XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 24 luglio 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


      La XI Commissione,
          premesso che:
              il decreto ministeriale 20 aprile 2001, n.  66, all'articolo 2 ha previsto la stipula di contratti di collaborazione coordinata e continuativa in favore di circa 970, lavoratori socialmente utili negli istituti scolastici, transitati dagli enti locali allo stato ai sensi della legge n.  124 del 1999, già da anni precari degli enti locali, così come individuati nel decreto n.  81 del 2000, e, all'articolo 4, ne ha fissato il percorso di stabilizzazione entro cinque anni: dando così seguito agli impegni di legge sulla stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili di cui alla legge n.  388 del 23 dicembre 2000 (finanziaria 2001);
              il decreto è stato prorogato nel novembre 2006 e, negli anni successivi, si è avuta la proroga dei contratti anno per anno con apposita voce di bilancio in finanziaria;
              insieme alle proroghe si sono succeduti, in tutti questi anni, gli annunci di una stabilizzazione nei fatti mai raggiunta;
              si è venuta così configurando una situazione dalla gestione sempre più complessa derivante dal contrasto tra la natura autonoma del rapporto di lavoro e le mansioni svolte dai lavoratori, tipicamente subordinate, con difficoltà nelle proroghe dei contratti e nel trasferimento dei fondi agli istituti scolastici, situazione questa, che ha fatto sì che gli stipendi fossero pagati anche con sei mesi di ritardo;
              nel corso del 2010, in ben due incontri con le organizzazioni sindacali, il sottosegretario Giuseppe Pizza ha dato assicurazione che il Ministero avrebbe provveduto, con apposita norma, a stabilizzare i co.co.co. ex Lsu. In tali occasioni il sottosegretario si è anche impegnato a preparare un apposito emendamento al «mille proroghe» che potesse portare alla stabilizzazione dei lavoratori partire dal 1° settembre 2011. Tale emendamento non è mai stato presentato;
              dopo innumerevoli richieste d'incontro e la proclamazione di uno sciopero, le organizzazioni sindacali sono state ricevute il 14 aprile 2011 e, in quell'incontro, il sottosegretario Pizza ha preso due impegni: l'elaborazione da parte dell'ufficio legislativo del Ministero di una proposta per la stabilizzazione dei co.co.co. ex Lsu, da vagliare su specifico tavolo da convocare a maggio 2011 e una riunione specifica relativa al corretto accantonamento dei posti in organico, come da decreto che individuava le figure dei co.co.co. derivanti dal bacino Lsu;
              le riunioni di cui sopra non si sono mai tenute e le, organizzazioni sindacali hanno continuato la loro protesta con scioperi e presidi regionali;
              nel frattempo il fondo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che provvedeva a coprire la quota contributiva a carico del lavoratore si è esaurito e d'ora in poi occorrerà sottrarre circa 120 euro dal compenso mensile, tenendo conto che i compensi non sono mai stati adeguati dal 2001;
              inoltre solo ora il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha dato notizia che il fondo si è esaurito a fine 2010 e che alcuni istituti sono intenzionati a trattenere da subito l'intera quota in sospeso per il 2011-2012: ciò significherebbe togliere due compensi mensili ai lavoratori in una sola volta;
              nell'ultimo incontro tenutosi al Ministero dell'istruzione il 17 maggio 2012, è emersa la volontà dell'attuale Ministro di definire, una volta per tutte, la stabilizzazione dei co.co.co. ex LSU,

impegna il Governo

ad individuare una soluzione definitiva alla vicenda dei co.co.co. ex lsu, ai fini della tutela dei livelli occupazionali e della garanzia dei redditi di tali lavoratori che devono essere assunti nei ruoli della scuola, ai sensi della normativa nazionale e di quella europea.
(7-00956) «Damiano, Siragusa, Bellanova, Boccuzzi, Carlucci, Codurelli, De Biasi, De Pasquale, Vincenzo Antonio Fontana, Madia, Murgia, Pes, Rampi, Schirru, Tocci, Gnecchi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
          in un articolo apparso il 18 luglio 2012 sul quotidiano la Repubblica, la giornalista Barbara Spinelli parlando del Presidente Monti fa riferimento a «(...) legami tuttora torbidi che conferiscono al clero un potere abnorme sulla politica»;
          «l'ultimo episodio – si riporta nell'articolo – riguarda la Banca del Vaticano, lo Ior. Risale al 4 luglio 2012 l'ordine che il Governo ha dato alle autorità antiriciclaggio della Banca d'Italia, invitate a dire quel che sapevano sui traffici illeciti dello Ior, affinché tenessero chiusa la bocca in una riunione degli ispettori di Moneyval, l'organismo antiriciclaggio del Consiglio d'Europa convocato a Strasburgo. Talmente chiusa che Giovanni Castaldi, capo dell'Unità di informazione finanziaria (Uif, organo della Banca d'Italia), ha ritirato i suoi due delegati dall'incontro  –:
          se risponda al vero quanto scritto in premessa e, in particolare:
              a) se il capo dell'Unità di informazione finanziaria abbia o meno inviato ovvero se abbia ritirato i delegati;
              b) se lo abbia fatto di sua scelta o come risulta da fonti di stampa abbia ricevuto ordini ed eventualmente da chi e con quali motivazioni;
              c) se il capo dell'Unità di informazione finanziaria o suoi delegati abitualmente partecipino alle riunioni di Moneyval. (5-07527)

Interrogazioni a risposta scritta:


      DI BIAGIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          l'adozione internazionale è regolata in Italia dalla legge n.  183 del 1984 modificata dalla legge n.  476 del 1998 di «ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a l'Aja, il 29 maggio 1993»;
          una delle maggiori garanzie poste dalla Convenzione a tutela dei minori è il principio di sussidiarietà, in virtù del quale l'adozione internazionale deve essere vista esclusivamente come estremo rimedio per l'accoglienza dei bambini privi di cure genitoriali. Essa va quindi di regola applicata soltanto laddove non esista nessun'altra possibilità per il minore senza famiglia di essere accolto in una famiglia sostitutiva nel proprio Paese;
          con la ratifica della Convenzione de l'Aja del 1993 l'impegno degli Stati appare chiaro: «ogni Stato dovrebbe adottare, con criterio di priorità, misure appropriate per consentire la permanenza del minore nella famiglia d'origine», e ancora «l'adozione internazionale può offrire l'opportunità di dare una famiglia permanente a quei minori per i quali non può essere trovata una famiglia idonea nei loro Stati di origine»;
          i Paesi che realizzano adozioni internazionali sono quindi tenuti a implementare progetti di cooperazione che consentano, da un lato, la prevenzione dell'abbandono minorile e, dall'altro, il suo superamento attraverso azioni tese al rafforzamento dei legami familiari e al rientro in famiglia oppure, in difetto, all'accoglienza dei minori in un ambiente familiare nel Paese di origine, attraverso l'affidamento o l'adozione nazionale;
          l'obbligo di garantire il rispetto del principio di sussidiarietà non è posto solo a carico dei Paesi di origine di minori, ma anche di quelli cosiddetti «riceventi», come chiarito nel rapporto della Commissione speciale sul funzionamento e la pratica della Convenzione dell'Aja del 1993, redatto il 28 novembre-1° dicembre 2000 dall'ufficio permanente della Conferenza dell'Aja sul diritto internazionale privato;
          il rapporto citato, anche con riferimento alla necessità di evitare che dall'adozione derivi ingiusto lucro per determinati soggetti, giunge alla seguente raccomandazione: «i Paesi riceventi sono chiamati a supportare le azioni svolte nei Paesi di origine per sviluppare i servizi nazionali di protezione dei minori, inclusi programmi per la prevenzione dell'abbandono»;
          nella stessa Convenzione di New York del 1989 gli Stati parte nel preambolo hanno riconosciuto «l'importanza della cooperazione internazionale per il miglioramento delle condizioni di vita dei fanciulli di tutti i paesi, in particolare i paesi in via di sviluppo»;
          già nella delibera del 26 novembre 1998, n.  180 del comitato direzionale presso il Ministero degli affari esteri, contenente le «Linee-guida della cooperazione italiana sulla tematica minorile», era indicata espressamente, tra le strategie d'intervento quella di «combattere il fenomeno della tratta e del mercato dei minori con attività di prevenzione anche in coordinamento con programmi di sostegno a distanza e dove necessario, con le cautele del caso, di adozione internazionale»;
          ci sono Paesi europei che hanno inserito strutturalmente la propria attività di adozione internazionale nel quadro delle politiche ed azioni di cooperazione allo sviluppo. Così la Francia che ha istituito la propria autorità centrale (SAI-Servizio adozioni internazionali) presso il Ministero degli affari esteri nell'ambito del dipartimento dei francesi all'estero e dell'amministrazione consolare (DFAE). La presidenza di questa autorità è attribuita ad un ambasciatore, mentre consolati e ambasciate sono delegati allo svolgimento dei compiti funzionali alla presenza all'estero degli enti autorizzati, al rilascio dei visti per i minori e alla rappresentanza istituzionale dell'Italia all'estero. Quello che caratterizza il sistema francese, dunque, è, non solo l'attuale direzione dell'autorità centrale ad un ambasciatore anziché ad un Ministro, ma anche il fatto che gli uffici dell'autorità fanno parte del dipartimento del Ministero degli affari esteri competente per le attività consolari;
          gli enti italiani autorizzati ad operare all'estero dalla Commissione per le adozioni internazionali si trovano a dover svolgere un elevato numero di adempimenti relativi all'ottenimento dei visti oltre a dovere mantenere rapporti di natura istituzionale con le autorità estere competenti per l'adozione internazionale e per i progetti di cooperazione che realizzano; tali rapporti non sono agevolati da una politica centrale delle rappresentanze italiane all'estero perché non rientrano tra i poteri istituzionali di ambasciate e consolati;
          considerata l'attuale crisi delle adozioni internazionali e, in particolare, la forte contrazione delle idoneità all'adozione internazionale rilasciate dai tribunali per i minorenni (dai 6.273 decreti del 2006 si è passati ai 3.179 del 2011) appare non più differibile predisporre una riforma della legge in vigore per dare un nuovo slancio alle adozioni internazionali e maggiore fiducia rispetto all’iter che le caratterizza;
          alla luce di quanto evidenziato, sarebbe auspicabile razionalizzare le procedure sotto diversi aspetti per garantire celerità e trasparenza e – alla luce delle criticità evidenziate – il modello francese potrebbe rappresentare un riferimento interessante per la ridefinizione amministrativa ed organizzativa del sistema vigente in Italia  –:
          se il Governo intenda, e con quali modalità, incardinare l'autorità centrale per le adozioni internazionali presso il Ministero degli affari esteri, al fine anche di garantire l'inclusione dei Paesi nei quali l'Italia adotta maggiormente fra quelli «prioritari» anche in termini di investimento in progetti di cooperazione allo sviluppo in attuazione del principio di sussidiarietà dell'adozione internazionale;
          se e come il Governo intenda inoltre coinvolgere gli uffici delle rappresentanze italiane all'estero per l'esercizio delle funzioni relative alle adozioni internazionali e per il necessario supporto, ma anche controllo, al lavoro svolto all'estero dagli enti autorizzati. (4-17090)


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          la Suprema corte di cassazione – ufficio del massimario e del ruolo – con la relazione tematica del 7 luglio 2012, nell'ambito del paragrafo 7 – La giurisprudenza CEDU: rassegna ragionata di casi in materia di diritto del lavoro, diritto sindacale e diritto della previdenza ed assistenza sociale – al punto 7.7 affronta il tema delle «Libertà sindacali» sottolineando che la «[...] sentenza resa dalla Corte, ove la Grand Chambre ha fissato i contenuti del diritto protetto dall'articolo 11 della Convenzione. La Corte ha intanto precisato che la possibilità di eventuali restrizioni per i membri delle forze armate, della polizia o dell'amministrazione dello Stato di cui all'articolo 11 va interpretata restrittivamente e deve essere limitato all'esercizio di tali diritti, e non può estendersi al diritto di organizzarsi. Nell'interpretare la norma nazionale restrittivamente la Corte ha fatto riferimento agli strumenti internazionali più rilevanti ed alla pratica degli Stati europei, secondo un indirizzo ormai consolidato[...]. La Corte ha così concluso che i dipendenti dell'amministrazione pubblica non potevano essere esclusi dal campo di applicazione dell'articolo 11, e che al più le autorità nazionali avrebbero potuto imporre “restrizioni legali”, in conformità all'articolo 11 § 2. In particolare, la Corte ha affermato che l'articolo 11 § 1 presenta la libertà sindacale come una forma o un aspetto particolare della libertà di associazione [...]. La Corte ha rilevato inoltre che se l'articolo 11 è destinato essenzialmente a proteggere l'individuo da interferenze arbitrarie da parte delle autorità pubbliche nell'esercizio dei diritti in essa sanciti, esso può comportare anche l'obbligo positivo di assicurare il godimento di tali diritti. Secondo la disposizione dell'articolo 11, l'ingerenza dello Stato nel godimento del diritto protetto è consentita solo se “prevista dalla legge”, persegue uno o più scopi legittimi e “necessaria in una società democratica” per raggiungerli. La Corte ha quindi rilevato che le eccezioni di cui all'articolo 11 devono essere interpretate restrittivamente, e che solo ragioni convincenti e interessanti possono giustificare restrizioni alla libertà di associazione. A giudicare l'esistenza di una “necessità” e quindi un “bisogno sociale imperioso” ai sensi dell'articolo 11 § 2, gli Stati hanno solo un limitato margine di apprezzamento, che resta sempre soggetto ad una supervisione rigorosa europea [...]. La Corte ritiene che questi principi non vanno intesi staticamente, essendo destinati ad evolversi con gli sviluppi che caratterizzano il mondo del lavoro. A questo proposito, va ricordato che la Convenzione è uno strumento vivo da interpretare alla luce delle condizioni attuali,seguendo l'evoluzione del diritto internazionale, al fine di una domanda crescente di tutela dei diritti umani [...].»  –:
          quali siano i costi effettivi sostenuti annualmente dal Ministero della difesa per il funzionamento dei Consigli della rappresentanza militare e la partecipazione di tutti i militari facenti parte dei medesimi, o degli uffici ad essa funzionali, dei materiali e delle infrastrutture;
          se non ritenga doveroso provvedere con la massima urgenza all'eliminazione dei divieto per i militari di potersi organizzare in associazioni sindacali di categoria come avviene già per il personale delle forze di polizia a ordinamento civile al fine di eliminare i costi sostenuti per l'esercizio e il funzionamento della rappresentanza militare che attualmente sono interamente a carico della finanza pubblica. (4-17091)


      NEGRO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la crisi economica che ha colpito in questi anni l'Europa sta avendo gravi ripercussioni sull'Italia, con conseguenze molto pesanti sia per il mondo produttivo, laddove migliaia di imprese di diversi settori lamentano da tempo una contrazione del fatturato e degli ordini, sia per cittadini, che anche a causa dei recenti provvedimenti governativi hanno visto accrescere l'imposizione fiscale a loro carico;
          la riduzione di risorse è stata particolarmente evidente per il comparto degli enti locali, ovvero per i comuni, le province e le regioni che, allo scopo di concorrere al risanamento delle finanze statali, così come disposto dai provvedimenti governativi come il decreto-legge 201 del 2011, sono stati costretti a rivedere completamente la loro pianificazione economica e finanziaria in ragione delle risorse venute meno;
          secondo i dati più aggiornati, in Italia tra il 2000 ed il 2012 la spesa pubblica è aumentata di 250 miliardi di euro, pari ad un ritmo di quasi 40.000 euro ogni minuto trascorso, e che il peso della spesa pubblica sul totale del prodotto interno lordo è salito nei dodici anni considerati dall'analisi del 5,1 per cento contro il 3,5 per cento della media dei Paesi dell'euro, mentre, come riportato da più parti, il peso degli enti locali nel concorso alla creazione del deficit dell'amministrazione pubblica è nettamente inferiore rispetto a quello evidenziato dai livelli di governo centrale;
          è notizia di questi ultimi giorni la gravissima situazione economico-finanziaria della regione siciliana, laddove l'ente, così come riportato da più organi di stampa, potrebbe trovarsi in una situazione di dissesto finanziario, anche e soprattutto a causa della spesa per il personale, in quanto la regione ha speso nel solo 2011 la cifra di circa 1,27 miliardi di euro, pari al 10 per cento delle spese correnti complessive, necessarie a sostenere il pagamento di oltre 28.000 dipendenti;
          tale importo appare ancora più elevato se confrontato con altre realtà italiane, come la Regione Lombardia, che pur contando un numero doppio di abitanti della regione Sicilia, annovera circa 5.000 dipendenti a suo carico, ovvero poco più di un sesto rispetto alla Sicilia;
          la razionalizzazione della spesa pubblica avrebbe dovuto essere un taglio selettivo dei costi dei Ministeri ma è stata poi formalizzata come una ulteriore riduzione di spesa per le autonomie territoriali, sulle quali grava oltre il 72 per cento delle misure restrittive (700 milioni per le regioni ordinarie, 500 milioni per le province e 500 milioni per i comuni);
          qualora entro il prossimo 30 settembre regioni ed enti locali non dovessero trovare un accordo sulla riduzione di risorse per il 2012, il taglio ai trasferimenti verrà effettuato sulla base dei consumi intermedi, ovvero le spese per l'acquisto dei beni e servizi necessari per il funzionamento della macchina amministrativa;
          in conseguenza di questi nuovi tagli, le regioni e gli enti locali saranno verosimilmente costretti ad aumentare le imposte di loro competenza, anche per evitare di ridurre ulteriormente i servizi pubblici, così che i sacrifici, nel complesso, si scaricheranno sui cittadini che potrebbero vedersi aumentare l'imposizione fiscale locale;
          il criterio riferito ai comuni intermedi non appare secondo l'interrogante assolutamente meritocratico ovvero in grado di individuare correttamente le sacche di inefficienza, dal momento che l'attuale impostazione del provvedimento comporterebbe un ulteriore sacrificio anche per quegli enti che pure, nel corso di questi anni, hanno adottato politiche di gestione in grado di garantire spese di funzionamento inferiori alla media nazionale  –:
          se il Ministro interrogato, non ritenga opportuno assumere iniziative per adottare, in luogo di una riduzione sulla base dei consumi intermedi, un parametro universale di spese di funzionamento che comprenda oltre ai consumi intermedi anche il costo del personale, così che la riduzione di risorse ora prevista a carico degli enti venga applicata esclusivamente a quegli enti che, nel corso degli anni, hanno superato il valore medio nazionale. (4-17095)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


      RENATO FARINA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          come si apprende dall'agenzia Habeshia in data 21 luglio 2012 la polizia libica, nel carcere di Sibrata Mentega Delila (Tripoli), non ha esitato a sparare con proiettili contro profughi affamati che chiedevano cibo; un ragazzo di 18 anni, colpito gravemente all'addome ora ricoverato in ospedale, è stato presentato come un mercenario di Gheddafi, invece era solo un giovane richiedente asilo politico eritreo; un altro di 19 anni è stato colpito all'orecchio con una sbarra di ferro. Sembra che ai richiedenti asilo già da due giorni non vengano dati né cibo né acqua. Sono state maltrattate anche le donne in stato di gravidanza, sono state tirate loro addosso sedie di ferro in risposta alle urla, quando hanno visto il sangue dei due giovani;
          questo gruppo di 350 persone (di cui 50 donne, 6 delle quali in stato di gravidanza e una di loro deve partorire tra due settimane circa; 2 bambini di cui uno di 1 anno e mezzo bisognoso di cure mediche) si trova nel carcere di Sibrata Mentega Delila (Tripoli);
          queste persone sono vittime dei militari che abusano del potere che hanno per costringerli al digiuno di un mese anche se non sono di fede islamica, picchiando brutalmente chi si rifiuta, come è successo in questi giorni;
          la libertà religiosa di queste persone viene violata, la dignità calpestata; quelli descritti sono esempi di violenza e tortura quotidiane a cui sono sottoposti questi profughi  –:
          se il Governo sia a conoscenza dei fatti citati, se, in virtù degli accordi bilaterali con la Libia, possa chiedere alle autorità libiche di fermare ogni abuso a danno dei profughi eritrei, per non mettere in pericolo la vita di queste persone;
          se intenda interessarsi perché questi richiedenti asilo siano presi in consegna immediatamente dall'UNHCR di Tripoli;
          se intenda attivarsi per affermare anche in quel Paese il rispetto della libertà religiosa così come da impegno preso con la risoluzione Mazzocchi e altri approvata il 12 gennaio 2011. (4-17097)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


      PALAGIANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il turismo rappresenta una fonte inestimabile di lavoro e ricchezza e soprattutto un motivo d'orgoglio per l'Italia ed in particolare per le località che si affacciano sul Golfo di Napoli, come la costiera sorrentina, Procida, Capri, Ischia e la stessa città di Napoli;
          come ogni anno, però, in prossimità della stagione estiva, tornano a galla i gravissimi problemi legati all'inquinamento delle acque del Golfo di Napoli; problemi legati in maniera indissolubile al malfunzionamento degli impianti di depurazione che sversano liquami nel mare;
          l'interrogante ha sollevato in più di una occasione, attraverso numerosi atti parlamentari (3-00611, luglio 2009, 4-12654, luglio 2011, 4-14481, gennaio 2012), il problema dell'inquinamento campano che, ad avviso dell'interrogante, viene dimenticato, ad intermittenza annuale, dagli amministratori di tutti i livelli istituzionali, fino ad arrivare allo Stato centrale;
          le condizioni delle acque del golfo di Napoli sono sotto gli occhi di tutti ed in particolare sono oggetto, in queste settimane, di attenzione da parte dei media locali e nazionali che hanno segnalato la presenza di mucillaggine nelle acque di Ischia e Procida;
          il problema, da quanto emerge dagli articoli di stampa, sarebbe ancora una volta il depuratore di Cuma che, nonostante i miglioramenti messi a punto negli ultimi anni, funziona al 50-60 per cento della propria capacità, sversando in mare liquami contaminati da batteri;
          il depuratore di Cuma è, da sempre, sottodimensionato e mal funzionante, ma ad aggravare una situazione già molto critica, in queste settimane si è assistito allo sciopero dei dipendenti dell'impianto, che hanno dimostrato in segno di protesta contro il mancato pagamento degli ultimi due stipendi;
          questa legittima protesta ha contribuito, però, a far riversare in mare alcune tonnellate di liquami fognari, solo in minima parte depurati. E così da Pozzuoli fino ad Ischia e Procida sono state ben visibili, dai bagnanti che affollavano le spiagge, chiazze scure e schiuma;
          la Hydrogest, società attualmente affidataria del servizio di depurazione, è in liquidazione e, dopo aver accumulato negli anni 78 milioni di debiti, non è intenzionata, secondo quanto si apprende dalla stampa, ad anticipare le somme richieste per pagare gli stipendi;
          la società Hydrogest fu sollevata dal proprio incarico proprio all'inizio di luglio 2012, mese nel quale la gestione fu affidata ad un commissario straordinario il quale però ha consegnato le dimissioni la settimana scorsa, costringendo quindi la regione Campania a riconsegnare lo stabilimento nelle mani della predetta società privata;
          le responsabilità delle gravi condizioni del depuratore di Cuma e del conseguente inquinamento marittimo si distribuiscono, in un assurdo scaricabarile, dall'amministrazione locale alle regione Campania, senza arrivare, ormai da anni ad una concreta soluzione;
          dalla regione, in particolare secondo quanto dichiarato dall'assessore regionale all'ambiente Giovanni Romano, avrebbe stanziato circa 240 milioni per mettere a norma i cinque impianti della ex gestione Hidrogest, tra i quali, appunto, quello di Cuma;
          il problema dei liquami sversati nel mare campano, non è comunque una novità, né, purtroppo, causato dal solo depuratore di Cuma. I controlli effettuati sulla salubrità delle acque, infatti, sono risultati, a parere dell'interrogante, troppo spesso inclini, negli ultimi anni, a giudizi superficiali e poco obiettivi nei confronti delle amministrazioni che non pongono – salvo poi essere costrette a farlo a causa dell'evidenza del problema – il necessario divieto di balneazione in alcune aree marine seriamente compromesse dall'inquinamento  –:
          se sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e quali iniziative intenda intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, per evitare il perpetuarsi di questa disastrosa situazione che rischia di compromettere ulteriormente l'ecosistema marino delle acque campane, l'attività turistico riattiva della zona, ma soprattutto la salute ed il benessere dei cittadini, anche alla luce delle procedure di infrazione che l'Unione europea ha aperto contro l'Italia proprio in relazione alla mancata tutela delle acque. (4-17094)

DIFESA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della difesa, il Ministro della salute, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
          in data 6 aprile 1995 presso la procura di Salerno è stato presentato un esposto nel quale si chiede di verificare la correlazione tra l'infezione da hcv (virus dell'epatite C) di un membro dell'esercito, maresciallo M. (già in servizio in Somalia), e il suo decesso, poiché risultava da vari documenti che molti lotti di immunoglobuline infette erano state fornite alle forze armate in missione in Somalia;
          in data 26 giugno 1997 è stato depositato un altro esposto alla procura di Trento che riassume alcuni esposti inviati alle procure di Salerno e di Caserta ed ai quali, a quanto consta agli interpellanti, non è mai stato dato seguito alcuno: in entrambi viene chiesto di verificare la correlazione tra il decesso del militare sopra citato e l'infezione da epatite C;
          in data 23 maggio 1998 è stato depositato, come ulteriore sollecito, un esposto alla procura di Trento su fatti ed atti intimidatori nei confronti del firmatario degli esposti sopra citati;
          il 31 maggio 2002 sono stati presentati 34 esposti presso tutte le procure italiane riguardo alla circolazione ed al conseguente uso di immunoglobuline antitetaniche infette negli ospedali civili, militari e nelle farmacie. Vi si segnalano casi di contagio, con riferimento al numero dei lotti degli emoderivati ed immunoglobuline somministrate, la lista di tutti gli ospedali che hanno ricevuto tali lotti, con la richiesta di controllo di quelli commercializzati;
          in tali esposti si segnala anche la massiccia infezione di epatite C all'interno delle forze armate, ma che, non vi è stata la possibilità di verificare con certezza i dati riguardanti le somministrazioni, in quanto dei relativi registri alcuni sono spariti, altri sono risultati contraffatti, ed altri ancora riportavano registrate delle somministrazioni di sostanze delle quali non risultava alcun acquisto;
          il firmatario degli esposti di cui ai precedenti capoversi, anch'egli maresciallo dell'esercito in congedo, infettato dopo somministrazione di immunoglobuline durante il servizio militare, denunciava l'immissione in commercio di un prodotto chiamato «Tetuman Berna» lotto n.  12373 contenente 61.600 fiale di immunoglobulina antitetanica, risultate positive al virus dell'epatite C, fornito alle forze armate;
          i controlli su tale lotto furono effettuati dalla CRI di Roma in data 4 gennaio 1996 e 2 aprile 1996, dagli ospedali riuniti di Bergamo il 6 novembre 96 ed in tutti i casi gli esiti furono positivi al virus dell'hcv;
          prima del 1993 tutti i lotti di immunoglobuline erano potenzialmente a rischio in quanto non venivano effettuati i controlli, tant’è che il 4 novembre 1993 il Ministro della salute pro tempore Garavaglia, ne chiese l'immediato ritiro, ma nel‘94 i Nas riscontrarono essere ancora in commercio (come si evince da loro relazione del 24 gennaio 1994 e del 14 settembre 1994). Inoltre risulterebbe ulteriormente confermato dalla polizia giudiziaria G.F. di Trento nel 1998, quanto riscontrato dai N.A.S. nel 1994;
          risulterebbero commercializzate negli anni 1990-91-92 oltre 6.380.000 fiale di immunoglobuline (con scadenza 1995-96) e ne furono ritirate dal mercato a quanto consta agli interpellanti soltanto circa il 3 per cento a causa dell'esaurimento scorte attraverso la loro somministrazione;
          da un controllo a ritroso effettuato dall'Istituto superiore di sanità (dottor Gentile) nel 1995 sulle suddette immunoglobuline prodotte da 8 ditte farmaceutiche, tutte risultarono positive al 100 per cento al virus dell'epatite C, (controllo pubblicato su «Trasfusion» volume 37 settembre 1997 pagina 986-987 «Hepatitis C in tetanus intramuscular immunoglobulin» I.S.S. Gentili G-Pisani G);
          in ogni esposto il sopra citato maresciallo chiedeva di controllare e rintracciare persone contagiate, denunciando l'esistenza soltanto del controllo cartaceo sulla conformità degli emoderivati (con autocertificazione) e non un controllo microbiologico effettivo a campione sul prodotto: questo avrebbe evitato la massiccia diffusione del virus;
          in data 27 dicembre 2007 il giudice per le indagini preliminari Maria Vittoria De Simone del tribunale di Napoli ha emesso una ordinanza nella quale disponeva che, nei termini previsti dall'articolo 409 c.p.p., il pubblico ministero formulasse l'imputazione per il delitto di omicidio colposo plurimo (articolo 589 c.p.) nei confronti di tutti gli indagati  –:
          se il Governo sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare affinché sia fatta piena luce su quanto esposto;
          se, con riferimento a tutti i fatti riportati in premessa, siano state avviate indagini.
(2-01612) «Della Vedova, Patarino».

Interrogazione a risposta immediata:


      CONCIA, FIANO, VILLECCO CALIPARI, ADINOLFI, TOUADI, SARUBBI, POLLASTRINI, CUPERLO, ARGENTIN, META, GOZI, MATTESINI, CORSINI, GATTI, CODURELLI, MARAN, AMICI e GIACHETTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          dall'articolo pubblicato su Il Corriere della Sera dell'11 luglio 2012, intitolato «Il manuale per carabinieri che definisce i gay “degenerati”», di Elvira Serra, in collaborazione con Silvia Fabbi, si apprende che a pagina 213 del manuale della Scuola marescialli e brigadieri dei carabinieri, intitolato «Sinossi per la preparazione al concorso per l'avanzamento a scelta per esami al grado di maresciallo aiutante s. Ups», datato dicembre 2011, approvato dal comandante Pasquale Santoro e scaricabile dall’intranet dell'Arma dei carabinieri dai candidati al concorso nazionale, che si è svolto il 25 giugno 2012 a Padova, l'omosessualità è stata definita una degenerazione sessuale, la prima tra l'esibizionismo, il feticismo, il sadismo, il masochismo, l'incestuosità, la necrofilia e la bestialità (o zoofilia);
          in particolare, su tale manuale è basata la preparazione dei futuri marescialli, vincitori di concorso, che, nella compilazione del cartellino biografico «mod OP/46» dei «soggetti di interesse operativo», vale a dire delinquenti abituali o professionali, chi è agli arresti domiciliari o è sottoposto a misure di prevenzione, eversori, persone appartenenti alla criminalità organizzata o socialmente pericolose, tra le cose da annotare nel «cartellino» – notizie sull'identità e sulla personalità, abitudini, carattere, malattie fisiche e mentali, condotta durante il servizio militare – inseriranno le eventuali «degenerazioni sessuali», tra le quali, sempre secondo il suddetto manuale, figura per prima l'omosessualità, seguita da esibizionismo, feticismo, sadismo, masochismo, incestuosità, necrofilia e bestialità (o zoofilia). Tutto ciò risulta, peraltro, in netta contraddizione con il fatto che l'Arma dei carabinieri è parte attiva dell'Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad) –:
          se questo manuale sia stato effettivamente modificato e se sia stata avviata un'indagine per accertare o meno l'esistenza di altri documenti o atti dell'amministrazione di riferimento che contengano termini lesivi dei diritti costituzionali e delle pari opportunità dei cittadini omosessuali. (3-02407)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
          il decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, recante Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214, contiene l'articolo 23-bis, relativo ai compensi per gli amministratori con deleghe delle società partecipate dal Ministero dell'economia e delle finanze;
          la Rai Radiotelevisione Italiana Spa risulta essere partecipata direttamente dal Ministero dell'economia e delle finanze per il 99,56 per cento;
          il richiamato articolo 23-bis dispone che con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro il 31 maggio 2012, le società non quotate, direttamente controllate dal Ministero dell'economia e delle finanze vengano classificate per fasce sulla base di indicatori dimensionali quantitativi e qualitativi e che per ciascuna fascia venga determinato il compenso massimo al quale i consigli di amministrazione di dette società devono fare riferimento, secondo criteri oggettivi e trasparenti, per la determinazione degli emolumenti da corrispondere;
          tale decreto del Ministro dell'economia e delle finanze non è stato ancora adottato, nonostante il termine previsto sia già scaduto da oltre un mese;
          il compenso stabilito dal consiglio di amministrazione della Rai per il nuovo direttore generale Luigi Gubitosi, stando a quanto riportano le notizie di stampa, risulterebbe pari a 650 mila euro l'anno, una cifra significativamente elevata –:
          quali iniziative il Ministro dell'economia e delle finanze intenda adottare:
              a) per adottare rapidamente il decreto sul tetto agli stipendi dei dirigenti delle società partecipate dal Ministero dell'economia e delle finanze di cui al comma 1 dell'articolo 23-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201;
              b) per verificare in tempi brevi la congruenza del compenso stabilito dal nuovo consiglio di amministrazione della Rai per il nuovo direttore generale, stando a quanto si apprende dalla stampa, con i tetti introdotti e per porre in essere tutte le misure necessarie per la revisione dei contratti eventualmente eccedenti.
(2-01614) «Giachetti, Fluvi, Verini, Carella, Recchia, Torazzi, Cambursano, Quartiani, Cuperlo, Sposetti, Libè, Vico, Abrignani, Mottola, Vatinno, Mecacci, Anna Teresa Formisano, Grassi, Enzo Carra, Lorenzin, Sammarco, Mazzocchi, Pedoto, Beltrandi, Madia, Gatti, Nannicini, Froner, Realacci, Sarubbi, Picierno, Martella, Pompili, Velo, Naccarato, Amici, Bachelet, Melis, Morassut, Causi, Rosato, Argentin, Sereni, Ferrari».

Interrogazione a risposta immediata:


      DOZZO, BOSSI, LUSSANA, FOGLIATO, MONTAGNOLI, FEDRIGA, FUGATTI, ALESSANDRI, ALLASIA, BITONCI, BONINO, BRAGANTINI, BUONANNO, CALLEGARI, CAPARINI, CAVALLOTTO, CHIAPPORI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, D'AMICO, DAL LAGO, DESIDERATI, DI VIZIA, DUSSIN, FABI, FAVA, FOLLEGOT, FORCOLIN, GIDONI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, GRIMOLDI, ISIDORI, LANZARIN, MAGGIONI, MARONI, MARTINI, MERONI, MOLGORA, LAURA MOLTENI, NICOLA MOLTENI, MUNERATO, NEGRO, PAOLINI, PASTORE, PINI, POLLEDRI, RAINIERI, REGUZZONI, RIVOLTA, RONDINI, SIMONETTI, STEFANI, STUCCHI, TOGNI, TORAZZI, VANALLI e VOLPI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la difficile situazione economica che in questi ultimi anni ha colpito tutti i Paesi dell'Europa ha avuto ripercussioni molto pesanti anche in Italia, dove sia il mondo produttivo che i cittadini e i diversi livelli di governo, soprattutto quelli periferici, hanno visto ridotte in modo drastico le risorse economiche a loro disposizione;
          la riduzione di risorse è stata in Italia altrettanto evidente per il comparto degli enti locali, ovvero per i comuni, le province e le regioni, che, allo scopo di concorrere al risanamento delle finanze statali, così come disposto dai provvedimenti governativi succedutisi nel tempo, sono stati costretti a rivedere completamente la loro pianificazione economica e finanziaria in ragione delle risorse venute meno;
          secondo i dati più aggiornati, in Italia tra il 2000 ed il 2012 la spesa pubblica è aumentata di 250 miliardi di euro, pari ad un ritmo di quasi 40.000 euro ogni minuto trascorso, e il peso della spesa pubblica sul totale del prodotto interno lordo è salito nei dodici anni considerati dall'analisi del 5,1 per cento, contro il 3,5 per cento della media dei Paesi della zona euro, mentre, come riportato da più parti, il peso degli enti locali nel concorso alla creazione del deficit dell'amministrazione pubblica è nettamente inferiore rispetto a quello evidenziato dai livelli di governo centrale;
          le sacche d'inefficienza sono particolarmente evidenti nelle regioni meridionali, come in Sicilia, laddove ogni cittadino siciliano spende 346 euro per mantenere i dipendenti regionali, contro i 66 euro spesi dai cittadini calabresi e i 23 della Lombardia, e dove numerosi enti continuano, nella logica assistenzialista, ad assumere, pur nel rispetto dei vigenti limiti legislativi, dipendenti pubblici;
          nei giorni scorsi sono apparse su tutti i principali quotidiani nazionali notizie relative alla relazione della Corte dei conti sull'andamento della gestione della regione Sicilia, la quale avrebbe chiuso il bilancio del 2011 con un disavanzo di circa 2 milioni di euro e al 30 giugno 2012 attesta un indebitamento pari a 5 miliardi e 247 milioni di euro (di cui 1 miliardo e 472 milioni di euro contratti dal 2009 ad oggi), allorché la spesa regionale complessiva, che nel 2010 si era attestata in termini di impegni a 19 miliardi e 259 milioni di euro, nel 2011 è incrementata di 299 milioni di euro, così che le uscite hanno raggiunto 19 miliardi e 558 milioni di euro, con un aumento dell'1,5 per cento rispetto al 2010, mentre le entrate, al netto dei prestiti, sono state pari a 15 miliardi e 587 milioni di euro, con un decremento del 13 per cento e uno sbilancio negativo di 3 miliardi e 971 milioni di euro;
          tra le voci di spesa che maggiormente hanno concorso a determinare l'attuale situazione, particolare attenzione merita quella della spesa di personale, laddove la regione Sicilia ha speso nel 2011 la cifra di circa 1,27 miliardi di euro, pari al 10 per cento delle spese correnti complessive e necessarie a sostenere il pagamento di oltre 28.000 dipendenti;
          tale importo appare ancora più elevato se confrontato con altre realtà italiane, come la regione Lombardia, che, pur contando un numero doppio di abitanti della regione Sicilia, annovera circa 5.000 dipendenti a suo carico, ovvero poco più di 1/6 rispetto alla Sicilia;
          la gestione inefficiente delle risorse pubbliche operata nel corso degli anni dalla regione Sicilia determinerà certamente gravi ripercussioni all'economia regionale, con negativi riflessi anche sull'intero sistema economico nazionale, a partire dai mercati finanziari e dal valore dei titoli di Stato italiani, che, in ragione della gravità della situazione, potrebbero subire un peggioramento;
          a seguito della difficile situazione della regione Sicilia, nei giorni immediatamente successivi alla notizia apparsa su tutti i giornali nazionali, per evitare un rischio default lo Stato avrebbe erogato 400 milioni di euro alla regione, giustificando, tuttavia, lo stanziamento come decisione assunta precedentemente alla scoperta della rischio default per l'ente;
          i provvedimenti adottati dal Governo in carica per la revisione della spesa pubblica hanno determinato tagli indiscriminati sulla spesa delle autonomie territoriali, sulle quali grava oltre il 72 per cento delle misure restrittive disposte dal provvedimento denominato spending review (700 milioni per le regioni ordinarie, 500 milioni per le province e 500 milioni per i comuni), senza tener conto delle grandi differenze esistenti nel Paese tra la gestione finanziaria virtuosa di alcune regioni e la finanza irresponsabile di altre, come nel caso della Sicilia;
          i tagli alle autonomie vengono, infatti, adottati secondo criteri come quello che fa riferimento ai costi intermedi, che non appaiono, ad avviso degli interroganti, assolutamente in grado di individuare correttamente le sacche di inefficienza ovvero di spreco di risorse pubbliche, dal momento che tale impostazione comporterebbe un ulteriore sacrificio anche per quegli enti che pure, nel corso di questi anni, hanno adottato politiche di gestione in grado di garantire spese di funzionamento inferiori alla media nazionale –:
          se il Ministro interrogato non ritenga opportuno adottare i necessari provvedimenti al fine di implementare il controllo sulla gestione delle risorse pubbliche nella regione Sicilia, prevedendo, al contempo, che la definizione dei piani di risanamento regionali debba essere basata sui criteri fissati dal decreto legislativo n. 216 del 2010 in materia di costi e fabbisogni standard. (3-02412)

Interrogazioni a risposta scritta:


      BITONCI e MONTAGNOLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il decreto-legge n.  201 del 2011 ha anticipato al 2012 l'entrata in vigore dell'imposta municipale propria (IMU), prevista dal decreto legislativo n.  23 del 2011 recante «Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale», e che rivede numerosi aspetti dell'imposta medesima, a partire dal 50 per cento degli introiti provenienti dal gettito ICI (IMU) sulla seconda casa e sugli altri immobili non definibili come abitazione principale viene destinato allo Stato;
          in diversi casi, la differenza tra il gettito atteso dallo Stato dalla nuova imposta, e che viene iscritto a bilancio dagli enti locali, e il gettito stimato dai comuni che avevano già predisposto le proprie proiezioni, è estremamente elevato da apparire ingiustificato anche in considerazione del fatto che le previsioni di entrata imputabili all'imposta municipale propria e stimate dalle amministrazioni comunali sono molto affidabili e concrete;
          a seguito delle modifiche apportate al medesimo decreto-legge n.  201 del 2011, il pagamento della prima rata dell'imposta è avvenuto a giugno utilizzando le aliquote base, ovvero 0,4 per cento per la prima abitazione e 0,76 per le seconde, al fine di verificare l'andamento del gettito complessivo stimato così che, qualora esso sia inferiore alle attese, possano essere riviste, da parte del Governo, le medesime aliquote;
          organi di stampa nazionale (Sole 24 ore di domenica 22 luglio 2012) riportano la notizia secondo la quale nell'analisi del gettito dell'IMU per ciascun comune, e predisposta dal Ministero dell'economia e delle finanze, in numerosi casi, soprattutto di comuni del Sud-Italia, si evidenzino marcate differenze tra il gettito incassato e la base imponibile, tanto elevate da non essere giustificate  –:
          se non ritenga opportuno analizzare dettagliatamente il gettito IMU incassato con la prima rata da ciascun comune, sia per quanto concerne la quota di parte comunale, sia per quanto attiene la parte erariale, verificando la congruenza tra il gettito incassato e il gettito stimato con i dati di base imponibile al fine di evidenziare eventuali comportamenti elusivi. (4-17093)


      ROSATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          le commissioni, di massimo scoperto sono i corrispettivi, calcolati in misura percentuale ai tasso convenuto sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento, dovuti dal cliente al quale l'istituto bancario ha concesso un fido bancario;
          l'articolo 2-bis del decreto-legge 29 novembre 2008, n.  185, convertito dalla legge del 28 gennaio 2009, n.  2, ha previsto alcuni, vincoli per l'applicazione delle clausole contrattuali aventi ad oggetto le commissioni di massimo scoperto, disponendo, in sintesi, che queste non potessero essere applicate per situazioni di scoperto del conto per un periodo continuativo inferiore ai 30 giorni e in assenza di fido;
          alcuni istituti bancari hanno, però, istituito alcune nuove voci di spesa di gestione del fido, diversamente denominate, che si applicano in riferimento anche al caso di saldo negativo per un periodo inferiore ai 30 giorni e, talvolta, persino alle situazioni di inutilizzo di fido bancario;
          l'ammontare di questa nuova spesa di gestione del fido è spesso persino superiore a quello della vecchia commissione di massimo scoperto, anche in caso di nessun utilizzo del fido nel trimestre di riferimento;
          l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha censurato queste discipline in una nota del 29 dicembre 2009 e ha appurato «che sia per gli affidamenti che per gli scoperti transitori di conto corrente, successivamente all'entrata in vigore dell'articolo 2-bis, comma 1, del decreto-legge n.  185 del 2008, convertito con modificazioni in legge n.  2 dei 2009, si è verificato un innalzamento dei costi per i correntisti»;
          i comportamenti che le banche hanno adottato nel tentativo di reintegrare a carico della clientela esistente, con voci di addebito a nuovo e diverso titolo, gli introiti forniti dalla abolita commissione di massimo scoperto, dovrebbero comunque cadere anch'esse sotto la sanzione della legge;
          in questo momento nel quale molte aziende si trovano ad avere difficoltà di liquidità, dovute anche ai ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione, è naturale che esse ricorrano ancor di più a fidi bancari;
          limitazioni o troppo onerose spese di gestione del fido, a maggior ragione se riproducono una situazione che è stata esclusa, dalla legge, risultano fortemente penalizzanti e ingiustificabili  –:
          di quali elementi disponga in merito al fenomeno descritto in premessa, con particolare riferimento all'eventuale introduzione, a diverso titolo e con diversa denominazione, di una voce di spesa simile alla abolita commissione di massimo scoperto e se ritenga di assumere iniziative normative per sanzionare questa pratica;
          quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda promuovere, per accertare che vi sia una applicazione sostanziale della norma che ha abrogato le commissioni di massimo scoperto.
(4-17103)

GIUSTIZIA

Interpellanza:


      Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
          nei giorni scorsi, trentaquattro arresti hanno decapitato la cosca di ’ndrangheta dei Giampà, una delle più potenti della Calabria: è questo il risultato dell'operazione «Medusa» (condotta da carabinieri, polizia e guardia di finanza) che ha evidenziato anche il ruolo svolto dalle donne della famiglia quale «collante» tra i boss detenuti e gli affiliati liberi, ai quali venivano impartite le direttive dei capi;
          le accuse per gli arrestati vanno, a vario titolo, dall'associazione mafiosa alle estorsioni, dall'usura al danneggiamento, alle armi e al favoreggiamento; agli atti dell'inchiesta anche le dichiarazioni di dieci collaboratori di giustizia (tra cui cinque divenuti pentiti nell'arco dell'ultimo anno), nonché le intercettazioni telefoniche ed ambientali predisposte;
          l'importante operazione messa in atto nel territorio di Lamezia Terme costituisce il frutto di un costante e forte impegno della magistratura e delle forze dell'ordine che, pur nella esiguità delle risorse e dei mezzi a loro disposizione hanno inferto un duro colpo ad una parte della criminalità lametina che controlla l'intero tessuto economico e sociale della città;
          notevoli sono infatti le lacune nella procura distrettuale di Catanzaro, a partire dall'assenza di un dirigente amministrativo (le cui funzioni sono svolte dai magistrati costretti a trascurare il loro lavoro) fino alla mancanza di carta negli uffici;
          la procura ordinaria conta 10 magistrati a fronte di 7 (c’è la scopertura di un sostituto) in forza all'Antimafia: un numero decisamente esiguo per un distretto che copre i due terzi del territorio calabrese e, in particolare, 8 tribunali di cui il più lontano è a 200 chilometri da Catanzaro;
          una criticità pesante che si traduce nell'assenza «giustificata» dei magistrati che hanno un periodo di permanenza in ufficio estremamente limitato, a scapito di una sempre più avvertita esigenza di coordinamento e di circolazione di notizie tra i vari sostituti;
          ciò che pesa maggiormente, secondo il procuratore aggiunto della direzione distrettuale antimafia Borrelli, non è la sopravvenienza dei fascicoli – circa settemila l'anno quelli che arrivano a carico di noti, ai quali vanno ad aggiungersi le svariate migliaia di quelli a carico di ignoti – ma l'arretrato che fa accrescere in maniera considerevole il numero dei processi attribuibili a ciascun magistrato (1.200, destinati ad aumentare a causa di due congedi per maternità e un trasferimento)  –:
          se non intenda, al fine di superare questa grave situazione di empasse organizzativo, aumentare l'organico o assumere eventuali iniziative di competenza per una applicazione temporanea di giudici che collaborino alla definizione dell'arretrato.
(2-01611) «Tassone».

Interrogazioni a risposta scritta:


      RENATO FARINA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          durante la visita dell'interrogante ex articolo 67 OP alla casa circondariale di Monza San Quirico sabato 21 luglio 2012 si sono palesate situazioni di gravità inaudita. Nella sezione dei «nuovi giunti» numerose celle di circa 8 metri quadri ospitano quattro detenuti, dei quali due sono sistemati su letti a castello e altri due devono giacere su materassini a terra;
          permane inoltre la situazione di inagibilità di 61 celle oltre che degli ambienti comuni quali chiesa, palestra, teatrino, imponendo così l'accatastamento di persone in spazi non consentiti nemmeno per l'allevamento di animali. E questo in presenza di sforzi encomiabili da parte di personale militare e civile;
          il rischio di rivolte è contenuto dalla qualità dei rapporti instaurati tra agenti, direzione e detenuti  –:
          come intenda porre rimedio a questa situazione;
          se iniziative siano in corso per adeguare la prassi detentiva all'articolo 27 della Costituzione che impone «senso di umanità» nell'applicazione della pena.
(4-17092)


      SBAI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          in Italia la violenza sessuale è punita dall'articolo 609-bis e seguenti del codice penale;
          è prevista la pena della reclusione dai 6 ai 12 anni se la violenza è commessa:
              «1. nei confronti di una persona che non ha compiuto gli anni quattordici;
              2. nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni sedici della quale il colpevole sia l'ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore;
              3. con l'uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa;
              4. da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricati di servizi pubblici;
              5.    su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale;
              5-bis. all'interno o nelle immediate vicinanze di istituto d'istruzione o di formazione frequentato dalla persona offesa»;
          è stato denunciato, ma non ci sono per adesso nei suoi confronti provvedimenti restrittivi, il diciottenne che avrebbe usato violenza sessuale su una quindicenne di Sansepolcro;
          la violenza sarebbe stata consumata a margine della «notte bianca» svoltasi sabato;
          la violenza sarebbe andata avanti per quasi tutta la notte, riducendo la giovane in condizioni fisiche e psichiche drammatiche;
          secondo i carabinieri il giovane avrebbe attirato la ragazzina in un luogo appartato del centro dove sarebbe avvenuta la violenza;
          il giovane autore dello stupro è tornato a casa dopo la violenza;
          la ragazzina, quindicenne, è stata soccorsa, dopo la chiamata ai carabinieri, al pronto soccorso, dove è stato accertato lo stupro;
          il giovane è ora a piede libero, in attesa di giudizio;
          il mancato arresto deriva, secondo quanto si apprende, nonostante uno stupro consumato, dalla non flagranza e dalla non volontà di fuga;
          cresce esponenzialmente la cifra degli stupri e delle violenze contro le donne, nonostante campagne di sensibilizzazione e di prevenzione;
          il 21 per cento delle vittime ha subito la violenza sia in famiglia che fuori, il 22,6 per cento solo dal partner, il 56,4 per cento solo da altri uomini. I partner sono responsabili della quota più elevata di tutte le forme di violenza fisica rilevate, e sono responsabili in misura maggiore anche di alcuni tipi di violenza sessuale come lo stupro nonché i rapporti sessuali non desiderati, ma subiti per paura delle conseguenza;
          il 69,7 per cento degli stupri, infatti, è opera di partner, il 17,4 per cento di un conoscente e solo il 6,2 per cento è stato opera di estranei;
          400 mila donne hanno subito violenza sessuale prima dei 16 anni, il 6,6 per cento del totale;
          gli autori delle violenze sono vari e in maggioranza conosciuti, solo nel 24,8 per cento la violenza è stata ad opera di uno sconosciuto  –:
          come intenda il Governo, agire per affrontare il fenomeno;
          come intenda il Governo, agire per tutelare le donne e le ragazze vittime di violenza;
          se intenda il Governo, assumere un'iniziativa normativa che preveda l'arresto a prescindere dalle condizioni succitate, nel caso di violenza effettivamente consumata;
          se intenda il Governo assumere un'iniziativa normativa che inasprisca le pene e le renda più severe per stupratori (specie se seriali) e molestatori. (4-17096)

INTERNO

Interpellanza:


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
          secondo quanto riportato nella relazione della direzione investigativa antimafia (DIA) sulla criminalità nazionale relativa al secondo semestre 2010, la situazione a Bitonto (Bari) sarebbe precipitata con un «aumento significativo degli episodi criminosi»;
          precisamente, «l'area bitontina continua ad essere interessata dalla pressione criminale operata dai clan baresi Strisciuglio, Parisi, Mercadante-Diomede e dalla parallela disgregazione del clan Valentini. In particolare il clan Conte-Cassano è confluito nel clan Mercadante-Diomede, mentre il clan Valentini, dopo la polverizzazione subita con l'operazione “Satellite” del 2006, è confluito in parte negli Strisciuglio e in parte nel clan Parisi, dando anche origine al gruppo Cipriano»;
          nella relazione si evidenzia che la sicurezza cittadina è in pericolo in quanto «tali fenomeni di aggregazione criminale hanno portato una situazione caratterizzata da un elevato grado di criticità. Questo perché i clan contrapposti Strisciuglio e Parisi nei tentativi di colonizzare l'area bitontina, figurano essere rispettivamente rappresentati dai locali gruppi antagonisti Elia-Modugno e Cipriano»;
          secondo la relazione della direzione investigativa antimafia del primo semestre del 2011 purtroppo la situazione a Bitonto rimane fortemente critica. «Il territorio del Comune di Bitonto continua ad essere pesantemente connotato dall'operatività di consorterie mafiose, interessate da dinamiche di scontro vedono contrapposi elementi appartenenti all'originario clan Valentini, detto Semiraro-Valentini, a membri del gruppo Conte-Cassano»;
          a Bitonto le rapine ai danni di portavalori, negozi, supermercati, banche, sono in vertiginoso aumento e risultano «realizzate sia da gruppi organizzati, in grado di pianificare le azioni criminali, sia da squadre non stabili, che vengono formate al momento»;
          «la minaccia dei gruppi criminali pugliesi è risultata caratterizzata da dinamiche violente, finalizzate sia alla ridefinizione dei ruoli interni ai sodalizi, sia alla spartizione dei territori e dei mercati illeciti fra i diversi gruppi». Si parla dunque di «quarta mafia» «che si pone come gregaria ad altri macrofenomeni criminali endogeni, quali camorra, e ’ndrangheta, favorita anche da una posizione geografica che fa della Puglia una naturale porta d'ingresso dei traffici illegali in Italia» (estratto da www.bitontolive.it);
          conseguentemente, in questi ultimi mesi i cittadini di Bitonto sono stati costretti a subire diversi episodi di violenza:
              il 16 luglio 2012 c’è stata una sparatoria tra agenti della polizia stradale e alcuni malfattori intenti a scassinare una delle casse automatiche del casello autostradale;
              il 10 luglio 2012 in pieno centro, alle ore 21, quattro giovani a bordo di due scooter in corsa si sono affrontati a colpi di pallottole incuranti della presenza di centinaia di persone;
              il 3 luglio 2012 c’è stato il ferimento di Vito Cotrufo, 37 anni, uomo presumibilmente legato al clan Cipriano;
              il 30 giugno 2012 ci sono stati una doppia sparatoria in città, un ferito e tanti misteri; è stata ritrovata l'auto dei sicari. Tornano ad affrontarsi i clan malavitosi. Il luogo della sparatoria in via Berlinguer;
              25 giugno 2012 vengono sparati sette colpi di pistola; un bossolo viene ritrovato, non si registra nessun ferito. Nell'area mercatale sono stati esplosi diversi colpi, ma l'agguato è fallito. Poco dopo le 21, ignoti, probabilmente a bordo di una moto di grossa cilindrata hanno sparato sette colpi di pistola calibro 9x21, un intero caricatore quindi, nel bel mezzo dell'area utilizzata dalle famiglie della zona, solitamente, per passare qualche momento di relax serale;
              il 19 giugno 2012 viene incendiato il fianco sinistro di Porta Baresana prospiciente Piazza Cavour. La causa dovrebbe essere un piccolo cassonetto destinato alla raccolta del vetro;
              il 1° giugno 20121 si registra l'esplosione di sei colpi di pistola per rapinare un rappresentante di gioielli;
              il 28 aprile 2012 si verifica una sparatoria in via La Malfa, viene gambizzato un 27enne. Si tratta di Vito Di Cataldo, ferito al polpaccio e ricoverato presso l'Ospedale San Paolo;
              il 10 marzo 2012 si verifica una sparatoria nei centro storico, muore un ragazzo di 31 anni. Emanuele Giampalmo, 31 anni, è stato freddato poco prima delle 21 in via Antonio Planelli, in pieno centro storico, a due passi da Palazzo Vulpano. Tre colpi lo hanno raggiunto all'addome provocandogli le ferite mortali. Insieme alla vittima, è stato ferito un altro ragazzo, Michele Vitariello, colpito ad un piede e fuori pericolo;
              il 14 febbraio 2012 sono bruciate otto auto durante la notte di San Valentino;
          ma l'incolumità dei cittadini è messa a repentaglio anche a causa della scarsa presenza di volanti di pubblica sicurezza attive sul territorio. Agli interpellanti infatti risulta che di tutto il personale delle forze dell'ordine, soltanto due pattuglie svolgerebbero attività di vigilanza nella città  –:
          quali iniziative urgenti il Ministro intenda adottare al fine di tutelare i cittadini di Bitonto, e se intenda riorganizzare le forze dell'ordine locali integrando il numero delle volanti addette alla vigilanza della città.
(2-01610) «Zazzera, Di Stanislao».

Interrogazioni a risposta immediata:


      DI PIETRO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          la sentenza del tribunale amministrativo regionale con il quale il 17 maggio 2012 sono state annullate le elezioni regionali svoltesi in Molise nel 2011 è esecutiva, non avendo ritenuto di fatto il Consiglio di Stato di accogliere le istanze di sospensiva cautelare;
          il Consiglio di Stato si riunirà il 16 ottobre 2012 per pronunciarsi in ordine alle istanze cautelari e nel merito sui ricorsi, ma ciò non appare all'interrogante motivo sufficiente per procrastinare ulteriormente un abuso istituzionale e l'indizione di nuove elezioni;
          ad avviso dell'interrogante, i cittadini molisani subiscono da tempo un deficit democratico ed istituzionale: è notoria la perdurante, drammatica e fallimentare gestione del comparto sanità perpetrata dal presidente della regione, via via affiancato da sub commissari, ma mai rimosso dall'incarico, nonostante l'inopportunità della sua permanenza in carica, la condanna inflitta dalla magistratura, i numerosi problemi giudiziari e, ora, il difetto di legittimità recato dall'annullamento delle elezioni che lo hanno proclamato presidente della regione;
          in assenza di una immediata «reazione», ad avviso dell'interrogante questa vacatio politica rischia di assumere profili oltremodo critici e di comportare conseguenze assai negative per i cittadini, per le imprese, per la regione tutta, a fronte, soprattutto, delle notizie che giungono in ordine all'emanazione di provvedimenti e delibere da parte del presidente della regione;
          ad avviso dell'interrogante, la questione è aggravata anche dalla permanenza in carica della persona di Michele Iorio, in questo momento illegittimamente presidente della regione, nonché commissario straordinario per la sanità, persona colpita nel febbraio 2012 da una condanna definitiva e oggetto di indagini in altri otto procedimenti;
          ad avviso dell'interrogante, ragioni istituzionali, politiche, programmatiche, etiche impongono che questa esperienza governativa si chiuda al più presto –:
          se non si intendano avviare le procedure necessarie all'indizione delle elezioni regionali nel Molise, in modo che esse possano svolgersi al più presto. (3-02408)


      PEZZOTTA, ADORNATO, VOLONTÈ, ENZO CARRA, LUSETTI, COMPAGNON, CICCANTI, NARO e RAO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          lo straordinario afflusso di profughi provenienti dal nord Africa durante il 2011 aveva reso necessario un programma di accoglienza di emergenza affidato alla Protezione civile;
          la stragrande maggioranza dei profughi ha presentato richiesta di asilo e le loro istanze vengono valutate dalle competenti commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale;
          sulla base dei dati finora forniti, ben oltre la metà dei richiedenti asilo ha avuto risposta negativa e molti richiedenti hanno presentato ricorso ai tribunali;
          secondo gli ultimi dati forniti sul sito internet della Protezione civile, al 13 aprile 2012, 21.146 richiedenti asilo risultano essere in accoglienza di questo sistema, di cui la stragrande maggioranza da oltre 12 mesi (il dato sulle presenze dei profughi nei centri non risulta ad oggi aggiornato);
          il costo giornaliero per persona nei centri di accoglienza del sistema è stato fissato a 46 euro per vitto, alloggio e servizi vari alla persona;
          dalla delegazione dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati per il Sud Europa, nonché da numerosi enti di tutela di rifugiati, associazioni e enti locali, in data 12 marzo 2012 sono state presentate alcune proposte al Ministro interrogato;
          tali proposte prevedono il rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo ai profughi, innanzitutto a coloro che hanno avuto risposta negativa alle proprie istanze, in considerazione della loro particolare situazione, essendo stati costretti ad abbandonare la Libia, dove molti avevano vissuto per anni;
          le proposte prevedono, altresì, un programma di rimpatrio volontario assistito, con una dotazione finanziaria realistica e misure per la reintegrazione nei Paesi di origine;
          era stata avanzata anche la proposta di facilitare il ritorno volontario assistito in Libia appena ve ne siano le condizioni, attraverso un programma apposito e sulla base di un accordo con le autorità libiche;
          risulta che finora il Governo non abbia presentato alcun piano per le soluzioni atte a superare la situazione di emergenza e a fornire alle regioni e agli enti locali una prospettiva per quanto riguarda la sorte di queste persone;
          esiste il concreto rischio che oltre 15 mila profughi provenienti dal nord Africa entrino in situazioni di irregolarità di soggiorno;
          le spese per l'accoglienza, senza fornire soluzioni, gravano pesantemente sul bilancio dello Stato;
          le proposte avanzate permetterebbero, in tempi brevi, una forte diminuzione dei costi e della necessità di continuare l'accoglienza –:
          se esista un piano per affrontare la condizione socio-legale dei profughi a cui non è stata riconosciuta la protezione da parte delle commissioni territoriali.
(3-02409)

Interrogazioni a risposta scritta:


      REALACCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nel pieno rispetto delle sue prerogative statutarie, secondo l'articolo 14, lettera n) dello statuto della regione siciliana, la regione siciliana sta procedendo, per tutto il suo territorio, alla definizione e all'approvazione dei piani paesaggistici, seguendo rigorosamente le procedure previste dalle norme vigenti, a partire dal codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo n.  42 del 2004);
          nel mese di febbraio 2012, con decreto dell'assessore regionale dei beni culturali, è stato adottato il piano paesaggistico della provincia di Siracusa;
          alcune amministrazioni locali e alcuni privati hanno presentato dei ricorsi per il suo annullamento, poi rigettati dal TAR di Catania. I medesimi sostenitori dei suddetti ricorsi, dopo il rigetto delle loro istanze, hanno deciso, in maniera alquanto anomala, di rivolgersi al Prefetto di Siracusa, dottor Renato Franceschelli, con la richiesta di convocare un incontro sull'argomento, anziché seguire la normale procedura di opposizione amministrativa;
          il prefetto di Siracusa ha ritenuto di accogliere il suddetto invito convocando una riunione in prefettura il 4 luglio 2012, alla presenza dell'assessore regionale dei beni culturali della Regione Siciliana e il dirigente generale del medesimo assessorato (nel convocare l'incontro del 4 luglio il prefetto di Siracusa non ha però tenuto in considerazione le procedure previste per l'approvazione dei piani paesaggistici e, in particolare, quelle contenute nell'articolo 144 «Pubblicità e partecipazione» del sopracitato codice dei beni culturali e del paesaggio);
          lo stesso articolo 144 del codice dei beni culturali e del paesaggio assegna in modo chiaro ed esplicito alle amministrazioni regionali il compito esclusivo di organizzare e gestire la concertazione istituzionale, la partecipazione, l'informazione e la comunicazione;
          dagli organi d'informazione si è appreso che nella riunione tenutasi in prefettura si sia deciso di avviare una ridiscussione del Piano Paesaggistico di Siracusa adottato nel mese di febbraio, prevedendo delle procedure anomale e non previste dalle normative vigenti. A tal proposito si fa presente che i giornali locali hanno riportato una frase del prefetto Franceschelli che avrebbe suggerito nuove modalità operative: «Dividiamo il
territorio in 4 aree e organizziamo tavoli più ristretti affrontando le priorità e, in tre mesi, potremo concludere il lavoro»  –:
          se il Ministro sia a conoscenza della questione e in base a quali presupposti nelle prerogative dei prefetti sussista anche quella di occuparsi di pianificazione paesaggistica;
          se il Ministro ritenga che le iniziative prese dal prefetto di Siracusa siano legittime, essendo egli intervenuto in un procedimento e in un iter che riguarda esclusivamente la regione siciliana con i suoi organi amministrativi. (4-17102)


      ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          il signor Villa, invalido civile al 100 per cento, presentava nel 2005 denuncia presso la questura di Monza sita in via Romagna per episodi di stalking consistenti in reiterate aggressioni subite dai vicini di casa signori Ruoppo verificatesi fino al 2009;
          dalla data del 10 marzo 2005 i signori Ruoppo avrebbero persistito nell'apostrofare con epiteti razzisti riferiti alla invalidità, nell'insultare e nell'aggredire il signor Villa con ripetute aggressioni comprese nei capi di imputazione del rinvio a giudizio degli imputati;
          per detti episodi regolarmente denunciati è in corso un processo che vede imputati i signori Ruoppo –:
          di quali elementi disponga in merito alla sicurezza personale del signor Villa, considerando che lo stesso ha dovuto trasferirsi per non subire aggressioni fisiche secondo le minacce ricevute dal 2005, e se risulti la sussistenza di rischi anche per gli anziani genitori dello stesso. (4-17104)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
          la situazione del personale precario nella scuola italiana impone un serio impegno al fine di affrontare e risolvere in modo organico il problema: non solo per dare certezza di futuro e stabilità occupazionale ai dipendenti ma anche, e soprattutto, per assicurare la continuità didattica e un corretto svolgimento dell'attività ordinaria delle scuole che deve essere garantita dallo Stato ai cittadini;
          in tal senso, con l'approvazione dell'articolo 1, comma 605 della legge 27 dicembre 2006, n.  296, e successive modificazioni, era stata predisposta la trasformazione delle graduatorie del personale docente precario da permanenti ad esaurimento ed era stato definito un piano triennale per l'assunzione a tempo indeterminato di personale docente per gli anni 2007-2009 per complessive 150.000 unità di personale docente e 30.000 unità per il personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA);
          in realtà, questo piano triennale al termine dell'anno scolastico 2009-2010 è stato realizzato solo in parte. Infatti, il numero complessivo di assunzioni era stato di 83.000 unità per il personale docente e di 25 mila unità per il personale Ata;
          inoltre, negli anni 2010-2011 e 2011-2012 sono stati nominati complessivamente solo 18 mila docenti e 14.550 ATA;
          con il successivo articolo 9, comma 17 del decreto-legge 13 maggio 2011, n.  70 è stato definito un ulteriore piano triennale per l'assunzione a tempo indeterminato di personale docente, educativo ed ATA, per gli anni 2011-2013, sulla base dei posti vacanti e disponibili in ciascun anno;
          a seguito della sessione contrattuale del 19 luglio 2011, realizzata per dare attuazione al piano triennale previsto dall'articolo 9, comma 17 del decreto-legge n.  70 del 2011 riguardante la nomina del personale precario della scuola, è stato emanato il decreto interministeriale 3 agosto 2011 che disponeva per l'anno scolastico 2011-2012 l'assunzione di 30.300 unità di personale educativo e docente, di cui 10.000 a completamento della richiesta di assunzioni effettuata per l'anno scolastico 2010-2011, e di 36.000 unità di personale ATA;
          il Contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale del comparto scuola stipulato il 19 luglio 2011 tra ARAN e sindacati garantisce in maniera permanente la necessaria copertura finanziaria, con una modifica sostanziale della carriera economica iniziale di tutto il personale;
          il suddetto decreto interministeriale prevedeva per gli anni 2012-2013 e 2013-2014 l'immissione in ruolo di 22 mila docenti e 7.000 ATA ogni anno  –:
          quali siano i tempi per l'adozione dei previsti provvedimenti governativi necessari per procedere all'immissione in ruolo, sui posti disponibili in organico, sia per il personale docente che per il personale amministrativo tecnico ausiliario, in tempo utile per l'avvio dell'anno scolastico 2013-2014.
(2-01613) «Coscia, Ghizzoni, Antonino Russo, Ventura».

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta immediata:


      SARDELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          le casse privatizzate degli ordini professionali contribuiscono alla fiscalità generale con una tassazione del loro patrimonio – si ricorda – costituito ab origine a garanzia del diritto costituzionale alla previdenza di una categoria definita e, quindi, teoricamente indisponibile a logiche redistributive extracategoriali;
          tale patrimonio, che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali in più occasioni ha definito strutturalmente intangibile, in quanto garanzia di ultima istanza per la previdenza delle future generazioni, è in realtà sottoposto ad una tassazione considerevole;
          ciò appare, quindi, in evidente asimmetria con il dettato della privatizzazione, che, conferendo autonomia gestionale, contabile ed organizzativa alle casse, ha appunto escluso le casse dalla possibilità di ricorso alla fiscalità generale in caso di squilibrio;
          poiché in situazioni di emergenza il comportamento si deve determinare su ragioni di priorità ed opportunità basate anche sulla comparazione con realtà analoghe o viciniori, gli orizzonti sempre crescenti di sostenibilità richiesti dal Governo (fino a 50 anni) alle casse privatizzate appaiono in stridente contrasto con gli analoghi parametri della previdenza pubblica;
          il legislatore ha sancito il principio di autonomia responsabile al momento della privatizzazione delle casse, tranne poi prevedere che i risparmi scaturenti siano appostati in un istituendo fondo dello Stato al di fuori della disponibilità delle casse previdenziali, sottraendo alla casse stesse il risparmio ottenuto –:
          se il Ministero del lavoro e delle politiche sociali intenda continuare a riconoscere autonomia gestionale, contabile ed organizzativa alle casse degli ordini professionali, conservando una realtà di virtuosa gestione delle risorse che non ha inciso, né può incidere in nessuna maniera sui costi della previdenza pubblica. (3-02413)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      MOTTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 17, comma 18, della legge n.  127 del 1997 disponeva che il personale dipendente dell'Ente poste italiane, nella more della trasformazione dello stesso in società per azioni, potesse essere comandato presso altre amministrazioni pubbliche;
          il consiglio di amministrazione dell'INPDAP, con delibera n.  702 del 18 dicembre 1997, ha richiesto l'utilizzazione, in posizione di comando, di un contingente di dipendenti dell'ente poste pari a 579 unità;
          con decreto del 18 ottobre 1999 della Presidenza del Consiglio dei ministri — dipartimento della funzione pubblica di concerto con il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica è stato disposto il trasferimento di 305 dipendenti delle Poste nella corrispondente qualifica funzionale dei ruoli del personale INPDAP. Il personale, che già si trovava in posizione di comando alla data del 28 febbraio 1998 è stato trasferito con decorrenza 1° aprile 2000;
          con nota n.  1215 del 26 aprile 2000 l'INPDAP ha richiesto alla Presidenza del Consiglio dei ministri — dipartimento della funzione pubblica l'autorizzazione all'assunzione di ulteriori 274 unità che avevano già assunto servizio, in comando dalle Poste, successivamente al 28 febbraio 1998;
          detto personale è stato trasferito nei ruoli del personale INPDAP con decorrenza 10 gennaio 2001 secondo quanto disposto con decreto 7 novembre 2000 della Presidenza del Consiglio dei ministri — dipartimento della funzione pubblica, di concerto con il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, ovvero a parità di inquadramento Ente poste-INPDAP;
          i due decreti del Presidente del Consiglio dei ministri sopraccitati consistevano in un elenco nominativo dei lavoratori dell'Ente poste da trasferire all'INPDAP, con le rispettive qualifiche di provenienza e quelle, asseritamente corrispondenti, di nuova assegnazione disponendo il passaggio definitivo tra le due amministrazioni sulla base del criterio del mantenimento della qualifica originaria e di una sua trasposizione orizzontale nell'area e nel livello retributivo corrispondente, senza alcuna specifica verifica in ordine all'effettiva corrispondenza tra le diverse categorie professionali (sentenza Cassazione sezioni unite n.  503 del 12 gennaio 2011);
          conseguentemente, diversi dipendenti hanno adito le vie legali con risultati largamente positivi che hanno creato, anche all'interno del gruppo degli ex postali, significative differenze di inquadramento. Molti ricorsi, per altro, risultano essere ancora pendenti ed in attesa di giudizio definitivo;
          in ragione del fatto che i lavoratori trasferiti dall'ex Ente poste non facevano parte dei ruoli dell'INPDAP, a causa del protrarsi delle pratiche di autorizzazione da parte del dipartimento della funzione pubblica, l'istituto ha inteso escluderli dal partecipare ai concorsi interni di riqualificazione banditi nel maggio 2000 riservati al solo personale in servizio di ruolo alla data del 29 dicembre 1999, non applicando quindi le disposizioni in materia di mobilità volontaria o concordata di cui all'articolo 53, comma 10, della legge 449 del 1997 così come previsto dalla legge finanziaria 1999 (legge n.  448 del 1998)  –:
          in che modo il Ministro interrogato intenda intervenire al fine di valutare l'effettiva sussistenza di una sperequazione nei confronti dei dipendenti ex Ente poste inquadrati nei ruoli INPDAP tra il 1997 e il 2001;
          se non ritenga di valutare l'opportunità di assumere un'iniziativa che riconosca ai dipendenti INPDAP ex postali la riconsiderazione del livello di inquadramento, tenendo in adeguata considerazione i titoli di studio e l'anzianità di servizio effettivamente maturata dai lavoratori. (5-07522)

Interrogazioni a risposta scritta:


      SBAI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 3 della Costituzione cita espressamente: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali»;
          «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»;
          si apprende dai media un episodio scandaloso e discriminatorio nei confronti di una donna;
          un dipendente egiziano dell'hotel Danieli di Venezia, non volendo prendere ordini da una superiore donna, si sarebbe prima licenziato per poi tornare e venire riammesso con la garanzia che prenderà direttive da un uomo;
          se accertata, la decisione dell'hotel sarebbe gravissima, perché lede il diritto di una donna e dà spazio ad una concezione estremista dell'Islam;
          questa decisione, sempre se accertata, aprirebbe la via, ad avviso dell'interrogante, ad una violazione dell'articolo 3 della Costituzione, che prevede libertà ed eguale dignità e trattamento di fronte alla legge;
          questo comportamento del lavoratore egiziano è sintomo di un estremismo salafita che avanza a passo spedito, umiliando e discriminando le donne, prima col burqa e poi con la discriminazione sul lavoro  –:
          di quali elementi disponga il Governo in merito a questa vicenda;
          come intenda il Governo agire per tutelare le donne e le ragazze vittime di discriminazione, nella vita e sul lavoro.
(4-17098)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il 22 luglio 2012 a Marsala un operaio, il signor Youssef Mortaba, di nazionalità marocchina, è morto mentre puliva un silos in acciaio per il vino;
          secondo le prime informazioni l'uomo sarebbe deceduto a causa delle esalazioni tossiche fuoriuscite dalla cisterna;
          secondo le testimonianze di alcuni parenti, l'operaio lavorava nella cantina Mothia da circa quattro anni, a giorni alterni, facendo i doppi turni durante la vendemmia;
          alcuni amici, secondo quanto riferisce Il Giornale di Sicilia, hanno riferito che «la paga era sempre di 30 euro al giorno»  –:
          quale sia l'esatta dinamica dell'incidente;
          se la normativa relativa alla sicurezza nei luoghi di lavoro sia stata rispettata o disattesa;
          quali iniziative si intendano adottare, promuovere, sollecitare in ordine alle proprie competenze, in relazione all'episodio sopra evidenziato. (4-17100)

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta immediata:


      RUVOLO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          nel comparto agricoltura l'occupazione relativa a dipendenti a tempo determinato e a tempo indeterminato risulta, sulla base di dati Inps ed Enpaia, essere composta da 1.085.000 persone: di queste circa 35.000 sono gli impiegati, i quadri e i dirigenti; 117.000 gli operai a tempo indeterminato e 933.000 gli operai a tempo determinato (ovvero sostanzialmente gli stagionali); in agricoltura risultano occupati l'8,5 per cento del totale degli occupati in Italia, nell'agroalimentare è occupato il 12,3 per cento del totale degli occupati;
          gli operai extracomunitari sono 90.000: quelli occupati a tempo indeterminato sono 17.000 e gli operai a tempo determinato 73.000;
          i lavoratori extracomunitari sono utilizzati in una quota del 42 per cento in produzione di colture arboree e nella raccolta della frutta, nel 32 per cento nella raccolta di ortaggi e pomodori, nel 13 per cento nella zootecnia e nel 13 per cento in agriturismo e vendita di prodotti;
          gli occupati nel settore agricolo suddivisi per fascia di età risultano essere: fino a 29 anni il 22 per cento; dai 30 ai 49 anni il 52 per cento; dai 50 anni in su il 26 per cento;
          in Italia i datori di lavoro agricoli sono in totale circa 211.000: di questi circa 132.500 sono imprese in economia; circa 68.700 coltivatori diretti; circa 9.500 cooperative e consorzi; 262 sono le pubbliche amministrazioni e forestali. I datori di lavoro agricoli sono in circa 176.000 casi imprese individuali e in circa 34.800 casi società;
          nel 2000 i coltivatori diretti erano circa 635.000, mentre nel 2008 questi si sono ridotti a circa 478.000, registrando una riduzione del 25 per cento. Gli imprenditori agricoli professionali nel 2000 erano circa 9.000, nel 2008 questi sono aumentati, raggiungendo un numero pari a circa 19.700 e registrando un aumento pari al 120 per cento;
          gli operai occupati in agricoltura nel 2000 erano circa 840.000, nel 2008 sono aumentati del 10,8 per cento, raggiungendo il numero di oltre 930.000 occupati;
          nel 2000 gli impiegati erano 27.900, mentre nel 2008 risultavano essere oltre 33.500, con un aumento di oltre il 20 per cento;
          i dirigenti sono passati dai 1.333 del 2000 ai 1.370 del 2008, registrando un aumento del 2,8 per cento;
          nel 2009 i primi segnali di crisi nell'occupazione agricola: infatti, tra il primo trimestre del 2008 e il primo trimestre del 2009 risulta una diminuzione del 1,8 per cento degli occupati a tempo determinato e una riduzione del 4,5 per cento degli occupati a tempo indeterminato;
          il confronto del peso dei contributi previdenziali pagati in Italia rispetto al resto dell'Unione europea, relativamente agli occupati a tempo determinato, è impietoso: in Italia questo sono pari a oltre il 35 per cento, mentre in Francia è pari al 13 per cento, in Spagna del 18 per cento, nel Regno Unito del 12 per cento e in Germania del solo 0,02 per cento;
          gli occupati in agricoltura in Europa risultano essere pari a: 1.400.000 in Francia, 800.000 in Germania, 725.000 in Spagna. In totale nell'Unione europea gli occupati sono pari a 6.000.000;
          in Germania, dove i contributi sono prossimi al costo zero, la cancelliera Angela Merkel ha proposto la riduzione dei contributi per l'assicurazione contro gli infortuni in agricoltura nel limite di 200 milioni di euro;
          l'elevato costo dei contributi per occupati a tempo determinato, se rapportato ai contributi applicati nell'Unione europea, rappresenta un onere impossibile da sostenere per i datori agricoli, che impedisce di contenere il costo del lavoro nel comparto agricolo e che si riverbera sul costo dei prodotti agricoli esportati –:
          quali iniziative il Governo intenda assumere a sostegno dell'occupazione nel comparto della produzione agricola e agroalimentare, che vive una gravissima crisi economica e occupazionale, affinché si giunga ad una riduzione sostanziale o all'esonero del versamento dei contributi per i lavoratori agricoli a tempo determinato, in linea con quanto applicato nell'Unione europea. (3-02406)

Interrogazione a risposta in Commissione:


      PAOLO RUSSO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          il formaggio pecorino romano DOP rappresenta uno dei prodotti d'eccellenza del made in Italy agroalimentare, tra i più famosi nel mondo;
          il pecorino romano DOP è un formaggio a pasta dura e cotta, prodotto con latte fresco di pecora proveniente da greggi allevate allo stato brado;
          la zona di produzione del pecorino romano DOP comprende l'intero territorio delle regioni Lazio e Sardegna, e della provincia di Grosseto, nella regione Toscana;
          la filiera produttiva del pecorino romano DOP è di fondamentale importanza per lo sviluppo economico dei territori di produzione;
          il pecorino romano DOP è uno dei nostri formaggi più imitati e contraffatti al mondo;
          la tutela internazionale dei prodotti ad indicazione geografica è un'esigenza sempre più sentita da parte dei nostri produttori;
          i prodotti di eccellenza del made in Italy agroalimentare sono ogni giorno esposti a pratiche di concorrenza sleale principalmente dovute a fenomeni di contraffazione o di imitazione (fenomeno del cosiddetto Italian Sounding ingannevole);
          il consorzio di tutela del pecorino toscano DOP ha recentemente segnalato un grave caso di contraffazione del proprio prodotto da parte della società multinazionale francese «Lactalis», che attraverso il noto marchio «Galbani» di sua proprietà, ha recentemente immesso sul mercato degli Stati Uniti un prodotto denominato «romano» che rientra a pieno nella categoria dei prodotti Italian Sounding ingannevoli  –:
          quali iniziative il Governo intenda adottare per tutelare gli interessi dei nostri produttori di pecorino romano DOP, che rischiano oltre ad un pericoloso danno di immagine anche la perdita di importanti quote su un mercato strategico come quello degli Stati Uniti, da sempre prima destinazione extra Europea dei nostri prodotti agroalimentari;
          se sia stata coinvolta sul tema la Commissione europea o se si intenda farlo;
          se sia stato coinvolto il Governo francese – la Francia con l'Italia è tra i Paesi membri da sempre in prima linea a difesa dei prodotti ad indicazione geografica – chiedendo di intervenire su una propria azienda che già in passato era stata coinvolta in contenziosi relativi a pratiche di concorrenza sleale simili, sempre a danno dei nostri formaggi DOP. (5-07525)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


      SANI e CENNI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          nel 2008 70 dipendenti delle amministrazioni provinciali e delle comunità montane della Toscana (oggi dipendenti delle unioni dei comuni), che si occupavano del settore agricolo, furono coinvolti nel caso giudiziario denominato dai media «Demetra»;
          in sintesi tali dipendenti pubblici furono citati in giudizio per presunti errori nella istruttoria relativa al bando della regione Toscana «Premio Giovani» e nello specifico sui rimborsi erogati da tale iniziativa;
          questi dipendenti sono stati prosciolti, con formula piena, dalla Corte dei conti, in primo grado (sentenza n.  657 del 2009) ed in appello (sentenza n.  893 del 2011);
          la sentenza numero 657 del 2009 ha inoltre disposto che le spese legali dei dipendenti sono a carico dell'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi, stabilendo però un limite di rimborsabilità;
          la Corte dei conti svolge funzioni di controllo (articolo 100 della Costituzione) e funzioni giurisdizionali nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge (articolo 103 della Costituzione). Accanto a queste, svolge anche funzioni amministrative (ad esempio: provvedimenti concernenti lo status economico e giuridico dei propri dipendenti) e consultive (pareri al Governo ed ai Ministri in ordine ad atti normativi e provvedimenti; pareri in materia di contabilità pubblica a richiesta di regioni, comuni, province e città metropolitane);
          da quanto è emerso dalle affermazioni di alcuni dipendenti coinvolti nella vicenda, la cifra riconosciuta a titolo di rimborso risulta essere molto inferiore a quanto richiesto dagli avvocati, corrispondendo a circa un terzo della somma complessiva. Una cifra che è stata, ad oggi, quantificata in circa 11 mila euro a dipendente;
          l'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n.  191 del 1979 prevede l'assistenza processuale per i dipendenti degli enti locali in conseguenza di fatti ed atti connessi all'espletamento dei compiti d'ufficio, purché non vi sia conflitto di interesse con l'ente e non ricorra il dolo o la grave colpa del dipendente;
          la motivazione della Corte dei conti desta quindi perplessità anche in relazione a quanto dispone il comma 1 dell'articolo 28 del contratto collettivo nazionale del lavoro della Funzione pubblica (articolo integrativo del 14 settembre 2000) e relativo al «Patrocinio legale». In particolare:
              a) l'ente, anche a tutela dei propri diritti ed interessi, ove si verifichi l'apertura di un procedimento di responsabilità civile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi all'espletamento del servizio e all'adempimento dei compiti d'ufficio, assumerà a proprio carico, a condizione che non sussista conflitto di interessi, ogni onere di difesa sin dall'apertura del procedimento, facendo assistere il dipendente da un legale di comune gradimento;
          risulta quindi evidente come la Corte dei conti abbia interpretato la normativa vigente inserendo un tetto ai rimborsi per le spese processuali e legali di dipendenti delle amministrazioni pubbliche assolti con formula piena;
          tale situazione di incertezza può anche sicuramente incidere sulle future istruttorie del bando «Giovani Sì» che sono affidate agli stessi dipendenti già indagati, che non potranno avere la necessaria tranquillità se sussiste il dubbio di dover lavorare senza la completa tutela giudiziaria  –:
          se non ritenga utile, al fine di evitare interpretazioni della normativa vigente quali quelle descritte in premessa, fissare per il futuro parametri economici certi e soddisfacenti relativi ai massimali delle spese legali e processuali che le pubbliche amministrazioni devono assicurare ai loro dipendenti. (5-07523)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la Società italiana di neonatologia, a proposito del neonato deceduto all'ospedale San Giovanni di Roma per un presunto errore materiale dei sanitari, ha fatto presente che in seguito a una normativa dell'Unione europea del 2001, sono oggi disponibili dei presidi che rendono bene identificabile ciò che va infuso per la via intestinale e annullano il rischio di errori spesso fatali nei reparti di neonatologia;
          tuttavia, in Italia i reparti ospedalieri attrezzati con questo sistema sono solo «nell'ordine di una decina»  –:
          se quanto affermato dalla Società italiana di neonatologia corrisponda al vero;
          in caso affermativo quali siano le ragioni per cui solo in dieci reparti in tutta Italia sono in funzione dispositivi anti-errore;
          se non si ritenga di assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché i reparti di neonatologia siano dotati di detti dispositivi anti-errore. (5-07524)


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il 23 luglio 2012 il quotidiano La Repubblica, in un articolo dell'inviato Paolo Berizzi informava che il comune di Lecco ha stabilito che il canile gestito da dieci anni dalla presidente della Lega Italiana per la Difesa degli animali, Maria Vittoria Brambilla, va chiuso e i suoi circa 150 cani ospitati altrove;
          detta struttura, risulterebbe, secondo quanto accertato dalla locale ASL, troppo vecchia, troppo angusta e insicura, non a norma con la legge della regione Lombardia;
          in particolare dai sopralluoghi sarebbe emerso che la struttura in questione è a dir poco carente: box e gabbie insufficienti e inadeguate; ambulatori inesistenti o non a norma; niente ambienti per il lavaggio e la disinfezione delle attrezzature e nemmeno acqua calda; mancano anche gli spogliatoi e i servizi igienici per il pubblico. Nella relazione si fa notare, inoltre, che «il canile presenta grosse lacune per quanto previsto dalla legge 626»;
          tutto trarrebbe origine da un esposto che, a detta della signora Susanna Chiesa dell'associazione «Freccia 45» sarebbe partita «dopo cinque anni dal nostro esposto sulla gestione del canile... finalmente viene fatta chiarezza sulla gestione di una struttura che avrebbe dovuto essere chiusa anni fa»;
          con deliberazione di giunta n. 285 del 15 dicembre 2011 si è prorogata la convenzione relativa all'affidamento del canile municipale e della sua gestione alla lega italiana per la difesa degli animali - LEIDA (onlus) per il periodo 1o gennaio - 31 novembre 2012 (mesi undici);
          con atto stipulato in data 11 aprile 2003 il comune di Lecco ha affidato il canile rifugio municipale e la sua gestione alla associazione lega italiana per la difesa degli animali - LeIDA onlus per 9 anni a decorrere dal 1o gennaio 2003 al 31 dicembre 2011 come è riportato nella deliberazione di giunta n. 285 del 15 dicembre 2011;
          il comune di Lecco ha presentato domanda di cofinanziamento di progetto finalizzato alla lotta al randagismo ai sensi del decreto giunta regionale n.  IX/939 del 1o dicembre 2010, mediante realizzazione di nuovo canile rifugio e nuovo canile sanitario per adeguarsi alle disposizioni di cui al regolamento regionale 5 maggio 2008 n. 2 «regolamento di attuazione della legge regionale 20 luglio 2006 n.  16 lotta al randagismo e tutela degli animali di affezione come è riportato nella deliberazione di giunta n. 285 del 15 dicembre 2011;
          come da deliberazione n.  285 del 15 dicembre 2011 la giunta del comune di Lecco «in considerazione sia dei tempi necessari per l'espletamento del bando che per quelli previsti per l'approvazione del progetto del nuovo canile e la sua realizzazione di prorogare la validità del contratto sopra specificato per mesi 11 dal 1o gennaio 2012 sino al 30 novembre 2012 alle stesse condizioni previste nella convenzione prima specificata ivi incluse quelle economiche relative all'anno 2011  –:
          di quali elementi disponga il Governo, anche per il tramite dell'unità operativa per la tutela degli animali di affezione e la lotta al randagismo, in merito alla vicenda di cui in premessa. (5-07526)

Interrogazione a risposta scritta:


      FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          presso l'ospedale romano San Giovanni, a causa di un incredibile quanto gravissimo errore, l'aver iniettato in vena latte in luogo di una flebo fisiologica, un neonato il 29 giugno 2012 è deceduto;
          la madre del piccolo, una donna filippina, era alla trentesima settimana di gestazione quando ha cominciato ad avere le contrazioni e così ha deciso di andare al Grassi di Ostia, dove ha partorito;
          date le condizioni di salute del piccolo, prematuro di dieci settimane, i medici hanno deciso il trasferimento di madre e figlio al San Giovanni e il ricovero nel reparto di neonatologia, dove il piccolo avrebbe dovuto ricevere tutte le cure intensive di cui aveva bisogno;
          non si comprende come sia stato possibile che si sia commesso un così grave errore come scambiare una flebo di soluzione fisiologica con del latte  –:
          di quali elementi disponga in merito alla vicenda descritta in premessa e quali eventuali iniziative intenda assumere in proposito. (4-17101)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
          nel nostro Paese sono 56 mila le famiglie che, nel 2011, sono state colpite da un provvedimento di sfratto per morosità, un dato in linea con l'andamento del 2010 che, negli ultimi cinque anni, è aumentato costantemente, con un balzo complessivo – dal 2006 alle rilevazioni attuali – del 64 per cento;
          a pesare, inutile dirlo, è la crisi, che porta con sé la difficoltà ad arrivare a fine mese per un numero sempre maggiore di italiani;
          degli oltre 63 mila provvedimenti di sfratto del 2011, l'87 per cento sono dovuti all'impossibilità di pagare degli inquilini. A guidare la triste classifica c’è Roma dove, nel 2011 sono state emesse 4678 nuove sentenze, seguono Torino (2523 sfratti), Napoli (1557) e Milano (1115). Il dato è in aumento su tutto il territorio nazionale, e le associazioni che si occupano dei diritti degli inquilini sono in allarme e denunciano una situazione che non potrà che peggiorare;
          si tratta di una tendenza che non può che aggravarsi, stando agli allarmi lanciati dai sindacati degli inquilini, che denunciano la forte sofferenza sociale e auspicano, da parte delle istituzioni, adeguate misure di contrasto;
          l'unione inquilini prevede 250 mila nuovi sfratti nei prossimi tre anni, di cui 225 mila per morosità incolpevole, ossia per la reale impossibilità di pagare il canone per via di cause sopraggiunte;
          un intervento ordinato e coordinato per questo problema non c’è. Negli ultimi anni, le risorse per il sostegno agli affitti sono state tagliate dal Governo Berlusconi dell'85 per cento; la proroga sugli sfratti non comprende la morosità incolpevole, e le realtà locali si muovono un po’ ciascuna a modo proprio (tramite fondi o mettendo a disposizione alloggi popolari);
          oltre a mancare un coordinamento nazionale ed un progetto unico, si segnala che:
              il fondo per la non autosufficienza è stato azzerato da anni;
              il fondo nazionale per il contributo affitti è passato da 205 milioni di euro nel 2008 a 36 milioni di euro nel 2011, con una prospettiva di diminuzione del 70 per cento;
              il fondo sociale è diminuito del 55 per cento;
              il fondo contributo affitti non è stato solo tagliato dell'85 per cento dal Governo Berlusconi; il Governo Monti lo ha totalmente azzerato a partire dal 2012 per cui di 300 mila famiglie «borderline», che con questo contributo non andavano in morosità, un'alta parte sarà a rischio;
          la fiscalità è un elemento fondamentale della locazione. L'attenuazione del carico fiscale sugli immobili locati attraverso la cedolare secca, che aveva dato un po’ di respiro nel 2011, è stata quasi annullata dalla manovra di fine anno –:
          quali siano gli intendimenti del Governo rispetto a tale vicenda e quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di evitare serie conseguenze e difficoltà alle famiglie interessate e realmente bisognose.
(2-01615) «Carlucci, Galletti, Zinzi, Tassone, Adornato, Bosi, Buttiglione, Capitanio Santolini, Enzo Carra, Casini, Cera, Cesa, Compagnon, De Poli, Delfino, Libè, Lusetti, Mantini, Marcazzan, Mereu, Ricardo Antonio Merlo, Mondello, Occhiuto, Pezzotta, Poli, Rao, Ria, Ruggeri, Nunzio Francesco Testa, Volontè, Bonciani, Luongo, Bordo, Naro».


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
          la colossale opera di risanamento e contenimento dei conti pubblici volta a ripristinare la credibilità complessiva dei fondamentali della nostra economia, rischia di veder vanificare gli effetti dei pur pesanti sacrifici richiesti a quasi tutti gli strati sociali, laddove non fosse accompagnata da un forte impegno per la salvaguardia di quel tessuto produttivo che rappresenta tuttora il secondo complesso manifatturiero europeo;
          è fin troppo evidente, infatti, che senza una forte politica di sostegno e rilancio produttivo, il continuo indebolimento del denominatore nel rapporto debito/prodotto interno lordo che si registra da anni e che si sta accentuando in questi mesi (da ultime, le dure previsioni di Confindustria), rischia di avvitarci in una spirale recessiva che non potrà non comportare anche un aggravio della finanza pubblica;
          da questo punto di vista, le recenti affermazioni dell'amministratore delegato di Fiat relative alla possibile prossima chiusura di un altro stabilimento industriale del gruppo dopo quello di Termini Imerese, desta – forse sarebbe meglio dire, dovrebbe destare – una profonda preoccupazione in tutti coloro che hanno a cuore le sorti di un comparto industriale che equivale, tenendo conto dell'intera filiera e nonostante le flessioni degli ultimi mesi, all'11 per cento del prodotto interno lordo;
          del famoso piano «Fabbrica Italia» sembra non esservi più traccia, nemmeno dal punto di vista delle intenzioni, tenuto conto degli evidenti ritardi nella sua realizzazione e a fronte di scenari che sembrano radicalmente cambiati. Si pensi solo che nel 2010, si prevedeva «di incrementare gradualmente i nostri volumi di produzione negli stabilimenti italiani fino al 2014, quando raggiungeranno 1.400.000 unità, più del doppio delle 650.000 prodotte nel 2009». Al contrario, nel 2011 la produzione di automobili negli stabilimenti Fiat in Italia è risultata inferiore a 480.000 unità, ovvero di meno 200.000 veicoli rispetto alla previsione del piano e, per arrivare all'obiettivo ipotizzato per il 2014, si dovrebbe registrare un incremento di un milione di automobili nel triennio 2012-2014;
          non c’è dubbio che sia l'intero mercato continentale a registrare una contrazione, ma le performance delle diverse imprese europee sono assai diversificate e il gruppo italiano è quello che sembra subire maggiormente l'andamento negativo delle vendite, tenuto conto anche di una limitata varietà e innovatività della gamma dei modelli offerti;
          anche la francese Peugeot ha annunciato tagli all'occupazione per 10 mila posti, ma a differenza del caso italiano, come si può leggere nel numero di Affari e finanza del 9 luglio, l'allegato al quotidiano la Repubblica, il Governo d'oltralpe è immediatamente intervenuto e per iniziativa del Ministro per il riassetto produttivo, Amaud Monteborg, ha annunciato «un piano per salvare la filiera dell'auto francese in una fase di contrazione del mercato», invitando i vertici del gruppo Psa a «fare immediatamente la massima trasparenza sulle loro intenzioni». Affermazioni, se possibile, ancor più rafforzate dallo stesso Presidente Hollande. Al contrario, in Italia, sempre secondo quanto riportato dal citato supplemento giornalistico, il Ministro dello sviluppo economico si sarebbe limitato ad affermare che «nessuno può mettere in discussione le scelte di un'azienda privata. Lo Stato può intervenire con aiuti all'innovazione e alla competitività»;
          in materia di politiche industriali volte a favorire la mobilità mediante veicoli che non producono emissioni di anidride carbonica, sin dall'ottobre 2009, il Partito democratico ha presentato un'apposita proposta di legge che nel giugno 2012 ha concluso una prima fase di esame presso la Commissione attività produttive della Camera dei deputati e di cui si auspica un sollecito varo definitivo e un sostegno decisivo da parte del Governo;
          va rilevato, inoltre, che la strategia sin qui seguita dal gruppo Fiat – e non solo – per quanto riguarda la redistribuzione delle produzioni, da un lato è certamente orientata a soddisfare la richiesta di mercati emergenti, come nel caso brasiliano, dall'altro sembra prediligere i territori extra-Unione europea, come nel caso serbo, dove non vigono le restrittive regole comunitarie in materia di aiuti alle imprese;
          agli esordi del suo mandato, lo stesso amministratore delegato Fiat riconobbe che l'incidenza del costo della manodopera sul prezzo finale dei prodotti automobilistici si aggira attorno all'8 per cento, evidenziando la relativa marginalità di tale dato rispetto alle altre componenti riconducibili alla capacità organizzativa delle imprese e ai costi delle materie prime;
          se questi sono alcuni degli elementi che caratterizzano le sorti del principale gruppo industriale italiano, viene da chiedersi: se si ha un'idea del modello economico-industriale che si ritiene più appropriato per il nostro Paese; se si ritiene auspicabile il mantenimento di un sistema produttivo che rappresenta tuttora il secondo complesso manifatturiero dell'Europa o ci si rassegna ad assistere a un progressivo impoverimento del comparto industriale proprio nei settori più innovativi e con i più alti tassi di contenuto tecnologico, scivolando verso un'economia di servizi o di produzioni tradizionali e a basso valore aggiunto e produttività, ritagliandoci un ruolo marginale nella suddivisione internazionale del lavoro; in sintesi, se si ha ancora l'ambizione di continuare a concorrere con la Germania o se si pensa di potercela cavare inseguendo i Paesi di nuova industrializzazione;
          nel recente rapporto ISFOL su «Le competenze per l'occupazione e la crescita» si evidenzia un quadro davvero preoccupante: con riferimento agli andamenti dei dati occupazionali 2010-2011 si può leggere infatti «in termini generali, non si può non osservare come il contenuto della crescita occupazionale risulti fortemente caratterizzato da occupazioni a bassa o media qualificazione, ovvero di tipo low-skilled, come nel caso del lavoro di assistenza (circa 60 mila lavoratori in più) e nel commercio (circa 30 mila addetti in più)» e più avanti «Le previsioni diffuse dal CEDEFOP (Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale) nel marzo 2012 per il totale dei Paesi comunitari indicano una robusta crescita delle opportunità di lavoro verso professioni caratterizzate da elevate competenze»; tuttavia «Il nostro Paese si allontana dal trend europeo: le previsioni per il futuro mostrano in Italia una stagnazione della crescita delle professioni a elevata specializzazione e una crescita delle professioni elementari. Le professioni tecniche, dopo un quindicennio di crescita, mostrano un assestamento sui valori registrati nel 2010. Prosegue l'andamento decrescente delle professioni manuali qualificate. Il disallineamento tra offerta e domanda di competenze, segnalato al CEDEFOP, è in Italia più elevato rispetto ad altri Paesi: il fenomeno del sottoinquadramento caratterizza i livelli più scolarizzati della forza lavoro, specialmente la componente giovanile nella fase di ingresso nell'occupazione. Anche il livello delle competenze della forza lavoro qualificata nel nostro Paese risulta inferiore rispetto ai maggiori Paesi europei: oltre ad avere una quota di professioni ad elevata specializzazione tra le più basse nel confronto continentale (superiore solo ad Austria e Portogallo), la base occupazionale con i livelli professionali più elevati è composta per poco più della metà (53,6 per cento) da lavoratori con istruzione terziaria, a fronte del 70,6 per cento della media comunitaria, del 72 per cento della Germania e del 71 per cento della Francia. La dinamica registrata nel periodo 2004-2010 evidenzia come in Italia ad un incremento di occupati con istruzione terziaria, di poco superiore alla media europea, non sia corrisposto un aumento delle professioni high-skilled, che risultano invece diminuite con un tasso di variazione negativo secondo solo a quello del Portogallo. Un simile scenario rivela una distorsione sensibile nella dinamica delle competenze nel nostro Paese, dove l'incremento di laureati non viene assorbito in misura sufficiente dall'aumento delle professioni ad elevata specializzazione, tradizionalmente composte da occupati con istruzione terziaria»  –:
          quali siano gli orientamenti del Governo relativamente alle prospettive di un settore chiave per il comparto industriale italiano quale è quello automobilistico e della mobilità e quali siano le strategie che si intende mettere in campo, attraverso il più ampio coinvolgimento dei diversi attori economici, sociali, di rappresentanza dei territori nonché del mondo della scienza e della ricerca, al fine di salvaguardare una presenza significativa della capacità produttiva nazionale, di occupazione e di know how di cui l'Italia è da sempre all'avanguardia;
          quali atti concreti e immediati si intendano assumere al fine di avviare un confronto con i responsabili del gruppo Fiat al fine di definire obiettivi, procedure e soluzioni volti a scongiurare un ulteriore impoverimento della struttura industriale italiana e dare sollecita attuazione del piano «Fabbrica Italia»;
          più in generale, quali siano, pur tenendo conto della particolare congiuntura economico-finanziaria in cui ci si trova ad operare, le iniziative che si intendono adottare al fine di mantenere e rafforzare i connotati industriali del sistema economico italiano, favorendo i settori a più alta intensità innovativa e tecnologica;
          se non ritengano opportuno facilitare, per quanto di propria competenza, un sollecito iter delle iniziative legislative volte a sostenere le forme di mobilità a minor impatto ambientale.
(2-01616) «Damiano, Bersani, Bonavitacola, Bratti, Capano, Cilluffo, Misiani, Mosca, Pizzetti, Pollastrini, Rugghia, Dal Moro, D'Antona, D'Antoni, De Micheli, De Pasquale, Fiano, Fogliardi, Garofani, Giovanelli, Lolli, Lovelli, Marantelli, Marchignoli, Margiotta, Marini, Pierdomenico Martino, Giorgio Merlo, Tenaglia, Livia Turco, Maurizio Turco, Vannucci, Mazzarella, De Torre, Bellanova, Berretta, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Madia, Mattesini, Miglioli, Rampi, Santagata, Schirru».

Interrogazioni a risposta immediata:


      LO PRESTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato il Governo italiano a risarcire a Francesco di Stefano la somma di euro 10 milioni per danni materiali e morali per avere atteso invano l'attribuzione delle frequenze per trasmettere Europa 7, decorsi 10 anni dalla concessione ottenuta a seguito di concorso pubblico espletato e concluso nel 1999;
          nella motivazione della sentenza si legge tra le altre cose che: «le autorità italiane non hanno rispettato l'obbligo prescritto dalla Convenzione europea dei diritti umani di mettere in atto un quadro legislativo e amministrativo per garantire l'effettivo pluralismo dei media»;
          prosegue la motivazione alla sentenza: «Europa 7 poteva ragionevolmente aspettarsi l'attribuzione delle frequenze per mandare in onda i suoi programmi al massimo entro due anni»;
          e ancora: «le autorità italiane hanno interferito con i suoi legittimi diritti, con la continua introduzione di leggi che hanno via via esteso il periodo in cui le tv che già trasmettevano potevano mantenere la titolarità di più frequenze»;
          il ritardo con il quale Europa 7 ha avuto assegnate le frequenze è certamente da attribuirsi, ad avviso degli interroganti, a responsabilità individuali in capo a dirigenti dello Stato e titolari dei vari dicasteri competenti ed, in primo luogo, ai Ministri delle comunicazioni (poi Ministri dello sviluppo economico) degli ultimi dodici anni, oltre ai Presidenti del Consiglio dei ministri pro tempore succedutisi –:
          se e quali iniziative intenda assumere, nell'ambito delle sue competenze, per rivalersi sui responsabili del danno ut supra individuato delle somme che il Governo sarà costretto a pagare a Europa 7. (3-02410)


      SAGLIA e BALDELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          la crisi finanziaria ed i conseguenti interventi di Governo e Parlamento tesi a ridurre il debito e mantenere gli equilibri di finanza pubblica ripropongono il tema delle privatizzazioni mobiliari e immobiliari dello Stato;
          il Popolo della Libertà giudica positivamente l'azione di privatizzazione quando orientata anche da criteri di politica industriale;
          lo Stato detiene ancora partecipazioni di controllo in asset strategici di vari settori, in particolare in Eni, Enel, Finmeccanica, Poste italiane, Ferrovie dello Stato italiane;
          l'attuale capitalizzazione di borsa di molte società pubbliche, comprese le utility locali, particolarmente deprezzata e non rappresentativa del reale valore delle aziende, costituisce un bersaglio appetibile per soggetti esteri e fondi sovrani;
          al momento della separazione proprietaria di Snam da Eni circolarono voci a proposito di un interessamento da parte di fondi sovrani di Paesi produttori di gas e petrolio, che, qualora avessero perfezionato il loro ingresso, avrebbero mostrato un evidente conflitto di interesse;
          il Governo ha ridisegnato i «poteri speciali» esercitabili in caso di minaccia e grave pregiudizio della sicurezza e degli interessi nazionali, rendendoli più forti nella difesa e più circoscritti nell'energia, nei trasporti e nelle comunicazioni, settori in cui vengono inclusi anche le reti e gli impianti;
          secondo alcune indiscrezioni di stampa, Siemens starebbe perfezionando un'offerta a Finmeccanica per rilevare Ansaldo energia. Il costo dell'operazione dovrebbe essere pari a 1,3 miliardi di euro. L'obiettivo di Siemens è controllare il 100 per cento di Ansaldo energia;
          Ansaldo energia è attualmente controllata al 55 per cento da Finmeccanica, mentre il restante 4 per cento, invece, è stato ceduto a marzo 2011 alla First reserve;
          Ansaldo energia ed Ansaldo sts rappresentano un punto di eccellenza dell'industria nazionale ed un patrimonio di esperienze professionali molto significativo –:
          quali iniziative intenda assumere il Governo per difendere gli asset industriali strategici, con particolare riferimento al gruppo Finmeccanica. (3-02411)

Interrogazione a risposta orale:


      COMPAGNON. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 12 del decreto legislativo 22 luglio 1999, n.  261, recante «Attuazione della direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità dei servizi» dispone che l'autorità di regolamentazione del settore postale stabilisce gli standard qualitativi del servizio postale universale adeguandoli a quelli realizzati a livello europeo;
          l'articolo 3, comma 1 del menzionato decreto legislativo stabilisce che le prestazioni del servizio postale universale sono fornite permanentemente in tutti i punti del territorio nazionale, incluse le situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali e montane;
          il decreto del Ministero dello sviluppo economico 28 giugno 2007 stabilisce i nuovi standard minimi degli uffici postali nei periodi estivi;
          l'articolo 2, comma 4 del decreto del Ministero dello sviluppo economico 7 ottobre 2008 stabilisce che nei comuni con unico presidio postale non è consentito effettuare soppressioni di uffici postali;
          il recente piano degli interventi di razionalizzazione di Poste italiane spa prevede la prossima parziale chiusura dell'ufficio postale di Resia (Udine);
          tale determinazione segue alla chiusura avvenuta lo scorso gennaio di altri 8 uffici postali, sempre nella provincia di Udine: Cornino, Flagogna, Madonna di Buia, San Tommaso, Socchieve, Torsa di Cocenia, Trava e Urbignacco;
          l'ufficio postale di Resia è presidio unico di comune e fornisce il servizio a circa 1.200 residenti, (il 27,8 per cento dei quali rappresentato da pensionati ultrasessantacinquenni), nonché vari titolari di depositi iscritti all'AIRE – Anagrafe degli italiani residenti all'estero;
          il territorio comunale con le sue lontane frazioni (la più lontana dista 12 chilometri dall'ufficio postale di Resia) presenta delle criticità, tra le quali: la morfologia, l'inefficiente sistema di trasporto pubblico locale e l'insufficiente copertura della rete internet;
          Resia rientra nelle unità amministrative incluse nel territorio di applicazione della Convenzione delle Alpi, il cui obiettivo fondamentale è: «Rispettare, conservare e promuovere l'identità culturale e sociale delle popolazioni locali e assicurarne le risorse vitali di base»;
          oltre a ricadere nella normativa statale e regionale che tutela le minoranze linguistiche «storiche» in quanto comune di confine con la Slovenia, Resia possiede delle rilevanti specificità, come la presenza della sede dell'Ecomuseo istituito con legge regionale n.  10 del 20 giugno 2006 e della direzione del Parco naturale regionale delle Prealpi Giulie istituito con la legge regionale n.  42 del 30 settembre 1996 per la quale ultima ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti nazionali ed internazionali (Transboundary Parks, EcoRegione Alpi Giulie, EcoRegio Alpe Adria) e attestati (Connettività Ecologia Alpina, Bandiere Verdi di Legambiente, Green Experience);
          la chiusura parziale del suddetto presidio rischia di compromettere il regolare svolgimento del servizio postale universale che dovrebbe essere assicurato a tutti i cittadini, con particolare riguardo alle zone rurali e montane colpite ormai da anni da un irreversibile fenomeno di spopolamento e, proprio per questo, fortemente penalizzate  –:
          se, nell'ambito delle proprie competenze e tenuto conto che le funzioni di regolazione e vigilanza del servizio postale sono state trasferite all'Autorità garante per le comunicazioni il decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, intenda avviare un'azione di sensibilizzazione nei confronti della concessionaria Poste italiane, in particolare per le problematiche relative al comune di Resia ed in generale alle aree più disagiate del territorio. (3-02405)

Interrogazione a risposta scritta:


      TADDEI, MOFFA e MARMO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          in Italia sono, purtroppo, molto numerosi gli ex artigiani, commercianti, le piccole partite iva individuali, che sono stati dichiarati falliti o che sono in attesa di sentenza da parte del tribunale fallimentare;
          sono molti gli individui di cui sopra ad essere in età pensionabile e percettori di una pensione mensile superiore ai 1.000,00 (mille) euro;
          alla luce del decreto cosiddetto di «semplificazione fiscale» dal 1o luglio 2012 le pensioni superiori ai 1.000,00 (mille) euro/mese, possono essere incassate solo attraverso accredito su conto corrente bancario o postale;
          in base ai contenuti del regio decreto 16 marzo 1942 (legge fallimentare) e successive modificazioni e integrazioni ed alle norme del codice civile in materia di revocatorie, ai soggetti dichiarati falliti il sistema bancario non concede l'apertura di conto corrente e qualora sia già in essere viene revocato;
          quindi questa fattispecie di soggetti si vedrebbe impossibilitata a percepire la pensione mensile, magari unico mezzo di sostentamento;
          il Governo in data 19 aprile 2012 accoglieva l'ordine del giorno n 9/05109-AR/031 con il quale si impegnava a valutare l'opportunità di convocare un tavolo tecnico con i vertici di Abi e Bancoposta al fine di trovare una soluzione alla fattispecie di cui alla presente premessa  –:
          se e in quali modi abbia dato seguito all'impegno preso con l'accoglimento dell'ordine del giorno citato in premessa, ovvero, in caso contrario, se non intenda in tempi brevissimi convocare un tavolo tecnico tra i vertici di Abi e Bancoposta al fine di consentire anche a soggetti dichiarati falliti l'apertura di conto corrente e permettere loro di percepire la pensione mensile. (4-17099)

Pubblicazione di un testo riformulato.

      Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Bossa n.  4-17049, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n.  669 del 19 luglio 2012.

       BOSSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          a nord di Napoli (area Giuglianese) c’è un territorio cresciuto intorno al comune di Giugliano, confinante con altri comuni medio grandi come Qualiano e Villaricca, e con una parte della fascia costiera Domiziana, dove risiedono centinaia di migliaia di abitanti, configurato tecnicamente come «area vasta» nei piani «Sin» e «Sic»;
          nell'area Giuglianese è in atto, dagli Anni Ottanta, una vera e propria emergenza ambientale determinata da sistemi diffusi, legali e no, di smaltimento dei rifiuti che hanno gravemente inquinato il territorio;
          forte è stato, come si evidenzia da alcune inchieste giudiziarie, l'ingresso nel sistema di trattamento dei rifiuti dei clan di camorra, che proprio nel Giuglianese hanno localizzato molti impianti fuorilegge dove sono stoccati in maniera illegale materiali tossici e nocivi;
          tra i siti a più alta problematicità c’è quello della cava ex Resit, che ha funzionato come discarica per 24 anni; una vasta area al centro dello sversamento criminale e legalizzato di 341 mila tonnellate di rifiuti pericolosi, di 160 mila tonnellate di rifiuti speciali non pericolosi e di 305 mila tonnellate di rifiuti solidi urbani; in prossimità della stessa ci sono due siti di stoccaggio Fibe (Ponte Riccio e Cava Giuliano) dove sono accatastati da 8 anni 275.000 metri cubi di rifiuti;
          l'ex Resit, insieme alla discarica di Novambiente, era di proprietà del boss pentito Gaetano Vassallo (considerato tra le menti dei traffici dei rifiuti tossici che dal Nord Italia giungevano in Campania); essa insieme alla discarica di Masseria del Pozzo, alla Schiavi e alla Cava Giuliani, occupa una vasta aerea di 120 ettari di terra;
          la gestione imprenditoriale degli impianti era del plurindagato avvocato di Parete, Cipriano Chianese, arrestato nel 2005 per concorso esterno in associazione mafiosa; alla fine degli Anni ottanta Chianese ha fondato la Setri, ribattezzata poi Resit, una società che si sarebbe dovuta occupare del trattamento dei rifiuti pericolosi che giungevano da tutta Italia; rifiuti che una volta sul posto, però, anziché essere smaltiti venivano, a quanto risulta all'interrogante, solo seppelliti senza alcuna sorta di protezione degli invasi, in assenza totale di teli a protezione del sottosuolo;
          il risultato è stato avvelenare il terreno e le falde acquifere; un disastro ambientale totale che, stando alle parole di Giovanni Balestri, il geologo incaricato dalla Dda di Napoli di indagare sul contenuto delle acque dei pozzi della zona, entro il 2064 diventerà inevitabile, quando cioè il percolato altamente tossico che «fuoriesce inesorabilmente dagli invasi sarà completamente penetrato nella falda acquifera che è collocata al di sotto dello strato di tufo sopra il quale si trovano le discariche. I veleni contamineranno decine di chilometri quadrati di terreno e tutto ciò che lo abiterà»;
          sul sito, attualmente, sono state segnalate esalazioni tossico-nocive, attribuite ad attività di autocombustione sotterranee dei rifiuti stoccati in questo impianto; in tutta l'area, varie indagini hanno determinato la necessità di una bonifica radicale, di una destinazione ad uso agricolo «no food», segnalando, come sopra detto, il rischio di una grave contaminazione dell'acqua di falda e dei pozzi, tanto che sono state emanate varie ordinanze sindacali per la chiusura dei pozzi stessi;
          tutta l'area è spesso oggetto di incendi per incuria e abbandono delle zone, delle vecchie discariche dismesse, con una spaventosa moltiplicazione dei pericoli; su alcune strade contigue ci sono da anni sversamenti abusivi di rifiuti mai rimossi; sono stati rilevati anche rifiuti speciali e amianto, a volte dati alle fiamme;
          sull'area ex Resit è stato costruito un progetto di caratterizzazione e messa in sicurezza; l'area è stata definita Sin (sito di interesse nazionale per le bonifiche); è stata oggetto di una ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri (la n.  3891 del 4 ottobre 2010) denominata «interventi urgenti di messa in sicurezza e bonifica delle aree di Giugliano in c.e. dei laghetti di Castelvolturno»;
          si è provveduto ad uno stanziamento di 48 milioni di euro, con una responsabilità operativa affidata al commissariato straordinario per le bonifiche (su cui pende, però, l'incertezza di un mandato ufficialmente scaduto senza che nessuno sia ufficialmente subentrato nelle competenze e nei compiti) e alla società Sogesid;
          in data 7 ottobre 2010 è stata sottoscritta una apposita convenzione tra la SOGESID, il Commissario delegato ex. OPCM 3891/2010, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Campania, al fine di attuare gli interventi di cui alla citata OPCM;
          la procedura di bonifica appare andare a rilento; l'area è attualmente sottoposta a sequestro giudiziario da parte della procura della Repubblica di Napoli e questo allunga un'ombra aggiuntiva sui tempi di realizzazione della bonifica, che però appare non più rinviabile data la situazione di vero allarme sulla zona  –:
          se il Ministro sia a conoscenza della situazione di emergenza ambientale dell'area a nord di Napoli denominata «Giuglianese»; se e come intenda attivarsi, nell'ambito delle proprie competenze, perché in quella zona sia salvaguardata e tutelata la salute dei cittadini con l'avvio di una bonifica complessiva dei siti inquinati, in particolare nell'area ex Resit, di un monitoraggio costante del territorio, di una tutela effettiva della salute pubblica. (4-17049)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti, sono stati ritirati dai presentatori:
          interrogazione a risposta orale Pezzotta n.  3-02271 del 14 maggio 2012;
          interrogazione a risposta orale Lo Presti n.  3-02326 dell'11 giugno 2012;
          interpellanza Concia n.  2-01594 del 12 luglio 2012;
          interpellanza Damiano n.  2-01608 del 19 luglio 2012;

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

      Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Di Biagio n.  5-06845 del 14 maggio 2012 in interrogazione a risposta scritta n.  4-17090.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


      BERRETTA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il made in Italy, e in particolare il made in Italy agroalimentare, rappresenta una straordinaria leva competitiva per la crescita del Paese;
          la Coldiretti ha denunciato in modo dettagliato e preciso una serie di iniziative poste in essere da società partecipate dal Ministero dello sviluppo economico tali da determinare quella che appare una vera e propria «svendita» dell'economia e dei nostri territori che hanno fatto parlare, con una notevole eco su tutti gli organi di comunicazione, di una vera e propria «contraffazione di Stato»;
          il contrasto alla contraffazione ha, del resto, conseguenze economiche e sanitarie di rilievo tanto per le imprese quanto per i consumatori, sì che tutte le parti sociali (Abi, Alleanza cooperative italiane, Ania, Cgil, Cia, Cisl, Claai, Coldiretti, Confagricoltura, Confapi, Confindustria, Reteimprese Italia, Ugl, Uil) con un documento unitario del 4 agosto 2011, nella definizione delle priorità sulle quali operare per rilanciare la crescita, hanno chiesto di «attuare politiche incisive volte alla promozione e difesa del made in Italy di qualità quale leva competitiva del Paese in grado di valorizzare il lavoro, il capitale e il territorio italiano, sfruttando il potenziale di penetrazione commerciale all'estero delle imprese italiane»;
          nelle dichiarazioni sugli indirizzi e le linee programmatiche esposte in commissione agricoltura alla Camera (audizione 19 aprile 2011) lo stesso Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali pro tempore non ha lasciato dubbi sulla responsabilità di affrontare con decisione la lotta alla contraffazione;
          nella suddetta audizione, a proposito delle innumerevoli circostanze in cui i prodotti agroalimentari italiani sono preda di sofisticazioni e frodi, il Ministro ha rilevato: «intendo attivarmi per garantire una piena tutela informativa ai consumatori italiani e, al contempo, attraverso un'adeguata azione a livello europeo e mondiale, intendo supportare il vero made in Italy contrastando quei fenomeni degenerativi denominati, nel gergo italian sounding, che sono da considerarsi altamente decettivi e ingannevoli (penso a prodotti con lo stivale, con la bandiera o con denominazioni che evocano malamente prodotti nazionali), i quali, in modo scorretto, speculano sulla nostra forza, sulla nostra cultura, sulla nostra tradizione per attivare meccanismi di vero illecito concorrenziale, vanificando ingiustamente il sacrificio dei nostri operatori e abusando del buon nome italiano nei mercati internazionali»;
          la Coldiretti ha in particolare denunciato dopo il caso dell'azienda casearia Lactitalia, anche il caso Parmacotto società partecipata dal Ministero dello sviluppo economico tramite la Società italiana per le imprese all'estero – SIMEST;
          nella risposta scritta, pubblicata giovedì 10 marzo 2011 nell'Allegato B al resoconto della seduta n.  447, all'interrogazione 4-08770, il Ministro, allora in carica, delle politiche agricole, alimentari e forestali ha parlato dell'adozione di «una serie di iniziative, avvalendosi della collaborazione del Ministero dello sviluppo economico e della società erogatrice del finanziamento pubblico “Simest s.p.a.«»;
          in particolare, si è portato a conoscenza che «tutte le amministrazioni coinvolte stanno già predisponendo ulteriori criteri per l'assegnazione dei progetti di finanziamento nell'ambito dell'internazionalizzazione delle aziende agroalimentari, al fine di scongiurare qualsiasi tipo di appropriazione indebita delle denominazioni protette ed impropri richiami all'origine italiana dei prodotti ottenuti e commercializzati»;
          è stata, inoltre, data notizia dell'istituzione di «un tavolo tecnico di lavoro per predisporre le linee guida di settore (da inserire nei prossimi contratti di finanziamento delle iniziative imprenditoriali) il cui rispetto costituirà, non solo, un mezzo di valutazione per l'ammissibilità delle domande ma consentirà, al contempo, di evitare fenomeni di concorrenza sleale nei confronti dei produttori nazionali»;
          più in particolare, la Società italiana per le imprese all'estero finanziaria di sviluppo e promozione delle imprese italiane all'estero, controllata per il 76 per cento dal Governo italiano, opera come partner qualificato delle imprese che scelgono l'internazionalizzazione per affermare la propria presenza sui mercati esteri;
          la SIMEST ha recentemente stipulato con il gruppo Parmacotto, azienda italiana leader nel settore dell'agroalimentare, un accordo che prevede un investimento di 11 milioni di euro nel capitale sociale dell'azienda, finalizzato ad una sua ulteriore espansione negli USA, Francia e Germania dove punta a consolidare la propria presenza;
          l'azienda in questione, con il supporto di SIMEST ha già avviato anche negli Stati Uniti un progetto che ha portato all'apertura di un punto vendita monomarca a New York e prevede di strutturare una vera e propria catena di locali caratterizzati dall'offerta di prodotti italian sounding tanto è vero che Alessandro Rosi, amministratore delegato di Parmacotto, ha dichiarato: «la metà circa delle carni suine lavorate nel mio gruppo, che non produce solo prosciutto cotto, viene da fuori: Francia, Danimarca, Spagna e Germania, per lo più»... «Ciò che conta è il know how, la lavorazione delle carni. È un fatto di cultura»... «Prendiamo il caso del salame. Negli Stati Uniti ne è proibita l'esportazione, perciò nel nostro emporio di Manhattan non possiamo vendere i nostri prodotti italiani. Perciò un tecnico della nostra azienda di San Gimignano si è trasferito nel New Jersey importando lì metodi e processi di produzione in ogni passaggio, adottati in Toscana. Il risultato è che a Manhattan lei può trovare una finocchiona che non teme il confronto con quella toscana»... «Dal punto di vista culturale è una finocchiona made in Italy. L'importante è che la carne sia di prima scelta, trattata nelle condizioni migliori...»;
          nei punti vendita già aperti nei diversi Stati, nell'Unione europea e negli Stati Uniti, dedicati alla salumeria tradizionale italiana, segmento di eccellenza del made in Italy e sinonimo di qualità e genuinità, si vendono alimenti realizzati con ingredienti e materie prime non italiane confezionati sul posto con etichette e marchi che evocano prodotti tipici della gastronomia italiana e delle specialità regionali;
          con l'obiettivo di cogliere e segnalare anomalie, indicatori e forme nelle quali, anche al di fuori del nostro Paese, possono presentarsi le diverse modalità della contraffazione, è stata istituita con deliberazione del 13 luglio 2010 un'apposita Commissione parlamentare di inchiesta, rafforzando il contrasto a tale fenomeno;
          la stessa volontà del Parlamento di tutelare l'identità e la territorialità dell'autentico made in Italy agroalimentare non è in discussione, se si fa riferimento non solo alla recente normativa settoriale sull'olio extravergine di oliva quanto, soprattutto, alle disposizioni generali in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari (legge 3 febbraio 2011, n.  44) approvate al fine di assicurare ai consumatori una completa e corretta informazione sulle caratteristiche dei prodotti oltre che al fine di rafforzare la prevenzione e la repressione delle frodi alimentari;
          la diffusione di prodotti che traggono in inganno circa la vera origine geografica realizza un evidente danno all'immagine della nostra produzione agroalimentare nazionale, raggirando i consumatori che non vengono messi in condizione di scegliere in modo responsabile;
          le operazioni di sostegno dell’italian sounding, da parte della SIMEST, determinano, tuttavia, danni ancora più gravi a giudizio dell'interrogante in quanto bloccano ogni potenzialità di crescita delle imprese italiane a causa della «saturazione» del mercato con prodotti che richiamano qualità italiane senza essere di origine nazionale, impedendo ai consumatori di effettuare una corretta comparazione sulla base della diversa qualità e convenienza con prodotti autentici del made in Italy;
          il sostegno della SIMEST alle attività di commercializzazione di prosciutti ed altri salumi della tradizione italiana da parte di Parmacotto al fine di creare una rete di locali per la ristorazione si inserisce, tra l'altro, in un periodo di grave crisi dell'allevamento di suini nel nostro Paese  –:
          quali vantaggi per il sistema agroalimentare nazionale la SIMEST abbia promosso con una strategia di finanziamento all'estero di imprese che commercializzano prodotti con quella che all'interrogante appare una falsa identità di origine, utilizzando manodopera, presentandosi quale soggetto d'imposta e creando valore aggiunto all'estero;
          quali iniziative intenda mettere in campo per verificare i criteri con cui vengono scelti, da parte della SIMEST, i progetti da finanziare e se non sia da ritenere, comunque, urgente deliberare il blocco degli attuali investimenti in attività di delocalizzazione di produzioni agroalimentari che costituiscano attività di concorrenza sleale;
          come intenda documentare i controlli che la SIMEST ha effettuato ed effettua sulle attività del settore agroalimentare delle quali acquisisce partecipazioni o che sostiene attraverso altre modalità affinché sia garantita la conformità allo scopo sociale;
          quali chiarimenti, precisi e incontrovertibili, intenda formulare a proposito del riscontro delle necessarie informazioni circa le partecipazioni e finanziamenti ad altre società del settore agroalimentare;
          quali siano gli intendimenti, del Governo in relazione al danno sofferto dalle imprese nazionali a fronte dell'avvenuta occupazione di mercato da parte di imprese, come Parmacotto, che grazie a cospicui finanziamenti hanno immesso prodotti che paiono soltanto imitativi di quelli autentici italiani, eliminando o riducendo sensibilmente le future possibilità di scelta dei consumatori in termini di confronto di qualità e di prezzo;
          quali iniziative intenda assumere per sanzionare la più grave irregolarità commessa da SIMEST attraverso la società Parmacotto da essa partecipata in relazione alle norme in materia di protezione di denominazioni di origine protetta a proposito della promozione di un prodotto (salumi calabresi) che gode del riconoscimento europeo;
          rispetto alla recente scelta del Parlamento di valorizzare l'effettiva origine geografica degli alimenti ed al sostegno dichiarato dal Governo pro tempore di procedere all'attuazione della legge sull'etichettatura attraverso l'adozione dei decreti attuativi, se non debba valutarsi gravemente lesivo delle linee programmatiche di sviluppo economico l'operato dei rappresentanti legali di SIMEST e, dunque, in che tempi e secondo quali modalità si intenda revocare il mandato agli attuali amministratori di SIMEST;
          in che termini intenda declinare l'impegno ad intraprendere progetti di promozione all'estero dei veri prodotti del made in Italy compatibilmente con la ricchezza dei nostri territori e la pluralità delle nostre produzioni anche più specificamente eliminando le barriere sanitarie che, proprio nel settore della carne, ostacolano il commercio con l'estero. (4-13998)

      Risposta. — Preliminarmente si precisa che la Simest Spa costituita nel 1991, ai sensi della legge 24 aprile 1990, n.  100, è una società «finanziaria di sviluppo» pubblico-privata, partecipata al 24 per cento dalle principali banche italiane e al 76 per cento dalla Confindustria e dal Ministero dello sviluppo economico. Lo scopo principale della Simest Spa, è di affiancare, attraverso l'utilizzo di strumenti tecnici e finanziari, le attività e gli investimenti internazionali delle imprese italiane, rafforzandone le capacità sui mercati internazionali.
      Ai sensi del decreto legislativo n.  143 del 1998 la società gestisce, inoltre, gli interventi di sostegno finanziario all'internazionalizzazione del sistema produttivo nazionale.
      È necessario sottolineare che, oltre a quanto stabilito in linea generale dalle normative vigenti, con specifico riferimento al processo di internazionalizzazione delle imprese italiane, ai sensi dell'articolo 1 della legge n.  80 del 2005 non è consentita, nell'ambito del sostegno delle imprese italiane nel loro percorso di internazionalizzazione (operato attraverso il sostegno di società come la Simest Spa), alcuna delocalizzazione; anzi, scopo dell'intervento è quello di indurre a potenziare gli effetti positivi sulla competitività complessiva delle aziende interessate e, conseguentemente, sull'incremento della occupazione nelle stesse aziende in Italia e in settori nevralgici.
      In questo senso e su questi principi di economia di mercato e di strategia occupazionale, nel mese di marzo 2012, il Ministero dello sviluppo economico ha emanato direttive alla Simest Spa volte a contrastare ed evitare la pratica dell’«italian sounding» (letteralmente «suona italiano», fenomeno per cui un prodotto o un bene vengono rinominati in modo che il loro nome, appunto, «suoni» italiano), attuando un piano di maggiore tutela del settore agroalimentare e del consumatore.
      Tali direttive, infatti, prevedono la revoca delle partecipazioni Simest a quelle imprese che, per le proprie iniziative di internazionalizzazione, pur usufruendo del supporto pubblico, pongano in essere pratiche commerciali in grado di indurre in errore i consumatori sull'origine o sulla provenienza dei prodotti commercializzati, ovvero di indurre in errore i consumatori mediante pratiche commerciali «non corrette» circa l'origine geografica dei prodotti, anche mediante indicazioni riconducibili all’italian sounding. Si precisa che a tale indirizzo giuridico economico dovranno anche necessariamente conformarsi gli organi di gestione dei fondi pubblici di intervento, la cui gestione economica-finanziaria è affidata alla Simest Spa.
      Per quanto riguarda i quesiti relativi alla partecipazione della Simest nella Parmacotto Spa e ai controlli che Simest effettua sull'attività del settore agroalimentare, delle quali la stessa acquisisce partecipazioni o che comunque sostiene, si rappresenta quanto segue.
      Preliminarmente si evidenzia che la Simest Spa, con un preciso piano di investimenti, acquisisce partecipazioni in imprese che presentino programmi sia di sviluppo produttivo, sia nel campo della ricerca e della innovazione.
      Gli interventi devono essere collegati ad un preciso progetto aziendale di investimento, volto al mantenimento delle esistenti capacità produttive e, al contempo, devono prevedere un ulteriore sviluppo delle aziende di volta in volta interessate, con impatto positivo sulla realtà delle imprese italiane maggiormente presenti nel settore dell'investimento estero.
      È evidente, nel caso sollevato dagli interroganti, che l'investimento della Simest è finalizzato a sostenere il piano di sviluppo della società italiana a favore della cosiddetta produzione Made in Italy. In particolare il piano industriale è teso all'incremento della capacità autonoma di stagionatura attraverso il potenziamento della struttura produttiva (quindi impianti ed immobili necessari a tal fine) ed al potenziamento del piano di sviluppo commerciale estero, con particolare riguardo al mercato statunitense e a quello europeo (Francia e Germania).
      In questa ottica preme precisare che, ad esempio, negli Stati Uniti d'America è prevista la realizzazione, attraverso la Parmacotto USA Inc., di alcune «prosciutterie» e di uno stabilimento al fine di consolidare un laboratorio di affettamento, e non di produzione, di prodotti italiani destinati al mercato americano.
      La Parmacotto Spa, ha comunicato alla Simest Spa che nello store di New York vengono commercializzati prodotti tipici di salumeria italiana, la cui importazione è permessa dalle competenti autorità americane.
      La Parmacotto ha precisato di non produrre salumi al di fuori dei confini italiani e che tutti i prodotti commercializzati negli USA riportano in etichetta indicazioni chiare e precise sul luogo di produzione del prodotto alimentare, la ragione sociale e la sede del produttore, al fine di evitare qualsiasi fraintendimento o possibilità di errore da parte del consumatore sull'effettiva origine geografica dei prodotti stessi.
      Per quanto riguarda, infine, l'ultimo quesito posto dagli interroganti, concernente l'impegno ad intraprendere progetti di promozione all'estero di prodotti del Made in Italy anche attraverso una possibile riduzione delle barriere sanitarie, si rappresenta quanto segue.
      La normativa vigente nazionale e comunitaria ha espresso ripetutamente la necessità, non solo di garantire il consumatore sull'origine e sulla provenienza dei prodotti commercializzati, ma anche di mettere in atto tutte quelle cautele sanitarie tese a tutelare la salute del cittadino. In questo senso il legislatore nazionale ha voluto espressamente garantire, attraverso vari strumenti normativi – quali, solo per citarne alcuni, il decreto legislativo 6 settembre 2005, n.  206 (Codice del consumo); la legge 3 febbraio 2011, n.  4 (disposizioni generali in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari) fino a degli specifici protocolli sanitari – sia l’import che l’export nel settore della carne, effettuando tutti i controlli necessari anche attraverso quelle barriere sanitarie sopracitate che si ritengono indiscutibilmente opportune, quanto meno per certificare e verificare la qualità e la genuinità della pezzature delle carni.
Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      BITONCI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nelle ultime settimane, in alcuni comuni della Saccisica compresi tra Piove di Sacco, Codevigo, e Correzzola (Padova), si sono verificati alcuni furti di vario tipo che hanno procurato preoccupazione nella cittadinanza delle zone interessate dal fenomeno;
          il contrasto di questo fenomeno criminoso è effettuato principalmente dalle forze di polizia locale e dei carabinieri, i quali, nonostante la grande estensione del territorio e anche grazie alla collaborazione con le amministrazioni comunali, si stanno adoperando affinché venga garantito un controllo sempre maggiore per i cittadini;
          la tensione nell'area è particolarmente cresciuta nei giorni passati, dopo che nel corso di un tentativo di rapina operato da alcuni malviventi di origine moldava ai danni di un tabaccaio di Civè di Correzzola, lo stesso tabaccaio, per sottrarsi al tentativo di rapina e successivamente alla colluttazione scaturita con i malviventi, ha colpito a morte uno dei componenti della banda, mentre i rimanenti sono stati successivamente arrestati dalle forze dell'ordine;
          la preoccupazione dei cittadini dell'area è estremamente elevata, tanto che, nel corso di un consiglio comunale convocato d'urgenza dall'amministrazione comunale di Correzzola, tutti i rappresentanti politici locali, i sindaci del territorio, oltre che i cittadini presenti all'incontro, hanno ribadito a gran voce come si renda necessario potenziare le forze dell'ordine presenti sul territorio, così da poter fornire strumenti e adeguate risorse umane per controllare efficacemente il vasto territorio;
          tra la caserma dell'Arma dei carabinieri di Piove di Sacco e la caserma dell'Arma di Codevigo, comune limitrofo, operano oggi meno di venti unità, laddove, in relazione alle tabelle del comando generale dei carabinieri, il dato dovrebbe essere nettamente superiore a quello attuale, tanto che l'amministrazione comunale di Piove di Sacco, già nell'aprile del 2010, aveva richiesto al comando regionale dei carabinieri la possibilità di poter aumentare le unità in forza alla compagnia di Piove di Sacco  –:
          se, considerati i gravi fatti occorsi e in ragione dell'elevata preoccupazione evidenziata dai residenti dell'area, non si ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza allo scopo di favorire un rafforzamento delle risorse umane a disposizione dell'Arma di carabinieri di Piove di Sacco e Codevigo. (4-15921)

      Risposta. — L'area indicata dall'interrogante si identifica nei comuni di Piove di Sacco, Sant'Angelo di Piove e Brugine (ricompresi ciel territorio della Stazione Carabinieri di Piove di Sacco), nonché Codevigo, Arzegrande, Correzzola e Pontelongo (ricompresi nel territorio della Stazione Carabinieri di Codevigo).
      Nella notte del 26 aprile 2012, il proprietario di una tabaccheria di Correzzola, dopo aver sorpreso 4 persone che stavano perpetrando un furto nel proprio esercizio, ha esploso un colpo con la pistola di sua proprietà e da lui regolarmente detenuta, attingendo mortalmente un pregiudicato di 23 anni, di origine moldava.
      Il tempestivo intervento sul posto di un equipaggio del nucleo operativo e radiomobile di Piove di Sacco ha consentito di arrestare un altro malvivente, sempre di origini moldave, mentre i restanti complici, fuggiti a piedi, sono ancora in via di identificazione.
      L'Autorità giudiziaria ha avviato un procedimento penale per «omicidio volontario» – tuttora pendente – nei confronti del proprietario della tabaccheria.
      A seguito di tale episodio delittuoso, il dispositivo territoriale dell'Arma è stato rinforzato mediante:
          l'invio di 2 militari in servizio provvisorio nel comune di Codevigo;
          il frequente impiego di una Stazione mobile nel comune di Correzzola;
          la maggiore gravitazione nell'area dei servizi svolti dal Nucleo operativo e radiomobile della compagnia di Piove di Sacco e dal contingente della compagnia di intervento operativo del 4o Battaglione «Veneto», posto a disposizione del comando provinciale di Padova (attualmente 5 unità e, dall'11 giugno 2012, 10 unità).

      Dall'esame dell'andamento della delittuosità nel 1o quadrimestre 2012, emerge che, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno:
          nel territorio dei comuni in questione si registra un lieve aumento dei delitti consumati (+1,5 per cento, delle rapine (da 2 a 4) e dei furti (+2,5 per cento);
          le stazioni di Piove di Sacco e Codevigo hanno denunciato complessivamente 48 persone (di cui 12 in stato di arresto), nonché incrementato del 18,3 per cento i servizi esterni.
      Con riferimento, invece, agli organici dei reparti interessati, si fa presente che:
          già nel 2010, la stazione di Piove di Sacco è stata potenziata, sul piano organico, di 2 unità (da 13 a 15);
          i livelli di forza delle citate stazioni sono in linea con quelli dei paritetici reparti in ambito regionale.

      Pertanto, in considerazione di quanto sopra esposto, non si ritiene possibile porre in atto quanto richiesto dall'interrogante, considerato che i dati riferiti confermano la validità del dispositivo territoriale istituzionale.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      CONCIA, CENNI e FONTANELLI. — Al Ministro della difesa, al Ministro per le pari opportunità. — Per sapere – premesso che:
          il 20 agosto 2010, due ragazzi, Mirko Vigni e Fabio Frati, facevano colazione presso il bar Cusimano a Viareggio, scambiandosi semplici effusioni, qualche abbraccio e un bacio, come è in seguito risultato da un video effettuato dal sistema di videosorveglianza interna al bar;
          probabilmente sollecitato da una donna presente nel bar, un appuntato dei carabinieri in servizio ed in divisa li redarguiva con forza per il loro comportamento, invitandoli ad uscire;
          l'accaduto pare essere confermato sempre dalle telecamere di videosorveglianza che riprendono il carabiniere mentre a distanza di svariati metri dai ragazzi, rimanendo seduto, si rivolge a loro, alzando la voce e muovendo le mani tanto da attirare l'attenzione di tutte le persone presenti nel bar e umiliare i due ragazzi, che quindi sono, per forza di cose, indotti a lasciare il bar;
          il giorno stesso, i due ragazzi supportati da alcuni attivisti omosessuali tra cui Paolo Patanè, presidente nazionale di Arcigay, l'imprenditore e giornalista Alessio De Giorgi e l'imprenditrice Regina Satariano, denunciavano l'accaduto alla stampa;
          di lì a poco, i due ragazzi, sempre accompagnati dai tre attivisti, si sono recati per denunciare l'accaduto dal comandante della compagnia carabinieri di Viareggio, dove hanno avuto occasione di parlare con l'appuntato protagonista dell'episodio, il quale pare abbia affermato di essersi comportato correttamente poiché i due, secondo lui, stavano seduti l'uno sull'altro e si baciavano appassionatamente in pubblico (cosa poi evidentemente smentita dal video succitato), e che non si sarebbe comportato nello stesso modo, trovandosi di fronte al medesimo comportamento di una coppia eterosessuale;
          la suddetta conversazione è avvenuta alla presenza di tutti e cinque i presenti: nel medesimo colloquio, inoltre, l'appuntato sosteneva che i due stessero seduti l'uno sulle ginocchia dell'altro, cosa invece totalmente smentita dal video succitato;
          nella giornata successiva si rivolgeva alla redazione de Il Tirreno di Viareggio, in un primo momento in forma anonima, in seguito palesando il proprio nome e cognome alle altre redazioni giornalistiche versiliesi, il signor Luca Lopez, il quale affermava che l'appuntato non sarebbe stato affatto aggressivo nei confronti dei due ragazzi, né offensivo nei loro confronti per mezzo dell'espressione «mi fate schifo» (cosa peraltro mai detta da Vigni e Frati), e tra le altre cose, lo stesso signor Lopez riferiva, ma solo ad alcuni degli organi di informazione, di avere distintamente sentito i due ragazzi dire, mentre entravano nel bar, che avrebbero teso una sorta di imboscata ai carabinieri per dimostrare la loro supposta omofobia: tale affermazione è stata in modo categorico ed assoluto smentita dai ragazzi coinvolti nella vicenda, che si sono, in merito, riservati ogni eventuale iniziativa nei confronti del signor Lopez  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative intendano adottare al fine di individuare eventuali responsabilità in una vicenda che ha i precisi contorni della discriminazione legata all'orientamento sessuale, che appare però, vieppiù grave, in quanto compiuta da un esponente delle Forze dell'ordine;
          quali politiche intendano adottare nell'ambito delle loro proprie prerogative, al fine di sostenere un processo informativo e formativo per il rispetto dei diversi orientamenti sessuali ed identità di genere, nonché una cultura della convivenza e dell'integrazione sociale di tutte le diversità, che parta dalla Stato e ne permei il più possibile tutte le sue articolazioni. (4-08837)

      Risposta. — In relazione a quanto rappresentato nell'interrogazione in esame, si rappresenta che, alle ore 5.45 del 20 agosto 2010, una pattuglia del nucleo operativo e radiomobile della compagnia di Viareggio ha effettuato d`iniziativa un controllo in un bar di quel centro, ubicato nella piazza S. Antonio.
      Nella circostanza, alcuni avventori hanno segnalato il comportamento non consono di due ragazzi che si stavano scambiando effusioni amorose, chiedendo l'intervento dei militari, la cui iniziativa si è concretizzata in un atto di mera sensibilizzazione in ordine al reclamo ricevuto.
      Il giorno successivo, di fronte al locale pubblico, si è svolta una conferenza stampa, nel corso della quale i due ragazzi hanno lamentato di essere stati vittime di un atto di omofobia da parte di un carabiniere che li avrebbe aggrediti verbalmente, costringendoli ad uscire dal locale, solamente perché si stavano abbracciando.
      La ricostruzione dell'episodio operata dall'Arma dei carabinieri ha escluso, anche sulla base delle registrazioni delle telecamere di sicurezza e delle dichiarazioni rese dai presenti, che siano stati assunti atteggiamenti non professionali.
      In merito, l'autorità giudiziaria, interessata per le valutazioni di competenza, ha iscritto la vicenda nel registro «notizie non costituenti reato».
      Con riferimento, invece, alle iniziative volte a garantire la cultura del rispetto, si evidenzia preliminarmente che i programmi addestrativi presso le scuole carabinieri prevedono moduli sul rispetto dei diritti umani nell'attività di polizia, comprensivi di approfondimenti relativi alla tutela/gestione di persone appartenenti a ogni gruppo ipoteticamente vulnerabile.
      Inoltre, l'istituzione partecipa alle attività dell'Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad), istituito presso la Direzione centrale della polizia criminale con decreto del direttore generale della pubblica sicurezza del 27 luglio 2010 (integrato, per quanto riguarda la composizione, con atto del 2 settembre 2010).
      All'organismo sono state demandate ampie funzioni che afferiscono:
          alla ricezione di segnalazioni trasmesse da istituzioni, associazioni o privati riguardanti fenomeni discriminatori;
          all'attivazione di interventi mirati sul territorio;
          al monitoraggio dell'evoluzione delle denunce presentate alle Forze di Polizia;
          all'incentivazione dei canali di comunicazione tra cittadini, loro associazioni, istituzioni e sistema di sicurezza;
          alla proposta di moduli formativi per gli operatori di polizia.

      Per quanto sopra esposto, non si ritiene necessaria l'adozione di ulteriori iniziative in materia.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      DE CAMILLIS e BECCALOSSI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il made in Italy e in particolare il made in Italy agroalimentare rappresenta una straordinaria leva competitiva per la crescita del Paese;
          la Coldiretti ha denunciato in modo dettagliato e preciso una serie di iniziative poste in essere da società partecipate dal Ministero dello sviluppo economico di vera e propria «svendita» dell'economia e dei nostri territori che hanno fatto parlare, con una notevole eco su tutti gli organi di comunicazione, di una vera e propria contraffazione di Stato;
          il contrasto alla contraffazione ha, del resto, conseguenze economiche e sanitarie di rilievo tanto per le imprese quanto per i consumatori, si che tutte le parti sociali (Abi, Alleanza cooperative italiane, Ania, Cgil, Cia, Cisl, Claai, Coldiretti, Confagricoltura, Confapi, Confindustria, Reteimprese Italia, Ugl, Uil) con un documento unitario del 4 agosto 2011, nella definizione delle priorità sulle quali operare per rilanciare la crescita, hanno chiesto di «attuare politiche incisive volte alla promozione e difesa del made in Italy di qualità quale leva competitiva del Paese in grado di valorizzare il lavoro, il capitale e il territorio italiano, sfruttando il potenziale di penetrazione commerciale all'estero delle imprese italiane»;
          nelle dichiarazioni sugli indirizzi e le linee programmatiche espresse al Parlamento (audizione del 19 aprile 2011) lo stesso Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali pro tempore non ha lasciato dubbi sulla responsabilità di, affrontare con decisione la lotta alla contraffazione; nella suddetta audizione a proposito delle innumerevoli circostanze in cui i prodotti agroalimentari italiani sono preda di sofisticazioni e frodi, il Ministro ha rilevato: «intendo attivarmi per garantire una piena tutela informativa ai consumatori italiani e, al contempo, attraverso un'adeguata azione a livello europeo e mondiale, intendo supportare il vero made in Italy contrastando quei fenomeni degenerativi denominati, nel gergo italian sounding, che sono da considerarsi altamente decettivi e ingannevoli (penso a prodotti con lo stivale, con la bandiera o con denominazioni che evocano malamente prodotti nazionali), i quali, in modo scorretto, speculano sulla nostra forza, sulla nostra cultura, sulla nostra tradizione per attivare meccanismi di vero illecito concorrenziale, vanificando ingiustamente il sacrificio dei nostri operatori e abusando del buon nome italiano nei mercati internazionali»;
          Coldiretti ha denunciato, dopo il caso nell'azienda casearia Lactitalia, anche il caso Parmacotto società che risulta partecipata dal Ministero dello sviluppo economico tramite società italiana per le imprese all'estero – SIMEST;
          nella risposta scritta, pubblicata giovedì 10 marzo 2011, della seduta n. 447, all'interrogazione 4-08770, il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali pro tempore ha parlato dell'adozione di «una serie di iniziative, avvalendosi della collaborazione del Ministero dello sviluppo economico e della società erogatrice del finanziamento pubblico “Simest s.p.a.«»; in particolare, si è portato a conoscenza che «tutte le amministrazioni coinvolte stanno già predisponendo ulteriori criteri per l'assegnazione dei progetti di finanziamento nell'ambito dell'internazionalizzazione delle aziende agroalimentari, al fine di scongiurare qualsiasi tipo di appropriazione indebita delle denominazioni protette ed impropri richiami all'origine italiana dei prodotti ottenuti e commercializzati» è stata data, inoltre, notizia dell'istituzione di «un tavolo tecnico di lavoro per predisporre le linee guida di settore (da inserire nei prossimi contratti di finanziamento delle iniziative imprenditoriali) il cui rispetto costituirà, non solo, un mezzo di valutazione per l'ammissibilità delle domande ma consentirà, al contempo, di evitare fenomeni di concorrenza sleale nei confronti dei produttori nazionali»;
          più in particolare, la Società italiana per le imprese all'estero finanziaria di sviluppo e promozione delle imprese italiane all'estero, controllata per il 76 per cento dal Governo italiano, opera come partner qualificato delle imprese che scelgono l'internazionalizzazione per affermare la propria presenza sui mercati esteri;
          la SIMEST ha recentemente stipulato con il gruppo Parmacotto, azienda italiana leader nel settore dell'agroalimentare, un accordo che prevede un investimento di 11 milioni di euro nel capitale sociale dell'azienda, finalizzato ad una sua ulteriore espansione negli USA, Francia e Germania dove punta a consolidare la propria presenza;
          l'azienda in questione, con il supporto di SIMEST ha già avviato anche negli Stati Uniti un progetto che ha portato all'apertura di un punto vendita monomarca a New York e prevede di strutturare una vera e propria catena di locali caratterizzati dall'offerta di prodotti italian sounding tanto è vero che Alessandro Rosi, amministratore delegato di Parmacotto, ha dichiarato: «la metà circa delle carni suine lavorate nel mio gruppo, che non produce solo prosciutto cotto, viene da fuori: Francia, Danimarca, Spagna e Germania, per lo più»... «Ciò che conta è il know how, la lavorazione delle carni. È un fatto di cultura»... «Prendiamo il caso del salame. Negli Stati Uniti ne è proibita l'esportazione, perciò nel nostro emporio di Manhattan non possiamo vendere i nostri prodotti italiani. Perciò un tecnico della nostra azienda di San Gimignano si è trasferito nel New Jersey importando lì metodi e processi di produzione in ogni passaggio, adottati in Toscana. Il risultato è che a Manhattan lei può trovare una finocchiona che non teme il confronto con quella toscana» ...«Dal punto di vista culturale è una finocchiona made in i Italy. L'importante è che la carne sia di prima scelta, trattata nelle condizioni migliori..»;
          nei punti vendita già aperti nei diversi Stati, nell'Unione europea e negli Stati Uniti, dedicati alla salumeria tradizionale italiana, segmento di eccellenza del made in Italy e sinonimo di qualità e genuinità, si vendono alimenti realizzati con ingredienti e materie prime non italiane confezionati sul posto con etichette e marchi che evocano prodotti tipici della gastronomia italiana e delle specialità regionali;
          con l'obiettivo di cogliere e segnalare anomalie, indicatori e forme nelle quali, anche al di fuori del nostro Paese, possono presentarsi le diverse modalità della contraffazione, è stata istituita con deliberazione del 13 luglio 2010 un'apposita Commissione parlamentare di inchiesta, rafforzando il contrasto a tale fenomeno;
          la stessa volontà del Parlamento di tutelare l'identità e la territorialità dell'autentico made in Italy agroalimentare non è in discussione, se facciamo riferimento non solo alla recente normativa settoriale sull'olio extravergine di oliva quanto, soprattutto, alle disposizioni generali in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari (legge 3 febbraio 2011, n. 44) approvate al fine di assicurare ai consumatori una completa e corretta informazione sulle caratteristiche dei prodotti oltre che al fine di rafforzare la prevenzione e la repressione delle frodi alimentari;
          la diffusione di prodotti che traggono in inganno circa la vera origine geografica realizza un evidente danno all'immagine della nostra produzione agroalimentare nazionale, raggirando i consumatori che non vengono messi in condizione di scegliere in modo responsabile;
          le operazioni di sostegno dell’italian sounding, da parte della SIMEST, determinano, tuttavia, danni ancora più gravi a giudizio dell'interrogante in quanto bloccano ogni potenzialità di crescita delle imprese italiane a causa della «saturazione» del mercato con prodotti che richiamano qualità italiane senza essere di origine nazionale, impedendo ai consumatori di effettuare una corretta comparazione sulla base della diversa qualità e convenienza con prodotti autentici del made in Italy;
          il sostegno della SIMEST alle attività di commercializzazione di prosciutti ed altri salumi della tradizione italiana da parte di Parmacotto al fine di creare una rete di locali per la ristorazione si inserisce, tra l'altro, in un periodo di grave crisi dell'allevamento di suini nel nostro Paese  –:
          quali vantaggi per il sistema agroalimentare nazionale la SIMEST abbia promosso con una strategia di finanziamento all'estero di imprese che commercializzano prodotti con quella che all'interrogante appare una falsa identità di origine, utilizzando manodopera, presentandosi quale soggetto d'imposta e creando valore aggiunto all'estero;
          quali iniziative intenda mettere in campo per verificare i criteri con cui vengono scelti, da parte della Simest, i progetti da finanziare e se non sia da ritenere, comunque, urgente deliberare il blocco degli attuali investimenti in attività di delocalizzazione di produzioni agroalimentari che costituiscono attività di concorrenza sleale;
          come intenda documentare i controlli che la Simest ha effettuato ed effettua sulle attività del settore agroalimentare delle quali acquisisce partecipazioni ovvero sostiene attraverso altre modalità affinché sia garantita la conformità allo scopo sociale;
          quali chiarimenti, precisi e incontrovertibili, intenda formulare a proposito del riscontro delle necessarie informazioni circa le partecipazioni e finanziamenti ad altre società del settore agroalimentare;
          quali siano gli intendimenti del Governo in relazione al danno sofferto dalle imprese nazionali a fronte dell'avvenuta occupazione di mercato da parte di imprese, come Parmacotto, che grazie a cospicui finanziamenti hanno immesso prodotti soltanto imitativi di quelli autentici italiani, eliminando o riducendo sensibilmente le future possibilità di scelta dei consumatori in termini di confronto di qualità e di prezzo;
          quali iniziative intenda assumere per sanzionare la più grave irregolarità commessa da SIMEST di attraversare società Parmacotto da essa partecipata in relazione alle norme in materia di protezione di denominazioni di origine protetta a proposito della promozione di un prodotto (salumi calabresi) che gode del riconoscimento europeo;
          rispetto alla recente scelta del Parlamento di valorizzare l'effettiva origine geografica degli alimenti ed al sostegno dichiarato dal Governo di procedere all'attuazione della legge sull'etichettatura attraverso l'adozione dei decreti attuativi, se non debba valutarsi gravemente lesivo delle linee programmatiche di sviluppo economico l'operato dei rappresentanti legali di SIMEST e, dunque, in che tempi e secondo quali modalità voglia revocare il mandato di rappresentanza agli attuali amministratori di SIMEST;
          in che termini intenda declinare l'impegno ad intraprendere progetti di promozione all'estero dei veri prodotti del made in Italy compatibilmente con la ricchezza dei nostri territori e la pluralità delle nostre produzioni anche più specificamente eliminando le barriere sanitarie che, proprio nel settore della carne, ostacolano il commercio con l'estero.
(4-14038)

      Risposta. — Preliminarmente si precisa che la Simest Spa, costituita nel 1991, ai sensi della legge 24 aprile 1990, n.  100, è una società «finanziaria di sviluppo» pubblico-privata, partecipata al 24 per cento dalle principali banche italiane e al 76 per cento dalla Confindustria e dal Ministero dello sviluppo economico. Lo scopo principale della Simest Spa, è di affiancare, attraverso l'utilizzo di strumenti tecnici e finanziari, le attività e gli investimenti internazionali delle imprese italiane, rafforzandone le capacità sui mercati internazionali.
      Ai sensi del decreto legislativo n.  143 del 1998 la società gestisce, inoltre, gli interventi di sostegno finanziario all'internazionalizzazione del sistema produttivo nazionale.
      È necessario sottolineare che, oltre a quanto stabilito in linea generale dalle normative vigenti, con specifico riferimento al processo di internazionalizzazione delle imprese italiane, ai sensi dell'articolo 1 della legge n.  80 del 2005 non è consentita, nell'ambito del sostegno delle imprese italiane nel loro percorso di internazionalizzazione (operato attraverso il sostegno di società come la Simest Spa), alcuna delocalizzazione; anzi, scopo dell'intervento è quello di indurre a potenziare gli effetti positivi sulla competitività complessiva delle aziende interessate e, conseguentemente, sull'incremento della occupazione nelle stesse aziende in Italia e in settori nevralgici.
      In questo senso e su questi principi di economia di mercato e di strategia occupazionale, nel mese di marzo 2012, il Ministero dello sviluppo economico ha emanato direttive alla Simest Spa volte a contrastare ed evitare la pratica dell’«italian sounding» (letteralmente «suona italiano», fenomeno per cui un prodotto o un bene vengono rinominati in modo che il loro nome, appunto, «suoni» italiano), attuando un piano di maggiore tutela del settore agroalimentare e del consumatore.
      Tali direttive, infatti, prevedono la revoca delle partecipazioni Simest a quelle imprese che, per le proprie iniziative di internazionalizzazione, pur usufruendo del supporto pubblico, pongano in essere pratiche commerciali in grado di indurre in errore i consumatori sull'origine o sulla provenienza dei prodotti commercializzati, ovvero di indurre in errore i consumatori mediante pratiche commerciali «non corrette» circa l'origine geografica dei prodotti, anche mediante indicazioni riconducibili all’italian sounding. Si precisa che a tale indirizzo giuridico economico dovranno anche necessariamente conformarsi gli organi di gestione dei fondi pubblici di intervento, la cui gestione economica-finanziaria è affidata alla Simest Spa.
      Per quanto riguarda i quesiti relativi alla partecipazione della Simest nella Parmacotto Spa e ai controlli che Simest effettua sull'attività del settore agroalimentare, delle quali la stessa acquisisce partecipazioni o che comunque sostiene, si rappresenta quanto segue.
      Preliminarmente si evidenzia che la Simest Spa, con un preciso piano di investimenti, acquisisce partecipazioni in imprese che presentino programmi sia di sviluppo produttivo, sia nel campo della ricerca e della innovazione.
      Gli interventi devono essere collegati ad un preciso progetto aziendale di investimento, volto al mantenimento delle esistenti capacità produttive e, al contempo, devono prevedere un ulteriore sviluppo delle aziende di volta in volta interessate, con impatto positivo sulla realtà delle imprese italiane maggiormente presenti nel settore dell'investimento estero.
      È evidente, nel caso sollevato dagli interroganti, che l'investimento della Simest è finalizzato a sostenere il piano di sviluppo della società italiana a favore della cosiddetta produzione Made in Italy. In particolare il piano industriale è teso all'incremento della capacità autonoma di stagionatura attraverso il potenziamento della struttura produttiva (quindi impianti ed immobili necessari a tal fine) ed al potenziamento del piano di sviluppo commerciale estero, con particolare riguardo al mercato statunitense e a quello europeo (Francia e Germania).
      In questa ottica preme precisare che, ad esempio, negli Stati Uniti d'America è prevista la realizzazione, attraverso la Parmacotto USA Inc., di alcune «prosciutterie» e di uno stabilimento al fine di consolidare un laboratorio di affettamento, e non di produzione, di prodotti italiani destinati al mercato americano.
      La Parmacotto Spa ha comunicato alla Simest Spa, che nello store di New York vengono commercializzati prodotti tipici di salumeria italiana, la cui importazione è permessa dalle competenti autorità americane.
      La Parmacotto ha precisato di non produrre salumi al di fuori dei confini italiani e che tutti i prodotti commercializzati negli USA riportano in etichetta indicazioni chiare e precise sul luogo di produzione del prodotto alimentare, la ragione sociale e la sede del produttore, al fine di evitare qualsiasi fraintendimento o possibilità di errore da parte del consumatore sull'effettiva origine geografica dei prodotti stessi.
      Per quanto riguarda, infine, l'ultimo quesito posto dagli interroganti, concernente l'impegno ad intraprendere progetti di promozione all'estero di prodotti del Made in Italy anche attraverso una possibile riduzione delle barriere sanitarie, si rappresenta quanto segue.
      La normativa vigente nazionale e comunitaria ha espresso ripetutamente la necessità, non solo di garantire il consumatore sull'origine e sulla provenienza dei prodotti commercializzati, ma anche di mettere in atto tutte quelle cautele sanitarie tese a tutelare la salute del cittadino. In questo senso il legislatore nazionale ha voluto espressamente garantire, attraverso vari strumenti normativi – quali, solo per citarne alcuni, il decreto legislativo 6 settembre 2005, n.  206 (Codice del consumo); la legge 3 febbraio 2011, n.  4 (disposizioni generali in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari) fino a degli specifici, protocolli sanitari – sia l’import che l’export nel settore della carne, effettuando tutti i controlli necessari anche attraverso quelle barriere sanitarie sopracitate che si ritengono indiscutibilmente opportune, quanto meno per certificare e verificare la qualità la genuinità della pezzatura delle carni.
Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      DI BIAGIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          in attuazione di quanto disposto dal codice dell'ordinamento militare, la sezione II del decreto del Presidente della Repubblica n.  90 del 15 marzo 2010 riconosce le procedure per l'alienazione degli alloggi di servizio non più funzionali ai fini istituzionali delle Forze armate;
          ai sensi dell'articolo 404 del citato decreto del Presidente della Repubblica la direzione generale dei lavori e del demanio del Ministero della difesa ha provveduto a comunicare con lettera raccomandata con avviso di ricevimento ai conduttori degli alloggi di servizio facenti parte dei circa 3.022 individuati dall'amministrazione, un'offerta di acquisto, e il modello di risposta con il quale i conduttori dovranno esercitare i loro diritti per l'acquisto, dell'usufrutto o della volontà di continuare nella conduzione in locazione dell'alloggio;
          ai sensi del comma 5 del predetto articolo 404 «entro sessanta giorni dalla data di ricezione della comunicazione dell'offerta (...) i conduttori, a pena di decadenza dal diritto ad acquistare l'alloggio, trasmettono, a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, alla Direzione generale l'atto di esercizio del diritto»;
          l'offerta di acquisto di cui al comma 2 non indica i parametri di riferimento in base ai quali è stato determinato il prezzo tracciato nell'offerta, ma rimandano la determinazione dello stesso a un’«intesa con l'Agenzia del demanio», senza nulla specificare;
          in taluni casi il prezzo indicato risulta notevolmente sproporzionato rispetto alla condizione e alle potenzialità dell'immobile stesso: in ragione di tali condizioni circa 200 conduttori hanno fatto ricorso alla magistratura amministrativa al fine di ottenere una rivalutazione del prezzo d'offerta dell'immobile che risponda a precisi e chiari canoni di riferimento;
          stando alle informazioni a disposizione dell'interrogante, la pronuncia del Tar dovrebbe avvenire nel mese di maggio: tale timing amministrativo rischia di non essere in linea con i tempi di riscontro all'offerta dell'amministrazione da parte del conduttore, sanciti dal predetto comma 5 dell'articolo 404, con la conseguenza di una potenziale scadenza dei 60 giorni di tempo per l'esercizio del diritto di acquisto prima che il Tar arrivi a pronunciarsi sulla medesima materia;
          lo scenario testé delineato configura un paradosso, che rischia di inficiare la pronuncia stessa del tribunale amministrativo, in assenza di una necessaria dilazione dei termini previsti dal comma 5, dell'articolo 404 del decreto del Presidente della Repubblica n.  90 del 2010;
          a tale criticità legata ai tempi, si aggiunge anche la circostanza – sempre indicata dall'articolo 404 del citato decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n.  90 – che si prevede, in caso di diritto di acquisto dell'usufrutto da parte del coniuge o di altro membro del nucleo familiare, solamente l'esercizio del diritto di acquisto dell'usufrutto con diritto di accrescimento. Di conseguenza, nel caso in cui il conduttore eserciti l'opzione di acquisto dell'usufrutto, nell'eventualità di un decesso, non si potrebbe consentire la continuità nell'esercizio dello stesso diritto e alle stesse condizioni a favore del coniuge superstite;
          la suindicata configurazione normativa in materia di usufrutto rende difficile la scelta del conduttore e quindi il riscontro all'offerta dell'amministrazione;
          le suindicate criticità stanno creando un’impasse che sarebbe auspicabile superare nel brevissimo periodo, considerando che la pronuncia del Tar dovrebbe avvenire in questi giorni e che non si è pervenuti ad alcuna formula di rettifica in sede parlamentare;
          appare opportuno evidenziare ulteriormente la gravosa difficoltà che si trovano a vivere gli utenti di cui in premessa, per i quali è quasi impossibile accedere ad un mutuo bancario in virtù dei requisiti anagrafici sicuramente non favorevoli, che vanno a condizionare la possibilità da parte di questi di optare per determinate scelte in tempi relativamente brevi ai sensi della normativa suindicata  –:
          se esistano le condizioni per un intervento avente carattere di urgenza che consenta di superare i problemi suindicati e consentire a centinaia di famiglie di lavoratori dello Stato di poter esercitare un loro legittimo diritto. (4-15986)

      Risposta. — Con ordinanza depositata il 3 aprile 2012, il Tar del Lazio, in sede cautelare, ha attentamente valutato la specifica questione dell'eventuale pregiudizio che ai conduttori, potenziali acquirenti degli alloggi in vendita, deriverebbe dal fatto che la sentenza di merito interverrà in data successiva al termine entro il quale deve essere esercitato il diritto di prelazione.
      Al riguardo, il richiamato tribunale ha espressamente affermato che «il danno lamentato da parte dei ricorrenti non presenta i caratteri della gravità ed irreparabilità in considerazione dell'effetto ripristinatorio della sentenza in caso di esito favorevole per i ricorrenti del proposto gravame, effetto che non verrebbe meno anche in ipotesi di accettazione della proposta di acquisto, che deve comunque intendersi condizionata all'esito definitivo del gravame e non comporta acquiescenza agli atti impugnati».
      Tanto premesso, in relazione a quanto sostenuto nelle premesse dell'interrogazione in esame, si evidenzia che le proposte di acquisto predisposte ed inviate dalla competente direzione generale della Difesa non contengono affatto un mero e generico riferimento alla formale intesa con l'Agenzia del demanio sui prezzi di vendita, ma consentono di ricostruire con chiarezza quale siano gli assetti normativi e regolamentari che sono alla base delle valutazioni degli appartamenti in vendita e che, come noto, orientano le valutazioni ai prezzi di mercato riferibili alle zone di interesse, adeguandone le risultanze allo stato effettivo degli immobili.
      Con riferimento, invece, alle ipotizzate situazioni di valutazioni sproporzionate rispetto al reale valore dell'immobile si precisa, fermo ed impregiudicato il giudizio della magistratura amministrativa a cui la Difesa presterà acquiescenza, che la formula di valutazione concretamente adottata consente di pervenire a determinazioni che realmente ed oggettivamente permettono di porre alla base delle stime le caratteristiche intrinseche dei singoli alloggi.
      Con riferimento, infine, alle segnalate criticità in ordine all'esercizio del diritto di acquisto dell'usufrutto con diritto di accrescimento, si rende noto che, in data 29 maggio 2012, la IV Commissione difesa della Camera ha approvato il nuovo testo di risoluzione (n.  8-00177) che impegna il Governo: «ad assumere iniziative legislative al fine di prevedere, in caso, di esercizio dell'acquisto di usufrutto con diritto di accrescimento in favore del coniuge o di altro membro del nucleo familiare di cui all'articolo 404, comma 4, del Decreto del Presidente della Repubblica del 15 marzo 2010, n.  90, anche la determinazione del prezzo in base al canone di conduzione ed alla aspettativa di vita del beneficiario del diritto di accrescimento, corrisposto con la medesima facoltà di rateizzazione riconosciuta ai conduttori di cui al primo periodo del citato articolo 404, comma 4, qualora più favorevole per l'acquirente».
      Sulla base di tali valutazioni, nonché sulla pronuncia del Tar del Lazio, non sussistono i presupposti per porre in essere le attività richieste con l'atto di sindacato ispettivo in argomento.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      DI STANISLAO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
          il made in Italy e in particolare il made in Italy agroalimentare rappresenta una straordinaria leva competitiva per la crescita del Paese;
          la Coldiretti ha denunciato in modo dettagliato e preciso una serie di iniziative poste in essere da società partecipate dal Ministero dello sviluppo economico di vera e propria svendita dell'economia e dei nostri territori che hanno fatto parlare, con una notevole eco su tutti gli organi di comunicazione, di una vera e propria «contraffazione di Stato»;
          il contrasto alla contraffazione ha, del resto, conseguenze economiche e sanitarie di rilievo tanto per le imprese quanto per i consumatori, sì che tutte le parti sociali (Abi, Alleanza cooperative italiane, Ania, Cgil, Cia, Cisl, Claai, Coldiretti, Confagricoltura, Confapi, Confindustria, Reteimprese Italia, Ugl, Uil) con un documento unitario del 4 agosto 2011, nella definizione delle priorità sulle quali operare per rilanciare la crescita, hanno chiesto di «attuare politiche incisive volte alla promozione e difesa del made in Italy di qualità quale leva competitiva del Paese in grado di valorizzare il lavoro, il capitale e il territorio italiano, sfruttando il potenziale di penetrazione commerciale all'estero delle imprese italiane»;
          nelle dichiarazioni sugli indirizzi e le linee programmatiche esposte in Commissione agricoltura della Camera (audizione 19 aprile 2011) lo stesso Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali non ha lasciato dubbi sulla responsabilità di affrontare con decisione la lotta alla contraffazione; nella suddetta audizione, a proposito delle innumerevoli circostanze in cui i prodotti agroalimentari italiani sono preda di sofisticazioni e frodi, il Ministro ha rilevato: «intendo attivarmi per garantire una piena tutela informativa ai consumatori italiani e, al contempo, attraverso un'adeguata azione a livello europeo e mondiale, intendo supportare il vero made in Italy contrastando quei fenomeni degenerativi denominati, nel gergo italian sounding, che sono da considerarsi altamente decettivi e ingannevoli (penso a prodotti con lo stivale, con la bandiera o con denominazioni che evocano malamente prodotti nazionali), i quali, in modo scorretto, speculano sulla nostra forza, sulla nostra cultura, sulla nostra tradizione per attivare meccanismi di vero illecito concorrenziale, vanificando ingiustamente il sacrificio dei nostri operatori e abusando del buon nome italiano nei mercati internazionali»;
          la Coldiretti ha in particolare denunciato dopo il caso dell'azienda casearia Lactitalia, anche il caso Parmacotto di cui risulta proprietaria codesta Amministrazione tramite la partecipazione della Società italiana per le imprese all'Estero – SIMEST;
          nella risposta scritta, pubblicata giovedì 10 marzo 2011, nell'allegato B al resoconto della seduta n.  447, all'interrogazione 4-08770, il Ministro allora in carica delle politiche agricole, alimentari e forestali ha parlato dell'adozione di «una serie di iniziative, avvalendosi della collaborazione del Ministero dello sviluppo economico e della società erogatrice del finanziamento pubblico “Simest spa”», in particolare, si è portato a conoscenza che «tutte le amministrazioni coinvolte stanno già predisponendo ulteriori criteri per l'assegnazione dei progetti di finanziamento nell'ambito dell'internazionalizzazione delle aziende agroalimentari, al fine di scongiurare qualsiasi tipo di appropriazione indebita delle denominazioni protette ed impropri richiami all'origine italiana dei prodotti ottenuti e commercializzati»; è stata data, inoltre, notizia dell'istituzione di «un tavolo tecnico di lavoro per predisporre le linee guida di settore (da inserire nei prossimi contratti di finanziamento delle iniziative imprenditoriali) il cui rispetto costituirà, non solo, un mezzo di valutazione per l'ammissibilità delle domande ma consentirà, al contempo, di evitare fenomeni di concorrenza sleale nei confronti dei produttori nazionali»;
          più in particolare, la Società italiana per le imprese all'estero finanziaria di sviluppo e promozione delle imprese italiane all'estero, controllata per il 76 per cento dal Governo italiano, opera come partner qualificato delle imprese che scelgono l'internazionalizzazione per affermare la propria presenza sui mercati esteri;
          la SIMEST ha recentemente stipulato con il gruppo Parmacotto, azienda italiana leader nel settore dell'agroalimentare, un accordo che prevede un investimento di 11 milioni di euro nel capitale sociale dell'azienda, finalizzato ad una sua ulteriore espansione negli USA, Francia e Germania dove punta a consolidare la propria presenza;
          l'azienda in questione, con il supporto di SIMEST ha già avviato anche negli Stati Uniti un progetto che ha portato all'apertura di un punto vendita monomarca a New York e prevede di strutturare una vera e propria catena di locali caratterizzati dall'offerta di prodotti italian sounding tanto è vero che Alessandro Rosi, amministratore delegato di Parmacotto, ha dichiarato: «la metà circa delle carni suine lavorate nel mio gruppo, che non produce solo prosciutto cotto, viene da fuori: Francia, Danimarca, Spagna e Germania, per lo più» ... «Ciò che conta è il know how, la lavorazione delle carni. È un fatto di cultura» ... «Prendiamo il caso del salame. Negli Stati Uniti ne è proibita l'esportazione, perciò nel nostro emporio di Manhattan non possiamo vendere i nostri prodotti italiani. Perciò un tecnico della nostra azienda di San Gimignano si è trasferito nel New Jersey importando lì metodi e processi di produzione in ogni passaggio, adottati in Toscana. Il risultato è che a Manhattan lei può trovare una finocchiona che non teme il confronto con quella toscana» ... «Dal punto di vista culturale è una finocchiona made in Italy. L'importante è che la carne sia di prima scelta, trattata nelle condizioni migliori...»;
          nei punti vendita già aperti nei diversi Stati, nell'Unione europea e negli Stati Uniti, dedicati alla salumeria tradizionale italiana, segmento di eccellenza del made in Italy e sinonimo di qualità e genuinità, si vendono alimenti realizzati con ingredienti e materie prime non italiane confezionati sul posto con etichette e marchi che evocano prodotti tipici della gastronomia italiana e delle specialità regionali;
          con l'obiettivo di cogliere e segnalare anomalie, indicatori e forme nelle quali, anche al di fuori del nostro Paese, possono presentarsi le diverse modalità della contraffazione, è stata istituita il 13 luglio 2010 un'apposita Commissione parlamentare di inchiesta, rafforzando il contrasto a tale fenomeno;
          la stessa volontà del Parlamento di tutelare l'identità e la territorialità dell'autentico made in Italy agroalimentare non è in discussione, se si fa riferimento non solo alla recente normativa settoriale sull'olio extravergine di oliva quanto, soprattutto, alle disposizioni generali in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari (legge 3 febbraio 2011, n.  44) approvate al fine di assicurare ai consumatori una completa e corretta informazione sulle caratteristiche dei prodotti oltre che al fine di rafforzare la prevenzione e la repressione delle frodi alimentari;
          la diffusione di prodotti che traggono in inganno circa la vera origine geografica realizza un evidente danno all'immagine della nostra produzione agroalimentare nazionale, raggirando i consumatori che non vengono messi in condizione di scegliere in modo responsabile;
          le operazioni di sostegno dell’italian sounding, da parte della SIMEST, determinano, tuttavia, danni ancora più gravi in quanto bloccano ogni potenzialità di crescita delle imprese italiane a causa della «saturazione» del mercato con prodotti che richiamano qualità italiane senza essere di origine nazionale, impedendo ai consumatori di effettuare una corretta comparazione sulla base della diversa qualità e convenienza con prodotti autentici del made in Italy;
          il sostegno della SIMEST alle attività di commercializzazione di prosciutti ed altri salumi della tradizione italiana da parte di Parmacotto al fine di creare una rete di locali per la ristorazione si inserisce, tra l'altro, in un periodo di grave crisi dell'allevamento di suini nel nostro Paese  –:
          quali vantaggi per il sistema agroalimentare nazionale la SIMEST abbia promosso con una strategia di finanziamento all'estero di imprese che commercializzano prodotti con una falsa identità di origine, utilizzando manodopera, presentandosi quale soggetto d'imposta e creando valore aggiunto all'estero;
          quali iniziative intenda mettere in campo per verificare i criteri con cui vengono scelti, da parte della Simest, i progetti da finanziare e se non sia da ritenere, comunque, urgente deliberare il blocco degli attuali investimenti in attività di delocalizzazione di produzioni agroalimentari che costituiscono attività di concorrenza sleale;
          come intenda documentare i controlli che la Simest ha effettuato ed effettua sulle attività del settore agroalimentare delle quali acquisisce partecipazioni o che sostiene attraverso altre modalità affinché sia garantita la conformità allo scopo sociale;
          quali chiarimenti, precisi e incontrovertibili, intenda formulare a proposito del riscontro delle necessarie informazioni circa le partecipazioni e finanziamenti ad altre società del settore agroalimentare;
          quali siano gli intendimenti del Governo in relazione al danno sofferto dalle imprese nazionali a fronte dell'avvenuta occupazione di mercato da parte di imprese, come Parmacotto, che grazie a cospicui finanziamenti hanno immesso prodotti che paiono soltanto imitativi di quelli autentici italiani, eliminando o riducendo sensibilmente le future possibilità di scelta dei consumatori in termini di confronto di qualità e di prezzo;
          quali iniziative intenda assumere per sanzionare la più grave irregolarità commessa da SIMEST attraverso la società Parmacotto da essa partecipata in relazione alle norme in materia di protezione di denominazioni di origine protetta a proposito della promozione di un prodotto (salumi calabresi) che gode del riconoscimento europeo;
          rispetto alla recente scelta del Parlamento di valorizzare l'effettiva origine geografica degli alimenti ed al sostegno dichiarato dal Governo pro tempore di procedere all'attuazione della legge sull'etichettatura attraverso l'adozione dei decreti attuativi, se non debba valutarsi gravemente lesivo delle linee programmatiche di sviluppo economico l'operato dei rappresentanti legali di SIMEST e, dunque, in che tempi e secondo quali modalità si intenda revocare il mandato agli attuali amministratori di SIMEST;
          in che termini intende declinare l'impegno ad intraprendere progetti di promozione all'estero dei veri prodotti del made in Italy compatibilmente con la ricchezza dei nostri territori e la pluralità delle nostre produzioni anche più specificamente eliminando le barriere sanitarie che, proprio nel settore della carne, ostacolano il commercio con l'estero. (4-14103)

      Risposta. — Preliminarmente si precisa che la Simest Spa costituita nel 1991, ai sensi della legge 24 aprile 1990, n.  100, è una società «finanziaria di sviluppo» pubblico-privata, partecipata al 24 per cento dalle principali banche italiane e al 76 per cento dalla Confindustria e dal Ministero dello sviluppo economico. Lo scopo principale della Simest Spa è di affiancare, attraverso l'utilizzo di strumenti tecnici e finanziari, le attività e gli investimenti internazionali delle imprese italiane, rafforzandone le capacità sui mercati internazionali.
      Ai sensi del decreto legislativo n.  143 del 1998, la società gestisce, inoltre, gli interventi di sostegno finanziario all'internazionalizzazione del sistema produttivo nazionale.
      Per quanto riguarda le prime tre istanze poste dall'interrogante: la prima – quali vantaggi per il sistema agroalimentare nazionale siano stati promossi dalla Simest con strategie di finanziamento all'estero –; la seconda – quali azioni si intenda mettere in campo per verificare i criteri con i quali la Simest finanzia e promuove progetti di caratura internazionale – e infine la terza – necessità di un riscontro delle informazioni circa partecipazioni e finanziamenti ad altre società del settore alimentare –, si rappresenta quanto segue.
      È necessario sottolineare che, oltre a quanto stabilito in linea generale dalle normative vigenti, con specifico riferimento al processo di internazionalizzazione delle imprese italiane, ai sensi dell'articolo 1 della legge n.  80 del 2005 non è consentita, nell'ambito del sostegno delle imprese italiane nel loro percorso di internazionalizzazione (operato attraverso il sostegno di società come la Simest Spa) alcuna delocalizzazione; anzi, scopo dell'intervento è quello di indurre a potenziare gli effetti positivi sulla competitività complessiva delle aziende interessate e, conseguentemente, sull'incremento dell'occupazione nelle stesse aziende in Italia e in settori nevralgici.
      In questo senso e su questi principi di economia di mercato e di strategia occupazionale, nel mese di marzo 2012, il Ministero dello sviluppo economico ha emanato direttive alla Simest Spa volte a contrastare ed evitare la pratica dell’«italian sounding» (letteralmente «suona italiano», fenomeno per cui un prodotto o un bene vengono rinominati in modo che il loro nome, appunto, «suoni» italiano), attuando un piano di maggiore tutela del settore agroalimentare e del consumatore.
      Tali direttive, infatti, prevedono la revoca delle partecipazioni Simest a quelle imprese che, per le proprie iniziative di internazionalizzazione, pur usufruendo del supporto pubblico, pongano in essere pratiche commerciali in grado di indurre in errore i consumatori sull'origine o sulla provenienza dei prodotti commercializzati, ovvero di indurre in errore i consumatori mediante pratiche commerciali «non corrette» circa l'origine geografica dei prodotti, anche mediante indicazioni riconducibili all’italian sounding. Si precisa che a tale indirizzo giuridico economico dovranno anche necessariamente conformarsi gli organi di gestione dei fondi pubblici di intervento, la cui gestione economica-finanziaria è affidata alla Simest Spa.
      Per quanto riguarda gli altri quesiti posti dall'interrogante: il quarto – circa il contestuale riferimento alla partecipazione della Simest nella Parmacotto Spa – e il quinto – sulle attività del settore agroalimentare delle quali la società Simest acquisisce partecipazioni o che comunque sostiene –, si rappresenta quanto segue.
      Preliminarmente si evidenzia che la Simest Spa, con un preciso piano di investimenti, acquisisce partecipazioni in imprese che presentino programmi sia di sviluppo produttivo, sia nel campo della ricerca e della innovazione.
      Gli interventi devono essere collegati ad un preciso progetto aziendale di investimento, volto al mantenimento delle esistenti capacità produttive e, al contempo, devono prevedere un ulteriore sviluppo delle aziende di volta in volta interessate, con impatto positivo sulla realtà delle imprese italiane maggiormente presenti nel settore dell'investimento estero.

      È evidente, nel caso sollevato dall'interrogante, che l'investimento della Simest è finalizzato a sostenere il piano di sviluppo della società italiana a favore della cosiddetta produzione Made in Italy. In particolare, il piano industriale è teso all'incremento della capacità autonoma di stagionatura attraverso il potenziamento della struttura produttiva (quindi impianti ed immobili necessari a tal fine) ed al potenziamento del piano di sviluppo commerciale estero, con particolare riguardo al mercato statunitense e a quello europeo (Francia e Germania).
      In questa ottica preme precisare che, ad esempio, negli Stati Uniti d'America è prevista la realizzazione, attraverso la Parmacotto USA Inc., di alcune «prosciutterie» e di uno stabilimento, al fine di consolidare un laboratorio di affettamento e non di produzione di prodotti italiani destinati al mercato americano.
      La Parmacotto Spa ha comunicato alla Simest Spa che nello store di New York vengono commercializzati prodotti tipici di salumeria italiana, la cui importazione è permessa dalle competenti autorità americane.
      La Parmacotto ha precisato di non produrre salumi al di fuori dei confini italiani e che tutti i prodotti commercializzati negli USA riportano in etichetta indicazioni chiare e precise sul luogo di produzione del prodotto alimentare, la ragione sociale e la sede del produttore, al fine di evitare qualsiasi fraintendimento o possibilità di errore da parte del consumatore sull'effettiva origine geografica dei prodotti stessi.
      Per quanto riguarda infine l'ultimo quesito posto dall'interrogante – ossia se si intenda assumere l'impegno ad intraprendere progetti di promozione all'estero di prodotti del Made in Italy anche attraverso una possibile riduzione delle barriere sanitarie, che, secondo l'interrogante, proprio nel settore della carne, ostacolano il commercio con l'estero, si rappresenta quanto segue.
      La normativa vigente nazionale e comunitaria ha espresso ripetutamente la necessità, non solo di garantire il consumatore sull'origine e sulla provenienza dei prodotti commercializzati, ma anche di mettere in atto tutte quelle cautele sanitarie tese a tutelare la salute del cittadino. In questo senso il legislatore nazionale ha voluto espressamente garantire – attraverso vari strumenti normativi quali, solo per citarne alcuni, il decreto legislativo 6 settembre 2005, n.  206 (Codice del consumo); la legge 3 febbraio 2011, n.  4 (disposizioni generali in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari), fino a degli specifici protocolli sanitari – sia l’import che l’export nel settore della carne, effettuando tutti i controlli necessari, anche attraverso quelle barriere sanitarie sopracitate che si ritengono indiscutibilmente opportune quanto meno per certificare e verificare la qualità e la genuinità della pezzatura delle carni.
Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      DI STANISLAO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          sulla base delle valutazioni frutto di una consulenza tecnica eseguita all'indomani della morte di un parà e del ferimento di altri cinque commilitoni per il ribaltamento di un mezzo Lince avvenuto il 23 febbraio 2011 sulla strada statale Aurelia (comune di Tarquinia), la procura di Civitavecchia ha ordinato il sequestro di un esemplare dello stesso tipo e modello di quello coinvolto nell'incidente;
          il mezzo in questione è uno dei blindati Lince della Iveco utilizzati anche dai militari italiani impegnati nelle missioni all'estero e che potrebbero essere particolarmente pericolosi da quanto è emerso dall'inchiesta;
          il Lince, in cui si trovavano la vittima e altri cinque caporali rimasti feriti, si ribaltò all'altezza del chilometro 103 dell'Aurelia. Dalle indagini emerse che il conducente perse il controllo del mezzo che, dopo essere sbandato prima a destra e poi a sinistra, si ribaltò provocando lo schiacciamento sull'asfalto dell'abitacolo;
          è emerso che questi mezzi sono particolarmente pericolosi soprattutto nei casi di trasferimenti stradali a velocità sostenuta, quando la stabilità dello stesso mezzo e la sicurezza di chi si trova nell'abitacolo sembrano venir meno;
          il provvedimento è stato emesso circa un mese fa eppure non è stato ancora eseguito dal comando logistico dell'Esercito, nonostante la procura lo ritenga necessario per completare una serie di «accertamenti tecnici all'esito dei quali potrà definitivamente stabilirsi se quel sinistro sia stato cagionato effettivamente da intrinseci elementi di instabilità del mezzo tali da rendere manifesto il rischio di reiterazione di sinistri del medesimo genere»;
          la sicurezza e la protezione dei soldati italiani sono di primaria importanza e devono essere una priorità per il Ministero della difesa ed i mezzi e le attrezzature in dotazione devono necessariamente ed efficacemente contribuire perché ciò avvenga e non devono in alcun modo minare o addirittura ostacolare la salvaguardia dei militari;
          i recenti episodi in Afghanistan in cui hanno perso la vita soldati italiani sono stati classificati come incidenti stradali avvenuti con mezzi Lince  –:
          se il Governo non intenda spiegare perché il comando logistico dell'esercito non abbia ancora eseguito il provvedimento della procura di Civitavecchia;
          se il Governo, alla luce anche dell’escalation di violenze e di attacchi in Afghanistan, non ritenga di dover accertarsi nell'immediato della protezione e della sicurezza dei soldati italiani verificando mezzi e attrezzature in dotazione. (4-15511)

      Risposta. — A premessa evidenzio che al richiamato provvedimento della procura di Civitavecchia è stata data piena esecuzione, pur con i tempi tecnici necessari alla messa a disposizione del mezzo in parola. In particolare, si rappresenta che:
          il 22 febbraio 2012, il Centro polifunzionale di sperimentazione ha ricevuto il decreto di sequestro ma – non disponendo di un veicolo tipo Lince – si è rivolto al Dipartimento trasporti e materiali, che a sua volta ha attivato il Comando delle forze operative terrestri;
          il 28 marzo 2012, il predetto Centro ha ricevuto il veicolo in questione dal 185o Reggimento paracadutisti della Brigata «Folgore» e, il giorno successivo, il nucleo carabinieri di polizia militare dell'Ente ha posto sotto sequestro lo stesso, nominando il relativo custode giudiziario ed informando la competente Autorità giudiziaria.

      Ciò premesso, mi preme confermare che l'amministrazione Difesa continua ad attribuire l'assoluta priorità alla protezione dei nostri militari, mettendo a loro disposizione dotazioni e capacità necessarie a garantire la massima sicurezza possibile.
      In tale ottica, quindi, posso assicurare che la Difesa proseguirà la propria azione con costante e massimo impegno ai fini del tempestivo aggiornamento dei mezzi e degli equipaggiamenti impiegati, mediante lo studio e la realizzazione delle soluzioni tecniche più avanzate per tutelare al meglio la sicurezza del personale, contribuendo alla prevenzione e al contrasto delle minacce attualmente esistenti e di quelle ragionevolmente prevedibili.
      Per quanto riguarda, in particolare, il «Lince» la Forza armata, al termine della prevista omologazione, ha condotto ulteriori verifiche circa la stabilità dinamica del mezzo, mettendolo a confronto con altre tipologie in servizio nell'Esercito. Tali verifiche non hanno evidenziato significative criticità, facendo invece emergere una sostanziale omogeneità di comportamento rispetto a tutti gli altri veicoli.
      Pur a fronte del fatto che in alcuni casi di ribaltamento del «Lince» si sono verificati danni alle persone, i competenti organi tecnico-operativi militari non ritengono, al momento, che sussistano elementi di valutazione tecnica/operativa tali da indurre alla sospensione del servizio del mezzo, considerato operativamente valido e indispensabile per la protezione fisica da minacce derivanti da attacchi con tiro diretto e con uso di ordigni improvvisati (ied), come dimostratosi in molti casi.
      Aggiungo, infine, che nell'ambito delle attuali capacità produttive industriali a livello mondiale non è disponibile un'alternativa più valida in grado di garantire almeno lo stesso livello di protezione del «Lince», che, peraltro, viene utilizzato dalle forze Armate di altre sette Nazioni.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      DI STANISLAO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          recentemente è emersa la notizia circa la denuncia di un militare su alcuni appalti in Afghanistan;
          la notizia proviene da un'intervista fatta ad un esperto di logistica operativa nei più importanti e delicati teatri di guerra al portale di informazione MetroNews dalla quale emerge che il 6 novembre 2011 a Farah è stata annullata una gara per il completamento del sistema di videosorveglianza giorno-notte. In una riunione era emerso che troppi dati sensibili erano fuoriusciti dalla base;
          la fonte ha dichiarato che «in genere vengono appaltati alcuni lavori a ditte locali, per tenere buoni rapporti e far muovere l'economia. Piccoli importi, da 100mila a 300mila euro, soprattutto per lavori e forniture che non richiedono particolari tecnologie. Ma da un annetto a questa parte una ditta di Dubai capeggiata da un libanese con passaporto brasiliano ha in mano tutti i nostri dati circa la sicurezza e ha ricevuto appalti per lavori a volte noti eseguiti. A lui è stato concesso di partecipare a ogni genere di gara. Per importi milionari. Lavori non fatti e pagati, lavori fatti senza i requisiti minimi di sicurezza, senza progettazione, che invece è sempre richiesta, milioni e milioni di euro buttati via»;
          emergono altresì preoccupazioni dei soldati anche per la presenza di una discarica a cielo aperto nella quale vengono bruciati i rifiuti. Il tutto a pochi metri dalla Fob Dimonions italiana. Numerosi militari hanno espresso preoccupazione circa il fumo che si sprigiona. Secondo questo specialista, anche i comandanti avrebbero lamentato lavori non eseguiti nelle Fob (i comparti operativi più rischiosi)  –:
          se il Governo intenda chiarire le informazioni citate in premessa e i motivi per i quali, nonostante le preoccupazioni manifestate dai militari, non siano state avviate azioni per migliorare la loro condizione lavorativa e di salute. (4-15585)

      Risposta. — Reputo opportuno sottolineare, in premessa, che relativamente agli apprestamenti connessi alla sicurezza delle basi, non si ritiene opportuno fornire elementi di dettaglio che – ove divulgati – potrebbero costituire informazioni pregiudizievoli per la sicurezza stessa delle basi e del personale ivi impiegato.
      Chiarito quanto sopra, con riferimento alla presunta fuoriuscita di dati sensibili dalla base, il Centro amministrativo di intendenza (Cai) di Herat ha reso noto che non risulta essersi verificata alcuna dispersione di dati in tal senso.
      Più in generale, il citato organo amministrativo provvede all'affidamento dei lavori necessari alle esigenze del contingente italiano facendo ricorso alla procedura in economia per tutte le commesse urgenti, eseguibili con fondi tratti dalla contabilità speciale o, in alternativa, per quelle esigenze programmabili o di particolare complessità, con fondi della contabilità ordinaria.
      Per la scelta del contraente, il Cai opera nel rispetto delle previsioni di legge, invitando le ditte ritenute idonee attraverso apposite indagini di mercato.
      Inoltre, negli esperimenti di gara, al fine di garantire una maggiore economicità della commessa, è promossa una partecipazione ampia ed indifferenziata, estesa anche alle ditte locali le quali, grazie ad un consolidato radicamento sul territorio, beneficiano di maggiori economie di scala.
      Con riferimento, invece, ad «una ditta di Dubai capeggiata da un libanese con passaporto brasiliano», si fa presente che l'azienda in questione potrebbe essere la «Spectrum».
      Al riguardo, si segnala che la ditta in parola, le cui credenziali sono state attentamente vagliate, è stata invitata nel triennio 2010-2012 a partecipare a diverse gare per le esigenze del contingente italiano, tutte regolarmente espletate secondo le procedure attualmente vigenti.
      Per quanto riguarda, infine, la discarica presente nell'area, si specifica che essa dista circa 1 chilometro dalla base italiana ed è stata gestita ed utilizzata solo dall`esercito statunitense.
      Recentemente, in un accordo tra americani ed italiani, è stata prevista la modifica delle modalità di smaltimento dei rifiuti ed individuata un'altra area di stoccaggio molto più distante dall'attuale.
      Si evidenzia, altresì, che il contingente italiano in teatro afghano espleta ciclicamente attività di monitoraggio ambientale con personale del plotone Nucleo batteriologico chimico (Nbc).
      In particolare, nel mese di settembre 2011, sono stati prelevati – all'interno della base campioni ambientali di varia natura (terreno, aria ed acqua) le cui analisi, effettuate presso i Centri nazionali specializzati hanno dato esito negativo.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      DI STANISLAO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il 21 aprile 2012 sul Cityrumors.it, un portale di informazione abruzzese, è apparso un articolo dal titolo «Campo Imperatore, esercitazioni militari nel parco nazionale» dal quale emerge l'episodio avvenuto due giorni prima, il 19 aprile, riguardante due elicotteri militari Mangusta che hanno effettuato esercitazioni militari nella zona del Parco nazionale del Gran Sasso, a Campo Imperatore, terrorizzando gli escursionisti presenti e la fauna selvatica;
          all'interno del parco risultano due aree di addestramento militare, monte Ruzza e monte Stabiata, ma da quanto appreso dalla fonte giornalistica citata con foto annesse, le esercitazioni tali esercitazioni risultano essere state effettuate al di fuori di queste aree sconfinando i limiti consentiti; altresì, le fonti dichiarano che si è trattato di un episodio non solitario, anzi frequente;
          nel parco vivono circa 2.300 specie vegetali superiori, oltre un quinto dell'intera flora europea, e più di un terzo del patrimonio floristico italiano. Per quanto riguarda il regno animale, emblematico è il caso degli anfibi, presenti con ben quattordici specie tra cui, unico caso in Italia, ben quattro specie di tritoni;
          inoltre, le montagne del parco costituiscono una vera e propria soglia biogeografica tra il nord e il sud del Paese; qui, infatti, alcune specie mediterranee raggiungono il limite settentrionale di distribuzione, mentre altre, in particolare piante e animali di origine artico-alpina, quello meridionale;
          si tratta, altresì, di un parco di 150.000 ettari che comprende 3 regioni, 5 province e 44 comuni. Al suo interno sono presenti 51 emergenze floristiche, 59 orchidee spontanee, 2 piante carnivore, 2.364 piante censite, 139 endemiche italiane, 12 endemiche del parco, 6 coppie di aquile reali, 150 cervi, 420 camosci appenninici 80 lupi e 13 nuclei riproduttivi  –:
          se non intendano, per la parte di propria competenza, verificare quanto esposto in premessa e rivedere la decisione di far effettuare esercitazioni militari all'interno del Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. (4-15843)

      Risposta. — Come risulta dai documenti in atti, l'attività di volo dei due elicotteri da esplorazione e scorta (ees), richiamata con l'interrogazione in esame, è stata regolarmente pianificata e condotta senza interessare le due aree soggette a limitazioni di volo (monte Velino e Parco nazionale dei monti Sibillini).
      Ciò posto, con riferimento all'opportunità di «rivedere la decisione di far effettuare esercitazioni militari all'interno del Parco nazionale del Gran Sasso e monti della Laga» si fa presente che l'eventuale mancato ricorso al poligono occasionale di monte Stabiata per esercitazioni a fuoco comporterebbe, per i reparti interessati, un aggravio in termini economici e temporali a causa delle maggiori distanze dalle sedi stanziali degli stessi degli altri poligoni eventualmente disponibili.
      Si sottolinea, inoltre, che l'attività addestrativa di volo in zone montane è di assoluta rilevanza per l'approntamento degli equipaggi destinati ad operare nei teatri operativi e che le zone limitrofe al parco nazionale del Gran Sasso sono impiegate solo occasionalmente quali «aree alternate».
      Si assicura, ad ogni buon conto, che l'Amministrazione militare continuerà a predisporre tutte le azioni necessarie a ridurre al minimo l'impatto delle attività addestrative sulla fauna locale e sugli escursionisti presenti nell'area.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      DIMA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il Made in Italy ed in particolar modo quello agroalimentare rappresenta una straordinaria opportunità per la crescita del Paese;
          tra le organizzazioni di categoria, la Coldiretti ha più volte evidenziato una serie di iniziative poste in essere da società partecipate dal Ministero dello sviluppo economico che, secondo l'interpretazione di questa associazione, andrebbero nella direzione di non salvaguardare e tutelare con forza questo segmento di economia tanto da permettere lo sviluppo di un mercato della contraffazione dei prodotti agroalimentari;
          sul contrasto alla contraffazione, tutte le parti sociali (Abi Alleanza cooperative italiane, Ania, Cgil, Cia, Cisl, Claai, Coldiretti, Confagricoltura, Confapi, Confindustria, Reteimprese Italia, Ugl, Uil), con un documento unitario del 4 agosto 2011, nella definizione delle priorità sulle quali operare per rilanciare la crescita, hanno chiesto di «attuare politiche incisive volte alla promozione e difesa del Made in Italy di qualità quale leva competitiva del Paese in grado di valorizzare il lavoro, il capitale e il territorio italiano, sfruttando il potenziale di penetrazione commerciale all'estero delle imprese italiane»;
          sull'argomento specifico, lo stesso Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha più volte evidenziato la necessità di affrontare con decisione la lotta alla contraffazione al fine di salvaguardare i prodotti italiani e garantire i consumatori;
          in particolare, la Coldiretti ha denunciato, dopo il caso dell'azienda casearia Lactitalia, anche il caso «Parmacotto» in cui si segnala la partecipazione della società italiana per le imprese all'intero – SIMEST;
          più in particolare, la società italiana per le imprese all'estero, che è una finanziaria di sviluppo e promozione delle imprese italiane all'estero, controllata per il 76 per cento dal Governo italiano, opera come partner qualificato delle imprese che scelgono l'internazionalizzazione per affermare la propria presenza sui mercati esteri;
          la SIMEST avrebbe recentemente stipulato con il gruppo Parmacotto, azienda italiana leader nel settore dell'agroalimentare, un accordo che punterebbe alla realizzazione di un investimento di 11 milioni di euro nel capitale sociale dell'azienda, finalizzato ad una sua ulteriore espansione negli USA, Francia e Germania dove punta a consolidare la propria presenza;
          l'azienda in questione, con il supporto di SIMEST, ha già avviato anche negli Stati Uniti un progetto che ha portato all'apertura di un punto vendita monomarca a New York e che punterebbe a strutturare una vera e propria catena di locali caratterizzati dall'offerta di prodotti italian sounding;
          nei punti vendita già aperti nei diversi Stati, nell'Unione europea e negli Stati Uniti, dedicati alla salumeria tradizionale italiana, segmento di eccellenza del Made in Italy e sinonimo di qualità e genuinità, si vendono alimenti realizzati con ingredienti e materie prime non italiane confezionati sul posto con etichette e marchi che evocano prodotti tipici della gastronomia italiana e delle specialità regionali;
          con deliberazione del 13 luglio 2010 è stata istituita un'apposita Commissione parlamentare di inchiesta sulla contraffazione alimentare e che lo stesso Parlamento, sull'argomento specifico, proprio al fine di tutelare l'identità e la territorialità dell'autentico Made in Italy agroalimentare ha approvato importanti normative come quella sull'olio extravergine di oliva o ancora le disposizioni generali in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari (legge 3 febbraio 2011, n.  44) al fine di assicurare ai consumatori una completa e corretta informazione sulle caratteristiche dei prodotti oltre che al fine di rafforzare la prevenzione e la repressione delle frodi alimentari;
          la diffusione di prodotti che traggono in inganno circa la vera origine geografica realizza un evidente danno all'immagine della nostra produzione agroalimentare nazionale, raggirando i consumatori che non vengono messi in condizione di scegliere in modo responsabile;
          le operazioni di sostegno dell’italian sounding che la stessa SIMEST starebbe promuovendo, determinerebbero danni ancora più gravi in quanto bloccherebbero ogni potenzialità di crescita delle imprese italiane a causa della «saturazione» del mercato con prodotti che richiamano qualità italiane senza essere di origine nazionale, impedendo ai consumatori di effettuare una corretta comparazione sulla base della diversa qualità e convenienza con prodotti autentici del Made in Italy;
          il sostegno della SIMEST alle attività di commercializzazione di prosciutti ed altri salumi della tradizione italiana da parte di Parmacotto si inserisce, tra l'altro, in un periodo di grave crisi dell'allevamento di suini nel nostro Paese  –:
          quali vantaggi per il sistema agroalimentare nazionale la SIMEST abbia promosso con una strategia di finanziamento all'estero di imprese che commercializzano prodotti con una falsa identità di origine, utilizzando manodopera, presentandosi quale soggetto d'imposta e creando valore aggiunto all'estero;
          quali azioni intenda mettere in campo per verificare i criteri con cui vengono scelti, da parte della Simest, i progetti da finanziare e se non sia da ritenere, comunque, urgente deliberare il blocco degli attuali investimenti in attività di delocalizzazione di produzioni agroalimentari che costituiscono secondo l'interrogante attività di concorrenza sleale;
          quali chiarimenti intenda formulare a proposito del riscontro delle necessarie informazioni circa le partecipazioni e finanziamenti ad altre società del settore agroalimentare;
          se ritenga che le imprese italiane abbiano subito un danno di fronte all'avvenuta occupazione di mercato da parte di imprese, come Parmacotto, che avrebbero immesso prodotti soltanto imitativi di quelli autentici italiani, eliminando o riducendo sensibilmente le future possibilità di scelta dei consumatori in termini di confronto di qualità e di prezzo;
          se intenda deliberare iniziative sanzionatone nei confronti di una possibile irregolarità commessa dai responsabili di SIMEST di violazione nel commercio da parte della società Parmacotto delle norme in materia di protezione di denominazioni di origine protetta a proposito della promozione di un prodotto (salumi calabresi) che gode del riconoscimento europeo;
          se non debba valutarsi gravemente lesivo delle linee programmatiche di sviluppo economico l'operato dei rappresentanti legali di SIMEST;
          se intenda assumere l'impegno ad intraprendere progetti di promozione all'estero dei veri prodotti del Made in Italy attraverso una possibile riduzione delle barriere sanitarie che, proprio nel settore della carne, ostacolano il commercio con l'estero. (4-14102)

      Risposta. — Preliminarmente si precisa che la Simest Spa costituita nel 1991, ai sensi della legge 24 aprile 1990, n.  100 è una società «finanziaria di sviluppo» pubblico-privata, partecipata al 24 per cento dalle principali banche italiane e al 76 per cento dalla Confindustria e dal Ministero dello sviluppo economico. Lo scopo principale della Simest Spa è di affiancare, attraverso l'utilizzo di strumenti tecnici e finanziari, le attività e gli investimenti internazionali delle imprese italiane, rafforzandone le capacità sui mercati internazionali.
      Ai sensi del decreto legislativo n.  143 del 1998 la società gestisce, inoltre, gli interventi di sostegno finanziario all'internazionalizzazione del sistema produttivo nazionale.
      Per quanto riguarda le prime tre istanze poste dall'interrogante, la prima – ossia quali vantaggi per il sistema agroalimentare nazionale siano stati promossi dalla Simest con strategie di finanziamento all'estero –, la seconda – quali azioni si intendano mettere in campo per verificare i criteri con i quali la Simest finanzia e promuove progetti di caratura internazionale e, infine, la terza istanza – la necessità di un riscontro delle informazioni circa partecipazioni e finanziamenti ad altre società del settore alimentare –, si rappresenta quanto segue.
      È necessario sottolineare che, oltre a quanto stabilito in linea generale dalle normative vigenti, con specifico riferimento al processo di internazionalizzazione delle imprese italiane, ai sensi dell'articolo 1 della legge n.  80 del 2005, non è consentita, nell'ambito del sostegno delle imprese italiane nel loro percorso di internazionalizzazione (operato attraverso il sostegno di società come la Simest Spa), alcuna delocalizzazione; anzi, scopo dell'intervento è quello di indurre a potenziare gli effetti positivi sulla competitività complessiva delle aziende interessate e, conseguentemente, sull'incremento della occupazione nelle stesse aziende in Italia e in settori nevralgici.
      In questo senso e su questi principi di economia di mercato e di strategia occupazionale, nel mese di marzo 2012, il Ministero dello sviluppo economico ha emanato direttive alla Simest Spa, volte a contrastare ed evitare la pratica dell’«italian sounding» (letteralmente «suona italiano», fenomeno per cui un prodotto o un bene vengono rinominati in modo che il loro nome, appunto, «suoni» italiano), attuando un piano di maggiore tutela del settore agroalimentare e del consumatore.
      Tali direttive, infatti, prevedono la revoca delle partecipazioni Simest a quelle imprese che, per le proprie iniziative di internazionalizzazione, pur usufruendo del supporto pubblico, pongano in essere pratiche commerciali in grado di indurre in errore i consumatori sull'origine o sulla provenienza dei prodotti commercializzati, ovvero di indurre in errore i consumatori mediante pratiche commerciali «non corrette» circa l'origine geografica dei prodotti, anche mediante indicazioni riconducibili all’italian sounding. Si precisa che a tale indirizzo giuridico economico dovranno anche necessariamente conformarsi gli organi di gestione dei fondi pubblici di intervento, la cui gestione economica-finanziaria è affidata alla Simest Spa.
      Per quanto riguarda i tre quesiti successivi, circa il contestuale riferimento alla partecipazione della Simest nella Parmacotto Spa e circa le attività del settore agroalimentare delle quali la società Simest acquisisce partecipazioni o che comunque sostiene, si rappresenta quanto segue.
      Preliminarmente si evidenzia che la Simest Spa con un preciso piano di investimenti, acquisisce partecipazioni in imprese che presentino programmi sia di sviluppo produttivo, sia nel campo della ricerca e della innovazione. Gli interventi devono essere collegati ad un preciso progetto aziendale di investimento, volto al mantenimento delle esistenti capacità produttive e, al contempo, devono prevedere un ulteriore sviluppo delle aziende di volta in volta interessate, con impatto positivo sulla realtà delle imprese italiane maggiormente presenti nel settore dell'investimento estero.
      È evidente, nel caso sollevato dall'interrogante, che l'investimento della Simest è finalizzato a sostenere il piano di sviluppo della società italiana a favore della cosiddetta produzione Made in Italy. In particolare il piano industriale è teso all'incremento della capacità autonoma di stagionatura attraverso il potenziamento della struttura produttiva (quindi impianti ed immobili necessari a tal fine) ed al potenziamento del piano di sviluppo commerciale estero, con particolare riguardo al mercato statunitense e a quello europeo (Francia e Germania).
      In questa ottica preme precisare che ad esempio negli Stati Uniti d'America è prevista la realizzazione, attraverso la Parmacotto USA Inc., di alcune «prosciutterie» e di uno stabilimento al fine di consolidare un laboratorio di affettamento e non di produzione di prodotti italiani destinati al mercato americano.
      La Parmacotto Spa ha comunicato alla Simest Spa che nello store di New York vengono commercializzati prodotti tipici di salumeria italiana, la cui importazione è permessa dalle competenti autorità americane.
      La Parmacotto ha precisato di non produrre salumi al di fuori dei confini italiani e che tutti i prodotti commercializzati negli USA riportano in etichetta indicazioni chiare e precise sul luogo di produzione del prodotto alimentare, la ragione sociale e la sede del produttore, al fine di evitare qualsiasi fraintendimento o possibilità di errore da parte del consumatore sull'effettiva origine geografica dei prodotti stessi.
      Per quanto riguarda infine il settimo quesito posto dall'interrogante – ossia se si intenda assumere l'impegno ad intraprendere progetti di promozione all'estero di prodotti del made in Italy anche attraverso una possibile riduzione delle barriere sanitarie, che secondo l'interrogante, proprio nel settore della carne, ostacolano il commercio con l'estero –, si rappresenta quanto segue.
      La normativa vigente nazionale e comunitaria ha espresso ripetutamente la necessità non solo di garantire il consumatore sull'origine e sulla provenienza dei prodotti commercializzati, ma anche di mettere in atto tutte quelle cautele sanitarie tese a tutelare la salute del cittadino. In questo senso il legislatore nazionale ha voluto espressamente garantire – attraverso vari strumenti normativi quali, solo per citarne alcuni, il decreto legislativo 6 settembre 2005, n.  206 (codice del consumo); la legge 3 febbraio 2011, n.  4 (disposizioni generali in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari) fino a degli specifici protocolli sanitari – sia l’import che l’export nel settore della carne, effettuando tutti i controlli necessari, anche attraverso quelle barriere sanitarie sopracitate che si ritengono indiscutibilmente opportune quanto meno per certificare e verificare la qualità e la genuinità della pezzatura delle carni.
Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      FAENZI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          è stato paventato il declassamento della compagnia dei carabinieri di Arcidosso (Grosseto) in tenenza;
          non si conosce il motivo per cui è stata presa questa decisione, considerando che Arcidosso rappresenta un punto strategico per tutta l'Amiata e la permanenza dell'attuale situazione operativa dell'Arma dei carabinieri è indispensabile per un funzionale servizio di prevenzione e repressione dei reati;
          in particolare il pronto intervento, che rebus sic stantibus, attualmente svolge l'attività in maniera ottimale, in forma tempestiva nonché con orario continuativo nel tempo (h24), verrebbe nell'ipotesi di declassamento a risentire in maniera negativa, dovendo i cittadini in caso di necessità e urgenza ricorrere alla compagnia di Pitigliano o quella di Grosseto;
          va evidenziato a tal fine che i comuni per i quali attualmente viene espletato il servizio de quo sono nel numero di otto: Seggiano, Castel del Piano, Arcidosso, Santa Fiora, Roccalbegna, Cinigiano, Campagnatico e Civitella Paganico, ove tra l'altro i collegamenti viari risentono di notevoli difficoltà legate a strade tortuose e condizioni meteorologiche nel periodo invernale  –:
          se intenda mantenere la compagnia carabinieri di Arcidosso (Grosseto) così come esistente, anche alla luce della possibilità di utilizzo ottimale (coordinamento) delle strutture di recente realizzate in materia di protezione civile. (4-13277)

      Risposta. — Rassicuro l'interrogante che non vi è alcun piano di ristrutturazione che ipotizzi «la soppressione della compagnia dei carabinieri di Arcidosso, in provincia di Grosseto».
      Più specificatamente, l'Arma dei carabinieri non ha avanzato, allo stato, alcuna proposta di riconfigurazione nella tenenza della richiamata compagnia, allo scopo di acquisire il previsto assenso da parte del dicastero.
      Colgo l'occasione per sottolineare come l'Arma dei carabinieri rappresenti una delle istituzioni più vicine ai cittadini, nei confronti dei quali svolge la sua costante azione di prevenzione quale espressione significativa della presenza dello Stato sul territorio, grazie alla capillare distribuzione dei suoi presidi, con una loro mirata collocazione, in piena sintonia con le altre forze di polizia.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      GIDONI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          nella notte tra il 30 aprile ed il 1° maggio scorso, a Castion, nel Comune di Belluno, la signora V.R.P. settantasettenne, ha subìto l'effrazione del proprio appartamento e, contestualmente, un'aggressione a scopo di rapina che le ha procurato varie ecchimosi e la frattura della mandibola, con una prognosi di due mesi;
          il presunto responsabile dell'effrazione ed annessa aggressione, un marocchino in possesso di regolare permesso di soggiorno, tale Hackim Lacihab, è stato rapidamente individuato dai Carabinieri, che lo hanno fermato, raccomandandone l'arresto al Pubblico ministero;
          il magistrato competente ha invece preferito disporre nei confronti del fermato, Hackim Lacihab, una denuncia a piede libero, in attesa di acquisire ulteriori elementi di prova ed in particolare l'esito del test del Dna;
          successivamente, in seguito ai riscontri eseguiti con la prova del Dna, il 26 giugno, il Pubblico Ministero ha disposto l'arresto di Hackim Lacihab;
          nel frattempo, il 4 giugno, il predetto Lacihab risulta aver tentato un nuovo colpo, ai danni della signora D.D.F. settantaseienne residente nella medesima località di Castion, peraltro fallendo nei suoi intenti  –:
          quale sia l'opinione del Governo circa l'opportunità di riconoscere con un encomio solenne il valore dimostrato nella circostanza dal Comandante del nucleo dei Carabinieri che ha tempestivamente individuato e fermato Hackim Lacihab. (4-00892)

      Risposta. — L'episodio richiamato dall'interrogante è avvenuto in Belluno il 30 aprile 2008 ai danni di una signora settantasettenne del luogo, rimasta gravemente ferita nel corso di un tentativo di rapina nella sua abitazione.
      Le indagini sono state svolte dai militari del comando provinciale carabinieri di Belluno e hanno consentito di individuare l'autore del gesto criminoso in un cittadino marocchino, regolarmente soggiornante in Italia, che è stato tratto in arresto il 26 giugno 2008 in esecuzione di un'Ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal giudice per le indagini preliminari di quel capoluogo.
      Per il personale dell'Arma dei carabinieri che ha partecipato all'operazione è stato espresso, da parte della scala gerarchica, un compiacimento.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      GRANATA e DI BIAGIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          circa 350 carabinieri ausiliari in congedo, dopo aver prestato servizio nell'Arma per 3 anni con abnegazione e spirito di sacrificio, non avendo potuto, al termine della ferma contratta, sviluppare una carriera nelle Forze armate o nelle Forze di polizia ad ordinamento militare o civile, si ritrovano oggi tra le fila del precariato;
          la maggior parte degli ausiliari, al termine del percorso nell'Arma, nonostante siano risultati idonei al proseguimento di carriera, non sono stati prescelti per la ferma quadriennale, essendo stati congedati per esubero, venendo così esclusi, di fatto, dall'immissione nei ruoli del servizio permanente delle Forze armate;
          l'Arma dei carabinieri, ai fini di completamento dell'organico, ha più volte indetto concorsi pubblici, ai quali hanno avuto accesso sia ex appartenenti alle Forze armate sia privati cittadini;
          il decreto legislativo n.  198 del 1995, sebbene successivamente abrogato, nel dettare norme relative al reclutamento dei carabinieri, ha richiamato la legge n.  537 del 1993 che prevedeva che il Governo emanasse uno o più regolamenti per «incentivare il reclutamento di cui alla legge 24 dicembre 1986, n.  958, e successive modificazioni, riservando ai volontari congedati senza demerito l'accesso alle carriere iniziali nella Difesa, nei Corpi armati e nel Corpo militare della Croce rossa»;
          nonostante nel tempo siano state emanate norme (decreto-legge n.  64 del 2002, legge n.  226 del 2004) per il reintegro nei ruoli dell'Arma dei carabinieri degli ausiliari in congedo, solo un numero esiguo di ausiliari ha visto soddisfatte le proprie aspettative;
          le quote di cui sopra non sono state mai introdotte, tanto che nei recenti concorsi banditi dall'Arma dei carabinieri per gli ausiliari in congedo non è stata prevista alcuna riserva di posti, essendo questi ultimi esclusivamente destinati agli altri Corpi delle forze armate;
          uguale discriminazione si è verificata con l'approvazione della legge n.  226 del 2004 per i volontari dei vigili del fuoco, che ha trovato giusta risoluzione con l'articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 13 ottobre 2005, n.  217, il quale ha permesso nell'anno 2008 di bandire un concorso con riserva di posti a favore dei volontari ausiliari dei vigili del fuoco in congedo  –:
          quali iniziative, anche normative, il Ministro intenda adottare per favorire l'istituzione di quote di riserva, a vantaggio dei carabinieri ausiliari in congedo, nei concorsi banditi dall'Arma. (4-15109)

      Risposta. — In via preliminare, si fa osservare che il quadro normativo che ha disciplinato la trasformazione progressiva dello strumento militare in senso interamente professionale, oggi recepito nel codice dell'ordinamento militare (decreto legislativo n.  66 del 2010), prevede che i posti annualmente messi a concorso per il reclutamento del personale nelle carriere iniziali delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare (FdP) siano riservati ai volontari in ferma prefissata di un anno (Vpf1).
      Per quanto riguarda, invece, gli altri profili professionali le Forze armate e le Forze di polizia indicono annualmente concorsi pubblici ai quali possono partecipare tutti i cittadini italiani in possesso dei requisiti previsti dai rispettivi bandi.
      Il richiamato codice prevede, a fattor comune nell'ambito del reclutamento, riserve di posti per i diplomati presso le scuole militari e gli assistiti da enti di assistenza per orfani nonché per i figli di militari deceduti in servizio e/o di vittime del dovere e del terrorismo.
      Altre riserve possono essere previste per specifiche esigenze di ciascuna Forza armata soltanto nei confronti di personale militare in servizio.
      I bandi di concorso per il reclutamento del personale militare prevedono, inoltre, riserve di posti per concorrenti in possesso dell'attestato di bilinguismo (lingua italiana e tedesca), in applicazione delle Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino Alto Adige in materia di proporzione negli uffici statali siti nella provincia di Bolzano.
      Fatta questa premessa, non si può che confermare, che l'eventuale estensione di riserve di posti a favore di personale anagraficamente «anziano», come quello in argomento, avrebbe inevitabili riflessi sulla corretta ed equilibrata alimentazione dei ruoli, che, invece, impone la necessità per le Forze armate e le FdP di disporre di personale, che in virtù della giovane età, risulti impiegabile dal punto di vista operativo.
      In altri termini, una simile previsione risulterebbe evidentemente incompatibile con gli attuali criteri ispiratori dell'attività di reclutamento dell'Amministrazione, la quale per poter corrispondere adeguatamente alle molteplici e variegate esigenze funzionali ed operative in territorio nazionale e, in particolare nell'ambito delle missioni internazionali di pace all'estero deve contare sulla ampia disponibilità di personale giovane nei ruoli iniziali, idoneo ad espletare incarichi ad elevata connotazione operativa, che richiedono un'adeguata capacità psico-fisica-attitudinale.
      Basti pensare che i carabinieri ausiliari congedati risultano di età anagrafica superiore al limite fissato per i concorsi delle Forze armate (25 anni), attestandosi su una media complessiva superiore ai 30 anni.
      Per quanto concerne il decreto legislativo n.  198 del 1995 e la legge n.  537 del 1993, citati dall'interrogante quali norme incentivanti il reclutamento dei volontari congedati senza demerito nell'Arma dei carabinieri, faccio presente che le stesse discendono dalla legge n.  958 del 1986 «Norme sul servizio di leva e sulla ferma di leva prolungata».
      In proposito, faccio osservare che alcuni articoli di tale legge, essendo di perdurante attualità, sono stati recepiti nel predetto codice dell'ordinamento militare, mentre le previsioni concernenti il reclutamento sono state superate dalle norme che disciplinano la trasformazione delle Forze armate in senso interamente professionale (leggi n.  331 del 2000 e n.  226 del 2004).
      L'ulteriore norma di legge, richiamata dall'interrogante, che consentiva il richiamo in servizio dei carabinieri ausiliari in congedo (decreto-legge n.  64 del 2002 «Disposizioni urgenti per la prosecuzione della partecipazione italiana ad operazioni militari internazionali»), è stata abrogata per la medesima ragione, essendo stata superata dalla predetta disciplina sulla professionalizzazione dello strumento militare.
      Per quanto riguarda, infine, l'ipotizzato esiguo numero di carabinieri ausiliari in congedo reintegrati nei ruoli dell'Arma dei carabinieri, richiamo opportunamente i dati indicati dal competente Comando generale:
          a seguito della sospensione della leva obbligatoria, nel triennio 2002-2004, l'Arma dei carabinieri ha dato il massimo impulso alle immissioni dei carabinieri ausiliari nella ferma quadriennale, riservando loro tutti gli arruolamenti ordinari (nel limite del 30 per cento dei posti disponibili) e destinando loro eventuali posti riservati ai volontari delle Forze armate non coperti;
          nel biennio 2005-2006 sono transitati in ferma quadriennale quasi tutti i carabinieri ausiliari prossimi al congedo e, inoltre, nel 2005, nell'ambito delle assunzioni destinate al cosiddetto «carabiniere di quartiere», è stato previsto che l'incremento organico di 770 unità avvenisse mediante arruolamento di carabinieri in ferma quadriennale da attingere esclusivamente dai carabinieri ausiliari in congedo;
          per l'anno 2005, infine, l'allora vigente normativa in materia di reclutamento dei Vfp1, di cui all'articolo 24 della legge n.  226 del 2004, ha previsto una significativa percentuale (70 per cento) di posti riservati, tra l'altro, al personale che aveva completato il servizio di leva in qualità di ausiliario nelle forze di polizia.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MANCUSO, CICCIOLI, CROLLA, GIRO e BARANI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
          è stato presentato nei giorni scorsi, nel consiglio regionale della Lombardia, il progetto di legge n.  155, che prevede la nascita ufficiale della leva civica aperta a tutti i giovani dai 18 ai 32 anni, stranieri compresi, sia comunitari che extracomunitari con permesso di soggiorno;
          la leva civica rappresenta una sostituzione del servizio civile;
          in Lombardia l'iniziativa era già stata promossa nel 2008 da associazioni come Mosaico e nel 2010 Anci, l'Associazione nazionale comuni italiani;
          da allora tra Mosaico, alla quale aderiscono 180 enti pubblici e non profit, e Anci Lombardia hanno prestato 3, 6, 9 o 12 mesi di leva 814 giovani con una media di 20 ore settimanali e un contributo di 300 euro mensili, riconosciuto come borsa di studio o tirocinio formativo dai comuni o dagli enti presso cui hanno prestato servizio;
          nel caso delle cooperative sociali, il 40 per cento di chi ha svolto la leva civile è rimasto poi a lavorare presso l'ente;
          le opportunità di impiego in leva volontaria sono molteplici: dall'assistenza ai servizi sociali, dalla biblioteca agli uffici tecnici, agli Urp, gli uffici comunali di relazione con il pubblico;
          leva civica regionale non pesa in alcun modo sulle casse statali  –:
          se il Governo intenda promuovere iniziative come quella della leva civica regionale con una campagna nazionale. (4-16098)

      Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante richiama l'attenzione del Governo sulla possibilità di promuovere iniziative come quella della leva civica regionale, seguendo l'esempio di quella all'esame del consiglio regionale della regione Lombardia (proposta di legge n.  155 del 29 marzo 2012) con una campagna nazionale. Al contempo, viene rimarcata la validità dell'iniziativa, in considerazione delle molteplici opportunità di impiego offerte ai giovani.
      Al riguardo, occorre anzitutto rilevare che la leva civica regionale non può essere considerata come la sostituzione del servizio civile nazionale, atteso che i due istituti non sono assimilabili.
      Il servizio civile nazionale, istituito con la legge 6 marzo 2001, n.  64, infatti, è finalizzato a concorrere volontariamente alla difesa della Patria, nella forma civile non armata al pari del servizio militare (sentenza Corte costituzionale n.  228 del 2004). Tale istituto, fino alla sospensione della leva obbligatoria – disposta a decorrere dal 1o gennaio 2005 dalla legge 23 agosto 2004, n.  226 (recepita nel decreto legislativo 15 marzo 2010. n.  66 (recante «codice dell'ordinamento militare») – ha convissuto con l'obiezione di coscienza. Successivamente, è stato disciplinato esclusivamente su base volontaria e ha assunto le caratteristiche di un istituto nuovo, non più «sostitutivo» del servizio militare ma «alternativo» allo stesso, volto tuttavia a garantire la prosecuzione della difesa della Patria intesa come dovere di salvaguardia e promozione dei valori costituzionali fondanti la comunità dei consociati, quali: la solidarietà (articolo 2); l'uguaglianza sostanziale (articolo 3); il progresso materiale e spirituale della società (articolo 4); la promozione e lo sviluppo della cultura, la tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico della Nazione (articolo 9); l'educazione alla pace e alla ricerca di forme specifiche di soluzione delle controversie internazionali (articolo 11).
      La realizzazione dei predetti principi costituzionali è assicurata attraverso lo svolgimento delle stesse attività previste in precedenza per gli obiettori di coscienza, tutte riconducibili alla medesima finalità, in quanto la loro comune natura si identifica nell'essere compiute nell'ambito dell'organizzazione del «servizio civile nazionale», volto alla difesa della Patria attraverso la prestazione di adeguati comportamenti di impegno sociale non armato.
      Alla luce di quanto esposto, è evidente che attualmente la difesa della Patria costituisce il principale elemento peculiare del servizio civile nazionale e lo differenzia dalle forme di servizio civile regionale e, per quanto in argomento, dalla leva civica volontaria della regione Lombardia.
      Infatti, l'istituto di cui alla proposta di legge in argomento – adottata nell'esercizio dell'autonomia legislativa della regione Lombardia – si basa su presupposti diversi dal servizio civile nazionale, disciplinato con modalità e finalità del tutto differenti, consentendo tra l'altro l'accesso anche a soggetti privi del requisito della cittadinanza italiana.
      Peraltro, la leva civica territoriale si colloca, quanto al titolo costituzionale di legittimazione, nell'alveo del principio di solidarietà, di cui all'articolo 2 della Costituzione. Ed invero dall'attuazione della proposta di legge in questione deriverebbe «come ritorno immediato un innalzamento della qualità dei servizi forniti alla comunità», effetto del tutto coerente con le competenze costituzionali attribuite alle regioni e in linea con la sentenza n.  431 del 2005 della Corte costituzionale, che riconosce «... in capo a regioni e province autonome la possibilità di istituire e disciplinare un proprio servizio civile regionale o provinciale, che però deve ritenersi del tutto distinto da quello nazionale disciplinato con sue proprie norme, e che dovrebbe avere natura sostanzialmente diversa dal servizio civile nazionale, non essendo riconducibile al dovere di difesa».
      Da quanto esposto emerge chiaramente che la leva civica della regione Lombardia persegue obiettivi rientranti nell'ambito delle competenze regionali, non ascrivibili alla materia della difesa della Patria, cui si riconduce il servizio civile nazionale, pertanto gli oneri connessi alla realizzazione della medesima ricadono necessariamente in capo alla regione o, come previsto dalla proposta di legge in esame, sui soggetti che attuano i relativi progetti.
      Pertanto, appare opportuno rilevare che la promozione di iniziative come quella della leva civica regionale, per le considerazioni sopra esposte e a legislazione immutata, non può che ricadere in capo alle regioni, essendo tale istituto deputato al perseguimento di finalità estranee alla difesa della Patria.
      In relazione al finanziamento del servizio civile nazionale da parte di soggetti diversi dallo Stato, si rappresenta che una disposizione analoga a quella di cui alla proposta di legge in argomento è già contenuta all'articolo 11 della legge n.  64 del 2001, laddove è previsto che il Fondo nazionale per il servizio civile possa essere finanziato anche con il contributo degli enti pubblici e privati, nonché delle fondazioni bancarie. Nel corso degli anni, infatti, alcuni enti hanno fornito un contributo al Fondo, anche se esiguo, e tra questi la regione Lombardia è stata uno dei soggetti più attivi.
Il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione: Andrea Riccardi.


      PAGANO. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          i consiglieri comunali di minoranza del comune di Mesagne (BR) dei gruppi consiliari del PDL Mesagne Incalza e Nuova Italia Popolare hanno inviato al vice prefetto aggiunto dottoressa Simona Massari dell'Ispettorato della funzione pubblica una richiesta di avvio di attività ispettiva presso il comune di Mesagne (BR) per la verifica di legittimità dei seguenti atti amministrativi adottati dall'amministrazione del comune:
              a) atto sindacale n.  30 del 9 luglio 2010 del comune di Mesagne, con il quale veniva nominato responsabile delle risorse umane il dipendente dottor Francesco Siodambro che sino a pochi mesi prima aveva svolto ruoli sindacali nel comune in qualità di rappresentante della RSU sindacale;
              b) delibera di giunta municipale del comune di Mesagne n.  327 del 31 dicembre 2010, mediante la quale si è proceduto a stabilizzare n.  26 lavoratori precari, già titolari di contratto a termine, modificando il contratto in tempo indeterminato senza lo svolgimento di alcun regolare concorso pubblico;
          per quanto attiene l'atto sindacale n.  30 del 9 luglio 2010, l'articolo 53 del decreto legislativo 165/01 stabilisce che: «non possono essere conferiti incarichi di direzione di strutture deputate alla gestione del personale a soggetti che rivestano o abbiano rivestito negli ultimi due anni cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali o che abbiano avuto negli ultimi due anni rapporti continuativi di collaborazione o di consulenza con le predette organizzazioni»; la circolare del Ministero della funzione pubblica n.  11/2010 dispone, con riferimento all'articolo 53 del decreto legislativo n.  165/01, che: «Ai fini della norma si deve ritenere compreso nel regime di impedimento anche l'essere componente della RSU, infatti la RSU è costituita a seguito di elezione di candidati in liste presentate...»; il dottor Francesco Siodambro, nominato con l'ordinanza sindacale n.  30 del 9 luglio 2010 responsabile delle risorse umane pianificazione e controllo del comune di Mesagne, ha rivestito fino all'11 marzo 2011 il ruolo di rappresentante RSU e dopo la nomina ha firmato atti pubblici, compresi bandi di concorso pubblico;
          il comune di Mesagne, tramite il segretario generale, in merito alla citata circolare del Ministero della funzione pubblica n.  11/2010, si è più volte espresso in questi termini: «le circolari sono atti dotati di efficacia esclusivamente interna all'ambito dell'Amministrazione dalla quale vengono emesse e non possono spiegare alcun effetto giuridico nei confronti dei soggetti estranei all'Amministrazione medesima né avere all'esterno alcuna efficacia vincolante»;
          per quanto attiene la delibera di giunta municipale del comune di Mesagne n.  327 del 31 dicembre 2010 (punto 2):
              il 31 dicembre 2010 l'amministrazione comunale di Mesagne attraverso la delibera di giunta n.  327/2010 ha proceduto, senza bandire alcun concorso pubblico, alla stabilizzazione di 26 lavoratori, che sono passati da dipendenti con contratto a tempo determinato con scadenza il 30 giugno 2011 a dipendenti a tempo indeterminato dal 31 dicembre 2010;
              dall'analisi delle norme in materia di pubblico impiego effettuata dalla commissione controllo e garanzia del comune di Mesagne è emerso che la delibera comunale n.  327/2010 non contiene un espresso rinvio alla legga 3 agosto 2009, n.  102 (che recepiva ed attuava le indicazioni fornite dal decreto legislativo n.  78/2009), ma si limita al richiamo di un principio generale per cui: «la tutela del suddetto interesse non contrasta la ratio della normativa di cui al decreto legge n.  78 del 2009, essendo coerente con le disposizioni in materia di contenimento delle spese di personale»;
              dal verbale della seduta del 3 maggio 2011 della commissione di controllo e garanzia del comune di Mesagne, emerge che si è scelto di non fare riferimento alla legge 3 agosto 2009, n.  102, preferendo invece, procedere alle stabilizzazioni sulla base del combinato disposto dell'articolo 1, comma 560, della legge n.  296/2006, (legge finanziaria per il 2007) e dell'articolo 3, comma 94, della legge 244/07 (legge finanziaria per il 2008);
              l'articolo 17, commi 10,11,12 e 13, della legge 3 agosto 2009, n.  102, stabilisce che le stabilizzazioni avviate con le leggi finanziarie per il 2007 e 2008 finanziarie 2007 e 2008 debbono avvenire attraverso l'emanazione da parte della pubblica amministrazione di concorsi pubblici con la riserva del 50 per cento dei posti per il personale interno precario;
              nel verbale della seduta del 3 maggio 2011 della commissione di controllo e garanzia del comune di Mesagne, si dà per assolto il dovere di svolgere il concorso pubblico all'origine delle assunzioni dei dipendenti con contratto di tipo co.co.co, considerando le selezioni avvenute negli anni novanta al pari di un concorso pubblico idoneo alla trasformazione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato, così come specificato in premessa nella stessa delibera 327/2010;
          laddove fosse accertato che la delibera di giunta 327/2010 del comune di Mesagne sia stata assunta in contrasto con l'articolo 17 della legge 102 del 2009, a giudizio dell'interrogante sarebbe violato il principio di uguaglianza dei cittadini, precludendo, di fatto, il diritto costituzionalmente garantito di accedere alla pubblica amministrazione attraverso un regolare concorso pubblico;
          se, contrariamente a quanto sostenuto dal comune di Mesagne in merito all'applicazione della circolare n.  11/2010 del Ministero della funzione pubblica, la stessa vincoli gli enti locali e, dunque, li impegni ad una piena e puntuale applicazione della stessa;
          se il Ministro ritenga di intervenire in relazione alle denunce rappresentate dai gruppi di minoranza del comune di Mesagne per avviare un procedimento di natura ispettiva presso lo stesso comune;
          se sia sufficiente considerare le prove selettive, sostenute da alcuni lavoratori precari del comune di Mesagne negli anni precedenti, quale espletamento di concorso pubblico ai sensi dell'articolo 97 della Costituzione e dalle successive leggi in materia di pubblico impiego, per la trasformazione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato;
          se le leggi n.  296 del 2006 e n.  244 del 2007 (leggi finanziarie per il 2007 e il 2008) in materia di stabilizzazioni, prevalgano su una legge successiva che regolamenta la stessa materia e, precisamente, su quanto disposto dall'articolo 17 della legge n.  102 del 2009. (4-14227)

      Risposta. — Si fa riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla presunta illegittimità di alcuni atti amministrativi adottati dal comune di Mesagne; al riguardo, sulla base degli elementi emersi dall'istruttoria avviata dall'ispettorato per la funzione pubblica, si rappresenta quanto segue.
      La prima questione segnalata dall'interrogante concerne la nomina, in data 9 luglio 2010, del dottor Francesco Siodambro a dirigente responsabile delle risorse umane dei comune di Mesagne; al riguardo l'onorevole Pagano manifesta forti perplessità circa la legittimità dell'atto in questione, atteso che il dottor Siodambro aveva ricoperto, sino a pochi mesi prima della nomina stessa, l'incarico sindacale di rappresentante della Rappresentanza sindacale unitaria (RSU) del citato comune.
      In proposito, come evidenziato dall'interrogante, l'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165, stabilisce che «non possono essere conferiti incarichi di direzione di strutture deputate alla gestione del personale a soggetti che, rivestano o abbiano rivestito, negli ultimi due anni, cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali o che abbiano avuto, negli ultimi due anni, rapporti continuativi di collaborazione o di consulenza con le predette organizzazioni»; con riferimento alla medesima disposizione la circolare del Dipartimento della funzione pubblica n.  11 del 2010 dispone, inoltre, che «ai fini della norma si deve ritenere compreso nel regime di impedimento anche l'essere componente della R.S.U. Infatti la R.S.U. è costituita a seguito di elezioni di candidati in liste presentate dalle organizzazioni sindacali, i suoi componenti sono equiparati ai dirigenti delle R.S.A. e l'organismo subentra alle R.S.A. o alle analoghe strutture sindacali esistenti comunque denominate ed ai loro dirigenti nella titolarità dei diritti sindacali e dei poteri riguardanti l'esercizio delle competenze contrattuali ad esse spettanti».
      Ciò premesso, l'Ispettorato per la funzione pubblica, avendo ricevuto dal segretario generale dell'ente interessato elementi ritenuti non esaustivi, ha provveduto a segnalare la questione al collegio dei revisori.
      Preso atto che il medesimo collegio concordava con le perplessità manifestate in ordine alla legittimità dell'attribuzione al dottor Siodambro dell'incarico di responsabile del servizio risorse umane del citato comune, l'Ispettorato, in data 31 maggio 2011, ha ritenuto di dover effettuare al riguardo una segnalazione alla Procura regionale della Corte dei conti in merito ad eventuali profili di sua competenza.
      In relazione alla seconda questione evidenziata nell'interrogazione in esame – relativa alla procedura di stabilizzazione di 26 lavoratori precari, già titolari di contratto a termine, effettuata con delibera n.  327 della Giunta comunale e, a detta dell'interrogante, senza lo svolgimento di regolare concorso pubblico – si riporta quanto comunicato dall'ufficio del segretario generale del comune di Mesagne.
      Il citato ente, con nota del 7 febbraio 2011, ha precisato al riguardo che le procedure di stabilizzazione «sono state intraprese a norma della legge n.  296 del 2006 e della legge n.  244 del 2007, rappresentando la trasformazione dei contratti il momento finale della procedura già avviata nel 2008 nell'ambito della programmazione triennale dei fabbisogni per gli anni 2008/2010, 2009/2011, e 2010/2012».
      In particolare, con riferimento poi all'ultimo triennio, l'ente interrogato ha precisato che il parere favorevole dello stesso collegio dei revisori sui procedimenti di stabilizzazione di cui alla delibera n.  327 del 2010 risulta, in ogni caso, così condizionato: «nella fase operativa di attuazione della programmazione, bisognerà riverificare al momento di nuove assunzioni, la relativa copertura finanziaria, i vincoli posti dal patto di stabilità, e comunque bisognerà rispettare l'articolo 1, comma 557, della legge finanziaria 2007.... (omissis)».
      In conclusione, sulla base degli elementi forniti dal comune di Mesagne e attestanti che si è «proceduto in maniera legittima e regolare alla stabilizzazione mediante la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato», non appaiono riscontrabili, allo stato, profili di illegittimità in relazione alla procedura seguita.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione: Filippo Patroni Griffi.


      REGUZZONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
          la comunità giovanile di Busto Arsizio (Varese) costituisce una realtà eccellente nel panorama dei centri di aggregazione giovanile, come testimoniato da oltre vent'anni di attività;
          centri di aggregazione giovanile simili sono diffusi in tutto il Paese e – vista l'opera meritoria di sostegno all'aggregazione giovanile nell'assoluto rispetto della legalità e delle normative vigenti – costituiscono un patrimonio importante per la formazione e la crescita dei nostri giovani  –:
          se e quali iniziative di competenza siano state assunte a sostegno dalle comunità giovanili e, in particolare, a supporto della comunità giovanile di Busto Arsizio;
          quali siano gli esiti delle iniziative assunte dal precedente Governo e quali siano gli intendimenti del Governo attuale. (4-16084)

      Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame con la quale si chiede di conoscere gli esiti delle iniziative assunte da parte del precedente Governo a sostegno delle comunità giovanili, nonché gli intendimenti del Governo attuale, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
      Si rappresenta che l'esame del disegno di legge del precedente Governo (Atto Camera n.  2505) recante «Norme in materia di riconoscimento e sostegno alle comunità giovanili» era stato rinviato, con la finalità di trovare un più ampio consenso da parte dei gruppi parlamentari di maggioranza.
      Questo Governo non ha ritenuto di manifestare il proprio interesse alla prosecuzione dell’iter parlamentare della suddetta proposta normativa perché non esistono, allo stato, risorse finanziarie da destinare alle comunità giovanili, non essendovi somme disponibili sul relativo fondo.
      Infatti, l'articolo 2, comma 60, della legge n.  191 del 2009 aveva istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, il fondo per le comunità giovanili, stabilendone le finalità. La dotazione di tale fondo era la stessa del fondo istituito dall'articolo 1, comma 556, della legge n.  266 del 2005 (legge finanziaria 2006), gestito negli anni 2006/2007 dal Ministero per la solidarietà sociale, per finalità diverse.
      Il Ministro della gioventù pro tempore, prendendo atto che l'esiguità dello stanziamento del fondo per le politiche giovanili non consentiva di attuare le linee programmatiche, contenute nella direttiva generale per l'attuazione amministrativa e la gestione del dipartimento della gioventù per l'anno 2010, con proprio decreto, disponeva l'allocazione delle fondo per le comunità giovanili (circa 13 milioni di euro) sul fondo politiche giovanili, per il programma «Incentivazione e sostegno alla gioventù».
      Tuttavia, numerose sono le iniziative assunte dal dipartimento della gioventù, facente capo alla mia responsabilità, a sostegno di centri di aggregazione giovanile, nel rispetto della legalità e delle normative vigenti.
      Il dipartimento sta svolgendo un programma di lavoro volto all'attuazione di misure idonee a diffondere una «cultura di attenzione» in favore dei giovani, creando una rete di informazione e formazione.
      Lo scopo è quello di dotare i giovani di un bagaglio culturale e tecnico tale da renderli pronti ad inserirsi nel mondo lavorativo e partecipare in modo costruttivo alla vita della collettività.
      L'obiettivo è quello di fornire a tutti le stesse opportunità di partenza, indipendentemente da censo, età, sesso, e consentire a ciascuno di misurarsi; lasciare alle giovani generazioni un metaforico cancello di ingresso verso il futuro e le proprie aspirazioni e far sì che il talento, l'applicazione, l'impegno, la serietà e, più in generale, i valori positivi, vengano premiati.
      È necessario, però, al fine di superare le difficoltà strutturali e sistemiche del mercato del lavoro, migliorare il coordinamento tra formazione e lavoro e rafforzare gli strumenti di collegamento tra domanda e offerta di lavoro, attraverso un maggiore coinvolgimento di strutture pubbliche e private, prime fra tutte le università.
      Il progetto «OstHELLO», in particolare, ha la finalità di incentivare e favorire l'aggregazione giovanile, attraverso il turismo culturale.
      Il dipartimento della gioventù in collaborazione con l'Associazione italiana alberghi per la gioventù (Aig) sta realizzando, tale progetto con uno stanziamento complessivo di circa 4 milioni di euro, attraverso il circuito degli ostelli per la gioventù italiani aderenti all'Associazione italiana alberghi per la gioventù (Aig) che mette gratuitamente a disposizione dei giovani, laboratori e strutture dove poter verificare e potenziare le proprie attitudini artistiche, con l'obiettivo di trasformare gli ostelli, in una sorta di «residenze artistiche», punto di riferimento sia per i viaggiatori che per i giovani del territorio.
      L'iniziativa riguarda 5 discipline artistiche e si svolge in 8 ostelli Aig, ed esattamente: musica, ostelli di Perugia e Bologna; cinema, ostelli di Cagliari e Firenze; teatro, ostelli di Genova e Napoli; arti visive, ostello di Matera; giornalismo, ostello di Trieste. Le attività, offerte gratuitamente ai ragazzi con tutor nazionali e internazionali, perseguono tre principi: dare priorità alle strutture arricchite di spazi nuovi completamente attrezzati (sale di incisione, sale doppiaggio, sale prova); offrire servizi formativi attraverso azioni didattiche; ampliare le opportunità per i giovani che, soggiornando negli ostelli, possono trovare anche possibilità di lavoro artistico e valorizzare il proprio talento.
      Il numero dei giovani coinvolti ha reso necessaria una implementazione del progetto e un prolungamento temporale delle attività, attraverso l'adeguamento strutturale di un nono ostello, Palermo per il teatro, al fine di rendere più equa la distribuzione logistica delle residenze sul territorio nazionale e di consentire ad un numero maggiore di giovani di partecipare all'iniziativa.
      Il dipartimento della gioventù, inoltre realizza numerose iniziative in collaborazione con gli enti territoriali (regioni, province e comuni), per un impegno finanziario complessivo di circa 55 milioni di euro.
      Per quanto riguarda le regioni, l'intesa sancita in sede di Conferenza unificata in data 7 ottobre 2010, come modificata dalle successive intese sancite in data 7 luglio 2011 e 13 ottobre 2011, ha stanziato circa 38 milioni di euro per la realizzazione di iniziative nelle seguenti aree di intervento prioritarie:
          a) realizzazione di un sistema informativo integrato per i giovani che faciliti l'accesso alle iniziative esistenti a livello comunitario, nazionale e regionale;
          b) offerte di aggiornamento e formazione che favoriscano l'avvicinamento da parte dei giovani ad arti e mestieri della tradizione culturale locale;
          c) valorizzazione della creatività e dei talenti dei giovani in relazione alle professioni legate alle arti visive, alla musica ed alla multimedialità;
          d) valorizzazione di una rete di strutture per l'accoglienza dei giovani, con particolare riferimento agli ostelli della gioventù, finalizzata a farne luoghi di incontro e di diffusione di iniziative culturali;
          e) promozione della cultura della legalità tra i giovani.

      In collaborazione con l'Unione province d'Italia, il dipartimento della gioventù ha in corso di realizzazione una serie di iniziative finalizzate a cofinanziare i migliori progetti presentati dalle province o dalle Upi regionali. Lo stanziamento complessivo ammonta a circa 7 milioni di euro.
      In particolare, le risorse sono destinate alla realizzazione di progetti indirizzati alla promozione di attività dirette a sostegno dei giovani sui territori e nelle comunità su temi quali la tutela del territorio, le opportunità di occupazione, la sicurezza e la salute, la cultura digitale e le nuove tecnologie. Ampio rilievo è stato dato anche al tema della coesione sociale con particolare riferimento all'inclusione di giovani provenienti da contesti svantaggiati e con un focus sull'integrazione dei giovani stranieri. Parte delle risorse sono state destinate anche all'attività di volontariato, intesa come strumento di partecipazione civica e di coesione sociale ed al dialogo intergenerazionale.
      Per quanto riguarda i comuni, il dipartimento della gioventù in collaborazione con l'Associazione nazionale dei comuni italiani ha in corso di realizzazione una serie di iniziative finalizzate a cofinanziare i migliori progetti presentati dai comuni o dalle loro unioni. Lo stanziamento complessivo ammonta a circa 5 milioni di euro.
      In particolare, i comuni si impegnano a realizzare iniziative volte ad attivare servizi a favore degli studenti universitari, a sviluppare la creatività urbana, nonché iniziative ricomprese in uno degli ambiti previsti nell'articolo 3, comma 1, del decreto del Ministro della gioventù 4 novembre 2011, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n.  42 del 20 febbraio 2012, di riparto del fondo per le politiche giovanili – anno 2011.
Il Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione: Andrea Riccardi.


      SCILIPOTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 3 della Costituzione italiana sancisce che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese; l'articolo 4 sancisce che la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società;
          «La partecipazione ai concorsi indetti da pubbliche amministrazioni non è soggetta a limiti di età, salvo deroghe dettate da regolamenti delle singole amministrazioni connesse alla natura del servizio o ad oggettive necessità dell'amministrazione.»; «sono aboliti i titoli preferenziali relativi all'età e restano fermi le altre limitazioni e i requisiti previsti dalle leggi e dai regolamenti per l'ammissione ai concorsi pubblici.»; questi sono due commi della legge n.  127 del 1997 (Misure urgenti per lo snellimento dell'attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.  113 del 17 maggio 1997 – Supplemento ordinario) dove viene fissata la regola di accesso ai concorsi pubblici;
          come si desume dalla lettura dei bandi delle pubbliche amministrazioni, il limite d'età è un criterio preselettivo presente, che ha da sempre creato discussione sul tema: e in effetti, le discussioni sono spesso animate da molta rabbia e senso di frustrazione, perché il limite è interpretato come un atto di discriminazione vera e propria;
          c’è una direttiva europea che vieta espressamente la discriminazione per età sia nel campo pubblico che privato, recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n.  216 del 2003;
          attualmente il limite di età degli arruolamenti nelle Forze Armate in Italia è di 25 anni; in molti Stati del mondo tale limite è superiore a 35 anni  –:
          se il Ministro interrogato, per quanto di competenza, non ritenga di dover intervenire, anche assumendo iniziative normative, adottando opportune urgenti misure tese ad una rapida revisione di queste norme, innalzando il limite di età oltre i 35 anni o eliminando decisamente tale limite, anche alla luce del fatto che la vita media si è alzata e considerando comunque come, per certi ruoli, una certa maggiore maturità sarebbe senz'altro preferibile. (4-15312)

      Risposta. — Il fondamento normativo da cui occorre muovere è l'articolo 3, comma 6 della richiamata legge 15 maggio 1997, n.  127, ai sensi del quale «la partecipazione ai concorsi indetti dalle pubbliche amministrazioni non è soggetta a limiti di età, salvo deroghe dettate dai regolamenti delle singole amministrazioni connesse alla natura del servizio o ad oggettive necessità».
      Tuttavia, il citato decreto legislativo 9 luglio 2003, n.  216, recante «attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro», nello stabilire che il principio di parità di trattamento senza distinzioni si applica a tutte le persone sia nel settore pubblico sia in quello privato (articolo 3, comma 1) prevede espressamente una deroga in materia di reclutamento del personale militare limitatamente ai fattori d'età (articolo 3, comma 2).
      La stessa direttiva 2000/78/CE del 27 novembre 2000 (articolo 3, comma 3), inoltre, stabilisce che non costituiscono atti di discriminazione quelle differenze di trattamento basate su una qualunque delle caratteristiche di cui all'articolo 1 (religione, convinzioni personali, handicap, età, orientamento sessuale) laddove, per la natura di un'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, tale caratteristica costituisce un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell'attività medesima.
      A tali prescrizioni generali si richiama, inoltre, il decreto legislativo 15 marzo 2010, n.  66 e successive modificazioni, recante «Codice dell'Ordinamento militare», che prevede specifici requisiti, tra cui il limite di età, per il reclutamento nelle Forze armate nei vari ruoli e categorie, tenendo conto del differente impiego e delle possibilità di carriera nello specifico ruolo.
      In tale contesto, considerata la specificità del comparto sicurezza e difesa, sono previsti dei limiti minimi e massimi di età per la partecipazione ai pubblici concorsi indetti per il reclutamento del personale militare (ad esempio, articoli 648, 652, 655, 664, 672, 676, 682, 684, 697 e 707 del citato codice).
      Le previsioni normative relative ai limiti d'età per il reclutamento del personale delle Forze armate hanno, evidentemente, la ratio di salvaguardare, in primis, l'operatività e la funzionalità dello strumento militare. Infatti, tali norme consentono alle Forze armate di poter disporre, almeno all'inizio del percorso professionale, di personale che, in virtù della giovane età, sia in grado di espletare incarichi ad elevata connotazione operativa, per i quali, diversamente, soggetti in età avanzata, incontrerebbero oggettive difficoltà, con conseguenti ripercussioni sull'operatività stessa.
      Pertanto non si ritiene di intervenire sulla normativa attualmente esistente.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      SIRAGUSA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          circa 350 carabinieri ausiliari in congedo, pur avendo prestato servizio nell'Arma per 3 anni con abnegazione e spirito di sacrificio, si ritrovano oggi tra le fila del precariato, non avendo potuto, al termine della ferma contratta, sviluppare una carriera nelle forze armate o nelle forze di polizia ad ordinamento militare o civile;
          la maggior parte degli ausiliari, al termine del percorso nell'Arma, nonostante sia risultata idonea al proseguimento di carriera, non è stata prescelta per la ferma quadriennale, venendo congedata per esubero ed esclusa, di fatto, dall'immissione nei ruoli del servizio permanente delle forze armate;
          l'Arma dei carabinieri, ai fini di completamento dell'organico, ha più volte indetto concorsi pubblici, ai quali hanno avuto accesso sia ex appartenenti alle forze armate sia privati cittadini;
          in tal senso, il decreto legislativo n.  198 del 1995, nel dettare norme relative al reclutamento dei carabinieri, ha richiamato la legge n.  537 del 1993. Tale legge prevedeva che il Governo emanasse uno o più regolamenti per «incentivare il reclutamento di cui alla legge 24 dicembre 1986, n.  958, e successive modificazioni, riservando ai volontari congedati senza demerito l'accesso alle carriere iniziali nella Difesa, nei Corpi armati e nel Corpo militare della Croce rossa»;
          le quote di cui sopra non sono però state rispettate, tanto che nei recenti concorsi banditi dall'Arma dei carabinieri per gli ausiliari in congedo non è stata prevista alcuna riserva di posti, essendo questi ultimi esclusivamente destinati agli altri Corpi delle Forze armate;
          uguale discriminazione si è verificata con l'approvazione della legge 226 del 2004 per i volontari dei vigili del fuoco, che ha trovato giusta risoluzione con l'articolo 5, comma 2, del decreto legislativo 13 ottobre 2005, n.  217, il quale ha permesso nell'anno 2008 bandire un concorso con riserva di posti a favore dei volontari ausiliari dei vigili del fuoco in congedo  –:
          quali iniziative il Ministro intenda adottare per favorire l'istituzione di quote di riserva, a vantaggio dei carabinieri ausiliari in congedo, nei concorsi banditi dall'Arma. (4-16362)

      Risposta. — In via preliminare, si fa osservare che il quadro normativo che ha disciplinato la trasformazione progressiva dello strumento militare in senso interamente professionale, oggi recepito nel codice dell'ordinamento militare (decreto legislativo n.  66 del 2010), prevede che i posti annualmente messi a concorso per il reclutamento del personale nelle carriere iniziali delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare (FdP) siano riservati ai volontari in ferma prefissata di un anno (Vpf1).
      Per quanto riguarda, invece, gli altri profili professionali le Forze armate e le FdP bandiscono annualmente concorsi pubblici a cui possono partecipare tutti i cittadini italiani in possesso dei requisiti previsti dai rispettivi bandi.
      Il richiamato codice prevede, a fattor comune nell'ambito del reclutamento, riserve di posti per le seguenti categorie:
          diplomati e assistiti presso le scuole militari ed enti di assistenza per orfani;
          figli di militari deceduti in servizio e/o di vittime del dovere e del terrorismo.

      Altre riserve possono essere previste per specifiche esigenze di ciascuna Forza armata soltanto nei confronti di personale militare in servizio.
      I bandi di concorso per il reclutamento del personale miliare prevedono, inoltre, riserve di posti per concorrenti in possesso dell'attestato di bilinguismo (lingua italiana e tedesca), in applicazione delle norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino Alto Adige in materia di proporzione negli uffici statali siti nella provincia di Bolzano.
      Fatta questa premessa, non si può che confermare, che l'eventuale estensione di riserve di posti a favore di personale anagraficamente «anziano», come quello in argomento, avrebbe inevitabili riflessi sulla corretta ed equilibrata alimentazione dei ruoli, che, invece, impone la necessità per le Forze armate e le FdP, di disporre di personale, che in virtù della giovane età, risulti impiegabile dal punto di vista operativo.
      In altri termini, una simile previsione risulterebbe evidentemente incompatibile con gli attuali criteri ispiratori dell'attività di reclutamento dell'amministrazione, la quale per poter corrispondere adeguatamente alle molteplici e variegate esigenze funzionali ed operative in territorio nazionale e, in particolare nell'ambito delle missioni internazionali di pace all'estero deve contare sulla ampia disponibilità di personale giovane nei ruoli iniziali, idoneo ad espletare incarichi ad elevata connotazione operativa, che richiedono un adeguata capacità psico-fisica-attitudinale.
      Basti pensare che i carabinieri ausiliari congedati risultano di età anagrafica superiore al limite fissato per i concorsi delle Forze armate (25 anni), attestandosi su una media complessiva superiore ai 30 anni.
      Per quanto concerne il decreto legislativo n.  198 del 1995 e la legge n.  537 del 1993, citati dall'interrogante quali norme incentivanti il reclutamento dei volontari congedati senza demerito nell'Arma dei carabinieri, faccio presente che le stesse discendono dalla legge n.  958 del 1986 «Norme sul servizio di leva e sulla ferma di leva prolungata».
      In proposito, faccio osservare che di tale legge alcuni articoli, essendo di perdurante attualità, sono stati recepiti nel predetto codice dell'ordinamento militare, mentre le previsioni concernenti il reclutamento sono state superate dalle norme che disciplinano la trasformazione delle Forze armate in senso interamente professionale (leggi n.  331 del 2000 e n.  226 del 2004).
      L'ulteriore norma di legge, richiamata dall'interrogante, che consentiva il richiamo in servizio dei carabinieri ausiliari in congedo (decreto-legge n.  64 del 2002 «Disposizioni urgenti per la prosecuzione della partecipazione italiana ad operazioni militari internazionali»), è stata abrogata per la medesima ragione, essendo stata superata dalla predetta disciplina sulla professionalizzazione dello strumento militare.
      Per quanto riguarda, infine, l'ipotizzato esiguo numero di carabinieri ausiliari in congedo reintegrati nei ruoli dell'Arma dei carabinieri richiamo opportunamente i dati indicati dal competente comando generale:
          a seguito della sospensione della leva obbligatoria, nel triennio 2002-2004, l'Arma dei carabinieri ha dato il massimo impulso alle immissioni dei carabinieri ausiliari nella ferma quadriennale, riservando loro tutti gli arruolamenti ordinari (nel limite del 30 per cento dei posti disponibili) e destinando loro eventuali posti riservati ai volontari delle Forze armate non coperti;
          nel biennio 2005-2006 sono transitati in ferma quadriennale quasi tutti i carabinieri ausiliari prossimi al congedo e, inoltre, nel 2005, nell'ambito delle assunzioni destinate al cosiddetto «carabiniere di quartiere», è stato previsto che l'incremento organico di 770 unità avvenisse mediante arruolamento di carabinieri in ferma quadriennale da attingere esclusivamente dai carabinieri ausiliari in congedo;
          per l'anno 2005, infine, l'allora vigente normativa in materia di reclutamento dei Vfp1, di cui all'articolo 24 della legge n.  226 del 2004 «Sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva e disciplina dei volontari di truppa in ferma prefissata, nonché delega al Governo per il conseguente coordinamento con la normativa di settore», ha previsto una significativa percentuale (70 per cento) di posti riservati, tra l'altro, al personale che aveva completato il servizio di leva in qualità di ausiliario nelle FdP.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      TOTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          l'U.N.C.I – Unione nazionale cooperative italiane è un'associazione di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo, nonché di revisione, su delega del Ministero dello sviluppo economico, giuridicamente riconosciuta con decreto ministeriale 18 luglio 1975, iscritta al n.  299 del 1981 del registro delle personalità giuridiche presso la prefettura di Roma e sottoposta, ai sensi del decreto legislativo n.  220 del 2002 e dell'articolo 7 del Decreto del Presidente della Repubblica 28 novembre 2008, n.  197, alla vigilanza e al controllo del Ministero dello sviluppo economico;
          l'Unione è articolata in federazioni regionali e provinciali e nel biennio ispettivo 2009-2010 ha sottoposto a revisione 4.992 cooperative, per un valore complessivo di produzione pari a 2.428.007.280,42 di euro e un numero di soci pari 195.597;
          di diretta emanazione dell'U.N.C.I. sono le associazioni nazionali di settore: U.N.C.I.-pesca, che si avvale di finanziamenti stanziati nell'ambito di programmi nazionali e regionali di sviluppo del settore della pesca e dell'acquacoltura; ex ASCAT, che raggruppa le cooperative agricole e di trasformazione agroindustriale; ANCOS che aggrega i consorzi e le cooperative sociali aderenti a U.N.C.I.;
          tra gli enti controllati da U.N.C.I., vi è il fondo per la promozione e lo sviluppo della cooperazione (Promocoop Spa), istituito ai sensi della legge n.  59 del 1993, sottoposto alla vigilanza del Ministero dello sviluppo economico, il cui oggetto esclusivo, è quello dello svolgimento di attività di promozione e finanziamento di nuove imprese e di iniziative di sviluppo della cooperazione;
          il presidente pro-tempore di U.N.C.I., Luciano D'Ulizia, e il presidente pro-tempore di Coldiretti, Sergio Marini, nel mese di luglio 2009, sottoscrissero un accordo politico strategico, dichiaratamente teso a favorire la progressiva integrazione tra le due organizzazioni, seppur limitatamente al comparto agricolo, tanto a livello centrale quanto a livello periferico;
          l'U.N.C.I. svolse il 7° congresso nazionale il 25-26 novembre 2009, che elesse il nuovo presidente, professor Paolo Galligioni, all'esito del quale, sulla base del regolamento congressuale, predisposto dal presidente uscente, Luciano D'Ulizia, scaturì una composizione degli organi volitivi, consiglio generale e consiglio di presidenza, a giudizio dell'interrogante inadeguata a rappresentare tutte le componenti territoriali dell'Unione, anche, probabilmente, per effetto dei contenuti del citato accordo, in particolare con riguardo agli assetti organizzativi e, più specificatamente, alle cariche da attribuire;
          trentuno consiglieri sui sessanta che compongono il consiglio generale sono di espressione della federazione delle Marche, presieduta dal dottor Francesco D'Ulizia, figlio di Luciano D'Ulizia, a testimonianza del rilevato disequilibrio rappresentativo; la stessa maggioranza dei componenti del consiglio di presidenza, cinque su nove, era rappresentativa del medesimo territorio. D'altronde, già nel periodo precedente all'assemblea nazionale dell'anno 2009, rilevanti posizioni in seno all'U.N.C.I. privilegiarono quella matrice geografica di provenienza dei soggetti che le ricoprirono; esemplificativamente: presidente U.N.C.I. e presidente Promocoop spa Luciano D'Ulizia, direttore centrale dottor Francesco D'Ulizia, rappresentante U.N.C.I. in seno al CNEL, ancora il dottor Francesco D'Ulizia, presidente del comitato di commissariamento U.N.C.I.-pesca, ragionier Michele Marinelli, componente del collegio sindacale U.N.C.I., dottor Alberto Cavallaro tutti soggetti, alcuni plurincaricati, di riferimento della regione Marche;
          dopo pochi mesi dal 7° congresso, i nuovi organismi associativi iniziarono a registrare difficoltà nel loro funzionamento viepiù crescenti tanto da condurre, rapidamente, l'U.N.C.I. a una stasi operativa, molto spesso determinata da contrasti nei quali si contrapponevano le principali cariche dell'Unione, tra le quali la presidenza d'onore, in accordo tra loro, alla presidenza effettiva di U.N.C.I. In proposito, giova evidenziare che, nel mese di giugno 2010, a sei mesi dalla celebrazione dell'ultimo menzionato congresso, la presidenza di U.N.C.I. aveva sporto denuncia contro l'operato, dell'attuale presidenza, volta ad accertare una presunta appropriazione indebita di fondi dell'Unione, per un importo pari a 190.000,00 euro, a valere sul bilancio 2009;
          è presumibile che, nei riporti interni, la menzionata denuncia giudiziaria abbia determinato le reazioni ostili verso la presidenza autrice della medesima. Di certo accadde, che il presidente d'onore, giusta i poteri statutari, così come attribuiti dalle modifiche apportate in sede congressuale, in data 23 giugno 2010, convocò un consiglio generale per deliberare la celebrazione di un nuovo congresso di U.N.C.I., funzionale al rinnovo anticipato delle cariche sociali e della presidenza in primis: detta convocazione fu sospesa dal tribunale di Roma a seguito di impugnazione, esperita da una cooperativa associata in quanto le modifiche statutarie che attribuivano la facoltà al presidente d'onore di convocare il congresso nazionale non erano state approvate dall'autorità prefettizia. Tali circostanze comportavano di fatto la reviviscenza dell'ultimo statuto regolarmente iscritto nel registro delle persone giuridiche, ossia quello approvato nell'anno del 2000, ritenuto dal tribunale di Roma l'unico valido ed efficace «sia inter partes sia verso i terzi», ma il cui testo non riconosceva, però, al presidente d'onore il potere di convocare gli organi associativi;
          a giudizio dell'interrogante inopinatamente, anche su questa vicenda giurisdizionale, gli organi dell'Unione ebbero modo di scontrarsi, poiché, da un lato, lo statuto del 2000 riduceva le prerogative del presidente d'onore, già oggetto di inequivocabili perplessità da parte del Ministero dello sviluppo economico, con la nota protocollo n.  0039146 del 28 aprile 2010, in quanto non meramente onorifiche;
          è da rilevare che la Promocoop società partecipata al 98 per cento da U.N.C.I. e il cui consiglio di amministrazione era presieduto dal presidente d'onore di U.N.C.I, ha esperito numerose azioni legali congiuntamente alla presidenza d'onore dell'Unione ad altri soggetti ed enti associati all'Unione;
          la situazione sopra descritta, ha comportato una vera e propria frattura nella base associativa dell'U.N.C.I, con la formazione, di due gruppi di federazioni territoriali, antagonisti e contrapposti ed inevitabili, pesanti ripercussioni all'interno e all'esterno dell'organizzazione;
          nella riunione del consiglio generale di U.N.C.I. del 6 luglio 2010 e del 27 luglio 2011, la maggioranza, ispirata dal presidente d'onore, Luciano D'Ulizia, non approvava il bilancio consuntivo 2009, relativo alla gestione D'Ulizia, cessata il 26 novembre 2009 sarebbero stati i vice-presidenti di U.N.C.I., dal canto loro, dapprima intervenivano sugli istituti di credito ottenendo il blocco cautelativo dei conti correnti di U.N.C.I sui quali aveva delega ad operare il suo presidente effettivo e, in pari tempo, convocavano, ad avviso dell'interrogante in violazione delle norme statutarie, più riunioni, indicate, rispettivamente, «consiglio di presidenza», ma nella composizione stabilita dallo statuto del 2009, inefficace, come sopra precisato, e «consiglio generale», nel corso delle quali, neglette le censure mosse da diversi componenti non intervenuti a dette riunioni, coloro che vi parteciparono diedero luogo alla costituzione, tra l'altro di un «comitato esecutivo» che, seduta stante, delegava un vice-presidente a partecipare, in sostituzione del presidente effettivo di U.N.C.I, all'assemblea di Promocoop spa che riconfermava l'onorevole Luciano D'Ulizia nella carica di presidente del consiglio di amministrazione, con ulteriore inasprimento del contenzioso già in essere;
          di fatto, dunque, si è venuta a creare una complessa e, almeno apparentemente e sollecitamente, insanabile condizione di ingovernabilità di U.N.C.I, dapprima, con la neutralizzazione dell'organo amministrativo e, poi, con la creazione di quelli che all'interrogante appaiono dei veri e propri «organi paralleli». Va evidenziato che il presidente d'onore, Luciano D'Ulizia, presidente, altresì, di Promocoop la società di gestione del fondo mutualistico per la promozione e lo sviluppo della cooperazione, con importanti disponibilità finanziarie rivenienti, annualmente, dagli stanziamenti della legge n.  59 del 1992, ancora oggi, avrebbe, a quanto consta all'interrogante, una indiretta ma significativa «influenza» sull'associazione nazionale di settore U.N.C.I-pesca. Il commissariamento dell'U.N.C.I-pesca fu deliberato dal consiglio generale del 26 aprile 2009;
          il Ministero dello sviluppo economico, a seguito di un esposto del collegio sindacale dell'U.N.C.I, nel mese di luglio 2011, avviava un'ispezione sull'Unione, all'esito della quale era redatto, in data 25 ottobre 2011, un verbale il cui contenuto ha sostanziato la successiva diffida n.  0206489-2 del 2 novembre 2011, notificata a U.N.C.I., in persona del suo presidente pro-tempore, perché fossero rimosse, con effetto immediato, le gravi irregolarità rilevate nel verbale di ispezione, mediante l'esecuzione dei seguenti adempimenti: a) adeguamento, entro sessanta giorni e sulla base di un regolamento che tenga conto dell'effettiva rappresentatività della base sociale, dello statuto dell'associazione, secondo le raccomandazioni già precedentemente formulate nella nota protocollo n.  39146 del 28 aprile 2010, rimaste inosservate, «con riferimento all'aspetto dei poteri attribuiti al presidente d'onore e facendo venir meno ogni rischio di sovrapposizione e/o duplicazione con quelli del presidente effettivo e di qualunque altro organo operativo»; b) predisposizione e inoltro, entro trenta giorni, di un piano operativo, puntuale e circostanziato di aggiornamento e addestramento dei revisori, diretto al miglioramento della qualità della vigilanza; c) approvazione, entro trenta giorni, dei bilanci relativi agli esercizi 2009 e 2010, non ancora approvati, con espresso avvertimento che, in caso di inadempimento e, comunque, ove U.N.C.I non fosse stata in grado di rimuovere le irregolarità emerse, dando seguito alle attività nei termini e modi fissati, sarebbero stati adottati «i provvedimenti di rigore ritenuti più opportuni»;
          successivamente alla notifica della diffida testé richiamata, si sono verificate le seguenti ulteriori vicende: 1) il presidente di U.N.C.I. convocò per il giorno 9 novembre 2011 un consiglio di presidenza, per l'approvazione delle modifiche statutarie richieste dal Ministero e, contestualmente, un consiglio generale, per il successivo 23 novembre 2011, per l'approvazione del bilancio consuntivo 2009, nella versione approvata dal consiglio di presidenza in data 13 maggio 2010, con il voto favorevole, è da notare, anche di due vice-presidenti, di U.N.C.I, e munito del parere favorevole del collegio sindacale di cui alla relazione del 4 giugno 2011, integralmente confermata in occasione del consiglio generale del 27 luglio 2011; 2) il presidente d'onore e i vice-presidenti di U.N.C.I., non presentandosi alla riunione del consiglio di presidenza del 9 novembre 2011, impedirono all'U.N.C.I. di ottemperare alla diffida ministeriale, in ordine all'adeguamento delle norme statutarie, di cui al superiore punto a); 3) molte federazioni, anche in considerazione delle convocazioni di dubbia legittimità di organi non previsti dallo Stato da parte del presidente d'onore D'Ulizia, rivolsero formale istanza al Ministero affinché, ricorrendone le condizioni, provvedesse alla nomina di un commissario ad acta, con il compito di condurre l'associazione al rinnovo degli organi, a salvaguardia dell'Unione e dei suoi associati; 4) a seguito di un incontro, svoltosi in data 16 novembre 2011, è promosso dai vice-presidenti di U.N.C.I., in presenza anche del direttore centrale, di un consigliere generale e del presidente effettivo, quest'ultimo, raccogliendo l'invito di uno dei vice-presidenti, rinviò, con formale comunicazione acquisita agli atti, la riunione del consiglio generale convocata per il 23 novembre 2011 avendo tutti concordemente proposto al direttore generale la nomina di un commissario ad acta, all'atto delle previe dimissioni di tutti i componenti del consiglio di presidenza; 5) nonostante ciò, su formale quanto inopinato invito del presidente d'onore, il 23 novembre 2011 un gruppo di consiglieri si riuniva sotto la presidenza del dottor Francesco D'Ulizia, vicepresidente dell'U.N.C.I.; la riunione veniva auto-definita consiglio generale e stabiliva la decadenza del presidente effettivo pro-tempore di U.N.C.I. e ne affidava al dottor Francesco D'Ulizia le funzioni, ivi inclusa la legale rappresentanza. È di assoluto rilievo che l'auto-definitivo consiglio generale, contestualmente approvava un bilancio consuntivo 2009 difforme da quello regolarmente approvato in precedenza dal consiglio di presidenza e munito del parere favorevole del collegio sindacale. Le difformità vertevano sul punto dell'imputazione tra i costi, e non più tra i crediti, nel bilancio dell'Unione della somma, di euro 190 mila di cui alla vicenda più sopra accennata. La procedura di dubbia legittimità evidenziava, ad abundantiam, difformità con i rilievi già espressi dal collegio sindacale dell'U.N.C.I. e anomalie insanabili di procedure amministrative e contabili, oggettivamente scorrette; 6) il dottor Francesco D'Ulizia, auto-qualificandosi «legale rappresentante» dell'U.N.C.I., inviò al Ministero dello sviluppo economico-direzione generale piccole e medie imprese ed enti cooperativi alcune note su carta intestata dell'U.N.C.I. con le quali comunicò che gli «organi sociali» avevano posto in essere una serie di azioni e confezionato una pluralità di atti, quasi a lasciar intendere di avere, in tal modo, ottemperato alla menzionata diffida del dicastero, del 2 novembre 2001;
          i più rilevanti atti compiuti dal dottor Francesco D'Ulizia nell'asserita qualità di nuovo legale rappresentante dell'U.N.C.I., risultano essere: a) invio al Ministero dello sviluppo economico del bilancio consuntivo 2009, nella redazione difforme di cui si è sopra detto, approvata dall'auto-definito consiglio generale riunitosi in data 23 novembre 2011 e ulteriori attività che suscitano forti dubbi sul piano della titolarità dei poteri e dell'esercizio delle competenze; b) approvazione deliberata, il 19 dicembre 2011 difforme da quella prevista dall'articolo 18 dello statuto vigente, di modifiche apportate, allo statuto del 2009 e non a quello vigente del 2000;
          per una più esaustiva descrizione della grave situazione giuridico-societaria in cui versa l'U.N.C.I., si può aggiungere ulteriormente che: a) diversi consiglieri generali e numerose federazioni territoriali hanno aspramente, disconosciuto tutte le iniziative poste in essere dal dottor Francesco D'Ulizia, eccependone l'illegittimità, le violazioni statuarie e la loro configurazione contra legem; b) il collegio sindacale dell'Unione ha attestato di non poter avvalorare la posizione del vicepresidente D'Ulizia e che nello statuto non si rinvengono disposizioni applicabili alla situazione contingente che possano far ritenere decaduto Galligioni (presidente di U.N.C.I., eletto dal congresso); che deve ad oggi considerare quale legale rappresentante dell'U.N.C.I. il professor Paolo Galligioni che ad oggi il comitato esecutivo non risulta istituito secondo le previsioni dello statuto associativo; c) il 12 dicembre 2011 il vice-presidente dottor Franco Pasquali si è dimesso da tutte le cariche associative; d) con istanza protocollo n.  8/2012/PR del 17 gennaio 2012, il presidente eletto, professor Galligioni, su mandato del consiglio di presidenza, ha sollecitato un intervento ispettivo del Ministero dello sviluppo economico sulla Promocoop spa, già richiesto con nota protocollo n.  3607/11/PR del 15 settembre 2011, sul presupposto che, sotto la presidenza Luciano D'Ulizia, il fondo mutualistico, da un lato, avrebbe posto in essere alcuni atti impropri e, dall'altro, ne avrebbe omesso di dovuti, anche nei rapporti con U.N.C.I. Tra le situazioni in rilievo, è da segnalare che, da parte del presidente di Promocoop spa, si è dato luogo a richiesta di pareri legali su questioni giuridiche estranee all'oggetto sociale e, piuttosto, di suo evidente interesse ancorché nella diversa qualità di presidente d'onore dell'U.N.C.I. e, inoltre, che ha agito e resistito in plurimi giudizi volti a contrastare le attività del socio di maggioranza U.N.C.I., emergendone un evidentissimo conflitto di interessi tra le prerogative del presidente del consiglio di amministrazione di Promocoop e quelle del presidente d'onore U.N.C.I.; che, come parrebbe risultare, la copertura delle spese per la tutela legale del presidente d'onore di U.N.C.I., Luciano D'Ulizia e del vice-presidente, dottor Francesco D'Ulizia, sarebbe assicurata dalle risorse vincolate derivanti dai versamenti del 3 per cento degli utili delle cooperative associate all'U.N.C.I., utilizzate, come altresì sembra, per la copertura delle spese legali nei giudizi promossi dai medesimi contro l'U.N.C.I.; che continua a rigettare le istanze dell'U.N.C.I. volte ad ottenere la convocazione di una nuova assemblea dei soci di Promocoop spa che potrebbero, eventualmente, valutare l'ipotesi di deliberare un'azione di responsabilità nei confronti del presidente Luciano D'Ulizia e provvedere revoca degli attuali sindaci, d'altronde considerando che il presidente del collegio sindacale, ragionier Michele Marinelli, in carica nonostante l'invito di U.N.C.I. a dimettersi, con nota protocollo n.  6021/11/0300 del 4 ottobre 2001, è stato condannato, con sentenza del 19 aprile 2011 del Tribunale di Viterbo, alla pena di otto anni di reclusione per il reato di concorso in bancarotta fraudolenta, per distrazione patrimoniale per un valore di oltre 5.000.000,00 di euro; e) il 19 gennaio 2012, sono pervenute all'U.N.C.I. e al Ministero dello sviluppo economico anche le dimissioni del presidente del collegio sindacale, dottor Alberto Cavallaro; f) con nota protocollo n.  11/2012/PR del 24 gennaio 2012, il presidente eletto di U.N.C.I., Galligioni, ha fornito al Ministero dello sviluppo economico-direzione generale per le piccole e medie imprese gli enti cooperativi parziale riscontro alla menzionata diffida del 2 novembre 2011, trasmettendo una serie di atti e documenti e, tra questi, la proposta di regolamento del congresso straordinario dell'U.N.C.I., avanzata dai rappresentanti di varie federazioni regionali e provinciali e il verbale di un'assemblea straordinaria delle federazioni regionali U.N.C.I. del giorno 14 dicembre 2011, precisando, nella circostanza, che sarebbe stato nuovamente riconvocato il consiglio di presidenza per la introduzione degli emendamenti statutari richiesti dall'autorità governativa e da adottare ai sensi e per gli effetti dell'articolo 30 dello statuto vigente, effettivamente introdotti in data 14 febbraio 2012; g) in data 26 gennaio 2012, il dottor Francesco D'Ulizia ha, ad avviso dell'interrogante, sorprendentemente, ottenuto dalla prefettura di Roma, già diffidata dal presidente effettivo di U.N.C.I., fin dal 24 novembre 2011 a non apportare alcuna modifica alle risultanze del registro delle persone giuridiche, l'iscrizione della delibera dell'auto-definita consiglio generale, convocato in data 23 novembre 2011, ed il rilascio di un certificato che, benché solo apparentemente, sembrava attestare la legale rappresentanza dell'U.N.C.I. in capo a sé medesimo. Detto certificato sarebbe stato utilizzato per operare nei confronti degli istituti di credito e dei fornitori, nelle veci del presidente effettivo eletto, Galligioni; h) in ordine a tale circostanza, in data 28 gennaio 2012, il presidente effettivo ha sporto denuncia-querela nei confronti del dottor Francesco D'Ulizia, con contestuale richiesta di sequestro del certificato a lui rilasciato e del registro delle persone giuridiche, per la parte relativa all'U.N.C.I.; i) con nota protocollo n.  16/2012/PR del 30 gennaio 2012, il presidente effettivo di U.N.C.I., Galligioni ha rappresentato alla prefettura di Roma, e per conoscenza al Ministero dello sviluppo economico che l'iscrizione di dubbia legittimità nel registro delle persone giuridiche della delibera dell'auto-definito consiglio generale del 23 novembre 2011 era stata operata malgrado il competente ufficio prefettizio fosse stato tempestivamente avvertito, fin dal 24 novembre 2011, della palese illegittimità formale e sostanziale di tale atto «non riferibile a U.N.C.I.» e, in ogni caso, formatosi in palese violazione delle previsioni civilistiche e statutarie vigenti; l) in data 1° febbraio 2012, eccependo l'esistenza della predetta certificazione, il dottor Francesco D'Ulizia, con l'ausilio di altri soggetti identificati, avrebbe finanche occupato l'immobile di via San Sotero n.  32, in Roma, sede degli uffici dell'U.N.C.I.; m) anche in relazione a siffatto abuso, il presidente effettivo ha sporto denuncia-querela nei confronti del dottor Francesco D'Ulizia e i suoi presunti correi, anche paventando il rischio di alterazione detta documentazione associativa e di sottrazione di risorse materiali e patrimoniali dell'Unione; n) in data 7 febbraio 2012, il presidente effettivo veniva chiamato a sottoscrivere il verbale dell'accertamento effettuato dagli ispettori ministeriali, a seguito della diffida 2 novembre 2011. Il verbale evidenzia un peggioramento della situazione di stallo determinata dalla folte conflittualità tra i vari organi sociali e all'interno di essi, rilevata nel corso dell'ispezione conclusa in data 25 ottobre 2011, nonché «la comprovata difficoltà per l'UNCI di adempiere alla diffida irrogata con atto del 2 novembre 2011»; o) «risulta che in data 2 febbraio 2012 il Ministero dello sviluppo economico-direzione generale per le piccole e medie imprese e gli enti cooperativi, abbia reso alla Prefettura di Roma il parere protocollo n.  0024286, richiesto con istanza n.  34478/1618/2011 Area IV URPG del 29 dicembre 2011, con il quale sarebbe stata censurata la validità delle deliberazioni assunte dall'auto-definito consiglio generale del 23 novembre 2011, convocato e presieduto dal Francesco D'Ulizia»; p) «risulta inoltre che, sulla scorta del parere n.  0024286 del 2 febbraio 2012, la prefettura di Roma abbia provveduto di fatto sancendo l'inefficacia della delibera 23 novembre 2011 dal registro delle persone giuridiche, a certificare che il presidente e legale rappresentante dell'UNCI è il Paolo Galligioni «giusta delibera del congresso nazionale del 25-26 novembre 2011»; q) con avviso datato 8 febbraio 2012, il dottor Francesco D'Ulizia si è affrettato a convocare nuovamente l'auto-definito consiglio generale per il giorno 28 febbraio 2012 per l'approvazione del bilancio consuntivo 2010, evidentemente redatto sulla base del consuntivo 2009, ad avviso dell'interrogante, irregolarmente modificato in data 23 novembre 2011, da trasmettere, poi, al Ministero dello sviluppo economico, in apparente e definitiva ottemperanza alla diffida ministeriale del 2 novembre 2011; r) con ricorso depositato il 20 gennaio 2012, il dottor Francesco D'Ulizia, agendo in rappresentanza dell'U.N.C.I., ha infine chiesto al T.A.R. del Lazio l'annullamento del verbale di vigilanza 25 ottobre 2011 redatto dagli ispettori ministeriali della direzione generale per le PMI e gli enti cooperativi nonché del conseguente atto di diffida protocollo n.  0206489-2 del 2 novembre 2011, benché in precedenza avesse voluto rappresentare l'adempimento;
          è appena il caso di evidenziare, per effetto dei rappresentati eventi, il delinearsi di un inequivocabile quadro di gravissima compromissione della vita associativa dell'UNCI, che, oggi, non è in grado, di poter ottemperare compiutamente alla diffida del Ministero dello sviluppo economico, con riferimento all'approvazione dei bilanci degli esercizi 2009 e 2010; soprattutto, non riuscirà a predisporre il rinnovo degli organi statutari, sulla base di un regolamento congressuale idoneo a garantire un'effettiva rappresentatività della base sociale, essendo detti adempimenti di competenza del consiglio generale, sul quale sono in grado di esercitare la loro decisiva influenza i due membri della famiglia D'Ulizia che, inoltre, mantenendo la gestione unilaterale delle risorse finanziarie di Promocoop s.p.a. e di U.N.C.I.-pesca, possono consentirsi di contrastare ogni atto o decisione, anche facendo leva su norme statutarie inadeguate a dirimere controversie di tale natura e portata e, spesso, anche suscettibili di contrastanti interpretazioni. Tutto ciò a dispetto dell'orientamento della maggioranza delle federazioni territoriali espressione della base associativa  –:
          se, approfondito, riscontrato e vagliato tutto quanto sopra premesso, il Ministro non intenda dar corso all'ispezione ministeriale sollecitata dalla presidenza dell'U.N.C.I. con nota protocollo n.  8/2012/PR del 17 gennaio 2012 e già richiesta con nota protocollo n.  3607/11/PR del 15 novembre 2011, sulle attività e sugli atti posti in essere da Promocoop s.p.a., al fine, in particolare, di accertare se si sia dato luogo, con utilizzo del fondo mutualistico gestito dalla società, a richiesta di pareri legali su questioni giuridiche estranee all'oggetto sociale e, comunque, a vicende attinenti le attività societarie;
          se il Ministro, anche sulla sorta dei contenuti recati dalla diffida in data 2 novembre 2011 e delle successive vicende che hanno coinvolto l'ufficio persone giuridiche della prefettura di Roma presso la quale è tenuto il relativo registro, non intenda disporre le opportune iniziative volte ad accertare le effettive e personali responsabilità di ogni atto compiuto od omesso, in violazione della normativa cogente, nelle attività di U.N.C.I. e di Promocoop s.p.a., in relazione agli scopi e agli obiettivi legali e statutari ai quali le attività medesime devono deve essere conformate e finalizzate, e ad assumere conseguenti provvedimenti. (4-15368)

      Risposta. — In data 16 febbraio 2012 la competente direzione generale per le piccole e medie imprese e gli enti cooperativi ha disposto una verifica ispettiva nei confronti della società «Fondo per la promozione e lo sviluppo della cooperazione – Promocoop» (Promocoop) con sede in Roma, a seguito di un esposto sulle attività dell'ente stesso proposto dal presidente dell'Unci, professor Paolo Galligioni.
      In data 1o marzo 2012 sono stati effettuati presso la sede sociale della Promocoop i primi accertamenti documentali d'ufficio da parte degli ispettori incaricati dal Ministero.
      Esaminate le scritture relative all'anno 2011, nella relazione sono state evidenziate le ingenti spese sostenute per il pesante contenzioso che vede contrapposti Unci e Promocoop a seguito delle liti in essere tra le parti. Nella stessa relazione si evince che le somme derivanti dai contributi delle cooperative, le cui finalità sono quelle sia di promozione e finanziamento di nuove imprese, sia di iniziative di sviluppo della cooperazione, sono risultate deviate a scopi del tutto estranei.
      Gli ispettori hanno rilevato anche oneri, ancorché di scarso rilievo, sostenuti per attività di apertura, forzatura e ripristino di serrature e porte della sede sociale dell'Unci, Roma via San Sotero.
      Rilevanti spese, infine, sono state sostenute per l'organizzazione, da parte del presidente D'Ulizia, di una convention tenutasi nel febbraio 2011. In merito a tale convegno, il professor Galligioni ha fatto presente che sia lui sia parte delle organizzazioni coinvolte non ne ravvisavano alcuna utilità.
      Gli ispettori hanno concluso l'ispezione della società Promocoop Spa e formalizzato la relazione, consegnando come per legge la copia al legale rappresentante in data 8 maggio 2012.
      In conclusione gli ispettori hanno ritenuto che la società, anche a causa del contenzioso in essere che, oltre ad avere risvolti negativi nei rapporti tra Unci e Promocoop, sta compromettendo importanti risorse, non è in grado di portare avanti il regolare svolgimento delle attività di cui all'oggetto sociale, con conseguente necessità di disporre il rinnovo del consiglio di amministrazione della Promocoop.
      Il nuovo consiglio di amministrazione dovrà provvedere a chiudere, in seguito ad accordi e reciproche concessioni con l'Unci, il copioso contenzioso in essere e a concentrare le proprie risorse economiche e produttive nella direzione del raggiungimento degli scopi societari.
      A seguito della consegna della relazione, la suddetta direzione generale ha disposto l'invio di una diffida al legale rappresentante della Promocoop, affinché proceda al più presto a convocare l'assemblea per il rinnovo dell'organo amministrativo.
Il Ministro dello sviluppo economico: Corrado Passera.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 13, commi 7 e 8 della legge 23 marzo 1983, n.  78 dispone che «Al personale militare dell'Aeronautica, dell'Esercito e della Marina, in caso di collaudo in volo di aeromobili di produzione o che abbiano subito grandi riparazioni, revisioni generali o lavori di trasformazione quando il collaudo non sia stato effettuato dalla stessa ditta o ente che ha eseguito i lavori, è corrisposto un compenso, per ogni collaudo, cumulabile con le indennità previste dalla presente legge, in misura pari al 12 per cento della misura mensile dell'indennità d'impiego operativo stabilita per la fascia I di cui all'annessa tabella I, escluse le maggiorazioni indicate alle note a) e b) della tabella stessa. Il compenso di cui al comma precedente non può superare mensilmente, per ciascun dipendente militare, la somma corrispondente a tre collaudi»;
          la direttiva CL-111 ed. 11 ottobre 2005 regolamenta i «Voli di controllo militare, di collaudo e prove sugli aeromobili dell'Aeronautica Militare»;
          la norma tecnica Aer n.  30 della Marina militare del 15 giugno 1995 regolamenta i «Voli collaudo e voli prova»;
          le definizioni di «volo di collaudo» e «volo prova» vengono disciplinate in modo differente tra la Marina militare e l'Aeronautica militare;
          per effetto delle disposizioni emanate, a parità di collaudo in volo di aeromobili, al personale della Marina militare la previsione di cui all'articolo 13, commi 7 e 8, citata è applicata in modo differente rispetto al personale dell'Aeronautica militare  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto in premessa e quali iniziative intenda assumere affinché le citate disposizioni siano armonizzate/unificate al fine di evitare l'insorgenza di situazioni di disparità di trattamento nei confronti del personale della Marina militare;
          quale sia il numero degli ufficiali, dei sottufficiali, dei graduati e militari di truppa dell'esercito della Marina militare e dell'Aeronautica militare che abbiano preso parte a operazioni di collaudo e quale sia stata l'effettiva spesa per ogni singola forza armata per il pagamento del previsto emolumento. (4-10915)

      Risposta. — In relazione alle presunte differenti disposizioni applicative, emanate dalla Marina e dall'Aeronautica Militare ai fini della corresponsione del previsto compenso per collaudo (ex articolo 13, commi 7 e 8 della legge 23 marzo 1983, n.  78), che, a detta dell'interrogante, darebbero luogo ad una disparità di trattamento nei confronti del personale della Marina militare, è opportuno evidenziare che, nell'ambito di un'apposita riunione interforze tenutasi nel 2005, le predette disposizioni sono state giudicate omogenee.
      Nel merito, peraltro, il competente organo tecnico-operativo militare della Marina militare ha fatto rilevare che la richiamata norma tecnica, attualmente in vigore, in attuazione del predetto dettato normativo di riferimento, ne recepisce i contenuti, indicando analiticamente le tipologie di lavorazioni sugli aeromobili al termine delle quali si rende necessaria l'effettuazione di un volo di «collaudo».
      Ciò premesso, per quanto riguarda l'entità del personale delle tre Forze armate che ha preso parte a operazioni di collaudo e l'effettiva spesa sostenuta da ogni singola Forza armata per il pagamento del previsto emolumento nell'anno 2010 si evidenziano, di seguito, i dati di riscontro indicati dai rispettivi organi tecnico-operativi militari:
          Esercito Italiano: 99 ufficiali e 281 sottufficiali per una spesa complessiva di 33.120,12 euro;
          Marina Militare: 24 ufficiali e 51 sottufficiali, per un onere complessivo pari a circa 4.702,70 euro;
          Aeronautica Militare: 138 ufficiali e 149 sottufficiali, per un importo complessivo di 42.367,63 euro.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il 10 maggio 2011 una nota dell'agenzia Ansa ha diffuso la seguente dichiarazione del Ministro interrogato «[...] Posso però confermare la massima disponibilità della Difesa a collaborare con la magistratura che sta indagando su Quirra. Abbiamo fornito ogni documentazione per contribuire ad accertare la verità. Ricordo anche che negli ultimi giorni del suo mandato il mio predecessore, Arturo Parisi, aveva avviato una commissione mista per verificare la situazione nel poligono di Quirra, che sta completando il suo percorso. Aspetto gli esiti con grande attenzione in quanto attendibili». Il Ministro ha poi confermato che è stato assegnato un incarico a esperti per valutare eventuali rischi per la salute nel poligono di Quirra: «Ma posso anticipare che al momento non c’è alcun nesso di causalità tra uranio impoverito e problemi alla salute. Non c’è alcun elemento, perlomeno in mio possesso [...]»;
          lo stesso giorno, sempre l'Ansa diffondeva la notizia secondo la quale «Anche i Paesi dell'Est Europa che facevano parte del Patto di Varsavia, durante la Guerra Fredda, hanno effettuato esercitazioni e fatto brillare materiale bellico nel Poligono sperimentale interforze di Perdasdefogu-Salto di Quirra. Sono gli ultimi particolari emersi dall'inchiesta della Procura della Repubblica di Lanusei [...] è emerso appunto che i Paesi dell'Est Europa hanno effettuato esercitazioni in Sardegna, con il sospetto di utilizzo di materiale con uranio impoverito. Gli stessi eserciti – secondo i riscontri degli inquirenti – hanno poi abbandonato i residui bellici nel Poligono ogliastrino, incrementando così le “discariche” presenti nella zona e già oggetto di sequestri da parte della Procura di Lanusei [...]»  –:
          se le notizie riportate dall'Ansa corrispondano al vero e, in tale caso, quali siano stati gli eserciti che hanno svolto le loro attività nei poligoni interessati dalle indagini della procura di Lanusei, in quali anni, quali siano state le attività svolte, quali siano gli ordigni utilizzati e/o fatti esplodere, se siano state effettuate attività di bonifica e, in caso contrario, quali siano state le ragioni per le quali il comando militare da cui dipendono i poligoni in premessa abbia consentito che i residui bellici fossero smaltiti in loco tramite interramento e occultamento. (4-12055)

      Risposta. — In relazione alla notizia diffusa, il 10 maggio 2011, dall'agenzia Ansa, secondo la quale «Paesi dell'Est Europa che facevano parte del Patto di Varsavia, durante la Guerra Fredda, hanno effettuata esercitazioni e fatto brillare materiale bellico nel Poligono sperimentale interforze di Perdasdefogu-Salto di Quirra», si fa presente che tutti gli atti relativi alle esercitazioni tenutesi presso il poligono del Salto di Quirra sono già stati resi disponibili alla procura di Lanusei nell'ambito del procedimento penale n.  372 del 2011.
      Per completezza di informazione si rappresenta che dalla documentazione in possesso del poligono, risulta che nel 2008 personale delle Forze armate della Repubblica Ceca (55 unità) e della Slovenia (15 unità) hanno partecipato all'esercitazione «Trial Imperial Hammer», svolgendo solo attività addestrativa senza utilizzo di munizionamento.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il poligono di addestramento interforze del Salto di Quirra (PISQ), costituito nel 1956, comprende la base e il poligono «a terra» di Perdasdefogu (Nuoro) e il distaccamento Aeronautica militare di Capo S. Lorenzo con il dipendente poligono «a mare». Opera con personale proveniente per il 50 per cento dall'Aeronautica militare, il 35 per cento dall'Esercito e il 15 per cento dalla Marina, e assicura l'esecuzione di prove sperimentali di missili e bersagli, prove di qualifica per nuovi sistemi d'arma, il collaudo e la verifica della qualità di produzione di serie degli armamenti, svolge inoltre attività addestrative di unità nazionali ed estere e collabora con enti scientifici non solo italiani. Il poligono dispone di una sofisticata rete di rilevamento dati, costituita da una catena di inseguimento radar e da sistemi di rilevamento ottici e telemetrici. Dipende dalla 1° divisione del comando logistico dell'Aeronautica militare sul cui portale è riportato un collegamento, non funzionante, verso il sito dell'EDMS – sistema informativo per il monitoraggio ambientale del PISQ;
          il progetto EDMS (Environmental data management system) è un progetto che prevede la realizzazione di un sistema informativo ambientale per la raccolta, stoccaggio e pubblicazione dei dati provenienti dal monitoraggio ambientale in corso nella provincia dell'Ogliastra (Sardegna). Il monitoraggio, comprensivo di sistema informativo, è stato commissionato dall'Aeronautica militare per effettuare una valutazione dell'impatto delle attività militari svolte all'interno del PISQ (poligono interforze di Salto di Quirra) sull'ambiente e la salute pubblica. Il portale EDMS doveva essere pubblicato sul sito dell'Aeronautica militare a partire dal dicembre 2010, ma ad oggi non è ancora possibile effettuarne la consultazione;
          un articolo di stampa pubblicato sull'edizione del 14 giugno 2011 de La Nuova Sardegna, dal titolo «Quirra, se ci sono veleni si chiude» riporta alcune dichiarazioni del sottosegretario di Stato Giuseppe Cossiga che sulla questione avrebbe affermato: «[...] dispiace che qualcuno continui a dire che il ministero della Difesa, o le Forze armate, vogliono nascondere i dati. O, peggio ancora, negare l'evidenza. [...] A me attualmente non risulta che nel poligono ci sia inquinamento. [...] Perché la salute dei cittadini e dei militari è una priorità assoluta per noi. Come lo è per le Forze armate. Se quindi dovesse emergere un pericolo serio e documentato per la salute il Poligono di Quirra sarà chiuso.»;
          con gli atti di sindacato ispettivo numeri 4-12055, 4-12056 e 4-12058 gli interroganti hanno fornito una dettagliata descrizione dei fatti riguardanti i poligoni di Quirra e Capo San Lorenzo. In particolare nell'interrogazione a risposta scritta n.  4-12058 si legge che «il 20 maggio una nota dell'AGI diffondeva la notizia “Poligono Quirra: monitoraggio difesa rileva forte inquinamento [...]«»;
          da fonti di stampa e dal sito web Tiscali si è appreso che nel mese di marzo 2011 «gli investigatori della squadra mobile nuorese hanno sequestrato documenti nella sede del Centro interforze studi applicazioni militari (Cisam) a Pisa. Sono stati acquisiti gli studi ambientali effettuati dal Cisam nel poligono di Perdas-Salto di Quirra (Pisq), le schede dei materiali radioattivi trattati dall'ente nel corso degli anni, e altro materiale ritenuto utile ai fini dell'indagine»;
          le dichiarazioni del Sottosegretario riportate nell'articolo pubblicato da L'Unione Sarda appaiono in linea con quelle rilasciate nelle scorse settimane dal Ministro interrogato, e quindi con lo schema di comunicazione istituzionale reso noto nei giorni scorsi con un articolo a firma di Paolo Salvatore Orrù dal titolo «Poligoni militari sardi, un manuale di controinformazione dello Stato Maggiore per rendere credibili le istituzioni» pubblicato sul portale web Tiscali notizie;
          sono note le dichiarazioni rese da numerosi esponenti di Governo in merito alla tutela della salute pubblica e le forti preoccupazioni espresse dalle popolazioni civili che vivono nelle zone interessate dalle attività dei poligoni citati e dai risultati delle indagini fino ad ora condotte da esperti e inquirenti  –:
          se presso gli uffici della 1° divisione del comando logistico dell'Aeronautica militare sia conservato o sia esistente un registro, ovvero la documentazione, delle annotazioni delle attività militari e industriali che sono state svolte o che vengono svolte nei poligoni di cui in premessa;
          quali siano i controlli, e di quale tipo, che vengono effettuati sui poligoni, sul personale militare e civile della Difesa, con quale frequenza e quando siano stati effettuati gli ultimi;
          quali siano i dati raccolti con il progetto EDMS e quando saranno resi pubblici;
          se il Ministro non ritenga di dover disporre l'immediata chiusura dei poligoni di Quirra, Capo San Lorenzo e Capo Teulada. (4-12343)

      Risposta. — In merito alle attività svoltesi presso il poligono interforze del Salto di Quirra (pisq), i relativi atti sono stati tutti acquisiti dalla Procura di Lanusei nell'ambito dell'indagine dell'autorità giudiziaria sul poligono, tuttora in corso.
      In relazione, invece, agli ulteriori quesiti posti dall'interrogante, si rappresenta, per quanto riguarda i controlli presso il poligono, che:
          nell'anno 2002 sono state eseguite delle letture d'irraggiamento ed effettuati alcuni prelievi per verificare la presenza di uranio impoverito; è stata eseguita un'indagine da parte della procura militare presso il tribunale militare di Cagliari;
          è stato svolto, per conto della Difesa, uno studio da parte del professor Riccobono, ricercatore dell'università di Siena, che ha eseguito un indagine per stabilire lo stato dell'ambiente nella zona del poligono; l'ateneo senese ha reso disponibili i risultati dello studio svolto relativo ad oltre 1500 campioni e a circa 25.000 determinazioni analitiche da cui, a conferma di quanto reso noto a suo tempo dal presidio multizonale della Asl, 8 di Cagliari, si evince che all'interno dell'area del poligono non è individuabile alcuna traccia di uranio che abbia un'origine diversa da quella naturale e con il riscontro di valori anomali di metalli pesanti di accertata origine naturale;
          è stata condotta un'attività di monitoraggio ambientale negli anni 2008-2010, conclusasi con la «relazione conclusiva» del Comitato misto territoriale per l'indirizzo, l'organizzazione, la verifica e il confronto delle attività del monitoraggio ambientale condotto nelle aree del Pisq;
          è stato svolto uno studio sul territorio e sulla radioattività naturale, a cura dell'Università di Urbino, ultimato nel 2007;
          in applicazione a quanto disposto dal disciplinare di tutela ambientale del 2008, già applicato in via sperimentale dal 2006, si provvede ad effettuare una verifica visiva dell'area in uso agli utenti, prima e dopo le attività, con le eventuali azioni sugli stessi ai fini della bonifica operativa e del ripristino ambientale;
          è stata effettuata una verifica – nei limiti delle professionalità disponibili presso il pisq in ambito della sicurezza del lavoro e ambientale – delle schede di sicurezza dei materiali impiegati e delle schede di sicurezza ambientale.

      Tutto il personale (civile e militare) in servizio presso il Poligono è sottoposto a:
          sorveglianza sanitaria prevista dal decreto-legge n.  81 del 2008 che prevede accertamenti sanitari mediante analisi di laboratorio e visite specialistiche volte a verificare l'idoneità allo svolgimento dell'incarico assegnato;
          il personale militare viene, inoltre, sottoposto a visite periodiche annuali al fine di verificarne l'idoneità al servizio militare.

      Per quanto concerne, poi, il progetto Emission and dispersion modeling (Edms), tale sistema informativo ambientale è stato richiesto nell'ambito delle attività del monitoraggio ambientale, con lo scopo di rendere disponibile una idonea piattaforma informativa sia delle attività del monitoraggio che delle future attività di analisi e di campionamento che sarà possibile effettuare con le stazioni e i dispositivi acquisiti nei lotti di indagine. Il sistema informativo non è ancora entrato in funzione, ma i dati raccolti sono stati, comunque, forniti senza restrizioni a tutti i componenti del Comitato di indirizzo territoriale: rappresentanti della regione Sardegna, delle province di Cagliari e di Ogliastra, dei comuni di Perdasdefogu, Escalaplano, Villaputzu, Muravera, Villagrande, Strisaili, Ulassai, Arzana, Tertenia, delle Asl 4 e 8, dell'Arpa Sardegna, del comitato gettiamo le basi.
      Vorrei concludere sottolineando che l'importanza capitale che rivestono i poligoni per l'addestramento e il mantenimento dell'operatività dello strumento militare non rende possibile porre in atto quanto richiesto dall'interrogante, fermo restando, tuttavia, che la Difesa procederà, in piena coerenza con l'approvazione del progetto di revisione dello strumento militare, alla razionalizzazione dei poligoni sul territorio.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          la legge 23 marzo 1983, n.  78, disciplina le indennità delle Forze armate in relazione al peculiare tipo di rischio, disagio e responsabilità;
          l'articolo 10, comma 4, della legge 23 marzo 1983, n.  78 prevede che: «Agli ufficiali e ai sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica imbarcati su navi in armamento e in allestimento è corrisposta nei giorni di navigazione, purché di durata non inferiore a 8 ore continuative, l'indennità supplementare di fuori sede nella misura mensile del 180 per cento dell'indennità di impiego operativo stabilita in relazione al grado e all'anzianità di servizio militare dall'annessa tabella I escluse le maggiorazioni indicate alle note a) e b) della predetta tabella. Tale indennità è corrisposta altresì nei giorni di sosta quando la nave si trova fuori dalla sede di assegnazione, per un massimo di 60 giorni consecutivi a decorrere dall'ultima navigazione effettuata»;
          l'articolo 9, comma 14, del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2009, n.  52, a seguito delle procedure di concertazione, ha disposto che «a decorrere dall'entrata in vigore del presente decreto, il limite dei 60 giorni previsto dall'articolo n.  10, comma 4, ultimo capoverso della legge 23 marzo 1983, n.  78, non si applica»;
          il contenuto della risposta fornita dal Ministro interrogato all'interrogazione a risposta scritta 4-11488, evidenzia un'interpretazione sistematica in contrasto con la ratio della legge che è quella di garantire l'indennità supplementare non solo per il disagio dovuto alla navigazione superiore alle 8 ore, ma anche per il disagio dovuto alla sosta fuori dalla sede di assegnazione dell'unità navale senza soluzione di continuità tra i due disagi richiamati. Il legislatore non a caso ha usato la dizione «è corrisposta altresì (...)» e non ad esempio la dizione «continua altresì (...)»  –:
          se il Ministro non ritenga di dover riesaminare l'interpretazione adottata affinché agli equipaggi navali sia corrisposta l'indennità supplementare connessa alle condizioni di rischio, disagio e responsabilità come disposto dal legislatore.
(4-13085)

      Risposta. — Nel prendere atto di quanto evidenziato dall'interrogante, si ribadisce quanto già sostenuto in risposta all'interrogazione n.  4-11488, citata nell'interrogazione in esame.
      In particolare, si conferma che l'indennità di fuori sede viene corrisposta sulla base di un costante orientamento interpretativo della normativa di riferimento (articolo 10, comma 4, della legge n.  78 del 23 marzo 1983), che porta a individuare nell'emolumento in questione un compenso volto a remunerare il personale per il disagio correlato ad una attività operativa di lunga durata iniziata con una navigazione superiore alle otto ore e che si sviluppa anche in periodi di sosta in porto fuori dalla sede di assegnazione.
      In proposito, è proprio la durata della navigazione che, comportando una situazione di maggiore disagio, legittima la corresponsione della precitata indennità al personale imbarcato, già percettore dell'indennità d'imbarco.
      Si ritiene, tuttavia, che le considerazioni espresse nell'atto in argomento siano meritevoli di approfondimento.
      A tal riguardo, poiché sono effettivamente emerse, in talune circostanze, criticità applicative, si ritiene che la problematica possa trovare la giusta definizione in occasione della prossima concertazione che rappresenta la sede ideale per pervenire a scelte che siano il più possibile condivise e partecipate.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          la pubblicazione SMD-G-011 edizione 1992, e successive modificazioni, all'articolo 20 prevede i criteri di impiego del personale nei servizi armati e non armati;
          i limiti di età previsti per i servizi armati sono differenti tra l'Esercito, la Marina e l'Aeronautica a differenza di quelli per i servizi non armati che sono univocamente stabiliti in 50 anni;
          l'Esercito con messaggio telegrafico protocollo n.  64222 COD. ID. 163 REG. IND. CL. 1.6/3 del 7 dicembre 2011 ha disposto che il limite di età per i servizi armati è di 40 anni;
          la Marina e l'Aeronautica rispettivamente con dp. protocollo nr. 80011818/H/2/I del 16 febbraio 2011 e con dp. protocollo n.  SMA 111/G1-1 (data illeggibile) hanno disposto che il limite di età per i servizi armati è di 50 anni  –:
          se il Ministro sia a conoscenza del diverso trattamento e quali immediate iniziative intenda assumere per rendere omogenea la disciplina di cui in premessa. (4-14408)

      Risposta. — I criteri d'impiego del personale nei servizi armati, come peraltro individuato dall'interrogante, discendono, in particolare, dalla richiamata pubblicazione SMD-G-011 «Norme per la vita ed il servizio interno nelle installazioni militari».
      In relazione alla questione sollevata con l'atto in esame, se da un lato è previsto che «nel comandare i servizi» deve essere osservato, tra l'altro, il criterio dell’«esenzione dai servizi armati degli Ufficiali e Sottufficiali che abbiano compiuto il 50o anno di età (articolo 20), dall'altro, allo stesso tempo, viene stabilito che le norme contenute nella pubblicazione in parola «possono essere integrate da ciascuna Forza Armata/Corpo Armato in relazione alle loro specifiche peculiarità» (articolo 1).
      Infatti, ad integrazione di quanto stabilito da tale regolamentazione interforze, sono intervenute le ulteriori disposizioni emanate rispettivamente dalle Forze armate che prevedono, quale limite di età per lo svolgimento dei servizi armati, il compimento del 40o anno per il personale dell'Esercito e del 50o anno per i militari della Marina Militare e dell'Aeronautica militare.
      Per l'Arma dei carabinieri, invece, i limiti di età, non figurano tra i motivi d'esonero.
      Dunque, allo stato, pur sussistendo una differenza dei limiti in questione nell'ambito dei rispettivi regolamenti di Forza armata, essa, tuttavia, trova piena legittimazione nella citata previsione della regolamentazione interforze (articolo 1 della SMD-G-011), la cui ratio è quella di poter consentire ad ogni singola Forza armata di soddisfare quelle che sono evidentemente le diverse esigenze, in relazione alle rispettive specifiche peculiarità.
      Pertanto, essendo le normative pienamente rispondenti alle esigenze operative ed in linea con i criteri di impiego del personale non si ritiene necessario assumere iniziative di modifica al riguardo.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          nel corso della missione militare in Afghanistan sono deceduti a causa di incidenti stradali occorsi al mezzo su cui stavano svolgendo il loro servizio:
              il 3 ottobre 2004 nel distretto di Surobi, il caporal maggiore Giovanni Bruno;
              il 20 settembre, Kabul, il caporal maggiore Giuseppe Orlando;
              il 15 ottobre 2009, tra Herat e Shindand, il caporal maggiore Rosario Ponziano;
              il 3 settembre 2011, nei pressi di Herat, il tenente Riccardo Bucci, il caporal maggiore Mario Frasca, il caporal maggiore Massimo Di Legge;
              il 20 febbraio 2012, nei pressi di Shindand, il caporal maggiore capo Francesco Currò, il primo caporal maggiore Francesco Paolo Messineo, il primo caporal maggiore Luca Valente;
          da fonti di stampa si apprende che sono numerosi gli incidenti e i casi di ribaltamento del mezzo Lince, avvenuti anche sul territorio nazionale  –:
          se il Ministro interrogato non ritenga di dover disporre una verifica delle condizioni di stabilità del mezzo Lince e sospenderne l'impiego nei teatri operativi. (4-15032)

      Risposta. — A premessa ribadisco, ancora una volta, che l'amministrazione della Difesa, in continuità con i precedenti Governi, attribuisce assoluta priorità alla sicurezza del personale militare, in particolare di quello impegnato nelle missioni internazionali, mediante la disponibilità di equipaggiamenti, dotazioni, mezzi e sistemi, nonché di procedure operative, in grado di garantire la massima protezione possibile, compatibilmente con lo stato dell'arte.
      In tale ottica, quindi, posso garantire che la Difesa prosegue la propria azione ai fini della costante verifica della rispondenza alle esigenze operative e dell'eventuale tempestivo aggiornamento dei mezzi e degli equipaggiamenti impiegati, mediante lo studio e la realizzazione delle soluzioni tecniche più avanzate per tutelare al meglio la sicurezza del personale, contribuendo alla prevenzione e al contrasto delle minacce attualmente esistenti e di quelle ragionevolmente prevedibili.
      Allo stesso tempo, faccio osservare che i competenti organi tecnico-operativi militari non ritengono, al momento, che sussistano elementi di valutazione tecnica/operativa tali da indurre alla sospensione del servizio dei citati mezzi, considerati di indispensabile validità per la protezione fisica da minacce derivanti da attacchi con tiro diretto e con uso di ordigni esplosivi improvvisati (cosiddetto ied – improvised explosive device).
      Rammento, infatti, che, attualmente, nell'ambito delle capacità produttive industriali a livello mondiale non è disponibile un'alternativa più valida in grado di garantire almeno lo stesso livello di protezione del «Lince», che, peraltro, viene utilizzato anche da altre sette Nazioni.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il consiglio di base di rappresentanza della legione carabinieri «Friuli Venezia Giulia», con la delibera n.  130, allegata al verbale n.  121 del 21 marzo 2012 ha approvato, all'unanimità un comunicato in cui si legge «a tutti i colleghi di ogni ordine e grado per far conoscere lo sdegno nei confronti di chi, abusando della propria posizione, si permette di parlare in nome e per conto dei Carabinieri (di cui non conosce neanche il pensiero) di questioni che per altri “poveri mortali” sono state causa di guai personali. VERGOGNA ! Questo organismo, unico ad avere formalmente sondato il personale per individuarne le aspettative e farsene democratico portavoce, dice NO a chi la “spara grossa” (per chissà quali fini personali), e stigmatizza la ormai conclamata delegittimazione di una rappresentanza che a livello centrale non è neanche in grado di “suonare la stessa musica”... figurarsi se è credibilmente in grado di perseguire fini che non siano quelli individuali di ogni delegato che parla solo per se stesso e si permette pure di chiedere la smilitarizzazione. Urge una riforma che spazzi via le scorie di un vecchio sistema più simile a un regime clientelare consolidatosi di proroga in proroga che non a una Rappresentanza che si possa definire tale: BASTA con i sepolcri imbiancati ! Invitiamo l'Autorità a cui il Co.Ce.R. è affiancato a farci visita nuovamente, questa volta non per sincerarsi se in Friuli ci sentiamo “Carabinieri” e per non ammettere il nostro dissenso, ma per dirci se ha guardato negli occhi quella gente da Lui tanto elogiata dicendogli che chi è contro la militarità e il suo pensiero è fuori dalla famiglia (...) o forse anche Lui non la pensa più così ? E allora ditelo ! ! ! RITENIAMO ancora una volta di appartenere alla parte sana dell'Arma (che rischia di apparire ingiustamente, per colpa di alcuni, una nave da crociera alla deriva con i fumaioli gialli) e rivendichiamo con forza la necessità di dotare la Rappresentanza di rinnovati strumenti per tutelare chi ancora ci crede, che si chiamino SINDACATO o in qualsiasi altro modo, ma nel rispetto soprattutto dei rappresentati e della nostra identità istituzionale.»;
          la delibera del Consiglio di base è chiaramente rivolta contro le recenti dichiarazioni che il Cocer dei carabinieri ha voluto diffondere in merito alla smilitarizzazione dell'Arma;
          i recenti comunicati stampa del Cocer dei carabinieri hanno evidenziato ancora una volta il travalicamento delle competenze proprie dell'istituto assumendo quindi il carattere di un pericoloso atto di arroganza di fronte al quale secondo gli interroganti né il Ministro interrogato né i vertici dell'Arma dei carabinieri hanno saputo reagire con decisione per tutelare il diritto e i diritti di più di 100.000 carabinieri di essere rappresentati in modo credibile e concreto e non invece da delegati che sembrano essere sempre più avvezzi all'interesse personale, come ampiamente illustrato nelle decine di interrogazioni che attendono ancora risposte;
          la richiesta di «smilitarizzazione» dell'Arma dei carabinieri non può essere l'oggetto di una contrattazione «al ribasso» come vorrebbe il Cocer dei carabinieri per ottenere una nuova proroga del proprio mandato. Quello stesso Cocer che in virtù di una legge – e non di una scelta – rappresenta agli occhi del cittadino comune i carabinieri e quindi l'intera Istituzione;
          invero la smilitarizzazione dell'Arma, così come quella del Corpo della guardia di finanza, è una questione seria e di estrema importanza che trova i suoi fondamenti in ragioni ben più ampie e concrete che fanno tornare attuale l'appello che il 7 gennaio 1991 il leader radicale Marco Pannella lanciò ai gruppi democratici per la presentazione di un progetto di legge per la smilitarizzazione e la professionalizzazione dei carabinieri e dei finanzieri, sia per il funzionamento dello Stato, sia per salvare i componenti delle due Armi dal duplice assalto della criminalità mafiosa e di quella «politico-militarista». Quell'appello, che da poco ha compiuto i suoi venti anni, sembra essere quanto mai attuale: «(...) Tenere legati non alla deontologia ed alla capacità professionale di tutori dell'ordine e degli interessi dello Stato e dei cittadini carabinieri e finanzieri, ma costringerli istituzionalmente all'obbedienza militare, contro o al di fuori dell'obbedienza alla giustizia ed alle leggi, premiare i peggiori e colpire i migliori, attrezzarle come esercito, e non come polizia e come amministrazione, è quanto si ottiene e si vuole ottenere rifiutando questa Riforma (...)»
          anche il comportamento del Cocer dei carabinieri, così come evidenziato anche dal Consiglio di base della legione carabinieri «Friuli Venezia Giulia», può essere interpretato come un sintomo di quanto occorra intervenire perché carabinieri non si trovino a dover combattere sotto il duplice attacco della malavita e dell'aberrante sistema istituzionale nel quale sono costretti, e da vittime, ad operare;
          non è la prima volta che gli interroganti offrono all'attenzione del Governo le dure critiche che gli organismi di base e intermedi della rappresentanza militare hanno rivolto nei confronti del Cocer dei carabinieri. Eppure sembra agli interroganti che il grido di sofferenza che si è chiaramente potuto leggere nelle accorate delibere oggetto di altre interrogazioni sia indifferente alle Istituzioni che null'altro hanno saputo fare che imporre al personale dell'Arma dei carabinieri (come del resto a quello delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza) l'onta di dover essere rappresentati da militari al centro di indagini penali e finanche da chi è già stato condannato per aver usato violenza nei confronti di un inferiore di grado;
          in occasione della recente discussione per la conversione in legge del decreto-legge cosiddetto milleproroghe il Governo ha accolto l'ordine del giorno 9/4865-B/5 impegnandosi «a ritenere la data del 15 luglio 2012 il termine perentorio entro il quale devono concludersi i procedimenti di rinnovo dei Consigli della rappresentanza militare» nonché «a dare completa attuazione all'articolo 4, comma 98, della legge 12 novembre 2011, n.  183»  –:
          quali immediati provvedimenti intenda assumere nei confronti dei delegati del Cocer dei carabinieri al fine di tutelare concretamente il personale dell'Arma per difenderlo da un sistema che, come risulta da quanto dichiarato dal consiglio di base di rappresentanza della legione carabinieri Friuli Venezia Giulia appare «più simile a un regime clientelare consolidatosi di proroga in proroga che non a una Rappresentanza che si possa definire tale»;
          alla luce dei fatti narrati nei molteplici e analoghi atti di sindacato ispettivo che attendono parimenti adeguate risposte quali siano le ragioni di quello che ad avviso degli interroganti appare un elevato livello di tolleranza nei confronti dei comportamenti e delle dichiarazioni dei delegati del Cocer dei carabinieri. (4-15473)

      Risposta. — Il comunicato stampa del Cocer/Carabinieri, richiamato dall'interrogante, non era inteso dall'organismo di rappresentanza quale atto di «arroganza», ma come elemento di dialettica per, segnalare con forza le esigenze del personale.
      In tale ottica, si specifica ulteriormente che lo stesso non era volto esclusivamente a richiedere la smilitarizzazione dell'Arma, bensì, più in generale a richiamare l'attenzione sulla necessità di concretizzare il riconoscimento della specificità del personale del comparto difesa-sicurezza (previsto dall'articolo 19 della legge n.  183 del 2010) richiedendo, tra l'altro, l'avvio di un sistema di previdenza integrativa, la possibilità dell'accesso anticipato al trattamento di fine servizio, l'adeguamento dei limiti di età e delle retribuzioni a quelle europee.
      Con riferimento, invece, all'ordine del giorno n.  9/4865-B5, accolto dal Governo, inteso a «dare completa attuazione all'articolo 4, comma 98, della legge 12 novembre 2011 n.  183», si evidenzia che la problematica del trattamento economico di missione per i delegati della rappresentanza militare è argomento da sempre all'attenzione del Dicastero ed e stata posta anche all'esame di un apposito tavolo di lavoro interforze.
      In tale ambito, gli approfondimenti effettuati hanno evidenziato che la diversa distribuzione sul territorio delle diverse componenti della rappresentanza militare genererebbe una diversa applicazione della richiamata normativa tale da comportare, inevitabilmente, un'ingiustificata difformità di trattamento tra delegati.
      Per tale motivo, nonché, in considerazione che le esigenze e le attività dei delegati del Cocer non sono in alcun modo assimilabili a quelle dei frequentatori di corso o di altre categorie di personale militare per i quali vige il sistema dell'aggregazione, si è ritenuto di non far ricorso a tale istituto, ma solo limitatamente ai periodi di missione per gli impegni consiliari nella capitale, esclusivamente per il personale delegato Cocer.
      Tale decisione, peraltro, tiene conto oltre che della tipologia delle attività svolte, anche delle peculiari caratteristiche della città di Roma, ivi compresa la dispersione della diversa disponibilità sul territorio di strutture militari idonee per l'accasermamento che potrebbe ulteriormente ingenerare ingiustificate sperequazioni di trattamento tra delegati della stesso Consiglio.
      Tale trattamento, che prima facie può apparire differenziato rispetto a quello che disciplina il restante personale, ivi compreso quello dei consigli di base ed intermedi di rappresentanza, in realtà si rende necessario anche in ragione delle particolari caratteristiche degli impegni e dei rapporti dei delegati centrali con i diversi organismi dello Stato (a mero titolo di esempio quello con le Commissioni parlamentari) e per le peculiari attività istituzionali del consiglio centrale stesso che, per loro natura, sono intense, continuative e protratte nel tempo.
      In coerenza con quanto sopra esposta, si assicura che qualora il personale della rappresentanza centrale sia inviato in missione per riunioni in località nazionali diverse da Roma, e sempreché vi sia la disponibilità di idonee strutture logistiche della Difesa, anche per i delegati Cocer, al pari di tutto il rimanente personale della Difesa, si farà ricorso all'istituto dell'aggregazione.
      Infine, in ordine al secondo punto dell'ordine del giorno citato inteso «a ritenere la data del 15 luglio 2012 il termine perentorio entro il quale devono concludersi i procedimenti di rinnovo dei Consigli della rappresentanza militare», si rende noto che gli attuali delegati sono stati regolarmente eletti ed il loro mandato – prorogato in forza di provvedimenti di legge (articolo 2257 del decreto legislativo n.  66 del 2010, articolo 1 del decreto-legge n.  225 del 2010, convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 2011, n.  10, ed articolo 8 del decreto-legge n.  216 del 2011, convertito con modificazioni dalla legge 24 febbraio 2012, n.  14), – è terminato il 30 maggio 2012.
      Per espressa previsione normativa, entro il 15 luglio 2012, si concluderanno i provvedimenti elettorali per il rinnovo dei consigli di rappresentanza.
      Pertanto, in considerazione di quanto sopra esposto, non si ritiene di dover assumere provvedimenti come richiesto dall'interrogante.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          con l'interrogazione 4-11351 presentata nella seduta 451 del 23 marzo 2011 gli interroganti avevano chiesto chiarimenti in merito al trattamento economico accessorio dei dirigenti di 1° fascia in servizio presso il Ministero della difesa;
          la risposta fornita dal Ministro della difesa in carica, del tutto insoddisfacente, si limitava a ribadire la regolarità dell'integrale utilizzazione delle risorse disponibili destinate alla retribuzione di posizione dei dirigenti generali, ancorché sovrastimate. Con la medesima risposta si dava atto della inesistenza di disposizioni idonee a configurare «una sperequata disciplina delle risorse disponibili», senza chiarire i motivi per cui la predetta consistenza organica di 11 unità che determina l'ammontare del fondo, possa comprendere anche l'incarico dirigenziale di livello generale di Capo dell'Ufficio Legislativo del Ministero della Difesa che, seppure ipoteticamente assegnabile anche ad un dirigente civile, di fatto da oltre nove anni è ricoperto da un militare;
          risulta all'interrogante che dall'ottobre 2011, l'ingiustificato vantaggio economico a favore dei predetti dirigenti generali si sia ulteriormente incrementato in quanto gli stessi, nel frattempo ridotti numericamente ad otto, percepirebbero emolumenti ancor più consistenti dovendosi dividere in otto le risorse del fondo che è sempre commisurato alla consistenza teorica di undici unità;
          tale situazione, del tutto censurabile dal punto di vista etico, sembrerebbe configurare anche possibili ipotesi di danni erariali per le eventuali somme non dovute;
          anche in merito all'altra questione evidenziata dal medesimo atto di sindacato ispettivo, ossia quella connessa ai profili di dubbia legittimità e compatibilità della nomina del vice segretario generale della difesa, la risposta del Ministro si limita a precisare che l'avvocato Pierluigi Di Palma «è persona di sicuro affidamento per l'assolvimento dell'incarico»;
          allo stato attuale, oltre al precitato incarico presso il Ministero della difesa, pare che l'Avvocato dello Stato Di Palma svolga molteplici altri incarichi tra i quali spiccano quelli di «Presidente del centro studi Demetra» e di «Consulente giuridico dell'Agenzia Spaziale Italiana»;
          permangono, pertanto, le perplessità evidenziate con la precedente interrogazione 4-11351 sulla legittimità del conferimento dell'incarico di vice segretario generale della difesa al predetto avvocato che, rivestendo un ruolo apicale nell'ambito dell'Amministrazione della difesa, a parere degli interroganti dovrebbe esplicare le proprie funzioni necessariamente in via esclusiva  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei fatti rappresentati in premessa e quali urgenti iniziative il Ministro interrogato intenda assumere rispetto alle citate problematiche;
          se intenda segnalare le questioni alla Corte dei conti affinché siano accertati eventuali danni erariali con connesse responsabilità amministrative. (4-15788)

      Risposta. — Si conferma integralmente quanto espresso nell`interrogazione in esame dall'interrogante e si forniscono le seguenti ulteriori precisazioni.
      Relativamente alle presenze in organico si rende noto che nell'ultimo trimestre dell'anno 2010 sono stati collocati a riposo, per raggiunti limiti di età, cinque dirigenti generali.
      Quattro delle posizioni rimaste vacanti sono state ricoperte alla fine di novembre 2010, conferendo ai sensi dell'articolo 19, comma 4, del decreto legislativo n.  165 del 2001, i rispettivi incarichi a dirigenti di seconda fascia di comprovata esperienza e professionalità in servizio presso l'Amministrazione Difesa.
      L'incarico di Vice segretario generale della difesa è stato conferito, ai sensi del citato articolo 19, comma 3 – con decreto del Presidente della Repubblica previa delibera del Consiglio dei ministri – all'Avvocato dello Stato Pierluigi Di Palma che, per la qualificazione professionale nonché per gli incarichi dirigenziali di livello generale in precedenza ricoperti presso altre pubbliche amministrazioni della Stato, dà sicuro affidamento per l'assolvimento dell'incarico, nell'attuale fase di trasformazione della struttura organizzativa del segretariato generale della difesa.
      Tutti gli incarichi conferiti sorso stati debitamente registrati presso gli organi competenti e tutti gli interessati sono stati retribuiti con riferimento ai ratei di presenza nel corso dell'anno.
      Le vacanze in organico risultano, pertanto, essere limitate ad alcune settimane.
      Inoltre, il decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78, convertito con modificazioni nella legge n.  122 del 30 luglio 2010, ed in particolare l'articolo 9 comma 2-bis, prevede che «a decorrere dal 1o gennaio 2011 l'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio... non può superare il corrispondente importo dell'anno 2010 ed è comunque automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio».
      Conseguentemente, nell'elaborazione del provvedimento che determina il fondo per la retribuzione di posizione e di risultato dell'anno 2011, in osservanza della norma sopra esposta, si è proceduto a ricondurre le risorse all'importo dello scorso anno e, successivamente, ad operare la riduzione determinata nella misura del 10,53 per cento, sulla base del confronto tra il valore dei presenti nell'anno di riferimento rispetto al valore medio relativo all'anno 2010, seguendo le disposizioni impartite dalle circolari n.  12 del 15 aprile 2011 e n.  33 del 28 dicembre 2011, emanate dal Ministero dell'economia e delle finanze – ragioneria generale dello Stato.
      Tutto ciò ha portato ad una riduzione complessiva del trattamento economico dei dirigenti di prima fascia dell'amministrazione Difesa nel corso del 2011.
      Il provvedimento di determinazione del fondo per la retribuzione di posizione e di risultato dell'anno 2011, unitamente alla relazione tecnico-finanziaria ed alla relazione illustrativa redatte ai sensi dell'articolo 40, comma 3-sexies del decreto legislativo 30 marzo 2001. n.  165, sono stati sottoposti alla visione dell'Ufficio centrale del bilancio presso il dicastero che, dopo aver operato il controllo sulla compatibilità economico-finanziaria, sul rispetto dei vincoli di bilancio e dei vincoli derivanti dalle norme di legge e del contratto nazionale, ha apposto la regolare certificazione.
      In disparte, la previsione del comma 2 dell'articolo 9 del citato decreto-legge n.  78 del 2010, che trova regolare applicazione con riduzione effettuata direttamente da parte del Ministero dell'economia e delle finanze.
      Con riferimento, infine alla richiesta dei motivi per i quali la consistenza numerica di undici dirigenti di livello dirigenziale generale, in base alla quale, per legge, è commisurata la consistenza del fondo per la retribuzione di posizione e di risultato, comprenda anche il posto di funzione di capo dell'ufficio legislativo del Ministero della difesa, è appena il caso di rilevare che essi sono da ricercarsi direttamente nel disposto di cui all'articolo 16, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n.  90, recante il testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, a tenore del quale «Il Capo dell'Ufficio legislativo è nominato fra i dirigenti del ruolo dei dirigenti ai sensi dell'articolo 19, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001 n.  165, ovvero, dal Ministro, tra gli ufficiali generali ed ammiragli in servizio permanente delle Forze armate».
      Orbene, la circostanza rilevata dall'interrogante, peraltro espressamente prevista dalla citata norma regolamentare, per la quale da un certo periodo di tempo il posto di funzione di capo dell'ufficio legislativo è ricoperto da un ufficiale generale delle Forze armate con rimarchevole curriculum e specifica pregressa esperienza – che non percepisce alcuno degli emolumenti accessori dei quali si tratta – tecnicamente non vale, né può valere, ad escludere la computabilità del posto di funzione di livello dirigenziale generale civile di capo ufficio legislativo, tanto nell'organico dei dirigenti civili di livello generale del dicastero, recato dall'articolo 965, comma 1, lettera a) del citato decreto del Presidente della Repubblica n.  90 del 2010, quanto, conseguentemente, nella relativa consistenza numerica a cui è parametrato il fondo per la retribuzione di posizione e di risultato.
      Si ribadisce, pertanto, la correttezza dell'operato di questa Amministrazione in quanto pienamente conforme alle vigenti disposizioni in materia.
      In considerazione di quanto sopra esposto, non si ritiene possibile porre in essere quanto richiesto dall'interrogante.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.


      MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          il Governo con la spending review ha deciso di intervenire sulle voci di spesa delle pubbliche amministrazioni, per evitare inefficienze, eliminare sprechi e ottenere risorse da destinare allo sviluppo e alla crescita;
          il 10 maggio 2012 avranno luogo i festeggiamenti per l'anniversario della costituzione delle prime unità dell'Aviazione leggera dell'Esercito avvenuto nel 1951  –:      
          quale sia per il corrente anno l'importo della spesa complessiva destinata ai festeggiamenti di cui in premessa e se per il futuro non ritenga opportuno eliminarla e restituire i fondi stanziati al bilancio dello Stato. (4-15938)

      Risposta. — In via preliminare, faccio osservare che gli oneri di spesa sostenuti per la celebrazione dell'anniversario della costituzione delle prime unità dell'aviazione leggera dell'Esercito, tenutasi a Viterbo il 10 maggio 2012, ammontano, secondo i dati forniti dal competente organo tecnico-operativo militare, a 726 euro per servizi di pulizia, 2.000 euro per attività di benessere a favore del personale della Forza armata e poche centinaia di euro per missioni nel territorio nazionale del personale militare (dato tuttora in corso di elaborazione).
      Tale evento è stato condotto nell'ottica del massimo contenimento della spesa, grazie anche ai seguenti fattori:
          il personale inquadrato appartiene ai reparti di stanza in Viterbo;
          le prove e la cerimonia si sono svolte in giornate lavorative ed in orario di servizio;
          l'atto tattico previsto nel programma dell'evento è stato parte integrante dell'attività di approntamento della Task Force «Fenice» di Isfaf e di elementi del 9o Reggimento Alpini che, per l'occasione, hanno effettuato l'attività presso il sedime aeroportuale di Viterbo, anziché presso il poligono di Monte Romano;
          le tribune utilizzate appartengono all'amministrazione Difesa.
          In tale quadro, non posso che sottolineare il rilevante significato di simili manifestazioni, in relazione sia all'intrinseca valenza etico-simbolica, sia alla validità di comunicazione esterna ed interna delle Forze armate.
      Ciò, in particolare, contribuisce non soltanto a consolidare il legame tra la realtà militare e la comunità locale, ma anche a rinsaldare i valori fondamentali della Forza armata, quale lo spirito di corpo ed il legame con quanti hanno lasciato il servizio.

      Per tali ragioni, fermo restando il perentorio obbligo di un utilizzo delle risorse coerente con il quadro di sempre più ridotte disponibilità finanziarie, non si ravvisano, allo stato, i presupposti per adottare una soluzione nel senso indicato dall'interrogante.
Il Ministro della difesa: Giampaolo Di Paola.