzione», in un effettivo investimento di sviluppo, grazie all'effetto promozionale che un grande evento come la Capitale europea della cultura potrebbe generare;
          come solitamente accade in occasione dei grandi eventi, la Capitale europea della cultura costituirebbe un potente «driver» di cambiamento, capace di riorientare la vocazione del territorio anche verso nuove forme di specializzazione (cultura, turismo, e altro), con effetti positivi anche sul tessuto imprenditoriale;
          l'impegno di numerose istituzioni internazionali e paesi stranieri (Germania, Spagna, Francia, USA) nella ricostruzione, fanno dell'Aquila un prototipo di collaborazione internazionale in ambito culturale, affermando la dimensione europea della città;
          la riflessione recentemente avviata finalizzata alla candidatura della città dell'Aquila a Patrimonio mondiale dell'UNESCO ne risulterebbe ulteriormente rafforzata;
          L'Aquila verrebbe rivitalizzata anche come città universitaria, sede di eccellenza di saperi e conoscenze diffusi, come testimoniato dal programma OCSE discusso in occasione del G8, capace nuovamente di attirare studenti dal resto dell'Italia e, potenzialmente, da tutto il bacino del Mediterraneo;
          in sintesi, la ricostruzione dell'Aquila diventerebbe un paradigma della capacità di progettare il futuro attraverso un'attenta rilettura del proprio passato, individuando un equilibrio urbanistico, antropico e culturale capace di coniugare storia e modernità, rigore costruttivo e rispetto di un territorio a forte rischio naturale, trasformando un elemento potenzialmente distruttivo per la collettività locale in un'opportunità di cambiamento per tutto il territorio  –:
          se il Governo intenda farsi promotore presso la Commissione Europea di una richiesta di deroga alla procedura che, pur salvaguardando la nomina di una giuria per la fase di accompagnamento nella definizione del programma, escluda eccezionalmente la fase competitiva di selezione nazionale per orientarsi direttamente sulla città dell'Aquila nel 2019, in virtù della particolare situazione generatasi con il sisma e con la conseguente fase di ricostruzione. (4-04800)

      Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, con il quale l'interrogante chiede se il Governo intenda farsi promotore, presso la Commissione europea, di una richiesta di deroga alla vigente procedura per consentire la candidatura della città dell'Aquila a capitale europea della cultura 2019, si osserva quanto segue.
      «Capitale europea della cultura» è un'azione comunitaria, istituita con decisione n.  1419/1999/CE del 25 maggio 1999, del Parlamento europeo e del Consiglio. L'obiettivo dell'iniziativa è quello di «valorizzare la ricchezza, la diversità e le caratteristiche comuni delle culture europee e contribuire a migliorare la conoscenza reciproca fra i cittadini europei».
      In conseguenza dell'allargamento della Unione europea del 2004, con decisione n.  2005/649/CE del 13 aprile 2005, è stata modificata la precedente decisione n. 1419 in modo che, a partire dall'anno 2009, possano essere designate ogni anno due capitali negli Stati membri.
      La procedura di selezione è regolata da una «decisione». A decorrere dal 1° gennaio 2007, la decisione in vigore, riguardante le capitali, è la decisione 1622/2006/CE, del 24 ottobre 2006. Il calendario prestabilito prevede che, per il 2019, gli stati membri indicati siano l'Italia e la Bulgaria.
      La procedura è articolata in 4 fasi:
          1. presentazione delle candidature – ciascuno Stato membro pubblica un invito a presentare candidature al più tardi sei anni prima dell'inizio della manifestazione in questione. Possono partecipare tutte le città interessate;
          2. preselezione – ciascuno degli stati interessati convoca la pertinente giuria per una riunione di preselezione al più tardi cinque anni prima dell'inizio della manifestazione. La giuria presenta la relazione allo stato membro interessato ed alla commissione. Ciascuno stato membro interessato approva formalmente la preselezione in base alla relazione della giuria;
          3. selezione finale – le città preselezionate completano le loro candidature e le trasmettono agli Stati membri interessati, che le inoltrano quindi alla commissione. Nove mesi dopo la riunione di preselezione ciascuno degli Stati membri interessati convoca la relativa giuria per la selezione finale;
          4. nomina – ciascuno degli stati membri interessati designa una città per la nomina a capitale europea della cultura. Il consiglio nomina ufficialmente le città in questione capitali europee della cultura.
      Le procedure di selezione, nomina e designazione avvengono, pertanto, sulla base di regole prestabilite a livello europeo e che, essendo uguali per tutti gli stati membri, non possono essere modificate dal Governo italiano.
      Sulla base della procedura e della tempistica sopra richiamata, l'Italia, che ospiterà la manifestazione nel 2019, pubblicherà, attraverso il Ministero per i beni e le attività culturali, focus point «capitali europee della cultura», il bando ufficiale per presentare domande di candidatura al titolo di capitale europea della cultura entro dicembre 2012. Le città italiane interessate a concorrere avranno 10 mesi, dal momento di pubblicazione dell'invito, per presentare la candidatura.
      All'inizio del 2013 sarà organizzata dal Ministero per i beni e le attività culturali, attraverso il focus point e in collaborazione con la Commissione europea, una «giornata informativa» rivolta alle città interessate a partecipare al bando.
      Una prima pre-selezione sarà effettuata, orientativamente, a novembre/dicembre 2013. Successivamente alla pre-selezione, avrà luogo la selezione definitiva e, orientativamente, verso la fine del 2014 (presumibilmente a novembre), sarà nominata ufficialmente la città designata. A marzo 2015 la città sarà designata ufficialmente dal Consiglio dei Ministri dell'Unione europea.
      Al fine di diffondere in maniera capillare ogni possibile informazione inerente la manifestazione e seguire la procedura, il Ministero per i beni e le attività culturali ha istituito, presso il segretariato generale – servizio I – coordinamento e studi – il focus point «Capitale europea della cultura», che rappresenta il punto di contatto nazionale per l'azione comunitaria in questione.
      Si rappresenta, infine, che è stato anche realizzato un sito web sul quale è possibile reperire utili informazioni all'indirizzo http://www.capitalicultura.beniculturali.it/.
Il Ministro per i beni e le attività culturali: Lorenzo Ornaghi.


      MARINELLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          il fenomeno umanitario delle accoglienze dei bambini provenienti dalla Bielorussia è ormai diffuso capillarmente su tutto il territorio italiano, coinvolgendo numerose famiglie che vengono in contatto, ogni anno, con i bambini ed i «ragazzi di Chernobyl»;
          secondo notizie di stampa, dal 1996, anno del disastro della centrale nucleare ucraina, circa 30.000 famiglie italiane hanno ospitato annualmente circa 300.000 bambini provenienti dai territori contaminati, per motivi terapeutici ed umanitari, durante le vacanze estive e natalizie;
          in totale, questo movimento di solidarietà ha coinvolto, nell'arco di 20 anni, oltre 300.000 famiglie italiane. Il tempo medio di ospitalità per famiglia è stato stimato in 5/6 anni e fino al 2004 si sono registrate circa 200/250 adozioni l'anno, con un forte rallentamento registrato nel quadriennio 2004-2008 a seguito del blocco imposto dal Governo di Minsk;
          sono stati svolti reiterati interventi in sede politica e diplomatica per sollecitare una decisione delle competenti autorità bielorusse circa la possibilità di prendere in considerazione, in attuazione dei protocolli bilaterali firmati nel 2005 e nel 2007, nuove domande di adozione da parte di cittadini italiani, in particolare di quelli che ospitano minori istituzionalizzati anche molto malati;
          mediante un comunicato diramato in data 22 marzo 2011 dalla Commissione per le adozioni internazionali, circa l'aggiornamento sulla prosecuzione delle adozioni in Bielorussia, la segreteria tecnica della commissione e il centro adozioni di Minsk hanno dichiarato di essere tra loro in contatto per superare eventuali ostacoli riguardanti le oltre 200 procedure ancora pendenti tra quelle comprese nell'elenco presentato dal Presidente del Consiglio italiano al Presidente bielorusso nel novembre 2009;
          ultimamente, la Bielorussia ha dimostrato un'apertura d'intenti in tal senso, riesaminando oltre 500 pratiche adottive in sospeso dal 2010, e permettendo così l'adozione di 99 minori nel 2010 e di altrettanti minori nel primo semestre del corrente anno. Tuttavia, la Commissione per le adozioni internazionali presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ha ritenuto di dover bloccare il deposito delle nuove domande di adozione;
          nel corso del Summit INCE del 10 giugno 2011, svoltosi a Trieste, il Ministro degli affari esteri pro tempore, Franco Frattini ha firmato un importante Protocollo d'intesa con la Bielorussia che permetterebbe ai ragazzi che non hanno i requisiti per l'adozione internazionale di venire nel nostro Paese, per svolgere uno o più anni scolastici, purché compiuto il quattordicesimo anno di età. L'accordo, che segna un traguardo importantissimo per le famiglie ospitanti, attende i relativi decreti attuativi per divenire operativo;
          secondo recenti notizie di stampa, il 9 novembre 2011 è avvenuto un primo incontro tra i tecnici italiani del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e del Ministero degli affari esteri e l'Ambasciatore della Bielorussia a Roma, S.E. Eugeny Shestakov, per definire una mappa delle questioni da condividere tra i due Paesi, per giungere ad un regolamento bilaterale al fine di armonizzare le normative nazionali sugli aspetti culturali, giuridici ed amministrativi per la frequenza scolastica e la tutela dei minori all'estero;
          le vicende legate alle adozioni, alle accoglienze ed ai permessi studio nei confronti dei minori bielorussi rispondono ai più alti principi previsti sia dalla nostra Carta costituzionale che dalla normativa internazionale. Segnatamente, si ricorda la tutela privilegiata dell'infanzia, che ha nell'articolo 31 della Costituzione una solida base nel nostro ordinamento, la Convenzione dei diritti dell'infanzia dell'89, che già in premessa esprime il principio secondo cui «l'infanzia ha diritto a un aiuto e a un'assistenza particolari», e la Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale del 1993, che rammenta agli Stati membri la necessità di adottare ogni particolare cura per l'assistenza prestata ai minori;
          secondo le raccomandazioni adottate dal rapporto della Commissione speciale sul funzionamento e la pratica della Convenzione dell'Aja del 1993, redatto nel dicembre del 2000 dall'ufficio permanente della Conferenza dell'Aja sul diritto internazionale privato «i Paesi riceventi sono chiamati a supportare le azioni svolte nei Paesi di origine per sviluppare i servizi nazionali di protezione dei minori, inclusi programmi per la prevenzione dell'abbandono»  –:
          quali urgenti iniziative il Presidente del Consiglio dei ministri intenda assumere per accelerare l’iter delle domande di adozione giacenti presso la Commissione per le adozioni internazionali;
          quali urgenti iniziative intendano adottare i Ministri interrogati per consentire una rapida definizione dei regolamenti attuativi dell'Accordo attinente i permessi-studio per gli studenti bielorussi, al fine di corrispondere alla piena affermazione del superiore interesse del fanciullo. (4-14145)

      Risposta. — Nel settore dell'accoglienza dei minori, i rapporti tra Italia e Bielorussia sono andati approfondendosi nell'arco dell'ultimo ventennio grazie all'intensa e positiva esperienza dei soggiorni terapeutici, iniziati all'indomani del disastro nucleare di Chernobyl del 1986.
      Numerose famiglie italiane hanno potuto accogliere bambini provenienti dalle zone contaminate per brevi soggiorni, spesso ripetuti negli anni, in genere durante le vacanze estive o natalizie. I programmi di risanamento proseguono a ritmo intenso, nonostante il tempo trascorso dal disastro, sotto il coordinamento – da parte italiana – del comitato per i minori stranieri, organo ministeriale incardinato presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
      Tra le famiglie e i bambini ospitati si è naturalmente creato un legame affettivo che ha portato a domande di adozione (anche se, normativamente, la procedura adottiva ed i risanamenti terapeutici sono chiaramente distinti) o al desiderio di ospitare comunque i minori per più lunghi periodi, consentendo loro di studiare in Italia.
      Ripercorrendo la storia delle relazioni con la Bielorussia nel settore delle adozioni internazionali, successivamente alla costituzione della Commissione per le adozioni internazionali, Autorità centrale per la convenzione de l'Aja del 1993, risulta che i minori bielorussi adottati da coniugi italiani sono stati 147 nel 2001, 185 nel 2002, 254 nel 2003 e 226 nel 2004 (dati della commissione).
      Nell'ottobre 2004, tuttavia, le autorità bielorusse decisero unilateralmente il blocco delle adozioni internazionali e iniziarono a respingere sistematicamente tutte le istanze pendenti. Tant’è che non risulta alcuna adozione perfezionata nel 2005.
      Malgrado i protocolli negoziati con l'Italia nel 2005 e nel 2007, nei quali le famiglie aspiranti all'adozione in Bielorussia (tutte famiglie che già ospitavano i minori bielorussi nell'ambito dei predetti soggiorni di risanamento successivi al disastro di Chernobyl) riponevano molte speranze, negli anni successivi l'assoluta maggioranza delle procedure pendenti continuò a ricevere risposte negative dalle competenti autorità bielorusse: furono pertanto concluse solo 34 adozioni nel 2006, 12 nel 2007 e addirittura solo 4 nel 2008.
      Nel febbraio 2008, dopo che il presidente Lukashenko aveva nuovamente affermato di considerare chiuso l'argomento delle adozioni internazionali, mi viene riferito che gli enti autorizzati italiani, di concerto con la commissione per le adozioni internazionali, decisero di non accettare più mandati per la Bielorussia, ritenendo impossibile onorare le obbligazioni che avrebbero assunto contrattualmente.
      Nel novembre 2009, constatata una certa disponibilità delle autorità bielorusse, il Presidente del Consiglio consegnò al presidente Lukashenko l'elenco aggiornato delle procedure che risultavano pendenti alla data del 28 febbraio 2008 (data in cui, come si è visto, gli enti italiani avevano deciso di non presentare più nuovi fascicoli).
      Tale elenco comprendeva 612 minori, tutti periodicamente ospiti di 520 famiglie italiane nell'ambito dei soggiorni di risanamento.
      Dopo tale incontro ai massimi livelli politici, la parte bielorussa ha periodicamente formulato elenchi parziali, comprensivi dei minori di cui all'elenco generale ritenuti effettivamente adottabili.
      Si è trattato finora di cinque elenchi, rispettivamente di 32, 100, 101, 100 e 46 minori, per un totale, ad oggi, di 379 minori.
      A fronte di questi elenchi parziali, risulta che sono state fin qui realizzate 280 adozioni (precisamente, 26 nel 2009, 99 nel 2010, 146 nel 2011 e 12 fino al 27 marzo 2012). Va segnalato che per circa 50 minori, compresi negli elenchi emessi dalla parte bielorussa, le procedure non sono state portate a termine per rinuncia degli interessati o per sopravvenuta maggiore età dei ragazzi. Il quinto elenco parziale è stato emesso solo il 4 novembre 2011 e, pertanto, le attività necessarie per la definizione delle procedure sono ancora in corso.
      In alternativa all'adozione, molte famiglie italiane hanno manifestato anche il desiderio di ospitare minori bielorussi per l'intero anno scolastico. In tale prospettiva è stato firmato a Trieste il 10 giugno 2011 dai Ministri pro-tempore degli affari esteri dei due paesi, l'accordo bilaterale sulla cooperazione nel campo dell'istruzione. Tale Accordo, che dopo un celere completamento dell'iter di ratifica è entrato in vigore lo scorso 23 settembre, non riguarda la questione dei permessi di studio per studenti minorenni di nazionalità non italiana, ma si limita ad impegnare i due paesi a creare le migliori condizioni per approfondire la conoscenza reciproca, anche attraverso gli scambi tra scuole ed atenei. Inoltre, indirizza e incoraggia iniziative di partenariati tra istituzioni educative e formative, alle quali offre l'opportunità di stabilire una diretta collaborazione. Gli organi, delegati dalle parti al coordinamento dell'attuazione dell'intesa, sono i rispettivi Ministeri dell'istruzione.
      Per venire incontro alle istanze in tal senso di tante famiglie italiane e di tanti bambini bielorussi si è inteso, comunque, tentare di ricondurre le azioni generiche previste dall'accordo ad una definizione di protocolli attuativi che possano in maniera concreta consentire ai ragazzi bielorussi, che abbiano compiuto il 14° anno di età, di frequentare uno o più anni scolastici in Italia. A tal fine, su iniziativa del nostro Ministero dell'istruzione e con il tramite delle competenti autorità diplomatiche, è stata costituita ai sensi degli articoli 10 e 11 del predetto Accordo, la Commissione mista italo-bielorussa, composta, per la parte italiana, da dirigenti e funzionari del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, oltre che da un funzionario di questo Ministero per la cooperazione internazionale e l'integrazione. Su invito del Ministero dell'educazione bielorusso il primo incontro della commissione mista, guidata per parte bielorussa dal Viceministro dell'educazione, si è svolto a Minsk nei giorni 6, 7 e 8 febbraio 2012.
      Da notizie riferitemi, durante i lavori della Commissione mista, la delegazione bielorussa ha rappresentato la più ampia disponibilità ed ha proposto la formulazione di un memorandum di intesa ad hoc, che regoli nel dettaglio lo svolgimento degli scambi di studenti. In conclusione dei lavori, il nostro Ministero dell'istruzione ha proposto di organizzare in Italia la prossima riunione della commissione mista. Tale proposta ha riscosso l'assenso dei colleghi bielorussi e ciò consente di sperare in una rapida attuazione dei regolamenti attuativi dell'accordo in questione.
      Infine, faccio presente che sto svolgendo una serie di contatti per ripristinare le procedure delle adozioni nella consapevolezza che i tentativi finora svolti non hanno conseguito i risultati sperati e che l'attuale crisi diplomatica, con il richiamo in patria degli ambasciatori dei paesi dell'unione europea (Italia compresa), complica ogni buona volontà.
Il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione: Andrea Riccardi.


      MOGHERINI REBESANI, BOSSA, BRANDOLINI, CENNI, CILLUFFO, CODURELLI, D'INCECCO, GARAVINI, LUCÀ, MATTESINI, MOTTA, STRIZZOLO e VERINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          in questi giorni è stata annunciata la presentazione ufficiale del programma della XXXIII edizione del meeting per l'amicizia fra i popoli, in programma dal 19 al 25 agosto a Rimini;
          la presentazione del meeting di Rimini avrà luogo mercoledì 6 giugno 2012 all'ambasciata d'Italia presso la Santa Sede a Roma alla presenza del Ministro degli affari esteri;
          l'appuntamento annuale del meeting di Rimini ha sempre grande rilevanza e eco mediatica, essendo promosso da un movimento ecclesiale che partecipa direttamente al dibattito politico e al confronto tra partiti, con prese di posizione molto esplicite e con l'impegno pubblico diretto in partiti e nelle istituzioni di suoi esponenti;
          le attività delle ambasciate dello Stato italiano dovrebbero mantenere un profilo espressamente istituzionale e non politicamente caratterizzato, proprio per la loro funzione di rappresentanza diplomatica e di tutela degli interessi politici ed economici generali dell'Italia in un Paese estero  –:
          se non ritenga inopportuna la decisione di ospitare presso una sede diplomatica dello Stato italiano la presentazione ufficiale di un evento non istituzionale e se non valuti la possibilità di considerarne l'annullamento. (4-16382)

      Risposta. — Sin dal 2009 l'ambasciata d'Italia presso la Santa Sede ha ospitato la presentazione del Meeting per l'amicizia fra i popoli (preceduta, nel 2008, dalla presentazione di un libro che raccoglieva gli interventi dell'anno precedente) alla luce del rilievo, sotto il profilo della cooperazione internazionale, delle tematiche poste al centro dell'evento.
      Il meeting rappresenta infatti indubbiamente un importante evento di carattere internazionale (nel 2010 è stato presentato anche alle Nazioni unite con un evento ospitato nel Palazzo di vetro), che vede ogni anno la partecipazione di altissime personalità del mondo della politica e della cultura, sia nazionali che internazionali.
      Esso è da molti anni considerato una preziosa componente del sistema Italia, con un forte valore aggiunto per la proiezione dell'immagine del nostro Paese nel mondo.
      Gli eventi di presentazione sono stati intesi come un'occasione di confronto fra il Governo italiano e i vertici della Santa Sede su temi di comune interesse, al centro delle rispettive agende, quali le questioni etiche, il dialogo interreligioso, la difesa della libertà religiosa.
      Il carattere istituzionale dell'evento è inoltre dimostrato dall'intervento, come principali relatori, dei Ministri degli affari esteri in carica e di capi dicastero della Santa Sede (quest'anno il cardinale Sandri, prefetto della congregazione per le chiese orientali, lo scorso anno il cardinale Tauran, presidente del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso).
      In tali occasioni hanno anche sempre partecipato alti esponenti del mondo ecclesiastico, membri del Parlamento nazionale di tutte le estrazioni politiche e numerosi rappresentanti del corpo diplomatico accreditato sia presso la Santa Sede che presso il Quirinale.
      Si rileva altresì che, in considerazione delle note ristrettezze di bilancio, le spese per l'evento ospitato in ambasciata saranno interamente sostenute dalla fondazione meeting per l'amicizia dei popoli.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Staffan de Mistura.


      MURGIA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          l'archivio di Stato di Firenze, istituito nel 1852 dal granduca Leopoldo II di Toscana, è il più frequentato d'Italia – insieme a quello di Roma – oltre ad essere uno dei più vasti e antichi del Paese;
          con i «tagli» operati dal Ministero, i fondi statali sono sempre più limitati;
          soltanto quest'anno il Ministero per i beni e le attività culturali ha «tagliato» il 21 per cento delle risorse, pari a 126 mila euro, riducendo gli stanziamenti dai 597 mila del 2010 ai 471 mila del 2011;
          come se non bastasse, nel 2011 sono arrivati solo 70 mila euro e mancano ancora all'appello 400 mila euro;
          se i fondi resteranno gli stessi anche nei prossimi anni si rischia di non poter più effettuare la manutenzione ordinaria dell'archivio e dei macchinari, tecnologicamente avanzati e che necessitano di una costante revisione;
          notevoli disagi si potrebbero riflettere, oltre che sul sofisticato sistema informatico, anche sugli impianti di climatizzazione nei reparti – dove è contenuto il materiale archivistico – e nei quali la temperatura dovrebbe rimanere costante a 18 gradi;
          a risentire dei tagli è stato anche il personale, praticamente dimezzato negli ultimi dieci anni e attualmente composto da 55 dipendenti  –:
          quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato, alla luce dei fatti sopra riportati, posto che la situazione appare drammatica e preoccupante e mette a repentaglio la memoria di un'intera nazione che rischia di cadere sotto i colpi di un lento, ma inesorabile, degrado. (4-13446)

      Risposta. — Con riferimento alla interrogazione in esame, con la quale l'interrogante chiede quali iniziative intenda assumere questo Ministero al fine di garantire la regolare attività dell'archivio di Stato di Firenze, in considerazione dei tagli ai finanziamenti statali ed al dimezzamento del personale dipendente, si precisa quanto segue.
      La situazione dell'archivio di Stato di Firenze deve essere inquadrata nella tematica generale della salvaguardia e valorizzazione del patrimonio archivistico nazionale.
      Il nostro patrimonio è uno dei più importanti al mondo: 1,5 milioni di pergamene, 800.000 mappe, 35.000 sigilli, 12.500 monete, 600.000 fotografie e un numero estremamente rilevante di negativi, audiovisivi, ecc. che occupano ben 1.646 km di scaffalatura pari alla lunghezza dell'intero Paese, da Milano a Trapani; negli archivi si conservano 14 milioni di unità archivistiche. I soli archivi statali, dislocati sull'intero territorio nazionale, sono ben 262, tra sedi principali, sedi sussidiarie, sezioni, depositi.
      Nel corso del 2011 alla direzione generale per gli archivi è stata assegnata una somma pari ad euro 11.706.132 complessivi per far fronte alle esigenze proprie ed a quelle dei 120 istituti dalla stessa vigilati. In particolare, all'archivio di Stato di Firenze è stata assegnata la somma di circa 728.000,00 euro. Nel 2010, allo stesso istituto, era stata assegnato uno stanziamento complessivo di euro 531.000,00. Nel 2012 è previsto un finanziamento generale di euro 617.000,00, con riserva di procedere ad altre assegnazioni, da imputare alle quote riservate alla direzione generale per gli archivi in caso di emergenze.
      Il personale assegnato agli archivi statali è pari a 2.600 unità, di cui 650 archivisti. Si conferma che, rispetto alle 108 unità previste dal vigente organico dell'archivio di Stato di Firenze, ne risultano presenti solo 54, pari al 50 per cento.
      Il cosiddetto decreto salva Italia, all'articolo 30 comma 8, ha previsto disposizioni dirette a garantire il turnover del personale che va in pensione, così da assicurare l'effettività delle funzioni di tutela, fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale statale e la legge di stabilità del 2012 riconosce la necessità e l'urgenza di potenziare il personale in servizio per assicurare lo svolgimento delle funzioni di tutela del patrimonio culturale.
      Nel 2012 e nel 2013 si potrà, pertanto, procedere all'assunzione di tecnici e funzionari che porteranno energie nuove alla funzione di tutela del patrimonio.
      Si assicura, nel frattempo, il massimo interessamento per garantire la regolare attività dell'Istituto.
Il Ministro per i beni e le attività culturali: Lorenzo Ornaghi.


      NARDUCCI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          il caso per certi versi drammatico della vicenda giuridica di una nostra connazionale, M.I. e, pone gravi interrogativi sul grado di tutela che lo Stato italiano riesce a garantire ai propri cittadini allorché essi vedono minacciati i loro diritti fondamentali di cittadinanza da parte dello Stato in cui sono emigrati per lavoro, tanto più quando trattasi di Stati membri dell'Unione europea;
          la signora M.I. era stata assunta, previa selezione con vari colloqui, dalla Goldman Sachs di Londra, sede in cui ha preso servizio il giorno 14 febbraio 2000, occupandosi in particolare degli investimenti dei clienti italiani e dei loro rapporti commerciali con la sede londinese della banca stessa;
          l'organico davvero ridotto che all'epoca si occupava dei clienti italiani e il periodo veramente esplosivo per il settore degli investimenti hanno prodotto ben presto una enorme pressione lavorativa sulla nostra concittadina: la Goldman Sachs esigeva orari di lavoro massacranti che superavano regolarmente le 11-12 ore giornaliere, per giunta, senza remunerazione dello straordinario. Tale situazione si è protratta per mesi, nonostante i ripetuti appelli della signora M.I. ai suoi diretti superiori, soprattutto in merito alla qualità del servizio offerto ai clienti, che anziché riportare il ritmo di lavoro a livello accettabile le hanno affidato un rilevante numero di progetti extra-curriculari e casi riguardanti «falliti» o «sospesi» relativi ad una banca italiana cliente di Goldman Sachs;
          comprensibilmente lo stato di salute della signora M.I. ha risentito della situazione sul posto di lavoro con frequenti forti emicranie da costringerla a trascorrere i fine settimana a letto per recuperare la condizione fisica. Le sono stati affidati casi complessi, datati, non risolti da altri colleghi che se ne erano occupati prima di lei, con la conseguenza di un incattivimento dei rapporti gerarchici, a scapito unicamente della signora M.I. che, tra l'altro, si vedeva perfino negare aiuto in una specifica istanza, benché ciò fosse di competenza manageriale e non sua. È iniziata così un'operazione di mobbing nei suoi confronti, con calunnie e lamentele chiaramente false e in diretta contraddizione con le lodi che aveva ricevuto nei mesi iniziali della sua collaborazione con Goldman Sachs. In pari tempo due colleghi e la diretta superiore hanno iniziato, in sua presenza, a parlare male dell'Italia e degli italiani, utilizzando offese e luoghi comuni inaccettabili contro i clienti italiani, con il chiaro scopo di mettere in cattiva luce la signora M.I. ed emarginarla dal team, sia in ufficio che al di fuori dell'ambiente di lavoro;
          il clima di tensione, il diniego della procedura di grievance prevista dalle regole interne e dallo Stato britannico, nonché le manifeste violazioni contrattuali sono sfociate in una proposta capestro unilaterale della Goldman Sachs, tesa a interrompere il rapporto di lavoro e a ottenere dalla signora M.I. la sottoscrizione di una dichiarazione liberatoria a favore della banca, con l'offerta di un indennizzo irrisorio di 2.000 sterline. Proposta rifiutata categoricamente dalla nostra concittadina, preoccupata non tanto dell'indennizzo bensì delle note professionali sicuramente punitive e fondate su false affermazioni che sarebbero state redatte a suo danno. Un timore che si sarebbe rivelato fondato come l'interessata ha potuto verificare una volta ottenuto copia del suo fascicolo personale in cui sono manifesti ed evidenti gravi falsi ideologici ed una forma severa di discriminazione e diffamazione;
          il 15 settembre 2000 è giunta di fatto l'interruzione del rapporto di lavoro: dopo un colloquio in cui rifiuta di sottoscrivere la già citata liberatoria, alla signora M.I. viene fisicamente impedito, da parte del servizio di sorveglianza, di raggiungere la propria scrivania;
          la signora M.I., messa brutalmente sulla strada, si è rivolta ad un legale per difendere i propri diritti e chiedere il reintegro sul posto di lavoro. Il legale interpellato ha confermato le violazioni commesse dalla banca. Inutilmente poiché il suo fascicolo contiene ancora evidenti falsificazioni, per esempio che la risoluzione del rapporto di lavoro sarebbe avvenuta di comune accordo e che l'interessata avrebbe ricevuto denaro in cambio e persino che avrebbe subito un provvedimento disciplinare quando tutto ciò è manifestamente falso. Per la nostra concittadina è iniziato in tal modo un pesante e oneroso (finanziariamente) calvario giudiziario, con avvocati che non hanno avuto il coraggio di difendere lealmente i suoi interessi contro la potente banca, tanto che si vede spesso costretta a dover presentare personalmente ricorsi e prove a sua difesa, senza trovare giustizia nelle svariate sedi giudiziali dell'ordinamento del Regno Unito a cui si è rivolta in questi anni;
          essendole stato impedito di rivolgersi alla House of Lords (ultimo grado interno ed ora rinominata quale Supreme Court) la signora M.I. si è rivolta, il 9 maggio 2007, alla Corte europea dei diritti dell'uomo inoltrando ricorso contro il Regno Unito per violazione dei diritti umani ma, dopo un anno, ha ottenuto risposta negativa. La Corte, infatti, ha valutato che il ricorso non adempiva a quanto previsto dagli articoli 34 e 35 della convenzione di Strasburgo e a nulla sono valsi le successive precisazioni e chiarimenti inviati dalla signora M.I. all'organismo sopranazionale;
          la signora M.I., non avendo avuto soddisfazione attraverso le istanze summenzionate, ha intrapreso un'azione giudiziaria contro la Goldman Sachs ricorrendo alla Central London County Court, con un procedimento che si trascinerà avanti tra rinvii, un incredibile andirivieni di corrispondenza, nuovi ricorsi a lei imposti, ripetuti ordini di conciliazione, certificazioni (naturalmente con costi proporzionali al numero di atti richiesti e inoltrati) ed evidenti omissioni e negligenze da parte della County Court. Le conseguenze sul piano fisico per la signora M.I. sono state pesanti: il 6 settembre 2009 ha rischiato un infarto a causa di una grave forma di tachicardia e un ipertiroidismo che le vengono diagnosticati, di cui subisce ancora oggi le conseguenze;
          il 27 luglio 2010 la signora M.I. si è rivolta alla Commissione europea a Bruxelles inoltrando formale denuncia contro il Regno Unito per inadempimento giudiziario di Stato membro, accompagnando la denuncia stessa con una folta e meticolosa documentazione di quanto accaduto;
          dopo avere ripetutamente sollecitato una risposta, o una presa d'atto, il 24 gennaio 2011 la signora M.I. ha ricevuto una comunicazione da parte della Commissione europea (protocollo CHAP (2010) 2528), con cui si respinge la denuncia, dando a giustificazione che trattasi di «lamentela di lavoro» e non di inadempimento giudiziario da parte di uno Stato membro. La Commissione stessa consiglia quindi di rivolgersi alla magistratura del Regno Unito oppure alla Corte europea dei diritti dell'uomo, nonostante le testuali parole «denuncia» e «inadempienza» siano le prime del documento ed evidenziate in prima pagina;
          la poca considerazione riservata al suo caso – come detto, non sono in gioco soltanto aspetti di remunerazione in caso di risoluzione del rapporto di lavoro, bensì il licenziamento ingiusto e immotivato, le qualificazioni negative nel fascicolo dell'interessata e quello che all'interrogante appare lo strapotere di un colosso bancario contro una persona che difende strenuamente la propria dignità umana e professionale – ha rappresentato un durissimo colpo per la signora M.I. che, per non lasciare nulla di intentato, ha denunciato il tutto al Ministero degli affari esteri a Roma e ha chiesto assistenza e tutela legale al consolato generale d'Italia a Londra;
          il consolato generale d'Italia a Londra ha risposto che non può interferire nelle vertenze legali riguardanti il Paese ospitante e suggerito alla signora M.I. di rivolgersi ad un legale. Nessun tipo di presa di posizione, invece, sulle gravi illegalità subite da una cittadina italiana da parte del datore di lavoro. Peraltro lo studio legale indicato nelle liste del consolato, dopo avere ascoltato dalla signora M.I. l'esposizione dei fatti, ha risposto che non intende occuparsene, così come avevano fatto in precedenza altri studi legali;
          anche la risposta data dalla direzione generale per gli italiani all'estero del Ministero degli affari esteri è stata perfettamente in linea con quella adottata dal consolato generale a Londra. La succitata direzione generale ha infatti scritto in data 15 aprile 2011 che l'azione può essere promossa esclusivamente da un legale rappresentante oppure che la signora M.I. si rivolga alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Nessuna considerazione è stata attribuita al fatto che i legali inglesi hanno declinato il caso, che il Regno Unito ha violato le proprie leggi e i trattati europei sui diritti fondamentali dei cittadini comunitari, pur essendo Stato membro dell'Unione europea e dunque soggetto alla sua normativa e, altresì, che la Corte di Strasburgo non ha voluto ammettere, in virtù degli articoli 34 e 35 della sua convenzione, che si trattasse di un caso di violazione dei diritti umani;
          nello sforzo estremo e caparbio di difendere la propria dignità personale e professionale e i propri diritti, la signora M.I. ha esperito un ultimo tentativo di appellarsi alla High Court, che però ha confermato che può ricevere appello esclusivamente da un CIRCUIT JUDGE (secondo grado della County Court), ovvero ciò che il DISTRICT JUDGE (primo grado della County Court) ha appunto impedito con modalità di dubbia legittimità omettendo di arrivare ad una sentenza, in un senso o nell'altro  –:
          se e in che modo il Governo intenda ripensare i propri criteri di tutela e di protezione legale dei propri cittadini all'estero che, allo stato attuale sono a giudizio dell'interrogante piuttosto generici e deboli, non garantendo adeguatamente l'assistenza necessaria soprattutto nel rapporto con i procedimenti giudiziari;
          se il Ministero degli affari esteri – alla luce anche di casi eclatanti come quello di Carlo Parlanti negli Stati Uniti d'America e di Daniele Franceschi, carpentiere di Viareggio, sposato, separato e padre di un bambino di nove anni, finito in un carcere francese con accuse tutte da comprovare e morto in circostanze da chiarire, sicuramente dopo avere subito maltrattamenti – non intenda modificare le procedure di assistenza legale ai nostri connazionali all'estero impartendo a tal fine direttive più stringenti alla propria rete consolare, migliorando la formazione del personale addetto e incrementando le risorse finanziarie destinate ad una tutela che non sia limitata alla semplice indicazione di uno studio legale;
          se il Governo non intenda farsi portatore di nuove proposte normative tese a migliorare la protezione dei cittadini comunitari che, in virtù della forte mobilità professionale indotta dalla libera circolazione delle persone, sono più esposti alle violazioni dei diritti fondamentali in ambiente di lavoro, proposte che contemplino, per esempio, strumenti più incisivi per le infrazioni perpetrate dagli Stati membri e per gli inadempimenti di cui essi si rendono colpevoli;
          se il Governo intenda valutare l'opportunità di approfondire le ragioni dell'inopinato diniego di giustizia ricevuto dalla signora M.I. da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo, verificando l'esigenza di promuovere un aggiornamento, se necessario, dei parametri del Consiglio d'Europa nella materia del diritto del lavoro;
          se il Governo non intenda far luce, in ambito europeo, sulle responsabilità del Regno Unito nei confronti della signora M.I.;
          quali iniziative anche sul piano della tutela giudiziaria della nostra connazionale intenda assumere alla luce delle criticità chiaramente illustrate in premessa. (4-15778)

      Risposta. — La prassi generalmente applicata a livello internazionale prevede che le rappresentanze diplomatico-consolari non intervengono in giudizio a sostegno di propri cittadini, in quanto le questioni attinenti ai rapporti fra privati non possono costituire oggetto di intervento da parte degli Stati. L'assistenza legale che gli uffici diplomatico-consolari possono offrire ai propri connazionali comprende una serie articolata di misure che vengono adottate in relazione ai casi e che variano a seconda dei Paesi.
      Per quanto concerne specificamente l'Italia, le sedi all'estero possono mettere a disposizione dei connazionali, che ne facciano richiesta, una lista di avvocati di riferimento e, ove consentito dall'ordinamento locale e richiesto dagli interessati, prendere parte alle udienze in qualità di uditori. Un intervento ufficiale presso le competenti autorità giudiziarie per segnalare un caso può aver luogo esclusivamente nella misura in cui, da parte di quelle stesse autorità, vi sia un'evidente discriminazione nei confronti di cittadini italiani, sulla base della nazionalità. Si tratta di un profilo classico dell'azione consolare.
      Le rappresentanze italiane possono, inoltre, prestare assistenza per il pagamento delle spese legali, in casi di particolare gravità a connazionali indigenti residenti all'estero oppure non residenti ma temporaneamente all'estero. L'assistenza può essere prestata sotto due forme:
          sussidio per la partecipazione alle spese legali;
          pagamento diretto della parcella del legale.
      Ai connazionali in transito, che si trovino in stato di fermo o in attesa di primo giudizio, può essere fornita assistenza sotto forma di prestito.
      Più in generale, è attualmente in corso un negoziato fra i Paesi membri dell'Unione europea sul progetto di direttiva del consiglio in materia di protezione consolare dei cittadini europei non rappresentati all'estero, che può costituire un'utile occasione di confronto fra i diversi sistemi di assistenza adottati dai singoli Stati.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Staffan de Mistura.


      PALADINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          con il decreto 333-B/13D.4.08 del 10 maggio 2011, pubblicato sul Bollettino ufficiale del personale del Ministero dell'interno – supplemento straordinario n.  1/14.bis del 13 maggio 2011, è stata pubblicata la graduatoria di merito e dichiarazione dei vincitori del concorso interno, per titoli di servizio ed esami, per il conferimento di 266 posti di vice perito tecnico del ruolo dei periti tecnici della Polizia di Stato, indetto con decreto ministeriale 24 settembre 2008;
          l'articolo 59 comma 1 della legge 1° aprile 1981 n.  121 prevede che al personale della Polizia di Stato frequentatore di corsi di formazione professionale spetti il trattamento economico più favorevole;
          l'articolo 28 della legge 10 ottobre 1986 n.  66 prevede che l'allievo appartenente ai ruoli della Polizia di Stato, all'amministrazione civile dell'interno o altri corpi di polizia durante il periodo di frequenza del corso di formazione per l'accesso ad altra qualifica è posto in aspettativa con il trattamento economico più favorevole;
           il T.A.R. per il Lazio – sezione prima Ter, con sentenza n.  7315/2009 del 21 maggio 2009 depositata il 21 luglio 2009, ha accolto il ricorso proposto da alcuni dipendenti della Polizia di Stato ai quali l'amministrazione della pubblica sicurezza, sebbene fossero risultati vincitori del concorso pubblico a 640 posti per allievo vice ispettore della Polizia di Stato ed ammessi alla frequenza del relativo corso di formazione, si era determinata a non concedere il trattamento di missione;
          i frequentatori del corso di formazione tecnico-professionale per la nomina alla qualifica di vice perito tecnico del ruolo dei periti tecnici della Polizia di Stato individuati dal decreto ministeriale 333-B/13D.4.08 del 10 maggio 2011, di cui in premessa, a tutt'oggi non fruiscono del trattamento economico di missione in argomento;
          l'organizzazione sindacale UGL – Polizia di Stato si è interessata alla situazione testé esposta reputando che la questione oggetto della presente interrogazione assume notevole rilevanza soprattutto alla luce del fatto che è palese la violazione della par condicio rispetto ai frequentatori dei precedenti corsi di formazione organizzati dall'amministrazione della pubblica sicurezza;
          la predetta sigla sindacale sostiene che laddove la concessione in argomento non avvenga in tempi brevi e conseguentemente si concretizzi il danno economico nei confronti dei cennati frequentatori del corso per vice perito tecnico della Polizia di Stato, intende adire i giudici amministrativi per una definizione della questione  –:
          quali urgenti iniziative il Ministro interrogato intenda assumere rispetto alla citate problematiche e, in particolare, di dare atto delle ragioni per cui non è stato accordato il trattamento economico di missione agli allievi vice periti tecnici della polizia di Stato attualmente frequentatori presso l'istituto perfezionamento ispettori di Nettuno. (4-13481)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante ha posto la questione della mancata attribuzione del trattamento economico di missione agli allievi vice periti tecnici della polizia di Stato.
      Al riguardo si rileva che l'orientamento del supremo organo della giurisdizione amministrativa si è consolidato su una posizione sfavorevole alla pretesa dei ricorrenti in ordine al riconoscimento del trattamento economico di missione per il periodo di frequenza del corso di formazione professionale.
      Il Consiglio di Stato, infatti, con sentenze n.  7235/2010 e n.  7236/2010 del 30 settembre 2010, ha annullato le decisioni del giudice amministrativo di primo grado favorevoli agli allievi che avevano presentato ricorso.
      In particolare è stata negata la spettanza del trattamento economico di missione al personale, già dipendente dell'amministrazione, che, all'atto dell'avvio al corso di formazione successivo al superamento del concorso, è stato collocato in aspettativa per la durata dello stesso, ai sensi dell'articolo 28 della legge n.  668/1986.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      PALADINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'ingresso degli operatori di pubblica sicurezza nelle stazioni metropolitane di Roma gestite da ATAC spa, nonché l'accesso dei mezzi di trasporto nei posteggi per gli appartenenti alle forze dell'ordine, come da legge regionale n.  16 del 16 giugno 2003, articolo 45, comma 18, è sempre avvenuto per il tramite il rilascio di tessere magnetiche di libero accesso e tagliandi da esporre nelle autovetture nei parcheggi di scambio gratuiti;
          come denunciato dalla UIL Polizia di Stato con comunicato a firma del segretario provinciale Michele Olivieri, la detta consuetudine, sempre adottata nella capitale da parte della società comunale ATAC spa, a partire da gennaio 2012, è stata interrotta e la distribuzione delle tessere magnetiche e tagliandi bloccata;
          al momento, la circolazione, è garantita solo dall'esibizione delle tessere di riconoscimento di ed è turbata da situazioni imbarazzanti e complicanze per gli operatori tanto presso i varchi elettronici delle linee metropolitane quanto nei parcheggi di scambio, con l'estrema conseguenza del pagamento dello stesso biglietto alle casse automatiche;
          le Forze dell'ordine devono operare senza intralci burocratici e complicanze –:
          se il Ministro non ritenga necessario assumere ogni iniziativa di competenza, affinché le forze dell'ordine possano continuare ad usufruire del rilascio di tessere magnetiche di libero accesso e tagliandi da esporre nelle autovetture nei parcheggi. (4-15145)

      Risposta. — In ordine alla questione posta dall'interrogante, si rappresenta che le decisioni dell'Atac spa sono prese, in sede di Consiglio d'amministrazione, a seguito dei piani di finanziamento della mobilità stabiliti con delibere regionali e concessi al comune di Roma capitale.
      La concessione dei titoli gratuiti al personale di pubblica sicurezza è stata disposta a seguito di delibera regionale di finanziamento al comune di Roma e, quindi, in convenzione con la questura, con possibilità di recesso per mutate delibere regionali.
      A partire dal 1° gennaio 2012, Atac spa ha disposto che «alla luce di quanto comunicato da Roma Capitale e fino a nuove indicazioni, il personale di Atac preposto ai controlli nonché gli agenti delle stazioni metropolitane e gli addetti ai varchi elettronici, consentiranno la libera circolazione sui mezzi Atac al personale in divisa dei corpi della Polizia di Stato, Polizia Locale di Roma Capitale, Polizia Provinciale, Polizia Penitenziaria, Carabinieri, Guardia di Finanza, Vigili del Fuoco, Corpo Forestale. Per il personale in borghese, sarà consentita la libera circolazione previa esibizione delle tessere di servizio al personale Atac. Le card precedentemente distribuite rimangono, quindi, non valide sino alla stesura dei nuovi protocolli d'intesa tra Roma Capitale e Regione Lazio, conseguentemente alla annunciata rivisitazione delle norme. Tale procedura, perciò, è da considerarsi transitoria».
      Si soggiunge che, nelle more delle trattative tra regione e comune sugli stanziamenti per la mobilità, al momento non risultano pervenute ulteriori comunicazioni inerenti le tessere di libera circolazione sui mezzi pubblici e le tessere denominate «metrebus parking».
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      PALOMBA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          da oltre 3 mesi Rossella Urru, cooperante sarda del CISP (Comitato interno per lo sviluppo dei popoli), è stata rapita dal campo profughi per rifugiati Saharawi a Tindouf in Algeria dove svolgeva il ruolo di coordinatrice di un progetto finanziato dall'Unione europea. Il 23 ottobre 2011 una decina di uomini vestiti da militari hanno fatto irruzione nel centro amministrativo del CISP e dopo una sparatoria hanno portato via Rossella insieme a due suoi colleghi spagnoli;
          il rapimento della ragazza deve essere collocato all'interno di un conflitto politico tra il Marocco, che ha annesso il Sahara occidentale, e l'Algeria che ha dato rifugio agli saharawi che continuano a rivendicare la loro indipendenza; in tutte le sue comunicazioni prima del rapimento la ragazza aveva manifestato il suo amore per il popolo Saharawi e quanto le stesse a cuore il destino di quella terra lacerata e abbandonata nell'indifferenza generale;
          il tre novembre 2011, il segretario generale dell'Onu, Ban ki-Moon, ha chiesto da New York l’«immediata liberazione» della cooperante italiana Rossella Urru e dei suoi due colleghi spagnoli rapiti nel sud dell'Algeria il 23 ottobre 2011. Lo stesso segretario ha inoltre chiesto a tutte le parti coinvolte di astenersi da qualsiasi azione che possa mettere in pericolo la vita dei tre europei;
          il 28 novembre 2011, con delibera n.  32, il comune di Samugheo ha invitato tutti i comuni sardi ad aderire all'iniziativa «Rossella Libera» e a mobilitarsi per la liberazione sua e dei suoi due colleghi spagnoli chiedendo un impegno maggiore da parte del Governo italiano, in particolare del Ministro interrogato;
          all'inizio di dicembre 2011 la famiglia Urru ha avuto rassicurazioni dalla Farnesina sullo stato di salute di Rossella ma senza mai avere notizie certe. Questa incertezza ha suscitato sconcerto e apprensione in Italia ed in tutte le comunità sarde, soprattutto a Samugheo, paese natale della ragazza sequestrata, dove si sono già svolte molte manifestazioni per la sua liberazione;
          le uniche notizie ufficiose sono trapelate prima della visita dell'onorevole Margherita Boniver (inviato speciale per le emergenze sanitarie) da fonti maliane e seguite successivamente dalle immagini trasmesse il 12 dicembre 2011 dall'emittente francese France Press, dalle quali sembrerebbe emergere che la giovane, insieme ai due colleghi spagnoli, sarebbe nelle mani di aderenti, o presunti tali, al gruppo scissionista appartenente ad Al Qaeda per il Maghreb islamico;
          nel mese di gennaio 2012 il parlamentare europeo Giommaria Uggias ha chiesto l'intervento di Catherine Ashton, l'Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell'Unione Europea, che in seguito a tale richiesta ha incontrato a Bruxelles i Ministri degli esteri di quattro Paesi del Sahel, tra i quali anche quello dell'Algeria, il Paese dove ha avuto luogo il sequestro della cooperante. All'inizio di febbraio l'europarlamentare Uggias ha rinnovato la richiesta di un intervento urgente dell'Alto rappresentante e pochi giorni fa ha nuovamente effettuato un intervento di sollecito alla signora Ashton;    
          il 15 febbraio 2012 in adesione all'appello dell'amministrazione comunale di Samugheo, il consiglio comunale di Cagliari ha aderito all'iniziativa «Rossella Libera» approvando un ordine del giorno, primo firmatario il consigliere Ferdinando Secchi, in cui si invita il Governo italiano a intensificare gli sforzi diplomatici del Ministero degli affari esteri e dell'ambasciata italiana di Algeri affinché si giunga al più presto alla liberazione di Rossella e degli altri ostaggi. Il sindaco di Cagliari Massimo Zedda si è inoltre impegnato a invitare tutti i comuni della Sardegna all'approvazione di un analogo ordine del giorno per la liberazione di Rossella e dei suoi due colleghi spagnoli e, similmente a quanto avvenuto al comune di Milano, ha esposto sulla facciata del municipio cagliaritano uno striscione riportante l'appello «Rossella Libera»;
          in data 20 febbraio 2012, in occasione della sua visita in Sardegna, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha incontrato a Samugheo la famiglia di Rossella Urru manifestando la sua solidarietà ai familiari della cooperante  –:
          se sia a conoscenza della drammatica vicenda di Rossella Urru e quali notizie possa fornire sulla vicenda;
          quali sforzi stia profondendo per difendere una ragazza che ha deciso di spendere la propria vita in azioni di solidarietà e cooperazione internazionale portando in Algeria il meglio del bagaglio culturale del suo Paese, l'Italia, e della sua terra, la Sardegna;
          quali azioni diplomatiche il Ministro stia ponendo in essere insieme all'ambasciata italiana di Algeri, affinché si giunga al più presto alla liberazione di Rossella Urru e degli altri ostaggi. (4-15123)

      Risposta. — Il Governo, ed in particolare la Farnesina su impulso del Ministro Terzi, è impegnato in un'intensa attività a tutti i livelli per la liberazione di Rossella Urru fin dal momento in cui la nostra connazionale è stata sequestrata, nella notte tra il 22 ed il 23 ottobre 2011, assieme a due colleghi spagnoli.
      Appena appresa la notizia del rapimento, la nostra ambasciata ad Algeri ha immediatamente stabilito un contatto con quella spagnola per avviare da subito un'azione coordinata nei confronti delle autorità algerine, che hanno collaborato a tutti i livelli per chiarire i contorni della vicenda. Alle autorità algerine Italia e Spagna hanno subito chiesto di adoperarsi per il rilascio senza pregiudicare l'incolumità degli ostaggi.
      Il Governo ha avviato – come in tutti i casi di sequestri che coinvolgono nostri connazionali – un'azione diplomatica ad amplissimo raggio, tenendo conto del complesso quadro della regione sahelo-sahariana, caratterizzato da un progressivo deterioramento della cornice di sicurezza. Particolare infatti è la difficoltà che gli Stati della regione hanno nell'assicurare un efficace controllo del territorio, facendo del Sahel un crocevia di traffici illeciti e il santuario di movimenti armati e gruppi terroristici.
      Tali elementi di contesto, nonché quelli specifici raccolti fin dalle fasi iniziali del sequestro, hanno da subito evidenziato la necessità di attuare una strategia con approccio regionale per la soluzione della vicenda. Questo per tenere conto sia della natura transnazionale del fenomeno dei sequestri nell'area, sia della necessità di ricorrere ai contatti e risorse informative di tutti i Governi della regione per una positiva soluzione della vicenda.
      Il Ministro Terzi ha ribadito l'importanza che l'Italia attribuisce alla liberazione di Rossella Urru anche nel colloquio con il suo omologo algerino il 15 marzo scorso durante la visita ad Algeri. Nell'occasione egli ha sollevato anche il caso di Sandra Mariani, della cui liberazione il Governo non può che compiacersi anche per l'eccellente lavoro svolto con costanza da tutto il personale coinvolto.
      Nell'ottenere rassicurazioni sul personale impegno del Ministro degli esteri algerino, il Ministro Terzi ha anche nuovamente sottolineato l'esigenza di evitare azioni che possano mettere a repentaglio l'incolumità della nostra connazionale.
      Tali interventi si inseriscono nel solco dell'azione svolta con costanza e determinazione dal Ministero degli affari esteri. Il 27 ottobre 2011 – quattro giorni dopo il sequestro – l'Inviato speciale per le crisi e le emergenze umanitarie onorevole Margherita Boniver ha effettuato infatti una prima missione in Mali ed in Burkina Faso.
      In parallelo, passi costanti sulle autorità algerine e sugli altri Paesi dell'area sahelo- sahariana, quali la Mauritania, sono stati avviati, in coordinamento con l'unità di crisi, dal nostro ambasciatore in Algeri e dal nostro ambasciatore a Dakar, accreditato anche in Mauritania. Una nuova missione dell'onorevole Boniver si è poi svolta proprio in Mauritania il 1° marzo scorso. In tutte queste occasioni si è ripetutamente chiesto agli interlocutori ogni possibile sforzo ed aiuto per una positiva soluzione della vicenda e si sono ottenute rassicurazioni sull'impegno dei rispettivi governi per una fattiva collaborazione.
      Il colpo di stato occorso in Mali il 22 marzo scorso, pur creando una perturbazione negli equilibri regionali della già turbolenta area sahelo-sahariana, non ha certamente diminuito l'articolata serie di azioni che il Governo intende continuare a svolgere in modo energico per favorire la liberazione di Rossella Urru. Un'importante azione di coordinamento continua tuttora anche con le autorità spagnole, con cui è stato stabilito un efficace scambio d'informazioni a tutti i livelli. Anche in considerazione dell'agitazione creata nella famiglia in occasione della falsa notizia della liberazione della cooperante italiana, diffusa da Al Jazeera e da altri media nazionali ed internazionali lo scorso 3 marzo, il Governo ritiene necessario continuare ad osservare sulla vicenda il massimo riserbo. Come già nei casi di altri sequestri, per agevolare l'azione istituzionale mirata al rilascio in sicurezza di Rossella Urru, si è quindi ribadito ai media l'importanza di tale riserbo. Tale raccomandazione riguarda anche le speculazioni di stampa su un riscatto richiesto per la liberazione della cooperante e dei suoi compagni spagnoli, che sono prive di fondamento.
      Tale riserbo naturalmente non pregiudica gli estesi e costanti contatti con la famiglia Urru, che proseguono a cadenza quasi quotidiana. Fin dalla notte del sequestro l'unità di crisi ha infatti creato e mantenuto un rapporto stabile, diretto e riservato con i genitori ed i fratelli della connazionale, con cui ha avuto ripetuti incontri presso la Farnesina e lo stesso Ministro Terzi non ha mancato di aggiornare personalmente i familiari.
      L'impegno delle istituzioni per la liberazione di Rossella Urru è stato infatti assicurato alla famiglia dalle più alte cariche dello Stato: anzitutto il Presidente della Repubblica, quando ha ricevuto la famiglia Urru lo scorso 20 febbraio, ed è stato ribadito dal Ministro Terzi nell'incontro avvenuto a Roma il 4 aprile scorso, assieme del presidente della regione Sardegna Ugo Cappellacci.
      Un impegno che il Governo ed il Ministro Terzi in prima persona continueranno ad assicurare in modo prioritario, nell'assoluta consapevolezza che, come testimoniato dalle recenti liberazioni della Enrico Ievoli e del suo personale di bordo, di Paolo Bosusco e, prima ancora, di Claudio Colangelo, per ottenere dei risultati positivi si deve operare con la massima determinazione e con un'azione diplomatica costante condotta anche al più alto livello.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Staffan de Mistura.


      PICCHI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          gli sportelli consolari di Manchester e Bedford servono una comunità rispettivamente di oltre 35.000 e 27.000 cittadini italiani e garantiscono i servizi amministrativi per tutti i connazionali residenti;
          lo sportello consolare di Bedford deve trovare una nuova sede essendo l'attuale sovradimensionata rispetto alle reali esigenze;
          il consolato generale di Londra è oberato di lavoro e ancora non operativo per molti mesi nella nuova sede;
          il Ministero degli affari esteri ha ribadito il congelamento di ogni piano di chiusura di sedi consolari  –:
          se sia vero che si paventi la chiusura degli sportelli consolari;
          nel caso che ciò non corrisponda al vero, quali azioni intenda porre in essere per individuare la nuova sede dello sportello di Bedford e garantire allo sportello di Manchester la piena operatività.
(4-15818)

      Risposta. — La rete consolare italiana nel Regno Unito è stata oggetto di alcuni provvedimenti di razionalizzazione che hanno portato alla chiusura, il primo luglio 2008, del vice consolato di Bedford, e, il primo novembre 2011, del consolato di Manchester. Entrambi gli uffici sono stati sostituiti dagli sportelli consolari che dipendono direttamente dal consolato generale d'Italia in Londra.
      Gli sportelli consolari, non direttamente regolati dal decreto del Presidente della Repubblica 18/67, costituiscono una tipologia di struttura ideata proprio a seguito delle progressive fasi di razionalizzazione della rete consolare. Essi sono stati dunque creati, solitamente con «funzioni-ponte» di natura transitoria, in alcune città ove è stato chiuso l'ufficio consolare, divenendo pertanto una «sede distaccata» dell'ufficio consolare che riceveva le competenze della sede in chiusura. L'utilizzo di tali particolari strutture, nell'ambito dei processi di razionalizzazione volti ad ottimizzare l'impiego delle risorse umane e materiali del Ministero degli affari esteri, consente di garantire adeguati livelli di assistenza ai connazionali – come detto, specie in fasi di transizione – ed è d'altronde condiviso anche da altri importanti partners europei, in particolare dal Regno Unito.
      Il personale degli sportelli consolari di Manchester e di Bedford, collegati telematicamente con il consolato generale di Londra, ricevono quotidianamente il pubblico, operando nei limiti delle deleghe ricevute. I loro principali compiti in genere sono: dare informazioni al pubblico (ad esempio sull'assistenza sociale o sul settore cittadinanza); raccogliere la documentazione da inoltrare al consolato di riferimento (passaporti, assistenza sociale); iscrivere i connazionali all'anagrafe consolare; rilasciare documenti non da repertorio (ad esempio autentiche di firme); assistere i connazionali in caso di incidenti.
      Per quanto concerne in particolare lo sportello di Bedford, ove precedentemente operava un ufficio consolare con rango di vice consolato, esso è stato sin dall'inizio concepito con criteri di temporaneità, strettamente connessi ai tempi tecnici di apertura della nuova sede del consolato generale di Londra, presso la quale esso andrà dunque a confluire.
      Per quanto riguarda, invece, Manchester, anche alla luce del più ampio volume di attività e della più estesa circoscrizione consolare di competenza dell'ufficio di carriera soppresso, non è attualmente definito alcun progetto di chiusura.
      Peraltro, come noto, l'intero processo di razionalizzazione della rete diplomatico-consolare, su precisa indicazione del Ministro Terzi, è al momento sottoposto ad un'attenta valutazione nel più generale ambito della cosiddetta «spending review», prevista per legge. Tale riflessione si sta avvalendo di un apposito gruppo di lavoro, insediato presso l'amministrazione degli esteri, solo a completamento delle cui attività potranno essere delineati con maggiore precisione gli scenari dei futuri percorsi di razionalizzazione della nostra rete diplomatico-consolare.
      In linea generale, laddove lo strumento dello Sportello consolare dovesse esaurire le funzioni transitorie, alla base della sua istituzione, potrebbe essere presa in considerazione l'ipotesi di attivare in loco un'agile struttura consolare onoraria, che possa comunque garantire una stabile presenza a sostegno delle comunità di connazionali residenti, in stretto raccordo con il sovraordinato ufficio diplomatico.
      L'amministrazione degli esteri al contempo conferma il proprio impegno nel proseguire il percorso, da tempo intrapreso, di rinnovamento e adeguamento tecnologico, mirato a fornire ai connazionali un idoneo supporto durante la fase di riorganizzazione della Rete diplomatico-consolare. In tale contesto si inserisce il completamento dell'installazione del sistema integrato di funzioni consolari (SIFC) per consentire ai nostri connazionali di fruire dei «Servizi Consolari On-Line», attualmente già in fase di sperimentazione presso alcune sedi. L'utente, una volta registratosi sul portale, potrà accedere ad una serie di servizi-base, suscettibili di un graduale incremento. Il sistema consentirà da subito di reperire una vasta gamma di informazioni, riguardanti sia la sede consolare di competenza, sia i dati anagrafici dell'interessato. Grazie ad una serie di applicativi già rodati, il cittadino potrà infine dialogare con la sede e prenotare eventualmente un appuntamento per la risoluzione delle pratiche di proprio interesse.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Staffan de Mistura.


      PINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la circolare del Ministro dell'interno del 14 luglio 2009, protocollo n.  300/A/10307/09/144/5/2/03, nelle sue disposizioni operative, specifica testualmente, nella sua Parte III: Modalità di controllo e di contestazione 1. Postazioni fisse di rilevamento senza la presenza dell'operatore di polizia, che: «Le postazioni fisse in modalità automatica di controllo remoto delle violazioni senza la presenza di un operatore di polizia, possono essere utilizzate solo quando ricorrono le condizioni indicate dall'articolo 201, comma 1-bis, lett. f) C.d.S che richiama l'articolo 4 della legge 168/2002 e precisamente:
              a) sulle autostrade e sulle strade extraurbane principali. L'utilizzazione o l'installazione dei dispositivi o dei mezzi tecnici in argomento è ammessa senza la necessità di una preventiva verifica della possibilità di procedere alla contestazione immediata in ragione dell'oggettiva difficoltà di procedere al fermo dei veicoli dei trasgressori da parte di chi svolge attività di vigilanza stradale;
              b) sugli altri tratti di strada individuati dal prefetto ai sensi dell'articolo 4 della legge 168/2002. Su tutte le altre strade, cioè su quelle classificate dall'articolo 2 C.d.S. lettere C e D come extraurbane secondarie ovvero urbane di scorrimento, l'utilizzazione o l'installazione dei predetti dispositivi e sottoposta ad una preventiva valutazione da parte del Prefetto tendente a verificare che, in concreto, sussistano le obiettive ragioni per l'impiego di strumenti di accertamento a distanza delle violazioni, in deroga al principio generale della contestazione immediata sancito dall'articolo 200 C.d.S.;

          le strade urbane di quartiere e le strade locali, classificate dall'articolo 2 C.d.S. come di tipo E ed F, restano escluse dall'ambito di applicazione delle disposizioni sopraindicate. Su queste, pertanto, permane l'attività di controllo con l'intervento diretto degli organi di polizia stradale (20). [Nota 20] a tal proposito si soggiunge che le strade classificate ai sensi dell'articolo 2, comma 2, lettera B e C del C.d.S. come “extraurbane”, quando attraversano i centri abitati, assumono automaticamente e funzionalmente la classificazione di cui all'articolo 2, comma 2, lettera D, E o F a seconda delle caratteristiche e a prescindere dall'Ente che abbia la proprietà o la gestione amministrativa della strada stessa»;
          tali disposizioni, confermate anche dalla sentenza n.  3701 del 15 febbraio 2011 della Corte di cassazione civile, seconda sezione, dovrebbero aver sciolto definitivamente i dubbi interpretativi su quanto disposto dall'articolo 4 del decreto-legge n.  121 del 2002, convertito, con modificazioni, dalla citata legge n.  168 del 2002, in ordine ai tipi di strada che possono essere inseriti nei decreti del prefetto, escludendo espressamente le classificazioni «strade urbane» (E) e «strade locali» (F), per le quali è possibile operare con sistemi di rilevamento solo con la presenza delle forze di polizia stradale; la chiarezza dovrebbe ormai sussistere anche in relazione al fatto che le strade extraurbane diventano automaticamente urbane nei tratti che attraversano i centri abitati, per cui anche le strade, o tratti di esse, inserite nei decreti prefettizi perché appartenenti alle tipologie consentite, nello specifico le extraurbane, quando entrano in escluse, solo per quei tratti, dalle disposizioni del prefetto;
          continuano tuttavia ad esistere situazioni in cui tali norme e disposizioni interpretative sembra che non vengano rispettate, nonostante le puntuali disposizioni di legge e le esplicite comunicazioni in merito inserite nei decreti prefettizi, ad esempio, uno per tutti, il decreto del prefetto di Forlì Prot. 46/07/Area III del 23 dicembre 2008, che, dopo l'elenco delle strade sulle quali si posso installare gli autovelox, perché extraurbane, dichiara: «Si precisa che, in attuazione di direttive ministeriali impartite con nota prot. n.  300/A/1/41198/101/3/3/9 in data 8 aprile 2003 del Dipartimento di Pubblica Sicurezza – Direzione Centrale per la Polizia Stradale, Ferroviaria e Postale, di Frontiera e dell'Immigrazione, qualora anche tratti di predette arterie stradali assumano la classificazione di strade urbane di quartiere di cui all'articolo 2 comma 2 lettera E) c.d.s. o strade locali di cui all'articolo 2 comma 2 lettera F) c.d.s. non è ammessa l'installazione e l'utilizzazione di sistemi di rilevamento senza procedere all'espletamento della contestazione immediata prevista dall'articolo 200 del codice della strada»  –:
          se il complesso norme, circolari e decreti debba continuare ad essere interpretato come specificato in premessa;
          se, in caso di conferma di quanto argomentato, non reputi necessario ed opportuno assumere ogni utile iniziativa al riguardo, ad esempio adottando una nuova circolare esplicativa, per ristabilire la giusta applicazione del codice della strada, come integrato dal decreto-legge n.  121 del 2002, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 168 del 2002, in linea con i chiarimenti espressi e le disposizioni impartite con le precedenti circolari del Ministero dell'interno. (4-13957)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede quali iniziative intenda assumere il Ministro dell'interno in materia di impiego di dispositivi e di mezzi tecnici di controllo del traffico, per l'accertamento a distanza di alcune violazioni, tra cui l'eccesso di velocità.
      L'articolo 4 del decreto-legge 20 giugno 2002, n.  121, convertito e modificato dalla legge 1° agosto 2002, n.  168, non sostituisce le disposizioni generali del Codice della Strada in materia di accertamento degli illeciti e piuttosto le integra, prevedendo una procedura speciale per l'attività di controllo e di contestazione delle violazioni.
      Come indicato nella «Direttiva Velocità» del Ministro dell'interno del 14 agosto 2009, le postazioni di rilevamento della velocità, in modalità automatica, di controllo remoto delle violazioni senza la presenza di un operatore di polizia possono essere utilizzate solo quando ricorrono le condizioni indicate dall'articolo 201, comma 1-bis lettera f) del Codice della strada (C.d.S.).
      A tale proposito, per effetto dell'articolo 2, comma 6, del codice della strada le strade classificate come extraurbane, ai sensi dell'articolo 2, comma 2, lettere B) e C) dello stesso codice, quando attraversano i centri abitati, assumono automaticamente e funzionalmente la classificazione di cui all'articolo 2, comma 2 lett. D), E) o F) a seconda delle caratteristiche e a prescindere dall'ente che abbia la proprietà o la gestione amministrativa della strada stessa.
      Pertanto, nelle ipotesi in cui tali arterie assumano la classificazione di strade urbane di quartiere o strade locali, è ammesso l'utilizzo dell'apparecchiatura di rilevamento della velocità solo con la presenza e sotto il diretto controllo di un operatore di polizia, a condizione che il veicolo oggetto del rilievo sia a distanza dal posto di accertamento o comunque nell'impossibilità di essere fermato in tempo utile o nei modi regolamentari, come indicato dall'articolo 201, comma 1-bis lettera e) del citato codice.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      PIONATI e MOFFA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          il consiglio comunale di Taurianova (Reggio Calabria), con decreto del Presidente della Repubblica del 23 aprile 2009, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.  108 del 12 maggio 2009, sulla base della relazione firmata dall'ex Ministro dell'interno Roberto Maroni, è stato sciolto per condizionamento mafioso;
          il sindaco di quell'amministrazione comunale sciolta per mafia era il signor Domenico Romeo;
          dopo 24 mesi di commissariamento del comune di Taurianova, nel mese di giugno 2011 è stato rieletto alla carica di sindaco il signor Domenico Romeo, lo stesso che era stato a capo dell'amministrazione sciolta per mafia due anni prima;
          l'attuale giunta comunale e maggioranza consiliare annovera la presenza, unitamente al sindaco dell'amministrazione già sciolta per mafia nel 2009, di quattro componenti dell'ex consiglio comunale sciolto per mafia nel 2009: 1) l'attuale presidente del consiglio comunale di Taurianova – signor Antonio Pietro Crea (ex assessore dell'amministrazione Romeo nel 2009) – è stato membro di amministrazione sciolta per mafia per ben due volte, nel 1991 e nel 2009; 2) due Assessori comunali dell'attuale giunta (Rocco Coluccio nel 2009 era assessore e Salvatore Siclari nel 2009 era consigliere comunale) e un consigliere comunale (signor Laface) dell'attuale maggioranza consiliare erano componenti dell'ex consiglio comunale sciolto per mafia;
          sia la candidatura sia la successiva elezione del sindaco Romeo, destinatario solo due anni fa di un provvedimento di scioglimento per condizionamento ed infiltrazioni mafiose, umilia secondo l'interpellante fortemente le istituzioni dello Stato a cominciare dalla prefettura di Reggio Calabria che, dopo avere sollecitato l'emanazione del provvedimento di scioglimento, ha, negli ultimi due anni, lavorato al fianco della commissione straordinaria per riportare la presenza nello Stato nella città;
          dopo lo scioglimento del consiglio comunale di Taurianova non sono seguiti atti giudiziari finalizzati a perseguire eventuali responsabilità personali dei componenti del consiglio comunale sciolto per mafia;
          alcuni componenti dell'amministrazione comunale sciolta per mafia hanno inoltrato ricorso al TAR (il ricorso è stato rigettato) avverso lo scioglimento del consiglio comunale, in quanto ritenevano le motivazione dello scioglimento assolutamente infondate;
          stranamente il sindaco signor Domenico Romeo non ha inteso ricorrere al TAR avverso allo scioglimento, come se avesse ritenuto fondati i motivi addotti per lo scioglimento della sua amministrazione comunale;
          visto che il signor Domenico Romeo all'epoca sindaco del consiglio comunale sciolto per mafia è oggi nuovamente sindaco del comune di Taurianova e gli altri componenti di quel consiglio comunale non sono stati destinatari di alcun provvedimento giudiziario, allora sarebbe doverosa una piena riabilitazione attraverso il risarcimento dei danni subiti dai componenti di quell'amministrazione comunale sciolta per mafia;
          se, al contrario, lo scioglimento di quel consiglio comunale non deve essere considerato un errore, allora si renderebbe necessaria l'immediata rimozione dell'attuale sindaco, signor Domenico Romeo, che è lo stesso già a capo di una giunta della quale è stato decretato lo scioglimento per mafia con decreto del Presidente della Repubblica del 23 aprile 2009  –:
          di quali elementi disponga e quali iniziative di competenza intenda assumere con riferimento a quanto riportato in premessa. (4-16434)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede di conoscere le iniziative che il Governo intende promuovere in merito alla situazione del comune di Taurianova a seguito del rinnovo degli organi elettivi, avvenuto nella primavera del 2011.
      In quell'occasione furono rieletti il sindaco ed alcuni amministratori già responsabili del governo locale, quando – circa due anni prima – l'ente era stato sciolto per infiltrazioni della criminalità organizzata.
      Durante il primo mandato del sindaco Domenico Romeo, il consiglio comunale era stato sciolto – con decreto del Presidente della Repubblica del 23 aprile 2009, ai sensi dell'articolo 143 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali – per condizionamento dell'attività amministrativa da parte della criminalità organizzata. La provvisoria gestione dell'ente venne affidata ad una commissione straordinaria per un periodo di diciotto mesi.
      Avverso il decreto di scioglimento fu presentato ricorso da parte di alcuni ex amministratori, con esclusione del sindaco, respinto dal tribunale amministrativo regionale della Calabria con sentenza del 14 dicembre 2010.
      Le consultazioni per l'elezione diretta del sindaco e il rinnovo del consiglio comunale – svoltesi nella primavera del 2011 a conclusione della fase commissariale – hanno determinato la rielezione di Domenico Romeo alla carica di Sindaco.
      Nella nuova compagine alla guida del governo locale figurano anche altre persone che erano già componenti dell'amministrazione dichiarata decaduta nel 2009.
      Venendo ora allo specifico quesito posto dall'interrogante, si precisa che con la legge 15 luglio 2009, n.  94 è stato modificato il citato articolo 143 del testo unico degli enti locali, attraverso l'introduzione di una nuova previsione in merito ai casi di incandidabilità.
      Alla luce delle nuove disposizioni, gli amministratori responsabili delle condotte che hanno causato lo scioglimento non possono essere candidati alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l'ente interessato dalla misura di rigore. Il divieto è limitato al primo turno elettorale successivo allo scioglimento, sempre che l'incandidabilità sia dichiarata con provvedimento definitivo dell'Autorità giudiziaria.
      Nel caso di specie, tuttavia, la disposizione non ha trovato applicazione nei confronti degli amministratori del comune di Taurianova, in quanto è entrata in vigore successivamente al provvedimento dissolutorio – avvenuto come ho già detto nell'aprile del 2009 – si applica solo alle ipotesi di scioglimento intervenute dopo l'entrata in vigore della predetta legge.
      Questo il dato normativo.
      Ma l'interrogazione pone un problema più ampio che è quello della trasparenza delle attività dell'amministrazione locale.
      Al riguardo, non risultano pervenute al Ministero dell'interno segnalazioni di particolari criticità da parte della prefettura di Reggio Calabria.
      Neanche può trovare applicazione l'articolo 142 del testo unico degli enti locali che disciplina l'ipotesi di rimozione del Sindaco, in quanto la norma presuppone un procedimento tipizzato ed ipotesi tassativamente indicate, diverse da quelle segnalate dall'interrogante.
      La situazione del comune continuerà ad essere seguita con costante attenzione dalla prefettura che, nell'ambito dei poteri conferiti dalla legge, svolge le necessarie attività per l'eventuale adozione delle iniziative di competenza.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Saverio Ruperto.


      REGUZZONI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          in molte realtà metropolitane del paese si sono registrati atti criminali ascrivibili al fenomeno delle «baby gang» o «pandillas», gruppi di giovani organizzati per delinquere;
          dette organizzazioni – mutuate dal Sud-America con logiche, gerarchie, appartenenza simile alle organizzazioni mafiose – rischiamo di diventare lo strumento di reclutamento giovanile da parte della criminalità organizzata;
          trattandosi spesso di minorenni, le misure di custodia cautelare rischiano spesso di essere inapplicate, inefficaci e a volte dannose  –:
          quale sia la strategia del Governo per contrastare il fenomeno delle «baby gang»;
          se e quali siano le iniziative che il Governo intende attivare;
          quale siano i reati contestabili in termini di «associazione a delinquere di stampo mafioso». (4-05768)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede quali iniziative intende assumere il Governo per contrastare il fenomeno delle «baby gang».
      Al riguardo, assicuro che le problematiche connesse alla presenza delle «bande» costituite, in modo particolare, da giovani immigrati sudamericani è alla costante attenzione delle autorità di pubblica sicurezza e delle forze di polizia, le quali effettuano un costante monitoraggio della loro attività, anche al fine di prevenire i comportamenti illeciti e antisociali.
      Peraltro, l'azione delle forze dell'ordine, negli ultimi anni, ha permesso di consegnare quasi sempre alla giustizia gli autori dei reati perpetrati da componenti dei citati sodalizi.
      L'attività di contrasto condotta dagli Uffici investigativi territoriali della Polizia di Stato ha rilevato che figli minorenni di extracomunitari prevalentemente di nazionalità ecuadoriana, peruviana e cinese – residenti per lo più nelle grandi città del nord e del centro Italia quali Genova, Milano, Torino e Roma – tendono ad aggregarsi in bande, attraverso le quali si rendono corresponsabili di comportamenti violenti posti in essere prevalentemente ai danni di giovani connazionali.
      L'aumento degli episodi delittuosi ha indotto le forze di polizia a confrontarsi con il nuovo fenomeno, studiandone le caratteristiche al fine di adottare adeguati dispositivi di contrasto.
      Gli investigatori hanno individuato tali bande, denominate «pandillas», le quali sono dotate di proprie simbologie e presenti in determinati quartieri, in contrapposizione ad altri gruppi.
      Alla luce degli esiti delle attività investigative, le cosiddette «baby gang» non sembrano, allo stato, essere qualificate da un programma criminale tipico delle associazioni per delinquere di stampo mafioso.
      Tuttavia, ciò non esclude il pericolo di profili di mafiosità allorquando sia comprovato il collegamento delle «gang» di minori stranieri con organizzazioni criminali provenienti dallo stesso paese di origine e, pertanto, resta elevato il livello di attenzione delle Forze di polizia sull'intero fenomeno.
      Il Ministero dell'interno ha da tempo avviato numerose iniziative finalizzate alla prevenzione dei fenomeni legati alla «devianza» minorile, rientranti nel più ampio quadro degli interventi diretti ad affrontare, con criteri specialistici, le multiformi problematiche concernenti i minori.
      Sin dal 1996, nell'ambito del «progetto arcobaleno», sono stati costituiti gli «uffici minori» presso le Questure; dal 30 ottobre 1998, con decreto del Ministro dell'interno, sono operative presso le squadre mobili anche le «Sezioni specializzate» nelle indagini concernenti lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia ed il turismo sessuale in danno di minori.
      Mentre gli uffici minori, incardinati nelle divisioni anticrimine delle questure, acquisiscono e analizzano informazioni concernenti le indagini condotte da tutti gli organismi investigativi della provincia e promuovono iniziative di carattere preventivo da avviare con enti pubblici e privati, impegnati nel settore minorile, le «Sezioni specializzate» svolgono esclusivamente attività investigativa.
      A livello centrale, all'interno del servizio centrale operativo della direzione centrale anticrimine della polizia di Stato, opera la «Sezione Minori», che svolge un'azione di monitoraggio degli episodi delittuosi al fine di dare impulso e coordinare le attività investigative degli organi territoriali, impegnati nel contrasto di tali fenomenologie delittuose.
      Per concretizzare innovativi percorsi di educazione alla legalità e favorire la crescita, nelle nuove generazioni, della consapevolezza di una polizia vicina alla gente, sono state avviate proficue intese con il Ministero della pubblica istruzione e con il comitato italiano per l'Unicef che, dal 2001, hanno portato alla realizzazione del progetto «Il poliziotto: un amico in più», tuttora attivo, che si articola in visite presso le strutture di polizia da parte dei ragazzi, incontri nelle scuole, concorsi di disegno, la distribuzione di «gadget» e materiali informativi.
      Ulteriori iniziative sono state intraprese a livello territoriale, in particolare, d'intesa con diversi uffici scolastici provinciali, le questure organizzano periodicamente incontri tra operatori di polizia e classi di studenti, sia presso le scuole che presso le strutture della polizia di Stato; nel corso degli incontri vengono illustrate le possibili situazioni di rischio per i bambini, fornendo appropriati suggerimenti per evitarle.
      Negli anni scorsi il servizio centrale operativo ha realizzato un dispositivo di carattere investigativo e preventivo. L'iniziativa, denominata «progetto Davide», era rivolta a compulsare l'azione di contrasto delle Squadre mobili affinché sviluppassero ogni iniziativa ritenuta valida per contrastare dette forme delittuose, operando, per i profili di competenza, in sinergia con la polizia postale e delle comunicazioni.
      In detto contesto, gli uffici minori delle divisioni anticrimine, nello stesso periodo, hanno intensificato l'azione di prevenzione, con particolare riguardo al fenomeno del «bullismo» nelle scuole, finalizzata a diffondere la cultura della legalità nel mondo giovanile.
      L'attività di contrasto dei reati commessi dai minori è attentamente monitorata dal predetto servizio attraverso l'analisi delle segnalazioni provenienti dagli uffici investigativi territoriali.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      RIVOLTA, NICOLA MOLTENI e CROSIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          il documento di programmazione finanziaria dell'ufficio nazionale per il servizio civile (UNSC) relativo all'anno 2010 prevedeva, alla voce n.  47, recante «fitto locali, ivi compresi gli oneri accessori», una dotazione finanziaria di 870.000 euro, specificando che «si tratta di far fronte ad obbligazioni contrattualmente assunte, in prevalenza per le locazioni passive»;
          il documento di Programmazione Finanziaria dell'ufficio nazionale per il servizio civile relativo all'anno 2011 prevedeva, alla voce n.  47, recante «fitto locali, ivi compresi gli oneri accessori, una dotazione finanziaria di 700.000 euro. Tale riduzione veniva motivata con le seguenti affermazioni: «Rispetto alle previsioni destate dello scorso es. finanziario, il fabbisogno è stato ridotto, in quanto occorre tener conto che dell'ufficio nazionale per il servizio civile ha in programma (orientativamente durante il prossimo luglio) di attuare il trasferimento dalle attuali sedi istituzionali allo stabile sito in Roma via Sicilia, che gli è stato assegnato dall'Agenzia del demanio. Naturalmente, gli effetti del rilascio degli attuali locali, con abbattimento dei canoni locativi, si produrranno, sul bilancio dell'Ufficio solo nell'ultima parte dell'esercizio finanziario ed è per questo che il fabbisogno è stato prudentemente valutato in 700.000, euro»;
          in effetti sul sito dell'ufficio nazionale per il servizio civile, compariva, il 22 agosto 2011, il seguente avviso: «Si informa che a partire dal 22 agosto fino al 30 settembre dell'ufficio nazionale per il servizio civile si trasferirà gradualmente presso la nuova sede di Via Sicilia 194...»;
          il documento di programmazione finanziaria di UNCS relativo all'anno 2012, attualmente in corso di approvazione, prevede alla voce n.  47 recante «fitto sede istituzionale (Via Sicilia 194), ivi compresi gli oneri accessori», una dotazione finanziaria di 1.196.000 euro;
          è evidente come la spesa di fitto nel 2012 non solo non comporterà alcun «abbattimento dei canoni locativi» rispetto alle annualità precedenti, ma come addirittura si abbia un incremento dei costi rispetto alle previsioni assestate 2011;
          nel documento di programmazione finanziaria dell'ufficio nazionale per il servizio civile relativo all'anno 2012 si può infatti leggere che «Rispetto alle previsioni assestate dello scorso esercizio finanziario, si rileva un incremento del fabbisogno in quanto occorre tener conto che l'Unsc ha attuato il trasferimento dalle precedenti sedi istituzionali (in affitto) allo stabile sito in Roma via Sicilia 194, che gli è stato assegnato dall'Agenzia del demanio. Contrariamente alle rassicurazioni in più occasioni fomite dall'Agenzia, il Ministero dell'economia e delle Finanze ritiene che la spesa per la locazione dell'immobile di via Sicilia debba gravare sul bilancio dell'Unsc. È per questo che, in aggiunta all'ammontare del canone annuo 2012, valutabile in 800.000 euro, occorre tener conto (ed è stata iscritta in bilancio) una ulteriore quota, relativa al 2011, pari a 396.000 euro, riguardante il periodo 1° gennaio/31 luglio 2011, che l'Unsc a tutt'oggi ha ritenuto di non dover trasferire al MEF. Il fabbisogno è stato prudentemente valutato in 1.196.000 euro»;
          da quanto riportato nelle righe precedenti, è evidente come la dirigenza dell'ufficio nazionale per il servizio civile abbia proceduto al trasferimento della sede istituzionale sulla base di generiche «rassicurazioni» piuttosto che su documentazione scritta e verificata;
          il risultato di quella che gli interroganti giudicano «leggerezza» è riassumibile in canoni di fitto dei locali nel migliore dei casi immutati, e nel peggiore aumentati. A ciò si deve aggiungere un contenzioso per 396.000 euro con l'Agenzia per il demanio, relativo al fitto locali di via Sicilia per il periodo gennaio-luglio 2011. Il tutto senza considerare le spese di trasloco e trasferimento; si ricorda che 100 volontari in servizio civile hanno un costo complessivo di 590.000 euro  –:
          quale orientamento ritenga opportuno dare dell'operato della dirigenza dell'ufficio nazionale per il servizio civile per ciò che riguarda quanto indicato in premessa e per l'impiego fatto di risorse pubbliche;
          quali azioni intenda intraprendere per porre rimedio a quanto indicato in premessa. (4-15536)

      Risposta. — L'interrogante chiede chiarimenti sull'operato della dirigenza dell'ufficio nazionale per il servizio civile in merito al trasferimento della sede istituzionale nello stabile di Via Sicilia, n.  194, le cui spese di locazione ricadono sul bilancio del medesimo ufficio e per le quali non si è avuto un abbattimento dei costi dei canoni di locazione per gli esercizi finanziari 2011 e 2012.
      Al riguardo, si fa presente che la scelta di lasciare le due sedi precedenti di via San Martino della Battaglia e di Via Palestro, locate fino al 30 settembre 2011, e di trasferirsi in un unico immobile reso disponibile dall'agenzia del demanio, è stata effettuata nel rispetto delle procedure previste dalla normativa vigente. Infatti, si ricorda che l'agenzia del demanio è l'unico soggetto tenuto alla stipula, per conto delle amministrazioni statali, di contratti di locazione. Nel caso di specie, una volta verificate le esigenze allocative rappresentate dall'ufficio nazionale per il servizio civile, l'agenzia del demanio, ha accertato l'esistenza di un locale idoneo, trasferito ai fondi immobiliari costituiti ai sensi dell'articolo 4 del decreto legge n.  351 del 2001, da assegnare in uso all'ufficio nazionale per il servizio civile. In seguito ha comunicato allo stesso ufficio con una nota del 4 giugno 2009, che spettava al Ministero dell'economia e delle finanze, per conto delle amministrazioni pubbliche, provvedere a finanziare la spesa di locazione dell'immobile con le risorse del fondo affitti. L'agenzia del demanio, in una successiva nota del 9 febbraio 2010, ribadiva inoltre che la sottoscrizione dei disciplinari di assegnazione era condizione necessaria per l'acquisizione dello status di pubblica amministrazione utilizzatrice come titolo indispensabile per la copertura finanziaria dei canoni di locazione da parte del Ministero dell'economia e delle finanze.
      In seguito, la stessa agenzia ha sottoposto al legale rappresentante dell'ufficio le clausole del disciplinare di assegnazione per la conseguente sottoscrizione e ha rilasciato il bene all'ufficio medesimo.
      Secondo i dati forniti dall'ufficio nazionale per il servizio civile, si rileva pertanto che la procedura per la locazione dell'immobile sito in Via Sicilia è del tutto conforme alle disposizioni di legge e che gli oneri finanziari connessi a tale locazione ricadono al fondo affitti istituito dall'articolo 29, comma 1, del decreto legge n.  269 del 2003, convertito con modificazioni dalla legge n.  326 del 2003 e che pertanto l'ufficio nazionale per il servizio civile non ha gestito le risorse pubbliche in modo improprio. Inoltre, si sottolinea che la scelta della locazione dell'immobile in Via Sicilia ha comportato un risparmio iniziale, in quanto la scelta di mantenere le due sedi istituzionali precedentemente utilizzati, in Via San Martino della Battaglia e in Via Palestro, avrebbe comportato una spesa pari a circa 1.010.000 euro per il 2011 a fronte di una spesa per lo stabile in Via Sicilia di circa 750.000 euro.
      Infine, si ricorda che, in seguito alla nota della ragioneria generale dello Stato del 15 novembre 2011, l'ufficio nazionale per il servizio civile ha versato solo la quota parte relativa al periodo di effettiva utilizzazione dell'immobile (agosto-dicembre 2011), atteso che, per il periodo 1 gennaio – 31 luglio 2011, l'immobile di Via Sicilia è stato oggetto di lavori di riqualificazione e di adeguamento impiantistico a cura dell'agenzia del demanio e a parziali spese del Ministero dell'economia e delle finanze.
      L'ufficio ha comunque ritenuto necessario indicare nello schema di documento di programmazione finanziaria per l'anno corrente la somma di 1.190.000 euro, comprensiva anche del canone relativo al periodo gennaio – luglio 2011, per poter avere risorse disponibili e adempiere all'eventuale versamento, qualora il Ministero dell'economia e delle finanze dovesse esigere il canone riferito al primo semestre dello scorso anno.
      Ciò premesso, si fa presente che la spesa per la locazione dell'immobile in Via Sicilia sarà oggetto di attenzione alla luce delle indicazioni contenute nel decreto legge n.  52/2012 (la cosiddetta spending review), nell'ottica della razionalizzazione già in atto dei locali e delle spese connesse alle attività della stessa Presidenza del Consiglio dei ministri.
Il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione: Andrea Riccardi.


      SCHIRRU, GNECCHI, PES, BELLANOVA, MADIA, BOCCUZZI, DE PASQUALE, MIGLIOLI e GHIZZONI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          a seguito delle comunicazioni effettuate nel gennaio 2011 con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali per il tramite degli appositi sistemi telematici, sono risultati 57 posti su base nazionale da destinare all'assunzione di categorie protette di cui all'articolo 1 della legge 12 marzo 1999, n.  68;
          con il decreto direttoriale del 4 maggio 2011, il Ministero per i beni e le attività culturali ha bandito una selezione pubblica per l'assunzione del profilo professionale di addetto ai servizi ausiliari della prima area-fascia retributiva F1 di 57 unità di personale disabile, nei limiti della quota d'obbligo di cui alla legge 12 marzo 1999, n.  68;
          l'articolo 6, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2011, n.  165, e successive modificazioni, in tema di organizzazione e disciplina degli uffici e dotazioni organiche, dispone che: «le amministrazioni pubbliche che non provvedono agli adempimenti di cui al presente articolo non possono assumere nuovo personale, compreso quello appartenente alle categorie protette»;
          in base a tale motivazione il direttore generale per i beni e le attività culturali ha sospeso il bando di assunzione per numero 57 unità di cui al decreto direttoriale del 4 maggio 2011, con la motivazione che l'amministrazione di appartenenza risulta inadempiente rispetto a quanto disposto dall'articolo 6 del decreto legislativo citato, per quanto concerne l'aggiornamento delle piante organiche;
          le disposizioni di cui all'articolo 6, comma 6, del decreto legislativo n.  165 del 2001, se dovessero essere interpretate in tal senso, rischiano di minare alle radici la legge n.  69 del 1999, in quanto le amministrazioni inadempienti rispetto a quanto prescritto dall'articolo 6 della legge citata non potrebbero, nei fatti, procedere all'assunzione di personale, anche delle categorie protette  –:
          se non si ritenga che la citata interpretazione della disposizione di cui all'articolo 6, del decreto legislativo n.  165 del 2001, che ha portato alla sospensione del bando di assunzione del Ministero per i beni e le attività culturali, rischi di vanificare lo spirito e gli effetti della legge n.  68 del 1999 rispetto al diritto di accesso al lavoro per i lavoratori disabili;
          quali iniziative il Governo intenda adottare per garantire comunque il diritto di accesso al lavoro per i disabili nelle amministrazioni pubbliche. (4-13255)

      Risposta. — Si fa riferimento all'interrogazione in esame con cui l'interrogante chiede notizie in merito alla procedura di assunzione di personale disabile attivata e poi sospesa da parte del Ministero, per comunicare quanto segue.
      In seguito all'invio al Ministero del lavoro e delle politiche sociali – tramite gli appositi sistemi telematici – dei prospetti informativi riferiti al personale in servizio al 31 dicembre 2010, è risultata, al Ministro per i beni e le attività culturali, una «scopertura» di posti per la categoria dei disabili di n.  57 unità.
      In data 16 marzo 2011, la direzione generale per l'organizzazione, gli affari generali, l'innovazione, il bilancio e il personale di questo Ministero ha comunicato al dipartimento della funzione pubblica – Presidenza del Consiglio dei ministri – di essere in procinto di procedere alla predisposizione di un bando per la copertura dei posti sopra indicati, in adempimento a quanto disposto dal comma 6, articolo 9, della legge 68/99.
      Alla luce di quanto sopra, questa Amministrazione ha indetto, con decreto direttoriale del 4 maggio 2011, una procedura di selezione per l'assunzione, a tempo indeterminato, di personale nel profilo professionale di «Addetto ai servizi ausiliari» della Prima area – fascia retributiva «F 1», per 57 posti riservati alle categorie protette di cui all'articolo 1 della legge 12 marzo 1999, n.  68, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – IV Serie Speciale «Concorsi», n.  55, del 12 luglio 2011.
      Successivamente, anche a seguito dell'entrata in vigore delle nuove disposizioni normative in materia di contenimento della spesa pubblica, contenute nelle due manovre finanziarie dell'estate 2011, che hanno introdotto per le pubbliche amministrazioni l'obbligo di apportare ulteriori riduzioni alla dotazione organica del personale dirigenziale e non dirigenziale, la direzione generale in questione, con il decreto direttoriale 7 settembre 2011, ha ritenuto opportuno sospendere temporaneamente l'efficacia del citato decreto direttoriale del 4 maggio 2011, al fine di porre in essere adeguati approfondimenti istruttori, volti a verificare la legittimità dello stesso decreto direttoriale 4 maggio 2011 alla luce delle disposizioni che obbligavano il Ministero ad effettuare i suddetti tagli di organico.
      A seguito degli approfondimenti istruttori effettuati, anche con il dipartimento della funzione pubblica, si è accertato che non rientrano nel limite del turn over, previsto dalla normativa vigente, le assunzioni di personale appartenente alle categorie protette, nei limiti della quota d'obbligo.
      Inoltre, l'articolo 24 della legge 12 novembre 2011, n.  183 (legge di stabilità 2012), ha autorizzato questo Ministero, al fine di assicurare l'espletamento delle funzioni di tutela, fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale statale, ad assumere personale specializzato, anche dirigenziale, in deroga ai tagli di organico previsti dalla citate disposizioni normative in materia di contenimento della spesa pubblica.
      Questo Ministero, pertanto, con decreto direttoriale 23 novembre 2011, ha confermato l'efficacia del decreto direttoriale 4 maggio 2011 (selezione per l'assunzione di n.  57 unità di personale appartenente alla categoria dei disabili di cui all'articolo 1 della legge 68/99).
      Per effetto di quanto sopra esposto, gli Istituti di questa amministrazione interessati hanno avviato il procedimento per il reclutamento del predetto personale, ai sensi dell'articolo 35, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165 (richiesta numerica ai centri provinciali dell'impiego competenti per territorio).
Il Ministro per i beni e le attività culturali: Lorenzo Ornaghi.


      SCILIPOTI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          come si apprende dalla stampa e dalla documentazione redatta dall'associazione Li.P.A. (Liberi professionisti associati) con sede in Capaccio-Paestum, trasmessa all'autorità di Vigilanza – Roma, direzione generale beni culturali – Napoli, Presidente Giunta regionale – Napoli, Procura Regionale della Corte dei Conti – Napoli, osservatorio nazionale del partenariato pubblico privato, osservatorio regionale lavori pubblici, procuratore generale procura della Repubblica di Salerno, soprintendenza ai beni architettonici e paesaggistici di Salerno ed Avellino – Salerno, ordine degli ingegneri di Salerno, ordine degli architetti di Salerno, segreterie provinciali associazioni ambientaliste e redazioni testate giornalistiche, il comune di Capaccio-Paestum, in provincia di Salerno, avrebbe posto in essere, con propri atti deliberativi, alcune iniziative per l'attuazione di interventi edilizi;
          secondo quanto denuncia l'associazione Li.P.A., le scelte della giunta comunale di Capaccio-Paestum, effettuate con l'approvazione del piano casa sarebbero in contraddizione con il disposto della legge regionale n.  19 del 28 dicembre 2009 sia nel merito interpretativo della cosiddetta area degradata prescelta che per il fatto di avere utilizzato un'area compresa in comparto di edilizia economica e popolare destinata alla realizzazione di standard in quanto da tempo parzialmente edificata;
          altrettanto impropri sarebbero i due interventi previsti con il cosiddetto «progetto di finanza», che consentirebbero la produzione di edilizia privata quale ristoro dell'investimento prodotto da soggetti attuatori privati per la realizzazione, da una parte di una biblioteca e centro culturale, dall'altra di un parcheggio comunale a Capaccio capoluogo;
          più in particolare l'Associazione Li.P.A., in merito agli atti relativi agli interventi programmati in riferimento al disposto della L.R.C. n.  16/09 (Piano Casa della Regione Campania) denuncia a) la presunta falsa definizione di area degradata degli ambiti individuati; b) la definizione degli ambiti che sarebbe avvenuta all'interno dei perimetro dell'area di edilizia economica e popolare individuata dal vigente PRG, la cui area era da sempre destinata agli standard relativamente ad insediamenti residenziali che pur essendo da tempo completati sono ancora in attesa delle scuole, strade, parcheggi ed altro previsto dalla normativa tutt'ora vigente; c) la scelta del soggetto attuatore da parte dell'ente comunale avvenuta in assenza di specifica gara ad evidenza pubblica trattandosi di interventi di edilizia residenziale sociale mista ad edilizia residenziale privata;
          ed in merito al «Progetto di Finanza», la stessa Associazione denuncia:
              a) in quanto alla finanza di progetto ovvero permuta giardini pubblici Capaccio capoluogo sembrerebbe essere stato deliberato di concedere al soggetto attuatore privato di realizzare circa quarantotto villette a ristoro dei costi da sostenere per l'esecuzione delle opere di interesse pubblico in regime di finanza di progetto ovvero di permuta, sulla base di azioni amministrative che sembrerebbero non essere coerenti con la normativa vigente, men che meno nel rispetto dell'articolo 155 del decreto legislativo n.  163 del 2006, in area con diversa destinazione urbanistica secondo il vigente PRG comunale;
              b) in quanto al Progetto di Finanza ai sensi dell'articolo 155, comma 1, lettera a), decreto legislativo n.  163 del 2006 per la realizzazione della Biblioteca comunale e del Museo di Capaccio-Paestum sembrerebbe essere stato deliberato di concedere al soggetto attuatore privato di realizzare circa quarantotto alloggi a ristoro dei costi da sostenere per la esecuzione delle opere di interesse pubblico in regime di finanza di progetto, sulla base di azioni amministrative che sembrerebbero non essere supportate da alcuna normativa vigente, men che meno nel rispetto dell'articolo 155 del decreto legislativo n.  163 del 2006, in area che parzialmente è compresa nel comparto di edilizia economica e popolare individuato dal vigente PRG e in assenza di destinazione urbanistica compatibile;
          tutti gli interventi in questione sono stati proposti in aree assoggettate a specifico vincolo come da decreto ministeriale del 7 giugno 1967 da parte dell'allora Ministro della pubblica istruzione di concerto con il Ministro per la marina mercantile «Dichiarazione di notevole interesse pubblico di una zona del comune di Capaccio (Salerno), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 21 giugno 1967, oltre che dal decreto legislativo n.  42 del 2004;
          una prima ipotesi di progetto per la realizzazione di alcune palazzine in area di edilizia economica e popolare, destinata alla realizzazione degli standard per precedenti interventi edilizi, aveva registrato il parere sfavorevole della Soprintendenza ai beni architettonici e paesaggistici di Salerno e Avellino, in questo caso il privato proponente ha riformulato la proposta che attualmente è in attesa dei pareri  –:
          se non si ritenga opportuno, per quanto di competenza, accertare i fatti esposti in premessa al fine di individuare se la realizzazione delle opere citate sia tale da non compromettere il vincolo esistente;
          nel caso fosse confermata la compromissione del vincolo come si intenda agire per impedire che quanto previsto dal decreto ministeriale del 7 giugno 1967 sia disattesa. (4-12306)

      Risposta. — In riferimento all'interrogazione parlamentare in esame con la quale l'interrogante chiede notizie in merito a interventi edilizi programmati dalla giunta comunale di Capaccio-Paestum con l'approvazione del piano casa, in contraddizione con la legge regionale campana n.  19 del 28 dicembre 2009 e insistenti su aree assoggettate a specifico vincolo del 1967 dell'allora Ministro della pubblica istruzione di concerto con il Ministro per la marina mercantile, si comunica quanto segue.
      Premesso che le soprintendenze non hanno specifiche competenze nell'esame dei Piani urbanistici, ad eccezione del parere sugli strumenti attuativi, ai sensi dell'articolo 28 della legge urbanistica n.  1150 del 1942, ma possono effettuare tutte le osservazioni che, per legge, sono riservate ai portatori di interessi toccati dalla pianificazione urbanistica, la soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Salerno e Avellino ha contestato al sindaco del comune di Capaccio, con nota n.  16713 del 22 giugno 2011, la mancata concertazione, in sede locale, delle destinazioni urbanistiche nelle aree di interesse paesaggistico, tutelate ai sensi del decreto legislativo 42 del 2004.
      Con la nota suddetta, la competente soprintendenza rilevava che la documentazione alla stessa inoltrata, relativa alla procedura di valutazione di incidenza, non evidenziava i criteri individuati dal comune per le aree soggette a tutela paesaggistica, né la definizione delle azioni previste per raggiungere detto obiettivo.
      Nella medesima lettera, la soprintendenza ha evidenziato la propria contrarietà alla previsione, nell'ambito della fascia costiera di interventi edificatori, giustificati in quanto considerati supporto alla valorizzazione turistica, ed ha altresì contestato la mancata previsione di interventi sulle infrastrutture e la omessa considerazione della necessaria valorizzazione del territorio sotto il profilo turistico-culturale.
      Per quanto attiene alla tutela e alla valorizzazione delle aree soggette alle disposizioni del decreto legislativo n.  42 del 2004 si evidenziava, infine, la necessità di verificare il rapporto tra la valenza paesaggistica dei luoghi e la loro edificabilità, anche ai fini della riduzione dei contenziosi.
      Allo stato attuale, l’iter del piano urbanistico comunale di Capaccio risulta sospeso in quanto, il 23 dicembre 2011, il Consiglio comunale si è dimesso mentre era in corso la fase di controdeduzione alle osservazioni al piano medesimo.
      Il commissario straordinario di Capaccio ha ritenuto di non dover proseguire nell'iter di approvazione del piano, in considerazione dell'approssimarsi delle elezioni amministrative di maggio, determinando la sospensione di qualsiasi attività relativa al piano urbanistico.
      L’iter di approvazione riprenderà, pertanto, con la nuova amministrazione.
Il Ministro per i beni e le attività culturali: Lorenzo Ornaghi.


      STRIZZOLO, MARAN e ROSATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in data 1° ottobre 2009 i firmatari del presente atto hanno presentato l'interrogazione a risposta scritta n.  4-04383 con cui si segnalava la perdurante gravità della situazione all'interno del Centro di identificazione e di espulsione (CIE) di Gradisca d'Isonzo (Gorizia), con continui episodi di violenza recanti pesanti danni a persone e strutture;
          a tale interrogazione, da parte del Ministro interrogato, non è mai stata data risposta nonostante ben otto solleciti effettuati nei giorni 7 dicembre 2009, 6 maggio 2010, 1° giugno 2010, 21 luglio 2010, 14 settembre 2010, 22 settembre 2010, 15 dicembre 2010 e 16 dicembre 2010 e conseguenti ad altrettante situazioni di emergenza o gravi fatti accaduti all'interno del CIE dove il personale di servizio, le forze dell'ordine e anche ospiti tranquilli sono stati oggetto di aggressioni da parte di altri ospiti, spesso datisi successivamente alla fuga;
          in data 25 novembre 2010 veniva presentata l'interrogazione a risposta scritta n.  4-09712, a firma dell'onorevole Ivano Strizzolo, con cui si richiamava ancora una volta la necessità di conoscere le iniziative che il Ministro interrogato intendeva assumere sempre in relazione a disordini gravi verificatisi all'interno del CIE di Gradisca d'Isonzo;
          in detta interrogazione si chiedeva, altresì, di conoscere la posizione del Ministro interrogato anche in relazione alle molteplici disfunzioni emerse nella gestione del CIE che hanno determinato notevole preoccupazione anche nella popolazione locale, soprattutto a seguito dei numerosi episodi di fuga dal Centro;
          nei giorni scorsi, dopo l'arrivo nel CIE di Gradisca d'Isonzo di immigrati provenienti da Lampedusa, sono accaduti nuovi gravi episodi con incendi e disordini che hanno ulteriormente allarmato le forze dell'ordine e l'intera comunità locale di Gradisca d'Isonzo;
          a seguito di tali fatti, il CIE risulta pesantemente danneggiato, con una conseguente ridottissima capacità ricettiva per nuovi gruppi di immigrati, provenienti in prevalenza dal Maghreb, e con una ancor più grave difficoltà di gestione per la pluralità di soggetti ospitati, con caratteristiche personali, linguistiche e culturali completamente diverse;
          la preoccupante situazione di tensione, che pervade da tempo la realtà interna ed esterna del CIE, è stata più volte segnalata, a tutte le autorità competenti, anche dall'amministrazione comunale di Gradisca d'Isonzo che ha fatto fronte, sempre con grande tempestività e spirito di collaborazione, alle situazioni di emergenza che da tempo si stanno susseguendo nel CIE;
          sempre nei giorni scorsi, anche i rappresentanti sindacali delle forze di polizia hanno più volte segnalato la insostenibile condizione in cui stanno operando all'interno di una struttura che presenta sempre maggiori rischi nonostante le ingenti risorse pubbliche destinate negli ultimi anni;
          soprattutto in questi giorni emerge, nella popolazione locale e dei comuni contermini, un senso di abbandono e di disinteresse da parte dello Stato rispetto ad una realtà che si è fatta via via sempre più pesante e preoccupante per la sicurezza e per l'incolumità sia delle persone addette alla gestione e sorveglianza del Centro che da parte della popolazione del territorio maggiormente interessato  –:
          quali siano le iniziative che il Ministro interrogato intenda assumere per garantire sicurezza, trasparenza e rispetto dei diritti umani nella gestione del CIE;
          quali siano gli intendimenti del Ministro in relazione al futuro del CIE di Gradisca d'Isonzo, anche alla luce degli eventi straordinari che stanno interessando il Nord Africa con un aumento di immigrati e profughi in fuga da quei territori e delle valutazioni e delle istanze più volte rappresentate dall'amministrazione comunale alle autorità competenti. (4-11092)

      Risposta. — Il centro di identificazione ed espulsione di Gradisca d'Isonzo, realizzato nel 2006, è stato interessato negli anni da significativi lavori di ristrutturazione e di riqualificazione, nell'ottica di coniugare le esigenze di sicurezza con quelle di garanzia della qualità dell'accoglienza e dell'assistenza da erogare agli ospiti.
      La capienza del centro era inizialmente di 248 posti, anche se la struttura è stata spesso utilizzata ben al di sotto delle sue reali capacità ricettive.
      Peraltro, gli incendi e i disordini verificatisi a gennaio e febbraio del 2011 hanno determinato l'inagibilità della quasi totalità delle camerate.
      Secondo quanto riferito dal prefetto di Gorizia, gli episodi di tensione erano riconducibili alla consapevolezza degli ospiti di non poter usufruire della protezione internazionale per mancanza dei requisiti richiesti dalla legge e alla volontà della maggioranza dei cittadini stranieri di sottrarsi all'attuazione del provvedimento di espulsione.
      I lavori di straordinaria manutenzione, iniziati il 15 gennaio 2011, termineranno entro la prossima estate.
      L'intervento prevede l'implementazione dei sistemi di sicurezza passivi, con tecnologia di alto livello, e la ristrutturazione delle zone destinate agli ospiti.
      In particolare la zona verde e la zona rossa, le cui ristrutturazioni sono già state ultimate, prevedono una capienza, rispettivamente di 44 posti e 68 posti; mentre per la zona blu, con capienza di 136 posti, sono ancora in corso i lavori di recupero.
      L'iniziale quadro economico finanziato è stato rideterminato a seguito dei citati episodi di vandalismo.
      Dopo i fatti dello scorso anno, non si sono verificati episodi di particolare criticità presso la struttura che attualmente ospita circa 24 cittadini stranieri.
      Va rilevato anche che, in relazione all'attività di gestione del CIE, è in corso un'indagine della procura della Repubblica presso il tribunale di Gorizia.
      Si ritiene opportuno evidenziare che sulla struttura di Gradisca – come su tutte le altre presenti sul territorio nazionale – il Ministero dell'interno svolge, attraverso le prefetture, una costante attività di monitoraggio, finalizzata ad assicurare adeguate condizioni di vivibilità e il pieno rispetto dei diritti delle persone ospitate. In particolare, tale vigilanza mira ad accertare che siano garantiti il rispetto delle diverse appartenenze culturali, etniche, religiose e linguistiche, una adeguata assistenza socio-sanitaria, l'informazione legale (anche usufruendo del gratuito patrocinio), l'interpretariato e la mediazione culturale, nonché ottimali standard nelle prestazioni e nei servizi resi alla persona (igiene personale, vitto, lavanderia ed altro).
      L'esigenza primaria che guida l'azione delle amministrazioni interessate, pertanto, è quella di garantire la decorosa permanenza nella struttura, intervenendo ogni qual volta dalle verifiche effettuate emergano profili di criticità.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Saverio Ruperto.


      TIDEI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          a Civitavecchia, ormai da qualche anno, è stata convertita a carbone la produzione di energia della centrale Enel di Torre Valdaliga nord;
          la costruzione della nuova centrale a carbone ha determinato l'ennesima servitù per il territorio di Civitavecchia;
          l'accettazione del carbone ha causato una profonda divisione e lacerazione sociale fra la popolazione con ripercussioni anche nelle famiglie;
          la politica ha reso questa condizione accettabile mediante una serie di accordi scritti e alcuni soltanto declinati;
          la divisione ENEL GEM, committente da cui dipende il cantiere di Torrevaldaliga nord ha deciso di chiudere lo stesso cantiere in data 29 febbraio 2012;
          tale decisione è stata presa in modo unilaterale e poi comunicata al sindaco della città, il quale a quanto consta all'interrogante non ha dato alcuna pubblicità alla questione senza darne comunicazione al consiglio e alle parti politiche e sociali;
          tale interruzione avviene senza prima avere completato i lavori;
          la decisione assunta si diversifica nel metodo e nella sostanza con quanto è avvenuto con altri cantieri operanti in Italia. Il cantiere di La Spezia è rimasto aperto – difatti – per circa trent'anni, quello di Brindisi è aperto ininterrottamente da quarant'anni, quello del Sulcis è aperto ininterrottamente da trentacinque anni;
          l'interrogante ritiene opportuno sottoporre al Governo la vicenda di cui sopra in considerazione del fatto che la decisione assunta comporta un aggravamento del deficit occupazionale per Civitavecchia e il suo comprensorio, già gravemente colpito sotto questo aspetto negli ultimi anni;
          per ciò che riguarda l'aspetto particolare dell'attività dell'Enel, va altresì considerato che l'Enel prese presso la sede della Presidenza del Consiglio dei ministri l'impegno a promuovere, a fianco dell'attività industriale, il mantenimento per Enel Distribuzione della sede di zona di Civitavecchia (80 dipendenti), delle attività della società, di quelle di Sfera e di altre attività e che ciò avrebbe implementato il carico diretto e indiretto del lavoro nel comprensorio;
          è in programma da parte di Enel Distribuzione il declassamento della zona a sede di unità operativa, con diminuzione del personale per circa 50 (cinquanta) unità;
          oggi si assiste in rapida successione alla chiusura del cantiere e alla relativa perdita di posti di lavoro sia in Enel che nell'indotto;
          si assiste, altresì, alla demolizione delle strutture che avrebbero permesso la nascita nell'ex cantiere del campus di Enel University e l'eventuale collocazione di altre attività lavorative, come la ricerca e la formazione;
          il bosco, previsto nella convenzione fra Enel e comune non è stato ancora messo a dimora  –:
          se il Governo intenda verificare se le notizie riportate in premessa corrispondano al vero e quali iniziative di competenza intenda assumere per scongiurare che le decisioni assunte vengano messe in atto. (4-15056)

      Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame si rappresenta quanto segue.
      Relativamente alla realizzazione del bosco nell'area dell'ex parco serbatoi adiacente alla centrale, si fa presente che la realizzazione di tale bosco è stata prescritta dal decreto di compatibilità ambientale rilasciato nel 2003 dal Ministro dell'ambiente di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali.
      Dal momento che la verifica d'ottemperanza alle prescrizioni, nonché l'approvazione di eventuali relative modifiche, compete alle stesse Amministrazioni che hanno apposto le prescrizioni medesime, l'Enel spa ha presentato, prima del relativo avvio dei lavori, al dicastero dell'ambiente nonché al dicastero per i beni e le attività culturali alcune modifiche al progetto del bosco, al fine di verificarne la rispondenza a quanto prescritto.

      Tale progetto ha avuto l'assenso da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con nota DVA-2012-0002789 del 7 febbraio 2012, nonché parere favorevole di massima con prescrizioni del Ministero per i beni e le attività culturali con nota n.  10580 del 10 aprile 2012.
      In particolare, durante l'istruttoria condotta dal dicastero dell'ambiente, la commissione tecnica VIA/VAS ha espressamente chiesto di destinare a verde anche l'area che nel progetto esecutivo presentato dall'Enel S.p.A. era destinata al «Campus», ciò al fine di rendere il progetto esecutivo confrontabile con quello preliminare presentato nel 2004 e già approvato dal comitato di controllo.
      Tale richiesta è stata riscontrata dall'Enel che ha provveduto a modificare in tale senso il progetto esecutivo di sistemazione e recupero ambientale del «Parco Serbatoi», così come risulta agli atti del procedimento da nota n.  52801 del 29 novembre 2011.
      Per quanto attiene la realizzazione del suddetto progetto, cioè la realizzazione del bosco, l'avvio dei lavori è stato programmato per il 29 marzo 2012 in conformità a quanto chiesto dallo stesso dicastero dell'ambiente. Tuttavia, il sindaco di Civitavecchia ha presentato ricorso il 3 aprile 2012 avverso, tra l'altro, la suddetta nota del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con istanza di sospensiva.
      Si fa presente, inoltre, che l'esclusione dal suddetto progetto di un'area destinata alla formazione professionale come quella del «Campus» non pregiudica comunque la possibilità per l'Enel di realizzare tale iniziativa in altra zona di Civitavecchia.
      Per quanto concerne la problematica relativa all'Enel distribuzione, infine, da informazioni fornite dalla stessa Enel S.p.A., risulta che allo stato attuale non esiste alcun progetto di ridimensionamento o declassamento degli uffici Enel di Civitavecchia.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Claudio De Vincenti.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          con la nota prot. 757/11 S.N. del 3 maggio 2011 indirizzata al Ministero dell'interno – Ufficio amministrazione generale – Dipartimento della P.S. – Ufficio per le relazioni sindacali, avente ad oggetto «C.I.E. Palazzo San Gervasio (PZ), siamo alle comiche ... ed i poliziotti rischiano la vita.»;
          nella predetta nota la segreteria nazionale del COISP, il cui testo a parere degli interroganti necessita di essere riportato integralmente per la singolare e preoccupante vicenda narrata, si legge «Nella giornata del 1° maggio è stato organizzato il trasferimento di sessanta tunisini dal C.I.E. di Palazzo San Gervasio (PZ) alla volta dell'aeroporto di Napoli Capodichino per essere rimpatriati in Tunisia.. Per i primi trenta extracomunitari si organizza la scorta nella nottata, a partire dalle ore 20:00. Vengono comandati circa sessanta colleghi ma al rientro a Potenza, verso le ore 12:00 del 2 maggio (dopo 16 ore continuative di servizio), un Funzionario e un Assistente Capo della Questura, a causa di un colpo di sonno dell'autista, vengono coinvolti in un incidente stradale sull'autostrada Napoli-Bari all'altezza di Benevento, nei pressi di Grottaminarda, e per poco non ci rimettevano la pelle. Vengono ricoverati c/o il nosocomio di Benevento: fortunatamente non corrono pericolo di vita. La commedia tragicomica continua con il secondo servizio, disposto a partire dalle 04:00 di ieri 2 maggio. Per i preparativi e i numerosi contrordine del Ministero, si riesce a partire alla volta dell'aeroporto di Napoli (che dista 200 km dal C.I.E. di Palazzo San Gervasio), solo alle ore 13:00. L'imbarco è previsto alle ore 18:00; anche in questo caso si tratta di trenta immigrati caricati su due pullman, scortati da sessanta poliziotti circa con due Funzionari. La carovana giunge a Napoli alle ore 16:00 circa e giustamente ai colleghi viene concesso di consumare un lauto pranzo (panino e acqua ! !). Alle 18:00 non si sa ancora se gli extracomunitari verranno rimpatriati, visto che non c’è alcun aereo per Tunisi, oppure riportati al C.I.E. di provenienza. È qui che si accende la lampadina a qualche starlet del Ministero: gli extracomunitari devono essere trasferiti al C.I.E. di Bari e, per non farli ulteriormente stancare, alle ore 18:30 vengono imbarcati su un comodo aereo per Bari Palese, a spese della Repubblica italiana ! ! La distanza tra il C.I.E. di Palazzo San Gervasio e quello di Bari è di circa 80 km, ma il Ministero voleva evidentemente far fare una gita fuori porta agli ospiti stranieri, e mentre i migranti tunisini raggiungevano comodamente Bari con l'aereo, i poliziotti si apprestavano all'ennesima peripezia. Nel viaggio di rientro a Potenza, difatti, il pullman con a bordo i poliziotti prende fuoco nel vano motore; il pericolo è scampato ma i nostri colleghi sono bloccati sulla corsia di emergenza dell'A16, ove sono costretti a rimanere per qualche ora in attesa di un nuovo mezzo che consentisse loro di riprendere la marcia e rientrare a casa. Non è una barzelletta, ma – come ha osservato più di un collega – è una normale giornata di lavoro alle dipendenze di quella che sembra essere la Repubblica delle banane. Ma il nostro Paese è veramente diventato tale ? Oppure c’è qualcuno che si assumerà la responsabilità dell'incapacità gestionale dimostrata in questi due giorni e dell'incidente stradale occorso ai colleghi ? Chi ha coordinato e disposto i servizi sopra narrati ? Chi ha comandato i poliziotti per oltre 16 ore di servizio si assumerà anche la responsabilità di quel colpo di sonno e delle sue conseguenze ? Chi ha dimostrato grave incapacità gestionale verrà messo nelle condizioni di non creare altri danni ? ? Da codesto Ufficio attendiamo dettagliate risposte in ordine a tutto quanto sopra denunciato ... ed anche qualche nome ... ! ! Si attende cortese urgentissimo riscontro.»  –:
          se il Ministro interessato sia a conoscenza dei fatti in premessa, se questi corrispondano al vero e nel caso quali immediati provvedimenti intenda adottare nei confronti di coloro che siano ritenuti responsabili del trattamento ad avviso degli interroganti vergognoso riservato agli operatori della Polizia di Stato e dei danni da questi ultimi patiti dal punto di vista fisico e morale;
          se non ritenga di dover disporre una inchiesta ministeriale per accertare eventuali responsabilità per i danni arrecati agli operatori coinvolti nell'incidente e conseguentemente all'immagine dell'amministrazione. (4-11850)

      Risposta. — Come previsto dal «processo verbale della riunione tra il Ministro dell'interno della Repubblica Italiana e il Ministro dell'interno della Repubblica Tunisina», firmato a Tunisi il 5 aprile 2011 per fronteggiare la situazione d'emergenza determinata dal massiccio esodo di migranti provenienti dai Paesi dell'Africa settentrionale, si è provveduto, nell'ambito di una prima fase operativa, al rimpatrio, a bordo di voli charter, di ottocento cittadini tunisini sbarcati clandestinamente sulle coste italiane.
      Una volta terminato il rimpatrio del predetto contingente, il Ministero dell'interno ha svolto un'intensa attività con l'ambasciata tunisina ed il Consolato generale di Palermo di quel paese, nonché con l'ambasciata italiana a Tunisi, affinché, senza soluzione di continuità, potesse partire la seconda fase di rimpatrio, prevista dal citato processo verbale, consistente nella cosiddetta «procedura semplificata». Tale procedura si è esplicata con la presenza di funzionari consolari tunisini all'aeroporto di Palermo, per la verifica della cittadinanza dei loro connazionali e la contestuale emissione dei lasciapassare, senza fare ricorso all'inoltro delle schede foto-dattiloscopiche.
      In tale contesto è stato organizzato il volo di rimpatrio del pomeriggio del 2 maggio 2011 cui fa cenno l'interrogante, prevedendo il transito presso lo scalo aereo del capoluogo siciliano, al fine di garantire l'espletamento della procedura descritta.
      Le pertinenti disposizioni di servizio prevedevano il trasferimento di trenta cittadini tunisini dal centro di identificazione ed espulsione di Palazzo San Gervasio (PZ) all'aeroporto di Napoli-Capodichino ed il loro successivo viaggio aereo per Palermo, nonché per Tunisi. Durante il viaggio degli stranieri verso Napoli le autorità tunisine hanno comunicato la mancata autorizzazione al rimpatrio.
      Pertanto, al fine di non vanificare l'attività posta in essere sino a quel momento e d'intesa con la questura di Potenza (che aveva segnalato l'impossibilità di rientro degli stranieri al centro di provenienza, per motivi connessi alla messa in sicurezza della struttura), il Ministero dell'interno, ha disposto che i trenta tunisini fossero trasferiti, a bordo dello stesso volo charter, presso il Centro di identificazione ed espulsione di Bari.
      La scelta dell'aeroporto di Capodichino quale punto di convergenza tra gli stranieri da rimpatriare ed il personale di scorta, è stata determinata dal fatto che, per il trasferimento da Palazzo San Gervasio, era disponibile personale del IV reparto mobile della polizia di Stato di Napoli.
      Inoltre, il Centro di identificazione ed espulsione di Palazzo San Gervasio è, sostanzialmente, equidistante dai capoluoghi campano e pugliese.
      Relativamente all'incidente occorso all'autovettura del funzionario responsabile del contingente di scorta predisposto dalla questura di Potenza e del suo autista, si rappresenta che il fatto può addebitarsi ad un guasto tecnico del veicolo.
      Si segnala, inoltre, che uno degli autobus della ditta incaricata del trasporto dalla prefettura di Potenza ha effettivamente avuto un problema al vano motore durante il rientro; il fatto ha però determinato soltanto l'immediato trasbordo del personale trasportato sull'altro pullman.
      Si soggiunge che quanto sopra esposto è stato comunicato dalla direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere alla segreteria nazionale dell'organizzazione sindacale «coordinamento per l'indipendenza sindacale delle forze di polizia-Coisp», firmataria della lettera menzionata dall'interrogazione parlamentare.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la segreteria nazionale del COISP – coordinamento per l'indipendenza sindacale delle forze di polizia, con la nota Prot. 839/11 S.N. del 25 maggio 2011, indirizzata al signor capo della polizia – direttore generale della pubblica sicurezza prefetto Antonio Manganelli avente ad oggetto «Padova, l'arroganza del Capo di Gabinetto della Questura nuoce alle finalità dell'Amministrazione ... e non è tollerata dal Sindacato» ha scritto «Preg.mo Signor Capo della Polizia, il COISP ha sempre plaudito ai Suoi continui “inviti”, rivolti ai vari Dirigenti periferici e centrali dell'Amministrazione, al riconoscimento dei diritti del personale nonché ad una dialettica costante e costruttiva con le loro rappresentanze sindacali, riconoscendo, Lei stesso, che solo attraverso la giusta attenzione dei bisogni dei Suoi dipendenti e la corretta osservanza di quelle che vengono chiamate “relazioni sindacali”, l'Amministrazione riesce a perseguire, fattivamente, il comune fine di contribuire alla efficienza dei propri compiti nell'interesse della collettività.»;
          la lettera dell'organizzazione sindacale prosegue con la descrizione di un episodio avvenuto all'interno dell'area benessere della questura di Padova ad opera del capo di gabinetto della medesima questura mentre il segretario provinciale della organizzazione sindacale e il responsabile dell'ufficio sanitario stavano eseguendo un controllo sugli alimenti a seguito di una segnalazione dei dipendenti  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti segnalati dal COISP, e quale immediate iniziative intenda intraprendere in merito. (4-12109)

      Risposta. — Il 24 maggio 2011, nello spazio benessere della questura di Padova, il capo di gabinetto ha notato sul pavimento la presenza di diverse cartacce, una delle quali si è attaccata alla suola della sua scarpa. Colto nel tentativo di toglierla, gli è stato contestato da un'assistente capo della questura, membro della segreteria del Co.i.s.p., di calpestare un comunicato sindacale.
      Resosi conto che il pezzo di carta era effettivamente un comunicato sindacale diffuso qualche giorno prima dal Co.i.s.p., il capo di gabinetto si è scusato con il suo interlocutore, precisando la totale involontarietà del suo gesto.
      Si precisa che il predetto dirigente, attualmente in servizio presso la stessa sede non ha mai manifestato alcun comportamento antisindacale.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          sul settimanale L'espresso del 16 marzo 2012 un articolo dal titolo «Gli Spreconi di Air Spioni» descrive la gestione e le spese della «Compagnia aerea italiana» (CAI) in cui si legge «Raffaele Di Loreto, 64 anni: un funzionario dalla tripla vita e dai tripli privilegi. È un pensionato dell'Aeronautica militare, un dirigente della presidenza del Consiglio e l'amministratore della compagnia [...]»;
          nell'articolo si legge anche che «[...] sottosegretari e parlamentari fanno la coda per salire sulla flotta più segreta: quella della Compagnia Aerea Italiana, omonima della nuova Alitalia ma molto più antica. Come spesso accade in Italia, si tratta di un'ottima idea gestita male. La Cai dei Servizi venne creata nel 1969: un paio di aerei, pochissimo personale superselezionato per ottimizzare costi e riservatezza. [...] la compagnia dei Servizi è una spa: formalmente registrata come una società charter per non tradirne la vera natura. I bilanci vengono approvati negli uffici distaccati di Palazzo Chigi, mentre gli atti raccontano la storia ufficiale del vettore di copertura. Con alcune scelte che lasciano sbalorditi, a partire dai professionisti ingaggiati. A presiedere il collegio dei sindaci che devono vigilare sui conti c’è un commercialista con parecchie grane giudiziarie: Ascanio Turco, studio a Matera e buone entrature nella capitale, è stato condannato in primo grado a due anni e sei mesi di carcere per il crac della Hdc del sondaggista berlusconiano Luigi Crespi ed è finito nei guai in Molise per una storia di regali agli ispettori del Fisco. Per carità, nessuna sentenza definitiva: ma forse l'intelligence dovrebbe rivolgersi a figure al di sopra di ogni sospetto. Ed è inquietante rilevare chi è il notaio che da un decennio autentica gli atti della Air Spioni: Gianluca Napoleone, il professionista delle case della Cricca, incluso l'appartamento di Claudio Scajola con vista sul Colosseo. Stando alle indagini, Napoleone ha eseguito il rogito di altri immobili finanziati dal giro del costruttore Anemone, tra cui quello di un generale dei Servizi. Di soldi nella Cai ne girano tanti. Il capitale sociale è di 40 milioni, con quote date in pegno a Intesa Sanpaolo. [...]»  –:
          se i fatti narrati nell'articolo in premessa corrispondano al vero e in tale caso quali siano i bilanci della «Compagnia Aerea Italiana» citata nell'articolo riferiti agli ultimi 10 anni, quali siano gli organi statutari, quali siano i nomi dei componenti, quali siano i loro compensi;
          quali immediate azioni intenda intraprendere per rendere trasparenti le attività della Compagnia. (4-15360)

      Risposta. — In relazione all'atto di sindacato ispettivo in esame, concernente impiego degli aeromobili della compagnia aeronautica italiana s.p.a e in conformità a quanto comunicato dall'ufficio del segretario generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, si fa presente quanto segue.
      Con l'interrogazione in epigrafe si chiede di conoscere se rispondano al vero le notizie riportate nell'articolo de L'Espresso del 16 (rectius 22) marzo 2012 circa la compagnia aeronautica italiana s.p.a., quali siano i componenti, gli organi statutari della stessa e i relativi compensi e cosa intenda fare il Governo per assicurarne la trasparenza delle attività.
      Innanzitutto si deve precisare che la riduzione dei voli, si inquadra nelle ripetute azioni di contenimento della spesa pubblica intraprese dal Governo per rispondere alla crisi finanziaria accentuatasi nel corso del 2011, azioni delle quali costituisce una componente appariscente, perché molto «battuta» dai media, ma sostanzialmente esigua; tale riduzione si riconnette all'introduzione nel quadro normativo del settore di due provvedimenti fondamentali, alla cui emanazione ha contribuito la fattiva cooperazione dell'apparato amministrativo che supporta il Governo nella specifica materia:
          a) il decreto-legge n.  98 del 2011, convertito in legge n.  111 del 2011 del quale rivestono particolare interesse per la materia trattata l'articolo 3 ed alcune disposizioni dell'articolo 4;
          b) la direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 23 settembre 2011 che ha tracciato, sulla base delle disposizioni primarie sub a), la disciplina applicativa del trasporto aereo di Stato.
      L'esecutivo in carica, nel procedere all'implementazione di tali norme, ha dato un vigoroso impulso alla concreta riduzione degli impieghi degli aeromobili, agendo con il massimo rigore sulla valutazione delle esigenze e sul controllo della loro gestione aggiungendovi ulteriori forme di disincentivazione e di risparmio, ad esempio riprendendo le disposizioni già in vigore con il Governo Prodi circa il contributo sull'imbarco di giornalisti al seguito.
      La pubblicazione effettuata, a norma di legge, sul sito internet dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri dall'entrata in carica dell'attuale Esecutivo evidenzia gli apprezzabili risultati conseguiti.
      In merito alle informazioni pubblicate da L'Espresso sul trasporto aereo di Stato, si deve preliminarmente rilevare che il quadro dell'organizzazione e della gestione del trasporto aereo di Stato in tutte le sue componenti, tracciato dall'autore e ripreso dall'interrogante, non corrisponde alla reale situazione del settore quale emerge dalla puntuale ed esaustiva documentazione conservata agli atti della Presidenza del Consiglio dei Ministri e riguardante, sia l'acquisto, sia l'utilizzazione degli aeromobili.
      Ad esempio, non corrisponde al vero che il dirigente dell'ufficio voli di Stato possa autorizzare l'impiego degli aeromobili poiché la procedura di concessione è puntualmente codificata nella direttiva in materia (anch'essa pubblicata in internet) e prevede l'istruttoria dell'ufficio, il visto del segretario generale e la decisione del Sottosegretario delegato; non è vero che la Presidenza del Consiglio dei ministri sia competente all'acquisto o alla vendita degli aeromobili di Stato, poiché la stessa è interamente delegata alla difesa sulla base di un apposito accordo e che agisce secondo i canoni della contrattualistica pubblica; non è vero che l'ufficio voli di Stato abbia provveduto all'appalto del noleggio di aeromobili della servizi aerei s.p.a. poiché i relativi contratti, vigenti nel periodo 2003-2007, sono stati negoziati e sottoscritti dal dipartimento della Presidenza del Consiglio dei ministri competente alle acquisizioni di beni e servizi, previa gara europea e così via.
      Il Governo rivendica la legittimità sostanziale, provata dagli atti di controllo del proprio operato e la peculiare facoltà che gli spetta di realizzare, anche nel settore in parola, il proprio indirizzo politico chiarendo, una volta per tutte, che il trasporto aereo di Stato ha la sua ragion d'essere istituzionale nel quadro dell'organizzazione governativa per rispondere alle esigenze della politica pubblica in rapporto all'ormai primario contesto europeo e mondiale in cui i Governi debbono agire con tempestività ed immediatezza.
      L'occasionale presenza di soggetti non adeguatamente legittimati, alla luce delle norme ora vigenti, a bordo di singoli voli non può essere adoperata per stravolgere il contenuto del servizio reso con efficienza, impegno e spirito di sacrificio da tutti gli addetti al funzionamento dell'apparato, che assicura:
          gli spostamenti del Capo dello Stato, del Capo del Governo e delle maggiori cariche istituzionali, compresi i Ministri, ove necessario, consentendo loro di comparire nelle sedi internazionali con un livello anche di ordine protocollare appena dignitoso per un Paese che vuole continuare ad essere considerato nel novero dei più progrediti;
          l'effettuazione, con prontezza all'impiego 24 ore su 24, delle missioni di salvataggio o di soccorso sanitario in situazioni e luoghi nei quali nessun privato avrebbe modo di accedere;
          il supporto alle missioni internazionali in cui sono impegnate le nostre Forze armate.
      Appare del tutto inutile il tentativo di captatio benevolentiae messo in atto nei confronti del Governo in carica, poiché l'efficace azione di contenimento dei costi nel limitato settore di che trattasi si innesta su un quadro normativo messo a punto dal precedente Esecutivo in risposta alla crisi delle finanze pubbliche con l'emanazione delle misure di riduzione dei costi della politica di cui al decreto-legge n.  98 di 2011, convertito con legge n.  111 del 2011 e alla direttiva 23 settembre 2011 sul trasporto aereo di Stato.
      Proprio tali misure hanno determinato l'inversione del trend nell'impiego della flotta di Stato, che ha consentito all'attuale Governo di conseguire i risultati di cui il citato settimanale deve dare atto.
      Il trasporto di Stato è un servizio apprestato dal Governo a supporto delle attività istituzionali delle più elevate cariche pubbliche; quindi la sede naturale del suo coordinamento autorizzativo ed operativo risiede nell'apparato servente dell'Esecutivo e non avrebbe alcun senso dal punto di vista della razionalità organizzativa attribuirne la competenza ad altro apparato che non sia la Presidenza del Consiglio, la quale detta unitariamente le regole del settore, coordina l'impiego dei mezzi e reperisce le risorse finanziarie occorrenti.
      È storicamente dimostrato che il modello organizzativo «multipolare», preesistente all'attuale, ha dato luogo a personalismi, favoritismi, duplicazioni di servizi ed appariscenti situazioni di carenza di coordinamento nell'impiego delle risorse.
      Ciò ha indotto, su costante input della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ad un intervento regolatorio del Capo del Governo che ha determinato:
          a) la creazione di un quadro normativo di sufficiente livello, non più le circolari sull'onda della momentanea esigenza;
          b) l'accentramento della responsabilità nelle autorizzazioni ai voli nella persona del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri previo svolgimento di adeguata istruttoria sulle richieste sottoposta al visto del Segretario generale;
          c) la creazione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri dell'Ufficio competente al coordinamento degli impieghi dei mezzi aerei;
          d) la definizione del ruolo dell'Aeronautica Militare quale gestore della flotta, sulla base di un formale accordo ex articolo 15 della legge n.  241 del 1990;
          e) la legittimazione dell'impiego in funzione sussidiaria delle ulteriori risorse di trasporto aereo appartenenti, direttamente o indirettamente, all'apparato pubblico e, attualmente, il divieto di ricorso a mezzi privati se non nei casi espressamente previsti dalla legge.
      In tale quadro l'utilizzazione coordinata dall'unicità di direzione, rispetto all'ufficio voli di Stato, dei mezzi della compagnia aeronautica italiana s.p.a. assume un ruolo di sussidiarietà inteso al più efficiente impiego delle risorse a disposizione dell'apparato pubblico.
      Si deve, rilevare, per inciso, che i bilanci della società suddetta sono redatti in conformità alle regole civilistiche, sono pubblicati nei modi prescritti dalla legge e sottoposti ad un controllo puntuale della Corte dei conti e dall'amministrazione tributaria.
      La società provvede agli acquisti ed alle dismissioni dei beni strumentali (aeromobili compresi) secondo il piano industriale adottato dall'Assemblea dei soci la cui attuazione è dagli stessi attentamente controllata, sulla base alle compatibilità finanziarie e nell'osservanza delle buone regole della gestione, come qualsiasi società di natura privata.
      È priva di ogni fondamento l'illazione de L'Espresso, fatta propria dall'interrogante, che sia possibile per i componenti del Governo usufruire di voli della CAI al di fuori del sistema di autorizzazione che fa capo al Sottosegretario di Stato e senza che gli stessi siano riportati nell'elenco delle concessioni pubblicato in internet poiché, come accennato, il sistema è accentrato nella Presidenza del Consiglio al punto che anche il Ministro della difesa, sebbene il suo dicastero sia affidatario e gestore dei mezzi dedicati, è tenuto a percorrere l’iter autorizzatorio previsto dalla direttiva.
      Si precisa, inoltre, che la CAI, stante l'efficienza della struttura, di cui lo stesso interrogante deve dare atto, e la sua missione statutaria di supporto al servizio pubblico, riveste la funzione sussidiaria rispetto al trasporto aereo di Stato per esigenze governative.
      Gli impieghi degli aeromobili CAI per le suddette esigenze sono soggetti alle medesime procedure autorizzative e di rendicontazione previste, attualmente, dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 23 settembre 2011.
      Gli atti riguardanti la Società e i relativi bilanci sono regolarmente depositati alla CCIIAA e sono idonei ad assicurare il massimo grado possibile di trasparenza sui momenti della gestione societaria, che peraltro è assoggettata al controllo della Corte dei conti, compresa la composizione degli organi statutari e le spese per i relativi compensi, che sono attribuiti secondo le previsioni statutarie sulla base delle deliberazione dell'Assemblea dei soci.
      Da ultimo, relativamente al presunto conflitto di interesse ascritto, senza peraltro individuarne i contenuti, al Di Loreto, si evidenzia che lo stesso è cessato dall'incarico di capo dell'ufficio per i voli di Stato, sulla base di una specifica disposizione sulla decadenza degli incarichi contenuta nella legge n.  400 del 1988 cui si conforma il relativo contratto individuale di lavoro; quindi non per una negativa valutazione del capo del Governo sulla gestione dell'ufficio affidatogli bensì per l'oggettiva esigenza della Presidenza di contenere le spese del proprio apparato amministrativo che ha costretto l'Istituzione a rinunciare all'apprezzata collaborazione di alcuni dirigenti particolarmente esperti ma già titolari di pensione, transitando la direzione dei rispettivi dipartimenti/uffici direttamente in capo al Segretario Generale.
Il Ministro per i rapporti con il Parlamento: Dino Piero Giarda.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il 18 marzo 2012 una nota di agenzia ha diffuso la notizia «AFGHANISTAN: INCENDIO SU UN “LINCE”, FERITI 4 MILITARI ITALIANI (AGI) - Herat (Afghanistan), 18 marzo – Quattro militari italiani sono rimasti feriti in Afghanistan a causa di un incendio su un mezzo blindato Lince avvenuto alle 15:40 locali (le 12:10 in Italia, ndr). I feriti sono stati soccorsi e trasferiti all'ospedale militare all'interno della base di Farah, sono coscienti ed hanno avvisato personalmente le famiglie, come riferisce il portavoce del contingente italiano in Afghanistan, colonnello Vincenzo Lauro. I quattro erano a bordo di un mezzo blindato (VTLM) Lince all'interno della FOB (Forward Operative Base) “Tobruk” a Bala Boluk, nel settore sud dell'area di responsabilità italiana in cui opera la Task Force South, su base 152° Reggimento “Sassari”. I militari appartengono tutti al 19° Reggimento Cavalleggeri “Guide” di Salerno, in affiancamento per il prossimo avvicendamento con il 152° Reggimento»; secondo la nota «Le cause dell'incendio sono in fase di definizione. C’è un'indagine che deve fare chiarezza su questo evento. Intanto i quattro militari sono coscienti e stanno reagendo bene. Da parte dei sanitari non ci sono preoccupazioni e personalmente hanno informato i familiari dell'accaduto». Lo ha detto il portavoce del contingente italiano in Afghanistan colonnello Vincenzo Lauro intervistato da Sky TG24 riferendosi all'incendio divampato oggi e che ha coinvolto un Lince italiano in Afghanistan.  «Posso confermare – ha aggiunto – che il mezzo era all'interno del settore sud e non c'era nessun attacco in corso all'avamposto. Il personale probabilmente si stava occupando dell'allestimento del mezzo per poter essere occupato in un'attività operativa. Le indagini faranno sicuramente chiarezza sull'accaduto»;
          con altri atti di sindacato ispettivo gli interroganti hanno chiesto immediati interventi a seguito dei numerosi incidenti in cui sono rimasti coinvolti i citati mezzi «Lince», e delle testimonianze di militari che ne hanno rilevato le criticità e i limiti d'impiego in zone di operazioni  –:
          quali siano state le cause dell'incidente di cui in premessa e quali siano i danni fisici riportati dai militari coinvolti;
          se siano avvenuti altri eventi simili a quello di cui in premessa, se vi siano rimasti coinvolti altri militari e quali ne siano state le cause;
          quali immediate azioni intenda intraprendere in merito al fine di garantire una maggiore sicurezza del personale militare e se sia intenzionato a disporre immediate indagini per verificarne l'effettiva sicurezza del mezzo VTML in premessa in ogni contesto d'impiego, e quindi a sospenderne l'utilizzo fino al termine delle verifiche. (4-15382)

      Risposta. — A premessa ribadisco, ancora una volta, che l'amministrazione della difesa, in continuità con i precedenti Governi, attribuisce assoluta priorità alla sicurezza del personale militare, in particolare impegnato nelle missioni internazionali, mediante la disponibilità di equipaggiamenti, dotazioni, mezzi e sistemi, nonché di procedure operative, in grado di garantire la massima protezione possibile, compatibilmente con lo stato dell'arte.
      In tale ottica, quindi, posso garantire che la difesa proseguirà la propria azione con costante e massimo impegno ai fini del tempestivo aggiornamento dei mezzi e degli equipaggiamenti impiegati, mediante lo studio e la realizzazione delle soluzioni tecniche più avanzate per tutelare al meglio la sicurezza del personale, contribuendo alla prevenzione e al contrasto delle minacce attualmente esistenti e di quelle ragionevolmente prevedibili.
      Allo stesso tempo, faccio osservare che i competenti organi tecnico-operativi militari non ritengono, al momento, che sussistano elementi di valutazione tecnica/operativa tali da indurre alla sospensione del servizio dei citati mezzi, considerati di indispensabile validità per la protezione fisica da minacce derivanti da attacchi con tiro diretto e con uso di ordigni esplosivi improvvisati (cosiddetti IED – Improvised Explosive Device).
      Rammento, infatti, che, attualmente, nell'ambito delle capacita produttive industriali a livello mondiale non è disponibile un'alternativa più valida in grado di garantire almeno lo stesso livello di protezione del «Lince», che, peraltro, viene utilizzato anche da altre sette nazioni.
      Ciò premesso, in merito all'episodio richiamato con l'atto in esame, si evidenzia che dalle risultanze dei primi accertamenti condotti, il mezzo blindato «Lince» Veicolo traffico leggero multiruolo (VTLM) ha preso fuoco per l'improvvisa partenza del razzo di un sistema d'arma in dotazione ai militari che, in quel momento, si trovavano all'interno e nelle vicinanze del mezzo e si stavano approntando per iniziare il proprio turno di servizio.
      Non sono avvenuti, nel passato, altri incidenti simili a quello in argomento, le cui cause e modalità sono tuttora in corso di accertamento ed opportuno approfondimento a cura delle competenti autorità.
      In esito all'incendio del veicolo, il personale coinvolto ha riportato ferite da ustione.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      VACCARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la Cooper Standard Automotive Italy s.p.a. di Battipaglia (SA) è un'azienda del gruppo internazionale Cooper Standard Automotive Inc., specializzato nella produzione e commercializzazione di sistemi e componentistica per il settore automobilistico;
          con accordo sindacale del 10 settembre 2010 i rappresentanti dell'azienda, la rappresentanza sindacale unitaria e le organizzazioni sindacali territoriali hanno sancito un programma di lavoro che, tuttavia, non è stato rispettato;
          in base a tale programma, la produzione delle guarnizioni del vano porta della «940» (Giulietta Alfa Romeo) doveva restare attività di specifica competenza dello stabilimento di Battipaglia che, in caso di delibera positiva da parte del Cliente FIAT, avrebbe dovuto adeguarsi dal punto di vista delle attrezzature; nel programma veniva poi ribadita la scelta strategica, per il medesimo stabilimento, dello sviluppo della tecnologia termoplastica; infine, veniva confermato il management europeo della Cooper presente a Battipaglia;
          a distanza di un anno da tale accordo, la tecnologia termoplastica non è mai stata sviluppata – in quanto implementata in altri stabilimenti europei a più basso costo del lavoro – e la lavorazione delle guarnizioni verrà spostata, secondo quanto deciso dal gruppo Cooper, presso lo stabilimento di Ciriè (TO);
          tale spostamento comporterà un aumento del già considerevole numero di persone in cassa integrazione guadagni straordinaria per mancanza di commesse, nonché un incremento delle spese di trasporto e quindi dei costi di produzione, tenuto conto dei luoghi dove avviene l'effettiva produzione dei componenti (Cassino, Melfi, Pomigliano);
          risulta all'interrogante che, in un recente incontro con i responsabili Italia ed Europa del gruppo Cooper, è stato proposto l'avvio a Battipaglia di un'attività di assemblaggio in termoplastico del raschiavetro della «940» in sostituzione della lavorazione delle guarnizioni;
          tale prospettiva non soddisfa le richiesta sindacali in quanto l'attività proposta non è ritenuta paragonabile a quella cessata; le organizzazioni sindacali e la rappresentanza sindacale unitaria, per contro, hanno chiesto che a Battipaglia venga sviluppato l'intero processo di lavorazione in termoplastica del particolare da assemblare;
          i vertici del gruppo si sono riservati tre settimane di tempo per esaminare tale proposta e/o produrre eventuali alternative;
          al momento lo stato di agitazione ha visto la proclamazione di scioperi a singhiozzo, che comunque hanno permesso all'azienda di non fermare le attività per il cliente, e di un sit-in di protesta davanti ai cancelli della fabbrica;
          la vicenda rischia di rappresentare l'ennesimo caso di smembramento di un'importante realtà industriale del Mezzogiorno  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione in premessa;
          quali iniziative e in quali tempi il Ministro interrogato intenda intraprendere, per quanto di competenza, al fine di agevolare la rapida conclusione di un accordo tra le parti interessate e assicurare la piena ripresa delle attività della Cooper di Battipaglia. (4-13894)

      Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si fa presente quanto segue.
      Il Ministero dello sviluppo economico monitora costantemente le performances del settore automotive, nel suo complesso, ed in particolare segue l'attuazione del piano industriale presentato dalla Fiat al Governo nel dicembre 2010 ed al Parlamento nel febbraio 2011, che riguarda principalmente gli stabilimenti del Mezzogiorno.
      Periodicamente la competente Direzione Generale Politica Industriale e Competitività incontra le associazioni di settore, tra cui l'Associazione nazionale fra industrie automobilistiche (ANFIA) (che rappresenta la filiera delle aziende della componentistica automotive) ed è al corrente della situazione di difficoltà che il settore della subfornitura sta soffrendo, a causa della grave crisi del comparto auto, e sarà posta ulteriore attenzione agli aspetti relativi ai problemi delle aziende della componentistica del sud Italia.
      Con riferimento specifico alla situazione della Cooper – segnalata dall'interrogante – non si hanno particolari elementi da fornire, fermo restando l'impegno ad affrontare nei tavoli istituzionali sull'automotive le tematiche e i problemi della componentistica del meridione d'Italia, nell'ambito del quale il Ministero dello sviluppo economico assicura ogni disponibilità all'avvio di un confronto ad hoc, qualora le parti lo richiedano.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Claudio De Vincenti.


      ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          secondo il rapporto «comuni rinnovabili 2010» di Legambiente, realizzato in collaborazione con Gse e Sorgenia emerge che sono 6.993 i comuni italiani dove è installato almeno un impianto di produzione energetica da fonti rinnovabili. Erano 5.580 nel 2009, 3.190 nel 2008, con un aumento del 13 per cento di produzione. Le fonti pulite che fino a dieci anni fa interessavano, con il grande idroelettrico e la geotermia, le aree più interne e comunque una porzione limitata del territorio italiano, oggi sono presenti nell'86 per cento dei comuni;
          in particolare, 6.801 comuni usano impianti per la produzione di energia solare, 297 l'eolica, 799 la «mini idroelettrica» e 181 la geotermica. Le biomasse vengono invece utilizzate in 788 comuni dei quali 286 utilizzano biomasse di origine organica animale o vegetale;
          825 comuni grazie all'installazione di una fonte rinnovabile – mini-idroelettrica, eolica, fotovoltaica, da biomasse o geotermica – producono più energia elettrica di quanta ne consumano le famiglie residenti. 24 invece i comuni che grazie a impianti di teleriscaldamento collegati a impianti da biomasse o da geotermia superano il proprio fabbisogno termico;
          a giudizio degli interroganti per rafforzare ulteriormente questo trend positivo occorre con chiarezza assumere gli obiettivi UE al 2020 come scenario di riferimento delle politiche energetiche definendo innanzitutto il Piano di azione nazionale per le energie rinnovabili che occorre presentare a Bruxelles entro il mese di giugno 2010 –:
          se e quando il Ministro intenda rendere pubblico lo stato di definizione del «piano d'azione nazionale in materia di energie rinnovabili»;
          per quali motivi non si siano ancora emanate le linee guida sulle fonti rinnovabili che si attendono da anni, che dovrebbero rendere più semplici le autorizzazioni;
          per quali motivi, nonostante la normativa vigente preveda che entro il 31 dicembre 2009 si dovessero stabilire «nuovi incentivi» sul conto energia per il solare fotovoltaico che dovrebbero valere dal 2011, ciò non sia stato fatto;
          se non intenda chiarire quando verranno stabiliti, d'intesa, con la conferenza Stato-Regioni, gli obiettivi per le fonti rinnovabili per ciascuna regione, così come prevede la legge. (4-06704)

      Risposta. — Relativamente alle argomentazioni e alle richieste degli interroganti, si premette che i provvedimenti, da loro auspicati, sono stati per la gran parte emanati da tempo e sono quindi operativi.
      In particolare, il Governo, in attuazione degli impegni comunitari, nel luglio 2010, ha inviato alla Commissione europea il piano di azione nazionale per le fonti rinnovabili, in cui sono delineate sia la strategia per il settore che le principali misure di attuazione.
      In coerenza con le indicazioni rese dal Parlamento con la legge n.  96 del 2010 – comunitaria 2009 – il suddetto Piano disegna la strategia e le relative misure di attuazione, aggiuntive ed in alcuni casi correttive, di quelle esistenti. Il documento indica in dettaglio le misure per raggiungere l'obiettivo comunitario al 2020, attraverso il perseguimento di obiettivi strategici che, grazie ad un piano di governance istituzionale, mirano ad un maggiore coordinamento tra la politica energetica e le politiche industriale, ambientale e della ricerca per l'innovazione tecnologica, per un'efficienza complessiva del sistema.
      Le linee di azione si articolano dunque su due piani: la governance istituzionale e le politiche settoriali. Gli elementi fondanti sono:
          a) quantificazione dell'obiettivo vincolante complessivo e degli obiettivi settoriali (elettricità, calore e trasporti); all'interno di ciascun settore, inoltre, sono stati delineati sub-obiettivi specifici per tecnologie e applicazioni, sulla base del potenziale, in modo da fornire una base indicativa per orientare le politiche pubbliche e indirizzare gli operatori verso una più efficiente allocazione di risorse;
          b) elevato grado di condivisione degli obiettivi con le Regioni, in modo da favorire l'armonizzazione dei vari livelli di programmazione pubblica, delle legislazioni di settore e delle attività di autorizzazione degli impianti e delle infrastrutture e definizione di un «burden sharing regionale» – cioè la decisione di suddividere tra le Regioni gli oneri per il raggiungimento, entro il 2020, del target assegnato dall'Unione europea all'Italia, del 17 per cento del consumo totale da fonti rinnovabili – che possa responsabilizzare le Istituzioni coinvolte nel raggiungimento degli obiettivi;
          c) criteri di riordino dei sistemi di incentivazione alle fonti rinnovabili, con particolare riferimento al settore elettrico, per una progressiva riduzione degli oneri e allineamento degli incentivi alle medie europee;
          d) priorità delle azioni di accompagnamento e supporto, volte a fronteggiare le barriere extra-economiche non riconducibili agli incentivi, quali lo sviluppo intelligente delle reti per la raccolta intensiva della produzione da fonti rinnovabili, la semplificazione dei procedimenti autorizzativi, l'inserimento nella programmazione nazionale e regionale dell'uso del territorio, la certificazione dei prodotti e degli installatori;
          e) rafforzamento delle politiche e degli strumenti di sostegno della ricerca tecnologica e della ricerca industriale, con priorità per le fonti con maggiore potenziale e/o con elevata possibilità di riduzione dei costi, con lo scopo di recuperare efficienza nello sfruttamento delle rinnovabili e ridurne i costi nel lungo termine;
          f) sostegno alla creazione di una industria «verde» nazionale, sia attraverso poli tecnologici avanzati, sia attraverso una rete di piccole e medie imprese diffusa sul territorio, di servizio integrato anche sul versante dell'efficienza energetica.

      Per quanto riguarda le linee guida, queste sono state emanate con il decreto ministeriale 10 settembre 2010 e definiscono il quadro normativo unitario nazionale, secondo criteri di efficienza, efficacia e trasparenza, entro cui le regioni esercitano la propria potestà legislativa e amministrativa al fine di superare la frammentazione normativa del settore, con l'obiettivo di favorire la diffusione degli impianti e salvaguardare le aree più sensibili dal punto di vista ambientale e del patrimonio paesaggistico, storico ed artistico. In tale quadro le Regioni stanno provvedendo, altresì, ad individuare siti ed aree non idonei all'insediamento di impianti.
      Il Ministero dello sviluppo economico sta quindi monitorando il recepimento e l'attuazione delle linee guida nelle diverse Regioni, con l'emanazione di atti di individuazione delle aree non idonee alla installazione degli impianti da fonte rinnovabile, anche con riferimento alle attività di cui sono titolari, o delegati gli enti locali, per poter favorire un'attuazione coordinata delle nuove disposizioni procedimentali e di inserimento degli impianti nel paesaggio e sul territorio. Il monitoraggio delle Linee Guida riguarda altresì la raccolta dei dati numerici sui procedimenti amministrativi per l'autorizzazione degli impianti, e soprattutto, le proposte regionali per il miglioramento dell'efficacia dei procedimenti amministrativi. Tale ultimo aspetto è funzionale anche all'eventuale revisione e aggiornamento delle Linee Guida. Il quadro completo della situazione verrà naturalmente definito quando le Regioni, che stanno ancora deliberando in materia, forniranno le relative informazioni.
      Per quanto riguarda il burden sharing, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.  78 del 2 aprile 2012, uno degli attesi decreti attuativi del decreto legislativo n.  28 del 2011, il decreto ministeriale 15 marzo 2012 che fissa gli obiettivi regionali per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Il citato decreto ripartisce fra le Regioni e le Province di Trento e di Bolzano la quota minima di incremento dell'energia prodotta con fonti rinnovabili, necessaria per raggiungere l'obiettivo dell'Unione europea del 17 per cento del consumo interno lordo entro il 2020. Per la definizione delle quote spettanti a ciascuna regione si è tenuto conto dell'attuale livello di produzione di energia da rinnovabili, dell'introduzione di obiettivi comunitari intermedi al 2012, 2014, 2016 e 2018 e di quanto previsto dal piano di azione nazionale per lo sviluppo delle fonti rinnovabili (PAN) che definisce gli obiettivi nazionali al 2020. Il decreto prevede un sistema di monitoraggio e di verifica del raggiungimento degli obiettivi, coordinato dal Ministero dello sviluppo economico e definisce le modalità di gestione dei casi di mancato raggiungimento degli obiettivi da parte delle Regioni e delle Province autonome.
      Inoltre, in attuazione del citato piano di azione nazionale ed in linea con le deleghe conferite con la legge n.  96 del 2010 (comunitaria 2009), è stato emanato il decreto legislativo 3 marzo 2011, n.  28, di recepimento della direttiva 2009/28/CE sulle fonti rinnovabili. Il decreto reca una serie di misure idonee ad attuare la strategia delineata dal piano attraverso l'azione combinata di una maggiore efficienza energetica e della promozione efficiente di energia da fonti rinnovabili. In particolare, sono introdotti:
          la semplificazione delle procedure autorizzative;
          la definizione dei criteri per la revisione del sistema di incentivi, senza oneri a carico della finanza pubblica, ma con conseguenze per i prezzi dell'energia e quindi per i consumatori;
          un sistema di controlli e sanzioni in materia di incentivi e di sanzioni per la violazione delle norme sulle autorizzazioni degli impianti;
          il rafforzamento dell'efficienza energetica e delle infrastrutture di rete necessarie al miglior utilizzo dell'energia rinnovabile prodotta;
          la promozione di progetti comuni con gli Stati membri e con i paesi terzi e di sistemi di collaborazione tra le Regioni, per il conseguimento degli obiettivi loro assegnati tramite il cosiddetto burden sharing.
      L'obiettivo generale del decreto legislativo è la definizione di un quadro di regole e strumenti idoneo al conseguimento degli obiettivi sulle fonti rinnovabili, da raggiungere entro il 2020, come previsto dalla direttiva 2009/28/CE.
      Sotto questo profilo, il decreto legislativo interviene in modo complessivo su diverse parti del processo che conduce alla realizzazione degli impianti, in modo da ridurre le barriere non tecniche alla diffusione delle fonti rinnovabili.
      Rispondono a questa esigenza le innumerevoli disposizioni di semplificazione degli iter autorizzativi, di sviluppo delle reti elettriche, delle smart grid, (rete cosiddetta «intelligente» per la distribuzione di energia elettrica ovvero un sistema fortemente ottimizzato per il trasporto e diffusione della stessa evitando sprechi energetici), delle reti di teleriscaldamento e delle reti del gas naturale, di regolamentazione tecnica e di sostegno alla formazione e all'informazione.
      In parallelo con tali misure, finalizzate a ridurre i costi indiretti delle fonti rinnovabili, il decreto legislativo promuove lo sviluppo tecnologico e industriale, allo scopo di favorire l'offerta di componenti e impianti e cogliere le opportunità connesse all'elevata domanda conseguente al perseguimento degli obiettivi.
      Tuttavia, il perseguimento degli obiettivi non può essere disgiunto da un processo di razionalizzazione degli strumenti, in particolar modo di quelli incentivanti, per la promozione e il sostegno delle fonti rinnovabili. Riguardo specificamente agli incentivi, il decreto ridisegna il regime di sostegno attraverso la definizione di criteri generali e specifici di riferimento per la predisposizione dei vari decreti attuativi, che disciplineranno l'incentivazione alla produzione da nuovi impianti a partire dal 2013, fatto salvo quanto si dirà per il sostegno al fotovoltaico.
      Il citato decreto legislativo prevede inoltre numerosi decreti di attuazione negli altri ambiti disciplinati ed interviene anche in materia di biocarburanti innalzandone la quota minima, entro il 2014, nella misura del 5 per cento e disponendo che dal 1° gennaio 2012 i biocarburanti immessi in consumo siano conteggiati ai fini del rispetto dell'obbligo solo a condizione che rispettino i criteri di sostenibilità.
      Per quanto concerne la definizione degli incentivi per la produzione di energia elettrica da impianti fotovoltaici è stato emanato il decreto ministeriale 6 agosto 2010 (terzo conto energia) per la rimodulazione delle tariffe incentivanti, allo scopo di promuovere la maggiore diffusione del fotovoltaico, favorendo l'integrazione architettonica e i processi di sviluppo tecnologico.
      Tuttavia, la validità del terzo conto energia, originariamente fissata fino al 2013, è stata limitata dal citato decreto legislativo n.  28 del 2011 alla produzione da impianti che sono entrati in esercizio entro il 31 maggio 2011, mentre per quelli entrati in esercizio successivamente si applica il decreto ministeriale del 5 maggio 2011 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.  109 del 12 maggio 2011) per l'incentivazione del fotovoltaico, previsto dall'articolo 25, comma 10, del decreto legislativo n.  28 del 2011.
      L'emanazione del successivo provvedimento ministeriale, cosiddetto quarto conto energia, si è resa necessaria considerato che la potenza installata avrebbe potuto superare, prima del 2013, l'obiettivo fissato al 2020, con un costo annuo degli incentivi crescente fino a oltre 6,5 miliardi di euro l'anno, per 20 anni, e con un onere per il Paese pari a circa 130 miliardi sull'intero periodo.
      Il citato decreto ministeriale 5 maggio 2011 provvede a salvaguardare gli investimenti effettuati mantenendo lo stesso livello di incentivazione per gli impianti che entrano in esercizio entro agosto 2011, a definire un sistema di controllo sulla spesa e sulla potenza installata, relativo ai grandi impianti, sulla base di criteri che privilegiano comunque gli investimenti effettuati e a ridurre gradualmente gli incentivi per un progressivo allineamento ai livelli europei, in prospettiva del raggiungimento della cosiddetta grid parity, ovvero di un insieme di condizioni economiche caratterizzate dalla coincidenza del costo del kWh fotovoltaico con il costo del kWh prodotto da fonti convenzionali, per tutte le categorie di utenti e per tutte le fasce orarie.
      Va, infatti, sottolineato che se, da un lato, la crescita del settore rientra nella politica di promozione delle energie rinnovabili, dall'altro la rapidità del ritmo di crescita e, soprattutto, un'incentivazione molto superiore a quella che sarebbe necessaria, rischiano di generare un costo sul sistema, non bilanciato da una parallela crescita di un'economia reale e da una filiera produttiva sottostante.
      Una strategia orientata, invece, a sostenere lo sviluppo del settore fino al previsto raggiungimento della cosiddetta grid parity, con strumenti efficienti e razionali, è quella che garantisce le maggiori ricadute, non solo in termini di produzione energetica, ma anche in termini industriali, sociali ed occupazionali.
      Recentemente, inoltre, sono stati concordati fra i Ministeri concertanti due schemi di decreto che attualmente sono all'esame della conferenza unificata. I due provvedimenti recano rispettivamente una nuova disciplina delle modalità di incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti fotovoltaici (cosiddetto quinto conto energia) e le modalità di incentivazione della produzione da impianti rinnovabili non fotovoltaici (decreto ministeriale Elettrico). Il nuovo regime pone le basi per uno sviluppo ordinato e sostenibile delle energie rinnovabili, allineando gli incentivi a livelli europei ed adeguandoli agli andamenti dei costi di mercato (calati radicalmente nel corso degli ultimi anni). L'intento principale del Governo è programmare una crescita dell'energia rinnovabile più equilibrata che, oltre a garantire il superamento degli obiettivi comunitari al 2020 (dal 26 per cento a circa il 35 per cento nel settore elettrico), consenta di stabilizzare l'incidenza degli incentivi sulla bolletta elettrica.
      Si fa presente, infine, che in attuazione dell'articolo 40, comma 4, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n.  28, è stato anche emanato il decreto ministeriale 14 gennaio 2012. Il decreto reca l'approvazione della metodologia che, nell'ambito del sistema statistico nazionale in materia di energia, è applicata per rilevare i dati necessari a misurare il grado di raggiungimento degli obiettivi nazionali in materia di quote dei consumi finali lordi di elettricità, energia per il riscaldamento e il raffreddamento, e per i trasporti coperti da fonti energetiche rinnovabili. Il citato decreto ministeriale è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale serie generale n.  37 del 14 febbraio 2012 – supplemento ordinario n.  28.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Claudio De Vincenti.


      ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il decreto legislativo 16 marzo 1999, n.  79 «Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica», altrimenti noto come decreto Bersani, non disciplina in alcuna parte le modalità di misura relativamente al mercato elettrico;
          la legge n.  481 del 1995 prevede all'articolo 2, comma 12, lettera c) che le autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità controllino che le condizioni e le modalità di accesso per i soggetti esercenti i servizi, comunque stabilite, siano attuate nel rispetto dei princìpi della concorrenza e della trasparenza, anche in riferimento alle singole voci di costo;
          sempre la legge 481 del 1995 prevede all'articolo 2, comma 12, lettera f) che l'Autorità di settore emani le direttive per la separazione contabile e amministrativa e verifichi i costi delle singole prestazioni per assicurare, tra l'altro, la loro corretta disaggregazione e imputazione per funzione svolta, per area geografica e per categoria di utenza evidenziando separatamente gli oneri conseguenti alla fornitura del servizio universale definito dalla convenzione, provvedendo quindi al confronto tra essi e i costi analoghi in altri Paesi, assicurando la pubblicizzazione dei dati e all'articolo 2, comma 12, lettera m) valuta reclami, istanze e segnalazioni presentate dagli utenti o dai consumatori, singoli o associati, in ordine al rispetto dei livelli qualitativi e tariffari da parte dei soggetti esercenti il servizio nei confronti dei quali interviene imponendo, ove opportuno, modifiche alle modalità di esercizio degli stessi ovvero procedendo alla revisione del regolamento di servizio di cui al comma 37;
          la legge 23 agosto 2004, n.  239, concernente «Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia prevede all'articolo 1, comma 35, che l'autorità per l'energia elettrica e il gas, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, adotti, compatibilmente con lo sviluppo della tecnologia degli apparecchi di misura, i provvedimenti necessari affinché le imprese distributrici mettano a disposizione dei propri clienti o di un operatore prescelto da tali clienti a rappresentarli il segnale per la misura dei loro consumi elettrici»;
          il decreto-legge 18 giugno 2007, n.  73, recante «misure urgenti per l'attuazione di disposizioni comunitarie in materia di liberalizzazione dei mercati dell'energia prevede che l'autorità per l'energia elettrica e il gas adotta disposizioni per la separazione funzionale, anche per lo stoccaggio di gas, secondo le direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE del Parlamento europeo e del consiglio, del 26 giugno 2003, e definisce le modalità con cui le imprese di distribuzione di energia elettrica o di gas naturale garantiscono, nel rispetto delle esigenze di privacy, l'accesso tempestivo e non discriminatorio ai dati dell'ultimo anno derivanti dai sistemi informativi e dall'attività di misura, relativi ai consumi dei clienti connessi alla propria rete, strettamente necessari per la formulazione delle offerte commerciali e la gestione dei contratti di fornitura»;
          di fatto l'attuale normativa lascia dubbi riguardo a quale sia il regime di svolgimento dell'attività di misura, e riguardo a se gli aventi interesse possano contare o meno relativamente alla misura di energia elettrica – sulle stesse garanzie di qualità del servizio che afferiscono l'attività di distribuzione;
          l'incertezza di cui al punto precedente potrebbe limitare le possibilità dell'autorità per l'energia elettrica e il gas nell'impossibilità di dare seguito ai dettami normativi previsti dalle norme primarie sopra riportate;
          ciò crea difficoltà ed incertezze agli operatori del settore come risulta dal caso di specie di seguito riportato:
              Mengozzi rifiuti sanitari è un'azienda forlivese leader in Italia nella gestione dei rifiuti provenienti da attività ospedaliere e ambulatoriali. Fulcro della sua attività è l'esercizio di un termovalorizzatore con il quale, attraverso lo smaltimento dei rifiuti viene prodotta energia elettrica che in parte viene autoconsumata, e in parte, nelle quote eccedenti, viene rivenduta al GSE nell'ambito di una convenzione stabilita ai sensi del provvedimento Cip 6/92;
              Mengozzi acquista l'integrazione di energia elettrica necessaria ai propri consumi dalla Hera s.r.l. attraverso la rete di Enel distribuzione;
              con bolletta del 27 novembre 2009 Hera invia a Mengozzi una fattura a conguaglio per l'energia acquistata nel biennio 2009/2009 fatturando oltre ai consumi effettivamente trasferiti dalla rete anche quelli relativi all'energia prodotta dalla Mengozzi stessa sia l'energia ceduta al GSE e non immessa in rete, applicando sia il prezzo dell'energia sia l'aliquota per il trasporto, servizio mai effettuato;
              alla contestazione effettuata da Mengozzi, Hera ha risposto con lettera del 2 marzo 2010 sostenendo che «le fatture di consumo di energia elettrica sopra indicate sono state emesse dai nostri sistemi in modo automatico sulla base dei dati di consumo forniti dal distributore locale competente, Enel distribuzioni Spa» e che stiamo procedendo ad eseguire le necessarie verifiche presso il distributore Enel distribuzione Spa”;
              con lettera trasmessa in data 13 aprile 2010 Hera comunicava che «relativamente alle azioni di verifica da noi intraprese presso Enel distribuzione Spa, siamo con la presente a confermarVi, allo stato, la correttezza dei dati di consumo di energia elettrica afferenti al vostro impianto in regime di Cip 6/92», avvertendo inoltre che, in caso di mancato pagamento delle fatture entro il termine indicato, «HERA Comm intraprenderà le azioni ritenute più opportune per il recupero del proprio credito, riservandosi di trasmettere alla Società di Distribuzione Locale, la richiesta di chiusura delle forniture per morosità, senza ulteriore preavviso», causando di fatto una interruzione di pubblico servizio;
              in data 26 aprile 2010 Mengozzi ha trasmesso una comunicazione ad Hera con la quale veniva ribadita la fondatezza della propria posizione anche attraverso una puntuale analisi documentale dei documenti di fatturazione e come, laddove venissero rilevate violazioni contrattuali ai sensi degli articoli 1175 e 1375 del codice civile si configurerebbero gravi profili di responsabilità da valutare anche per aspetti non solo civilistici. Contemporaneamente si chiedeva ad Enel e all'autorità per l'energia elettrica ed il gas nell'ambito delle rispettive competenze chiarimenti interpretativi allo scopo di fare chiarezza e dirimere la controversia  –:
          quali iniziative normative si intendano porre in essere per chiarire in modo esaustivo e conclusivo i dubbi interpretativi che hanno determinato questa situazione che rischia di coinvolgere decine di operatori presenti sul mercato che ne avrebbero grave danno e difficoltà nel proprio operare;
          quali iniziative si intendano porre in essere affinché alla luce di casi come quello rappresentato vengano assunte le pertinenti iniziative di carattere normativo e regolamentare e vengano tutelati e garantiti gli operatori e i clienti del settore relativamente ai princìpi di trasparenza, parità di trattamento e tutela della concorrenza, anche affinché situazioni come quelle rappresentate non abbiano a ripetersi. (4-08157)

      Risposta. — Con riferimento alle misure normative e regolamentari di cui si chiede nell'interrogazione in oggetto, si rappresenta che è compito dell'autorità per l'energia elettrica e il gas di vigilare sul corretto comportamento degli operatori, sanzionando eventuali azioni lesive dei principi di trasparenza del mercato, parità di trattamento e tutela della concorrenza.
      Occorre rilevare che la legge n.  481 del 1995, istitutiva dell'autorità di regolazione di servizi di pubblica utilità, prevedeva specifici poteri in materia di qualità dei servizi, di trasparenza delle condizioni di svolgimento dei servizi stessi nonché di valutazione dei reclami di utenti e consumatori; tali compiti sono peraltro assistiti da poteri ispettivi, inibitori e sanzionatori e gli stessi proventi delle sanzioni sono destinati ad un apposito fondo per il finanziamento di progetti a vantaggio di consumatori selezionati dal Consiglio nazionale consumatori ed utenti (CNCU).
      Come ribadito nel testo dell'articolo 44 del decreto legislativo n.  93 del 2011, spetta all'autorità decidere sui reclami presentati contro un gestore di un sistema di trasmissione, di trasporto, di stoccaggio, di un sistema GNL – gas naturale liquefatto – o di distribuzione per quanto concerne gli obblighi a tali gestori imposti in attuazione delle direttive comunitarie sui mercati interni dell'energia elettrica e del gas naturale.

      Inoltre, sempre presso l'autorità per l'energia elettrica e il gas, è attivo lo «Sportello per il consumatore di energia» previsto dall'articolo 27 della legge n.  99 del 2009, con il compito di fornire informazioni, assistenza e tutela ai clienti finali di energia elettrica e gas, mettendo a disposizione un canale di comunicazione diretto, in grado di assicurare una tempestiva risposta a reclami, istanze e segnalazioni.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Claudio De Vincenti.


      ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          con ben sette anni di ritardo, l'8 luglio 2010, in Conferenza unificata sono state approvate le «linee guida per l'autorizzazione alla costruzione degli impianti di energie rinnovabili» previste dall'articolo 12, comma 10, del decreto legislativo 387 del 2003;
          lo stesso iter relativo all'adozione delle suddette linee guida avviato dal Governo ha accumulato un ritardo tale per cui, iniziato a febbraio, si è concluso in luglio peraltro con modalità, a giudizio degli interroganti, frutto di una concertazione con la sola componente industriale in quadro che non si fa carico dei disastri già ipotecati e non pone misure cogenti di tutela del territorio e del paesaggio;
          i ritardi accumulati nell'adozione delle linee guida in materia di autorizzazione alla costruzione degli impianti di energie rinnovabili ha contribuito, congiuntamente a contributi pubblici eccessivi (pari a circa il doppio della media europea e validi per 15 anni rinnovabili con la ristrutturazione della turbina), ad una proliferazione di impianti eolici e fotovoltaici fuori controllo, con la grave compromissione di paesaggio e biodiversità su vasta scala;
          per quanto attiene all'energia eolica, secondo il dossier della LIPU-BirdLife Italia, lo sviluppo in Italia è stato tale per cui, nonostante il position paper del Governo nel 2007 avesse fissato il tetto di 10 mila megawatt a terra e 2 mila megawatt off-shore al 2020, oggi si è già maturata un'ipoteca di oltre 11mila megawatt tra impianti attivi (4.845 megawatt a fine 2009), impianti autorizzati (altri 7.674 megawatt) e pareri ambientali positivi. Senza contare gli altri 70 mila megawatt che derivano da istanze in istruttoria presso le autorità preposte;
          si tratta di uno sviluppo esponenziale che si è potuto raggiungere grazie proprio ad una sostanziale improvvisazione e nell'assenza di un'effettiva programmazione o analisi preventiva da parte dello Stato o delle regioni;
          questo gravissimo fenomeno risulta ulteriormente favorito, ad avviso degli interroganti, dal ritardo accumulato dal Ministero dello sviluppo economico che alla data del 3 settembre 2010 non ha ancora provveduto a pubblicare in Gazzetta Ufficiale il testo delle linee guida consentendo quindi l'ulteriore possibilità di guadagnare tempo a chi ha interesse ai suddetti progetti;
          secondo l'articolo 12, comma 10, del decreto legislativo 387 del 2003 «Le regioni adeguano le rispettive discipline entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore delle linee guida. In caso di mancato adeguamento entro il predetto termine, si applicano le linee guida nazionali»  –:
          quali siano le ragioni della mancata pubblicazione del testo delle linee guida per l'autorizzazione alla costruzione degli impianti di energie rinnovabili, con un ritardo record che è giunto ormai a 2 mesi;
          come si intenda rimediare agli effetti derivati dal suddetto ritardo;
          se non si ritenga a tale proposito di chiarire che tutti i progetti non ancora «autorizzati» ai sensi del decreto legislativo 387 del 2003 alla data di pubblica zione delle linee guida nazionali, sono sottoposti al provvedimento e agli atti regionali conseguenti. (4-08472)

      Risposta. — In ordine a quanto indicato nell'interrogazione in esame, si rappresenta che, in attuazione dell'articolo 12, comma 10 del decreto legislativo n.  287 del 2003, il testo delle «Linee guida per l'autorizzazione alla costrizione degli impianti di energie rinnovabili» (decreto ministeriale 10 settembre 2010) è stato adottato nella seduta della conferenza unificata dell'8 luglio 2010 su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministro per i beni e le attività culturali.
      Le suddette linee guida contengono regole e criteri unitari per lo svolgimento del procedimento di autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, in particolare, per assicurare un corretto inserimento degli impianti nel paesaggio, con specifico riguardo agli impianti eolici, cui è dedicato uno specifico allegato tecnico.
      Il testo in esame ha richiesto un'istruttoria molto articolata per il contemperamento dei molteplici e complessi interessi pubblici coinvolti, a tratti potenzialmente in conflitto fra loro, per la diversità di vedute strategiche delle varie amministrazioni pubbliche, rispetto agli obiettivi di sviluppo degli impianti rinnovabili.
      In tal senso, va ricordato che le bozze del suddetto testo predisposte nel corso delle precedenti legislature non avevano concluso l’iter di approvazione proprio per il mancato raggiungimento di una difficile sintesi delle diverse istanze. Inoltre deve evidenziarsi, che anche in assenza delle predette linee guida, il Governo ha comunque svolto un attento controllo sulla legittimità costituzionale delle legislazioni regionali difformi dalle norme statali in materia di energia e di tutela del patrimonio ambientale e culturale, come testimoniato dalle numerose impugnative, molte delle quali sfociate in pronunce di incostituzionalità.
      La ratio è stata sempre quella di tutelare il legittimo affidamento dei proponenti a veder concludere i procedimenti secondo la normativa vigente al momento della presentazione dell'istanza, solo nel caso in cui sia intervenuta la valutazione ambientale, cioè la fase più importante e decisiva dell’iter di autorizzazione.
      In attuazione di tali linee guida, le regioni, in coordinamento con il sistema normativo e pianificatorio di tutela ambientale e paesaggistica, hanno emanato provvedimenti recanti l'individuazione di aree e di siti non idonei all'installazione di specifiche tipologie di impianti e segnatamente per la tecnologia fotovoltaica ed eolica, nonché provveduto a rivisitare i loro piani energetici.
      Il Ministero dello sviluppo economico sta quindi monitorando il recepimento e l'attuazione delle linee guida nelle diverse Regioni, con l'emanazione di atti di individuazione delle aree non idonee alla installazione degli impianti da fonte rinnovabile, anche con riferimento alle attività di cui sono titolari, o delegati gli enti locali, per poter favorire un'attuazione coordinata delle nuove disposizioni procedimentali e di inserimento degli impianti nel paesaggio e sul territorio. Il monitoraggio delle linee guida riguarda altresì la raccolta dei dati numerici sui procedimenti amministrativi per l'autorizzazione degli impianti, e soprattutto, le proposte regionali per il miglioramento dell'efficacia dei procedimenti amministrativi. Tale ultimo aspetto è funzionale anche all'eventuale revisione e aggiornamento delle linee guida. Il quadro completo della situazione verrà naturalmente definito quando le Regioni, che stanno ancora deliberando in materia, forniranno le relative informazioni.
      Infine, si rappresenta che, in recepimento della direttiva 2009/28/CE concernente le fonti rinnovabili, è stato emanato il decreto legislativo 3 marzo 2011, n.  208, il quale ha previsto, tra l'altro, la riforma dei regimi di sostegno applicati all'energia prodotta da fonti rinnovabili, secondo criteri di efficienza, semplificazione e stabilità nel tempo del sistema, perseguendo al contempo l'armonizzazione con gli altri strumenti di analoga finalità e la riduzione degli oneri di sostegno in capo ai consumatori. In particolare, la predetta normativa prevede, a partire dall'anno 2013, un meccanismo di tariffa per i piccoli impianti (fino a 5 MW) e un meccanismo competitivo secondo aste per gli impianti di taglia maggiore. È stata altresì predisposta sia la previsione di requisiti di carattere generale per l'accesso agli incentivi pubblici, sia di un regime di controlli e sanzioni per violazioni della disciplina sulle autorizzazione e di accesso agli incentivi.
      Al riguardo, si rappresenta che è in corso l'adozione di due decreti preposti ad attuare una revisione del sistema di incentivazione sia per il fotovoltaico che per tutte le altre fonti per la produzione di energia elettrica, inclusa la produzione da fonte eolica; l'approccio, quindi, è quello di porre in essere una complessiva revisione che conduca i livelli di incentivo verso quelli medi europei, attraverso un processo volto a condurre il settore verso la cosiddetta «grid parity».
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Claudio De Vincenti.


      ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in Salento, tra le province di Lecce e Brindisi, si registrano da mesi denunce da parte di immigrati che si ritrovano vittime di sfruttamento nei campi del fotovoltaico del nuovo business delle energie alternative;
          notizie di stampa hanno riferito di denunce da parte di nove extracomunitari, tunisini e senegalesi – tutti muniti di regolare permesso di soggiorno – per il tramite dell'avvocato Ivana Maria Quarta, contro una società che ha la sede legale a Brindisi con un ufficio anche a Lecce;
          queste persone hanno denunciato, con indicazioni dettagliate, precise e puntuali, una retribuzione decisamente inferiore a quella promessa; un orario di lavoro assolutamente superiore a quello indicato; condizioni di lavoro disumane nei campi; incidenti accaduti anche per queste ragioni, con la minaccia di licenziamento in caso di denuncia di quanto accaduto;
          in particolare hanno riferito di lavorare dalle ore 7 alle 19 con due pause per una retribuzione di 400-500 euro, non sempre corrisposta;
          alla questura di Lecce hanno sporto denuncia anche circa 500 lavoratori contro la Tecnova, la società spagnola che ha avuto in subappalto dall'Ute, la costruzione di numerosi impianti fotovoltaici;
          la procura di Lecce ha aperto un'inchiesta per la quale l'ipotesi di reato è riduzione in schiavitù; intanto la protesta si è estesa a Brindisi, dove giorni fa gli immigrati sono scesi in piazza. E così aumenta la tensione in una vasta fetta di Puglia che è diventata la terra delle opportunità per chi vuole lanciarsi nell'affare dei pannelli solari. Basti pensare che solo nella provincia di Lecce sono stati installati 2.597 impianti;
          tra le presunte irregolarità fonte attorno al grande business del fotovoltaico, non vi sono solo gli aspetti legati alle condizioni di lavoro, ma già da qualche tempo anche richieste di autorizzazione per piccoli impianti che in realtà nasconderebbero strutture gigantesche spezzettate per non dare nell'occhio  –:
          di quali informazioni disponga il Governo in merito allo sfruttamento di lavoratori nel settore del fotovoltaico;
          se non si ritenga, per quanto di competenza, di promuovere un'ampia indagine per accertare dimensioni e cause di un simile fenomeno;
          di quali informazioni disponga il Governo in merito ad altre irregolarità nello stesso settore;
          quali iniziative di competenza si intendano promuovere per contenere quello che a tutti gli effetti sembra essere una specie di caporalato dal volto ecologico e alimentato con criteri manageriali.
(4-11495)

      Risposta. — L'atto di sindacato ispettivo in oggetto concerne lo sfruttamento di lavoratori extracomunitari ed altre problematiche, anche di natura ambientale, legate alla costruzione di impianti fotovoltaici, nelle province di Lecce e Brindisi.
      In proposito, in seguito alle informazioni acquisite dalle prefetture-uffici territoriali del Governo e dalle direzioni territoriali del lavoro delle province pugliesi coinvolte, si rappresenta quanto segue.
      In tutta la Puglia si è registrato di recente un elevato interesse imprenditoriale, sia a livello nazionale che internazionale, per l'insediamento di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili incoraggiato sia dagli incentivi di natura economica previsti dalla legislazione vigente che dalle condizioni ambientali favorevoli.
      In ragione dell'ampiezza del fenomeno, che ha visto coinvolto un numero rilevante di lavoratori nonché dei rischi connessi all'intreccio tra lavoro sommerso, caporalato e criminalità organizzata, le Prefetture competenti hanno seguito la vicenda con particolare attenzione.
      Con specifico riferimento alla provincia di Lecce, la Prefettura ha avviato un'attività di coordinamento delle Forze di Polizia con la partecipazione di rappresentanti dell'Inps, degli uffici territoriale del lavoro, dell'Inail, del servizio di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro dell'ASL, del corpo forestale dello Stato e della Polizia provinciale, che ha portato alla costituzione di un'apposita task force operativa, con il compito di porre in essere un piano straordinario di controlli congiunti presso i cantieri degli impianti fotovoltaici in fase di costruzione, sia al fine di prevenire gli infortuni sul lavoro e l'utilizzo di manodopera irregolare, che allo scopo di verificare eventuali infiltrazioni della criminalità organizzata.
      Nel corso del 2011, sono stati, quindi, effettuati numerosi controlli e accessi presso i cantieri attivi dislocati nei comuni di Poggiardo, Sanarica, Soleto, Galatone, Alessano, Trifase, Ugento, Nardò, Specchia, Leverano e Taviano.
      Tutti i controlli eseguiti hanno dato esito negativo, tranne nel caso della Società Tecnova srl, società italo-spagnola, con sede a Brindisi, che ha realizzato nel Salento diversi insediamenti, impiegando prevalentemente manodopera straniera.
      Le indagini condotte dalla squadra mobile di Lecce, in collaborazione con il nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Brindisi, hanno consentito di effettuare, il 20 aprile 2011, nove arresti in esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Lecce.
      Agli indagati, soci, amministratori e responsabili della Tecnova s.r.l., sono stati contestati, a vario titolo, i reati di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, allo sfruttamento di manodopera straniera, nonché ai reati di estorsione e truffa ai danni dello Stato.
      Per quanto riguarda più nello specifico le condizioni di lavoro dei cittadini stranieri coinvolti, dalle indagini e dalle verifiche ispettive effettuate dai competenti uffici territoriali del lavoro, è emerso che i dipendenti extracomunitari della società Tecnova erano circa 500, alcuni dei quali privi di permesso di soggiorno o con permesso scaduto ed erano costretti ad accettare condizioni di lavoro massacranti.
      Le risultanze investigative hanno, infatti, evidenziato che i capi cantiere ponevano in essere, nei confronti dei lavoratori, comportamenti gravemente vessatori, costringendoli, sotto minaccia di licenziamento, a sopportare condizioni lavorative degradanti e con retribuzioni inferiori rispetto a quelle indicate nelle buste paga, nonché prive dei contributi previdenziali.
      L'operazione di polizia ha portato anche al sequestro preventivo sia delle quote sociali che di tutte le attrezzature, i materiali ed i mezzi riconducibili alla citata società. Sono stati, inoltre, disposti sequestri preventivi nei confronti di quattro delle persone arrestate per un valore complessivo di 275.000 euro circa pari all'importo dei contributi previdenziali e assistenziali evasi.
      Nell'ambito dello stesso procedimento giudiziario, la Guardia di Finanza di Brindisi, anch'essa delegata dall'autorità giudiziaria inquirente, ha tratto in arresto altre 6 persone (5 italiani ed 1 cittadino spagnolo) per gli stessi reati.
      Le azioni ispettive realizzate dalle Direzioni territoriali del lavoro hanno, poi, evidenziato la presenza di alcuni lavoratori «in nero» e la significativa carenza di locali da adibire al ricovero e al servizio dei lavoratori, oltre ad una serie consistente di violazioni in materia di diritto del lavoro e di legislazione sociale anche con riguardo alla sicurezza sul lavoro, per cui è stata disposta la sospensione dell'attività imprenditoriale.
      In questo contesto, la società committente dei lavori, la Ute Ohl Proener, a seguito di un incontro svoltosi presso la prefettura di Lecce con la partecipazione delle diverse istituzioni locali, ha manifestato la disponibilità a regolarizzare le posizioni dei lavoratori corrispondendo le retribuzioni non versate.
      Pertanto, agli inizi del mese di maggio scorso, sono stati sottoscritti, presso le sedi delle organizzazioni sindacali di riferimento (UGL, prevalentemente, e CGIL), 406 verbali di conciliazione in sede sindacale, ai sensi della legge n.  533 del 1973. Con tali accordi sono state corrisposte ad altrettanti lavoratori (366 contrattualizzati e 40 non contrattualizzati) da parte delle ditte interessate (Energetica Wing II Srl, Apulia Renewable Energy Srl, SVI Srl, Helios 1 Srl) le spettanti competenze retributive. Solo pochissimi lavoratori, meno di una decina, avrebbero rifiutato di aderire alla conciliazione. Sono, inoltre, stati avviati incontri tecnici con il competente ufficio della sede Inps di Lecce per procedere alla regolarizzazione delle predette posizioni sotto il profilo contributivo e previdenziale.
      Anche nel territorio della provincia di Brindisi si è registrato, negli ultimi anni, un sensibile incremento di impianti fotovoltaici nel territorio di San Donaci, San Pancrazio Salentino, San Vito dei Normanni e Mesagne, che ha suscitato preoccupazioni sia dal punto di vista dell'impatto ambientale, specialmente in zone di particolare pregio paesaggistico, che sotto il profilo della repressione di fenomeni criminosi connessi allo sfruttamento delle energie rinnovabili.
      A tal fine, è stata avviata un'intensa attività investigativa nelle zone maggiormente interessate dall'installazione di impianti fotovoltaici che si è concretizzata nel sequestro preventivo di un parco fotovoltaico nel territorio di San Donaci, esteso su una superficie di circa 60.000 metri quadri, costituito da cinque impianti contigui, ciascuno di potenza inferiore ad un megawatt e formalmente appartenenti a diverse società, ma, come è emerso dalle indagini condotte dal Comando provinciale dei Carabinieri su delega della locale Procura, tutti riconducibili ad un unico impianto artatamente frazionato al fine di eludere le normative di settore, nazionali e regionali, in materia ambientale.
      L'operazione condotta ha reso possibile la denuncia a vario titolo di dieci persone per reati che vanno dalla violazione delle normative sull'energia a quelle in materia paesaggistico-ambientale ed urbanistico-edilizia.
      Gli inquirenti hanno evidenziato che alcune società aventi sede a Messina e a Roma, al fine di aggirare le previsioni della normativa vigente in materia, specie quelle connesse la valutazione di impatto ambientale, invece di porre in essere sul terreno dell'impianto di San Donaci (Brindisi) un solo impianto della potenza di cinque megawatt, hanno frazionato la potenza in cinque impianti da un megawatt.
      Infatti, mentre per gli impianti con potenza installata fino ad un megawatt è necessaria la sola dichiarazione di inizio attività, nel caso di impianti di potenza superiore, occorre attivare una più complessa procedura autorizzatoria che prevede anche la valutazione di impatto ambientale.
      In conclusione, sulla base delle informazioni raccolte, si ritiene che grazie all'intervento coordinato delle varie Forze di polizia e degli uffici territoriali preposti alla vigilanza, la vicenda abbia trovato una soluzione positiva. Inoltre, le varie autorità coinvolte hanno assicurato che le problematiche connesse all'incremento delle attività imprenditoriali nel settore delle fonti di energia rinnovabili sono state oggetto di attenzione e continuano ad essere monitorate per l'individuazione di percorsi condivisi con le parti sociali e con tutti gli attori istituzionali coinvolti al fine di scongiurare, per quanto possibile, ogni effetto negativo sia sul piano della legalità che sul piano occupazionale e della sicurezza sui luoghi di lavoro.
      Si segnala, infine, che il 16 aprile 2012, il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva comunitaria n.  52 del giugno 2009, che integra le previsioni del testo unico dell'immigrazione del 1998, al fine di determinare le sanzioni a carico dei datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.
      La direttiva comunitaria prevede sanzioni penali, proporzionate e dissuasive e meccanismi efficaci che permettono ai cittadini di Paesi terzi di presentare denuncia in casi gravi, quali violazioni costantemente reiterate, assunzione illegale di un numero significativo di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare e condizioni lavorative di particolare sfruttamento.
Il Viceministro del lavoro e delle politiche sociali: Michel Martone.


      ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in un articolo pubblicato da Repubblica il 14 aprile 2011 nelle pagine della cronaca romana si riferisce che il calcolo del numero di pullman turistici che in un'ora transita e si ferma in via della Conciliazione a Roma, a pochi metri dalla basilica di San Pietro, è stato fatto sostando all'inizio della strada dalle ore 10 alle ore 11 con il risultato che la media è di un pullman ogni 55 secondi;
          in appena sessanta minuti in via della Conciliazione sono passati 68 pullman, praticamente uno al minuto. Anzi, qualcuno di più. Di questi, 53 erano mezzi turistici, mentre gli altri 15 facevano parte della flotta degli «open bus» a due piani che girano prevalentemente nelle strade del I e del XVII municipio seguendo itinerari ad hoc, come la Roma delle fontane, quella delle chiese o quella dei principali monumenti;
          si tratta di un aumento registrato in vista della beatificazione di Papa Giovanni Paolo II il prossimo 1° maggio, per la quale, secondo dati forniti dallo stesso sindaco Gianni Alemanno, nella Capitale arriverà più di un milione di pellegrini, molti dei quali raggiungeranno la basilica di San Pietro in pullman.  Le stime ufficiali parlano di circa 5mila vetture  –:
          di quali dati disponga in merito il Governo e se siano state valutate sotto il profilo dell'ordine pubblico le problematiche descritte in premessa. (4-11664)

      Risposta. — La beatificazione di Papa Giovanni Paolo II – avvenuta il 1° maggio 2011 – ha rappresentato un evento di forte rilevanza mediatica e la sua organizzazione ha richiesto una particolare attenzione sia per la grande partecipazione di fedeli (circa 1.500.000) e di alte personalità italiane e straniere, sia per la sua concomitanza con la manifestazione musicale del 1° maggio in Piazza San Giovanni.
      Per assicurare i massimi standard di sicurezza e, contemporaneamente, consentire il tranquillo svolgimento della cerimonia di beatificazione, sono state emanate specifiche disposizioni di servizio attraverso le quali sono stati ulteriormente potenziati i servizi di prevenzione e rafforzati i dispositivi di vigilanza e controllo del territorio.
      Per i giorni compresi tra il 30 aprile e il 2 maggio, sono state assegnate all'autorità provinciale di pubblica sicurezza della capitale 1800 unità di rinforzo dei reparti organici delle Forze di polizia. Altre 200 unità di rinforzo hanno concorso giornalmente nei dispositivi di prevenzione, vigilanza e sicurezza pianificati dall'ispettore di P.S. «Vaticano».
      La cerimonia religiosa ha avuto luogo senza alcun incidente o turbativa per l'ordine e la sicurezza pubblica.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo De Stefano.


      ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          da un articolo del 29 agosto 2011 pubblicato dal quotidiano La Nuova del Sud dal titolo «Pertusillo da svuotare e pulire» emerge che «i fondali sarebbero sporchi con tonnellate di materiale sedimentato che, a fasi alterne, diventa veleno per i pesci e per l'acqua. Metalli pesanti depositati sui fondali, come alluminio, ferro e piombo» una situazione per la quale occorre procedere addirittura allo svuotamento per pulirlo;
          ancora nel gennaio 2010, Maurizio Bolognetti, segretario dell'associazione Radicali Lucani e membro della direzione di Radicali italiani, a seguito di analisi autonomamente condotte aveva pubblicamente denunciato la presenza nelle acque del Pertusillo di bario (una sostanza utilizzata dalle industrie petrolifere) e altre sostanze tossiche, in concentrazioni superiori ai limiti di legge;
          l'acqua del Pertusillo viene utilizzata per il 65 per cento dalla regione Puglia (prevalentemente ad uso potabile) e per la restante parte dalla Basilicata (prevalentemente ad uso irriguo);
          per aver reso pubblici i risultati di alcune analisi inerenti le acque invasate nelle principali dighe lucane e aver sollevato dubbi sulla qualità delle stesse, Bolognetti era stato sottoposto ad indagini, insieme al tenente Giuseppe di Bello, per «rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio», con tanto di perquisizione disposta dalla procura di Potenza presso la sua abitazione a Latronico che è anche la sede dell'Associazione radicali lucani, al fine di conoscere le sue fonti e per poter acquisire un carteggio di posta elettronica;
          dai controlli effettuati da parte dell'Arpa Basilicata a seguito della comparsa di alghe e di una moria di pesci avvenuta nel maggio 2010, è emerso che i parametri microbiologici non hanno subito variazioni significative rispetto a quelli ottenuti dall'attività di monitoraggio istituzionale svolta precedentemente alla comparsa del fenomeno algale;
          le attività di controllo della qualità delle acque dell'invaso del Pertusillo, hanno avuto avvio in virtù del decreto del Presidente della Repubblica n.  515 del 1982 e risale a quell'epoca la classificazione delle acque del Pertusillo nella categoria A2, che prevedeva un trattamento fisico e chimico normale e disinfezione, ma, come già portato all'attenzione del Governo con l'interrogazione 5-02477, con rilevazioni di scadimento delle acque dall'anno 2001 che passano dalla categoria A2 alla A3 (BUR Basilicata n.  25 del 20 aprile 2004) con l'ARPAB che dichiarava che era evidentemente «auspicabile disporre di acque di qualità migliore per le quali si hanno fasi di processo più semplici, minor produzione di sottoprodotti (tipicamente fanghi) e, in definitiva, costi di trattamento complessivamente più bassi»;
          sempre nel 2001, come evidenziato anche con interrogazione 5-03182 documenti della Metapontum Agrobios, riportavano analisi chimiche condotte sulle acque e sui sedimenti di 11 siti individuati lungo l'asta fluviale del fiume Agri e di un rischio potenziale di inquinamento dovuto alla presenza di scarichi civili non correttamente depurati e alla presenza di scarichi industriali. Inoltre nello stesso documento la Metapontum segnalava relativamente agli idrocarburi policiclici aromatici che «Sono state ricercate 21 sostanze appartenenti alla famiglia degli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) sia nelle acque che nei sedimenti, ma mentre nelle acque sono stati riscontrati valori tutti al di sotto dei limiti di rilevabilità, nei sedimenti si è riscontrato presenza di IPA soprattutto nei sedimenti della diga del Pertusillo (Vs01) e meno in Agri Villa D'Agri (Vs10) e nel canale depuratore zona industriale (Vs07). Gli IPA più diffusi sono stati il fenantrene, il fluorantene il crisene ed il pirene, anche se nella diga sono state ritrovate tracce di benzo[a]antracene e benzo[a]pirene»;
          a seguito dell'allarme destato nel 2010 per la comparsa nel Pertusillo di un fenomeno algale e di una moria di pesci, l'ARPAB ha effettuato una serie di campionamenti che hanno portato l'ente di controllo ambientale regionale ad ipotizzare che tale situazione derivasse, fondamentalmente da scarichi fognari e/o di impianti di depurazione, di scarichi di aziende produttive, in particolare zootecniche ed agroalimentari;
          successivamente, è stato elaborato, un progetto denominato «Valutazione dello stato ecologico del lago Pertusillo» approvato dalla giunta regionale della Basilicata con D.G.R. n.  2013 del 30 novembre 2010, condotto in collaborazione con l'Istituto superiore di sanità e con l'Istituto zooprofilattico di Foggia con l'obiettivo della caratterizzazione dello stato ecologico del Pertusillo, la formulazione di ipotesi gestionali e di misure di mitigazione degli impatti antropici eventualmente riscontrati, la valutazione di eventuali rischi per la salute della popolazione eventualmente esposta a ciano tossine ed un rapporto dettagliato dei risultati ottenuti e relative elaborazioni grafiche e cartografiche;
          su delega della procura della Repubblica di Potenza, sono state compiute indagini del Noe e del NIPAF-Corpo Forestale dello Stato di Potenza sulle cause di inquinamento dell'invaso. Sono in corso di espletamento, in particolare, sopralluoghi presso gli insediamenti industriali della zona con relativi campionamenti ed analisi di possibili inquinanti nonché controlli sulle acque di scarico dei singoli impianti di depurazione e, contestualmente, sulla corretta gestione e manutenzione degli stessi;
          il memorandum recentemente siglato tra Stato e regione Basilicata prevede il passaggio dell'estrazione di petrolio da 80.000 a 120/130.000 barili al giorno in Val d'Agri  –:
          se sia vero quanto riferito in premessa ed in particolare come spieghi il Governo la presenza di tonnellate di materiale sedimentato nel Pertusillo con metalli pesanti depositati sui fondali, come alluminio, ferro e piombo;
          quali esiti abbia avuto l'attività del progetto «Valutazione dello stato ecologico del lago Pertusillo» condotto in collaborazione con l'Istituto superiore di sanità;
          se sia noto quali insediamenti industriali della zona siano stati oggetto delle indagini del Noe e quali siano stati gli esiti;
          quali azioni si intendano promuovere per assicurare la tutela della salute e dell'ambiente a fronte della sempre più grave situazione che emerge sullo stato delle acque Pertusillo e in vista del raddoppio dell'attività estrattiva in Val d'Agri. (4-13109)

      Risposta. — In merito alla situazione del lago del Pertusillo, l'Istituto superiore di sanità ha inteso precisare che i sedimenti sono parte integrante degli ecosistemi acquatici e costituiscono una fonte di vita necessaria per la salute degli stessi ecosistemi.
      Tuttavia, i sedimenti possono essere anche siti di accumulo di molte sostanze chimiche e microbiologiche, le quali a determinate concentrazioni sono in grado di causare impatti negativi, come la perdita di biodiversità, e potenziali rischi per la salute umana.
      L'entità dell'impatto dei sedimenti contaminati è spesso sconosciuta, e molti fattori influenzano gli effetti sul biota acquatico ed il loro trasferimento attraverso la catena trofica e della salute umana. Vi è quindi la necessità sia di definire su base scientifica i sedimenti attraverso standard di qualità, test ecotossicologici ed ecosistemici sia di individuare, attraverso una valutazione dedicata, i valori di fondo per la definizione degli obiettivi di ripristino e gestione dell'ambiente acquatico.
      È chiaro che il trasferimento dei contaminanti dai sedimenti alla colonna d'acqua, attraverso processi di diffusione e di risospensione, è un fattore importante.
      L'ente parco appennino Lucano – Val D'Agri – Lagonegrese ha effettuato, per mezzo dell'Istituto nazionale biosistemi e biostrutture, dal luglio 2010 al gennaio 2011, una serie di rilevazioni sull'acqua e sui sedimenti del lago Pietra del Pertusillo, dalle quali risultano una diffusa, anche se non forte, sussistenza di batteri fecali ed una importante presenza di composti dell'azoto, entrambe dovute alla probabile esistenza di una serie di scarichi puntiformi e diffusi: inoltre, è stata rilevata la presenza di interferenti endocrini, corrispondenti probabilmente ad un insieme di pesticidi e fertilizzanti da pratiche agricole, pervenuti al lago tramite gli affluenti nel periodo immediatamente antecedente il luglio 2010, e scomparsi nei mesi successivi.
      In merito agli esiti delle attività del progetto «Valutazione dello stato ecologico del Lago Pertusillo,» l'Istituto superiore di sanità ha precisato che a seguito degli episodi di morie ittiche e fioriture dell'alga Ceratium hirundinella nel maggio 2010, è stato investito dalle competenti autorità regionali ad esprimere parere tecnico sia sulla fioritura algale nel lago del Pertusillo che sulla segnalazione di danni al patrimonio ittico e zooplanctonico del lago stesso.
      l'istituto è stato inoltre contattato dalla direzione dell'Azienda regionale per la protezione dell'ambiente (ARPA) della regione Basilicata per la stipula di un accordo di ricerca che garantisse l'addestramento del personale ARPA e la supervisione dell'istituto stesso sui controlli e sulle indagini da svolgere per gestire le emergenze dovute allo stato trofico del lago, e per pianificarne il risanamento.
      L'accordo, denominato «Studio di caratterizzazione tossicologica e relativo monitoraggio di specie algali e cianobatteriche tossiche nelle acque del Lago Pertusillo» è operativo finanziariamente dal settembre 2011.
      Come primo risultato delle attività sono state acquisite tutte le analisi ARPA pertinenti alle acque del lago dal maggio 2011; è stata inoltre pianificata una rete di stazioni di campionamento, ai fini di individuare eventuali immissioni nel lago di nutrienti influenzanti il grado di trofia, grado che in base alle evidenze note attualmente risulta meso-eutrofico.
      Esaminando i dati raccolti dall'ARPA sull'ossigeno disciolto, è di chiara evidenza che le morie ittiche segnalate in maggio e a fine agosto 2011 non erano dovute a stati anossici del lago, con eccezione dei suoi fondali, e quindi non possono essere imputate a fenomeni putrefattivi di grande estensione.
      In merito agli insediamenti industriali della zona, la provincia di Potenza ha disposto un censimento totale degli scarichi.
      Riguardo alle azioni da promuovere per assicurare la tutela della salute e dell'ambiente a fronte della situazione delle acque del Pertusillo, alla luce delle acquisizioni scientifiche e delle esperienze internazionali conosciute l'istituto esclude la fattibilità dell'ipotesi di asportare l'intero letto sedimentario del lago Pietra del Pertusillo.
      Questi sistemi, sperimentati in alcuni laghetti svedesi, sono applicabili solo a corpi d'acqua con volumi trattabili, in genere non più grandi di stagni.
      Ulteriore motivo di esclusione è la localizzazione della presenza di metalli ed idrocarburi in punti particolari del lago, senza apparente diffusione generalizzata; il tutto sembra suggerire apporti provenienti da affluenti, più che dalla falda idrica. Analisi compiute nel maggio 2011 su un campione di acqua del lago dall’«Associazione per la tutela dell'ambiente e della salute» presso un laboratorio accreditato, hanno rilevato la presenza di una forte quantità di alluminio, ferro e idrocarburi totali.
      Campioni prelevati da ARPA nel luglio 2011 in punti diversi hanno mostrato alte quantità di idrocarburi totali.
      Gli apporti incontrollati di nutrienti appaiono chiari e riconosciuti: la regione Basilicata e la provincia di Potenza hanno già pianificato programmi di rinnovamento dei depuratori comunali e di storno degli scarichi dal lago.
Il Ministro della salute: Renato Balduzzi.


      ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          Ryszard Lechowicz, un operaio di 37 anni, polacco, è morto intorno alle diciotto del 26 ottobre 2011 nell'area di Villavalle, parte del sito delle acciaierie ThyssenKrupp, a Terni;
          secondo l'autopsia eseguita dal medico legale nominato dalla procura e secondo quanto ha riferito il consulente nominato dalla famiglia della vittima, l'operaio è morto per asfissia meccanica violenta e acuta a seguito del seppellimento dell'uomo da parte di materiale argilloso;
          si tratta del fango che Ryszard Lechowicz doveva scaricare nella discarica Ast, a Villa Valle, e che trasportava su di un camion ora oggetto di perizia poiché gli investigatori, dopo aver accertato che è stato spostato, vogliono avere un quadro preciso del suo funzionamento;
          le indagini riguardano anche il lasso di tempo, quasi due ore, trascorso tra il momento dell'incidente e la telefonata al 113  –:
          se e quali iniziative di competenza intenda promuovere in merito all'accaduto sia per chiarire la dinamica dell'incidente sia per verificare che siano state rispettate tutte le norme a difesa della salute e della sicurezza sul lavoro a partire dal protocollo sulla sicurezza siglato in prefettura nell'aprile 2010 con la Thyssen;
          se siano al vaglio iniziative, e nel caso quali siano, per una maggior sicurezza che possa interessare tutti i lavoratori di quella zona. (4-13829)

      Risposta. — L'interrogazione parlamentare in esame si riferisce all'infortunio mortale sul lavoro occorso il 26 ottobre 2011 al signor Jerzy Ryszard Lechowicz dipendente della società Eco.Ter. s.r.l. di Terni, appaltatrice del servizio di trasporti rifiuti all'interno dello stabilimento Thyssen-Krupp Acciai Speciali Terni.
      Nel rispondere al primo quesito, ci si limiterà in questa sede, a riportare gli elementi informativi acquisiti presso la direzione territoriale del lavoro di Terni, nonché quelli forniti dall'Inail.
      Dagli accertamenti compiuti e dalle dichiarazioni acquisite è emerso che il signor Jerzy Ryszard Lechowicz era assunto dalla predetta società con la qualifica di autista, con contratto full time a tempo determinato dal 13 giugno al 31 ottobre 2011. E emerso, inoltre, che il giorno dell'infortunio il signor Lechowicz, secondo le istruzioni impartitegli dal datore di lavoro, avrebbe dovuto effettuare, in turno con altri lavoratori ed utilizzando un camion di proprietà della stessa società, trasporto di materiale presso la discarica della Thyssen-Krupp situata in località Villa Valle di Terni. Dalla ricostruzione dei fatti effettuata dall'amministratore delegato della società Eco.Ter. è emerso, altresì, che alle 17,30 circa il lavoratore è uscito dallo stabilimento della Thyssen-Krupp alla guida del camion e dopo circa dieci minuti è giunto presso la portineria della discarica; da qui, dopo aver percorso un chilometro all'interno della citata discarica, è giunto all'area di scarico, su ciò che è accaduto successivamente non si hanno notizie certe.
      L'allarme è stato lanciato, infatti, solo quando nell'area è sopraggiunto un collega dell'infortunato il quale ha riscontrato la presenza del mezzo di trasporto ma nessuna traccia del signor Lechowicz. Dopo l'attivazione della procedura di emergenza sono state avviate le ricerche all'esito delle quali veniva ritrovato il corpo del signor Lechowicz sepolto da un cumulo di fanghi industriali.
      L'amministratore delegato della Eco.Ter s.r.l. ha precisato che al momento del ritrovamento il camion era ancora carico e, per cause ancora in corso di accertamento, il signor Lechowicz ne aveva scaricato soltanto un quantitativo minimo.
      Sul luogo dell'incidente sono intervenute, inoltre, la Polizia di stato della locale questura che ha sequestro il veicolo e l'Asl 4 di Terni. Si precisa, che per l'accertamento delle cause e delle responsabilità dell'incidente è aperto un procedimento penale presso la competente Procura della Repubblica.
      Per quanto riguarda l'erogazione delle prestazioni dovute per tale infortunio mortale, la sede Inail competente, in base alle risultanze istruttorie, ha costituito la rendita in favore del coniuge del lavoratore ed ha corrisposto l'assegno funerario, ai sensi dell'articolo 85 del decreto del Presidente della Repubblica n.  1124 del 1965. La stessa sede ha provveduto alla erogazione del beneficio a carico del Fondo per le vittime di gravi incidenti sul lavoro.
      Si precisa, infine, che nello scorso mese di gennaio si è svolta una riunione del N.O.I. (Nucleo Operativo Integrato) per verificare il rispetto degli impegni assunti dalla società con la sottoscrizione del protocollo di intesa sulla sicurezza – siglato in prefettura nell'aprile del 2010 – nell'ambito degli appalti e dei subappalti dei lavori presso lo stabilimento della Thyssen-Krupp.
      Nel rispondere all'ultimo quesito posto nell'interrogazione in esame, occorre precisare che il tema della prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali costituisce obiettivo strategico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'Inail, nell'ottica del tendenziale azzeramento del fenomeno infortunistico e tecnopatico.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, infatti, intende perseguire la promozione di comportamenti rispettosi delle norme di legge applicabili in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed efficaci in funzione prevenzionistica, sia completando l'attuazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81 (testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) e s.m.i., sia favorendo ogni iniziativa promozionale idonea a determinare un accrescimento delle conoscenze in materia di salute e sicurezza nelle aziende, nei lavoratori e negli studenti, con particolare attenzione all'aspetto della formazione.
      In relazione allo specifico e gravissimo problema degli infortuni sul lavoro si rende necessario intervenire sulla formazione-informazione dei lavoratori e delle imprese, nonché sulla prevenzione e sul rafforzamento dei controlli da parte degli enti preposti, al fine di promuovere una consapevolezza sempre più ampia sulle esigenze della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è attivamente impegnato su tali fronti, nell'intento precipuo di favorire il dialogo e la collaborazione fra tutti i soggetti interessati, istituzionali e sociali, al fine di ridurre gli incidenti e le malattie professionali e la diffusione di sempre più elevati standards di sicurezza nei luoghi di lavoro. L'esistenza in concreto di una efficace strategia di contrasto al fenomeno infortunistico non passa solo attraverso il completamento, mediante le fonti di rango secondario previste dal decreto legislativo n.  81 del 2008, del quadro giuridico di riferimento, ma anche attraverso la realizzazione di una serie di azioni pubbliche e private dirette a migliorare la prevenzione e i livelli di tutela in tutti gli ambienti di lavoro.
      Per tale ragione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sta attivando ogni possibile sinergia con soggetti pubblici e privati, al fine di migliorare «l'impatto» delle rispettive attività in termini di efficacia.
      In tale ottica si colloca, ad esempio, la definizione, con accordo in conferenza Stato -Regioni del 20 novembre 2008, dei criteri di impiego e l'attivazione delle somme (pari a 50 milioni di euro) di cui all'articolo 11, comma 7, del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, da destinare in favore di attività promozionali della salute e sicurezza, tra le quali una campagna di comunicazione (per complessivi 20 milioni di euro) sulla salute e sicurezza sul lavoro ed attività di formazione su base regionale (per complessivi 30 milioni di euro).
      Con il decreto correttivo n.  106 del 2009 si è poi consentito il superamento delle difficoltà operative da più parti evidenziate nel corso dei primi mesi di applicazione del testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, perfezionando, in tal modo, il quadro normativo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e rendendolo, oltre che pienamente coerente con le normative internazionali e comunitarie in materia, idoneo a costituire il fondamento giuridico della strategia di contrasto al fenomeno infortunistico.
      L'imprescindibile finalità delle misure varate resta quella di rendere maggiormente effettiva la tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro secondo linee di azione consistenti, tra l'altro, nel miglioramento dell'efficacia dell'apparato sanzionatorie al fine precipuo di assicurare una migliore corrispondenza tra infrazioni e sanzioni.
      A tale scopo si tiene conto dei compiti effettivamente svolti da ciascun attore della sicurezza, favorendo l'utilizzo di procedure di estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi mediante regolarizzazione da parte del soggetto inadempiente. La sanzione penale è riservata ai soli casi di violazione delle disposizioni sostanziali e non di quelle meramente formali (come, ad esempio, la trasmissione di documentazione, notifiche, eccetera).
      Tutti gli interventi proposti garantiscono, in ogni caso, il rispetto dei livelli di tutela oggi assicurati ai lavoratori e alle loro rappresentanze in qualsiasi ambiente di lavoro e in tutto il territorio nazionale, nonché l'equilibrio delle competenze tra lo Stato e le Regioni in materia.
      Il risultato finale dell'intervento legislativo di riforma potrà comunque compiutamente apprezzarsi una volta che verrà completata l'emanazione di provvedimenti attuativi del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, di grande rilevanza e impatto sulle aziende e sui lavoratori.
      Molte delle iniziative dirette alla attuazione delle disposizioni del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro sono devolute dal legislatore alla Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro (ex articolo 6 del decreto legislativo 81 del 2008), composta, in maniera paritaria e tripartita, da rappresentanti delle amministrazioni pubbliche centrali competenti in materia, delle Regioni, dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro.
      Ricostituita con decreto ministeriale del 3 dicembre 2008, la commissione ha costituito al suo interno nove gruppi «tecnici» di lavoro, nei quali è garantita la presenza paritetica di rappresentanti delle amministrazioni pubbliche (comprese le regioni) e delle parti sociali, per affrontare, in tali sedi, gli argomenti attribuiti dalla legge alla Commissione (ad esempio l'elaborazione di linee metodologiche per la valutazione dello stress lavoro-correlato, l'individuazione delle regole di funzionamento della cosiddetta «patente a punti» per gli edili) e per i quali si prevedono attività finalizzate alla attuazione del testo unico in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
      Tali gruppi si sono regolarmente insediati e svolgono con continuità le attività ad essi attribuiti. All'esito delle attività istruttorie compiute in tali consessi, sono stati elaborati documenti di notevole importanza per gli operatori della salute e sicurezza sul lavoro e altri sono di prossima emanazione.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha completato talune ulteriori attività previste dal decreto legislativo n.  81 del 2008, tra le quali occorre ricordare:
          la predisposizione, in data 17 novembre 2010, delle indicazioni per la valutazione dello stress lavoro-correlato (articolo 28, comma 1-bis, del «testo unico») da parte della Commissione consultiva per la salute e sicurezza sul lavoro, con avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.  304 del 30 dicembre;
          la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n.  159 dell'11 luglio 2011 del decreto interdipartimentale del 13 aprile 2011, recante: «disposizioni in attuazione dell'articolo 3, comma 3-bis, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.  81, come modificato ed integrato dal decreto legislativo 3 agosto 2009, n.  106 in materia di salute e sicurezza sul lavoro» che disciplina le particolari modalità di svolgimento delle attività delle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n.  381, delle organizzazioni di volontariato della protezione civile, compresi i volontari della Croce rossa italiana e del Corpo nazionale soccorso alpini e speleologico, e i volontari dei vigili del fuoco;
          la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n.  98 del 29 aprile 2011 – supplemento ordinario n.  111 – del decreto interministeriale dell'11 aprile 2011 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero della salute e con il Ministero dello sviluppo economico, che disciplina le modalità di effettuazione delle verifiche periodiche di cui all'allegato VII del decreto legislativo del 9 aprile 2008, n.  81, nonché i criteri per l'abilitazione dei soggetti di cui all'articolo 71, comma 13, del medesimo decreto legislativo;
          la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n.  60 del 12 marzo 2012 – supplemento ordinario n.  47 – dell'accordo, ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo n.  281 del 28 agosto 1997 tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, stipulato il 22 febbraio 2012, concernente l'individuazione delle attrezzature di lavoro per le quali è richiesta una specifica abilitazione degli operatori, nonché le modalità per il riconoscimento di tale abilitazione, i soggetti formatori, la durata, gli indirizzi ed i requisiti minimi di validità della formazione, in attuazione dell'articolo 73, comma 5, del decreto legislativo n.  81 del 9 aprile 2008, e successive modifiche e integrazioni;
          la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n.  83 dell'11 aprile 2011 del decreto del 4 febbraio 2011 «Lavori su impianti elettrici ad alta tensione» a firma del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro della salute, che definisce i criteri per il rilascio delle autorizzazioni alle aziende che effettuano lavori sotto tensione, in attuazione dell'articolo 82, comma 2, del Decreto Legislativo n.  81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni;
      l'istituzione, con decreto interministeriale del 27 maggio 2011 (pubblicato sul Bollettino Ufficiale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n.  6 del 30 giugno 2011), del Comitato consultivo per la determinazione e l'aggiornamento dei valori limite di esposizione professionale e dei valori limite biologici relativi agli agenti chimici previsto dall'articolo 232, comma 1, del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n.  81 e successive modificazioni e integrazioni.
      Merita menzione, inoltre, il decreto interministeriale recante regole tecniche per la realizzazione ed il funzionamento del sistema informativo nazionale per la prevenzione (SINP), ai sensi dell'articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 2008 n.  81 e successive modificazioni e integrazioni.
      Il sistema informativo nazionale per la prevenzione, in particolare, mira a fornire dati utili per orientare, programmare, pianificare e valutare l'efficacia della attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, relativamente ai lavoratori iscritti e non iscritti agli enti assicurativi pubblici, nonché per indirizzare le attività di vigilanza, attraverso l'utilizzo integrato delle informazioni disponibili negli attuali sistemi informativi, anche tramite l'integrazione di specifici archivi e la creazione di banche dati unificate.
      Su tale decreto è stato acquisito il parere favorevole della (Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, regioni e province autonome di Trento e di Bolzano e, allo stato, si è in attesa dell'espressione del parere da parte del Consiglio di Stato.
      Inoltre, nella medesima conferenza si sono perfezionati gli accordi concernenti gli articoli 34 e 37 del testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro che disciplinano, rispettivamente, la formazione del datore di lavoro, che svolge in proprio compiti di prevenzione e protezione, e la formazione dei lavoratori, preposti e dirigenti. Tali accordi sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n.  8 dell'11 gennaio 2012.
      In ordine alle iniziative in materia di lavorazioni in «ambienti confinati», si evidenzia che nella Gazzetta Ufficiale n.  260 dell'8 novembre 2011 è stato pubblicato il decreto del Presidente della Repubblica n.  177 del 14 settembre 2011 recante: «Norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati», a norma dell'articolo 6, comma 8, lettera g) del decreto legislativo n.  81 del 2008.
      Il decreto è frutto di un lavoro che ha coinvolto Stato, Regioni e Parti Sociali nell'intento, da tutti condiviso, di predisporre misure innovative ed efficaci a contrasto al fenomeno degli infortuni, gravissimi per numero e drammatici per modalità, verificatisi, negli ultimi anni, nei lavori in ambienti cosiddetti «confinati», quali silos, cisterne e simili.
      Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali persegue l'obiettivo della riduzione del fenomeno infortunistico anche perseguendo la massima efficacia delle attività di vigilanza sui luoghi di lavoro di propria competenza. In tali ambiti, ed in primo luogo nell'edilizia, è stata da tempo fornita alle strutture amministrative di riferimento l'indicazione di realizzare, innanzitutto, le attività dirette a perseguire le violazioni in materia di salute e sicurezza più gravi, in quanto in grado di mettere in pericolo la vita dei lavoratori. Tale impostazione ha consentito di raggiungere risultati molto soddisfacenti.
      Infine, va ricordato come il Ministero del lavoro e delle politiche sociali abbia predisposto e messo a disposizione dell'utenza una sezione del sito internet specificamente dedicata alla diffusione di notizie e pubblicazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
      Tutto quanto sin qui esposto consente di affermare come la riforma delle regole volte a tutelare la salute e sicurezza sul lavoro abbia fornito l'Italia di un sistema di regole moderno e sistematicamente coeso, suscitando un interesse, finalmente non più solo specialistico, sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro che costituisce, a sua volta, un importante punto di partenza per l'abbattimento del numero e della gravità degli infortuni.
Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali: Elsa Fornero.


      ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          nonostante l'annuncio del Governo giapponese, alla fine del 2011, che i liquidatori della Tokyo electric power company (Tepco) erano riusciti ad ottenere l'arresto a freddo dei tre reattori danneggiati, i bacini di stoccaggio delle scorie sono ancora a rischio, in particolare per l'instabilità della piscina di raffreddamento del reattore 4, dove il combustibile esaurito ha 10 volte più cesio-137 radioattivo di quello scaricato nell'atmosfera dalla tragedia nucleare di Chernobyl nel 1986; come riferisce anche il sito www.greereport.it la piscina di stoccaggio del combustibile esaurito del reattore 4 è stata danneggiata da due incendi e il livello dell'acqua era calato così tanto da mettere a nudo le barre stoccate al suo interno. Nessuno sa ancora quali siano i veri livelli di radiazione e di perdita di acqua ma molti esperti temono che un'ulteriore esposizione e il contatto con l'aria portino l'acqua della piscina in ebollizione, con una nuova minaccia di esplosioni di idrogeno del tipo di quelle che hanno già distrutto gli edifici del reattore, per non parlare dei danni ai rivestimenti delle barre di combustibile e dei rilasci di radiazioni;
          il senatore statunitense Roy Wyden, dopo la sua visita alla centrale nucleare di Fukushima Daiichi il 6 aprile 2012, in un comunicato stampa ha denunciato il rischio catastrofico dell'unità 4 di Fukushima Daiichi, chiedendo un intervento urgente del governo Usa ed ha anche inviato una lettera ad Ichiro Fujisaki, ambasciatore del Giappone negli Usa, chiedendo al Giappone di accettare l'aiuto internazionale per affrontare la crisi;
          esperti nucleari statunitensi e giapponesi come Arnie Gundersen, Robert Alvarez, Hiroaki Koide, Masashi Goto e diplomatici giapponesi come Mitsuhei Murata, ex ambasciatore giapponese in Svizzera e Akio Matsumura, un ex diplomatico Onu, insieme a 73 Ong giapponesi hanno rivolto un appello al Segretario Generale dell'Onu Ban Ki-moon per denunciare, da un lato, la gravità della situazione e la mancanza di informazione alla cittadinanza da parte del Governo giapponese e per proporre, dall'altro, che le Nazioni Unite organizzino un vertice per la sicurezza nucleare che si occupi del problema della piscina del combustibile nucleare esaurito dell'unità 4 di Fukushima Daiichi ed istituiscano un team indipendente di valutazione relativo all'unità 4 di Fukushima Daiichi coordinando l'assistenza internazionale al fine di stabilizzare il combustibile nucleare esaurito dell'unità ed evitare conseguenze radiologiche, con conseguenze potenzialmente catastrofiche; a giudizio degli interroganti, anche di fronte alla reticenza del Governo giapponese si rende necessario un intervento tecnico-scientifico internazionale per prevenire un le conseguenze irreversibili di una catastrofe che potrebbe influenzare le generazioni a venire  –:
          quali iniziative si intendano intraprendere nei confronti del Governo giapponese perché accetti una collaborazione internazionale nella soluzione delle persistenti problematiche dell'impianto di Fukushima Daiichi. (4-15937)

      Risposta. — La condizione di fermo a freddo delle unità 1-3 e delle piscine di stoccaggio del combustibile irraggiato delle unità 1-4 dell'impianto di Fukushima-I è stata dichiarata ufficialmente dal primo ministro giapponese Noda lo scorso 16 dicembre. Tale situazione implica da un lato che i reattori nucleari e le relative piscine sono raffreddati in modo continuo e stabile, mantenendo la temperatura costantemente al di sotto di 100 gradi centigradi, dall'altro che le residue emissioni di radioattività nell'ambiente sono estremamente limitate e tali da non comportare una dose cumulativa annua per la popolazione (al di fuori del perimetro della centrale) superiore a 1 millisievert.
      Nonostante alcune critiche rivolte alle Autorità giapponesi riguardo la definizione stessa di arresto a freddo riferita ad un impianto che ha subito un grave incidente, da quella data non si sono verificati eventi o risultanze che abbiano comportato una revisione o una messa in discussione della condizione di stabilità di Fukushima-I.
      Secondo le analisi e le verifiche effettuate dalla Tokyo Electric Power Company (TEPCO), operatore dell'impianto di Fukushima-I, e vali date dalla Nuclear and Industrial Safety Agency (NISA) presso il Ministero dell'economia, del commercio e dell'industria (METI), il combustibile nucleare irraggiato della piscina di stoccaggio dell'unità 4 è sempre rimasto immerso in acqua. Con ispezioni visive si è, inoltre, potuto verificare che gli elementi di combustibile non sono stati danneggiati né dalla sospensione temporanea del sistema di raffreddamento, verificatasi l'11 marzo 2011 in conseguenza dello tsunami, né dalla detonazione di idrogeno che ha avuto luogo nella parte superiore di tale unità, il successivo 15 marzo. La piscina è attualmente raffreddata in modo stabile e mantenuta ad una temperatura di circa 30 gradi centigradi.
      Analisi e verifiche strutturali portano le autorità competenti a concludere che la piscina dell'unità 4 è in grado di resistere a terremoti della stessa intensità di quello verificatosi l'11 marzo 2011 (magnitudo 9.0 e intensità «6-superiore» della scala giapponese JMA registrata a Fukushima-I, corrispondente ai gradi X-XI della Scala Mercalli), con un margine di sicurezza incrementato del 20 per cento in seguito ad un intervento di rafforzamento della struttura di supporto completato nel luglio 2011.
      Tutte queste considerazioni relative allo stato di sicurezza della piscina di stoccaggio dell'unità 4 sono state confermate da un'ispezione recentemente condotta in situ dall'onorevole Ikko Nakatsuka, Vice-Ministro presso il Cabinet Office, il quale l'ha illustrata ad una conferenza stampa presso il foreign correspondents’ club of Japan.  La missione era stata presumibilmente effettuata anche a seguito di osservazioni e richieste di informazioni presentate in ambito internazionale da varie organizzazioni non governative e riprese dall'interrogante.
      La road-map per il definitivo smantellamento dei reattori 1-4 dell'impianto di Fukushima-I è entrata, all'inizio del 2012, nel periodo di medio e lungo termine che prevede una prima fase, della durata di circa due anni, in cui il combustibile irraggiato delle piscine di stoccaggio verrà rimosso, a partire proprio dall'unità 4. Tali operazioni, per quanto complesse nei dettagli, non presentano aspetti di particolare criticità dal punto di vista della sicurezza, né per il possibile impatto ambientale al di fuori del perimetro dell'impianto. La tecnologia per la rimozione delle barre di combustibile dalle piscine è disponibile e le relative operazioni sono già in corso.
      La seconda fase della road-map stabilisce invece in un periodo di circa dieci anni, la rimozione del combustibile contenuto nel nocciolo dei reattori delle unità 1-3, che sono stati interessati da una totale o parziale fusione durante le fasi iniziali dell'incidente. Le modalità per portare a termine nel migliore dei modi possibili tali operazioni sono al momento in fase di definizione.
      Nella prima fase dell'incidente nucleare, le autorità giapponesi hanno ricercato il contributo e l'aiuto internazionale, accettando tra gli altri il supporto di esperti statunitensi (che hanno fornito i primi robot per l'ispezione delle zone altamente contaminate), francesi (per la realizzazione del primo impianto di decontaminazione dell'acqua di raffreddamento dei reattori) e finlandesi (per altri sistemi di e contaminazione). Inoltre, il Governo ha presentato rapporti periodici sulla situazione a Fukushima-I alle conferenze dei governatori dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica e in altre istanze dell'Organizzazione, ospitando altresì missioni internazionali «fact-finding» di varia natura, tra le quali quella coordinata dal direttore dell'ufficio per la sicurezza nucleare del Regno Unito nel maggio-giugno 2011.
      Dal punto di vista sostanziale, vi è una generale concordanza di vedute da parte di vari osservatori sulla correttezza e la coerenza dell'approccio seguito dalle Autorità nipponiche nella strategia volta alla definitiva messa in sicurezza e allo smantellamento dell'impianto di Fukushima-I e nei relativi interventi finora effettuati e di quelli in programma. Tuttavia è stata effettivamente registrata una progressiva diminuzione del coinvolgimento di operatori ed expertise internazionali nelle operazioni di gestione dell'attuale fase di decommissioning, apparentemente legata a fattori economici e di maggiore fiducia nelle capacità tecnologiche giapponesi.
      La Conferenza ministeriale sulla sicurezza nucleare, che si terrà nella città di Fukushima il 15 dicembre 2012, promossa dal Governo giapponese in collaborazione con l'Agenzia internazionale per l'energia atomica, potrebbe dunque rappresentare un'occasione privilegiata per richiamare le autorità competenti all'opportunità di riprendere un attivo e diretto coinvolgimento internazionale nelle operazioni in corso, privilegiando le soluzioni più efficienti che risultano disponibili a livello mondiale nella continuazione della road-map per le complesse operazioni di smantellamento dei reattori della centrale di Fukushima-I. Lo stesso Vice-Ministro Nakatsuka avrebbe espresso ripetutamente la disponibilità di principio delle Autorità giapponesi a collaborazioni e contributi internazionali, anche relativamente alle richieste recentemente avanzate sulla valutazione dei rischi associati allo stato dell'unità 4 dell'impianto di Fukushima-I, purché ne venga precisamente definito l'ambito di riferimento.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Staffan de Mistura.


      ZAZZERA, MURA e PALAGIANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 4, comma 1, del decreto-legge 29 novembre 2008, n.  185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n.  2, ha istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, un fondo rotativo dotato di personalità giuridica, denominato «fondo di credito per i nuovi nati» volto a favorire l'accesso al credito delle famiglie con un figlio nato o adottato nell'anno di riferimento, con una dotazione di 25 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010, 2011, attraverso il rilascio di garanzie dirette, anche fideiussorie alle banche e agli intermediari finanziari;
          il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze del 10 settembre 2009, ha stabilito i criteri e le modalità di organizzazione e di funzionamento del fondo, di rilascio e di operatività delle garanzie;
          il finanziamento concesso alle famiglie può essere utilizzato per qualunque tipo di spesa e deve essere restituito in un periodo limite di cinque anni;
          oltre al fondo nuovi nati, esiste anche il cosiddetto bonus bebè, un contributo erogato dalle regioni per sostenere le famiglie in difficoltà che abbiano bambini nati tra il 1° gennaio ed il 31 dicembre 2011;
          agli interroganti risulta che le banche convenzionate non hanno ancora avuto alcuna conferma per il rinnovo del fondo nuovi nati  –:
          se quanto riportato in premessa corrisponda al vero. (4-16023)

      Risposta. — Con riferimento alla richiesta di notizie in merito al «fondo di credito per i nuovi nati», si segnala che, come esattamente riportato dalle Signorie Loro, il fondo in questione è stato istituito presso il dipartimento per le politiche della famiglia dall'articolo 4 del decreto-legge n.  185 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  2 del 2009.
      Tale fondo consente alle famiglie con bambini nati o adottati nel periodo di riferimento (la citata norma indicava come periodo il triennio 2009-2011) l'accesso a finanziamenti fino a 5 mila euro a tassi agevolati, da restituire in cinque anni.
      L'intervento si avvale del supporto del sistema bancario: per la sua concreta attuazione sono state infatti stipulate apposite convenzioni con le banche che hanno manifestato interesse ad aderire, sulla base di una convenzione-tipo allegata al protocollo di intesa stipulato dall'ABI.
      Hanno aderito all'operazione tutte le maggiori banche e, inoltre, molte banche locali, garantendo in tal modo una buona copertura territoriale.
      L'iniziativa ha avuto molto successo; si è registrato, infatti, un notevole utilizzo del Fondo tanto che, secondo i dati a disposizione del dipartimento per le politiche della famiglia al primo trimestre del 2012, sono stati erogati oltre 24.000 prestiti, per un ammontare complessivo pari ad oltre 132 milioni di euro.
      Proprio in considerazione del grande successo della misura in questione, con l'articolo 12 della legge 12 novembre 2011, n.  183 è stata disposta la proroga del fondo per un ulteriore triennio, ammettendo, pertanto, al finanziamento anche i nati nel 2012, 2013 e 2014.
      Per rendere operativa la predetta proroga è stato, quindi, necessario adottare un nuovo decreto interministeriale che, attualmente, è in corso di registrazione (e, dunque, a breve sarà esecutivo) e che costituisce il presupposto necessario per il rinnovo dei conseguenti atti convenzionali.
      Mi preme comunque ricordare che, nelle more del perfezionamento di tali atti che consentirà di accogliere le domande per i bambini nati nei primi mesi del 2012, è tuttavia possibile, fino al 30 giugno 2012, presentare domande per i bambini nati o adottati nel 2011.
Il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione: Andrea Riccardi.