XVI LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Martedì 7 agosto 2012

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 7 agosto 2012.

      Bindi, Boniver, Brugger, Buonfiglio, Buttiglione, Caparini, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Commercio, Consolo, Gianfranco Conte, Dal Lago, De Girolamo, Della Vedova, Donadi, Dozzo, Fallica, Fava, Gregorio Fontana, Franceschini, Guzzanti, Iannaccone, Jannone, Leone, Lombardo, Lucà, Lupi, Mazzocchi, Melchiorre, Migliavacca, Misiti, Moffa, Mosca, Mura, Nucara, Pescante, Pisacane, Pisicchio, Paolo Russo, Stefani, Stucchi, Valducci.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta)

      Bindi, Boniver, Brugger, Buonfiglio, Buttiglione, Caparini, Cicchitto, Cirielli, Colucci, Commercio, Consolo, Gianfranco Conte, Dal Lago, De Girolamo, Della Vedova, Donadi, Dozzo, Fallica, Fava, Gregorio Fontana, Franceschini, Guzzanti, Iannaccone, Jannone, La Loggia, Leone, Lombardo, Lucà, Lupi, Mazzocchi, Melchiorre, Migliavacca, Misiti, Moffa, Mosca, Mura, Nucara, Pescante, Pisacane, Pisicchio, Paolo Russo, Stefani, Stucchi, Valducci.

Annunzio di proposte di legge.

      In data 6 agosto 2012 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
          BINETTI ed altri: «Modifiche alla legge 4 luglio 2005, n.  123, concernenti lo svolgimento di indagini diagnostiche per l'accertamento della celiachia nei bambini di età compresa tra sei e dieci anni» (5404);
          CONSIGLIO e MONTAGNOLI: «Modifica all'articolo 98 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267, in materia di iscrizione degli avvocati e dei commercialisti nell'albo dei segretari comunali e provinciali, nonché soppressione del contributo a carico delle province e dei comuni per la sua gestione» (5405);
          FAVA e MONTAGNOLI: «Disposizioni per favorire il rientro delle attività produttive in Italia» (5406);
          MOGHERINI REBESANI: «Divieto di finanziamento delle imprese che svolgono attività di produzione, commercio, trasporto e deposito di mine antipersona ovvero di munizioni e submunizioni a grappolo» (5407);
          DE POLI ed altri: «Disciplina dell'affido per l'integrazione familiare e sociale delle persone anziane» (5408).

      Saranno stampate e distribuite.

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

      A norma del comma 1 dell'articolo 72 del regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:

      I Commissione (Affari costituzionali):
          BERTOLINI ed altri: «Delega al Governo per l'istituzione delle città metropolitane, la razionalizzazione delle province e il riordino dell'amministrazione periferica dello Stato e degli enti strumentali» (5303) Parere delle Commissioni V, VI, XI e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
          SBROLLINI ed altri: «Adeguamento alla media europea del trattamento economico dei titolari di cariche di rappresentanza politica e di governo nazionali e locali» (5377) Parere delle Commissioni V, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

      VI Commissione (Finanze):
          SCANDROGLIO: «Istituzione di un contributo sul monte premi dei giochi d'azzardo e disposizioni in materia di pubblicità dei medesimi» (5376) Parere delle Commissioni I, V, VII, IX, X, XII e XIV.

      VII Commissione (Cultura):
          MARCHIONI ed altri: «Norme per la valorizzazione del Premio di giornalismo televisivo “Ilaria Alpi”» (5211) Parere delle Commissioni I, V e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
          GRIMOLDI: «Disposizioni per la formazione degli insegnanti della scuola primaria in materia di emergenza sanitaria e di tecniche di primo soccorso» (5364) Parere delle Commissioni I, V, XI, XII (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento) e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

      IX Commissione (Trasporti):
          CONSIGLIO e STUCCHI: «Modifiche all'articolo 8 del decreto legislativo 19 novembre 1997, n.  422, e altre disposizioni per favorire la realizzazione, la gestione e l'esercizio dei sistemi di trasporto tramviario» (5371) Parere delle Commissioni I, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del regolamento), XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

      XI Commissione (Lavoro):
          CAZZOLA ed altri: «Disciplina del rapporto di lavoro tra i membri del Parlamento e i loro collaboratori» (5382) Parere delle Commissioni I, II, V e VI.

      Commissioni riunite II (Giustizia) e XII (Affari sociali):
          BERNARDINI ed altri: «Norme per la legalizzazione della coltivazione e del commercio dei derivati della cannabis indica» (5380) Parere delle Commissioni I, V, VII, IX, X, XIII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Annunzio di una proposta di modificazione al regolamento.

      In data 7 agosto 2012 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di modificazione al regolamento d'iniziativa del deputato:
          BINETTI: «Articolo 12: Previsione del codice etico della Camera dei deputati» (doc. II, n.  23).

      Sarà pubblicata e trasmessa alla Giunta per il regolamento.

Trasmissione dalla Corte dei conti.

      La Corte dei conti – sezione delle autonomie – con lettera in data 1o agosto 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 3, comma 6, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, la delibera n. 11 del 2012, con la quale la sezione stessa ha approvato la relazione di controllo sui rendiconti della gestione finanziaria dell'ex Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali, per l'esercizio finanziario 2011.

      Questa documentazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla V Commissione (Bilancio).

Trasmissione dal ministro degli affari esteri.

      Il ministro degli affari esteri, con lettera in data 27 luglio 2012, ha comunicato, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 6 febbraio 1992, n. 180, concernente la partecipazione dell'Italia alle iniziative di pace e umanitarie in sede internazionale, che intende fornire un contributo all'Arma dei carabinieri, seconda brigata mobile CC, a favore di un progetto per un corso di formazione di unità di «Polizia robusta» somala da condursi ad opera di istruttori dell'Arma presso un centro di formazione a Gibuti.

      Tale comunicazione è trasmessa alla III Commissione (Affari esteri).

Trasmissioni dal ministro dell'economia e delle finanze.

      Il ministro dell'economia e delle finanze, con lettera in data 27 luglio 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 5, comma 1-ter, del decreto-legge 9 ottobre 2008, n. 155, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2008, n. 190, la relazione sull'attuazione degli interventi volti a garantire la stabilità del sistema creditizio e la continuità nell'erogazione del credito alle imprese e ai consumatori, nell'attuale situazione di crisi dei mercati finanziari internazionali, aggiornata al 31 marzo 2012 (doc. CCXXXI, n. 10).

      Tale documentazione è trasmessa alla V Commissione (Bilancio) e alla VI Commissione (Finanze).

      Il ministro dell'economia e delle finanze, con lettera in data 31 luglio 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 21, comma 11, lettere b) ed e), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, le schede illustrative – aggiornate al 30 giugno 2012 – di ogni programma del bilancio di previsione della spesa dell'anno finanziario 2012 e del triennio 2012-2014, nonché dei capitoli recanti i fondi settoriali correlati alle principali politiche pubbliche, con le modifiche apportate agli stanziamenti previsti dalla legge di bilancio, con le variazioni di bilancio definitive.

      Questa documentazione è trasmessa a tutte le Commissioni permanenti.

Trasmissione dal ministro del lavoro e delle politiche sociali.

      Il ministro del lavoro e delle politiche sociali, con lettera in data 1o agosto 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 21, comma 1, della legge 12 marzo 1999, n. 68, la relazione sullo stato di attuazione della medesima legge, recante norme per il diritto al lavoro dei disabili, relativa al biennio 2010-2011 (doc. CLXXVIII, n. 3).

      Questo documento è trasmesso alla XI Commissione (Lavoro).

Trasmissione dal ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione.

      Il ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione, con lettera in data 2 agosto 2012, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 131 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, la relazione sui dati relativi allo stato delle tossicodipendenze in Italia, riferita all'anno 2011 con aggiornamenti al primo semestre 2012 (doc. XXX, n.  5).

      Questo documento è trasmesso alla II Commissione (Giustizia) e alla XII Commissione (Affari sociali).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

      La Commissione europea, in data 6 agosto 2012, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
          Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2003/87/CE volta a chiarire le disposizioni sui tempi delle aste di quote di gas a effetto serra (Testo rilevante ai fini del SEE) (COM(2012)416 final) che è assegnata in sede primaria alla VIII Commissione (Ambiente). Tale proposta è altresì assegnata alla medesima XIV Commissione ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà; il termine di otto settimane per la verifica di conformità, ai sensi del Protocollo sull'applicazione dei princìpi di sussidiarietà e di proporzionalità allegato al Trattato sull'Unione europea, decorre dal 7 agosto 2012;
          Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo - Relazione annuale 2012 sulle politiche dell'Unione europea in materia di sviluppo e assistenza esterna e sulla loro attuazione nel 2011 (COM(2012)444 final) che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri).

Atti di controllo e di indirizzo.

      Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B  al resoconto della seduta odierna.

Annunzio di risposte scritte ad interrogazioni.

      Sono pervenute alla Presidenza dai competenti Ministeri risposte scritte ad interrogazioni. Sono pubblicate nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

DISEGNO DI LEGGE: S. 3396 – CONVERSIONE IN LEGGE, CON MODIFICAZIONI, DEL DECRETO-LEGGE 6 LUGLIO 2012, N. 95, RECANTE DISPOSIZIONI URGENTI PER LA REVISIONE DELLA SPESA PUBBLICA CON INVARIANZA DEI SERVIZI AI CITTADINI (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 5389)

A.C. 5389 – Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

      La Camera,
          premesso che:
              con il bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2009, per quello 2010, per l'anno 2011, 2012 ed anche per l'anno 2013, alla tabella 7 «stato di previsione del Ministero dell'istruzione» il capitolo di bilancio riguardo l'istituzione scolastica non statale aveva una previsione di taglio anche del 47 per cento e, grazie all'azione del Parlamento e del Governo, il fondo è stato reintegrato scongiurando tagli;
              nel bilancio di previsione 2013 al programma 1.9 (Istituzioni scolastiche non statali) è previsto un taglio pari al 50 per cento ovvero pari a 258.000.000;
              la riduzione della spesa pubblica è elemento essenziale del risanamento economico del Paese;
              risulta essenziale scongiurare un aumento della spesa delle famiglie che la riduzione del fondo per le scuole non statali renderebbe certo;
              all'articolo 23, comma 8, del provvedimento in esame vengono previste finalità tra le quali dovrebbe risultare come gli anni precedenti quella relativa al reintegro dei fondi per istituzioni scolastiche non statali,

impegna il Governo

a reintegrare il fondo in bilancio previsionale 2013 «istituzioni scolastiche non statali» garantendo il livello di finanziamento degli anni precedenti.
9/5389/1. Toccafondi, Renato Farina.


      La Camera,
          premesso che:
              con il bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2009, per quello 2010, per l'anno 2011, 2012 ed anche per l'anno 2013, alla tabella 7 «stato di previsione del Ministero dell'istruzione» il capitolo di bilancio riguardo l'istituzione scolastica non statale aveva una previsione di taglio anche del 47 per cento e, grazie all'azione del Parlamento e del Governo, il fondo è stato reintegrato scongiurando tagli;
              nel bilancio di previsione 2013 al programma 1.9 (Istituzioni scolastiche non statali) è previsto un taglio pari al 50 per cento ovvero pari a 258.000.000;
              la riduzione della spesa pubblica è elemento essenziale del risanamento economico del Paese;
              risulta essenziale scongiurare un aumento della spesa delle famiglie che la riduzione del fondo per le scuole non statali renderebbe certo;
              all'articolo 23, comma 8, del provvedimento in esame vengono previste finalità tra le quali dovrebbe risultare come gli anni precedenti quella relativa al reintegro dei fondi per istituzioni scolastiche non statali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, e nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di reintegrare il fondo in bilancio previsionale 2013 «istituzioni scolastiche non statali» garantendo il livello di finanziamento degli anni precedenti.
9/5389/1.    (Testo modificato nel corso della seduta) Toccafondi, Renato Farina.


      La Camera,
          premesso che:
              ai sensi della legge regionale 14 luglio 2011, n.  99, INSIEL S.p.A., la società in-house, strumentale per l'ICT (tecnologie dell'informazione e della comunicazione), della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, svolge tutte le attività di sviluppo e gestione dei sistemi informativi integrati regionali ed i relativi servizi al cittadino (nella sanità, nell'emergenza, nel welfare in genere, nell'anagrafe civile, tributaria e di edilizia pubblica, nei servizi scolastici locali, nella formazione professionale, nei servizi finanziari di comuni e province, nel servizio elettorale, nelle infrastrutture di rete e nella realizzazione della nuova rete in fibra ottica regionale, nella gestione di appalti pubblici per forniture di beni, servizi, lavori, nella conservazione sostitutiva dei documenti con la conseguente gestione dei dati, anche sensibili connessi a tali attività e la relativa protezione da intrusioni informatiche di hackeraggio, ecc.). Per i suddetti servizi Insiel S.p.A possiede da lungo tempo la certificazione ISO 9001;
              il comma 3 dell'articolo 4 del decreto in esame esclude l'applicabilità del provvedimento di liquidazione o privatizzazione a società come SOGEI S.p.A. e CONSIP S.p.A.: INSIEL S.p.A. può essere senz'altro assimilata a queste società e quindi potenzialmente beneficiaria del medesimo trattamento di inapplicabilità della liquidazione o privatizzazione forzata;
              infatti l'attività di INSIEL non falsa lo scenario competitivo di mercato, poiché una parte del suo fatturato viene riversato sul mercato tramite bandi di gara pubblici svolti per conto della Regione Friuli Venezia Giulia in un'ottica di committenza centrale per l'acquisto dei beni e servizi e per la fornitura di lavori, nell'ambito dell'ICT;
              INSIEL è un chiaro esempio delle economie di scala che si possono realizzare mettendo in comune i servizi di ICT: tanti piccoli Comuni o le Comunità montane presenti sul territorio del Friuli Venezia Giulia non possono permettersi di pagare consulenti d'informatica o di acquisire pacchetti software onerosi da società informatiche, mentre l'azione coordinata svolta da INSIEL permette a tutte queste utenze pubbliche di interagire fra loro a vari livelli condividendo software e informazioni e realizzando così notevoli risparmi di risorse finanziarie;
              presso INSIEL operano 720 unità lavorative caratterizzate da alta professionalità e competenza, che con la privatizzazione forzata nei termini previsti dal decreto (liquidazione delle in-house entro il 31 dicembre 2013), sarebbero le prime a pagare gli effetti negativi di questo provvedimento che non trova, nel caso di INSIEL, una effettiva necessità di applicazione;
              la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome del 25 luglio u.s. ha evidenziato come il provvedimento sulle in-house presenti anche profili di incostituzionalità poiché lede fortemente l'autonomia organizzativa degli enti territoriali ed in particolare delle Regioni;
              è in discussione al Consiglio europeo una direttiva UE volta al rilancio delle società in-house che obbligherà le amministrazioni pubbliche ad affidare loro il 90 per cento dei propri servizi e di quelli delle loro partecipate e controllate: secondo questa direttiva, una società è considerata in-house solo se è al 100 per cento pubblica; ed INSIEL lo è per cui appare perfettamente in linea con le tendenze della UE,

impegna il Governo:

          a considerare, in sede applicativa, la società INSIEL S.p.A. della Regione Friuli Venezia Giulia tra quelle cui si applicano le deroghe previste dal comma 3 dell'articolo 4 per le società che svolgono servizi di interesse generale, ovvero per quelle che, come INSIEL, gestiscono banche dati strategiche per il conseguimento di obiettivi economico-finanziari pubblici e rappresentano una fonte di risparmio e uno strumento efficace per la governance dell'ICT locale, anche nell'ottica del Piano per la Crescita elaborato in questi giorni dal Governo che prevede la creazione dell'Ente per l'Italia Digitale che avrà il compito di unificare in un solo soggetto pubblico le competenze e responsabilità per la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione: di fatto INSIEL per la Regione Friuli Venezia Giulia è un ente che già svolge tali funzionalità;
          a ricostituire presso il Ministero dell'economia e delle finanze la Commissione per la spending review al fine di completare l'analisi delle società in-house esistenti e procedere, anche con il coinvolgimento della Regione Friuli Venezia Giulia, al varo di un provvedimento organico relativo alle società in-house come INSIEL che costituisce un fattore di: a) riduzione della spesa pubblica complessiva per l'ICT delle Pubbliche amministrazioni del Friuli Venezia Giulia (attraverso le economie di scala); b) ammodernamento della pubblica amministrazione (interoperabilità tra le amministrazioni e servizi a cittadino uniformi sull'intero territorio regionale); c) sviluppo della competizione tra operatori privati (cessione in uso della fibra ottica di proprietà della Regione ed in via di realizzazione da parte di INSIEL).
9/5389/2. Gottardo, Contento, Compagnon, Di Centa, Rosato, Strizzolo, Fedriga.


      La Camera,
          premesso che:
              ai sensi della legge regionale 14 luglio 2011, n.  99, INSIEL S.p.A., la società in-house, strumentale per l'ICT (tecnologie dell'informazione e della comunicazione), della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, svolge tutte le attività di sviluppo e gestione dei sistemi informativi integrati regionali ed i relativi servizi al cittadino (nella sanità, nell'emergenza, nel welfare in genere, nell'anagrafe civile, tributaria e di edilizia pubblica, nei servizi scolastici locali, nella formazione professionale, nei servizi finanziari di comuni e province, nel servizio elettorale, nelle infrastrutture di rete e nella realizzazione della nuova rete in fibra ottica regionale, nella gestione di appalti pubblici per forniture di beni, servizi, lavori, nella conservazione sostitutiva dei documenti con la conseguente gestione dei dati, anche sensibili connessi a tali attività e la relativa protezione da intrusioni informatiche di hackeraggio, ecc.). Per i suddetti servizi Insiel S.p.A possiede da lungo tempo la certificazione ISO 9001;
              il comma 3 dell'articolo 4 del decreto in esame esclude l'applicabilità del provvedimento di liquidazione o privatizzazione a società come SOGEI S.p.A. e CONSIP S.p.A.: INSIEL S.p.A. può essere senz'altro assimilata a queste società e quindi potenzialmente beneficiaria del medesimo trattamento di inapplicabilità della liquidazione o privatizzazione forzata;
              infatti l'attività di INSIEL non falsa lo scenario competitivo di mercato, poiché una parte del suo fatturato viene riversato sul mercato tramite bandi di gara pubblici svolti per conto della Regione Friuli Venezia Giulia in un'ottica di committenza centrale per l'acquisto dei beni e servizi e per la fornitura di lavori, nell'ambito dell'ICT;
              INSIEL è un chiaro esempio delle economie di scala che si possono realizzare mettendo in comune i servizi di ICT: tanti piccoli Comuni o le Comunità montane presenti sul territorio del Friuli Venezia Giulia non possono permettersi di pagare consulenti d'informatica o di acquisire pacchetti software onerosi da società informatiche, mentre l'azione coordinata svolta da INSIEL permette a tutte queste utenze pubbliche di interagire fra loro a vari livelli condividendo software e informazioni e realizzando così notevoli risparmi di risorse finanziarie;
              presso INSIEL operano 720 unità lavorative caratterizzate da alta professionalità e competenza, che con la privatizzazione forzata nei termini previsti dal decreto (liquidazione delle in-house entro il 31 dicembre 2013), sarebbero le prime a pagare gli effetti negativi di questo provvedimento che non trova, nel caso di INSIEL, una effettiva necessità di applicazione;
              la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome del 25 luglio u.s. ha evidenziato come il provvedimento sulle in-house presenti anche profili di incostituzionalità poiché lede fortemente l'autonomia organizzativa degli enti territoriali ed in particolare delle Regioni;
              è in discussione al Consiglio europeo una direttiva UE volta al rilancio delle società in-house che obbligherà le amministrazioni pubbliche ad affidare loro il 90 per cento dei propri servizi e di quelli delle loro partecipate e controllate: secondo questa direttiva, una società è considerata in-house solo se è al 100 per cento pubblica; ed INSIEL lo è per cui appare perfettamente in linea con le tendenze della UE,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità, e nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di considerare, in sede applicativa, la società INSIEL S.p.A. della Regione Friuli Venezia Giulia tra quelle cui si applicano le deroghe previste dal comma 3 dell'articolo 4 per le società che svolgono servizi di interesse generale, ovvero per quelle che, come INSIEL, gestiscono banche dati strategiche per il conseguimento di obiettivi economico-finanziari pubblici e rappresentano una fonte di risparmio e uno strumento efficace per la governance dell'ICT locale, anche nell'ottica del Piano per la Crescita elaborato in questi giorni dal Governo che prevede la creazione dell'Ente per l'Italia Digitale che avrà il compito di unificare in un solo soggetto pubblico le competenze e responsabilità per la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione: di fatto INSIEL per la Regione Friuli Venezia Giulia è un ente che già svolge tali funzionalità;
          a ricostituire presso il Ministero dell'economia e delle finanze la Commissione per la spending review al fine di completare l'analisi delle società in-house esistenti e procedere, anche con il coinvolgimento della Regione Friuli Venezia Giulia, al varo di un provvedimento organico relativo alle società in-house come INSIEL che costituisce un fattore di: a) riduzione della spesa pubblica complessiva per l'ICT delle Pubbliche amministrazioni del Friuli Venezia Giulia (attraverso le economie di scala); b) ammodernamento della pubblica amministrazione (interoperabilità tra le amministrazioni e servizi a cittadino uniformi sull'intero territorio regionale); c) sviluppo della competizione tra operatori privati (cessione in uso della fibra ottica di proprietà della Regione ed in via di realizzazione da parte di INSIEL).
9/5389/2.    (Testo modificato nel corso della seduta) Gottardo, Contento, Compagnon, Di Centa, Rosato, Strizzolo, Fedriga.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 17 del provvedimento in esame reca il riordino delle province e loro funzioni,

impegna il Governo

a consentire alle Province di potere assumere gli atti amministrativi prodromici a dare effettività alle previsioni di cui all'articolo 132, secondo comma, della Costituzione, purché gli stessi risultino approvati in data antecedente alla trasmissione al Governo da parte della Regione della proposta di riordino delle Province stesse, prevista dall'articolo 17, comma 3, del decreto in esame.
9/5389/3. Stradella, Tommaso Foti, Polledri.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 17 del provvedimento in esame reca il riordino delle province e loro funzioni,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, e nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di consentire alle Province di potere assumere gli atti amministrativi prodromici a dare effettività alle previsioni di cui all'articolo 132, secondo comma, della Costituzione, purché gli stessi risultino approvati in data antecedente alla trasmissione al Governo da parte della Regione della proposta di riordino delle Province stesse, prevista dall'articolo 17, comma 3, del decreto in esame.
9/5389/3.    (Testo modificato nel corso della seduta) Stradella, Tommaso Foti, Polledri.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 17 del provvedimento in esame reca il riordino delle province e loro funzioni,

impegna il Governo

a consentire alle Province di potere assumere gli atti amministrativi prodromici a dare effettività alle previsioni di cui all'articolo 5 della legge 30 dicembre 1989, n.  439.
9/5389/4. Tommaso Foti, Ghiglia, Aracri, Polledri.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 17 del provvedimento in esame reca il riordino delle province e loro funzioni,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, e nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di consentire alle Province di potere assumere gli atti amministrativi prodromici a dare effettività alle previsioni di cui all'articolo 5 della legge 30 dicembre 1989, n.  439.
9/5389/4.    (Testo modificato nel corso della seduta) Tommaso Foti, Ghiglia, Aracri, Polledri.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 17 del provvedimento in esame reca il riordino delle province e loro funzioni,

impegna il Governo

in sede di attuazione delle disposizioni in esame a volere specificare, anche attraverso l'emanazione di circolari, che gli organi provinciali che devono essere rinnovati successivamente al 31 dicembre 2012 restano in carica fino alla scadenza naturale, in ragione di quanto disposto dall'articolo 23, comma 20, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214.
9/5389/5. Aracri, Tommaso Foti, Ghiglia, Minasso.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 17 del provvedimento in esame reca il riordino delle province e loro funzioni,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, e in sede di attuazione delle disposizioni in esame a volere specificare, anche attraverso l'emanazione di circolari, che gli organi provinciali che devono essere rinnovati successivamente al 31 dicembre 2012 restano in carica fino alla scadenza naturale, in ragione di quanto disposto dall'articolo 23, comma 20, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214.
9/5389/5.    (Testo modificato nel corso della seduta) Aracri, Tommaso Foti, Ghiglia, Minasso.


      La Camera,
          premesso che:
              nell'ambito del riordino delle Province di cui all'articolo 17, le funzioni in materia di politiche attive del lavoro, già attribuite ai suddetti enti ai sensi della legislazione vigente, non risultano ricomprese tra quelle espressamente assegnate alle nuove amministrazioni provinciali, quali enti con funzione di area vasta, come risultanti dalla medesima procedura di riordino,

impegna il Governo:

          in sede di attuazione delle disposizioni in esame, a garantire la continuità di servizio e l'operatività dei Centri per l'impiego, attualmente gestiti dalle Province, quali soggetti istituzionali preposti a favorire un'adeguata domanda-offerta di lavoro;
          a tal fine, ad individuare – in coerenza con i criteri di delega di cui alla legge n.  92 del 2012, in materia di politiche attive e di servizi per l'impiego – strumenti idonei affinché detti Centri possano continuare a svolgere utilmente la loro funzione sul territorio.
9/5389/6. Ghiglia, Tommaso Foti, Aracri.


      La Camera,
          premesso che:
              con il riordino delle Province si va a colpire l'ente intermedio per antonomasia, che certamente va riorganizzato nelle sue morfologie territoriali e rivisto nelle sue funzioni e competenze in riferimento alle leggi già vigenti ed al provvedimento in itinere sul codice delle Autonomie Locali, ma che risulta essere a più diretto contatto con i cittadini e con le comunità comunali per le problematiche territoriali di valenza sovracomunale;
              per raggiungere gli obiettivi prefissati dal Governo e non rendere vani i sacrifici dei territori, i tagli decisi in base ad un criterio di razionalizzazione dei costi non possono riguardare le sole Province ma l'intero sistema delle Autonomie, nel quadro del riassetto ordinamentale degli enti territoriali, evitando provvedimenti pasticciati e confusi,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, ai fini di un equilibrato riordino delle Province, di promuovere e partecipare ai tavoli negoziali con le Regioni per riorganizzare i territori, nel quadro dei vincoli e delle norme economico-finanziarie stabiliti dalla legge per la riduzione delle spese e, al tempo stesso, riscrivere in maniera razionale ed organica l'interconnessione funzionale tra gli organi di governo delle nuove circoscrizioni provinciali, con la previsione che la sede del Governo provinciale sia dislocata nel Comune già capoluogo e quella del Consiglio provinciale nell'altro, onde evitare la ricaduta improvvisa dei servizi gestiti dalle Province sui Comuni, già aggravati da molteplici oneri, senza la garanzia delle coperture finanziarie necessarie a sostenerli.
9/5389/7. Mario Pepe (PD).


      La Camera
          premesso che:
              il decreto ministeriale n.  282 del 2 maggio 1996, nel disciplinare l'assetto organizzativo e funzionale della Gestione Separata e del rapporto assicurativo istituiti ai sensi della citata legge 8 agosto 1995, n.  335, di cui all'articolo 2, comma 26, e seguenti, stabiliva al comma 1, lettera a) dell'articolo 4, che per un quinquennio a decorrere dal primo aprile 1996, relativamente a coloro che erano privi di tutela previdenziale obbligatoria, o dal 30 giugno 1996, relativamente a coloro che erano già pensionati o iscritti a forme pensionistiche obbligatorie e ai soggetti che svolgevano attività lavorative di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n.  335, e che alle date indicate risultavano essere ultrasessantacinquenni, concedeva la facoltà di iscriversi alla Gestione Separata. Alla lettera b) del medesimo articolo per contro, si prevedeva che coloro che avevano compiuto i 65 anni nel corso del quinquennio potevano richiedere la cancellazione dalla suddetta Gestione Separata. Altresì, limitatamente al periodo quinquennale citato, veniva concessa la facoltà ai soggetti sessantenni che alla data del 1o aprile o del 30 giugno 1996 avessero cessato l'attività lavorativa senza aver conseguito il diritto alla pensione autonoma o ad altri trattamenti pensionistici, di richiedere la restituzione dei contributi maggiorati degli interessi;
              le attuali aliquote contributive applicate ai lavoratori iscritti alla Gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n.  335, dal 1o gennaio 2012 per effetto della legge n.  183 del 2011 hanno subito l'aumento di un punto percentuale e sono complessivamente fissate nella seguente misura:
              del 27,72 per cento (27,00 aliquota IVS più 0,72 aliquota aggiuntiva) per tutti i soggetti non assicurati presso altre forme pensionistiche obbligatorie;
              del 18,00 per cento per i soggetti titolari di pensione (diretta o indiretta) e per i soggetti con altra forma pensionistica obbligatoria;
              le suddette aliquote devono essere applicate in riferimento ai redditi conseguiti fino al raggiungimento del massimale di reddito, pari, per l'anno 2012, a euro 96.149,00;
              la legge n.  92 del 2012, «Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita», prevede un incremento delle aliquote contributive di altri sei punti percentuale entro il 2018;
              il decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214, all'articolo 24, comma 16, ha previsto norme in materia di trattamenti pensionistici che, nel rivedere i coefficienti di trasformazione, hanno stabilito che questi devono essere estesi dall'età massima di 65 anni a quella nuova di 70 anni;
              le attuali aliquote di contribuzione per gli iscritti alla Gestione Separata rappresentano una quota sostanziale del reddito del lavoratore che, soprattutto per i soggetti ultra settantenni in considerazione dell'avanzata età, non sono utili alla maturazione di ulteriori benefici in termini di incremento della quota pensionistica loro riconosciuta,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di ripristinare, oltre il limite di 70 anni fissato dall'articolo 24, comma 16, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214, quanto, prima delle modifiche, valeva dopo i 65 anni, ovvero consentire ai lavoratori parasubordinati ultrasettantenni la facoltà di richiedere la cancellazione dalla Gestione separata presso l'INPS.
9/5389/8. Antonino Foti, Cazzola.


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto ministeriale n.  282 del 2 maggio 1996, nel disciplinare l'assetto organizzativo e funzionale della Gestione Separata e del rapporto assicurativo istituiti ai sensi della citata legge 8 agosto 1995, n.  335, di cui all'articolo 2, comma 26, e seguenti, stabiliva al comma 1, lettera a) dell'articolo 4, che per un quinquennio a decorrere dal primo aprile 1996, relativamente a coloro che erano privi di tutela previdenziale obbligatoria, o dal 30 giugno 1996, relativamente a coloro che erano già pensionati o iscritti a forme pensionistiche obbligatorie e ai soggetti che svolgevano attività lavorative di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n.  335, e che alle date indicate risultavano essere ultrasessantacinquenni, concedeva la facoltà di iscriversi alla Gestione Separata. Alla lettera b) del medesimo articolo per contro, si prevedeva che coloro che avevano compiuto i 65 anni nel corso del quinquennio potevano richiedere la cancellazione dalla suddetta Gestione Separata. Altresì, limitatamente al periodo quinquennale citato, veniva concessa la facoltà ai soggetti sessantenni che alla data del 1o aprile o del 30 giugno 1996 avessero cessato l'attività lavorativa senza aver conseguito il diritto alla pensione autonoma o ad altri trattamenti pensionistici, di richiedere la restituzione dei contributi maggiorati degli interessi;
              le attuali aliquote contributive applicate ai lavoratori iscritti alla Gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n.  335, dal 1o gennaio 2012 per effetto della legge n.  183 del 2011 hanno subito l'aumento di un punto percentuale e sono complessivamente fissate nella seguente misura:
              del 27,72 per cento (27,00 aliquota IVS più 0,72 aliquota aggiuntiva) per tutti i soggetti non assicurati presso altre forme pensionistiche obbligatorie;
              del 18,00 per cento per i soggetti titolari di pensione (diretta o indiretta) e per i soggetti con altra forma pensionistica obbligatoria;
              le suddette aliquote devono essere applicate in riferimento ai redditi conseguiti fino al raggiungimento del massimale di reddito, pari, per l'anno 2012, a euro 96.149,00;
              la legge n.  92 del 2012, «Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita», prevede un incremento delle aliquote contributive di altri sei punti percentuale entro il 2018;
              il decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214, all'articolo 24, comma 16, ha previsto norme in materia di trattamenti pensionistici che, nel rivedere i coefficienti di trasformazione, hanno stabilito che questi devono essere estesi dall'età massima di 65 anni a quella nuova di 70 anni;
              le attuali aliquote di contribuzione per gli iscritti alla Gestione Separata rappresentano una quota sostanziale del reddito del lavoratore che, soprattutto per i soggetti ultra settantenni in considerazione dell'avanzata età, non sono utili alla maturazione di ulteriori benefici in termini di incremento della quota pensionistica loro riconosciuta,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di ripristinare, oltre il limite di 70 anni fissato dall'articolo 24, comma 16, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214, quanto, prima delle modifiche, valeva dopo i 65 anni, ovvero consentire ai lavoratori parasubordinati ultrasettantenni la facoltà di richiedere la cancellazione dalla Gestione separata presso l'INPS.
9/5389/8.    (Testo modificato nel corso della seduta) Antonino Foti, Cazzola.


      La Camera,
          premesso che:
              per effetto dell'articolo 7, commi 3-bis e 4, del decreto-legge n.  78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n.  122, l'ENAM (Ente Nazionale Assistenza Magistrale) è stato soppresso e le sue funzioni nonché le sue risorse strumentali, umane e finanziarie sono state attribuite all'INPDAP, a sua volta soppresso e confluito nell'INPS;
              la norma di soppressione dell'ENAM non ha però abolito l'obbligatorietà della contribuzione da parte delle categorie interessate e che continua, quindi, ad operare il prelevamento obbligatorio del contributo (1 per cento sullo stipendio lordo) a carico delle categorie indicate nello Statuto del soppresso ENAM, ossia i docenti di scuola primaria e dell'infanzia e i dirigenti scolastici ex direttori didattici;
              le prestazioni assistenziali erogate dalla gestione ex ENAM costituiscono una duplicazione di quelle già garantite dall'ex INPDAP oggi INPS, con conseguente aggravio gestionale per le strutture preposte all'erogazione delle prestazioni stesse;
              la gestione del contributo ENAM da parte dell'ex INPDAP, inoltre, assume aspetti di eccezionalità rispetto alla normale gestione delle attività assistenziali ex INPDAP, in quanto diretta non a tutto il personale delle pubbliche amministrazioni ma solo a specifiche categorie e in quanto non mediata – come avviene ad esempio per l'attività creditizia (prestiti, mutui, ecc., erogati dall'ex INPDAP) – dagli enti datori di lavoro, che devono rilasciare le previste autorizzazioni a garanzia;
              tra le finalità del decreto-legge in esame vi è quella di contribuire a garantire, anche attraverso l'effettiva soppressione di enti e società, la razionalizzazione, l'efficienza e l'economicità dell'organizzazione degli enti e degli apparati pubblici, conservando invariati i livelli di servizio per i cittadini,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità di adottare iniziative volte:
              all'abolizione dell'obbligatorietà del contributo ex ENAM a carico delle categorie di riferimento (docenti di scuola primaria e dell'infanzia e dirigenti scolastici ex direttori didattici);
              alla confluenza dei servizi e dei benefici assistenziali già previsti dagli articoli 2 e 2-bis del decreto legislativo del Capo provvisorio dello stato 21 ottobre 1947, n.  1346, istitutivo dell'ENAM, all'interno della gestione unitaria autonoma delle prestazioni creditizie e sociali istituita con l'articolo 1, comma 245, della legge 23 dicembre 1996, n.  662, a favore di tutti gli iscritti a tale gestione;
              all'eventuale istituzione di un contributo volontario mensile rivolto alla totalità degli iscritti alla gestione ex INPDAP e disciplinato con un regolamento adottato dall'INPS, al fine di assicurare ad una platea molto vasta di dipendenti (oltre 3 milioni), l'erogazione di servizi e prestazioni assistenziali aggiuntivi rispetto a quelli già erogati, con un aumento delle prestazioni complessive di welfare a loro favore.
9/5389/9. Scandroglio, Vincenzo Antonio Fontana, Cazzola.


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto in esame prevedeva, all'articolo 13, la costituzione dell'IVARP (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni e sul risparmio previdenziale) a cui erano attribuite le funzioni spettanti all'ISVAP e alla COVIP;
              il Senato ha emendato questa norma istituendo l'IVASS (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni), fermi restando la permanenza e le funzioni della COVIP;
              la nuova disposizione non sembra coerente con un disegno di razionalizzazione degli enti pubblici e dei compiti da loro svolti portato avanti in altre circostanze con determinazione dal Governo,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di monitorare la situazione del settore assicurativo e del risparmio previdenziale al fine di esaminare l'utilità di nuove forme di governance allo scopo di potenziare più adeguatamente lo sviluppo della previdenza complementare.
9/5389/10. Cazzola, Centemero.


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto in esame prevedeva, all'articolo 13, la costituzione dell'IVARP (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni e sul risparmio previdenziale) a cui erano attribuite le funzioni spettanti all'ISVAP e alla COVIP;
              il Senato ha emendato questa norma istituendo l'IVASS (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni), fermi restando la permanenza e le funzioni della COVIP;
              la nuova disposizione non sembra coerente con un disegno di razionalizzazione degli enti pubblici e dei compiti da loro svolti portato avanti in altre circostanze con determinazione dal Governo,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di monitorare la situazione del settore assicurativo e del risparmio previdenziale al fine di esaminare l'utilità di nuove forme di governance allo scopo di potenziare più adeguatamente lo sviluppo della previdenza complementare.
9/5389/10.    (Testo modificato nel corso della seduta) Cazzola, Centemero.


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto in esame, all'articolo 6, comma 17, prevede che dal 2012 è obbligatorio iscrivere il fondo svalutazione crediti nel bilancio degli enti locali;
              la norma obbliga i comuni, le province e gli altri enti locali a inserire nel bilancio di previsione dell'anno in corso (esercizio 2012) il «fondo svalutazione crediti» per un ammontare almeno pari al 25 per cento dei residui attivi iscritti al titolo 1 (entrate tributarie) e al titolo 3 (entrate extratributarie) ed aventi anzianità superiore a cinque anni (per quest'anno si fa riferimento ai residui degli anni 2006, compreso, e precedenti);
              la difficoltà maggiore per i comuni, le province e gli altri enti locali a inserire nel bilancio di previsione per l'anno 2012 il «fondo svalutazione crediti» è legata alla necessità di recuperare nuove risorse oramai in corso d'anno (è già trascorso metà esercizio) e/o a ridurre delle spese, laddove:
                alcuni Enti hanno già approvato il bilancio di previsione – per cui dovrebbero ricorrere ad una variazione di bilancio con la difficoltà e necessità di reperire quelle nuove risorse necessarie a coprire la nuova posta di bilancio e rendere in equilibrio il bilancio dell'Ente (vedasi articolo 193 del decreto legislativo n.  267 del 2000 e successive modifiche ed integrazioni: Salvaguardia degli equilibri di bilancio); ovvero ridurre e/o tagliare delle spese che avevano trovato spazio nel bilancio di previsione e che oggi non trovano più copertura finanziaria tale da portarlo in equilibrio;
              altri Enti, avendo redatto la proposta di bilancio di previsione – considerato che la scadenza per l'anno 2012 è fissata al 31 agosto 2012 – si ritroverebbero nelle medesime difficoltà per cui anch'essi dovrebbero ricorrere ad una rielaborazione della proposta di bilancio da sottoporre poi all'approvazione dei rispettivi Organi;
              infine ci sono quegli Enti che a causa della riduzione dei trasferimenti dello Stato, dell'introduzione dell'IMU, degli effetti sempre più stringenti del Patto di Stabilità (quest'anno anche con l'opzione orizzontale – verticale) e della crisi economico finanziaria in cui essi ricadono, si trovano in una fase di elaborazione dello strumento di programmazione economico – finanziario dell'Ente per cui la già precaria stabilità di bilancio viene minata con questo provvedimento che li mette nella quasi impossibilità di chiusura del bilancio;
              è facile prevedere che, sia nel primo caso che nel secondo, in sede di riequilibrio, diversi comuni saranno costretti a dichiarare il disavanzo;
              più complicata è la situazione di quei comuni (specie al Sud Italia) che trovandosi in una fase di difficile elaborazione del bilancio saranno costretti a non poterlo assolutamente approvare e costretti a dichiarare il disavanzo con tutti gli effetti consequenziali,

impegna il Governo

a valutare gli effetti, esposti nelle premesse, della disposizione in oggetto, al fine di adottare tutti quei provvedimenti affinché la stessa trovi applicazione a partire dall'esercizio finanziario 2013.
9/5389/11. Catanoso.


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto in esame, all'articolo 6, comma 17, prevede che dal 2012 è obbligatorio iscrivere il fondo svalutazione crediti nel bilancio degli enti locali;
              la norma obbliga i comuni, le province e gli altri enti locali a inserire nel bilancio di previsione dell'anno in corso (esercizio 2012) il «fondo svalutazione crediti» per un ammontare almeno pari al 25 per cento dei residui attivi iscritti al titolo 1 (entrate tributarie) e al titolo 3 (entrate extratributarie) ed aventi anzianità superiore a cinque anni (per quest'anno si fa riferimento ai residui degli anni 2006, compreso, e precedenti);
              la difficoltà maggiore per i comuni, le province e gli altri enti locali a inserire nel bilancio di previsione per l'anno 2012 il «fondo svalutazione crediti» è legata alla necessità di recuperare nuove risorse oramai in corso d'anno (è già trascorso metà esercizio) e/o a ridurre delle spese, laddove:
                alcuni Enti hanno già approvato il bilancio di previsione – per cui dovrebbero ricorrere ad una variazione di bilancio con la difficoltà e necessità di reperire quelle nuove risorse necessarie a coprire la nuova posta di bilancio e rendere in equilibrio il bilancio dell'Ente (vedasi articolo 193 del decreto legislativo n.  267 del 2000 e successive modifiche ed integrazioni: Salvaguardia degli equilibri di bilancio); ovvero ridurre e/o tagliare delle spese che avevano trovato spazio nel bilancio di previsione e che oggi non trovano più copertura finanziaria tale da portarlo in equilibrio;
              altri Enti, avendo redatto la proposta di bilancio di previsione – considerato che la scadenza per l'anno 2012 è fissata al 31 agosto 2012 – si ritroverebbero nelle medesime difficoltà per cui anch'essi dovrebbero ricorrere ad una rielaborazione della proposta di bilancio da sottoporre poi all'approvazione dei rispettivi Organi;
              infine ci sono quegli Enti che a causa della riduzione dei trasferimenti dello Stato, dell'introduzione dell'IMU, degli effetti sempre più stringenti del Patto di Stabilità (quest'anno anche con l'opzione orizzontale – verticale) e della crisi economico finanziaria in cui essi ricadono, si trovano in una fase di elaborazione dello strumento di programmazione economico – finanziario dell'Ente per cui la già precaria stabilità di bilancio viene minata con questo provvedimento che li mette nella quasi impossibilità di chiusura del bilancio;
              è facile prevedere che, sia nel primo caso che nel secondo, in sede di riequilibrio, diversi comuni saranno costretti a dichiarare il disavanzo;
              più complicata è la situazione di quei comuni (specie al Sud Italia) che trovandosi in una fase di difficile elaborazione del bilancio saranno costretti a non poterlo assolutamente approvare e costretti a dichiarare il disavanzo con tutti gli effetti consequenziali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di valutare gli effetti, esposti nelle premesse, della disposizione in oggetto, al fine di adottare tutti quei provvedimenti affinché la stessa trovi applicazione a partire dall'esercizio finanziario 2013.
9/5389/11.    (Testo modificato nel corso della seduta) Catanoso.


      La Camera,
          premesso che,
              l'articolo 8, al comma 3, individua le pubbliche amministrazioni e comunque i soggetti pubblici per i quali, al fine di assicurare la riduzione delle spese per consumi intermedi, i trasferimenti dal bilancio dello Stato sono ridotti in misura pari al 5 per cento nell'anno 2012 e al 10 per cento a decorrere dall'anno 2013 della spesa sostenuta per consumi intermedi nell'anno 2010;
              il citato articolo 8, comma 3, disegna, altresì, un meccanismo secondo il quale nel caso in cui per effetto delle operazioni di gestione la predetta riduzione non fosse possibile, gli enti e gli organismi anche costituiti in forma societaria, dotati di autonomia finanziaria, che non ricevono trasferimenti dal bilancio dello Stato adottano interventi di razionalizzazione per la riduzione della spesa per consumi intermedi in modo da assicurare risparmi corrispondenti alle misure sopra indicate. A tal fine è previsto che le somme derivanti da tale riduzione siano versate annualmente ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato entro il 30 giugno di ciascun anno;
              a tal fine, fermo restando la necessità che ogni amministrazione o comunque soggetto pubblico che ricade nell'ambito di applicazione del citato articolo 8, comma 3, deve provvedere a garantire risparmi di spesa, con riguardo a quelle per consumi intermedi, in misura pari al 5 per cento nell'anno 2012 e al 10 per cento a decorrere dall'anno 2013 della spesa sostenuta per consumi intermedi nell'anno 2010, va comunque chiarito che per quei soggetti pubblici che ricevono un trasferimento dal bilancio dello Stato non sufficiente a coprire interamente la riduzione percentuale introdotta ai sensi della disposizione in esame, gli stessi provvedono, in ogni caso, ad assicurare i risparmi riferiti alla spesa per consumi intermedi nella medesima misura di cui all'articolo 8, comma 3, senza che possano ipotizzarsi nicchie di «comodo» con l'esclusione di taluno dei soggetti complessivamente richiamati nel citato comma 3 di fronte ad una disposizione cogente e necessaria per il controllo della spesa pubblica senza interpretazioni elusive di sorta, prioritariamente attraverso l'eliminazione del trasferimento a carico delle finanze pubbliche fino al suo integrale azzeramento e, per la parte eventualmente eccedente, con la corrispondente sterilizzazione delle altre forme di finanziamento alle quali gli stessi ricorrono,

impegna il Governo

ad adottare ogni più adeguato intervento applicativo volto ad assicurare la coerenza nella fase di attuazione con quella che è l'effettiva volontà, come sopra individuata, della disposizione normativa in esame diretta a ridurre il costo complessivo della Pubblica Amministrazione e la sua incidenza sul bilancio dello Stato, in maniera da eliminare ogni eventuale possibile dubbio interpretativo circa il fatto che la fase attuativa della disposizione di cui all'articolo 8, comma 3, del decreto-legge in esame sia coerente con quanto specificato nelle premesse senza elusioni di sorta.
9/5389/12. Alberto Giorgetti.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 8, al comma 3, individua le pubbliche amministrazioni e comunque i soggetti pubblici per i quali, al fine di assicurare la riduzione delle spese per consumi intermedi, i trasferimenti dal bilancio dello Stato sono ridotti in misura pari al 5 per cento nell'anno 2012 e al 10 per cento a decorrere dall'anno 2013 della spesa sostenuta per consumi intermedi nell'anno 2010;
              il citato articolo 8, comma 3, disegna, altresì, un meccanismo secondo il quale nel caso in cui per effetto delle operazioni di gestione la predetta riduzione non fosse possibile, gli enti e gli organismi anche costituiti in forma societaria, dotati di autonomia finanziaria, che non ricevono trasferimenti dal bilancio dello Stato adottano interventi di razionalizzazione per la riduzione della spesa per consumi intermedi in modo da assicurare risparmi corrispondenti alle misure sopra indicate. A tal fine è previsto che le somme derivanti da tale riduzione siano versate annualmente ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato entro il 30 giugno di ciascun anno;
              a tal fine, fermo restando la necessità che ogni amministrazione o comunque soggetto pubblico che ricade nell'ambito di applicazione del citato articolo 8, comma 3, deve provvedere a garantire risparmi di spesa, con riguardo a quelle per consumi intermedi, in misura pari al 5 per cento nell'anno 2012 e al 10 per cento a decorrere dall'anno 2013 della spesa sostenuta per consumi intermedi nell'anno 2010, va comunque chiarito che per quei soggetti pubblici che ricevono un trasferimento dal bilancio dello Stato non sufficiente a coprire interamente la riduzione percentuale introdotta ai sensi della disposizione in esame, gli stessi provvedono, in ogni caso, ad assicurare i risparmi riferiti alla spesa per consumi intermedi nella medesima misura di cui all'articolo 8, comma 3, senza che possano ipotizzarsi nicchie di «comodo» con l'esclusione di taluno dei soggetti complessivamente richiamati nel citato comma 3 di fronte ad una disposizione cogente e necessaria per il controllo della spesa pubblica senza interpretazioni elusive di sorta, prioritariamente attraverso l'eliminazione del trasferimento a carico delle finanze pubbliche fino al suo integrale azzeramento e, per la parte eventualmente eccedente, con la corrispondente sterilizzazione delle altre forme di finanziamento alle quali gli stessi ricorrono,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, e nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di adottare ogni più adeguato intervento applicativo volto ad assicurare la coerenza nella fase di attuazione con quella che è l'effettiva volontà, come sopra individuata, della disposizione normativa in esame diretta a ridurre il costo complessivo della Pubblica Amministrazione e la sua incidenza sul bilancio dello Stato, in maniera da eliminare ogni eventuale possibile dubbio interpretativo circa il fatto che la fase attuativa della disposizione di cui all'articolo 8, comma 3, del decreto-legge in esame sia coerente con quanto specificato nelle premesse senza elusioni di sorta.
9/5389/12.    (Testo modificato nel corso della seduta) Alberto Giorgetti.


      La Camera,
          premesso che:
              per effetto dell'articolo 7, commi 3-bis e 4, del decreto-legge n.  78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n.  122, l'ENAM (Ente Nazionale Assistenza Magistrale) è stato soppresso e le sue funzioni nonché le sue risorse strumentali, umane e finanziarie sono state attribuite all'INPDAP, a sua volta soppresso e confluito nell'INPS;
              la norma di soppressione dell'ENAM non ha però abolito l'obbligatorietà della contribuzione da parte delle categorie interessate e che, continua, quindi, ad operare il prelevamento obbligatorio del contributo (1 per cento sullo stipendio lordo) a carico delle categorie indicate nello Statuto del soppresso ENAM, ossia i docenti di scuola primaria e dell'infanzia e i dirigenti scolastici ex direttori didattici;
              le prestazioni assistenziali erogate dalla gestione ex ENAM costituiscono una duplicazione di quelle già garantite dall'ex INPDAP oggi INPS, con conseguente aggravio gestionale per le strutture preposte all'erogazione delle prestazioni stesse;
              la gestione del contributo ENAM da parte dell'ex INPDAP, inoltre, assume aspetti di eccezionalità rispetto alla normale gestione delle attività assistenziali ex INPDAP, in quanto diretta non a tutto il personale delle pubbliche amministrazioni ma solo a specifiche categorie e in quanto non mediata – come avviene ad esempio per l'attività creditizia (prestiti, mutui, eccetera, erogati dall'ex INPDAP) – dagli enti datori di lavoro, che devono rilasciare le previste autorizzazioni a garanzia;
              tra le finalità del decreto-legge in esame vi è quella di contribuire a garantire, anche attraverso l'effettiva soppressione di enti e società, la razionalizzazione, l'efficienza e l'economicità dell'organizzazione degli enti e degli apparati pubblici, conservando invariati i livelli di servizio per i cittadini,

impegna il Governo:

          ad adottare le opportune iniziative normative volte:
              all'abolizione dell'obbligatorietà del contributo ex ENAM a carico delle categorie di riferimento (docenti di scuola primaria e dell'infanzia e dirigenti scolastici ex direttori didattici);
              alla confluenza dei servizi e dei benefici assistenziali già previsti dagli articoli 2 e 2-bis del decreto legislativo del Capo provvisorio dello stato 21 ottobre 1947, n.  1346, istitutivo dell'ENAM, all'interno della gestione unitaria autonoma delle prestazioni creditizie e sociali istituita con l'articolo 1, comma 245, della legge 23 dicembre 1996, n.  662, a favore di tutti gli iscritti a tale gestione;
              all'eventuale istituzione di un contributo volontario mensile rivolto alla totalità degli iscritti alla gestione ex INPDAP e disciplinato con un regolamento adottato dall'INPS, al fine di assicurare ad una platea molto vasta di dipendenti (oltre 3 milioni), l'erogazione di servizi e prestazioni assistenziali aggiuntivi rispetto a quelli già erogati, con un aumento delle prestazioni complessive di welfare a loro favore.
9/5389/13. Centemero, Cazzola, De Torre.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 18, comma 1, del provvedimento in esame dispone l'istituzione di 10 città metropolitane e la conseguente soppressione delle relative province, ivi compresa Bologna;
              Bologna non ha le caratteristiche necessarie per diventare città metropolitana poiché completamente diversa dai grandi centri urbani quali Roma, Milano, Napoli, Genova che hanno una densità demografica altissima e problemi e situazioni territoriali omogenee che rendono difficile la distinzione del capoluogo dai restanti comuni della provincia;
              la definizione di città metropolitana dovrebbe essere fatta facendo riferimento ai servizi necessari, al ruolo finora svolto dalla provincia e alle prospettive dei comuni che hanno secoli e secoli di tradizione che verrebbero integrati nei nuovi organismi, cosa naturale solo nelle ipotesi di grandi agglomerati urbani con una elevata densità demografica;
              nel caso di Bologna, la città metropolitana sarebbe una cosa del tutto artificiale, priva di intima coerenza, che al massimo con i comuni della cintura potrebbe arrivare a 500.000 abitanti, cosa veramente assurda se confrontata con le analoghe aree metropolitane europee;
              sarebbe difficile peraltro trovare una collocazione istituzionale adeguata per quei comuni, che sono la maggioranza, che costituiscono la fascia estrema della provincia, confinanti con Modena, Ferrara, Ravenna e Pistoia. Il futuro di comuni che hanno una storia plurisecolare ed una spiccata identità sarebbe messo in pericolo e con esso tutta la conservazione delle tradizioni, dei costumi e degli usi dei propri abitanti;
              la provincia di Bologna, la cui popolazione ammonta a 950.000 abitanti di cui solo 370.000 nel capoluogo, vede una significativa presenza di comuni montani che costituiscono l'Appennino bolognese distante mediamente anche 70 km dal capoluogo come pure comuni della pianura situati a notevole distanza dalla città e per tali ragioni non si capisce la ratio di un provvedimento privo di prospettiva come quello che include la città felsinea nel novero delle città metropolitane,

impegna il Governo

a considerare un'opportuna ed approfondita riflessione sulla disposizione di cui all'articolo 18, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte ad escludere Bologna dal novero delle città metropolitane previste nel provvedimento in esame, trattandosi di una realtà che non presenta le caratteristiche richieste per l'area metropolitana.
9/5389/14. Garagnani.


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto-legge in esame contiene una serie di misure per la riduzione della spesa delle pubbliche amministrazioni per l'acquisto di beni e servizi, nei diversi ambiti del settore pubblico, per una migliore efficienza e valorizzazione del patrimonio pubblico, attraverso una razionalizzazione dell'amministrazione economico-finanziaria;
              le disposizioni che riguardano più specificatamente il settore dell'agricoltura, in coerenza con quanto suesposto prevedono misure per la riduzione dei trasferimenti statali agli enti di ricerca e quelle relative alla soppressione e alla riorganizzazione di enti e società;
              l'articolo 23-quater del medesimo decreto-legge dispone, infatti, la soppressione dell'Agenzia per lo sviluppo del settore ippico (ASSI), riprendendo le disposizioni contenute nell'articolo 3, comma 9, del decreto-legge n.  87 del 2012;
              le funzioni già attribuite all'ASSI dalla normativa vigente sono ripartite tra il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e l'Agenzia delle dogane e dei monopoli (che incorpora contestualmente l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato), nonché le relative risorse umane, finanziarie e strumentali e i relativi rapporti giuridici attivi e passivi;
              l'articolo 14, comma 28, del decreto-legge n.  98 del 2011 aveva trasformato l'Unione nazionale per l'incremento delle razze equine (UNIRE) in Agenzia per lo sviluppo del settore ippico (ASSI), struttura a carattere tecnico-operativo di interesse nazionale, secondo quanto previsto dall'articolo 8 del decreto legislativo n.  300 del 1999, sotto la vigilanza del Ministro delle politiche agricole;
              tra i compiti più rilevanti affidati all'Agenzia, subentrata alla titolarità dell'UNIRE, si segnalano: la promozione dell'incremento e miglioramento delle razze equine; la gestione dei libri genealogici; la revisione e la programmazione delle corse e dei programmi di allevamento; la valutazione delle strutture degli ippodromi e degli impianti di allevamento ed allenamento;
              nell'ambito dei processi di intervento relativi alla riorganizzazione del comparto ippico, occorre salvaguardare e valorizzare l'attività agonistica, in considerazione che l'equitazione sportiva rappresenta un volano d'indubbio prestigio per l'economia nazionale;
              l'equitazione agonistica, in tutte le espressioni formative, ludiche e addestrative, costituisce in considerazione di quanto suesposto, un fattore socio-economico di rilievo non marginale, in particolare se abbinata al turismo alberghiero coniugato con le manifestazioni sportive,

impegna il Governo

a porre, nell'ambito del processo di riorganizzazione del comparto ippico, particolare attenzione all'attività agonistica, attraverso interventi mirati a sostegno dell'equitazione in considerazione delle elevate potenzialità socio-economico che esso riveste in coerenza con quanto suesposto.
9/5389/15. Faenzi.


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto-legge in esame contiene una serie di misure per la riduzione della spesa delle pubbliche amministrazioni per l'acquisto di beni e servizi, nei diversi ambiti del settore pubblico, per una migliore efficienza e valorizzazione del patrimonio pubblico, attraverso una razionalizzazione dell'amministrazione economico-finanziaria;
              le disposizioni che riguardano più specificatamente il settore dell'agricoltura, in coerenza con quanto suesposto prevedono misure per la riduzione dei trasferimenti statali agli enti di ricerca e quelle relative alla soppressione e alla riorganizzazione di enti e società;
              l'articolo 23-quater del medesimo decreto-legge dispone, infatti, la soppressione dell'Agenzia per lo sviluppo del settore ippico (ASSI), riprendendo le disposizioni contenute nell'articolo 3, comma 9, del decreto-legge n.  87 del 2012;
              le funzioni già attribuite all'ASSI dalla normativa vigente sono ripartite tra il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e l'Agenzia delle dogane e dei monopoli (che incorpora contestualmente l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato), nonché le relative risorse umane, finanziarie e strumentali e i relativi rapporti giuridici attivi e passivi;
              l'articolo 14, comma 28, del decreto-legge n.  98 del 2011 aveva trasformato l'Unione nazionale per l'incremento delle razze equine (UNIRE) in Agenzia per lo sviluppo del settore ippico (ASSI), struttura a carattere tecnico-operativo di interesse nazionale, secondo quanto previsto dall'articolo 8 del decreto legislativo n.  300 del 1999, sotto la vigilanza del Ministro delle politiche agricole;
              tra i compiti più rilevanti affidati all'Agenzia, subentrata alla titolarità dell'UNIRE, si segnalano: la promozione dell'incremento e miglioramento delle razze equine; la gestione dei libri genealogici; la revisione e la programmazione delle corse e dei programmi di allevamento; la valutazione delle strutture degli ippodromi e degli impianti di allevamento ed allenamento;
              nell'ambito dei processi di intervento relativi alla riorganizzazione del comparto ippico, occorre salvaguardare e valorizzare l'attività agonistica, in considerazione che l'equitazione sportiva rappresenta un volano d'indubbio prestigio per l'economia nazionale;
              l'equitazione agonistica, in tutte le espressioni formative, ludiche e addestrative, costituisce in considerazione di quanto suesposto, un fattore socio-economico di rilievo non marginale, in particolare se abbinata al turismo alberghiero coniugato con le manifestazioni sportive,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, e nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di porre, nell'ambito del processo di riorganizzazione del comparto ippico, particolare attenzione all'attività agonistica, attraverso interventi mirati a sostegno dell'equitazione in considerazione delle elevate potenzialità socio-economico che esso riveste in coerenza con quanto suesposto.
9/5389/15.    (Testo modificato nel corso della seduta) Faenzi.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame è impostato su quattro linee principali di intervento al fine di conseguire i risultati di contenimento della spesa necessari essenzialmente per evitare l'aumento dell'IVA, secondo la ripartizione nei differenti titoli del provvedimento stesso;
              in particolare, esso reca preliminarmente disposizioni di carattere generale e procedurale, volte alla razionalizzazione dei processi di spesa e alla più corretta gestione del patrimonio immobiliare, nonché disposizioni indirizzate alla riduzione delle spese, rispettivamente, delle amministrazioni centrali e degli enti non territoriali, in campo sanitario e degli enti territoriali;
              nell'ambito delle misure finalizzate ad una migliore efficienza attraverso la soppressione e la riorganizzazione di enti e società del settore agricolo, il decreto-legge disciplina la soppressione dell'Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (INRAN), delle società Buonitalia Spa e dell'Agenzia per lo sviluppo del settore ippico (ASSI) e la riorganizzazione dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA);
              in coerenza con l'approvazione del documento di economia e finanza 2012, che interviene nell'ambito della razionalizzazione della spesa pubblica al fine della perequazione delle risorse finanziarie, risulta indifferibile prevedere la riorganizzazione della gestione del sistema agricolo nazionale, per ridurre le sovrapposizioni tra livelli decisionali e la spesa corrente primaria degli enti vigilati dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali,

impegna il Governo

a prevedere in tempi rapidi un intervento legislativo ad hoc al fine di una più efficiente razionalizzazione globale degli enti vigilati dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, dismettendo attività e strutture inutili ed eliminando sovrapposizioni e duplicazioni di compiti che determinano sprechi, inefficienze e sottoutilizzazione delle risorse umane impiegate.
9/5389/16. Nastri.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame è impostato su quattro linee principali di intervento al fine di conseguire i risultati di contenimento della spesa necessari essenzialmente per evitare l'aumento dell'IVA, secondo la ripartizione nei differenti titoli del provvedimento stesso;
              in particolare, esso reca preliminarmente disposizioni di carattere generale e procedurale, volte alla razionalizzazione dei processi di spesa e alla più corretta gestione del patrimonio immobiliare, nonché disposizioni indirizzate alla riduzione delle spese, rispettivamente, delle amministrazioni centrali e degli enti non territoriali, in campo sanitario e degli enti territoriali;
              nell'ambito delle misure finalizzate ad una migliore efficienza attraverso la soppressione e la riorganizzazione di enti e società del settore agricolo, il decreto-legge disciplina la soppressione dell'Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (INRAN), delle società Buonitalia Spa e dell'Agenzia per lo sviluppo del settore ippico (ASSI) e la riorganizzazione dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA);
              in coerenza con l'approvazione del documento di economia e finanza 2012, che interviene nell'ambito della razionalizzazione della spesa pubblica al fine della perequazione delle risorse finanziarie, risulta indifferibile prevedere la riorganizzazione della gestione del sistema agricolo nazionale, per ridurre le sovrapposizioni tra livelli decisionali e la spesa corrente primaria degli enti vigilati dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, e nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di prevedere in tempi rapidi un intervento legislativo ad hoc al fine di una più efficiente razionalizzazione globale degli enti vigilati dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, dismettendo attività e strutture inutili ed eliminando sovrapposizioni e duplicazioni di compiti che determinano sprechi, inefficienze e sottoutilizzazione delle risorse umane impiegate.
9/5389/16.    (Testo modificato nel corso della seduta) Nastri.


      La Camera,
          premesso che:
              la legge 18 dicembre 1997, n.  440, ha istituito a decorrere dall'esercizio finanziario 1997 nello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Fondo per l'arricchimento e l'ampliamento dell'offerta formativa e per gli incentivi perequativi, finalizzato alla piena realizzazione dell'autonomia scolastica, alla formazione del personale scolastico e alla realizzazione di interventi perequativi in favore delle istituzioni scolastiche tali da consentire l'incremento dell'offerta formativa;
              tra gli obiettivi del fondo per l'arricchimento e l'ampliamento dell'offerta formativa vi sono la piena realizzazione dell'autonomia organizzativa, didattica, di ricerca, di sperimentazione e di sviluppo;
              l'articolo 7 del decreto-legge in esame si prevede, al comma 37, che «All'articolo 1, comma 601, della legge 27 dicembre 2006, n.  296, sono apportate le seguenti modificazioni: a) dopo le parole “integrare i fondi stessi” sono aggiunte “nonché l'autorizzazione di spesa di cui alla legge 18 dicembre 1997, n.  440, quota parte pari a 15,7 milioni dei fondi destinati all'attuazione del piano programmatico di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 28 marzo 2003, n.  53, l'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 634, della legge 27 dicembre 2006, n.  296. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio”; b) dopo le parole: “di cui al presente comma” sono inserite le seguenti: “nonché per la determinazione delle misure nazionali relative al sistema pubblico di istruzione e formazione”» e, al comma 37-bis, che «Sono abrogati l'articolo 2 della legge 18 dicembre 1997, n.  440, e il secondo periodo dell'articolo 1, comma 634, della legge 27 dicembre 2006, n.  296.», di fatto modificando strutturalmente la legge n.  440 del 1997,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di novellare la legge n.  440 del 1997, adeguandola alle trasformazioni, anche normative, del sistema scolastico nazionale e nell'ottica di una gestione più efficace delle risorse disponibili.
9/5389/17. Barbieri, Centemero.


      La Camera,
          premesso che:
              la legge 18 dicembre 1997, n.  440, ha istituito a decorrere dall'esercizio finanziario 1997 nello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Fondo per l'arricchimento e l'ampliamento dell'offerta formativa e per gli incentivi perequativi, finalizzato alla piena realizzazione dell'autonomia scolastica, alla formazione del personale scolastico e alla realizzazione di interventi perequativi in favore delle istituzioni scolastiche tali da consentire l'incremento dell'offerta formativa;
              tra gli obiettivi del fondo per l'arricchimento e l'ampliamento dell'offerta formativa vi sono la piena realizzazione dell'autonomia organizzativa, didattica, di ricerca, di sperimentazione e di sviluppo;
              l'articolo 7 del decreto-legge in esame si prevede, al comma 37, che «All'articolo 1, comma 601, della legge 27 dicembre 2006, n.  296, sono apportate le seguenti modificazioni: a) dopo le parole “integrare i fondi stessi” sono aggiunte “nonché l'autorizzazione di spesa di cui alla legge 18 dicembre 1997, n.  440, quota parte pari a 15,7 milioni dei fondi destinati all'attuazione del piano programmatico di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 28 marzo 2003, n.  53, l'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 634, della legge 27 dicembre 2006, n.  296. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio”; b) dopo le parole: “di cui al presente comma” sono inserite le seguenti: “nonché per la determinazione delle misure nazionali relative al sistema pubblico di istruzione e formazione”» e, al comma 37-bis, che «Sono abrogati l'articolo 2 della legge 18 dicembre 1997, n.  440, e il secondo periodo dell'articolo 1, comma 634, della legge 27 dicembre 2006, n.  296.», di fatto modificando strutturalmente la legge n.  440 del 1997,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di novellare la legge n.  440 del 1997, adeguandola alle trasformazioni, anche normative, del sistema scolastico nazionale e nell'ottica di una gestione più efficace delle risorse disponibili.
9/5389/17.    (Testo modificato nel corso della seduta) Barbieri, Centemero.


      La Camera,
          premesso che:
              all'articolo 14, comma 17, del decreto-legge in esame in relazione al personale dipendente docente a tempo indeterminato che, al termine delle operazioni di mobilità e di assegnazione dei posti, risulti in esubero nella propria classe di concorso nella provincia in cui presta servizio, è previsto che venga assegnato per la durata dell'anno scolastico successivo un posto nella medesima provincia, con priorità sul personale a tempo determinato, sulla base di alcuni criteri come il possesso del titolo di studio valido, secondo la normativa vigente, per l'accesso all'insegnamento nello specifico grado d'istruzione o per ciascuna classe di concorso;
              all'articolo 14, comma 17, lettera b), è previsto che i docenti in esubero siano utilizzati anche sui posti di sostegno disponibili all'inizio dell'anno scolastico, nei casi in cui il dipendente disponga del previsto titolo di specializzazione oppure qualora abbia frequentato un apposito corso di formazione;
              la riduzione degli organici ha avuto effetto sul personale cosiddetto «precario» e sul personale docente in ruolo: per l'anno scolastico 2011-2012 sono stati stimati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in 8.000 docenti in esubero (assunti in ruolo, ma perdenti posto);
              il decreto direttoriale n.  7 del 2012 regolamenta i corsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno destinati esclusivamente al personale docente appartenente a classi di concorso in esubero; i corsi, il cui costo è sostenuto interamente dal MIUR, si articola in tre moduli, ciascuno equivalente a 20 crediti formativi, corrispondenti a un livello base, intermedio e avanzato rispettivamente; una volta seguito il corso e superata la prova finale, i docenti assumerebbero pertanto una cattedra in ruolo sull'attività di sostegno;
              attualmente i docenti di sostegno assunti in ruolo hanno conseguito la specializzazione all'insegnamento attraverso percorsi formativi specifici e articolati, preparatori per le attività di sostegno, come previsto dall'articolo 325 del decreto legislativo 297 del 1994, quali corsi biennali di 1280 ore, e corsi post-specializzazione presso le scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario (SSIS), corsi di laurea in scienze della formazione primaria;
              inoltre, il decreto dirigenziale n.  7 del 2012 prevede che l'adesione ai corsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno sia su base volontaria;
              la legge n.  183 del 2011 dispone in tema di mobilità e collocamento in disponibilità dei dipendenti pubblici che il docente dovrebbe essere ricollocato in un altro ramo della pubblica amministrazione e se ciò non fosse possibile andrebbe incontro alla cassa integrazione e al successivo licenziamento; la scelta appare pertanto obbligata,

impegna il Governo

a valutare, sulla base di quanto esposto in premessa, la concreta applicabilità della disposizione di cui all'articolo 14, comma 17, lettera b), al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte ad utilizzare il personale docente a tempo indeterminato in esubero su posti per il sostegno solo nel caso in cui sia già in possesso del previsto titolo di studio.
9/5389/18. Pagano, Centemero.


      La Camera,
          premesso che:
              all'articolo 14, comma 17, del decreto-legge in esame in relazione al personale dipendente docente a tempo indeterminato che, al termine delle operazioni di mobilità e di assegnazione dei posti, risulti in esubero nella propria classe di concorso nella provincia in cui presta servizio, è previsto che venga assegnato per la durata dell'anno scolastico successivo un posto nella medesima provincia, con priorità sul personale a tempo determinato, sulla base di alcuni criteri come il possesso del titolo di studio valido, secondo la normativa vigente, per l'accesso all'insegnamento nello specifico grado d'istruzione o per ciascuna classe di concorso;
              all'articolo 14, comma 17, lettera b), è previsto che i docenti in esubero siano utilizzati anche sui posti di sostegno disponibili all'inizio dell'anno scolastico, nei casi in cui il dipendente disponga del previsto titolo di specializzazione oppure qualora abbia frequentato un apposito corso di formazione;
              la riduzione degli organici ha avuto effetto sul personale cosiddetto «precario» e sul personale docente in ruolo: per l'anno scolastico 2011-2012 sono stati stimati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in 8.000 docenti in esubero (assunti in ruolo, ma perdenti posto);
              il decreto direttoriale n.  7 del 2012 regolamenta i corsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno destinati esclusivamente al personale docente appartenente a classi di concorso in esubero; i corsi, il cui costo è sostenuto interamente dal MIUR, si articola in tre moduli, ciascuno equivalente a 20 crediti formativi, corrispondenti a un livello base, intermedio e avanzato rispettivamente; una volta seguito il corso e superata la prova finale, i docenti assumerebbero pertanto una cattedra in ruolo sull'attività di sostegno;
              attualmente i docenti di sostegno assunti in ruolo hanno conseguito la specializzazione all'insegnamento attraverso percorsi formativi specifici e articolati, preparatori per le attività di sostegno, come previsto dall'articolo 325 del decreto legislativo 297 del 1994, quali corsi biennali di 1280 ore, e corsi post-specializzazione presso le scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario (SSIS), corsi di laurea in scienze della formazione primaria;
              inoltre, il decreto dirigenziale n.  7 del 2012 prevede che l'adesione ai corsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno sia su base volontaria;
              la legge n.  183 del 2011 dispone in tema di mobilità e collocamento in disponibilità dei dipendenti pubblici che il docente dovrebbe essere ricollocato in un altro ramo della pubblica amministrazione e se ciò non fosse possibile andrebbe incontro alla cassa integrazione e al successivo licenziamento; la scelta appare pertanto obbligata,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, e sulla base di quanto esposto in premessa, di una concreta applicabilità della disposizione di cui all'articolo 14, comma 17, lettera b), al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte ad utilizzare il personale docente a tempo indeterminato in esubero su posti per il sostegno solo nel caso in cui sia già in possesso del previsto titolo di studio.
9/5389/18.    (Testo modificato nel corso della seduta) Pagano, Centemero.


      La Camera,
          premesso che:
              le istituzioni scolastiche italiane e i corsi di lingua e cultura italiane all'estero sono ad oggi regolati dalla legge 3 marzo 1971, n.  153, e dalla parte V del Testo Unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n.  297;
              la presenza di istituzioni scolastiche e di iniziative di formazione al di fuori del territorio metropolitano nacque storicamente con l'intento di fornire risposte alle esigenze dei figli dei nostri immigrati per consentire di non perdere le loro radici culturali e di reinserirsi nella società italiana in caso di rientro in Italia. Rispetto al momento storico di nascita della legge 3 marzo 1971 n.  153, la situazione è radicalmente mutata per il progressivo trasformarsi delle caratteristiche sociali e culturali degli italiani all'estero;
              il comma 11 dell'articolo 14 del decreto in esame apporta modifiche al decreto legislativo 16 aprile 1994, n.  297, all'articolo 626, comma 1, riducendo da 100 a 70 unità i dirigenti scolastici assegnati al servizio all'estero e all'articolo 639, comma 3, stabilendo il limite massimo di 624 unità per il personale docente e non in servizio all'estero;
              il comma 12 dell'articolo 14 dello stesso decreto-legge prescrive che a decorrere dall'entrata in vigore del decreto-legge e fino al raggiungimento del limite previsto dal comma 11, lettera b), non possano essere disposte nuove selezioni per il personale da destinare all'estero ai sensi dell'articolo 639 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n.  297, né possano essere rinnovati i relativi comandi o fuori ruolo,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di definire un percorso di riforma organica e sistemica delle scuole italiane all'estero e della presenza italiana nel settore dell'istruzione, della formazione e dell'insegnamento della lingua e cultura italiana all'estero.
9/5389/19. Palmieri, Centemero.


      La Camera,
          premesso che:
              le istituzioni scolastiche italiane e i corsi di lingua e cultura italiane all'estero sono ad oggi regolati dalla legge 3 marzo 1971, n.  153, e dalla parte V del Testo Unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n.  297;
              la presenza di istituzioni scolastiche e di iniziative di formazione al di fuori del territorio metropolitano nacque storicamente con l'intento di fornire risposte alle esigenze dei figli dei nostri immigrati per consentire di non perdere le loro radici culturali e di reinserirsi nella società italiana in caso di rientro in Italia. Rispetto al momento storico di nascita della legge 3 marzo 1971 n.  153, la situazione è radicalmente mutata per il progressivo trasformarsi delle caratteristiche sociali e culturali degli italiani all'estero;
              il comma 11 dell'articolo 14 del decreto in esame apporta modifiche al decreto legislativo 16 aprile 1994, n.  297, all'articolo 626, comma 1, riducendo da 100 a 70 unità i dirigenti scolastici assegnati al servizio all'estero e all'articolo 639, comma 3, stabilendo il limite massimo di 624 unità per il personale docente e non in servizio all'estero;
              il comma 12 dell'articolo 14 dello stesso decreto-legge prescrive che a decorrere dall'entrata in vigore del decreto-legge e fino al raggiungimento del limite previsto dal comma 11, lettera b), non possano essere disposte nuove selezioni per il personale da destinare all'estero ai sensi dell'articolo 639 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n.  297, né possano essere rinnovati i relativi comandi o fuori ruolo,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di definire un percorso di riforma organica e sistemica delle scuole italiane all'estero e della presenza italiana nel settore dell'istruzione, della formazione e dell'insegnamento della lingua e cultura italiana all'estero.
9/5389/19.    (Testo modificato nel corso della seduta) Palmieri, Centemero.


      La Camera,
          premesso che:
              il comma 11-bis dell'articolo 15 del presente decreto impone ai medici prescrittori di indicare solo il principio attivo contenuto nel farmaco o di apporre accanto alla clausola di «non sostituibilità», se ritengono di voler indicare anche il nome commerciale del farmaco, una sintetica motivazione di questa scelta;
              suddetta prescrizione normativa, come lamentato da diverse sigle rappresentanti dei medici, produrrà un cospicuo aumento dei costi a carico delle amministrazioni regionali e nazionali poiché le software house delle cartelle cliniche informatizzate dovranno totalmente modificare i software gestionali al fine di consentire al medico di prescrivere il principio attivo, oggi non codificato nel software in quanto non previsto da nessun nomenclatore in uso;
              è noto che giurisprudenza consolidata abbia affidato la responsabilità della scelta prescrittiva in capo al medico, anche per non influire negativamente sul diritto alla salute, sancito dall'articolo 32 della Costituzione,

impegna il Governo:

          a prevedere immediate ed opportune forme di coinvolgimento tra il Ministero della salute e le realtà rappresentative del mondo medico, finalizzate all'apertura di un confronto equilibrato e proficuo su:
              a) i costi che il settore medico sopporterebbe;
              b) il reale beneficio in termini di revisione della spesa dello Stato;
              c) l'impatto di tali previsioni normative sul diritto alla salute, sancito dall'articolo 32 della Costituzione.
9/5389/20. Fucci, Distaso.


      La Camera,
          premesso che:
              il comma 11-bis dell'articolo 15 del presente decreto impone ai medici prescrittori di indicare solo il principio attivo contenuto nel farmaco o di apporre accanto alla clausola di «non sostituibilità», se ritengono di voler indicare anche il nome commerciale del farmaco, una sintetica motivazione di questa scelta;
              suddetta prescrizione normativa, come lamentato da diverse sigle rappresentanti dei medici, produrrà un cospicuo aumento dei costi a carico delle amministrazioni regionali e nazionali poiché le software house delle cartelle cliniche informatizzate dovranno totalmente modificare i software gestionali al fine di consentire al medico di prescrivere il principio attivo, oggi non codificato nel software in quanto non previsto da nessun nomenclatore in uso;
              è noto che giurisprudenza consolidata abbia affidato la responsabilità della scelta prescrittiva in capo al medico, anche per non influire negativamente sul diritto alla salute, sancito dall'articolo 32 della Costituzione,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità, e nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di prevedere immediate ed opportune forme di coinvolgimento tra il Ministero della salute e le realtà rappresentative del mondo medico, finalizzate all'apertura di un confronto equilibrato e proficuo su:
              a) i costi che il settore medico sopporterebbe;
              b) il reale beneficio in termini di revisione della spesa dello Stato;
              c) l'impatto di tali previsioni normative sul diritto alla salute, sancito dall'articolo 32 della Costituzione.
9/5389/20.    (Testo modificato nel corso della seduta) Fucci, Distaso.


      La Camera,
          premesso che:
              il sistema carcerario italiano soffre di carenze strutturali, organizzative e di personale acuiti dal noto sovraffollamento delle carceri che si protrae da diversi anni, tanto che diventa problematico procedere all'apertura di nuovi padiglioni per mancanza di personale;
              il personale dell'Amministrazione penitenziaria è costituito da una serie variegata di figure professionali che assicurano la gestione degli istituti penitenziari, il trattamento e la rieducazione dei condannati e svolgono attività di esecuzione penale esterna attraverso gli uffici di esecuzione penale;
              già da decenni il personale vive in una situazione di grave sott'organico, tanto che occorrerebbero almeno 3 mila unità per colmare lacune e carenze dell'attività svolta in ambito penitenziario;
              la situazione dell'intero sistema carcerario è al limite del collasso stante la presenza di oltre 67 mila detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 45 mila, per cui sarebbe non auspicabile la riduzione di oltre 800 educatori, assistenti sociali, contabili, tecnici, amministrativi dell'Amministrazione penitenziaria a fronte di una presenza in servizio di sole 5 mila e 700 unità, insufficienti al pieno funzionamento dell'esecuzione penale, tanto che oltre 2 mila unità del Corpo di Polizia Penitenziaria, sono distolte dai loro compiti istituzionali per far fronte alla carenza di organico in tale settore;
              i tagli lineari già realizzati con le precedenti manovre economiche hanno aggravato una situazione portandola al limite del collasso,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative affinché si attuino interventi mirati al risparmio di spesa in materia di acquisto di beni e servizi razionalizzando i settori di intervento e evitando la riduzione del personale civile dell'Amministrazione penitenziaria indispensabile al funzionamento dell'intero sistema carcerario.
9/5389/21. Bellotti, Scandroglio, Catanoso.


      La Camera,
          premesso che:
              il sistema carcerario italiano soffre di carenze strutturali, organizzative e di personale acuiti dal noto sovraffollamento delle carceri che si protrae da diversi anni, tanto che diventa problematico procedere all'apertura di nuovi padiglioni per mancanza di personale;
              il personale dell'Amministrazione penitenziaria è costituito da una serie variegata di figure professionali che assicurano la gestione degli istituti penitenziari, il trattamento e la rieducazione dei condannati e svolgono attività di esecuzione penale esterna attraverso gli uffici di esecuzione penale;
              già da decenni il personale vive in una situazione di grave sott'organico, tanto che occorrerebbero almeno 3 mila unità per colmare lacune e carenze dell'attività svolta in ambito penitenziario;
              la situazione dell'intero sistema carcerario è al limite del collasso stante la presenza di oltre 67 mila detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 45 mila, per cui sarebbe non auspicabile la riduzione di oltre 800 educatori, assistenti sociali, contabili, tecnici, amministrativi dell'Amministrazione penitenziaria a fronte di una presenza in servizio di sole 5 mila e 700 unità, insufficienti al pieno funzionamento dell'esecuzione penale, tanto che oltre 2 mila unità del Corpo di Polizia Penitenziaria, sono distolte dai loro compiti istituzionali per far fronte alla carenza di organico in tale settore;
              i tagli lineari già realizzati con le precedenti manovre economiche hanno aggravato una situazione portandola al limite del collasso,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, e nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di adottare le opportune iniziative affinché si attuino interventi mirati al risparmio di spesa in materia di acquisto di beni e servizi razionalizzando i settori di intervento e evitando la riduzione del personale civile dell'Amministrazione penitenziaria indispensabile al funzionamento dell'intero sistema carcerario.
9/5389/21.    (Testo modificato nel corso della seduta) Bellotti, Scandroglio, Catanoso.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame è diretto a promuovere la riduzione o il contenimento di spesa per le amministrazioni pubbliche;
              l'articolo 2 dispone la riduzione degli uffici e delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni dello Stato in misura non inferiore al 20 per cento per il personale dirigenziale e del 10 per cento della spesa complessiva relativa al numero dei posti in organico per il personale non dirigenziale;
              il segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettere dell'8 e del 14 maggio 2012, indirizzate ai capi di gabinetto ed ai capi dipartimento della Presidenza, ha stabilito che il personale «fuori comparto» in assegnazione temporanea deve essere restituito alle amministrazioni di provenienza, nell'ambito di una politica di contenimento della spesa;
              ove si configuri tale evenienza, si rischia di attuare una restituzione indiscriminata che danneggia non solo il personale, ma soprattutto l'efficienza complessiva delle strutture della Presidenza, rispetto alle quali non è stata predisposta una ristrutturazione organizzativa tale da giustificare una riduzione del personale o di specifiche professionalità;
              l'organico della Presidenza del Consiglio dei ministri è scoperto per alcune centinaia di posti;
              il personale che si vuole restituire viene individuato sulla base di tagli lineari che non assicurano il raggiungimento dell'obiettivo del risparmio di spesa, per cui appare opportuno verificare il rapporto costi-benefici per l'amministrazione di ciascuna unità di personale individuata prima di assumere qualsiasi decisione,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate al fine di adottare tempestivamente – per consentire ulteriori risparmi di spesa – iniziative idonee affinché le amministrazioni dello Stato e la Presidenza del Consiglio dei ministri possano provvedere alla copertura dei posti vacanti in organico con il personale comandato o fuori ruolo attualmente in servizio presso le stesse, continuando ad avvalersi di professionalità ed esperienze acquisite ed evitando oneri aggiuntivi per la formazione di altro personale, anche in attuazione dell'articolo 30 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165.
9/5389/22. Esposito, Boccuzzi.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame è diretto a promuovere la riduzione o il contenimento di spesa per le amministrazioni pubbliche;
              l'articolo 2 dispone la riduzione degli uffici e delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni dello Stato in misura non inferiore al 20 per cento per il personale dirigenziale e del 10 per cento della spesa complessiva relativa al numero dei posti in organico per il personale non dirigenziale;
              il segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettere dell'8 e del 14 maggio 2012, indirizzate ai capi di gabinetto ed ai capi dipartimento della Presidenza, ha stabilito che il personale «fuori comparto» in assegnazione temporanea deve essere restituito alle amministrazioni di provenienza, nell'ambito di una politica di contenimento della spesa;
              ove si configuri tale evenienza, si rischia di attuare una restituzione indiscriminata che danneggia non solo il personale, ma soprattutto l'efficienza complessiva delle strutture della Presidenza, rispetto alle quali non è stata predisposta una ristrutturazione organizzativa tale da giustificare una riduzione del personale o di specifiche professionalità;
              l'organico della Presidenza del Consiglio dei ministri è scoperto per alcune centinaia di posti;
              il personale che si vuole restituire viene individuato sulla base di tagli lineari che non assicurano il raggiungimento dell'obiettivo del risparmio di spesa, per cui appare opportuno verificare il rapporto costi-benefici per l'amministrazione di ciascuna unità di personale individuata prima di assumere qualsiasi decisione,

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate al fine di adottare tempestivamente – per consentire ulteriori risparmi di spesa – iniziative idonee affinché le amministrazioni dello Stato e la Presidenza del Consiglio dei ministri possano provvedere alla copertura dei posti vacanti in organico con il personale comandato o fuori ruolo attualmente in servizio presso le stesse, continuando ad avvalersi di professionalità ed esperienze acquisite ed evitando oneri aggiuntivi per la formazione di altro personale, anche in attuazione dell'articolo 30 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165.
9/5389/22.    (Testo modificato nel corso della seduta) Esposito, Boccuzzi.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento reca una serie di disposizioni di rilievo concernenti il pubblico impiego e, in particolare, i docenti universitari;
              questa categoria di personale è alla base della tenuta del sistema pubblico, in quanto preposta alla gestione di una realtà di grande rilevanza, come l'università, che deve essere sostenuta con forza, per creare le premesse per un rilancio del Paese;
              per tali ragioni, risulterebbe incomprensibile rinunciare all'apporto di esperienza e conoscenza dei professori universitari di prima fascia, i quali – pur in possesso del decreto di pensionamento per il settantaduesimo anno di età – potrebbero proseguire a svolgere le proprie funzioni, ad invarianza della spesa,

impegna il Governo

a verificare la possibilità che i professori universitari di prima fascia, già in possesso di decreto rettorale di pensionamento al raggiungimento del settantaduesimo anno di età, siano collocati, a domanda, fuori ruolo al termine dell'anno accademico nel quale compiono il settantesimo anno di età, per un periodo di ulteriori due anni, mantenendo conseguentemente le prerogative accademiche e le funzioni che già ricoprivano prima del decreto rettorale, proprie dello status di professore di ruolo, essendo a tali professori erogato, senza oneri aggiuntivi per le rispettive università, il trattamento pensionistico ordinariamente spettante a carico del competente ente previdenziale.
9/5389/23. Vincenzo Antonio Fontana.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento reca una serie di disposizioni di rilievo sul personale docente delle scuole e sul personale nei ruoli degli ausiliari tecnici e amministrativi impiegati negli istituti scolastici;
              il personale tecnico-pratico è alla base della tenuta del sistema pubblico, in quanto preposto alla gestione di una realtà di grande rilevanza, come la scuola, che deve essere sostenuta con forza, per creare le premesse per un rilancio del Paese;
              sotto il profilo del personale tecnico della scuola, si ricorda che l'articolo 8 della legge 3 maggio 1999, n.  124, ha stabilito il trasferimento degli insegnanti tecnico pratici (ITP) dai ruoli degli enti locali a quelli dello Stato, attraverso il riconoscimento ai fini giuridici ed economici dell'anzianità maturata presso l'ente locale di provenienza (il succitato articolo 8 della legge n.  124 del 1999 garantiva ai lavoratori il riconoscimento delle anzianità maturate e l'inquadramento nelle qualifiche corrispondenti);
              per una serie di interpretazioni giuridiche contrapposte, il personale ITP – dopo una prima fase in cui ha avuto il riconoscimento – ha poi visto negato il diritto alla ricostruzione della propria carriera, dando vita a un contenzioso che è giunto sino in sede europea;
              occorre, dunque, trovare una soluzione equilibrata per questa delicata e annosa questione, anche al fine di bloccare immediatamente le richieste di recupero illegittimo delle somme già corrisposte agli ITP, prima dell'emanazione del comma 218 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n.  266, che rappresenta un onere assolutamente insostenibile per le famiglie coinvolte;
              sotto questo profilo, le possibili soluzioni che sono state ipotizzate nei periodi più recenti – tra cui quelle che vorrebbero far confluire il personale ITP nell'ambito del personale ATA – non appaiono assolutamente condivisibili;
              si ricorda, peraltro, che proprio a sostegno del personale ITP e dei diritti degli insegnanti interessati si è pronunciata – con l'assenso del rappresentante del Governo – anche la XI Commissione (Lavoro) della Camera, che ha approvato all'unanimità, lo scorso 25 luglio 2012, la risoluzione Giammanco 8-00196,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di salvaguardare la competenza e la professionalità maturate dagli ITP nel corso degli anni e ad impedire il transito degli stessi al ruolo del personale non docente ATA, anche per evitare che si creino disagi nell'andamento della vita scolastica.
9/5389/24. Berardi, Pagano, Vincenzo Antonio Fontana.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento reca una serie di disposizioni di rilievo sul personale docente delle scuole e sul personale nei ruoli degli ausiliari tecnici e amministrativi impiegati negli istituti scolastici;
              il personale tecnico-pratico è alla base della tenuta del sistema pubblico, in quanto preposto alla gestione di una realtà di grande rilevanza, come la scuola, che deve essere sostenuta con forza, per creare le premesse per un rilancio del Paese;
              sotto il profilo del personale tecnico della scuola, si ricorda che l'articolo 8 della legge 3 maggio 1999, n.  124, ha stabilito il trasferimento degli insegnanti tecnico pratici (ITP) dai ruoli degli enti locali a quelli dello Stato, attraverso il riconoscimento ai fini giuridici ed economici dell'anzianità maturata presso l'ente locale di provenienza (il succitato articolo 8 della legge n.  124 del 1999 garantiva ai lavoratori il riconoscimento delle anzianità maturate e l'inquadramento nelle qualifiche corrispondenti);
              per una serie di interpretazioni giuridiche contrapposte, il personale ITP – dopo una prima fase in cui ha avuto il riconoscimento – ha poi visto negato il diritto alla ricostruzione della propria carriera, dando vita a un contenzioso che è giunto sino in sede europea;
              occorre, dunque, trovare una soluzione equilibrata per questa delicata e annosa questione, anche al fine di bloccare immediatamente le richieste di recupero illegittimo delle somme già corrisposte agli ITP, prima dell'emanazione del comma 218 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n.  266, che rappresenta un onere assolutamente insostenibile per le famiglie coinvolte;
              sotto questo profilo, le possibili soluzioni che sono state ipotizzate nei periodi più recenti – tra cui quelle che vorrebbero far confluire il personale ITP nell'ambito del personale ATA – non appaiono assolutamente condivisibili;
              si ricorda, peraltro, che proprio a sostegno del personale ITP e dei diritti degli insegnanti interessati si è pronunciata – con l'assenso del rappresentante del Governo – anche la XI Commissione (Lavoro) della Camera, che ha approvato all'unanimità, lo scorso 25 luglio 2012, la risoluzione Giammanco 8-00196,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di salvaguardare la competenza e la professionalità maturate dagli ITP nel corso degli anni e ad impedire il transito degli stessi al ruolo del personale non docente ATA, anche per evitare che si creino disagi nell'andamento della vita scolastica.
9/5389/24.    (Testo modificato nel corso della seduta) Berardi, Pagano, Vincenzo Antonio Fontana.


      La Camera
          premesso che:
              l'articolo 1 comma 26-ter, prevede che «a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e fino al 31 dicembre 2015 è sospesa la concessione dei contributi di cui agli articoli 35 e 37 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.  42, e successive modificazioni»;
              tale impostazione risulta particolarmente penalizzante per le domande di contributo già presentate da diversi anni e già ad istruttoria ultimata e con riferimento alle quali il contributo non risulta ad oggi totalmente o parzialmente erogato,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disposizione richiamata in premessa, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere che l'applicazione della sospensione da parte del Governo non riguardi le domande già approvate prima del 31 dicembre 2007.
9/5389/25. Gava.


      La Camera
          premesso che:
              l'articolo 1 comma 26-ter, prevede che «a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e fino al 31 dicembre 2015 è sospesa la concessione dei contributi di cui agli articoli 35 e 37 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.  42, e successive modificazioni»;
              tale impostazione risulta particolarmente penalizzante per le domande di contributo già presentate da diversi anni e già ad istruttoria ultimata e con riferimento alle quali il contributo non risulta ad oggi totalmente o parzialmente erogato,

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, gli effetti applicativi della disposizione richiamata in premessa, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere che l'applicazione della sospensione da parte del Governo non riguardi le domande già approvate prima del 31 dicembre 2007.
9/5389/25.    (Testo modificato nel corso della seduta) Gava.


      La Camera,
          atteso che l'articolo 23-quater del decreto-legge in esame prevede, tra l'altro, l'incorporazione, a decorrere dal 1o dicembre 2012, dell'Agenzia del territorio nell'Agenzia delle entrate;
              rilevato come la Commissione Finanze della Camera dei deputati abbia approvato, nella seduta del 4 luglio 2012, la risoluzione n.  8-00185 Ventucci ed altri, la quale, nel segnalare l'esigenza di operare, nel quadro più ampio delle misure di razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica, una complessiva riforma dell'organizzazione dell'Amministrazione finanziaria, anche attraverso una revisione del numero delle Agenzie fiscali ed una redistribuzione delle relative competenze, abbia tuttavia impegnato il Governo a realizzare tale riorganizzazione in coordinamento con la delega legislativa recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente ed orientato alla crescita recata dal disegno di legge C. 5291, assegnato in sede referente alla stessa Commissione Finanze;
              preso atto della decisione del Governo di scindere la riorganizzazione delle Agenzie fiscali dall'attuazione della delega per la riforma fiscale;
              rilevato come tale scelta risulti diatonica rispetto a precedenti esperienze di riforma, in occasione delle quali la revisione degli assetti organizzativi dell'Amministrazione finanziaria era sempre stata realizzata in parallelo con la riforma della disciplina fiscale sostanziale;
              evidenziato come il predetto orientamento dell'Esecutivo possa presentare profili problematici, in particolare per quanto riguarda gli aspetti relativi all'Agenzia del territorio, sia in quanto il citato disegno di legge C. 5291 intende attribuire alla predetta Agenzia ulteriori funzioni nel quadro della revisione del catasto dei fabbricati, sia soprattutto, in quanto appare necessario evitare confusioni tra le funzioni di attribuzione del valore e della rendita catastale dei fabbricati e quelle di accertamento e liquidazione dei tributi immobiliari basati su tali valori;
              rilevata altresì la necessità di tener conto del fatto che l'Agenzia del territorio non svolge esclusivamente funzioni strettamente tributarie, ma costituisce anche un fondamentale strumento in materia catastale e di pubblicità immobiliare, svolge funzioni cartografiche relative al patrimonio immobiliare, oltre a ricoprire un fondamentale ruolo di supporto e collaborazione nei confronti dei comuni per quanto riguarda la gestione delle funzioni catastali, nonché per quanto attiene, più in generale, allo svolgimento delle funzioni urbanistiche,

impegna il Governo:

          a valutare con attenzione le modalità attraverso le quali si procederà all'incorporazione nell'Agenzia delle entrate dell'Agenzia del territorio, tenendo conto dell'eterogeneità delle funzioni attribuite a quest'ultima, al fine di:
              assicurare la necessaria coerenza tra la disciplina tributaria sostanziale e gli assetti amministrativi chiamati ad attuare la predetta disciplina;
              assicurare il necessario coordinamento tra la riforma del sistema catastale prevista dal predetto disegno di legge delega C. 5291 e la riorganizzazione delle strutture competenti in tale materia operato con il decreto in esame;
              garantire che l'incorporazione non pregiudichi in alcun modo la piena e costante operatività dei servizi catastali, cartografici e di pubblicità immobiliare;
              scongiurare ogni confusione tra le attività di attribuzione delle rendite catastali degli immobili e l'attività di accertamento e liquidazione dei tributi immobiliari, evitando in particolare che l'attribuzione di tali, diverse funzioni ad un unico soggetto, possa tradursi in un ulteriore, improprio strumento di inasprimento della pressione fiscale sui cespiti immobiliari;
              assicurare che la predetta dinamica di incorporazione non pregiudichi il processo di decentramento e collaborazione già in atto con gli enti locali per quanto riguarda lo svolgimento delle funzioni catastali e delle altre funzioni legate agli adempimenti immobiliari ed alla gestione urbanistica del territorio;
              a fornire al Parlamento un'adeguata e costante informativa in merito all'attuazione del processo di incorporazione, sia per quanto riguarda la funzionalità degli assetti organizzativi, sia per quanto riguarda gli effetti di risparmio determinati da tale processo.
9/5389/26. Antonio Pepe.


      La Camera,
          atteso che l'articolo 23-quater del decreto-legge in esame prevede, tra l'altro, l'incorporazione, a decorrere dal 1o dicembre 2012, dell'Agenzia del territorio nell'Agenzia delle entrate;
              rilevato come la Commissione Finanze della Camera dei deputati abbia approvato, nella seduta del 4 luglio 2012, la risoluzione n.  8-00185 Ventucci ed altri, la quale, nel segnalare l'esigenza di operare, nel quadro più ampio delle misure di razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica, una complessiva riforma dell'organizzazione dell'Amministrazione finanziaria, anche attraverso una revisione del numero delle Agenzie fiscali ed una redistribuzione delle relative competenze, abbia tuttavia impegnato il Governo a realizzare tale riorganizzazione in coordinamento con la delega legislativa recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente ed orientato alla crescita recata dal disegno di legge C. 5291, assegnato in sede referente alla stessa Commissione Finanze;
              preso atto della decisione del Governo di scindere la riorganizzazione delle Agenzie fiscali dall'attuazione della delega per la riforma fiscale;
              rilevato come tale scelta risulti diatonica rispetto a precedenti esperienze di riforma, in occasione delle quali la revisione degli assetti organizzativi dell'Amministrazione finanziaria era sempre stata realizzata in parallelo con la riforma della disciplina fiscale sostanziale;
              evidenziato come il predetto orientamento dell'Esecutivo possa presentare profili problematici, in particolare per quanto riguarda gli aspetti relativi all'Agenzia del territorio, sia in quanto il citato disegno di legge C. 5291 intende attribuire alla predetta Agenzia ulteriori funzioni nel quadro della revisione del catasto dei fabbricati, sia soprattutto, in quanto appare necessario evitare confusioni tra le funzioni di attribuzione del valore e della rendita catastale dei fabbricati e quelle di accertamento e liquidazione dei tributi immobiliari basati su tali valori;
              rilevata altresì la necessità di tener conto del fatto che l'Agenzia del territorio non svolge esclusivamente funzioni strettamente tributarie, ma costituisce anche un fondamentale strumento in materia catastale e di pubblicità immobiliare, svolge funzioni cartografiche relative al patrimonio immobiliare, oltre a ricoprire un fondamentale ruolo di supporto e collaborazione nei confronti dei comuni per quanto riguarda la gestione delle funzioni catastali, nonché per quanto attiene, più in generale, allo svolgimento delle funzioni urbanistiche,

impegna il Governo:

          a valutare, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, con attenzione le modalità attraverso le quali si procederà all'incorporazione nell'Agenzia delle entrate dell'Agenzia del territorio, tenendo conto dell'eterogeneità delle funzioni attribuite a quest'ultima, al fine di:
              assicurare la necessaria coerenza tra la disciplina tributaria sostanziale e gli assetti amministrativi chiamati ad attuare la predetta disciplina;
              assicurare il necessario coordinamento tra la riforma del sistema catastale prevista dal predetto disegno di legge delega C. 5291 e la riorganizzazione delle strutture competenti in tale materia operato con il decreto in esame;
              garantire che l'incorporazione non pregiudichi in alcun modo la piena e costante operatività dei servizi catastali, cartografici e di pubblicità immobiliare;
              scongiurare ogni confusione tra le attività di attribuzione delle rendite catastali degli immobili e l'attività di accertamento e liquidazione dei tributi immobiliari, evitando in particolare che l'attribuzione di tali, diverse funzioni ad un unico soggetto, possa tradursi in un ulteriore, improprio strumento di inasprimento della pressione fiscale sui cespiti immobiliari;
              assicurare che la predetta dinamica di incorporazione non pregiudichi il processo di decentramento e collaborazione già in atto con gli enti locali per quanto riguarda lo svolgimento delle funzioni catastali e delle altre funzioni legate agli adempimenti immobiliari ed alla gestione urbanistica del territorio;
              a fornire al Parlamento un'adeguata e costante informativa in merito all'attuazione del processo di incorporazione, sia per quanto riguarda la funzionalità degli assetti organizzativi, sia per quanto riguarda gli effetti di risparmio determinati da tale processo.
9/5389/26.    (Testo modificato nel corso della seduta) Antonio Pepe.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 17 dispone un generale riordino delle province attraverso un articolato procedimento condiviso con le comunità locali; la ridefinizione delle loro funzioni, prevedendo tra l'altro il conferimento di ulteriori funzioni oltre a quelle di coordinamento stabilite;
              si prevede una deliberazione del Consiglio dei ministri sui relativi criteri, direttamente individuati nella dimensione territoriale e nella popolazione residente; una deliberazione, da parte del Consiglio autonomie locali o dell'organo regionale di raccordo di un piano di riduzioni e accorpamenti (qualificate «iniziative di riordino» delle province), un parere della Conferenza unificata per la riduzione e l'accorpamento delle province nelle regioni che non abbiano avanzato proposte di riordino; un atto legislativo di iniziativa governativa di soppressione o accorpamento delle province, «sulla base» delle iniziative deliberate;
              il Governo ha attuato la disposizione di cui al comma 2 dell'articolo 17 con la deliberazione del Consiglio dei ministri 20 luglio 2012, che ha definito i criteri per il riordino delle province previsti dalla norma in esame. In base ai criteri approvati, i nuovi enti dovranno avere almeno 350 mila abitanti ed estendersi su una superficie territoriale non inferiore ai 2.500 chilometri quadrati;
              la suddetta deliberazione ha stabilito anche che il comune capoluogo di ciascuna delle province esistenti in esito al riordino è il comune capoluogo con maggior popolazione residente;
              l'impatto dell'intervento normativo non potrà che tradursi nella soppressione di un certo numero di province, nella loro riaggregazione in nuove province o nell'accorpamento a province superstiti, con il risultato di una sostanziale riduzione del numero delle province stesse;
              l'articolo 10 prevede una riorganizzazione generale della presenza dello Stato sul territorio, con la previsione alla lettera b) del comma 2 del mantenimento tendenziale della circoscrizione provinciale quale ambito territoriale di competenza delle Prefetture-Ufficio territoriale dello Stato e degli altri uffici periferici delle pubbliche amministrazioni già organizzati su base provinciale,

impegna il Governo:

          in sede di attuazione delle disposizioni in esame, a garantire la più corretta e funzionale ubicazione di tutte quelle istituzioni o uffici legati allo Stato connessi alla sussistenza dell'Ente Provincia (Prefettura, Questura, Comandi provinciali dei Vigili del Fuoco, Carabinieri, Guardia di Finanza e Camera di Commercio);
          a tal fine individuare – prescindendo anche dall'ubicazione della città capoluogo – una funzionale collocazione degli uffici predetti tenendo conto delle caratteristiche socio-economiche del territorio e delle esigenze di salvaguardia dell'ordine e la sicurezza pubblica e degli interessi economici nei nuovi territori provinciali.
9/5389/27. Pizzolante, Mazzuca, Tommaso Foti, Ceroni.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 17 dispone un generale riordino delle province attraverso un articolato procedimento condiviso con le comunità locali; la ridefinizione delle loro funzioni, prevedendo tra l'altro il conferimento di ulteriori funzioni oltre a quelle di coordinamento stabilite;
              si prevede una deliberazione del Consiglio dei ministri sui relativi criteri, direttamente individuati nella dimensione territoriale e nella popolazione residente; una deliberazione, da parte del Consiglio autonomie locali o dell'organo regionale di raccordo di un piano di riduzioni e accorpamenti (qualificate «iniziative di riordino» delle province), un parere della Conferenza unificata per la riduzione e l'accorpamento delle province nelle regioni che non abbiano avanzato proposte di riordino; un atto legislativo di iniziativa governativa di soppressione o accorpamento delle province, «sulla base» delle iniziative deliberate;
              il Governo ha attuato la disposizione di cui al comma 2 dell'articolo 17 con la deliberazione del Consiglio dei ministri 20 luglio 2012, che ha definito i criteri per il riordino delle province previsti dalla norma in esame. In base ai criteri approvati, i nuovi enti dovranno avere almeno 350 mila abitanti ed estendersi su una superficie territoriale non inferiore ai 2.500 chilometri quadrati;
              la suddetta deliberazione ha stabilito anche che il comune capoluogo di ciascuna delle province esistenti in esito al riordino è il comune capoluogo con maggior popolazione residente;
              l'impatto dell'intervento normativo non potrà che tradursi nella soppressione di un certo numero di province, nella loro riaggregazione in nuove province o nell'accorpamento a province superstiti, con il risultato di una sostanziale riduzione del numero delle province stesse;
              l'articolo 10 prevede una riorganizzazione generale della presenza dello Stato sul territorio, con la previsione alla lettera b) del comma 2 del mantenimento tendenziale della circoscrizione provinciale quale ambito territoriale di competenza delle Prefetture-Ufficio territoriale dello Stato e degli altri uffici periferici delle pubbliche amministrazioni già organizzati su base provinciale,

impegna il Governo:

          in sede di attuazione delle disposizioni in esame, a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di garantire la più corretta e funzionale ubicazione di tutte quelle istituzioni o uffici legati allo Stato connessi alla sussistenza dell'Ente Provincia (Prefettura, Questura, Comandi provinciali dei Vigili del Fuoco, Carabinieri, Guardia di Finanza e Camera di Commercio);
          a tal fine individuare – prescindendo anche dall'ubicazione della città capoluogo – una funzionale collocazione degli uffici predetti tenendo conto delle caratteristiche socio-economiche del territorio e delle esigenze di salvaguardia dell'ordine e la sicurezza pubblica e degli interessi economici nei nuovi territori provinciali.
9/5389/27.    (Testo modificato nel corso della seduta) Pizzolante, Mazzuca, Tommaso Foti, Ceroni.


      La Camera
          premesso che;
              l'articolo 17 del decreto-legge in esame dispone che le province siano soppresse o accorpate sulla base dei criteri e secondo la procedura che prevede anche, tra l'altro: una deliberazione del Consiglio dei ministri sui relativi criteri, direttamente individuati nella dimensione territoriale e nella popolazione residente; una deliberazione, da parte del Consiglio delle autonomie locali o dell'organo regionale di raccordo di un piano di riduzioni e accorpamenti;
              la norma in questione individua alcune deroghe al riordino che riguardano: le province nel cui territorio si trova il capoluogo di regione; le province che confinano solo con province di regioni diverse da quella di appartenenza o con province destinate a trasformarsi in città metropolitane; le province autonome di Trento e Bolzano (la cui istituzione è prevista a livello costituzionale);
              il Governo ha attuato la disposizione di cui al comma 2 dell'articolo 17 con la deliberazione del Consiglio dei ministri 20 luglio 2012, che ha definito i criteri per il riordino delle province previsti dalla norma in esame. In base ai criteri approvati, i nuovi enti dovranno avere almeno 350 mila abitanti ed estendersi su una superficie territoriale non inferiore ai 2.500 chilometri quadrati;
              si rileva che in tre regioni (Molise, Basilicata e Umbria) verrebbe a costituirsi una sola provincia, il cui territorio coincide con quello regionale,
              si evidenzia che la soppressione della provincia nelle regioni in cui sono presenti solo due province non comporterà nessun miglioramento economico, nessuna razionalizzazione delle spese politico- amministrative e nessun perfezionamento della gestione territoriale ma produrrà un accentramento tanto inutile quanto deleterio,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi, in particolare quelli evidenziati nell'ultimo capoverso delle premesse, al fine di considerare l'opportunità di escludere dal riordino previsto dall'articolo 17 le Regioni a statuto ordinario in cui attualmente insistono solo due Province.
9/5389/28. De Camillis, Taddei.


      La Camera
          premesso che:
              l'articolo 17, comma 1-bis, della legge 3 agosto 1998, n.  269, recante norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno dei minori, quali nuove forme di schiavitù, come modificata dalla legge 6 febbraio 2006, n.  38, prevede l'istituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento per le Pari opportunità, dell'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile;
              l'Osservatorio svolge un ruolo fondamentale sul versante europeo ed internazionale, soprattutto nell'ambito dei principali organismi rappresentativi competenti e sensibili alle tematiche connesse all'universo «infanzia»;
              tra le principali attività in ambito internazionale, è significativo l'impegno dell'Osservatorio nell'ambito delle azioni poste in essere dal Consiglio d'Europa per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno della violenza sessuale a danno dei minori, in particolare attraverso il Programma «Costruire un'Europa per e con i bambini» ed i suoi successivi sviluppi;
              in tale contesto, cruciale e di primo piano è stato il ruolo dell'Osservatorio, rappresentante per l'Italia, nel negoziato della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori dall'abuso e dallo sfruttamento sessuale (Convenzione di Lanzarote);
              l'articolo 17, comma 1-bis, della legge 3 agosto 1998, n.  269, così come modificato dalla legge 6 febbraio 2006, n.  38, prevede, inoltre, l'istituzione presso l'Osservatorio di una banca dati per raccogliere, con l'apporto dei dati forniti dalle altre amministrazioni centrali, tutte le informazioni utili per il monitoraggio del fenomeno;
              attraverso l'istituenda banca dati l'Osservatorio, mediante il monitoraggio delle attività svolte da tutte le Pubbliche Amministrazioni, può giungere ad una lettura completa ed approfondita del fenomeno, la cui percezione risulta spesso falsata dalla frammentarietà e disomogeneità del patrimonio informativo esistente, finalizzata all'elaborazione di strategie mirate per la prevenzione e la repressione della pedofilia nonché per il sostegno alle vittime;
              dal 2009 agli inizi del 2012, l'Osservatorio ha agito a supporto dell'attività del focal point nazionale sui diritti dell'infanzia e l'eliminazione di ogni forma di violenza a danno dei minori presso il Consiglio d'Europa;
              il focal point rappresenta l'interfaccia con il Consiglio d'Europa e ricopre un ruolo istituzionale di «rete» sul piano nazionale rispetto all'universo «infanzia». Tra le attività più recenti si segnala l'attività di coordinamento per il contributo italiano alla Bozza della nuova Strategia del Consiglio d'Europa sui diritti del bambino, per gli anni 2012-2015, presentata a Monaco in occasione della Conferenza tenutasi il 20-21 novembre 2011 ed adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa il 15 febbraio 2012; il commento italiano alla Raccomandazione (2012)2 del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa agli Stati Membri sulla partecipazione dei bambini e degli adolescenti, adottata il 28 marzo 2012;
              l'Osservatorio ha seguito ed è tuttora impegnato su diverse ed importanti iniziative, tra cui: il negoziato che ha condotto all'adozione della nuova direttiva europea 2011/92/UE del 13 dicembre 2011, relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile; i lavori del Comitato Interministeriale dei Diritti Umani (CIDU) per tutto ciò che riguarda l'attuazione in Italia della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo e l'implementazione del Protocollo Opzionale che si occupa di vendita dei bambini, prostituzione minorile e pedopornografia: della fine del 2011 è la redazione del contributo italiano al Sondaggio globale sul follow up relativo allo Studio delle Nazioni Unite sulla violenza a danno dei minori; il progetto «Sviluppo di una metodologia per identificare e supportare i bambini che sono stati sfruttati sessualmente per la produzione di immagini pedopornografiche» finanziato dalla Commissione Europea nell'ambito del programma Prevention and Fight Against Crime 2007-2013; la partecipazione al programma Safer Internet della Commissione Europea in materia di nuovi media e tutela dei minori; la partecipazione alle iniziative dell'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali (FRA), riguardo all'elaborazione di appositi indicatori di valutazione dell'impatto delle misure legislative e delle politiche adottate dall'UE per garantire un livello sempre maggiore di protezione dei diritti dei minori;
              tra gli altri compiti l'Osservatorio – la cui attività non comporta alcun onere finanziario (non sono, infatti, previsti gettoni di presenza, né rimborsi spese ai componenti) – si sottolineano: la promozione di studi e ricerche sul fenomeno; la redazione di una relazione tecnico-scientifica annuale a consuntivo delle attività svolte anche ai fini della predisposizione della Relazione annuale del Presidente del Consiglio dei Ministri al Parlamento (articolo 17, comma 1, della legge 3 agosto 1998, n.  269); la predisposizione del Piano Nazionale di prevenzione e contrasto dell'abuso e dello sfruttamento sessuale dei minori, da sottoporre all'approvazione del Comitato Interministeriale di coordinamento per la lotta alla pedofilia – C.I.C.Lo.Pe.; l'acquisizione dei dati inerenti le attività di monitoraggio e di verifica dei risultati coordinandone le modalità e le tipologie di acquisizione ed assicurandone l'omogeneità;
              in considerazione della rilevante tematica di cui trattasi, nonché degli impegni assunti a livello europeo ed internazionale, si ritiene, ad avviso della presentatrice, che le suddette attività svolte dall'Osservatorio non possano essere trasferite ai competenti Uffici del Dipartimento per le pari opportunità, così come previsto dall'articolo 12, comma 20, del decreto-legge in esame,

impegna il Governo

a valutare, anche alla luce di quanto esposto in premessa, gli effetti applicativi della disposizione di cui al comma 20 dell'articolo 12, al fine di salvaguardare l'esperienza svolta dall'Osservatorio, a legislazione vigente senza oneri per lo Stato, attraverso il mantenimento della sua autonoma attività nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
9/5389/29. Lorenzin.


      La Camera
          premesso che:
              l'articolo 17, comma 1-bis, della legge 3 agosto 1998, n.  269, recante norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno dei minori, quali nuove forme di schiavitù, come modificata dalla legge 6 febbraio 2006, n.  38, prevede l'istituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento per le Pari opportunità, dell'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile;
              l'Osservatorio svolge un ruolo fondamentale sul versante europeo ed internazionale, soprattutto nell'ambito dei principali organismi rappresentativi competenti e sensibili alle tematiche connesse all'universo «infanzia»;
              tra le principali attività in ambito internazionale, è significativo l'impegno dell'Osservatorio nell'ambito delle azioni poste in essere dal Consiglio d'Europa per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno della violenza sessuale a danno dei minori, in particolare attraverso il Programma «Costruire un'Europa per e con i bambini» ed i suoi successivi sviluppi;
              in tale contesto, cruciale e di primo piano è stato il ruolo dell'Osservatorio, rappresentante per l'Italia, nel negoziato della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori dall'abuso e dallo sfruttamento sessuale (Convenzione di Lanzarote);
              l'articolo 17, comma 1-bis, della legge 3 agosto 1998, n.  269, così come modificato dalla legge 6 febbraio 2006, n.  38, prevede, inoltre, l'istituzione presso l'Osservatorio di una banca dati per raccogliere, con l'apporto dei dati forniti dalle altre amministrazioni centrali, tutte le informazioni utili per il monitoraggio del fenomeno;
              attraverso l'istituenda banca dati l'Osservatorio, mediante il monitoraggio delle attività svolte da tutte le Pubbliche Amministrazioni, può giungere ad una lettura completa ed approfondita del fenomeno, la cui percezione risulta spesso falsata dalla frammentarietà e disomogeneità del patrimonio informativo esistente, finalizzata all'elaborazione di strategie mirate per la prevenzione e la repressione della pedofilia nonché per il sostegno alle vittime;
              dal 2009 agli inizi del 2012, l'Osservatorio ha agito a supporto dell'attività del focal point nazionale sui diritti dell'infanzia e l'eliminazione di ogni forma di violenza a danno dei minori presso il Consiglio d'Europa;
              il focal point rappresenta l'interfaccia con il Consiglio d'Europa e ricopre un ruolo istituzionale di «rete» sul piano nazionale rispetto all'universo «infanzia». Tra le attività più recenti si segnala l'attività di coordinamento per il contributo italiano alla Bozza della nuova Strategia del Consiglio d'Europa sui diritti del bambino, per gli anni 2012-2015, presentata a Monaco in occasione della Conferenza tenutasi il 20-21 novembre 2011 ed adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa il 15 febbraio 2012; il commento italiano alla Raccomandazione (2012)2 del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa agli Stati Membri sulla partecipazione dei bambini e degli adolescenti, adottata il 28 marzo 2012;
              l'Osservatorio ha seguito ed è tuttora impegnato su diverse ed importanti iniziative, tra cui: il negoziato che ha condotto all'adozione della nuova direttiva europea 2011/92/UE del 13 dicembre 2011, relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile; i lavori del Comitato Interministeriale dei Diritti Umani (CIDU) per tutto ciò che riguarda l'attuazione in Italia della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo e l'implementazione del Protocollo Opzionale che si occupa di vendita dei bambini, prostituzione minorile e pedopornografia: della fine del 2011 è la redazione del contributo italiano al Sondaggio globale sul follow up relativo allo Studio delle Nazioni Unite sulla violenza a danno dei minori; il progetto «Sviluppo di una metodologia per identificare e supportare i bambini che sono stati sfruttati sessualmente per la produzione di immagini pedopornografiche» finanziato dalla Commissione Europea nell'ambito del programma Prevention and Fight Against Crime 2007-2013; la partecipazione al programma Safer Internet della Commissione Europea in materia di nuovi media e tutela dei minori; la partecipazione alle iniziative dell'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali (FRA), riguardo all'elaborazione di appositi indicatori di valutazione dell'impatto delle misure legislative e delle politiche adottate dall'UE per garantire un livello sempre maggiore di protezione dei diritti dei minori;
              tra gli altri compiti l'Osservatorio – la cui attività non comporta alcun onere finanziario (non sono, infatti, previsti gettoni di presenza, né rimborsi spese ai componenti) – si sottolineano: la promozione di studi e ricerche sul fenomeno; la redazione di una relazione tecnico-scientifica annuale a consuntivo delle attività svolte anche ai fini della predisposizione della Relazione annuale del Presidente del Consiglio dei Ministri al Parlamento (articolo 17, comma 1, della legge 3 agosto 1998, n.  269); la predisposizione del Piano Nazionale di prevenzione e contrasto dell'abuso e dello sfruttamento sessuale dei minori, da sottoporre all'approvazione del Comitato Interministeriale di coordinamento per la lotta alla pedofilia – C.I.C.Lo.Pe.; l'acquisizione dei dati inerenti le attività di monitoraggio e di verifica dei risultati coordinandone le modalità e le tipologie di acquisizione ed assicurandone l'omogeneità;
              in considerazione della rilevante tematica di cui trattasi, nonché degli impegni assunti a livello europeo ed internazionale, si ritiene, ad avviso della presentatrice, che le suddette attività svolte dall'Osservatorio non possano essere trasferite ai competenti Uffici del Dipartimento per le pari opportunità, così come previsto dall'articolo 12, comma 20, del decreto-legge in esame,

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, anche alla luce di quanto esposto in premessa, gli effetti applicativi della disposizione di cui al comma 20 dell'articolo 12, al fine di salvaguardare l'esperienza svolta dall'Osservatorio, a legislazione vigente senza oneri per lo Stato, attraverso il mantenimento della sua autonoma attività nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
9/5389/29.    (Testo modificato nel corso della seduta) Lorenzin.


      La Camera,
          considerato che:
              in un Paese come l'Italia, nella maggioranza dei casi, alla provincia corrispondo retaggi storici e realtà territoriali consolidati da secoli;
              l'articolo 17 del provvedimento in esame provvede al riordino delle Province delle Regioni a statuto ordinario, in base al quale ciascuna regione trasmette al Governo una proposta di riordino delle province ubicate nel proprio territorio, nel rispetto dei requisiti minimi di dimensione territoriale e di popolazione, a seguito della quale il Governo emana il provvedimento di riordino; la norma si applica anche alle province delle Regioni a statuto speciale, sia pure sotto forma di autonoma riorganizzazione;
              l'articolo 10 provvede alla riorganizzazione degli uffici territoriali dello Stato, in sostanza riformando le prefetture che restano legate alla dimensione provinciale; di conseguenza riducendo le province, avremo una riduzione anche delle prefetture, salvo casi eccezionali; più in generale con la riorganizzazione delle province dovranno essere riorganizzati gli uffici corrispondenti alle loro funzioni, sia trasferendoli a Regioni e comuni, sia adeguandoli alla nuova realtà territoriale;
              il comma 4-bis dell'articolo 17 prevede che in ciascuna provincia riformata, assume il ruolo di comune capoluogo delle singole province il comune già capoluogo di provincia con maggior popolazione residente, salvo il caso di diverso accordo tra i comuni già capoluogo di ciascuna provincia oggetto di riordino;
              nulla dispone i provvedimento in materia di denominazione delle province riformate, né in materia di uniforme distribuzione sul territorio degli uffici provinciali riformati o trasferiti ad altri enti,

impegna il Governo:

          a prevedere, nell'applicazione dell'articolo 17 del provvedimento in esame, che le regioni possano stabilire, sentiti i consigli provinciali uscenti, la denominazioni delle nuova provincia e che denominazioni, salvo il caso in cui sia stabilite ex novo, non possono coincidere con quella di una delle province accorpate, ma possono consistere nella sommatoria delle precedenti denominazioni;
          a tener conto della necessità di assicurare l'invarianza dei servizi ai cittadini e, per quel che riguarda i territori interessati, della necessità di una distribuzione uniforme degli uffici e dei servizi rimasti in carico alle province o trasferiti ad altri enti, valutando l'opportunità di mantenere, per taluni servizi e funzioni, delle sedi distaccate, qualora non comportino maggiori oneri di finanza pubblica o minori risparmi.
9/5389/30. Minardo, Garofalo, Catanoso, Germanà.


      La Camera,
          considerato che:
              in un Paese come l'Italia, nella maggioranza dei casi, alla provincia corrispondo retaggi storici e realtà territoriali consolidati da secoli;
              l'articolo 17 del provvedimento in esame provvede al riordino delle Province delle Regioni a statuto ordinario, in base al quale ciascuna regione trasmette al Governo una proposta di riordino delle province ubicate nel proprio territorio, nel rispetto dei requisiti minimi di dimensione territoriale e di popolazione, a seguito della quale il Governo emana il provvedimento di riordino; la norma si applica anche alle province delle Regioni a statuto speciale, sia pure sotto forma di autonoma riorganizzazione;
              l'articolo 10 provvede alla riorganizzazione degli uffici territoriali dello Stato, in sostanza riformando le prefetture che restano legate alla dimensione provinciale; di conseguenza riducendo le province, avremo una riduzione anche delle prefetture, salvo casi eccezionali; più in generale con la riorganizzazione delle province dovranno essere riorganizzati gli uffici corrispondenti alle loro funzioni, sia trasferendoli a Regioni e comuni, sia adeguandoli alla nuova realtà territoriale;
              il comma 4-bis dell'articolo 17 prevede che in ciascuna provincia riformata, assume il ruolo di comune capoluogo delle singole province il comune già capoluogo di provincia con maggior popolazione residente, salvo il caso di diverso accordo tra i comuni già capoluogo di ciascuna provincia oggetto di riordino;
              nulla dispone i provvedimento in materia di denominazione delle province riformate, né in materia di uniforme distribuzione sul territorio degli uffici provinciali riformati o trasferiti ad altri enti,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di prevedere, nell'applicazione dell'articolo 17 del provvedimento in esame, che le regioni possano stabilire, sentiti i consigli provinciali uscenti, la denominazioni delle nuova provincia e che denominazioni, salvo il caso in cui sia stabilite ex novo, non possono coincidere con quella di una delle province accorpate, ma possono consistere nella sommatoria delle precedenti denominazioni;
          a tener conto della necessità di assicurare l'invarianza dei servizi ai cittadini e, per quel che riguarda i territori interessati, della necessità di una distribuzione uniforme degli uffici e dei servizi rimasti in carico alle province o trasferiti ad altri enti, valutando l'opportunità di mantenere, per taluni servizi e funzioni, delle sedi distaccate, qualora non comportino maggiori oneri di finanza pubblica o minori risparmi.
9/5389/30.    (Testo modificato nel corso della seduta) Minardo, Garofalo, Catanoso, Germanà.


      La Camera,
          premesso che:
              il comma 3 dell'articolo 14 del decreto-legge in esame, novellando il comma 13 dell'articolo 66 del decreto-legge 112/2008 (L. 133/2008), e introducendo nello stesso il comma 13-bis, dispone in merito ai limiti assunzionali per le università statali, che potranno procedere al turn-over nella misura del 20 per cento del personale cessato dal servizio nell'anno precedente per il triennio 2012-2014, del 50 per cento per il 2015 e del 100 per cento dal 2016;
              in particolare, il comma 3 interviene sull'articolo 66, comma 13, del decreto-legge 112/2008 (L. 133/2008), che, come modificato da ultimo dal decreto-legge 216/2011, recava la disciplina sul turn-over nelle università statali per il quadriennio 2009-2012, limitandone la validità al triennio 2009-2011;
              in questa fase di riordino nell'ambito universitario non si è affrontato il problema che interessa molti docenti soprattutto universitari di tutta Italia che si sono visti scadere l'idoneità acquisita a seguito di concorso nazionale;
              nell'ultimo decreto-legge cosiddetto «mille proroghe» è stata prorogata, proprio a causa dei blocchi alle assunzioni, la validità delle graduatorie di tutti i concorsi indetti dalle Pubbliche Amministrazioni;
              tuttavia questa «dizione» non può essere estesa ai docenti universitari, in quanto il termine graduatoria non comprenderebbe il diverso termine «idoneità», creando una disparità di trattamento all'interno della stessa Pubblica Amministrazione;
              a tal proposito il Ministro dell'istruzione, università e ricerca, in sede di audizione in Commissione Cultura al Senato, aveva riconosciuto la fondatezza del problema e aveva assicurato un intervento governativo sul tema,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi dell'articolo 14, comma 3, al fine di adottare un opportuno provvedimento volto a garantire l'immissione in servizio dei docenti descritti in premessa, prorogando a tal fine la validità delle idoneità scadute.
9/5389/31. Laffranco.


      La Camera,
          premesso che:
              il comma 3 dell'articolo 14 del decreto-legge in esame, novellando il comma 13 dell'articolo 66 del decreto-legge 112/2008 (L. 133/2008), e introducendo nello stesso il comma 13-bis, dispone in merito ai limiti assunzionali per le università statali, che potranno procedere al turn-over nella misura del 20 per cento del personale cessato dal servizio nell'anno precedente per il triennio 2012-2014, del 50 per cento per il 2015 e del 100 per cento dal 2016;
              in particolare, il comma 3 interviene sull'articolo 66, comma 13, del decreto-legge 112/2008 (L. 133/2008), che, come modificato da ultimo dal decreto-legge 216/2011, recava la disciplina sul turn-over nelle università statali per il quadriennio 2009-2012, limitandone la validità al triennio 2009-2011;
              in questa fase di riordino nell'ambito universitario non si è affrontato il problema che interessa molti docenti soprattutto universitari di tutta Italia che si sono visti scadere l'idoneità acquisita a seguito di concorso nazionale;
              nell'ultimo decreto-legge cosiddetto «mille proroghe» è stata prorogata, proprio a causa dei blocchi alle assunzioni, la validità delle graduatorie di tutti i concorsi indetti dalle Pubbliche Amministrazioni;
              tuttavia questa «dizione» non può essere estesa ai docenti universitari, in quanto il termine graduatoria non comprenderebbe il diverso termine «idoneità», creando una disparità di trattamento all'interno della stessa Pubblica Amministrazione;
              a tal proposito il Ministro dell'istruzione, università e ricerca, in sede di audizione in Commissione Cultura al Senato, aveva riconosciuto la fondatezza del problema e aveva assicurato un intervento governativo sul tema,

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, gli effetti applicativi dell'articolo 14, comma 3, al fine di adottare un opportuno provvedimento volto a garantire l'immissione in servizio dei docenti descritti in premessa, prorogando a tal fine la validità delle idoneità scadute.
9/5389/31.    (Testo modificato nel corso della seduta) Laffranco.


      La Camera,
          premesso che:
              il comma 16 dell'articolo 14 del decreto legge in esame presenta una interpretazione restrittiva della norma sul dimensionamento delle istituzioni scolastiche dislocate in «aree geografiche caratterizzate da specificità linguistica» e limita la possibilità di assegnare a quelle istituzioni dirigenti scolastici con incarico a tempo indeterminato nelle quali siano presenti «minoranze di lingua madre straniera»;
              tale formulazione prefigura una preoccupante disparità tra minoranze nazionali che fanno riferimento a una «lingua tetto straniera» e minoranze linguistiche che non possono far valere tale copertura, ciò in violazione alla Legge 15 dicembre 1999, n.  482 «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche»;
              la suddetta violazione implicherebbe l'accettazione della circostanza in virtù della quale esistono lingue minoritarie «importanti» (come il tedesco, lo sloveno ed il francese) e lingue minoritarie meno importanti (come il friulano, il sardo e le varietà occitane) che tuttavia il Legislatore pone sullo stesso piano di tutela;
              è in corso di ratifica la Carta europea delle lingue regionali e minoritarie che rafforza il principio di riconoscimento e salvaguardia delle predette minoranza linguistiche,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di tutelare tutte le comunità linguistiche di antico insediamento nel rispetto di quel pluralismo che ispira il dettato costituzionale.
9/5389/32. Compagnon.


      La Camera,
          premesso che:
              il comma 16 dell'articolo 14 del decreto legge in esame presenta una interpretazione restrittiva della norma sul dimensionamento delle istituzioni scolastiche dislocate in «aree geografiche caratterizzate da specificità linguistica» e limita la possibilità di assegnare a quelle istituzioni dirigenti scolastici con incarico a tempo indeterminato nelle quali siano presenti «minoranze di lingua madre straniera»;
              tale formulazione prefigura una preoccupante disparità tra minoranze nazionali che fanno riferimento a una «lingua tetto straniera» e minoranze linguistiche che non possono far valere tale copertura, ciò in violazione alla Legge 15 dicembre 1999, n.  482 «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche»;
              la suddetta violazione implicherebbe l'accettazione della circostanza in virtù della quale esistono lingue minoritarie «importanti» (come il tedesco, lo sloveno ed il francese) e lingue minoritarie meno importanti (come il friulano, il sardo e le varietà occitane) che tuttavia il Legislatore pone sullo stesso piano di tutela;
              è in corso di ratifica la Carta europea delle lingue regionali e minoritarie che rafforza il principio di riconoscimento e salvaguardia delle predette minoranza linguistiche,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di tutelare tutte le comunità linguistiche di antico insediamento nel rispetto di quel pluralismo che ispira il dettato costituzionale.
9/5389/32.    (Testo modificato nel corso della seduta) Compagnon.


      La Camera,
          appreso che, in funzione delle norme citate, Poste Italiane ha inviato all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) il piano per la chiusura e la riorganizzazione degli uffici postali anti-economici in tutta Italia dal quale risulta la chiusura di 1156 sportelli e la razionalizzazione, con riduzione di orario e giorni di apertura di 638 dei quali ben 174 in Toscana;
          considerato altresì che di questi ben 174 sono in Toscana e che nella provincia di Firenze gli uffici postali per i quali è prevista la chiusura son ben 19, di seguito indicati: Granaiolo e Monterappoli (Empoli), Massarella e Querce (Fucecchio), Vico d'Elsa (Barberino Val d'Elsa), Romola (San Casciano in Val di Pesa), Chiocchio (Greve in Chianti), San Vincenzo a Torri (Scandicci), Osteria Nuova (Bagno a Ripoli), San Donato in Collina (Rignano sull'Arno), Diacceto e Consuma (Pelago), Donnini e Vallombrosa (Reggello), Ronta e Polcanto (Borgo San Lorenzo), Bruscoli (Firenzuola), Cavallina (Barberino del Mugello), Crespino del Lamone (Marradi); tenuto conto che negli ultimi anni Poste Spa ha già avviato un processo di razionalizzazione del servizio;
          considerato che i nuovi provvedimenti arrecheranno sicuramente disagio in special modo ai soggetti anziani e/o a ridotta mobilità disagio ulteriormente aggravato dalle condizioni del territorio (per esempio aree montane o de localizzate) che si troverebbero a non poter usufruire di servizi essenziali quali il pagamento delle bollette o la riscossione della pensione;
          considerato inoltre che la chiusura degli sportelli c.d. antieconomici provocherà comunque un aggravio di carico su quelli dei Comuni capoluogo che resteranno aperti, provocando in particolare congestione nelle giornate coincidenti con le varie scadenze di riscossioni e pagamenti;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire, nell'ambito delle proprie competenze, su Poste Italiane, al fine di favorire una revisione del piano di riorganizzazione degli uffici postali che tenga conto anche di criteri valutativi quali la localizzazione territoriale degli sportelli (in aree montane o disagiate) e l'accrescimento dell'affluenza presso gli sportelli che rimarranno aperti, anche ai fini di una migliore allocazione delle risorse umane dedicate ai servizi essenziali.
9/5389/33. Bonciani, Bosi.


      La Camera,
          appreso che, in funzione delle norme citate, Poste Italiane ha inviato all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) il piano per la chiusura e la riorganizzazione degli uffici postali anti-economici in tutta Italia dal quale risulta la chiusura di 1156 sportelli e la razionalizzazione, con riduzione di orario e giorni di apertura di 638 dei quali ben 174 in Toscana;
          considerato altresì che di questi ben 174 sono in Toscana e che nella provincia di Firenze gli uffici postali per i quali è prevista la chiusura son ben 19, di seguito indicati: Granaiolo e Monterappoli (Empoli), Massarella e Querce (Fucecchio), Vico d'Elsa (Barberino Val d'Elsa), Romola (San Casciano in Val di Pesa), Chiocchio (Greve in Chianti), San Vincenzo a Torri (Scandicci), Osteria Nuova (Bagno a Ripoli), San Donato in Collina (Rignano sull'Arno), Diacceto e Consuma (Pelago), Donnini e Vallombrosa (Reggello), Ronta e Polcanto (Borgo San Lorenzo), Bruscoli (Firenzuola), Cavallina (Barberino del Mugello), Crespino del Lamone (Marradi); tenuto conto che negli ultimi anni Poste Spa ha già avviato un processo di razionalizzazione del servizio;
          considerato che i nuovi provvedimenti arrecheranno sicuramente disagio in special modo ai soggetti anziani e/o a ridotta mobilità disagio ulteriormente aggravato dalle condizioni del territorio (per esempio aree montane o de localizzate) che si troverebbero a non poter usufruire di servizi essenziali quali il pagamento delle bollette o la riscossione della pensione;
          considerato inoltre che la chiusura degli sportelli c.d. antieconomici provocherà comunque un aggravio di carico su quelli dei Comuni capoluogo che resteranno aperti, provocando in particolare congestione nelle giornate coincidenti con le varie scadenze di riscossioni e pagamenti;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di intervenire, nell'ambito delle proprie competenze, su Poste Italiane, al fine di favorire una revisione del piano di riorganizzazione degli uffici postali che tenga conto anche di criteri valutativi quali la localizzazione territoriale degli sportelli (in aree montane o disagiate) e l'accrescimento dell'affluenza presso gli sportelli che rimarranno aperti, anche ai fini di una migliore allocazione delle risorse umane dedicate ai servizi essenziali.
9/5389/33.    (Testo modificato nel corso della seduta) Bonciani, Bosi.


      La Camera,

impegna il Governo

al fine di evitare dannose soluzioni di continuità nelle attività di formazione avviate, ad assicurare che il riordino delle Scuole pubbliche di formazione, previsto dall'articolo 11, aVvenga salvaguardando anche le attività di formazione in favore del sistema delle autonomie locali, attualmente curate dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione locale, di cui all'articolo 104 TUEL, anche, eventualmente, garantendo la prosecuzione degli attuali organi Sspal sino alla loro naturale scadenza.
9/5389/34. Rao.


      La Camera,

impegna il Governo

al fine di evitare dannose soluzioni di continuità nelle attività di formazione avviate, a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di assicurare che il riordino delle Scuole pubbliche di formazione, previsto dall'articolo 11, aVvenga salvaguardando anche le attività di formazione in favore del sistema delle autonomie locali, attualmente curate dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione locale, di cui all'articolo 104 TUEL, anche, eventualmente, garantendo la prosecuzione degli attuali organi Sspal sino alla loro naturale scadenza.
9/5389/34.    (Testo modificato nel corso della seduta) Rao.


      La Camera,
          premesso che:
              i due recenti interventi legislativi in materia di «spending review» sono dichiaratamente finalizzati «all'analisi ed alla revisione della spesa pubblica con la finalità di evitare inefficienze, eliminare sprechi e ottenere risorse da destinare alla crescita»;
              il legislatore, nell'ambito del primo intervento (decreto-legge 7 maggio 2012, n.  52, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 luglio 2012, n.  94), ha stabilito di escludere dagli interventi di ridimensionamento della spesa le società a totale partecipazione pubblica e le loro controllate che gestiscono servizi di interesse generale su tutto il territorio nazionale solo qualora non abbiano registrato perdite negli ultimi tre esercizi (articolo 2, comma 2);
              ciò, in quanto ha inteso evitare che dette società, esposte largamente al mercato, subiscano compressioni nelle proprie iniziative imprenditoriali; le società in parola, per altro verso, rispettando i requisiti previsti dal Sistema Europeo dei Conti (Sec 95) per la classificazione al di fuori del perimetro della pubblica amministrazione e non impattare, quindi, sul livello di indebitamento dello Stato, si pongono indubitabilmente al di fuori di un ambito di società votate all'inclusione nei «conti pubblici»;
              la richiamata esclusione, inoltre, si pone in linea con il dettato comunitario che, riguardo a settori per i quali contestualmente si determina l'esposizione al mercato, usualmente impone la piena indipendenza gestionale delle società pubbliche dalla Pubblica Amministrazione, controllante o vigilante;
              l'articolo 4 e l'articolo 2, comma 20-quater e 20-quinquies, del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, c.d. «Spending Review 2», nella formulazione adottata in sede di conversione dall'altro ramo del Parlamento, introducono disposizioni in materia di riduzione della spesa delle società pubbliche,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di adottare tutte le opportune iniziative, interpretative legislative, affinché le società a totale o parziale partecipazione pubblica recanti le caratteristiche illustrate in premessa restino coerentemente escluse dall'ambito di applicazione dei richiamati interventi di revisione della spesa, con particolare riferimento al loro impatto sulla composizione dei rispettivi organi di governo e sulle dinamiche salariali.
9/5389/35. Occhiuto.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame è stato varato per rafforzare l'analisi e la revisione della spesa pubblica, con la finalità di evitare inefficienze, eliminare sprechi e ottenere risorse da destinare alla crescita;
              un recente rapporto dell'Unicef indica che in Grecia ci sono più di 439.000 bambini costretti a vivere al di sotto della soglia di povertà, tra malnutrizione e lavoro minorile. Alcuni fenomeni sociali che si stanno verificando in Italia lasciano prevedere che la condizione greca possa svilupparsi anche qui e che gli interventi messi in atto con la spending review, giustamente finalizzati a ridurre gli eccessi della spesa pubblica, per gli effetti sulla Sanità potrebbero, se non ben indirizzati, avere effetti negativi sulla condizione infantile del nostro Paese;
              l'aumento della disoccupazione giovanile ha raggiunto a maggio il valore record del 36,2 per cento, e l'incremento della precarietà del lavoro potrebbero indurre le donne a posticipare ancora l'epoca della gravidanza determinando un aumento dei rischi. Nel Lazio, che registra ogni anno circa 55.000 nati, il numero delle primarie over 35 era del 10 per cento negli anni ’80 e ha raggiunto il 35 per cento nel 2009. Nello stesso periodo il numero dei neonati pretermine è passato dal 5 all'8 per cento di tutti i nati;
              il ricorso ai servizi sociali e alle prestazioni sanitarie, a fini preventivi, diagnostici e terapeutici, se implicherà spese dirette con il pagamento di ticket non sarà sostenibile da ampi strati della popolazione;
              è auspicabile che, nonostante il difficile momento economico, vengano mantenuti e potenziati gli interventi per l'infanzia e le famiglie più povere. Una particolare attenzione dovrà andare alla salute in gravidanza, ai neonati e soprattutto agli immigrati, per le difficoltà di accesso ai servizi sanitari;
              è altrettanto auspicabile che l'annunciata diminuzione di posti negli ospedali italiani non comprometta l'assistenza ospedaliera pediatrica e neonatale. In Italia, infatti, ci sono piccoli reparti di pediatria e neonatologia che non hanno motivo di esistere. Il 10 per cento dei circa 550.000 nati in Italia ogni anno nascono in strutture con meno di 500 parti, spesso sprovviste di attrezzature e personale idoneo ad affrontare emergenze e a fornire un'assistenza specialistica. Inoltre, negli ultimi anni si è creata una grave carenza di pediatri neonatologi soprattutto nelle Regioni con piani di rientro del deficit sanitario;
              il blocco del reclutamento di nuovo personale, non permettendo la sostituzione di chi va in pensione e addirittura in maternità, sta mettendo in grave difficoltà la quasi totalità dei reparti di neonatologia;
              l'assistenza in queste strutture, pur riguardando solo il 2-3 per cento di tutti i nati, ha contribuito sensibilmente alla riduzione della mortalità neonatale e infantile del nostro Paese. Purtroppo esistono alcune regioni, come il Lazio, dove i posti di terapia intensiva neonatale sono insufficienti e, dunque, spesso neonati prematuri anche piccolissimi non possono essere curati nel centro dove nascono, ma debbono essere trasferiti in un altro ospedale con un aumento del rischio di morte e di esiti a distanza; i neonati pretermine di peso molto basso o quelli a rischio dovrebbero nascere ed essere assistiti in ospedali provvisti di Unità di terapia intensiva neonatale, dove è presente personale medico e infermieristico qualificato e apparecchiature tecnologicamente avanzate,

impegna il Governo

a valutare la possibilità, nell'ambito delle proprie competenze e d'intesa con le Regioni interessate, di prevedere l'accorpamento dei punti nascita con pochi nati e di identificare i reali fabbisogni dei reparti di terapia intensiva neonatale collocandoli in modo più razionale, il che costituirebbe, senz'altro, uno dei modi per diminuire le spese e migliorare i risultati per la salute infantile.
9/5389/36. Binetti, Calgaro.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame è stato varato per rafforzare l'analisi e la revisione della spesa pubblica, con la finalità di evitare inefficienze, eliminare sprechi e ottenere risorse da destinare alla crescita;
              un recente rapporto dell'Unicef indica che in Grecia ci sono più di 439.000 bambini costretti a vivere al di sotto della soglia di povertà, tra malnutrizione e lavoro minorile. Alcuni fenomeni sociali che si stanno verificando in Italia lasciano prevedere che la condizione greca possa svilupparsi anche qui e che gli interventi messi in atto con la spending review, giustamente finalizzati a ridurre gli eccessi della spesa pubblica, per gli effetti sulla Sanità potrebbero, se non ben indirizzati, avere effetti negativi sulla condizione infantile del nostro Paese;
              l'aumento della disoccupazione giovanile ha raggiunto a maggio il valore record del 36,2 per cento, e l'incremento della precarietà del lavoro potrebbero indurre le donne a posticipare ancora l'epoca della gravidanza determinando un aumento dei rischi. Nel Lazio, che registra ogni anno circa 55.000 nati, il numero delle primarie over 35 era del 10 per cento negli anni ’80 e ha raggiunto il 35 per cento nel 2009. Nello stesso periodo il numero dei neonati pretermine è passato dal 5 all'8 per cento di tutti i nati;
              il ricorso ai servizi sociali e alle prestazioni sanitarie, a fini preventivi, diagnostici e terapeutici, se implicherà spese dirette con il pagamento di ticket non sarà sostenibile da ampi strati della popolazione;
              è auspicabile che, nonostante il difficile momento economico, vengano mantenuti e potenziati gli interventi per l'infanzia e le famiglie più povere. Una particolare attenzione dovrà andare alla salute in gravidanza, ai neonati e soprattutto agli immigrati, per le difficoltà di accesso ai servizi sanitari;
              è altrettanto auspicabile che l'annunciata diminuzione di posti negli ospedali italiani non comprometta l'assistenza ospedaliera pediatrica e neonatale. In Italia, infatti, ci sono piccoli reparti di pediatria e neonatologia che non hanno motivo di esistere. Il 10 per cento dei circa 550.000 nati in Italia ogni anno nascono in strutture con meno di 500 parti, spesso sprovviste di attrezzature e personale idoneo ad affrontare emergenze e a fornire un'assistenza specialistica. Inoltre, negli ultimi anni si è creata una grave carenza di pediatri neonatologi soprattutto nelle Regioni con piani di rientro del deficit sanitario;
              il blocco del reclutamento di nuovo personale, non permettendo la sostituzione di chi va in pensione e addirittura in maternità, sta mettendo in grave difficoltà la quasi totalità dei reparti di neonatologia;
              l'assistenza in queste strutture, pur riguardando solo il 2-3 per cento di tutti i nati, ha contribuito sensibilmente alla riduzione della mortalità neonatale e infantile del nostro Paese. Purtroppo esistono alcune regioni, come il Lazio, dove i posti di terapia intensiva neonatale sono insufficienti e, dunque, spesso neonati prematuri anche piccolissimi non possono essere curati nel centro dove nascono, ma debbono essere trasferiti in un altro ospedale con un aumento del rischio di morte e di esiti a distanza; i neonati pretermine di peso molto basso o quelli a rischio dovrebbero nascere ed essere assistiti in ospedali provvisti di Unità di terapia intensiva neonatale, dove è presente personale medico e infermieristico qualificato e apparecchiature tecnologicamente avanzate,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, nell'ambito delle proprie competenze e d'intesa con le Regioni interessate, di prevedere l'accorpamento dei punti nascita con pochi nati e di identificare i reali fabbisogni dei reparti di terapia intensiva neonatale collocandoli in modo più razionale, il che costituirebbe, senz'altro, uno dei modi per diminuire le spese e migliorare i risultati per la salute infantile.
9/5389/36.    (Testo modificato nel corso della seduta) Binetti, Calgaro.


      La Camera,

impegna il Governo

a chiarire, nelle forme idonee, che il comma 10-ter dell'articolo 5, si applica ai soggetti ivi contemplati che rientrano nei ruoli a far data dall'entrata in vigore della legge di conversione.
9/5389/37. Lusetti.


      La Camera,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di chiarire, nelle forme idonee, che il comma 10-ter dell'articolo 5, si applica ai soggetti ivi contemplati che rientrano nei ruoli a far data dall'entrata in vigore della legge di conversione.
9/5389/37.    (Testo modificato nel corso della seduta) Lusetti.


      La Camera,
          premesso che:
              in seguito alle modifiche apportate nel corso dell'esame presso il Senato, l'articolo 7, comma 11, riduce i contributi all'emittenza televisiva locale e radiofonica nazionale e locale di 20 milioni di euro per l'anno 2013 e di 30 milioni di euro a decorrere dal 2014;
              tale riduzione segue i pesanti tagli che hanno già interessato il settore negli ultimi anni (già nel 2009, secondo uno studio effettuato da CGIL-CISL-UIL per conto della FRT, le TV locali chiudevano i bilanci in perdita);
              se questi tagli fossero confermati, per gli effetti combinati della crisi e degli investimenti effettuati per il sistema digitale, le emittenti locali rischierebbero la chiusura;
              oltre alla perdita di posti di lavoro e di attività imprenditoriali, spesso molto radicate sul territorio, l'eventuale scomparsa di molte emittenti locali avrebbe pesanti ripercussioni in termini di pluralismo dell'informazione,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi, con particolare riferimento a quelli esposti in premessa della disposizione richiamata, al fine di prevedere in tempi rapidi il ripristino delle risorse stanziate per le emittenti locali, in linea con i livelli precedenti ai tagli effettuati al sistema televisivo locale, al fine di evitare pesanti ricadute economiche ed occupazionali, soprattutto a livello locale, e di garantire il pluralismo dell'informazione.
9/5389/38. Carlucci, De Biasi.


      La Camera,
          premesso che:
              in seguito alle modifiche apportate nel corso dell'esame presso il Senato, l'articolo 7, comma 11, riduce i contributi all'emittenza televisiva locale e radiofonica nazionale e locale di 20 milioni di euro per l'anno 2013 e di 30 milioni di euro a decorrere dal 2014;
              tale riduzione segue i pesanti tagli che hanno già interessato il settore negli ultimi anni (già nel 2009, secondo uno studio effettuato da CGIL-CISL-UIL per conto della FRT, le TV locali chiudevano i bilanci in perdita);
              se questi tagli fossero confermati, per gli effetti combinati della crisi e degli investimenti effettuati per il sistema digitale, le emittenti locali rischierebbero la chiusura;
              oltre alla perdita di posti di lavoro e di attività imprenditoriali, spesso molto radicate sul territorio, l'eventuale scomparsa di molte emittenti locali avrebbe pesanti ripercussioni in termini di pluralismo dell'informazione,

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, gli effetti applicativi, con particolare riferimento a quelli esposti in premessa della disposizione richiamata, al fine di prevedere in tempi rapidi il ripristino delle risorse stanziate per le emittenti locali, in linea con i livelli precedenti ai tagli effettuati al sistema televisivo locale, al fine di evitare pesanti ricadute economiche ed occupazionali, soprattutto a livello locale, e di garantire il pluralismo dell'informazione.
9/5389/38.    (Testo modificato nel corso della seduta) Carlucci, De Biasi.


      La Camera,
          premesso che:
              il comma 42-ter dell'articolo 7 del provvedimento, introdotto durante l'esame al Senato, dispone un interpretazione autentica sulla prorogatio del mandato dei rettori allo scopo di garantire una corretta transizione al nuovo ordinamento universitario;
              in particolare, si dispone che la previsione, recata dall'articolo 2, comma 9, terzo periodo, della L. 240/2010 – secondo la quale il mandato dei rettori in carica al momento «dell'adozione dello statuto di cui ai commi 5 e 6» è prorogato fino al termine dell'anno accademico successivo - si interpreta nel senso che il momento di adozione del nuovo statuto è quello dell’«adozione definitiva» (rectius: emanazione), dopo i controlli di legittimità e di merito effettuati dal Ministro (ai sensi dell'articolo 6 della legge 168/1989, richiamato dall'articolo 2, comma 7, della legge 240/2010). Lo scopo è quello di garantire un corretta transizione al nuovo ordinamento;
              contro tale disposizione si sono espressi, con iniziative di protesta, professori e ricercatori universitari della maggior parte degli Atenei italiani, che hanno espresso forte dissenso su questa proroga dei rettori in scadenza di mandato o addirittura scaduti, ingiustificata e palesemente contraria al dettato della legge di riforma,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disposizione richiamata, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a riconsiderare la disposizione stessa, fortemente invisa a tutti gli atenei italiani, e che rischia danneggiare il regolare svolgimento della vita democratica degli atenei e di creare confusioni ed incertezza in vista delle elezioni dei nuovi rettori.
9/5389/39. Capitanio Santolini, Binetti, Lusetti, Lenzi, Tocci.


      La Camera,
          premesso che:
              il comma 42-ter dell'articolo 7 del provvedimento, introdotto durante l'esame al Senato, dispone un interpretazione autentica sulla prorogatio del mandato dei rettori allo scopo di garantire una corretta transizione al nuovo ordinamento universitario;
              in particolare, si dispone che la previsione, recata dall'articolo 2, comma 9, terzo periodo, della L. 240/2010 – secondo la quale il mandato dei rettori in carica al momento «dell'adozione dello statuto di cui ai commi 5 e 6» è prorogato fino al termine dell'anno accademico successivo - si interpreta nel senso che il momento di adozione del nuovo statuto è quello dell’«adozione definitiva» (rectius: emanazione), dopo i controlli di legittimità e di merito effettuati dal Ministro (ai sensi dell'articolo 6 della legge 168/1989, richiamato dall'articolo 2, comma 7, della legge 240/2010). Lo scopo è quello di garantire un corretta transizione al nuovo ordinamento;
              contro tale disposizione si sono espressi, con iniziative di protesta, professori e ricercatori universitari della maggior parte degli Atenei italiani, che hanno espresso forte dissenso su questa proroga dei rettori in scadenza di mandato o addirittura scaduti, ingiustificata e palesemente contraria al dettato della legge di riforma,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nei limiti degli equilibri di finanza pubblica, di adoperarsi affinché in futuro non vengano predisposte proroghe del mandato dei rettori in modo tale che non si verifichino deroghe in materia rispetto a quanto previsto dalla legge 240 del 30 dicembre 2010.
9/5389/39.    (Testo modificato nel corso della seduta) Capitanio Santolini, Binetti, Lusetti, Lenzi, Tocci.


      La Camera,
          premesso che:
              il comma 8 dell'articolo 16 prevede che, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro il 31 dicembre 2012, siano stabiliti i parametri di virtuosità per la determinazione delle dotazioni organiche degli enti locali, tenendo conto prioritariamente del rapporto tra dipendenti e popolazione residente;
              a tal fine è determinata la media nazionale del personale in servizio presso gli enti, prevedendo il blocco delle assunzioni per le amministrazioni collocate oltre il 20 per cento e l'applicazione delle misure sul soprannumero (di cui all'articolo 2, comma 11) per le amministrazioni collocate oltre il 40 per cento;
              il criterio impiegato non risulta idoneo a tenere in conto della effettiva situazione economica in cui si trovano i comuni e rischia soprattutto di penalizzare quei comuni virtuosi che sono nelle condizioni di poter effettuare assunzioni,

impegna il Governo

a valutare, prima della emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri citato, gli effetti applicativi della richiamata disposizione, al fine di individuare come parametro il rapporto tra spesa complessiva di parte corrente e spesa per il personale in quanto più probante ad individuare la virtuosità dell'ente locale ai fini della possibilità di effettuare assunzioni.
9/5389/40. Poli, Bosi, Ruggeri.


      La Camera,
          premesso che:
              il comma 8 dell'articolo 16 prevede che, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro il 31 dicembre 2012, siano stabiliti i parametri di virtuosità per la determinazione delle dotazioni organiche degli enti locali, tenendo conto prioritariamente del rapporto tra dipendenti e popolazione residente;
              a tal fine è determinata la media nazionale del personale in servizio presso gli enti, prevedendo il blocco delle assunzioni per le amministrazioni collocate oltre il 20 per cento e l'applicazione delle misure sul soprannumero (di cui all'articolo 2, comma 11) per le amministrazioni collocate oltre il 40 per cento;
              il criterio impiegato non risulta idoneo a tenere in conto della effettiva situazione economica in cui si trovano i comuni e rischia soprattutto di penalizzare quei comuni virtuosi che sono nelle condizioni di poter effettuare assunzioni,

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, prima della emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri citato, gli effetti applicativi della richiamata disposizione, al fine di individuare come parametro il rapporto tra spesa complessiva di parte corrente e spesa per il personale in quanto più probante ad individuare la virtuosità dell'ente locale ai fini della possibilità di effettuare assunzioni.
9/5389/40.    (Testo modificato nel corso della seduta) Poli, Bosi, Ruggeri.


      La Camera,
          premesso che:
              il comma 20 dell'articolo 12 del provvedimento dispone, a decorrere dalla scadenza del mandato, il definitivo trasferimento alle amministrazioni competenti delle attività svolte da organismi collegiali operanti presso la pubblica amministrazione, escludendo tuttavia alcuni organi collegiali dall'applicazione della disposizione;
              tra questi organi non figura l'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le Pari Opportunità, con legge 3 agosto 1998, n.  269, come modificata dalla legge 6 febbraio 2006, n.  38;
              l'Osservatorio svolge un ruolo fondamentale sul versante europeo ed internazionale, soprattutto nell'ambito dei principali organismi rappresentativi competenti e sensibili alle tematiche connesse all'universo «infanzia»;
              tra le principali attività in ambito internazionale, è significativo l'impegno dell'Osservatorio nell'ambito dell'azioni poste in essere per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno della violenza sessuale a danni dei minori;
              l'Osservatorio dispone di una importante banca dati per raccogliere, con l'apporto dei dati fomiti dalle altre amministrazioni centrali, tutte le informazioni utili per il monitoraggio del fenomeno ed ha seguito ed è tuttora impegnato su diverse ed importanti iniziative a livello europeo ed internazionale,

impegna il Governo

a valutare, in considerazione della rilevante tematica trattata e degli impegni assunti a livello europeo ed internazionale, gli effetti applicativi della disposizione, al fine di adottare iniziative, anche di tipo normativo, volte ed evitare che le attività svolte dall'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile vengano trasferite ai competenti uffici del Dipartimento per le pari opportunità come previsto dalla citata norma.
9/5389/41. Volontè.


      La Camera,
          premesso che:
              il comma 20 dell'articolo 12 del provvedimento dispone, a decorrere dalla scadenza del mandato, il definitivo trasferimento alle amministrazioni competenti delle attività svolte da organismi collegiali operanti presso la pubblica amministrazione, escludendo tuttavia alcuni organi collegiali dall'applicazione della disposizione;
              tra questi organi non figura l'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le Pari Opportunità, con legge 3 agosto 1998, n.  269, come modificata dalla legge 6 febbraio 2006, n.  38;
              l'Osservatorio svolge un ruolo fondamentale sul versante europeo ed internazionale, soprattutto nell'ambito dei principali organismi rappresentativi competenti e sensibili alle tematiche connesse all'universo «infanzia»;
              tra le principali attività in ambito internazionale, è significativo l'impegno dell'Osservatorio nell'ambito dell'azioni poste in essere per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno della violenza sessuale a danni dei minori;
              l'Osservatorio dispone di una importante banca dati per raccogliere, con l'apporto dei dati fomiti dalle altre amministrazioni centrali, tutte le informazioni utili per il monitoraggio del fenomeno ed ha seguito ed è tuttora impegnato su diverse ed importanti iniziative a livello europeo ed internazionale,

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, in considerazione della rilevante tematica trattata e degli impegni assunti a livello europeo ed internazionale, gli effetti applicativi della disposizione, al fine di adottare iniziative, anche di tipo normativo, volte ed evitare che le attività svolte dall'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile vengano trasferite ai competenti uffici del Dipartimento per le pari opportunità come previsto dalla citata norma.
9/5389/41.    (Testo modificato nel corso della seduta) Volontè.


      La Camera,
          premesso che:
              per effetto dell'articolo 7, commi 3bis e 4 del decreto-legge n.  78/2010, convertito nella legge 30 luglio 2010, n.  122, l'ENAM (Ente Nazionale Assistenza Magistrale) è stato soppresso e le sue funzioni nonché le sue risorse strumentali, umane e finanziarie sono state attribuite all'INPDAP, a sua volta soppresso e confluito nell'INPS;
              la norma di soppressione dell'ENAM non ha però abolito l'obbligatorietà della contribuzione da parte delle categorie interessate e che, continua, quindi, ad operare il prelevamento obbligatorio del contributo (1 per cento sullo stipendio lordo) a carico delle categorie indicate nello Statuto del soppresso ENAM, ossia i docenti di scuola primaria e dell'infanzia e i dirigenti scolastici ex direttori didattici;
              le prestazioni assistenziali erogate dalla gestione ex ENAM costituiscono una duplicazione di quelle già garantite dall'ex INPDAP oggi INPS, con conseguente aggravio gestionale per le strutture preposte all'erogazione delle prestazioni stesse;
              la gestione del contributo ENAM da parte dell'ex INPDAP, inoltre, assume aspetti di eccezionalità rispetto alla normale gestione delle attività assistenziali ex INPDAP, in quanto diretta non a tutto il personale delle pubbliche amministrazioni ma solo a specifiche categorie e in quanto non mediata – come avviene ad esempio per l'attività creditizia (prestiti, mutui, etc. erogati dall'ex INPDAP) – dagli enti datori di lavoro, che devono rilasciare le previste autorizzazioni a garanzia;
              che tra le finalità del decreto-legge in discussione vi è quella di contribuire a garantire, anche attraverso l'effettiva soppressione di enti e società, la razionalizzazione, l'efficienza e l'economicità dell'organizzazione degli enti e degli apparati pubblici, conservando invariati i livelli di servizio per i cittadini,

impegna il Governo:

          ad adottare le opportune iniziative normative volte:
          all'abolizione dell'obbligatorietà del contributo ex ENAM a carico delle categorie di riferimento (docenti di scuola primaria e dell'infanzia e dirigenti scolastici ex direttori didattici);
          alla confluenza dei servizi e dei benefici assistenziali già previsti dagli articoli
e 2-bis del decreto legislativo del capo provvisorio dello stato 21 ottobre 1947, n.  1346, istitutivo dell'ENAM, all'interno della gestione unitaria autonoma delle prestazioni creditizie e sociali istituita con l'articolo 1, comma 245, della legge 23 dicembre 1996, n.  662, a favore di tutti gli iscritti a tale gestione;
          all'eventuale istituzione di un contributo volontario mensile rivolto alla totalità degli iscritti alla gestione ex INPDAP e disciplinato con un regolamento adottato dall'INPS, al fine di assicurare ad una platea molto vasta di dipendenti (oltre 3 milioni), l'erogazione di servizi e prestazioni assistenziali aggiuntivi rispetto a quelli già erogati, con un aumento delle prestazioni complessive di welfare a loro favore.
9/5389/42. Delfino.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento, oltre alle disposizioni di carattere generale relative alla riduzione delle spese per l'acquisto di beni e servizi e alla fissazione di obiettivi di risparmio, reca anche norme che incidono specificatamente sulle risorse del Ministero della difesa, quali quelle che dispongono la riduzione degli oneri per la professionalizzazione delle Forze armate, il ridimensionamento della dotazione di alcuni fondi, tra cui quello relativo al finanziamento delle missioni internazionali per l'anno 2012 nonché una consistente riduzione della dotazione del medesimo Fondo per il 2013, anno nel quale con l'avvio per processo di graduale rientro di personale ed assetti dal teatro afghano, sarà necessario provvedere al rientro in patria, con la necessaria cornice di sicurezza, al ricondizionamento ed alla manutenzione dei mezzi, materiali e sistemi ivi impiegati;
              il provvedimento prevede, altresì, la riduzione degli organici del personale militare, in misura non inferiore al 10 per cento, e del personale civile;
              dispone la riduzione del turn over per le assunzioni del personale delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, dall'attuale misura del 100 per cento al 20 per cento, nel triennio 2012-14, e al 50 per cento, per l'anno 2015, incidendo negativamente sulla possibilità di assumere nelle relative carriere iniziali i volontari in ferma prefissata quadriennale, al termine della ferma, vincitori dei relativi concorsi;
              il Ministro della difesa, al fine di realizzare un sistema nazionale di difesa efficace e sostenibile, che assicuri i necessari livelli di operatività e la piena integrabilità dello strumento militare nei contesti internazionali, ha presentato un disegno di legge delega, attualmente all'esame del Senato, che, nel presupposto della tendenziale stabilità delle risorse finanziarie assegnate alla Difesa, prevede, in un'ottica di razionalizzazione di tali risorse, la revisione in senso riduttivo dell'assetto organizzativo e strutturale delle Forze armate e la riduzione delle dotazioni organiche del personale militare, a 150.000 unità, e del personale civile, a 20.000 unità, da conseguire entro l'anno 2024;
              il percorso di riorganizzazione seguito dalla Difesa a partire dal 1997 ad oggi ha già determinato la riduzione delle dotazioni organiche del personale civile, da n.  50.250 unità (decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 7 febbraio 1997), a n.  30.525 unità, all'esito dell'applicazione dell'articolo 1, comma 3, del decreto legge n.  138 del 2011, convertito con modificazioni dalla legge n.  148 del 2011, con una diminuzione di circa il 40 per cento delle citate dotazioni organiche, sia del personale delle aree funzionali sia di quello dirigenziale, di livello generale e non generale,

impegna il Governo:

          a tenere conto, in sede di predisposizione dei prossimi provvedimenti di carattere finanziario, della prioritaria esigenza di assicurare la tendenziale stabilità delle risorse assegnate al Ministero della difesa, specie di quelle riferite all'Esercizio, condizione indispensabile per disporre di Forze armate di elevato livello qualitativo e tecnologico, pienamente integrabili con il sistema di difesa e sicurezza dell'Unione europea e dell'Alleanza atlantica, nonché per realizzare il piano di revisione dello strumento militare previsto dalla citata legge di delega;
          acché, in relazione alle misure relative alla cosiddetta spending review, nei confronti del personale civile della Difesa – le cui dotazioni organiche dirigenziali e non dirigenziali sono già state consistentemente ridotte – favorisca iniziative che prioritariamente consentano compensazioni funzionali tra carenze ed esuberi nell'ambito delle stesse dotazioni organiche, nonché la concreta applicazione delle previste compensazioni tra le Pubbliche Amministrazioni. Ciò al fine di procedere in modo responsabilmente coerente con il quadro di revisione dello strumento militare già avviato nonché garantire il mantenimento dell'efficienza delle strutture e la continuità dell'azione amministrativa;
          ad adottare le misure necessarie per coniugare le stringenti e ineludibili esigenze di contenimento della spesa pubblica con quella di garantire alle Forze di polizia livelli di alimentazione sostenibili, attraverso il gradualmente innalzamento della percentuale del turn over dei Corpi di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a partire dall'anno 2013 e per ciascuno degli anni interessati, consentendo in questo modo l'assunzione da parte delle citate Forze di polizia dei volontari in ferma prefissata quadriennale vincitori di concorso, al fine di non acuire le problematiche relative alla «stabilizzazione» di tale categoria di personale;
          ad adeguare la dotazione del fondo missioni internazionali per provvedere anche alle esigenze finanziarie da destinare al rientro dal teatro afghano.
9/5389/43. Tassone, Bosi.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento, oltre alle disposizioni di carattere generale relative alla riduzione delle spese per l'acquisto di beni e servizi e alla fissazione di obiettivi di risparmio, reca anche norme che incidono specificatamente sulle risorse del Ministero della difesa, quali quelle che dispongono la riduzione degli oneri per la professionalizzazione delle Forze armate, il ridimensionamento della dotazione di alcuni fondi, tra cui quello relativo al finanziamento delle missioni internazionali per l'anno 2012 nonché una consistente riduzione della dotazione del medesimo Fondo per il 2013, anno nel quale con l'avvio per processo di graduale rientro di personale ed assetti dal teatro afghano, sarà necessario provvedere al rientro in patria, con la necessaria cornice di sicurezza, al ricondizionamento ed alla manutenzione dei mezzi, materiali e sistemi ivi impiegati;
              il provvedimento prevede, altresì, la riduzione degli organici del personale militare, in misura non inferiore al 10 per cento, e del personale civile;
              dispone la riduzione del turn over per le assunzioni del personale delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, dall'attuale misura del 100 per cento al 20 per cento, nel triennio 2012-14, e al 50 per cento, per l'anno 2015, incidendo negativamente sulla possibilità di assumere nelle relative carriere iniziali i volontari in ferma prefissata quadriennale, al termine della ferma, vincitori dei relativi concorsi;
              il Ministro della difesa, al fine di realizzare un sistema nazionale di difesa efficace e sostenibile, che assicuri i necessari livelli di operatività e la piena integrabilità dello strumento militare nei contesti internazionali, ha presentato un disegno di legge delega, attualmente all'esame del Senato, che, nel presupposto della tendenziale stabilità delle risorse finanziarie assegnate alla Difesa, prevede, in un'ottica di razionalizzazione di tali risorse, la revisione in senso riduttivo dell'assetto organizzativo e strutturale delle Forze armate e la riduzione delle dotazioni organiche del personale militare, a 150.000 unità, e del personale civile, a 20.000 unità, da conseguire entro l'anno 2024;
              il percorso di riorganizzazione seguito dalla Difesa a partire dal 1997 ad oggi ha già determinato la riduzione delle dotazioni organiche del personale civile, da n.  50.250 unità (decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 7 febbraio 1997), a n.  30.525 unità, all'esito dell'applicazione dell'articolo 1, comma 3, del decreto legge n.  138 del 2011, convertito con modificazioni dalla legge n.  148 del 2011, con una diminuzione di circa il 40 per cento delle citate dotazioni organiche, sia del personale delle aree funzionali sia di quello dirigenziale, di livello generale e non generale,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di tenere conto, in sede di predisposizione dei prossimi provvedimenti di carattere finanziario, della prioritaria esigenza di assicurare la tendenziale stabilità delle risorse assegnate al Ministero della difesa, specie di quelle riferite all'Esercizio, condizione indispensabile per disporre di Forze armate di elevato livello qualitativo e tecnologico, pienamente integrabili con il sistema di difesa e sicurezza dell'Unione europea e dell'Alleanza atlantica, nonché per realizzare il piano di revisione dello strumento militare previsto dalla citata legge di delega;
          acché, in relazione alle misure relative alla cosiddetta spending review, nei confronti del personale civile della Difesa – le cui dotazioni organiche dirigenziali e non dirigenziali sono già state consistentemente ridotte – favorisca iniziative che prioritariamente consentano compensazioni funzionali tra carenze ed esuberi nell'ambito delle stesse dotazioni organiche, nonché la concreta applicazione delle previste compensazioni tra le Pubbliche Amministrazioni. Ciò al fine di procedere in modo responsabilmente coerente con il quadro di revisione dello strumento militare già avviato nonché garantire il mantenimento dell'efficienza delle strutture e la continuità dell'azione amministrativa;
          di adottare le misure necessarie per coniugare le stringenti e ineludibili esigenze di contenimento della spesa pubblica con quella di garantire alle Forze di polizia livelli di alimentazione sostenibili, attraverso il gradualmente innalzamento della percentuale del turn over dei Corpi di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a partire dall'anno 2013 e per ciascuno degli anni interessati, consentendo in questo modo l'assunzione da parte delle citate Forze di polizia dei volontari in ferma prefissata quadriennale vincitori di concorso, al fine di non acuire le problematiche relative alla «stabilizzazione» di tale categoria di personale;
          di adeguare la dotazione del fondo missioni internazionali per provvedere anche alle esigenze finanziarie da destinare al rientro dal teatro afghano.
9/5389/43.    (Testo modificato nel corso della seduta) Tassone, Bosi.


      La Camera,
          visto lo schema di decreto legislativo recante nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero;
          visto il parere di merito approvato dalla Commissione Giustizia;
          preso atto altresì che le medesime esigenze evidenziate dalla commissione giustizia sono state manifestate anche dall'Associazione Nazionale Magistrati, segnatamente con riferimento alla Sezione distaccata di Portoferraio, sull'isola d'Elba, che è sede di istituto carcerario con oltre 500 detenuti,

impegna il Governo

uniformarsi al suddetto parere dell'ANM ed a quello della Commissione Giustizia.
9/5389/44. Bosi.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame interviene sulla spesa sanitaria apportando una riduzione del livello del fabbisogno del Servizio Sanitario Nazionale. Le disposizioni in materia di farmaceutica e di acquisti di beni e servizi in ambito sanitario seguono le misure di razionalizzazione e contenimento della spesa introdotte dall'articolo 17 del decreto-legge 98/2011;
              entro il mese di novembre, le Regioni dovranno tagliare i posti letto fino a quota 3,7 ogni 1000 abitanti (oggi è quota 4) al fine di eliminare gli sprechi e ottenere risorse da destinare alla crescita;
              i tagli potrebbero portare significativi miglioramenti del sistema se orientati alla razionalizzazione anziché a riduzioni di spesa trasversali. Occorrerebbe identificare, nel campo dei beni e dei servizi, le aree di spreco in cui si possono ottenere grandi risparmi senza ledere i diritti alla salute,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di destinare risorse per potenziare, a fronte della riduzione dei posti letto, i servizi di day hospital e day surgery al fine di diminuire il carico di lavoro dei Pronto soccorso, che ricevono molte richieste improprie perché mancano altri tipi di servizi a cui ricorrere in casi di urgenza e in modo da limitare al massimo la ospedalizzazione.
9/5389/45. Calgaro, Binetti.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame interviene sulla spesa sanitaria apportando una riduzione del livello del fabbisogno del Servizio Sanitario Nazionale. Le disposizioni in materia di farmaceutica e di acquisti di beni e servizi in ambito sanitario seguono le misure di razionalizzazione e contenimento della spesa introdotte dall'articolo 17 del decreto-legge 98/2011;
              entro il mese di novembre, le Regioni dovranno tagliare i posti letto fino a quota 3,7 ogni 1000 abitanti (oggi è quota 4) al fine di eliminare gli sprechi e ottenere risorse da destinare alla crescita;
              i tagli potrebbero portare significativi miglioramenti del sistema se orientati alla razionalizzazione anziché a riduzioni di spesa trasversali. Occorrerebbe identificare, nel campo dei beni e dei servizi, le aree di spreco in cui si possono ottenere grandi risparmi senza ledere i diritti alla salute,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di destinare risorse per potenziare, a fronte della riduzione dei posti letto, i servizi di day hospital e day surgery al fine di diminuire il carico di lavoro dei Pronto soccorso, che ricevono molte richieste improprie perché mancano altri tipi di servizi a cui ricorrere in casi di urgenza e in modo da limitare al massimo la ospedalizzazione.
9/5389/45.    (Testo modificato nel corso della seduta) Calgaro, Binetti.


      La Camera,
          premesso che:
              il 6 luglio scorso è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il decreto-legge n.  95 del 2012 con il quale il Governo ha messo in campo le iniziative volte alla revisione della spesa pubblica, la cosiddetta «spending review», anche attraverso misure di razionalizzazione, efficienza e economicità dell'organizzazione degli enti e degli apparati pubblici;
              il decreto-legge n.  95 del 2012 interviene in diversi ambiti dell'apparato delle amministrazioni pubbliche e, in particolare, dedica il titolo IV alla razionalizzazione e riduzione della spesa degli enti territoriali;
              le misure contenute nel decreto-legge in esame, riguardano anche la disciplina degli organi elettivi degli enti territoriali. In quest'ottica, il decreto-legge 95 del 2012 avrebbe potuto rappresentare un'occasione unica anche per modificare disposizioni di legge che hanno come destinatari gli enti pubblici territoriali, la cui concreta applicazione comporta però degli effetti negativi per la finanza pubblica configurabili in termini di spreco di risorse pubbliche;
              in tale senso si evidenzia che l'articolo 13, comma 3, del decreto-legge 13 agosto 2011, n.  138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n.  148, ha disciplinato la materia dell'incompatibilità tra la carica di membro del Parlamento della Repubblica e qualsiasi altra carica pubblica elettiva di natura monocratica relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali aventi, alla data di indizione delle elezioni o della nomina, popolazione superiore a 5.000 abitanti, senza prevedere alcuna norma transitoria;
              malgrado le condivisibili finalità della norma, essa è suscettibile di comportare non trascurabili ripercussioni negative di carattere finanziario. Infatti, le nuove disposizioni costringerebbero i sindaci dei comuni tra i 5 mila e i 20 mila abitanti, qualora rieletti al Parlamento all'indizione di elezioni anticipate con conseguenti oneri straordinari stimati fra i 300.000 e i 500.000 euro per ciascuno dei comuni interessati;
              si segnala, inoltre, che i sindaci che sono contemporaneamente membri del Parlamento non percepiscono l'indennità connessa alla carica di sindaco. Al fine di evitare tale spreco di risorse pubbliche, sarebbe necessario introdurre una disciplina transitoria al fine di completare il mandato amministrativo secondo le scadenze naturali, fermo restando l'applicazione a regime delle disposizioni di cui all'articolo 13, comma 3, del decreto-legge 13 agosto 2011, n.  138,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di attuare iniziative normative volte a sanare le problematiche elencate in premessa, al fine di evitare lo spreco di risorse che si causerebbe se il mandato amministrativo non potesse essere condotto secondo le naturali scadenze.
9/5389/46. Cera.


      La Camera,
          premesso che:
              l'Articolo 18 del decreto al nostro esame prevede che: «a garanzia dell'efficace ed efficiente svolgimento delle funzioni amministrative e in attuazione degli articoli 114 e 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, le Province di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria vengano soppresse, con la contestuale istituzione delle relative città metropolitane»;
              secondo quanto disposto il territorio della città metropolitana deve coincidere «con quello della provincia contestualmente soppressa, fermo restando il potere di iniziativa dei comuni ai sensi dell'articolo 133, primo comma, della Costituzione» e «le città metropolitane devono conseguire gli obiettivi del patto di stabilità interno attribuiti alle province soppresse»;
              in particolare «alla città metropolitana sono attribuite le funzioni fondamentali delle province e le seguenti funzioni fondamentali: 1) pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali; 2) strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, nonché organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano; 3) mobilità e viabilità; 4) promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale»;
              nel suo complesso si tratta evidentemente di una disposizione di carattere strutturale particolarmente importante che va ben al di là di una ordinaria riorganizzazione amministrativa;
              una politica di governo dei fenomeni di urbanizzazione è una delle carenze storiche strutturali del sistema Italia, l'istituzione delle città metropolitane appare, finalmente, andare in controtendenza, indicando una strada virtuosa attraverso cui la città possa finalmente assumere i caratteri di metropoli adeguandosi così agli standard europei;
              è necessario intervenire affinché tale scelta, che giunge, è bene sottolinearlo, in una congiuntura economica particolarmente critica, non resti troppo generica rischiando di risultare così, all'atto pratico, solo un'enunciazione di principio;
              in particolare appare opportuno focalizzare i necessari meccanismi di controllo e le conseguenti responsabilità a questi collegate affinché la riorganizzazione delineata produca effetti positivi sulla razionalizzazione della spesa pubblica;
              alla città metropolitana secondo quanto stabilito spetta «il compito di promuovere e coordinare lo sviluppo economico e sociale» e, inoltre, spetta «il patrimonio e le risorse umane e strumentali della provincia soppressa, a cui ciascuna città metropolitana succede a titolo universale in tutti i rapporti attivi e passivi»;
              in una congiuntura economica come detto estremamente critica, la costituenda città metropolitana avrà, dunque, il compito di promuovere lo sviluppo economico, acquisendo però, in partenza, a suo carico, tutti i rapporti attivi e passivi della Provincia, con la consapevolezza che i secondi inevitabilmente sono destinati ad incidere molto più dei primi, con il rischio concreto, dunque, di votare le città metropolitane al fallimento;
              il percorso federalista intrapreso negli ultimi anni nel nostro Paese, affermando un sistema di responsabilità orizzontali ha determinato la creazione di numerosi centri decisionali di spesa e di responsabilità, il cui coordinamento appare particolarmente complesso soprattutto nell'ottica di una efficace azione di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica;
              il federalismo è una scelta determinata dalla volontà di avvicinare i centri decisionali ai cittadini, garantendo al contempo l'individuazione di responsabilità chiare rispetto a determinate scelte politiche ed amministrative e non può che essere inteso come strumento per offrire risposte più adeguate alle istanze del territorio. Per ottenere questi risultati è necessario che il federalismo sia coordinato e coerente, che lo Stato, cioè, abbia, comunque, la possibilità di intervenire garantendo una visione organica e funzionale, attraverso controlli anche preventivi sulle scelte dei vari enti chiamati a decidere, in modo da garantirne l'efficienza complessiva evitando che si trasformino in nuovi centri di spesa;
              appare necessario, al fine di una consapevole gestione delle risorse pubbliche, che l'istituzione delle città metropolitane si inserisca in un percorso virtuoso con il quale si identifichino a livello nazionale quelle unità decisionali che svolgano un'attività di controllo sui nuovi centri di responsabilità coinvolti, affermando nei confronti della loro azione il principio del Budget a base Zero, imponendo dunque un'azione fondata su programmi e previsioni e non sull'adattamento dell'esistente;
              un bilancio costruito su tale meccanismo potrà risultare particolarmente flessibile e maggiormente rispondente a scelte strategiche come appare essere quella delle città metropolitane,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità di focalizzare strumenti di intervento adeguati affinché, coerentemente con l'istituzione delle aree metropolitane suindicate, queste possano contare su un'appropriata ristrutturazione e gestione del debito che sono destinate ad acquisire;
          a valutare gli interventi, anche normativi, necessari affinché si individuino a livello nazionale, non solo forme di controllo, ma anche gli organismi deputati ad effettuarle, per evitare di contrastare la cattiva gestione delle risorse pubbliche solo in una fase successiva alla loro determinazione;
          a valutare gli interventi normativi necessari affinché le costituenti città metropolitane, in virtù della soppressione delle province, siano tenute a fondare la loro azione di bilancio e di promozione dello sviluppo economico sul principio del Budget a base Zero. Su programmi e previsioni strutturali, non più su quel continuo adattamento dell'esistente che in mancanza di forme di controllo coerenti ha contribuito, negli anni, anche alla luce dell'aumento dei centri decisionali, alla crescita esponenziale della spesa pubblica.
9/5389/47. Ossorio.


      La Camera,
          premesso che:
              l'Articolo 18 del decreto al nostro esame prevede che: «a garanzia dell'efficace ed efficiente svolgimento delle funzioni amministrative e in attuazione degli articoli 114 e 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, le Province di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria vengano soppresse, con la contestuale istituzione delle relative città metropolitane»;
              secondo quanto disposto il territorio della città metropolitana deve coincidere «con quello della provincia contestualmente soppressa, fermo restando il potere di iniziativa dei comuni ai sensi dell'articolo 133, primo comma, della Costituzione» e «le città metropolitane devono conseguire gli obiettivi del patto di stabilità interno attribuiti alle province soppresse»;
              in particolare «alla città metropolitana sono attribuite le funzioni fondamentali delle province e le seguenti funzioni fondamentali: 1) pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali; 2) strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, nonché organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano; 3) mobilità e viabilità; 4) promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale»;
              nel suo complesso si tratta evidentemente di una disposizione di carattere strutturale particolarmente importante che va ben al di là di una ordinaria riorganizzazione amministrativa;
              una politica di governo dei fenomeni di urbanizzazione è una delle carenze storiche strutturali del sistema Italia, l'istituzione delle città metropolitane appare, finalmente, andare in controtendenza, indicando una strada virtuosa attraverso cui la città possa finalmente assumere i caratteri di metropoli adeguandosi così agli standard europei;
              è necessario intervenire affinché tale scelta, che giunge, è bene sottolinearlo, in una congiuntura economica particolarmente critica, non resti troppo generica rischiando di risultare così, all'atto pratico, solo un'enunciazione di principio;
              in particolare appare opportuno focalizzare i necessari meccanismi di controllo e le conseguenti responsabilità a questi collegate affinché la riorganizzazione delineata produca effetti positivi sulla razionalizzazione della spesa pubblica;
              alla città metropolitana secondo quanto stabilito spetta «il compito di promuovere e coordinare lo sviluppo economico e sociale» e, inoltre, spetta «il patrimonio e le risorse umane e strumentali della provincia soppressa, a cui ciascuna città metropolitana succede a titolo universale in tutti i rapporti attivi e passivi»;
              in una congiuntura economica come detto estremamente critica, la costituenda città metropolitana avrà, dunque, il compito di promuovere lo sviluppo economico, acquisendo però, in partenza, a suo carico, tutti i rapporti attivi e passivi della Provincia, con la consapevolezza che i secondi inevitabilmente sono destinati ad incidere molto più dei primi, con il rischio concreto, dunque, di votare le città metropolitane al fallimento;
              il percorso federalista intrapreso negli ultimi anni nel nostro Paese, affermando un sistema di responsabilità orizzontali ha determinato la creazione di numerosi centri decisionali di spesa e di responsabilità, il cui coordinamento appare particolarmente complesso soprattutto nell'ottica di una efficace azione di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica;
              il federalismo è una scelta determinata dalla volontà di avvicinare i centri decisionali ai cittadini, garantendo al contempo l'individuazione di responsabilità chiare rispetto a determinate scelte politiche ed amministrative e non può che essere inteso come strumento per offrire risposte più adeguate alle istanze del territorio. Per ottenere questi risultati è necessario che il federalismo sia coordinato e coerente, che lo Stato, cioè, abbia, comunque, la possibilità di intervenire garantendo una visione organica e funzionale, attraverso controlli anche preventivi sulle scelte dei vari enti chiamati a decidere, in modo da garantirne l'efficienza complessiva evitando che si trasformino in nuovi centri di spesa;
              appare necessario, al fine di una consapevole gestione delle risorse pubbliche, che l'istituzione delle città metropolitane si inserisca in un percorso virtuoso con il quale si identifichino a livello nazionale quelle unità decisionali che svolgano un'attività di controllo sui nuovi centri di responsabilità coinvolti, affermando nei confronti della loro azione il principio del Budget a base Zero, imponendo dunque un'azione fondata su programmi e previsioni e non sull'adattamento dell'esistente;
              un bilancio costruito su tale meccanismo potrà risultare particolarmente flessibile e maggiormente rispondente a scelte strategiche come appare essere quella delle città metropolitane,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di focalizzare strumenti di intervento adeguati affinché, coerentemente con l'istituzione delle aree metropolitane suindicate, queste possano contare su un'appropriata ristrutturazione e gestione del debito che sono destinate ad acquisire;
          a valutare gli interventi, anche normativi, necessari affinché si individuino a livello nazionale, non solo forme di controllo, ma anche gli organismi deputati ad effettuarle, per evitare di contrastare la cattiva gestione delle risorse pubbliche solo in una fase successiva alla loro determinazione;
          a valutare gli interventi normativi necessari affinché le costituenti città metropolitane, in virtù della soppressione delle province, siano tenute a fondare la loro azione di bilancio e di promozione dello sviluppo economico sul principio del Budget a base Zero. Su programmi e previsioni strutturali, non più su quel continuo adattamento dell'esistente che in mancanza di forme di controllo coerenti ha contribuito, negli anni, anche alla luce dell'aumento dei centri decisionali, alla crescita esponenziale della spesa pubblica.
9/5389/47.    (Testo modificato nel corso della seduta) Ossorio.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame contiene diverse disposizioni finalizzate allo stanziamento di risorse finanziarie a copertura di interventi nei territori del Paese colpiti negli scorsi mesi da eventi calamitosi di varia natura;
              in particolare, con l'articolo 3-bis, accanto agli altri interventi in favore delle aree colpite dal sisma del maggio 2012 contenuti nel decreto-legge n.  74 del 2012 ed anche nel decreto-legge n.  83 del 2012, viene autorizzata la spesa di 450 milioni di euro annui, a decorrere dal 2013, per consentire che i contributi per la ricostruzione degli immobili ubicati nelle zone colpite dal sisma siano concessi anche mediante finanziamenti agevolati e che i relativi contratti siano assistiti da garanzia statale nel limite di 6 miliardi di euro;
              l'articolo 23, comma 9, autorizza, poi, la spesa di 9 milioni di euro per il 2012 per gli interventi connessi alle eccezionali avversità atmosferiche del mese di febbraio 2012 (emergenza neve), i cui oneri sono posti a valere sulla quota di pertinenza statale dell'otto per mille del gettito IRPEF nonché sulle risorse del Fondo per il riparto della quota relativa al cinque per mille del gettito IRPEF;
              ancora, il comma 10-bis del medesimo articolo assegna, sempre per le esigenze derivate dall'emergenza-neve, una quota non superiore a 6 milioni di euro delle risorse del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell'usura di cui, al termine del 2011, sia stata accertata la disponibilità e che siano state determinate con decreto interministeriale Interni-Economia;
              per garantire la parità di trattamento dei soggetti danneggiati dagli eventi calamitosi, è necessario prevedere che quanto disposto a favore delle altre popolazioni venga previsto anche nei riguardi delle popolazioni della provincia di Messina colpite, nell'autunno dello scorso anno, dagli eventi alluvionali che hanno gravemente danneggiato infrastrutture, edifici pubblici e privati, determinando notevoli disagi alla popolazione, compromettendo attività commerciali, industriali ed agricole e causando un notevole depauperamento di un tessuto economico e sociale già fragile ed instabile,

impegna il Governo

a predisporre un'apposita iniziativa legislativa, recante idonea copertura finanziaria, che preveda lo stanziamento di ulteriori risorse in favore dei territori della Provincia di Messina colpiti dagli eventi alluvionali da destinare al completamento degli interventi diretti alla messa in sicurezza delle zone alluvionate, al ripristino della viabilità delle infrastrutture danneggiate e alla concessione dei contributi destinati ad interventi di riparazione, ripristino o ricostruzione di immobili di edilizia abitativa e ad uso produttivo e al riavvio delle attività produttive.
9/5389/48. Garofalo, Germanà.


      La Camera,
          premesso che:
              la norma introdotta dall'articolo 24-bis del decreto-legge n.  95 del 6 luglio 2012, così come riformulata dal Governo nel maxiemendamento presentato al Senato, determinando le misure di concorso straordinario alle regioni ad autonomia differenziata (articolo 16, comma 5), e disponendo misure volte al contenimento della spesa pubblica, in particolare in ambito sanitario (articolo 15) incide sul sistema delle relazioni istituzionali e dei rapporti finanziari riconosciuti negli ambiti statutari delle regioni e province autonome che la stessa disposizione intende invece salvaguardare;
              l'espresso richiamo nell'articolo 24-bis delle disposizioni contenute nell'articolo 15, relativo alla razionalizzazione e riduzione della spesa sanitaria, incide, per quanto specificamente attiene la potestà organizzativa del servizio sanitario regionale e provinciale, sugli ambiti di competenza riconosciuti alle medesime regioni a statuto speciale e province autonome e deve quindi essere reso compatibile con il principio riconosciuto in più occasioni dalla Corte costituzionale proprio con riferimento alle autonomie speciali dell'arco alpino, secondo il quale «lo Stato, quando non concorre al finanziamento della spesa sanitaria, neppure ha titolo per dettare norme di coordinamento finanziario» (sentenza n.  341 del 2009 e 133 del 2010);
              constatato che le regioni a statuto speciale e le province autonome, ben consapevoli della gravità della situazione finanziaria comunitaria e nazionale, tale da richiedere un impegno forte e straordinaria responsabilità da parte di tutti gli enti territoriali e degli enti pubblici riaffermano la propria disponibilità a concorrere al risanamento della finanza pubblica anche attraverso forme di compartecipazioni concordate e attraverso la revisione della spesa condotta nel contesto delle distinte e peculiari competenze costituzionalmente riconosciute,

impegna il Governo

a riprendere un confronto puntuale e paritetico con le singole autonomie speciali, anche convocando in tempi rapidi i rispettivi tavoli bilaterali, alla luce anche delle norme già vigenti e degli accordi già intercorsi, al fine di una ragionata, responsabile e condivisa rivisitazione delle misure per il concorso al risanamento della finanza pubblica, tenuto conto del contesto nazionale e della sempre più impellente integrazione europea.
9/5389/49. Froner, Gnecchi, Strizzolo.


      La Camera,
          premesso che:
              la norma introdotta dall'articolo 24-bis del decreto-legge n.  95 del 6 luglio 2012, così come riformulata dal Governo nel maxiemendamento presentato al Senato, determinando le misure di concorso straordinario alle regioni ad autonomia differenziata (articolo 16, comma 5), e disponendo misure volte al contenimento della spesa pubblica, in particolare in ambito sanitario (articolo 15) incide sul sistema delle relazioni istituzionali e dei rapporti finanziari riconosciuti negli ambiti statutari delle regioni e province autonome che la stessa disposizione intende invece salvaguardare;
              l'espresso richiamo nell'articolo 24-bis delle disposizioni contenute nell'articolo 15, relativo alla razionalizzazione e riduzione della spesa sanitaria, incide, per quanto specificamente attiene la potestà organizzativa del servizio sanitario regionale e provinciale, sugli ambiti di competenza riconosciuti alle medesime regioni a statuto speciale e province autonome e deve quindi essere reso compatibile con il principio riconosciuto in più occasioni dalla Corte costituzionale proprio con riferimento alle autonomie speciali dell'arco alpino, secondo il quale «lo Stato, quando non concorre al finanziamento della spesa sanitaria, neppure ha titolo per dettare norme di coordinamento finanziario» (sentenza n.  341 del 2009 e 133 del 2010);
              constatato che le regioni a statuto speciale e le province autonome, ben consapevoli della gravità della situazione finanziaria comunitaria e nazionale, tale da richiedere un impegno forte e straordinaria responsabilità da parte di tutti gli enti territoriali e degli enti pubblici riaffermano la propria disponibilità a concorrere al risanamento della finanza pubblica anche attraverso forme di compartecipazioni concordate e attraverso la revisione della spesa condotta nel contesto delle distinte e peculiari competenze costituzionalmente riconosciute,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di riprendere un confronto puntuale e paritetico con le singole autonomie speciali, anche convocando in tempi rapidi i rispettivi tavoli bilaterali, alla luce anche delle norme già vigenti e degli accordi già intercorsi, al fine di una ragionata, responsabile e condivisa rivisitazione delle misure per il concorso al risanamento della finanza pubblica, tenuto conto del contesto nazionale e della sempre più impellente integrazione europea.
9/5389/49.    (Testo modificato nel corso della seduta) Froner, Gnecchi, Strizzolo.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 18 del decreto legge in esame stabilisce disposizioni in materia di istituzione delle città metropolitane e soppressione delle province dei relativo territorio;
              tale articolo ridefinisce l'istituzione e la disciplina delle città metropolitane che sono istituite tassativamente entro il 1o gennaio 2014 – ovvero anteriormente a quella data se si verificano alcune peculiari condizioni – nei territori delle 10 province che vengono contestualmente ad essere soppresse (Roma, Torino, Milano, Venezia, Bologna, Genova, Firenze, Bari, Napoli, e Reggio Calabria;
              il comma 8 del suddetto articolo stabilisce che ciascuna città metropolitana succede a titolo universale in tutti i rapporti attivi e passivi della provincia soppressa relativamente al patrimonio, le risorse umane e strumentali nonché le risorse finanziarie;
              valutato altresì che per la fase transitoria dalla data di entrata in vigore del decreto legge fino alle scadenze previste dal citato articolo 18 non è prevista ima disciplina specificamente dedicata alla tutela del patrimonio degli enti in via di soppressione nella fase di transizione,

impegna il Governo

a predisporre tutti gli interventi e le iniziative di competenza al fine di gestire adeguatamente la fase di transizione tra le province in via di soppressione e le città metropolitane in via di costituzione, con particolare riguardo al patrimonio di beni mobili e immobili degli enti che verranno soppressi, al fine di assicurare che gli enti subentranti possano effettivamente succedere in pieno nella proprietà e gestione delle risorse patrimoniali degli enti soppressi.
9/5389/50. Farinone, Fiano, Peluffo.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 18 del decreto legge in esame stabilisce disposizioni in materia di istituzione delle città metropolitane e soppressione delle province dei relativo territorio;
              tale articolo ridefinisce l'istituzione e la disciplina delle città metropolitane che sono istituite tassativamente entro il 1o gennaio 2014 – ovvero anteriormente a quella data se si verificano alcune peculiari condizioni – nei territori delle 10 province che vengono contestualmente ad essere soppresse (Roma, Torino, Milano, Venezia, Bologna, Genova, Firenze, Bari, Napoli, e Reggio Calabria;
              il comma 8 del suddetto articolo stabilisce che ciascuna città metropolitana succede a titolo universale in tutti i rapporti attivi e passivi della provincia soppressa relativamente al patrimonio, le risorse umane e strumentali nonché le risorse finanziarie;
              valutato altresì che per la fase transitoria dalla data di entrata in vigore del decreto legge fino alle scadenze previste dal citato articolo 18 non è prevista ima disciplina specificamente dedicata alla tutela del patrimonio degli enti in via di soppressione nella fase di transizione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di predisporre tutti gli interventi e le iniziative di competenza al fine di gestire adeguatamente la fase di transizione tra le province in via di soppressione e le città metropolitane in via di costituzione, con particolare riguardo al patrimonio di beni mobili e immobili degli enti che verranno soppressi, al fine di assicurare che gli enti subentranti possano effettivamente succedere in pieno nella proprietà e gestione delle risorse patrimoniali degli enti soppressi.
9/5389/50.    (Testo modificato nel corso della seduta) Farinone, Fiano, Peluffo.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 17 del decreto legge in esame disciplina un processo di riordino delle province e una ridefinizione delle loro funzioni attraverso più fasi di intervento e coinvolgendo differenti soggetti istituzionali;
              valutato altresì che per la fase transitoria dalla data di entrata in vigore del decreto legge fino alle scadenze temporali previste dal citato articolo 17 non è prevista una disciplina specificamente dedicata alla gestione della transizione con riferimento alla tutela del patrimonio degli enti in via di soppressione che andranno ad essere accorpati in altre province;

impegna il Governo

a predisporre tutti gli interventi e le iniziative di competenza al fine di gestire adeguatamente la fase di transizione con particolare riguardo al patrimonio di beni mobili e immobili degli enti che verranno soppressi, al fine di assicurare che gli enti subentranti possano effettivamente succedere in pieno nella proprietà e gestione delle risorse patrimoniali degli enti soppressi.
9/5389/51. Peluffo, Fiano.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 17 del decreto legge in esame disciplina un processo di riordino delle province e una ridefinizione delle loro funzioni attraverso più fasi di intervento e coinvolgendo differenti soggetti istituzionali;
              valutato altresì che per la fase transitoria dalla data di entrata in vigore del decreto legge fino alle scadenze temporali previste dal citato articolo 17 non è prevista una disciplina specificamente dedicata alla gestione della transizione con riferimento alla tutela del patrimonio degli enti in via di soppressione che andranno ad essere accorpati in altre province;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, e nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di predisporre tutti gli interventi e le iniziative di competenza al fine di gestire adeguatamente la fase di transizione con particolare riguardo al patrimonio di beni mobili e immobili degli enti che verranno soppressi, al fine di assicurare che gli enti subentranti possano effettivamente succedere in pieno nella proprietà e gestione delle risorse patrimoniali degli enti soppressi.
9/5389/51.    (Testo modificato nel corso della seduta) Peluffo, Fiano.


      La Camera,
          premesso che:
              è stata prevista la soppressione di tutte le sezioni distaccate dei Tribunali. Esistono tuttavia situazioni in cui la norma prevista, onde permettere «risparmi di spesa e incremento di efficienza», si scontra con l'evidenza dei numeri. La sezione staccata di Desio, secondo il presidente della Corte d'Appello di Milano e il Presidente del Tribunale di Monza, palesa in quantità, qualità e costi (l'edificio è dato in comodato gratuito dal Comune di Desio, che si accolla il 75 per cento anche delle spese di gestione) una virtuosità tale da far ritenere la sua estinzione controproducente, insistendo su un'area di 400mila abitanti, 30mila imprese e venti comuni, nonché essendo al centro di una penetrazione ormai endemica della criminalità organizzata (’ndrangheta e camorra). L'edificio di Desio è nato come Tribunale e quindi ha dato prova di rispondere a tutti i requisiti per soddisfare le esigenze di un ufficio Giudiziario; un eventuale immobile in locazione a Monza, dovrebbe essere adeguato alle esigenze con ulteriori costi e disagi,

impegna il Governo

a considerare con attenzione gli elementi fomiti dalle Autorità giudiziarie per il mantenimento della sezione distaccata di Desio nell'ambito del Tribunale di Monza, valutando l'opportunità di non procedere alla sua soppressione.
9/5389/52. Renato Farina.


      La Camera,
          premesso che:
              i dirigenti penitenziari stanno esprimendo in queste ore fortissime preoccupazioni in considerazione del fatto che dalla «Riduzione delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni» di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto-legge 95/2012, non è stato espressamente escluso il personale della carriera dirigenziale penitenziaria ex decreto legislativo n.  63/2006, oltre che il restante personale amministrativo penitenziario, quello civile come educatori, psicologi ex articolo 80, assistenti sociali, nonché quello riguardante la giustizia minorile;
              in particolare, l'espressione utilizzata nel comma 7 dei precitato articolo 2 «Sono escluse dalla riduzione del comma 1 le strutture e il personale del comparto sicurezza (...)», non risulta chiarissimo se si sia inteso escludere non solo il personale del Corpo di polizia penitenziaria ma anche il personale della carriera dirigenziale penitenziaria (dirigenti di istituto penitenziario e di esecuzione penale esterna);
              peraltro, il successivo articolo 14 – comma 2 ricomprende la polizia penitenziaria, per gli anni dal 2012 al 2014 nella riduzione al 20 per cento del turn-over e nel successivo 2015 al 50 per cento, ovvero della possibilità di procedere a nuove assunzioni in misura pari a coloro che vanno in pensione, con ciò riducendo di fatto l'organico di polizia penitenziaria, già carente di 7.000 unità, di ulteriori 4.500 unità;
          considerato che:
              in capo al Direttore discendono dall'ordinamento penitenziario, dal Regolamento di Esecuzione e dal decreto legislativo 15 febbraio 2006 n.  63 funzioni di garanzia dell'ordine e della sicurezza;
              il personale della carriera dirigenziale penitenziaria di cui al decreto legislativo 15 febbraio 2006 n.  63 rientra pienamente nell'ambito del Comparto Sicurezza essendo destinatario del trattamento giuridico ed economico del personale dirigente della Polizia di Stato. E difatti il personale della carriera dirigenziale penitenziaria è destinatario degli assegni una tantum per il personale del Comparto sicurezza, per gli anni 2011-2012-2013, in applicazione del decreto del Ministro 17 novembre 2011;
              il direttore si avvale del personale di polizia penitenziaria e ne è superiore gerarchico, così come il restante personale della carriera dirigenziale penitenziaria al quale, ai sensi del decreto legislativo 63/2006, sono attribuiti anche gli altri incarichi di cui al comma 1 dell'articolo 9 legge 15 dicembre 1990, n.  395 «Ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria»;
              la polizia penitenziaria, d'altra parte, è parte integrante ed irrinunciabile dell'attività e dei procedimenti per l'osservazione e il trattamento interni alle carceri e propedeutici al reinserimento sociale dei detenuti ex articolo 27 Cost., nonché fattore essenziale per il mantenimento, in un sistema penitenziario affetto da sovraffollamento ben oltre il 50 per cento dei posti-letto disponibili, delle condizioni minime di vivibilità e sicurezza e delle iniziative atte a prevenire i gravi e crescenti fenomeni della violenza e dei suicidi nelle infrastrutture penitenziarie;
          considerato altresì che:
              l'esecuzione delle pene detentive e delle altre misure privative della libertà personale non è altra cosa rispetto al «sistema sicurezza», poiché la sicurezza penitenziaria è sicurezza dentro e fuori dal carcere e la rieducazione del condannato è sicurezza dei cittadini, in quanto la restituzione alla società di uomini migliori e capaci di reinserirsi dopo la detenzione comporta una effettiva riduzione della recidiva. Peraltro il carcere fa parte del «sistema giustizia» nel suo complesso, perché la giustizia non si ferma nelle aule dei tribunali e delle corti ma si attua all'interno dei penitenziari e attraverso gli uffici di esecuzione penale esterna. In altri termini il «sistema giustizia» e il «sistema sicurezza» comprendono anche quello dell'esecuzione penale e i problemi e gli interventi sui primi non possono non tenere conto del «sistema penitenziario»;
              già oggi i dirigenti penitenziari sono un numero assolutamente risibile (n.392, compresi i dirigenti generali) e stanno subendo una progressiva riduzione per lo più a causa degli intervenuti collocamenti a riposo, atteso che l'ultima immissione nel ruolo risale oramai a quindici anni orsono (1997),

impegna il Governo:

          ad interpretare l'articolo 2, comma 7, del D.L 95/2012 nel senso che sono esclusi dalla riduzione di cui al comma 1 del medesimo articolo anche i dirigenti penitenziari ed in tal senso interpretare la deroga prevista per le forze di polizia già dal precedente provvedimento normativo (articolo 1, comma 5, decreto-legge n.  138/2011) che non ha trovato attuazione;
          a valutare, alla luce di quanto esposto in premessa, gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate, al fine di:
              a) escludere altresì dalla riduzione tutto il personale amministrativo penitenziario, quello civile come educatori, psicologi ex articolo 80, assistenti sociali, nonché quello riguardante la giustizia minorile, così come già previsto dalla norma per il personale amministrativo operante presso gli uffici giudiziari e per il personale di magistratura, già a partire dal precedente provvedimento normativo;
              b) escludere dalla riduzione al 20 per cento del turn-over per il triennio 2012/2014 e al 50 per cento per il 2015, il corpo di polizia penitenziaria e, in particolare, a considerare estranea a tale riduzione l'integrazione di organico di 1.068 unità, pari al turn-over relativo ai pensionamenti di personale nel 2011, per la quale l'amministrazione penitenziaria centrale ha richiesto l'autorizzazione all'assunzione, nel corrente 2012, con atto in data 6 giugno 2012.
9/5389/53. Bernardini, Beltrandi, Farina Coscioni, Mecacci, Maurizio Turco, Zamparutti, Capano, Renato Farina.


      La Camera,
          premesso che:
              i dirigenti penitenziari stanno esprimendo in queste ore fortissime preoccupazioni in considerazione del fatto che dalla «Riduzione delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni» di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto-legge 95/2012, non è stato espressamente escluso il personale della carriera dirigenziale penitenziaria ex decreto legislativo n.  63/2006, oltre che il restante personale amministrativo penitenziario, quello civile come educatori, psicologi ex articolo 80, assistenti sociali, nonché quello riguardante la giustizia minorile;
              in particolare, l'espressione utilizzata nel comma 7 dei precitato articolo 2 «Sono escluse dalla riduzione del comma 1 le strutture e il personale del comparto sicurezza (...)», non risulta chiarissimo se si sia inteso escludere non solo il personale del Corpo di polizia penitenziaria ma anche il personale della carriera dirigenziale penitenziaria (dirigenti di istituto penitenziario e di esecuzione penale esterna);
              peraltro, il successivo articolo 14 – comma 2 ricomprende la polizia penitenziaria, per gli anni dal 2012 al 2014 nella riduzione al 20 per cento del turn-over e nel successivo 2015 al 50 per cento, ovvero della possibilità di procedere a nuove assunzioni in misura pari a coloro che vanno in pensione, con ciò riducendo di fatto l'organico di polizia penitenziaria, già carente di 7.000 unità, di ulteriori 4.500 unità;
          considerato che:
              in capo al Direttore discendono dall'ordinamento penitenziario, dal Regolamento di Esecuzione e dal decreto legislativo 15 febbraio 2006 n.  63 funzioni di garanzia dell'ordine e della sicurezza;
              il personale della carriera dirigenziale penitenziaria di cui al decreto legislativo 15 febbraio 2006 n.  63 rientra pienamente nell'ambito del Comparto Sicurezza essendo destinatario del trattamento giuridico ed economico del personale dirigente della Polizia di Stato. E difatti il personale della carriera dirigenziale penitenziaria è destinatario degli assegni una tantum per il personale del Comparto sicurezza, per gli anni 2011-2012-2013, in applicazione del decreto del Ministro 17 novembre 2011;
              il direttore si avvale del personale di polizia penitenziaria e ne è superiore gerarchico, così come il restante personale della carriera dirigenziale penitenziaria al quale, ai sensi del decreto legislativo 63/2006, sono attribuiti anche gli altri incarichi di cui al comma 1 dell'articolo 9 legge 15 dicembre 1990, n.  395 «Ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria»;
              la polizia penitenziaria, d'altra parte, è parte integrante ed irrinunciabile dell'attività e dei procedimenti per l'osservazione e il trattamento interni alle carceri e propedeutici al reinserimento sociale dei detenuti ex articolo 27 Cost., nonché fattore essenziale per il mantenimento, in un sistema penitenziario affetto da sovraffollamento ben oltre il 50 per cento dei posti-letto disponibili, delle condizioni minime di vivibilità e sicurezza e delle iniziative atte a prevenire i gravi e crescenti fenomeni della violenza e dei suicidi nelle infrastrutture penitenziarie;
          considerato altresì che:
              l'esecuzione delle pene detentive e delle altre misure privative della libertà personale non è altra cosa rispetto al «sistema sicurezza», poiché la sicurezza penitenziaria è sicurezza dentro e fuori dal carcere e la rieducazione del condannato è sicurezza dei cittadini, in quanto la restituzione alla società di uomini migliori e capaci di reinserirsi dopo la detenzione comporta una effettiva riduzione della recidiva. Peraltro il carcere fa parte del «sistema giustizia» nel suo complesso, perché la giustizia non si ferma nelle aule dei tribunali e delle corti ma si attua all'interno dei penitenziari e attraverso gli uffici di esecuzione penale esterna. In altri termini il «sistema giustizia» e il «sistema sicurezza» comprendono anche quello dell'esecuzione penale e i problemi e gli interventi sui primi non possono non tenere conto del «sistema penitenziario»;
              già oggi i dirigenti penitenziari sono un numero assolutamente risibile (n.392, compresi i dirigenti generali) e stanno subendo una progressiva riduzione per lo più a causa degli intervenuti collocamenti a riposo, atteso che l'ultima immissione nel ruolo risale oramai a quindici anni orsono (1997),

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di interpretare l'articolo 2, comma 7, del D.L 95/2012 nel senso che sono esclusi dalla riduzione di cui al comma 1 del medesimo articolo anche i dirigenti penitenziari ed in tal senso interpretare la deroga prevista per le forze di polizia già dal precedente provvedimento normativo (articolo 1, comma 5, decreto-legge n.  138/2011) che non ha trovato attuazione;
          a valutare, alla luce di quanto esposto in premessa, gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate, al fine di:
              a) escludere altresì dalla riduzione tutto il personale amministrativo penitenziario, quello civile come educatori, psicologi ex articolo 80, assistenti sociali, nonché quello riguardante la giustizia minorile, così come già previsto dalla norma per il personale amministrativo operante presso gli uffici giudiziari e per il personale di magistratura, già a partire dal precedente provvedimento normativo;
              b) escludere dalla riduzione al 20 per cento del turn-over per il triennio 2012/2014 e al 50 per cento per il 2015, il corpo di polizia penitenziaria e, in particolare, a considerare estranea a tale riduzione l'integrazione di organico di 1.068 unità, pari al turn-over relativo ai pensionamenti di personale nel 2011, per la quale l'amministrazione penitenziaria centrale ha richiesto l'autorizzazione all'assunzione, nel corrente 2012, con atto in data 6 giugno 2012.
9/5389/53.    (Testo modificato nel corso della seduta) Bernardini, Beltrandi, Farina Coscioni, Mecacci, Maurizio Turco, Zamparutti, Capano, Renato Farina.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame, all'articolo 15, comma 15, introduce nuovi criteri per la determinazione delle tariffe per la remunerazione delle prestazioni sanitarie, in ragione della prevista deroga all'articolo 8-sexies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.  502 e successive modificazioni;
              l'adottando tariffario per la remunerazione delle tariffe, ancorché determinato in deroga ai criteri di cui al richiamato articolo 8 sexies, comunque avrà vigenza sino al 31 dicembre 2014;
              la deroga, così come introdotta, oblitera il procedimento istruttorio nonché l'oggettività dei criteri fissati dall'originario articolo 8 sexies del decreto legislativo n.  502/92 e s.m.i., posti a base della determinazione delle tariffe per la remunerazione delle prestazioni sanitarie;
              tale procedimento di formazione delle tariffe, così come originariamente previsto, era finalizzato ad assicurare che le stesse tariffe fossero adeguatamente remunerative, anche in ragione delle diverse normative regionali che hanno imposto alle strutture sanitarie private accreditate l'adeguamento a determinati requisiti in funzione della loro classificazione tipologica;
              la stessa deroga, inoltre, non tiene conto, per le strutture private accreditate, tra gli elementi di determinazione delle tariffe per la remunerazione delle prestazioni sanitarie, sia del criterio della soglia minima di efficienza, come individuata nell'accordo sancito il 23 marzo 2011 tra il Governo e le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sul documento recante «Criteri per la riorganizzazione delle reti di offerta di diagnostica di laboratorio», sia del reale costo di produzione delle prestazioni;
              nonostante la introdotta deroga è necessario assicurare alla determinazione delle tariffe una congrua e adeguata istruttoria;
              tale istruttoria può essere effettuata da una Commissione Ministeriale, con la partecipazione anche delle Associazioni di categoria, maggiormente rappresentative sul piano nazionale, e delle Società Scientifiche, che tenga conto specificamente di tutti i criteri e valuti tutti i dati, provenienti sia dal pubblico sia dal privato accreditato, necessari per garantire alle nuove tariffe congruità e legittimità, così come più volte chiarito dalla giurisprudenza amministrativa in materia di annullamento dei precedenti tariffari,

impegna il Governo

a verificare la possibilità di adottare ulteriori iniziative, anche di carattere normativo, al fine di istituire un'apposita Commissione presso il Ministero della Salute, che preveda la partecipazione delle Associazioni di Categoria e delle Società Scientifiche, assegnando alla stessa la funzione e l'obiettivo di predisporre il nuovo Tariffario mediante la valutazione dettagliata di tutti i criteri e di tutti i dati, offerti anche dal privato accreditato, mediante le proprie Associazioni di categoria, e dalle Società Scientifiche, per garantire allo stesso Tariffario un'istruttoria congrua e legittima.
9/5389/54. D'Anna, Moffa, Calearo Ciman, Catone, Cesario, Gianni, Lehner, Marmo, Milo, Mottola, Orsini, Pionati, Pisacane, Polidori, Razzi, Romano, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini, Stasi, Taddei.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame, all'articolo 15, comma 15, introduce nuovi criteri per la determinazione delle tariffe per la remunerazione delle prestazioni sanitarie, in ragione della prevista deroga all'articolo 8-sexies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.  502 e successive modificazioni;
              l'adottando tariffario per la remunerazione delle tariffe, ancorché determinato in deroga ai criteri di cui al richiamato articolo 8 sexies, comunque avrà vigenza sino al 31 dicembre 2014;
              la deroga, così come introdotta, oblitera il procedimento istruttorio nonché l'oggettività dei criteri fissati dall'originario articolo 8 sexies del decreto legislativo n.502/92 e s.m.i., posti a base della determinazione delle tariffe per la remunerazione delle prestazioni sanitarie;
              tale procedimento di formazione delle tariffe, così come originariamente previsto, era finalizzato ad assicurare che le stesse tariffe fossero adeguatamente remunerative, anche in ragione delle diverse normative regionali che hanno imposto alle strutture sanitarie private accreditate l'adeguamento a determinati requisiti in funzione della loro classificazione tipologica;
              la stessa deroga, inoltre, non tiene conto, per le strutture private accreditate, tra gli elementi di determinazione delle tariffe per la remunerazione delle prestazioni sanitarie, sia del criterio della soglia minima di efficienza, come individuata nell'accordo sancito il 23 marzo 2011 tra il Governo e le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sul documento recante «Criteri per la riorganizzazione delle reti di offerta di diagnostica di laboratorio», sia del reale costo di produzione delle prestazioni;
              nonostante la introdotta deroga è necessario assicurare alla determinazione delle tariffe una congrua e adeguata istruttoria;
              tale istruttoria può essere effettuata da una Commissione Ministeriale, con la partecipazione anche delle Associazioni di categoria, maggiormente rappresentative sul piano nazionale, e delle Società Scientifiche, che tenga conto specificamente di tutti i criteri e valuti tutti i dati, provenienti sia dal pubblico sia dal privato accreditato, necessari per garantire alle nuove tariffe congruità e legittimità, così come più volte chiarito dalla giurisprudenza amministrativa in materia di annullamento dei precedenti tariffari,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di adottare ulteriori iniziative, anche di carattere normativo, al fine di istituire un'apposita Commissione presso il Ministero della Salute, che preveda la partecipazione delle Associazioni di Categoria e delle Società Scientifiche, assegnando alla stessa la funzione e l'obiettivo di predisporre il nuovo Tariffario mediante la valutazione dettagliata di tutti i criteri e di tutti i dati, offerti anche dal privato accreditato, mediante le proprie Associazioni di categoria, e dalle Società Scientifiche, per garantire allo stesso Tariffario un'istruttoria congrua e legittima.
9/5389/54.    (Testo modificato nel corso della seduta) D'Anna, Moffa, Calearo Ciman, Catone, Cesario, Gianni, Lehner, Marmo, Milo, Mottola, Orsini, Pionati, Pisacane, Polidori, Razzi, Romano, Ruvolo, Scilipoti, Siliquini, Stasi, Taddei.


      La Camera,
          premesso che:
              all'articolo 17 del provvedimento approvato è previsto, come contributo al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica imposti dagli obblighi europei, il riordino delle province e loro funzioni;
              al comma 3, del predetto articolo 17, è previsto, in particolare, che il consiglio delle autonomie locali di ogni regione a statuto ordinario o, in mancanza, l'organo di raccordo tra regioni ed enti locali approvi un'ipotesi di riordino relativa alle province ubicate nel territorio della rispettiva regione;
              a sua volta la Regione, anche in mancanza di recepimento della deliberazione di cui sopra, deve trasmettere al Governo, una proposta di riordino delle province ubicate nel proprio territorio;
              in quanto disposto non si è tenuto in nessun conto la possibilità che da parte delle Regioni non si arrivi ad ottemperare a quanto previsto,

impegna il Governo

a prevedere la possibilità, qualora le Regioni non ottemperassero a quanto di loro competenza, entro il tempo previsto di novantadue giorni dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della deliberazione prevista al comma 2 dell'articolo 17, di procedere direttamente al riordino con la possibilità di accorpare anche province confinanti ubicate in regioni diverse secondo un piano nazionale di riordino delle autonomie locali, nel rispetto, in ogni caso, di quanto stabilito dall'articolo 132, secondo comma, della Costituzione.
9/5389/55. Scilipoti.


      La Camera,
          premesso che:
              all'articolo 17 del provvedimento approvato è previsto, come contributo al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica imposti dagli obblighi europei, il riordino delle province e loro funzioni;
              al comma 3, del predetto articolo 17, è previsto, in particolare, che il consiglio delle autonomie locali di ogni regione a statuto ordinario o, in mancanza, l'organo di raccordo tra regioni ed enti locali approvi un'ipotesi di riordino relativa alle province ubicate nel territorio della rispettiva regione;
              a sua volta la Regione, anche in mancanza di recepimento della deliberazione di cui sopra, deve trasmettere al Governo, una proposta di riordino delle province ubicate nel proprio territorio;
              in quanto disposto non si è tenuto in nessun conto la possibilità che da parte delle Regioni non si arrivi ad ottemperare a quanto previsto,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di prevedere la possibilità, qualora le Regioni non ottemperassero a quanto di loro competenza, entro il tempo previsto di novantadue giorni dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della deliberazione prevista al comma 2 dell'articolo 17, di procedere direttamente al riordino con la possibilità di accorpare anche province confinanti ubicate in regioni diverse secondo un piano nazionale di riordino delle autonomie locali, nel rispetto, in ogni caso, di quanto stabilito dall'articolo 132, secondo comma, della Costituzione.
9/5389/55.    (Testo modificato nel corso della seduta) Scilipoti.


      La Camera,
          premesso che:
              con l'articolo 2 del seguente provvedimento è stata prevista la riduzione delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni;
              ciò comporterà una oggettiva difficoltà a garantire gli attuali livelli di servizio e l'operatività di molte strutture pubbliche,

impegna il Governo

a prevedere la possibilità, anche attraverso eventuali provvedimenti legislativi, di consentire alle Agenzie, agli Enti pubblici non economici, agli altri Enti o Società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di potere, attraverso risorse proprie, utilizzare personale con contratti in convenzione con le agenzie di somministrazione, per coprire le carenze di organico prodotte dalle norme previste nel decreto in oggetto, senza determinare forme di stabilizzazione del rapporto di lavoro suscettibili di alterare il quadro normativo vigente.
9/5389/56. Gianni.


      La Camera,
          premesso che:
              con l'articolo 2 del seguente provvedimento è stata prevista la riduzione delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni;
              ciò comporterà una oggettiva difficoltà a garantire gli attuali livelli di servizio e l'operatività di molte strutture pubbliche,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di prevedere la possibilità, anche attraverso eventuali provvedimenti legislativi, di consentire alle Agenzie, agli Enti pubblici non economici, agli altri Enti o Società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di potere, attraverso risorse proprie, utilizzare personale con contratti in convenzione con le agenzie di somministrazione, per coprire le carenze di organico prodotte dalle norme previste nel decreto in oggetto, senza determinare forme di stabilizzazione del rapporto di lavoro suscettibili di alterare il quadro normativo vigente.
9/5389/56.    (Testo modificato nel corso della seduta) Gianni.


      La Camera,
          premesso che:
              un'efficace azione di riorganizzazione della spesa non può prescindere dall'ottimizzazione delle risorse, concentrando capacità umane e investimenti nel raggiungimento di obiettivi idonei al miglioramento e alla crescita del paese, allocando tali risorse a favore di comparti capaci di essere volano virtuoso della ripresa;
              come anche evidenziato in sede di III Commissione il ministero degli affari esteri è per la sua specificità un punto irrinunciabile e strategico per la promozione del sistema Paese, la cui importanza diviene sempre più essenziale quanto più il mercato globalizzato dell'economia, ma anche delle idee, si afferma a livello mondiale quale motore unico di sviluppo sociale ed economico;
              che tale funzione può assumere un ruolo fondamentale, nella crescita e nello sviluppo del Paese, specie considerando che l'export italiano, secondo il Trade Performance Index dell'Unctad/Wto, nel 2010 è riuscito a confermarsi secondo solo alla Germania, grazie alla qualità eccellente delle sue produzioni, ma questa sua capacità di reggere alla crisi è messa a dura prova da fattori di politica industriale interni e da fattori esterni, primo fra tutti la falsificazione del made in Italy cui sono soggetti i beni di elevata qualità in ogni settore merceologico e che penalizza le nostre imprese sui mercati esteri ed anche su quello interno,

impegna il Governo:

          a promuovere celermente mediante appropriati provvedimenti anche di carattere di urgenza tutto quanto necessario affinché:
              le rappresentanze italiane all'estero siano dotate, nell'ambito della loro riorganizzazione in corso, attingendo da altri capitoli di spesa disponibili al MAE la dotazione dei fondi necessari, di personale di indirizzi economico e legale, al fine di essere reale e concreto supporto al sistema imprenditoriale italiano in tutte le controversie derivanti dall'abuso, se non dalla palese falsificazione, del prodotto made in Italy, ivi compresa la costituzione di parte civile dello Stato ove ne ricorrano i presupposti, in quanto lo Stato Italiano è chiaramente parte danneggiata ogni volta che tali prodotti circolano impunemente in ambito internazionale, assodato che conseguenza di ciò è inevitabilmente un forte danno erariale derivato dalla minore produzione nazionale;
              inserire tra le Missioni dedicate alla promozione del sistema paese l'avvio di accordi con Paesi terzi volti a far sì che le merci ed i beni in ingresso in Italia abbiano chiaramente apposte incontrovertibili informazioni in lingua italiana idonee ad identificare le caratteristiche del prodotto le origini e la filiera di produzione, in modo che i consumatori italiani abbiano l'effettiva possibilità di verificare, e quindi di esercitare una scelta consapevole prima di effettuare ogni acquisto o scelta commerciale, la provenienza dei beni oggetto del loro interesse e l'origine di ogni produttore che ha concorso alla produzione del bene, ferma restando la valutazione del Governo sull'opportunità di intervenire anche internamente mediante disposizioni di legge o di normativa similare.
9/5389/57. Galli.


      La Camera,
          premesso che:
              un'efficace azione di riorganizzazione della spesa non può prescindere dall'ottimizzazione delle risorse, concentrando capacità umane e investimenti nel raggiungimento di obiettivi idonei al miglioramento e alla crescita del paese, allocando tali risorse a favore di comparti capaci di essere volano virtuoso della ripresa;
              come anche evidenziato in sede di III Commissione il ministero degli affari esteri è per la sua specificità un punto irrinunciabile e strategico per la promozione del sistema Paese, la cui importanza diviene sempre più essenziale quanto più il mercato globalizzato dell'economia, ma anche delle idee, si afferma a livello mondiale quale motore unico di sviluppo sociale ed economico;
              che tale funzione può assumere un ruolo fondamentale, nella crescita e nello sviluppo del Paese, specie considerando che l'export italiano, secondo il Trade Performance Index dell'Unctad/Wto, nel 2010 è riuscito a confermarsi secondo solo alla Germania, grazie alla qualità eccellente delle sue produzioni, ma questa sua capacità di reggere alla crisi è messa a dura prova da fattori di politica industriale interni e da fattori esterni, primo fra tutti la falsificazione del made in Italy cui sono soggetti i beni di elevata qualità in ogni settore merceologico e che penalizza le nostre imprese sui mercati esteri ed anche su quello interno,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di promuovere celermente mediante appropriati provvedimenti anche di carattere di urgenza tutto quanto necessario affinché:
              le rappresentanze italiane all'estero siano dotate, nell'ambito della loro riorganizzazione in corso, attingendo da altri capitoli di spesa disponibili al MAE la dotazione dei fondi necessari, di personale di indirizzi economico e legale, al fine di essere reale e concreto supporto al sistema imprenditoriale italiano in tutte le controversie derivanti dall'abuso, se non dalla palese falsificazione, del prodotto made in Italy, ivi compresa la costituzione di parte civile dello Stato ove ne ricorrano i presupposti, in quanto lo Stato Italiano è chiaramente parte danneggiata ogni volta che tali prodotti circolano impunemente in ambito internazionale, assodato che conseguenza di ciò è inevitabilmente un forte danno erariale derivato dalla minore produzione nazionale;
              inserire tra le Missioni dedicate alla promozione del sistema paese l'avvio di accordi con Paesi terzi volti a far sì che le merci ed i beni in ingresso in Italia abbiano chiaramente apposte incontrovertibili informazioni in lingua italiana idonee ad identificare le caratteristiche del prodotto le origini e la filiera di produzione, in modo che i consumatori italiani abbiano l'effettiva possibilità di verificare, e quindi di esercitare una scelta consapevole prima di effettuare ogni acquisto o scelta commerciale, la provenienza dei beni oggetto del loro interesse e l'origine di ogni produttore che ha concorso alla produzione del bene, ferma restando la valutazione del Governo sull'opportunità di intervenire anche internamente mediante disposizioni di legge o di normativa similare.
9/5389/57.    (Testo modificato nel corso della seduta) Galli.


      La Camera,
          premesso che:
              nel disegno di legge in esame di «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini», sono presenti le norme che determinano il procedimento complesso attraverso il quale dovrebbero essere riordinate le province esistenti, anche mediante accorpamenti e consistenti revisioni territoriali;
              tale procedimento, misto di attività legislative e di alta amministrazione, già in corso di attuazione anche da parte del Governo, prevede la determinazione di parametri che dovrebbero invece essere considerati indicatori di massima con i quali valutare l'efficacia e l'efficienza dei nuovi organismi provinciali, derivanti dai processi avviati e la loro rispondenza anche all'omogeneità territoriale, alla storia, alla tradizione ed al complesso di valori economici e sociali di cui anche le province sono storicamente portatrici nel Paese;
              il processo di rideterminazione territoriale non è stato finora adeguatamente partecipato, non sarà completato prima dell'anno 2014 e pertanto dovrebbe vedere sino a quel momento tutti gli Enti pienamente operativi nelle loro competenze e nelle loro deleghe e capaci di esercitare il loro ruolo fino alle naturali scadenze dei rispettivi mandati;
              la Costituzione riconosce e valorizza l'autonomia anche, ma non soltanto, amministrativa e finanziaria delle Province;
              le Province non sono un artificiosa, mera ripartizione dei territori o uno strumento di esercizio del potere locale, ma il risultato di processi storici di rappresentanza e di formazione di comunità di area vasta, legate da tradizioni, interessi sociali ed economici e da reti materiali e virtuali di servizi e programmi;
              ove tali ripartizioni coincidono con il modello organizzativo desumibile dagli atti e provvedimenti del governo è errato procedere ad accorpamenti privi di ogni coerenza e logicità per rispettare parametri astratti e meramente numerici, magari non rispettati marginalmente, errati particolarmente, laddove storicamente si sono consolidate realtà amministrative provinciali, che sono contraddistinte anche da nitidi confini geografici e da comuni processi storici e di tradizione, come nel caso delle Marche ove da oltre un secolo e mezzo si è consolidata la ripartizione del territorio regionale in quattro aree intermedie, sostanzialmente omogenee per fasce parallele, ugualmente rappresentative di un articolato tessuto geografico che scende, lungo le valli dei fiumi, dalla montagna ai mare;
              l'ipotesi di un processo di accorpamento allo Stato, inevitabilmente foriero di contrasti territoriali appare in contrasto con la dichiarata necessità di promuovere investimenti ed interventi sul territorio, anche attraverso gli enti intermedi, che sono gli unici presidi territoriali in grado di provvedere con celerità alla realizzazione di significative opere pubbliche;
              i processi eventuali di accorpamento, oltre al tema dell'individuazione del nuovo capoluogo, che non può essere affidata alla semplice individuazione del comune più grande, trattandosi di accorpamento di province e non di comuni, comportano la necessità di affrontare complesse tematiche relative al patrimonio degli enti ed alla loro situazione economica e finanziaria, essendo impossibile che enti virtuosi paghino, attraverso i processi di accorpamento, gli oneri finanziari e i costi di enti che sono prossimi al dissesto;
              infine del tutto incerta appare la futura governance degli enti intermedi che diverrebbe tema ancor più delicato e difficile in presenza di realtà territoriali particolarmente consistenti per numero di comuni e per vastità territoriale,

impegna il Governo:

          con gli strumenti normativi ed amministrativi che riterrà più appropriati a consentire l'approfondimento, anche ai fini del quadro economico finanziario che si verrà a determinare, sentito il parere della Conferenza unificata Stato-Regioni per garantire tempi più adeguati da concedere a Regioni e Cal per i nuovi accorpamenti;
          a prevedere e consentire in ogni caso che, in presenza di scostamenti non particolarmente significativi dai parametri che saranno adottati o mediante adozione di nuovi più appropriati parametri, si tenga precipuo conto delle realtà esistenti, ove esse siano sostanzialmente adeguate, come è già, esemplificando, quella di Macerata, ai nuovi modelli organizzativi che si intendono adottare;
          in ogni caso, ove sia ritenuto indispensabile ed indifferibile procedere ad accorpamenti che impongano l'unione di territori di più province, garantire che il processo di scelta del nuovo capoluogo derivi dal criterio di scelta del capoluogo della provincia avente il maggior numero di abitanti fra quelle da accorpare o sia necessariamente oggetto di accordo, anche a maggioranza, fra le province da accorpare, sentiti i precedenti capoluoghi e che in ogni caso sia esperito un procedimento di consultazione democratica come condizione per la definitiva individuazione del nuovo capoluogo, nell'ambito di un accordo generale di riallocazione delle strutture provinciali e dei servizi territoriali ad essa collegati.
9/5389/58. Cavallaro, Cenni.


      La Camera,
          premesso che:
              nel disegno di legge in esame di «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini», sono presenti le norme che determinano il procedimento complesso attraverso il quale dovrebbero essere riordinate le province esistenti, anche mediante accorpamenti e consistenti revisioni territoriali;
              tale procedimento, misto di attività legislative e di alta amministrazione, già in corso di attuazione anche da parte del Governo, prevede la determinazione di parametri che dovrebbero invece essere considerati indicatori di massima con i quali valutare l'efficacia e l'efficienza dei nuovi organismi provinciali, derivanti dai processi avviati e la loro rispondenza anche all'omogeneità territoriale, alla storia, alla tradizione ed al complesso di valori economici e sociali di cui anche le province sono storicamente portatrici nel Paese;
              il processo di rideterminazione territoriale non è stato finora adeguatamente partecipato, non sarà completato prima dell'anno 2014 e pertanto dovrebbe vedere sino a quel momento tutti gli Enti pienamente operativi nelle loro competenze e nelle loro deleghe e capaci di esercitare il loro ruolo fino alle naturali scadenze dei rispettivi mandati;
              la Costituzione riconosce e valorizza l'autonomia anche, ma non soltanto, amministrativa e finanziaria delle Province;
              le Province non sono un artificiosa, mera ripartizione dei territori o uno strumento di esercizio del potere locale, ma il risultato di processi storici di rappresentanza e di formazione di comunità di area vasta, legate da tradizioni, interessi sociali ed economici e da reti materiali e virtuali di servizi e programmi;
              ove tali ripartizioni coincidono con il modello organizzativo desumibile dagli atti e provvedimenti del governo è errato procedere ad accorpamenti privi di ogni coerenza e logicità per rispettare parametri astratti e meramente numerici, magari non rispettati marginalmente, errati particolarmente, laddove storicamente si sono consolidate realtà amministrative provinciali, che sono contraddistinte anche da nitidi confini geografici e da comuni processi storici e di tradizione, come nel caso delle Marche ove da oltre un secolo e mezzo si è consolidata la ripartizione del territorio regionale in quattro aree intermedie, sostanzialmente omogenee per fasce parallele, ugualmente rappresentative di un articolato tessuto geografico che scende, lungo le valli dei fiumi, dalla montagna ai mare;
              l'ipotesi di un processo di accorpamento allo Stato, inevitabilmente foriero di contrasti territoriali appare in contrasto con la dichiarata necessità di promuovere investimenti ed interventi sul territorio, anche attraverso gli enti intermedi, che sono gli unici presidi territoriali in grado di provvedere con celerità alla realizzazione di significative opere pubbliche;
              i processi eventuali di accorpamento, oltre al tema dell'individuazione del nuovo capoluogo, che non può essere affidata alla semplice individuazione del comune più grande, trattandosi di accorpamento di province e non di comuni, comportano la necessità di affrontare complesse tematiche relative al patrimonio degli enti ed alla loro situazione economica e finanziaria, essendo impossibile che enti virtuosi paghino, attraverso i processi di accorpamento, gli oneri finanziari e i costi di enti che sono prossimi al dissesto;
              infine del tutto incerta appare la futura governance degli enti intermedi che diverrebbe tema ancor più delicato e difficile in presenza di realtà territoriali particolarmente consistenti per numero di comuni e per vastità territoriale,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, con gli strumenti normativi ed amministrativi che riterrà più appropriati, di consentire l'approfondimento, anche ai fini del quadro economico finanziario che si verrà a determinare, sentito il parere della Conferenza unificata Stato-Regioni per garantire tempi più adeguati da concedere a Regioni e Cal per i nuovi accorpamenti;
          di prevedere e consentire in ogni caso che, in presenza di scostamenti non particolarmente significativi dai parametri che saranno adottati o mediante adozione di nuovi più appropriati parametri, si tenga precipuo conto delle realtà esistenti, ove esse siano sostanzialmente adeguate, come è già, esemplificando, quella di Macerata, ai nuovi modelli organizzativi che si intendono adottare;
          in ogni caso, ove sia ritenuto indispensabile ed indifferibile procedere ad accorpamenti che impongano l'unione di territori di più province, di garantire che il processo di scelta del nuovo capoluogo derivi dal criterio di scelta del capoluogo della provincia avente il maggior numero di abitanti fra quelle da accorpare o sia necessariamente oggetto di accordo, anche a maggioranza, fra le province da accorpare, sentiti i precedenti capoluoghi e che in ogni caso sia esperito un procedimento di consultazione democratica come condizione per la definitiva individuazione del nuovo capoluogo, nell'ambito di un accordo generale di riallocazione delle strutture provinciali e dei servizi territoriali ad essa collegati.
9/5389/58.    (Testo modificato nel corso della seduta) Cavallaro, Cenni.


      La Camera,
          premesso che:
              reca interventi la cui comune finalità è il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica;
              il comma 42-ter dell'articolo 7, introdotto durante l'esame al Senato, reca una disposizione di interpretazione autentica sulla prorogatio del mandato dei rettori;
              in particolare il comma 42-ter dell'articolo 7 dispone che la previsione recata dall'articolo 2, comma 9, terzo periodo, della legge 240/2010 – secondo la quale il mandato dei rettori in carica al momento «dell'adozione dello statuto di cui ai commi 5 e 6» è prorogato fino al termine dell'anno accademico successivo – si interpreta nel senso che il momento di adozione del nuovo statuto è quello dell’«adozione definitiva» da parte del Senato accademico, dopo i controlli di legittimità e di merito effettuati dal Ministro (ai sensi dell'articolo 6 della legge 168/1989, richiamato dall'articolo 2, comma 7, della legge 240/2010);
              tale disposizione sembrerebbe poco pertinente alla materia generale di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica trattata dal decreto legge in esame,

impegna il Governo

ad impedire che in futuro vengano predisposte proroghe del mandato dei rettori in modo tale che non si verifichino deroghe in materia rispetto a quanto previsto dalla legge 240 del 30 dicembre 2010.
9/5389/59. Frassinetti, Centemero, Palmieri, De Pasquale, Motta.


      La Camera,
          premesso che:
              reca interventi la cui comune finalità è il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica;
              il comma 42-ter dell'articolo 7, introdotto durante l'esame al Senato, reca una disposizione di interpretazione autentica sulla prorogatio del mandato dei rettori;
              in particolare il comma 42-ter dell'articolo 7 dispone che la previsione recata dall'articolo 2, comma 9, terzo periodo, della legge 240/2010 – secondo la quale il mandato dei rettori in carica al momento «dell'adozione dello statuto di cui ai commi 5 e 6» è prorogato fino al termine dell'anno accademico successivo – si interpreta nel senso che il momento di adozione del nuovo statuto è quello dell’«adozione definitiva» da parte del Senato accademico, dopo i controlli di legittimità e di merito effettuati dal Ministro (ai sensi dell'articolo 6 della legge 168/1989, richiamato dall'articolo 2, comma 7, della legge 240/2010);
              tale disposizione sembrerebbe poco pertinente alla materia generale di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica trattata dal decreto legge in esame,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nei limiti degli equilibri di finanza pubblica, ad adoperarsi affinché in futuro non vengano predisposte proroghe del mandato dei rettori in modo tale che non si verifichino deroghe in materia rispetto a quanto previsto dalla legge 240 del 30 dicembre 2010.
9/5389/59.    (Testo modificato nel corso della seduta) Frassinetti, Centemero, Palmieri, De Pasquale, Motta.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame, con gli articoli 16-20 si pone l'obiettivo di razionalizzare e ridurre la spesa degli enti territoriali, intervenendo in modo significativo sull'ordinamento istituzionale di tali enti;
              in particolare, l'articolo 19 contiene nuove disposizioni in materia di Unioni di Comuni, che spingono verso l'esercizio associato di funzioni e servizi, mentre l'articolo 20 prevede un utile e importante sostegno ai processi di fusione volontaria realizzati dal 2012 in poi, attraverso un contributo straordinario pari al 20 per cento dei trasferimenti erariali attribuiti per l'anno 2010;
              già da tempo l'ordinamento italiano si è diretto verso l'incentivazione e la promozione delle forme di aggregazione degli enti locali, giungendo addirittura a prevedere – nell'ultimo anno – Unioni di Comuni forzose per la gestione assodata di tutte le funzioni comunali fra i comuni di minori dimensioni e comunque vincolando i comuni fino a 5000 abitanti (che rappresentano la grande maggioranza dei comuni italiani) ad individuare obbligatoriamente forme di gestione assodata delle loro funzioni fondamentali;
              già negli anni ’90, con l'articolo 26 della legge n.  142/90, il legislatore disponeva che la costituzione di Unioni fra Comuni dovesse avvenire «in previsione di una loro fusione» e che «entro dieci anni dalla costituzione dell'unione» dovesse procedersi alla fusione, pena lo scioglimento dell'Unione stessa;
          considerato, inoltre, che:
              le attuali e note difficoltà della finanza pubblica e la stretta dai punto di vista dei contributi statali impongono agli enti locali da un lato di contribuire, secondo le loro possibilità, al miglioramento dello stato dei conti pubblici attraverso scelte che comportano economie di spesa e risparmi, e dall'altro di ricercare nuove modalità di finanziamento per investire sul territorio;
              le fusioni di comuni rappresentano un importante strumento di cooperazione fra enti locali, con il quale si raggiunge il massimo livello di aggregazione possibile e si producono evidenti vantaggi dal punto di vista economico-finanziario, della programmazione e della gestione ed erogazione dei servizi al cittadino;
              esistono oggi nel Paese tantissime Unioni di Comuni costituite, ex articolo 32 TUEL, da moltissimi anni, che hanno raggiunto un importante livello di collaborazione ed operano mediante strutture stabili e collaudate,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire nella disciplina delle Unioni, nel senso di prevedere che i Comuni che partecipano ad una Unione costituita, ai sensi dell'articolo 32 del TUEL, da oltre dieci anni, deliberino nel senso di pervenire ad una fusione, attraverso il ricorso alla regione di appartenenza che deve procedere alla consultazione delle popolazioni interessate, ai sensi dell'articolo 133 Cost. secondo comma, e che in mancanza di questa deliberazione le Unioni si sciolgano.
9/5389/60. Ria.


      La Camera,
          premesso che:
              allo scopo di economizzare i costi di gestione delle proprie strutture territoriali, e in linea con le previsioni di riduzione degli assetti organizzativi contenute nel decreto-legge 27 giugno 2102, n.  87, l'Agenzia delle entrate intende sopprimere una serie di uffici territoriali;
              in Basilicata nel territorio di Matera opera l'ufficio di Pisticci che conta oltre 30 dipendenti e da essa dipendono anche gli sportelli di Stigliano e Policoro;
              è paradossale che nel momento in cui la lotta all'evasione rappresenta una priorità si possa semplicemente ipotizzare la chiusura di un ufficio così importante;
              Pisticci è il terzo comune della intera regione Basilicata e ha già visto la chiusura di un ospedale e nel riordino della mappa degli uffici giudiziari vede nel decreto legislativo anche la soppressione della sede distaccata del tribunale;
              la funzione dell'ufficio dell'agenzia delle entrate quindi rappresenta con il commissariato di polizia e la compagnia dell'arma dei carabinieri un presidio importantissimo dello stato,

impegna il Governo

ad evitare la soppressione dell'Ufficio della Agenzia entrate di Pisticci eventualmente accorpando a Pisticci gli sportelli provinciali dell'agenzia.
9/5389/61. Burtone.


      La Camera,
          premesso che:
              a seguito di specifiche normative gli Enti Pubblici sono stati obbligati a versare gli oneri previdenziali dei propri dipendenti iscritti all'Ordine dei Giornalisti, purché impiegati nel campo della comunicazione pubblica, non più all'INPDAP bensì all'INPGI;
              oggi tali dipendenti si trovano nella paradossale situazione di vedersi chiedere cifre elevatissime, insostenibili, al momento di dover ricongiungere i molti anni sotto il regime INPDAP con gli assai meno numerosi anni sotto il regime INPGI;
              per tali soggetti, numericamente molto pochi, alcune conseguenze della legge 150/2000, così tanto attesa e rivendicata anche come tentativo di rendere più trasparenti le Istituzioni pubbliche e più efficaci nel loro dovere di informare i cittadini in modo corretto, si sono trasformate in una forte ed ingiusta penalizzazione,

impegna il Governo

a ripristinare per questi dipendenti la possibilità di operare ricongiunzioni previdenziali non onerose e di salvaguardare i migliori meccanismi di calcolo soprattutto per coloro di maggiore anzianità contributiva i quali rischiano un danno pensionistico elevatissimo dalla rottura della continuità contributiva imposta dal 2011 con il passaggio obbligatorio dall'INPDAP all'INPGI.
9/5389/62. Catone.


      La Camera,
          premesso che:
              il comma 11 dell'articolo 7 del provvedimento in esame prevede una sensibile riduzione dei contributi all'emittenza televisiva e radiofonica nazionale e locale;
              detta riduzione, in seguito alle modifiche apportate nel corso dell'esame presso il Senato della Repubblica, è pari a 20 milioni di euro per l'anno 2013 e di 30 milioni di euro a decorrere dal 2014;
              si segnala, inoltre, che durante l'esame presso la Camera dei Deputati del disegno di legge di conversione del decreto-legge n.  83/2012 (C. 5312) recante «Misure urgenti per la crescita del Paese» è stato approvato un emendamento (11.45) che dispone un ulteriore taglio pari a 1,7 milioni di euro per il 2013, 18 milioni per il 2014 e 11,3 milioni a decorrere dal 2015 al 2023 sulle risorse stanziate per il sostegno all'emittenza televisiva locale e all'emittenza radiofonica locale e nazionale;
              in data 22 marzo 2012 è stato approvato l'ordine del giorno 9/5025/158 presentato dal Gruppo dell'Italia dei Valori che impegnava il Governo, tra le altre cose, a valutare l'opportunità «di porre in essere ogni atto di competenza teso a rimpinguare entro i prossimi mesi il fondo per l'emittenza locale assicurandone una capienza pari a 150 milioni di euro l'anno a decorrere dal 2011 e a 270 milioni di euro a decorrere dal 2014 in conformità con quanto previsto dall'articolo 10 della legge n.  422 del 1993»;
              considerato che le emittenti televisive e radiofoniche locali rappresentano un presidio fondamentale per la garanzia del pluralismo informativo, sociale e culturale ed impiegano oltre 20.000 addetti,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disposizione di cui all'articolo 7, comma 11, al fine di attivarsi con la massima urgenza per porre in essere ogni iniziativa di sua competenza volta a dar seguito agli impegni assunti già precedentemente con l'approvazione dell'atto di indirizzo indicato in premessa.
9/5389/63. Monai, Zazzera, Di Pietro, Borghesi, Paladini.


      La Camera,
          premesso che:
              il comma 11 dell'articolo 7 del provvedimento in esame prevede una sensibile riduzione dei contributi all'emittenza televisiva e radiofonica nazionale e locale;
              detta riduzione, in seguito alle modifiche apportate nel corso dell'esame presso il Senato della Repubblica, è pari a 20 milioni di euro per l'anno 2013 e di 30 milioni di euro a decorrere dal 2014;
              si segnala, inoltre, che durante l'esame presso la Camera dei Deputati del disegno di legge di conversione del decreto-legge n.  83/2012 (C. 5312) recante «Misure urgenti per la crescita del Paese» è stato approvato un emendamento (11.45) che dispone un ulteriore taglio pari a 1,7 milioni di euro per il 2013, 18 milioni per il 2014 e 11,3 milioni a decorrere dal 2015 al 2023 sulle risorse stanziate per il sostegno all'emittenza televisiva locale e all'emittenza radiofonica locale e nazionale;
              in data 22 marzo 2012 è stato approvato l'ordine del giorno 9/5025/158 presentato dal Gruppo dell'Italia dei Valori che impegnava il Governo, tra le altre cose, a valutare l'opportunità «di porre in essere ogni atto di competenza teso a rimpinguare entro i prossimi mesi il fondo per l'emittenza locale assicurandone una capienza pari a 150 milioni di euro l'anno a decorrere dal 2011 e a 270 milioni di euro a decorrere dal 2014 in conformità con quanto previsto dall'articolo 10 della legge n.  422 del 1993»;
              considerato che le emittenti televisive e radiofoniche locali rappresentano un presidio fondamentale per la garanzia del pluralismo informativo, sociale e culturale ed impiegano oltre 20.000 addetti,

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, gli effetti applicativi della disposizione di cui all'articolo 7, comma 11, al fine di attivarsi con la massima urgenza per porre in essere ogni iniziativa di sua competenza volta a dar seguito agli impegni assunti già precedentemente con l'approvazione dell'atto di indirizzo indicato in premessa.
9/5389/63.    (Testo modificato nel corso della seduta) Monai, Zazzera, Di Pietro, Borghesi, Paladini.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 15 del provvedimento in esame, reca disposizioni per l'equilibrio del settore sanitario e di governo della spesa farmaceutica;
              si fa però fatica a trovare disposizioni che consentano un effettivo ed efficace governo della spesa farmaceutica, in grado di agire sulle cause che ne determinano l'entità, consentendo di ridurre gli sprechi e le illegalità che la fanno lievitare impropriamente;
              troviamo invece una serie di misure che agiscono sulla spesa farmaceutica complessiva, soprattutto riducendo d'imperio i margini riconosciuti ai fornitori. Insomma, più che una auspicabile «revisione della spesa», che avrebbe dovuto soprattutto significare l'introduzione di elementi di razionalizzazione e di ottimizzazione, si è preferito ancora una volta la scorciatoia dei «tagli lineari»;
              in particolare ai commi 2 e 3, si interviene sulla spesa farmaceutica territoriale semplicemente aumentando da 1,82 al 2,25 l'extrasconto che le farmacie sono tenute a riconoscere al SSN su tutti i farmaci «mutuabili». Inoltre, viene ridotto lo stanziamento previsto per la farmaceutica, dall'attuale 13,3 per cento della spesa sanitaria complessiva all'11,35 per cento nel 2013. In caso di superamento degli stanziamenti, è previsto un inasprimento dei meccanismi di «pay-back» che colpiscono spesso indiscriminatamente tutta la filiera del farmaco;
              nulla viene proposto per ridurre la spesa reale all'origine, come per esempio le prescrizioni improprie, gli sprechi e le illegalità che gonfiano la spesa farmaceutica territoriale;
              una misura tra le tante, in grado di contribuire a contenere la spesa farmaceutica senza oneri per la finanza pubblica, è per esempio, la limitazione della prescrivibilità da due ad un solo farmaco per ricetta
              una semplice misura già sperimentata con successo nella Regione Lazio nel febbraio del 2002, e che ha consentito una diminuzione della spesa farmaceutica del 39,3 per cento rispetto al mese precedente. Peraltro consente di responsabilizzare al risparmio tutta la filiera del farmaco: il paziente, che richiede la prescrizione solo del numero di confezioni strettamente necessario, senza richiederne due o più per ogni farmaco utilizzato; il medico è scoraggiato a prescrivere ulteriori farmaci accanto al farmaco di prima prescrizione per «riempire» la ricetta; il farmacista che si trova a dispensare solo il numero di confezioni realmente indispensabili;
              detta misura ha inoltre il grosso pregio di rendere più difficile le illegalità che affliggono purtroppo, il settore, a danno degli operatori onesti, a partire dall'alterazione delle ricette su cui è indicato un solo prodotto, al quale viene successivamente aggiunto un altro farmaco, magari ad alto costo, prima della consegna delle ricette all'ASL per richiederne il rimborso,

impegna il Governo

ad attivarsi al fine di prevedere per i medicinali inseriti nella classe A, la limitazione della prescrivibilità a un solo pezzo per ricetta, facendo comunque salve le prescrizioni di un numero superiore di pezzi per gli antibiotici in confezione monodose e quella a favore dei soggetti che, in base alle disposizioni vigenti, usufruiscono del diritto alla prescrizione fino a tre pezzi, comprese le prescrizioni di medicinali destinati alla terapia del dolore.
9/5389/64. Palagiano, Mura, Borghesi, Paladini.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 15 del provvedimento in esame, reca disposizioni per l'equilibrio del settore sanitario e di governo della spesa farmaceutica;
              si fa però fatica a trovare disposizioni che consentano un effettivo ed efficace governo della spesa farmaceutica, in grado di agire sulle cause che ne determinano l'entità, consentendo di ridurre gli sprechi e le illegalità che la fanno lievitare impropriamente;
              troviamo invece una serie di misure che agiscono sulla spesa farmaceutica complessiva, soprattutto riducendo d'imperio i margini riconosciuti ai fornitori. Insomma, più che una auspicabile «revisione della spesa», che avrebbe dovuto soprattutto significare l'introduzione di elementi di razionalizzazione e di ottimizzazione, si è preferito ancora una volta la scorciatoia dei «tagli lineari»;
              in particolare ai commi 2 e 3, si interviene sulla spesa farmaceutica territoriale semplicemente aumentando da 1,82 al 2,25 l'extrasconto che le farmacie sono tenute a riconoscere al SSN su tutti i farmaci «mutuabili». Inoltre, viene ridotto lo stanziamento previsto per la farmaceutica, dall'attuale 13,3 per cento della spesa sanitaria complessiva all'11,35 per cento nel 2013. In caso di superamento degli stanziamenti, è previsto un inasprimento dei meccanismi di «pay-back» che colpiscono spesso indiscriminatamente tutta la filiera del farmaco;
              nulla viene proposto per ridurre la spesa reale all'origine, come per esempio le prescrizioni improprie, gli sprechi e le illegalità che gonfiano la spesa farmaceutica territoriale;
              una misura tra le tante, in grado di contribuire a contenere la spesa farmaceutica senza oneri per la finanza pubblica, è per esempio, la limitazione della prescrivibilità da due ad un solo farmaco per ricetta;
              una semplice misura già sperimentata con successo nella Regione Lazio nel febbraio del 2002, e che ha consentito una diminuzione della spesa farmaceutica del 39,3 per cento rispetto al mese precedente. Peraltro consente di responsabilizzare al risparmio tutta la filiera del farmaco: il paziente, che richiede la prescrizione solo del numero di confezioni strettamente necessario, senza richiederne due o più per ogni farmaco utilizzato; il medico è scoraggiato a prescrivere ulteriori farmaci accanto al farmaco di prima prescrizione per «riempire» la ricetta; il farmacista che si trova a dispensare solo il numero di confezioni realmente indispensabili;
              detta misura ha inoltre il grosso pregio di rendere più difficile le illegalità che affliggono purtroppo, il settore, a danno degli operatori onesti, a partire dall'alterazione delle ricette su cui è indicato un solo prodotto, al quale viene successivamente aggiunto un altro farmaco, magari ad alto costo, prima della consegna delle ricette all'ASL per richiederne il rimborso,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di attivarsi al fine di prevedere per i medicinali inseriti nella classe A, la limitazione della prescrivibilità a un solo pezzo per ricetta, facendo comunque salve le prescrizioni di un numero superiore di pezzi per gli antibiotici in confezione monodose e quella a favore dei soggetti che, in base alle disposizioni vigenti, usufruiscono del diritto alla prescrizione fino a tre pezzi, comprese le prescrizioni di medicinali destinati alla terapia del dolore.
9/5389/64.    (Testo modificato nel corso della seduta) Palagiano, Mura, Borghesi, Paladini.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 15 del disegno di legge in esame, introduce misure che dovrebbero essere volte a migliorare l'efficienza nell'uso delle risorse destinate al settore sanitario e l'appropriatezza nell'erogazione delle prestazioni sanitarie;
              il contributo chiesto al settore sanitario con questa manovra per il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica è elevatissimo, probabilmente insostenibile, e in grado di mettere a rischio la tenuta stessa del sistema: un ulteriore taglio di 900 milioni di euro per l'anno 2012, 1.800 milioni di euro per l'anno 2013, 2.000 milioni di euro per il 2014, e 2.100 milioni dal 2015;
              se ai 4,7 miliardi di tagli della spesa sanitaria pubblica prevista da questo provvedimento tra quest'anno e il 2014, sommiamo i pesantissimi tagli assestati alla sanità dalle precedenti manovre di Tremonti, arriviamo a una riduzione di 21,7 miliardi di risorse per il SSN;
              va però evidenziato che se la spesa sanitaria programmatica si stabilizza in valori nominali, si contrae però rispetto al Prodotto interno lordo. Ricordiamo infatti che la medesima spesa sanitaria se nel 2010 incideva in termini di PIL per il 7,3 per cento, nel 2011 detta incidenza scendeva al 7,1 per cento nel 2011;
              una riduzione della spesa sanitaria che non solo impone praticamente gli stessi interventi in modo indistinto a tutte le Regioni, penalizzando conseguentemente quelle più avanzate e offrendo un alibi per quelle meno «virtuose, ma non interviene nemmeno sulla qualità della spesa, con l'effetto di spostare i costi dal bilancio pubblico alle tasche dei cittadini e ai servizi a loro dedicati;
              detti effetti negativi sono peraltro rinvenibili laddove si dispone che le regioni adottino provvedimenti per la riduzione dello standard dei posti letto ospedalieri, accreditati ed effettivamente a carico del Servizio sanitario regionale, fino ad un livello non superiore a 3,7 posti letto per mille abitanti, a fronte del limite di 4 posti letto per mille abitanti previsto dalla normativa vigente;
              i posti letto che verranno così cancellati, dovrebbero essere circa 18 mila, con conseguenze pesanti per i cittadini e a fronte di un risparmio stimato per le casse dello Stato tutto sommato modesto, pari a 20 milioni di euro per il 2013 e 50 milioni per il 2014;
              più che continuare a tagliare posti letto, sarebbe invece necessario intervenire attraverso una maggiore integrazione ospedale-territorio al fine di evitare di «ingolfare» le grandi strutture con ricoveri spesso impropri e costosi, realizzando strutture realmente utili sul territorio e di cui ce n’è estremo bisogno,

impegna il Governo

ad adottare le opportune ulteriori iniziative legislative volte a prevedere possibili deroghe alla prevista riduzione dei posti letto a carico del Servizio sanitario regionale, qualora le regioni adottino provvedimenti volti a riconvertire le strutture ospedaliere di minori dimensioni in strutture realmente utili sul territorio, quali poliambulatori, centri di riabilitazione, Residenze Sanitarie Assistite (RSA), o Centri di assistenza primaria.
9/5389/65. Piffari, Palagiano, Paladini.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 15 del disegno di legge in esame, introduce misure che dovrebbero essere volte a migliorare l'efficienza nell'uso delle risorse destinate al settore sanitario e l'appropriatezza nell'erogazione delle prestazioni sanitarie;
              il contributo chiesto al settore sanitario con questa manovra per il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica è elevatissimo, probabilmente insostenibile, e in grado di mettere a rischio la tenuta stessa del sistema: un ulteriore taglio di 900 milioni di euro per l'anno 2012, 1.800 milioni di euro per l'anno 2013, 2.000 milioni di euro per il 2014, e 2.100 milioni dal 2015;
              se ai 4,7 miliardi di tagli della spesa sanitaria pubblica prevista da questo provvedimento tra quest'anno e il 2014, sommiamo i pesantissimi tagli assestati alla sanità dalle precedenti manovre di Tremonti, arriviamo a una riduzione di 21,7 miliardi di risorse per il SSN;
              va però evidenziato che se la spesa sanitaria programmatica si stabilizza in valori nominali, si contrae però rispetto al Prodotto interno lordo. Ricordiamo infatti che la medesima spesa sanitaria se nel 2010 incideva in termini di PIL per il 7,3 per cento, nel 2011 detta incidenza scendeva al 7,1 per cento nel 2011;
              una riduzione della spesa sanitaria che non solo impone praticamente gli stessi interventi in modo indistinto a tutte le Regioni, penalizzando conseguentemente quelle più avanzate e offrendo un alibi per quelle meno «virtuose, ma non interviene nemmeno sulla qualità della spesa, con l'effetto di spostare i costi dal bilancio pubblico alle tasche dei cittadini e ai servizi a loro dedicati;
              detti effetti negativi sono peraltro rinvenibili laddove si dispone che le regioni adottino provvedimenti per la riduzione dello standard dei posti letto ospedalieri, accreditati ed effettivamente a carico del Servizio sanitario regionale, fino ad un livello non superiore a 3,7 posti letto per mille abitanti, a fronte del limite di 4 posti letto per mille abitanti previsto dalla normativa vigente;
              i posti letto che verranno così cancellati, dovrebbero essere circa 18 mila, con conseguenze pesanti per i cittadini e a fronte di un risparmio stimato per le casse dello Stato tutto sommato modesto, pari a 20 milioni di euro per il 2013 e 50 milioni per il 2014;
              più che continuare a tagliare posti letto, sarebbe invece necessario intervenire attraverso una maggiore integrazione ospedale-territorio al fine di evitare di «ingolfare» le grandi strutture con ricoveri spesso impropri e costosi, realizzando strutture realmente utili sul territorio e di cui ce n’è estremo bisogno,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di adottare le opportune ulteriori iniziative legislative volte a prevedere possibili deroghe alla prevista riduzione dei posti letto a carico del Servizio sanitario regionale, qualora le regioni adottino provvedimenti volti a riconvertire le strutture ospedaliere di minori dimensioni in strutture realmente utili sul territorio, quali poliambulatori, centri di riabilitazione, Residenze Sanitarie Assistite (RSA), o Centri di assistenza primaria.
9/5389/65.    (Testo modificato nel corso della seduta) Piffari, Palagiano, Paladini.


      La Camera,
          premesso che:
              la situazione economica e finanziaria del nostro Paese è ancora pesante ed è necessario che tale fase venga affrontata mettendo assieme adeguati provvedimenti per la crescita e per la modernizzazione dei servizi alle imprese che coinvolga tutti i settori produttivi, inclusa l'agricoltura;
              l'agricoltura italiana vede in questa congiuntura l'intreccio tra una crisi di settore legata alle peculiarità dei nostri sistemi agricoli, il calo dei consumi alimentari in modo particolare sul mercato interno e la crisi economica generale;
              proprio questo momento di crisi possa essere quello più utile per affrontare in modo diretto alcune difficoltà, ma anche per esaminare il sistema dei servizi al comparto, oggi non più adeguato e non pienamente rispondente al necessario salto di qualità;
              in Europa c’è un quadro molto differenziato dei servizi al settore agricolo, ma è indubbio che nessun Paese presenta una situazione così affollata e frammentata come quella italiana;
              nel corso degli ultimi anni, le risorse destinate dallo Stato al sostegno delle imprese, della competitività e dell'innovazione del settore agricolo, sono state fortemente ridotte;
              esse risultano oggi drammaticamente sproporzionate rispetto alle risorse impiegate per mantenere le strutture dello stesso Ministero, nonché degli enti da esso vigilati;
              i tagli, pur necessari, non producono e non produrranno una maggiore efficienza e virtuosità delle risorse impiegate, dal momento che non sono stati costruiti nell'ottica della «spending review», per eliminare le inefficienze del sistema;
              folta è infatti la presenza di numerosi istituti, enti, agenzie, società, controllati dal Ministero delle politiche agricole e forestali (Mipaaf), ai quali spesso si sovrappongono altrettanti soggetti controllati dalle regioni. Soggetti nati in periodi diversi della recente storia, spesso in conseguenza di novità derivanti dall'appartenenza all'Unione europea o di esigenze particolari, che però hanno finito per costruire un sistema caratterizzato da numerose sovrapposizioni di competenze e di funzioni, non sempre pienamente rispondenti alle reali esigenze delle imprese agricole;
              il decreto-legge al nostro esame, all'articolo 12, interviene sulla soppressione di alcuni enti, e sul riordino di Agea, ma senza un complessivo ed incisivo progetto di ristrutturazione che incida sia sul complesso delle società partecipate da Agea che su una pluralità di enti che continuano ancora oggi a rimanere in funzione;
              è dunque necessaria una riorganizzazione del sistema nazionale dei servizi all'agricoltura che intervenga sui costi e sulle funzioni al fine di migliorarne l'efficienza, e destinare i risparmi conseguiti a misure volte allo sviluppo di una nuova agricoltura, moderna, multifunzionale aperta ai giovani,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare ulteriori iniziative, anche normative, ferme restando le prerogative del Parlamento, al fine di sopprimere e mettere in liquidazione gli enti e gli organismi pubblici vigilati dal Mipaaf che hanno analoghe competenze nonché le società strumentali dallo stesso controllate, prevedendo altresì la riorganizzazione delle relative competenze e funzioni attraverso l'istituzione di un numero limitato di agenzie cui sono riconducibili attraverso l'accorpamento di funzioni omogenee.
9/5389/66. Messina, Di Giuseppe, Rota, Paladini.


      La Camera,
          premesso che:
              la situazione economica e finanziaria del nostro Paese è ancora pesante ed è necessario che tale fase venga affrontata mettendo assieme adeguati provvedimenti per la crescita e per la modernizzazione dei servizi alle imprese che coinvolga tutti i settori produttivi, inclusa l'agricoltura;
              l'agricoltura italiana vede in questa congiuntura l'intreccio tra una crisi di settore legata alle peculiarità dei nostri sistemi agricoli, il calo dei consumi alimentari in modo particolare sul mercato interno e la crisi economica generale;
              proprio questo momento di crisi possa essere quello più utile per affrontare in modo diretto alcune difficoltà, ma anche per esaminare il sistema dei servizi al comparto, oggi non più adeguato e non pienamente rispondente al necessario salto di qualità;
              in Europa c’è un quadro molto differenziato dei servizi al settore agricolo, ma è indubbio che nessun Paese presenta una situazione così affollata e frammentata come quella italiana;
              nel corso degli ultimi anni, le risorse destinate dallo Stato al sostegno delle imprese, della competitività e dell'innovazione del settore agricolo, sono state fortemente ridotte;
              esse risultano oggi drammaticamente sproporzionate rispetto alle risorse impiegate per mantenere le strutture dello stesso Ministero, nonché degli enti da esso vigilati;
              i tagli, pur necessari, non producono e non produrranno una maggiore efficienza e virtuosità delle risorse impiegate, dal momento che non sono stati costruiti nell'ottica della «spending review», per eliminare le inefficienze del sistema;
              folta è infatti la presenza di numerosi istituti, enti, agenzie, società, controllati dal Ministero delle politiche agricole e forestali (Mipaaf), ai quali spesso si sovrappongono altrettanti soggetti controllati dalle regioni. Soggetti nati in periodi diversi della recente storia, spesso in conseguenza di novità derivanti dall'appartenenza all'Unione europea o di esigenze particolari, che però hanno finito per costruire un sistema caratterizzato da numerose sovrapposizioni di competenze e di funzioni, non sempre pienamente rispondenti alle reali esigenze delle imprese agricole;
              il decreto-legge al nostro esame, all'articolo 12, interviene sulla soppressione di alcuni enti, e sul riordino di Agea, ma senza un complessivo ed incisivo progetto di ristrutturazione che incida sia sul complesso delle società partecipate da Agea che su una pluralità di enti che continuano ancora oggi a rimanere in funzione;
              è dunque necessaria una riorganizzazione del sistema nazionale dei servizi all'agricoltura che intervenga sui costi e sulle funzioni al fine di migliorarne l'efficienza, e destinare i risparmi conseguiti a misure volte allo sviluppo di una nuova agricoltura, moderna, multifunzionale aperta ai giovani,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di adottare ulteriori iniziative, anche normative, ferme restando le prerogative del Parlamento, al fine di sopprimere e mettere in liquidazione gli enti e gli organismi pubblici vigilati dal Mipaaf che hanno analoghe competenze nonché le società strumentali dallo stesso controllate, prevedendo altresì la riorganizzazione delle relative competenze e funzioni attraverso l'istituzione di un numero limitato di agenzie cui sono riconducibili attraverso l'accorpamento di funzioni omogenee.
9/5389/66.     (Testo modificato nel corso della seduta) Messina, Di Giuseppe, Rota, Paladini.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento d'urgenza al nostro esame, agli articoli dal 23-sexies a 23-duodecies fa riferimento, al rafforzamento del patrimonio delle imprese del settore bancario mentre invece l'intervento interessa, in realtà, solo il Monte dei Paschi di Siena;
              l'assemblea annuale dell'ABI ha deciso di riconfermare alla guida dell'associazione il presidente Mussari, già manager del Monte dei Paschi di Siena, il quale ha affermato che le imprese bancarie hanno assicurato pieno sostegno all'economia e che sono da considerarsi come vittime anziché responsabili della crisi;
              il presidente Mussari ha perfino negato che le operazioni di rifinanziamento a lungo termine della Banca centrale europea siano utilizzate dalle banche, che ricevono i prestiti al tasso dell'I per cento, per riacquistare, per un valore inferiore a quello di collocamento, le proprie obbligazioni ibride;
              i finanziamenti della BCE si sono rivelati un semplice aiuto alle banche in difficoltà finanziaria, senza effetti positivi a medio e lungo termine per il debito sovrano e per (in questo caso, anche a breve termine) per le imprese ed i risparmiatori;
              con il decreto in esame il Governo ha deciso di intervenire per salvare la Banca Monte dei Paschi, che, secondo una notizia recente, ha fatto registrare nel 2011 un'ulteriore perdita di esercizio, pari a 332 milioni di euro. Tale dato negativo è l'innegabile conseguenza di anni di cattiva gestione, portata avanti dallo stesso Mussari, con l'effettuazione di investimenti sbagliati, come l'oneroso acquisto di Antonveneta;
              anche che le minusvalenze sugli investimenti effettuati hanno praticamente azzerato la disponibilità dei fondi di riserva;
              nel corso dell'audizione al Senato, svoltasi alcuni giorni fa, del rappresentante della Banca d'Italia ha sottolineato la modesta entità dell'impegno dello Stato italiano a favore del sistema bancario nazionale, rispetto alle cifre messe in campo da altri Governi nazionali. Secondo la Banca d'Italia il minore intervento sarebbe da ascriversi positivamente alla maggiore solidità del sistema bancario italiano;
              i risparmiatori e dagli utenti dei servizi bancari italiani pagano ogni anno 4,2 miliardi di euro in più rispetto alla media europea per i maggiori costi dei conti correnti e dei tassi di interesse;
              lo stesso decreto-legge dispone che la concessione del sostegno finanziario al gruppo Monte dei Paschi sia subordinato alla positiva valutazione della Commissione europea per quanto riguarda la compatibilità con la normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato, rendendo quindi evidente che si tratta – ad avviso dei firmatari del presente ordine del giorno – di un intervento potenzialmente distorsivo della concorrenza nei mercati;
              come confermato dai rappresentanti sindacali auditi dal Senato, emerge che il piano di ristrutturazione della Banca Monte dei Paschi prevede una riduzione di 4.600 unità di personale e l'esternalizzazione di 2.360 lavoratori del back office. Non si intravede tuttavia nessun accenno a un progetto di rilancio industriale, ma si prefigura solamente una generalizzata crescita delle commissioni per i servizi e la tenuta del conto corrente. Si continua quindi nella tendenza delle banche a trasferire al personale e ai clienti le conseguenze dei maggiori costi di gestione,

impegna il Governo

a informare il Parlamento anche sulla base delle informazioni in possesso del CICR, entro tre mesi dalla data odierna su quanto ammontano i derivati in possesso delle banche italiane e del Monte dei Paschi singolarmente considerato.
9/5389/67. Donadi, Barbato, Messina, Borghesi, Mura, Paladini.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento all'esame prevede all'articolo 5, comma 8, per il personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato, delle Autorità amministrative indipendenti, della Consob, l'obbligo alla fruizione di ferie, riposi e permessi senza dar luogo in nessun caso alla c.d. «monetizzazione», cioè a trattamenti economici sostitutivi;
              tale disposizione si applica anche nei casi di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età, mentre eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dall'entrata in vigore del decreto-legge in esame; la corresponsione di siffatti compensi diviene illegittima, tale da comportare il recupero della somma e la responsabilità amministrativa e disciplinare del dirigente responsabile;
          considerato che:
              i lavoratori precari della pubblica amministrazione sono già ampiamente danneggiati sotto il profilo economico dal reiterarsi dei contratti a termine che impedisce loro la maturazione dell'anzianità retributiva;
              l'indennità di disoccupazione che interviene a sostegno del reddito all'interruzione del contratto, anche per chi risulti in possesso dei requisiti più favorevoli, non arriva mai a superare l'80 per cento della media retributiva stipendiale;
              in particolare per i lavoratori precari della scuola con contratto fino al termine delle attività didattiche (30 giugno), o con incarichi di supplenze brevi, l'applicazione della disposizione in oggetto comporterà l'obbligo di usufruire delle ferie nel corso dell'anno scolastico, mettendo a repentaglio l'ordinaria attività didattica delle scuole,

impegna il Governo

a valutare gli effetti delle disposizioni richiamate sul personale precario, al fine di adottare le opportune iniziative, anche legislative, indirizzate ad escludere i lavoratori precari, e in particolare i lavoratori precari della scuola, dall'ambito di applicazione della disposizione citata in premessa, anche al fine di non ostacolare lo svolgimento regolare delle attività didattiche delle scuole.
9/5389/68. Rota, Zazzera, Di Giuseppe, Paladini.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento all'esame prevede all'articolo 5, comma 8, per il personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato, delle Autorità amministrative indipendenti, della Consob, l'obbligo alla fruizione di ferie, riposi e permessi senza dar luogo in nessun caso alla c.d. «monetizzazione», cioè a trattamenti economici sostitutivi;
              tale disposizione si applica anche nei casi di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età, mentre eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dall'entrata in vigore del decreto-legge in esame; la corresponsione di siffatti compensi diviene illegittima, tale da comportare il recupero della somma e la responsabilità amministrativa e disciplinare del dirigente responsabile;
          considerato che:
              i lavoratori precari della pubblica amministrazione sono già ampiamente danneggiati sotto il profilo economico dal reiterarsi dei contratti a termine che impedisce loro la maturazione dell'anzianità retributiva;
              l'indennità di disoccupazione che interviene a sostegno del reddito all'interruzione del contratto, anche per chi risulti in possesso dei requisiti più favorevoli, non arriva mai a superare l'80 per cento della media retributiva stipendiale;
              in particolare per i lavoratori precari della scuola con contratto fino al termine delle attività didattiche (30 giugno), o con incarichi di supplenze brevi, l'applicazione della disposizione in oggetto comporterà l'obbligo di usufruire delle ferie nel corso dell'anno scolastico, mettendo a repentaglio l'ordinaria attività didattica delle scuole,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di valutare gli effetti delle disposizioni richiamate sul personale precario, al fine di adottare le opportune iniziative, anche legislative, indirizzate ad escludere i lavoratori precari, e in particolare i lavoratori precari della scuola, dall'ambito di applicazione della disposizione citata in premessa, anche al fine di non ostacolare lo svolgimento regolare delle attività didattiche delle scuole.
9/5389/68.    (Testo modificato nel corso della seduta) Rota, Zazzera, Di Giuseppe, Paladini.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento all'esame, all'articolo 7, comma 42, come modificato durante l'esame al Senato, predispone la modifica del decreto del Presidente della Repubblica, 307/1997, articolo 5, comma 1, disponendo che all'interno del calcolo della quota di contribuzione studentesca rispetto alle entrate complessive dei singoli atenei non vengano computati, a fini del raggiungimento del limite previsto del 20 per cento, gli importi complessivi delle quote di contribuzione disposte agli studenti fuori corso;
              tale soluzione, esclude dal calcolo circa il 50 per cento degli studenti italiani, e presuppone la possibilità di aumentare, da parte dell'Ateneo, di almeno il 60 per cento le tasse per gli studenti italiani in corso, liberalizzando di fatto le tasse universitarie;
              viene altresì predisposta una tutela per i redditi bassi, ovvero il blocco di ogni aumento per i prossimi tre anni per gli studenti con reddito familiare inferiore ai 40.000, a testimonianza del fatto che si prevede per i prossimi anni un aumento spropositato della tassazione da parte degli Atenei in difficoltà e si cerca di dotare le università di uno strumento, evidentemente sbagliato, per reagire ai tagli degli ultimi anni e ad eventuali future politiche di smantellamento;
              lo stesso articolo 7, comma 42 del decreto 95/2012 dispone e regola per fasce di reddito l'aumento della contribuzione per i fuori corso, che potrà aumentare fino al 25 per cento per gli studenti con reddito familiare al di sotto dei 90mila euro, fino al 50 per cento per i redditi tra i 90mila euro e i 150mila euro, e fino al 100 per cento per i redditi al di sopra dei 150mila euro;
              tali disposizioni determineranno inevitabilmente un potente incentivo all'abbandono universitario, in un Paese pesantemente indietro per numero di laureati in Europa, e non considerano che gli studenti fuori corso utilizzano in misura minore le strutture e i servizi delle università ma continuano a contribuire ugualmente, costituendo quindi una risorsa sia in termini economici sia in termini umani e intellettuali;
              non viene disciplinata, altresì, a livello nazionale una tutela efficace per i fuori corso impegnati in contratti di lavoro o per i fuori corso che possono documentare particolari situazioni personali, come malattie o specifici percorsi di studio, e tale disciplina viene solo rimandata nel merito e nell'attuazione a successivo decreto ministeriale;
              si produrranno delle forti discriminazioni tra corsi di studio e facoltà, come quelli relativi alle scienze mediche, dove gli studenti devono praticare tirocini obbligatori, nonché rispettare obblighi di frequenza almeno per il 66 per cento;
              non si tiene in considerazione la specifica e drammatica realtà italiana in materia di diritto allo studio e garanzia delle pari opportunità, che ci vede agli ultimi posti in Europa per servizi complessivi agli studenti (strutture, agevolazioni alla mobilità, accesso ai contenuti culturali) e per numero di studenti che usufruiscono di borse di studio, meno del 20 per cento, nonché protagonisti del caso unico tra i Paesi OCSE degli «idonei non beneficiari», con 45.000 studenti nell'anno accademico 2011-2012 i quali, pur all'interno di questo 20 per cento avente diritto secondo la già insufficiente legislazione italiana, non hanno beneficiato dei sussidi per mancanza di fondi;
              ai sensi di ciò, tale incremento degli importi per fuori corso toccherebbe i ceti meno abbienti, fuori sede, gli studenti stranieri e molte studentesse possibilmente in maternità;
          considerato che:
              il decreto 49/2012 impone agli atenei di mantenersi in rapporto di circa l'80 per cento tra le entrate e le uscite, modificando la vecchia soglia del 90 per cento e introducendo un complesso sistema di calcolo, unitamente a parametri molto bassi di indebitamento, parametri che, come ben dimostrato dallo studio di Arienzo e Rucci apparso su www.roars.it escludono la maggior parte degli Atenei e peggiorano ulteriormente la situazione imponendo di fatto agli atenei un aumento forzoso delle tasse per poter rinnovare anche solo il 50 per cento del personale;
              gli studenti si troveranno inoltre di fronte all'aumento delle tasse regionali sul diritto allo studio, in quanto il decreto 68/2012, in attuazione della legge 240/2010, si propone di risolvere il problema del diritto allo studio dando la possibilità alle regioni di alzare le tasse sul diritto allo studio fino a raddoppiarle e afferma chiaramente che i LEP (livelli essenziali di prestazione) per gli studenti idonei verranno garantiti «nei limiti delle risorse disponibili», andando contro ogni logica di merito e pari opportunità;
              tale misura non sarà comunque sufficiente a garantire la copertura di tutti gli idonei, per cui, a seguito di quanto detto finora, in un Paese già con le tasse tra le più alte d'Europa, rischiamo di avere una situazione in cui Atenei e regioni aumenteranno congiuntamente la tassazione dando vita ad una crescita insostenibile del costo dell'istruzione, che potrebbe quasi raddoppiare ovunque nell'arco dei prossimi anni, senza risolvere la situazione di insufficienza di servizi e di garanzie nel diritto allo studio;
              questi provvedimenti hanno luogo, infine, in un contesto già disastroso, in cui l'Italia si trova in fondo a tutti parametri europei OCSE (OECD) aggiornati al 2008/2009, che rispecchiano gli investimenti nella formazione (Fonte OECD (2011), Education at a Glance 2011), dati che quindi non fanno riferimento al periodo di tagli avviato dalla legge 133/2008;
              in questo rapporto l'Italia è già al quartultimo posto in Europa per numero di studenti che usufruiscono di borse di studio, meno del 20 per cento, mentre si trova al secondo posto tra i Paesi dell'Unione nella classifica degli importi delle tasse universitarie, circa 1400 $, superata solamente da Olanda e Regno Unito;
              già tra il 2000 e il 2008, la spesa sostenuta dagli istituti d'istruzione per studente nei cicli di livello primario, secondario e post-secondario non universitario è aumentata solo del 6 per cento (rispetto alla media OCSE del 34 per cento), il secondo incremento più basso tra i 30 Paesi, mentre la spesa per studente universitario è aumentata di soli 8 punti percentuali, rispetto alla media OCSE di 14 punti percentuali;
              l'Italia si trova ad essere 31-esima su 34 nazioni considerate in merito alla percentuale del PIL investito nell'Università, con una spesa pari al 65 per cento della media OCSE. Peggio di noi solo Repubblica Slovacca, Ungheria e Brasile;
              la percentuale di laureati nella fascia 25-34 è circa pari al 20 per cento, contro il 37 per cento della media OCSE,

impegna il Governo:

          ad evitare una crescita esponenziale delle tasse universitarie che, ad oggi, costituirebbe una preclusione senza appello del diritto allo studio per centinaia di migliaia di giovani, un atto, ad avviso del presentatore, palesemente incostituzionale e contro ogni logica di merito e pari opportunità;
          a valutare gli effetti applicativi della disposizione di cui all'articolo 7, comma 42, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte allo scorporamento totale degli importi delle tasse degli studenti fuori corso ai fini del calcolo del limite del 20 per cento della contribuzione studentesca, in modo da rendere effettivo tale limite e reperire urgentemente nuove risorse in modo da riprogrammare l'FFO, sbloccare il reclutamento e il turn over e avviare un percorso di ricollocamento dell'Italia all'interno della media dei parametri europei.
9/5389/69. Zazzera, Di Pietro, Di Giuseppe, Paladini.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento all'esame, all'articolo 7, comma 42, come modificato durante l'esame al Senato, predispone la modifica del decreto del Presidente della Repubblica, 307/1997, articolo 5, comma 1, disponendo che all'interno del calcolo della quota di contribuzione studentesca rispetto alle entrate complessive dei singoli atenei non vengano computati, a fini del raggiungimento del limite previsto del 20 per cento, gli importi complessivi delle quote di contribuzione disposte agli studenti fuori corso;
              tale soluzione, esclude dal calcolo circa il 50 per cento degli studenti italiani, e presuppone la possibilità di aumentare, da parte dell'Ateneo, di almeno il 60 per cento le tasse per gli studenti italiani in corso, liberalizzando di fatto le tasse universitarie;
              viene altresì predisposta una tutela per i redditi bassi, ovvero il blocco di ogni aumento per i prossimi tre anni per gli studenti con reddito familiare inferiore ai 40.000, a testimonianza del fatto che si prevede per i prossimi anni un aumento spropositato della tassazione da parte degli Atenei in difficoltà e si cerca di dotare le università di uno strumento, evidentemente sbagliato, per reagire ai tagli degli ultimi anni e ad eventuali future politiche di smantellamento;
              lo stesso articolo 7, comma 42 del decreto 95/2012 dispone e regola per fasce di reddito l'aumento della contribuzione per i fuori corso, che potrà aumentare fino al 25 per cento per gli studenti con reddito familiare al di sotto dei 90mila euro, fino al 50 per cento per i redditi tra i 90mila euro e i 150mila euro, e fino al 100 per cento per i redditi al di sopra dei 150mila euro;
              tali disposizioni determineranno inevitabilmente un potente incentivo all'abbandono universitario, in un Paese pesantemente indietro per numero di laureati in Europa, e non considerano che gli studenti fuori corso utilizzano in misura minore le strutture e i servizi delle università ma continuano a contribuire ugualmente, costituendo quindi una risorsa sia in termini economici sia in termini umani e intellettuali;
              non viene disciplinata, altresì, a livello nazionale una tutela efficace per i fuori corso impegnati in contratti di lavoro o per i fuori corso che possono documentare particolari situazioni personali, come malattie o specifici percorsi di studio, e tale disciplina viene solo rimandata nel merito e nell'attuazione a successivo decreto ministeriale;
              si produrranno delle forti discriminazioni tra corsi di studio e facoltà, come quelli relativi alle scienze mediche, dove gli studenti devono praticare tirocini obbligatori, nonché rispettare obblighi di frequenza almeno per il 66 per cento;
              non si tiene in considerazione la specifica e drammatica realtà italiana in materia di diritto allo studio e garanzia delle pari opportunità, che ci vede agli ultimi posti in Europa per servizi complessivi agli studenti (strutture, agevolazioni alla mobilità, accesso ai contenuti culturali) e per numero di studenti che usufruiscono di borse di studio, meno del 20 per cento, nonché protagonisti del caso unico tra i Paesi OCSE degli «idonei non beneficiari», con 45.000 studenti nell'anno accademico 2011-2012 i quali, pur all'interno di questo 20 per cento avente diritto secondo la già insufficiente legislazione italiana, non hanno beneficiato dei sussidi per mancanza di fondi;
              ai sensi di ciò, tale incremento degli importi per fuori corso toccherebbe i ceti meno abbienti, fuori sede, gli studenti stranieri e molte studentesse possibilmente in maternità;
          considerato che:
              il decreto 49/2012 impone agli atenei di mantenersi in rapporto di circa l'80 per cento tra le entrate e le uscite, modificando la vecchia soglia del 90 per cento e introducendo un complesso sistema di calcolo, unitamente a parametri molto bassi di indebitamento, parametri che, come ben dimostrato dallo studio di Arienzo e Rucci apparso su www.roars.it escludono la maggior parte degli Atenei e peggiorano ulteriormente la situazione imponendo di fatto agli atenei un aumento forzoso delle tasse per poter rinnovare anche solo il 50 per cento del personale;
              gli studenti si troveranno inoltre di fronte all'aumento delle tasse regionali sul diritto allo studio, in quanto il decreto 68/2012, in attuazione della legge 240/2010, si propone di risolvere il problema del diritto allo studio dando la possibilità alle regioni di alzare le tasse sul diritto allo studio fino a raddoppiarle e afferma chiaramente che i LEP (livelli essenziali di prestazione) per gli studenti idonei verranno garantiti «nei limiti delle risorse disponibili», andando contro ogni logica di merito e pari opportunità;
              tale misura non sarà comunque sufficiente a garantire la copertura di tutti gli idonei, per cui, a seguito di quanto detto finora, in un Paese già con le tasse tra le più alte d'Europa, rischiamo di avere una situazione in cui Atenei e regioni aumenteranno congiuntamente la tassazione dando vita ad una crescita insostenibile del costo dell'istruzione, che potrebbe quasi raddoppiare ovunque nell'arco dei prossimi anni, senza risolvere la situazione di insufficienza di servizi e di garanzie nel diritto allo studio;
              questi provvedimenti hanno luogo, infine, in un contesto già disastroso, in cui l'Italia si trova in fondo a tutti parametri europei OCSE (OECD) aggiornati al 2008/2009, che rispecchiano gli investimenti nella formazione (Fonte OECD (2011), Education at a Glance 2011), dati che quindi non fanno riferimento al periodo di tagli avviato dalla legge 133/2008;
              in questo rapporto l'Italia è già al quartultimo posto in Europa per numero di studenti che usufruiscono di borse di studio, meno del 20 per cento, mentre si trova al secondo posto tra i Paesi dell'Unione nella classifica degli importi delle tasse universitarie, circa 1400 $, superata solamente da Olanda e Regno Unito;
              già tra il 2000 e il 2008, la spesa sostenuta dagli istituti d'istruzione per studente nei cicli di livello primario, secondario e post-secondario non universitario è aumentata solo del 6 per cento (rispetto alla media OCSE del 34 per cento), il secondo incremento più basso tra i 30 Paesi, mentre la spesa per studente universitario è aumentata di soli 8 punti percentuali, rispetto alla media OCSE di 14 punti percentuali;
              l'Italia si trova ad essere 31-esima su 34 nazioni considerate in merito alla percentuale del PIL investito nell'Università, con una spesa pari al 65 per cento della media OCSE. Peggio di noi solo Repubblica Slovacca, Ungheria e Brasile;
              la percentuale di laureati nella fascia 25-34 è circa pari al 20 per cento, contro il 37 per cento della media OCSE,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di evitare una crescita esponenziale delle tasse universitarie che, ad oggi, costituirebbe una preclusione senza appello del diritto allo studio per centinaia di migliaia di giovani, un atto, ad avviso del presentatore, palesemente incostituzionale e contro ogni logica di merito e pari opportunità;
          a valutare gli effetti applicativi della disposizione di cui all'articolo 7, comma 42, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte allo scorporamento totale degli importi delle tasse degli studenti fuori corso ai fini del calcolo del limite del 20 per cento della contribuzione studentesca, in modo da rendere effettivo tale limite e reperire urgentemente nuove risorse in modo da riprogrammare l'FFO, sbloccare il reclutamento e il turn over e avviare un percorso di ricollocamento dell'Italia all'interno della media dei parametri europei.
9/5389/69.    (Testo modificato nel corso della seduta) Zazzera, Di Pietro, Di Giuseppe, Paladini.


      La Camera,
          premesso che:
              nel corso dell'esame del disegno di legge C. 5389, approvato dal Senato, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini»;
              atteso che l'articolo 23-quater del decreto-legge prevede, tra l'altro, l'incorporazione, a decorrere dal 1o dicembre 2012, dell'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato nell'Agenzia delle dogane;
              rilevato come tale scelta di procedere all'incorporazione dell'AAMS nell'Agenzia delle dogane risulti in palese contrasto con il dettato dell'articolo 40, comma 2, del decreto-legge n.  159 del 2007, il quale dispone la trasformazione dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato in Agenzia fiscale dei monopoli di Stato, fissando al 1o marzo 2008 il termine di istituzione dell'Agenzia medesima;
              rammentato come il precedente Governo avesse inteso ottemperare a tale norma, predisponendo uno schema di decreto ministeriale di istituzione dell'Agenzia fiscale dei monopoli di Stato (Atto n.  411), che era stato trasmesso alle Camere e sul quale la Commissione Finanze della Camera, il 10 novembre 2011, aveva espresso parere favorevole con condizioni e osservazioni, e la Commissione Finanze e tesoro del Senato aveva espresso, il 14 febbraio 2012, parere favorevole con condizioni e osservazioni;
              rilevato altresì come tale scelta appaia molto discutibile sul piano del merito, in quanto non si ravvisa come le funzioni, del tutto peculiari, svolte dall'AAMS possano essere meccanicamente trasferite all'Agenzia delle dogane;
              evidenziato infatti come le attività di regolazione e vigilanza pubblica sul settore dei giochi e delle scommesse presentino, per molteplici profili, connotazioni del tutto diverse dalle funzioni di accertamento, liquidazione e riscossione di tributi svolte dalle Agenzie fiscali, in particolare in quanto l'azione dell'AAMS assume profili di vera e propria politica industriale relativamente ad un settore di grandissima rilevanza economica, che ha visto crescere in modo esponenziale il proprio fatturato nel corso degli ultimi anni;
              sottolineato altresì il ruolo fondamentale che l'AAMS riveste ai fini del contrasto al gravissimo fenomeno delle ludopatie nel settore dei giochi;
              rilevato inoltre come l'assorbimento dell'AAMS nell'ambito dell'Agenzia delle dogane rischi di determinare un grave indebolimento dei presidi pubblicistici posti a garanzia del gettito erariale ed a tutela dei diritti dei cittadini, in un settore che, anche per l'estrema rilevanza degli interessi economico-finanziari coinvolti, presenta numerosi aspetti di criticità, in particolare per quanto riguarda la trasparenza degli assetti societari e le possibili infiltrazioni da parte della criminalità organizzata;
              lamentato quindi come la decisione dell'Esecutivo di ignorare il chiaro dettato del legislatore, volto ad istituire l'Agenzia fiscale dei monopoli di Stato, nonché le pronunce parlamentari sugli atti di normativa secondaria attuativi di tali previsioni, appaia sbagliata dal punto di vista della tecnica legislativa, e, soprattutto, gravemente irrispettosa delle prerogative delle Camere, ignorando completamente la volontà degli organi parlamentari che si erano espressi in senso favorevole al provvedimento;
              sottolineato come la scelta dell'Esecutivo sembri rappresentare l'ennesimo cedimento dell'attuale Governo ai poteri forti delle società concessionarie dei giochi pubblici, le quali risultano già beneficiate da un trattamento fiscale assolutamente di favore per quanto riguarda il prelievo erariale unico applicato sulle giocate degli apparecchi e dei congegni da gioco leciti;
              rilevato inoltre come gli effetti di risparmio che deriveranno dalla predetta incorporazione appaiono, anche alla luce delle indicazioni contenute in merito dalla relazione tecnica allegata al disegno di legge di conversione del decreto-legge, del tutto marginali, e comunque non tali da rendere accettabili i rischi che tale riorganizzazione può determinare, anche per quanto riguarda la tenuta delle entrate erariali;
              sottolineato come, qualora il Governo non ritenga di rivedere a breve la decisione di incorporare l'AAMS nell'ambito dell'Agenzia delle dogane, appaia dunque indispensabile che tale processo di riassetto venga monitorato con la massima attenzione dal Governo stesso e dal Parlamento, verificando che esso non comporti il sostanziale smantellamento dei meccanismi di vigilanza e controllo pubblici su tale delicatissimo settore,

impegna il Governo:

          a monitorare con la massima attenzione le modalità attraverso le quali si procederà all'incorporazione nell'Agenzia delle dogane dell'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato, tenendo conto della sostanziale diversità delle funzioni svolte da quest'ultima rispetto a quelle attribuite all'Agenzia, al fine di garantire che:
              l'incorporazione non pregiudichi l'efficacia dell'azione di controllo sul settore dei giochi pubblici;
              sia assicurata la piena trasparenza, l'assoluto rispetto della legalità e la tutela dei diritti dei giocatori;
              siano garantiti i rilevantissimi interessi erariali sussistenti in tale comparto;
              sia rafforzata l'azione di contrasto alle ludopatie nel settore dei giochi, fenomeno che sta assumendo dimensioni sempre più preoccupanti nel Paese;
              sia assicurata la capillarità dei controlli che devono essere svolti sul territorio relativamente alla rete di raccolta dei giochi e delle scommesse;
              a verificare, in sede applicativa, l'opportunità di prevedere un eventuale slittamento del termine di avvio del predetto processo di incorporazione dell'AAMS nell'Agenzia delle dogane;
              a fornire al Parlamento un'adeguata e costante informativa in merito all'attuazione del processo di incorporazione, per quanto riguarda in particolare la funzionalità degli assetti organizzativi, il mantenimento di un efficace meccanismo di controllo sulla rete dei giochi e delle scommesse, nonché con riferimento ai reali effetti di risparmio determinati da tale processo.
9/5389/70. Barbato, Paladini.


      La Camera,
          in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini,
          premesso che:
              il provvedimento all'esame, all'articolo 14, comma 13, reca disposizioni concernenti il transito di personale docente nei ruoli di personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA);
              in particolare, il comma 13 riguarda il personale docente dichiarato, sia permanentemente che temporaneamente, inidoneo alla propria funzione per motivi di salute e stabilisce che il personale docente dichiarato permanentemente inidoneo alla propria funzione per motivi di salute, ma idoneo ad altri compiti, transita nei ruoli del personale ATA con la qualifica di assistente amministrativo o tecnico, con decreto del direttore generale del competente Ufficio scolastico regionale (USR), da emanare entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge;
              durante l'esame al Senato, è stato, inoltre, previsto che il personale in questione, successivamente all'immissione nei ruoli del personale ATA, può anche transitare presso amministrazioni pubbliche in cui possono essere proficuamente utilizzate le sue professionalità, a valere sulle facoltà di assunzione delle stesse amministrazioni e nel rispetto delle procedure per esse previste;
              con riferimento al personale docente dichiarato temporaneamente inidoneo alla propria funzione per motivi di salute, ma idoneo ad altri compiti, il comma 13, nel testo come modificato dal Senato, dispone l'utilizzazione, entro 20 giorni dalla data di notifica del verbale della Commissione medica operante presso la ASL, su posti anche di fatto disponibili di assistente amministrativo o tecnico, nella provincia di appartenenza, tenuto conto delle sedi indicate dal richiedente, ovvero su posti di altra provincia;
              l'articolo 14, comma 14 riguarda il personale docente attualmente titolare della classi di concorso C999 (insegnanti tecnico-pratici degli enti locali transitati nei ruoli dello Stato per effetto dell'articolo 8, comma 3, della legge 124/1999) e C555 (ex LII/C – esercitazioni di pratica professionale), per il quale prevede il transito nei ruoli del personale non docente con la qualifica di assistente amministrativo, tecnico o collaboratore scolastico, in base al titolo di studio posseduto;
              il suddetto personale è immesso in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili nella provincia di appartenenza, tenuto conto delle sedi indicate dal richiedente, e mantiene il maggior trattamento stipendiale mediante assegno personale riassorbibile con i successivi miglioramenti economici a qualsiasi titolo conseguiti;
          considerato che:
              le succitate disposizioni impongono una dequalificazione professionale sia per una categoria di insegnanti già ampiamente in difficoltà per gravi problemi di salute, che per le categorie di insegnanti titolari delle classi di concorso C999 e C555 che vengono obbligati a transitare nei ruoli del personale non docente con la qualifica di assistente amministrativo, tecnico o collaboratore scolastico;
              l'attribuzione dei posti vacanti e disponibili del personale amministrativo, tecnico e ausiliario ai docenti idonei alla loro funzione per motivi di salute, ma idonei ad altri compiti ed ai docenti delle classi di concorso sopra citate comporterà un'ulteriore contrazione dei posti per i precari ATA che da anni svolgono le loro mansioni con una professionalità tale da garantire il buon funzionamento delle scuole, dalle segreterie ai laboratori alla sorveglianza e alla cura degli ambienti scolastici;
              la prospettiva di dover gestire oneri lavorativi nuovi per i quali tale personale non è in possesso di specifiche competenze professionali richiede una profusione di energie psico-fisiche che non è giusto e responsabile richiedere a personale già affetto da gravi patologie;
              la mobilità che l'utilizzazione sui posti vacanti e disponibili del personale amministrativo, tecnico e ausiliari della provincia impone a tale personale, potrebbe confliggere con le esigenze terapeutiche e curative richieste dalla patologia, nonché con il bisogno di assistenza e controlli presso le strutture medico-sanitarie del territorio in base a cui è avvenuta la scelta della sede lavorativa,

impegna il Governo:

          a valutare gli effetti applicativi dell'articolo 14, commi 13 e 14, al fine di adottare iniziative normative volte a valutare l'opportunità di:
              a) lasciare la categoria di docenti dichiarato temporaneamente inidoneo alla propria funzione per motivi di salute, ma idoneo ad altri compiti, all'interno del proprio inquadramento professionale, utilizzandolo, lì dove possibile, per svolgere le mansioni attualmente affidate alle funzioni strumentali della scuola di appartenenza;
              b) lasciare i docenti delle classi di concorso sopra citate all'interno del proprio inquadramento professionale, utilizzandolo eventualmente come dotazione organica aggiuntiva dell'istituzione scolastica, limitatamente allo svolgimento delle attività di laboratorio o per la copertura degli incarichi di supplenze brevi e saltuarie del personale docente.
9/5389/71. Paladini, Zazzera, Di Giuseppe.


      La Camera,
          in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini,
          premesso che:
              il provvedimento all'esame, all'articolo 14, comma 13, reca disposizioni concernenti il transito di personale docente nei ruoli di personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA);
              in particolare, il comma 13 riguarda il personale docente dichiarato, sia permanentemente che temporaneamente, inidoneo alla propria funzione per motivi di salute e stabilisce che il personale docente dichiarato permanentemente inidoneo alla propria funzione per motivi di salute, ma idoneo ad altri compiti, transita nei ruoli del personale ATA con la qualifica di assistente amministrativo o tecnico, con decreto del direttore generale del competente Ufficio scolastico regionale (USR), da emanare entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge;
              durante l'esame al Senato, è stato, inoltre, previsto che il personale in questione, successivamente all'immissione nei ruoli del personale ATA, può anche transitare presso amministrazioni pubbliche in cui possono essere proficuamente utilizzate le sue professionalità, a valere sulle facoltà di assunzione delle stesse amministrazioni e nel rispetto delle procedure per esse previste;
              con riferimento al personale docente dichiarato temporaneamente inidoneo alla propria funzione per motivi di salute, ma idoneo ad altri compiti, il comma 13, nel testo come modificato dal Senato, dispone l'utilizzazione, entro 20 giorni dalla data di notifica del verbale della Commissione medica operante presso la ASL, su posti anche di fatto disponibili di assistente amministrativo o tecnico, nella provincia di appartenenza, tenuto conto delle sedi indicate dal richiedente, ovvero su posti di altra provincia;
              l'articolo 14, comma 14 riguarda il personale docente attualmente titolare della classi di concorso C999 (insegnanti tecnico-pratici degli enti locali transitati nei ruoli dello Stato per effetto dell'articolo 8, comma 3, della legge 124/1999) e C555 (ex LII/C – esercitazioni di pratica professionale), per il quale prevede il transito nei ruoli del personale non docente con la qualifica di assistente amministrativo, tecnico o collaboratore scolastico, in base al titolo di studio posseduto;
              il suddetto personale è immesso in ruolo su tutti i posti vacanti e disponibili nella provincia di appartenenza, tenuto conto delle sedi indicate dal richiedente, e mantiene il maggior trattamento stipendiale mediante assegno personale riassorbibile con i successivi miglioramenti economici a qualsiasi titolo conseguiti;
          considerato che:
              le succitate disposizioni impongono una dequalificazione professionale sia per una categoria di insegnanti già ampiamente in difficoltà per gravi problemi di salute, che per le categorie di insegnanti titolari delle classi di concorso C999 e C555 che vengono obbligati a transitare nei ruoli del personale non docente con la qualifica di assistente amministrativo, tecnico o collaboratore scolastico;
              l'attribuzione dei posti vacanti e disponibili del personale amministrativo, tecnico e ausiliario ai docenti idonei alla loro funzione per motivi di salute, ma idonei ad altri compiti ed ai docenti delle classi di concorso sopra citate comporterà un'ulteriore contrazione dei posti per i precari ATA che da anni svolgono le loro mansioni con una professionalità tale da garantire il buon funzionamento delle scuole, dalle segreterie ai laboratori alla sorveglianza e alla cura degli ambienti scolastici;
              la prospettiva di dover gestire oneri lavorativi nuovi per i quali tale personale non è in possesso di specifiche competenze professionali richiede una profusione di energie psico-fisiche che non è giusto e responsabile richiedere a personale già affetto da gravi patologie;
              la mobilità che l'utilizzazione sui posti vacanti e disponibili del personale amministrativo, tecnico e ausiliari della provincia impone a tale personale, potrebbe confliggere con le esigenze terapeutiche e curative richieste dalla patologia, nonché con il bisogno di assistenza e controlli presso le strutture medico-sanitarie del territorio in base a cui è avvenuta la scelta della sede lavorativa,

impegna il Governo:

          a valutare nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, gli effetti applicativi dell'articolo 14, commi 13 e 14, al fine di adottare iniziative normative volte a valutare l'opportunità di:
              lasciare la categoria di docenti dichiarato temporaneamente inidoneo alla propria funzione per motivi di salute, ma idoneo ad altri compiti, all'interno del proprio inquadramento professionale, utilizzandolo, lì dove possibile, per svolgere le mansioni attualmente affidate alle funzioni strumentali della scuola di appartenenza.
9/5389/71.    (Testo modificato nel corso della seduta) Paladini, Zazzera, Di Giuseppe.


      La Camera,
          premesso che:
              con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 febbraio 2011 è stato dichiarato lo stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale per l'eccezionale afflusso di cittadini provenienti dal Nord Africa e che lo stesso è stato poi prorogato al 31 dicembre 2012 con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 ottobre 2011;
              per rispondere ai complessi problemi dell'emergenza sono stati firmati tra il Governo, Regioni, Pubblica Amministrazione e Autonomie Locali, in Conferenza Unificata, due Accordi: il primo è datato 30 marzo 2011 e il successivo, integrativo del precedente, 6 aprile 2011, aventi per oggetto, in particolare:
                  1. l'equa distribuzione dei migranti in tutte le regioni (escluso l'Abruzzo);
                  2. l'istituzione di una Cabina di regia nazionale;
                  3. il riconoscimento, da parte del Governo, del totale carico delle risorse finanziarie necessarie a gestire la situazione emergenziale, sia per i minori non accompagnati (creando nella fattispecie un apposito fondo a favore dei Comuni che li avrebbero presi in carico), che per gli adulti (assicurando un adeguato e capiente finanziamento di apposito Fondo, in primis presso la Protezione Civile e, nel prosieguo, con il trasferimento di fondi alle Regioni);
              il 21 settembre 2011, con Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 3965, è stato disposto che, al fine di ampliare la rete del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), venisse stanziato un contributo straordinario agli enti locali interessati pari a 9.000.000 di euro. Di fatto tali fondi, come lamentano gli Enti locali, non sono mai stati erogati nonostante l'attivazione dei posti e l'esigenza di rispondere alle centinaia di segnalazioni da parte dei Centri di accoglienza dei rifugiati;
              Regioni e Enti locali hanno più volte segnalato che, in termini di erogazione dei fondi, questi sono fermi al novembre 2011 e di conseguenza da quel momento hanno dovuto farsi carico dell'accoglienza e assistenza dei minori non accompagnati e dei migranti poiché non hanno ricevuto accrediti dal Governo, nonostante le reiterate richieste, e la situazione è divenuta, ad oggi, insostenibile;
              il comma 11 dell'articolo 23 del decreto-legge 95/2012 prevede lo stanziamento di 495 milioni di euro per la gestione della menzionata emergenza umanitaria e l'istituzione di un Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la cui dotazione è costituita da 5 milioni di euro per l'anno 2012,

impegna il Governo

ad adoperarsi per garantire una sollecita erogazione dei finanziamenti previsti dal citato articolo 23, comma 11 per 500 milioni di euro, a copertura della quota restante del 2011, del primo e secondo semestre 2012, per tutte le attività di accoglienza poste in essere nello stesso periodo in favore di adulti e di minori stranieri non accompagnati, siano o meno essi richiedenti asilo.
9/5389/72. Evangelisti, Piffari, Paladini.


      La Camera,
          premesso che:
              con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 febbraio 2011 è stato dichiarato lo stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale per l'eccezionale afflusso di cittadini provenienti dal Nord Africa e che lo stesso è stato poi prorogato al 31 dicembre 2012 con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 ottobre 2011;
              per rispondere ai complessi problemi dell'emergenza sono stati firmati tra il Governo, Regioni, Pubblica Amministrazione e Autonomie Locali, in Conferenza Unificata, due Accordi: il primo è datato 30 marzo 2011 e il successivo, integrativo del precedente, 6 aprile 2011, aventi per oggetto, in particolare:
                  1. l'equa distribuzione dei migranti in tutte le regioni (escluso l'Abruzzo);
                  2. l'istituzione di una Cabina di regia nazionale;
                  3. il riconoscimento, da parte del Governo, del totale carico delle risorse finanziarie necessarie a gestire la situazione emergenziale, sia per i minori non accompagnati (creando nella fattispecie un apposito fondo a favore dei Comuni che li avrebbero presi in carico), che per gli adulti (assicurando un adeguato e capiente finanziamento di apposito Fondo, in primis presso la Protezione Civile e, nel prosieguo, con il trasferimento di fondi alle Regioni);
              il 21 settembre 2011, con Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 3965, è stato disposto che, al fine di ampliare la rete del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), venisse stanziato un contributo straordinario agli enti locali interessati pari a 9.000.000 di euro. Di fatto tali fondi, come lamentano gli Enti locali, non sono mai stati erogati nonostante l'attivazione dei posti e l'esigenza di rispondere alle centinaia di segnalazioni da parte dei Centri di accoglienza dei rifugiati;
              Regioni e Enti locali hanno più volte segnalato che, in termini di erogazione dei fondi, questi sono fermi al novembre 2011 e di conseguenza da quel momento hanno dovuto farsi carico dell'accoglienza e assistenza dei minori non accompagnati e dei migranti poiché non hanno ricevuto accrediti dal Governo, nonostante le reiterate richieste, e la situazione è divenuta, ad oggi, insostenibile;
              il comma 11 dell'articolo 23 del decreto-legge 95/2012 prevede lo stanziamento di 495 milioni di euro per la gestione della menzionata emergenza umanitaria e l'istituzione di un Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la cui dotazione è costituita da 5 milioni di euro per l'anno 2012,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di adoperarsi per garantire una sollecita erogazione dei finanziamenti previsti dal citato articolo 23, comma 11 per 500 milioni di euro, a copertura della quota restante del 2011, del primo e secondo semestre 2012, per tutte le attività di accoglienza poste in essere nello stesso periodo in favore di adulti e di minori stranieri non accompagnati, siano o meno essi richiedenti asilo.
9/5389/72.    (Testo modificato nel corso della seduta) Evangelisti, Piffari, Paladini.


      La Camera,
          in sede di discussione del disegno di legge di conversione del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95 (C. 5389),
          premesso che:
              l'articolo 12 dispone, al comma 20, il trasferimento agli uffici delle amministrazioni competenti delle attività svolte da determinati organismi collegiali, tra i quali sembrerebbe rientrare il Comitato minori stranieri;
              il suddetto Comitato è un organismo indipendente competente ad assumere decisioni connesse all'accoglienza e alla protezione dei minori stranieri, sia di quanti arrivano in Italia non accompagnati che di coloro che vi entrano nell'ambito dei soggiorni solidaristici ed è stato istituito in ottemperanza alle Convenzioni internazionali a tutela dei minori, a partire dalla Convenzione di New York sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e dalla risoluzione del Consiglio dell'Unione europea del 26 giugno 1997, sui minori non accompagnati, cittadini di Paesi terzi;
              risulta necessario, a fronte della tipologia di attività e delle funzioni di tutela svolte dal Comitato, mantenerne la composizione interistituzionale, operante in modo collegiale e contestuale da parte delle diverse amministrazioni territoriali coinvolte in modo strutturale – enti locali, regioni e amministrazione centrale;
              la collegialità delle decisioni assunte continuerebbe ad assicurare equilibrio, condivisione e autonomia che verrebbero a mancare se le sue funzioni venissero incardinate nell'attività amministrativa ordinaria del Ministero con il rischio di abbassare il livello di tutela del minore;
              il funzionamento del Comitato non prevede alcun onere a carico dell'amministrazione dello Stato – come da decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 535/1999 – in quanto la partecipazione dei suoi componenti è a titolo gratuito e non sono previsti altri costi aggiuntivi;
              obiettivo principale della riorganizzazione o soppressione di enti e organismi è il contenimento della spese pubblica, non è chiaro a che titolo il suddetto Comitato vi rientri,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi dell'articolo 20, comma 12, al fine di adottare le iniziative, anche legislative, necessarie al mantenimento in vita del Comitato di cui in premessa.
9/5389/73. Favia, Donadi, Evangelisti, Paladini.


      La Camera,
          in sede di discussione del disegno di legge di conversione del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95 (C. 5389),
          premesso che:
              l'articolo 12 dispone, al comma 20, il trasferimento agli uffici delle amministrazioni competenti delle attività svolte da determinati organismi collegiali, tra i quali sembrerebbe rientrare il Comitato minori stranieri;
              il suddetto Comitato è un organismo indipendente competente ad assumere decisioni connesse all'accoglienza e alla protezione dei minori stranieri, sia di quanti arrivano in Italia non accompagnati che di coloro che vi entrano nell'ambito dei soggiorni solidaristici ed è stato istituito in ottemperanza alle Convenzioni internazionali a tutela dei minori, a partire dalla Convenzione di New York sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e dalla risoluzione del Consiglio dell'Unione europea del 26 giugno 1997, sui minori non accompagnati, cittadini di Paesi terzi;
              risulta necessario, a fronte della tipologia di attività e delle funzioni di tutela svolte dal Comitato, mantenerne la composizione interistituzionale, operante in modo collegiale e contestuale da parte delle diverse amministrazioni territoriali coinvolte in modo strutturale – enti locali, regioni e amministrazione centrale;
              la collegialità delle decisioni assunte continuerebbe ad assicurare equilibrio, condivisione e autonomia che verrebbero a mancare se le sue funzioni venissero incardinate nell'attività amministrativa ordinaria del Ministero con il rischio di abbassare il livello di tutela del minore;
              il funzionamento del Comitato non prevede alcun onere a carico dell'amministrazione dello Stato – come da decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 535/1999 – in quanto la partecipazione dei suoi componenti è a titolo gratuito e non sono previsti altri costi aggiuntivi;
              obiettivo principale della riorganizzazione o soppressione di enti e organismi è il contenimento della spese pubblica, non è chiaro a che titolo il suddetto Comitato vi rientri,

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, gli effetti applicativi dell'articolo 20, comma 12, al fine di adottare le iniziative, anche legislative, necessarie al mantenimento in vita del Comitato di cui in premessa.
9/5389/73.    (Testo modificato nel corso della seduta) Favia, Donadi, Evangelisti, Paladini.


      La Camera,
          in sede di in sede di discussione del disegno di legge di conversione del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95 (C. 5389),
          premesso che:
              ad onta dell'esigenza di chiarezza normativa e in spregio della leggibilità delle disposizioni, il comma 12-quater dell'articolo 23 del provvedimento al nostro esame, introduce una complessa operazione algebrica – tra riduzioni per l'anno in corso e incrementi per il prossimo – cui corrispondono altrettanti movimenti di risorse finanziarie da un capitolo di bilancio ad un altro;
              in sostanza, ciò che preme sottolineare ai firmatari del presente atto di indirizzo è l'incremento di 40 milioni di euro delle risorse per l'anno 2013 del «Fondo per la tutela dell'ambiente e la promozione dello sviluppo del territorio» di cui all'articolo 13, comma 3-quater, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112, meglio noto come «legge mancia» – lemma che non ha bisogno né in quest'Aula né sui quotidiani né nell'opinione pubblica di delucidazioni in ordine al suo significato ed al suo utilizzo – a fronte di una riduzione di 30 milioni di euro del medesimo Fondo per l'anno in corso;
              recentemente, in quest'Aula, è stato approvato un ordine del giorno – presentato dalla prima firmataria del presente atto di indirizzo – con il quale il Governo si è impegnato a destinare tutte le risorse del suddetto Fondo per l'anno in corso ai territori della Regione Emilia-Romagna colpiti dal terremoto;
              il Fondo registrava per il 2012 una dotazione pari a 100 milioni di euro – che il citato comma 12-quater ha ridotto a 70, trasferendo quei medesimi 30 milioni al 2013 ai quali ne sono stati aggiunti ulteriori 10 milioni,

impegna il Governo:

          ad adempiere tempestivamente all'impegno di destinare le risorse del «Fondo per la tutela dell'ambiente e la promozione dello sviluppo del territorio» ai territori della Regione Emilia Romagna colpiti dal sisma;
          ad adottare le iniziative, anche legislative, al fine di evitare che gli imprevisti movimenti di risorse finanziarie indicati in premessa possano ripercuotersi malauguratamente sull'entità delle risorse da destinare ai territori medesimi, all'uopo reperendo altrove le risorse necessarie.
9/5389/74. Mura, Borghesi, Paladini.


      La Camera,
          premesso che:
              la contro «riforma Fornero» del sistema pensionistico ha determinato molte situazioni di ingiustizia, rinviando la data del pensionamento per circa 400 mila lavoratori che sarebbero andati in pensione nel volgere di pochi mesi o anni in base alle vecchie regole, e che si trovavano in situazioni per cui si erano dimessi in seguito ad accordi collettivi o individuali con il datore di lavoro. In conseguenza di ciò, questa persone per 4 o 5 anni non potranno percepire né uno stipendio né una pensione;
              il Parlamento ha più volte sollecitato il Governo ad agire a tutela dei lavoratori cosiddetti «esodati» più in difficoltà, ricevendo, peraltro, numerose rassicurazioni in ordine ad un futuro intervento in tal senso;
              come detto, l'articolo 24 del decreto-legge n.  201 del 2011 ha attuato una revisione complessiva del sistema pensionistico, ridefinendo, a decorrere dal 1o gennaio 2012, i requisiti anagrafici per il pensionamento di vecchiaia e per il pensionamento anticipato;
              il comma 14 dell'articolo 24 ha disposto che le disposizioni previgenti in materia di requisiti di accesso e di regime di decorrenza dei trattamenti pensionistici (cosiddette «finestre» e sistema delle quote) continuino ad applicarsi a una serie di categorie di lavoratori. In particolare, oltre ai lavoratori che abbiano maturato i requisiti entro il 31 dicembre 2011, si tratta:
                  a) dei lavoratori collocati in mobilità (o in mobilità lunga) sulla base di accordi sindacali stipulati anteriormente al 4 dicembre 2011 (e che maturino i requisiti per il pensionamento entro il periodo di fruizione dell'indennità di mobilità);
                  b) dei lavoratori titolari di prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà di settore alla data del 4 dicembre 2011;
                  c) dei lavoratori che, antecedentemente alla data del 4 dicembre 2011, siano stati autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione; dei lavoratori che alla data del 4 dicembre 2011 si trovino in esonero dal servizio;
                  d) dei lavoratori che alla data del 31 ottobre 2011 sono in congedo per assistere figli con disabilità grave (a condizione che maturino, entro ventiquattro mesi dalla data di inizio del predetto congedo, il requisito di anzianità contributiva di 40 anni);
              sulla materia è intervenuto anche l'articolo 6, comma 2-ter, del decreto-legge n.  216 del 2011, il quale ha previsto che (sempre nel limite delle risorse e con le procedure previste dal decreto-legge n.  201) siano inclusi nell'ambito di coloro a cui continuano ad applicarsi le previgenti disposizioni in materia di requisiti di accesso e decorrenza dei trattamenti pensionistici, anche i lavoratori il cui rapporto di lavoro si sia risolto, in base ad accordi individuali o in applicazione di accordi collettivi di incentivo all'esodo stipulati (in data antecedente a quella di entrata in vigore del decreto) dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale. A tal fine, il lavoratore deve risultare, alla data di risoluzione del rapporto di lavoro (che deve risultare da elementi certi ed oggettivi) in possesso dei requisiti anagrafici e contributivi che, in base alla previgente disciplina pensionistica, avrebbero comportato la decorrenza del trattamento entro un periodo non superiore a 24 mesi alla data di entrata in vigore del decreto-legge n.  201 del 2011;
              le modalità di attuazione delle deroghe, nei limiti di risorse predeterminate, sono state definite da un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, adottato nel corso del mese di giugno 2012;
              le misure previste da questo decreto ministeriale consentono di andare in pensione con i vecchi criteri a 65 mila lavoratori «esodati» cosiddetti «salvaguardati» divisi come segue: 25.590 lavoratori in mobilità, 3.460 in mobilità lunga, 17.710 fondi di solidarietà, 10.250 prosecutori volontari con decorrenza entro il 2013, 950 lavoratori esonerati, 150 genitori di disabili, 6.890 lavoratori cessati ai sensi dell'articolo 6, comma 2-ter, del decreto-legge n.  216 del 2011, convertito, con modificazioni della legge n.  14 del 2012;
              nel citato decreto ministeriale «esodati» si individua all'articolo 4 la procedura da seguire per chi debba presentare l'istanza di accesso alla salvaguardia. In particolare i lavoratori esonerati dal servizio alla data del 4 dicembre 2011, nonché i lavoratori in congedo per assistere i figli affetti da disabilità grave, con perfezionamento entro 24 mesi dalla data di inizio del predetto congedo, del requisito contributivo per accedere alla pensione, indipendentemente dall'età anagrafica, devono presentare l'istanza di accesso ai benefici alle Direzioni Territoriali del Lavoro, competenti in base alla residenza degli stessi;
              successivamente, nel provvedimento al nostro esame, (decreto-legge n.  95 del 2012), all'articolo 22, sono state previste misure a favore di ulteriori 55 mila lavoratori che verranno «salvaguardati»;
              ma, nel corso dell'iter al Senato della legge di conversione del citato decreto n.  95 (AS 3396), il Governo ha bloccato qualsiasi iniziativa volta ad allargare la platea dei «salvaguardati», mentre malgrado le misure descritte, i cd. «esodati» rimangono numerosi;
              sarebbe, infatti necessario:
                  estendere la proroga che consente l'accesso alla pensione con i vecchi criteri agli accordi sottoscritti fino al 31 dicembre 2011;
                  includere tra i «salvaguardati» coloro che maturano i requisiti pensionistici anche dopo il periodo di mobilità ordinaria e lunga;
                  riportare, per i lavoratori dei fondi di solidarietà (bancari, assicurativi e altri), l'età pensionabile a 60 anni così come previsto nell'ultimo decreto mille proroghe;
                  consentire, per i contributori volontari, che si possano perfezionare i requisiti utili alla decorrenza del trattamento pensionistico entro il 31 dicembre 2018;
                  fare riferimento alla firma dell'accordo e non più alla data effettiva della cessazione del rapporto di lavoro, nonché alla maturazione del diritto al trattamento pensionistico e non più alla decorrenza del trattamento medesimo e non dovrebbe assumere nessuna rilevanza, per l'accesso alla salvaguardia, l'eventuale attività lavorativa;
                  per i macchinisti e gli uomini di manovra delle ferrovie e per alcuni lavoratori del settore marittimo dovrebbe essere riconosciuta la necessità di far ricorso ad una armonizzazione delle regole pensionistiche, così come previsto per le forze dell'ordine, senza una applicazione secca delle nuove regole introdotte dalla «riforma» Fornero,

impegna il Governo

a prendere tutte le opportune iniziative, anche legislative, ferme restando le prerogative del Parlamento, al fine di garantire a tutti i lavoratori cd. «esodati» la possibilità di accedere ai trattamenti pensionistici con le regole vigenti prima della cosiddetta «Riforma Fornero».
9/5389/75. Di Pietro, Paladini, Aniello Formisano.


      La Camera,
          premesso che:
              la contro «riforma Fornero» del sistema pensionistico ha determinato molte situazioni di ingiustizia, rinviando la data del pensionamento per circa 400 mila lavoratori che sarebbero andati in pensione nel volgere di pochi mesi o anni in base alle vecchie regole, e che si trovavano in situazioni per cui si erano dimessi in seguito ad accordi collettivi o individuali con il datore di lavoro. In conseguenza di ciò, questa persone per 4 o 5 anni non potranno percepire né uno stipendio né una pensione;
              il Parlamento ha più volte sollecitato il Governo ad agire a tutela dei lavoratori cosiddetti «esodati» più in difficoltà, ricevendo, peraltro, numerose rassicurazioni in ordine ad un futuro intervento in tal senso;
              come detto, l'articolo 24 del decreto-legge n.  201 del 2011 ha attuato una revisione complessiva del sistema pensionistico, ridefinendo, a decorrere dal 1o gennaio 2012, i requisiti anagrafici per il pensionamento di vecchiaia e per il pensionamento anticipato;
              il comma 14 dell'articolo 24 ha disposto che le disposizioni previgenti in materia di requisiti di accesso e di regime di decorrenza dei trattamenti pensionistici (cosiddette «finestre» e sistema delle quote) continuino ad applicarsi a una serie di categorie di lavoratori. In particolare, oltre ai lavoratori che abbiano maturato i requisiti entro il 31 dicembre 2011, si tratta:
                  a) dei lavoratori collocati in mobilità (o in mobilità lunga) sulla base di accordi sindacali stipulati anteriormente al 4 dicembre 2011 (e che maturino i requisiti per il pensionamento entro il periodo di fruizione dell'indennità di mobilità);
                  b) dei lavoratori titolari di prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà di settore alla data del 4 dicembre 2011;
                  c) dei lavoratori che, antecedentemente alla data del 4 dicembre 2011, siano stati autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione; dei lavoratori che alla data del 4 dicembre 2011 si trovino in esonero dal servizio;
                  d) dei lavoratori che alla data del 31 ottobre 2011 sono in congedo per assistere figli con disabilità grave (a condizione che maturino, entro ventiquattro mesi dalla data di inizio del predetto congedo, il requisito di anzianità contributiva di 40 anni);
              sulla materia è intervenuto anche l'articolo 6, comma 2-ter, del decreto-legge n.  216 del 2011, il quale ha previsto che (sempre nel limite delle risorse e con le procedure previste dal decreto-legge n.  201) siano inclusi nell'ambito di coloro a cui continuano ad applicarsi le previgenti disposizioni in materia di requisiti di accesso e decorrenza dei trattamenti pensionistici, anche i lavoratori il cui rapporto di lavoro si sia risolto, in base ad accordi individuali o in applicazione di accordi collettivi di incentivo all'esodo stipulati (in data antecedente a quella di entrata in vigore del decreto) dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale. A tal fine, il lavoratore deve risultare, alla data di risoluzione del rapporto di lavoro (che deve risultare da elementi certi ed oggettivi) in possesso dei requisiti anagrafici e contributivi che, in base alla previgente disciplina pensionistica, avrebbero comportato la decorrenza del trattamento entro un periodo non superiore a 24 mesi alla data di entrata in vigore del decreto-legge n.  201 del 2011;
              le modalità di attuazione delle deroghe, nei limiti di risorse predeterminate, sono state definite da un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, adottato nel corso del mese di giugno 2012;
              le misure previste da questo decreto ministeriale consentono di andare in pensione con i vecchi criteri a 65 mila lavoratori «esodati» cosiddetti «salvaguardati» divisi come segue: 25.590 lavoratori in mobilità, 3.460 in mobilità lunga, 17.710 fondi di solidarietà, 10.250 prosecutori volontari con decorrenza entro il 2013, 950 lavoratori esonerati, 150 genitori di disabili, 6.890 lavoratori cessati ai sensi dell'articolo 6, comma 2-ter, del decreto-legge n.  216 del 2011, convertito, con modificazioni della legge n.  14 del 2012;
              nel citato decreto ministeriale «esodati» si individua all'articolo 4 la procedura da seguire per chi debba presentare l'istanza di accesso alla salvaguardia. In particolare i lavoratori esonerati dal servizio alla data del 4 dicembre 2011, nonché i lavoratori in congedo per assistere i figli affetti da disabilità grave, con perfezionamento entro 24 mesi dalla data di inizio del predetto congedo, del requisito contributivo per accedere alla pensione, indipendentemente dall'età anagrafica, devono presentare l'istanza di accesso ai benefici alle Direzioni Territoriali del Lavoro, competenti in base alla residenza degli stessi;
              successivamente, nel provvedimento al nostro esame, (decreto-legge n.  95 del 2012), all'articolo 22, sono state previste misure a favore di ulteriori 55 mila lavoratori che verranno «salvaguardati»;
              ma, nel corso dell'iter al Senato della legge di conversione del citato decreto n.  95 (AS 3396), il Governo ha bloccato qualsiasi iniziativa volta ad allargare la platea dei «salvaguardati», mentre malgrado le misure descritte, i cd. «esodati» rimangono numerosi;
              sarebbe, infatti necessario:
                  estendere la proroga che consente l'accesso alla pensione con i vecchi criteri agli accordi sottoscritti fino al 31 dicembre 2011;
                  includere tra i «salvaguardati» coloro che maturano i requisiti pensionistici anche dopo il periodo di mobilità ordinaria e lunga;
                  riportare, per i lavoratori dei fondi di solidarietà (bancari, assicurativi e altri), l'età pensionabile a 60 anni così come previsto nell'ultimo decreto mille proroghe;
                  consentire, per i contributori volontari, che si possano perfezionare i requisiti utili alla decorrenza del trattamento pensionistico entro il 31 dicembre 2018;
                  fare riferimento alla firma dell'accordo e non più alla data effettiva della cessazione del rapporto di lavoro, nonché alla maturazione del diritto al trattamento pensionistico e non più alla decorrenza del trattamento medesimo e non dovrebbe assumere nessuna rilevanza, per l'accesso alla salvaguardia, l'eventuale attività lavorativa;
                  per i macchinisti e gli uomini di manovra delle ferrovie e per alcuni lavoratori del settore marittimo dovrebbe essere riconosciuta la necessità di far ricorso ad una armonizzazione delle regole pensionistiche, così come previsto per le forze dell'ordine, senza una applicazione secca delle nuove regole introdotte dalla «riforma» Fornero,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di prendere tutte le opportune iniziative, anche legislative, ferme restando le prerogative del Parlamento, al fine di garantire a tutti i lavoratori cd. «esodati» la possibilità di accedere ai trattamenti pensionistici con le regole vigenti prima della cosiddetta «Riforma Fornero».
9/5389/75.    (Testo modificato nel corso della seduta) Di Pietro, Paladini, Aniello Formisano.


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto «spending review», che di fatto rappresenta il primo atto della cura dimagrante che si intende imporre alla spesa, segue un approccio che, in alcuni passaggi, richiama la logica dei tagli lineari e non quella della revisione strutturale dei meccanismi che la alimentano;
              l'articolo 8, comma 4, dispone le riduzioni dei trasferimenti statali agli enti di ricerca facenti capo a vari Ministeri, a decorrere dal 2012, tra questi vi sono anche enti di ricerca riguardanti il settore agroalimentare, l'allegato 3 dispone una riduzione per l'esercizio in corso pari a 2.895.617 euro complessivi, e pari a 7.721.646 euro sia per il 2013 che a decorrere dal 2014, distribuiti tra gli enti di ricerca;
              nel campo agro-alimentare il discorso della ricerca è duplice, si rivolge ai produttori di beni alimentari destinati al consumo di massa, per i quali ricerca e innovazione sono essenziali, e a quelli dei prodotti tipici, per i quali è fondamentale recuperare un livello organizzativo e tecniche adeguati ai mercati di oggi;
              l'agricoltura ha la triplice funzione di produrre beni alimentari, garantirne la sicurezza e tutelare l'ambiente, altrettanto importante è difendere il ruolo della ricerca in tale settore. La riduzione delle risorse prevista da tale decreto incide pesantemente sulla ricerca pubblica in agricoltura, mentre la ricerca privata, svolta soprattutto da grandi aziende continuerà ad essere finanziata dalle imprese agricole, attraverso l'acquisto di beni e servizi a prezzi crescenti;
              la conseguenza sarà la vanificazione dei risultati conseguiti fino ad oggi, compromettendo il futuro dell'agricoltura e dei giovani, che si deve fondare sull'innovazione;
              il sostegno alla ricerca rappresenta un elemento fondamentale per salvaguardare la competitività delle nostre imprese agricole, bisogna promuovere i modelli agricoli sostenibili e virtuosi, come il biologico, e rinnovare profondamente il sistema di conoscenze e innovazione dedicandovi risorse adeguate;
              gli agricoltori hanno bisogno di essere sostenuti e informati sulle procedure da adottare per intraprendere la strada della sostenibilità, e proprio in questo percorso la ricerca ha il suo ruolo fondamentale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di reperire altre e maggiori risorse, al fine di tutelare la ricerca nel campo del settore agroalimentare.
9/5389/76. Di Giuseppe, Messina, Rota, Paladini.


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto «spending review», che di fatto rappresenta il primo atto della cura dimagrante che si intende imporre alla spesa, segue un approccio che, in alcuni passaggi, richiama la logica dei tagli lineari e non quella della revisione strutturale dei meccanismi che la alimentano;
              l'articolo 8, comma 4, dispone le riduzioni dei trasferimenti statali agli enti di ricerca facenti capo a vari Ministeri, a decorrere dal 2012, tra questi vi sono anche enti di ricerca riguardanti il settore agroalimentare, l'allegato 3 dispone una riduzione per l'esercizio in corso pari a 2.895.617 euro complessivi, e pari a 7.721.646 euro sia per il 2013 che a decorrere dal 2014, distribuiti tra gli enti di ricerca;
              nel campo agro-alimentare il discorso della ricerca è duplice, si rivolge ai produttori di beni alimentari destinati al consumo di massa, per i quali ricerca e innovazione sono essenziali, e a quelli dei prodotti tipici, per i quali è fondamentale recuperare un livello organizzativo e tecniche adeguati ai mercati di oggi;
              l'agricoltura ha la triplice funzione di produrre beni alimentari, garantirne la sicurezza e tutelare l'ambiente, altrettanto importante è difendere il ruolo della ricerca in tale settore. La riduzione delle risorse prevista da tale decreto incide pesantemente sulla ricerca pubblica in agricoltura, mentre la ricerca privata, svolta soprattutto da grandi aziende continuerà ad essere finanziata dalle imprese agricole, attraverso l'acquisto di beni e servizi a prezzi crescenti;
              la conseguenza sarà la vanificazione dei risultati conseguiti fino ad oggi, compromettendo il futuro dell'agricoltura e dei giovani, che si deve fondare sull'innovazione;
              il sostegno alla ricerca rappresenta un elemento fondamentale per salvaguardare la competitività delle nostre imprese agricole, bisogna promuovere i modelli agricoli sostenibili e virtuosi, come il biologico, e rinnovare profondamente il sistema di conoscenze e innovazione dedicandovi risorse adeguate;
              gli agricoltori hanno bisogno di essere sostenuti e informati sulle procedure da adottare per intraprendere la strada della sostenibilità, e proprio in questo percorso la ricerca ha il suo ruolo fondamentale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di reperire altre e maggiori risorse, al fine di tutelare la ricerca nel campo del settore agroalimentare.
9/5389/76.    (Testo modificato nel corso della seduta) Di Giuseppe, Messina, Rota, Paladini.


      La Camera,
          in sede di esame di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini,
          premesso che:
              il provvedimento all'esame, all'articolo 14, comma 16, reca una norma interpretativa, stabilendo che per «aree geografiche caratterizzate da specificità linguistica», ai fini dell'applicazione dei parametri per l'assegnazione dei dirigenti scolastici, si intendono quelle nelle quali sono presenti minoranze di lingua madre straniera (e non quelle in cui vi sono minoranze linguistiche riconosciute ex legge 482/1999);
              l'interpretazione riguarda l'articolo 19, comma 5, del decreto-legge 98/2011 (legge 111/2011), come modificato dall'articolo 4, comma 69, della legge di stabilità 2012 (legge 183/2011), che stabilisce che alle istituzioni scolastiche autonome costituite con un numero di alunni inferiore a 600 unità, ridotto fino a 400 per le istituzioni site nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche, nonché nelle piccole isole e nei comuni montani, non possono essere assegnati dirigenti scolastici con incarico a tempo indeterminato. Le stesse sono conferite in reggenza a dirigenti scolastici già titolari di incarico in altri istituti;
              pertanto si riporta la base di calcolo per le Istituzioni scolastiche autonome al numero di 600 alunni, determinando di fatto la cancellazione di numerosi posti di lavoro nelle scuole, in particolare sarde e friulane, ed soprattutto la cancellazione di numerosi posti di lavoro degli operatori che avevano il compito di insegnare e di promuovere la cultura e la lingua sarda o friulana;
              infatti la relazione tecnica motiva tale interpretazione con il fatto che alcune regioni estendono il significato di «specificità linguistica» anche a territori dove si parla un particolare dialetto, utilizzando la legge 482/1999, relativa alle norme di tutela delle minoranze linguistiche storiche, tra cui il friulano, l'occitano e il sardo. Specifica, poi, che sia la Sardegna che il Friuli Venezia Giulia hanno prospettato l'utilizzo dei parametri ridotti previsti per le minoranze linguistiche ai fini del dimensionamento delle scuole ed evidenzia che, utilizzando tali parametri, non si dimensioneranno almeno 40 scuole e, quindi, non si risparmieranno gli stipendi di 40 dirigenti scolastici e 40 dirigenti dei servizi generali e amministrativi;
              se è vero che il provvedimento del Governo Monti, in pratica, riguarda solamente la posizione di una quarantina di dirigenti scolastici nelle Regioni Friuli-Venezia Giulia, Sardegna e Piemonte, è altrettanto vero che rappresenta un precedente pericoloso e inaccettabile tanto nella forma, quanto nella sostanza;
              la disposizione di cui all'articolo 14, comma 16 del provvedimento all'esame è percepita da tutti gli interessati come una mortificazione dell'autonomia speciale di alcune regioni mediante un autentico attacco frontale alle lingue minoritarie e alle loro scuole, già tanto penalizzate nel corso di questi ultimi anni;
              la risoluzione del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa relativa all'applicazione della Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali da parte dello Stato italiano – la CM/ResCMN(2012)10 del 4 luglio us, segnala i progressi e i punti critici rilevati all'interno dello Stato italiano nell'applicazione della Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali che riguarda le dodici comunità linguistiche riconosciute con la legge statale 482/99;
              il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa segnala con preoccupazione che, tra le altre cose, «rimane limitata la partecipazione delle persone appartenenti alle minoranze ai processi decisionali tanto su scala locale che statale», «gli sforzi per sviluppare e rafforzare l'insegnamento delle/nelle lingua minoritarie sono ostacolati dalla riduzione delle risorse e da investimenti insufficienti da parte delle autorità» e che «i sostanziosi tagli operati e i ritardi nel trasferimento dei fondi hanno causato problemi e ritardi nel rafforzamento delle garanzie legali relative all'uso pubblico delle lingue minoritarie, all'insegnamento di/in tali lingue, ai mezzi di comunicazione in lingua minoritaria e allo sviluppo culturale delle comunità di minoranza» e chiede dunque che «il sistema di finanziamento e le procedure per la distribuzione delle risorse stanziate venga rafforzato e reso più stabile»,

impegna il Governo

ad intervenire, nelle sedi opportune, affinché sia mantenuta la regola che fissa come base di calcolo per le Istituzioni Scolastiche Autonome il numero minimo di 400 alunni in ragione dell'appartenenza alle minoranze linguistiche tutelata dalla Costituzione, dalla Convenzione Quadro delle Minoranze Nazionali e dalla Carta Europea delle lingue minoritarie in corso di ratifica nel Parlamento Italiano insieme alle altre lingue di cui alla Legge 482/99.
9/5389/77. Palomba, Monai, Pes, Follegot, Contento, Pili, Nizzi, Paladini.


      La Camera,
          premesso che:
              gli organigrammi dirigenziali delle amministrazioni centrali dello Stato e dei grandi enti pubblici si sono dilatati nel tempo, per effetto dell'incremento del numero e della complessità delle funzioni svolte, delle spinte interne (burocrazia) ed esterne (politica) alla moltiplicazione dei posti, delle rigidità dell'ordinamento, che hanno impedito di soddisfare le nuove esigenze con adattamenti razionali dell'esistente;
              il sovradimensionamento di questi apparati ha condotto ad una sequenza di tre tagli orizzontali, che ha portato ad una riduzione consistente e a una inversione di tendenza. Alla riduzione dei posti in organico ha corrisposto una riduzione delle presenze conseguente al pensionamento con 40 anni di contribuzione in una categoria ad età media assai elevata;
              in tale quadro e anche nel quadro di una ridefinizione dei compiti delle amministrazioni centrali in relazione all'attuazione del federalismo, occorre andare ad una riclassificazione dei posti di funzione dirigenziale, in relazione a:
                  1 - la collocazione di ciascuna posizione all'interno dell'organizzazione;
                  2 - il grado di partecipazione attiva all'esercizio della funzione;
                  3 - la responsabilità della direzione di altri dipendenti;
              le funzioni concretamente esercitate o da esercitarsi costituiscono, in ogni caso, l'elemento decisivo di questa riclassificazione, e della conseguente ristrutturazione, in ogni Amministrazione od Ente;
              gli obiettivi sono un riallineamento delle funzioni e dei livelli retributivi, anche in attuazione della legge n.  196/2009 e il superamento delle attuali riclassificazioni, omogeneizzando i regimi delle amministrazioni centrali e di quelle regionali e locali;
              il risparmio possibile dipende dall'entità delle riduzioni, ovvero dal numero dei posti soppressi o riclassificati verso il basso, e dal livello di garanzia dei trattamenti in godimento che si intenderà assicurare agli interessati;
              l'intera operazione andrebbe graduata nel tempo, utilizzando la mobilità,

impegna il Governo

per meglio gestire la mobilità dei dirigenti, a prendere le opportune iniziative per l'istituzione di un Albo dei dirigenti e dei quadri delle amministrazioni e degli enti centrali dello Stato.
9/5389/78. Aniello Formisano, Paladini, Borghesi.


      La Camera,
          premesso che:
              gli organigrammi dirigenziali delle amministrazioni centrali dello Stato e dei grandi enti pubblici si sono dilatati nel tempo, per effetto dell'incremento del numero e della complessità delle funzioni svolte, delle spinte interne (burocrazia) ed esterne (politica) alla moltiplicazione dei posti, delle rigidità dell'ordinamento, che hanno impedito di soddisfare le nuove esigenze con adattamenti razionali dell'esistente;
              il sovradimensionamento di questi apparati ha condotto ad una sequenza di tre tagli orizzontali, che ha portato ad una riduzione consistente e a una inversione di tendenza. Alla riduzione dei posti in organico ha corrisposto una riduzione delle presenze conseguente al pensionamento con 40 anni di contribuzione in una categoria ad età media assai elevata;
              in tale quadro e anche nel quadro di una ridefinizione dei compiti delle amministrazioni centrali in relazione all'attuazione del federalismo, occorre andare ad una riclassificazione dei posti di funzione dirigenziale, in relazione a:
                  1 - la collocazione di ciascuna posizione all'interno dell'organizzazione;
                  2 - il grado di partecipazione attiva all'esercizio della funzione;
                  3 - la responsabilità della direzione di altri dipendenti;
              le funzioni concretamente esercitate o da esercitarsi costituiscono, in ogni caso, l'elemento decisivo di questa riclassificazione, e della conseguente ristrutturazione, in ogni Amministrazione od Ente;
              gli obiettivi sono un riallineamento delle funzioni e dei livelli retributivi, anche in attuazione della legge n.  196/2009 e il superamento delle attuali riclassificazioni, omogeneizzando i regimi delle amministrazioni centrali e di quelle regionali e locali;
              il risparmio possibile dipende dall'entità delle riduzioni, ovvero dal numero dei posti soppressi o riclassificati verso il basso, e dal livello di garanzia dei trattamenti in godimento che si intenderà assicurare agli interessati;
              l'intera operazione andrebbe graduata nel tempo, utilizzando la mobilità,

impegna il Governo

per meglio gestire la mobilità dei dirigenti, a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di prendere le opportune iniziative per l'istituzione di un Albo dei dirigenti e dei quadri delle amministrazioni e degli enti centrali dello Stato.
9/5389/78.    (Testo modificato nel corso della seduta) Aniello Formisano, Paladini, Borghesi.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame contiene alcune disposizioni in materia di autotrasporto, tra le quali si segnalano:
                  a) il comma 80 dell'articolo 12 che modifica il sistema sanzionatorio in materia di contratti relativi all'autotrasporto di cose per conto di terzi, introducendo un sistema di sanzioni amministrative pecuniarie irrogate in occasione dei controlli sulle imprese da parte dell'Agenzia delle entrate e della Guardia di Finanza;
                  b) i commi da 81 a 86 del medesimo articolo 12 che modificano la composizione, le attribuzioni ed il finanziamento del Comitato centrale per l'Albo nazionale degli autotrasportatori;
                  c) il comma 1 dell'articolo 23 che autorizza che autorizza per l'anno 2013, in aggiunta alle risorse già previste a legislazione vigente, la spesa di 400 milioni di euro da destinarsi a misure di sostegno al settore dell'autotrasporto merci;
              nella seduta del 20 giugno 2012 l'Assemblea del CNEL ha approvato il documento «La Spending Review: aspetti di merito e di metodo. Osservazioni e proposte»;
              tale documento è stato predisposto dal CNEL in ottemperanza all'articolo 10 della legge 30 dicembre 1986 n.  936 recante «Norme sul Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro»;
              in particolare, con riferimento al tema dei trasporti, detto documento pone in evidenza come la riforma dell'autotrasporto rappresenti elemento imprescindibile attorno al quale rimodulare le compensazioni pubbliche che dovranno avere carattere temporale definito e sopratutto una tempistica certa;
              ad avviso del CNEL, quindi, gli eventuali sussidi dovranno concentrarsi ed essere erogati soprattutto per una reale forte aggregazione delle imprese, capace di generare imprese realmente competitive a livello nazionale e internazionale e di dare un supporto certo alla logistica e allo sviluppo dell'intermodalità;
              il settore dell'autotrasporto rappresenta un settore fondamentale per lo sviluppo dell'economia italiana che coinvolge ormai più di 120.000 realtà industriali, senza contare l'indotto;
              tale settore oggi risulta fortemente caratterizzato da una serie di dinamiche che lo rendono, da un lato, poco competitivo nel sistema economico europeo per crescita dimensionale, organizzativa e tecnologica e, dall'altro, come noto, particolarmente costoso per le casse dello Stato;
              manca ad oggi, infatti, una strategia complessiva delle politiche nazionali in materia di trasporti, che dia il quadro di riferimento all'interno del quale si possano individuare finalità, priorità e risorse per il rilancio del settore, con precisi impegni dello Stato e dei diversi livelli di articolazione della Repubblica, anche al fine di orientare le strategie dei diversi soggetti imprenditoriali coinvolti,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa normativa tesa a dare seguito alle indicazioni del CNEL citate in premessa, al fine di pervenire quanto prima ad una riforma organica della disciplina del settore dell'autotrasporto e ad una rimodulazione delle risorse sino ad oggi previste per sostenere il settore finalizzata a favorire le aggregazioni e le fusioni tra imprese;
          a valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa normativa tesa a disporre la cancellazione dall'Albo degli autotrasportatori delle imprese fittizie che non dispongono di veicoli e di personale;
          a valutare gli effetti applicativi dell'articolo 23, comma 1, al fine di verificare l'opportunità di adottare ogni iniziativa normativa tesa a destinare parte delle risorse previste da tale disposizione per incentivare il trasporto merci su rotaia.
9/5389/79. Porcino, Cimadoro, Borghesi, Monai, Piffari, Paladini.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame contiene alcune disposizioni in materia di autotrasporto, tra le quali si segnalano:
                  a) il comma 80 dell'articolo 12 che modifica il sistema sanzionatorio in materia di contratti relativi all'autotrasporto di cose per conto di terzi, introducendo un sistema di sanzioni amministrative pecuniarie irrogate in occasione dei controlli sulle imprese da parte dell'Agenzia delle entrate e della Guardia di Finanza;
                  b) i commi da 81 a 86 del medesimo articolo 12 che modificano la composizione, le attribuzioni ed il finanziamento del Comitato centrale per l'Albo nazionale degli autotrasportatori;
                  c) il comma 1 dell'articolo 23 che autorizza che autorizza per l'anno 2013, in aggiunta alle risorse già previste a legislazione vigente, la spesa di 400 milioni di euro da destinarsi a misure di sostegno al settore dell'autotrasporto merci;
              nella seduta del 20 giugno 2012 l'Assemblea del CNEL ha approvato il documento «La Spending Review: aspetti di merito e di metodo. Osservazioni e proposte»;
              tale documento è stato predisposto dal CNEL in ottemperanza all'articolo 10 della legge 30 dicembre 1986 n.  936 recante «Norme sul Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro»;
              in particolare, con riferimento al tema dei trasporti, detto documento pone in evidenza come la riforma dell'autotrasporto rappresenti elemento imprescindibile attorno al quale rimodulare le compensazioni pubbliche che dovranno avere carattere temporale definito e sopratutto una tempistica certa;
              ad avviso del CNEL, quindi, gli eventuali sussidi dovranno concentrarsi ed essere erogati soprattutto per una reale forte aggregazione delle imprese, capace di generare imprese realmente competitive a livello nazionale e internazionale e di dare un supporto certo alla logistica e allo sviluppo dell'intermodalità;
              il settore dell'autotrasporto rappresenta un settore fondamentale per lo sviluppo dell'economia italiana che coinvolge ormai più di 120.000 realtà industriali, senza contare l'indotto;
              tale settore oggi risulta fortemente caratterizzato da una serie di dinamiche che lo rendono, da un lato, poco competitivo nel sistema economico europeo per crescita dimensionale, organizzativa e tecnologica e, dall'altro, come noto, particolarmente costoso per le casse dello Stato;
              manca ad oggi, infatti, una strategia complessiva delle politiche nazionali in materia di trasporti, che dia il quadro di riferimento all'interno del quale si possano individuare finalità, priorità e risorse per il rilancio del settore, con precisi impegni dello Stato e dei diversi livelli di articolazione della Repubblica, anche al fine di orientare le strategie dei diversi soggetti imprenditoriali coinvolti,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di adottare ogni iniziativa normativa tesa a dare seguito alle indicazioni del CNEL citate in premessa, al fine di pervenire quanto prima ad una riforma organica della disciplina del settore dell'autotrasporto e ad una rimodulazione delle risorse sino ad oggi previste per sostenere il settore finalizzata a favorire le aggregazioni e le fusioni tra imprese;
          a valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa normativa tesa a disporre la cancellazione dall'Albo degli autotrasportatori delle imprese fittizie che non dispongono di veicoli e di personale;
          a valutare gli effetti applicativi dell'articolo 23, comma 1, al fine di verificare l'opportunità di adottare ogni iniziativa normativa tesa a destinare parte delle risorse previste da tale disposizione per incentivare il trasporto merci su rotaia.
9/5389/79.    (Testo modificato nel corso della seduta) Porcino, Cimadoro, Borghesi, Monai, Piffari, Paladini.


      La Camera,
          premesso che,
              il SIPRI Yearbook 2012, riguardo all'Italia, stima una spesa militare nel 2011 di circa 34,5 miliardi di dollari affermando che «la spesa militare dell'Italia è meno che trasparente, nel senso che è distribuita tra i budget di diverse amministrazioni statali». Inoltre, nel rapporto si legge che «le spese per le missioni militari all'estero sono approvate dal Parlamento italiano in un bilancio separato da quello del Ministero della Difesa. Oltre 1 miliardo di euro di forniture militari addizionali e per ricerca e sviluppo sono ogni anno finanziate dal Ministero dello Sviluppo Economico;
              l'Italia partecipa al programma pluriennale di A/R n.  SMD 02/2009, relativo all'acquisizione del sistema d'arma Joint Strike Fighter e realizzazione dell'associata linea FACO/MROU;
              dall'ultimo rapporto della Corte dei conti statunitense (il Gao) sul programma F-35 Joint Strike Fighter, reso pubblico lo scorso 20 marzo emerge che i nuovi cacciabombardieri sono gravemente difettosi e richiederanno modifiche progettuali che ne faranno lievitare ulteriormente i costi;
              l'Italia partecipa al programma per acquistare 90 unità ad un costo attuale che si aggira intorno ai 10 miliardi di euro;
              nel documento si legge che «lo sviluppo dei sistemi che garantiscono la capacità di combattimento del Joint Strike Fighter rimane in ritardo e a rischio: ad oggi solo il 4 per cento dei requisiti sono stati verificati (...). I caschi dei piloti con i display integrati si sono rivelati il problema più rischioso (...). Altri problemi ci sono con i radar, con il processore integrato, con gli equipaggiamenti di comunicazione e navigazione e con le capacità di guerra elettronica» (...). «Lo scorso ottobre i collaudatori hanno denunciato problemi anche con il sistema di visione notturna e con la manovrabilità del velivolo e in generale una scarsa affidabilità» «Lo sviluppo del software di bordo, il più complesso mai realizzato, sta prendendo più tempo del previsto e pone rischi tecnici significativi» (...). «La variante del velivolo per le portaerei non si è dimostrata adatta all'imbarco per problemi con l'uncino di coda, richiedendo una riprogettazione» (... ). «Vanno ancora fatti i collaudi sul volo a bassa quota, sul funzionamento dei sistemi d'arma e di attacco in picchiata e potrebbero riservare altre sorprese»;
              risulta, altresì, che il costo complessivo del programma sia già raddoppiato dal 2001 ad oggi per apportare le modifiche necessarie e a quanto pare non ancora sufficienti;
              sempre nel rapporto si legge che «il numero di modifiche al programma rimarrà molto elevato fino al 2019 (...). Con il passaggio alla fase di sviluppo dei software più complessi e delle capacità avanzate, il Jsf presenterà problemi costosi. Con la maggior parte dei collaudi di volo ancora da fare, il programma subirà ancora molte revisioni progettuali e continue modifiche del processo produttivo (...) con prevedibile ulteriore crescita dei costi»;
              tenuto conto che il vero obiettivo del provvedimento in esame è una revisione della spesa pubblica con tagli e una efficiente razionalizzazione delle risorse impiegate è opportuno, nonché necessario, tener presente la possibilità di ridurre le spese per l'acquisto di sistemi d'arma (30 miliardi complessivi di spesa nel 2012), valutare la possibilità di ottenere un risparmio di oltre 10 miliardi previsti nei prossimi anni per i 90 cacciabombardieri F-35 Jsf e di ben 1,4 miliardi previsti per le missioni all'estero,

impegna il Governo:

          nel breve e medio termine a valutare l'opportunità, a decorrere dall'esercizio finanziario per l'anno 2015 e fino al 2026, di ridurre gli importi da erogare annualmente per il programma F-35 Jsf del 50 per cento e a versare risparmi di spesa così realizzati, valutati in 891,724 milioni di euro per l'anno 2012, in 997,931 milioni di euro per l'anno 2013, in 969,655 milioni di euro l'anno 2014 e in 4.384,138 milioni di euro per il periodo 2015-2026, a favore di interventi per la messa in sicurezza dell'edilizia sanitaria pubblica e dell'edilizia scolastica;
          a valutare la possibilità di rivedere in toto la decisione di partecipare al programma per l'acquisizione degli F-35 Jsf anche alla luce dei recenti sviluppi a livello internazionale e delle molteplici e notevoli criticità e problematiche che si riscontrano e per le quali si prevedono in futuro costi molto più elevati di quanto previsto inizialmente al fine di recuperare risorse da impegnare in settori di maggiore urgenza e necessità.
9/5389/80. Di Stanislao, Paladini.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge in esame prevede la conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini;
              nel corso dell'esame parlamentare il comma 15 dell'articolo 1 è stato sostituito dal seguente: «Con riferimento alle convenzioni di cui all'articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n.  488, alle quali, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sia possibile ricorrere, le quantità ovvero gli importi massimi complessivi ivi previsti sono incrementati in misura pari alla quantità ovvero all'importo originario, a decorrere dalla data di esaurimento della convenzione stessa, ove questa intervenga prima del 31 dicembre 2012 e fatta salva la facoltà di recesso dell'aggiudicatario da esercitarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto»;
              è necessario chiarire l'ambito applicativo di tale disposizione, anche al fine di evitare l'insorgenza di possibili contenziosi e garantire l'immediata efficacia della nuova normativa,

impegna il Governo

a fornire, attraverso una circolare interpretativa ovvero una norma d'interpretazione, ogni più utile ed opportuno chiarimento sull'ambito di applicazione del comma 15 dell'articolo 1 del presente decreto-legge, al fine di stabilire, inequivocabilmente, che la disciplina del suddetto comma è applicabile anche alle convenzioni non ancora scadute, ove la scadenza intervenga entro il 31 dicembre 2012, in relazione alle quali le imprese abbiano già accettato, ai sensi dell'articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n.  488, ordinativi di fornitura deliberati dalle amministrazioni dello Stato sino a concorrenza della quantità massima complessiva stabilita dalla convenzione.
9/5389/81. Formichella.


      La Camera,
          premesso che:
              il disegno di legge in esame prevede la conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini;
              nel corso dell'esame parlamentare il comma 15 dell'articolo 1 è stato sostituito dal seguente: «Con riferimento alle convenzioni di cui all'articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n.  488, alle quali, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sia possibile ricorrere, le quantità ovvero gli importi massimi complessivi ivi previsti sono incrementati in misura pari alla quantità ovvero all'importo originario, a decorrere dalla data di esaurimento della convenzione stessa, ove questa intervenga prima del 31 dicembre 2012 e fatta salva la facoltà di recesso dell'aggiudicatario da esercitarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto»;
              è necessario chiarire l'ambito applicativo di tale disposizione, anche al fine di evitare l'insorgenza di possibili contenziosi e garantire l'immediata efficacia della nuova normativa,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di fornire, attraverso una circolare interpretativa ovvero una norma d'interpretazione, ogni più utile ed opportuno chiarimento sull'ambito di applicazione del comma 15 dell'articolo 1 del presente decreto-legge, al fine di stabilire, inequivocabilmente, che la disciplina del suddetto comma è applicabile anche alle convenzioni non ancora scadute, ove la scadenza intervenga entro il 31 dicembre 2012, in relazione alle quali le imprese abbiano già accettato, ai sensi dell'articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n.  488, ordinativi di fornitura deliberati dalle amministrazioni dello Stato sino a concorrenza della quantità massima complessiva stabilita dalla convenzione.
9/5389/81.    (Testo modificato nel corso della seduta) Formichella.


      La Camera,
          premesso che:
              con decreto ministeriale n.  5140 del 6 novembre 2008 è stato bandito un concorso pubblico, per titoli ed esami, a 814 posti per l'accesso alla qualifica di vigile del fuoco del ruolo del Corpo nazionale;
              nel Bollettino ufficiale del personale del Ministero dell'interno, supplemento straordinario n.  1/25 del 16 luglio 2010, è stata pubblicata la graduatoria finale del concorso pubblico, registrato all'Ufficio centrale del bilancio presso il Ministero dell'interno in data 14 luglio 2010 con il n.  7458;
              Come riferito dal Ministro stesso l'articolo 97 della Costituzione recita «agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvi i casi stabiliti dalla legge»;
              tale graduatoria rappresenta, ad oggi, l'unico «serbatoio» utile cui attingere per l'assunzione di vigili del fuoco nei prossimi anni come riferito in parlamento dal Ministro Cancellieri;
              dalla data di pubblicazione della graduatoria del concorso sono stati già avviati due corsi di formazione professionale, il 70o e il 71o corso per allievi vigili del fuoco, che hanno complessivamente coinvolto, all'incirca, 1.600 individui;
              il 72o corso che partirà entro il 2012 coinvolgerà 474 unità per un totale di 2074 unità all'incirca dati dalla sommatoria del 70o + 71o+ 72o;
              fino alla data del 7 febbraio 2011 sono stati chiamati a visita circa 2.900 soggetti, di cui 2.700 circa sono risultati idonei;
              rimangono in attesa di chiamata circa 626 soggetti risultati idonei a quella data;
              è ormai trascorso più di un anno dalla visita medica di idoneità e permane una forte carenza di organico per il Corpo nazionale in vista anche degli imminenti bandi di concorso sui passaggi di qualifica a capo squadra e a capo reparto che aumenteranno notevolmente la carenza di vigili del fuoco,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di programmare ed avviare nel 2013 il successivo 73o corso di formazione professionale, attingendo dalla graduatoria del concorso a 814 posti, a tutti coloro che sono rimasti tra gli idonei al 7 febbraio 2011, onde evitare che decorra ulteriore tempo dalla verifica di idoneità e ottimizzando, così, le risorse già impiegate per l'espletamento del concorso e delle stesse visite di idoneità, alla luce della manifesta carenza di organico in cui versa il Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, considerando che queste 626 unità circa sono idonee ed è trascorso più di un anno dalla visita di idoneità.
9/5389/82. Naro.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 6 comma 19 del provvedimento in esame dispone che riguardo le convenzioni, di cui all'articolo 1, comma 5-bis, lettera f) del decreto-legge 5 agosto 2010, n.  125, convertito con modificazioni dalla legge 1o ottobre 2010, n.  163, stipulate con i soggetti aggiudicatari dei compendi aziendali, si intendono approvate e producono effetti a far data dalla sottoscrizione mentre le eventuali successive modificazione o integrazioni vengono approvate con decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le regioni interessate;
              la norma così introdotta intervenendo sulle concessioni degli oneri di servizio per i collegamenti via mare, riguarda le convenzioni in capo alla vecchia società di navigazione Tirrenia Spa, determinando di fatto una sanatoria di quelle stipulate con la vecchia società nelle date antecedenti alla seconda privatizzazione e, inoltre, limitando fortemente il coinvolgimento delle Regioni interessate, alle quali viene solamente assegnata una funzione consultiva nel processo di riscrittura delle convenzioni;
              alla luce di queste nuove disposizioni, infatti, alle regioni e in particolare alla Sardegna, interessata per larga parte al processo di privatizzazione di Tirrenia, verrebbe meno la possibilità di controllare sulla gestione finanziaria degli oneri di servizio assegnati dallo Stato alla nuova compagnia di navigazione titolare del servizio di trasporto marittimo e la partecipazione al processo di organizzazione delle rotte e di fissazione delle tariffe, arrecando conseguentemente un maggior danno ai cittadini già penalizzati da una privatizzazione che ad oggi si è rilevata poco vantaggiosa e per niente virtuosa, in particolare per i cittadini sardi,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi dell'articolo 6, comma 19, al fine di verificare l'opportunità di assegnare un ruolo più incisivo delle Regioni nel processo di modifica o integrazione delle convenzioni di cui all'articolo 1, comma 5-bis, lettera f) del decreto-legge 5 agosto 2010, n.  125, prevedendo l'introduzione nei futuri provvedimenti legislativi del parere vincolante rispetto al consultivo stabilito dal provvedimento in esame.
9/5389/83. Mereu.


      La Camera,
          premesso che:
              la riorganizzazione del sistema di acquisto di beni e servizi richiede anche di affrontare il tema di stringente attualità dell'emersione dell'ingente indebitamento commerciale delle pubbliche amministrazioni (stimato in circa 5 punti di Pil) che è stato reso possibile anche dal precedente regime di contabilizzazione di tali poste di bilancio in sede UE. Si tratta di un debito in gran parte attribuibile ai soggetti regionali e locali;
              occorre in tale prospettiva integrare l'ottica delle misure previste nei decreti del Ministero dello Sviluppo Economico, attenta prevalentemente ai soggetti creditori. Con i creditori il tema è stato affrontato nei recenti documenti di governo (mirata a garantire liquidità alle imprese per promuovere sviluppo) introducendo una specifica attenzione ai soggetti debitori al fine di evitare che, risolta la situazione in essere, riparta un nuovo processo di «sommersione» di quote rilevanti della spesa;
              una proposta di organica soluzione del problema, con rilevanti effetti anche in termini di spesa potrebbe articolarsi sulle seguenti azioni:
                  recepimento immediato della direttiva UE sui pagamenti dei debiti commerciali e, a seguito della modifica delle regole di contabilizzazione, inserimento dei crediti verso la PA scaduti nel debito consolidato delle pubbliche amministrazioni;
                  previsione che le procedure di certificazione determinino non solo l'ammontare dei crediti in capo all'azienda, ma anche l'ammontare complessivo dei debiti in capo a ciascuna pubblica amministrazione, individuando in modo puntuale il momento di origine della posizione debitoria e le cause alla base del suo insorgere e procedendo a una ricostruzione analitica delle motivazioni della «sommersione» (eccedenza dei costi e/o dei fabbisogni, insufficienza dei trasferimenti);
                  previsione di sanzioni a carico degli amministratori e/o dei funzionari per l'infedele (incompleta) certificazione, per le conseguenze che essa avrebbe sulla ricostruzione dei reali equilibri di bilancio;
                  individuazione, utilizzando gli specifici poteri del commissario, dei parametri idonei a ricostruire i costi e i fabbisogni standard di ciascun ente per le principali voci di spesa;
                  erogazione dei pagamenti ricalcolando l'ammontare complessivo del debito in relazione ai parametri di costi/fabbisogni standard e, in ogni caso, dando priorità ai pagamenti dei crediti per i quali sia stata concordata una riduzione dell'ammontare complessivo sulla base di tali parametri, previsione che la seconda quota dei pagamenti sia direttamente a carico delle amministrazioni debitrici sulla base degli accertamenti compiuti,

impegna il Governo

a prendere le opportune iniziative al fine di realizzare quanto proposto in premessa.
9/5389/84. Cimadoro, Borghesi, Favia, Mura, Paladini.


      La Camera,
          premesso che:
              la riorganizzazione del sistema di acquisto di beni e servizi richiede anche di affrontare il tema di stringente attualità dell'emersione dell'ingente indebitamento commerciale delle pubbliche amministrazioni (stimato in circa 5 punti di Pil) che è stato reso possibile anche dal precedente regime di contabilizzazione di tali poste di bilancio in sede UE. Si tratta di un debito in gran parte attribuibile ai soggetti regionali e locali;
              occorre in tale prospettiva integrare l'ottica delle misure previste nei decreti del Ministero dello Sviluppo Economico, attenta prevalentemente ai soggetti creditori. Con i creditori il tema è stato affrontato nei recenti documenti di governo (mirata a garantire liquidità alle imprese per promuovere sviluppo) introducendo una specifica attenzione ai soggetti debitori al fine di evitare che, risolta la situazione in essere, riparta un nuovo processo di «sommersione» di quote rilevanti della spesa;
              una proposta di organica soluzione del problema, con rilevanti effetti anche in termini di spesa potrebbe articolarsi sulle seguenti azioni:
                  recepimento immediato della direttiva UE sui pagamenti dei debiti commerciali e, a seguito della modifica delle regole di contabilizzazione, inserimento dei crediti verso la PA scaduti nel debito consolidato delle pubbliche amministrazioni;
                  previsione che le procedure di certificazione determinino non solo l'ammontare dei crediti in capo all'azienda, ma anche l'ammontare complessivo dei debiti in capo a ciascuna pubblica amministrazione, individuando in modo puntuale il momento di origine della posizione debitoria e le cause alla base del suo insorgere e procedendo a una ricostruzione analitica delle motivazioni della «sommersione» (eccedenza dei costi e/o dei fabbisogni, insufficienza dei trasferimenti);
                  previsione di sanzioni a carico degli amministratori e/o dei funzionari per l'infedele (incompleta) certificazione, per le conseguenze che essa avrebbe sulla ricostruzione dei reali equilibri di bilancio;
                  individuazione, utilizzando gli specifici poteri del commissario, dei parametri idonei a ricostruire i costi e i fabbisogni standard di ciascun ente per le principali voci di spesa;
                  erogazione dei pagamenti ricalcolando l'ammontare complessivo del debito in relazione ai parametri di costi/fabbisogni standard e, in ogni caso, dando priorità ai pagamenti dei crediti per i quali sia stata concordata una riduzione dell'ammontare complessivo sulla base di tali parametri, previsione che la seconda quota dei pagamenti sia direttamente a carico delle amministrazioni debitrici sulla base degli accertamenti compiuti,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di prendere le opportune iniziative al fine di realizzare quanto proposto in premessa.
9/5389/84.    (Testo modificato nel corso della seduta) Cimadoro, Borghesi, Favia, Mura, Paladini.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento d'urgenza al nostro esame, agli articoli dal 23-sexies a 23-duodecies fa riferimento, al rafforzamento del patrimonio del Monte dei Paschi di Siena, al quale partecipa anche la Fondazione Monte Paschi;
              un insieme di indicatori si sono andati cumulando sull'operato delle fondazioni di origine bancaria, non ultimo un recente studio di Mediobanca che ha cercato di rendere un po’ più trasparente il mondo delle 88 fondazioni bancarie associate all'Acri con una analisi sistematica del loro modello;
              secondo questo studio, le fondazioni sono tuttora le principali azioniste delle banche conferitarie, nonostante la legge prevedesse da tempo la loro graduale fuoriuscita dal capitale delle stesse e la incentivasse fiscalmente. Questa concentrazione ha fatto precipitare i rendimenti degli investimenti delle fondazioni rispetto a indici rappresentativi di portafogli ben diversificati sovraesponendole ai rischi che si sono poi materializzati negli ultimi due anni;
              oggi le fondazioni hanno visto crollare le loro entrate – fonte unica della loro attività – dato che le banche non sono più in condizione di distribuire dividendi; allo stesso tempo hanno visto impoverire il loro patrimonio, la cui conservazione è l'unico presidio a garanzia della sostenibilità delle loro attività;
              indicativo il caso della Fondazione Monte Paschi, che si è indebitata per partecipare all'aumento di capitale Mps, mentre la banca conferitaria dovrà nei prossimi anni destinare 350 milioni di utili a ripagare i Tremonti bonds;
              la fondazione Banco di Sicilia ha perso quasi 1/3 del suo valore proprio a causa della concentrazione in Unicredit della sua dotazione;
              i limiti gestionali delle Fondazioni erano visibili anche prima della crisi; la crisi li ha solo portati alla luce e magnificati. Per molte fondazioni bancarie i costi di struttura superavano abbondantemente la metà del valore delle erogazioni; in alcune eccedeva l'80 per cento (ad esempio la Fondazione Cassa di Risparmio di Calabria e Lucania: 87 per cento), Fondazione Banca Nazionale delle Comunicazioni (91 per cento), Fondazione Cassa di Risparmio di Fano (101 per cento), Cassa di Risparmio di Puglia (120 per cento) e, al top dell'inefficienza, la Fondazione Banco di Sicilia con spese totali di amministrazione e funzionamento pari al 182 per cento delle erogazioni;
              per raffronto, si noti che nella Ford Foundation l'incidenza dei costi di gestione sulle erogazioni è dell'8 per cento nel 2011 e solo del 5.6 per cento nel 2010;
              una delle ragioni di queste inefficienze risiede nella dispersione degli impieghi in una ampia gamma di progetti in aree diverse, nonostante la legge chieda alle fondazioni di circoscrivere i loro impieghi in tre aree al massimo;
              in assenza di una mission ben definita, le fondazioni hanno visto ridursi la produttività del loro personale del 30 per cento in dieci anni, proprio mentre i costi crescevano 7 volte di più delle entrate. Le fondazioni sostengono altissimi costi fissi per il compenso dei loro pletorici organi statutari. Tanto pletorici da portare un membro di questi organi ad amministrare in media 150 milioni, dieci volte meno del capitale amministrato da un membro del board nelle grandi fondazioni non profit statunitensi;
              essi difettano pure delle abilità necessarie per la funzione, mancando della preparazione economica e finanziaria indispensabile per la posizione che occupano. Solo l'1 per cento dei membri dei Cda ha competenze di finanza. Le cariche vengono, in effetti, assegnate come presidio di gruppi di interesse con un quarto delle poltrone ai vertici delle fondazioni occupato da politici. Queste nomine vengono puntualmente ripagate da scelte di finanziamento favorevoli alle constituency di riferimento (più medici nei board, maggiori gli investimenti in sanità, più i professori negli organi statutari, maggiore la quota di investimenti nelle università, e così via);
              in conseguenza della rischiosa strategia di investimento perseguita – hanno osservato studiosi come Tito Boeri e Luigi Guiso – della costosa struttura di governance e della scelta di non concentrare gli interventi su alcune priorità, oggi le fondazioni stanno erogando patrimonio mettendo a serio rischio la loro stessa sopravvivenza. Le sei fondazioni più grandi, quelle che raccolgono i due terzi del patrimonio totale, hanno addirittura visto dimezzarsi negli ultimi cinque anni il valore della loro dotazione;
              come documentano i calcoli e le simulazioni fatte nel rapporto Mediobanca, il modello gestionale basato su un rapporto simbiotico con la banca conferitaria è insostenibile per la maggior parte delle principali fondazioni bancarie, condannandole all'estinzione,

impegna il Governo:

          ad adottare iniziative normative volte:
              a) a richiamare le fondazioni ad una maggiore diversificazione dei loro impieghi, con una forte diluizione delle partecipazioni spesso cospicue che ancora intrattengono nel capitale delle banche conferitarie;
              b) a valutare, data la situazione di difficoltà delle finanze pubbliche, di potere utilizzare le risorse delle dotazioni che ad esse fanno capo per abbattere lo stock del debito pubblico.
9/5389/85. Borghesi, Barbato, Messina, Mura, Paladini.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca un ampio numero di interventi la cui comune finalità è il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica;
              il maxiemendamento del Governo, nel recepire una proposta emendativa presentata in commissione Bilancio al Senato dai senatori Vaccari e Massimo Garavaglia del Gruppo della Lega Nord, accolta nel corso della seduta notturna di giovedì 26 luglio (con il parere favorevole del relatore e del Governo) e, comunque, ridepositata in Aula, questa volta a firma senatore Giuseppe Leoni, che attualmente ricopre l'ufficio di Commissario straordinario dell'ente, all'articolo 7, ha inserito un comma aggiuntivo, il 26-bis, con il quale è stata disposta un'ulteriore proroga del Commissario straordinario dell'Aero Club d'Italia;
              la questione relativa alla gestione commissariale dell'AeCI (ente pubblico sottoposto alla vigilanza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, del Ministero della difesa, del Ministero dell'economia e delle finanze, del Ministero per i beni e le attività culturali e del Ministero dell'interno) e all'inopportuno e grave – ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo – protrarsi della stessa è stata oggetto di numerosi atti di sindacato ispettivo, presentati da parlamentari dei diversi schieramenti politici, con i quali si segnalavano, altresì, quelli che, ad avviso del presentatore dell'ordine del giorno costituiscono atti illegittimi compiuti reiteratamente dal senatore Leoni nel corso della presidenza e del commissariamento;
              la nuova proroga è stata motivata con la necessità di adeguare lo statuto ai principi in materia sportiva previsti dal decreto legislativo 23 luglio 1999, n.  242 del 1999 nonché ai principi desumibili dallo Statuto del CONI e dalle determinazioni assunte dal CONI medesimo;
              sarebbe estremamente grave ed inaccettabile se la ratio effettiva di tale previsione fosse quella di ampliare l'ambito oggettivo entro cui la riorganizzazione dell'ente deve essere effettuata, al fine di porre, per così dire, normativamente rimedio a quanto evidenziato anche dal Consiglio di Stato, sezione consultiva, con ordinanza definitiva del 19 aprile 2012;
              l'organo di giustizia amministrativa, infatti, nell'esprimere parere negativo sulla bozza di statuto proposta, ha rilevato, tra l'altro, che «il provvedimento di nomina del commissario straordinario non sembra perciò lasciare alcuno spazio all'attivazione di ulteriori iniziative di carattere normativo e strutturale più profonde, concernenti la stessa definizione della natura dell'ente, il quale, nel nuovo progetto, assumerebbe, accanto all'originaria caratterizzazione “sportiva” anche un carattere dichiaratamente “culturale” » e che «anche le ulteriori modifiche statutarie proposte, strettamente riferite al funzionamento e all'organizzazione dell'ente non risultano giustificate dalle esigenze proprie della gestione commissariale. Pur prescindendo dalle possibili riserve sul merito delle opzioni compiute, resta comunque ferma l'obiezione di fondo secondo cui lo schema interviene in ambiti non considerati dal decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n.  188»;
              il Consiglio di Stato ha, inoltre, sottolineato che l'esclusione delle federazioni sportive aeronautiche dall'organizzazione dell'ente, come previsto nella proposta di statuto, ha formato oggetto di valutazione favorevole da parte del CONI. Tale valutazione, pur essendo «certamente significativa perché basata sull'asserito mancato riconoscimento da parte del CONI ai fini sportivi delle medesime federazioni», non è, tuttavia, «sufficiente per giustificare una modifica normativa di così forte impatto»;
              non si comprendono le ragioni per cui si è ritenuto necessario inserire la disposizione di cui al citato articolo 7, comma 26-bis, in un decreto-legge che prevede interventi finalizzati esclusivamente a realizzare consistenti ed effettivi risparmi di spesa: le principali misure in esso contenute, infatti, concernono il miglioramento dell'efficienza della spesa per beni e servizio delle amministrazioni pubbliche, il ridimensionamento degli organici di alcune categorie del pubblico impiego, un miglior utilizzo del patrimonio pubblico, interventi in materia di società pubbliche, riduzioni alle spese per le amministrazioni centrali e gli enti territoriali, riduzione del numero delle province nonché il contenimento nel compatto sanitario e della spesa farmaceutica;
              a tal proposito, il Comitato per la Legislazione, nel richiamare quanto ribadito dalla Corte costituzionale nella recente sentenza n.  22 del 2012, ha rilevato che, sotto il profilo dell'omogeneità del contenuto, non appare riconducibile all'ambito materiale oggetto del provvedimento, né alla partizione del testo nella quale sono inseriti, la disposizione di cui al comma 26-bis dell'articolo 7 (rubricato «Riduzione della spesa della Presidenza del Consiglio dei ministri e dei Ministeri») e contenuto nel Titolo II (Riduzioni di spesa delle amministrazioni statali e degli enti non territoriali), che dispone, appunto, la proroga del Commissario straordinario dell'Aero Club d'Italia»;
              al di là di ogni giudizio di merito sugli effetti negativi di una gestione che, per molti aspetti, ad avviso del presentatore del presente ordine del giorno è stata fallimentare – come evidenziato anche nei numerosi esposti con cui si denunciavano sprechi di denaro pubblico a fini privati – è alquanto inopportuno che un membro del Parlamento eserciti funzioni di presidenza o di amministrazione in enti controllati direttamente da Ministeri, per cui appare necessario, oltre che doveroso, attivarsi sia al fine di consentire che, al più presto, i rappresentanti di ciascuna delle specialità degli sport aeronautici, attraverso l'espressione del diritto di voto in assemblea, possano partecipare alla designazione del presidente dell'Aero Club d'Italia, dei membri del consiglio federale, del presidente della commissione centrale sportiva aeronautica, dei membri del collegio dei probiviri, nonché del collegio dei revisori dei conti, e sia al fine di adottare iniziative, anche normative, volte a garantire un regime più stringente in materia di incompatibilità parlamentari, soprattutto al fine di evitare che membri del Parlamento possano ricoprire cariche o uffici in enti pubblici o aziende dipendenti dai Ministeri o su cui i Ministeri stessi debbano o possano esercitare vigilanza o controllo,

impegna il Governo

ad assicurare che in tempi celeri, e, comunque, al massimo entro tre mesi dall'entrata in vigore del presente provvedimento, sia effettivamente ripristinata l'ordinarietà nella gestione dell'Aero Club d'Italia, garantendo, nello specifico, che tale ente pubblico possa finalmente essere nuovamente governato da soggetti eletti secondo i meccanismi di rappresentatività e di trasparenza specificamente previsti.
9/5389/86. Raisi, Bossa, Rosato, Narducci, Martella, Proietti Cosimi, Toto.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca un ampio numero di interventi la cui comune finalità è il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica;
              il maxiemendamento del Governo, nel recepire una proposta emendativa presentata in commissione Bilancio al Senato dai senatori Vaccari e Massimo Garavaglia del Gruppo della Lega Nord, accolta nel corso della seduta notturna di giovedì 26 luglio (con il parere favorevole del relatore e del Governo) e, comunque, ridepositata in Aula, questa volta a firma senatore Giuseppe Leoni, che attualmente ricopre l'ufficio di Commissario straordinario dell'ente, all'articolo 7, ha inserito un comma aggiuntivo, il 26-bis, con il quale è stata disposta un'ulteriore proroga del Commissario straordinario dell'Aero Club d'Italia;
              la questione relativa alla gestione commissariale dell'AeCI (ente pubblico sottoposto alla vigilanza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, del Ministero della difesa, del Ministero dell'economia e delle finanze, del Ministero per i beni e le attività culturali e del Ministero dell'interno) e all'inopportuno e grave – ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo – protrarsi della stessa è stata oggetto di numerosi atti di sindacato ispettivo, presentati da parlamentari dei diversi schieramenti politici, con i quali si segnalavano, altresì, quelli che, ad avviso del presentatore dell'ordine del giorno costituiscono atti illegittimi compiuti reiteratamente dal senatore Leoni nel corso della presidenza e del commissariamento;
              la nuova proroga è stata motivata con la necessità di adeguare lo statuto ai principi in materia sportiva previsti dal decreto legislativo 23 luglio 1999, n.  242 del 1999 nonché ai principi desumibili dallo Statuto del CONI e dalle determinazioni assunte dal CONI medesimo;
              sarebbe estremamente grave ed inaccettabile se la ratio effettiva di tale previsione fosse quella di ampliare l'ambito oggettivo entro cui la riorganizzazione dell'ente deve essere effettuata, al fine di porre, per così dire, normativamente rimedio a quanto evidenziato anche dal Consiglio di Stato, sezione consultiva, con ordinanza definitiva del 19 aprile 2012;
              l'organo di giustizia amministrativa, infatti, nell'esprimere parere negativo sulla bozza di statuto proposta, ha rilevato, tra l'altro, che «il provvedimento di nomina del commissario straordinario non sembra perciò lasciare alcuno spazio all'attivazione di ulteriori iniziative di carattere normativo e strutturale più profonde, concernenti la stessa definizione della natura dell'ente, il quale, nel nuovo progetto, assumerebbe, accanto all'originaria caratterizzazione “sportiva” anche un carattere dichiaratamente “culturale” » e che «anche le ulteriori modifiche statutarie proposte, strettamente riferite al funzionamento e all'organizzazione dell'ente non risultano giustificate dalle esigenze proprie della gestione commissariale. Pur prescindendo dalle possibili riserve sul merito delle opzioni compiute, resta comunque ferma l'obiezione di fondo secondo cui lo schema interviene in ambiti non considerati dal decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n.  188»;
              il Consiglio di Stato ha, inoltre, sottolineato che l'esclusione delle federazioni sportive aeronautiche dall'organizzazione dell'ente, come previsto nella proposta di statuto, ha formato oggetto di valutazione favorevole da parte del CONI. Tale valutazione, pur essendo «certamente significativa perché basata sull'asserito mancato riconoscimento da parte del CONI ai fini sportivi delle medesime federazioni», non è, tuttavia, «sufficiente per giustificare una modifica normativa di così forte impatto»;
              non si comprendono le ragioni per cui si è ritenuto necessario inserire la disposizione di cui al citato articolo 7, comma 26-bis, in un decreto-legge che prevede interventi finalizzati esclusivamente a realizzare consistenti ed effettivi risparmi di spesa: le principali misure in esso contenute, infatti, concernono il miglioramento dell'efficienza della spesa per beni e servizio delle amministrazioni pubbliche, il ridimensionamento degli organici di alcune categorie del pubblico impiego, un miglior utilizzo del patrimonio pubblico, interventi in materia di società pubbliche, riduzioni alle spese per le amministrazioni centrali e gli enti territoriali, riduzione del numero delle province nonché il contenimento nel compatto sanitario e della spesa farmaceutica;
              a tal proposito, il Comitato per la Legislazione, nel richiamare quanto ribadito dalla Corte costituzionale nella recente sentenza n.  22 del 2012, ha rilevato che, sotto il profilo dell'omogeneità del contenuto, non appare riconducibile all'ambito materiale oggetto del provvedimento, né alla partizione del testo nella quale sono inseriti, la disposizione di cui al comma 26-bis dell'articolo 7 (rubricato «Riduzione della spesa della Presidenza del Consiglio dei ministri e dei Ministeri») e contenuto nel Titolo II (Riduzioni di spesa delle amministrazioni statali e degli enti non territoriali), che dispone, appunto, la proroga del Commissario straordinario dell'Aero Club d'Italia»;
              al di là di ogni giudizio di merito sugli effetti negativi di una gestione che, per molti aspetti, ad avviso del presentatore del presente ordine del giorno è stata fallimentare – come evidenziato anche nei numerosi esposti con cui si denunciavano sprechi di denaro pubblico a fini privati – è alquanto inopportuno che un membro del Parlamento eserciti funzioni di presidenza o di amministrazione in enti controllati direttamente da Ministeri, per cui appare necessario, oltre che doveroso, attivarsi sia al fine di consentire che, al più presto, i rappresentanti di ciascuna delle specialità degli sport aeronautici, attraverso l'espressione del diritto di voto in assemblea, possano partecipare alla designazione del presidente dell'Aero Club d'Italia, dei membri del consiglio federale, del presidente della commissione centrale sportiva aeronautica, dei membri del collegio dei probiviri, nonché del collegio dei revisori dei conti, e sia al fine di adottare iniziative, anche normative, volte a garantire un regime più stringente in materia di incompatibilità parlamentari, soprattutto al fine di evitare che membri del Parlamento possano ricoprire cariche o uffici in enti pubblici o aziende dipendenti dai Ministeri o su cui i Ministeri stessi debbano o possano esercitare vigilanza o controllo,

impegna il Governo

ad assicurare che in tempi certi, sia effettivamente ripristinata l'ordinarietà nella gestione dell'Aero Club d'Italia, garantendo, nello specifico, che tale ente pubblico possa finalmente essere nuovamente governato da soggetti eletti secondo i meccanismi di rappresentatività e di trasparenza specificamente previsti.
9/5389/86.    (Testo modificato nel corso della seduta) Raisi, Bossa, Rosato, Narducci, Martella, Proietti Cosimi, Toto.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca una serie di disposizioni per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, rese particolarmente urgenti dall'attuale congiuntura economica;
              nel complessivo processo di revisione della spesa pubblica, numerose sono gli interventi che recano un notevole impatto anche nel delicato settore della Difesa;
              le principali misure previste al riguardo sono sostanzialmente finalizzate a realizzare consistenti risparmi mediante la riduzione delle spese per acquisto di beni e servizi, la diminuzione dei contributi erogati all'Agenzia industrie difesa, la riduzione delle dotazioni organiche e degli oneri per la professionalizzazione delle Forze armate, per il personale, per la cosiddetta «mini-naja» nonché il ridimensionamento della dotazione di alcuni fondi, tra cui quello relativo al finanziamento delle missioni di pace per il 2012;
              tali provvedimenti rischiano, per molti aspetti, di compromettere seriamente l'operatività, l'efficienza e la professionalità delle nostre Forze Armate e di polizia;
              le disposizioni che, nell'attuale contesto socio-economico, destano maggiore preoccupazione sono, quelle di cui all'articolo 14, commi 1 e 2, che, in materia di assunzioni da parte delle pubbliche amministrazioni e di mobilità, prorogano di un anno i limiti rispettivamente stabiliti con riferimento al 2013, al 2014 e al 2015 e estendendo tali limiti ai corpi di polizia e ai vigili del fuoco;
              il comma 2, in particolare, modifica l'articolo 66, comma 9-bis del decreto-legge n.  112/2008 al fine di prevedere, per i Corpi di polizia e dei Vigili del fuoco, che: – per il 2010 e 2011 (e non più «a decorrere dal 2010») le facoltà assunzionali siano limitate nell'ambito di un contingente di personale complessivamente corrispondente a una spesa pari a quella del personale cessato dal servizio nel corso dell'anno precedente e per un numero di unità non superiore a quelle cessate dal servizio nel corso dell'anno precedente; – il ricambio del turn-over sia limitato al 20 per cento nel triennio 2012-2014, al 50 per cento nel 2015 e al 100 per cento solo a decorrere dal 2016;
              tale misura, come ha evidenziato, altresì, la IV Commissione (Difesa) nel richiesto parere, determina un effetto negativo sia, in generale, sulla funzionalità delle Forze di polizia, compresa l'Arma dei carabinieri, sia sull'effettiva «possibilità per le amministrazioni cui fanno capo le Forze di polizia ad ordinamento militare o civile di assumere, in via definitiva, i volontari di truppa in ferma prefissata quadriennale, al termine di tale ferma»;
              in tal modo si finirebbe con l'acuire la già complessa problematica della stabilizzazione dei VFP4 che si troverebbero nella condizione di non poter essere assunti, proprio per effetto delle consistenti riduzioni del turn over previste,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, tenendo conto delle criticità ivi evidenziate, al fine di adottare tempestivamente, già a partire dai prossimi provvedimenti, tutte le misure – anche di carattere normativo – volte a attenuare i tagli al turn over delle Forze di polizia, al fine di contemperare le attuali e stringenti esigenze di riduzione della spesa pubblica con quelle, altrettanto prioritarie di tutela e di implementazione della sicurezza dei cittadini.
9/5389/87. Paglia, Di Biagio, Barbato.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca una serie di disposizioni per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, rese particolarmente urgenti dall'attuale congiuntura economica;
              nel complessivo processo di revisione della spesa pubblica, numerose sono gli interventi che recano un notevole impatto anche nel delicato settore della Difesa;
              le principali misure previste al riguardo sono sostanzialmente finalizzate a realizzare consistenti risparmi mediante la riduzione delle spese per acquisto di beni e servizi, la diminuzione dei contributi erogati all'Agenzia industrie difesa, la riduzione delle dotazioni organiche e degli oneri per la professionalizzazione delle Forze armate, per il personale, per la cosiddetta «mini-naja» nonché il ridimensionamento della dotazione di alcuni fondi, tra cui quello relativo al finanziamento delle missioni di pace per il 2012;
              tali provvedimenti rischiano, per molti aspetti, di compromettere seriamente l'operatività, l'efficienza e la professionalità delle nostre Forze Armate e di polizia;
              le disposizioni che, nell'attuale contesto socio-economico, destano maggiore preoccupazione sono, quelle di cui all'articolo 14, commi 1 e 2, che, in materia di assunzioni da parte delle pubbliche amministrazioni e di mobilità, prorogano di un anno i limiti rispettivamente stabiliti con riferimento al 2013, al 2014 e al 2015 e estendendo tali limiti ai corpi di polizia e ai vigili del fuoco;
              il comma 2, in particolare, modifica l'articolo 66, comma 9-bis del decreto-legge n.  112/2008 al fine di prevedere, per i Corpi di polizia e dei Vigili del fuoco, che: – per il 2010 e 2011 (e non più «a decorrere dal 2010») le facoltà assunzionali siano limitate nell'ambito di un contingente di personale complessivamente corrispondente a una spesa pari a quella del personale cessato dal servizio nel corso dell'anno precedente e per un numero di unità non superiore a quelle cessate dal servizio nel corso dell'anno precedente; – il ricambio del turn-over sia limitato al 20 per cento nel triennio 2012-2014, al 50 per cento nel 2015 e al 100 per cento solo a decorrere dal 2016;
              tale misura, come ha evidenziato, altresì, la IV Commissione (Difesa) nel richiesto parere, determina un effetto negativo sia, in generale, sulla funzionalità delle Forze di polizia, compresa l'Arma dei carabinieri, sia sull'effettiva «possibilità per le amministrazioni cui fanno capo le Forze di polizia ad ordinamento militare o civile di assumere, in via definitiva, i volontari di truppa in ferma prefissata quadriennale, al termine di tale ferma»;
              in tal modo si finirebbe con l'acuire la già complessa problematica della stabilizzazione dei VFP4 che si troverebbero nella condizione di non poter essere assunti, proprio per effetto delle consistenti riduzioni del turn over previste,

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, tenendo conto delle criticità ivi evidenziate, al fine di adottare tempestivamente, già a partire dai prossimi provvedimenti, tutte le misure – anche di carattere normativo – volte a attenuare i tagli al turn over delle Forze di polizia, al fine di contemperare le attuali e stringenti esigenze di riduzione della spesa pubblica con quelle, altrettanto prioritarie di tutela e di implementazione della sicurezza dei cittadini.
9/5389/87.    (Testo modificato nel corso della seduta) Paglia, Di Biagio, Barbato.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame prevede misure volte alla razionalizzazione amministrativa, al divieto di istituzione e soppressione di enti, agenzie e organismi;
              di recente, con il decreto-legge 22 giugno 2012, n.  83, c.d. decreto sviluppo, è stata introdotta una dinamica di razionalizzazione delle funzioni in materia di innovazione tecnologica e di digitalizzazione della pubblica amministrazione, fino ad ora suddivise tra più amministrazioni ed enti riconoscendole in capo ad un unico organismo dotato di autonomia operativa e gestionale quale l'Agenzia per l'Italia Digitale;
              Retitalia Internazionale è una società a partecipazione pubblica, il cui capitale è interamente posseduto dall'ormai disciolto Istituto nazionale per il Commercio Estero (ICE), e svolge compiti di analisi di fabbisogni, progettazione, realizzazione e gestione di infrastrutture, servizi e sistemi informativi a supporto dell'internazionalizzazione e dei processi gestionali interni all'ICE, consentendo la loro integrazione e interconnessione con sistemi esterni, nonché di fornitura di assistenza qualificata al personale dell'ICE e alle PMI italiane;
              in virtù di quanto disposto dal decreto-legge 22 giugno 2012, n.  83, sarebbe auspicabile consentire la soppressione della società Retitalia Internazionale S.p.A. e trasferirne le funzioni, il personale di ruolo e le risorse finanziarie e strumentali all'Agenzia per l'Italia digitale, al fine di mantenere inalterato il know how e l'esperienza maturate dalla società dell'Ice, segnatamente in termini di supporto alle attività di internazionalizzazione ed e-commerce, in un contesto di razionalizzazione:

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di consentire il trasferimento delle funzioni, del personale di ruolo e delle risorse finanziarie e strumentali della società Retitalia Internazionale S.p.A. all'Agenzia per l'Italia digitale.
9/5389/88. Menia, Di Biagio.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame blocca le dinamiche di riadeguamento retributivo previste nei del personale a contratto dipendente del Ministero degli affari esteri ed in servizio in Paesi esteri;
              il riadeguamento era stato previsto dall'amministrazione – dopo svariati solleciti l'attività delle OOSS – per alcuni di questi Paesi come l'India, il Giappone, il Brasile e la Federazione Russa e la decorrenza sarebbe stata dal 1o luglio 2012;
              purtroppo i provvedimenti che li avrebbero resi esecutivi non sono stati firmati prima dell'entrata in vigore del decreto-legge in questione;
              allo stato attuale ne emerge una sorta di vulnus democratico, attraverso la legittimazione di una decennale inadempienza;
              le dinamiche di riadeguamento, sebbene previste dalla normativa (articolo 157 del decreto legislativo n.  103 del 2000) risultano bloccate da dieci anni, tanto da legittimare la permanenza del nostro personale presso alcune sedi in una condizione di «povertà» (basti pensare per esempio che un impiegato a contratto a legge locale in India con riadeguamento bloccato arriva a percepire l'equivalente di poco più di 250 euro);
              sebbene il Mae abbia continuato a giustificare il mancato riadeguamento come effetto di «assenza di risorse» risulta che le risorse a bilancio destinate in origine al riadeguamento sono confluite in un tesoretto che ora il Mae immola sull'altare della Spending review (i 5 milioni a cui si fa riferimento al comma 25 del medesimo articolo);
              considerando che le riduzioni di cui al comma 25 dell'articolo 14 riguardano risorse decurtate dal tesoretto destinato al riadeguamento degli stipendi degli impiegati a contratto, sarebbe auspicabile che queste invece venissero detratte dal capitolo di bilancio per le Indennità di Servizio Estero (ISE) del personale in servizio all'estero di cui all'articolo 171 del decreto del Presidente della Repubblica n.  18 del 1967, che si presenta come un capitolo cospicuo e mai «intaccato»;
              la categoria professionale operativa nelle strutture del Mae, maggiormente penalizzata dalle misure del provvedimento in esame, e dalle disposizioni di provvedimenti affini per materia, resta quella degli impiegati a contratto della rete Mae:

impegna il Governo:

a valutare, anche alla luce delle considerazioni richiamate in premessa, gli effetti applicativi delle disposizioni di cui ai commi 24 e 25 dell'articolo 14 del provvedimento in esame, al fine di procedere agli adeguamenti retributivi necessari e normativamente previsti, e di consentire la riduzione delle risorse – pari a 5 milioni di euro – di cui al comma 25 dell'articolo 14 dagli stanziamenti relativi alle spese di indennità di servizio all'estero di cui all'articolo 171 del decreto del Presidente della Repubblica n.  18 del 1967.
9/5389/89. Di Biagio.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame blocca le dinamiche di riadeguamento retributivo previste nei del personale a contratto dipendente del Ministero degli affari esteri ed in servizio in Paesi esteri;
              il riadeguamento era stato previsto dall'amministrazione – dopo svariati solleciti l'attività delle OOSS – per alcuni di questi Paesi come l'India, il Giappone, il Brasile e la Federazione Russa e la decorrenza sarebbe stata dal 1o luglio 2012;
              purtroppo i provvedimenti che li avrebbero resi esecutivi non sono stati firmati prima dell'entrata in vigore del decreto-legge in questione;
              allo stato attuale ne emerge una sorta di vulnus democratico, attraverso la legittimazione di una decennale inadempienza;
              le dinamiche di riadeguamento, sebbene previste dalla normativa (articolo 157 del decreto legislativo n.  103 del 2000) risultano bloccate da dieci anni, tanto da legittimare la permanenza del nostro personale presso alcune sedi in una condizione di «povertà» (basti pensare per esempio che un impiegato a contratto a legge locale in India con riadeguamento bloccato arriva a percepire l'equivalente di poco più di 250 euro);
              sebbene il Mae abbia continuato a giustificare il mancato riadeguamento come effetto di «assenza di risorse» risulta che le risorse a bilancio destinate in origine al riadeguamento sono confluite in un tesoretto che ora il Mae immola sull'altare della Spending review (i 5 milioni a cui si fa riferimento al comma 25 del medesimo articolo);
              considerando che le riduzioni di cui al comma 25 dell'articolo 14 riguardano risorse decurtate dal tesoretto destinato al riadeguamento degli stipendi degli impiegati a contratto, sarebbe auspicabile che queste invece venissero detratte dal capitolo di bilancio per le Indennità di Servizio Estero (ISE) del personale in servizio all'estero di cui all'articolo 171 del decreto del Presidente della Repubblica n.  18 del 1967, che si presenta come un capitolo cospicuo e mai «intaccato»;
              la categoria professionale operativa nelle strutture del Mae, maggiormente penalizzata dalle misure del provvedimento in esame, e dalle disposizioni di provvedimenti affini per materia, resta quella degli impiegati a contratto della rete Mae:

impegna il Governo:

a valutare, anche alla luce delle considerazioni richiamate in premessa, e nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, gli effetti applicativi delle disposizioni di cui ai commi 24 e 25 dell'articolo 14 del provvedimento in esame, al fine di procedere agli adeguamenti retributivi necessari e normativamente previsti, e di consentire la riduzione delle risorse – pari a 5 milioni di euro – di cui al comma 25 dell'articolo 14 dagli stanziamenti relativi alle spese di indennità di servizio all'estero di cui all'articolo 171 del decreto del Presidente della Repubblica n.  18 del 1967.
9/5389/89.    (Testo modificato nel corso della seduta) Di Biagio.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca una serie di disposizioni per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, rese particolarmente urgenti dall'attuale congiuntura economica;
              all'articolo 7 è stato inserito, nel corso dell'esame al Senato, un comma aggiuntivo, il 26-bis, con il quale è stata disposta un'ulteriore proroga del Commissario straordinario dell'Aero Club d'Italia (carica rivestita dal Senatore Giuseppe Leoni iscritto al gruppo parlamentare della Lega Nord);
              l'AeCI è un ente pubblico sottoposto alla vigilanza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, del Ministero della difesa, del Ministero dell'economia e delle finanze, del Ministero per i beni e le attività culturali e del Ministero dell'interno, finanziato soprattutto attraverso trasferimenti statali;
              ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, la nuova proroga – inserita, tra l'altro, in un decreto-legge che prevede interventi finalizzati esclusivamente a realizzare consistenti ed effettivi risparmi di spesa – appare inopportuna, anche in considerazione della gestione commissariale, per molti aspetti, fallimentare di questi anni;
              è necessario che tutti i soggetti istituzionalmente coinvolti si attivino tempestivamente al fine di consentire che, al più presto, i rappresentanti di ciascuna delle specialità degli sport aeronautici, attraverso l'espressione del diritto di voto in assemblea, possano effettivamente partecipare alla designazione del presidente dell'Aero Club d'Italia, dei membri del consiglio federale, del presidente della commissione centrale sportiva aeronautica, dei membri del collegio dei probiviri, nonché del collegio dei revisori dei conti,

impegna il Governo

ad assicurare l'attivazione di tutte le iniziative di competenza, volte a garantire che, in tempi celeri, e, comunque, al massimo entro tre mesi dall'entrata in vigore del presente provvedimento, cessi la gestione commissariale dell'Aero Club d'Italia e tale ente pubblico torni finalmente ad essere governato da soggetti eletti secondo i previsti meccanismi di rappresentatività e di trasparenza.
9/5389/90. Proietti Cosimi, Toto.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca una serie di disposizioni per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, rese particolarmente urgenti dall'attuale congiuntura economica;
              all'articolo 7 è stato inserito, nel corso dell'esame al Senato, un comma aggiuntivo, il 26-bis, con il quale è stata disposta un'ulteriore proroga del Commissario straordinario dell'Aero Club d'Italia (carica rivestita dal Senatore Giuseppe Leoni iscritto al gruppo parlamentare della Lega Nord);
              l'AeCI è un ente pubblico sottoposto alla vigilanza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, del Ministero della difesa, del Ministero dell'economia e delle finanze, del Ministero per i beni e le attività culturali e del Ministero dell'interno, finanziato soprattutto attraverso trasferimenti statali;
              ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, la nuova proroga – inserita, tra l'altro, in un decreto-legge che prevede interventi finalizzati esclusivamente a realizzare consistenti ed effettivi risparmi di spesa – appare inopportuna, anche in considerazione della gestione commissariale, per molti aspetti, fallimentare di questi anni;
              è necessario che tutti i soggetti istituzionalmente coinvolti si attivino tempestivamente al fine di consentire che, al più presto, i rappresentanti di ciascuna delle specialità degli sport aeronautici, attraverso l'espressione del diritto di voto in assemblea, possano effettivamente partecipare alla designazione del presidente dell'Aero Club d'Italia, dei membri del consiglio federale, del presidente della commissione centrale sportiva aeronautica, dei membri del collegio dei probiviri, nonché del collegio dei revisori dei conti,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di assicurare l'attivazione di tutte le iniziative di competenza, volte a garantire che, in tempi celeri, e, comunque, al massimo entro tre mesi dall'entrata in vigore del presente provvedimento, cessi la gestione commissariale dell'Aero Club d'Italia e tale ente pubblico torni finalmente ad essere governato da soggetti eletti secondo i previsti meccanismi di rappresentatività e di trasparenza.
9/5389/90.    (Testo modificato nel corso della seduta) Proietti Cosimi, Toto.


      La Camera,
          premesso che:
              all'articolo 16-bis del provvedimento in esame si stabilisce che entro il 31 ottobre 2012 siano definiti i criteri e le modalità con cui ripartire e trasferire alle regioni a statuto ordinario le risorse del fondo per il finanziamento del trasporto pubblico locale, istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze;
              in relazione alle attività di Trenitalia s.p.a. - divisione cargo, gruppo Ferrovie dello Stato italiane s.p.a. il sottoscrittore ha presentato una interrogazione a risposta immediata in Assemblea (3-02318) e due interrogazioni a risposta in Commissione, (5-04121 e 5-04554), alle quali il Governo ha risposto confermando l'elargizione di un contributo pari a 128 milioni di euro da parte dello Stato in favore di Trenitalia s.p.a. - divisione cargo, affermandosi, altresì, che non si trattava di trasferimenti pubblici a «fondo perduto», ma di pagamenti – che, peraltro, risultano inferiori al costo delle prestazioni fornite – per effettuare attività di trasporto ferroviario in aree a scarsa domanda, dove nessun'altra impresa ferroviaria considera conveniente investire;
              Trenitalia, divisione cargo nelle annualità precedenti il 2012 perde circa 300 milioni, nonostante i contributi confermati per un servizio cosiddetto «universale»;
              secondo la Corte dei Conti la produzione di servizi in perdita, sovvenzionati attraverso i proventi delle attività cosiddette a mercato, è ritenuta ingiustificata dal punto di vista industriale. E necessario, pertanto, definire con precisione quale sia il perimetro dei servizi di trazione merci ritenuti di natura universale, espletati in funzione di contratti di servizio certi e di durata congrua;
              l'importanza della concorrenza è strategica in questo settore, perché solamente attraverso l'incentivazione della concorrenza nel settore del trasporto delle merci è possibile migliorare i servizi in una logica di sostenibilità economica e di abbattimento delle disparità territoriali;
              il governo ha riaperto il confronto con le Regioni meridionali sul contratto di servizio per il trasporto ferroviario universale e Trenitalia ha ammesso che i collegamenti fra le varie aree del Paese vanno riequilibrati;
              in una recente dichiarazione l'Ad di Trenitalia, Vincenzo Soprano, ha riconosciuto che, il servizio va riprogrammato perché ci sono pesanti sperequazioni tra Nord e Sud e che pertanto è necessaria una rimodulazione del contratto di servizio 2012-2014,

impegna il Governo

a prevedere che le risorse finora destinate a Trenitalia s.p.a. - divisione cargo siano trasferite alle Regioni a statuto ordinario al fine di migliorare e ottimizzare i servizi di trasporto pubblico locale.
9/5389/91. Toto, Proietti Cosimi.


      La Camera,
          premesso che:
              all'articolo 16-bis del provvedimento in esame si stabilisce che entro il 31 ottobre 2012 siano definiti i criteri e le modalità con cui ripartire e trasferire alle regioni a statuto ordinario le risorse del fondo per il finanziamento del trasporto pubblico locale, istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze;
              in relazione alle attività di Trenitalia s.p.a. - divisione cargo, gruppo Ferrovie dello Stato italiane s.p.a. il sottoscrittore ha presentato una interrogazione a risposta immediata in Assemblea (3-02318) e due interrogazioni a risposta in Commissione, (5-04121 e 5-04554), alle quali il Governo ha risposto confermando l'elargizione di un contributo pari a 128 milioni di euro da parte dello Stato in favore di Trenitalia s.p.a. - divisione cargo, affermandosi, altresì, che non si trattava di trasferimenti pubblici a «fondo perduto», ma di pagamenti – che, peraltro, risultano inferiori al costo delle prestazioni fornite – per effettuare attività di trasporto ferroviario in aree a scarsa domanda, dove nessun'altra impresa ferroviaria considera conveniente investire;
              Trenitalia, divisione cargo nelle annualità precedenti il 2012 perde circa 300 milioni, nonostante i contributi confermati per un servizio cosiddetto «universale»;
              secondo la Corte dei Conti la produzione di servizi in perdita, sovvenzionati attraverso i proventi delle attività cosiddette a mercato, è ritenuta ingiustificata dal punto di vista industriale. E necessario, pertanto, definire con precisione quale sia il perimetro dei servizi di trazione merci ritenuti di natura universale, espletati in funzione di contratti di servizio certi e di durata congrua;
              l'importanza della concorrenza è strategica in questo settore, perché solamente attraverso l'incentivazione della concorrenza nel settore del trasporto delle merci è possibile migliorare i servizi in una logica di sostenibilità economica e di abbattimento delle disparità territoriali;
              il governo ha riaperto il confronto con le Regioni meridionali sul contratto di servizio per il trasporto ferroviario universale e Trenitalia ha ammesso che i collegamenti fra le varie aree del Paese vanno riequilibrati;
              in una recente dichiarazione l'Ad di Trenitalia, Vincenzo Soprano, ha riconosciuto che, il servizio va riprogrammato perché ci sono pesanti sperequazioni tra Nord e Sud e che pertanto è necessaria una rimodulazione del contratto di servizio 2012-2014,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di prevedere che le risorse finora destinate a Trenitalia s.p.a. - divisione cargo siano trasferite alle Regioni a statuto ordinario al fine di migliorare e ottimizzare i servizi di trasporto pubblico locale.
9/5389/91.    (Testo modificato nel corso della seduta) Toto, Proietti Cosimi.


      La Camera,
          premesso che:
              l'Osservatorio nazionale dell'associazionismo ha svolto sino ad oggi importanti compiti per il Terzo Settore tra cui risaltano quelli all'articolo 12 comma 3 lettere d) ed f) della legge istitutiva 7 dicembre 2000, n.  383, ovvero il sostegno alle iniziative di formazione e di aggiornamento per lo svolgimento delle attività associative nonché di progetti di informatizzazione e di banche dati, e l'approvazione di progetti sperimentali elaborati, anche in collaborazione con gli Enti Locali, dalle associazioni iscritte nei registri nazionale, regionali e delle Province autonome per fare fronte a particolari emergenze sociali e per favorire l'applicazione di metodologie di intervento particolarmente avanzate;
              nel testo del disegno di legge di conversione del decreto-legge in esame in prima lettura al Senato al comma 20 dell'articolo 12 era inizialmente prevista la soppressione dell'Osservatorio, poi scongiurata in virtù di un emendamento che mentre ne assicura la sopravvivenza sembra privarlo di un sostegno economico che ne garantisca l'operatività a favore del Terzo Settore, riducendolo ad organo consultivo;
              la XII Commissione della Camera dei deputati ha recentemente esaminato lo «Schema di decreto ministeriale concernente regolamento recante la disciplina delle modalità di elezione dei membri dell'osservatorio nazionale dell'associazionismo da parte delle associazioni di promozione sociale iscritte nei registri nazionale e regionali», che secondo quanto previsto dal comma 6 dell'articolo 11 della legge 7 dicembre 2000, n.  383 avrebbe dovuto essere emanato entro l'11 gennaio 2004;
              la suddetta Commissione nell'esprimere un parere favorevole con osservazioni sullo schema di decreto ministeriale sopracitato ha rilevato che lo stesso, come predisposto, presenta dei passaggi da chiarire, tra cui la disciplina di elettorato attivo e passivo per l'elezione dei componenti dell'osservatorio, la cui formazione deve invece essere la risultante del bilanciamento tra la rappresentatività dell'organo e la funzionalità dei meccanismi che sovrintendono alla sua formazione, come rilevato anche dal Consiglio di Stato interpellato in merito;
              a seguito della chiusura dell'Agenzia del Terzo Settore è stata istituita con determina del direttore generale dottor Danilo Giovanni Festa (D.D. n.  112/SEG/2012 del 10/06/2012) la Cabina di Regia del Terzo Settore i cui membri sono stati designati dall'Osservatorio nazionale dell'associazionismo composto ancora oggi – in aperta violazione della legge – dagli stessi soggetti da quando è stato istituito e interessato da un conflitto di interessi per cui i controllori (i soggetti chiamati a decidere a quali associazioni debbano essere destinati i fondi stanziati per l'associazionismo) sono anche i controllati (coloro che fanno domanda per ottenere i contributi stanziati);
              il meccanismo di designazione non garantisce tout court che all'interno della Cabina di Regia del Terzo Settore vi siano esponenti delle associazioni più rappresentative, come invece sarebbe opportuno dal momento che la maggior rappresentatività è il solo criterio capace di garantire l'interesse generale – e non particolare – del mondo associativo, soprattutto in presenza di un processo di accentramento di poteri e funzioni collegate al quest'ultimo a favore di rappresentanti delle istituzioni:

impegna il Governo

a rendere noto come intende garantire il necessario supporto operativo ed economico al Terzo Settore, considerata la ridefinizione – attuata per via normativa – dell'osservatorio nazionale dell'associazionismo ad organo consultivo, e visto l'improrogabile rinnovamento dello stesso, tenuto conto anche della presenza di un nuovo soggetto, la Cabina di Regia del Terzo Settore, che per composizione e modalità istitutiva secondo quanto emerso in premessa non sembrerebbe essere sufficientemente legittimato a garantire l'interesse generale dell'associazionismo, essendo in esso marginale l'apporto dei rappresentanti delle associazioni maggiormente rappresentative.
9/5389/92. Barbaro.


      La Camera,
          premesso che:
              l'Osservatorio nazionale dell'associazionismo ha svolto sino ad oggi importanti compiti per il Terzo Settore tra cui risaltano quelli all'articolo 12 comma 3 lettere d) ed f) della legge istitutiva 7 dicembre 2000, n.  383, ovvero il sostegno alle iniziative di formazione e di aggiornamento per lo svolgimento delle attività associative nonché di progetti di informatizzazione e di banche dati, e l'approvazione di progetti sperimentali elaborati, anche in collaborazione con gli Enti Locali, dalle associazioni iscritte nei registri nazionale, regionali e delle Province autonome per fare fronte a particolari emergenze sociali e per favorire l'applicazione di metodologie di intervento particolarmente avanzate;
              nel testo del disegno di legge di conversione del decreto-legge in esame in prima lettura al Senato al comma 20 dell'articolo 12 era inizialmente prevista la soppressione dell'Osservatorio, poi scongiurata in virtù di un emendamento che mentre ne assicura la sopravvivenza sembra privarlo di un sostegno economico che ne garantisca l'operatività a favore del Terzo Settore, riducendolo ad organo consultivo;
              la XII Commissione della Camera dei deputati ha recentemente esaminato lo «Schema di decreto ministeriale concernente regolamento recante la disciplina delle modalità di elezione dei membri dell'osservatorio nazionale dell'associazionismo da parte delle associazioni di promozione sociale iscritte nei registri nazionale e regionali», che secondo quanto previsto dal comma 6 dell'articolo 11 della legge 7 dicembre 2000, n.  383 avrebbe dovuto essere emanato entro l'11 gennaio 2004;
              la suddetta Commissione nell'esprimere un parere favorevole con osservazioni sullo schema di decreto ministeriale sopracitato ha rilevato che lo stesso, come predisposto, presenta dei passaggi da chiarire, tra cui la disciplina di elettorato attivo e passivo per l'elezione dei componenti dell'osservatorio, la cui formazione deve invece essere la risultante del bilanciamento tra la rappresentatività dell'organo e la funzionalità dei meccanismi che sovrintendono alla sua formazione, come rilevato anche dal Consiglio di Stato interpellato in merito;
              a seguito della chiusura dell'Agenzia del Terzo Settore è stata istituita con determina del direttore generale dottor Danilo Giovanni Festa (D.D. n.  112/SEG/2012 del 10/06/2012) la Cabina di Regia del Terzo Settore i cui membri sono stati designati dall'Osservatorio nazionale dell'associazionismo composto ancora oggi – in aperta violazione della legge – dagli stessi soggetti da quando è stato istituito e interessato da un conflitto di interessi per cui i controllori (i soggetti chiamati a decidere a quali associazioni debbano essere destinati i fondi stanziati per l'associazionismo) sono anche i controllati (coloro che fanno domanda per ottenere i contributi stanziati);
              il meccanismo di designazione non garantisce tout court che all'interno della Cabina di Regia del Terzo Settore vi siano esponenti delle associazioni più rappresentative, come invece sarebbe opportuno dal momento che la maggior rappresentatività è il solo criterio capace di garantire l'interesse generale – e non particolare – del mondo associativo, soprattutto in presenza di un processo di accentramento di poteri e funzioni collegate al quest'ultimo a favore di rappresentanti delle istituzioni:

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di rendere noto come intende garantire il necessario supporto operativo ed economico al Terzo Settore, considerata la ridefinizione – attuata per via normativa – dell'osservatorio nazionale dell'associazionismo ad organo consultivo, e visto l'improrogabile rinnovamento dello stesso, tenuto conto anche della presenza di un nuovo soggetto, la Cabina di Regia del Terzo Settore, che per composizione e modalità istitutiva secondo quanto emerso in premessa non sembrerebbe essere sufficientemente legittimato a garantire l'interesse generale dell'associazionismo, essendo in esso marginale l'apporto dei rappresentanti delle associazioni maggiormente rappresentative.
9/5389/92.    (Testo modificato nel corso della seduta) Barbaro.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 15, comma 13, lettera a) del decreto-legge in esame, prevede che gli importi e le connesse prestazioni relative a contratti in essere di appalto di servizi e di fornitura di beni e servizi, stipulati da aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale, siano ridotti del 5 per cento, con esclusione degli acquisti dei farmaci;
              l'articolo 1, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 24 aprile 2006, n.  219 - Attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché della direttiva 2003/94/CE, definisce prodotto medicinale ogni «sostanza o associazione di sostanze presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane»;
              la spesa per acquisti di vaccini è una componente della spesa farmaceutica sostenuta dalle aziende e dagli enti del Servizio sanitario nazionale, come emerge peraltro anche all'articolo 15, comma 5 del decreto in oggetto, laddove è previsto che alla determinazione del tetto della spesa farmaceutica ospedaliera non concorrano alcune tipologie di farmaci, tra cui anche i vaccini (5. Il tetto di cui al comma 4 è calcolato al netto della spesa per i farmaci di classe A in distribuzione diretta e distribuzione per conto, nonché al netto della spesa per i vaccini, per i medicinali di cui alle lettere c) e c-bis) dell'articolo 8, comma 10, della legge 24 dicembre 1993, n.  537 e successive modificazioni, per le preparazioni magistrali e officinali effettuate nelle farmacie ospedaliere, per i medicinali esteri e per i plasmaderivati di produzione regionale);
              alcune aziende del Servizio sanitario nazionale, dopo l'entrata in vigore del decreto in oggetto, hanno impropriamente applicato la riduzione del 5 per cento, prevista per i contratti di appalto di servizi e di fornitura di beni e servizi, anche agli acquisti dei vaccini;

impegna il Governo

ad adottare i provvedimenti opportuni per chiarire agli enti e alle aziende del Servizio sanitario nazionale che tra gli acquisti dei farmaci, esclusi dalla riduzione del 5 per cento, di cui all'articolo 15, comma 13, lettera a), sono compresi anche gli acquisiti dei vaccini.
9/5389/93. Della Vedova.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 15, comma 13, lettera a) del decreto-legge in esame, prevede che gli importi e le connesse prestazioni relative a contratti in essere di appalto di servizi e di fornitura di beni e servizi, stipulati da aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale, siano ridotti del 5 per cento, con esclusione degli acquisti dei farmaci;
              l'articolo 1, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 24 aprile 2006, n.  219 - Attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché della direttiva 2003/94/CE, definisce prodotto medicinale ogni «sostanza o associazione di sostanze presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane»;
              la spesa per acquisti di vaccini è una componente della spesa farmaceutica sostenuta dalle aziende e dagli enti del Servizio sanitario nazionale, come emerge peraltro anche all'articolo 15, comma 5 del decreto in oggetto, laddove è previsto che alla determinazione del tetto della spesa farmaceutica ospedaliera non concorrano alcune tipologie di farmaci, tra cui anche i vaccini (5. Il tetto di cui al comma 4 è calcolato al netto della spesa per i farmaci di classe A in distribuzione diretta e distribuzione per conto, nonché al netto della spesa per i vaccini, per i medicinali di cui alle lettere c) e c-bis) dell'articolo 8, comma 10, della legge 24 dicembre 1993, n.  537 e successive modificazioni, per le preparazioni magistrali e officinali effettuate nelle farmacie ospedaliere, per i medicinali esteri e per i plasmaderivati di produzione regionale);
              alcune aziende del Servizio sanitario nazionale, dopo l'entrata in vigore del decreto in oggetto, hanno impropriamente applicato la riduzione del 5 per cento, prevista per i contratti di appalto di servizi e di fornitura di beni e servizi, anche agli acquisti dei vaccini;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di adottare i provvedimenti per chiarire agli enti e alle aziende del Servizio sanitario nazionale che tra gli acquisti dei farmaci, esclusi dalla riduzione del 5 per cento, di cui all'articolo 15, comma 13, lettera a), sono compresi anche gli acquisiti dei vaccini.
9/5389/93.    (Testo modificato nel corso della seduta) Della Vedova.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 17 del decreto-legge in esame, prevede il riordino di tutte le province delle regioni a statuto ordinario esistenti alla data di entrata del decreto medesimo;
              la questione del riordino e della possibile soppressione delle province è da tempo al centro del dibattito politico ed è stata già più volte affrontata in sede parlamentare in relazione a specifiche iniziative normative;
              i requisiti minimi, cui il medesimo articolo fa riferimento, da individuarsi nella dimensione territoriale e nella popolazione residente in ciascuna provincia, appaiono evidentemente discutibili ed opinabili e lasciano adito a inevitabili recriminazioni tra gli enti coinvolti;
              la circostanza per la quale sono fatte salve le province nel cui territorio si trova il comune capoluogo di regione e quelle confinanti solo con province di regioni diverse da quella di appartenenza ed anche quelle confinanti con le istituente città metropolitane crea di fatto una situazione che appare poco coerente con gli obiettivi dichiarati,
              la normativa così come concepita, rischia di non produrre gli effetti desiderati e crea anche profili di possibile illegittimità costituzionale essendo le province previste espressamente dalla Costituzione;
              appare auspicabile per evitare probabili ricorsi costituzionali e riuscire ad ottenere un effettivo risparmio di spesa procedere ad una revisione costituzionale della materia finalizzata ad una coerente e strutturale soppressione dell'ente provinciale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di procedere, anche con un apposito e ulteriore intervento normativo, ad innalzare, in maniera uniforme e senza deroghe, sia i requisiti territoriali che quelli relativi al numero degli abitanti in virtù dei quali si procede alla soppressione prevista, e a valutare l'opportunità di promuovere, nel rispetto delle proprie e altrui competenze, una revisione costituzionale della materia che abbia, in quanto tale, carattere di organicità e strutturalità evitando in tal modo discriminazioni e differenziazioni poco coerenti con l'obbiettivo di una effettiva riduzione della spesa pubblica.
9/5389/94. De Girolamo.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 42 della legge 1° aprile n.  121 prevede la nomina di 17 Prefetti tra i Dirigenti della Polizia di Stato;
              il personale del citato articolo 42 della legge n.  121 del 1981 non è stato escluso dalla riduzione organica prevista dal comma 7 dell'articolo 2;
              la Polizia di Stato non ha dirigenti generali equivalenti alla qualifica di Prefetto mentre le altre Forze di Polizia ad ordinamento militare e le stesse Forze Armate hanno gradi equivalenti a quella di prefetto;
              la sola Polizia di Stato vedrebbe ridotta la propria dotazione organica di dirigente generale mentre per tutte le altre Forze di Polizia ad ordinamento militare è stata prevista espressamente l'esclusione dalla riduzione organica di cui all'articolo 2, comma 1 lettera a),

impegna il Governo

a verificare gli effetti applicativi del provvedimento, al fine di non ridurre, all'esito delle riduzioni delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni previste, il personale di cui all'articolo 42 della legge 1° aprile 1981 n.  181.
9/5389/95. Naccarato, Fiano, Rosato.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 42 della legge 1° aprile n.  121 prevede la nomina di 17 Prefetti tra i Dirigenti della Polizia di Stato;
              il personale del citato articolo 42 della legge n.  121 del 1981 non è stato escluso dalla riduzione organica prevista dal comma 7 dell'articolo 2;
              la Polizia di Stato non ha dirigenti generali equivalenti alla qualifica di Prefetto mentre le altre Forze di Polizia ad ordinamento militare e le stesse Forze Armate hanno gradi equivalenti a quella di prefetto;
              la sola Polizia di Stato vedrebbe ridotta la propria dotazione organica di dirigente generale mentre per tutte le altre Forze di Polizia ad ordinamento militare è stata prevista espressamente l'esclusione dalla riduzione organica di cui all'articolo 2, comma 1 lettera a),

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di verificare gli effetti applicativi del provvedimento, al fine di non ridurre, all'esito delle riduzioni delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni previste, il personale di cui all'articolo 42 della legge 1° aprile 1981 n.  181.
9/5389/95.    (Testo modificato nel corso della seduta) Naccarato, Fiano, Rosato.


      La Camera,
          premesso che:
              la consapevolezza della centralità di una politica di tutela ambientale e sviluppo sostenibile, iniziata nel nostro Paese nel 1986 con l'istituzione del Ministero dell'Ambiente, si è progressivamente affermata anche grazie all'individuazione di nuovi Organismi tecnici detentori di una pluralità di competenze scientifiche e compiti operativi;
              tra essi un ruolo di primo piano ricoprono L'ISPRA (Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale) previsto dal decreto legge n.  112 del 2008 convertito nella legge 133 del 2008, e le ARPA (Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente) istituite ai sensi del decreto legge n.  496 del 1993 convertito nella legge n.  61 del 1994, le quali hanno permesso, tra l'altro, di consolidare una rete di monitoraggio e controllo ambientale attenta alla specificità dei singoli ambiti territoriali di competenza;
              in particolare le ARPA, presenti e attive in tutta la nazione, hanno acquisito in questi ultimi anni esperienza, professionalità e conoscenze riuscendo a svolgere, in una posizione di terzietà, un ruolo fondamentale di supporto tecnico dei vari soggetti istituzionali che detengono funzioni di amministrazione attiva nel settore ambientale;
              alcune disposizioni contenute nel recente decreto legge in esame, ed in particolare l'articolo 9 comma 1, qualora non correttamente interpretate, potrebbero far ritenere, in maniera ultronea rispetto all'effettiva volontà del legislatore, che anche le Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente rientrino nel novero degli enti che potrebbero essere soppressi o accorpati o per i quali deve essere prevista una riduzione degli oneri finanziari non inferiore al 20 per cento;
              certamente le ARPA non svolgono le funzioni di cui all'articolo 117 comma 3 lettera p) della Costituzione né comunque le funzioni amministrative di competenza di Comuni Province e Città metropolitane richiamate dal succitato articolo 9, comma 1 del decreto legge in esame;
              in base ai princìpi di adeguatezza ed economicità dell'azione amministrativa difficilmente le funzioni ed i compiti, di natura eminentemente tecnica, finora esercitati dalle ARPA, potrebbero essere svolti da altri soggetti istituzionali (ed in particolare dagli Enti Locali) se non con un aggravio di costi e duplicazioni di strutture;
              è in corso presso la Commissione Ambiente della Camera un proficuo esame di alcune proposte di legge che si pongono l'obiettivo prioritario di rafforzare il Sistema nazionale ISPRA-ARPA, razionalizzandone e attualizzandone il mandato istituzionale, e che sui principi fondamentali di tali proposte esiste un'ampia convergenza che ha consentito, nella seduta del 17 luglio 2012, l'adozione di un testo unificato (relatore Onorevole Tortolì);
              risulta pertanto opportuno, pur nel doveroso rispetto delle esigenze di salvaguardia della finanza pubblica perseguite attraverso il decreto-legge n.  95 del 2012, preservare l'integrità delle Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente in attesa dell'approvazione di un riordino complessivo del Sistema nazionale ISPRA-ARPA,

impegna il Governo

a promuovere, nelle opportune sedi istituzionali, un'interpretazione dell'articolo 9 comma 1 che non comporti l'inclusione delle Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente nel novero degli enti che potrebbero essere soppressi o accorpati o per i quali deve essere disposta una riduzione degli oneri finanziari non inferiore al 20 per cento.
9/5389/96. Bratti, Mariani, Realacci.


      La Camera,
          premesso che:
              la consapevolezza della centralità di una politica di tutela ambientale e sviluppo sostenibile, iniziata nel nostro Paese nel 1986 con l'istituzione del Ministero dell'Ambiente, si è progressivamente affermata anche grazie all'individuazione di nuovi Organismi tecnici detentori di una pluralità di competenze scientifiche e compiti operativi;
              tra essi un ruolo di primo piano ricoprono L'ISPRA (Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale) previsto dal decreto legge n.  112 del 2008 convertito nella legge 133 del 2008, e le ARPA (Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente) istituite ai sensi del decreto legge n.  496 del 1993 convertito nella legge n.  61 del 1994, le quali hanno permesso, tra l'altro, di consolidare una rete di monitoraggio e controllo ambientale attenta alla specificità dei singoli ambiti territoriali di competenza;
              in particolare le ARPA, presenti e attive in tutta la nazione, hanno acquisito in questi ultimi anni esperienza, professionalità e conoscenze riuscendo a svolgere, in una posizione di terzietà, un ruolo fondamentale di supporto tecnico dei vari soggetti istituzionali che detengono funzioni di amministrazione attiva nel settore ambientale;
              alcune disposizioni contenute nel recente decreto legge in esame, ed in particolare l'articolo 9 comma 1, qualora non correttamente interpretate, potrebbero far ritenere, in maniera ultronea rispetto all'effettiva volontà del legislatore, che anche le Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente rientrino nel novero degli enti che potrebbero essere soppressi o accorpati o per i quali deve essere prevista una riduzione degli oneri finanziari non inferiore al 20 per cento;
              certamente le ARPA non svolgono le funzioni di cui all'articolo 117 comma 3 lettera p) della Costituzione né comunque le funzioni amministrative di competenza di Comuni Province e Città metropolitane richiamate dal succitato articolo 9, comma 1 del decreto legge in esame;
              in base ai princìpi di adeguatezza ed economicità dell'azione amministrativa difficilmente le funzioni ed i compiti, di natura eminentemente tecnica, finora esercitati dalle ARPA, potrebbero essere svolti da altri soggetti istituzionali (ed in particolare dagli Enti Locali) se non con un aggravio di costi e duplicazioni di strutture;
              è in corso presso la Commissione Ambiente della Camera un proficuo esame di alcune proposte di legge che si pongono l'obiettivo prioritario di rafforzare il Sistema nazionale ISPRA-ARPA, razionalizzandone e attualizzandone il mandato istituzionale, e che sui principi fondamentali di tali proposte esiste un'ampia convergenza che ha consentito, nella seduta del 17 luglio 2012, l'adozione di un testo unificato (relatore Onorevole Tortolì);
              risulta pertanto opportuno, pur nel doveroso rispetto delle esigenze di salvaguardia della finanza pubblica perseguite attraverso il decreto-legge n.  95 del 2012, preservare l'integrità delle Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente in attesa dell'approvazione di un riordino complessivo del Sistema nazionale ISPRA-ARPA,

impegna il Governo

a rappresentare, in sede di conferenza unificata Stato-regioni, un'interpretazione dell'articolo 9 comma 1 che non comporti l'inclusione delle Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente nel novero degli enti che potrebbero essere soppressi o accorpati o per i quali deve essere disposta una riduzione degli oneri finanziari non inferiore al 20 per cento.
9/5389/96.    (Testo modificato nel corso della seduta) Bratti, Mariani, Realacci.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame, al comma 4 dell'articolo 8, dispone le riduzioni dei trasferimenti statali agli enti di ricerca facenti capo a vari Ministeri, a decorrere dal 2012;
              in particolare, per quanto concerne gli enti di ricerca vigilati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, l'allegato 3 fa riferimento all'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – ISPRA, per il quale è prevista una riduzione pari a 1.454.510 di euro per il 2012, 3.878.692 di euro per il 2013 e 3.878.693 dal 2013;
              l'ISPRA è il più importante istituto tecnico-scientifico di supporto dell'attività del Ministero dell'ambiente ed stato istituito dall'articolo 28 del n.  11212008 a seguito dell'accorpamento dell'APAT (Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici), dell'INFS (Istituto nazionale per la fauna selvatica) e dell'ICRAM (Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare), dei quali l'ISPRA ha assorbito funzioni e competenze;
              l'ISPRA è, dunque, attualmente, il principale ente pubblico di ricerca che si occupa di ambiente, con funzioni fondamentali, ad esempio, in materia di controlli ed ispezioni ambientali; di raccolta, elaborazione e divulgazione di dati di pubblico interesse sullo stato dell'ambiente; di supporto tecnico al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la gestione dei procedimenti autorizzatori inerenti Via, Vas, Ippc, Aia, siti contaminati; di predisposizione di linee guida tecniche a supporto delle politiche per lo sviluppo sostenibile; di espressione sulle materie di competenza, dei pareri tecnico-scientifici richiesti dallo Stato, dalle regioni e dalle province nonché dagli enti locali; di diffusione e divulgazione delle conoscenze in campo ambientale; di salvaguardia della biodiversità in ambiente terrestre, marino e costiero e nelle politiche per la pesca e la maricoltura sostenibile; di censimento del patrimonio costituito dalla fauna selvatica, studio dello stato, dell'evoluzione e dei rapporti con le altre componenti ambientali; controllo e valutazione degli interventi faunistici operati dalle regioni e dalle province; di supporto allo Stato e alle regioni per l'applicazione delle convenzioni e direttive internazionali aventi come oggetto la conservazione della fauna selvatica e degli habitat; supporto alle regioni per la predisposizione dei piani regionali faunistico-venatori; di predisposizione di linee guide per l'applicazioni di molte normative in collaborazione con le Agenzie regionali per l'ambiente;
              in precedenza il Governo aveva sottolineato l'enorme importanza del ruolo dell'istituto, il cui rilancio sarebbe dovuto partire «dalla valorizzazione delle sue molteplici competenze e delle professionalità acquisite, sia sotto il profilo della ricerca sia sotto il profilo operativo» e che l'ISPRA, una volta razionalizzata l'attività dei tre organismi e snellita la struttura di gestione, avrebbe dovuto rappresentare un valore aggiunto in termini autorevolezza, innovazione, apertura al sistema dello sviluppo ecosostenibile, mettendo a frutto l'elevato livello di qualificazione tecnico-scientifica del personale"; lo stesso Ministro dell'ambiente, aveva affermato che la riorganizzazione dell'Istituto aveva come obiettivo strategico quello di fare dell'ISPRA «lo strumento cardine attraverso cui il Ministero vigilante renderà effettive le politiche nazionali sull'ambiente»;
              non sembra che la presenza di una crisi economica possa giustificare il preoccupante ridimensionamento di un così importante ente di ricerca, attraverso il ricorso alla mobilità del personale, il taglio delle risorse finanziarie e ulteriori interventi di accorpamento e riorganizzazione dell'istituto, anche attraverso l'ipotesi di trasferimento di personale al Ministero;
              il percorso avviato dal Governo sembra voler preludere ad un progressivo e sostanziale svuotamento delle competenze e del ruolo dell'ISPRA, con la inaccettabile conseguenza di affossarne le qualità professionali e scientifiche e minarne definitivamente autonomia e terzietà;
              da un lato, dunque, il Governo sembra non voler dare concretamente seguito alla necessaria azione di riorganizzazione dell'istituto e di valorizzazione delle competenze scientifiche in esso presenti, con l'inevitabile rischio di perdere ricercatori di alto pregio, dall'altro attua una politica di contenimento della spesa che compromette ulteriormente efficienza e funzionalità dell'ente di ricerca,

impegna il Governo:

          a valutare gli effetti applicativi dell'articolo 8, comma 4, al fine di ripristinare le risorse tagliate all'ISPRA, provvedendo all'immediato avvio degli interventi necessari affinché ne venga recuperato pienamente il ruolo;
          ad adottare un'iniziativa legislativa da presentare alle Camere al fine di riorganizzare l'ISPRA, in coerenza con gli obiettivi di una piena valorizzazione delle competenze e delle professionalità acquisite in seno all'istituto e della volontà di mettere a frutto l'elevato livello di qualificazione tecnico-scientifica del suo personale, nonché di fare dell'ISPRA lo strumento cardine attraverso cui il Ministero renderà effettive le politiche nazionali sull'ambiente;
          a continuare e potenziare il ruolo di coordinamento tecnico in collaborazione con le Agenzie regionali, lavorando in sinergia, al fine di migliorare le prestazioni e i controlli ambientali in tutte le regioni del Paese e di incentivare la stessa collaborazione nella ricerca applicata nei vari progetti ambientali delle realtà territoriali del Paese;
          ad assumere tutte le iniziative di carattere normativo volte a formalizzare con chiarezza la missione dell'istituto, incentrata sugli obiettivi strategici della ricerca in campo ambientale e delle funzioni di monitoraggio e controllo ambientale, in collaborazione con, le agenzie regionali, a supporto di tutte le realtà istituzionali e territoriali del Paese;
          a valutare l'opportunità di dare vita ad un vero e proprio «Sistema nazionale delle agenzie per la ricerca e la protezione ambientale», composto dall'ISPRA, quale polo nazionale, e dalle ARPA, quali poli regionali e territoriali, premessa indispensabile per una conferma e per un rilancio della missione istituzionale delle agenzie ambientali, al fine di dotare il Paese di una vera e propria rete nazionale di soggetti tecnici che, nella logica della cooperazione e della sinergia, assicurino omogeneità ed efficacia all'esercizio dell'azione conoscitiva e di controllo pubblico dell'ambiente, a supporto delle politiche di protezione ambientale e di sostenibilità.
9/5389/97. Mariani, Bratti, Realacci, Benamati, Bocci, Braga, Esposito, Ginoble, Iannuzzi, Marantelli, Margiotta, Morassut, Motta, Viola.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame, al comma 4 dell'articolo 8, dispone le riduzioni dei trasferimenti statali agli enti di ricerca facenti capo a vari Ministeri, a decorrere dal 2012;
              in particolare, per quanto concerne gli enti di ricerca vigilati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, l'allegato 3 fa riferimento all'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale – ISPRA, per il quale è prevista una riduzione pari a 1.454.510 di euro per il 2012, 3.878.692 di euro per il 2013 e 3.878.693 dal 2013;
              l'ISPRA è il più importante istituto tecnico-scientifico di supporto dell'attività del Ministero dell'ambiente ed stato istituito dall'articolo 28 del n.  11212008 a seguito dell'accorpamento dell'APAT (Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici), dell'INFS (Istituto nazionale per la fauna selvatica) e dell'ICRAM (Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare), dei quali l'ISPRA ha assorbito funzioni e competenze;
              l'ISPRA è, dunque, attualmente, il principale ente pubblico di ricerca che si occupa di ambiente, con funzioni fondamentali, ad esempio, in materia di controlli ed ispezioni ambientali; di raccolta, elaborazione e divulgazione di dati di pubblico interesse sullo stato dell'ambiente; di supporto tecnico al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la gestione dei procedimenti autorizzatori inerenti Via, Vas, Ippc, Aia, siti contaminati; di predisposizione di linee guida tecniche a supporto delle politiche per lo sviluppo sostenibile; di espressione sulle materie di competenza, dei pareri tecnico-scientifici richiesti dallo Stato, dalle regioni e dalle province nonché dagli enti locali; di diffusione e divulgazione delle conoscenze in campo ambientale; di salvaguardia della biodiversità in ambiente terrestre, marino e costiero e nelle politiche per la pesca e la maricoltura sostenibile; di censimento del patrimonio costituito dalla fauna selvatica, studio dello stato, dell'evoluzione e dei rapporti con le altre componenti ambientali; controllo e valutazione degli interventi faunistici operati dalle regioni e dalle province; di supporto allo Stato e alle regioni per l'applicazione delle convenzioni e direttive internazionali aventi come oggetto la conservazione della fauna selvatica e degli habitat; supporto alle regioni per la predisposizione dei piani regionali faunistico-venatori; di predisposizione di linee guide per l'applicazioni di molte normative in collaborazione con le Agenzie regionali per l'ambiente;
              in precedenza il Governo aveva sottolineato l'enorme importanza del ruolo dell'istituto, il cui rilancio sarebbe dovuto partire «dalla valorizzazione delle sue molteplici competenze e delle professionalità acquisite, sia sotto il profilo della ricerca sia sotto il profilo operativo» e che l'ISPRA, una volta razionalizzata l'attività dei tre organismi e snellita la struttura di gestione, avrebbe dovuto rappresentare un valore aggiunto in termini autorevolezza, innovazione, apertura al sistema dello sviluppo ecosostenibile, mettendo a frutto l'elevato livello di qualificazione tecnico-scientifica del personale"; lo stesso Ministro dell'ambiente, aveva affermato che la riorganizzazione dell'Istituto aveva come obiettivo strategico quello di fare dell'ISPRA «lo strumento cardine attraverso cui il Ministero vigilante renderà effettive le politiche nazionali sull'ambiente»;
              non sembra che la presenza di una crisi economica possa giustificare il preoccupante ridimensionamento di un così importante ente di ricerca, attraverso il ricorso alla mobilità del personale, il taglio delle risorse finanziarie e ulteriori interventi di accorpamento e riorganizzazione dell'istituto, anche attraverso l'ipotesi di trasferimento di personale al Ministero;
              il percorso avviato dal Governo sembra voler preludere ad un progressivo e sostanziale svuotamento delle competenze e del ruolo dell'ISPRA, con la inaccettabile conseguenza di affossarne le qualità professionali e scientifiche e minarne definitivamente autonomia e terzietà;
              da un lato, dunque, il Governo sembra non voler dare concretamente seguito alla necessaria azione di riorganizzazione dell'istituto e di valorizzazione delle competenze scientifiche in esso presenti, con l'inevitabile rischio di perdere ricercatori di alto pregio, dall'altro attua una politica di contenimento della spesa che compromette ulteriormente efficienza e funzionalità dell'ente di ricerca,

impegna il Governo:

          a valutare, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, gli effetti applicativi dell'articolo 8, comma 4, al fine di ripristinare le risorse tagliate all'ISPRA, provvedendo all'immediato avvio degli interventi necessari affinché ne venga recuperato pienamente il ruolo;
          ad adottare un'iniziativa legislativa da presentare alle Camere al fine di riorganizzare l'ISPRA, in coerenza con gli obiettivi di una piena valorizzazione delle competenze e delle professionalità acquisite in seno all'istituto e della volontà di mettere a frutto l'elevato livello di qualificazione tecnico-scientifica del suo personale, nonché di fare dell'ISPRA lo strumento cardine attraverso cui il Ministero renderà effettive le politiche nazionali sull'ambiente;
          a continuare e potenziare il ruolo di coordinamento tecnico in collaborazione con le Agenzie regionali, lavorando in sinergia, al fine di migliorare le prestazioni e i controlli ambientali in tutte le regioni del Paese e di incentivare la stessa collaborazione nella ricerca applicata nei vari progetti ambientali delle realtà territoriali del Paese;
          ad assumere tutte le iniziative di carattere normativo volte a formalizzare con chiarezza la missione dell'istituto, incentrata sugli obiettivi strategici della ricerca in campo ambientale e delle funzioni di monitoraggio e controllo ambientale, in collaborazione con, le agenzie regionali, a supporto di tutte le realtà istituzionali e territoriali del Paese;
          a valutare l'opportunità di dare vita ad un vero e proprio «Sistema nazionale delle agenzie per la ricerca e la protezione ambientale», composto dall'ISPRA, quale polo nazionale, e dalle ARPA, quali poli regionali e territoriali, premessa indispensabile per una conferma e per un rilancio della missione istituzionale delle agenzie ambientali, al fine di dotare il Paese di una vera e propria rete nazionale di soggetti tecnici che, nella logica della cooperazione e della sinergia, assicurino omogeneità ed efficacia all'esercizio dell'azione conoscitiva e di controllo pubblico dell'ambiente, a supporto delle politiche di protezione ambientale e di sostenibilità.
9/5389/97.    (Testo modificato nel corso della seduta) Mariani, Bratti, Realacci, Benamati, Bocci, Braga, Esposito, Ginoble, Iannuzzi, Marantelli, Margiotta, Morassut, Motta, Viola.


      La Camera,
          premesso che:
              a seguito dell'entrata in vigore del comma 22 dell'articolo 23 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214, è stata disposta l'immediata soppressione di ogni forma di remunerazione, indennità o gettone di presenza anche nei confronti dei Presidenti, già in carica, dei consigli circoscrizionali dei comuni capoluogo di Provincia inferiori ai 250 mila abitanti;
              appare dubbia la meccanica trasposizione dell'allocuzione di «ente territoriale non previsto dalla Costituzione» nei confronti delle circoscrizioni che, ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267 sono identificati quali organismi di decentramento comunale;
              risultano tutt'ora vigenti le disposizioni di cui all'articolo 82 del citato decreto legislativo 267, relative alle indennità per i diversi responsabili delle amministrazioni locali e delle loro articolazioni;
              ci si riferisce a un numero molto limitato di figure che, peraltro, avevano già avviato il loro incarico prima dell'entrata in vigore delle nuove disposizioni e che più correttamente sarebbe stato opportuno farle valere a decorrere dei nuovi mandati,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di rivedere la disposizione in questione, considerandone l'eventuale applicabilità a decorrere dei prossimi mandati.
9/5389/98. Giovanelli.


      La Camera,
          premesso che:
              a norma dell'articolo 16, comma 8, del provvedimento, fermi restando i vincoli assunzionali di cui all'articolo 76 del decreto-legge n.  112 del 2008 convertito dalla legge n.  133 del 2008, e successive modificazioni ed integrazioni, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro il 31 dicembre 2012 d'intesa con Conferenza Stato-città ed autonomie locali, sono stabiliti i parametri di virtuosità per la determinazione delle dotazioni organiche degli enti locali, tenendo prioritariamente conto del rapporto tra dipendenti e popolazione residente;
              a decorrere dalla data di efficacia del decreto gli enti che risultino collocati ad un livello superiore del 20 per cento rispetto alla media non possono effettuare assunzioni a qualsiasi titolo; gli enti che risultino collocati ad un livello superiore del 40 per cento rispetto alla media applicano le misure di gestione delle eventuali situazioni di soprannumero di cui all'articolo 2, comma 11, e seguenti;
              le misure ipotizzate per la gestione del soprannumero sono: il collocamento a riposo con i requisiti precedenti a quelli introdotti dal decreto «Salva Italia», purché esigibili entro il 31 dicembre 2014; l'avvio di processi di mobilità guidata, anche intercompartimentale, intesi alla ricollocazione, presso uffici delle amministrazioni che presentino vacanze di organico, del personale non riassorbibile secondo i criteri del collocamento a riposo di cui sopra;
              che per il personale non riassorbibile nei tempi e con le modalità di cui sopra, le amministrazioni dichiarano l'esubero, comunque non oltre il 30 giugno 2013. Il periodo di 24 mesi di mobilità può essere aumentato fino a 48 mesi laddove il personale collocato in disponibilità maturi entro il predetto arco temporale i requisiti per il trattamento pensionistico;
              ad oggi la media nazionale di virtuosità, nel rapporto tra dipendenti comunali e popolazione residente, indicata nel decreto ministeriale Interno 16 marzo 2011 «Rapporti medi dipendenti-popolazione validi per gli Enti in condizioni di dissesto, per il triennio 2011-2013», per i Comuni fino a 10.000 abitanti è di 1/144 (1 dipendente ogni 144 abitanti);
              alcuni enti locali, come il Comune di San Gimignano che conta una popolazione residente di 7800 abitanti ed ha un numero di dipendenti comunali a tempo indeterminato pari a 89 unità, ovvero un rapporto tra abitanti e dipendenti è pari a 1/87 e che ha raggiunto una straordinaria virtuosità del Bilancio, hanno avuto il formale riconoscimento di «Ente virtuoso» con il Decreto Mef 48345 del 25 giugno 2012;
              nonostante tale riconoscimento, a causa del rapporto tra abitanti e dipendenti tali amministrazioni, questi enti sono costretti a privarsi di dipendenti che, verosimilmente, non trovando posti vacanti in altre amministrazioni d'Italia, si troverebbero improvvisamente senza alcun posto di lavoro;
               a causa della vocazione turistica della maggior parte del nostro paese, molti enti locali non erogano servizi solo ai propri residenti ma anche a moltissimi turisti;
              la riduzione del personale per quei comuni riconosciuti come virtuosi e a forte vocazione turistica – come ad esempio il Comune di San Gimignano – comporterebbe la dismissione della gestione diretta di importanti servizi che garantiscono all'Ente introiti tali che hanno permesso negli anni l'abbattimento pressoché totale del debito e l'erogazione di efficienti servizi ai cittadini e ai turisti nonché un contenimento del livello impositivo locale (per esempio la non introduzione dell'addizionale Irpef comunale);
              così facendo si rinuncerebbe ad una coerenza di fondo già sancita dallo stato italiano con altre leggi: e cioè che i Comuni non sono tutti uguali e che coloro che lo Stato indica come virtuosi non possono essere equiparati agli altri,

impegna il Governo

a verificare gli effetti applicativi dell'articolo 16, comma 8, al fine di riconsiderare il principio ivi contenuto sul rapporto tra dipendenti e numero di residenti alla luce delle specificità e delle virtuosità dei bilanci dei singoli enti.
9/5389/99. Albini, Cenni, Realacci, Toccafondi.


      La Camera,
          premesso che:
              a norma dell'articolo 16, comma 8, del provvedimento, fermi restando i vincoli assunzionali di cui all'articolo 76 del decreto-legge n.  112 del 2008 convertito dalla legge n.  133 del 2008, e successive modificazioni ed integrazioni, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro il 31 dicembre 2012 d'intesa con Conferenza Stato-città ed autonomie locali, sono stabiliti i parametri di virtuosità per la determinazione delle dotazioni organiche degli enti locali, tenendo prioritariamente conto del rapporto tra dipendenti e popolazione residente;
              a decorrere dalla data di efficacia del decreto gli enti che risultino collocati ad un livello superiore del 20 per cento rispetto alla media non possono effettuare assunzioni a qualsiasi titolo; gli enti che risultino collocati ad un livello superiore del 40 per cento rispetto alla media applicano le misure di gestione delle eventuali situazioni di soprannumero di cui all'articolo 2, comma 11, e seguenti;
              le misure ipotizzate per la gestione del soprannumero sono: il collocamento a riposo con i requisiti precedenti a quelli introdotti dal decreto «Salva Italia», purché esigibili entro il 31 dicembre 2014; l'avvio di processi di mobilità guidata, anche intercompartimentale, intesi alla ricollocazione, presso uffici delle amministrazioni che presentino vacanze di organico, del personale non riassorbibile secondo i criteri del collocamento a riposo di cui sopra;
              che per il personale non riassorbibile nei tempi e con le modalità di cui sopra, le amministrazioni dichiarano l'esubero, comunque non oltre il 30 giugno 2013. Il periodo di 24 mesi di mobilità può essere aumentato fino a 48 mesi laddove il personale collocato in disponibilità maturi entro il predetto arco temporale i requisiti per il trattamento pensionistico;
              ad oggi la media nazionale di virtuosità, nel rapporto tra dipendenti comunali e popolazione residente, indicata nel decreto ministeriale Interno 16 marzo 2011 «Rapporti medi dipendenti-popolazione validi per gli Enti in condizioni di dissesto, per il triennio 2011-2013», per i Comuni fino a 10.000 abitanti è di 1/144 (1 dipendente ogni 144 abitanti);
              alcuni enti locali, come il Comune di San Gimignano che conta una popolazione residente di 7800 abitanti ed ha un numero di dipendenti comunali a tempo indeterminato pari a 89 unità, ovvero un rapporto tra abitanti e dipendenti è pari a 1/87 e che ha raggiunto una straordinaria virtuosità del Bilancio, hanno avuto il formale riconoscimento di «Ente virtuoso» con il Decreto Mef 48345 del 25 giugno 2012;
              nonostante tale riconoscimento, a causa del rapporto tra abitanti e dipendenti tali amministrazioni, questi enti sono costretti a privarsi di dipendenti che, verosimilmente, non trovando posti vacanti in altre amministrazioni d'Italia, si troverebbero improvvisamente senza alcun posto di lavoro;
               a causa della vocazione turistica della maggior parte del nostro paese, molti enti locali non erogano servizi solo ai propri residenti ma anche a moltissimi turisti;
              la riduzione del personale per quei comuni riconosciuti come virtuosi e a forte vocazione turistica – come ad esempio il Comune di San Gimignano – comporterebbe la dismissione della gestione diretta di importanti servizi che garantiscono all'Ente introiti tali che hanno permesso negli anni l'abbattimento pressoché totale del debito e l'erogazione di efficienti servizi ai cittadini e ai turisti nonché un contenimento del livello impositivo locale (per esempio la non introduzione dell'addizionale Irpef comunale);
              così facendo si rinuncerebbe ad una coerenza di fondo già sancita dallo stato italiano con altre leggi: e cioè che i Comuni non sono tutti uguali e che coloro che lo Stato indica come virtuosi non possono essere equiparati agli altri,

impegna il Governo

a valutare nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, gli effetti applicativi dell'articolo 16, comma 8, al fine di riconsiderare il principio ivi contenuto sul rapporto tra dipendenti e numero di residenti alla luce delle specificità e delle virtuosità dei bilanci dei singoli enti.
9/5389/99.    (Testo modificato nel corso della seduta) Albini, Cenni, Realacci, Toccafondi.


      La Camera,
          premesso che:
              per effetto dell'articolo 7, commi 3-bis e 4 del decreto-legge n.  78 del 2010, convertito nella legge 30 luglio 2010, n.  122, l'ENAM (Ente Nazionale Assistenza Magistrale) è stato soppresso e le sue funzioni nonché le sue risorse strumentali, umane e finanziarie sono state attribuite all'INPDAP, a sua volta soppresso e confluito nell'INPS;
              la norma di soppressione dell'ENAM non ha però abolito l'obbligatorietà della contribuzione da parte delle categorie interessate, continua, quindi, ad operare il prelevamento obbligatorio del contributo (1 per cento sullo stipendio lordo) a carico delle categorie indicate nello Statuto del soppresso ENAM, ossia i docenti di scuola primaria e dell'infanzia e i dirigenti scolastici ex direttori didattici;
              le prestazioni assistenziali erogate dalla gestione ex ENAM costituiscono una duplicazione di quelle già garantite dall'ex INPDAP oggi INPS, con conseguente aggravio gestionale per le strutture preposte all'erogazione delle prestazioni stesse;
              la gestione del contributo ENAM da parte dell’ex INPDAP, inoltre, assume aspetti di eccezionalità rispetto alla normale gestione delle attività assistenziali ex INPDAP, in quanto diretta non a tutto il personale delle pubbliche amministrazioni ma solo a specifiche categorie e in quanto non mediata – come avviene ad esempio per l'attività creditizia (prestiti, mutui, eccetera erogati dall’ex INPDAP) – dagli enti datori di lavoro, che devono rilasciare le previste autorizzazioni a garanzia;
              che tra le finalità del decreto-legge in discussione vi è quella di contribuire a garantire, anche attraverso l'effettiva soppressione di enti e società, la razionalizzazione, l'efficienza e l'economicità dell'organizzazione degli enti e degli apparati pubblici, conservando invariati i livelli di servizio per i cittadini,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità di adottare le opportune iniziative, anche di carattere normativo volte:
              all'abolizione dell'obbligatorietà del contributo ex ENAM a carico delle categorie di riferimento (docenti di scuola primaria e dell'infanzia e dirigenti scolastici ex direttori didattici);
              alla confluenza dei servizi e dei benefici assistenziali già previsti dagli articoli 2 e 2-bis del decreto legislativo del capo provvisorio dello stato 21 ottobre 1947, n.  1346, istitutivo dell'ENAM, all'interno della gestione unitaria autonoma delle prestazioni creditizie e sociali istituita con l'articolo 1, comma 245, della legge 23 dicembre 1996, n.  662, a favore di tutti gli iscritti a tale gestione;
              all'eventuale istituzione di un contributo volontario mensile rivolto alla totalità degli iscritti alla gestione ex INPDAP e disciplinato con un regolamento adottato dall'INPS, al fine di assicurare ad una platea molto vasta di dipendenti (oltre 3 milioni), l'erogazione di servizi e prestazioni assistenziali aggiuntivi rispetto a quelli già erogati, con un aumento delle prestazioni complessive di welfare a loro favore.
9/5389/100. Codurelli.


      La Camera,
          premesso che:
              da più di dieci anni si è assiste ad una progressiva riduzione dei trasferimenti agli enti locali ed in particolare dei trasferimenti erariali ai Comuni: nel 2003 il totale dei trasferimenti agli enti locali era pari a 13 miliardi di euro, nel 2012 tale cifra è stata portata a 6 miliardi, un taglio di oltre 7 miliardi di euro negli ultimi nove anni effettuato in modo lineare;
              i commi 6 e 7 dell'articolo 16 del presente decreto dispongono una ulteriore riduzione dei fondi sperimentali di riequilibrio, ovvero dei fondi perequativi, dei comuni e delle province – nonché dei trasferimenti erariali spettanti ai comuni e alle province delle Regioni Siciliana e Sardegna: per i comuni si tratta di 500 milioni di euro per l'anno 2012, 2.000 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e 2.100 milioni a decorrere dall'anno 2015;
              i trasferimenti sono storicamente sperequati e danneggiano in particolare gli enti sotto dotati economicamente. Con questo ulteriore taglio non selettivo, si rischia effettivamente di riverberare ulteriori ingiustizie ed iniquità, mentre sarebbe necessario adottare i parametri relativi ai fabbisogni standard, in modo da ridistribuire il fondo perequativo in modo equo;
              il decreto in esame rischia di incidere in maniera assai seria sui servizi ai cittadini, senza valorizzare gli sforzi che gli enti locali interessati da Piani di rientro ai sensi dell'articolo 1, comma 166 e seguenti, della legge n.  266 del 2005, stanno attuando,

impegna il Governo

a differire i termini programmatici dei piani di rientro di cui agli articoli 193 e 194 del TUEL fino a due anni.
9/5389/101. Boccia.


      La Camera,
          premesso che:
              da più di dieci anni si è assiste ad una progressiva riduzione dei trasferimenti agli enti locali ed in particolare dei trasferimenti erariali ai Comuni: nel 2003 il totale dei trasferimenti agli enti locali era pari a 13 miliardi di euro, nel 2012 tale cifra è stata portata a 6 miliardi, un taglio di oltre 7 miliardi di euro negli ultimi nove anni effettuato in modo lineare;
              i commi 6 e 7 dell'articolo 16 del presente decreto dispongono una ulteriore riduzione dei fondi sperimentali di riequilibrio, ovvero dei fondi perequativi, dei comuni e delle province – nonché dei trasferimenti erariali spettanti ai comuni e alle province delle Regioni Siciliana e Sardegna: per i comuni si tratta di 500 milioni di euro per l'anno 2012, 2.000 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e 2.100 milioni a decorrere dall'anno 2015;
              i trasferimenti sono storicamente sperequati e danneggiano in particolare gli enti sotto dotati economicamente. Con questo ulteriore taglio non selettivo, si rischia effettivamente di riverberare ulteriori ingiustizie ed iniquità, mentre sarebbe necessario adottare i parametri relativi ai fabbisogni standard, in modo da ridistribuire il fondo perequativo in modo equo;
              il decreto in esame rischia di incidere in maniera assai seria sui servizi ai cittadini, senza valorizzare gli sforzi che gli enti locali interessati da Piani di rientro ai sensi dell'articolo 1, comma 166 e seguenti, della legge n.  266 del 2005, stanno attuando,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di differire i termini programmatici dei piani di rientro di cui agli articoli 193 e 194 del TUEL fino a due anni.
9/5389/101.    (Testo modificato nel corso della seduta) Boccia.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 18 del presente decreto stabilisce l'istituzione tassativa delle città metropolitane entro il 1° gennaio 2014 nei territori delle province di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria che sono contestualmente soppresse;
              secondo il comma 3-ter, in caso di mancata approvazione dello statuto della città metropolitana entro il novantesimo giorno antecedente alla scadenza del mandato del presidente della provincia o del commissario, ove anteriore al 2014, ovvero, nel caso di scadenza del mandato del presidente successiva al 1° gennaio 2014, entro il 31 ottobre 2013, il sindaco metropolitano è di diritto il sindaco del comune capoluogo, fino alla data di approvazione dello statuto definitivo della città metropolitana nel caso in cui lo stesso preveda l'elezione del sindaco, e comunque, fino alla data di cessazione del suo mandato;
              si ricorda che, in merito all'ordinamento di Roma capitale, sono stati già emanati i decreti legislativi 156 del 2010 e 61 del 2012 attuativi della delega per la disciplina dell'ordinamento transitorio di Roma capitale, contenuta nella legge sul federalismo fiscale n.  42 del 2009;
              tali decreti definiscono status, ordinamento e funzioni di Roma in qualità di capitale della Repubblica,

impegna il Governo

a tenere in considerazione, in fase di attuazione della normativa sulle città metropolitane, delle forti specificità dell'ente Roma Capitale anche con riferimento alla sua Provincia.
9/5389/102. Rugghia.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 18 del presente decreto stabilisce l'istituzione tassativa delle città metropolitane entro il 1° gennaio 2014 nei territori delle province di Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria che sono contestualmente soppresse;
              secondo il comma 3-ter, in caso di mancata approvazione dello statuto della città metropolitana entro il novantesimo giorno antecedente alla scadenza del mandato del presidente della provincia o del commissario, ove anteriore al 2014, ovvero, nel caso di scadenza del mandato del presidente successiva al 1° gennaio 2014, entro il 31 ottobre 2013, il sindaco metropolitano è di diritto il sindaco del comune capoluogo, fino alla data di approvazione dello statuto definitivo della città metropolitana nel caso in cui lo stesso preveda l'elezione del sindaco, e comunque, fino alla data di cessazione del suo mandato;
              si ricorda che, in merito all'ordinamento di Roma capitale, sono stati già emanati i decreti legislativi 156 del 2010 e 61 del 2012 attuativi della delega per la disciplina dell'ordinamento transitorio di Roma capitale, contenuta nella legge sul federalismo fiscale n.  42 del 2009;
              tali decreti definiscono status, ordinamento e funzioni di Roma in qualità di capitale della Repubblica,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di tenere in considerazione, in fase di attuazione della normativa sulle città metropolitane, delle forti specificità dell'ente Roma Capitale anche con riferimento alla sua Provincia.
9/5389/102.    (Testo modificato nel corso della seduta) Rugghia.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 19 definisce le funzioni fondamentali dei comuni ai sensi dell'articolo 117, primo comma, lettera p), modificando la disciplina dell'obbligatorio esercizio di funzioni e novella quella dell'unione di comuni contenuta nel Testo unico per gli enti locali;
              l'articolo 21, comma 3, della legge n.  42 del 2009, aveva definito le funzioni fondamentali dei comuni solo in via provvisoria ed esclusivamente ai fini perseguiti dalla disciplina complessiva in essa contenuta, vale a dire determinazione dei fabbisogni e delle spese degli enti locali: sulla base di tale definizione il decreto legislativo n.  216 del 2010 ha stabilito disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di Comuni, Città metropolitane e Province;
              il comma 1, lettera a), del citato articolo 19 reca, invece, un'individuazione di funzioni fondamentali non marcata da finalità specifiche o transitorie, bensì con vocazione a regime, che comprende sia funzioni strumentali, relative alla gestione e organizzazione degli enti, sia funzioni dirette alla comunità territoriale,

impegna il Governo

a garantire, se necessario con appositi atti, che sia portato a compimento il primo ciclo di calcolo dei fabbisogni standard degli enti locali, attualmente in avanzata fase di elaborazione sulla base di quanto stabilito dal decreto legislativo n.  216 del 2010, a partire dalla classificazione provvisoria delle funzioni fondamentali recata dalla legge n.  42 del 2009, così evitando che la diversa classificazione introdotta dal presente provvedimento, la quale dovrà essere utilizzata a partire dal secondo ciclo, possa avere l'effetto indesiderato di interrompere l'esercizio statistico e conoscitivo in corso, che mantiene con ogni evidenza grande importanza ai fini del controllo della spesa pubblica.
9/5389/103. Causi.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 19 definisce le funzioni fondamentali dei comuni ai sensi dell'articolo 117, primo comma, lettera p), modificando la disciplina dell'obbligatorio esercizio di funzioni e novella quella dell'unione di comuni contenuta nel Testo unico per gli enti locali;
              l'articolo 21, comma 3, della legge n.  42 del 2009, aveva definito le funzioni fondamentali dei comuni solo in via provvisoria ed esclusivamente ai fini perseguiti dalla disciplina complessiva in essa contenuta, vale a dire determinazione dei fabbisogni e delle spese degli enti locali: sulla base di tale definizione il decreto legislativo n.  216 del 2010 ha stabilito disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di Comuni, Città metropolitane e Province;
              il comma 1, lettera a), del citato articolo 19 reca, invece, un'individuazione di funzioni fondamentali non marcata da finalità specifiche o transitorie, bensì con vocazione a regime, che comprende sia funzioni strumentali, relative alla gestione e organizzazione degli enti, sia funzioni dirette alla comunità territoriale,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di garantire, se necessario con appositi atti, che sia portato a compimento il primo ciclo di calcolo dei fabbisogni standard degli enti locali, attualmente in avanzata fase di elaborazione sulla base di quanto stabilito dal decreto legislativo n.  216 del 2010, a partire dalla classificazione provvisoria delle funzioni fondamentali recata dalla legge n.  42 del 2009, così evitando che la diversa classificazione introdotta dal presente provvedimento, la quale dovrà essere utilizzata a partire dal secondo ciclo, possa avere l'effetto indesiderato di interrompere l'esercizio statistico e conoscitivo in corso, che mantiene con ogni evidenza grande importanza ai fini del controllo della spesa pubblica.
9/5389/103.    (Testo modificato nel corso della seduta) Causi.


      La Camera,
          premesso che:
              a partire dai primi mesi del 2011, in concomitanza con i fatti della cosiddetta «primavera araba» un numero considerevole di comunità alloggio, si sta occupando della accoglienza dei minori stranieri non accompagnati rientranti nell'emergenza Nord Africa, così come previsto dall'Opcm 3924 del 18 febbraio 2011 e dall'Opcm n.  3933 del 13 aprile 2011;
              le strutture di accoglienza succitate, pur avendo accettato di rivedere al ribasso le rette per il sostentamento dei minori ospiti, non ricevono il pagamento delle rette da più di un anno, poiché manca lo stanziamento di fondi sul bilancio dello Stato; questa situazione rischia di mettere in crisi non solo le stesse case di accoglienza ma soprattutto il futuro dei tanti minori stranieri che in queste strutture sono stati accolti e avviati verso un normale percorso di vita sociale e culturale;
              risulta che alcuni comuni hanno provveduto alle anticipazioni dei fondi alle strutture, in particolare i comuni dell'Emilia-Romagna, della Lombardia e il comune di Roma. Tutto ciò è però molto relativo, in quanto le strutture nella maggior parte dei casi sono collocate in piccoli comuni che non hanno in nessun modo la possibilità di effettuare anticipazioni, perché questo comporterebbe il dissesto dell'ente,

impegna il Governo

ad emanare con urgenza l'ordinanza indispensabile a sbloccare le risorse già assegnate alla protezione civile per il pagamento delle case e delle comunità che hanno accolto i minori stranieri non accompagnati arrivati a seguito della cosiddetta emergenza Africa.
9/5389/104. Zampa, Burtone.


      La Camera,
          premesso che:
              a partire dai primi mesi del 2011, in concomitanza con i fatti della cosiddetta «primavera araba» un numero considerevole di comunità alloggio, si sta occupando della accoglienza dei minori stranieri non accompagnati rientranti nell'emergenza Nord Africa, così come previsto dall'Opcm 3924 del 18 febbraio 2011 e dall'Opcm n.  3933 del 13 aprile 2011;
              le strutture di accoglienza succitate, pur avendo accettato di rivedere al ribasso le rette per il sostentamento dei minori ospiti, non ricevono il pagamento delle rette da più di un anno, poiché manca lo stanziamento di fondi sul bilancio dello Stato; questa situazione rischia di mettere in crisi non solo le stesse case di accoglienza ma soprattutto il futuro dei tanti minori stranieri che in queste strutture sono stati accolti e avviati verso un normale percorso di vita sociale e culturale;
              risulta che alcuni comuni hanno provveduto alle anticipazioni dei fondi alle strutture, in particolare i comuni dell'Emilia-Romagna, della Lombardia e il comune di Roma. Tutto ciò è però molto relativo, in quanto le strutture nella maggior parte dei casi sono collocate in piccoli comuni che non hanno in nessun modo la possibilità di effettuare anticipazioni, perché questo comporterebbe il dissesto dell'ente,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di emanare con urgenza l'ordinanza indispensabile a sbloccare le risorse già assegnate alla protezione civile per il pagamento delle case e delle comunità che hanno accolto i minori stranieri non accompagnati arrivati a seguito della cosiddetta emergenza Africa.
9/5389/104.    (Testo modificato nel corso della seduta) Zampa, Burtone.


      La Camera,
          premesso che:
              nel disegno di legge in esame sono presenti norme che intervengono anche per l'anno in corso, riducendo consistentemente le risorse finanziarie delle amministrazioni provinciali: in particolare con gli articoli 3 («Razionalizzazione del patrimonio pubblico e riduzione dei costi per locazioni passive») e 16 («Riduzione della spesa degli enti territoriali»);
              l'articolo 16 opera tagli sulla dotazione economica degli enti territoriali; nello specifico nel biennio 2012-2013, su una manovra totale di 15 miliardi di euro, alle autonomie viene richiesto un contributo di 7,5 miliardi di euro. La percentuale dei tagli previsti per Regioni, Province e Comuni è quindi pari al 68 per cento del totale;
              tale articolo introduce sostanzialmente tagli lineari, secondo metodologie non concertate in sede di conferenza unificata e soprattutto non orientate a valorizzare le virtuosità e le differenti vocazioni dei singoli enti nel loro contesto territoriale;
              con l'atto in oggetto si procede a definire termini e scadenze per la riorganizzazione delle Province, che comunque non sarà completata prima dell'anno 2014 e che pertanto dovrebbe vedere sino a quel momento tali Enti pienamente operativi nelle loro competenze e nelle loro deleghe;
              dai dati resi noti dall'Unione Province Italiane, le Province, più di ogni altro ente, hanno contratto la propria spesa corrente nel periodo 2008-2011 raggiungendo una riduzione del 6,4 per cento. Le Regioni, nello stesso arco temporale, hanno aumentato le spese dell'1,86 per cento, i Comuni dell'8 per cento, mentre lo Stato ha ridotto la spesa corrente del 1,97 per cento;
              la Costituzione riconosce e valorizza l'autonomia amministrativa e finanziaria delle Province;
              nel corso dell'anno 2012, per gli effetti della Legge numero 122 del 2010 e della Legge numero 2014 del 2011, le Province hanno già sostenuto un taglio di risorse di 915 milioni di euro;
              la riduzione delle risorse prevista nel provvedimento in esame determina una riduzione di 500 milioni di euro per il 2012 ed un miliardo di euro per il 2013 del Fondo sperimentale di riequilibrio delle province: una riduzione che contrasta palesemente con i principi della Costituzione e dei criteri contenuti nella Legge delega sul Federalismo fiscale (Legge numero 42 del 2009);
              tale riduzione, per i criteri con i quali è stata calcolata, penalizza di fatto le amministrazioni più virtuose e quelle che hanno esercitato deleghe e gestito risorse regionali e comunitarie per quanto riguarda l'anno 2012 si tratta quindi una riduzione che va ad intaccare i bilanci in corso delle amministrazioni; le Province dovranno dunque, negli ultimi 5 mesi dell'anno 2012, contrarre i propri consumi intermedi di oltre il 13 per cento su base annua (quasi il 26 per cento se consideriamo che si deve agire sui mesi rimanente del 2012);
              tale riduzione immediata ed ovviamente non prevista, che intacca quindi capitoli di spesa già approvati, impegni già assunti, anziché promuovere una razionalizzazione ed un efficientamento delle risorse economiche, come nelle intenzioni del presente provvedimento, rischia sin dalle prossime settimane di compromettere immediatamente l'erogazione efficace dei servizi dovuti, per le competenze delle amministrazioni provinciali o di funzioni delegate dalle Regioni, al cittadino ed alle imprese (trasporto pubblico, formazione professionale, manutenzione di immobili pubblici tra cui le scuole e delle infrastrutture stradali,), la remunerazione del personale dipendente, nonché provocare lo stop a lavori e cantieri sul reticolo stradale di competenza, e di messa a norma (antisismica ed antincendio) degli edifici scolastici provocando contenzioso nonché ulteriori rallentamenti nei pagamenti alle aziende creditrici;
              l'articolo 3 del disegno di legge in esame prevede, già dall'anno corrente, un regime di gratuità per l'utilizzo per fini istituzionali, per l'utilizzo da parte delle amministrazioni statali, di immobili di proprietà degli enti territoriali. Si tratta di una ulteriore non prevista detrazione di entrate finanziarie, considerato che diffusamente Prefetture e Caserme utilizzano immobili di proprietà Provinciale che comprometterebbe ancora maggiormente ed immediatamente la capacità di spesa e di gestione dell'esercizio da parte delle Province;
              per le Province la perdita di gettito stimata sarebbe di circa 60 milioni di euro annui, mentre non è stato ancora chiarito se gli enti locali titolari degli immobili dovranno comunque continuare a sostenere le spese di manutenzione di tali strutture;
              va inoltre aggiunto, in questo contesto, che il disegno di legge in esame non prevede, soprattutto per le amministrazioni virtuose, la rideterminazione degli obiettivi del Patto di stabilità interno per l'anno 2012 e per quelli successivi: tale modifica sarebbe invece necessaria per compensare i tagli introdotti citati in precedenza,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità anche ai fini del quadro economico finanziario che si viene a determinare, in sede di Conferenza unificata, di concedere tempi più adeguati a Regioni e Cal, fermo restando il termine ultimo previsto nella riorganizzazione degli ambiti provinciali, utili alla definizione di indicatori certi dal punto di vista geografico, territoriale, economico e sociale, per i nuovi accorpamenti;
          ad esaminare e valutare le conseguenze economico finanziarie sugli enti provinciali, che genereranno:
              a) il blocco della maggior parte delle attività di adeguamento alle norme antisismiche ed antincendio degli edifici scolastici, delle attività di messa in sicurezza del reticolo stradale di competenza;
              b) la impossibilità di garantire nell'anno in corso interventi di carattere straordinario per far fronte a calamità, quali nevicate eccetera;
              c) difficoltà nel cofinanziamento ai finanziamenti comunitari nell'esercizio di deleghe regionali;
              d) ricadute sulle imprese impegnate in opere di manutenzione e lavori pubblici, che si vanno a generare sul bilancio in corso, a causa della somma tra il taglio prodotto con lo svuotamento del Fondo Sperimentale di riequilibrio ed il mancato introito dagli affitti pagati da altre amministrazioni dello Stato (Prefetture, Caserme eccetera);
          a calcolare il taglio sul fondo sperimentale di riequilibrio, tenendo conto delle spese correnti 2011, come da certificato al conto Consuntivo, al netto del Titolo II, categoria 3 entrate (trasferimenti da Regione per funzioni delegate);
          a rispettare nell'assegnazione delle risorse di cui all'articolo 17 comma 13-ter, criteri direttamente proporzionali all'entità del taglio pro-capite del fondo sperimentale di riequilibrio;
          ad adottare iniziative normative sollecite al fine di implementare il fondo di cui al comma 13-ter dell'articolo 1 al fine di evitare un disavanzo anche nelle Province virtuose sul bilancio in corso;
          a valutare la possibilità di differire alla data di entrata in vigore della nuova organizzazione delle Province, la possibilità prevista dall'arte del presente provvedimento circa l'uso gratuito di immobili, per quelle Amministrazioni dello Stato in affitto presso immobili di proprietà delle amministrazioni provinciali oggetto di riorganizzazione.
9/5389/105. Cenni, Bressa, Mariani, Sani, Mattesini, Albini, Giovanelli, Fontanelli, Motta, Trappolino, Gatti, Realacci, Codurelli.


      La Camera,
          premesso che:
              nel disegno di legge in esame sono presenti norme che intervengono anche per l'anno in corso, riducendo consistentemente le risorse finanziarie delle amministrazioni provinciali: in particolare con gli articoli 3 («Razionalizzazione del patrimonio pubblico e riduzione dei costi per locazioni passive») e 16 («Riduzione della spesa degli enti territoriali»);
              l'articolo 16 opera tagli sulla dotazione economica degli enti territoriali; nello specifico nel biennio 2012-2013, su una manovra totale di 15 miliardi di euro, alle autonomie viene richiesto un contributo di 7,5 miliardi di euro. La percentuale dei tagli previsti per Regioni, Province e Comuni è quindi pari al 68 per cento del totale;
              tale articolo introduce sostanzialmente tagli lineari, secondo metodologie non concertate in sede di conferenza unificata e soprattutto non orientate a valorizzare le virtuosità e le differenti vocazioni dei singoli enti nel loro contesto territoriale;
              con l'atto in oggetto si procede a definire termini e scadenze per la riorganizzazione delle Province, che comunque non sarà completata prima dell'anno 2014 e che pertanto dovrebbe vedere sino a quel momento tali Enti pienamente operativi nelle loro competenze e nelle loro deleghe;
              dai dati resi noti dall'Unione Province Italiane, le Province, più di ogni altro ente, hanno contratto la propria spesa corrente nel periodo 2008-2011 raggiungendo una riduzione del 6,4 per cento. Le Regioni, nello stesso arco temporale, hanno aumentato le spese dell'1,86 per cento, i Comuni dell'8 per cento, mentre lo Stato ha ridotto la spesa corrente del 1,97 per cento;
              la Costituzione riconosce e valorizza l'autonomia amministrativa e finanziaria delle Province;
              nel corso dell'anno 2012, per gli effetti della Legge numero 122 del 2010 e della Legge numero 2014 del 2011, le Province hanno già sostenuto un taglio di risorse di 915 milioni di euro;
              la riduzione delle risorse prevista nel provvedimento in esame determina una riduzione di 500 milioni di euro per il 2012 ed un miliardo di euro per il 2013 del Fondo sperimentale di riequilibrio delle province: una riduzione che contrasta palesemente con i principi della Costituzione e dei criteri contenuti nella Legge delega sul Federalismo fiscale (Legge numero 42 del 2009);
              tale riduzione, per i criteri con i quali è stata calcolata, penalizza di fatto le amministrazioni più virtuose e quelle che hanno esercitato deleghe e gestito risorse regionali e comunitarie per quanto riguarda l'anno 2012 si tratta quindi una riduzione che va ad intaccare i bilanci in corso delle amministrazioni; le Province dovranno dunque, negli ultimi 5 mesi dell'anno 2012, contrarre i propri consumi intermedi di oltre il 13 per cento su base annua (quasi il 26 per cento se consideriamo che si deve agire sui mesi rimanente del 2012);
              tale riduzione immediata ed ovviamente non prevista, che intacca quindi capitoli di spesa già approvati, impegni già assunti, anziché promuovere una razionalizzazione ed un efficientamento delle risorse economiche, come nelle intenzioni del presente provvedimento, rischia sin dalle prossime settimane di compromettere immediatamente l'erogazione efficace dei servizi dovuti, per le competenze delle amministrazioni provinciali o di funzioni delegate dalle Regioni, al cittadino ed alle imprese (trasporto pubblico, formazione professionale, manutenzione di immobili pubblici tra cui le scuole e delle infrastrutture stradali,), la remunerazione del personale dipendente, nonché provocare lo stop a lavori e cantieri sul reticolo stradale di competenza, e di messa a norma (antisismica ed antincendio) degli edifici scolastici provocando contenzioso nonché ulteriori rallentamenti nei pagamenti alle aziende creditrici;
              l'articolo 3 del disegno di legge in esame prevede, già dall'anno corrente, un regime di gratuità per l'utilizzo per fini istituzionali, per l'utilizzo da parte delle amministrazioni statali, di immobili di proprietà degli enti territoriali. Si tratta di una ulteriore non prevista detrazione di entrate finanziarie, considerato che diffusamente Prefetture e Caserme utilizzano immobili di proprietà Provinciale che comprometterebbe ancora maggiormente ed immediatamente la capacità di spesa e di gestione dell'esercizio da parte delle Province;
              per le Province la perdita di gettito stimata sarebbe di circa 60 milioni di euro annui, mentre non è stato ancora chiarito se gli enti locali titolari degli immobili dovranno comunque continuare a sostenere le spese di manutenzione di tali strutture;
              va inoltre aggiunto, in questo contesto, che il disegno di legge in esame non prevede, soprattutto per le amministrazioni virtuose, la rideterminazione degli obiettivi del Patto di stabilità interno per l'anno 2012 e per quelli successivi: tale modifica sarebbe invece necessaria per compensare i tagli introdotti citati in precedenza,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, anche ai fini del quadro economico finanziario che si viene a determinare, in sede di Conferenza unificata, di concedere tempi più adeguati a Regioni e Cal, fermo restando il termine ultimo previsto nella riorganizzazione degli ambiti provinciali, utili alla definizione di indicatori certi dal punto di vista geografico, territoriale, economico e sociale, per i nuovi accorpamenti;
          ad esaminare e valutare le conseguenze economico finanziarie sugli enti provinciali, che genereranno:
              a) il blocco della maggior parte delle attività di adeguamento alle norme antisismiche ed antincendio degli edifici scolastici, delle attività di messa in sicurezza del reticolo stradale di competenza;
              b) la impossibilità di garantire nell'anno in corso interventi di carattere straordinario per far fronte a calamità, quali nevicate eccetera;
              c) difficoltà nel cofinanziamento ai finanziamenti comunitari nell'esercizio di deleghe regionali;
              d) ricadute sulle imprese impegnate in opere di manutenzione e lavori pubblici, che si vanno a generare sul bilancio in corso, a causa della somma tra il taglio prodotto con lo svuotamento del Fondo Sperimentale di riequilibrio ed il mancato introito dagli affitti pagati da altre amministrazioni dello Stato (Prefetture, Caserme eccetera);
          a calcolare il taglio sul fondo sperimentale di riequilibrio, tenendo conto delle spese correnti 2011, come da certificato al conto Consuntivo, al netto del Titolo II, categoria 3 entrate (trasferimenti da Regione per funzioni delegate);
          a rispettare nell'assegnazione delle risorse di cui all'articolo 17 comma 13-ter, criteri direttamente proporzionali all'entità del taglio pro-capite del fondo sperimentale di riequilibrio;
          ad adottare iniziative normative sollecite al fine di implementare il fondo di cui al comma 13-ter dell'articolo 1 al fine di evitare un disavanzo anche nelle Province virtuose sul bilancio in corso;
          a valutare la possibilità di differire alla data di entrata in vigore della nuova organizzazione delle Province, la possibilità prevista dall'arte del presente provvedimento circa l'uso gratuito di immobili, per quelle Amministrazioni dello Stato in affitto presso immobili di proprietà delle amministrazioni provinciali oggetto di riorganizzazione.
9/5389/105.    (Testo modificato nel corso della seduta) Cenni, Bressa, Mariani, Sani, Mattesini, Albini, Giovanelli, Fontanelli, Motta, Trappolino, Gatti, Realacci, Codurelli.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 11 del decreto-legge n.  95 del 2012, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini, al comma 1, reca disposizioni volte al riordino delle Scuole pubbliche di formazione demandando la disciplina a successivi regolamenti di delegificazione, allo scopo espresso di ottimizzare l'allocazione delle risorse e migliorare la qualità delle attività formative dei dirigenti e dei funzionari pubblici, garantendone l'eccellenza e l'interdisciplinarietà;
              i regolamenti menzionati dovranno individuare forme di coordinamento tra le varie scuole, istituti e altre strutture competenti, nonché riformare il sistema di reclutamento e formazione dei dirigenti e dei funzionari pubblici sulla base di taluni criteri di riferimento;
              tali criteri contemplano, tra gli altri: l'eliminazione di sovrapposizioni e duplicazioni delle strutture e delle funzioni coincidenti o analoghe; l'individuazione dei compiti di ciascuna struttura; la concentrazione in un'unica scuola centrale esistente delle funzioni di formazione generica dei dirigenti e dei funzionari, mentre per la formazione specialistica e permanente degli stessi è prevista la tendenziale concentrazione in un'unica struttura esistente per singolo dicastero e per gli enti vigilati dallo stesso; la razionalizzazione e il coordinamento della formazione permanente dei dipendenti delle varie amministrazioni pubbliche; il ricorso a convenzioni tra la scuola centrale unica prevista per la formazione generica e gli enti territoriali per il reclutamento della dirigenza e la formazione dei dipendenti degli enti stessi;
              l'attribuzione dei compiti dell'attuale Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione Locale alla Scuola Superiore dell'Amministrazione dell'Interno potrebbe comportare che a quest'ultima sia attribuita soltanto la formazione dei segretari comunali e provinciali, trascurando la formazione dei dirigenti e degli amministratori degli enti locali, compito questo attualmente curato dalla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione Locale;
              tale intervento potrebbe compromettere le attività di formazione già avviate,

impegna il Governo

ad assicurare che nell'operazione di riordino delle Scuole pubbliche di formazione si salvaguardino anche le attività di formazione attualmente curate dalla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione Locale, di cui all'articolo 104 del TUEL, garantendo la prosecuzione degli attuali organi della Scuola sino alla loro naturale scadenza.
9/5389/106. Losacco.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 11 del decreto-legge n.  95 del 2012, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini, al comma 1, reca disposizioni volte al riordino delle Scuole pubbliche di formazione demandando la disciplina a successivi regolamenti di delegificazione, allo scopo espresso di ottimizzare l'allocazione delle risorse e migliorare la qualità delle attività formative dei dirigenti e dei funzionari pubblici, garantendone l'eccellenza e l'interdisciplinarietà;
              i regolamenti menzionati dovranno individuare forme di coordinamento tra le varie scuole, istituti e altre strutture competenti, nonché riformare il sistema di reclutamento e formazione dei dirigenti e dei funzionari pubblici sulla base di taluni criteri di riferimento;
              tali criteri contemplano, tra gli altri: l'eliminazione di sovrapposizioni e duplicazioni delle strutture e delle funzioni coincidenti o analoghe; l'individuazione dei compiti di ciascuna struttura; la concentrazione in un'unica scuola centrale esistente delle funzioni di formazione generica dei dirigenti e dei funzionari, mentre per la formazione specialistica e permanente degli stessi è prevista la tendenziale concentrazione in un'unica struttura esistente per singolo dicastero e per gli enti vigilati dallo stesso; la razionalizzazione e il coordinamento della formazione permanente dei dipendenti delle varie amministrazioni pubbliche; il ricorso a convenzioni tra la scuola centrale unica prevista per la formazione generica e gli enti territoriali per il reclutamento della dirigenza e la formazione dei dipendenti degli enti stessi;
              l'attribuzione dei compiti dell'attuale Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione Locale alla Scuola Superiore dell'Amministrazione dell'Interno potrebbe comportare che a quest'ultima sia attribuita soltanto la formazione dei segretari comunali e provinciali, trascurando la formazione dei dirigenti e degli amministratori degli enti locali, compito questo attualmente curato dalla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione Locale;
              tale intervento potrebbe compromettere le attività di formazione già avviate,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di assicurare che nell'operazione di riordino delle Scuole pubbliche di formazione si salvaguardino anche le attività di formazione attualmente curate dalla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione Locale, di cui all'articolo 104 del TUEL, garantendo la prosecuzione degli attuali organi della Scuola sino alla loro naturale scadenza.
9/5389/106.    (Testo modificato nel corso della seduta) Losacco.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 12 dei decreto-legge 27 giugno 2012, n.  87, recante misure urgenti in materia di efficientamento, valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico, di razionalizzazione dell'amministrazione economico-finanziaria, nonché misure di rafforzamento dei patrimonio delle imprese del settore bancario, ha previsto (comma 1) la soppressione dell'INRAN e il trasferimento delle sue funzioni al CRA, ad eccezione di quelle già svolte dall'ex INCA che sono soppresse;
              il comma 5 dispone che il personale INRAN (ex INCA) che al momento dell'entrata in vigore del sopraccitato decreto svolge le funzioni trasferite all'INRAN ai sensi della legge n.  122 del 2010 a posto in mobilità;
              tanto nel parere al decreto approvato dalla IX Commissione Agricoltura del Senato quanto in quello approvato dalla XIII Commissione Agricoltura della Camera viene richiamata la necessità di superare le discriminazioni a danno dei 15 dipendenti ex INCA che verranno posti in mobilità a differenza dei loro colleghi dipendenti INIRAN che verranno trasferiti al CRA,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle norme citate, anche alla luce delle considerazioni svolte in premessa, al fine di evitare che i 15 dipendenti ex INCA vengano posti in mobilita e che quindi vengano disperse le competenze e le professionalità che, viceversa, potrebbero essere utilmente valorizzate in seno al CRA a cui il decreto-legge in esame attribuisce le funzioni del sopprimendo INRAN.
9/5389/107. Motta, Zucchi.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 9, comma 1, del decreto in esame prescrive a regioni, comuni e province, obblighi di soppressione o accorpamento o di riduzione di oneri finanziari per enti, agenzie e organismi di qualsiasi natura giuridica ad essi riconducibili, «al fine di assicurare il contenimento della spesa e il migliore svolgimento delle funzioni amministrative»; al successivo comma 1-bis del medesimo articolo 9, si escludono dall'applicazione di tali disposizioni le aziende speciali e le istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali, educativi e culturali;
              l'articolo 14 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267 recante il «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali» individua al i comma l'azienda speciale come «ente strumentale dell'ente locale dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto, approvato dal consiglio comunale o provinciale e al comma 2 l'istituzione quale organismo strumentale dell'ente locale per l'esercizio di servizi sociali, dotato di autonomia gestionale»;
              l'articolo 25, comma 2, lettera a), della legge 24 marzo 2012 n.  27 di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» ha disposto che dall'anno 2013, le aziende speciali e le istituzioni siano assoggettate al patto di stabilità interno, ma ha espressamente escluso da tale prescrizione le «aziende speciali e istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali ed educativi, culturali e farmacie»;
              il comma 6 dell'articolo 9 del decreto in esame fa divieto agli enti locali di istituire enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o più funzioni fondamentali e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione;
              le funzioni relative alla gestione dei servizi socio-assistenziali, educativi e culturali rientrano tra le funzioni fondamentali dei Comuni a norma dell'articolo 19 del provvedimento in esame;

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa allo scopo di prevedere espressa esclusione delle aziende speciali e delle istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali, educativi e culturali anche dall'applicazione del comma 6 dell'articolo 9 del decreto in esame.
9/5389/108. Fiorio, Lovelli.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 9, comma 1, del decreto in esame prescrive a regioni, comuni e province, obblighi di soppressione o accorpamento o di riduzione di oneri finanziari per enti, agenzie e organismi di qualsiasi natura giuridica ad essi riconducibili, «al fine di assicurare il contenimento della spesa e il migliore svolgimento delle funzioni amministrative»; al successivo comma 1-bis del medesimo articolo 9, si escludono dall'applicazione di tali disposizioni le aziende speciali e le istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali, educativi e culturali;
              l'articolo 14 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267 recante il «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali» individua al i comma l'azienda speciale come «ente strumentale dell'ente locale dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto, approvato dal consiglio comunale o provinciale e al comma 2 l'istituzione quale organismo strumentale dell'ente locale per l'esercizio di servizi sociali, dotato di autonomia gestionale»;
              l'articolo 25, comma 2, lettera a), della legge 24 marzo 2012 n.  27 di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.  1, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» ha disposto che dall'anno 2013, le aziende speciali e le istituzioni siano assoggettate al patto di stabilità interno, ma ha espressamente escluso da tale prescrizione le «aziende speciali e istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali ed educativi, culturali e farmacie»;
              il comma 6 dell'articolo 9 del decreto in esame fa divieto agli enti locali di istituire enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o più funzioni fondamentali e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione;
              le funzioni relative alla gestione dei servizi socio-assistenziali, educativi e culturali rientrano tra le funzioni fondamentali dei Comuni a norma dell'articolo 19 del provvedimento in esame;

impegna il Governo

a valutare, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa allo scopo di prevedere espressa esclusione delle aziende speciali e delle istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali, educativi e culturali anche dall'applicazione del comma 6 dell'articolo 9 del decreto in esame.
9/5389/108.    (Testo modificato nel corso della seduta) Fiorio, Lovelli.


      La Camera,
          premesso che:
              con il provvedimento sulla revisione della spesa pubblica in esame alla Camera dei deputati si avvia un processo di profondo riordino del sistema delle province finalizzato a ridurre e razionalizzare la spesa pubblica ad «invarianza dei servizi ai cittadini»;
              tale riordino non potrà che tener conto delle caratteristiche, delle vocazioni e delle necessità dei territori interessati, In maniera tale da permettere il massimo contributo di tutti al futuro dell'intero Paese;
              sarà necessario garantire, nel rispetto delle decisioni assunte, il pieno coinvolgimento delle istituzioni locali;
              vari presidenti di Regione, come il presidente della regione Toscana Enrico Rossi, hanno dichiarato la disponibilità di farsi carico del processo di razionalizzazione;

impegna il Governo

alla luce di quanto esposto nelle premesse, ad approfondire la questione del riordino delle province al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a delegare pienamente alle regioni, nel rispetto delle finalità e dei tempi del riordino, la valutazione delle scelte più opportune da effettuare per riaccorpare gli enti provinciali esistenti.
9/5389/109. Realacci, Fontanelli, Gatti, Cenni.


      La Camera,
          premesso che:
              con il provvedimento sulla revisione della spesa pubblica in esame alla Camera dei deputati si avvia un processo di profondo riordino del sistema delle province finalizzato a ridurre e razionalizzare la spesa pubblica ad «invarianza dei servizi ai cittadini»;
              tale riordino non potrà che tener conto delle caratteristiche, delle vocazioni e delle necessità dei territori interessati, In maniera tale da permettere il massimo contributo di tutti al futuro dell'intero Paese;
              sarà necessario garantire, nel rispetto delle decisioni assunte, il pieno coinvolgimento delle istituzioni locali;
              vari presidenti di Regione, come il presidente della regione Toscana Enrico Rossi, hanno dichiarato la disponibilità di farsi carico del processo di razionalizzazione,

impegna il Governo

alla luce di quanto esposto nelle premesse, a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di approfondire la questione del riordino delle province al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a delegare pienamente alle regioni, nel rispetto delle finalità e dei tempi del riordino, la valutazione delle scelte più opportune da effettuare per riaccorpare gli enti provinciali esistenti.
9/5389/109.    (Testo modificato nel corso della seduta) Realacci, Fontanelli, Gatti, Cenni.


      La Camera,
          premesso che:
              la legge 8 novembre 2000, n.  328, «Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali» garantisce i servizi al fine di sostenere le «condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione», valorizzando e sostenendo le responsabilità delle famiglie;
              l'articolo 1 comma 3 della citata Legge recita «La programmazione e l'organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali compete agli enti locali, alle regioni ed allo Stato ai sensi del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.  112, e della presente Legge, secondo i principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell'amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare degli enti Locali»;
              per migliorare l'investimento economico e le risorse, nei Comuni di grandi dimensioni tali servizi fanno capo al Comune stesso, mentre nelle realtà più piccole l'assistenza socio-assistenziale è spesso delegata a consorzi fra comuni, comunità montane, ASL o convenzioni fra Comuni, dando vita ad una rete di solidarietà che spesso identifica lo stesso territorio;
              l'articolo 14, commi 28-31 del decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78, convertito nella legge 30 giugno 2010, n.  122, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica», ha previsto l'obbligatorietà della forma associata per la gestione di funzioni fondamentali per i comuni demograficamente minori, nella forma delle unioni di comuni o delle convenzioni;
              l'A.C. 3118, ora all'esame del Senato della Repubblica, recante «Individuazione delle funzioni fondamentali di Province e Comuni, semplificazione dell'ordinamento regionale e degli enti locali, nonché delega al Governo in materia di trasferimento di funzioni amministrative, Carta delle autonomie locali. Riordino di enti ed organismi decentrati», nel testo approvato ha previsto l'esenzione dalla soppressione per i consorzi che «al 1o gennaio 2010 gestivano uno o più servizi ai sensi dell'articolo 31 del testo unico, e successive modificazioni. Sono altresì esclusi dalla soppressione i bacini imbriferi montani al 1o gennaio 2010 gestivano uno o più servizi ai sensi dell'articolo 31 del testo unico, e successive modificazioni»;
              presso l'esame al Senato del decreto in corso di conversione è stato approvato l'emendamento 9.100, che, introducendo il comma 1-bis fa salvi dalla soppressione o accorpamento di cui al comma 1 dell'articolo 9, le aziende speciali e le istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali, educativi e culturali,

impegna il Governo:

          a considerare i consorzi socio-assistenziali tra gli enti fatti salvi dal comma 1-bis dell'articolo 9 del presente decreto legge in corso di conversione, così come già indicato dall'odg G/3396/39/5 allo stesso decreto, approvato presso la commissione Bilancio del Senato;
          a promuovere un riordino complessivo dell'attuale disciplina che regola le politiche sociali attraverso finanziamenti adeguati e strutturali, che permettano l'erogazione di servizi più efficienti ed equamente distribuiti sul territorio, sempre di competenza dei consorzi socio-assistenziali, quale punto di riferimento per i cittadini.
9/5389/110. Bobba, Calgaro, Osvaldo Napoli.


      La Camera,
          premesso che:
              la legge 8 novembre 2000, n.  328, «Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali» garantisce i servizi al fine di sostenere le «condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione», valorizzando e sostenendo le responsabilità delle famiglie;
              l'articolo 1 comma 3 della citata Legge recita «La programmazione e l'organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali compete agli enti locali, alle regioni ed allo Stato ai sensi del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.  112, e della presente Legge, secondo i principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell'amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare degli enti Locali»;
              per migliorare l'investimento economico e le risorse, nei Comuni di grandi dimensioni tali servizi fanno capo al Comune stesso, mentre nelle realtà più piccole l'assistenza socio-assistenziale è spesso delegata a consorzi fra comuni, comunità montane, ASL o convenzioni fra Comuni, dando vita ad una rete di solidarietà che spesso identifica lo stesso territorio;
              l'articolo 14, commi 28-31 del decreto-legge 31 maggio 2010, n.  78, convertito nella legge 30 giugno 2010, n.  122, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica», ha previsto l'obbligatorietà della forma associata per la gestione di funzioni fondamentali per i comuni demograficamente minori, nella forma delle unioni di comuni o delle convenzioni;
              l'A.C. 3118, ora all'esame del Senato della Repubblica, recante «Individuazione delle funzioni fondamentali di Province e Comuni, semplificazione dell'ordinamento regionale e degli enti locali, nonché delega al Governo in materia di trasferimento di funzioni amministrative, Carta delle autonomie locali. Riordino di enti ed organismi decentrati», nel testo approvato ha previsto l'esenzione dalla soppressione per i consorzi che «al 1o gennaio 2010 gestivano uno o più servizi ai sensi dell'articolo 31 del testo unico, e successive modificazioni. Sono altresì esclusi dalla soppressione i bacini imbriferi montani al 1o gennaio 2010 gestivano uno o più servizi ai sensi dell'articolo 31 del testo unico, e successive modificazioni»;
              presso l'esame al Senato del decreto in corso di conversione è stato approvato l'emendamento 9.100, che, introducendo il comma 1-bis fa salvi dalla soppressione o accorpamento di cui al comma 1 dell'articolo 9, le aziende speciali e le istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali, educativi e culturali,

impegna il Governo:

          nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, a considerare i consorzi socio-assistenziali tra gli enti fatti salvi dal comma 1-bis dell'articolo 9 del presente decreto legge in corso di conversione, così come già indicato dall'odg G/3396/39/5 allo stesso decreto, approvato presso la commissione Bilancio del Senato;
          a promuovere un riordino complessivo dell'attuale disciplina che regola le politiche sociali attraverso finanziamenti adeguati e strutturali, che permettano l'erogazione di servizi più efficienti ed equamente distribuiti sul territorio, sempre di competenza dei consorzi socio-assistenziali, quale punto di riferimento per i cittadini.
9/5389/110.    (Testo modificato nel corso della seduta) Bobba, Calgaro, Osvaldo Napoli.


      La Camera,
          premesso che:
              i recenti dati forniti dall'Inps riguardo al netto calo dei pensionamenti registrati nel primo semestre 2012, del 46,99 per cento rispetto allo stesso periodo del 2011, determinatisi grazie all'effetto combinato dello «scalino» e della «finestra mobile», introdotti dalle riforme varate dai precedenti Governi, dimostrano ampiamente come il nostro sistema previdenziale registrasse già solide basi di sostenibilità nell'immediato e nel lungo periodo, con effetti finanziari stimati dalla stessa Ragioneria generale dello Stato nell'ordine di circa 1,4 punti di PIL all'anno;
              nonostante ciò, il primo provvedimento adottato dal Governo in carica ha visto tra i suoi interventi più significativi sul piano finanziario e sociale un nuovo e drastico innalzamento dell'età pensionabile e la cancellazione immediata delle pensioni di anzianità;
              sin dalle prime fasi di esame delle disposizioni dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214 sono state segnalate le numerose criticità che avrebbe comportato un approccio non graduale di riforma del sistema pensionistico, evidenziando, in particolare, la condizione dei tanti lavoratori che avrebbero rischiato di trovarsi senza stipendio, senza ammortizzatori sociali e con la prospettiva di dover attendere ancora molti anni per poter accedere alla pensione;
              l'impegno pressoché unitario delle forze parlamentari ha determinato l'adozione di misure volte a farsi carico di tali problematicità: dapprima con le proposte volte ad ampliare la platea dei beneficiari interessati dal decreto interministeriale di cui all'articolo 24, comma 15 del citato decreto legge 201, riguardante una prima tranche di 65.000 lavoratori, e, stante l'evidenza delle proporzioni del fenomeno «esodati», in seguito, sollecitando l'adozione di ulteriori misure che hanno trovato un primo riscontro nell'articolo 22 del provvedimento in oggetto, relativo ad un ulteriore contingente, pari a 55.000 unità, di soggetti salvaguardati dall'incremento dei requisiti pensionistici disposto dalla recente legge di riforma delle pensioni;
              osservato che tale articolo introduce una soluzione che – sebbene costituisca un'ulteriore, limitata, risposta alle questioni esistenti – appare assolutamente insoddisfacente, rimanendo ancora molte le situazioni che rischiano di rimanere escluse dall'applicazione della previgente disciplina, anche con riferimento agli anni 2012 e 2013;
              presso la Commissione XI della Camera dei Deputati è in corso di esame il testo unificato delle proposte di legge C. 5103 e abbinate, adottato come testo base dalla Commissione, che mira – come indicato nel parere espresso dalla medesima Commissione al provvedimento in oggetto – «anche a risolvere una serie di ulteriori problematiche relative al decreto ministeriale di attuazione dell'articolo 24, commi 14 e 15, n.  201 del 2011 (cosiddetto “Salva Italia”), impropriamente richiamato dal citato articolo 22 nelle sue parti chiaramente illegittime e difformi rispetto al dettato della norma di legge primaria»;

impegna il Governo

a favorire, per quanto di sua competenza, l'iter del citato testo unificato all'esame presso la Commissione XI, prioritariamente volto a dare definitiva e sistematica soluzione alle tante problematiche relative al cosiddetto tema degli «esodati», determinatesi a seguito dell'entrata in vigore dell'ulteriore riforma del sistema previdenziale.
9/5389/111. Damiano, Moffa, Antonino Foti, Muro, Poli, Gnecchi, Bellanova, Berretta, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Madia, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata, Schirru, Motta, Lovelli.


      La Camera,
          premesso che:
              i recenti dati forniti dall'Inps riguardo al netto calo dei pensionamenti registrati nel primo semestre 2012, del 46,99 per cento rispetto allo stesso periodo del 2011, determinatisi grazie all'effetto combinato dello «scalino» e della «finestra mobile», introdotti dalle riforme varate dai precedenti Governi, dimostrano ampiamente come il nostro sistema previdenziale registrasse già solide basi di sostenibilità nell'immediato e nel lungo periodo, con effetti finanziari stimati dalla stessa Ragioneria generale dello Stato nell'ordine di circa 1,4 punti di PIL all'anno;
              nonostante ciò, il primo provvedimento adottato dal Governo in carica ha visto tra i suoi interventi più significativi sul piano finanziario e sociale un nuovo e drastico innalzamento dell'età pensionabile e la cancellazione immediata delle pensioni di anzianità;
              sin dalle prime fasi di esame delle disposizioni dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214 sono state segnalate le numerose criticità che avrebbe comportato un approccio non graduale di riforma del sistema pensionistico, evidenziando, in particolare, la condizione dei tanti lavoratori che avrebbero rischiato di trovarsi senza stipendio, senza ammortizzatori sociali e con la prospettiva di dover attendere ancora molti anni per poter accedere alla pensione;
              l'impegno pressoché unitario delle forze parlamentari ha determinato l'adozione di misure volte a farsi carico di tali problematicità: dapprima con le proposte volte ad ampliare la platea dei beneficiari interessati dal decreto interministeriale di cui all'articolo 24, comma 15 del citato decreto legge 201, riguardante una prima tranche di 65.000 lavoratori, e, stante l'evidenza delle proporzioni del fenomeno «esodati», in seguito, sollecitando l'adozione di ulteriori misure che hanno trovato un primo riscontro nell'articolo 22 del provvedimento in oggetto, relativo ad un ulteriore contingente, pari a 55.000 unità, di soggetti salvaguardati dall'incremento dei requisiti pensionistici disposto dalla recente legge di riforma delle pensioni;
              osservato che tale articolo introduce una soluzione che – sebbene costituisca un'ulteriore, limitata, risposta alle questioni esistenti – appare assolutamente insoddisfacente, rimanendo ancora molte le situazioni che rischiano di rimanere escluse dall'applicazione della previgente disciplina, anche con riferimento agli anni 2012 e 2013;
              presso la Commissione XI della Camera dei Deputati è in corso di esame il testo unificato delle proposte di legge C. 5103 e abbinate, adottato come testo base dalla Commissione, che mira – come indicato nel parere espresso dalla medesima Commissione al provvedimento in oggetto – «anche a risolvere una serie di ulteriori problematiche relative al decreto ministeriale di attuazione dell'articolo 24, commi 14 e 15, n.  201 del 2011 (cosiddetto “Salva Italia”), impropriamente richiamato dal citato articolo 22 nelle sue parti chiaramente illegittime e difformi rispetto al dettato della norma di legge primaria»,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di favorire, per quanto di sua competenza, l'iter del citato testo unificato all'esame presso la Commissione XI, prioritariamente volto a dare definitiva e sistematica soluzione alle tante problematiche relative al cosiddetto tema degli «esodati», determinatesi a seguito dell'entrata in vigore dell'ulteriore riforma del sistema previdenziale.
9/5389/111.    (Testo modificato nel corso della seduta) Damiano, Moffa, Antonino Foti, Muro, Poli, Gnecchi, Bellanova, Berretta, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Madia, Mattesini, Miglioli, Mosca, Rampi, Santagata, Schirru, Motta, Lovelli.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 4, commi 48 e 49, della legge n.  92 del 2012, legge di riforma del mercato del lavoro delega il governo a riformare i servizi per l'impiego; la stessa legge ne amplia ulteriormente le competenze per la gestione dell'Aspi, ne rafforza il controllo e il monitoraggio a garanzia del raggiungimento dei livelli essenziali del servizio;
              il provvedimento in esame prevede all'articolo 17 il riordino delle province e delle loro funzioni e nulla dice in merito al destino dei servizi per l'impiego;
              attualmente i servizi per l'impiego sono gestiti dalle province e sottoposti alla regolamentazione regionale;
              il mercato del lavoro è per sue dimensioni provinciale e sovraprovinciale, neanche nelle grandi città ha dimensioni comunali;
              si sta attraversando la più grave crisi economica del dopoguerra con attualmente 2.800.000 disoccupati e in tal situazione anche le politiche attive del lavoro devono sempre più acquisire il compito di sostegno alla ricerca del lavoro e al potenziamento del sistema di incrocio domanda e offerta;
              la gestione moderna di servizi per il lavoro non è meramente amministrativa ma deve essere proattiva e tale da supportare la difficile fase della ricerca del lavoro, dell'orientamento e della riqualificazione professionale;
              questi servizi, per generale considerazione, abbisognano di investimenti e di una profonda riorganizzazione in una positiva collaborazione con i servizi privati, con le imprese, e con tutti gli attori del sistema della formazione professionale e per tali servizi la legge n.  92 del 2012 prevede la definizione di livelli essenziali;
              un eventuale loro trasferimento ai comuni è in contraddizione con le reali dimensioni del mercato del lavoro e comporterebbe un aumento dei costi per la necessità di implementazione del personale specialistico adeguato al raggiungimento dei livelli di servizio attesi;
              i servizi per il lavoro e la formazione professionale non sono materia esclusiva dello Stato e, pertanto, non rientrano nelle ipotesi previste dal comma 6 dell'articolo 17 e la loro riforma è demandata al ministero del lavoro in accordo con la conferenza Stato regioni,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nell'esercizio della delega di cui all'articolo 4, commi 48 e 49, della legge n.  92 del 2012, di tener conto delle esigenze di coordinamento qui espresse tra riordino istituzionale e riordino per materia, con l'obiettivo della soluzione più efficace e razionale.
9/5389/112. Lenzi.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 4, commi 48 e 49, della legge n.  92 del 2012, legge di riforma del mercato del lavoro delega il governo a riformare i servizi per l'impiego; la stessa legge ne amplia ulteriormente le competenze per la gestione dell'Aspi, ne rafforza il controllo e il monitoraggio a garanzia del raggiungimento dei livelli essenziali del servizio;
              il provvedimento in esame prevede all'articolo 17 il riordino delle province e delle loro funzioni e nulla dice in merito al destino dei servizi per l'impiego;
              attualmente i servizi per l'impiego sono gestiti dalle province e sottoposti alla regolamentazione regionale;
              il mercato del lavoro è per sue dimensioni provinciale e sovraprovinciale, neanche nelle grandi città ha dimensioni comunali;
              si sta attraversando la più grave crisi economica del dopoguerra con attualmente 2.800.000 disoccupati e in tal situazione anche le politiche attive del lavoro devono sempre più acquisire il compito di sostegno alla ricerca del lavoro e al potenziamento del sistema di incrocio domanda e offerta;
              la gestione moderna di servizi per il lavoro non è meramente amministrativa ma deve essere proattiva e tale da supportare la difficile fase della ricerca del lavoro, dell'orientamento e della riqualificazione professionale;
              questi servizi, per generale considerazione, abbisognano di investimenti e di una profonda riorganizzazione in una positiva collaborazione con i servizi privati, con le imprese, e con tutti gli attori del sistema della formazione professionale e per tali servizi la legge n.  92 del 2012 prevede la definizione di livelli essenziali;
              un eventuale loro trasferimento ai comuni è in contraddizione con le reali dimensioni del mercato del lavoro e comporterebbe un aumento dei costi per la necessità di implementazione del personale specialistico adeguato al raggiungimento dei livelli di servizio attesi;
              i servizi per il lavoro e la formazione professionale non sono materia esclusiva dello Stato e, pertanto, non rientrano nelle ipotesi previste dal comma 6 dell'articolo 17 e la loro riforma è demandata al ministero del lavoro in accordo con la conferenza Stato regioni,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, nell'esercizio della delega di cui all'articolo 4, commi 48 e 49, della legge n.  92 del 2012, di tener conto delle esigenze di coordinamento qui espresse tra riordino istituzionale e riordino per materia, con l'obiettivo della soluzione più efficace e razionale.
9/5389/112.    (Testo modificato nel corso della seduta) Lenzi.


      La Camera,
          premesso che:
              in coerenza con gli obiettivi del così detto federalismo fiscale (legge delega n.  42/2009), a decorrere dall'anno 2012, ai sensi del decreto legislativo 6 maggio 2011, n.  68, recante le disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni e delle province, ha disposto la soppressione dei tradizionali trasferimenti erariali e la loro sostituzione – ai fini del finanziamento delle funzioni delle province – con entrate proprie e con risorse di carattere perequativo;
              in particolare, l'articolo 21 del citato decreto legislativo n.  68 ha previsto l'istituzione, a decorrere dall'anno 2012, di un Fondo sperimentale di riequilibrio, la cui durata è fissata in un periodo di due anni, destinato ad essere sostituito dal fondo perequativo vero e proprio;
              il comma 7 dell'articolo 16 del provvedimento in oggetto, interviene sulla materia riducendo la dotazione del fondo sperimentale di riequilibrio provinciale per importi pari a 500 milioni di euro per il 2012, 1.000 milioni di euro gli anni 2013 e 2014, 1.050 milioni a decorrere dall'anno 2015;
              questo pesante e indistinto taglio dei trasferimenti, non sembra tener conto in particolare della diversa attribuzione di funzioni che si registra sul territorio nazionale da parte delle regioni, con significative differenziazioni dei compiti delegati;
              parimenti, le disposizioni del successivo comma 8 dell'articolo 16, dispongono che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro il 31 dicembre 2012, siano stabiliti i parametri di virtuosità per la determinazione delle dotazioni organiche degli enti locali, tenendo conto prioritariamente del rapporto tra dipendenti e popolazione residente. A tal fine è determinata la media nazionale del personale in servizio presso gli enti, prevedendo il blocco delle assunzioni per le amministrazioni collocate oltre il 20 per cento e l'applicazione delle misure sul soprannumero (di cui all'articolo 2, comma 11) per le amministrazioni collocate oltre il 40 per cento;
              anche in questo caso, oltre a non tenere conto del novero delle funzioni effettivamente svolte e, di conseguenza, delle corrispondenti dotazioni di personale, manca il riferimento a criteri specifici, quali, ad esempio, il rapporto tra personale dipendente e spese correnti di ciascuna provincia,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare tra i parametri di confronto delle diverse realtà provinciali le differenze che si registrano in materia di funzioni dirette e funzioni delegate effettivamente svolte, a tal fine valutando anche le corrispondenti dotazioni organiche, nonché il rapporto delle spese che ciascuna provincia sostiene per il costo del personale e il totale delle spese correnti.
9/5389/113. Rampi, Bobba.


      La Camera,
          premesso che:
              in coerenza con gli obiettivi del così detto federalismo fiscale (legge delega n.  42/2009), a decorrere dall'anno 2012, ai sensi del decreto legislativo 6 maggio 2011, n.  68, recante le disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni e delle province, ha disposto la soppressione dei tradizionali trasferimenti erariali e la loro sostituzione – ai fini del finanziamento delle funzioni delle province – con entrate proprie e con risorse di carattere perequativo;
              in particolare, l'articolo 21 del citato decreto legislativo n.  68 ha previsto l'istituzione, a decorrere dall'anno 2012, di un Fondo sperimentale di riequilibrio, la cui durata è fissata in un periodo di due anni, destinato ad essere sostituito dal fondo perequativo vero e proprio;
              il comma 7 dell'articolo 16 del provvedimento in oggetto, interviene sulla materia riducendo la dotazione del fondo sperimentale di riequilibrio provinciale per importi pari a 500 milioni di euro per il 2012, 1.000 milioni di euro gli anni 2013 e 2014, 1.050 milioni a decorrere dall'anno 2015;
              questo pesante e indistinto taglio dei trasferimenti, non sembra tener conto in particolare della diversa attribuzione di funzioni che si registra sul territorio nazionale da parte delle regioni, con significative differenziazioni dei compiti delegati;
              parimenti, le disposizioni del successivo comma 8 dell'articolo 16, dispongono che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro il 31 dicembre 2012, siano stabiliti i parametri di virtuosità per la determinazione delle dotazioni organiche degli enti locali, tenendo conto prioritariamente del rapporto tra dipendenti e popolazione residente. A tal fine è determinata la media nazionale del personale in servizio presso gli enti, prevedendo il blocco delle assunzioni per le amministrazioni collocate oltre il 20 per cento e l'applicazione delle misure sul soprannumero (di cui all'articolo 2, comma 11) per le amministrazioni collocate oltre il 40 per cento;
              anche in questo caso, oltre a non tenere conto del novero delle funzioni effettivamente svolte e, di conseguenza, delle corrispondenti dotazioni di personale, manca il riferimento a criteri specifici, quali, ad esempio, il rapporto tra personale dipendente e spese correnti di ciascuna provincia,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di adottare tra i parametri di confronto delle diverse realtà provinciali le differenze che si registrano in materia di funzioni dirette e funzioni delegate effettivamente svolte, a tal fine valutando anche le corrispondenti dotazioni organiche, nonché il rapporto delle spese che ciascuna provincia sostiene per il costo del personale e il totale delle spese correnti.
9/5389/113.    (Testo modificato nel corso della seduta) Rampi, Bobba.


      La Camera,
          premesso che:
              i commi 1-5 dell'articolo 17 del provvedimento in oggetto sono volti al riordino delle province delle regioni a statuto ordinario, al fine di contribuire al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica imposti dagli obblighi europei necessari al raggiungimento del pareggio di bilancio;
              la Deliberazione del Consiglio dei ministri del 20 luglio 2012, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 24 luglio 2012, ha definito i criteri per il riordino delle Province e nello specifico: a) superficie territoriale non inferiore ai 2.500 kmq, b) 350.000 abitanti;
              per il dato relativo alla popolazione residente sono stati utilizzati i dati pubblicati sul sito l'ISTAT e consultati il 25 luglio 2012, cioè i dati non ancora ufficiali dell'ultimo censimento ISTAT 2011, e questo dato differisce per una serie di motivi tecnici (revisioni, non consegna delle schede, popolazione immigrata, presenza nel giorno del rilevamento in altro Comune, ecc.) dal dato risultante dalla rilevazione delle anagrafi dei Comuni (giugno 2012),

impegna il Governo

ad utilizzare l'ultimo dato ufficiale ISTAT disponibile (anagrafe dei Comuni) per il computo della popolazione residente nel territorio provinciale, quale dato base per il criterio di riordino delle province.
9/5389/114. Mattesini.


      La Camera,
          premesso che:
              la ricerca pubblica costituisce uno degli elementi essenziali per lo sviluppo del Paese;
              il decreto-legge in esame ha ridotto i trasferimenti agli enti di ricerca nella misura individuata dall'allegato 3 del decreto in parola;
              nella conversione in legge il Senato, per l'anno 2012, ha espunto dall'allegato 3 i soli enti vigilati dal Ministero dell'Istruzione Università e Ricerca, ad eccezione dell'Invalsi confermando così le riduzioni dei trasferimenti agli altri enti di ricerca (Istat, Enea, Isfol, Ispesl/Inail, Ispra, Cra, Inran, Inea, Iss, Invalsi) che, ad esclusione dell'Invalsi, sono vigilati da altri ministeri,

impegna il Governo:

          a valutare gli effetti applicativi delle norme citate in premessa al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere un intervento mirato a reintegrare le risorse ridotte agli enti di ricerca per l'anno 2012;
          ad aprire una discussione sul futuro e sul rilancio della ricerca pubblica extrauniversitaria e sulle riduzione dei trasferimenti dei fondi previste per gli anni 2013 e 2014.
9/5389/115. Pedoto, D'Incecco, Sbrollini, Burtone, Miotto, Lenzi, Fontanelli, Murer.


      La Camera,
          premesso che:
              la ricerca pubblica costituisce uno degli elementi essenziali per lo sviluppo del Paese;
              il decreto-legge in esame ha ridotto i trasferimenti agli enti di ricerca nella misura individuata dall'allegato 3 del decreto in parola;
              nella conversione in legge il Senato, per l'anno 2012, ha espunto dall'allegato 3 i soli enti vigilati dal Ministero dell'Istruzione Università e Ricerca, ad eccezione dell'Invalsi confermando così le riduzioni dei trasferimenti agli altri enti di ricerca (Istat, Enea, Isfol, Ispesl/Inail, Ispra, Cra, Inran, Inea, Iss, Invalsi) che, ad esclusione dell'Invalsi, sono vigilati da altri ministeri,

impegna il Governo:

          a valutare, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, gli effetti applicativi delle norme citate in premessa al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a prevedere un intervento mirato a reintegrare le risorse ridotte agli enti di ricerca per l'anno 2012;
          ad aprire una discussione sul futuro e sul rilancio della ricerca pubblica extrauniversitaria e sulle riduzione dei trasferimenti dei fondi previste per gli anni 2013 e 2014.
9/5389/115.    (Testo modificato nel corso della seduta) Pedoto, D'Incecco, Sbrollini, Burtone, Miotto, Lenzi, Fontanelli, Murer.


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini», già convertito in legge, con modifiche, al Senato della Repubblica, contiene misure significative di contenimento della spesa pubblica che vanno ad incidere pesantemente sulla vita degli enti locali, in particolare di comuni e regioni;
              le regioni e i comuni vedono decurtati in modo lineare i loro trasferimenti per cifre considerevoli; tali tagli vanno a sommarsi a quelli già effettuati negli ultimi tre anni con numerose manovre che, in più occasioni, hanno colpito regioni e comuni;
              forte è la preoccupazione tra gli amministratori locali che, in queste settimane, hanno fatto sentire la loro voce, con documenti e manifestazioni, contestando i tagli considerati lineari, contestando precedentemente anche le modalità di gestione dell'Imu e sollevando perplessità sulle modalità di attuazione del patto di stabilità interno, che in alcune circostanze appare inutilmente punitivo;
              l'Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci) ha chiesto, per i comuni, autonomia fiscale, normativa e patrimoniale per strutturare nel concreto quel federalismo mai decollato;
              inoltre, viene chiesta l'applicazione di un criterio di giustizia, secondo cui il taglio non deve colpire allo stesso modo le amministrazioni virtuose e quelle che non lo sono, ma deve sapersi dirigere su sprechi effettivi, su situazioni mirate, colpendo chi gestisce male le risorse e premiando, invece, chi si distingue per qualità dell'azione e per equilibrio dei conti;
              gli enti locali sono il crocevia di una serie di bisogni reali del nostro Paese; attraverso essi passano servizi sociali, servizi al cittadino, pagamento alle imprese e sostegno all'economia; una combinazione, come quella di questi anni, tra tagli e rigidità, tra decurtazioni e patto di stabilità, soffoca gli enti e ribalta sui cittadini il peso di scelte che, in un momento di crisi come questo, diventano, a tratti, insostenibili;
              secondo una denuncia dell'Anci, a partire dal mese di agosto, alcuni comuni rischiano di non riuscire a pagare gli stipendi dei propri dipendenti, a causa del combinato disposto dei tagli e delle minori entrate dell'Imu; secondo l'Anci, il vero punto critico si raggiungerà a fine anno, con le seconde rate Imu e la chiusura dei saldi obiettivo del patto di stabilità; moltissimi comuni rischiano di non rispettare il patto;
              gli enti locali hanno contribuito, negli ultimi anni, come nessuno tra gli altri settori dello Stato, al risanamento dei conti pubblici, subendo tagli e decurtazioni per decine di miliardi,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di aprire un tavolo di discussione e trattativa con regioni ed enti locali per studiare congiuntamente l'effetto che i nuovi tagli produrranno sulla vita amministrativa e sociale delle comunità e valutare contestualmente formule di riequilibrio per non danneggiare i servizi e un intervento sul patto di stabilità per l'esclusione delle spese di investimenti dallo stesso.
9/5389/116. Sbrollini, D'Incecco, Burtone, Lenzi, Miotto, Baretta, Martella, Naccarato, Fogliardi, Rubinato, Murer, Viola, Federico Testa.


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini», già convertito in legge, con modifiche, al Senato della Repubblica, contiene misure significative di contenimento della spesa pubblica che vanno ad incidere pesantemente sulla vita degli enti locali, in particolare di comuni e regioni;
              le regioni e i comuni vedono decurtati in modo lineare i loro trasferimenti per cifre considerevoli; tali tagli vanno a sommarsi a quelli già effettuati negli ultimi tre anni con numerose manovre che, in più occasioni, hanno colpito regioni e comuni;
              forte è la preoccupazione tra gli amministratori locali che, in queste settimane, hanno fatto sentire la loro voce, con documenti e manifestazioni, contestando i tagli considerati lineari, contestando precedentemente anche le modalità di gestione dell'Imu e sollevando perplessità sulle modalità di attuazione del patto di stabilità interno, che in alcune circostanze appare inutilmente punitivo;
              l'Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci) ha chiesto, per i comuni, autonomia fiscale, normativa e patrimoniale per strutturare nel concreto quel federalismo mai decollato;
              inoltre, viene chiesta l'applicazione di un criterio di giustizia, secondo cui il taglio non deve colpire allo stesso modo le amministrazioni virtuose e quelle che non lo sono, ma deve sapersi dirigere su sprechi effettivi, su situazioni mirate, colpendo chi gestisce male le risorse e premiando, invece, chi si distingue per qualità dell'azione e per equilibrio dei conti;
              gli enti locali sono il crocevia di una serie di bisogni reali del nostro Paese; attraverso essi passano servizi sociali, servizi al cittadino, pagamento alle imprese e sostegno all'economia; una combinazione, come quella di questi anni, tra tagli e rigidità, tra decurtazioni e patto di stabilità, soffoca gli enti e ribalta sui cittadini il peso di scelte che, in un momento di crisi come questo, diventano, a tratti, insostenibili;
              secondo una denuncia dell'Anci, a partire dal mese di agosto, alcuni comuni rischiano di non riuscire a pagare gli stipendi dei propri dipendenti, a causa del combinato disposto dei tagli e delle minori entrate dell'Imu; secondo l'Anci, il vero punto critico si raggiungerà a fine anno, con le seconde rate Imu e la chiusura dei saldi obiettivo del patto di stabilità; moltissimi comuni rischiano di non rispettare il patto;
              gli enti locali hanno contribuito, negli ultimi anni, come nessuno tra gli altri settori dello Stato, al risanamento dei conti pubblici, subendo tagli e decurtazioni per decine di miliardi,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di aprire un tavolo di discussione e trattativa con regioni ed enti locali per studiare congiuntamente l'effetto che i nuovi tagli produrranno sulla vita amministrativa e sociale delle comunità e valutare contestualmente formule di riequilibrio per non danneggiare i servizi e un intervento sul patto di stabilità per l'esclusione delle spese di investimenti dallo stesso.
9/5389/116.    (Testo modificato nel corso della seduta) Sbrollini, D'Incecco, Burtone, Lenzi, Miotto, Baretta, Martella, Naccarato, Fogliardi, Rubinato, Murer, Viola, Federico Testa.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca disposizioni urgenti per l'equilibrio del settore sanitario e misure di governo della spesa farmaceutica che non dovrebbero in teoria comportare «invarianza dei servizi per i cittadini», anche se le misure adottate per il servizio sanitario, ispirate ad una logica prevalentemente economica e basate su tagli di risorse di carattere lineare, rischiano di mettere a repentaglio la sostenibilità dello stesso servizio sanitario nazionale e dell'erogazione degli stessi livelli essenziali di assistenza;
              la stessa programmazione delle spese sanitarie avviene sulla base di riduzione di risorse che non sono state previamente concordate né con le regioni e né con gli enti locali, mettendo così in discussione un sistema pattizio che finora ha permesso di tenere sotto controllo l'andamento della spesa sanitaria;
              l'introduzione nel provvedimento dell'azzeramento degli organi collegiali priva sia il Ministero della salute che quello del lavoro e delle politiche sociali di strumenti importanti per l'azione di Governo se la previsione che tutti i servizi svolti dalle pubbliche amministrazioni mediante ricorso a convenzioni debbano essere sottoposti a procedure d'appalto lede gravemente le cooperative sociali, così come previste dall'articolo 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991 n.  381 (cooperative di tipo b), che svolgono importanti e delicate funzioni di inserimento lavorativo delle persone svantaggiate e, pertanto, i costi dei servizi da queste erogati sono più elevati dei prezzi di riferimento,

impegna il Governo

a monitorare gli effetti applicativi delle disposizioni citate in premessa al fine di valutare l'opportunità di escludere espressamente dall'obbligo del ricorso alle procedure d'appalto le associazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) che operano nel campo socio assistenziale e dell'accoglienza agli immigrati nonché nella rinegoziazione dei contratti nel settore sanitario le cooperative di tipo b, vista la loro valenza sociale nel reinserimento lavorativo delle persone svantaggiate.
9/5389/117. Murer, Sarubbi, Bucchino, D'Incecco, Burtone, Miotto, Lenzi, Fontanelli, Pedoto, Sbrollini.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca disposizioni urgenti per l'equilibrio del settore sanitario e misure di governo della spesa farmaceutica che non dovrebbero in teoria comportare «invarianza dei servizi per i cittadini», anche se le misure adottate per il servizio sanitario, ispirate ad una logica prevalentemente economica e basate su tagli di risorse di carattere lineare, rischiano di mettere a repentaglio la sostenibilità dello stesso servizio sanitario nazionale e dell'erogazione degli stessi livelli essenziali di assistenza;
              la stessa programmazione delle spese sanitarie avviene sulla base di riduzione di risorse che non sono state previamente concordate né con le regioni e né con gli enti locali, mettendo così in discussione un sistema pattizio che finora ha permesso di tenere sotto controllo l'andamento della spesa sanitaria;
              l'introduzione nel provvedimento dell'azzeramento degli organi collegiali priva sia il Ministero della salute che quello del lavoro e delle politiche sociali di strumenti importanti per l'azione di Governo se la previsione che tutti i servizi svolti dalle pubbliche amministrazioni mediante ricorso a convenzioni debbano essere sottoposti a procedure d'appalto lede gravemente le cooperative sociali, così come previste dall'articolo 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991 n.  381 (cooperative di tipo b), che svolgono importanti e delicate funzioni di inserimento lavorativo delle persone svantaggiate e, pertanto, i costi dei servizi da queste erogati sono più elevati dei prezzi di riferimento,

impegna il Governo

a monitorare gli effetti applicativi delle disposizioni citate in premessa al fine di valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di escludere espressamente dall'obbligo del ricorso alle procedure d'appalto le associazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) che operano nel campo socio assistenziale e dell'accoglienza agli immigrati nonché nella rinegoziazione dei contratti nel settore sanitario le cooperative di tipo b, vista la loro valenza sociale nel reinserimento lavorativo delle persone svantaggiate.
9/5389/117.    (Testo modificato nel corso della seduta) Murer, Sarubbi, Bucchino, D'Incecco, Burtone, Miotto, Lenzi, Fontanelli, Pedoto, Sbrollini.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca disposizioni urgenti per l'equilibrio del settore sanitario e misure di governo della spesa farmaceutica che non dovrebbero in teoria comportare «invarianza dei servizi per i cittadini», anche se le misure adottate per il servizio sanitario, ispirate ad una logica prevalentemente economica e basate su tagli di risorse di carattere lineare, rischiano di mettere a repentaglio la sostenibilità dello stesso servizio sanitario nazionale e dell'erogazione degli stessi livelli essenziali di assistenza;
              la stessa programmazione delle spese sanitarie avviene sulla base di riduzione di risorse che non sono state previamente concordate né con le regioni e né con gli enti locali, mettendo così in discussione un sistema pattizio che finora ha permesso di tenere sotto controllo l'andamento della spesa sanitaria;
              l'introduzione nel provvedimento dell'azzeramento degli organi collegiali priva sia il Ministero della salute che quello del lavoro e delle politiche sociali di strumenti importanti per l'azione di Governo se la previsione che tutti i servizi svolti dalle pubbliche amministrazioni mediante ricorso a convenzioni debbano essere sottoposti a procedure d'appalto e lede gravemente le cooperative sociali, così come previste dall'articolo 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991, n.  381, (cooperative di tipo b), che svolgono importanti e delicate funzioni di inserimento lavorativo delle persone svantaggiate e, pertanto, i costi dei servizi da queste erogati sono più elevati dei prezzi di riferimento,

impegna il Governo

a monitorare gli effetti applicativi delle disposizioni citate in premessa al fine di valutare l'opportunità di estendere anche ad altri organismi collegiali, quali possono essere, ad esempio, la Consulta nazionale per il servizio civile e il Comitato minori stranieri non accompagnati la possibilità di non essere trasferiti agli uffici delle pubbliche amministrazioni, vista la loro rilevanza nella gestione del singolo settore interessato.
9/5389/118. Bossa, Sarubbi, Bucchino, D'Incecco, Burtone, Miotto, Lenzi, Fontanelli, Pedoto, Sbrollini, Murer.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca disposizioni urgenti per l'equilibrio del settore sanitario e misure di governo della spesa farmaceutica che non dovrebbero in teoria comportare «invarianza dei servizi per i cittadini», anche se le misure adottate per il servizio sanitario, ispirate ad una logica prevalentemente economica e basate su tagli di risorse di carattere lineare, rischiano di mettere a repentaglio la sostenibilità dello stesso servizio sanitario nazionale e dell'erogazione degli stessi livelli essenziali di assistenza;
              la stessa programmazione delle spese sanitarie avviene sulla base di riduzione di risorse che non sono state previamente concordate né con le regioni e né con gli enti locali, mettendo così in discussione un sistema pattizio che finora ha permesso di tenere sotto controllo l'andamento della spesa sanitaria;
              l'introduzione nel provvedimento dell'azzeramento degli organi collegiali priva sia il Ministero della salute che quello del lavoro e delle politiche sociali di strumenti importanti per l'azione di Governo se la previsione che tutti i servizi svolti dalle pubbliche amministrazioni mediante ricorso a convenzioni debbano essere sottoposti a procedure d'appalto e lede gravemente le cooperative sociali, così come previste dall'articolo 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991, n.  381, (cooperative di tipo b), che svolgono importanti e delicate funzioni di inserimento lavorativo delle persone svantaggiate e, pertanto, i costi dei servizi da queste erogati sono più elevati dei prezzi di riferimento,

impegna il Governo

a monitorare gli effetti applicativi delle disposizioni citate in premessa al fine di valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di estendere anche ad altri organismi collegiali, quali possono essere, ad esempio, la Consulta nazionale per il servizio civile e il Comitato minori stranieri non accompagnati la possibilità di non essere trasferiti agli uffici delle pubbliche amministrazioni, vista la loro rilevanza nella gestione del singolo settore interessato.
9/5389/118.    (Testo modificato nel corso della seduta) Bossa, Sarubbi, Bucchino, D'Incecco, Burtone, Miotto, Lenzi, Fontanelli, Pedoto, Sbrollini, Murer.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca disposizioni urgenti per l'equilibrio del settore sanitario e misure di governo della spesa farmaceutica che non dovrebbero in teoria comportare «invarianza dei servizi per i cittadini»; anche se le misure adottate per il servizio sanitario, ispirate ad una logica prevalentemente economica e basate su tagli di risorse di carattere lineare, rischiano di mettere a repentaglio la sostenibilità dello stesso servizio sanitario nazionale e dell'erogazione degli stessi livelli essenziali di assistenza;
              la stessa programmazione delle spese sanitarie avviene sulla base di riduzione di risorse che non sono state previamente concordate né con le regioni e né con gli enti locali, mettendo così in discussione un sistema pattizio che finora ha permesso di tenere sotto controllo l'andamento della spesa sanitaria;
              da tempo il Ministro della salute si è posto tra gli obiettivi quello di fare chiarezza circa le differenze dei prezzi dei dispositivi medici praticati sul mercato ed è stato emanato un decreto con cui sono state disposte le modalità per la raccolta dei dati sul consumo dei dispositivi medici;
              data l'eterogeneità di questi prodotti, i numerosi servizi e gli accessori ad essi collegati, dai quali derivano forniture anche molto diverse tra loro per complessità e prezzo, i dati sul consumo devono essere valutati anche rispetto ai capitolati di gara,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di rendere noto, sulla base dei dati raccolti nella banca dati istituita presso il Ministero della salute secondo quanto disposto dal decreto ministeriale 11 giugno 2010 «Istituzione del flusso informativo per il monitoraggio dei consumi dei dispositivi medici direttamente acquistati dal Servizio sanitario nazionale» (Gazzetta Ufficiale serie generale, n.  175 del 29 luglio 2010), e aggiornate con cadenza almeno annuale, le attività di rilevazione dei prezzi dei beni e servizi da parte delle aziende sanitarie.
9/5389/119. Grassi, Fontanelli, Miotto, Pedoto.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca disposizioni urgenti per l'equilibrio del settore sanitario e misure di governo della spesa farmaceutica che non dovrebbero in teoria comportare «invarianza dei servizi per i cittadini»; anche se le misure adottate per il servizio sanitario, ispirate ad una logica prevalentemente economica e basate su tagli di risorse di carattere lineare, rischiano di mettere a repentaglio la sostenibilità dello stesso servizio sanitario nazionale e dell'erogazione degli stessi livelli essenziali di assistenza;
              la stessa programmazione delle spese sanitarie avviene sulla base di riduzione di risorse che non sono state previamente concordate né con le regioni e né con gli enti locali, mettendo così in discussione un sistema pattizio che finora ha permesso di tenere sotto controllo l'andamento della spesa sanitaria;
              da tempo il Ministro della salute si è posto tra gli obiettivi quello di fare chiarezza circa le differenze dei prezzi dei dispositivi medici praticati sul mercato ed è stato emanato un decreto con cui sono state disposte le modalità per la raccolta dei dati sul consumo dei dispositivi medici;
              data l'eterogeneità di questi prodotti, i numerosi servizi e gli accessori ad essi collegati, dai quali derivano forniture anche molto diverse tra loro per complessità e prezzo, i dati sul consumo devono essere valutati anche rispetto ai capitolati di gara,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di rendere noto, sulla base dei dati raccolti nella banca dati istituita presso il Ministero della salute secondo quanto disposto dal decreto ministeriale 11 giugno 2010 «Istituzione del flusso informativo per il monitoraggio dei consumi dei dispositivi medici direttamente acquistati dal Servizio sanitario nazionale» (Gazzetta Ufficiale serie generale, n.  175 del 29 luglio 2010), e aggiornate con cadenza almeno annuale, le attività di rilevazione dei prezzi dei beni e servizi da parte delle aziende sanitarie.
9/5389/119.    (Testo modificato nel corso della seduta) Grassi, Fontanelli, Miotto, Pedoto.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca disposizioni urgenti per l'equilibrio del settore sanitario e misure di governo della spesa farmaceutica che non dovrebbero in teoria comportare «invarianza dei servizi per i cittadini», anche se le misure adottate per il servizio sanitario, ispirate ad una logica prevalentemente economica e basate su tagli di risorse di carattere lineare, rischiano di mettere a repentaglio la sostenibilità dello stesso servizio sanitario nazionale e l'erogazione degli stessi livelli essenziali di assistenza, in quanto si sommano agli effetti delle precedenti manovre di taglio di risorse approvate dal precedente Governo con efficacia differita al 2013 e 2014;
              le misure contenute nel decreto-legge in esame, riguardanti la sanità, non sono state previamente concordate né con le regioni e né con gli enti locali, mettendo così in discussione un sistema pattizio che finora ha permesso di tenere sotto controllo l'andamento della spesa sanitaria;
              la verifica della spesa si realizza in modo efficace se il commissario straordinario a questo fine incaricato dal Presidente del Consiglio, utilizza i dati provenienti da flussi informativi già attivati con il tavolo di verifica di cui all'intesa Stato-regioni del 2005 e i flussi informativi inviati al Copaff o alla Banca d'Italia o al MEF, nell'ambito del patto di stabilità e dei monitoraggi della spesa con i codici Siope;
              ogni operazione di revisione della spesa «a servizi invariati» non può prescindere dalla constatazione che il finanziamento in valore assoluto del fondo sanitario nazionale è rimasto pressoché invariato nel triennio 2010-2012, con una crescita nominale pari all'incirca al tasso di inflazione programmata che, è ben al di sotto del tasso di inflazione reale; quindi, la giusta battaglia contro gli sprechi non può tradursi in riduzione del fondo sanitario nazionale, perché si tradurrebbe in una riduzione dei livelli essenziali di assistenza;
              peraltro, la istituzione di un organo monocratico statale – il commissario straordinario – per il quale non sono previsti i necessari raccordi con il sistema delle autonomie regionali e territoriali in carenza della conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica di cui alla legge n.  42 del 2009 prefigura una situazione che può determinare provvedimenti di riduzione della spesa conseguenti a valutazioni esclusivamente quantitative che non si conciliano con esigenze di valutazioni qualitative, dalle quali non si può prescindere quando si valutano gli acquisti di beni e servizi in sanità e, pertanto, si rende indispensabile il coinvolgimento delle regioni anche attraverso Agenas, allorché si affronta la spending review in sanità;
              in previsione della fase negoziale per il nuovo patto per la salute si rende necessario rimuovere la riduzione del FSN intervenuta con la manovra economica del 2011, perché il taglio lineare penalizza le regioni virtuose e consolida amministrazioni inclini allo spreco, mentre va privilegiata una localizzazione selettiva degli obiettivi di risparmio;
              la revisione della spesa in sanità raggiunge obiettivi efficaci quando si coniuga con obiettivi di efficienza ed appropriatezza che si perseguono in presenza di corretto finanziamento dei LEA, rigorosa riconversione in servizi territoriali dei servizi ospedalieri in eccesso e gestione oculata degli accreditamenti;
              l'estensione della spending review ad ulteriori centri di costo allo scopo di abbattere gli sprechi in sanità potrebbe prendere in considerazione la variabilità delle tariffe riconosciute ai soggetti accreditati, la entità delle spese amministrative e legali, le consulenze, le spese di progettazione, il numero delle unità operative semplici e complesse sia ospedaliere che territoriali in relazione ai volumi di attività predefiniti, parametri per l'acquisto ed il funzionamento della attrezzature complesse tecnologicamente avanzate,

impegna il Governo

a proseguire nella revisione della spesa sanitaria, ad invarianza di servizi ed a fondo sanitario invariato, ricorrendo eventualmente a sistemi premiali per le aziende sanitarie che rispettano i prezzi di riferimento ed in ogni caso individuando selettivamente gli obiettivi di risparmio, previa acquisizione di idonea base documentale e del supporto tecnico di Agenas, al fine di evitare lo scadimento qualitativo dei servizi; tali verifiche formano oggetto del nuovo patto per la salute, che, ai sensi del comma 12 dell'articolo 15 del decreto-legge può ritenere la rimodulazione delle misure previste dal decreto.
9/5389/120. Miotto, Fontanelli, Livia Turco, Lenzi, Sbrollini, Murer, Bossa, Bucchino, Burtone, Pedoto.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca disposizioni urgenti per l'equilibrio del settore sanitario e misure di governo della spesa farmaceutica che non dovrebbero in teoria comportare «invarianza dei servizi per i cittadini», anche se le misure adottate per il servizio sanitario, ispirate ad una logica prevalentemente economica e basate su tagli di risorse di carattere lineare, rischiano di mettere a repentaglio la sostenibilità dello stesso servizio sanitario nazionale e l'erogazione degli stessi livelli essenziali di assistenza, in quanto si sommano agli effetti delle precedenti manovre di taglio di risorse approvate dal precedente Governo con efficacia differita al 2013 e 2014;
              le misure contenute nel decreto-legge in esame, riguardanti la sanità, non sono state previamente concordate né con le regioni e né con gli enti locali, mettendo così in discussione un sistema pattizio che finora ha permesso di tenere sotto controllo l'andamento della spesa sanitaria;
              la verifica della spesa si realizza in modo efficace se il commissario straordinario a questo fine incaricato dal Presidente del Consiglio, utilizza i dati provenienti da flussi informativi già attivati con il tavolo di verifica di cui all'intesa Stato-regioni del 2005 e i flussi informativi inviati al Copaff o alla Banca d'Italia o al MEF, nell'ambito del patto di stabilità e dei monitoraggi della spesa con i codici Siope;
              ogni operazione di revisione della spesa «a servizi invariati» non può prescindere dalla constatazione che il finanziamento in valore assoluto del fondo sanitario nazionale è rimasto pressoché invariato nel triennio 2010-2012, con una crescita nominale pari all'incirca al tasso di inflazione programmata che, è ben al di sotto del tasso di inflazione reale; quindi, la giusta battaglia contro gli sprechi non può tradursi in riduzione del fondo sanitario nazionale, perché si tradurrebbe in una riduzione dei livelli essenziali di assistenza;
              peraltro, la istituzione di un organo monocratico statale – il commissario straordinario – per il quale non sono previsti i necessari raccordi con il sistema delle autonomie regionali e territoriali in carenza della conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica di cui alla legge n.  42 del 2009 prefigura una situazione che può determinare provvedimenti di riduzione della spesa conseguenti a valutazioni esclusivamente quantitative che non si conciliano con esigenze di valutazioni qualitative, dalle quali non si può prescindere quando si valutano gli acquisti di beni e servizi in sanità e, pertanto, si rende indispensabile il coinvolgimento delle regioni anche attraverso Agenas, allorché si affronta la spending review in sanità;
              in previsione della fase negoziale per il nuovo patto per la salute si rende necessario rimuovere la riduzione del FSN intervenuta con la manovra economica del 2011, perché il taglio lineare penalizza le regioni virtuose e consolida amministrazioni inclini allo spreco, mentre va privilegiata una localizzazione selettiva degli obiettivi di risparmio;
              la revisione della spesa in sanità raggiunge obiettivi efficaci quando si coniuga con obiettivi di efficienza ed appropriatezza che si perseguono in presenza di corretto finanziamento dei LEA, rigorosa riconversione in servizi territoriali dei servizi ospedalieri in eccesso e gestione oculata degli accreditamenti;
              l'estensione della spending review ad ulteriori centri di costo allo scopo di abbattere gli sprechi in sanità potrebbe prendere in considerazione la variabilità delle tariffe riconosciute ai soggetti accreditati, la entità delle spese amministrative e legali, le consulenze, le spese di progettazione, il numero delle unità operative semplici e complesse sia ospedaliere che territoriali in relazione ai volumi di attività predefiniti, parametri per l'acquisto ed il funzionamento della attrezzature complesse tecnologicamente avanzate,

impegna il Governo:

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di proseguire nella revisione della spesa sanitaria, ad invarianza di servizi ed a fondo sanitario invariato, ricorrendo eventualmente a sistemi premiali per le aziende sanitarie che rispettano i prezzi di riferimento ed in ogni caso individuando selettivamente gli obiettivi di risparmio, previa acquisizione di idonea base documentale e del supporto tecnico di Agenas, al fine di evitare lo scadimento qualitativo dei servizi; tali verifiche formano oggetto del nuovo patto per la salute, che, ai sensi del comma 12 dell'articolo 15 del decreto-legge può ritenere la rimodulazione delle misure previste dal decreto.
9/5389/120.    (Testo modificato nel corso della seduta) Miotto, Fontanelli, Livia Turco, Lenzi, Sbrollini, Murer, Bossa, Bucchino, Burtone, Pedoto.


      La Camera,
          premesso che:
              le regioni, così come le province, hanno nella loro struttura organizzativa un assessorato «per la casa» che adempie a tutte le funzioni necessarie;
              alla luce dei buoni risultati che si sono registrati con l'istituzione di detti assessorati, si ritiene che si possa ritenere superflua la permanenza dei consigli di amministrazione degli Istituti case popolari,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di adottare iniziative volte ad un'ulteriore riduzione della spesa pubblica, sopprimendo i consigli di amministrazione degli ex I.A.C.P., pur mantenendo operativo l'ente stesso, ed affidando alle regioni tutte le funzioni necessarie per il loro funzionamento.
9/5389/121. Carella.


      La Camera,
          premesso che:
              le regioni, così come le province, hanno nella loro struttura organizzativa un assessorato «per la casa» che adempie a tutte le funzioni necessarie;
              alla luce dei buoni risultati che si sono registrati con l'istituzione di detti assessorati, si ritiene che si possa ritenere superflua la permanenza dei consigli di amministrazione degli Istituti case popolari,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di adottare iniziative volte ad un'ulteriore riduzione della spesa pubblica, sopprimendo i consigli di amministrazione degli ex I.A.C.P., pur mantenendo operativo l'ente stesso, ed affidando alle regioni tutte le funzioni necessarie per il loro funzionamento.
9/5389/121.    (Testo modificato nel corso della seduta) Carella.


      La Camera,
          premesso che:
              nel corso dell'anno 2010 e 2011 sono stati stipulati protocolli d'intesa tra regioni e province con le corti d'appello, le procure generali e il Ministero della giustizia, con i quali si concordavano una serie di interventi finalizzati all'orientamento, alla formazione ed al potenziamento delle competenze all'interno degli uffici giudiziari dei distretti delle corti di appello di lavoratori percettori di trattamenti di cassa integrazione guadagni e di mobilità e di altre categorie appartenenti alle fasce deboli del mercato del lavoro;
              questi lavoratori sono chiamati a svolgere mansioni di responsabilità per l'evidente mancanza di organico che rende difficile l'esercizio della funzione giurisdizionale nel nostro Paese;
              come dimostrano numerosi studi, il settore giustizia avrebbe bisogno di almeno 4 mila nuove assunzioni,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di avviare un processo di stabilizzazione, anche attraverso forme di esternalizzazione del lavoro, di quei soggetti che hanno partecipato a progetti formativi regionali o provinciali presso gli uffici giudiziari, affinché la professionalità acquisita dai tirocinanti in questi anni non venga dispersa.
9/5389/122. Meta, Carella.


      La Camera,
          premesso che:
              nel corso dell'anno 2010 e 2011 sono stati stipulati protocolli d'intesa tra regioni e province con le corti d'appello, le procure generali e il Ministero della giustizia, con i quali si concordavano una serie di interventi finalizzati all'orientamento, alla formazione ed al potenziamento delle competenze all'interno degli uffici giudiziari dei distretti delle corti di appello di lavoratori percettori di trattamenti di cassa integrazione guadagni e di mobilità e di altre categorie appartenenti alle fasce deboli del mercato del lavoro;
              questi lavoratori sono chiamati a svolgere mansioni di responsabilità per l'evidente mancanza di organico che rende difficile l'esercizio della funzione giurisdizionale nel nostro Paese;
              come dimostrano numerosi studi, il settore giustizia avrebbe bisogno di almeno 4 mila nuove assunzioni,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di avviare un processo di stabilizzazione, anche attraverso forme di esternalizzazione del lavoro, di quei soggetti che hanno partecipato a progetti formativi regionali o provinciali presso gli uffici giudiziari, affinché la professionalità acquisita dai tirocinanti in questi anni non venga dispersa.
9/5389/122.    (Testo modificato nel corso della seduta) Meta, Carella.


      La Camera,
          in sede di conversione in legge del decreto legge 6 luglio 2012, n.  95, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini»,
          premesso che:
              rientra nell'ambito della soppressione di Enti e Società di cui all'articolo 12, comma 20, l'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari opportunità – con legge 3 agosto n.  269 del 1998, (Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno dei minori, quali nuove forme di schiavitù) come modificata dalla legge 6 febbraio 2006 n.  38;
              l'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile svolge un ruolo fondamentale sul versante europeo ed internazionale, soprattutto nell'ambito dei principali organismi rappresentativi competenti e sensibili alle tematiche connesse all'universo «infanzia»;
              tra le principali attività in ambito internazionale, è significativo l'impegno dell'Osservatorio nell'ambito delle azioni poste in essere dal Consiglio d'Europa per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno della violenza sessuale a danno dei minori, in particolare attraverso il Programma «Costruire un'Europa per e con i bambini» ed i suoi successivi sviluppi;
              dal 2009 agli inizi del 2012, l'Osservatorio ha agito a supporto dell'attività del Focal Point nazionale sui diritti dell'infanzia e l'eliminazione di ogni forma di violenza a danno dei minori presso il Consiglio d'Europa;
              in tale contesto, cruciale e di primo piano è stato il ruolo dell'Osservatorio, rappresentante per l'Italia, nel negoziato della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori dall'abuso e dallo sfruttamento sessuale (Convenzione di Lanzarote);
              l'Osservatorio ha seguito ed è tuttora impegnato su diverse ed importanti iniziative, tra cui il negoziato che ha condotto all'adozione della nuova Direttiva Europea 2011/92/UE del 13 dicembre 2011, relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile e i lavori del Comitato Interministeriale dei Diritti Umani (CIDU) per tutto ciò che riguarda l'attuazione in Italia della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo e l'implementazione del Protocollo Opzionale che si occupa di vendita dei bambini, prostituzione minorile e pedopornografia;
              l'Osservatorio, come previsto dalla legge 38 del 2006 che lo ha istituito, si avvale di personale già in forze ad altre istituzioni ed è pertanto senza oneri di finanza pubblica;
              in considerazione della rilevante tematica di cui trattasi, nonché degli impegni assunti a livello europeo ed internazionale, le attività svolte dall'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile non possono essere definitivamente trasferite ai competenti Uffici del Dipartimento per le Pari Opportunità;

impegna il Governo

in sede di attuazione delle disposizioni in esame a mantenere fermo, senza oneri per la finanza pubblica, l'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile e a garantirne la prosecuzione delle attività.
9/5389/123. Concia, Gozi, Rosato, Codurelli.


      La Camera,
          in sede di conversione in legge del decreto legge 6 luglio 2012, n.  95, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini»,
          premesso che:
              rientra nell'ambito della soppressione di Enti e Società di cui all'articolo 12, comma 20, l'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari opportunità – con legge 3 agosto n.  269 del 1998, (Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno dei minori, quali nuove forme di schiavitù) come modificata dalla legge 6 febbraio 2006 n.  38;
              l'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile svolge un ruolo fondamentale sul versante europeo ed internazionale, soprattutto nell'ambito dei principali organismi rappresentativi competenti e sensibili alle tematiche connesse all'universo «infanzia»;
              tra le principali attività in ambito internazionale, è significativo l'impegno dell'Osservatorio nell'ambito delle azioni poste in essere dal Consiglio d'Europa per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno della violenza sessuale a danno dei minori, in particolare attraverso il Programma «Costruire un'Europa per e con i bambini» ed i suoi successivi sviluppi;
              dal 2009 agli inizi del 2012, l'Osservatorio ha agito a supporto dell'attività del Focal Point nazionale sui diritti dell'infanzia e l'eliminazione di ogni forma di violenza a danno dei minori presso il Consiglio d'Europa;
              in tale contesto, cruciale e di primo piano è stato il ruolo dell'Osservatorio, rappresentante per l'Italia, nel negoziato della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori dall'abuso e dallo sfruttamento sessuale (Convenzione di Lanzarote);
              l'Osservatorio ha seguito ed è tuttora impegnato su diverse ed importanti iniziative, tra cui il negoziato che ha condotto all'adozione della nuova Direttiva Europea 2011/92/UE del 13 dicembre 2011, relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile e i lavori del Comitato Interministeriale dei Diritti Umani (CIDU) per tutto ciò che riguarda l'attuazione in Italia della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo e l'implementazione del Protocollo Opzionale che si occupa di vendita dei bambini, prostituzione minorile e pedopornografia;
              l'Osservatorio, come previsto dalla legge 38 del 2006 che lo ha istituito, si avvale di personale già in forze ad altre istituzioni ed è pertanto senza oneri di finanza pubblica;
              in considerazione della rilevante tematica di cui trattasi, nonché degli impegni assunti a livello europeo ed internazionale, le attività svolte dall'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile non possono essere definitivamente trasferite ai competenti Uffici del Dipartimento per le Pari Opportunità;

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, in sede di attuazione delle disposizioni in esame di mantenere fermo, senza oneri per la finanza pubblica, l'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile e a garantirne la prosecuzione delle attività.
9/5389/123.    (Testo modificato nel corso della seduta) Concia, Gozi, Rosato, Codurelli.


      La Camera,
          premesso che:
              lo stanziamento di contributi in favore delle associazioni combattentistiche, è stato previsto da specifiche leggi triennali approvate dal Parlamento;
              per il triennio 2009-2011 è stato assicurato tramite un emendamento presentato in sede di conversione del decreto-legge 30 dicembre 2008, n.  207, e recepito nell'articolo 14, comma 7-bis; Nell'anno in corso, pur in presenza di 3 specifici provvedimenti di iniziativa parlamentare (Atti Senato n.  869, n.  2554 e n.  2649), non ancora esaminati dalle competenti Commissioni Parlamentari, si è venuto a determinare il mancato stanziamento dei contributi;
              il 25 giugno 2012 l'Associazione nazionale partigiani in una nota denuncia il mancato stanziamento per il 2012 del contributo per le associazioni combattentistiche e partigiane, nonostante gli impegni presi dal Governo in sede di discussione parlamentare;
              lo «Schema di decreto ministeriale concernente il riparto dello stanziamento iscritto nello stato di previsione della spesa del Ministero della difesa per l'anno 2012, relativo a contributi ad enti, istituti, associazioni, fondazioni ed altri organismi (482)» prevede solo stanziamenti a favore delle Associazioni d'arma;
              in data 20 giugno 2012 la Commissione difesa del Senato, esprimendo il parere sullo schema di cui sopra, ricorda «l'impegno assunto dal Governo nel corso della discussione del provvedimento in titolo a provvedere quanto prima all'erogazione dei contributi alle associazioni combattentistiche anche per l'anno 2012»;
              il Ministro della Difesa rispondendo all'interrogazione n.  5-07278, riconosce l'importanza del ruolo rivestito da tali associazioni, dichiarando di aver trovato una soluzione, concordata anche con il Ministero dell'Economia e delle Finanze, per consentire di garantire l'erogazione del contributo anche per il 2012, attraverso una specifico stanziamento, nell'ambito della predisposizione della legge di assestamento 2012, approvata dal Consiglio dei Ministri in data 26 giugno 2012;
              l'approvazione dei summenzionati provvedimenti di legge potrà garantire, per il prossimo triennio, l'erogazione dei contributi alle associazioni combattentistiche,

impegna il Governo

a garantire per il futuro continuità nei finanziamenti per le associazioni di cui in premessa, nei limiti del rispetto delle esigenze di finanza pubblica.
9/5389/124. Rossa, Tullo, Lovelli.


      La Camera,
          premesso che:
              lo stanziamento di contributi in favore delle associazioni combattentistiche, è stato previsto da specifiche leggi triennali approvate dal Parlamento;
              per il triennio 2009-2011 è stato assicurato tramite un emendamento presentato in sede di conversione del decreto-legge 30 dicembre 2008, n.  207, e recepito nell'articolo 14, comma 7-bis; Nell'anno in corso, pur in presenza di 3 specifici provvedimenti di iniziativa parlamentare (Atti Senato n.  869, n.  2554 e n.  2649), non ancora esaminati dalle competenti Commissioni Parlamentari, si è venuto a determinare il mancato stanziamento dei contributi;
              il 25 giugno 2012 l'Associazione nazionale partigiani in una nota denuncia il mancato stanziamento per il 2012 del contributo per le associazioni combattentistiche e partigiane, nonostante gli impegni presi dal Governo in sede di discussione parlamentare;
              lo «Schema di decreto ministeriale concernente il riparto dello stanziamento iscritto nello stato di previsione della spesa del Ministero della difesa per l'anno 2012, relativo a contributi ad enti, istituti, associazioni, fondazioni ed altri organismi (482)» prevede solo stanziamenti a favore delle Associazioni d'arma;
              in data 20 giugno 2012 la Commissione difesa del Senato, esprimendo il parere sullo schema di cui sopra, ricorda «l'impegno assunto dal Governo nel corso della discussione del provvedimento in titolo a provvedere quanto prima all'erogazione dei contributi alle associazioni combattentistiche anche per l'anno 2012»;
              il Ministro della Difesa rispondendo all'interrogazione n.  5-07278, riconosce l'importanza del ruolo rivestito da tali associazioni, dichiarando di aver trovato una soluzione, concordata anche con il Ministero dell'Economia e delle Finanze, per consentire di garantire l'erogazione del contributo anche per il 2012, attraverso una specifico stanziamento, nell'ambito della predisposizione della legge di assestamento 2012, approvata dal Consiglio dei Ministri in data 26 giugno 2012;
              l'approvazione dei summenzionati provvedimenti di legge potrà garantire, per il prossimo triennio, l'erogazione dei contributi alle associazioni combattentistiche,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di garantire per il futuro continuità nei finanziamenti per le associazioni di cui in premessa, nei limiti del rispetto delle esigenze di finanza pubblica.
9/5389/124.    (Testo modificato nel corso della seduta) Rossa, Tullo, Lovelli.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 3, comma 12, lettera c) del provvedimento in oggetto dispone che le amministrazioni utilizzatrici degli immobili provvedano direttamente ad attuare non solo la «piccola manutenzione» degli stessi, ma anche gli interventi volti ad «assicurare l'adeguamento alle disposizioni di cui al Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n.  81», ovvero le misure riguardanti la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro;
              tale novella, facendo indistintamente riferimento alle disposizioni del citato testo unico sulla salute e sicurezza dei luoghi di lavoro, rischia di aprire un ampio ventaglio di dubbi interpretativi circa le diverse fattispecie di interventi da realizzare da parte dell'amministrazione utilizzatrice, che sembrerebbe potrebbero riguardare anche opere di carattere strutturale, tenuto anche in considerazione del fatto che l'obbligo corrispondente si produce anche nel caso di immobili di proprietà di terzi;
              va scongiurato il rischio che il nuovo quadro normativo possa determinare un rimpallo di responsabilità, stante anche la rilevanza finanziaria di alcuni interventi, con la conseguenza che si procrastinino, sino alla risoluzione delle eventuali controversie da parte della giurisdizione amministrativa o civile, la realizzazione delle opere necessarie alla messa in sicurezza degli edifici in uso delle pubbliche amministrazioni, ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, così mettendo a repentaglio la salute e l'integrità degli addetti e degli utenti dei servizi erogati,

impegna il Governo

ad adottare ogni misura utile, anche di carattere interpretativo, volta a precisare gli ambiti di competenza di ciascuna amministrazione in materia di realizzazione degli interventi ordinari e straordinari necessari al conseguimento della tutela della salute e della sicurezza dei luoghi di lavoro, ai sensi delle disposizioni del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n.  81, prevedendo di conseguenza anche l'individuazione delle relative risorse finanziarie.
9/5389/125. Boccuzzi, Codurelli.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 3, comma 12, lettera c) del provvedimento in oggetto dispone che le amministrazioni utilizzatrici degli immobili provvedano direttamente ad attuare non solo la «piccola manutenzione» degli stessi, ma anche gli interventi volti ad «assicurare l'adeguamento alle disposizioni di cui al Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n.  81», ovvero le misure riguardanti la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro;
              tale novella, facendo indistintamente riferimento alle disposizioni del citato testo unico sulla salute e sicurezza dei luoghi di lavoro, rischia di aprire un ampio ventaglio di dubbi interpretativi circa le diverse fattispecie di interventi da realizzare da parte dell'amministrazione utilizzatrice, che sembrerebbe potrebbero riguardare anche opere di carattere strutturale, tenuto anche in considerazione del fatto che l'obbligo corrispondente si produce anche nel caso di immobili di proprietà di terzi;
              va scongiurato il rischio che il nuovo quadro normativo possa determinare un rimpallo di responsabilità, stante anche la rilevanza finanziaria di alcuni interventi, con la conseguenza che si procrastinino, sino alla risoluzione delle eventuali controversie da parte della giurisdizione amministrativa o civile, la realizzazione delle opere necessarie alla messa in sicurezza degli edifici in uso delle pubbliche amministrazioni, ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, così mettendo a repentaglio la salute e l'integrità degli addetti e degli utenti dei servizi erogati,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di adottare ogni misura utile, anche di carattere interpretativo, volta a precisare gli ambiti di competenza di ciascuna amministrazione in materia di realizzazione degli interventi ordinari e straordinari necessari al conseguimento della tutela della salute e della sicurezza dei luoghi di lavoro, ai sensi delle disposizioni del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n.  81, prevedendo di conseguenza anche l'individuazione delle relative risorse finanziarie.
9/5389/125.    (Testo modificato nel corso della seduta) Boccuzzi, Codurelli.


      La Camera,
          premesso che:
              il comune di Campione d'Italia presenta una collocazione geografica peculiare, dal momento che esso si situa in territorio svizzero, facendo però amministrativamente parte della Provincia di Como e quindi della Repubblica italiana;
              ai sensi dell'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre, 1972, n.  633 si specifica la natura extra-territoriale del comune di Campione d'Italia, dal momento che ricade infatti in una zona considerata dalla Svizzera area doganale di riferimento della Confederazione elvetica, e in virtù di questo, la valuta utilizzata dai suoi abitanti è il franco svizzero; questo fa si che, in considerazione della non appartenenza della Confederazione elvetica all'Unione europea, esso si trovi in territorio extra-comunitario;
              tale peculiarità geo-economica di essere exclave italiana in territorio svizzero ha indotto il Governo fin dal 1933 con RDL n.  201 ad autorizzare, l'apertura di una Casa da gioco per consentire il finanziamento del bilancio comunale. Il Comune infatti con la quota di proventi di sua spettanza può dare copertura finanziaria alle particolari misure a favore dei suoi cittadini ed alle esigenze di sviluppo del paese richieste dalla sua interclusione territoriale e, pertanto, l'esercizio del Casinò rappresenta elemento insostituibile di garanzia degli equilibri socio-economici della comunità campionese e, per ciò stesso, della conservazione delle condizioni di serena e pacifica convivenza, per cui l'adeguatezza dei mezzi finanziari per fronteggiare una situazione del tutto particolare non può essere confrontata – in ambito nazionale – con altre realtà similari per entità demografica od estensione territoriale;
          accertato che:
              la società di gestione della Casa da gioco campionese (al cui capitale sociale attualmente partecipano i seguenti soggetti: 46 per cento il comune di Campione d'Italia, 20 per cento la provincia di Como, 10 per cento la provincia di Lecco, 14 per cento la CCIAA di Como e 10 per cento la CCIAA di Lecco), sta vivendo una difficilissima situazione economica provocata dal deterioramento del rapporto di cambio tra euro e franco svizzero, dalle decisioni adottate dal legislatore in materia di concessioni di nuovi giochi legalizzati sul territorio italiano che hanno comportato una forte diminuzione degli introiti di gioco e dalla concorrenza dei 3 Casinò svizzeri (Mendrisio, Lugano e Locarno) situati in un raggio di pochi chilometri che attingono dallo stesso bacino di clientela italiana e nelle cui sale da gioco non vigono le restrittive disposizioni italiane in materia di identificazione e verifica dell'identità di ogni cliente che acquisti o cambi fiches di importo pari o superiore a 1000 euro;
              è infatti notorio che i frequentatori delle sale del Casinò di Campione d'Italia, dove il gioco avviene in franchi svizzeri, sono per la stragrande maggioranza portatori di valuta in euro, mentre i costi di gestione sostenuti dalla società (personale, fornitori, acquisti di beni e servizi, contributo ex lege in franchi svizzeri al bilancio del Comune) sono regolati in franchi svizzeri, moneta circolante da sempre sul territorio campione se ed utilizzata per le transazioni economiche in considerazione della particolare situazione di exclave italiana completamente circondata dal territorio della Confederazione elvetica;
          atteso che:
              in data 11 giugno 2012 il sindaco di Campione d'Italia ha convocato una riunione di tutti i parlamentari delle province di Como e Lecco ai quali è stata rappresentata la gravissima situazione della Casa da gioco che si ripercuoterà sui livelli occupazionali dell'azienda presso cui trovano lavoro circa 300 persone residenti nelle province vicine;
          considerato che:
              il Consiglio di Amministrazione della Casa da gioco in data 23 luglio 2012 ha proclamato lo stato di crisi dell'azienda prevedendo un esubero di 210 lavoratori (su 563 dipendenti al 30 giugno 2012) le cui conseguenze si ripercuoteranno sulle famiglie che vivono sul territorio dell'exclave o nei viciniori comuni ticinesi o nelle province di Como, Lecco nonché di Varese;
              tale decisione ha generato in quella comunità un clima di forte allarme in considerazione del fatto che per i dipendenti della Casa da gioco non è prevista alcuna forma di cassa integrazione e le possibilità per i residenti in Campione d'Italia di un ricollocamento occupazionale nel Canton Ticino (Svizzera) sono pressoché inesistenti;
          preso atto che:
              l'Amministrazione Comunale di Campione d'Italia è altresì fortemente preoccupata anche per le conseguenze che ricadranno sul bilancio dell'Ente la cui fonte di entrata è costituita per l'80 per cento dalla quota di proventi gioco di spettanza, stabilita dall'articolo 31, comma 37, della legge 23 dicembre 1998, n.  448;
          constatato che:
              dal tavolo tecnico degli attuali soci del Casinò di Campione d'Italia istituito presso la Prefettura di Como è emersa una scelta da tutti condivisa e cioè che anche per la Casa da gioco campionese, in analogia alle vigenti gestioni dei Casinò di Venezia, Sanremo e Saint Vincent, sia opportuno che esista una più diretta e completa assunzione di responsabilità gestionale da parte dell'Ente locale titolare dell'autorizzazione all'esercizio del gioco d'azzardo;
          ritenuto che:
              da parte delle province di Como, Lecco e Varese, è stata inoltre caldeggiata una nuova proposta di riparto dei proventi che garantisse loro ed al Ministero dell'interno, una quota di proventi certa sulla quale poter fare affidamento per le esigenze pubbliche ed economiche delle rispettive aree di competenza;
          accertato che:
              da tempo tale bozza di nuova normativa è stata inviata dal Prefetto di Como al Ministero dell'interno per le valutazioni e i successivi atti di competenza del Parlamento;
          visto che:
              nel frattempo le CCIAA di Como e di Lecco hanno attivato una procedura di cessione della loro partecipazione detenuta nella società di gestione del Casinò di Campione d'Italia, il Consiglio Provinciale di Lecco ha approvato all'unanimità un odg nel quale si chiede di uscire al più presto dalla compagine societaria della Casa da gioco e tale orientamento è stato espresso in più occasioni anche dalla Provincia di Como;
          accertato che:
              il Comune di Campione d'Italia, titolare della licenza per l'esercizio del gioco d'azzardo ha manifestato formalmente, unico tra i soci, entro i termini stabiliti, la disponibilità ad acquisire le altre partecipazioni azionarie ed ha più volte chiaramente espresso la volontà di diventare socio unico onde poter effettuare operazioni di patrimonializzazione della società di gestione, non altrimenti possibile con l'attuale assetto societario, e così poter dare alla società di gestione la continuità aziendale richiesta dalla società di revisione nominata dal Ministero dell'interno e salvare conseguentemente il più elevato numero possibile di posti di lavoro attualmente dichiarati in esubero;
          tutto ciò premesso,

impegna il Governo

ad approvare in tempi brevi in accordo con l'Amministrazione Comunale campionese, una nuova normativa per la gestione della Casa da gioco di Campione d'Italia tenendo conto del documento e delle decisioni raccomandate da tutti i soci presso la Prefettura di Como.
9/5389/126. Braga, Codurelli, Baretta, Pizzetti, Nicola Molteni, Rivolta, Fava.


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto-legge in commento si inserisce nell'ambito di uno sforzo complessivo del Paese di riduzione strutturale e razionalizzazione delle spese, attraverso la ottimizzazione delle procedure e delle articolazioni dello Stato; il testo trasmesso dal Senato incorpora anche il contenuto del decreto-legge n.  87, recante misure urgenti in materia di efficientamento, valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico, di razionalizzazione dell'amministrazione economico-finanziaria, nonché misure di rafforzamento del patrimonio delle imprese del settore bancario;
              nell'ambito delle misure di revisione e razionalizzazione della spesa pubblica e delle misure di valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico, le disposizioni che investono più direttamente il settore agricolo sono quelle relative alla riduzione della spesa dei Ministeri (articolo 7), alla riduzione dei trasferimenti statali agli enti di ricerca (articolo 8) e quelle relative alla soppressione e alla riorganizzazione di enti e società (articoli 12 e 23-quater);
              in particolare, con l'articolo 12 si stabilisce la soppressione dell'Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN) a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legge in commento e si attribuiscono le competenze dell'INRAN al Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA), fatta eccezione per le competenze nel settore delle sementi elette che, trasferite nell'estate 2010 alla stessa INRAN, dopo la soppressione dell'ENSE, sono ora trasferite all'Ente Risi;
              l'esercizio delle competenze nel settore delle sementi elette è di notevole importanza poiché riguarda il controllo e la certificazione ufficiale delle sementi, prima della loro commercializzazione e il coordinamento e la realizzazione delle prove di iscrizione di nuove varietà al Registro nazionale; infatti, non a caso, l'articolo 21 della legge sementiera nazionale n.  1096/71 prevede che «Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali può delegare l'esercizio delle funzioni di controllo ad enti che, per statuto o regolamento, si propongono di promuovere il progresso della produzione sementiera e non perseguono fini commerciali»;
              parimenti gli accordi sottoscritti nell'ambito dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OECD) e le stesse direttive comunitarie sementiere prescrivono che i controlli ufficiali sulle sementi siano svolti da figure terze, indipendenti;
              in merito all'attività di produzione e di commercializzazione di sementi di riso da parte dell'Ente Risi, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, con parere espresso il 6 novembre 2007, a seguito di precisa richiesta da parte del Ministero delle politiche agricole, ha auspicato «un ripensamento sull'iniziativa o, in subordine, una riformulazione della stessa più attenta ad evitarne i possibili effetti distorsivi, derivanti sostanzialmente dalla possibilità di accedere ad informazioni aziendali sensibili dei concorrenti, dall'integrazione contabile e societaria tra le attività di servizio pubblico e quella della commercializzazione delle sementi, nonché dal conflitto di interessi con le attività svolte in collaborazione con gli istituti preposti alla certificazione e sperimentazione delle varietà»;
              in pratica l'attività dell'Ente risi di produzione e di commercializzazione di sementi di riso, così come già indicato dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, sembrerebbe assolutamente incompatibile con il ruolo di responsabile del controllo e certificazione ufficiale di tutti i prodotti sementieri così come dispone il decreto in commento; il rischio è la creazione di un conflitto di interessi generato dall'esercizio delle competenze di controllo e di controllore da parte di un medesimo soggetto,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi dell'articolo 12, al fine di verificare l'opportunità di trasferire le funzioni e il relativo personale dell'Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (INRAN) – precedentemente spettanti all'ex ENSE – al Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA), al fine di evitare il determinarsi di situazioni di incompatibilità per l'Ente risi, con specifico riguardo ai compiti certificativi.
9/5389/127. Zucchi, Oliverio, Agostini, Brandolini, Marco Carra, Cenni, Dal Moro, Fiorio, Marrocu, Mario Pepe (PD), Cuomo, Sani, Servodio, Trappolino.


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto-legge in commento si inserisce nell'ambito di uno sforzo complessivo del Paese di riduzione strutturale e razionalizzazione delle spese, attraverso la ottimizzazione delle procedure e delle articolazioni dello Stato; il testo trasmesso dal Senato incorpora anche il contenuto del decreto-legge n.  87, recante misure urgenti in materia di efficientamento, valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico, di razionalizzazione dell'amministrazione economico-finanziaria, nonché misure di rafforzamento del patrimonio delle imprese del settore bancario;
              nell'ambito delle misure di revisione e razionalizzazione della spesa pubblica e delle misure di valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico, le disposizioni che investono più direttamente il settore agricolo sono quelle relative alla riduzione della spesa dei Ministeri (articolo 7), alla riduzione dei trasferimenti statali agli enti di ricerca (articolo 8) e quelle relative alla soppressione e alla riorganizzazione di enti e società (articoli 12 e 23-quater);
              in particolare, con l'articolo 12 si stabilisce la soppressione dell'Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN) a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legge in commento e si attribuiscono le competenze dell'INRAN al Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA), fatta eccezione per le competenze nel settore delle sementi elette che, trasferite nell'estate 2010 alla stessa INRAN, dopo la soppressione dell'ENSE, sono ora trasferite all'Ente Risi;
              l'esercizio delle competenze nel settore delle sementi elette è di notevole importanza poiché riguarda il controllo e la certificazione ufficiale delle sementi, prima della loro commercializzazione e il coordinamento e la realizzazione delle prove di iscrizione di nuove varietà al Registro nazionale; infatti, non a caso, l'articolo 21 della legge sementiera nazionale n.  1096/71 prevede che «Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali può delegare l'esercizio delle funzioni di controllo ad enti che, per statuto o regolamento, si propongono di promuovere il progresso della produzione sementiera e non perseguono fini commerciali»;
              parimenti gli accordi sottoscritti nell'ambito dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OECD) e le stesse direttive comunitarie sementiere prescrivono che i controlli ufficiali sulle sementi siano svolti da figure terze, indipendenti;
              in merito all'attività di produzione e di commercializzazione di sementi di riso da parte dell'Ente Risi, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, con parere espresso il 6 novembre 2007, a seguito di precisa richiesta da parte del Ministero delle politiche agricole, ha auspicato «un ripensamento sull'iniziativa o, in subordine, una riformulazione della stessa più attenta ad evitarne i possibili effetti distorsivi, derivanti sostanzialmente dalla possibilità di accedere ad informazioni aziendali sensibili dei concorrenti, dall'integrazione contabile e societaria tra le attività di servizio pubblico e quella della commercializzazione delle sementi, nonché dal conflitto di interessi con le attività svolte in collaborazione con gli istituti preposti alla certificazione e sperimentazione delle varietà»;
              in pratica l'attività dell'Ente risi di produzione e di commercializzazione di sementi di riso, così come già indicato dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, sembrerebbe assolutamente incompatibile con il ruolo di responsabile del controllo e certificazione ufficiale di tutti i prodotti sementieri così come dispone il decreto in commento; il rischio è la creazione di un conflitto di interessi generato dall'esercizio delle competenze di controllo e di controllore da parte di un medesimo soggetto,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi dell'articolo 12, al fine di verificare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di trasferire le funzioni e il relativo personale dell'Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione (INRAN) – precedentemente spettanti all'ex ENSE – al Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA), al fine di evitare il determinarsi di situazioni di incompatibilità per l'Ente risi, con specifico riguardo ai compiti certificativi.
9/5389/127.    (Testo modificato nel corso della seduta) Zucchi, Oliverio, Agostini, Brandolini, Marco Carra, Cenni, Dal Moro, Fiorio, Marrocu, Mario Pepe (PD), Cuomo, Sani, Servodio, Trappolino.


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto-legge in commento si inserisce nell'ambito di uno sforzo complessivo del Paese di riduzione strutturale e razionalizzazione delle spese, attraverso la ottimizzazione delle procedure e delle articolazioni dello Stato; il testo trasmesso dal Senato incorpora anche il contenuto del decreto-legge n.  87, recante misure urgenti in materia di efficientamento, valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico, di razionalizzazione dell'amministrazione economico-finanziaria, nonché misure di rafforzamento del patrimonio delle imprese del settore bancario;
              nell'ambito delle misure di revisione e razionalizzazione della spesa pubblica e delle misure di valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico, le disposizioni che investono più direttamente il settore agricolo sono quelle relative alla riduzione della spesa dei Ministeri (articolo 7), alla riduzione dei trasferimenti statali agli enti di ricerca (articolo 8) e quelle relative alla soppressione e alla riorganizzazione di enti e società (articoli 12 e 23-quater);
              l'articolo 23-quater, ai commi 9 e 9-bis, dispone la soppressione dell'Agenzia per lo sviluppo del settore ippica (ASSI), riprendendo le disposizioni già contenute nell'articolo 3, comma 9, del decreto-legge n.  87; le funzioni già attribuite ad ASSI dalla normativa vigente sono ripartite tra il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e l'Agenzia delle dogane e dei monopoli (che incorpora contestualmente l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato), nonché le relative risorse umane; finanziarie e strumentali e i relativi rapporti giuridici attivi e passivi;
              l'articolo 14, comma 28, del decreto-legge n.  98 del 2011 aveva trasformato l'Unione nazionale per l'incremento delle tazze equine (UNIRE) in Agenzia per lo sviluppo del settore ippico (ASSI), struttura a carattere tecnico-operativo di interesse nazionale, secondo quanto previsto dall'articolo 8 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n.  300, sotto la vigilanza del Ministro delle politiche agricole; l'Agenzia è subentrata nella titolarità dei rapporti giuridici facenti capo all'UNIRE; la durata dell'incarico del direttore generale, dei componenti del comitato direttivo e del collegio dei revisori è stata fissata in tre anni. E stata infine assicurata la continuità del rapporto di lavoro del personale;
              le condizioni di profonda difficoltà del settore ippico vengono ormai da lontano, almeno da quando lo Stato, con il decreto del Presidente della Repubblica n.  168 del 1998 in attuazione della legge 23 dicembre 1996 n.  662, ha trasferito dall'UNIRE al Ministero dell'economia e delle finanze la gestione delle scommesse sulle corse dei cavalli senza la tutela e gli investimenti che sarebbero stati necessari per evitare la riduzione degli spettatori negli ippodromi e dei volumi di gioco come invece è avvenuto in altri Paesi;
              i princìpi per la ristrutturazione del settore sono l'attenzione prioritaria agli appassionati spettatori e scommettitori, la trasparenza delle corse e l'applicazione tempestiva delle sanzioni previste dalla giustizia sportiva, la qualità e la selezione degli impianti e degli operatori, gli investimenti finalizzati ad aumentare l'efficacia, l'autonomia e la competitività del settore contenuti nel documento del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali «Linee di indirizzo strategico per il rilancio dell'ippica italiana» del 29 luglio 2009, elaborato con il concorso delle associazioni di categoria e rimasto inattuato,»;
              continua a mancare un piano di ristrutturazione del settore – che comprenda anche il reperimento delle risorse sufficienti a far ripartire rapidamente le attività-progetto necessario per avviare il processo di riqualificazione essenziale per il superamento della crisi che investe l'intera filiera e garantire un orizzonte pluriennale alle componenti maggiormente qualitative della stessa,

impegna il Governo

ad avviare rapidamente un processo di riorganizzazione del compatto ippico assicurando, al contempo, le risorse necessarie per evitare la chiusura delle attività.
9/5389/128. Brandolini, Oliverio, Zucchi, Agostini, Marco Carra, Cenni, Dal Moro, Fiorio, Marrocu, Mario Pepe (PD), Cuomo, Sani, Servodio, Trappolino.


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto-legge in commento si inserisce nell'ambito di uno sforzo complessivo del Paese di riduzione strutturale e razionalizzazione delle spese, attraverso la ottimizzazione delle procedure e delle articolazioni dello Stato; il testo trasmesso dal Senato incorpora anche il contenuto del decreto-legge n.  87, recante misure urgenti in materia di efficientamento, valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico, di razionalizzazione dell'amministrazione economico-finanziaria, nonché misure di rafforzamento del patrimonio delle imprese del settore bancario;
              nell'ambito delle misure di revisione e razionalizzazione della spesa pubblica e delle misure di valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico, le disposizioni che investono più direttamente il settore agricolo sono quelle relative alla riduzione della spesa dei Ministeri (articolo 7), alla riduzione dei trasferimenti statali agli enti di ricerca (articolo 8) e quelle relative alla soppressione e alla riorganizzazione di enti e società (articoli 12 e 23-quater);
              l'articolo 23-quater, ai commi 9 e 9-bis, dispone la soppressione dell'Agenzia per lo sviluppo del settore ippica (ASSI), riprendendo le disposizioni già contenute nell'articolo 3, comma 9, del decreto-legge n.  87; le funzioni già attribuite ad ASSI dalla normativa vigente sono ripartite tra il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e l'Agenzia delle dogane e dei monopoli (che incorpora contestualmente l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato), nonché le relative risorse umane; finanziarie e strumentali e i relativi rapporti giuridici attivi e passivi;
              l'articolo 14, comma 28, del decreto-legge n.  98 del 2011 aveva trasformato l'Unione nazionale per l'incremento delle tazze equine (UNIRE) in Agenzia per lo sviluppo del settore ippico (ASSI), struttura a carattere tecnico-operativo di interesse nazionale, secondo quanto previsto dall'articolo 8 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n.  300, sotto la vigilanza del Ministro delle politiche agricole; l'Agenzia è subentrata nella titolarità dei rapporti giuridici facenti capo all'UNIRE; la durata dell'incarico del direttore generale, dei componenti del comitato direttivo e del collegio dei revisori è stata fissata in tre anni. E stata infine assicurata la continuità del rapporto di lavoro del personale;
              le condizioni di profonda difficoltà del settore ippico vengono ormai da lontano, almeno da quando lo Stato, con il decreto del Presidente della Repubblica n.  168 del 1998 in attuazione della legge 23 dicembre 1996 n.  662, ha trasferito dall'UNIRE al Ministero dell'economia e delle finanze la gestione delle scommesse sulle corse dei cavalli senza la tutela e gli investimenti che sarebbero stati necessari per evitare la riduzione degli spettatori negli ippodromi e dei volumi di gioco come invece è avvenuto in altri Paesi;
              i princìpi per la ristrutturazione del settore sono l'attenzione prioritaria agli appassionati spettatori e scommettitori, la trasparenza delle corse e l'applicazione tempestiva delle sanzioni previste dalla giustizia sportiva, la qualità e la selezione degli impianti e degli operatori, gli investimenti finalizzati ad aumentare l'efficacia, l'autonomia e la competitività del settore contenuti nel documento del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali «Linee di indirizzo strategico per il rilancio dell'ippica italiana» del 29 luglio 2009, elaborato con il concorso delle associazioni di categoria e rimasto inattuato,»;
              continua a mancare un piano di ristrutturazione del settore – che comprenda anche il reperimento delle risorse sufficienti a far ripartire rapidamente le attività-progetto necessario per avviare il processo di riqualificazione essenziale per il superamento della crisi che investe l'intera filiera e garantire un orizzonte pluriennale alle componenti maggiormente qualitative della stessa,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di avviare rapidamente un processo di riorganizzazione del compatto ippico assicurando, al contempo, le risorse necessarie per evitare la chiusura delle attività.
9/5389/128.    (Testo modificato nel corso della seduta) Brandolini, Oliverio, Zucchi, Agostini, Marco Carra, Cenni, Dal Moro, Fiorio, Marrocu, Mario Pepe (PD), Cuomo, Sani, Servodio, Trappolino.


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto-legge in esame n.  95 del 2012 reca disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica che dovrebbero garantire invarianza dei servizi ai cittadini;
              con le disposizioni introdotte dall'articolo 17 il Governo intende procedere al riordino delle Province e delle loro funzioni;
              il complesso delle disposizioni di revisione della spesa pubblica avrebbe l'intento di assicurare una più razionale riorganizzazione delle risorse umane e materiali pubbliche, al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza delle strutture periferiche delle amministrazioni dello Stato;
              la necessità di operare un riequilibrio territoriale nel processo di revisione della spesa delle amministrazioni statali ha investito anche la questione della riorganizzazione degli uffici giudiziari di primo grado compresi nel territorio provinciale, con l'emanazione da parte del Governo dello schema di decreto legislativo atto n.  494, su cui la Commissione giustizia della Camera ha reso il proprio parere il 1o agosto 2012 a seguito di un dibattito che ha evidenziato nel provvedimento numerosi aspetti problematici;
              l'esame dei profili finanziari di tale provvedimento rileva come le risorse derivanti dalla riorganizzazione degli uffici giudiziari di primo grado concorrano al raggiungimento degli obiettivi fissati in via generale per il Ministero della giustizia, con effetti positivi per le casse dello Stato quantificabili in circa 2,9 milioni di euro per l'anno 2012, 17,5 milioni di euro per l'anno 2013 e di 31,5 milioni di euro per l'anno 2014;
              tuttavia, il provvedimento utilizza come parametro di riferimento l'ambito territoriale della provincia senza affrontare la questione, al di là degli aspetti di risparmio stimati, della prevista loro razionalizzazione subordinata ad un complessa procedura di consultazione tra Governo ed enti territoriali, con una tempistica di carattere meramente ordinatorio ancora non ben definita e senza considerare che la prevista soppressione di tutte le sezioni distaccate di tribunale va valutata alla luce delle peculiari esigenze dei diversi territori;
              andrebbero individuate con più attenzione tutte le situazioni territoriali che necessitano di un presidio giudiziario e che invece ne risultano private, operando un approfondito distinguo tra sezioni di tribunale superflue e le tante che invece rispondono a reali e concrete esigenze dei cittadini, peraltro procedendo ad un'efficiente parametrazione sulla base di quella che sarà definita, al termine della procedura di riordino delle province, come nuova organizzazione degli ambiti provinciali;
              si rilevano, in particolare, incongruità tra alcuni principi e criteri direttivi della suddetta delega rispetto alla totale revisione dell'istituto della provincia ora in corso, che finiscono necessariamente per condizionare il nuovo assetto della geografia giudiziaria;
              con il riordino delle province sarà poi necessario provvedere ad una revisione degli altri uffici territoriali del Governo, come prefetture, questure, sedi Inps, Agenzie del territorio ed altri, che non potrà non incidere anche sull'operatività e funzionalità delle sedi dei tribunali,

impegna il Governo

a considerare gli effetti applicativi dei provvedimenti citati di revisione della spesa pubblica, con particolare riferimento al riordino degli enti provinciali e degli uffici giudiziari di primo grado previsti in ambito provinciale e presso i capoluoghi di provincia, e a valutare l'opportunità di adottare le opportune iniziative al fine di adeguare l'esercizio della delega prevista per il nuovo assetto giudiziario territoriale con il riordino delle province di cui all'articolo 17 del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95.
9/5389/129. Bragantini.


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto-legge in esame n.  95 del 2012 reca disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica che dovrebbero garantire invarianza dei servizi ai cittadini;
              con le disposizioni introdotte dall'articolo 17 il Governo intende procedere al riordino delle Province e delle loro funzioni;
              il complesso delle disposizioni di revisione della spesa pubblica avrebbe l'intento di assicurare una più razionale riorganizzazione delle risorse umane e materiali pubbliche, al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza delle strutture periferiche delle amministrazioni dello Stato;
              la necessità di operare un riequilibrio territoriale nel processo di revisione della spesa delle amministrazioni statali ha investito anche la questione della riorganizzazione degli uffici giudiziari di primo grado compresi nel territorio provinciale, con l'emanazione da parte del Governo dello schema di decreto legislativo atto n.  494, su cui la Commissione giustizia della Camera ha reso il proprio parere il 1o agosto 2012 a seguito di un dibattito che ha evidenziato nel provvedimento numerosi aspetti problematici;
              l'esame dei profili finanziari di tale provvedimento rileva come le risorse derivanti dalla riorganizzazione degli uffici giudiziari di primo grado concorrano al raggiungimento degli obiettivi fissati in via generale per il Ministero della giustizia, con effetti positivi per le casse dello Stato quantificabili in circa 2,9 milioni di euro per l'anno 2012, 17,5 milioni di euro per l'anno 2013 e di 31,5 milioni di euro per l'anno 2014;
              tuttavia, il provvedimento utilizza come parametro di riferimento l'ambito territoriale della provincia senza affrontare la questione, al di là degli aspetti di risparmio stimati, della prevista loro razionalizzazione subordinata ad un complessa procedura di consultazione tra Governo ed enti territoriali, con una tempistica di carattere meramente ordinatorio ancora non ben definita e senza considerare che la prevista soppressione di tutte le sezioni distaccate di tribunale va valutata alla luce delle peculiari esigenze dei diversi territori;
              andrebbero individuate con più attenzione tutte le situazioni territoriali che necessitano di un presidio giudiziario e che invece ne risultano private, operando un approfondito distinguo tra sezioni di tribunale superflue e le tante che invece rispondono a reali e concrete esigenze dei cittadini, peraltro procedendo ad un'efficiente parametrazione sulla base di quella che sarà definita, al termine della procedura di riordino delle province, come nuova organizzazione degli ambiti provinciali;
              si rilevano, in particolare, incongruità tra alcuni principi e criteri direttivi della suddetta delega rispetto alla totale revisione dell'istituto della provincia ora in corso, che finiscono necessariamente per condizionare il nuovo assetto della geografia giudiziaria;
              con il riordino delle province sarà poi necessario provvedere ad una revisione degli altri uffici territoriali del Governo, come prefetture, questure, sedi Inps, Agenzie del territorio ed altri, che non potrà non incidere anche sull'operatività e funzionalità delle sedi dei tribunali,

impegna il Governo

a considerare gli effetti applicativi dei provvedimenti citati di revisione della spesa pubblica, con particolare riferimento al riordino degli enti provinciali e degli uffici giudiziari di primo grado previsti in ambito provinciale e presso i capoluoghi di provincia, e a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di adottare le opportune iniziative al fine di adeguare l'esercizio della delega prevista per il nuovo assetto giudiziario territoriale con il riordino delle province di cui all'articolo 17 del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95.
9/5389/129.    (Testo modificato nel corso della seduta) Bragantini.


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto-legge n.  95 del 2012 reca disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica che dovrebbero garantire invarianza dei servizi ai cittadini;
              in particolare, l'articolo 10 interviene in materia di razionalizzazione delle prefetture, prevedendo, al fine del conseguimento di livelli ottimali di efficienza, che le singole funzioni logistiche e strumentali di tutti gli uffici periferici delle amministrazioni statali siano esercitate da un unico ufficio, che ne assume la responsabilità esclusiva;
              la prevista attribuzione ad un unico ufficio dell'esercizio unitario di tali funzioni dovrà assicurare la riduzione di almeno il 20 per cento della spesa statale sostenuta per l'assolvimento delle medesime;
              il comma 2 della sopra indicata disposizione prevede il mantenimento della circoscrizione provinciale quale ambito territoriale di competenza delle prefetture e degli altri uffici periferici già organizzati su base provinciale;
              risulta espressamente confermato che i dati economici relativi alle strutture amministrative periferiche coinvolte dalla riforma in esame saranno disponibili solamente a seguito dell'emanazione del regolamento previsto dal medesimo comma 2, con il quale saranno dettagliatamente individuati i compiti e le funzioni trasferiti alle prefetture UTG, con effetti che potranno pertanto essere verificati solamente a consuntivo;
              le strutture periferiche dei servizi in capo alle prefetture rappresentano un consistente volume di spesa analizzata per lo Stato per retribuzioni, contratti di locazione di sedi e distaccamenti locali, consumi intermedi e acquisto di beni e servizi, peraltro con notevoli differenziazioni territoriali;
              ogni prefettura presente in ciascuna delle province del territorio italiano svolge servizi analoghi, sia che si tratti di territori con scarsa popolazione, sia che si tratti di comuni capoluogo di notevoli dimensioni;
              le spese in capo alle prefetture comprendono gli emolumenti, le spese di rappresentanza, i beni immobili e mobili in dotazione agli uffici, gli adempimenti connessi alle spese d'ufficio, l'utilizzo di personale di accompagnamento, segreteria ed auto di servizio, oltre che le spese per gli alloggi di servizio dei prefetti, con utenze e manutenzione ordinaria e personale di servizio a carico della finanza pubblica;
              sono state introdotte in precedenti provvedimenti d'urgenza disposizioni volte a rendere più stringente la disciplina in materia di trasparenza dell'attività amministrativa, veicolo fondamentale per incrementare in modo sostanziale il livello di trasparenza e certezza degli adempimenti amministrativi rivolti a privati ed imprese, e tuttavia ciò non appare sufficiente senza il preciso obbligo per le pubbliche amministrazioni di pubblicare sui propri siti istituzionali anche l'elenco delle singole voci di spesa riferite agli uffici pubblici interessanti comunque la finanza statale;
              è infatti fortemente presente presso l'opinione pubblica un'esigenza di conoscenza e di trasparenza e una richiesta di comportamenti sobri e coerenti rispetto alla situazione di grave crisi che il Paese attraversa, da parte di chi percepisce denaro pubblico,

impegna il Governo:

          a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni introdotte con l'articolo 10, al fine di:
              a) verificare l'opportunità di idonee iniziative volte ad introdurre efficaci misure di controllo e monitoraggio delle singole voci di spesa riferite rispettivamente a ciascuna prefettura per ciascun ambito territoriale, in particolare al fine di verificare e rendere pubblici i dati relativi all'emolumento omnicomprensivo di ogni voce remunerativa, compensativa, anche forfetariamente, di ciascuna prefettura e di ciascun prefetto, prefetto vicario, vice prefetto e prefetto aggiunto, singolarmente considerata, nonché l'elenco delle voci di costo delle spese di rappresentanza e per alloggi di servizio, prevedendo anche l'obbligo di pubblicazione dei relativi dati sui siti istituzionali di ciascuna prefettura, ai sensi di quanto prescritto dal Codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo n.  82 del 2005, e dalla legge 18 giugno 2009, n.  69, in materia di trasparenza sulle retribuzioni dei dirigenti pubblici;
              b) a valutare quindi l'opportunità, alla luce delle considerazioni esposte e dell'incidenza sulla spesa pubblica del mantenimento delle prefetture, di adottare iniziative volte alla loro eliminazione, atteso che l'esercizio delle funzioni da esse esercitate può essere compiutamente svolto da regioni e province.
9/5389/130. Rondini.


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto-legge n.  95 del 2012 reca disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica che dovrebbero garantire invarianza dei servizi ai cittadini;
              in particolare, l'articolo 10 interviene in materia di razionalizzazione delle prefetture, prevedendo, al fine del conseguimento di livelli ottimali di efficienza, che le singole funzioni logistiche e strumentali di tutti gli uffici periferici delle amministrazioni statali siano esercitate da un unico ufficio, che ne assume la responsabilità esclusiva;
              la prevista attribuzione ad un unico ufficio dell'esercizio unitario di tali funzioni dovrà assicurare la riduzione di almeno il 20 per cento della spesa statale sostenuta per l'assolvimento delle medesime;
              il comma 2 della sopra indicata disposizione prevede il mantenimento della circoscrizione provinciale quale ambito territoriale di competenza delle prefetture e degli altri uffici periferici già organizzati su base provinciale;
              risulta espressamente confermato che i dati economici relativi alle strutture amministrative periferiche coinvolte dalla riforma in esame saranno disponibili solamente a seguito dell'emanazione del regolamento previsto dal medesimo comma 2, con il quale saranno dettagliatamente individuati i compiti e le funzioni trasferiti alle prefetture UTG, con effetti che potranno pertanto essere verificati solamente a consuntivo;
              le strutture periferiche dei servizi in capo alle prefetture rappresentano un consistente volume di spesa analizzata per lo Stato per retribuzioni, contratti di locazione di sedi e distaccamenti locali, consumi intermedi e acquisto di beni e servizi, peraltro con notevoli differenziazioni territoriali;
              ogni prefettura presente in ciascuna delle province del territorio italiano svolge servizi analoghi, sia che si tratti di territori con scarsa popolazione, sia che si tratti di comuni capoluogo di notevoli dimensioni;
              le spese in capo alle prefetture comprendono gli emolumenti, le spese di rappresentanza, i beni immobili e mobili in dotazione agli uffici, gli adempimenti connessi alle spese d'ufficio, l'utilizzo di personale di accompagnamento, segreteria ed auto di servizio, oltre che le spese per gli alloggi di servizio dei prefetti, con utenze e manutenzione ordinaria e personale di servizio a carico della finanza pubblica;
              sono state introdotte in precedenti provvedimenti d'urgenza disposizioni volte a rendere più stringente la disciplina in materia di trasparenza dell'attività amministrativa, veicolo fondamentale per incrementare in modo sostanziale il livello di trasparenza e certezza degli adempimenti amministrativi rivolti a privati ed imprese, e tuttavia ciò non appare sufficiente senza il preciso obbligo per le pubbliche amministrazioni di pubblicare sui propri siti istituzionali anche l'elenco delle singole voci di spesa riferite agli uffici pubblici interessanti comunque la finanza statale;
              è infatti fortemente presente presso l'opinione pubblica un'esigenza di conoscenza e di trasparenza e una richiesta di comportamenti sobri e coerenti rispetto alla situazione di grave crisi che il Paese attraversa, da parte di chi percepisce denaro pubblico,

impegna il Governo:

          a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni introdotte con l'articolo 10, al fine, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di:
              a) verificare l'opportunità di idonee iniziative volte ad introdurre efficaci misure di controllo e monitoraggio delle singole voci di spesa riferite rispettivamente a ciascuna prefettura per ciascun ambito territoriale, in particolare al fine di verificare e rendere pubblici i dati relativi all'emolumento omnicomprensivo di ogni voce remunerativa, compensativa, anche forfetariamente, di ciascuna prefettura e di ciascun prefetto, prefetto vicario, vice prefetto e prefetto aggiunto, singolarmente considerata, nonché l'elenco delle voci di costo delle spese di rappresentanza e per alloggi di servizio, prevedendo anche l'obbligo di pubblicazione dei relativi dati sui siti istituzionali di ciascuna prefettura, ai sensi di quanto prescritto dal Codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo n.  82 del 2005, e dalla legge 18 giugno 2009, n.  69, in materia di trasparenza sulle retribuzioni dei dirigenti pubblici;
              b) a valutare quindi l'opportunità, alla luce delle considerazioni esposte e dell'incidenza sulla spesa pubblica del mantenimento delle prefetture, di adottare iniziative volte alla loro eliminazione, atteso che l'esercizio delle funzioni da esse esercitate può essere compiutamente svolto da regioni e province.
9/5389/130.    (Testo modificato nel corso della seduta) Rondini.


      La Camera,
          premesso che:
              si prende atto della disposizione ex articolo 22, relativamente alla salvaguardia dei cosiddetti «lavoratori esodati» dalle nuove regole pensionistiche di cui all'articolo 24 del decreto-legge n.  201 del 2011, e successive modificazioni ed integrazioni;
              si prende atto della manovra governativa, ad avviso del firmatario del presente atto di indirizzo, di dubbia costituzionalità di dare forza di legge, con la citata disposizione di cui al provvedimento in oggetto, al decreto ministeriale del 1o giugno 2012, che individua in 65 mila la platea di soggetti beneficiari della norma di salvaguardia, e, al contempo, dell'estensione della medesima salvaguardia ad ulteriori 55 mila lavoratori;
              si ritiene, tuttavia, che tali interventi non sono sufficienti a salvaguardare tutti i lavoratori rimasti senza alcuna copertura reddituale – e di lavoro e di ammortizzatore sociale – a seguito dell'incremento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico, dal momento che cifre ancora ufficiose rivelano una potenziale platea di oltre 390 mila lavoratori;
              si ricorda l'impegno assunto dal Governo, con nota della Presidenza del Consiglio del 20 giugno 2012, dinanzi alla determinazione della maggioranza parlamentare di porre rimedio alla questione esodati;
              si rammenta che in uno Stato democratico e di diritto il beneficio della salvaguardia debba essere riconosciuto indistintamente a tutti coloro che si trovino nella medesima situazione, a monte della disponibilità di risorse;
              si rileva l'esigenza di porre fine una volta per tutte a questa sorta di «lotteria dei numeri» (65 mila; 55 mila),

impegna il Governo

ad adottare iniziative volte a rinvenire con urgenza nuove ed ulteriori risorse economiche necessarie alla tutela ed alla salvaguardia di tutti i lavoratori rimasti privi di copertura reddituale – e di ammortizzatore sociale e di stipendio – a seguito delle nuove norme di accesso alla pensione di cui al decreto-legge n.  201 del 2011, e successive integrazioni e modificazioni.
9/5389/131. Fedriga.


      La Camera,
          premesso che:
              si prende atto della disposizione ex articolo 22, relativamente alla salvaguardia dei cosiddetti «lavoratori esodati» dalle nuove regole pensionistiche di cui all'articolo 24 del decreto-legge n.  201 del 2011, e successive modificazioni ed integrazioni;
              si prende atto della manovra governativa, ad avviso del firmatario del presente atto di indirizzo, di dubbia costituzionalità di dare forza di legge, con la citata disposizione di cui al provvedimento in oggetto, al decreto ministeriale del 1o giugno 2012, che individua in 65 mila la platea di soggetti beneficiari della norma di salvaguardia, e, al contempo, dell'estensione della medesima salvaguardia ad ulteriori 55 mila lavoratori;
              si ritiene, tuttavia, che tali interventi non sono sufficienti a salvaguardare tutti i lavoratori rimasti senza alcuna copertura reddituale – e di lavoro e di ammortizzatore sociale – a seguito dell'incremento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico, dal momento che cifre ancora ufficiose rivelano una potenziale platea di oltre 390 mila lavoratori;
              si ricorda l'impegno assunto dal Governo, con nota della Presidenza del Consiglio del 20 giugno 2012, dinanzi alla determinazione della maggioranza parlamentare di porre rimedio alla questione esodati;
              si rammenta che in uno Stato democratico e di diritto il beneficio della salvaguardia debba essere riconosciuto indistintamente a tutti coloro che si trovino nella medesima situazione, a monte della disponibilità di risorse;
              si rileva l'esigenza di porre fine una volta per tutte a questa sorta di «lotteria dei numeri» (65 mila; 55 mila),

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di adottare iniziative volte a rinvenire con urgenza nuove ed ulteriori risorse economiche necessarie alla tutela ed alla salvaguardia di tutti i lavoratori rimasti privi di copertura reddituale – e di ammortizzatore sociale e di stipendio – a seguito delle nuove norme di accesso alla pensione di cui al decreto-legge n.  201 del 2011, e successive integrazioni e modificazioni.
9/5389/131.    (Testo modificato nel corso della seduta) Fedriga.


      La Camera,
          premesso che:
              le sanzioni previste per le «manifestazioni a premio» sono disciplinate dall'articolo 124 del regio decreto-legge 19 ottobre 1938, n.  1933, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 1939, n.  973, così come modificato dall'articolo 19, comma 5, lettera c), della legge 27 dicembre 1997, n.  449, come in ultimo modificato dall'articolo 12, comma 1, lettera o), del decreto-legge 28 aprile 2009, n.  39, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2009, n.  77;
              l'articolo 12, comma 1, lettera o), del decreto-legge 28 aprile 2009, n.  39 recita «(...) Conseguentemente in caso di concorsi ed operazioni a premio di cui è vietato lo svolgimento si applica la sanzione amministrativa da euro cinquantamila a euro cinquecentomila. (...)»;
              l'applicazione di sanzioni amministrative elevatissime, a fronte di violazioni della normativa inerente manifestazioni a premio senza fini di lucro e/o con premi costituiti da piccole somme (poche migliaia di euro), sono di fatto sproporzionate rispetto alla multa richiesta dal Ministero dello sviluppo economico, e non sopportabili economicamente da qualsiasi privato cittadino o azienda, soprattutto in questo attuale contesto di grave crisi,

impegna il Governo

a riordinare la normativa in materia di «manifestazioni a premio», in modo da rendere conforme e proporzionata l'applicazione della sanzione amministrativa al merito della relativa violazione.
9/5389/132. Stucchi, Consiglio.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca misure urgenti per la crescita del Paese e il taglio alle spese e alle inefficienze della Pubblica Amministrazione;
              l'Odi, organismo di indirizzo per la valutazione ed approvazione del finanziamento di progetti per valorizzare i territori dei comuni confinanti con le Province autonome di Trento e Bolzano, è istituito con la legge finanziaria per il 2010 del 23 dicembre 2009, n.  191, e gestisce un fondo di 80 milioni annui per il finanziamento di progetti «per lo sviluppo economico e sociale dei territori confinanti con le province autonome di Trento e Bolzano», adottando gli idonei provvedimenti per la approvazione dei progetti ammessi a contributo ed impegnandosi a finanziarli, determinando le modalità di erogazione dei contributi, verificando la regolare attuazione dei progetti ed il rispetto dei tempi di esecuzione in essi previsti nelle diverse fasi di avanzamento dei lavori e definendo la costituzione di una commissione di approvazione dei progetti;
              le risorse dell'Odi vengono stanziate per i comuni veneti e lombardi confinanti con le province autonome di Trento e Bolzano e sono destinate a sostenere azioni di durata anche pluriennale finalizzate alla valorizzazione, promozione economica e sociale, integrazione e coesione di estrema importanza per la realizzazione di molte opere pubbliche prioritarie e programmate, così da impedire che gli enti che si trovano a ridosso delle province autonome, più avvantaggiate sotto diverse forme, possano comunque competere ed avere uno sviluppo in linea con le province stesse,

impegna il Governo

a definire con maggiore chiarezza l'identità dell'Odi, ponendo attenzione, soprattutto, per le aree svantaggiate, così che l'aspetto socio-economico del comune contiguo sia determinante nella assegnazione dei fondi, e precisando, altresì, come la ripartizione dei fondi complessivi avvenga in quota parte a favore di tutti i singoli comuni che presentano regolare progetto.
9/5389/133. Negro.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca misure urgenti per la crescita del Paese e il taglio alle spese e alle inefficienze della Pubblica Amministrazione;
              l'Odi, organismo di indirizzo per la valutazione ed approvazione del finanziamento di progetti per valorizzare i territori dei comuni confinanti con le Province autonome di Trento e Bolzano, è istituito con la legge finanziaria per il 2010 del 23 dicembre 2009, n.  191, e gestisce un fondo di 80 milioni annui per il finanziamento di progetti «per lo sviluppo economico e sociale dei territori confinanti con le province autonome di Trento e Bolzano», adottando gli idonei provvedimenti per la approvazione dei progetti ammessi a contributo ed impegnandosi a finanziarli, determinando le modalità di erogazione dei contributi, verificando la regolare attuazione dei progetti ed il rispetto dei tempi di esecuzione in essi previsti nelle diverse fasi di avanzamento dei lavori e definendo la costituzione di una commissione di approvazione dei progetti;
              le risorse dell'Odi vengono stanziate per i comuni veneti e lombardi confinanti con le province autonome di Trento e Bolzano e sono destinate a sostenere azioni di durata anche pluriennale finalizzate alla valorizzazione, promozione economica e sociale, integrazione e coesione di estrema importanza per la realizzazione di molte opere pubbliche prioritarie e programmate, così da impedire che gli enti che si trovano a ridosso delle province autonome, più avvantaggiate sotto diverse forme, possano comunque competere ed avere uno sviluppo in linea con le province stesse,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di definire con maggiore chiarezza l'identità dell'Odi, ponendo attenzione, soprattutto, per le aree svantaggiate, così che l'aspetto socio-economico del comune contiguo sia determinante nella assegnazione dei fondi, e precisando, altresì, come la ripartizione dei fondi complessivi avvenga in quota parte a favore di tutti i singoli comuni che presentano regolare progetto.
9/5389/133.    (Testo modificato nel corso della seduta) Negro.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca misure urgenti per la crescita del Paese e il taglio alle spese e alle inefficienze della pubblica amministrazione;
              la situazione economico-finanziaria degli enti locali è oggi particolarmente grave, in ragione dei pesanti tagli ai quali questi sono stati soggetti e in virtù delle numerose modifiche, apportate in questi ultimi mesi, al sistema della finanza locale;
              tra le problematicità più rilevanti evidenziate dagli enti locali, e dai comuni in particolar modo, vi sono le restrizioni inerenti il patto di stabilità che impediscono agli enti, proprio in un momento in cui gli investimenti dovrebbero essere sollecitati, ad effettuare spese in conto capitale entro un certo limite fissato dalla norma di riferimento;
              in sede di discussione alle Camere del presente provvedimento, è stato disposto un contributo di 800 milioni di euro attribuito alle regioni a statuto ordinario e alle Regione Sicilia e alla Sardegna per l'anno 2012 e che le regioni dovranno utilizzare al fine di consentire agli enti locali del proprio territorio di rimodulare gli obiettivi del patto di stabilità secondo la disciplina del cosiddetto patto regionalizzato verticale, disciplinato dalla legge di stabilità 2011;
              la modifica apportata al provvedimento specifica, altresì, come le regioni debbano necessariamente comunicare al Ministero dell'economia e delle finanze gli elementi informativi occorrenti per la verifica del mantenimento dell'equilibrio dei saldi di finanza pubblica,

impegna il Governo

ad adottare iniziative volte a prevedere come le risorse, che entro il termine fissato dalla norma non siano state ripartite dalle regioni ai singoli comuni ovvero non diano corretta informazione al Ministero, vengano riversate in quota proporzionale alle altre regioni.
9/5389/134. Montagnoli, Bitonci.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca misure urgenti per la crescita del Paese e il taglio alle spese e alle inefficienze della pubblica amministrazione;
              la situazione economico-finanziaria degli enti locali è oggi particolarmente grave, in ragione dei pesanti tagli ai quali questi sono stati soggetti e in virtù delle numerose modifiche, apportate in questi ultimi mesi, al sistema della finanza locale;
              tra le problematicità più rilevanti evidenziate dagli enti locali, e dai comuni in particolar modo, vi sono le restrizioni inerenti il patto di stabilità che impediscono agli enti, proprio in un momento in cui gli investimenti dovrebbero essere sollecitati, ad effettuare spese in conto capitale entro un certo limite fissato dalla norma di riferimento;
              in sede di discussione alle Camere del presente provvedimento, è stato disposto un contributo di 800 milioni di euro attribuito alle regioni a statuto ordinario e alle Regione Sicilia e alla Sardegna per l'anno 2012 e che le regioni dovranno utilizzare al fine di consentire agli enti locali del proprio territorio di rimodulare gli obiettivi del patto di stabilità secondo la disciplina del cosiddetto patto regionalizzato verticale, disciplinato dalla legge di stabilità 2011;
              la modifica apportata al provvedimento specifica, altresì, come le regioni debbano necessariamente comunicare al Ministero dell'economia e delle finanze gli elementi informativi occorrenti per la verifica del mantenimento dell'equilibrio dei saldi di finanza pubblica,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di adottare iniziative volte a prevedere come le risorse, che entro il termine fissato dalla norma non siano state ripartite dalle regioni ai singoli comuni ovvero non diano corretta informazione al Ministero, vengano riversate in quota proporzionale alle altre regioni.
9/5389/134.    (Testo modificato nel corso della seduta) Montagnoli, Bitonci.


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto legge n.  201 del 2011 ha anticipato al 2012 l'entrata in vigore dell'imposta municipale propria (Imu), prevista dal decreto legislativo n.  23 del 2011, recante «Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale»;
              in numerosi casi, la differenza tra il gettito stimato dal Ministero dalla nuova imposta ad aliquota base e che viene riportato nel bilancio previsionale 2012 dei comuni e il gettito effettivamente incassato dopo il pagamento della prima rata di giugno 2012, avvenuta per l'appunto ad aliquote base, è particolarmente elevata, così che questi comuni, ancor prima di verificare l'incasso della rata a saldo di dicembre 2012, si ritrovano nella situazione di dover già evidenziare un pesante ammanco rispetto a quanto prospettato dal Ministero ed inserito a bilancio preventivo;
              la situazione economico-finanziaria degli enti locali è oggi particolarmente difficile, alla luce dei numerosi provvedimenti che, nel corso degli ultimi mesi, hanno rivisto la finanza pubblica locale, imponendo drastici riduzioni di trasferimenti sopperiti, nella maggior parte dei casi, con un aumento della imposizione fiscale dei tributi locali,

impegna il Governo

dopo aver analizzato dettagliatamente il gettito Imu incassato con la prima rata da ciascun comune, ad adottare iniziative volte a riconoscere una compensazione per quegli enti che abbiano registrato una negativa differenza tra il gettito incassato e il gettito stimato dal Ministero dell'economia e delle finanze.
9/5389/135. Forcolin.


      La Camera,
          premesso che:
              il sistema della finanza pubblica locale è stato profondamente rivisto in questi ultimi mesi a seguito dei numerosi provvedimenti governativi emanati e che hanno profondamente mutato, nel corso dei mesi e a breve distanza l'uno dall'altro, il già complesso quadro normativo;
              a seguito dell'anticipazione e della contemporanea revisione dell'Imposta municipale unica, contenuta all'interno del decreto-legge n.  201 del 2011, la revisione del regime di tesoreria ovvero le rimodulazioni dei trasferimenti erariali a favore degli enti locali, gli stessi, anche e soprattutto in ragione delle notevoli difficoltà applicative delle numerose norme, sono stati impossibilitati a definire con chiarezza un prospetto di bilancio previsionale per l'esercizio 2012 che tenesse conto delle numerose modifiche occorse;
              il Governo, a partire da dicembre 2011, è perciò dovuto intervenire per prevedere il rinvio del termine ultimo per l'approvazione dei bilanci previsionali 2012, la cui scadenza, oggi fissata al 31 agosto 2012, è stata ulteriormente posticipata ad ottobre 2012;
              il rinvio, il quarto per i bilanci del 2012, è stato necessario per consentire ai comuni di prevedere, all'interno dei bilanci stessi, le revisioni ai trasferimenti e le ultime disposizioni in materia di patto di stabilità, ovvero per identificare con chiarezza l'esatto importo del gettito incassato dalla prima rata dell'imposta municipale unica,

impegna il Governo

ad adottare iniziative volte a prevedere, per l'esercizio 2013, un quadro normativo di finanza per gli enti locali stabile e duraturo nel tempo, escludendo continue modifiche all'assetto finanziario, che determinano continui cambiamenti della programmazione economico-finanziaria dei medesimi enti.
9/5389/136. Rivolta.


      La Camera,
          premesso che:
              il sistema della finanza pubblica locale è stato profondamente rivisto in questi ultimi mesi a seguito dei numerosi provvedimenti governativi emanati e che hanno profondamente mutato, nel corso dei mesi e a breve distanza l'uno dall'altro, il già complesso quadro normativo;
              a seguito dell'anticipazione e della contemporanea revisione dell'Imposta municipale unica, contenuta all'interno del decreto-legge n.  201 del 2011, la revisione del regime di tesoreria ovvero le rimodulazioni dei trasferimenti erariali a favore degli enti locali, gli stessi, anche e soprattutto in ragione delle notevoli difficoltà applicative delle numerose norme, sono stati impossibilitati a definire con chiarezza un prospetto di bilancio previsionale per l'esercizio 2012 che tenesse conto delle numerose modifiche occorse;
              il Governo, a partire da dicembre 2011, è perciò dovuto intervenire per prevedere il rinvio del termine ultimo per l'approvazione dei bilanci previsionali 2012, la cui scadenza, oggi fissata al 31 agosto 2012, è stata ulteriormente posticipata ad ottobre 2012;
              il rinvio, il quarto per i bilanci del 2012, è stato necessario per consentire ai comuni di prevedere, all'interno dei bilanci stessi, le revisioni ai trasferimenti e le ultime disposizioni in materia di patto di stabilità, ovvero per identificare con chiarezza l'esatto importo del gettito incassato dalla prima rata dell'imposta municipale unica,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, e nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di adottare iniziative volte a prevedere, per l'esercizio 2013, un quadro normativo di finanza per gli enti locali stabile e duraturo nel tempo, escludendo continue modifiche all'assetto finanziario, che determinano continui cambiamenti della programmazione economico-finanziaria dei medesimi enti.
9/5389/136.    (Testo modificato nel corso della seduta) Rivolta.


      La Camera,
          premesso che:
              la finalità sottesa alle disposizioni contenute nel decreto in esame consiste nella razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica;
              molti dei tagli alla spesa pubblica adottati graveranno sui bilanci degli enti territoriali con grave compromissione della possibilità per detti enti di sostenere lo sviluppo e la crescita attraverso investimenti a favore dei propri territori;
              da notizie di stampa si apprende che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti avrebbe deciso di indire in tempi brevi una nuova gara europea per la concessione dell'A22 (Autobrennero), in contrasto con il differimento dell'avvio della gara disposto nell'ultimo «decreto mille proroghe», nell'attesa che si arrivasse ad un'intesa tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e gli enti territoriali soci di A22;
              alla notizia da ultimo citata fa eco l'intenzione del Governo di adottare un decreto con il quale l'accantonamento di Autobrennero pari a 600 milioni, destinato a finanziare il traforo del Brennero, verrebbe dirottato ad altre finalità,

impegna il Governo

a mantenere fede a quanto disposto nell'ultimo «decreto mille proroghe» in ordine ai termini e alle intese ivi previste per l'avvio della gara per la concessione della A22 e ad assicurare il mantenimento dell'originaria destinazione dell'accantonamento di circa 600 milioni di cui in premessa per la realizzazione del tunnel ferroviario del Brennero.
9/5389/137. Fugatti, Fava, Bragantini.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame dispone all'articolo 14, comma 22, l'interpretazione autentica dell'articolo 25, comma 5, del decreto legislativo 165/2001, stabilendo che la delega di compiti ai docenti, da parte del dirigente scolastico, non costituisce affidamento di mansioni superiori o di funzioni vicarie;
              il comma 22 dispone, inoltre, che il docente delegato può essere retribuito esclusivamente a carico del fondo d'istituto;
              la carenza di dirigenti scolastici ha comportato fino ad oggi la necessità di attribuire numerosi incarichi di reggenza;
              infatti, la gravissima e annosa carenza di dirigenti scolastici che caratterizza il nostro Paese, con particolare difficoltà per alcune regioni, ostacola il buon funzionamento delle autonomie scolastiche, costrette ad uno stato di sofferenza gestionale e istituzionale;
              le scuole senza dirigente sono tendenzialmente quelle più difficili o in luoghi più disagiati, giacché, a parità di salario, docenti e dirigenti preferiscono migrare in luoghi più accoglienti;
              il carico della scuola data in reggenza è in buona parte sulle spalle del vicario/vicepreside. L'assenza di titolare dovrebbe essere compensata da maggiori risorse e disponibilità che non possono rientrare tra quelle a carico del fondo d'istituto che già, a causa della scarsità di fondi, non riesce a coprire le principali spese,

impegna il Governo

a monitorare gli effetti applicativi della disposizione citata in premessa valutando l'opportunità, in fase di discussione del primo provvedimento utile, di adottare iniziative volte a reperire risorse specifiche utili a retribuire le mansioni svolte dal docente vicario e ad ampliare, soprattutto nel caso di scuole con dirigenti in reggenza la possibilità, rispetto alla normativa vigente, di nomina di un vicario.
9/5389/138. De Pasquale.


      La Camera,
          premesso che:
              il presentatore dell'ordine del giorno ha apprezzato in fase di discussione del provvedimento in esame al Senato l'eliminazione dei tagli per il 2012 agli enti di ricerca;
              tale previsione avrebbe danneggiato enti che svolgono ricerche importantissime in ogni campo;
              la ricerca necessita di una programmazione con precisi obiettivi di spesa,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi del provvedimento, al fine di verificare l'opportunità di reperire, in fase di discussione del primo provvedimento utile, risorse necessarie a ripristinare il finanziamento degli istituti di ricerca anche per il 2013 e il 2014, garantendo il livello previgente al provvedimento in esame.
9/5389/139. Bachelet.


      La Camera,
          premesso che:
              il presentatore dell'ordine del giorno ha apprezzato in fase di discussione del provvedimento in esame al Senato l'eliminazione dei tagli per il 2012 agli enti di ricerca;
              tale previsione avrebbe danneggiato enti che svolgono ricerche importantissime in ogni campo;
              la ricerca necessita di una programmazione con precisi obiettivi di spesa,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi del provvedimento, al fine di verificare l'opportunità di reperire, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, in fase di discussione del primo provvedimento utile, risorse necessarie a ripristinare il finanziamento degli istituti di ricerca anche per il 2013 e il 2014, garantendo il livello previgente al provvedimento in esame.
9/5389/139.    (Testo modificato nel corso della seduta) Bachelet.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 14, al comma 13, stabilisce che il personale docente dichiarato permanentemente inidoneo alla propria funzione per motivi di salute, ma idoneo ad altri compiti, transiti nei ruoli del personale ATA con la qualifica di assistente amministrativo o tecnico;
              la stessa relazione tecnica evidenzia che su 3.565 unità di personale docente dichiarato permanentemente inidoneo per motivi di salute ma idoneo ad altri compiti (a.s. 2010/2011) hanno chiesto di transitare nei ruoli ATA, in virtù di quanto disposto dal decreto-legge 98/2011, solo 600 unità;
              tale dato dimostra che si tratta di personale che potrebbe e comunque, anche in virtù di una propria dignità lavorativa, desidera impegnarsi come già avviene all'interno dell'attività didattica, nelle biblioteche scolastiche e nei laboratori, apportando le proprie competenze ad un progetto attinente alla propria qualifica professionale,

impegna il Governo:

          a verificare gli effetti applicativi dell'articolo 14, comma 13, al fine di:
              a) valutare l'opportunità, anche varando un provvedimento ad hoc, di rivedere la citata disposizione, al fine di individuare un piano per l'utilizzo del personale dichiarato inidoneo, tenuto conto delle effettive condizioni di salute e delle competenze acquisite;
              b) prevedere la possibilità, riprendendo analoghe disposizioni presenti in precedenti norme per diverse categorie di dipendenti della pubblica amministrazione in esubero, di collocare in quiescenza tale personale inidoneo, che ha raggiunto i requisiti di età e di contribuzione entro il 2014, applicando le disposizioni previgenti alle norme di cui all'articolo 24 del decreto legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214.
9/5389/140. Coscia, Schirru.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 14, al comma 13, stabilisce che il personale docente dichiarato permanentemente inidoneo alla propria funzione per motivi di salute, ma idoneo ad altri compiti, transiti nei ruoli del personale ATA con la qualifica di assistente amministrativo o tecnico;
              la stessa relazione tecnica evidenzia che su 3.565 unità di personale docente dichiarato permanentemente inidoneo per motivi di salute ma idoneo ad altri compiti (a.s. 2010/2011) hanno chiesto di transitare nei ruoli ATA, in virtù di quanto disposto dal decreto-legge 98/2011, solo 600 unità;
              tale dato dimostra che si tratta di personale che potrebbe e comunque, anche in virtù di una propria dignità lavorativa, desidera impegnarsi come già avviene all'interno dell'attività didattica, nelle biblioteche scolastiche e nei laboratori, apportando le proprie competenze ad un progetto attinente alla propria qualifica professionale,

impegna il Governo:

          a verificare gli effetti applicativi dell'articolo 14, comma 13, al fine di:
              a) valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, anche varando un provvedimento ad hoc, di rivedere la citata disposizione, al fine di individuare un piano per l'utilizzo del personale dichiarato inidoneo, tenuto conto delle effettive condizioni di salute e delle competenze acquisite;
              b) prevedere la possibilità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, riprendendo analoghe disposizioni presenti in precedenti norme per diverse categorie di dipendenti della pubblica amministrazione in esubero, di collocare in quiescenza tale personale inidoneo, che ha raggiunto i requisiti di età e di contribuzione entro il 2014, applicando le disposizioni previgenti alle norme di cui all'articolo 24 del decreto legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214.
9/5389/140.    (Testo modificato nel corso della seduta) Coscia, Schirru.


      La Camera,
          premesso che:
              a causa dei tagli inflitti al sistema scolastico dal pro tempore governo Berlusconi il sistema di istruzione è stato privato di circa 90.000 insegnanti negli ultimi tre anni;
              nell'anno scolastico 2011-2012 sono stati determinati circa 10.000 docenti in esubero;
              tale riduzione produrrà effetti ancora più drastici in termini di esuberi, quando i nuovi quadri orari della riforma «Gelmini» delle scuole secondarie superiori andranno a regime;
              le norme contenute all'articolo 14, commi 17-20, che prevedono la riconversione di tali docenti appaiono inadeguate;
              nel rispetto del lavoro degli insegnanti e nel rispetto della formazione degli alunni appare necessario prevedere soluzioni che prendano in considerazione la professionalità già acquisita dal docente, spesso anche dopo diversi anni di insegnamento, e che al contempo rispettino la didattica delle discipline interessate;
              appare ancora più preoccupante la possibilità di utilizzare i docenti soprannumerari sui posti per il sostegno, trattandosi di un ruolo che richiede una particolare professionalità che non può essere improvvisata né bypassata mediante i corsi di specializzazione, previsti dal decreto ministeriale n.  7 del 16 aprile 2012 del MIUR, che avrebbero una durata di 420 ore di cui 1/3 online a fronte dei precedenti, a carico dei docenti specializzandi, della durata media tra le 800 e 1.200 ore di lezione;
              tale evenienza, inevitabilmente, pregiudicherebbe la qualità del servizio verso i discenti con disabilità poiché si rischia, verosimilmente, di inficiare la continuità didattica, interrompendo l'azione specifica di sostegno, ovviamente sempre personalizzata, con il relativo bagaglio di esperienze e relazioni affettive e fiduciarie maturate tra docente e discente tutt'altro che meccanicamente nel corso del tempo e che sono alla base, e ragione fondante, dell'insegnamento di sostegno,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi dell'articolo 14, commi da 17 a 20, al fine di valutare l'opportunità di rivedere, anche attraverso l'approvazione di un provvedimento ad hoc, le citate disposizioni attraverso modifiche che possano rispettare la professionalità già acquisita dal docente e, a tutela del diritto allo studio, la didattica delle discipline interessate, e in quest'ottica, a sospendere in particolare i corsi di conversione sul sostegno riservati ai docenti sovrannumerari in esubero, previsti per l'anno scolastico 2012/13 dal decreto ministeriale n.  7 del 16 aprile 2012 del MIUR.
9/5389/141. Antonino Russo.


      La Camera,
          premesso che:
              con le modifiche introdotte dagli ultimi provvedimenti promossi dal Ministro pro tempore Gelmini relativi alla modifica degli ordinamenti dell'istruzione di II grado, gli insegnanti tecnico-pratici sono stati pesantemente colpiti a causa dei tagli del monte ore di insegnamento e dell'eliminazione di numerose ore di laboratorio;
              negli istituti professionali e tecnici la drastica riduzione delle ore degli insegnamenti tecnico-pratici, il taglio delle ore di laboratorio, l'incremento delle materie di studio teorico, la frammentazione dei saperi, il numero elevato di docenti che intervengono sulla medesima classe (in prima e seconda un consiglio di classe è formato da moltissimi docenti curricolari più i docenti di sostegno) non favoriscono certo la lotta alla dispersione scolastica;
              nell'anno scolastico 2011/2012 sono risultati in esubero a livello nazionale n.  3.334 insegnanti tecnico pratici;
              la soluzione prevista all'articolo 14, comma 14, che prevede il transito dei succitato personale nel ruolo di personale non docente con la qualifica di assistente amministrativo, tecnico o collaboratore scolastico non riconosce la dignità dell'opera dagli stessi prestata con il conseguente aumento dei precari che ricoprono il ruolo di Ata,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi dell'articolo 14, comma 14, al fine di valutare l'opportunità di prevedere per il personale delle classi di concorso C. 999 e C. 555 la possibilità di inquadramento in altre classi di concorso nel caso di possesso del relativo titolo, nonché il loro utilizzo presso gli uffici tecnici di istituti tecnici e professionali.
9/5389/142. Siragusa.


      La Camera,
          premesso che:
              con le modifiche introdotte dagli ultimi provvedimenti promossi dal Ministro pro tempore Gelmini relativi alla modifica degli ordinamenti dell'istruzione di II grado, gli insegnanti tecnico-pratici sono stati pesantemente colpiti a causa dei tagli del monte ore di insegnamento e dell'eliminazione di numerose ore di laboratorio;
              negli istituti professionali e tecnici la drastica riduzione delle ore degli insegnamenti tecnico-pratici, il taglio delle ore di laboratorio, l'incremento delle materie di studio teorico, la frammentazione dei saperi, il numero elevato di docenti che intervengono sulla medesima classe (in prima e seconda un consiglio di classe è formato da moltissimi docenti curricolari più i docenti di sostegno) non favoriscono certo la lotta alla dispersione scolastica;
              nell'anno scolastico 2011/2012 sono risultati in esubero a livello nazionale n.  3.334 insegnanti tecnico pratici;
              la soluzione prevista all'articolo 14, comma 14, che prevede il transito dei succitato personale nel ruolo di personale non docente con la qualifica di assistente amministrativo, tecnico o collaboratore scolastico non riconosce la dignità dell'opera dagli stessi prestata con il conseguente aumento dei precari che ricoprono il ruolo di Ata,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi dell'articolo 14, comma 14, al fine di valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di prevedere per il personale delle classi di concorso C. 999 e C. 555 la possibilità di inquadramento in altre classi di concorso nel caso di possesso del relativo titolo, nonché il loro utilizzo presso gli uffici tecnici di istituti tecnici e professionali.
9/5389/142.    (Testo modificato nel corso della seduta) Siragusa.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 6 della Costituzione stabilisce che «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche»;
              la Legge 482/99 («Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche» e pubblicata il 20 dicembre 1999 nel numero 297 della Gazzetta Ufficiale) tutela «la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano; il ladino, l'occitano e il sardo»;
              la diversità socio culturale rappresenta per il nostro Paese una ricchezza da non disperdere e uno dei pilastri della costruzione democratica dell'Europa, tanto che è riconosciuto nell'articolo 22 della «Carta dei di diritti fondamentali dell'Unione Europea;
              l'Italia ha sottoscritto la Carta il 27 giugno del 2000;
              la lingua sarda appartiene al gruppo neolatino (romanzo) delle lingue indoeuropee;
              è considerata da molti studiosi la più conservativa delle lingue derivanti dal latino, ed è costituita da numerose varianti dialettali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di comprendere tra le aree geografiche caratterizzate da specificità linguistica anche quelle nelle quali è presente la lingua sarda, indicata tra le lingue da tutelare dalla legge 482/99, ai fini dell'applicazione dei parametri previsti dall'articolo 19, comma 5, del decreto legge 6 luglio 2011, n.  98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n.  111, e dall'articolo 4, comma 69, della legge 12 novembre 2011, n.  183.
9/5389/143. Pes, Schirru, Fadda, Calvisi, Nizzi, Melis.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 6 della Costituzione stabilisce che «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche»;
              la Legge 482/99 («Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche» e pubblicata il 20 dicembre 1999 nel numero 297 della Gazzetta Ufficiale) tutela «la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano; il ladino, l'occitano e il sardo»;
              la diversità socio culturale rappresenta per il nostro Paese una ricchezza da non disperdere e uno dei pilastri della costruzione democratica dell'Europa, tanto che è riconosciuto nell'articolo 22 della «Carta dei di diritti fondamentali dell'Unione Europea;
              l'Italia ha sottoscritto la Carta il 27 giugno del 2000;
              la lingua sarda appartiene al gruppo neolatino (romanzo) delle lingue indoeuropee;
              è considerata da molti studiosi la più conservativa delle lingue derivanti dal latino, ed è costituita da numerose varianti dialettali,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di comprendere tra le aree geografiche caratterizzate da specificità linguistica anche quelle nelle quali è presente la lingua sarda, indicata tra le lingue da tutelare dalla legge 482/99, ai fini dell'applicazione dei parametri previsti dall'articolo 19, comma 5, del decreto legge 6 luglio 2011, n.  98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n.  111, e dall'articolo 4, comma 69, della legge 12 novembre 2011, n.  183.
9/5389/143.    (Testo modificato nel corso della seduta) Pes, Schirru, Fadda, Calvisi, Nizzi, Melis.


      La Camera,
          premesso che:
              per effetto dell'articolo 7, commi 3-bis e 4 del Decreto-legge n.  78/2010, convertito nella Legge 30 luglio 2010, n.  122, l'ENAM (Ente Nazionale Assistenza Magistrale) è stato soppresso e le sue funzioni nonché le sue risorse strumentali, umane e finanziarie sono state attribuite all'INPDAP, a sua volta soppresso e confluito nell'INPS;
              la norma di soppressione dell'ENAM non ha però abolito l'obbligatorietà della contribuzione da parte delle categorie interessate e che, continua, quindi, ad operare il prelevamento obbligatorio del contributo (1 per cento sullo stipendio lordo) a carico delle categorie indicate nello Statuto del soppresso ENAM, ossia i docenti di scuola primaria e dell'infanzia e i dirigenti scolastici ex direttori didattici;
              le prestazioni assistenziali erogate dalla gestione ex ENAM costituiscono una duplicazione di quelle già garantite dall'ex INPDAP oggi INPS, con conseguente aggravio gestionale per le strutture preposte all'erogazione delle prestazioni stesse;
              la gestione del contributo ENAM da parte dell'ex INPDAP, inoltre, assume aspetti di eccezionalità rispetto alla normale gestione delle attività assistenziali ex INPDAP, in quanto diretta non a tutto il personale delle pubbliche amministrazioni ma solo a specifiche categorie e in quanto non mediata – come avviene ad esempio per l'attività creditizia (prestiti, mutui, etc. erogati dall'ex INPDAP) – dagli enti datori di lavoro, che devono rilasciare le previste autorizzazioni a garanzia;
              che tra le finalità del decreto-legge in discussione vi è quella di contribuire a garantire, anche attraverso l'effettiva soppressione di enti e società, la razionalizzazione, l'efficienza e l'economicità dell'organizzazione degli enti e degli apparati pubblici, conservando invariati i livelli di servizio per i cittadini,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità di adottare iniziative normative volte:
              all'abolizione dell'obbligatorietà del contributo ex ENAM a carico delle categorie di riferimento (docenti di scuola primaria e dell'infanzia e dirigenti scolastici ex direttori didattici);
              alla confluenza dei servizi e dei benefici assistenziali già previsti dagli articoli 2 e 2-bis del decreto legislativo del capo provvisorio dello stato 21 ottobre 1947, n.  1346, istitutivo dell'ENAM, all'interno della gestione unitaria autonoma delle prestazioni creditizie e sociali istituita con l'articolo 1, comma 245, della legge 23 dicembre 1996, n.  662, a favore di tutti gli iscritti a tale gestione;
              all'eventuale istituzione di un contributo volontario mensile rivolto alla totalità degli iscritti alla gestione ex INPDAP e disciplinato con un regolamento adottato dall'INPS, al fine di assicurare ad una platea molto vasta di dipendenti (oltre 3 milioni), l'erogazione di servizi e prestazioni assistenziali aggiuntivi rispetto a quelli già erogati, con un aumento delle prestazioni complessive di welfare a loro favore.
9/5389/144. De Torre.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame all'articolo 14, commi 11 e 12, prevede la riduzione di 776 unità del personale da destinare alle scuole italiane all'estero e il blocco di indire nuove selezioni o di rinnovare relativi comandi o fuori ruolo;
              tale intervento definisce un taglio lineare di personale scolastico senza però definire un percorso di riforma organica delle scuole italiane all'estero e dell'insegnamento della lingua e della cultura italiana estera;
              si ritiene di assoluta importanza salvaguardare la dignità dell'Italia, la sua prestigiosa Cultura e la sua lingua anche attraverso la tutela del lavoro svolto dagli insegnanti che decidono di rappresentarci nei tanti Paesi europei,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di definire, anche attraverso l'approvazione di un provvedimento ad hoc, un percorso di riforma organica delle scuole italiane all'estero e dell'insegnamento della lingua e della cultura italiana estera.
9/5389/145. Lolli.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame all'articolo 14, commi 11 e 12, prevede la riduzione di 776 unità del personale da destinare alle scuole italiane all'estero e il blocco di indire nuove selezioni o di rinnovare relativi comandi o fuori ruolo;
              tale intervento definisce un taglio lineare di personale scolastico senza però definire un percorso di riforma organica delle scuole italiane all'estero e dell'insegnamento della lingua e della cultura italiana estera;
              si ritiene di assoluta importanza salvaguardare la dignità dell'Italia, la sua prestigiosa Cultura e la sua lingua anche attraverso la tutela del lavoro svolto dagli insegnanti che decidono di rappresentarci nei tanti Paesi europei,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di definire, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, anche attraverso l'approvazione di un provvedimento ad hoc, un percorso di riforma organica delle scuole italiane all'estero e dell'insegnamento della lingua e della cultura italiana estera.
9/5389/145.    (Testo modificato nel corso della seduta) Lolli.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 16 della legge 30 dicembre 2010, n.  240, ha istituito l'abilitazione scientifica nazionale il cui conseguimento è requisito necessario per l'accesso al ruolo di professori universitari, sia per la prima che per la seconda fascia, e le cui modalità di espletamento sono disciplinate con uno o più regolamenti emanati dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione;
              tale regolamento è stato emanato con decreto ministeriale 7 giugno 2012, n.  76, e il primo bando per il conseguimento dell'abilitazione scientifica nazionale, per i professori di prima e di seconda fascia, è stato emanato con decreto direttoriale n.  222 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 27 luglio 2012;
              il regolamento introduce criteri e parametri per la valutazione dei candidati all'abilitazione scientifica nazionale e, in particolare, indicatori numerici per la misurazione dell'impatto scientifico della produzione complessiva prevedendo all'articolo 6 che l'abilitazione possa essere attribuita esclusivamente ai candidati i cui indicatori superino determinati valori mediani prefissati a livello nazionale, secondo regole di calcolo fissate negli allegati A e B nel medesimo regolamento ed eguali per tuffi i settori concorsuali «con indicatori bibliometrici» e per i settori concorsuali «con indicatori non bibliometrici» come definiti dal regolamento;
              lo stesso articolo, al comma 5, prevede però la possibilità che la commissione giudicatrice possa discostarsi dai suddetti principi;
              i medesimi indicatori saranno utilizzati anche per la compilazione delle liste dei professori ordinari entro le quali saranno sorteggiati, secondo la legge, i componenti delle commissioni giudicatrici delle procedure di abilitazione;
              d'altra parte la stessa legge n.  240 del 2010, all'articolo 16, comma 3, lettera a), stabilisce che l'attribuzione dell'abilitazione debba avvenire con motivato giudizio della commissione giudicatrice «fondato sulla valutazione dei titoli e delle pubblicazioni scientifiche, previa sintetica descrizione del contributo individuale alle attività di ricerca e sviluppo svolte, ed espresso sulla base di criteri e parametri differenziati per finzioni e per area disciplinare definiti con decreto del Ministro»;
          considerato che:
              nel mondo universitario si è aperto un intenso dibattito sul significato da attribuire alle norme del regolamento riguardo al carattere dirimente per il conseguimento dell'abilitazione del superamento dei valori prefissati per gli indicatori, peraltro ancora non noti nonostante l'avvenuta pubblicazione del bando;
              la delibera n.  50 del 21 giugno 2012 dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) non ha chiarito i dubbi emersi nell'analisi del suddetto decreto n.  76 del 2012, anzi ha finito con l'introdurne di nuovi;
              il Consiglio Universitario Nazionale, con le tre mozioni approvate all'unanimità rispettivamente il 20 giugno, l'11 luglio e il 25 luglio 2012, ha chiesto che venga fornita un'interpretazione autentica del combinato disposto dell'articolo 3, comma 3, e dell'articolo 6, comma 5, del regolamento e ha inoltre espresso il parere che:
                  «il sistema di abilitazione non deve essere ridotto ad una mera verifica quantitativa su indicatori bibliometrici»,
                  «l'utilizzo automatico degli indicatori bibliometrici, anche a causa di regole di utilizzo non ben definite, potrebbe impedire uno svolgimento regolare delle abilitazioni»,
                  «l'adozione del criterio della mediana abbia avuto come effetto l'esigenza di scendere, nell'analisi degli indicatori bibliometrici, al di sotto del livello dell'area disciplinare fino al settore concorsuale, al settore scientifico-disciplinare e eventualmente a sottoinsiemi di quest'ultimo, in un inseguimento che può rivelarsi senza fine rispetto alla complessità irriducibile delle mappe dei saperi nella ricerca scientifica e, per giunta, inoltrandosi su un terreno di differenze e di regole speciali che possono entrare in tensione con il principio di eguaglianza, oltre ad allontanarsi significativamente dalla lettera della legge»,
                  vi è «viva preoccupazione circa l'efficacia e l'applicabilità dell'impianto regolamentare proposto per la gestione delle procedure di abilitazione il cui svolgimento, ormai in grave ritardo rispetto alle previsioni di legge, è molto urgente per ripristinare una normale vita universitaria sotto il profilo del reclutamento e degli avanzamenti di carriera dei docenti»;
              molte società scientifiche, sia di discipline scientifiche che umanistiche, hanno espresso analoghe perplessità, come ad esempio l'Unione Matematica Italiana con la mozione adottata il 26 giugno 2012 dalla commissione scientifica e le ventotto consulte o associazioni disciplinari di area umanistica che insieme alla Conferenza dei presidi delle facoltà di lingue e letterature straniere hanno diramato il 24 giugno 2012 una dichiarazione congiunta su questo tema, sia per quanto riguarda la valutazione dei curricula dei candidati, sia per quanto riguarda la scelta dei commissari, in quanto risulterebbe che metà dei professori ordinari attualmente in servizio in ciascuna disciplina non solo non potrebbero far parte delle commissioni giudicatrici per il conseguimento dell'abilitazione a professore ordinario ma, se si presentassero alle procedure di abilitazione, non potrebbero neppure conseguirla;
              sullo stesso tema delle valutazioni di tipo bibliometrico vi è un vivo dibattito anche a livello internazionale, come testimoniato, ad esempio, dal rapporto al Ministro dell'insegnamento superiore e della ricerca del governo francese presentato il 17 gennaio 2011 dalla prestigiosa Accademia delle Scienze di Parigi e intitolato «Sul buon uso della bibliometria per la valutazione individuale dei ricercatori»;

impegna il Governo:

          a chiarire definitivamente quanto prima la complessa normativa, anche per evitare un contenzioso giurisdizionale che si tradurrebbe in un ulteriore inaccettabile ritardo delle procedure di abilitazione scientifica nazionale;
          a sospendere, limitatamente alla prima tornata delle procedure per il conseguimento dell'abilitazione scientifica nazionale, l'efficacia delle disposizioni di cui al punto n.  3, lettera b), dell'allegato A e al punto n.  4, lettera b), dell'allegato 11 del decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 7 giugno 2012, n.  76, lasciando a ciascuna commissione giudicatrice il compito di stabilire le regole di utilizzo degli indicatori prescritti;
          a rivedere la procedura per la compilazione delle liste dei possibili componenti delle commissioni giudicatrici.
9/5389/146. Mazzarella.


      La Camera,
          premesso che:
              le università statali italiane sono state fortemente penalizzate dalle manovre economiche degli ultimi anni, sopratutto a causa dei tagli progressivi operati sul fondo di finanziamento ordinario (FFO) e del blocco del turn-over del personale;
              il decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133, stabiliva infatti all'articolo 66, comma 13, un turn-over massimo del 20 per cento, ovvero un taglio dell'80 per cento del personale cessato, per il triennio 2009-2011 e un turn-over massimo del 50 per cento per l'anno 2012;
              il decreto-legge 10 novembre 2008, n.  180, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 gennaio 2009, n.  1, portava il turn-over massimo per il triennio 2009-2011 al 50 per cento, operando tagli corrispondenti al FFO per un taglio dell'80 per cento del personale cessato e per l'anno 2012 un turn-over massimo del 50 per cento, operando di fatto pesanti tagli sul FFO pari a 39,5 milioni di euro per l'anno 2009, a 119 milioni di euro per l'anno 2010, a 198 milioni di euro per l'anno 2011, a 276 milioni di euro per l'anno 2012 e a 314 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013;
              la legge 24 febbraio 2012, n.  14, ha esteso a tutto il 2012 il blocco parziale del turn-over delle università stabilito per il triennio 2009-2011;
              in applicazione della delega della legge 30 dicembre 2010, n.  240, il decreto legislativo n.  49 del 2012 rimandava ad un decreto interministeriale la decisione su eventuali blocchi del turn-over per gli anni 2013 e seguenti;
              il provvedimento in esame, all'articolo 14, comma 3, dispone una nuova disciplina del turn-over universitario riportandolo di nuovo al 20 per cento per il triennio 2012-2014, al 50 per cento per il 2015 e al 100 per cento dal 2016;
              tali pesanti limitazione delle assunzioni, per giunta senza limiti temporali, porteranno, se applicate senza modifiche, ad una drastica e definitiva riduzione del personale docente universitario e quindi rappresenteranno l'ennesima occasione perduta per ringiovanire il corpo accademico, per trattenere in Italia i migliori giovani ricercatori, per salvare dall'estinzione molte discipline importanti, per migliorare la qualità della didattica e della ricerca,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare specifiche iniziative volte al ringiovanimento del corpo docente mediante l'immissione di giovani ricercatori meritevoli e alla salvaguardia di discipline scientifiche e umanistiche di grande tradizione, irrinunciabili nel panorama universitario di un Paese avanzato come l'Italia, previa verifica degli effetti applicativi dell'articolo 14, comma 3, anche rivedendo la norma sul blocco parziale del turn-over.
9/5389/147. Tocci, Codurelli.


      La Camera:
          premesso che:
              le università statali italiane sono state fortemente penalizzate dalle manovre economiche degli ultimi anni, sopratutto a causa dei tagli progressivi operati sul fondo di finanziamento ordinario (FFO) e del blocco del turn-over del personale;
              il decreto-legge 25 giugno 2008, n.  112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.  133, stabiliva infatti all'articolo 66, comma 13, un turn-over massimo del 20 per cento, ovvero un taglio dell'80 per cento del personale cessato, per il triennio 2009-2011 e un turn-over massimo del 50 per cento per l'anno 2012;
              il decreto-legge 10 novembre 2008, n.  180, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 gennaio 2009, n.  1, portava il turn-over massimo per il triennio 2009-2011 al 50 per cento, operando tagli corrispondenti al FFO per un taglio dell'80 per cento del personale cessato e per l'anno 2012 un turn-over massimo del 50 per cento, operando di fatto pesanti tagli sul FFO pari a 39,5 milioni di euro per l'anno 2009, a 119 milioni di euro per l'anno 2010, a 198 milioni di euro per l'anno 2011, a 276 milioni di euro per l'anno 2012 e a 314 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013;
              la legge 24 febbraio 2012, n.  14, ha esteso a tutto il 2012 il blocco parziale del turn-over delle università stabilito per il triennio 2009-2011;
              in applicazione della delega della legge 30 dicembre 2010, n.  240, il decreto legislativo n.  49 del 2012 rimandava ad un decreto interministeriale la decisione su eventuali blocchi del turn-over per gli anni 2013 e seguenti;
              il provvedimento in esame, all'articolo 14, comma 3, dispone una nuova disciplina del turn-over universitario riportandolo di nuovo al 20 per cento per il triennio 2012-2014, al 50 per cento per il 2015 e al 100 per cento dal 2016;
              tali pesanti limitazione delle assunzioni, per giunta senza limiti temporali, porteranno, se applicate senza modifiche, ad una drastica e definitiva riduzione del personale docente universitario e quindi rappresenteranno l'ennesima occasione perduta per ringiovanire il corpo accademico, per trattenere in Italia i migliori giovani ricercatori, per salvare dall'estinzione molte discipline importanti, per migliorare la qualità della didattica e della ricerca,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di adottare specifiche iniziative volte al ringiovanimento del corpo docente mediante l'immissione di giovani ricercatori meritevoli e alla salvaguardia di discipline scientifiche e umanistiche di grande tradizione, irrinunciabili nel panorama universitario di un Paese avanzato come l'Italia, previa verifica degli effetti applicativi dell'articolo 14, comma 3, anche rivedendo la norma sul blocco parziale del turn-over.
9/5389/147.    (Testo modificato nel corso della seduta) Tocci, Codurelli.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 1, comma 26-ter, introdotto durante l'esame al Senato, dispone la sospensione, fino al 31 dicembre 2015, dei contributi statali per interventi conservativi volontari sui beni culturali;
              tale disposizione appare incongruente con la scelta di favorire il rapporto pubblico-privato anche in un campo delicato quale quello della conservazione del patrimonio culturale richiamato tra i principi del codice dei beni culturali,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi dell'articolo 1, comma 26-ter, al fine di verificare l'opportunità, in sede di approvazione del primo provvedimento utile, di rivederne il contenuto, per tutelare e sostenere il principio dell'obbligo di conservazione dei beni culturali operato da privati.
9/5389/148. De Biasi.


      La Camera,
          premesso che:
              l'articolo 1, comma 26-ter, introdotto durante l'esame al Senato, dispone la sospensione, fino al 31 dicembre 2015, dei contributi statali per interventi conservativi volontari sui beni culturali;
              tale disposizione appare incongruente con la scelta di favorire il rapporto pubblico-privato anche in un campo delicato quale quello della conservazione del patrimonio culturale richiamato tra i principi del codice dei beni culturali,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi dell'articolo 1, comma 26-ter, al fine di verificare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, in sede di approvazione del primo provvedimento utile, di rivederne il contenuto, per tutelare e sostenere il principio dell'obbligo di conservazione dei beni culturali operato da privati.
9/5389/148.    (Testo modificato nel corso della seduta) De Biasi.


      La Camera,
          premesso che:
              l'importo delle tasse universitarie nelle università statali è regolato da un criterio budgetario fissato dall'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1997, n.  306, che stabilisce che la contribuzione studentesca totale in un'università statale non può superare il 20 per cento del fondo di finanziamento ordinario (FFO) assegnato a quella medesima università, restando ogni altra scelta in merito di competenza e responsabilità degli organi di governo dell'ateneo;
              nonostante le citata previsione di legge, circa metà delle università statali, anche a causa della diminuzione del FFO, hanno superato, talora fin quasi al doppio, il predetto limite e alcuni ricorsi in via giurisdizionale presentati da studenti sono arrivati a sentenze di tribunali amministrativi regionali favorevoli ai ricorrenti;
              il costo dell'iscrizione all'università è in Italia molto alto rispetto agli altri Paesi europei, situandosi per l'esattezza al terzo posto dopo Gran Bretagna e Olanda ma soprattutto con valori molto più alti rispetto ai molti Paesi in cui l'università è gratuita o praticamente gratuita, mentre contemporaneamente il sostegno agli studenti capaci e meritevoli provenienti da famiglie poco abbienti è in Italia estremamente limitato situandosi agli ultimi posti in Europa e, in particolare, a valori che non superano un terzo dei corrispondenti valori di Spagna, Francia e Germania;
              l'andamento delle immatricolazioni nelle università italiane è in fase notevolmente discendente, a testimonianza delle attuali difficoltà delle famiglie dei ceti meno favoriti a mantenere i propri figli agli studi universitari, anche a causa della crisi economica in atto, il che non può che aggravare nel tempo il dato preoccupante che vede l'Italia all'ultimo posto tra i Paesi OCSE dell'Unione Europea per percentuale di laureati sulla popolazione attiva, persino nella fascia più giovane tra 25 e 34 anni;
              il decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, all'articolo 7, comma 42, ha stabilito un diverso metodo di calcolo dell'indicatore budgetario, in particolare escludendo dal computo delle contribuzioni studentesche quelle versate dagli studenti fuori corso, il che da un lato porta automaticamente tutte o quasi tutte le università statali ad un valore sotto il limite del 20 per cento fissato dalla legge senza dover modificare la contribuzione studentesca ed anzi dando loro la possibilità di incrementarla, dall'altro lascia loro nel contempo spazio per ulteriori incrementi della tassazione, soprattutto e prevedibilmente a carico dei fuori corso in quanto questi specifici incrementi sarebbero ininfluenti per il rispetto del limite del 20 per cento;
              il Senato della Repubblica, in sede di discussione in Commissione Bilancio, ha modificato la norma mitigandone gli effetti più negativi, ma nel maxiemendamento il Governo ha introdotto ulteriori modifiche che dispongono che il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca individui con apposito decreto i criteri cui le università statali devono attenersi nello stabilire gli aumenti della tassazione studentesca, che siano fissati in legge i limiti massimi percentuali a tali aumenti in dipendenza dal reddito familiare e che siano bloccati per un triennio accademico quelli a carico degli studenti in corso con reddito familiare inferiore a quarantamila euro;
              il decreto-legge in esame, all'articolo 23, comma 4, ha anche positivamente stabilito di integrare con cinquanta milioni di euro il fondo per le borse per il diritto allo studio universitario per il 2013, ritornando così, ma per il solo prossimo anno, al valore dell'anno corrente senza alcun incremento dell'impegno statale mentre va registrato il forte aumento della tassa regionale per il diritto allo studio a carico di tutti gli studenti che è stato disposto dall'articolo 18, comma 8, del decreto legislativo 29 marzo 2012, n.  68;
              un'ulteriore modifica apportata dal Senato della Repubblica in sede di conversione del decreto-legge in esame obbliga le università a destinare non meno della metà della somma ricavata dagli incrementi della tassazione studentesca ad interventi per il diritto allo studio, peraltro, come è noto, di competenza regionale;
              il decreto legislativo n.  68 del 2012, sulla base della delega contenuta nella legge 30 dicembre 2010, n.  240, ha modificato la normativa di principio in materia di diritto allo studio universitario senza però intervenire sul tema complessivo del welfare studentesco e della garanzia della mobilità agli studenti delle famiglie meno abbienti e, soprattutto, senza prevedere un deciso ampliamento della platea dei beneficiari per adeguarsi agli standard europei, anzi facendo intravedere addirittura una sua riduzione mediante l'abbassamento dei limiti massimi di reddito familiare, già estremamente bassi, per poter essere ammessi alle prestazioni del diritto allo studio universitario;
              il complesso dei provvedimenti citati configura da un lato un sistema centralistico della gestione della contribuzione degli studenti universitari, con una forte riduzione degli spazi di autonomia delle università statali e con un notevole appesantimento burocratico non esente da molte complicazioni tecniche che già appaiono e certamente appariranno in futuro, dall'altro interviene ancora sul sistema del diritto allo studio universitario appena riformato senza peraltro riuscire ad invertire decisamente la rotta verso un sistema di dimensioni e caratteristiche europee a garanzia di una mobilità sociale la cui mancanza appare essere uno dei punti deboli della società italiana e forse causa remota non ultima delle difficoltà economiche attuali;

impegna il Governo

          a destinare al tema della contribuzione studentesca universitaria e del diritto allo studio universitario un'attenta e strategica riflessione complessiva e, di conseguenza, ad adottare un nuovo quadro organico di provvedimenti legislativi e di investimenti finanziari statali, allo scopo di mettere l'Italia e le università statali italiane in condizioni di competere ad anni pari nello spazio europeo dell'istruzione superiore e di sostenere gli studenti universitari capaci e meritevoli le cui famiglie non sono in grado di sostenerne i costi di formazione superiore e di mantenimento agli studi affinché i loro talenti possano liberamente esplicarsi nei tempi, nei modi e nei luoghi da loro scelti e così si contribuisca a riattivare la mobilità sociale per rendere la società italiana più equa e fiduciosa.
9/5389/149. Ghizzoni.


      La Camera,
          premesso che:
              l'importo delle tasse universitarie nelle università statali è regolato da un criterio budgetario fissato dall'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1997, n.  306, che stabilisce che la contribuzione studentesca totale in un'università statale non può superare il 20 per cento del fondo di finanziamento ordinario (FFO) assegnato a quella medesima università, restando ogni altra scelta in merito di competenza e responsabilità degli organi di governo dell'ateneo;
              nonostante le citata previsione di legge, circa metà delle università statali, anche a causa della diminuzione del FFO, hanno superato, talora fin quasi al doppio, il predetto limite e alcuni ricorsi in via giurisdizionale presentati da studenti sono arrivati a sentenze di tribunali amministrativi regionali favorevoli ai ricorrenti;
              il costo dell'iscrizione all'università è in Italia molto alto rispetto agli altri Paesi europei, situandosi per l'esattezza al terzo posto dopo Gran Bretagna e Olanda ma soprattutto con valori molto più alti rispetto ai molti Paesi in cui l'università è gratuita o praticamente gratuita, mentre contemporaneamente il sostegno agli studenti capaci e meritevoli provenienti da famiglie poco abbienti è in Italia estremamente limitato situandosi agli ultimi posti in Europa e, in particolare, a valori che non superano un terzo dei corrispondenti valori di Spagna, Francia e Germania;
              l'andamento delle immatricolazioni nelle università italiane è in fase notevolmente discendente, a testimonianza delle attuali difficoltà delle famiglie dei ceti meno favoriti a mantenere i propri figli agli studi universitari, anche a causa della crisi economica in atto, il che non può che aggravare nel tempo il dato preoccupante che vede l'Italia all'ultimo posto tra i Paesi OCSE dell'Unione Europea per percentuale di laureati sulla popolazione attiva, persino nella fascia più giovane tra 25 e 34 anni;
              il decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, all'articolo 7, comma 42, ha stabilito un diverso metodo di calcolo dell'indicatore budgetario, in particolare escludendo dal computo delle contribuzioni studentesche quelle versate dagli studenti fuori corso, il che da un lato porta automaticamente tutte o quasi tutte le università statali ad un valore sotto il limite del 20 per cento fissato dalla legge senza dover modificare la contribuzione studentesca ed anzi dando loro la possibilità di incrementarla, dall'altro lascia loro nel contempo spazio per ulteriori incrementi della tassazione, soprattutto e prevedibilmente a carico dei fuori corso in quanto questi specifici incrementi sarebbero ininfluenti per il rispetto del limite del 20 per cento;
              il Senato della Repubblica, in sede di discussione in Commissione Bilancio, ha modificato la norma mitigandone gli effetti più negativi, ma nel maxiemendamento il Governo ha introdotto ulteriori modifiche che dispongono che il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca individui con apposito decreto i criteri cui le università statali devono attenersi nello stabilire gli aumenti della tassazione studentesca, che siano fissati in legge i limiti massimi percentuali a tali aumenti in dipendenza dal reddito familiare e che siano bloccati per un triennio accademico quelli a carico degli studenti in corso con reddito familiare inferiore a quarantamila euro;
              il decreto-legge in esame, all'articolo 23, comma 4, ha anche positivamente stabilito di integrare con cinquanta milioni di euro il fondo per le borse per il diritto allo studio universitario per il 2013, ritornando così, ma per il solo prossimo anno, al valore dell'anno corrente senza alcun incremento dell'impegno statale mentre va registrato il forte aumento della tassa regionale per il diritto allo studio a carico di tutti gli studenti che è stato disposto dall'articolo 18, comma 8, del decreto legislativo 29 marzo 2012, n.  68;
              un'ulteriore modifica apportata dal Senato della Repubblica in sede di conversione del decreto-legge in esame obbliga le università a destinare non meno della metà della somma ricavata dagli incrementi della tassazione studentesca ad interventi per il diritto allo studio, peraltro, come è noto, di competenza regionale;
              il decreto legislativo n.  68 del 2012, sulla base della delega contenuta nella legge 30 dicembre 2010, n.  240, ha modificato la normativa di principio in materia di diritto allo studio universitario senza però intervenire sul tema complessivo del welfare studentesco e della garanzia della mobilità agli studenti delle famiglie meno abbienti e, soprattutto, senza prevedere un deciso ampliamento della platea dei beneficiari per adeguarsi agli standard europei, anzi facendo intravedere addirittura una sua riduzione mediante l'abbassamento dei limiti massimi di reddito familiare, già estremamente bassi, per poter essere ammessi alle prestazioni del diritto allo studio universitario;
              il complesso dei provvedimenti citati configura da un lato un sistema centralistico della gestione della contribuzione degli studenti universitari, con una forte riduzione degli spazi di autonomia delle università statali e con un notevole appesantimento burocratico non esente da molte complicazioni tecniche che già appaiono e certamente appariranno in futuro, dall'altro interviene ancora sul sistema del diritto allo studio universitario appena riformato senza peraltro riuscire ad invertire decisamente la rotta verso un sistema di dimensioni e caratteristiche europee a garanzia di una mobilità sociale la cui mancanza appare essere uno dei punti deboli della società italiana e forse causa remota non ultima delle difficoltà economiche attuali,

impegna il Governo

nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, a destinare al tema della contribuzione studentesca universitaria e del diritto allo studio universitario un'attenta e strategica riflessione complessiva e, di conseguenza, ad adottare un nuovo quadro organico di provvedimenti legislativi e di investimenti finanziari statali, allo scopo di mettere l'Italia e le università statali italiane in condizioni di competere ad anni pari nello spazio europeo dell'istruzione superiore e di sostenere gli studenti universitari capaci e meritevoli le cui famiglie non sono in grado di sostenerne i costi di formazione superiore e di mantenimento agli studi affinché i loro talenti possano liberamente esplicarsi nei tempi, nei modi e nei luoghi da loro scelti e così si contribuisca a riattivare la mobilità sociale per rendere la società italiana più equa e fiduciosa.
9/5389/149.    (Testo modificato nel corso della seduta) Ghizzoni.


      La Camera,
          in riferimento alle disposizioni in materia di riordino delle Province e loro funzioni,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa al fine di evitare, nel rispetto delle finalità del provvedimento, il determinarsi della coincidenza tra istituzione regione ed unico ambito provinciale.
9/5389/150. Sereni, Trappolino, Margiotta.


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto-legge in esame, all'articolo 16, reca il concorso delle regioni e delle province autonome alla riduzione della spesa e, conseguentemente, rivede gli obiettivi del patto di stabilità;
              in particolare il comma 3 definisce la misura del risparmio per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano, disciplinandone anche le modalità di attuazione. L'importo complessivo del risparmio dovrà essere pari a: 600 milioni di euro per il 2012, 1.200 milioni di euro per il 2013,1.500 milioni di euro nel 2014 e 1.575 milioni di euro per il 2015 e per gli anni successivi;
              si precisa che questi obiettivi di risparmio si vengono a sommare a quelli già stabiliti dal decreto-legge 78 del 2010 e dai decreti-legge 98 e 138 del 2011, che ammontano complessivamente a 2.630 milioni di euro per il 2012, e 3.000 a decorrere dal 2013;
              si ricorda che con l'accordo di Milano del 30 novembre 2009, il cui contenuto è stato recepito nell'articolo 2, commi da 106 a 125 della legge del 23 dicembre 2009, n.  191, (legge finanziaria 2010) è stato adeguato l'ordinamento finanziario della Regione Trentino Alto Adige e delle province autonome di Trento e di Bolzano, agli obiettivi di perequazione e solidarietà stabiliti per le regioni a statuto speciale e le province autonome, dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n.  42, recante: «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione»;
              si rammenta che il decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n.  670, recante: «Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige», come modificato dall'Accordo di Milano, all'articolo 79, comma 3, recita: «Al fine di assicurare il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, la regioni e le province concordano con il Ministro dell'economia e delle finanze gli obblighi relativi al patto di stabilità interno con riferimento ai saldi di bilancio da conseguire in ciascun periodo»;
              anche la regione autonoma Valle d'Aosta ha responsabilmente sottoscritto con lo Stato un accordo, in attuazione dell'articolo 27 della legge n.  42 del 2009 sul cosiddetto federalismo fiscale, per concorrere al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà nonché al Patto di stabilità e agli obblighi posti dall'ordinamento comunitario, accordo contenuto nell'articolo 1, commi da 159 a 164, della legge 13 dicembre 2010, n.  220 (Legge finanziaria 2011);
              l'articolo 24-bis del decreto-legge al nostro esame introduce la clausola di compatibilità con l'ordinamento delle regioni a statuto speciale e delle province autonome e specifica che «rimane fermo quanto stabilito dagli articoli 15 e 16, comma 3, del provvedimento, nei quali sono previsti, rispettivamente, risparmi di spesa a carico delle regioni e delle province autonome nel settore sanitario e viene indicato il concorso delle autonomie speciali agli obiettivi complessivi di riduzione della spesa.»;
              la formulazione di questo articolo, introdotto durante l'esame del provvedimento al Senato, ribadisce purtroppo l'unilateralità delle richieste dello Stato alle regioni e province autonome, nel concorso straordinario al risanamento della finanza pubblica, violando apertamente quanto stabilito con gli accordi sottoscritti, dalle province autonome di Trento e di Bolzano, e dalla regione autonoma Valle d'Aosta con il precedente Governo,

impegna il Governo

a garantire il rispetto di quanto previsto dall'articolo 79, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n.  670 recante: «Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige» e dell'ordinamento finanziario della regione autonoma Valle d'Aosta, tenuto conto degli accordi già sottoscritti in attuazione della legge n.  42 del 2009.
9/5389/151. Brugger, Zeller, Nicco.


      La Camera,
          premesso che:
              il decreto-legge in esame, all'articolo 16, reca il concorso delle regioni e delle province autonome alla riduzione della spesa e, conseguentemente, rivede gli obiettivi del patto di stabilità;
              in particolare il comma 3 definisce la misura del risparmio per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano, disciplinandone anche le modalità di attuazione. L'importo complessivo del risparmio dovrà essere pari a: 600 milioni di euro per il 2012, 1.200 milioni di euro per il 2013,1.500 milioni di euro nel 2014 e 1.575 milioni di euro per il 2015 e per gli anni successivi;
              si precisa che questi obiettivi di risparmio si vengono a sommare a quelli già stabiliti dal decreto-legge 78 del 2010 e dai decreti-legge 98 e 138 del 2011, che ammontano complessivamente a 2.630 milioni di euro per il 2012, e 3.000 a decorrere dal 2013;
              si ricorda che con l'accordo di Milano del 30 novembre 2009, il cui contenuto è stato recepito nell'articolo 2, commi da 106 a 125 della legge del 23 dicembre 2009, n.  191, (legge finanziaria 2010) è stato adeguato l'ordinamento finanziario della Regione Trentino Alto Adige e delle province autonome di Trento e di Bolzano, agli obiettivi di perequazione e solidarietà stabiliti per le regioni a statuto speciale e le province autonome, dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n.  42, recante: «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione»;
              si rammenta che il decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n.  670, recante: «Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige», come modificato dall'Accordo di Milano, all'articolo 79, comma 3, recita: «Al fine di assicurare il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, la regioni e le province concordano con il Ministro dell'economia e delle finanze gli obblighi relativi al patto di stabilità interno con riferimento ai saldi di bilancio da conseguire in ciascun periodo.»;
              anche la regione autonoma Valle d'Aosta ha responsabilmente sottoscritto con lo Stato un accordo, in attuazione dell'articolo 27 della legge n.  42 del 2009 sul cosiddetto federalismo fiscale, per concorrere al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà nonché al Patto di stabilità e agli obblighi posti dall'ordinamento comunitario, accordo contenuto nell'articolo 1, commi da 159 a 164, della legge 13 dicembre 2010, n.  220 (Legge finanziaria 2011);
              l'articolo 24-bis del decreto-legge al nostro esame introduce la clausola di compatibilità con l'ordinamento delle regioni a statuto speciale e delle province autonome e specifica che «rimane fermo quanto stabilito dagli articoli 15 e 16, comma 3, del provvedimento, nei quali sono previsti, rispettivamente, risparmi di spesa a carico delle regioni e delle province autonome nel settore sanitario e viene indicato il concorso delle autonomie speciali agli obiettivi complessivi di riduzione della spesa.»;
              la formulazione di questo articolo, introdotto durante l'esame del provvedimento al Senato, ribadisce purtroppo l'unilateralità delle richieste dello Stato alle regioni e province autonome, nel concorso straordinario al risanamento della finanza pubblica, violando apertamente quanto stabilito con gli accordi sottoscritti, dalle province autonome di Trento e di Bolzano, e dalla regione autonoma Valle d'Aosta con il precedente Governo,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di garantire il rispetto di quanto previsto dall'articolo 79, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n.  670 recante: «Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige» e dell'ordinamento finanziario della regione autonoma Valle d'Aosta, tenuto conto degli accordi già sottoscritti in attuazione della legge n.  42 del 2009.
9/5389/151.    (Testo modificato nel corso della seduta) Brugger, Zeller, Nicco.


      La Camera,
          premesso che:
              la nuova Amministrazione del Comune di Alessandria, eletta il 21 maggio 2012, ha preso atto della deliberazione 260/2012 del 12 giugno 2012 della Sezione Regionale di Controllo Corte Conti, pervenuta il 28 giugno 2012, ha provveduto, in data 12 luglio 2012 con deliberazione del Consiglio comunale n.  61/182/278 a dichiarare ai sensi dell'articolo 246 Testo Unico Enti locali il dissesto finanziario;
              la procedura è in carico alla nuova Amministrazione appena insediata e viene per la prima volta attuata in un Comune Capoluogo in forza della quale l'azione di risanamento deve procedere ad una sostanziale rivisitazione dei processi di erogazione dei servizi e dell'organizzazione generale delle risorse umane, al potenziamento della capacità di riscossione delle entrate proprie e alla significativa riorganizzazione e riduzione del numero delle società partecipate, avendo come unico obiettivo la salvaguardia dei servizi pubblici e dei livelli occupazionali;
              per raggiungere tale obiettivo è necessario pervenire ad un bilancio strutturalmente riequilibrato mediante la rivisitazione dei dati contabili storici che secondo i pronunciamenti e le istruttorie in corso da parte della Magistratura contabile e penale non possono considerarsi «certi» e pertanto indurre in errore nella progettazione di scenari contabili corretti;
              la procedura che il Comune citato si trova a perseguire costituisce un caso da monitorare con attenzione, trattandosi di una situazione nuova dettata da disposizioni legislative recenti e non ancora sperimentate e pertanto le oggettive difficoltà dallo stesso riscontrate per la ristrettezza della tempistica prevista ai sensi degli articoli 251 e 259 del T.u.e.l. richiedono una particolare attenzione da parte degli organismi ministeriali deputati al controllo,

impegna il Governo:

          ad approfondire le iniziative utili a garantire in modo graduale il raggiungimento di uno stabile equilibrio di bilancio, cooperando con il Comune di Alessandria in tutta la fase di predisposizione dei provvedimenti di sua competenza;
          ad indirizzare verso società del Comune di Alessandria l'eventuale utilizzo del fondo costituito presso la Cassa Depositi e Prestiti finalizzato all'acquisizione di quote di partecipazione di società interamente o in quota rilevante partecipate dallo Stato o dai Comuni;
          a disporre che la liquidazione di eventuali crediti vantati dal predetto Comune nei confronti dello Stato vengano rapidamente erogati.
9/5389/152. Lovelli, Pianetta, Stradella.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame ha un contenuto estremamente vasto e complesso con norme orientate a favorire la riduzione della spesa pubblica;
              vi è straordinaria necessità e urgenza di provvedere a dare effettività alle norme in materia di limite massimo retributivo per emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con le pubbliche amministrazioni statali, e, in generale, di limite al trattamento economico annuo onnicomprensivo di chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo, ivi incluso il personale in regime di diritto pubblico di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165, stabilendo come parametro massimo di riferimento il trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione;
              a norma dell'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011 n.  201 («Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici»), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011 n.  214, nel trattamento economico annuo onnicomprensivo di chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo devono essere computate in modo cumulativo le somme comunque erogate all'interessato, anche nel caso di pluralità di incarichi conferiti da uno stesso organismo nel corso dell'anno o da più organismi, qualora tali emolumenti o retribuzioni siano comunque a carico delle finanze pubbliche;
              occorre dare effettività a tali norme anche applicando tali disposizioni al personale chiamato, conservando il trattamento economico riconosciuto dall'amministrazione di appartenenza, all'esercizio di funzioni direttive, dirigenziali o equiparate, anche in posizione di fuori ruolo o di aspettativa, presso Ministeri o enti pubblici nazionali, comprese le autorità amministrative indipendenti;

impegna il Governo

          a prevedere con atto avente forza di legge, che il trattamento retributivo percepito annualmente, comprese le indennità e le voci accessorie nonché le eventuali remunerazioni per incarichi ulteriori o consulenze conferiti da amministrazioni pubbliche diverse da quella di appartenenza, dei soggetti che ricevano retribuzioni o emolumenti a carico delle pubbliche finanze in ragione di un rapporto di lavoro subordinato o autonomo nonché di quelli in regime di diritto pubblico di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165, non possa superare il trattamento economico annuale complessivo spettante per la carica al Primo Presidente della Corte di cassazione, pari nell'anno 2011 a euro 293.658,95;
              a prevedere che tale disposizione di legge si applichi solo qualora il trattamento sia superiore, che in tal caso si riduce al predetto limite e ad escludere, in ogni caso, che trattamenti inferiori possano essere elevati a tale limite a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge;
              ad escludere, dal predetto limite, deroghe motivate per le posizioni apicali delle rispettive amministrazioni;
              a prevedere un limite massimo per i rimborsi spese, che devono essere comunque documentati e motivati.
9/5389/153. Rubinato.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame ha un contenuto estremamente vasto e complesso con norme orientate a favorire la riduzione della spesa pubblica;
              vi è straordinaria necessità e urgenza di provvedere a dare effettività alle norme in materia di limite massimo retributivo per emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con le pubbliche amministrazioni statali, e, in generale, di limite al trattamento economico annuo onnicomprensivo di chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo, ivi incluso il personale in regime di diritto pubblico di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165, stabilendo come parametro massimo di riferimento il trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione;
              a norma dell'articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011 n.  201 («Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici»), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011 n.  214, nel trattamento economico annuo onnicomprensivo di chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo devono essere computate in modo cumulativo le somme comunque erogate all'interessato, anche nel caso di pluralità di incarichi conferiti da uno stesso organismo nel corso dell'anno o da più organismi, qualora tali emolumenti o retribuzioni siano comunque a carico delle finanze pubbliche;
              occorre dare effettività a tali norme anche applicando tali disposizioni al personale chiamato, conservando il trattamento economico riconosciuto dall'amministrazione di appartenenza, all'esercizio di funzioni direttive, dirigenziali o equiparate, anche in posizione di fuori ruolo o di aspettativa, presso Ministeri o enti pubblici nazionali, comprese le autorità amministrative indipendenti,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di prevedere con atto avente forza di legge, che il trattamento retributivo percepito annualmente, comprese le indennità e le voci accessorie nonché le eventuali remunerazioni per incarichi ulteriori o consulenze conferiti da amministrazioni pubbliche diverse da quella di appartenenza, dei soggetti che ricevano retribuzioni o emolumenti a carico delle pubbliche finanze in ragione di un rapporto di lavoro subordinato o autonomo nonché di quelli in regime di diritto pubblico di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165, non possa superare il trattamento economico annuale complessivo spettante per la carica al Primo Presidente della Corte di cassazione, pari nell'anno 2011 a euro 293.658,95;
              a prevedere che tale disposizione di legge si applichi solo qualora il trattamento sia superiore, che in tal caso si riduce al predetto limite e ad escludere, in ogni caso, che trattamenti inferiori possano essere elevati a tale limite a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge;
              ad escludere, dal predetto limite, deroghe motivate per le posizioni apicali delle rispettive amministrazioni;
              a prevedere un limite massimo per i rimborsi spese, che devono essere comunque documentati e motivati.
9/5389/153.    (Testo modificato nel corso della seduta) Rubinato.


      La Camera,
          premesso che:
              è stato avviato un percorso di riforme e di contenimento delle spese dello Stato nella prospettiva di un risanamento delle finanze pubbliche di lungo periodo che consenta di pone le basi per la crescita del Paese;
              nell'ambito delle Amministrazioni pubbliche e, in particolare, nell'ambito del comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico si registrano spesso delle aree di sovrapposizione di funzioni, strutture e personale che determinano conseguenti incrementi di spesa;
              in particolare, la flotta elicotteristica statale italiana appare molto frammentata ed eterogenea in quanto in uso ai diversi Corpi di polizia individuati ai sensi dell'articolo 16 della legge n.  121 del 1981 e del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, con conseguenti duplicazioni dei costi di gestione e manutenzione;
              la flotta elicotteristica statale italiana ha assunto, sempre più, un ruolo determinante nel normale svolgimento dei compiti istituzionali dei diversi Corpi dello Stato, distinguendosi per la qualità del suo operato, e i tagli perpetrati negli ultimi anni hanno reso questo strumento più fragile,

impegna il Governo:

          nell'ottica di un uso delle risorse che risponda meglio ai criteri di efficacia e di efficienza, a presentare appositi provvedimenti finalizzati a creare una struttura unica di gestione della flotta aerea ad ala rotante statale, alla quale trasferire gli elicotteri e gli hangar, che permetta una politica comune di acquisizione di beni e servizi, manutenzione e gestione della flotta tra i diversi Corpi di polizia individuali ai sensi dell'articolo 16 della legge n.  121 del 1981 e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, i quali mantengono comunque piena autonomia in merito alle scelte operative relative all'utilizzo della flotta stessa;
          conseguentemente alla creazione della struttura unica di gestione della flotta aerea ad ala rotante, a parificare le sperequazioni esistenti a livello economico per il personale di volo, attualmente esistenti in base all'amministrazione di appartenenza;
          a presentare al Parlamento, entro 60 giorni, una relazione riguardante gli atti conseguenti adottati dal Governo in attuazione del presente ordine del giorno.
9/5389/154. Rosato, Fiano.


      La Camera,
          premesso che:
              è stato avviato un percorso di riforme e di contenimento delle spese dello Stato nella prospettiva di un risanamento delle finanze pubbliche di lungo periodo che consenta di pone le basi per la crescita del Paese;
              nell'ambito delle Amministrazioni pubbliche e, in particolare, nell'ambito del comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico si registrano spesso delle aree di sovrapposizione di funzioni, strutture e personale che determinano conseguenti incrementi di spesa;
              in particolare, la flotta elicotteristica statale italiana appare molto frammentata ed eterogenea in quanto in uso ai diversi Corpi di polizia individuati ai sensi dell'articolo 16 della legge n.  121 del 1981 e del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, con conseguenti duplicazioni dei costi di gestione e manutenzione;
              la flotta elicotteristica statale italiana ha assunto, sempre più, un ruolo determinante nel normale svolgimento dei compiti istituzionali dei diversi Corpi dello Stato, distinguendosi per la qualità del suo operato, e i tagli perpetrati negli ultimi anni hanno reso questo strumento più fragile,

impegna il Governo:

          nell'ottica di un uso delle risorse che risponda meglio ai criteri di efficacia e di efficienza, a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di presentare appositi provvedimenti finalizzati a creare una struttura unica di gestione della flotta aerea ad ala rotante statale, alla quale trasferire gli elicotteri e gli hangar, che permetta una politica comune di acquisizione di beni e servizi, manutenzione e gestione della flotta tra i diversi Corpi di polizia individuali ai sensi dell'articolo 16 della legge n.  121 del 1981 e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, i quali mantengono comunque piena autonomia in merito alle scelte operative relative all'utilizzo della flotta stessa;
          conseguentemente alla creazione della struttura unica di gestione della flotta aerea ad ala rotante, a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di parificare le sperequazioni esistenti a livello economico per il personale di volo, attualmente esistenti in base all'amministrazione di appartenenza;
          a valutare l'opportunità di presentare al Parlamento, entro 60 giorni, una relazione riguardante gli atti conseguenti adottati dal Governo in attuazione del presente ordine del giorno.
9/5389/154.    (Testo modificato nel corso della seduta) Rosato, Fiano.


      La Camera,
          premesso che:
              la funzione strategica della politica estera e della rete diplomatica e amministrativa in ambito globale per la proiezione internazionale dell'Italia e per la promozione del sistema-paese, soprattutto in una fase di grave e prolungata crisi economica e finanziaria come quella che attraversiamo, è di primaria importanza;
              la continua e sproporzionata erosione delle risorse finanziarie assegnate al bilancio del Ministero degli Affari esteri, sommata al ritardo e alla parzialità delle soluzioni che hanno caratterizzato l'intervento di razionalizzazione della spesa all'interno dello stesso MAE, è in netto contrasto con gli obiettivi di difesa e promozione dei nostri fondamentali interessi nel mondo;
              l'intreccio tra risorse limitate e ritardo nell'adozione delle riforme necessarie per riorganizzare e qualificare i servizi del MAE, ha penalizzato pesantemente o addirittura interrotto le politiche d'intervento dirette alle nostre comunità all'estero, il cui ruolo strategico nel quadro dell'internazionalizzazione del sistema Italia è universalmente riconosciuto e potrebbe rappresentare, se adeguatamente valorizzato, una delle chiavi di volta per il superamento della crisi che investe il Paese in numerosi ambiti;
              occorre una più attenta e incisiva azione del Governo e delle stesse forze parlamentari per non fare regredire ulteriormente l'offerta linguistica e culturale dell'Italia nel mondo, che allo stato attuale è posizionata al minimo storico, con il rischio che si comprometta irrimediabilmente il legame che unisce da decenni l'Italia all'estero con la madrepatria;
              tale offerta attualmente si realizza attraverso la rete di scuole italiane e internazionali, i corsi di lingua organizzati dagli enti gestori, i lettorati e gli istituti di cultura, ovvero un insieme di iniziative che accredita la nostra presenza in ambito globale, concorre a veicolare il nostro stile di vita e i nostri prodotti, getta un ponte di dialogo con le nuove generazioni sia di origine che straniere,

impegna il Governo:

          ad attivare prontamente iniziative e programmi concreti di sostegno dell'offerta di lingua e cultura italiana, ricorrendo alle risorse individuate da Governo e Parlamento in sede di conversione in legge del decreto-legge 30 maggio 2012, n.  67, ammontanti a due milioni di euro, e provvedendo a reintegrare, con il primo provvedimento utile, le risorse volte a qualificare l'offerta di lingua e cultura italiana all'estero;
          a ristabilire, con apposito provvedimento, la parità di diritto tra i cittadini italiani residenti i Italia e i cittadini italiani emigrati in materia di Imposta Municipale Unica (IMU), affinché l'unità immobiliare posseduta in Italia a titolo di proprietà o di usufrutto da cittadini italiani residenti all'estero venga considerata abitazione principale, a condizione che la stessa non sia locata, secondo quanto originariamente previsto per l'Imposta Comunale sugli Immobili dal decreto-legge 23-01-1993 n.  16, convertito dalla Legge 24-3-1993 n.  75;
          a introdurre una moratoria quadriennale prima di prevedere ulteriori chiusure di uffici consolari o di sedi diplomatiche, escludendo, in ogni caso, ogni ulteriore razionalizzazione che non sia preceduta da una efficace e selettiva riorganizzazione della spesa del Ministero degli Affari Esteri così come di una ponderata valutazione, da svolgere con il coinvolgimento del Parlamento, delle esigenze di carattere amministrativo dei cittadini italiani emigrati nonché del necessario supporto alla promozione del sistema Italia nello scenario globale.
9/5389/155. Bucchino, Gianni Farina, Fedi, Garavini, Narducci, Porta, Berardi, Angeli, Picchi, Di Biagio, Ricardo Antonio Merlo, Razzi.


      La Camera,
          premesso che:
              la funzione strategica della politica estera e della rete diplomatica e amministrativa in ambito globale per la proiezione internazionale dell'Italia e per la promozione del sistema-paese, soprattutto in una fase di grave e prolungata crisi economica e finanziaria come quella che attraversiamo, è di primaria importanza;
              la continua e sproporzionata erosione delle risorse finanziarie assegnate al bilancio del Ministero degli Affari esteri, sommata al ritardo e alla parzialità delle soluzioni che hanno caratterizzato l'intervento di razionalizzazione della spesa all'interno dello stesso MAE, è in netto contrasto con gli obiettivi di difesa e promozione dei nostri fondamentali interessi nel mondo;
              l'intreccio tra risorse limitate e ritardo nell'adozione delle riforme necessarie per riorganizzare e qualificare i servizi del MAE, ha penalizzato pesantemente o addirittura interrotto le politiche d'intervento dirette alle nostre comunità all'estero, il cui ruolo strategico nel quadro dell'internazionalizzazione del sistema Italia è universalmente riconosciuto e potrebbe rappresentare, se adeguatamente valorizzato, una delle chiavi di volta per il superamento della crisi che investe il Paese in numerosi ambiti;
              occorre una più attenta e incisiva azione del Governo e delle stesse forze parlamentari per non fare regredire ulteriormente l'offerta linguistica e culturale dell'Italia nel mondo, che allo stato attuale è posizionata al minimo storico, con il rischio che si comprometta irrimediabilmente il legame che unisce da decenni l'Italia all'estero con la madrepatria;
              tale offerta attualmente si realizza attraverso la rete di scuole italiane e internazionali, i corsi di lingua organizzati dagli enti gestori, i lettorati e gli istituti di cultura, ovvero un insieme di iniziative che accredita la nostra presenza in ambito globale, concorre a veicolare il nostro stile di vita e i nostri prodotti, getta un ponte di dialogo con le nuove generazioni sia di origine che straniere,

impegna il Governo:

          nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, ad attivare prontamente iniziative e programmi concreti di sostegno dell'offerta di lingua e cultura italiana, ricorrendo alle risorse individuate da Governo e Parlamento in sede di conversione in legge del decreto-legge 30 maggio 2012, n.  67, ammontanti a due milioni di euro, e provvedendo a reintegrare, con il primo provvedimento utile, le risorse volte a qualificare l'offerta di lingua e cultura italiana all'estero;
          ad introdurre una moratoria quadriennale prima di prevedere ulteriori chiusure di uffici consolari o di sedi diplomatiche, escludendo, in ogni caso, ogni ulteriore razionalizzazione che non sia preceduta da una efficace e selettiva riorganizzazione della spesa del Ministero degli Affari Esteri così come di una ponderata valutazione, da svolgere con il coinvolgimento del Parlamento, delle esigenze di carattere amministrativo dei cittadini italiani emigrati nonché del necessario supporto alla promozione del sistema Italia nello scenario globale.
9/5389/155.    (Testo modificato nel corso della seduta) Bucchino, Gianni Farina, Fedi, Garavini, Narducci, Porta, Berardi, Angeli, Picchi, Di Biagio, Ricardo Antonio Merlo, Razzi.


      La Camera,
          premesso che:
              in Italia, e particolarmente nelle Regioni ex obiettivo 1, è emergenza occupazione giovanile;
              se consideriamo tra i non occupati anche i lavoratori che usufruiscono della Cig e che cercano lavoro non attivamente il tasso di disoccupazione corretto salirebbe al 14,8 per cento, a livello nazionale, dall'11,6 per cento del 2008, con punte del 25,3 per cento nel Mezzogiorno cioè quasi 12 punti in più del tasso ufficiale, e del 10,1 per cento nel Centro-Nord;
              l'occupazione è in calo in tutte le regioni meridionali, con l'eccezione della Sardegna. Particolarmente forte è la diminuzione in Basilicata (dal 48,5 al 47,1 per cento) e Molise (dal 52,3 al 51,1 per cento). Valori drammaticamente bassi e in ulteriore riduzione – segnala la Svimez – si registrano in Campania, dove lavora meno del 40 per cento della popolazione in età da lavoro, in Calabria (42,2 per cento) e Sicilia (42,6 per cento);
              anche al centro-nord il tasso d'occupazione si riduce con l'eccezione di Valle d'Aosta, Friuli e Trentino Alto Adige, che presenta il valore più alto (68,5 per cento). Particolarmente intensa è la flessione in Emilia Romagna (-2,8 punti percentuali, dal 70,2 per cento al 67,4 per cento) e in Toscana (dal 65,4 al 63,8 per cento);
              nonostante gli sforzi fatti fino ad ora il problema persiste e si aggrava giorno dopo giorno e che pertanto va predisposto un piano straordinario per l'occupazione giovanile in Italia ed in modo particolare per le Regioni ex obiettivo 1,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di destinare parte dei fondi risparmiati con il decreto-legge in esame per il finanziamento di un piano straordinario per l'occupazione giovanile in Italia con particolare riferimento alle Regioni ex obiettivo 1.
9/5389/156. Belcastro.


      La Camera,
          premesso che:
              in Italia, e particolarmente nelle Regioni ex obiettivo 1, è emergenza occupazione giovanile;
              se consideriamo tra i non occupati anche i lavoratori che usufruiscono della Cig e che cercano lavoro non attivamente il tasso di disoccupazione corretto salirebbe al 14,8 per cento, a livello nazionale, dall'11,6 per cento del 2008, con punte del 25,3 per cento nel Mezzogiorno cioè quasi 12 punti in più del tasso ufficiale, e del 10,1 per cento nel Centro-Nord;
              l'occupazione è in calo in tutte le regioni meridionali, con l'eccezione della Sardegna. Particolarmente forte è la diminuzione in Basilicata (dal 48,5 al 47,1 per cento) e Molise (dal 52,3 al 51,1 per cento). Valori drammaticamente bassi e in ulteriore riduzione – segnala la Svimez – si registrano in Campania, dove lavora meno del 40 per cento della popolazione in età da lavoro, in Calabria (42,2 per cento) e Sicilia (42,6 per cento);
              anche al centro-nord il tasso d'occupazione si riduce con l'eccezione di Valle d'Aosta, Friuli e Trentino Alto Adige, che presenta il valore più alto (68,5 per cento). Particolarmente intensa è la flessione in Emilia Romagna (-2,8 punti percentuali, dal 70,2 per cento al 67,4 per cento) e in Toscana (dal 65,4 al 63,8 per cento);
              nonostante gli sforzi fatti fino ad ora il problema persiste e si aggrava giorno dopo giorno e che pertanto va predisposto un piano straordinario per l'occupazione giovanile in Italia ed in modo particolare per le Regioni ex obiettivo 1,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di destinare parte dei fondi risparmiati con il decreto-legge in esame per il finanziamento di un piano straordinario per l'occupazione giovanile in Italia con particolare riferimento alle Regioni ex obiettivo 1.
9/5389/156.    (Testo modificato nel corso della seduta) Belcastro.


      La Camera,
          premesso che:
              sulle province andava fatta una valutazione di riduzione dei costi nell'ambito delle stesse ed una valutazione sulla storia;
              infatti l'Ente provincia non è solo un ente burocratico, ma ha una storia, rappresenta una cultura, rappresenta l'identità di un territorio e di una comunità. Quindi, quando si abolisce una provincia non si abolisce, come dire, «il palazzo», ma si abolisce molto di più: si fa correre il rischio ad una comunità di perdere la propria identità;
              se si uniscono due province, una che continua a sopravvivere, perché ha la dimensione territoriale e il numero di abitanti previsti, ed una che invece scompare, perché mancano questi due parametri, il capoluogo di provincia può essere quello della provincia soppressa e non quello della provincia che continua ad esistere. È un altro paradosso, che determinerà degli scompensi sui territori;
              è assolutamente necessario che, di fronte a tali riforme, sia data la possibilità ai cittadini di autodeterminare il loro futuro attraverso una libera consultazione,

impegna il Governo

a valutare la possibilità di prevedere che l'accorpamento delle province possa anche essere attuata con province confinanti anche se di Regioni diverse, nel rispetto dell'articolo 132, comma secondo, della Costituzione.
9/5389/157. Iannaccone.


      La Camera,
          premesso che:
              sulle province andava fatta una valutazione di riduzione dei costi nell'ambito delle stesse ed una valutazione sulla storia;
              infatti l'Ente provincia non è solo un ente burocratico, ma ha una storia, rappresenta una cultura, rappresenta l'identità di un territorio e di una comunità. Quindi, quando si abolisce una provincia non si abolisce, come dire, «il palazzo», ma si abolisce molto di più: si fa correre il rischio ad una comunità di perdere la propria identità;
              se si uniscono due province, una che continua a sopravvivere, perché ha la dimensione territoriale e il numero di abitanti previsti, ed una che invece scompare, perché mancano questi due parametri, il capoluogo di provincia può essere quello della provincia soppressa e non quello della provincia che continua ad esistere. È un altro paradosso, che determinerà degli scompensi sui territori;
              è assolutamente necessario che, di fronte a tali riforme, sia data la possibilità ai cittadini di autodeterminare il loro futuro attraverso una libera consultazione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di prevedere che l'accorpamento delle province possa anche essere attuata con province confinanti anche se di Regioni diverse, nel rispetto dell'articolo 132, comma secondo, della Costituzione.
9/5389/157.    (Testo modificato nel corso della seduta) Iannaccone.


      La Camera,
          considerato che:
              il provvedimento in esame costituisce la seconda tranche del processo di revisione della spesa pubblica, peraltro avviato dal Governo Berlusconi con i decreti economici dell'estate 2011;
              secondo notizie di stampa, oltre a ulteriori misure per ridurre la spesa pubblica, il Governo, al fine di ridurre lo stock del debito per 300-400 miliardi, in modo da portarlo attorno al 90 per cento del PIL, potrebbe, già dal mese di settembre, presentare provvedimenti volti ad incrementare fortemente la tassazione dei patrimoni: una super-IMU legata al patrimonio complessivo del contribuente, ivi compresi oro, preziosi e beni artistici posseduti; aliquote assai più alte delle attuali per i patrimoni superiori al milione e mezzo di euro, con la sola esclusione del valore della prima casa; un prelievo straordinario sui redditi superiori a 300.000 euro;
              nei giorni scorsi il Popolo delle libertà ha proposto un Piano per ridurre lo stock del debito, mediante una forte riduzione della spesa per interessi, tramite dismissioni e vendita del patrimonio pubblico per 400 miliardi di euro, da attuare mediate conferimento dello stock dei beni ad un apposito fondo; tale Piano avrebbe anche l'effetto di ridurre la pressione fiscale ed è stato redatto attingendo alla riflessione scientifica di livello più alto (proff. Forte, Masera e Savona);
              al fine di salvaguardare le principali realtà economiche nazionali, attualmente oggetto di attenzioni da parte di altre economie comunitarie, in forza del loro basso valore di borsa, è stato anche proposto di rendere più rigide le regole del golden share e comunque di trattare con i partner comunitari, in tale ambito, adeguate regole di reciprocità,

impegna il Governo:

          a tener conto, in sede di redazione delle norme volte a ridurre lo stock del debito, della necessità di non incrementare ulteriormente la pressione fiscale;
          a irrigidire la golden share, a tutela delle principali realtà economiche nazionali.
9/5389/158. Marinello.


      La Camera,
          considerato che:
              il provvedimento in esame costituisce la seconda tranche del processo di revisione della spesa pubblica, peraltro avviato dal Governo Berlusconi con i decreti economici dell'estate 2011;
              secondo notizie di stampa, oltre a ulteriori misure per ridurre la spesa pubblica, il Governo, al fine di ridurre lo stock del debito per 300-400 miliardi, in modo da portarlo attorno al 90 per cento del PIL, potrebbe, già dal mese di settembre, presentare provvedimenti volti ad incrementare fortemente la tassazione dei patrimoni: una super-IMU legata al patrimonio complessivo del contribuente, ivi compresi oro, preziosi e beni artistici posseduti; aliquote assai più alte delle attuali per i patrimoni superiori al milione e mezzo di euro, con la sola esclusione del valore della prima casa; un prelievo straordinario sui redditi superiori a 300.000 euro;
              nei giorni scorsi il Popolo delle libertà ha proposto un Piano per ridurre lo stock del debito, mediante una forte riduzione della spesa per interessi, tramite dismissioni e vendita del patrimonio pubblico per 400 miliardi di euro, da attuare mediate conferimento dello stock dei beni ad un apposito fondo; tale Piano avrebbe anche l'effetto di ridurre la pressione fiscale ed è stato redatto attingendo alla riflessione scientifica di livello più alto (proff. Forte, Masera e Savona);
              al fine di salvaguardare le principali realtà economiche nazionali, attualmente oggetto di attenzioni da parte di altre economie comunitarie, in forza del loro basso valore di borsa, è stato anche proposto di rendere più rigide le regole del golden share e comunque di trattare con i partner comunitari, in tale ambito, adeguate regole di reciprocità,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di tener conto, in sede di redazione delle norme volte a ridurre lo stock del debito, della necessità di non incrementare ulteriormente la pressione fiscale;
          a irrigidire la golden share, a tutela delle principali realtà economiche nazionali.
9/5389/158.    (Testo modificato nel corso della seduta) Marinello.


      La Camera,
          considerato che:
              l'articolo 6 comma 17 del provvedimento in esame stabilisce che a decorrere dall'esercizio finanziario 2012 gli enti locali iscrivono nel bilancio di previsione un fondo svalutazione crediti non inferiore al 25 per cento dei residui attivi, di cui ai titoli primo e terzo dell'entrata, aventi anzianità superiore a 5 anni. Previo parere del revisore dei conti, possono essere esclusi dal calcolo i residui attivi per i quali i responsabili dei servizi competenti abbiano analiticamente certificato la perdurante sussistenza delle ragioni del credito e l'elevato tasso di riscuotibilità;
              come si legge nella nota illustrativa al decreto-legge, la norma si propone di neutralizzare l'effetto espansivo della spesa, generato dalla presenza in bilancio di residui attivi di parte corrente che di fatto presentano un basso grado di esigibilità, ma che confluendo nell'avanzo libero forniscono, una volta applicato l'avanzo stesso, fittizia copertura finanziaria a spese reali;
              in sede di esame, su richiesta dell'ANCI è stato presentato un emendamento teso ad ottenere che gli enti locali a partire dall'esercizio finanziario 2012 accantonino una quota dell'avanzo di amministrazione disponibile pari al 25 per cento dei residui attivi di cui ai titoli primo e terzo, aventi anzianità superiore a 5 anni. L'emendamento ha l'obiettivo di vincolare una quota dell'avanzo di amministrazione evitando l'accantonamento delle risorse già in sede di bilancio; l'avanzo vincolato per crediti di dubbia esigibilità non potrà certo essere applicato al bilancio di previsione 2012 e dunque in nessun caso potrà creare un effetto espansivo alla spesa,

impegna il Governo

in sede di redazione del disegno di legge relativo alla Legge di stabilità, a tener conto della istanza di modifica delle regole del Patto di stabilità, avanzata dall'ANCI ed esposta in premessa.
9/5389/159. Gioacchino Alfano.


      La Camera,
          considerato che:
              l'articolo 6 comma 17 del provvedimento in esame stabilisce che a decorrere dall'esercizio finanziario 2012 gli enti locali iscrivono nel bilancio di previsione un fondo svalutazione crediti non inferiore al 25 per cento dei residui attivi, di cui ai titoli primo e terzo dell'entrata, aventi anzianità superiore a 5 anni. Previo parere del revisore dei conti, possono essere esclusi dal calcolo i residui attivi per i quali i responsabili dei servizi competenti abbiano analiticamente certificato la perdurante sussistenza delle ragioni del credito e l'elevato tasso di riscuotibilità;
              come si legge nella nota illustrativa al decreto-legge, la norma si propone di neutralizzare l'effetto espansivo della spesa, generato dalla presenza in bilancio di residui attivi di parte corrente che di fatto presentano un basso grado di esigibilità, ma che confluendo nell'avanzo libero forniscono, una volta applicato l'avanzo stesso, fittizia copertura finanziaria a spese reali;
              in sede di esame, su richiesta dell'ANCI è stato presentato un emendamento teso ad ottenere che gli enti locali a partire dall'esercizio finanziario 2012 accantonino una quota dell'avanzo di amministrazione disponibile pari al 25 per cento dei residui attivi di cui ai titoli primo e terzo, aventi anzianità superiore a 5 anni. L'emendamento ha l'obiettivo di vincolare una quota dell'avanzo di amministrazione evitando l'accantonamento delle risorse già in sede di bilancio; l'avanzo vincolato per crediti di dubbia esigibilità non potrà certo essere applicato al bilancio di previsione 2012 e dunque in nessun caso potrà creare un effetto espansivo alla spesa,

impegna il Governo

in sede di redazione del disegno di legge relativo alla Legge di stabilità, a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di tener conto della istanza di modifica delle regole del Patto di stabilità, avanzata dall'ANCI ed esposta in premessa.
9/5389/159.    (Testo modificato nel corso della seduta) Gioacchino Alfano.


      La Camera,
          premesso che:
              con il decreto-legge n.  95/2012 sono confermate ed accentuate misure di restrizione finanziaria a carico degli Enti locali che inevitabilmente avranno pesanti ripercussioni sui servizi che detti Enti devono garantire ai cittadini;
              tale condizione è aggravata da una crescente crisi di liquidità in cui versano primariamente i Comuni, anche a seguito delle risultanze inferiori alle attese del gettito Imu, mentre risultano confermate le riduzioni dei trasferimenti erariali già determinate in 500 milioni di euro per l'anno 2012 ed in 2 miliardi di euro per gli anni 2013 e 2014;
              la gravissima situazione degli Enti locali, sia in ordine alla crisi di liquidità crescente, sia in ordine alla pratica impossibilità di rispettare i vincoli derivanti dalle norme in tema di patto di stabilità, è stata autorevolmente e decisamente evidenziata anche dall'Associazione Nazionale dei Comuni Italiani;
              si rende opportuno fornire al governo indirizzi operativi che consentano di fronteggiare con urgenza ed incisività la grave emergenza che si è venuta a determinare,

impegna il Governo:

          ad assumere le conseguenti e più opportune iniziative finalizzate:
              a) ad escludere dal calcolo sul rispetto dei vincoli del patto di stabilità interno i pagamenti finanziati con le entrate ordinarie proprie dell'Ente; con l'utilizzo del fondo rotativo della Cassa Depositi e Prestiti; con la devoluzione delle economie realizzate sui mutui assunti con la Cassa Depositi e Prestiti; dallo Stato, dalla Regione e dall'Ente per il cofinanziamento della Comunità Europea;
              b) a comprendere, nelle riduzioni da operare ai fini del saldo obiettivo, le somme costituite dalla riduzione dei trasferimenti erariali, di cui al comma 2 dell'articolo 14 del decreto-legge 78/2010 convertito, con modificazioni, dalla legge 122/2010 e dalla riduzione complessiva dei trasferimenti erariali applicati nell'anno 2011 per effetto del passaggio al federalismo municipale rispetto al 2010;
              c) ad escludere dagli impegni, ai fini del calcolo del patto di stabilità, il fondo svalutazione crediti iscritto in bilancio in applicazione dell'articolo 6, comma 17 del decreto-legge 95/2012;
              d) ad introdurre, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, in sede di riparto degli spazi finanziari di cui all'articolo 12-bis del decreto-legge n.  95/2012, criteri premiali in favore degli Enti locali, in ragione dell'entità di risorse attivate nell'ultimo triennio per spese d'investimento.
9/5389/160. Bonavitacola, Cuomo, Iannuzzi.


      La Camera,
          premesso che:
              con il decreto-legge n.  95/2012 sono confermate ed accentuate misure di restrizione finanziaria a carico degli Enti locali che inevitabilmente avranno pesanti ripercussioni sui servizi che detti Enti devono garantire ai cittadini;
              tale condizione è aggravata da una crescente crisi di liquidità in cui versano primariamente i Comuni, anche a seguito delle risultanze inferiori alle attese del gettito Imu, mentre risultano confermate le riduzioni dei trasferimenti erariali già determinate in 500 milioni di euro per l'anno 2012 ed in 2 miliardi di euro per gli anni 2013 e 2014;
              la gravissima situazione degli Enti locali, sia in ordine alla crisi di liquidità crescente, sia in ordine alla pratica impossibilità di rispettare i vincoli derivanti dalle norme in tema di patto di stabilità, è stata autorevolmente e decisamente evidenziata anche dall'Associazione Nazionale dei Comuni Italiani;
              si rende opportuno fornire al governo indirizzi operativi che consentano di fronteggiare con urgenza ed incisività la grave emergenza che si è venuta a determinare,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di assumere le conseguenti e più opportune iniziative finalizzate:
              a) ad escludere dal calcolo sul rispetto dei vincoli del patto di stabilità interno i pagamenti finanziati con le entrate ordinarie proprie dell'Ente; con l'utilizzo del fondo rotativo della Cassa Depositi e Prestiti; con la devoluzione delle economie realizzate sui mutui assunti con la Cassa Depositi e Prestiti; dallo Stato, dalla Regione e dall'Ente per il cofinanziamento della Comunità Europea;
              b) a comprendere, nelle riduzioni da operare ai fini del saldo obiettivo, le somme costituite dalla riduzione dei trasferimenti erariali, di cui al comma 2 dell'articolo 14 del decreto-legge 78/2010 convertito, con modificazioni, dalla legge 122/2010 e dalla riduzione complessiva dei trasferimenti erariali applicati nell'anno 2011 per effetto del passaggio al federalismo municipale rispetto al 2010;
              c) ad escludere dagli impegni, ai fini del calcolo del patto di stabilità, il fondo svalutazione crediti iscritto in bilancio in applicazione dell'articolo 6, comma 17 del decreto-legge 95/2012;
              d) ad introdurre, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, in sede di riparto degli spazi finanziari di cui all'articolo 12-bis del decreto-legge n.  95/2012, criteri premiali in favore degli Enti locali, in ragione dell'entità di risorse attivate nell'ultimo triennio per spese d'investimento.
9/5389/160.    (Testo modificato nel corso della seduta) Bonavitacola, Cuomo, Iannuzzi.


      La Camera,
          esaminate le misure contenute nel decreto-legge recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini» nel testo risultante dalla legge di conversione;
          viste le disposizioni riferite al concorso ai risparmi di spesa previsti per le regioni a statuto speciale ed, in particolare:
              a) quella di cui all'articolo 15, comma 22, diretta a prevedere la riduzione del fabbisogno del servizio sanitario nazionale di 900 milioni di euro per l'anno 2012, di 1800 milioni di euro per l'anno 2013 e di 2000 milioni di euro per l'anno 2014 e 2100 milioni di euro «a decorrere dall'anno 2015» e a ripartire tali riduzioni «fra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano»;
              b) quella di cui all'articolo 16, comma 3, volta ad assicurare un concorso alla finanza pubblica per l'importo complessivo di 600 milioni di euro per l'anno 2012,1200 milioni di euro per l'anno 2013 e 1500 milioni di euro per l'anno 2014 e 1575 milioni «a decorrere dall'anno 2015»;
              c) quella di cui all'articolo 17, comma 5, rivolta ad imporre alle regioni a statuto speciale l'obbligo di adeguare i propri ordinamenti ai principi introdotti nel medesimo articolo 17 ed aventi ad oggetto il riordino delle province e delle loro funzioni;
              d) quella di cui all'articolo 24-bis posta a garanzia del rispetto delle procedure previste dagli statuti speciali e dalle norme di attuazione di tali regioni;
          considerato che tali disposizioni paiono porsi in contrasto con le disposizioni contenute negli statuti speciali delle regioni coinvolte sia in relazione alla devoluzione a queste ultime dell'ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni, sia in relazione al fatto che alcune di esse non fanno parte del «sistema sanitario nazionale» avendo assunto direttamente gli oneri conseguenti a livello regionale come, a titolo di esempio, il Friuli Venezia Giulia, sia con riferimento all'incidenza delle più recenti norme della legge statale che rischiano di vanificare gli spazi di autonomia garantiti proprio dalla devoluzione dei tributi prevista all'interno delle disposizioni statutarie frutto dell'intesa tra lo Stato e le regioni medesime;
          ricordato che la Corte Costituzionale ha ritenuto «principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica», quelli recati da «norme che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente e non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi» e che tali non sono stati ritenuti quelli introdotti da disposizioni che non contemplano la «transitorietà delle restrizioni» (Corte Costituzionale, sentenza n.  193/2012);
          rammentato, altresì, che la stessa Corte si è già pronunciata anche in relazione alla violazione, da parte di alcune norme statali recenti, delle disposizioni statutarie che disciplinavano la «forma di governo» di enti territoriali rimessi all'autonomia statutaria delle regioni speciali (sentenza n.  198/2012);
          atteso che, anche a voler prescindere dalla necessaria transitorietà delle norme di principio, vi è il serio rischio che il contenzioso costituzionale finisca per aggravare i rapporti tra le autonomie speciali e lo Stato e ciò anche in forza del fatto che le sentenze del Giudice costituzionale intervengono a distanza di tempo dall'adozione delle misure oggetto di censura travolgendo, spesso, effetti già dati per acquisiti con conseguenze gravi anche sotto il profilo finanziario;
          sottolineata la necessità di individuare, anche traverso l'aggiornamento delle norme di attuazione, un procedimento preventivo che consenta, durante il percorso parlamentare della legge di stabilità ovvero nel corso dell'esame di provvedimenti di urgenza diretta ad interferire nei rapporti finanziari tra Stato e Regioni speciali, di avviare un confronto in vista di un'auspicata intesa che, nell'ambito del doveroso concorso agli sforzi di contenimento della spesa pubblica, tenga conto delle differenti situazioni in cui versano le autonomie speciali e, quindi, anche degli sforzi via via compiuti e dei risultati ottenuti nel corso degli ultimi anni in tali settori da ciascuna di esse,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di aprire un tavolo di confronto con le autonomie speciali diretto ad individuare un metodo di collaborazione tra le regioni, province autonome e lo Stato che consenta di individuare preventivamente gli obiettivi di finanza pubblica da raggiungere attraverso l'adozione definitiva dei provvedimenti legislativi che disciplinano il concorso delle predette autonomie e ciò anche con l'eventuale ricorso ad una «procedura negoziata» diretta a realizzare l'intesa nel rispetto degli statuti e delle norme costituzionali nonché del percorso di risanamento dei conti pubblici realizzato da ciascuna di esse.
9/5389/161. Contento, Gottardo.


      La Camera,
          esaminate le misure contenute nel decreto-legge recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini» nel testo risultante dalla legge di conversione;
          viste le disposizioni riferite al concorso ai risparmi di spesa previsti per le regioni a statuto speciale ed, in particolare:
              a) quella di cui all'articolo 15, comma 22, diretta a prevedere la riduzione del fabbisogno del servizio sanitario nazionale di 900 milioni di euro per l'anno 2012, di 1800 milioni di euro per l'anno 2013 e di 2000 milioni di euro per l'anno 2014 e 2100 milioni di euro «a decorrere dall'anno 2015» e a ripartire tali riduzioni «fra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano»;
              b) quella di cui all'articolo 16, comma 3, volta ad assicurare un concorso alla finanza pubblica per l'importo complessivo di 600 milioni di euro per l'anno 2012,1200 milioni di euro per l'anno 2013 e 1500 milioni di euro per l'anno 2014 e 1575 milioni «a decorrere dall'anno 2015»;
              c) quella di cui all'articolo 17, comma 5, rivolta ad imporre alle regioni a statuto speciale l'obbligo di adeguare i propri ordinamenti ai principi introdotti nel medesimo articolo 17 ed aventi ad oggetto il riordino delle province e delle loro funzioni;
              d) quella di cui all'articolo 24-bis posta a garanzia del rispetto delle procedure previste dagli statuti speciali e dalle norme di attuazione di tali regioni;
          considerato che tali disposizioni paiono porsi in contrasto con le disposizioni contenute negli statuti speciali delle regioni coinvolte sia in relazione alla devoluzione a queste ultime dell'ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni, sia in relazione al fatto che alcune di esse non fanno parte del «sistema sanitario nazionale» avendo assunto direttamente gli oneri conseguenti a livello regionale come, a titolo di esempio, il Friuli Venezia Giulia, sia con riferimento all'incidenza delle più recenti norme della legge statale che rischiano di vanificare gli spazi di autonomia garantiti proprio dalla devoluzione dei tributi prevista all'interno delle disposizioni statutarie frutto dell'intesa tra lo Stato e le regioni medesime;
          ricordato che la Corte Costituzionale ha ritenuto «principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica», quelli recati da «norme che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente e non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi» e che tali non sono stati ritenuti quelli introdotti da disposizioni che non contemplano la «transitorietà delle restrizioni» (Corte Costituzionale, sentenza n.  193/2012);
          rammentato, altresì, che la stessa Corte si è già pronunciata anche in relazione alla violazione, da parte di alcune norme statali recenti, delle disposizioni statutarie che disciplinavano la «forma di governo» di enti territoriali rimessi all'autonomia statutaria delle regioni speciali (sentenza n.  198/2012);
          atteso che, anche a voler prescindere dalla necessaria transitorietà delle norme di principio, vi è il serio rischio che il contenzioso costituzionale finisca per aggravare i rapporti tra le autonomie speciali e lo Stato e ciò anche in forza del fatto che le sentenze del Giudice costituzionale intervengono a distanza di tempo dall'adozione delle misure oggetto di censura travolgendo, spesso, effetti già dati per acquisiti con conseguenze gravi anche sotto il profilo finanziario;
          sottolineata la necessità di individuare, anche traverso l'aggiornamento delle norme di attuazione, un procedimento preventivo che consenta, durante il percorso parlamentare della legge di stabilità ovvero nel corso dell'esame di provvedimenti di urgenza diretta ad interferire nei rapporti finanziari tra Stato e Regioni speciali, di avviare un confronto in vista di un'auspicata intesa che, nell'ambito del doveroso concorso agli sforzi di contenimento della spesa pubblica, tenga conto delle differenti situazioni in cui versano le autonomie speciali e, quindi, anche degli sforzi via via compiuti e dei risultati ottenuti nel corso degli ultimi anni in tali settori da ciascuna di esse,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di aprire un tavolo di confronto con le autonomie speciali diretto ad individuare un metodo di collaborazione tra le regioni, province autonome e lo Stato che consenta di individuare preventivamente gli obiettivi di finanza pubblica da raggiungere attraverso l'adozione definitiva dei provvedimenti legislativi che disciplinano il concorso delle predette autonomie e ciò anche con l'eventuale ricorso ad una «procedura negoziata» diretta a realizzare l'intesa nel rispetto degli statuti e delle norme costituzionali nonché del percorso di risanamento dei conti pubblici realizzato da ciascuna di esse.
9/5389/161.    (Testo modificato nel corso della seduta) Contento, Gottardo.


      La Camera,
          premesso che:
              col presente decreto-legge, il Governo ha adottato misure di razionalizzazione e di revisione della spesa pubblica, che prevedono anche riduzioni nell'acquisto di beni e servizi (articolo 1, comma 21) e blocco parziale del turn over del personale per le amministrazioni pubbliche (articolo 14 comma 2);
              con un ordine del giorno a mia firma, accolto dal Governo e votato all'unanimità dalla Camera il 3 luglio dopo essere stato sottoscritto dai rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari, sulla premessa della necessità di mantenere gli standard di sicurezza e di rendere migliori gli standard di amministrazione della giustizia – ciò che è difficilmente compatibile con ulteriori sensibili tagli ai Ministeri dell'interno e della Giustizia – si ricordava che nel settembre 2008 il Governo dell'epoca aveva costituito il Fug-fondo unico giustizia, alimentato dal cash e dai titoli monetizzabili sottratti con sequestri e confische dalla disponibilità delle organizzazioni di tipo mafioso. Tale Fondo è destinato per il 49 per cento all'incremento delle risorse del Ministero dell'Interno e per il 49 per cento a quello della Giustizia. Nel medesimo ordine del giorno si chiedeva pertanto – prima dell'esame e del voto di successivi interventi normativi di «spending review» – di poter disporre di un quadro chiaro e completo sulla consistenza del Fug, sulla quantità di risorse finanziarie erogate o da erogare per il 2012 attingendo da tale fondo, e di conoscere se e in che misura le risorse del Fug saranno adoperate per limitare i tagli dello «spending review» nei settori della sicurezza e della giustizia;
              l'entità della riduzione delle spese per beni e servizi prevista dal decreto-legge in esame per l'anno in corso è, con riferimento al ministero della Giustizia, pari a 60 milioni di euro e diventa di 120 milioni di euro annui a partire dal 2013, e per gli anni successivi; con riferimento al ministero dell'Interno è di 131 milioni di euro annui a partire dal 2013, e per gli anni successivi; il blocco di assunzioni è nella misura dell'80 per cento (nel senso che si potrà assumere solo il 20 per cento delle posizioni rese vacanti) per il triennio 2012-2014, del 50 per cento per il 2015 e del 100 per cento a decorrere dal 2016. Questa misura riguarda le fasce direttive e dirigenziali dei comparti sicurezza e giustizia;
              il 1o agosto, all'avvio dell'esame in Commissione Bilancio alla Camera del decreto-legge n.  95/2012, su mia sollecitazione il rappresentante del Governo ha fornito gli elementi richiesti sul Fug, riassunti in una nota trasmessa dalla Ragioneria Generale dello Stato. In essa si dice:
                  che alla data del 31 dicembre 2011 le risorse intestate al Fug ammontano a 2.212,88 milioni di euro;
                  che di tale importo solo 1.065,52 milioni di euro sono effettivamente disponibili, in quanto riportati da conti correnti e depositi a risparmio;
                  che, poiché una parte delle risorse non risultano ancora definitivamente confiscate (i relativi provvedimenti non hanno conosciuto tutti i gradi di giudizio), si devono mettere prudenzialmente da parte, per eventuali restituzioni qualora intervengano atti di dissequestro, 343 milioni di euro;
                  restano 722,52 milioni di euro; ma, in considerazione delle entrate previste per il 2012 (291,43 milioni di euro per nuovi sequestri/confische) e delle uscite previste per il 2012 (352,36 milioni di euro per dissequestri), la stima della disponibilità al 31.12.2012 è di 661,59 milioni di euro;
                  che al Fug già si attinge per alcune incombenze del ministero della Giustizia (la mediazione delle controversie civili) e dei ministero dell'Interno (l'alimentazione del Fondo delle vittime della mafia);
                  che, in conclusione, «l'eventuale utilizzo delle entrate a seguito di confisca oggi è solo possibile per spese una tantum e non continuative». In base a ciò, emendamenti a mia firma che permettevano di equilibrare i tagli ai ministeri della Giustizia e dell'Interno con le risorse del Fug hanno avuto il parere negativo del Governo, in quanto ritenuti privi di copertura, e per questo sono stati dame ritirati già in Commissione;
          rilevato che:
              non si comprende perché, se alla data del 31 dicembre 2011 le risorse intestate al Fug ammontavano a 2.212,88 milioni di euro, poi la Ragioneria generale dello Stato e, sulla sua scorta, il Governo, affermino che di tale importo solo 1.065,52 milioni di euro sono effettivamente disponibili. Non può rappresentare valida ragione la circostanza che solo la seconda somma è riportata da conti correnti e da depositi a risparmio, perché ciò denuncerebbe l'incapacità delle amministrazioni interessate a monetizzare oltre un miliardo di risorse cash esito di sequestri e confische. Incapacità che è singolare, nel momento in cui si esige da tutte le amministrazioni, centrali e periferiche, di spendere di meno «con invarianza dei servizi ai cittadini» (come recita il titolo del decreto-legge n.  95/2012). Si parla di titoli monetizzabili, non di immobili o di aziende, per i quali le procedure di collocazione sul mercato incontrano ostacoli giuridici e fattuali; e si parla di titoli collocabili, tanto che dal calcolo complessivo della Ragioneria è stato escluso un titolo sequestrato del valore nominale di un miliardo di dollari USA, poiché il suo valore sul mercato viene definito pari a zero. Quindi, i 2.212,88 milioni di euro sono al netto di tale titolo;
              immaginando (ed è da dimostrare, trattandosi di stime all'insegna della estrema cautela) che al 31.12.2012 siano effettivamente disponibili 661,59 milioni di euro, non si comprende perché non possano essere adoperati per evitare la riduzione delle spese per beni e servizi prevista dal decreto-legge n.  95/2012 almeno per l'anno in corso (60 milioni di euro con riferimento al ministero della Giustizia), e per gli anni 2013 e 2014 (120 milioni di euro per anno per il ministero della Giustizia e 131 per anno per il ministero dell'Interno);
              l'argomento che «l'eventuale utilizzo delle entrate a seguito di confisca oggi è solo possibile per spese una tantum e non continuative» è in contraddizione con il riferimento che nella stessa nota si fa alla copertura delle procedure di mediazione stragiudiziaria e al Fondo vittime mafia, che operano «a regime», e non una tantum;
              peraltro quanto richiesto da tali voci del bilancio è minimo rispetto alla entità della somma di 661,59 milioni di euro: la copertura finanziaria della mediazione è di appena 7,02 milioni di euro, come si dice nella nota in questione;
              nei prossimi mesi, in attuazione della riorganizzazione delle sedi giudiziarie, mentre non sarà possibile beneficiare nell'immediatezza dei risparmi costituiti dal venir meno dei canoni di locazione per gli immobili delle sedi che sono soppresse, a causa dei tempi tecnici di rescissione dei contratti, ci sarà immediato bisogno di risorse per l'ampliamento delle sedi capoluogo di circondario, che accorpano quelle soppresse, e i Comuni non possono effettuare alcuna anticipazione, perché le loro casse sono in passivo. Già da tempo, a seguito dei tagli di fine 2011, i proprietari di una parte significativa di locazioni per presidi di sicurezza non ricevono la corresponsione dei canoni;
              per queste ragioni, quand'anche rispetto al Fug fossero disponibili solo 661,59 milioni di euro, e non invece l'intero importo di 2.212,88 milioni di euro, essi potrebbero tamponare – in una logica di una tantum – la grave situazione del momento,

impegna il Governo:

          entro il mese di settembre 2012, a fornire una compiuta informativa sulle ragioni che impediscono di utilizzare, rispetto all'importo di 2.212,88 milioni di euro, ben 1.147,36 euro, risultanti dalla differenza fra 2.212,88 milioni di euro e 1.065,52, che vengono dichiarati disponibili;
          a precisare in tal informativa se tali ragioni vadano identificate nella scarsa disponibilità, da parte dei funzionari addetti alla gestione del Fondo, a collocare quei titoli sul mercato, tanto meno giustificata di fronte all'entità della somma di cui si potrebbe disporre e ai tagli nel frattempo introdotti nel bilancio delle amministrazioni pubbliche;
          ammesso e non concesso che siano utilizzabili solo 661,59 milioni di euro, ad inserire nella prossima Legge di stabilità una norma che permetta di disporne subito per fare fronte alle emergenze dei settori della giustizia e della sicurezza, con particolare riferimento alle ricadute degli accorpamenti delle sedi giudiziarie e alle difficoltà nel pagamento delle locazioni per i presidi di polizia.
9/5389/162. Mantovano, Frassinetti, Barani, Angela Napoli, Maroni, Paladini, Migliori, Pelino, Razzi, Polledri, Barbato, Laboccetta, Marinello, Paglia, Bosi.


      La Camera,
          premesso che:
              i reparti del Genio campale, sono particolari unità operative, costituite nell'ambito dell'Aeronautica militare fin dal 1935 ed hanno il compito di intervenire per garantire adeguato supporto alle unità operative che sono chiamate ad operare per garantire la piena efficienza delle infrastrutture di cui hanno bisogno i reparti delle Forze Armate;
              per svolgere questa loro attività si avvalgono oltre ai tecnici, militari e civili, e agli operai appartenenti ai ruoli del Ministero della difesa, anche di altri operai civili con contratto a tempo determinato;
              il rapporto di lavoro di questi soggetti è disciplinato dal regolamento sui lavori del Genio militare, sulla base di un insieme di norme che nel tempo si sono succedute;
              per garantire un adeguato livello di efficienza dello strumento militare è necessario riconoscere ai reparti del Genio campale dell'Aeronautica militare, soggetti di diritto pubblico, la possibilità di avvalersi di prestazioni di manodopera qualificata da impiegare nella realizzazione di interventi destinati alla Difesa nazionale o alla protezione civile, utilizzando anche contratti di lavoro di diritto privato,

impegna il Governo

ad assumere ogni iniziativa utile, anche di carattere normativo, per garantire all'amministrazione della Difesa, nell'esecuzione dei lavori in economia da realizzare mediante i reparti del Genio delle Forze Armate ovvero in amministrazione diretta, ai sensi delle specifiche norme regolamentari previste dall'articolo 196 del codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n.  163, e dall'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 15 novembre 2011, n.  208, la possibilità di avvalersi, in relazione alle qualifiche per le quali è richiesto il requisito della scuola dell'obbligo, di personale qualificato ai sensi del CCNL, settore edilizia e affini, cui si applicano le previsioni normative di cui alla legge 15 luglio 1966, n.  604, alla legge 23 luglio 1991, n.  223, e alla legge 6 agosto 1975, n.  427.
9/5389/163. Vico.


      La Camera,
          premesso che:
              i reparti del Genio campale, sono particolari unità operative, costituite nell'ambito dell'Aeronautica militare fin dal 1935 ed hanno il compito di intervenire per garantire adeguato supporto alle unità operative che sono chiamate ad operare per garantire la piena efficienza delle infrastrutture di cui hanno bisogno i reparti delle Forze Armate;
              per svolgere questa loro attività si avvalgono oltre ai tecnici, militari e civili, e agli operai appartenenti ai ruoli del Ministero della difesa, anche di altri operai civili con contratto a tempo determinato;
              il rapporto di lavoro di questi soggetti è disciplinato dal regolamento sui lavori del Genio militare, sulla base di un insieme di norme che nel tempo si sono succedute;
              per garantire un adeguato livello di efficienza dello strumento militare è necessario riconoscere ai reparti del Genio campale dell'Aeronautica militare, soggetti di diritto pubblico, la possibilità di avvalersi di prestazioni di manodopera qualificata da impiegare nella realizzazione di interventi destinati alla Difesa nazionale o alla protezione civile, utilizzando anche contratti di lavoro di diritto privato,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di assumere ogni iniziativa utile, anche di carattere normativo, per garantire all'amministrazione della Difesa, nell'esecuzione dei lavori in economia da realizzare mediante i reparti del Genio delle Forze Armate ovvero in amministrazione diretta, ai sensi delle specifiche norme regolamentari previste dall'articolo 196 del codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n.  163, e dall'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 15 novembre 2011, n.  208, la possibilità di avvalersi, in relazione alle qualifiche per le quali è richiesto il requisito della scuola dell'obbligo, di personale qualificato ai sensi del CCNL, settore edilizia e affini, cui si applicano le previsioni normative di cui alla legge 15 luglio 1966, n.  604, alla legge 23 luglio 1991, n.  223, e alla legge 6 agosto 1975, n.  427.
9/5389/163.    (Testo modificato nel corso della seduta) Vico.


      La Camera,
          premesso che:
              le mafie anche giovandosi della crisi di liquidità connessa alla negativa congiuntura economica stanno approfittando di questa congiuntura per sviluppare ancor più il proprio profilo criminale nelle realtà di tutto il paese secondo una logica predatoria, come ben evidenziato nella relazione al Parlamento del 2011 dai nostri Servizi di sicurezza e Informazione;
              soggetti e gruppi di chiara matrice eversiva, sfruttano il disagio sociale, conseguente alla crisi economica che sta investendo il nostro Paese per innalzare il livello di scontro con le Istituzioni come peraltro dimostrato dall'attentato compiuto a Genova, lo scorso maggio, ai danni dell'Ingegner Roberto Adinolfi dirigente Ansaldo e dalle precedenti campagne di invio di pacchi e lettere bomba;
              centinaia di uomini sono impegnati quotidianamente in Val di Susa per assicurare la tutela dei cantieri finalizzati alla realizzazione di una linea ferroviaria di alta velocità sulla tratta Torino-Lione,
              migliaia di donne e uomini delle forze dell'ordine sono impegnati quotidianamente per garantire l'ordine pubblico nelle centinaia di manifestazioni di protesta o di disagio connesso alla crisi economica che si svolgono in tutta Italia;
              altresì migliaia di donne e uomini del soccorso pubblico sono quotidianamente impegnati nelle emergenze grandi e piccole del nostro paese, con professionalità e abnegazione eccezionali ed in condizione di grandissime ristrettezze materiali;
              il blocco delle assunzioni previsto dall'articolo 14 comma 2, determinerà una riduzione in tutti i Corpi dello Stato appartenenti ai comparti Sicurezza, Difesa e Soccorso Pubblico
              nelle sole forze del comparto Sicurezza questo significherà la diminuzione di oltre di oltre 18.000 unità nel triennio, con ricadute negative anche sull'innalzamento dell'età media delle donne e degli uomini delle Forze dell'Ordine;
              la lotta alle mafie, la garanzia dell'ordine pubblico, la capacità e la possibilità di intervento rapido per il soccorso pubblico e la promozione della legalità, equivalgono ad un investimento per aumentare la competitività, la crescita e lo sviluppo economico del Paese, nonché la sicurezza dei cittadini che è precondizione per il mantenimento della fiducia nelle Istituzioni;
              alla data del 31 dicembre 2011 le risorse intestate al FUG ammontano a 2012,88 milioni di Euro e di tale importo 1065,52 milioni di Euro sono effettivamente disponibili in quanto consistenti in conti correnti e depositi al risparmio,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi dell'articolo 14, comma 2, al fine di reperire, anche tramite l'utilizzo del Fondo Unico Giustizia e anche con modifiche legislative, fondi necessari a garantire l'assunzione di nuovo personale nei comparti sicurezza, difesa e soccorso pubblico, oltre il limite previsto dal blocco del turn over al 20 per cento per il triennio 2012/2014.
9/5389/164. Fiano, Naccarato, Barbato, Rosato.


      La Camera,
          premesso che:
              le mafie anche giovandosi della crisi di liquidità connessa alla negativa congiuntura economica stanno approfittando di questa congiuntura per sviluppare ancor più il proprio profilo criminale nelle realtà di tutto il paese secondo una logica predatoria, come ben evidenziato nella relazione al Parlamento del 2011 dai nostri Servizi di sicurezza e Informazione;
              soggetti e gruppi di chiara matrice eversiva, sfruttano il disagio sociale, conseguente alla crisi economica che sta investendo il nostro Paese per innalzare il livello di scontro con le Istituzioni come peraltro dimostrato dall'attentato compiuto a Genova, lo scorso maggio, ai danni dell'Ingegner Roberto Adinolfi dirigente Ansaldo e dalle precedenti campagne di invio di pacchi e lettere bomba;
              centinaia di uomini sono impegnati quotidianamente in Val di Susa per assicurare la tutela dei cantieri finalizzati alla realizzazione di una linea ferroviaria di alta velocità sulla tratta Torino-Lione,
              migliaia di donne e uomini delle forze dell'ordine sono impegnati quotidianamente per garantire l'ordine pubblico nelle centinaia di manifestazioni di protesta o di disagio connesso alla crisi economica che si svolgono in tutta Italia;
              altresì migliaia di donne e uomini del soccorso pubblico sono quotidianamente impegnati nelle emergenze grandi e piccole del nostro paese, con professionalità e abnegazione eccezionali ed in condizione di grandissime ristrettezze materiali;
              il blocco delle assunzioni previsto dall'articolo 14 comma 2, determinerà una riduzione in tutti i Corpi dello Stato appartenenti ai comparti Sicurezza, Difesa e Soccorso Pubblico
              nelle sole forze del comparto Sicurezza questo significherà la diminuzione di oltre di oltre 18.000 unità nel triennio, con ricadute negative anche sull'innalzamento dell'età media delle donne e degli uomini delle Forze dell'Ordine;
              la lotta alle mafie, la garanzia dell'ordine pubblico, la capacità e la possibilità di intervento rapido per il soccorso pubblico e la promozione della legalità, equivalgono ad un investimento per aumentare la competitività, la crescita e lo sviluppo economico del Paese, nonché la sicurezza dei cittadini che è precondizione per il mantenimento della fiducia nelle Istituzioni;
              alla data del 31 dicembre 2011 le risorse intestate al FUG ammontano a 2012,88 milioni di Euro e di tale importo 1065,52 milioni di Euro sono effettivamente disponibili in quanto consistenti in conti correnti e depositi al risparmio,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi dell'articolo 14, comma 2, al fine di reperire, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, anche tramite l'utilizzo del Fondo Unico Giustizia e anche con modifiche legislative, fondi necessari a garantire l'assunzione di nuovo personale nei comparti sicurezza, difesa e soccorso pubblico, oltre il limite previsto dal blocco del turn over al 20 per cento per il triennio 2012/2014.
9/5389/164.    (Testo modificato nel corso della seduta) Fiano, Naccarato, Rosato.


      La Camera,
          ribadita l'importanza che la proiezione internazionale riveste per l'Italia, anche nell'ottica di promuovere il sistema-Paese nell'attuale fase critica dell'economia;
          consapevole che il rafforzamento della presenza italiana nel mondo è strettamente collegato alla capacità di rappresentanza degli interessi nazionali, che è assicurata dall'Amministrazione degli affari esteri;
          sottolineata la rilevanza della rete periferica del Ministero degli affari esteri quale patrimonio di strutture amministrative e di esperienze professionali a disposizione dei cittadini, delle istituzioni e delle imprese;
          riconosciuta la specificità ed infungibilità delle funzioni e delle competenze attribuite all'Amministrazione degli affari esteri ed in particolare alla sua rete estera;
          affermata l'esigenza che la revisione della spesa non pregiudichi la piena funzionalità della rappresentanza dell'Italia nel mondo, sia sotto il profilo dei servizi resi che delle relazioni internazionali;
          rilevato che le risorse umane e finanziarie destinate alla politica estera dall'Italia risultano nettamente inferiori a quelle destinate da analoghi Paesi partner dell'UE ovvero del G8;
          auspicato che la riqualificazione della spesa prosegua, superando la logica sinora dettata dall'emergenza, realizzando interventi strutturali di riforma in ambiti prioritari quali la cooperazione allo sviluppo e la promozione della cultura e della lingua italiana, nonché riorientando strategicamente la distribuzione geografica della rete estera;
          osservato che la carriera diplomatica condivide le caratteristiche di specificità, in termini sia ordinamentali che professionali, delle categorie di cui all'articolo 2, comma 7, del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95;
          preso atto che la riformulazione, intervenuta presso l'altro ramo del Parlamento, dell'articolo 2, comma 5, del summenzionato decreto-legge fa stato, «all'esito del processo di riorganizzazione delle sedi estere», delle misure di contenimento degli organici opportunamente anticipate dall'Amministrazione degli affari esteri ed in quanto tali costituenti parte integrante degli obiettivi da conseguire di cui all'articolo 2, comma 1 del medesimo provvedimento,

impegna il Governo:

          a salvaguardare, nell'attuazione dell'articolo 2 del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, l'attuale dimensionamento della rete diplomatico-consolare e delle relative dotazioni organiche;
          a tenere in considerazione le specificità dell'Amministrazione degli affari esteri, anche con riferimento alle funzioni da essa espletate nelle situazioni di crisi, nell'applicazione delle disposizioni del predetto decreto-legge.
9/5389/165. Frattini, Pistelli, Adornato, Pianetta, Tempestini, Galli.


      La Camera,
          ribadita l'importanza che la proiezione internazionale riveste per l'Italia, anche nell'ottica di promuovere il sistema-Paese nell'attuale fase critica dell'economia;
          consapevole che il rafforzamento della presenza italiana nel mondo è strettamente collegato alla capacità di rappresentanza degli interessi nazionali, che è assicurata dall'Amministrazione degli affari esteri;
          sottolineata la rilevanza della rete periferica del Ministero degli affari esteri quale patrimonio di strutture amministrative e di esperienze professionali a disposizione dei cittadini, delle istituzioni e delle imprese;
          riconosciuta la specificità ed infungibilità delle funzioni e delle competenze attribuite all'Amministrazione degli affari esteri ed in particolare alla sua rete estera;
          affermata l'esigenza che la revisione della spesa non pregiudichi la piena funzionalità della rappresentanza dell'Italia nel mondo, sia sotto il profilo dei servizi resi che delle relazioni internazionali;
          rilevato che le risorse umane e finanziarie destinate alla politica estera dall'Italia risultano nettamente inferiori a quelle destinate da analoghi Paesi partner dell'UE ovvero del G8;
          auspicato che la riqualificazione della spesa prosegua, superando la logica sinora dettata dall'emergenza, realizzando interventi strutturali di riforma in ambiti prioritari quali la cooperazione allo sviluppo e la promozione della cultura e della lingua italiana, nonché riorientando strategicamente la distribuzione geografica della rete estera;
          osservato che la carriera diplomatica condivide le caratteristiche di specificità, in termini sia ordinamentali che professionali, delle categorie di cui all'articolo 2, comma 7, del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95;
          preso atto che la riformulazione, intervenuta presso l'altro ramo del Parlamento, dell'articolo 2, comma 5, del summenzionato decreto-legge fa stato, «all'esito del processo di riorganizzazione delle sedi estere», delle misure di contenimento degli organici opportunamente anticipate dall'Amministrazione degli affari esteri ed in quanto tali costituenti parte integrante degli obiettivi da conseguire di cui all'articolo 2, comma 1 del medesimo provvedimento,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di salvaguardare, nell'attuazione dell'articolo 2 del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, l'attuale dimensionamento della rete diplomatico-consolare e delle relative dotazioni organiche;
          a tenere in considerazione le specificità dell'Amministrazione degli affari esteri, anche con riferimento alle funzioni da essa espletate nelle situazioni di crisi, nell'applicazione delle disposizioni del predetto decreto-legge.
9/5389/165.    (Testo modificato nel corso della seduta) Frattini, Pistelli, Adornato, Pianetta, Tempestini, Galli.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca Disposizioni urgenti per l'equilibrio del settore sanitario e misure di governo della spesa farmaceutica che non dovrebbero in teoria comportare «invarianza dei servizi per i cittadini» anche se le misure adottate per il servizio sanitario, ispirate ad una logica prevalentemente economica e basate su tagli di risorse di carattere lineare, rischiano di mettere a repentaglio la sostenibilità dello stesso Servizio sanitario nazionale e dell'erogazione degli stessi livelli essenziali di assistenza;
              la stessa programmazione delle spese sanitarie avviene sulla base di riduzione di risorse che non sono state previamente concordate né con le regioni e né con gli enti locali, mettendo così in discussione un sistema pattizio che finora ha permesso di tenere sotto controllo l'andamento della spesa sanitaria;
              l'introduzione nel provvedimento dell'azzeramento degli organi collegiali priva sia il Ministero della salute che quello del lavoro e delle politiche sociali di strumenti importanti per l'azione di Governo nonché della previsione che tutti i servizi svolti dalle pubbliche amministrazioni mediante ricorso a convenzioni debba essere sottoposto a procedure d'appalto e che ciò lede gravemente le cooperative sociali così come previste dall'articolo 1, lettera B della legge 8 novembre 1991 n.  38 (cooperative di tipo B) che svolgono importanti e delicate funzioni di inserimento lavorativo delle persone svantaggiate e pertanto i costi dei servizi da queste erogati sono più elevati dei prezzi di riferimento,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità di anticipare, nel più breve tempo possibile, e comunque entro l'anno, la definizione del nuovo Patto per la salute 2013-2015, affinché le misure, contenute nel decreto-legge in esame, incidenti sul comparto sanitario siano riconsiderate e declinate in modo tale da rispettare pienamente i principi di equità, universalità, sostenibilità e qualità che contraddistinguono il Servizio sanitario nazionale, attraverso la standardizzazione organizzativa e della spesa; a valutare l'opportunità di prevedere sia nuovi e più incisivi controlli sui farmaci generici importati da paesi terzi, ai fini di garantire nel migliore dei modi la tutela della salute dei cittadini sia sempre in un ottica di mantenimento dei livelli di assistenza che a fronte della riduzione dei posti letto si proceda al potenziamento dei ricoveri diurni in regime di day hospital, delle strutture intermedie e dell'assistenza sanitaria territoriale;
          a valutare l'opportunità di individuare, per quanto concerne la riduzione del 5 per cento degli importi e delle connesse prestazioni relative a contratti in essere di appalto di servizi e di fornitura di beni e servizi modalità tali da favorire, anche attraverso un anticipo di cassa in favore delle Regioni, una ricontrattazione dei prezzi dei contratti in essere con le ditte fornitrici in modo che non si riducano i servizi.
9/5389/166. D'Incecco, Burtone, Bucchino, Bossa, Livia Turco, Miotto, Lenzi, Fontanelli, Pedoto, Murer, Sbrollini.


      La Camera,
          premesso che:
              il provvedimento in esame reca Disposizioni urgenti per l'equilibrio del settore sanitario e misure di governo della spesa farmaceutica che non dovrebbero in teoria comportare «invarianza dei servizi per i cittadini» anche se le misure adottate per il servizio sanitario, ispirate ad una logica prevalentemente economica e basate su tagli di risorse di carattere lineare, rischiano di mettere a repentaglio la sostenibilità dello stesso Servizio sanitario nazionale e dell'erogazione degli stessi livelli essenziali di assistenza;
              la stessa programmazione delle spese sanitarie avviene sulla base di riduzione di risorse che non sono state previamente concordate né con le regioni e né con gli enti locali, mettendo così in discussione un sistema pattizio che finora ha permesso di tenere sotto controllo l'andamento della spesa sanitaria;
              l'introduzione nel provvedimento dell'azzeramento degli organi collegiali priva sia il Ministero della salute che quello del lavoro e delle politiche sociali di strumenti importanti per l'azione di Governo nonché della previsione che tutti i servizi svolti dalle pubbliche amministrazioni mediante ricorso a convenzioni debba essere sottoposto a procedure d'appalto e che ciò lede gravemente le cooperative sociali così come previste dall'articolo 1, lettera B della legge 8 novembre 1991 n.  38 (cooperative di tipo B) che svolgono importanti e delicate funzioni di inserimento lavorativo delle persone svantaggiate e pertanto i costi dei servizi da queste erogati sono più elevati dei prezzi di riferimento,

impegna il Governo:

          a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di anticipare, nel più breve tempo possibile, e comunque entro l'anno, la definizione del nuovo Patto per la salute 2013-2015, affinché le misure, contenute nel decreto-legge in esame, incidenti sul comparto sanitario siano riconsiderate e declinate in modo tale da rispettare pienamente i principi di equità, universalità, sostenibilità e qualità che contraddistinguono il Servizio sanitario nazionale, attraverso la standardizzazione organizzativa e della spesa; a valutare l'opportunità di prevedere sia nuovi e più incisivi controlli sui farmaci generici importati da paesi terzi, ai fini di garantire nel migliore dei modi la tutela della salute dei cittadini sia sempre in un ottica di mantenimento dei livelli di assistenza che a fronte della riduzione dei posti letto si proceda al potenziamento dei ricoveri diurni in regime di day hospital, delle strutture intermedie e dell'assistenza sanitaria territoriale;
          a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di individuare, per quanto concerne la riduzione del 5 per cento degli importi e delle connesse prestazioni relative a contratti in essere di appalto di servizi e di fornitura di beni e servizi modalità tali da favorire, anche attraverso un anticipo di cassa in favore delle Regioni, una ricontrattazione dei prezzi dei contratti in essere con le ditte fornitrici in modo che non si riducano i servizi.
9/5389/166.    (Testo modificato nel corso della seduta) D'Incecco, Burtone, Bucchino, Bossa, Livia Turco, Miotto, Lenzi, Fontanelli, Pedoto, Murer, Sbrollini.